Azienda Di Cilindri Oleodinamici Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se gestisci un’azienda che produce, importa o distribuisce cilindri oleodinamici standard o speciali, cilindri telescopici, cilindri per macchine agricole, industriali o movimento terra, componenti per sistemi oleodinamici, ricambi certificati e soluzioni personalizzate per impianti e macchinari, e oggi ti trovi con debiti fiscali, debiti con Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, la continuità della tua attività è seriamente a rischio.

Il settore dei cilindri oleodinamici richiede acciai certificati, lavorazioni ad alta precisione, trattamenti superficiali specifici, test di pressione, collaudi rigorosi e consegne puntuali. Anche un semplice blocco dovuto ai debiti può fermare produzioni, interrompere riparazioni urgenti, ritardare consegne e farti perdere clienti nei settori industriali, agricoli, edili e meccanici.

La buona notizia è che puoi ancora difenderti, ridurre i debiti e mettere in sicurezza la tua azienda, se intervieni subito con una strategia efficace.

Perché le aziende di cilindri oleodinamici accumulano debiti

Le cause principali sono:

  • costi elevati per acciai speciali, tubi, steli, guarnizioni, fondelli e componenti certificati
  • rincari delle lavorazioni meccaniche, cromature, rettifiche e trattamenti superficiali
  • pagamenti lenti da parte di costruttori di macchine e clienti industriali
  • ritardi nel versamento di IVA, imposte e contributi INPS
  • magazzini complessi con molte misure, pressioni, configurazioni e personalizzazioni
  • investimenti costanti in attrezzature di test, collaudi ad alta pressione e certificazioni
  • difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli di produzione
  • fornitori strategici che richiedono pagamenti rapidi o anticipati

Questi fattori possono trasformarsi rapidamente in crisi di liquidità e indebitamento crescente, se non gestiti tempestivamente.

Cosa fare subito se la tua azienda è indebitata

La priorità assoluta è non restare fermo. Ecco cosa fare immediatamente:

  • fai analizzare la situazione debitoria da un avvocato esperto in debiti aziendali
  • verifica quali debiti sono corretti e quali possono essere contestati, ridotti o prescritti
  • evita piani di rientro e rateizzazioni non sostenibili
  • richiedi la sospensione di eventuali pignoramenti o procedure esecutive
  • valuta rateizzazioni realmente sostenibili con Agenzia delle Entrate e INPS
  • proteggi i rapporti con fornitori critici (tubi, steli, guarnizioni, lavorazioni)
  • previeni il blocco del conto corrente e la riduzione dei fidi bancari
  • utilizza gli strumenti legali per ridurre, ristrutturare o negoziare i debiti

Solo una diagnosi professionale ti permette di capire quali debiti ridurre, sospendere o contestare davvero.

I rischi concreti per un’azienda indebitata

Senza un intervento rapido, i rischi sono molto seri:

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • fermo di torni, alesatrici, centri di lavoro, rettifiche e banchi prova
  • blocco delle forniture di steli, tubi, guarnizioni e componenti essenziali
  • impossibilità di completare commesse urgenti o riparazioni critiche
  • perdita di clienti strategici nei settori industriali, agricoli ed edili
  • danni alla reputazione tecnica e commerciale
  • crisi di liquidità e ritardi nei pagamenti
  • rischio reale di chiusura dell’attività

Nel settore dei cilindri oleodinamici anche un ritardo minimo può paralizzare linee produttive o macchinari dei clienti, con conseguenze molto onerose.

Come un avvocato può aiutarti concretamente

Un avvocato specializzato in debiti aziendali può:

  • bloccare immediatamente pignoramenti e altre azioni esecutive
  • ridurre l’importo dei debiti tramite trattative con Fisco, INPS e creditori privati
  • ottenere rateizzazioni sostenibili basate sui flussi di cassa reali
  • far annullare debiti prescritti, irregolari o calcolati in modo errato
  • negoziare con banche e fornitori per evitare blocchi nelle consegne
  • proteggere magazzino, attrezzature, know-how e continuità produttiva
  • stabilizzare la situazione mentre l’azienda ristruttura il debito
  • evitare procedure concorsuali e rischio di insolvenza

Una strategia legale ben strutturata può davvero permettere il rilancio della tua attività.

Come evitare il blocco dell’attività

Per evitare che l’azienda si fermi devi:

  • intervenire subito, senza aspettare l’emergenza
  • evitare di trattare da solo con i creditori
  • proteggere fornitori e componenti essenziali
  • ristrutturare i debiti prima che scattino pignoramenti o blocchi bancari
  • contestare debiti irregolari o non più esigibili
  • proteggere la liquidità e concentrarla sulle attività produttive strategiche

Così puoi evitare fermi, ritardi, penali e perdita di clienti chiave.

Quando rivolgersi a un avvocato

D dovresti farlo immediatamente se:

  • hai ricevuto cartelle, solleciti, intimazioni o preavvisi di pignoramento
  • i debiti con AE Riscossione, INPS, banche o fornitori stanno diventando ingestibili
  • temi il blocco del conto corrente aziendale
  • la liquidità si sta riducendo rapidamente
  • i fornitori minacciano di sospendere consegne o lavorazioni
  • ritieni che la situazione possa portare alla chiusura dell’impresa

Un avvocato esperto può bloccare le procedure, ristrutturare i debiti e riportare stabilità alla tua azienda.

Attenzione

Molte aziende dell’oleodinamica non falliscono per l’ammontare dei debiti, ma perché intervengono troppo tardi.
Con la strategia giusta puoi ridurre, rinegoziare o eliminare parte dei debiti e salvare davvero il futuro della tua attività.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in debiti aziendali e tutela di imprese meccaniche e oleodinamiche – ti aiuta a mettere in sicurezza la tua azienda di cilindri oleodinamici.

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Introduzione

Una azienda manifatturiera di cilindri oleodinamici può trovarsi in difficoltà finanziaria per molte ragioni: calo di ordini, ritardi nei pagamenti dei clienti, investimenti onerosi o imprevisti. Quando i debiti aziendali si accumulano – che siano verso banche, fornitori, Fisco o enti previdenziali – l’imprenditore si chiede come difendersi dalle azioni dei creditori e quale strategia adottare per salvaguardare l’impresa. In Italia il quadro normativo per la gestione della crisi d’impresa è stato profondamente riformato negli ultimi anni, culminando nell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) nel 2022 (D.lgs. 14/2019) e successivi correttivi fino al 2024 . Questa guida fornisce un’analisi avanzata e aggiornata a ottobre 2025 degli strumenti legali a disposizione di un’azienda debitrice (in particolare una S.r.l. o S.p.A. del settore industriale), con un linguaggio tecnico-giuridico ma dal taglio divulgativo, utile sia a professionisti (avvocati, consulenti) sia agli imprenditori stessi.

Punto di vista del debitore: esamineremo le soluzioni dal lato dell’azienda indebitata che vuole evitare il fallimento o ridurre al minimo le conseguenze negative. Illustreremo come proteggere il patrimonio aziendale e personale dagli attacchi dei creditori, come negoziare piani di rientro sostenibili e quali procedure attivare per gestire la crisi. La guida affronta tutte le principali tipologie di debiti (tributari, bancari, verso fornitori, contributivi, ecc.) e spiega cosa fare una volta insorti i debiti, includendo sia strumenti stragiudiziali (come accordi negoziati) sia procedure giudiziali concorsuali previste dalla legge italiana.

Struttura della guida: Dopo una panoramica delle diverse categorie di debiti e dei relativi rischi, esamineremo le strategie di difesa – dalle iniziative volontarie (piani di risanamento, composizione negoziata della crisi) alle procedure concorsuali vere e proprie (accordi di ristrutturazione omologati, concordato preventivo, liquidazione giudiziale). Approfondiremo gli aspetti di responsabilità patrimoniale dell’imprenditore e dei garanti, con attenzione alla distinzione tra società di capitali (in cui vige la responsabilità limitata) e implicazioni sul patrimonio personale (es. escussione di garanzie personali, rischi per gli amministratori e soci). Verranno incluse tabelle riepilogative per confrontare le diverse soluzioni e una sezione di domande e risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni. Infine, due casi pratici simulati – uno riferito a una PMI e uno a una grande impresa – illustreranno l’applicazione concreta degli strumenti di crisi. Tutte le fonti normative, giurisprudenziali e bibliografiche utilizzate sono riportate in fondo .

Nota: La guida è aggiornata con le ultime novità al 2025, incluse le modifiche del D.Lgs. 13 settembre 2024 n.136 (c.d. “correttivo ter” al CCII) e le più recenti sentenze di legittimità. Ad esempio, si tiene conto della nuova procedura di composizione negoziata introdotta nel 2021 , delle pronunce della Corte di Cassazione del 2024-2025 in tema di responsabilità di amministratori e garanti, nonché delle misure agevolative fiscali aggiornate (es. rottamazione quater 2023 e riforma delle rateizzazioni dal 2025 ). L’obiettivo è fornire al debitore una visione chiara di cosa fare per difendersi dai creditori e come farlo in modo lecito ed efficiente, nel rispetto della normativa italiana vigente.

Tipologie di debiti aziendali e rischi connessi

Non tutti i debiti aziendali sono uguali. È fondamentale mappare le varie tipologie di esposizione, perché ciascuna comporta rischi legali differenti e richiede strategie mirate. Di seguito analizziamo le principali categorie di debiti di un’azienda di cilindri oleodinamici (tipicamente PMI manifatturiera) e le conseguenze connesse al loro mancato pagamento:

Debiti tributari (Fisco)

I debiti tributari includono imposte statali (IVA, IRES, IRAP), ritenute fiscali su stipendi, e tasse locali. Il mancato pagamento di queste somme espone l’azienda a procedure di riscossione coattiva da parte dell’Erario. In Italia, dopo l’accertamento o la liquidazione d’imposta, il debito viene iscritto a ruolo e affidato all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER), che può emettere la cartella esattoriale. Se la cartella non viene pagata entro 60 giorni, scattano misure esecutive automatiche: fermi amministrativi su veicoli, ipoteche su immobili, pignoramenti di conti correnti, stipendi e altri beni . Ad esempio, AER può iscrivere ipoteca sulla sede aziendale o bloccare un macchinario essenziale, paralizzando l’attività.

  • Sanzioni e interessi: Oltre al tributo, il debito fiscale accumula sanzioni (per omesso versamento) e interessi di mora. Questi importi possono gonfiare il debito originario rendendo ancora più gravoso il rientro. Esistono però strumenti di definizione agevolata – le cosiddette “rottamazioni” – che negli ultimi anni hanno permesso di stralciare sanzioni e interessi. Ad esempio, la Rottamazione-quater (2023/24) introdotta con la L. 197/2022 ha consentito la cancellazione di interessi e sanzioni su carichi fiscali affidati dal 2000 al 30/6/2022, con pagamento solo dell’imposta e di pochi oneri . Chi vi ha aderito ha potuto ridurre significativamente l’ammontare dovuto (es. un debito di €150.000 composto da €90.000 di imposte, €50.000 di sanzioni e €10.000 di interessi di mora veniva ridotto a €90.000 da pagare, risparmiando €60.000) . Per chi non ha potuto aderire, al momento (fine 2025) non sono aperte nuove definizioni agevolate – sebbene si discuta di una possibile “rottamazione quinquies” nel 2026 . In compenso, il legislatore ha rafforzato gli strumenti ordinari di rateizzazione.
  • Riscossione e rateizzazione: Quando la società non riesce a pagare subito, la soluzione più immediata per evitare azioni esecutive è chiedere una rateizzazione del debito tributario . L’art. 19 del D.P.R. 602/1973 consente piani di dilazione fino a un massimo (storicamente 72 rate mensili, cioè 6 anni). Dal 1° gennaio 2025, grazie alla riforma della riscossione (D.Lgs. 110/2024), i massimali sono stati estesi: 84 rate (7 anni) per domande presentate nel 2025-2026; 96 rate (8 anni) per domande nel 2027-2028; 108 rate (9 anni) dal 2029 in poi . Inoltre, la soglia per ottenere una dilazione “automatica” (senza dover provare lo stato di difficoltà) è stata elevata a €120.000 per singola richiesta , importo entro il quale basta un’autocertificazione per avere fino a 84 rate . Sopra tale soglia, occorre documentare la situazione economico-finanziaria allegando bilanci e indici di liquidità determinati dall’Agenzia (dal 2024 è disponibile un simulatore online per calcolare questi parametri) . Beneficio chiave della rateizzazione: sospende le azioni esecutive su quei debiti una volta accolta (nessun nuovo pignoramento, e fermi/ipoteche già iscritti vengono congelati) . L’azienda ottiene così respiro (es. un debito di €100.000 dilazionato in 84 rate ha una rata di ~€1.390 e interessi totali ~€16.700 , costi sostenibili a fronte dell’alternativa di subire un’esecuzione immediata).
  • Rischi specifici e difese: Alcuni debiti tributari hanno carattere “privilegiato” o addirittura “inderogabile”. In particolare l’IVA e le ritenute operate e non versate sono considerate risorse pubbliche non falcidiabili al di fuori delle procedure concorsuali: significa che in un concordato o accordo il debitore può proporre di pagarle parzialmente solo rispettando condizioni severe (c.d. transazione fiscale, v. oltre), mentre se non si attiva alcuna procedura questi debiti dovranno essere pagati integralmente o si incorrerà in sanzioni pesanti. Inoltre, per omessi versamenti di IVA superiori a determinate soglie scattano profili penali (reato di omesso versamento IVA, art. 10-ter D.Lgs. 74/2000, soglia €250.000). Dunque, il debitore fiscale deve valutare con attenzione come regolarizzare la posizione per evitare sia l’aggressione patrimoniale sia eventuali procedimenti penali. Le difese tipiche contro pretese fiscali sono: impugnare in commissione tributaria gli avvisi di accertamento se si ritengono infondati, chiedere la sospensione giudiziale delle cartelle in caso di seri vizi, oppure – come già detto – accedere a piani di rateizzo o definizioni agevolate se disponibili. In sede di riscossione coattiva, un’azienda può proporre opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi solo per vizi formali o di procedura (es. pignoramento eseguito su beni impignorabili, difetto di notifica della cartella, ecc.), poiché la legittimità del credito va contestata prima. Va ricordato che la chiusura/cancellazione della società non fa magicamente sparire i debiti tributari: l’Agenzia Entrate potrà rivalersi sugli ex soci entro i limiti di legge (si veda più avanti la responsabilità post-liquidazione, chiarita da Cass. Sez. Unite 3625/2025).

Debiti verso banche e finanziarie

Molte aziende industriali operano con finanziamenti bancari (mutui per macchinari, scoperti di conto, anticipi su fatture, leasing). Il debito bancario è spesso assistito da garanzie: pegni su beni, ipoteche su immobili aziendali, cessione di crediti, e quasi sempre fideiussioni personali dei soci o dell’imprenditore. Il rischio principale è che, in caso di insolvenza, la banca revochi gli affidamenti e chieda il rientro immediato. Ad esempio, se l’azienda non riesce a rimborsare una rata di mutuo o sconfina oltre il fido, la banca può inviare una comunicazione di decadenza dal beneficio del termine, esigendo l’intero importo residuo. Se il debitore non paga, la banca può:

  • Escutere le garanzie reali: procedere al pignoramento e vendita dei beni dati in garanzia (es. espropriare un immobile ipotecato, escutere un pegno su titoli o su un macchinario). Queste azioni avvengono tramite tribunale (pignoramento immobiliare/mobiliare) ma generalmente la presenza di garanzia rende più sicuro e rapido il soddisfacimento del credito bancario.
  • Escutere le garanzie personali (fideiussioni): rivolgersi direttamente ai garanti (spesso i soci o il titolare) chiedendo a loro il pagamento. La fideiussione bancaria è normalmente “a prima richiesta e senza eccezioni”, ciò significa che la banca può pretendere subito dai garanti il saldo del debito, indipendentemente dalle vicende dell’azienda debitrice, salvo che il garante provi l’invalidità della fideiussione stessa. Approfondiamo qui un punto cruciale: come può il garante difendersi? Negli ultimi anni molte fideiussioni omnibus (quelle che garantiscono tutte le obbligazioni presenti e future del debitore verso la banca) sono state contestate in giudizio per presunta nullità delle clausole standard predisposte dall’ABI. La Banca d’Italia nel 2005 (provvedimento n. 55/2005) ha accertato che il modello ABI di fideiussione conteneva clausole anticoncorrenziali (es. clausole di “reviviscenza” del debito, di rinuncia ai termini ex art.1957 c.c., ecc.), rendendole nulle per violazione antitrust. La giurisprudenza però è oscillante sull’estensione di tale nullità: secondo l’orientamento maggioritario della Cassazione (Sez. I), il provvedimento antitrust si riferisce solo alle fideiussioni omnibus generiche e non a quelle specifiche legate a singoli finanziamenti . Cass. civ. Sez. I ord. 25 novembre 2024 n. 30383 e altre pronunce coeve (Cass. 17 gennaio 2025 n. 1170, Cass. 3 novembre 2025 n. 28988) hanno escluso la nullità automatica delle fideiussioni riferite a uno specifico mutuo, confermando che la sanzione antitrust colpisce solo lo schema omnibus generale . Un diverso orientamento, minoritario, sostenuto da Cass. Sez. III ord. 21 ottobre 2024 n. 27243, estende l’effetto anche a garanzie specifiche . Ad esempio, la Corte d’Appello di Ancona (sent. 993/2025) ha aderito a tale visione, ritenendo nulle le clausole ABI anche in fideiussioni relative a uno specifico mutuo . In pratica, per il garante non è facile evitare il pagamento: deve instaurare una causa civile contro la banca, eccependo la nullità parziale della fideiussione e sperando che il giudice aderisca all’interpretazione favorevole. Anche in caso di accoglimento, spesso la nullità colpisce solo alcune clausole (es. quelle di reviviscenza), ma la fideiussione resta valida per il resto e la banca può comunque escutere se ha agito entro i termini contrattuali . Pertanto, affidarsi a questo tipo di difesa è una strategia aleatoria e va considerata come estrema ratio. Più proficuo può essere negoziare con la banca una moratoria o ristrutturazione del debito.
  • Moratorie e ristrutturazione del debito bancario: In situazioni di crisi temporanea, molte banche possono concedere moratorie (sospensione dei pagamenti per alcuni mesi) o riscadenzamenti (allungamento dei piani di ammortamento) nell’ambito di accordi privati. Ad esempio, nel 2020 durante l’emergenza Covid furono previste moratorie generalizzate per legge. Oggi, il debitore può comunque chiedere volontariamente alla banca di rinegoziare le condizioni: se l’azienda ha prospettive di ripresa, spesso la banca preferisce evitare di escutere subito (con il rischio di incassare poco da un asset liquidato all’asta) e accetta di diluire il debito, magari assistendolo con ulteriori garanzie. È consigliabile presentare alla banca un piano di rientro credibile, corredato da dati finanziari previsionali, per convincerla a concedere respiro. Tali accordi stragiudiziali non hanno l’omologazione del tribunale, ma se ben documentati possono essere inseriti in un piano attestato di risanamento (si veda oltre) per proteggerli da eventuali revocatorie future.
  • Reazioni bancarie alla procedura di crisi: Un elemento importante da considerare è la reazione delle banche quando l’azienda intraprende procedure di gestione della crisi. Il Codice della crisi ha introdotto norme per impedire revoche ingiustificate degli affidamenti bancari a chi avvia una composizione negoziata o un concordato. In particolare, dal 2022 vige un divieto per banche e intermediari di revocare o ridurre fidi solo perché l’impresa ha presentato domanda di accesso a una procedura di regolazione della crisi, salvo giusta causa (art. 55-bis L.F., ora trasfuso in CCII) . Ciò per evitare che l’azienda venga “punita” dalle banche per aver cercato di ristrutturare il debito. Dunque, se l’azienda comunica tempestivamente alla banca la volontà di trattare (ad esempio attraverso la composizione negoziata), la banca non può chiudere i conti indiscriminatamente, pena violare questo disposto. In pratica però, permane il rischio che la banca classifichi l’esposizione a sofferenza e inizi il recupero giudiziale se ritiene compromessa la possibilità di rimborso. Perciò è fondamentale coinvolgere le banche nel piano di risanamento complessivo, mostrando loro come potranno essere soddisfatte (magari parzialmente ma meglio che in liquidazione) e magari offrendo nuove garanzie o l’ingresso di investitori.

In sintesi, di fronte a debiti bancari l’azienda debitrice deve agire proattivamente: evitare di aggravare l’esposizione (es. continuando a utilizzare fidi scoperti), dialogare con l’istituto per concordare soluzioni transitorie e, se necessario, includere la banca in un accordo più ampio di ristrutturazione (accordo omologato o concordato preventivo). Ignorare il problema porterà quasi sicuramente all’apertura di procedure esecutive (es. decreto ingiuntivo e pignoramento) e all’attivazione delle fideiussioni, con conseguenze patrimoniali dirette per l’imprenditore garante.

Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali

Questa categoria comprende i debiti di fornitori di materie prime, componenti, servizi, nonché i debiti verso consulenti, professionisti e altri partner commerciali. Spesso le forniture vengono concesse a credito (pagamento a 30-60-90 giorni); se l’azienda attraversa tensioni di liquidità, può accumulare arretrati nei pagamenti ai fornitori. I rischi principali sono:

  • Interruzione delle forniture: Il fornitore non pagato può sospendere ulteriori consegne o prestazioni. Per un’azienda manifatturiera ciò può essere critico: ad esempio, se il fornitore di acciaio per i cilindri oleodinamici blocca le forniture, la produzione si ferma. Dunque, il debito commerciale mette in pericolo la continuità operativa immediata.
  • Azioni legali individuali: Il singolo fornitore può agire in via giudiziale per il recupero del credito. Tipicamente potrà ottenere un decreto ingiuntivo (un’ingiunzione di pagamento emessa dal tribunale in tempi rapidi, spesso basata su fatture non contestate). Se l’azienda non paga nemmeno dopo l’ingiunzione (divenuta esecutiva), il creditore procede con pignoramenti analoghi a quelli visti per il Fisco: blocco di conti, pignoramento di merci in magazzino, di crediti verso clienti (es. attingendo ai crediti che l’azienda ha verso i propri committenti, tramite pignoramento presso terzi), ecc. I fornitori di maggior peso potrebbero anche chiedere il fallimento (liquidazione giudiziale) dell’azienda debitrice qualora questa appaia insolvente, se l’esposizione supera le soglie di legge. Infatti, ai sensi del CCII un creditore può presentare istanza di liquidazione giudiziale se vanta un credito certo scaduto e l’imprenditore si trova in stato di insolvenza.
  • Deterioramento reputazionale: L’insolvenza verso fornitori spesso si diffonde nell’ambiente di mercato locale. Altri partner commerciali potrebbero revocare le linee di credito commerciale (ad esempio richiedere pagamento anticipato per nuove forniture) e i clienti potrebbero perdere fiducia nella capacità dell’azienda di rispettare gli impegni. Questo effetto domino aggrava la crisi di liquidità.

Come difendersi dai debiti verso fornitori? In prima battuta, tramite la negoziazione privata. È spesso possibile concordare piani di rientro dilazionati, magari riconoscendo al fornitore interessi di mora o offrendo garanzie aggiuntive (cambiali, pegni su beni). Molti fornitori, pur di non perdere un cliente, accettano di “spalmare” l’arretrato su più mesi. Conviene redigere accordi scritti di transazione in cui il creditore si impegna a non agire esecutivamente purché il debitore rispetti il piano di pagamento concordato. Tali accordi possono anche prevedere una remissione parziale del debito (saldo e stralcio) se il creditore è disponibile: ad esempio, il fornitore potrebbe accettare il pagamento del 70-80% a saldo, preferendo incassare subito una parte anziché rischiare di meno in un futuro incerto.

Se però i debiti commerciali sono molti e l’azienda non riesce a soddisfarli tutti nei termini, occorre valutare soluzioni più strutturate. Una procedura di regolazione della crisi (come il concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione omologato) può imporre una moratoria generalizzata e evitare la corsa disordinata dei singoli creditori. Ad esempio, presentando domanda di concordato “in bianco” (con riserva) l’azienda ottiene un automatic stay temporaneo per legge, che impedisce ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive per tutta la durata del “concordato con riserva” autorizzato dal tribunale (di solito 4 mesi, prorogabili). Analogamente, la Composizione negoziata consente di chiedere al tribunale misure protettive che bloccano i creditori per la fase di trattative (massimo 4+4 mesi) . Questi strumenti – che discuteremo oltre – sono cruciali per “congelare” le iniziative dei fornitori e guadagnare tempo per ristrutturare il debito.

Dal punto di vista legale, se un fornitore ha già ottenuto un decreto ingiuntivo, l’azienda può fare opposizione entro 40 giorni per trasformare la causa in un giudizio ordinario, guadagnando tempo (l’opposizione sospende l’efficacia esecutiva solo se il giudice lo dispone, altrimenti il credito è comunque esecutivo). Ma l’opposizione deve basarsi su ragioni concrete (es. contestazioni sulla qualità della merce, prescrizione, inesattezze) perché alla fine, se il debito era reale, l’azienda soccomberà e dovrà anche pagare spese legali. Dunque l’opposizione a oltranza è solo un tatticismo temporaneo. Più utile può essere, qualora disponibile, coinvolgere i fornitori in un piano collettivo: ad esempio proporre loro un accordo corale in cui tutti accettano una riduzione o dilazione (questo può sfociare in un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal tribunale se si raggiunge la maggioranza richiesta, oppure in un concordato preventivo dove sono i creditori a votare).

Debiti verso fornitori “strategici”: Un caso particolare è il debito verso fornitori essenziali per la produzione (es. il fornitore esclusivo di un componente critico del cilindro oleodinamico). Qui la priorità del debitore dovrebbe essere trovare un modus vivendi per evitare l’interruzione: magari pagando almeno parzialmente le fatture scadute o dando garanzie di pagherò su quelle future. In sede di concordato preventivo, la legge consente di classificare separatamente i creditori strategici e anche di pagarli anticipatamente rispetto agli altri, previa autorizzazione, per assicurare la continuità aziendale (art. 95 CCII sulla continuazione di rapporti essenziali). Quindi, se si prospetta un salvataggio, si potrà prevedere di soddisfare i fornitori critici in misura maggiore (in percentuale) di altri creditori, motivandolo con l’interesse comune a proseguire l’attività.

Riassumendo, i debiti verso fornitori vanno gestiti combinando soluzioni amichevoli (piani di rientro, accordi stragiudiziali) con strumenti concorsuali quando il numero dei creditori e l’ammontare dei debiti sfugge di mano. L’azienda debitrice dovrebbe sempre evitare comportamenti che aggravino la posizione dei fornitori in maniera discriminatoria: ad esempio, non pagare alcuni fornitori e pagarne integralmente altri “vicini” può esporre l’amministratore a responsabilità (come vedremo, pagamenti preferenziali in conflitto d’interessi possono essere fonte di risarcimento danni). È preferibile cercare soluzioni paritetiche e trasparenti, coinvolgendo i creditori nella conoscenza della situazione e magari proponendo accordi di saldo e stralcio sostenibili.

Debiti verso i dipendenti

Un capitolo a parte meritano i debiti verso il personale, cioè stipendi non pagati, TFR, contributi previdenziali trattenuti ma non versati. Questi debiti hanno implicazioni sia civili che penali e toccano sensibilmente la vita dei lavoratori.

  • Mancato pagamento di retribuzioni: Se l’azienda ritarda o omette il pagamento degli stipendi, il dipendente può agire giudizialmente ottenendo un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo (le buste paga sono prove scritte del credito). Inoltre, dopo due mensilità non pagate il lavoratore ha facoltà di dimettersi per giusta causa, pretendendo anche l’indennità sostitutiva del preavviso. Il Tribunale del Lavoro di solito tutela rapidamente i dipendenti, e i crediti di lavoro hanno privilegio generale mobiliare e fondi di garanzia (INPS garantisce il TFR e ultime 3 mensilità in caso di insolvenza del datore). Dunque, da un lato i dipendenti non rischiano di restare totalmente insoddisfatti (se l’azienda fallisce interviene il Fondo di Garanzia INPS nei limiti di legge), ma dall’altro l’imprenditore rischia fortemente l’emorragia di personale qualificato e un contenzioso costoso. Inoltre, gli importi anticipati dal Fondo INPS diventeranno debiti verso l’INPS in privilegio.
  • Contributi previdenziali (INPS) e premi assicurativi (INAIL): L’azienda trattiene dalla busta paga le quote contributive a carico dei lavoratori e dovrebbe versarle (insieme alla quota a proprio carico) all’INPS. Se non lo fa, l’INPS iscrive a ruolo il credito e si attiva la riscossione come per i tributi (cartella esattoriale). I debiti verso INPS godono di privilegio e spesso di prededucibilità se maturati durante procedure concorsuali. Importante: l’omesso versamento delle ritenute previdenziali oltre una certa soglia (attualmente €10.000 annui) costituisce reato (art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983, conv. L.638/1983): l’imprenditore potrebbe incorrere in sanzioni penali se, entro il termine fissato dopo la contestazione, non provvede a versare quanto dovuto . La norma penale infatti punisce chi non versa le ritenute pensionistiche trattenute ai dipendenti, salvo estinguere il reato pagando entro specifici termini. Ciò crea una pressione fortissima sul datore di lavoro debitore, che dovrà prioritariamente saldare questi debiti per evitare conseguenze penali personali.

Difendersi da questi debiti: Idealmente, i debiti verso il personale non dovrebbero sorgere, perché pagare i lavoratori deve essere la priorità assoluta (anche moralmente, oltre che giuridicamente). Se tuttavia la crisi impedisce il pagamento integrale e puntuale, l’imprenditore dovrebbe cercare un accordo con i dipendenti: ad esempio, cassa integrazione (se ci sono i presupposti per gli ammortizzatori sociali), oppure una dilazione concordata dei pagamenti (magari coinvolgendo i sindacati se presenti). Durante procedure concorsuali, i crediti di lavoro maturati prima hanno privilegio speciale e vengono soddisfatti preferenzialmente; quelli durante la procedura sono prededucibili (vanno pagati man mano). Nei concordati in continuità aziendale, è essenziale presentare un piano che tuteli l’occupazione e preveda il pagamento almeno parziale dei crediti dei dipendenti – spesso tali crediti sono trattati in classi separate con trattamento di favore.

Un’azienda in crisi che continua l’attività senza pagare stipendi sta generando nuove passività prededucibili e rischia anche l’accusa di malversazione (uso illecito di contributi pubblici eventualmente destinati a pagare i dipendenti). Quindi, se non vi è liquidità per i salari, la scelta più saggia può essere sospendere l’attività temporaneamente (fermo produttivo) in attesa di un intervento (finanziamento o procedura) oppure ricorrere alla procedura concorsuale per gestire la cessazione in modo ordinato (ad esempio un concordato liquidatorio con accesso alla CIGS per cessazione).

Riepilogo dei rischi per categoria di debito

Possiamo sintetizzare in una tabella le principali conseguenze e strumenti di difesa a seconda della natura del debito:

Tipo di debitoConseguenze del mancato pagamentoStrumenti di difesa/soluzione
Fiscale (Erario)Cartella esattoriale; fermi amministrativi, ipoteche, pignoramenti; sanzioni e interessi; possibile reato (es. omesso versamento IVA)– Rateizzazione fino a 84-120 rate (riforma 2025) ;<br>– Definizioni agevolate (rottamazioni) se previste ;<br>– Transazione fiscale in concordato/accordo (riduzione parziale con omologa) ;<br>– Ricorso tributario se il debito è contestabile.
Contributivo (INPS)Cartella esattoriale; stesse misure coattive del Fisco; possibili sanzioni civili elevate; reato se omesse ritenute > €10k/anno– Rateizzazione (come per il Fisco, tramite AER);<br>– Eventuali condoni contributivi (rari);<br>– Transazione contributiva nelle procedure concorsuali;<br>– Dilazione diretta con INPS per debiti correnti (piani di rientro su avvisi di addebito).
Bancario/FinanziarioRevoca fidi e richiesta rientro immediato; azioni legali per recupero; escussione garanzie reali (espropriazione beni dati in garanzia); escussione garanzie personali (aggressione patrimonio dell’imprenditore); segnalazione in Centrale Rischi (pregiudica accesso a credito futuro)– Moratoria o rinegoziazione privata del debito;<br>– Piano attestato di risanamento (coinvolgendo banche) ;<br>– Accordo di ristrutturazione omologato (con consenso di 60% banche, estensibile a minoranza dissenziente) ;<br>– Concordato preventivo (eventuale cram-down delle banche dissenzienti);<br>– Verifica legale di anomalie contrattuali (tassi usurari, clausole nulle) per contestare parte del debito (difesa tecnica).
Commerciale (Fornitori)Azioni monitorie (decreto ingiuntivo) ed esecutive (pignoramenti); sospensione forniture essenziali; richiesta di fallimento; perdita di fiducia sul mercato– Negoziazione di piani di rientro e eventuali saldo e stralcio;<br>– Moratorie informali con accordi standstill (tutti i principali fornitori concordano di attendere);<br>– Accesso a composizione negoziata (misure protettive) ;<br>– Concordato preventivo con classi di creditori (es. classe fornitori strategici pagati in prededuzione);<br>– Opposizione ai decreti ingiuntivi (se ci sono contestazioni reali sul credito).
Dipendenti (salari)Azioni giudiziarie veloci (ingiunzioni) con pignoramento beni azienda; dimissioni di massa per giusta causa; intervento Fondo di Garanzia INPS (in caso d’insolvenza conclamata); possibili sanzioni e sospensioni attività da ITL (ispettorato) per violazioni gravi– Attivazione ammortizzatori sociali (CIG) per alleggerire costo del lavoro;<br>– Ricorso al concordato in continuità (pagamento parziale crediti lavoro ma conservazione posti);<br>– Accordi sindacali di ristrutturazione del costo del lavoro (riduzione orario, ecc.);<br>– In estrema ratio, liquidazione coatta dell’azienda (i dipendenti accedono al Fondo di garanzia per TFR e ultime retribuzioni).

(Legenda: “misure protettive” = sospensione temporanea delle azioni esecutive dei creditori concessa dal Tribunale; “concordato preventivo” = procedura concorsuale per evitare la liquidazione fallimentare, ne discuteremo in dettaglio.)

Come si vede, ogni tipologia di debito ha la sua specificità. Un’azienda molto indebitata spesso accumula esposizioni su più fronti contemporaneamente, rendendo necessaria una strategia integrata. Ad esempio, potrebbe essere opportuno avviare una trattativa globale con banche e fornitori significativi tramite la composizione negoziata della crisi, mentre parallelamente si richiedono rateizzazioni al Fisco per mettere in sicurezza il conto corrente da pignoramenti. Nel prossimo capitolo affronteremo proprio gli strumenti che l’ordinamento offre al debitore per gestire globalmente la crisi e provare a risanare l’impresa.

Strumenti stragiudiziali di gestione della crisi d’impresa

Quando i debiti sono divenuti pesanti ma l’azienda ha ancora prospettive di recupero, è preferibile iniziare con strumenti stragiudiziali, ovvero soluzioni che non implicano subito l’apertura di una procedura concorsuale in tribunale. Il vantaggio di questi approcci è la maggiore riservatezza (non si pubblicizza al mercato lo stato di crisi in una fase iniziale) e la flessibilità nel trovare accordi su misura con i creditori, evitando i formalismi delle procedure giudiziali. Di contro, senza l’ombrello del tribunale, il debitore non è protetto automaticamente dalle azioni dei creditori dissenzienti. Elenchiamo i principali strumenti stragiudiziali:

Adeguati assetti e allerta interna

Ancor prima che i debiti sfuggano al controllo, il Codice civile (art. 2086 comma 2) impone all’imprenditore collettivo di dotarsi di assetti organizzativi adeguati per rilevare tempestivamente lo stato di crisi e attivarsi senza indugio. Ciò significa che l’azienda deve monitorare costantemente indici finanziari e patrimoniali (es.: indebitamento, liquidità, DSCR) e prendere provvedimenti ai primi segnali. Il mancato rispetto di questo dovere può esporre gli amministratori a responsabilità verso la società e i creditori. Ad esempio, se un amministratore continua ad operare accumulando debiti quando l’azienda è decotta, può essere chiamato a risarcire i danni derivanti dall’aggravamento del dissesto. La riforma del 2019 ha reso più rigorosa questa responsabilità introducendo criteri presuntivi per quantificare i danni da “mala gestio” tardiva: l’art. 2486 c.c., come novellato dall’art. 378 CCII, prevede che quando gli amministratori violano l’obbligo di conservazione del patrimonio sociale dopo il verificarsi di una causa di scioglimento (es. perdita del capitale), il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data di cessazione o apertura della procedura concorsuale e quello alla data in cui si doveva adottare la liquidazione, al netto dei costi ordinari; in mancanza di scritture contabili regolari, il danno è presunto pari al deficit fallimentare (differenza tra attivo e passivo) . In altre parole, se si prova che la società era già insolvente o in causa di scioglimento e gli amministratori hanno continuato l’attività aggravando il passivo, si addebita loro come danno l’intero peggioramento del patrimonio o, addirittura, l’intero buco risultante dal fallimento, salvo che dimostrino che il danno effettivo è minore. Questa presunzione (di natura relativa per il primo criterio e assoluta per il secondo in caso di contabilità inattendibile) sprona gli amministratori ad attivarsi subito ai segnali di crisi, anziché procrastinare.

Pertanto, il primo strumento di difesa del debitore è una buona prevenzione interna: dotarsi di sistemi di controllo di gestione, consulenti finanziari e legali che aiutino a capire quando è il momento di intervenire. Se tali assetti evidenziano tensioni, l’imprenditore dovrebbe non nascondere la polvere sotto il tappeto ma affrontare i creditori con trasparenza, eventualmente facendo uso dei percorsi guidati di cui sotto.

Negoziazione diretta e accordi stragiudiziali

L’imprenditore in difficoltà può tentare di raggiungere accordi individuali con ciascun creditore o gruppi di creditori, senza attivare procedure formali. Questa strada richiede capacità di negoziazione e, spesso, l’assistenza di advisor che preparino un piano di rilancio credibile da presentare ai creditori. Possibili forme di accordo stragiudiziale:

  • Piano di rientro non formalizzato: semplici intese verbali o scritte con cui il debitore si impegna a pagare a scadenze future determinate somme. Ad esempio, l’azienda promette al fornitore di saldare il 50% del debito subito e il restante 50% in 6 rate mensili. Questi accordi di per sé non offrono protezione legale se il debitore poi non paga (il creditore potrebbe comunque agire giudizialmente), ma instaurano un clima collaborativo. È importante rispettare tali impegni per non perdere credibilità.
  • Transazione stragiudiziale con remissione parziale: se il creditore è consapevole delle difficoltà del debitore, può accettare di “tagliare” una parte del credito in cambio di un pagamento immediato parziale. Ad esempio, un istituto di credito potrebbe accettare €0,80 per ogni euro di credito vantato, pur di incassare subito ed evitare incertezza (questa è sostanzialmente un’operazione di saldo e stralcio). Tali transazioni andrebbero redatte per iscritto, con clausole di riservatezza e di liberazione integrale del debitore una volta pagato l’importo concordato. Attenzione: se più avanti l’azienda dovesse comunque fallire, i pagamenti fatti a creditori nel periodo sospetto potrebbero essere revocati dal curatore fallimentare come atti preferenziali (a meno che rientrino nelle esenzioni di legge). La transazione stragiudiziale non protegge da questa eventualità, a differenza di strumenti come il piano attestato di risanamento (che evita la revocatoria, v. infra).
  • Moratorie plurilaterali volontarie: a volte le aziende riescono a far sottoscrivere ai principali creditori un accordo collettivo di moratoria, un “standstill agreement”, in cui tutti si impegnano a non intraprendere azioni esecutive per un certo periodo e a negoziare in buona fede una soluzione di lungo termine. Queste intese, spesso promosse con l’aiuto di un consulente terzo, servono a congelare la situazione e guadagnare tempo senza ricorrere al tribunale. Hanno efficacia solo tra chi le firma, quindi un piccolo creditore estraneo potrebbe comunque agire disturbando l’accordo – per questo funzionano meglio se si coinvolge la quasi totalità dell’esposizione debitoria.

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)

Il piano attestato di risanamento è uno strumento previsto dalla legge che formalizza un accordo stragiudiziale protetto in caso di fallimento successivo. Non è una procedura concorsuale, bensì un accordo privato tra il debitore e uno o più creditori basato su un piano di risanamento dell’impresa, il quale viene attestato da un professionista indipendente circa la sua veridicità e fattibilità. I requisiti principali (ex art. 56 CCII, che riprende l’art. 67 lf):

  • Il piano deve essere idoneo a garantire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria. In sostanza deve indicare come l’azienda supererà la crisi (ad es.: ristrutturando debiti, ottenendo nuova finanza, tagliando costi, dismettendo beni non strategici).
  • Deve contenere i dettagli delle iniziative previste e i tempi di attuazione, nonché una proiezione dei flussi finanziari attesi.
  • Un attestatore indipendente (revisore o esperto con requisiti di legge) deve redigere una relazione in cui dichiara di aver verificato i dati aziendali e ritiene che il piano sia veritiero nei dati e realisticamente realizzabile.

Il piano, corredato dell’attestazione, viene poi stipulato con i creditori coinvolti attraverso accordi (anche bilaterali) di rimodulazione del debito secondo quanto previsto dal piano stesso. Ad esempio, il piano attestato potrebbe prevedere che le banche proroghino le scadenze dei mutui di 3 anni e rinuncino agli interessi di mora, mentre i fornitori vengano pagati integralmente ma in 12 mesi con garanzia di un factor, e che i soci ricapitalizzino l’azienda con €500.000. Se tutti gli attori accettano, il piano viene eseguito sotto monitoraggio.

Vantaggio cruciale: In caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale), gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato non sono soggetti a revocatoria fallimentare (art. 166 CCII) . Ciò significa che pagamenti fatti o garanzie concesse secondo il piano non potranno essere annullati dal curatore come preferenze illegittime. Questo offre ai creditori la sicurezza che l’accordo non verrà messo in discussione se il risanamento fallisce e l’azienda viene poi dichiarata insolvente.

Inoltre, il piano attestato non viene reso pubblico, a differenza dei concordati: vi è solo l’onere di pubblicare una dichiarazione dell’attestatore sul registro delle imprese, ma non l’intero piano (per tutelare i terzi). Dunque la reputazione dell’impresa può salvarsi meglio.

Limiti: Il piano attestato richiede il consenso individuale di tutti i principali creditori interessati. Non c’è una “maggioranza” che vincola gli altri: se un creditore non aderisce, resta libero di agire per conto suo. Quindi funziona bene quando il numero di creditori è limitato o c’è un gruppo bancario compatto che da solo ha la maggior parte del debito (es. pool di banche). Se invece i creditori sono molti e di tipologie diverse, il rischio di defezioni aumenta. In tal caso, meglio orientarsi verso strumenti omologati (accordo di ristrutturazione o concordato) che possono imporre la soluzione anche ai dissenzienti, come vedremo.

Procedura pratica: L’azienda redige il piano con l’aiuto di advisor finanziari. Individua un professionista indipendente (iscritto a registro dei revisori o con requisiti CCII) e gli fornisce tutti i dati per l’attestazione. Una volta ottenuta la relazione positiva, si procede a formalizzare gli accordi con i creditori (patti modificativi di obbligazioni, nuovi contratti di finanziamento, ecc.). La legge non richiede alcun deposito in tribunale; è facoltativo depositare il piano presso il registro imprese per renderlo opponibile ai terzi, ma non è condizione di efficacia. In genere, però, depositare almeno la attestazione conviene per cristallizzare la data e godere dell’esenzione da revocatoria .

In sintesi, il piano attestato è uno strumento snello e potenzialmente molto efficace se c’è coesione tra debitore e creditori principali sulla volontà di risanare l’impresa. È indicato per PMI con pochi creditori rilevanti oppure come cornice formale di un accordo bancario plurilaterale (spesso le banche lo preferiscono perché dà loro protezione legale e comfort dell’attestatore). Non è invece utile quando occorre imporre sacrifici a creditori non cooperativi – in tal caso, serve il timbro del tribunale (accordo ex art.57 CCII o concordato).

Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)

L’accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD) è un istituto a metà strada tra lo stragiudiziale e il concorsuale: si tratta di un accordo che il debitore conclude con una parte significativa dei creditori e che viene poi omologato dal tribunale, acquistando efficacia anche verso eventuali creditori dissenzienti (in certi limiti). È l’evoluzione dell’art. 182-bis l.fall. del vecchio ordinamento. Caratteristiche principali:

  • Percentuale di adesione richiesta: L’accordo ordinario richiede il consenso di tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti totali . Quindi se si ottiene l’adesione (firmata) di creditori che coprono il 60% del debito, l’accordo può essere sottoposto a omologazione, mentre ai non aderenti va pagato integralmente il loro credito (cram-down limitato: i dissenzienti restano estranei, ma vanno soddisfatti per intero entro l’esecuzione dell’accordo). Tuttavia, il CCII ha introdotto due varianti: gli accordi agevolati e quelli ad efficacia estesa:
  • Accordo di ristrutturazione agevolato: percentuale minima ridotta al 30% dei crediti . Questo è possibile solo se non si chiedono misure protettive e se l’azienda non ha già fatto altre procedure concorsuali. In pratica, è un incentivo per i casi in cui c’è un consenso ridotto ma si riesce comunque a pagare tutti i non aderenti. I creditori estranei devono infatti essere soddisfatti integralmente entro 120 giorni dall’omologa (se scaduti) o dalla scadenza (se futuri). È uno strumento utile quando magari uno o pochi creditori rilevanti (ad esempio le banche) rappresentano più del 30% e sono d’accordo a ristrutturare, mentre i piccoli creditori verranno pagati per intero.
  • Accordo ad efficacia estesa: riguarda specificamente le categorie di creditori finanziari (banche, obbligazionisti). Se aderisce almeno il 75% di una certa categoria (ad es. delle banche), il debitore può chiedere al tribunale di estendere gli effetti dell’accordo anche alle banche dissenzienti di quella categoria (purché abbiano chance simili) . È un meccanismo di cram-down settoriale che evita che poche banche dissenzienti blocchino l’intesa approvata dalla maggioranza qualificata.
  • Iter di omologazione: Il debitore deposita l’accordo firmato dai creditori aderenti, insieme a una relazione di un professionista che attesta che l’accordo assicura il pagamento integrale dei non aderenti nei termini di legge e la fattibilità complessiva (c’è quindi un controllo di merito tecnico). Il tribunale, verificati i documenti e l’assenza di frodi, omologa l’accordo con decreto. Da quel momento l’accordo diventa vincolante per i firmatari e il debitore ne esegue le condizioni. I creditori estranei, come detto, vanno pagati fuori dall’accordo ma sono comunque congelati nel frattempo dalle eventuali misure protettive concesse (il debitore può chiedere al tribunale di sospendere azioni esecutive durante la trattativa dell’accordo, similmente al concordato).
  • Vantaggi rispetto al concordato: l’accordo è più rapido (non c’è voto di tutti i creditori, basta raccogliere le firme necessarie), è più flessibile (si può modulare liberamente il trattamento dei creditori aderenti perché sono consenzienti: ad esempio una banca può accettare spontaneamente una falcidia del 40% del suo credito, cosa che in concordato si imporrebbe con regole più rigide) e spesso rimane più riservato (anche se l’omologa è pubblica, si percepisce meno come stigma rispetto a un concordato preventivo). Inoltre, un accordo omologato non comporta spossessamento: l’imprenditore resta pienamente alla guida e non c’è commissario giudiziale, c’è solo eventualmente un financial monitor se il tribunale lo ritiene opportuno.
  • Limiti e rischi: Poiché per legge i creditori non firmatari devono essere pagati integralmente, l’accordo di ristrutturazione funziona bene se l’insolvenza non è troppo grave da richiedere sacrifici a tutti. È più adatto a situazioni di crisi di liquidità temporanea o sovraindebitamento moderato dove, riducendo/rimodulando una parte dei debiti (quelli con i principali creditori consenzienti), l’impresa può comunque pagare gli altri per intero. Se invece il “buco” è tale da non consentire il pagamento dei chirografari estranei, bisogna ricorrere al concordato preventivo (dove anche i non consenzienti possono subire decurtazioni, purché approvate a maggioranza).
  • Transazione fiscale e contributiva nell’accordo: Dal 2022 l’accordo di ristrutturazione può includere anche il taglio dei debiti fiscali e previdenziali (transazione fiscale ex art.63 CCII) , condizionato al voto favorevole (adesione) dell’ente pubblico interessato oppure al rispetto di certi parametri (essere offerto almeno quanto il credito otterrebbe in liquidazione). Questo è un progresso importante: prima l’Erario spesso non aderiva e ciò impediva di raggiungere la soglia del 60%. Ora il Fisco può partecipare all’accordo come un creditore qualunque, e se aderisce la falcidia fiscale è pienamente valida e non contestabile successivamente . (Nella composizione negoziata, come vedremo, una novità del 2024 è che si può iniziare a trattare con il Fisco, ma servono poi accordi formali in sede di omologa.)

In definitiva, l’accordo di ristrutturazione è indicato per aziende in crisi che possono ottenere l’ok dei maggiori creditori al piano proposto, senza dover coinvolgere attivamente ogni singolo creditore come nel concordato. Può essere una via efficiente per le grandi imprese con pochi creditori finanziari (es. una società con soli 4-5 banche finanziatrici: se 4 su 5 sono d’accordo e rappresentano oltre il 60-75% del debito, si chiude l’accordo e la quinta banca viene “tirata dentro” con efficacia estesa). Anche per le PMI può andare bene, a patto che i piccoli creditori siano pagati integralmente o quasi – altrimenti tanto varrebbe coinvolgerli in un concordato.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

Una delle innovazioni più significative introdotte di recente (D.L. 118/2021, convertito in L.147/2021) è la Composizione negoziata per la soluzione della crisi, ora disciplinata negli artt. 17-25 CCII. Si tratta di un percorso volontario, riservato e stragiudiziale mediante il quale l’imprenditore in condizioni di squilibrio o insolvenza reversibile può tentare, con l’ausilio di un esperto indipendente, di negoziare con i creditori soluzioni per il risanamento, prima di ricorrere a procedure concorsuali formali .

Ecco le caratteristiche chiave della composizione negoziata (CNC per brevità):

  • Accesso: Possono accedervi tutti gli imprenditori commerciali e agricoli, di qualsiasi dimensione (anche le piccole imprese sotto-soglia che prima erano escluse dal fallimento) . È condizione che vi sia uno stato di crisi o insolvenza non ancora irreversibile. L’imprenditore presenta istanza tramite una piattaforma telematica nazionale (gestita dalle Camere di Commercio) allegando informazioni economico-patrimoniali (bilanci, situazione aggiornata, elenco creditori, ecc.). Deve inoltre indicare se richiede misure protettive per sospendere le azioni esecutive dei creditori durante le trattative.
  • Nomina dell’esperto: Un’apposita commissione nomina un esperto indipendente (di norma un commercialista, avvocato o consulente di elevata esperienza iscritto in apposito elenco) che guiderà le trattative . L’esperto resta terzo: esamina la situazione e convoca debitore e creditori a tavoli negoziali, cercando soluzioni. Non ha poteri gestori – l’imprenditore mantiene la gestione dell’impresa senza spossessamento – ma fornisce indicazioni e moral suasion su entrambe le parti. L’esperto deve anche verificare la fattibilità delle proposte e, a fine percorso, redigere una relazione finale sul risultato.
  • Durata e svolgimento: La composizione negoziata dura inizialmente fino a 180 giorni (6 mesi), prorogabili su richiesta motivata (in pratica spesso 3+3 mesi). Nelle prime fasi, l’esperto conduce un’analisi dell’azienda (c.d. check-up iniziale). Poi vengono incontrati i principali creditori. L’idea è favorire una soluzione concordata: può essere un nuovo accordo finanziario, una dilazione, la ricerca di un investitore o acquirente, la rinegoziazione di contratti onerosi, ecc. L’esperto aiuta a individuare le opzioni e a equilibrare le aspettative (ad esempio potrà prospettare ai creditori che, in mancanza di accordo, l’alternativa è il fallimento dove avrebbero meno soddisfazione, incentivandoli a fare concessioni ragionevoli).
  • Misure protettive e cautelari: Una volta presentata l’istanza di composizione negoziata, l’imprenditore può richiedere al tribunale l’emissione di un decreto che blocca temporaneamente i creditori (misure protettive) . In genere si tratta del divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari e di acquisire titoli di prelazione sul patrimonio del debitore per tutta la durata delle trattative (inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili). Il tribunale verifica sommariamente che la richiesta non sia abusiva e concede la protezione, nominando un giudice delegato di vigilanza. In caso di urgenza, è possibile ottenere misure cautelari specifiche, ad esempio sospendere temporaneamente un singolo pignoramento o impedire la disattivazione di forniture essenziali. Le misure protettive sono cruciali perché danno respiro: l’azienda, mentre negozia, non viene aggredita né fallita dai creditori, a condizione di rispettare le regole (il debitore non può pagare creditori anteriori se non autorizzato, né aggravare il dissesto). Notiamo che il correttivo 2024 ha chiarito che la pendenza di un’istanza di fallimento da parte di un creditore o del PM non impedisce l’accesso alla composizione negoziata. In passato c’era incertezza: ora invece il legislatore consente di attivare la CNC anche se qualcuno ha già chiesto la liquidazione giudiziale, proprio per tentare un salvataggio last-minute, salvo il caso in cui sia stato il debitore stesso a proporre altre procedure di recente (per evitare abusi dilatori).
  • Esito della composizione negoziata: Il percorso può concludersi in vari modi:
  • Accordo stragiudiziale con i creditori: se le trattative riescono, le parti formalizzano uno o più contratti (ad esempio, accordi bilaterali di riduzione del debito, nuova finanza, rimodulazione pagamenti). Questi accordi possono poi essere semplicemente eseguiti (restando riservati) oppure, su scelta del debitore, pubblicati e omologati come accordo di ristrutturazione (entro 60 giorni) per maggiore efficacia e protezione – il CCII consente infatti, all’esito positivo della CNC, di transitare a un accordo ex art.57 con corsia preferenziale e includendo la transazione fiscale inserita con D.Lgs. 136/2024 . Se si trova un accordo stragiudiziale puro, l’esperto ne dà atto nella relazione finale e la composizione si chiude.
  • Concordato preventivo o altre procedure: se durante la negoziazione emerge che serve comunque una procedura concorsuale, il debitore può depositare domanda di concordato preventivo (anche semplificato, vedi punto successivo) o proporre un piano attestato o accordo di ristrutturazione. La composizione negoziata funge dunque da preludio per preparare tali soluzioni in modo più strutturato, magari ottenendo già il consenso informale dei creditori chiave. Da notare, come misura premiale, che il periodo di trattativa in CNC non viene conteggiato come insolvenza colpevole: aver tentato la composizione in buona fede può servire a difendersi da future accuse di ritardo nel ricorso a procedure .
  • Esito negativo – insolvenza: se non si trova alcuna intesa, l’esperto chiude la relazione segnalando che non è stato possibile individuare una soluzione. A quel punto, se l’impresa è insolvente, l’imprenditore dovrebbe attivarsi per la liquidazione giudiziale o altra uscita ordinata (altrimenti rischia le sanzioni per ritardo). Per i casi in cui la composizione fallisce, il legislatore ha previsto un’opportunità ulteriore: il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio.
  • Concordato semplificato post-composizione (art. 25-sexies CCII): Introdotto in origine dal D.L. 118/2021, è confermato nel CCII come strumento speciale a disposizione solo di chi ha esperito una composizione negoziata senza successo. Entro 60 giorni dalla comunicazione dell’esito negativo delle trattative, l’imprenditore può proporre al tribunale un concordato semplificato liquidatorio . Si tratta di un concordato senza voto dei creditori: il debitore propone di liquidare tutti i beni sotto controllo del tribunale, distribuendo il ricavato ai creditori secondo le priorità di legge, eventualmente con l’apporto di somme esterne per migliorarne la soddisfazione. I creditori non votano, possono solo presentare osservazioni e opposizioni all’omologa. Il tribunale omologa se ritiene che la proposta sia più conveniente per i creditori rispetto alla liquidazione giudiziale e che non vi siano atti in frode . In sostanza è una scorciatoia per evitare il fallimento: l’imprenditore liquida volontariamente l’azienda (magari vendendola in esercizio a terzi attraverso il concordato) e i creditori subiscono la falcidia decisa dal piano ma sotto controllo giudiziale. Questo strumento è definito “semplificato” perché elimina la fase del voto, abbreviando i tempi. Tuttavia, non è automatico: il tribunale vaglia nel merito la convenienza e può anche negare l’omologa se reputa che i creditori avrebbero di più altrimenti . Nella prassi, essendo stati depositati già diverse decine di concordati semplificati nel 2022-2024 , risulta che i tribunali tendono a omologarli quando effettivamente c’è un piano di realizzo serio. È uno strumento utile soprattutto quando c’è un acquirente per l’azienda o suoi asset: si può trasferire il complesso aziendale in continuità nel concordato semplificato (anche se formalmente la procedura è liquidatoria) e chiudere l’impresa originaria pagando qualcosa ai creditori . I creditori potrebbero non gradire di non poter votare, ma la legge qui dà priorità alla rapidità della soluzione.
  • Misure premiali fiscali: Per incentivare l’uso della composizione negoziata, il legislatore ha previsto alcuni benefici per il debitore virtuoso. In particolare, l’art. 25-bis CCII concede riduzioni su interessi e sanzioni fiscali se si raggiunge un accordo con i creditori che assicura la continuità aziendale . L’esperto nella relazione finale attesta il mantenimento della continuità, e ciò permette all’impresa, una volta formalizzato l’accordo con i creditori, di ottenere che le sanzioni tributarie vengano ridotte o azzerate e gli interessi ridotti al tasso legale, nonché la possibilità di pagamento dilazionato dei tributi dovuti . Queste misure premiali sono preziose: ad esempio, una società che grazie alle trattative salvi l’azienda può risparmiare un’enorme quantità di sanzioni e ottenere piani di rateizzo dal Fisco in via amministrativa, alleggerendo il carico. Ciò è avvenuto in concreto in vari casi seguiti dalle linee guida ministeriali . Vale la pena notare che tali benefici fiscali si concretizzano dopo la conclusione positiva delle trattative, a fronte di un contratto o accordo depositato; non invece se la CNC sfuma senza accordo.

In conclusione, la composizione negoziata rappresenta per il debitore una sorta di “zona protetta” dove provare il tutto per tutto per evitare la rovina dell’impresa. Dal punto di vista del debitore onesto e collaborativo, è un’ottima opportunità: consente di congelare le pretese dei creditori per qualche mese, con l’aiuto di un esperto neutrale, e di esplorare soluzioni di risanamento (anche complesse, come trovare nuovi soci finanziatori, vendere rami d’azienda per fare cassa, riconvertire produzioni, ecc.) senza il marchio di una procedura concorsuale pubblica. Il tutto mantenendo la governance in mano all’imprenditore (l’esperto non gestisce, solo sorveglia e consiglia). Dal lato dei creditori, c’è la garanzia che l’operato del debitore è monitorato e che eventuali abusi possono portare a revoca delle protezioni. Importante: la CNC non impone accordi – se un creditore non vuole aderire, nessuno può costringerlo (a differenza del concordato dove la maggioranza vince). Però l’esperto farà emergere le convenienze: spesso i creditori, vedendo i numeri, capiscono che accettare una ristrutturazione è meglio che far fallire l’azienda (dal cui fallimento otterrebbero magari il 20%, mentre con un accordo ne possono avere il 40% in tempi più brevi, per dire).

Il 2024 ha portato alcune modifiche migliorative: ad esempio, ora anche le imprese minori non fallibili possono concludere la CNC con un concordato semplificato o accordo come le grandi (prima c’erano dubbi); è stata introdotta la possibilità della transazione fiscale nella CNC (prima mancava, ora l’art. 23 co.2-bis CCII consente all’esperto di coinvolgere Agenzia Entrate e INPS per definire accordi su tali crediti) ; inoltre sono state introdotte norme per evitare che le banche revochino fidi solo per l’accesso alla CNC (divieto di ridurre le facilitazioni creditizie salvo giustificato motivo) . Tutto ciò per favorire il suo utilizzo, che inizialmente è stato inferiore alle attese. Secondo l’Osservatorio Unioncamere, nei primi due anni sono state poche centinaia le imprese che hanno avviato la CNC, ma la tendenza è in crescita grazie a questi correttivi e al miglioramento della cultura della composizione stragiudiziale.

Quando usare la CNC? – Quando l’azienda è ancora viva (ha prospettive di mercato) ma soffre una crisi finanziaria che potrebbe essere risolta con accordi ragionevoli. Se invece l’azienda non è più economicamente sostenibile, la CNC rischia solo di posticipare l’inevitabile. Un bravo imprenditore deve valutare con i propri consulenti la fattibilità del risanamento: la CNC è uno strumento, non la soluzione in sé – serve una soluzione industriale e finanziaria credibile da proporre ai creditori. Se c’è, la CNC è il contenitore ideale per realizzarla in modo ordinato. Se non c’è, meglio non perdere tempo e considerare direttamente la liquidazione o altre vie (anche l’esdebitazione personale, come vedremo).

Procedure concorsuali giudiziali (soluzioni con intervento del tribunale)

Se i debiti sono eccessivi o i creditori non collaborano spontaneamente, si deve far ricorso alle procedure concorsuali, ossia a quegli strumenti giuridici che coinvolgono l’autorità giudiziaria per regolare la crisi o l’insolvenza in maniera imparziale. Queste procedure comportano pubblicità legale e sono più complesse, ma offrono il vantaggio di poter imporre ai creditori un certo trattamento secondo regole prestabilite e con la tutela di un giudice. Dal luglio 2022 la legge fallimentare storica è stata sostituita dal nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, che ha aggiornato termini e meccanismi.

Esamineremo i principali strumenti concorsuali dal punto di vista del debitore:

Concordato preventivo

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale classica con cui un imprenditore in stato di crisi o insolvenza propone ai creditori un accordo di ristrutturazione collettivo, sotto il controllo del tribunale, per evitare la liquidazione giudiziale (fallimento). In pratica, l’imprenditore elabora un piano che può prevedere la continuità aziendale (proseguimento dell’attività, eventualmente con ristrutturazione) oppure la liquidazione dei beni, o una combinazione, offrendo ai creditori un certo soddisfacimento (integrale o parziale) in tempi definiti. I creditori votano il piano: se approvato a maggioranza e omologato dal tribunale, il concordato diventa vincolante per tutti, compresi i dissenzienti.

Principali elementi:

  • Requisiti di accesso: Occorre essere un imprenditore assoggettabile a fallimento (oggi liquidazione giudiziale). Anche le piccole imprese sotto-soglia possono accedere al concordato minore (procedura analoga riservata ai non fallibili, art. 74 CCII), ma nel nostro caso assumiamo una S.r.l. quindi soggetta. Deve sussistere uno stato di crisi o insolvenza, ma non già una insolvenza così irreversibile da portare a rigetto (il tribunale infatti verifica la minima fattibilità e il rispetto di requisiti legali). Non si può accedere se si è già in liquidazione giudiziale o se negli ultimi 5 anni si è fatto un concordato concluso negativamente per colpa.
  • Presentazione della domanda: Si può presentare un ricorso contenente direttamente la proposta, il piano dettagliato e la documentazione (bilanci, elenco creditori, attestazione di un professionista sulla fattibilità). Oppure si può presentare un ricorso “con riserva” (concordato in bianco, art. 40 CCII) con la sola indicazione che si intende proporre un concordato, ottenendo dal tribunale un termine (da 60 a 120 giorni, prorogabile di 60) per depositare il piano definitivo . Durante questo periodo, il debitore gode già delle misure protettive automatic stay e opera sotto la sorveglianza di un commissario giudiziale eventualmente nominato. Questa opzione viene usata per prendere tempo e prevenire l’aggressione dei creditori mentre si perfeziona il piano o magari si aspetta l’esito di negoziazioni (spesso la domanda “in bianco” segue una composizione negoziata che non ha risolto tutto, e serve traghettare l’accordo residuo in concordato).
  • Classi di creditori e proposte: Il CCII richiede di suddividere i creditori in classi se hanno posizione giuridica ed economica differenziata (es. separare finanziatori, fornitori chirografari, creditori privilegiati se parzialmente incapienti, ecc.). Questo permette di formulare proposte diversificate per classe. Ad esempio: classe 1 banche chirografarie – 60% di soddisfo in 5 anni; classe 2 fornitori chirografari – 30% in 2 anni; classe 3 creditori privilegiati ipotecari – pagamento integrale ma dilazionato 10 anni con interessi ridotti, ecc. È obbligatorio garantire che ciascun creditore riceva almeno quanto riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale (principio del best interest of creditors, art. 112 CCII). Un professionista attestatore certifica questo nel piano.
  • Tipologie di concordato:
  • Concordato in continuità aziendale: prevede che l’attività dell’impresa prosegua, direttamente dal debitore o indirettamente tramite cessione dell’azienda a terzi, preservando l’avviamento e i posti di lavoro. In tal caso è consentito anche pagare i creditori in tempi dilatati con i flussi di cassa generati. Il CCII stimola la continuità: ad esempio, in concordato con continuità non vi è una soglia minima di soddisfacimento dei chirografari, purché il piano preveda il soddisfacimento di crediti privilegiati nei limiti legali e non sia manifestamente iniquo. Si possono quindi salvare imprese anche se i creditori chirografari prendono meno del 20%. Inoltre, si possono ottenere autorizzazioni a finanziamenti prededucibili e alla continuazione di contratti essenziali per sostenere l’attività in esercizio.
  • Concordato liquidatorio: prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione di tutti i beni per pagare i creditori. In tal caso la legge richiede almeno il 20% di pagamento ai creditori chirografari (art. 84 CCII) come condizione di ammissibilità , salvo che vengano apportate risorse esterne che aumentino significativamente il soddisfacimento. Ciò per evitare concordati liquidatori meramente dilatori: se l’azienda non offre almeno 20%, tanto vale il fallimento (dove i chirografari storicamente prendono percentuali minori ma con meno spese se l’attivo è scarso). Questo vincolo tuttavia non si applica se il debitore è consumatore o micro-impresa non fallibile (concordato minore) dove c’è più flessibilità.
  • Votazione e omologazione: Una volta ammesso il concordato (dichiarato ammissibile dal tribunale e nominato un commissario), si convoca l’adunanza dei creditori. I creditori votano per classi: la proposta è approvata se raggiunge la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza di importi, 50%+1 euro, calcolata sul totale dei crediti votanti + astenuti). Se ci sono classi, serve l’approvazione di la maggioranza delle classi oppure, in alternativa, certe condizioni di legge per il cram-down interclassi (almeno una classe ha approvato e le classi dissenzienti non ricevono meno di quanto otterrebbero in liquidazione e non sono trattate meno favorevolmente di altre di pari rango – concetto di equitable treatment). Le riforme 2022-2024 hanno introdotto un meccanismo di cross-class cram down conforme alla direttiva UE 2019/1023: il tribunale può omologare il concordato anche senza l’approvazione di tutte le classi, purché almeno una classe rilevante accetti e il piano rispetti il best interest test e la absoluta priority rule mitigata (ad es. i soci non possono mantenere interessi se i creditori non sono soddisfatti integralmente, salvo eccezioni di merito) . Ciò evita il potere di veto di piccole categorie di creditori. Dopo il voto, il tribunale tiene l’udienza di omologazione: se non vi sono opposizioni fondate (i creditori possono opporsi lamentando violazioni di legge o frodi) e i requisiti sono rispettati, emette decreto di omologa. Da quel momento il concordato è definitivo.
  • Effetti per il debitore: Con l’omologa, il debitore deve eseguire il piano sotto la sorveglianza del commissario (che di solito diventa liquidatore giudiziale se ci sono beni da vendere). I creditori perdono la parte di credito falcidiata e non possono più agire individualmente, dovendo attendere i pagamenti previsti nel piano. Se il debitore adempie regolarmente, al termine ottiene l’esonero dai debiti residui (cd. esdebitazione dell’imprenditore, art. 278 CCII, che per le società coincide con la loro estinzione senza debiti; per l’imprenditore persona fisica equivale a liberazione dai debiti non soddisfatti).

Vantaggi per il debitore: il concordato preventivo consente di imporre una ristrutturazione anche ai creditori dissenzienti, in modo trasparente e approvato da una maggioranza. Offre protezione integrale dalle azioni esecutive dall’apertura della procedura e sospende le prescrizioni. L’imprenditore spesso può conservare la guida dell’azienda (specie in continuità diretta) sotto la supervisione del commissario, mantenendo l’operatività. Permette anche operazioni straordinarie, previa autorizzazione: ad esempio, cessione d’azienda, finanziamenti prededucibili, ecc., per attuare il piano. Dal lato reputazionale, un concordato è pubblico e può creare diffidenza in partner e clienti; tuttavia, ormai è visto come un tentativo di soluzione non disonorevole, specie se in continuità. Molte imprese sono sopravvissute e prosperate dopo un concordato ben riuscito (si pensi ad alcuni casi noti nel settore moda o costruzioni in Italia).

Svantaggi e rischi: il concordato è costoso e lungo. Bisogna pagare spese di procedura, compensi dei commissari e professionisti, e subire un certo calo di fiducia nel mercato. Se il piano fallisce (mancata esecuzione), si finisce in liquidazione giudiziale. Inoltre, l’imprenditore è soggetto a responsabilità penale per eventuali condotte fraudolente (reati di bancarotta preferenziale o concordataria in caso di atti in frode ai creditori nel corso della procedura). Quindi va gestito con estrema correttezza e trasparenza.

Differenze con altre procedure: rispetto all’accordo di ristrutturazione, il concordato consente falcidia anche ai dissenzienti e include tutti i creditori, ma richiede il voto e un coinvolgimento maggiore del tribunale. Rispetto alla liquidazione giudiziale, consente di evitare la perdita totale del controllo e in continuità di preservare l’azienda avviata. Per questo, il concordato preventivo è solitamente la ultima spiaggia per tentare di salvare almeno in parte l’impresa prima del fallimento.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale liquidatoria che prende il posto di ciò che era il “fallimento”. Si attiva quando l’impresa è insolvente e non ha presentato soluzioni alternative accettabili. La possono chiedere il debitore stesso, un creditore o il Pubblico Ministero. Se il tribunale accerta lo stato d’insolvenza (incapacità strutturale di soddisfare regolarmente le obbligazioni), emette la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale.

Effetti principali:

  • Gli amministratori perdono la gestione: si instaura uno spossessamento del patrimonio dell’impresa, affidato a un curatore nominato dal tribunale. Il curatore amministra i beni, prosegue o cessa l’attività a seconda della convenienza per la massa, liquida l’attivo (vende i beni mobili, immobili, crediti, eventuali rami aziendali) e ripartisce il ricavato tra i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione.
  • I creditori non possono più agire individualmente: devono insinuarsi al passivo nella procedura. Il tribunale verifica i crediti e forma lo stato passivo. I privilegiati e ipotecari saranno soddisfatti con precedenza, gli chirografari pro-quota se resta capienza. In genere, i creditori chirografari in un fallimento prendono percentuali modeste, dipendenti da quanto attivo si ricava e dalle spese di procedura.
  • Responsabilità personali: La liquidazione giudiziale apre la porta alle azioni di responsabilità verso amministratori, organi di controllo e soci (in alcuni casi). Il curatore può promuovere cause per far valere la mala gestio che ha aggravato il dissesto, o per recuperare atti di distrazione di beni sociali. Inoltre, se emergono fatti di reato (bancarotta fraudolenta, preferenziale, documentale), gli organi fallimentari le segnaleranno alla Procura: l’imprenditore insolvente rischia procedimenti penali se ha commesso irregolarità gravi (es. falsificazione di bilanci, distruzione di libri, pagamenti preferenziali prima del fallimento). Ciò evidenzia perché è preferibile agire prima col concordato: arrivare a fallimento vuol dire perdere il controllo e rischiare implicazioni ben peggiori.
  • Esdebitazione del fallito: Una volta chiusa la procedura (liquidati i beni e distribuito tutto), se il patrimonio non è bastato a pagare l’intero debito, la società viene cancellata e i debiti insoddisfatti restano inesigibili (la persona giuridica cessa di esistere). Se invece parliamo di imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile, la legge prevede che possa chiedere l’esdebitazione (liberazione dai debiti residui) a certe condizioni di meritevolezza e collaborazione (artt. 278-282 CCII). Ciò per dargli la possibilità di ripartire senza rimanere schiacciato a vita dai debiti non pagati. L’esdebitazione si ottiene con decreto del tribunale dopo la chiusura del fallimento ed è negata solo se il debitore ha agito con frode o non ha cooperato.

Dal punto di vista del debitore società di capitali, la liquidazione giudiziale significa la fine dell’impresa: i beni verranno venduti, i contratti sciolti (salvo quelli che il curatore intende continuare temporaneamente), i dipendenti licenziati (potendo accedere all’ammortizzatore NAC – nuova assicurazione sociale). I soci perdono il capitale investito. Gli amministratori dovranno rispondere di eventuali illeciti di gestione. Insomma, è la situazione da evitare se c’è speranza di alternative.

Tuttavia, va detto: in alcuni casi la liquidazione giudiziale può rivelarsi inevitabile e persino utile. Ad esempio, se l’azienda è decotta e priva di prospettive, insistere con concordati irrealistici può solo aumentare i danni. Meglio una rapida dichiarazione di insolvenza così che un curatore imparziale gestisca la cessazione, massimizzando quel poco di attivo e permettendo ai creditori di chiudere la partita. Inoltre, la procedura consente – a certe condizioni – l’esercizio provvisorio dell’impresa o la cessione in blocco a soggetti interessati, salvando la parte sana. Grandi gruppi insolventi talvolta passano per il fallimento per essere poi rilevati (si pensi ad Alitalia, i cui asset furono ceduti nell’ambito di amministrazione straordinaria).

In sintesi, per il debitore la liquidazione giudiziale è l’ultima risorsa quando nessun risanamento è possibile. A quel punto, conviene collaborare col curatore per minimizzare le proprie responsabilità: consegnare documenti contabili, spiegare eventuali atti compiuti prima, aiutare a recuperare crediti. La collaborazione può evitare guai peggiori (ad esempio, l’imprenditore persona fisica collaborativo avrà più chance di ottenere l’esdebitazione; l’amministratore che supporta il curatore potrà ridurre il rischio di accushe di bancarotta fraudolenta e magari limitarsi a una bancarotta semplice, ecc.).

Altre procedure: concordato minore, liquidazione controllata, amministrazione straordinaria

Per completezza, cenniamo ad altre procedure che possono riguardare particolari tipi di debitori o dimensioni:

  • Concordato minore: riservato a debitori sotto-soglia (es. piccoli imprenditori non fallibili, professionisti, start-up innovative). Ha regole più elastiche, simili al concordato preventivo ma senza quorum di voto prestabiliti per classi e con più attenzione alla persona del debitore. Nel nostro contesto (S.r.l. industriale) non si applica, ma va saputo che esiste come evoluzione del vecchio “concordato del sovraindebitato” ex L.3/2012.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato: è l’equivalente del fallimento per soggetti non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori). Anche questa non riguarda una S.r.l. normale (che è fallibile se sopra soglie modeste), ma per esempio un artigiano individuale di dimensioni minime potrebbe finire in liquidazione controllata invece che liquidazione giudiziale. Le differenze sono procedurali minori.
  • Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi: per imprese di dimensioni enormi (oltre 200 dipendenti, o particolare rilievo pubblico) esistono leggi speciali (d.lgs. 270/1999 “Prodi bis”; d.l. 347/2003 “Marzano” per imprese >500 dip. e €300M debiti) . L’amministrazione straordinaria mira alla continuazione dell’impresa sotto la guida di commissari statali, tentando il risanamento o la cessione unitaria. È una procedura rara, riservata a casi tipo Alitalia, Ilva, Parmalat ecc. Una PMI come la nostra azienda di cilindri oleodinamici, per quanto possa essere rilevante nel suo settore, difficilmente rientrerà in questi parametri, quindi non approfondiamo oltre.
  • Procedura di sovraindebitamento per il garante persona fisica: Se l’imprenditore o i soci avessero prestato garanzie personali e a seguito della crisi aziendale si trovassero essi stessi insolventi, potrebbero accedere alle procedure da sovraindebitamento (piano del consumatore, accordo del debitore, liquidazione del patrimonio) oggi regolate dal CCII. Ad esempio, il socio garante escusso dalla banca per €1 milione potrebbe chiedere un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore se ricorrono le condizioni (debiti prevalentemente personali non da attività di impresa, meritevolezza, ecc.) per essere liberato dal debito residuo non pagabile. Oppure, se non ha i requisiti da consumatore, potrebbe accedere alla liquidazione controllata come persona sovraindebitata. Queste procedure, però, sono oltre l’ambito della presente guida che si focalizza sull’azienda debitrice. È importante comunque far notare che il nostro ordinamento oggi offre una via d’uscita anche alle persone fisiche travolte dai debiti di un fallimento, laddove in passato i garanti restavano insolventi vita natural durante. Quindi l’imprenditore che ha messo firma di garanzia e perde tutto in un fallimento sociale, può successivamente chiedere la propria esdebitazione personale (passando per la liquidazione controllata se necessario). Cassazione Sez. Unite 19427/2021 ha chiarito ad esempio che il socio garante fallito può accedere a esdebitazione pur se il credito derivava dalla garanzia di debiti sociali.

Abbiamo ora una panoramica completa delle armi a disposizione del debitore. Di seguito illustreremo in pratica come queste possono essere combinate in due scenari tipo (PMI e grande impresa) e poi risponderemo puntualmente a una serie di FAQ. Prima, però, dedichiamo una sezione specifica agli aspetti patrimoniali personali dell’imprenditore e dei soci, dato che finora abbiamo parlato della società ma è fondamentale capire in che casi i debiti aziendali “escono” dall’ambito societario e colpiscono il patrimonio personale.

Responsabilità patrimoniale dell’imprenditore e dei soci: come tutelarsi

Una S.r.l. o S.p.A. offre per definizione il beneficio della responsabilità limitata: i debiti sociali dovrebbero gravare solo sul patrimonio della società, e non su quello dei soci (limitatamente responsabili per quanto conferito) né, salvo eccezioni, su quello degli amministratori. Tuttavia, in concreto, l’intreccio tra patrimonio aziendale e personale è più frequente di quanto si creda, specialmente nelle PMI dove l’imprenditore è anche garante e gestore in prima persona. Esaminiamo i casi in cui i debiti dell’azienda possono “ricadere” sull’imprenditore o sui soci e come questi possono difendersi.

Fideiussioni e garanzie personali dei soci/amministratori

Come già trattato nella parte sui debiti bancari, la situazione più comune è che i soci o l’amministratore abbiano garantito personalmente i debiti della società. Banche, fornitori strategici, locatori di immobili spesso richiedono una fideiussione personale o una lettera di patronage dalla proprietà, oppure un pegno/ipoteca su beni personali (ad esempio, ipoteca sulla casa del titolare a garanzia del mutuo aziendale). In caso di insolvenza della società, il creditore può escutere direttamente queste garanzie, aggredendo i beni personali.

Esempio: Alfa S.r.l. ha un fido bancario di €200.000 garantito da fideiussione omnibus del socio unico e da ipoteca sulla casa di quest’ultimo. Se Alfa S.r.l. non rimborsa la banca, la banca può iscrivere ipoteca giudiziale su altri beni del socio, pignorare la casa ipotecata e metterla all’asta, oppure pignorare conti personali del socio in forza della fideiussione. Il socio risponderà illimitatamente fino all’ammontare garantito (nel caso omnibus, di solito è “per tutte le esposizioni fino a un massimale”).

Difese del garante: Sono quelle accennate: eccepire eventuali nullità o vizi della fideiussione (antitrust, usura se la commissione di massimo scoperto ne integrava gli estremi, mancata escussione nei termini se applicabile l’art.1957 c.c. – ricordiamo però che molte fideiussioni ABI contengono clausola di rinuncia all’art.1957, spesso nulla anch’essa secondo i giudici per contrarietà al provvedimento antitrust , ma come visto la giurisprudenza è divisa e comunque la banca diligente di solito agisce entro i 6 mesi dalla scadenza per non rischiare la decadenza), oppure tentare di rinegoziare: talvolta i garanti riescono a ottenere dalla banca uno stralcio (ad esempio offrendo spontaneamente una somma subito a saldo della fideiussione, specie se il garante ha poche risorse e minaccia di portare i libri in tribunale per sovraindebitamento, la banca preferisce prendere qualcosa subito anziché nulla poi). Inoltre, come ultimo rifugio, il garante persona fisica – se non riesce a pagare – può valutare egli stesso di attivare una procedura di esdebitazione personale (accordo di composizione o liquidazione controllata, come detto).

Azioni di responsabilità verso gli amministratori

Se la società finisce in fallimento (o anche in concordato liquidatorio), il curatore o commissario esaminerà il comportamento degli amministratori negli anni precedenti. Se rileva che vi sono stati atti di mala gestione che hanno danneggiato il patrimonio sociale o favorito alcuni creditori a scapito di altri, potrà promuovere l’azione di responsabilità (artt. 2476, 2486 c.c. per S.r.l., artt. 2392 ss. c.c. per S.p.A.). Questa azione mira a ottenere dagli amministratori (e sindaci se corresponsabili) un risarcimento che entrerà nell’attivo fallimentare a beneficio dei creditori.

Con la riforma, come visto, si è facilitata la quantificazione del danno in caso di ritardata emersione della crisi: l’art. 2486 c.c. comma 3 presume due parametri di danno . Ad esempio, se una S.r.l. aveva capitale azzerato già nel 2022 ma gli amministratori hanno continuato l’attività fino al 2024 aumentando i debiti, il curatore può chiedere loro la differenza di patrimonio netto tra il 2022 e il 2024 come danno (oppure, se mancano i bilanci, l’intero deficit). Si tratta potenzialmente di milioni di euro a carico degli amministratori, che così rispondono con il proprio patrimonio personale. La Cassazione ha già applicato queste presunzioni in diverse pronunce del 2023-2025, pur con alcuni aggiustamenti sull’applicabilità retroattiva. Gli amministratori, per difendersi, possono cercare di dimostrare che il danno effettivo è minore (avendo la presunzione carattere relativo, possono provare che anche liquidando prima i creditori non sarebbero stati pagati di più, ecc.) oppure che il ritardo non è loro imputabile perché cercavano ragionevolmente di evitare la crisi (invocando magari la composizione negoziata tentata come esimente).

Un altro caso di responsabilità è il conflitto d’interessi e atti preferenziali. La Cassazione ha chiarito che anche pagamenti di debiti sociali effettuati dall’amministratore in conflitto d’interessi possono costituire inadempimento del dovere di lealtà e diligenza verso la società . Ad esempio, l’amministratore che con le poche risorse disponibili paga un creditore a lui vicino (magari una società di cui egli stesso è creditore, o un fornitore di famiglia) invece di pagare altri debiti più pressanti per la società, agisce per un interesse extrasociale e può essere ritenuto responsabile del danno arrecato alla società e ai creditori non pagati . Nella vicenda decisa dalla Cass. ord. 23963/2025, un amministratore aveva compensato dei crediti tra la sua società e un’altra società debitrice, di fatto soddisfacendo quell’altra società (che doveva soldi alla sua) e peggiorando la posizione della propria società verso altri creditori: la Suprema Corte ha ritenuto tale condotta imprudente e in conflitto, quindi fonte di responsabilità contrattuale dell’amministratore verso la società . Morale: un amministratore deve essere molto cauto nelle scelte di pagamento in situazione di crisi: privilegiare certi creditori per ragioni personali (per esempio, paga la banca perché lui ha una controgaranzia, oppure paga un fornitore amico) può esporlo a dover risarcire poi quell’importo.

Per difendersi da queste azioni, l’amministratore dovrà provare di aver agito nell’interesse sociale e con la diligenza richiesta (business judgment rule: scelte gestionali non sindacabili se prese con prudenza, competenza e buona fede aziendale) . Ad esempio, potrebbe argomentare che pagare quel fornitore era essenziale per evitare stop produttivi e salvare la società, quindi non un capriccio personale. In ogni caso, prevenire è meglio: agire tempestivamente alla crisi e documentare ogni scelta con adeguate motivazioni aziendali è la miglior tutela.

Responsabilità dei soci per debiti sociali (post liquidazione della società)

I soci di S.r.l. o S.p.A. non sono in genere responsabili dei debiti sociali durante la vita della società. Tuttavia, dopo che la società si scioglie e si cancella, i creditori insoddisfatti hanno un’ultima possibilità: agire contro i soci nei limiti di quanto da essi ricevuto in sede di liquidazione (art. 2495 c.c.). Questo significa che se i soci, al termine della liquidazione volontaria, si sono ripartiti un attivo residuo, i creditori possono pretendere indietro da ciascun socio quanto incassato, per coprire i debiti rimasti. Se invece i soci non hanno ricevuto nulla (perché la liquidazione si chiude a zero o in perdita), non rispondono oltre.

Su questo tema c’è stata importante evoluzione giurisprudenziale. Le Sezioni Unite della Cassazione (sent. 3625/2025) sono intervenute per chiarire che i creditori, in particolare il Fisco, possono agire contro gli ex soci anche in via “successoria”. In pratica, la Cassazione ha affermato che la cancellazione della società non estingue i debiti tributari e l’Amministrazione finanziaria può rivolgersi agli ex soci per recuperarli, ma entro i limiti di quanto da essi riscosso e con precise condizioni . È necessario un autonomo atto di accertamento notificato al socio e il Fisco deve provare che la società aveva un attivo distribuibile (o che il socio ha comunque ricevuto utilità) . In passato c’erano contrasti (alcune sentenze sostenevano che se il Fisco non dimostrava l’attivo distribuibile, non poteva pretendere nulla). Ora il quadro è: l’ex socio di società estinta può essere chiamato a pagare i debiti sociali nei limiti del bilancio finale di liquidazione, con onere sul Fisco di dimostrare il debito e l’attivo risultante, e onere sul socio di provare eventualmente di non aver incassato nulla. Dunque, i soci che chiudono volontariamente una società con debiti devono stare attenti: se si dividono beni o denaro mentre c’erano creditori insoddisfatti, rischiano di dover restituire quelle somme. Ad esempio, Tizio chiude la sua S.r.l. nel 2024 distribuendo a sé medesimo (unico socio) €50.000 rimasti in cassa, ma c’era un debito IVA di €30.000 non pagato: l’Agenzia Entrate potrà notificare a Tizio un avviso chiedendogli quei €30.000 (o fino a €50k, comunque non oltre quanto avuto) . Le Sez.Unite 3625/2025 hanno confermato questo meccanismo e la legittimità di notificare l’accertamento al socio entro 5 anni dalla cancellazione (periodo in cui l’estinzione è inefficace ai fini fiscali per il noto art. 28 D.lgs.175/2014) .

Per difendersi, i soci dovrebbero curare che in sede di liquidazione volontaria tutti i debiti siano pagati o accantonati. Se ciò non è possibile, è preferibile valutare la soluzione concorsuale (es. concordato o fallimento) perché paradossalmente dopo il fallimento i soci (non garanti) spesso non pagano nulla, mentre dopo una liquidazione malgestita rischiano azioni dirette. In pratica: mai distribuire ai soci attivi se ci sono crediti fiscali o di altro tipo ancora pendenti senza assicurarsi di averli soddisfatti o di avere riserve sufficienti. Se un socio si vede arrivare richieste di pagamento dopo la cancellazione, potrà opporsi provando che non ha ricevuto somme oppure che quei debiti furono già considerati in sede di bilancio finale. Ma è una difesa non sempre semplice, specie se i documenti non furono depositati adeguatamente.

Riepilogo su patrimonio personale

Alla luce di quanto sopra, ecco una tabella conclusiva che riepiloga quando e perché il patrimonio personale dell’imprenditore (socio o amministratore) è a rischio e come mitigare tali rischi:

SituazionePatrimonio personale a rischio?Possibili difese o prevenzione
Fideiussione personale per debiti societàSì, fino all’importo garantito (escussione diretta da parte del creditore garantito)– Verificare validità della fideiussione (clausole nulle, vizi formali) ;<br>– Negoziare ristrutturazione del debito garantito prima dell’escussione;<br>– Se escusso e insolvente, utilizzare procedure di sovraindebitamento personali (es. liquidazione patrimonio) per ottenere esdebitazione.
Pegno/Ipoteca su beni personali per debiti societàSì, il bene dato in garanzia può essere espropriato indipendentemente dalle vicende societarie– Tentare di vendere volontariamente il bene per pagare il debito (evitando la vendita forzata che spesso realizza meno);<br>– In sede di concordato preventivo della società, chiedere che il piano consideri anche la soddisfazione del credito garantito per liberare il bene (possibile se il garante offre collaborazione);<br>– Valutare soluzioni come trust o fondi patrimoniali PRIMA di contrarre debiti (ma attenzione: se fatti in frode ai creditori successivi possono essere revocati).
Amministratore che aggrava i debiti (ritardo fallimento)Sì, azione di responsabilità post-fallimento con danno presunto = aggravio del passivo– Agire tempestivamente: convocare soci per liquidazione o attivare strumenti di crisi appena emerga causa di scioglimento;<br>– Documentare le ragioni di eventuale continuazione dell’attività (piano ragionevole);<br>– Se citati, provare che il danno non è dipeso dal ritardo (es. crisi improvvisa e non prevedibile).
Amministratore che effettua pagamenti preferenziali in conflitto d’interessiSì, responsabilità verso società per violazione doveri (es. pagamento in conflitto = danno pari somma sviata)– Evitare conflitti: a parità di condizioni, astenersi dal decidere pagamenti verso creditori collegati a sé;<br>– Se necessario preferire qualcuno (es. fornitore critico legato all’admin), verbalizzare le motivazioni economiche a vantaggio società;<br>– In caso di azione, dimostrare che la scelta era nell’interesse della società (business judgement rule) .
Distribuzione ai soci di attivo in liquidazione con debiti non pagatiSì, responsabilità “per continuazione dei debiti” fino a concorrenza di quanto ricevuto (ex soci devono pagare debiti sociali insoddisfatti)– In liquidazione volontaria, soddisfare prima tutti i debiti noti o accantonare somme a tal fine;<br>– Non cancellare la società finché pendenze fiscali significative non sono definite;<br>– Se soci citati, opporsi mostrando che non hanno ricevuto nulla o che il debito era insussistente/privo di attivo corrispondente.
Socio di SNC/SAS (società di persone)Sì, illimitatamente e solidalmente per tutte le obbligazioni sociali (salvo beneficio d’escussione per soci accomandanti nei limiti conferimento)– Soci illimitati: il concordato o fallimento coinvolge anche il loro patrimonio (fallimento esteso ai soci); pochi rimedi se non l’esdebitazione personale dopo chiusura;<br>– Strutturare ex ante come società di capitali per limitare rischio.

Come si evince, il debitore deve muoversi con prudenza per proteggere il proprio patrimonio personale. Alcuni suggerimenti pratici: diversificare i ruoli (evitare che lo stesso soggetto sia amministratore e unico garante e proprietario di immobili: se possibile far entrare soci di capitale che offrano garanzie condivise), dotarsi di assicurazioni per responsabilità civile degli amministratori (D&O insurance) che possono coprire in parte i danni da azioni di responsabilità, mantenere sempre una distinzione netta tra conti sociali e personali (per non incorrere in confusione di patrimoni, che può portare a contestazioni di abuso di personalità giuridica), e soprattutto consultare professionisti legali e contabili ai primi segnali di difficoltà. Spesso, interventi tempestivi permettono di negoziare anche sul fronte personale (ad esempio, ristrutturando la fideiussione nell’ambito di un piano concordatario, con liberazione graduale della garanzia man mano che la banca riceve pagamenti concordati).

Infine, va sottolineato che la condotta collaborativa e trasparente dell’imprenditore in crisi viene premiata o quantomeno considerata positivamente: i tribunali tendono a concedere misure protettive e omologare piani se vedono buona fede e impegno reale; le autorità difficilmente perseguitano penalmente chi, pur insolvente, non ha nascosto nulla e ha cercato soluzioni legali (ad esempio, aver tentato la composizione negoziata potrebbe essere un punto a favore per l’amministratore in sede di valutazione del reato di bancarotta semplice, denotando che non stava inerte). Viceversa, un imprenditore che occulta beni, favorisce occultamente alcuni creditori o ritarda senza motivo incorrerà nella massima severità delle conseguenze (revocatorie, risarcimenti, reati).

Passiamo ora alla parte operativa con esempi pratici e risposte concise a domande frequenti, per consolidare la comprensione.

Esempio pratico 1: PMI manifatturiera in difficoltà – il caso Beta S.r.l.

Scenario: Beta S.r.l. è un’azienda di medie dimensioni (50 dipendenti) che produce componenti oleodinamici. Negli ultimi due anni ha accumulato debiti per circa €1,5 milioni: €300k con banche (scoperto di c/c e mutuo macchinari), €200k di arretrati IVA e ritenute, €800k verso fornitori e €200k verso altri (leasing, utenze). Il fatturato è calato e l’azienda è in crisi di liquidità, ma ha un portafoglio ordini interessante e margini operativi che potrebbero renderla nuovamente profittevole se alleggerita dal debito. Il titolare, sig. Rossi, ha inoltre dato garanzia personale sulla metà dei debiti bancari e su alcuni contratti di fornitura cruciale.

A inizio 2025 Beta S.r.l. fatica a pagare stipendi e fornitori: alcuni hanno chiesto decreto ingiuntivo, la banca minaccia di revocare i fidi, l’Agenzia Entrate Riscossione ha notificato una cartella e preannunciato un fermo amministrativo sui veicoli aziendali. Sig. Rossi, consapevole che la situazione può degenerare velocemente, decide di attivarsi per salvare l’impresa. Ecco passo passo come potrebbe procedere dal punto di vista legale:

  1. Consulenza ed esame situazione: Rossi incarica subito un advisor finanziario e un legale esperto in crisi. Si effettua un check-up dei bilanci e flussi: emergono segnali di insolvenza ma anche possibili misure di efficientamento (riduzione costi, dismissione di un capannone inutilizzato per fare cassa). Viene calcolato che in uno scenario di liquidazione forzata i creditori chirografari prenderebbero forse il 20%. Invece con un piano di ristrutturazione e continuità, Beta potrebbe generare utili in 3 anni tali da pagare magari il 50%. C’è quindi spazio per un concordato in continuità o accordo.
  2. Misure urgenti di difesa: Prima ancora di formalizzare una procedura, Beta S.r.l. richiede all’Agenzia Riscossione la rateizzazione immediata della cartella fiscale (€200k dilazionati in 72 rate) ottenendo così lo stop ai fermi e pignoramenti fiscali . Inoltre, paga subito (con le ultime riserve di tesoreria) una mensilità arretrata ai dipendenti per evitare dimissioni di massa, e versa €5k all’INPS per ridurre l’omissione sotto soglia penale. Contatta il fornitore che ha ottenuto ingiunzione e, attraverso l’avvocato, negozia un accordo: il fornitore sospende l’esecuzione in cambio di un pagamento parziale immediato di €10k e promessa di inserirlo in un piano complessivo. Queste mosse tampone abbassano la pressione.
  3. Composizione negoziata: Beta S.r.l. presenta istanza di composizione negoziata della crisi sulla piattaforma online . Ottiene in pochi giorni la nomina di un esperto indipendente. Chiede e ottiene dal tribunale misure protettive: per 4 mesi nessun creditore potrà iniziare o proseguire azioni esecutive . Questo blocca ulteriori decreti ingiuntivi e dà serenità all’operatività. L’esperto, dopo analisi, convoca le 3 banche creditrici principali, 5 fornitori maggiori, e l’Agenzia delle Entrate (in quanto Beta ha debiti IVA rilevanti).
  4. Nelle riunioni negoziali, Beta propone: fornitori chirografari pagati al 40% in 24 mesi; banche chirografarie pagate al 80% in 5 anni con mantenimento affidamenti (qui le banche sono parzialmente garantite dal pegno su magazzino, quindi meglio tutelate); Fisco e INPS pagati al 100% ma dilazionati in 5 anni, forse chiedendo riduzione sanzioni. In cambio Beta si impegna a cedere un capannone non strategico per incassare €300k e metterli nel piano.
  5. Resistenze: I fornitori inizialmente trovano basso il 40%, ma l’esperto mostra i numeri: in caso di fallimento prenderebbero circa 10-15%. Accettano a condizione di avere garanzie (ad es. cambiali o garanzia Confidi). Le banche chiedono almeno il 90% e interessi; dopo trattative si scende a 85%. Il Fisco, tramite l’Avvocatura, è disposto a un accordo che preveda abbattimento delle sole sanzioni (come da transazione fiscale) e pagamento integrale dell’IVA in 6 anni.
  6. Conclusione: Dopo 3 mesi, Beta raggiunge una bozza di accordo con l’80% dei creditori (per valore): banche, principali fornitori e l’Erario sono d’accordo su un piano di risanamento che prevede la continuità aziendale, nuovi soci (un investitore locale immetterà €100k per capitale), cessione di un immobile e la dilazione concordata dei restanti debiti.
  7. L’esperto attesta formalmente che l’accordo è fattibile e che l’azienda sarà risanata (in base a proiezioni di ordini in crescita). Redige la relazione finale positiva .
  8. Uscita dalla CNC – accordo ex art.57 CCII: Beta S.r.l. decide di dare massima efficacia all’intesa: con l’aiuto dei legali, redige un accordo di ristrutturazione dei debiti firmato dai creditori aderenti (rappresentano il 75% dei crediti totali). Utilizza la corsia del CCII che consente, entro 60 giorni dalla fine della CNC, di depositare l’accordo in tribunale per omologazione, includendovi la transazione fiscale . Il tribunale, visto il largo consenso, omologa rapidamente l’accordo. Grazie all’efficacia estesa (prevista per le banche dissenzienti avendo superato 75% di adesione bancaria ), anche la banca rimasta fuori è vincolata alle stesse condizioni delle altre. Gli unici creditori non aderenti (piccoli fornitori per 10% del debito) verranno comunque pagati integralmente entro un anno come da accordo, quindi non c’è pregiudizio.
  9. Esecuzione e rilancio: Beta S.r.l. vende il capannone e incassa €300k, che usa per pagare le prime quote ai fornitori secondo accordo. Ottiene dalle banche la proroga dei fidi e subito dopo l’omologa riceve anche i benefici fiscali premiali: l’Agenzia riduce le sanzioni fiscali del 100% e gli interessi al tasso legale , quindi sul debito IVA di €150k Beta risparmia €20k di sanzioni. Il socio Rossi, avendo ora un quadro certo, riesce anche a convincere un nuovo partner a entrare in società con capitali freschi. L’azienda, alleggerita dal debito e con nuovi fondi, riprende produzione a pieno regime, e in 2 anni rispetta la maggior parte degli impegni del piano. I creditori ricevono quanto concordato – magari non tutto quello originario, ma di più di quanto avrebbero ottenuto dal fallimento – e l’azienda è salva, conservando posti di lavoro.
  10. Posizione del socio garante: Durante l’accordo, si è previsto che le banche rinuncino ad escutere la fideiussione di Rossi, a condizione che Beta rispetti i pagamenti all’85%. Rossi ha anche offerto un’ipoteca su un piccolo immobile personale come ulteriore garanzia a banche e fornitori per la parte dilazionata, impegnandosi a non venderlo finché il piano non sarà completato (garanzia concordataria). In questo modo, i creditori si sono fidati a concedere lo sconto e Rossi ha protetto la casa principale (non offerta in garanzia). Alla fine, Rossi non subirà escussioni, perché Beta è riuscita a performare il piano. Se anche qualcosa fosse andato storto, avrebbe avuto tempo di reagire (nessuno poteva agire in esecuzione durante le trattative protette; e se l’accordo fosse saltato, Beta avrebbe potuto ripiegare su un concordato semplificato, sospendendo ancora le azioni).

Conclusione del caso Beta: Questo esempio mostra come una PMI indebitata possa utilizzare in sequenza più strumenti: prima misure amministrative (rateazione fiscale), poi composizione negoziata per costruire l’accordo, quindi l’accordo di ristrutturazione omologato per vincolare anche estranei e ottenere certezza giuridica. Il tutto con continuità aziendale. Naturalmente, richiede la presenza di un nucleo sano di business e la disponibilità dei creditori a cooperare, oltre che il rispetto rigoroso delle regole di trasparenza (in CNC Beta non ha nascosto nulla all’esperto, ha evitato atti in frode, perciò il tribunale le ha concesso fiducia). Sig. Rossi ha dovuto comunque sacrificare parte del patrimonio (vendere un immobile) e accettare un nuovo socio, ma in cambio ha mantenuto in vita la sua impresa.

Esempio pratico 2: Grande impresa industriale insolvente – il caso Alfa S.p.A.

Scenario: Alfa S.p.A. è una grande azienda manifatturiera (600 dipendenti, presenza internazionale) nel settore oleodinamico pesante. A causa di investimenti errati e di una crisi settoriale, accumula debiti per €50 milioni, tra cui €15M con banche (diversi istituti, anche obbligazionisti esteri), €5M di debiti fiscali e contributivi, €20M con fornitori e subappaltatori, €10M da obbligazioni e bond emessi. Nel 2025 Alfa è in stato di insolvenza conclamata: non paga fornitori da mesi, ha rate di mutui scadute, ed è stata escussa su alcune garanzie. Alcuni creditori hanno già presentato ricorso per liquidazione giudiziale al tribunale, preoccupati di movimenti anomali (si vocifera che Alfa stia spostando attività su una nuova società all’estero).

Il CdA di Alfa, sollecitato anche dal collegio sindacale che intravede rischi di azioni di responsabilità, decide di reagire con un’azione di ristrutturazione radicale, pur in extremis. Ecco come potrebbe evolvere:

  1. Verifica procedura applicabile: Date le dimensioni, Alfa S.p.A. potrebbe teoricamente aspirare alla Amministrazione Straordinaria (avendo >500 dipendenti e debiti >300M?). Nel nostro scenario però €50M debiti e 600 dipendenti non raggiungono la soglia Marzano, ma superano quella Prodi-bis (oltre 200 dipendenti e insolvenza non irreversibile con prospettive di recupero). Se lo Stato ritenesse Alfa strategica, potrebbe attivare l’AS per tentare un salvataggio. Tuttavia, supponiamo che non ricorrano i presupposti speciali e si scelga il percorso ordinario concorsuale.
  2. Composizione negoziata o no? Dato che istanze di fallimento pendono già e l’insolvenza è avanzata, Alfa S.p.A. potrebbe comunque tentare la composizione negoziata grazie alla norma correttiva 2024 che lo consente anche se c’è un’istanza di fallimento da creditori. Il tribunale molto probabilmente sarebbe cauto: concederebbe l’apertura CNC solo se Alfa porta elementi concreti (es. manifestazioni di interesse da investitori) e non solo per prendere tempo. Diciamo che Alfa chiede la CNC e le viene concessa con misure protettive di breve durata (2 mesi rinnovabili) a patto di aggiornare regolarmente il giudice su progressi. Viene nominato un esperto di altissimo profilo.
  3. Alfa e l’esperto convocano subito banche e obbligazionisti (che detengono gran parte del debito finanziario). Emerge che due grandi banche italiane (creditrici per €8M) sarebbero disposte a una conversione di parte del credito in capitale (diventando azioniste), se però anche un investitore industriale entra. Alcuni bondholders esteri sono invece riluttanti e minacciano azioni esecutive in altre giurisdizioni.
  4. Si convoca il MISE (Ministero) e la Regione, data la valenza occupazionale: spunta l’ipotesi di un contratto di sviluppo con aiuti pubblici se l’azienda viene ristrutturata. Viene coinvolto un possibile acquirente straniero interessato a rilevare il ramo più sano (produzione attuatori oleodinamici aerospaziali).
  5. In 2 mesi, la negoziazione è intensa ma non porta a un accordo definitivo: troppi attori con interessi divergenti. Tuttavia, si delineano due proposte: a) un investitore offre €30M per comprare impianti e avviamento del ramo aerospaziale, assumendosi 300 dipendenti; b) le banche accettano di stralciare il 50% dei loro crediti e convertirne un 20% in equity di una NewCo ristrutturata, se lo Stato partecipa con garanzie su nuovi finanziamenti. L’esperto alla fine riferisce che un risanamento parziale via concordato è possibile, ma non c’è unanimità dei creditori.

Alfa decide quindi di passare al concordato preventivo (opzione già considerata in parallelo): la CNC viene chiusa con esito “non risolutivo”, ma avendo evitato il fallimento immediato ha permesso di mettere insieme gli elementi del piano di concordato.

  1. Concordato preventivo in continuità indiretta: Alfa S.p.A. deposita domanda di concordato preventivo con continuità indiretta: in sostanza prevede di vendere il ramo aerospaziale all’investitore X per €30M (che verranno usati per pagare parte dei creditori), di liquidare gli altri asset non redditizi, e di proseguire solo con il ramo core restante (300 dipendenti su 600) tramite una nuova società ristrutturata partecipata dalle banche creditrici e con nuovi capitali pubblici. Il piano propone: pagamento dei creditori privilegiati (banche garantite, Fisco per IVA) al 100% ma parzialmente dilazionato; pagamento dei chirografari al 30% in 2 anni (grazie ai €30M incassati dalla cessione ramo e da un finanziamento prededucibile garantito dallo Stato di altri €10M). I bondholders esteri, chirografari, sono messi nella stessa classe dei fornitori: prenderanno 30% uguale agli altri.
  2. Si presentano 6 classi nel piano: lavoratori (TFR e salari arretrati) al 100%; Stato (IVA e contributi) al 70% su parte chirografa con transazione fiscale; banche chirografarie locali al 40% (ma ottengono azioni NewCo); obbligazionisti esteri al 30%; fornitori generali al 30%; equity vecchi soci al 0% (azzerati).
  3. Il commissario giudiziale valuta il piano e lo ritiene fattibile se l’operazione di cessione ramo va in porto – c’è una offerta vincolante depositata con caparra dal compratore X, quindi buona garanzia.
  4. In adunanza creditori: i lavoratori e Stato votano a favore (ovvio, prendono molto). Le banche (40%) e fornitori (30%) pur scontenti capiscono che in fallimento avrebbero 5-10%, quindi votano sì. Gli obbligazionisti esteri (30%) votano contro compatti – loro speravano in azioni legali altrove, ma essendo in minoranza di classe restano dissenzienti. Tuttavia, c’è una maggioranza di 5 classi su 6 favorevoli. Alfa chiede l’omologa nonostante la classe obbligazionisti contraria, invocando il cross-class cram down. Il tribunale verifica: la classe dissenziente (bondholders) non avrebbe comunque preso più del 30% in liquidazione – anzi probabilmente zero – e non è discriminata ingiustamente (prende lo stesso 30% dei fornitori chirografi) . Inoltre, nessuna classe inferiore a loro (soci) prende qualcosa – soci azzerati, come richiesto dalla APR. Quindi le condizioni del cram down sono soddisfatte. Il giudice omologa il concordato nonostante il no della classe obbligazionisti.
  5. Esecuzione concordato: Il ramo aziendale viene trasferito al compratore X immediatamente dopo l’omologa per €30M versati su conto della procedura. Il curatore (nominato liquidatore per la parte liquidatoria) inizia a vendere gli altri cespiti. Le banche convertendo crediti in equity di NewCo ottengono futuro upside (se l’azienda risanata andrà bene). I creditori iniziano a ricevere acconti secondo il piano (ad esempio un 15% iniziale con i €30M, e il resto entro 2 anni con incassi futuri e l’eventuale ingresso del partner pubblico garantito). L’occupazione viene dimezzata ma 300 lavoratori sono traghettati nell’azienda acquirente e altri 150 restano in NewCo – soli 150 vengono licenziati e accedono a CIGS e Naspi.
  6. Conseguenze per imprenditori e garanti: I vecchi azionisti di Alfa S.p.A. (la famiglia fondatrice) perdono la proprietà (azzerata). Hanno anche prestato in passato alcune garanzie personali su debiti bancari, ma come da concordato quei debiti bancari sono stati soddisfatti al 40% con novazione: le banche in sede di accordo concordatario liberano i garanti (o comunque avendo approvato il concordato non possono pretendere oltre secondo alcuni orientamenti, salvo patto contrario). Dato che la continuità è indiretta (azienda prosegue in altra forma), l’attenzione è su eventuali responsabilità dei vecchi amministratori: il commissario non ha riscontrato atti distrattivi (gli amministratori hanno agito male ma non fraudolentemente; semmai potevano attivarsi prima per evitare l’insolvenza). Tuttavia, alcuni creditori obbligazionisti esteri, furiosi per la falcidia subita, valutano azioni di responsabilità contro gli ex amministratori accusandoli di informazioni fuorvianti al momento dell’emissione bond. Queste cause potranno avviarsi separatamente, ma non influenzano il concordato.

Conclusione del caso Alfa: Una grande impresa ha usato lo strumento del concordato con continuità e una soluzione mista: in parte vendita di asset, in parte soddisfazione dilazionata, in parte conversione debito-capitale. Senza il concordato, i creditori avrebbero litigato tra loro in vari paesi e forse l’azienda sarebbe stata spazzata via dall’incertezza. Così invece si è ottenuto un salvataggio parziale, gestito ordinatamente. Notare che in grandi imprese la politica e le istituzioni spesso entrano in gioco: nel concordato di Alfa lo Stato ha messo garanzie e premuto per una soluzione, perché l’impatto sociale era rilevante. Ciò non toglie che la procedura concorsuale sia servita come quadro giuridico per eseguire la ristrutturazione su basi eque e legittime.

Naturalmente, casi del genere sono complessi e ogni variazione (un creditore in più che si oppone, un’offerta che salta) può far deragliare il piano. In alcuni concordati di grandi dimensioni, ad esempio, i tempi si protraggono e alla fine si trasforma in liquidazione perché non arriva l’investitore sperato. Il debitore deve dunque essere molto realista nelle previsioni e magari predisporre piani B (ad es. clausole nel piano: se vendita ramo X non avviene, allora si liquida quel ramo sul mercato con altri mezzi etc.).

Questi esempi hanno illustrato dinamiche tipiche. Passiamo ora a domande frequenti per chiarire dubbi specifici e fornire risposte dirette.

Domande e Risposte (FAQ)

D: Cosa rischia l’imprenditore se la sua azienda accumula debiti e diventa insolvente?
R: I rischi sono su due fronti: aziendale e personale. Sul fronte aziendale, l’impresa insolvente rischia l’apertura di una procedura concorsuale (concordato obbligato o liquidazione giudiziale su istanza dei creditori) che può portare alla perdita del controllo e alla liquidazione dei beni . L’attività potrebbe interrompersi, i contratti sciogliersi e i dipendenti essere licenziati. Sul fronte personale, l’imprenditore (socio/amministratore) rischia di dover rispondere con il proprio patrimonio in alcuni casi: se ha dato garanzie personali (le banche/creditori le escuteranno), se ha commesso irregolarità di gestione (potrà subire azioni di responsabilità o accuse di bancarotta) , e se in liquidazione volontaria si è ripartito attivo a discapito di creditori (potrà dover restituire ai creditori insoddisfatti) . Inoltre, la reputazione professionale ne risente (difficoltà ad ottenere credito futuro, protesti, segnalazioni in Centrale Rischi). In sintesi, il rischio maggiore è perdere l’azienda e subire conseguenze patrimoniali e legali personali. Ecco perché è fondamentale attivarsi tempestivamente per gestire la crisi invece di subirla.

D: Quali sono i segnali di allarme che indicano che la mia azienda è in “crisi” e devo intervenire?
R: I principali segnali di allerta includono: liquidità insufficiente per far fronte a spese correnti (es. difficoltà a pagare puntualmente stipendi, fornitori, rate fiscali); utilizzo sistematico e oltre il limite degli affidamenti bancari; aumento anomalo dei debiti a breve rispetto ai crediti (indici di liquidità sotto 1); ritardi nel pagamento di imposte e contributi (ad esempio, accumulo di cartelle esattoriali) ; perdita di fiducia da parte di fornitori (richiesta di pagamenti anticipati) o banche (revoca fidi annunciata) ; deterioramento del margine operativo e perdite di bilancio che erodono il capitale netto. Un segnale giuridico concreto è il superamento dei parametri che rendono l’impresa fallibile (in passato c’erano soglie di legge, oggi conta più lo stato di crisi effettivo). Inoltre, se si ricevono atti legali come decreti ingiuntivi, pignoramenti o un’istanza di fallimento, è già un segnale tardivo di insolvenza. L’obbligo degli amministratori ex art. 2086 c.c. è di istituire assetti adeguati proprio per cogliere questi segnali precocemente. Ad esempio, se il Debt Service Coverage Ratio (DSCR) previsionale a 6 mesi scende sotto 1 (cioè la società non genera cassa sufficiente a pagare debiti nei 6 mesi futuri), la situazione è di probabile crisi meritevole di intervento immediato. Ignorare questi campanelli di allarme può portare a aggravare il dissesto e incorrere in responsabilità personali .

D: In caso di difficoltà, è preferibile tentare un accordo stragiudiziale con i creditori o andare subito in procedura concorsuale?
R: Se le difficoltà non sono ancora sfociate in insolvenza conclamata, spesso conviene iniziare in via stragiudiziale. Negoziare privatamente è più rapido, riservato e flessibile. Si può tentare un piano attestato di risanamento o una composizione negoziata con l’aiuto di un esperto , coinvolgendo i principali creditori in un accordo volontario. Questo evita lo stigma del tribunale e i costi di procedura, e permette soluzioni su misura (ad esempio, alcuni creditori potrebbero spontaneamente accettare maggiori sacrifici di altri per ragioni commerciali, cosa che in un concordato formale deve sottostare a regole di parità intraclasse). Tuttavia, se il debito è molto frammentato (troppi piccoli creditori) o se alcuni creditori chiave non collaborano, uno strumento concorsuale diventa necessario perché vincola le minoranze dissenzienti. Quindi, la strategia spesso è: prima provare un accordo stragiudiziale (magari all’interno della Composizione negoziata che offre anche protezione temporanea), poi, se fallisce o non è sufficiente, virare su una procedura giudiziale (accordo di ristrutturazione omologato o concordato preventivo). In caso di insolvenza conclamata e irreversibile, è inutile tergiversare: meglio un concordato subito o, se non fattibile, la liquidazione giudiziale, perché un accordo stragiudiziale tardivo difficilmente riuscirà e rischia di far perdere tempo prezioso . Ogni caso va valutato però individualmente. Un principio di massima: finché c’è collaborazione e consenso dei creditori, evitare il tribunale; se manca consenso o serve imporre tagli, allora procedura concorsuale.

D: Che differenza c’è tra concordato preventivo e accordo di ristrutturazione dei debiti?
R: Entrambi sono strumenti per ristrutturare il debito sotto controllo del tribunale, ma differiscono soprattutto per le modalità di adesione dei creditori e la conseguente efficacia: – Nel concordato preventivo, la proposta viene sottoposta a voto di tutti i creditori (esclusi eventualmente i privilegiati soddisfatti integralmente). Serve il voto favorevole della maggioranza (in percentuale di crediti) e il concordato omologato vincola tutti i creditori, anche dissenzienti. È quindi uno strumento collettivo e coercitivo: una volta approvato a maggioranza e omologato, anche chi era contrario deve accettare il trattamento previsto . Il concordato consente di suddividere i creditori in classi e offrire percentuali diverse, richiede soglie (20% ai chirografari se liquidatorio) e comporta la nomina di commissari e una procedura più formalizzata. – Nell’accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD) ex art.57 CCII, invece, non c’è voto universale: il debitore deve ottenere l’adesione (la firma) di creditori rappresentanti almeno il 60% del debito (o 30% nel caso di accordo agevolato ). Raggiunto tale consenso qualificato, chiede l’omologazione al tribunale. I creditori firmatari sono vincolati all’accordo; quelli non aderenti, in teoria restano estranei, ma l’accordo viene omologato solo se il piano prevede che i non aderenti siano pagati integralmente (entro 120 giorni dalla scadenza) . In pratica quindi i dissenzienti non subiscono falcidie (a meno che siano finanziari e scatti l’efficacia estesa, vedi sotto). L’accordo è quindi consensuale: è un contratto tra debitore e una maggioranza di creditori, ratificato dal giudice. Le varianti introdotte (efficacia estesa) permettono di forzare anche i creditori finanziari dissenzienti se l’75% della loro categoria ha aderito , il che è una forma di semi-cramdown settoriale. Ma in generale, l’accordo non può imporre tagli a fornitori o Fisco che non abbiano firmato: vanno pagati al 100% . In sintesi: il concordato è più onnicomprensivo e può imporre perdite a tutti i creditori (previo voto a maggioranza), mentre l’accordo di ristrutturazione è più mirato: coinvolge solo i creditori disposti a sottoscriverlo e deve tutelare gli altri pagando loro l’intero credito. L’accordo è di solito più rapido e meno costoso (niente votazioni di massa, niente commissario, solo omologa), ma richiede un livello di consenso già alto di partenza. Il concordato è usato quando è necessario cram-down, cioè far accettare sacrifici anche a minoranze non consenzienti. In molti piani di risanamento si usa l’accordo se l’insolvenza è contenuta e concentrata (es. con banche), e il concordato se è diffusa (molti creditori eterogenei da falcidiare).

D: Quali sono i costi e i tempi di una procedura di concordato preventivo?
R: I costi includono: compenso del commissario giudiziale nominato dal tribunale (determinato a percentuale sull’attivo e passivo, può essere decine di migliaia di euro per PMI, fino a cifre ben maggiori per grandi imprese), spese di giustizia (contributo unificato, bollati), spese di pubblicazione (Registro imprese, Gazzetta Ufficiale), e naturalmente i costi dei professionisti del debitore (avvocato, advisor finanziario, attestatore) che in genere sono prededucibili nel concordato. Complessivamente per una PMI i costi di procedura formali possono aggirarsi sul 5-10% dell’attivo; per grandi imprese percentuali minori ma importi assoluti rilevanti. Ad esempio, in un concordato con attivo €1 milione, il commissario potrebbe avere un compenso sui €10-15k, l’attestatore altri €10k, le spese varie €5k, più i consulenti del debitore (diciamo €20k): totale magari €50k (5%). In procedure più complesse la percentuale sale per via dei consulenti specialistici. Ci sono poi i costi indiretti: aggravio amministrativo per l’azienda, perdita di reputazione commerciale, ecc.

I tempi: con le riforme, l’iter è leggermente più veloce che in passato, ma va considerato in mesi/anni. Dalla presentazione del ricorso di concordato alla votazione dei creditori solitamente passano 4-6 mesi (2 mesi per presentare il piano se era “in bianco”; poi il tribunale ammette e convoca i creditori con rapporto commissario, altri 2-3 mesi). Dopo il voto, per l’omologa definitiva servono altri 1-3 mesi (se non ci sono opposizioni, altrimenti di più). Quindi realisticamente un concordato semplice può essere omologato in circa 8-12 mesi dal ricorso. Esecuzione del piano poi può durare anni (ma quello dipende dal piano stesso, es. se prevede pagamenti in 5 anni). Concordati più complessi (molte classi, opposizioni in omologa) possono richiedere 12-18 mesi per l’omologa, talvolta di più se si va in appello su reclami. Ad esempio, concordati di grandi aziende spesso impiegano 1,5-2 anni per diventare definitivi, specie se c’è contenzioso. Il concordato semplificato post-composizione negoziata è invece più rapido: non c’è voto, e la legge prevede termini stretti (60 giorni per proporlo, decisione del tribunale veloce). Un concordato semplificato potrebbe concludersi in 4-6 mesi dall’istanza, se fila liscio .

In generale, se l’azienda è in tensione di cassa, sostenere una procedura lunga può essere problematico. Ecco perché a volte si preferisce l’accordo ex art.57: i tempi medi di omologa di un accordo sono 2-4 mesi, molto meno. Ma se serve il concordato, è un investimento di tempo e risorse. Notare che durante il concordato l’azienda opera in regime protetto e con possibile gelata dei debiti pregressi, quindi quel tempo può servire a generare cassa per pagare i creditori secondo piano. Comunque, l’imprenditore deve essere preparato: il concordato è una maratona procedurale e i costi vanno pianificati (in molti concordati si chiede un fondo spese prededotto all’inizio da impiegare per pagare commissario & co).

D: L’azienda può continuare ad operare durante il concordato o deve fermarsi?
R: Può (e spesso deve) continuare ad operare, soprattutto se è un concordato in continuità. Nel concordato preventivo vige il principio della continuità aziendale se prevista dal piano: l’imprenditore rimane in possesso (dopo l’ammissione però gli atti di straordinaria amministrazione devono essere autorizzati dal tribunale su parere del commissario, art. 94 CCII) e può proseguire l’attività, adempiendo i contratti in corso utili e stipulando di nuovi se funzionali . È addirittura possibile assumere obbligazioni prededucibili (nuovi finanziamenti, ordini a fornitori) durante il concordato, previo ok del giudice, se necessari per la continuità. Se invece il piano è liquidatorio e non prevede la prosecuzione, l’attività può essere sospesa o esercitata provvisoriamente dal commissario per massimizzare il valore di realizzo (ad esempio completando le commesse in corso per vendere meglio l’azienda). In pratica, la scelta sta nel piano: continuità diretta = la stessa azienda prosegue e poi adempie il concordato con i flussi generati; continuità indiretta = l’azienda viene trasferita a un terzo che la prosegue; liquidazione pura = l’azienda cessa operatività e si vendono i beni. Dunque, presentando un concordato, l’imprenditore può mantenere aperta la sua impresa e anzi è incoraggiato a farlo se ciò non aggrava il dissesto (deve però evitare di accumulare altri debiti senza copertura, sennò rischia la revoca del concordato per atti in frode). In termini legali, l’art. 86 CCII consente espressamente la continuazione dell’esercizio dell’impresa sotto vigilanza del commissario. Ad esempio, se era in corso un contratto di fornitura essenziale, il debitore può chiedere l’autorizzazione a eseguirlo e il fornitore non può risolvere il contratto solo perché c’è il concordato (esiste un divieto di interrompere contratti di fornitura essenziali per il solo fatto dell’ammissione al concordato). Quindi, l’azienda può operare, fatturare, pagare i debiti correnti (che saranno prededucibili). Una massima è: nel concordato in continuità, “business as usual” sia pure con supervisione; nel concordato liquidatorio, l’azienda tende a fermarsi salvo vendita in esercizio.

D: I creditori possono rivalersi sui beni personali del socio/amministratore durante o dopo le procedure?
R: Se parliamo di creditori sociali (della società), questi normalmente non possono toccare i beni personali dei soci o amministratori di una società di capitali, a meno che esista un titolo specifico contro di loro (es. una fideiussione firmata dal socio, o una sentenza di responsabilità che condanna l’amministratore a risarcire). Durante un concordato o fallimento, i creditori chirografari sociali devono presentare le loro pretese nella procedura e non possono agire separatamente contro i soci . Fanno eccezione: – i garanti personali: se il socio ha firmato una fideiussione, il concordato della società di per sé non libera il garante salvo che il creditore rinunci espressamente o sia previsto in accordo. Quindi, ad esempio, la banca potrebbe escutere la fideiussione del socio anche se la società è in concordato (a meno che il giudice, su richiesta, abbia esteso le misure protettive anche ai garanti – cosa possibile in composizione negoziata e a certe condizioni anche in concordato, secondo alcuni tribunali, per evitare azioni contro garanti durante le trattative, ma non è automatica). Tuttavia, se il creditore riceve pagamenti dal garante, poi non potrà insinuarsi per quella parte nel concordato. Alcuni concordati prevedono accordi con i creditori per liberare i garanti dietro pagamento parziale. – gli amministratori: se il fallimento (liquidazione giudiziale) apre azioni di responsabilità, i creditori (tramite il curatore) possono aggredire i beni personali dell’amministratore colpevole per ottenere il risarcimento . Anche il Fisco, come visto, può agire dopo la liquidazione sui soci fino a concorrenza dell’attivo avuto . – i soci illimitatamente responsabili (Snc, Sas): questi falliscono insieme alla società e quindi i creditori agiscono sul loro patrimonio direttamente (non è il caso delle Srl/SpA però).

Dopo le procedure: se la società completa un concordato e viene esdebitata, i creditori non possono più pretendere nulla dalla società. Ma dai garanti sì, salvo abbiano rinunciato. Spesso l’esdebitazione non si estende ai coobbligati e fideiussori (art. 280 CCII per esdebitazione persona fisica). Quindi il creditore può dire: “ok, società ha chiuso col 50%, ora chiedo al garante il restante 50%”. Il garante potrà opporre alcune difese (es. se il concordato prevede liberazione espressa, o se il creditore ha tacitamente accettato la remissione anche verso i coobbligati – interpretazione giurisprudenziale incerta). In pratica, il socio garante non è automaticamente salvo da aggressioni sui suoi beni a meno che nel piano concordatario non si sia ottenuta la liberazione. Diverso è il fallimento: se la società fallisce, i creditori possono escutere i garanti in qualsiasi momento (il fallimento non blocca le azioni contro i coobbligati). Così come il fallimento non protegge l’amministratore da eventuali cause risarcitorie (anzi, le facilita). In conclusione: i creditori sociali non hanno un titolo generale contro soci/amministratori, però eventuali garanzie personali o sentenze di responsabilità forniscono loro quel titolo, utilizzabile anche dopo la chiusura delle procedure. Occorre quindi gestire in sede di procedura anche la posizione dei garanti (ad es. negoziare una transazione per liberare il garante, spesso conviene a tutti: al creditore perché incassa qualcos’altro dal garante, al garante perché risolve in via definitiva, alla società perché magari il garante apporta risorse in cambio).

D: Dopo il fallimento (liquidazione giudiziale) della società, i debiti residui verso fornitori o banche possono essere richiesti ai soci personalmente?
R: In linea di principio no, non se parliamo di S.r.l./S.p.A. I creditori partecipano al fallimento e ricevono quel che ricevono; per la parte non pagata restano insoddisfatti e non hanno azione ulteriore contro i soci. L’eccezione è appunto la responsabilità post-liquidatoria ex art.2495 c.c.: se i soci hanno preso qualcosa in liquidazione finale (non in fallimento, ma in liquidazione volontaria o concordataria se resta attivo ai soci), allora come già spiegato possono essere chiamati a rispondere entro quel limite . Nel caso di fallimento, di regola i soci di capitale non prendono nulla (se avanzasse attivo oltre i crediti, non si farebbe fallimento!). Quindi, finito il fallimento, i debiti non soddisfatti sono inesigibili e i soci non ne rispondono. Tuttavia, attenzione: se un socio ha ricevuto utili o patrimoni prima del fallimento in modo illecito (es. pagamenti ai soci a titolo di dividendi fittizi o rimborsi conto soci che hanno impoverito la società poco prima del fallimento), il curatore può agire con azione di restituzione/revocatoria verso i soci per recuperare quelle somme. Ad esempio, Cass. Sez.Unite 12348/2013 ha statuito che i soci che hanno ricevuto rimborsi di finanziamenti entro l’anno prima del fallimento devono restituirli perché revocabili. Quindi indirettamente, dei pagamenti fatti ai soci prima possono essere recuperati. Ma chiedere ai soci di pagare i debiti sociali rimasti – senza che i soci abbiano colpe specifiche – no, non è ammesso (diverso se soci con polizza fideiussoria, come detto, in quel caso è il contratto di fideiussione attivato, non la qualifica di socio). Invece, per i debiti tributari, come visto, il Fisco ha un meccanismo peculiare: il fallimento chiude la società, ma l’Agenzia può notificare entro 5 anni ai soci un avviso ex art.36 DPR 602/73 facendogli pagare imposte non soddisfatte, provando che c’era attivo distribuibile in bilancio finale . Le Sez Unite 2025 hanno confermato ciò, quindi per i debiti fiscali residui c’è quel spiraglio. Per fornitori e banche invece no, se non hanno garanzie o titoli contro soci.

D: È vero che, in caso di debiti, conviene far “fallire” la S.r.l. e aprirne un’altra pulita?
R: Questa è una scorciatoia pericolosa. Limitarsi a far fallire o liquidare una società indebitata e aprirne un’altra per proseguire l’attività senza debiti può configurare illeciti vari: bancarotta fraudolenta per distrazione di beni (se si spostano asset dalla vecchia alla nuova senza pagare i creditori) o abuso di diritto se fatto in modo da eludere la responsabilità. I tribunali e la legge contrastano la pratica delle “phoenix companies” (risorgere dalle ceneri): se l’operazione non è trasparente, i creditori possono agire contro la nuova società sostenendo sia successione d’azienda ex art.2560 c.c. (l’acquirente d’azienda risponde dei debiti risultanti dai libri contabili) o simulazione. Inoltre, il curatore può revocare cessioni di azienda a prezzo vile fatte prima del fallimento. Quindi “far fallire e riaprire pulito” può portare i guai dall’altra parte: exemple, Tizio fa fallire Alfa Srl indebitata e sposta i contratti e clienti su Beta Srl: il curatore di Alfa potrà citare Beta per restituzione di avviamento, e Tizio rischia accusa penale di aver distratto l’avviamento ai danni creditori. Se invece la strategia è regolare – ad es. usare il concordato per cedere l’azienda buona a Newco pagando il possibile ai creditori – allora non è un illecito ma un salvataggio ordinato (come nel caso Alfa S.p.A. sopra). Dunque, non conviene farlo in modo “fai da te”. Molti pensano: lascio morire la vecchia società con i debiti e continuo col nuovo veicolo societario i contratti profittevoli. Ma se non si pagano i vecchi creditori, questi possono inseguire la continuità economica. Esistono inoltre norme sulla responsabilità da confusione di patrimoni: se la nuova società è etero diretta dalla vecchia o ha stessi soci/amministratori, i creditori potrebbero provare che è un mero schermo per frodarli e chiederne l’estensione del fallimento o l’inefficacia degli atti. In Italia c’è concetto di “azioni revocatorie”: qualunque atto con cui una società insolvente ha trasferito beni a terzi nell’ultimo periodo prima del fallimento, se fatto a titolo gratuito o con preferenze indebite, può essere revocato . Trasferire azienda o commesse senza adeguato corrispettivo rientra. Quindi, attenzione: l’uso spregiudicato della limitazione di responsabilità è limitato da queste tutele. Far fallire la società è l’extrema ratio e aprirne una nuova conviene solo se si è disposti comunque a cedere i beni ai creditori della vecchia (cioè far fallire in modo pulito, senza portare via nulla). Se invece s’intende portare via valore, no, non conviene: si rischia di peggiorare la situazione (da civile diventa penale). Molto meglio usare una procedura concorsuale di risanamento o liquidazione trasparente: i creditori vengono soddisfatti in parte ma con giustificazione, e l’imprenditore eventualmente può ripartire su basi legali (dopo l’esdebitazione). Ricordiamo: il fallimento non cancella automaticamente i debiti del fallito persona fisica, serve l’esdebitazione. Per la società, la cancella perché muore. Ma se i soci aprono subito un’altra attività analoga, rischiano azioni come successio nel contratto d’affitto d’azienda etc..

D: Cos’è la “esdebitazione” e a chi si applica?
R: L’esdebitazione è l’istituto che consente al debitore persona fisica, una volta terminata la procedura di liquidazione dei suoi beni, di essere liberato dai debiti residui non pagati . Nel fallimento tradizionale, era introdotta dall’art. 142 L.F. Oggi nel CCII ci sono varie forme: – Esdebitazione del fallito (art.282 CCII): riguarda l’imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile dichiarato in liquidazione giudiziale. Dopo la chiusura della procedura, se ha cooperato e non ci sono circostanze ostative (condanne per bancarotta fraudolenta, ecc.), il tribunale lo libera dai debiti non soddisfatti. Quindi il fallito onesto ottiene la “fresh start”. – Esdebitazione del sovraindebitato meritevole senza patrimonio: c’è anche una speciale esdebitazione per chi proprio non ha nulla da liquidare (art.283 CCII), una volta ogni vita, se persona meritevole. – Le società di capitali non necessitano esdebitazione: esse, una volta completato il concordato o chiuso il fallimento, si estinguono e i crediti insoddisfatti sono inesigibili (di fatto un’esdebitazione implicita per l’ente che cessa).

Va chiarito che l’esdebitazione riguarda solo i debitori persone fisiche. La S.r.l. in quanto soggetto giuridico non “prosegue la vita” post procedura, quindi non ha bisogno di perdono – muore. Invece il titolare d’impresa fallito, o il consumatore sovraindebitato, hanno questa chance di ripulirsi e ripartire (pur con eccezioni per debiti alimentari, da risarcimento danni e poche altre categorie che restano). Ad esempio, un ex imprenditore fallito per debiti di €1M di cui 20% pagati potrà ottenere l’esdebitazione per il restante 80% e così i creditori non potranno più cercarlo, ridandogli dignità economica.

D: I debiti verso Erario e INPS si possono “tagliare” nelle procedure o vanno sempre pagati integralmente?
R: Storicamente, i debiti fiscali e previdenziali privilegiati (IVA, ritenute, contributi) erano intoccabili nel concordato salvo consenso dell’ente (c.d. transazione fiscale). Oggi, con la riforma del 2022, è possibile proporre anche il pagamento parziale di IVA e ritenute in concordato o accordo, a condizione di rispettare il best interest test (ossia offrire almeno quanto si ricaverebbe liquidando i beni su cui i crediti insistono e comunque non discriminare il Fisco rispetto ad altri privilegiati di pari grado) . Quindi, sì, è possibile falcidiare anche l’IVA, come confermato da dottrina e giurisprudenza recente , ma deve essere giustificato dalla capienza dei beni. In pratica: se l’azienda non ha abbastanza da pagare tutto il Fisco, può proporre di pagarlo in parte, dimostrando che in liquidazione quell’ente prenderebbe meno o uguale. Serve comunque il voto favorevole dell’erario (che esprime il suo parere come creditore nella classe privilegiati). La transazione fiscale formalizza questo: si chiede all’AdE di aderire a un trattamento di favore. Ora la legge impone all’ente di valutare la convenienza economica: se dal piano prende almeno quanto da fallimento, dovrebbe acconsentire . Se l’ente vota contro ma le condizioni di legge (miglior soddisfacimento) ci sono, il tribunale può anche omologare il concordato cramdown fiscale, superando il diniego dell’Erario (art. 48 co.5 CCII). Quindi oggi il Fisco non ha più il veto assoluto. Per i contributi INPS vale simile discorso (sono equiparati).

Nei piani negoziali stragiudiziali (piano attestato) invece non si può costringere il Fisco a rinunciare a nulla; ma si può ottenere col ravvedimento operoso riduzioni sanzioni pagando spontaneamente, o attendere definizioni agevolate legislative (rottamazioni). In sede di accordo di ristrutturazione la legge ora consente di includere la transazione fiscale (art.63 CCII) : in pratica, l’accordo può prevedere che AdE accetti X% e l’AdE può aderire con approvazione ministeriale se conviene. Dunque, oggi anche in ARD si “taglia” il debito erariale se necessario, altrimenti molti piani sarebbero impossibili (soprattutto con la mole di debiti fiscali post-Covid).

Un limite specifico: l’IVA è tecnicamente un tributo armonizzato UE, la Direttiva Insolvenza UE ha aperto a compromessi ma la giurisprudenza UE (sent. Skountzos 2019) vietava remissioni totali dell’IVA fuori dalle procedure. Ora, dentro le procedure concorsuali, si può fare con cautela. Per sicurezza, molti tribunali comunque pretendono che l’IVA privilegiata, se c’è attivo sufficiente, venga pagata integrale o quasi. Ma se attivo non c’è, accettano percentuali minori altrimenti la procedura non starebbe in piedi.

Inoltre, esistono in sede extragiudiziale strumenti come la rateizzazione e la rottamazione che non tagliano il capitale, ma condonano sanzioni e interessi, fornendo sollievo parziale . Ad esempio la Rottamazione-quater 2023 ha permesso stralcio di sanzioni, e il D.Lgs. 110/2024 consente ora dilazioni fino 10 anni . Quindi un’impresa può trattare con Erario/INPS anche fuori concorso con quegli istituti.

D: Se la banca minaccia di escutere la fideiussione personale, cosa posso fare?
R: Se la società è in crisi ma stai cercando di ristrutturare, puoi provare a bloccare temporaneamente l’escussione della fideiussione chiedendo misure protettive in composizione negoziata estese ai garanti. Ad esempio alcuni tribunali concedono che durante la CNC i creditori finanziari non possano agire né contro la società né contro i suoi garanti (per non compromettere le trattative). Questo però è discrezionale. Altrimenti, puoi negoziare con la banca un accordo standstill: chiedi di non escutere la garanzia mentre cerchi soluzioni, magari offrendo in cambio trasparenza e/o garanzie aggiuntive (p.es. ipoteca su un bene personale). In assenza di accordo, la banca può legalmente agire subito contro di te come garante. Puoi solo difenderti legalmente: verificare se la fideiussione contiene clausole nulle (antitrust) , se la banca ha aggravato il tuo impegno (art.1956 c.c.: ad es. concessione di nuovi fidi a tua insaputa che libererebbero il garante – nel caso amministratore/socio, spesso questa difesa non vale perché sei considerato a conoscenza della situazione ), oppure se la somma richiesta è errata (magari contestare interessi usurari o anatocismo per ridurla). Ma queste sono tattiche difensive per guadagnare tempo in giudizio, dall’esito incerto.

Strategicamente, potresti proporre un saldo e stralcio personale: offri alla banca un pagamento parziale immediato (magari attingendo a risparmi) per chiudere la fideiussione. Alcune banche accettano se vedono che la società è compromessa e il garante non ha sufficiente patrimonio per coprire tutto; piuttosto che avviare lunga esecuzione, preferiscono incassare to courtless, per es. “mi devi 200k, se me ne dai 100k chiudiamo”. Ovviamente dipende dal tuo margine di manovra. Se nulla funziona e vieni escusso, potresti a tua volta insinuarti nel concordato/fallimento della società come creditore surrogato (il garante che paga subentra nel credito). Ma questo spesso porta a recuperare poco.

In casi estremi, se la fideiussione ti rovina e non hai come pagarla, considera l’opzione sovraindebitamento: se sei un privato o ex imprenditore, potresti chiedere un piano del consumatore o liquidazione del patrimonio personale per gestire i tuoi debiti inclusa la fideiussione. Il giudice potrebbe persino sospendere le azioni esecutive bancarie una volta accettata la procedura. Ad esempio, un garante che si ritrova con €500k di escussione potrebbe presentare liquidazione controllata offrendo i suoi beni e poi chiedere esdebitazione del resto. Non ideale, ma è l’ultima difesa per non rimanere indebitato a vita.

D: Durante le trattative o la procedura, posso scegliere di favorire alcuni creditori “strategici” pagando loro e non altri?
R: Farlo prima di una procedura concorsuale completa è molto rischioso: pagare selettivamente alcuni creditori a detrimento di altri, in fase di insolvenza, espone a revocatoria fallimentare se poi c’è fallimento (pagamenti preferenziali entro 6 mesi dal fallimento sopra soglie sono revocati) e anche a possibili responsabilità per amministratori (pagamento in conflitto d’interessi, come visto, genera responsabilità) . Tuttavia, in composizione negoziata l’imprenditore può chiedere al tribunale l’autorizzazione a pagare creditori pregressi se funzionali alla continuità, e questi pagamenti autorizzati non sono revocabili (art. 22 CCII). Ad esempio, si può ottenere il permesso di pagare un fornitore essenziale o le retribuzioni arretrate, per stabilizzare l’azienda. Se autorizzato, è legittimo e non costituisce preferenza illecita. In concordato, una volta presentata domanda, i pagamenti anteriori sono sospesi salvo autorizzazioni del giudice: lo stesso meccanismo, si possono pagare creditori strategici prima dell’omologa su autorizzazione (tipicamente fornitori che altrimenti interromperebbero consegne essenziali). Tali pagamenti autorizzati sono prededucibili e permessi, e non configurano reato di bancarotta preferenziale. Quindi, non pagare di testa propria “i preferiti”: farlo in modo fai-da-te porta conseguenze (quei creditori rischiano di dover restituire soldi al curatore poi, e tu amministratore rischi accuse). Invece, se c’è un ragionevole bisogno, rivolgiti al giudice della crisi per farti autorizzare i pagamenti che servono.

Esempio: per continuare l’attività hai assoluto bisogno di pagare il fornitore di energia altrimenti stacca la corrente. Chiedi al tribunale in CNC o in concordato in bianco di poter pagare la bolletta arretrata di €50k. Se autorizzato, ok. Se lo fai senza autorizzazione e poi fallisci, quel fornitore potrebbe dover restituire €50k (revocatoria) e tu dover rispondere di aver aggravato la par condicio.

Ci sono casi in cui nonostante il divieto di preferenze, conviene pagare: ad esempio i dipendenti vanno pagati se possibile, perché se si fermano l’azienda muore; oppure l’erario per evitare blocchi su conti. L’importante è documentare che quei pagamenti servivano a mantenere il valore aziendale. In sede di eventuale giudizio, potrai allegare che erano atti di ordinaria amministrazione urgentissimi. Ma è sempre meglio passare dal giudice quando possibile.

D: La composizione negoziata è pubblica? I miei concorrenti/clienti lo verranno a sapere?
R: La fase di composizione negoziata è coperta da riservatezza. L’iscrizione nel registro delle imprese avviene solo di alcuni atti (ad es. se vengono richieste misure protettive, il tribunale pubblica il decreto di conferma misure) , e comunque l’avvio della CNC di per sé non è un’informazione immediatamente accessibile al pubblico generale come un fallimento. Non c’è una pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per dire. Tuttavia, la riservatezza pratica dipende: i creditori convocati sapranno che sei in composizione negoziata (firmeranno accordi di riservatezza però), e se chiedi misure protettive la notizia può trapelare (perché i creditori tutti ricevono notifica del divieto di agire). Unioncamere pubblica statistiche ma non nomi. Quindi è molto più riservata del concordato, che invece è pubblico a tutti gli effetti (registro imprese, Gazzetta, portale creditori). Ciò detto, il mercato ha sue vie: se un’azienda è in crisi, la voce può circolare indipendentemente dalla procedura. Formalmente però la CNC è concepita per tutelare la reputazione: gli incontri con creditori avvengono sotto impegno di riservatezza e la legge prevede che banche e fornitori non possano revocare rapporti solo perché hai avviato la composizione (per evitare “self-fulfilling prophecy”) . Dunque, direi: abbastanza confidenziale, specie se risolvi in pochi mesi e ne esci. Se poi la cosa sfocia in concordato, quello sì sarà pubblico. Nella pratica, molti imprenditori temono di far sapere ai clienti di essere in crisi perché potrebbero perdere commesse. Con la CNC in molti casi riesci a tenerlo limitato al circolo dei creditori stretti. Ma se chiedi protezione, alcuni fornitori scopriranno che non possono farti pignoramenti e intuiranno la situazione. Finora la CNC ha avuto un approccio “low profile”: c’è anche una norma che punisce rivelazioni indebite sulla CNC. Conclusione: non è completamente segreta, ma è confidenziale quanto possibile. Se però vuoi assoluta segretezza, l’unica è fare accordi individuali con ciascun creditore senza chiamare una procedura. Il rovescio è efficacia minore. La CNC cerca di trovare bilanciamento tra efficacia e discrezione.

D: Dopo una procedura concorsuale, l’imprenditore può tornare a fare impresa? Ci sono interdizioni?
R: Dipende dalla procedura e dall’esito: – In concordato preventivo o accordo ristrutturazione, l’imprenditore non subisce interdizioni legali di per sé. Anzi, può mantenere la carica se la società prosegue. Una volta omologato, se è eseguito correttamente, nessun problema a continuare attività. Ci sono solo limitazioni durante la procedura (non può aprire altra società senza informare, ecc.). – In liquidazione giudiziale (fallimento), l’imprenditore persona fisica viene dichiarato incapace per certi atti (perde l’amministrazione dei beni) durante la procedura, e c’è una temporanea interdizione all’esercizio di impresa commerciale senza autorizzazione del giudice delegato. Dopo la chiusura però, se ottiene esdebitazione, può tornare a fare impresa. Se non l’ottiene, tecnicamente può ancora fare impresa ma sarebbe folle farlo con debiti precedenti non pagati. Importante: un fallito non esdebitato se vuole avviare nuova impresa potrebbe incappare in diffidenze (banca può negare fido, ecc.). Ma legalmente, una volta chiuso il fallimento, il divieto cade (in passato c’era la riabilitazione civile, oggi con esdebitazione si è a posto). – Ci sono sanzioni per reati eventualmente: un condannato per bancarotta fraudolenta subisce l’interdizione dai pubblici uffici e dall’impresa per 10 anni di solito. Quindi se emergono reati, quello sì che è un grosso ostacolo a tornare a fare impresa. – Alcuni ordini professionali o albi hanno regole: un fallimento potrebbe implicare la perdita di requisiti in certe gare o licenze, ma non è un divieto generale, dipende dal settore.

In conclusione, se l’imprenditore gestisce onestamente la crisi e ne esce pulito (con concordato adempiuto o fallimento chiuso con esdebitazione), può assolutamente ricominciare. Anzi la legge vuole proprio questo: dare la seconda chance. A livello pratico, a volte ci sono segnalazioni che restano (tipo protesti, cattivi pagatori) da ripulire. Ma non c’è una “pena perpetua” se tutto è fatto secondo le regole. Viceversa, chi brucia la fiducia con atti disonesti avrà poi molte difficoltà (legalmente e reputazionalmente) a ripartire.

Fonti e Riferimenti

  • Codice Civile, artt. 2086, 2476, 2484, 2486 c.c. – Dovere di adeguati assetti e responsabilità organi sociali (modificati dal D.lgs.14/2019) .
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 14/2019, e s.m.i.): artt. 17-25 (Composizione negoziata) , artt. 25-bis (misure premiali fiscali) , artt. 40-48 (Concordato preventivo) , artt. 56-64 (Piano attestato di risanamento e Accordi di ristrutturazione) , art. 63 (Transazione fiscale negli accordi) , art. 84 (Requisiti concordato, 20% minimo ai chirografari in liquidatorio) , art. 94 (Gestione impresa in concordato), art. 112 (Best interest test per omologa) , art. 120-121 (Classi e voto concordato), art. 48, c.5 (Cram-down fiscale).
  • D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021: Istituzione composizione negoziata e concordato semplificato post-negoziazione .
  • D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024: Correttivi al CCII recependo Direttiva UE 2019/1023 – modifiche su transazione fiscale, efficacia estesa accordi, allerta, ecc. .
  • Cass., Sez. Un. civ., 12 febbraio 2025 n. 3625: responsabilità ex soci per debiti tributari società estinta – conferma limite al riscosso e necessità avviso di accertamento .
  • Cass., Sez. I civ., 27 agosto 2025 n. 23963: doveri dell’amministratore di S.r.l. – pagamento di debiti sociali in conflitto d’interessi costituisce inadempimento del dovere di diligenza/lealtà e fonte di responsabilità .
  • Cass., Sez. I civ., ord. 25 novembre 2024 n. 30383; ord. 17 gennaio 2025 n. 1170: fideiussioni bancarie – provvedimento Banca d’Italia 55/2005 riguarda solo fideiussioni omnibus, non specifiche (nullità antitrust circoscritta) .
  • Cass., Sez. III civ., ord. 21 ottobre 2024 n. 27243: orientamento difforme – nullità antitrust estesa anche a fideiussioni specifiche, richiamato da Corte App. Ancona 23 luglio 2025 .
  • Cass., Sez. I civ., 3 novembre 2025 n. 28988: ulteriore conforme a 30383/2024 sul tema fideiussioni (non estensibile a specifiche) .
  • Cass., Sez. Unite civ., 27 novembre 2023 n. 32790: (richiamata) – chiarisce iter azioni ex art.36 DPR 602/73 verso liquidatori/soci dopo cancellazione società .
  • Cass., Sez. I civ., 24 giugno 2025 n. 16916: validità accertamento notificato al socio entro 5 anni da estinzione – responsabilità patrimoniale ex socio per debito fiscale .
  • Tribunale di Monza, 17 aprile 2023: (in Dirittodellacrisi.it) – prima applicazione del concordato semplificato post-composizione negoziata .
  • Direttiva UE 2019/1023 e Relazione ministeriale correttivo 2024: spinte a incentivare composizione negoziata e consentire trattamento debiti fiscali nelle procedure.
  • Linee guida CNDCEC sulla Composizione Negoziata (2022) – indicazioni operative su gestione trattative, ruolo esperto e misure protettive .
  • Osservatorio Unioncamere sulla CNC (Nov. 2023): dati su esiti – ca. 892 trattative chiuse, 109 concordati semplificati avviati .
  • Agenzia Entrate-Riscossione – Guida rateizzazione 2025: nuove regole D.Lgs.110/2024 – ampliamento a 84-96-108 rate e soglia automatica €120k .
  • L. 197/2022 (Legge Bilancio 2023): Definizione agevolata “Rottamazione-quater” debiti 2000-2022 – stralcio sanzioni/interessi, pagamento in 18 rate . Proroghe: D.L. 51/2023 conv. L. 87/2023 (riammissione decaduti) .
  • D.Lgs. 110/2024: riforma riscossione – art.2 modifica art.19 DPR 602/73: estensione piani di dilazione e conferma soglia €120k .
  • Massimario Cassazione: Cass. civ. Sez.Un. 9100/2015 – principio retroattività art.2486 co.3 c.c. (presunzioni danno applicabili a fatti anteriori, in certe condizioni) .
    Cass. civ. Sez.I 8069/2024 – conferma business judgment rule: scelte gestionali insindacabili salvo irragionevolezza grave . Cass. civ. Sez.I 7279/2023 – dovere diligenza ex art.1176 co.2 c.c. per amministratori, citata da Cass.23963/25 .
    Cass. pen. Sez.V 32467/2021 – reati bancarotta: composizione negoziata valutata positivamente su elemento soggettivo (es. riduce profili bancarotta semplice) .
    Cass. civ. Sez.I 1182/2013 – pagamento in esecuzione di piano attestato esente da revocatoria (confermato da art.67 co.3 lett.d L.F. ora 166 CCII) .

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Perché un’Azienda di Cilindri Oleodinamici Va in Debito

Le cause più comuni includono:

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  • rialzo dei prezzi di lavorazioni meccaniche, saldature, trattamenti e collaudi
  • ritardi nei pagamenti da parte di OEM, EPC, cantieri e industrie
  • investimenti in progettazione, R&D, banchi prova e certificazioni
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  • assistenza tecnica, manutenzioni e interventi in campo prima dell’incasso
  • revoca o riduzione delle linee di credito bancarie
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Il vero problema non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi per un’Azienda Oleodinamica con Debiti

Se non intervieni velocemente rischi:

  • pignoramento dei conti correnti
  • blocco dei fidi bancari
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  • decreti ingiuntivi, precetti e azioni esecutive
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  • ritardi e perdita di clienti strategici
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Una crisi finanziaria non gestita può bloccare completamente produzione, assistenza e consegne.


Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato specializzato può:

  • sospendere pignoramenti e azioni esecutive
  • fermare richieste di rientro immediato
  • proteggere i conti correnti
  • evitare il blocco dei fornitori chiave

Prima si mette in sicurezza l’azienda, poi si avvia la ristrutturazione del debito.


2. Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto

Nelle posizioni debitorie si trovano spesso irregolarità:

  • interessi non dovuti o eccessivi
  • sanzioni calcolate male
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori dell’Agenzia Entrate-Riscossione
  • costi bancari anomali

Una parte importante del debito può essere cancellata o ridotta.


3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili

Le soluzioni più efficaci includono:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi di rientro con fornitori strategici
  • rinegoziazione dei fidi bancari
  • sospensione temporanea dei pagamenti
  • uso delle definizioni agevolate quando disponibili

L’obiettivo è ripristinare la liquidità e mantenere la continuità produttiva.


4. Attivare strumenti legali che proteggono l’impresa

Per le situazioni più critiche sono disponibili strumenti come:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • accordi di ristrutturazione
  • concordato minore
  • liquidazione controllata (come ultima scelta)

Queste procedure:

  • bloccano TUTTI i creditori
  • sospendono pignoramenti e azioni esecutive
  • permettono di pagare solo una parte dei debiti
  • consentono di continuare a lavorare

5. Proteggere produzione, magazzino e attrezzature

Per un’azienda di cilindri oleodinamici è essenziale salvaguardare:

  • cilindri, kit di tenuta, steli, pistoni, tubi, testate
  • banchi prova, strumenti di misura, pompe, valvole
  • disegni tecnici, certificazioni e documentazione
  • fornitori critici e reti di lavorazioni esterne
  • continuità delle commesse e delle manutenzioni urgenti

Un blocco del magazzino o delle forniture può fermare istantaneamente tutta la produzione.


Documenti da Consegnare Subito all’Avvocato

  • Elenco completo dei debiti (fiscali, bancari e commerciali)
  • Estratti conto aggiornati
  • Estratto di ruolo
  • Bilanci e documentazione fiscale
  • Listino fornitori strategici con insoluti
  • Inventario di magazzino (cilindri, steli, guarnizioni, tubi, ricambi)
  • Atti giudiziari ricevuti
  • Commesse aperte e piani di consegna

Tempistiche di Intervento

  • Analisi preliminare in 24–72 ore
  • Blocco dei creditori in 48 ore – 7 giorni
  • Piano di ristrutturazione in 30–90 giorni
  • Eventuale procedura giudiziaria in 3–12 mesi

Le protezioni possono attivarsi già dai primi giorni.


Vantaggi di una Difesa Specializzata

  • Stop immediato a pignoramenti
  • Riduzione concreta del debito
  • Protezione di magazzino, macchinari e attrezzature
  • Trattative efficaci con banche, fornitori e Fisco
  • Continuità produttiva e commerciale
  • Salvaguardia del patrimonio personale dell’imprenditore

Errori da Evitare

  • Ignorare solleciti o atti giudiziari
  • Accendere nuovi debiti per coprire vecchi debiti
  • Pagare solo alcuni creditori
  • Lasciare avanzare pignoramenti
  • Affidarsi a società senza reale competenza legale

Ogni errore aumenta il rischio di fermo aziendale.


Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

  • Analisi completa della situazione debitoria
  • Blocco immediato delle azioni dei creditori
  • Piani di ristrutturazione su misura
  • Attivazione degli strumenti giudiziari più efficaci
  • Trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • Tutela totale dell’azienda e dell’imprenditore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di cilindri oleodinamici non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia rapida, tecnica e precisa puoi:

  • fermare subito i creditori
  • ridurre drasticamente i debiti
  • proteggere produzione, collaudi, magazzino e attrezzi
  • mantenere la continuità operativa
  • salvare il tuo futuro imprenditoriale

Il momento per agire è adesso.

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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