Gestisci un negozio di prodotti biologici, naturali o sostenibili e ti trovi in difficoltà economica a causa di debiti con il Fisco, l’INPS, le banche o i fornitori? È una situazione che molti imprenditori del settore stanno affrontando. La crescita della concorrenza, l’aumento dei costi di approvvigionamento e la riduzione dei consumi hanno messo in crisi anche le attività più consolidate. Quando iniziano ad accumularsi cartelle esattoriali, finanziamenti non pagati o contributi arretrati, il rischio di blocchi operativi e pignoramenti diventa reale. La buona notizia è che la legge mette a disposizione strumenti concreti per gestire, rateizzare o cancellare i debiti, tutelando la tua attività e il tuo patrimonio personale.
Perché molti negozi biologici si indebitano
Il settore dei prodotti biologici e naturali ha costi di gestione elevati: l’acquisto di merci di qualità certificata, le spese per l’affitto dei locali, l’energia, il personale e la logistica incidono fortemente sui bilanci. A ciò si aggiunge la concorrenza di grandi catene e piattaforme online, che comprimono i margini di profitto dei negozi indipendenti. I ritardi nei pagamenti da parte dei clienti o delle forniture, insieme alle imposte e ai contributi da versare, creano facilmente situazioni di squilibrio finanziario. Molti imprenditori, per mantenere l’attività, rinviano i versamenti fiscali o previdenziali, accumulando interessi e sanzioni che nel tempo rendono i debiti insostenibili.
Cosa succede se non paghi tasse o contributi
Se i debiti fiscali o contributivi non vengono saldati, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione e gli enti previdenziali possono avviare procedure di recupero. Le più comuni sono la notifica di cartelle esattoriali, i pignoramenti dei conti correnti o degli incassi POS, i fermi amministrativi sui veicoli, le ipoteche sugli immobili e i sequestri dei crediti verso clienti o fornitori. Gli importi aumentano progressivamente per effetto di sanzioni e interessi, aggravando ulteriormente la situazione. Se la tua è una ditta individuale o una società di persone, rispondi personalmente dei debiti, mettendo a rischio anche il patrimonio familiare.
Cosa fare subito se il tuo negozio di prodotti biologici ha debiti
Il primo passo è avere un quadro chiaro della situazione. Richiedi all’Agenzia delle Entrate-Riscossione l’estratto di ruolo aggiornato per conoscere gli importi, le annualità e i creditori. Poi verifica la validità delle cartelle: molte contengono errori di notifica, somme prescritte o calcoli errati che un avvocato può contestare. Se i debiti sono corretti, puoi chiedere la rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo nel frattempo le azioni di riscossione. È utile anche verificare se è attiva una definizione agevolata (rottamazione), che ti permette di pagare solo il capitale, eliminando sanzioni e interessi. Se hai già ricevuto pignoramenti o ipoteche, puoi ottenere la sospensione immediata presentando un ricorso o un’istanza di autotutela.
Le soluzioni legali per chi non riesce più a pagare
Se il debito è troppo alto o la liquidità è insufficiente per sostenere l’attività, puoi accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, disciplinata dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). È una procedura legale rivolta a piccoli imprenditori, artigiani e lavoratori autonomi che consente di bloccare pignoramenti, sospendere le azioni dei creditori e ottenere la cancellazione totale o parziale dei debiti residui (esdebitazione). È uno strumento riconosciuto dai tribunali italiani e rappresenta una concreta possibilità di salvare il negozio o chiudere l’attività in modo ordinato, senza lasciare pendenze fiscali o bancarie.
Come difendersi da banche, finanziarie e fornitori
Molti negozi di prodotti biologici si trovano anche indebitati con banche o fornitori per l’acquisto di merci, attrezzature e arredi. In questi casi puoi chiedere la rinegoziazione dei finanziamenti, la sospensione temporanea delle rate o proporre un saldo e stralcio per chiudere la posizione a un importo ridotto. È inoltre possibile contestare clausole abusive o tassi usurari nei contratti e impugnare decreti ingiuntivi o pignoramenti entro i termini di legge. Un avvocato esperto può assisterti nelle trattative con banche e fornitori, proteggendo i beni aziendali e mantenendo la continuità dell’attività.
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
Una strategia legale ben pianificata può portare a risultati concreti: sospensione dei pignoramenti e delle procedure di riscossione, rateizzazione o cancellazione dei debiti, protezione dei beni personali, continuità del negozio e possibilità di ristrutturare l’attività. In molti casi è possibile rilanciare l’impresa, salvaguardare il personale e ricostruire un equilibrio economico stabile.
Quando rivolgersi a un avvocato esperto
Devi rivolgerti a un avvocato se hai ricevuto cartelle o intimazioni di pagamento, se i debiti fiscali o bancari sono diventati insostenibili o se rischi il blocco dei conti aziendali o la chiusura del negozio. Un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa può bloccare la riscossione, impugnare gli atti illegittimi e accompagnarti nella procedura di esdebitazione fino alla cancellazione definitiva dei debiti. Agire in tempo è l’unico modo per salvare la tua attività e difendere il tuo futuro professionale.
⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o avvisi di pagamento può portare rapidamente a pignoramenti, ipoteche e blocchi dei conti. Intervenire subito è l’unica soluzione per salvare la tua attività e tutelare il tuo patrimonio.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela delle imprese commerciali e artigianali – spiega cosa fare se gestisci un negozio di prodotti biologici con debiti, come bloccare la riscossione e come cancellare legalmente le somme dovute grazie agli strumenti previsti dalla legge.
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Introduzione
Gestire un negozio di prodotti biologici può rivelarsi una sfida, soprattutto quando l’attività accumula debiti di varia natura (fiscali, bancari, verso fornitori, locatori, enti previdenziali ecc.). I margini spesso ridotti del commercio al dettaglio e i costi fissi elevati (affitto del locale, personale, utenze) possono portare l’imprenditore in difficoltà a utilizzare liquidità destinata al fisco o ai contributi per far fronte alle spese correnti . Questo comportamento, se protratto, innesca un circolo vizioso di omessi pagamenti: ad esempio, molti piccoli negozianti finiscono per reimpiegare l’IVA incassata sulle vendite per coprire altre uscite, accumulando debiti IVA trimestrali .
Eventi straordinari come la pandemia da COVID-19 hanno aggravato queste dinamiche: chiusure forzate e cali di fatturato tra il 2020 e il 2021 hanno comportato la sospensione temporanea di alcuni versamenti fiscali e contributivi, poi divenuti arretrati da restituire a rate negli anni seguenti . Molte imprese del settore biologico hanno beneficiato di contributi a fondo perduto e moratorie, ma all’esaurirsi di tali aiuti si sono ritrovate con un carico di debiti fiscali e previdenziali accumulati. A ciò si aggiungono spesso mutui bancari o fidi attivati per sopravvivere durante la crisi, oltre a bollette e canoni di affitto non pagati.
Nel 2023-2025 il Governo ha introdotto strumenti di “tregua fiscale” come la “Rottamazione-quater” (DL 34/2023) per alleggerire i debiti con Agenzia Entrate-Riscossione, consentendo a molti commercianti di cancellare sanzioni e interessi pagando solo l’imposta dovuta . Tuttavia, tali misure risolvono solo in parte il problema: se l’attività non genera abbastanza liquidità da rispettare le rate concordate (di norma spalmate su 5 anni), l’adesione alla rottamazione fallisce e tutti i debiti originari revivono con interessi e sanzioni . Dunque, il debitore potrebbe trovarsi punto e a capo, con in più il tempo perso.
Che cosa può fare, allora, il titolare di un negozio biologico indebitato per difendersi dai creditori e risanare (o liquidare ordinatamente) la propria attività? Questa guida approfondisce dal punto di vista del debitore le strategie di difesa e gli strumenti giuridici oggi disponibili – alla luce delle ultime novità normative (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, correttivi 2022-2024) – per affrontare situazioni di insolvenza o sovraindebitamento. Verranno esaminati i diversi tipi di debito e le relative conseguenze (fisco, banche, fornitori, locatore, INPS, agente della riscossione), nonché le soluzioni pratiche: dagli accordi stragiudiziali alle nuove procedure di composizione della crisi (composizione negoziata, concordato minore, piano di ristrutturazione del consumatore, ecc.), fino all’eventuale liquidazione dell’attività con esdebitazione finale.
Il taglio è avanzato ma divulgativo. Saranno utilizzati termini tecnici (falcidia, cram-down, esdebitazione, etc.) spiegandone il significato. Tabelle riepilogative aiuteranno a confrontare opzioni, e una sezione di domande e risposte frequenti (FAQ) chiarirà i dubbi più comuni. Infine, alcuni casi pratici simulati illustreranno come applicare queste soluzioni in scenari reali (un caso di ristrutturazione e uno di liquidazione). Le fonti normative e le sentenze più recenti vengono citate nel testo e raccolte in fondo alla guida per consentire approfondimenti ulteriori.
Obiettivo: offrire al titolare di un negozio biologico indebitato una mappa chiara di cosa fare e come difendersi, valutando pro e contro di ogni scelta, per uscire dalla crisi nel modo meno doloroso possibile e – ove fattibile – ripartire senza lo spettro dei debiti passati.
Tipologie di debiti e relativi rischi
Un negozio di prodotti biologici in difficoltà finanziaria può accumulare debiti di vario genere. È fondamentale distinguere le diverse tipologie di creditori e capire le conseguenze di legge specifiche per ciascuna, così da adottare strategie di difesa mirate. Di seguito esaminiamo i principali debiti che gravano su un piccolo esercizio commerciale e i rischi connessi per il debitore.
Debiti fiscali (Erario e Agenzia Entrate-Riscossione)
I debiti tributari comprendono imposte non versate come l’IVA sulle vendite, l’IRPEF o IRES sui redditi d’impresa, l’IRAP, oltre a eventuali imposte locali (IMU, TARI) legate all’attività. Per un negozio al dettaglio, l’IVA rappresenta spesso il carico più gravoso: va versata anche se i margini di guadagno sono esigui, e un calo di vendite può indurre l’imprenditore a “prendere in prestito” l’IVA incassata per pagare altre spese urgenti . Ciò genera ben presto omessi versamenti IVA, con l’accumulo di cartelle esattoriali. Analogo discorso vale per le ritenute fiscali non versate (es. le ritenute IRPEF sui dipendenti o sui compensi dei collaboratori): l’utilizzo di tali somme per finanziare la gestione corrente configura debiti verso l’Erario.
Le conseguenze dei debiti fiscali sono particolarmente onerose: sulle somme non pagate maturano interessi di mora e sanzioni tributarie. L’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) può iscrivere ipoteca sui beni immobili del debitore o della società (basta un debito iscrittO a ruolo sopra €20.000) e può disporre il fermo amministrativo dei beni mobili registrati, ad esempio automezzi (per debiti da €1.000 in su). Inoltre, trascorsi i termini di legge, può attivare procedure esecutive senza bisogno di un ulteriore giudizio: pignoramento di conti correnti, di beni mobili presso la sede dell’attività, e anche di immobili di proprietà. Tali atti possono mettere in ginocchio l’operatività di un negozio (si pensi al pignoramento del conto aziendale o al fermo del veicolo per le consegne).
Va evidenziato poi il profilo penale: l’ordinamento italiano punisce come reati tributari taluni omessi versamenti di imposte. In particolare, l’omesso versamento di IVA per importi superiori a €250.000 annui e l’omesso versamento di ritenute dovute oltre €150.000 annui costituiscono reato (punito con la reclusione) . Per importi inferiori a tali soglie, il fatto resta un illecito amministrativo (sanzione pecuniaria), ma non penale. Nel caso dei tributi locali (IMU, Tari) non sono previste soglie di punibilità penale, ma solo azioni di recupero coattivo. Recenti riforme hanno introdotto una causa di non punibilità per l’imprenditore che si trova in grave crisi di liquidità non imputabile a sua colpa e che adempie al debito tributario anche parzialmente attraverso le procedure di crisi . In altre parole, la legge oggi tende a distinguere tra evasori seriali e imprenditori onesti colpiti da eventi avversi: se questi ultimi attivano tempestivamente strumenti come il concordato o il sovraindebitamento per regolarizzare la posizione fiscale, possono evitare condanne penali (o attenuarne le conseguenze) . Resta comunque il fatto che, superate certe soglie, il rischio penale esiste e funge da forte incentivo a trovare una soluzione prima che sia troppo tardi.
Come difendersi dai debiti fiscali? Anzitutto, verificare la legittimità delle pretese: se alcune cartelle esattoriali sono prescritte o infondate, è possibile presentare un ricorso tributario o un’istanza di sgravio. In mancanza di contestazioni nel merito, il contribuente può chiedere una rateizzazione amministrativa all’Agente della Riscossione (ex art. 19 D.P.R. 602/1973): normalmente fino a 72 rate mensili (6 anni) oppure, in casi di grave difficoltà comprovata, fino a 120 rate (10 anni) . Dal 2023 sono state introdotte dilazioni straordinarie fino a 120 rate con procedure semplificate per debiti sotto €120.000. Attenzione: la rateizzazione evita azioni esecutive solo se si rispettano puntualmente le scadenze; al terzo mancato pagamento il piano decade.
Strumenti una tantum come i condoni o le definizioni agevolate (rottamazione delle cartelle) possono dare respiro, ma come visto il loro effetto è temporaneo e condizionato alla capacità di sostenere i pagamenti dilazionati . Nel 2023, ad esempio, la Rottamazione-quater ha consentito di cancellare sanzioni e interessi su carichi affidati al ruolo entro il 30 giugno 2022 . Molti negozianti vi hanno aderito, ma occorre essere realistici: se l’importo, pur decurtato, rimane troppo elevato rispetto ai flussi di cassa, il rischio di decadere dal beneficio è alto .
In caso di difficoltà strutturale nel pagare i tributi, il vero “scudo” è rappresentato dalle procedure concorsuali o di composizione della crisi (descritte più avanti). Queste procedure – dal concordato preventivo agli accordi di ristrutturazione, fino al piano del consumatore o al concordato minore per i non fallibili – permettono di congelare le azioni esecutive del Fisco e perfino di trattare a saldo e stralcio i debiti tributari tramite la transazione fiscale. Il Codice della Crisi prevede espressamente che nei piani di risanamento e nei concordati il trattamento dei crediti tributari possa comportare il pagamento parziale (c.d. falcidia) dell’imposta dovuta e/o l’azzeramento di sanzioni e interessi, a condizione che la proposta risulti più conveniente di una liquidazione forzata . Addirittura, se l’Erario rifiuta l’accordo irragionevolmente, il tribunale può omologare ugualmente il piano (cram-down fiscale), garantendo così un taglio del debito fiscale anche senza il consenso del Fisco (ci torneremo nelle sezioni dedicate alle procedure).
In sintesi, i debiti fiscali sono tra i più insidiosi per un’impresa in crisi, ma l’ordinamento offre sia misure amministrative (rateazioni, sospensioni, rottamazioni) sia soluzioni concorsuali che consentono di diluire o ridurre il carico tributario. Il debitore deve tuttavia agire tempestivamente: ignorare le cartelle o accumulare ritardi porta solo ad aggravare la situazione con interessi, sanzioni e possibili problemi penali. Meglio affrontare il problema a viso aperto, con l’assistenza di un professionista, valutando un piano di rientro sostenibile o l’accesso a procedure di composizione della crisi per proteggere l’attività e, nei casi estremi, il proprio patrimonio personale.
Debiti contributivi (INPS e altri enti previdenziali)
Accanto ai tributi, un negozio con dipendenti (o un imprenditore individuale iscritto a gestioni previdenziali) può accumulare debiti verso enti previdenziali, principalmente l’INPS. Questi debiti derivano da contributi obbligatori non versati: ad esempio, i contributi dovuti alla GestionE Commercianti per il titolare della ditta individuale, oppure i contributi previdenziali e assistenziali per i lavoratori dipendenti (contributi pensionistici, assicurativi INAIL, TFR al Fondo di Tesoreria, ecc.).
Le conseguenze dei debiti INPS sono in parte analoghe a quelle fiscali: l’INPS iscrive a ruolo le somme dovute, che confluiscono in cartelle esattoriali gestite da Agenzia della Riscossione. Anche qui maturano interessi e sanzioni civili (spesso elevate, nella misura di legge). In alcuni casi l’INPS può irrogare sanzioni civili per evasione se rileva un mancato pagamento intenzionale di contributi, con aliquote punitive aggiuntive. Se il negozio ha dipendenti, l’omissione contributiva lede diritti fondamentali dei lavoratori (pensioni, assistenza): per questo il legislatore punisce penalmente il datore di lavoro che non versa le ritenute previdenziali sulle retribuzioni entro il termine previsto. In particolare, omettere il versamento delle ritenute INPS per un importo superiore a €10.000 annui è reato (art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983 conv. in L. 638/83), mentre sotto tale soglia costituisce illecito amministrativo. La soglia di punibilità è stata innalzata di recente (prima era €5.000) e attualmente l’orientamento giurisprudenziale è rigoroso: la temporanea difficoltà economica non esonera da responsabilità penale oltre la soglia, a meno che si provi una causa di forza maggiore. Ad esempio, la Cassazione ha ribadito nel 2024 che la scelta dell’imprenditore in crisi di pagare i dipendenti netti anziché versare i contributi non esclude il dolo del reato di omesso versamento, salvo circostanze eccezionali .
Ciò detto, analogamente ai debiti fiscali, la recente riforma ha introdotto attenuanti e cause di non punibilità se il datore di lavoro in crisi attiva procedure per regolarizzare la posizione (o se la crisi non gli era imputabile) . In ogni caso, l’obiettivo principale dev’essere salvare i diritti dei lavoratori ed evitare di aggravare il buco contributivo. Infatti, in caso di procedura concorsuale o accordo di ristrutturazione, i crediti per contributi previdenziali godono di privilegio generale sui beni del datore di lavoro (ex art. 2753 c.c.) e devono essere soddisfatti prioritariamente, almeno in parte. L’INPS tende per prassi a non acconsentire a falcidie sui contributi dovuti ai lavoratori (ritenendo prioritario il loro integrale pagamento), ma se la procedura dimostra che la massa attiva non consente di pagarli al 100%, anche l’INPS dovrà accettare un pagamento parziale in concorso con gli altri creditori chirografari . Ad esempio, in un concordato preventivo l’INPS ha diritto di voto nella classe dei crediti contributivi e spesso vota contrario a proposte di parziale pagamento; tuttavia, se la maggioranza dei creditori è favorevole e la proposta è più vantaggiosa del fallimento, il tribunale può omologare il concordato anche senza l’ok dell’INPS .
Per difendersi dai debiti contributivi, il debitore può innanzitutto chiedere all’INPS una dilazione del pagamento: l’INPS concede rateazioni di norma fino a 24 mesi (2 anni) per contributi omessi, estensibili in casi eccezionali. Come per le cartelle fiscali, esistono piani straordinari fino a 36 o 60 mesi se autorizzati ministerialmente, ma oltre i 2 anni servono garanzie e la dimostrazione di una temporanea situazione di crisi superabile. È importante attivarsi presto: se l’INPS non riceve alcuna richiesta e il debito resta insoluto, passa rapidamente all’iscrizione a ruolo e quindi al recupero forzoso tramite Agenzia Entrate-Riscossione.
Un punto cruciale: proteggere il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva). Un negozio con dipendenti o che partecipa a filiere certificate deve mantenere il DURC regolare per poter svolgere l’attività (ad esempio per accedere a finanziamenti pubblici o convenzioni). In caso di arretrati, l’INPS normalmente non rilascia il DURC. Tuttavia, durante una procedura concorsuale in continuità (come un concordato preventivo con prosecuzione dell’attività), il debitore può ottenere dal tribunale l’autorizzazione a proseguire l’esercizio e pagare i contributi correnti, e in tal caso l’INPS può rilasciare un DURC provvisorio valido durante la procedura . Ciò è fondamentale per non perdere appalti o forniture durante la ristrutturazione.
In definitiva, i debiti verso l’INPS vanno trattati con pari attenzione rispetto a quelli fiscali. Le leve difensive sono: verifica di eventuali errori (ad es., periodi prescritti), richiesta di rateazione amministrativa all’INPS o all’Agente della Riscossione, e se necessario accesso a procedure concorsuali che congelino le azioni esecutive e permettano di ristrutturare anche questi crediti. Nel farlo, occorre tenere a mente la sensibilità sociale del credito contributivo: un piano di rientro ben fatto dovrà prevedere il soddisfacimento dei contributi per quanto possibile, magari sfruttando asset non essenziali o risorse straordinarie, così da rendere la proposta accettabile anche all’ente previdenziale (o comunque imponibile dal giudice in sede di omologa, dimostrando la convenienza). L’imprenditore che mostra di aver privilegiato i dipendenti (pagando i netti) rispetto ai contributi potrà giustificarsi solo se intraprende un percorso virtuoso per saldare almeno in parte il dovuto: ignorare il problema aggraverebbe la sua posizione sia economica che legale.
Debiti bancari e finanziari
Un negozio biologico potrebbe aver contratto debiti con banche o altri finanziatori per avviare o sostenere l’attività. Si pensi a un mutuo per l’acquisto del locale, a un finanziamento per le attrezzature (frigoriferi, arredamento) o a un affidamento di conto corrente (fido bancario) per integrare la liquidità. In tempi di crisi, inoltre, l’imprenditore spesso ricorre a linee di credito aggiuntive: anticipo su fatture, scoperti bancari, leasing su veicoli o macchinari, oppure prestiti da finanziarie. Queste esposizioni comportano obblighi di rimborso rateale; il loro mancato pagamento espone a conseguenze immediate e severe.
In particolare, le banche tendono a prevedere nei contratti clausole di decadenza dal beneficio del termine: se il debitore salta anche una sola rata (o comunque non rispetta determinati covenants finanziari), l’intero importo a scadere del mutuo o finanziamento diviene esigibile in un’unica soluzione. Ciò significa che la banca può revocare il finanziamento e pretendere subito tutto il capitale residuo in caso di inadempimento. Inoltre, la banca quasi sempre ha ottenuto garanzie: un mutuo immobiliare è garantito da ipoteca; un fido o un prestito aziendale spesso sono garantiti da una fideiussione personale dei titolari o dei soci, oppure da pegni su polizze, pegni su merci o altre garanzie collaterali. In caso di insolvenza, la banca può escutere le garanzie senza dover passare da un tribunale (se si tratta di garanzie autonome) o attivando rapidamente decreti ingiuntivi ed esecuzioni forzate.
Ad esempio, se il negozio è condotto tramite una S.r.l. ma i soci hanno firmato fideiussioni “omnibus” a favore della banca, l’insolvenza della società farà ricadere il debito direttamente sui garanti nel momento in cui la società non paga. Il patrimonio personale degli imprenditori, quindi, può essere aggredito dalla banca tramite pignoramenti immobiliari (sulla casa, se non esente), pignoramenti di stipendi o conti correnti personali, ecc. Il rischio patrimoniale è molto concreto, specie nelle piccole attività dove il confine tra finanze aziendali e personali è labile.
Sul piano della difesa, i debiti bancari richiedono un approccio diverso da quelli verso enti pubblici. Le banche sono creditori privati e possono negoziare liberamente ristrutturazioni del debito, ma la loro disponibilità dipende dalla convenienza economica: difficilmente rinunciano a fette significative di credito salvo intravedere un beneficio maggiore rispetto all’incasso via procedura esecutiva o fallimentare. Pertanto, il titolare indebitato potrà tentare una rinegoziazione spontanea: ad esempio, chiedere una moratoria delle rate per 6-12 mesi (spesso accordata in caso di crisi temporanea), o un allungamento del piano di ammortamento per ridurre l’importo delle singole rate. Dal 2020, anche grazie ad accordi ABI (Associazione Bancaria Italiana), sono state offerte moratorie straordinarie sui mutui alle PMI colpite dalla pandemia. Verificare la possibilità di aderirvi o di ottenere provvedimenti simili è un primo passo.
Se la situazione è più grave (insolvenza conclamata), la strategia difensiva principale consiste nell’includere i debiti bancari all’interno di un piano di risanamento o di una procedura concorsuale. Ad esempio, in un concordato preventivo o in un concordato minore, i debiti finanziari possono essere ristrutturati: i crediti chirografari (senza garanzie reali) potranno venire pagati parzialmente in base alle disponibilità, mentre i crediti ipotecari o pignoratizi (garantiti da pegno, ipoteca) saranno soddisfatti almeno nei limiti del valore del bene dato in garanzia (art. 2855 c.c.). La parte eventualmente eccedente diventerà chirografaria e potrà subire decurtazioni. Le banche votano nei concordati in apposite classi e spesso partecipano attivamente alle trattative di ristrutturazione. È anche possibile perseguire un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII (originariamente art. 182-bis L.F.): se si ottiene l’adesione del 60% dei creditori finanziari, l’accordo può essere omologato dal tribunale e diventare vincolante, lasciando eventualmente fuori solo i pochi dissenzienti (che però in genere vanno pagati integralmente fuori accordo per ottenere l’omologa).
Un altro strumento da valutare è il piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 L.F.): si tratta di un accordo privato col ceto bancario e altri creditori, fondato su un piano finanziario attestato da un professionista indipendente che certifichi la realizzabilità del risanamento e il riequilibrio di bilancio. Il vantaggio del piano attestato è che evita la procedura giudiziale: mantiene riservata la crisi e consente al debitore di proseguire l’attività senza l’“etichetta” del concordato. Inoltre, i pagamenti e le garanzie concesse in esecuzione di un piano attestato non sono soggetti a revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento (art. 56 co.3 CCII), il che incentiva le banche ad accettare ristrutturazioni volontarie. Tuttavia, il piano attestato richiede il consenso di tutti i principali creditori: basta che una banca dissenziente avvii un pignoramento aggressivo perché l’accordo salti. Dunque è uno strumento efficace solo quando c’è coesione e ragionevole fiducia reciproca tra debitore e creditori finanziari.
In sintesi, come proteggersi dai debiti bancari? Alcuni punti chiave per il debitore:
- Evitare l’effetto domino: se si prevede di saltare una rata, contattare subito la banca per trovare un accordo temporaneo (riduzione o sospensione dei pagamenti) ed evitare la segnalazione a sofferenza o la revoca dei fidi. La trasparenza può indurre la banca ad attendere.
- Inventariare le garanzie: sapere quali beni sono a pegno/ipoteca e quali debiti sono garantiti da fideiussioni personali. Questo consente di capire il perimetro del rischio patrimoniale personale. Ad esempio, se un socio ha garantito un debito da €50.000 con fideiussione, quel socio valuterà se attivare egli stesso una procedura di sovraindebitamento personale per gestire il debito qualora la società non paghi.
- Negoziare in una cornice formale: spesso le banche, per politica interna, preferiscono aderire a un concordato preventivo o a un accordo omologato dal tribunale piuttosto che stipulare accordi privati “troppo favorevoli” al debitore. Questo perché nelle procedure formali il taglio del credito è giustificato dal rispetto della legge e da una perizia di fattibilità, mentre un accordo stragiudiziale potrebbe esporre il funzionario bancario a responsabilità. Coinvolgere dunque la banca in un percorso OCC (Organismo di Composizione della Crisi) o in una composizione negoziata con l’ausilio di un esperto terzo può facilitare l’accettazione di sacrifici da parte dell’istituto.
- Valutare il “pegno sui crediti futuri”: a volte le banche accettano di stralciare parte del debito se il debitore offre subito un pagamento cash (magari grazie a un nuovo investitore o familiare) a saldo e stralcio. Questa è una soluzione extra-giudiziale percorribile se si riesce a raccogliere una certa somma forfettaria: si chiude il debito con la banca con uno sconto, evitando anni di rate. Attenzione però a non violare la par condicio: se si è già in stato d’insolvenza, pagare fuori accordo un creditore (banca) a scapito di altri potrebbe essere revocabile o contestato dagli altri creditori. Meglio farlo, se possibile, prima di avviare procedure formali e comunque con criterio (ad esempio, se la banca è garantita da ipoteca, pagarla subito può liberare un immobile da destinare poi a garantire nuovi finanziamenti).
- Protezione in concordato: con la presentazione di un ricorso per concordato o ristrutturazione ex art. 44 CCII, scatta l’automatic stay sulle azioni esecutive (incluse quelle delle banche) e la sospensione delle ipoteche giudiziali in corso. Questo dà respiro al negozio e impedisce, ad esempio, che la banca pignori i beni in garanzia mentre si cerca una soluzione concordata .
Riassumendo, i debiti bancari vanno affrontati non appena emergono segnali di tensione finanziaria. Una volta che la banca perde fiducia e revoca i fidi, per il negozio è spesso il colpo di grazia. Pertanto conviene agire prima, negoziando quando ancora l’attività ha prospettive, oppure inserendo la banca in un piano di risanamento più ampio dove anche gli altri creditori fanno la loro parte. Se tutto fallisce, ricordiamo che il fallimento (oggi “liquidazione giudiziale”) della società o la liquidazione del patrimonio personale sono soluzioni di ultima istanza che, pur drammatiche, consentono poi di voltare pagina con la liberazione dai debiti residui (per le persone fisiche). Ma prima di arrivare a quel punto, come vedremo, esistono diversi strumenti per ristrutturare il debito mantenendo in vita l’impresa, o quantomeno chiudere dignitosamente evitando l’aggressione disordinata del patrimonio.
Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali
Nel corso dell’attività quotidiana, un negozio biologico acquista merce da produttori e grossisti (alimenti bio, cosmetici naturali, integratori, ecc.), contrae servizi (es. consulenze marketing, pulizie, utenze) e può prendere beni in locazione operativa. Quando le vendite calano e la cassa langue, è comune iniziare a pagare in ritardo i fornitori di merci e servizi. I debiti commerciali spesso costituiscono una porzione consistente dell’indebitamento di un esercizio in crisi – insieme ai debiti fiscali – e hanno un impatto immediato: il fornitore non pagato può sospendere ulteriori consegne o interrompere i servizi, mettendo in difficoltà operativa il negozio (mancanza di prodotti sugli scaffali, etc.). Inoltre, alcuni fornitori possono vantare titoli di credito (pagherò, tratte) o comunque agire rapidamente per il recupero: tipicamente, dopo ripetuti solleciti, un creditore insoddisfatto si rivolgerà a un legale per emettere un decreto ingiuntivo.
La procedura del decreto ingiuntivo permette al fornitore di ottenere in poche settimane un titolo esecutivo dal giudice, basato su fatture non pagate risultanti dai documenti contabili. Se il debitore non si oppone entro 40 giorni e non paga, il decreto diventa definitivo e il creditore può attivare un pignoramento dei beni. Nel contesto di un negozio, i fornitori potrebbero cercare di pignorare l’incasso nella cassa (azione complessa ma possibile), i beni presenti nel locale (scaffali, registratori di cassa, computer – anche se spesso di valore modesto), oppure puntare a pignorare conti correnti o crediti verso terzi (ad esempio, se il negozio vanta a sua volta crediti verso qualche cliente). Un singolo fornitore con un credito modesto raramente avvia azioni esecutive costose, ma più fornitori potrebbero agire contemporaneamente, aggravando la pressione.
C’è poi il danno reputazionale: un negozio noto nell’ambiente come cattivo pagatore rischia di perdere la fiducia anche di fornitori nuovi o di avere peggiori condizioni commerciali (riduzione dei termini di pagamento, richiesta di pagamento anticipato). La difficoltà di approvvigionarsi di merce fresca di qualità (fondamentale per un negozio bio) può innescare un circolo vizioso portando ulteriori perdite di clientela.
Come può difendersi il debitore verso i fornitori? Innanzitutto attraverso la trattativa: i fornitori, a differenza del Fisco, possono accettare accordi di dilazione o saldo e stralcio in maniera flessibile. Spesso preferiscono incassare magari il 50-60% del dovuto subito o in poche tranche, anziché intraprendere lunghe cause rischiando di non recuperare nulla se l’impresa fallisce. Pertanto, il titolare dovrebbe comunicare apertamente con i fornitori strategici, spiegando la situazione e proponendo un piano di rientro credibile (es.: pagamento di una parte subito – magari grazie a uno stock finanziamento – e il resto in 6-12 mesi). È buona norma formalizzare tali accordi per iscritto, eventualmente prevedendo che il fornitore rinunci ad azioni legali fintanto che il piano è rispettato. Questo approccio rientra nelle soluzioni stragiudiziali e può riuscire se il numero di creditori è limitato e l’importo dei debiti gestibile.
Tuttavia, quando i fornitori insoluti sono molti e le risorse scarse, può essere inevitabile ricorrere a una procedura concorsuale anche per i debiti commerciali. Nel concordato preventivo o nel concordato minore, i fornitori rientrano tra i creditori chirografari: essi voteranno sulla proposta e, in caso di omologazione, saranno tenuti ad accettare la percentuale di pagamento stabilita (es.: 30%, 40% del credito in 2-3 anni). L’omologazione del concordato impedisce ai fornitori di agire individualmente e li vincola all’esecuzione del piano, anche se in dissenso (la maggioranza favorevole cram-down impone la soluzione alla minoranza dissenziente). Un vantaggio del concordato per il debitore è poter cancellare formalmente tutti i debiti chirografari al termine, liberandosi delle posizioni pendenti; lo svantaggio è che la percentuale offerta deve essere comunque superiore a quanto quei creditori otterrebbero in caso di liquidazione fallimentare, altrimenti questi potrebbero opporsi con successo.
Se invece si opta per un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (60% consensi), spesso i fornitori medio-piccoli restano fuori dall’accordo ma vengono pagati integralmente (magari dilazionato) per evitare contestazioni, mentre i fornitori principali concedono uno stralcio. Questa strada è praticabile solo in aziende più strutturate; per un piccolo negozio, la via maestra resta il concordato minore o la liquidazione controllata.
Infine, non bisogna trascurare i fornitori privilegiati: alcuni debiti verso fornitori possono essere assistiti da privilegio generale o speciale. Ad esempio, se il negozio ha commissionato lavori edili di ristrutturazione, l’impresa edile potrebbe avere privilegio sull’immobile ristrutturato (se di proprietà); oppure i professionisti (avvocati, commercialisti) vantano privilegio generale sui mobili del debitore per le loro parcelle. Questi crediti privilegiati vanno trattati con riguardo, perché in caso di procedura andranno soddisfatti prima dei chirografari (generalmente al 100% o comunque fino a capienza del bene su cui insiste il privilegio).
In conclusione, i debiti verso fornitori richiedono un approccio diplomatico e tempestivo: meglio proporre uno sconto concordato sul debito quando il problema emerge, piuttosto che attendere decreti ingiuntivi e pignoramenti. Molti fornitori abituali, pur malcontenti, preferiranno mantenere un cliente (seppur in difficoltà) piuttosto che perderlo del tutto o farlo fallire (col rischio di recuperare zero). Dal lato legale, l’imprenditore deve prestare attenzione a non favorire in modo arbitrario un fornitore a scapito di altri quando è prossimo all’insolvenza: pagare selettivamente un solo fornitore (ad esempio un parente) lasciando gli altri a bocca asciutta potrebbe essere censurato come atto di favoritismo passibile di revocatoria in caso di successivo fallimento. Le procedure collegiali (concordato, sovraindebitamento) servono proprio a evitare queste disparità, imponendo un trattamento paritario secondo il grado di privilegio. Pertanto, se i debiti commerciali sono ingestibili con accordi individuali, sarà opportuno convogliare tutti i fornitori in un unico piano omogeneo, presentato al tribunale con la supervisione di un OCC o di un commissario, così da risolvere la crisi in modo ordinato e definitivo.
Debiti per canoni di locazione (morosità dell’affitto)
La maggior parte dei negozi biologici opera in immobili in locazione commerciale. Il canone d’affitto rappresenta spesso una voce rilevante di costo fisso mensile. Quando l’attività è in sofferenza, può capitare di non riuscire a pagare puntualmente il canone al proprietario (locatore) del locale. La morosità nel pagamento dell’affitto espone a un rischio immediato e critico: la perdita dei locali a seguito di sfratto. Infatti, la legge (art. 5 L. 392/1978) consente al locatore di attivare la procedura di sfratto per morosità non appena l’inquilino accumuli anche un solo mese di ritardo oltre la tolleranza contrattuale (di solito 20 giorni dalla scadenza). Nel concreto, il locatore, tramite avvocato, può notificare un’intimazione di sfratto con contestuale citazione per la convalida davanti al tribunale competente. Tra la notifica e l’udienza di convalida devono intercorrere almeno 20 giorni liberi . Se alla prima udienza il conduttore (negoziante) non paga i canoni scaduti e accessori (oneri condominiali) né presenta valide ragioni di opposizione, il giudice convalida lo sfratto, fissando la data di rilascio dell’immobile (di solito entro 30 giorni) .
È importante sapere che la legge concede al conduttore moroso una sola possibilità di “grazia”: può evitare lo sfratto pagando tutti gli arretrati (più interessi e spese legali) al più tardi all’udienza di convalida. In tal caso lo sfratto viene annullato per “avvenuto pagamento”. Tuttavia, questa possibilità di sanatoria può essere utilizzata una sola volta; se la morosità si ripete, il giudice non può concedere ulteriori termini e lo sfratto verrà convalidato senza remissione.
Per un negozio, perdere il locale significa spesso dover chiudere l’attività (a meno di trovare in extremis un’altra sistemazione, cosa non facile specie se si è già indebitati e senza liquidità per una nuova cauzione). Inoltre, il locatore non si limita a liberare l’immobile: può agire per recuperare i canoni insoluti e le indennità previste. In particolare, il conduttore moroso resta obbligato a pagare: i canoni scaduti, gli interessi moratori, le spese legali, e un’indennità di occupazione per il periodo di ritardo nel rilascio. Inoltre, se il contratto viene risolto anticipatamente per morosità, il locatore ha diritto a un’indennità per perdita dell’avviamento (pari a 18 mensilità dell’ultimo canone per gli immobili commerciali, ex art. 34 L. 392/1978), tranne che nei casi di grave inadempimento del conduttore. La morosità può configurare tale grave inadempimento, quindi vi sono dibattiti sull’applicabilità dell’indennità di avviamento in caso di sfratto per morosità: normalmente l’indennità non spetta quando il conduttore è sfrattato perché ritenuto responsabile della risoluzione. Ciò significa che il locatore potrebbe avanzare solo pretese per i canoni persi fino a nuova locazione e per eventuali danni da mancato incasso, ma non l’indennità di avviamento. Tuttavia, resta il fatto che l’imprenditore perderà il negozio e dovrà farsi carico dei debiti verso il proprietario.
Come tutelarsi? Per prima cosa, comunicazione col locatore: se la crisi è temporanea (es. un paio di mesi difficili), vale la pena informare il proprietario chiedendo una dilazione. Alcuni locatori, pur di non trovarsi il locale sfitto (specie se di nicchia come un negozio bio), possono accettare di posticipare o rateizzare alcuni canoni, oppure di utilizzare il deposito cauzionale a compensazione di mensilità non pagate (richiedendo poi di reintegrarlo in seguito). Ogni accordo va messo per iscritto, preferibilmente, per evitare malintesi. Nel 2020-21, durante il Covid, molti locatori hanno spontaneamente ridotto o congelato i canoni per aiutare i negozi in difficoltà. In tempi normali, però, ciò dipende dalla volontà del singolo proprietario.
Se l’accordo bonario fallisce e parte la procedura di sfratto, il conduttore potrà ancora bloccarla solo pagando tutti gli arretrati prima o al più tardi in udienza. Se ciò non è possibile, e tuttavia l’attività ha prospettive (ad esempio, il negozio vorrebbe continuare se si ristrutturano i debiti), conviene valutare il ricorso a una procedura concorsuale prima che lo sfratto sia convalidato. Questo perché con l’apertura di procedure come il concordato preventivo o il concordato minore, scatta il divieto di proseguire o iniziare azioni esecutive individuali ex lege. Lo sfratto per morosità, in giurisprudenza, è considerato una procedura esecutiva “sui generis” e la notifica del ricorso per concordato potrebbe non sospendere automaticamente lo sfratto (poiché si tratta di rilascio immobile e non esecuzione per denaro). Tuttavia, il debitore in concordato ha la facoltà di sciogliersi dai contratti in corso con autorizzazione del tribunale (art. 94 CCII) – inclusi i contratti di locazione – senza incorrere in penali, con gli eventuali danni subiti dal locatore degradati a crediti chirografari nel concordato. In pratica, se il negozio sceglie di chiudere, può risolvere anticipatamente il contratto d’affitto in concordato, e il locatore avrà solo un credito concorsuale per i canoni residui e i danni (spesso insoddisfatto in parte). Se invece il negozio intende proseguire l’attività nei locali, deve fare in modo di regolarizzare i pagamenti correnti: nelle procedure in continuità, i canoni che maturano dopo l’apertura sono considerati crediti prededucibili e vanno pagati integralmente, pena la decadenza dall’uso dell’immobile. Il tribunale, sentito eventualmente il commissario, può autorizzare il debitore in concordato a continuare il contratto di locazione purché sia funzionale al piano e non rechi pregiudizio ai creditori (art. 95 CCII). In tal caso, i canoni pregressi non pagati rientrano nei debiti concorsuali (generalmente chirografari) del locatore, mentre i canoni successivi devono essere pagati regolarmente in prededuzione.
In un piano di sovraindebitamento (piano del consumatore o concordato minore) il discorso è analogo: il conduttore può decidere se mantenere il contratto di affitto (continuando a pagare i canoni futuri) o se rinunciarvi. Se rinuncia, libera il locale e il locatore rimane creditore nel piano per i canoni scaduti; se mantiene il contratto, occorrerà nel piano prevedere il pagamento integrale dei canoni maturati post-procedura e probabilmente anche una soddisfazione dei canoni pregressi in misura almeno pari a quella offerta ad altri chirografari.
Da quanto sopra emerge che la difesa migliore contro i debiti da locazione è la prevenzione: parlare con il locatore e magari rinegoziare il canone (ad esempio, trasformando una parte in canone variabile legato al fatturato, formula talvolta usata per superare le crisi temporanee). Se ciò non basta e la situazione precipita, inserire il debito del locatore in un quadro concordatario consente di guadagnare tempo o di chiudere l’obbligazione in modo ordinato. Certo, se l’attività di vendita dipende strettamente da quella specifica location (clientela locale fidelizzata, ecc.), perdere il posto può equivalere a cessare l’impresa. In quel caso, se non si vede via di pagare l’affitto, la soluzione può essere una liquidazione controllata: chiudere il negozio, liquidare le merci rimaste e inserire il locatore tra i creditori che verranno soddisfatti parzialmente, per poi azzerare i debiti con l’esdebitazione (come vedremo più avanti nella simulazione pratica di liquidazione).
Nota: evitate mosse peggiori del male, come non riconsegnare il locale dopo la convalida di sfratto sperando di trascinare i tempi. È vero che l’ufficiale giudiziario impiega qualche tempo per l’esecuzione forzata, ma durante quell’intervallo maturano indennità di occupazione e ulteriori spese a carico del conduttore, e la reputazione professionale viene distrutta. Meglio usare quel tempo per portare via la merce e liberare spontaneamente il locale, magari trovando un accordo con il proprietario per limitare i danni (es. rinuncia reciproca a pretese oltre una certa soglia). In definitiva, affrontare la morosità dell’affitto con lucidità – negoziando se possibile, o pianificando l’uscita se necessario – è cruciale per non compromettere ogni possibilità di ripresa.
Altre tipologie di debiti
Oltre ai grandi capitoli sopra esaminati, un negozio può presentare altre passività, tra cui:
- Debiti verso fornitori di utenze: bollette di luce, acqua, telefono/internet non pagate. Questi creditori (utility) di solito reagiscono tagliando il servizio per il futuro se l’insoluto perdura, più che con azioni legali per il pregresso. Gli importi in gioco spesso non sono altissimi, ma la perdita della fornitura (es. stacco della luce) impedisce di proseguire l’attività. Pertanto, questi debiti vanno prioritariamente gestiti con piani di rientro brevi direttamente con il gestore o cambiando fornitore (saldando il vecchio). In un concordato, le bollette non pagate figurano come crediti chirografari (se non coperti da depositi cauzionali contrattuali) – ma occorre assicurarsi la continuità dei servizi essenziali, magari offrendo pagamento integrale delle forniture post-domanda.
- Debiti verso dipendenti: se il negozio ha personale cui non riesce a pagare stipendi o TFR, questi debiti sono molto sensibili. Il dipendente può dimettersi per giusta causa (mancato pagamento retribuzioni) e agire anch’egli giudizialmente con decreto ingiuntivo e pignoramenti, oltre a segnalare la situazione all’Ispettorato del Lavoro. In caso di procedure concorsuali, i crediti dei lavoratori (retribuzioni degli ultimi 6 mesi, TFR, ecc.) sono crediti privilegiati di primo grado e vengono pagati prima di tutti gli altri crediti (anche prima del Fisco, ex art. 2751-bis c.c.). Inoltre, i lavoratori dipendenti possono accedere al Fondo di Garanzia INPS che interviene a pagare TFR e ultime 3 mensilità in caso di insolvenza del datore di lavoro (fallimento o anche concordato). Tuttavia, l’INPS poi si surroga nel credito e potrebbe insinuarsi in procedura per recuperare quanto anticipato. Per il debitore, tutelare i dipendenti è prioritario: se c’è cassa disponibile, si pagano prima loro (anche perché soddisfare integralmente i dipendenti può evitare contestazioni e agevolare l’omologa di concordati minori, dati i profili di “meritevolezza” richiesti).
- Debiti personali extraziendali: spesso il titolare di un negozio individuale ha anche debiti personali (rate auto, mutuo casa, carte di credito). In situazioni di crisi, la distinzione tra debiti di impresa e personali tende a svanire, specie per ditte individuali e società di persone. Se il negozio non paga i debiti aziendali, anche quelli personali potrebbero diventare impagabili, e viceversa. Fortunatamente, le procedure di sovraindebitamento consentono di gestire insieme tutti i debiti di una persona fisica, siano essi legati all’attività professionale che alla sfera privata, offrendo così una soluzione unitaria.
Strumenti per gestire la crisi e difendersi dai creditori
Dopo aver passato in rassegna i vari tipi di debito e i loro rischi, passiamo agli strumenti di soluzione della crisi a disposizione di un imprenditore indebitato. Dalla semplice negoziazione privata fino alle procedure concorsuali più strutturate, l’ordinamento italiano offre oggi un ventaglio di opzioni, profondamente rinnovato dalla recente riforma (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, in vigore dal 15 luglio 2022, e successivi correttivi fino al 2024 ). L’approccio moderno favorisce l’emersione anticipata della crisi e soluzioni negoziate con i creditori, lasciando il fallimento giudiziale come extrema ratio. In questo capitolo esamineremo i principali strumenti, dai più informali e volontari a quelli giudiziali, evidenziando per ciascuno caratteristiche, requisiti e utilità pratica per il titolare di un negozio biologico sommerso dai debiti.
Per chiarezza, li divideremo in due categorie: soluzioni stragiudiziali (accordi privati e negoziazione assistita) e procedure concorsuali/formali (concordati, liquidazioni, ecc.). Tenendo presente che spesso un percorso di risanamento può combinare fasi stragiudiziali e giudiziali (ad esempio: si tenta prima una composizione negoziata; se fallisce, si ripiega su un concordato).
Soluzioni stragiudiziali (accordi privati e composizione volontaria)
1. Rinegoziazione diretta e piani di rientro informali: La prima opzione, implicita in parte già trattando dei singoli creditori, è tentare accordi individuali con ciascun creditore. Non essendo vincolati da procedure formali, debitore e creditore possono liberamente concordare dilazioni, riduzioni o stralci del debito. Vantaggi: rapidità, riservatezza (non diventa pubblico come un concordato), flessibilità totale sulle condizioni. Svantaggi: manca il “vincolo collettivo” – un creditore può sempre, dopo un po’, cambiare idea e attaccare il debitore, salvo avere firmato una remissione totale. Inoltre, convincere tutti i creditori può essere arduo: basta uno che agisca per vanificare gli sforzi fatti con gli altri. Questa via è percorribile se il numero dei creditori è limitato e il debitore dispone di risorse tali da fare proposte concrete (es.: pagare subito il 20-30% con fondi di terzi). Nel nostro caso, il negoziante biologico potrebbe proporre un accordo ad hoc al fornitore principale o alla banca, come già discusso. È però una soluzione parziale: non garantisce protezione generale (nessun “ombrello” legale impedisce a un creditore non coinvolto nell’accordo di iniziare un pignoramento). Di norma, gli accordi stragiudiziali individuali funzionano meglio come complemento di una strategia complessiva: ad esempio, sistemare in via amichevole i piccoli creditori marginali, mentre si ricorre a strumenti formali per i debiti maggiori.
2. Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII): Rappresenta un livello intermedio tra l’accordo privato puro e la procedura concorsuale. Si tratta di un piano di risanamento dell’impresa, redatto dall’imprenditore con l’ausilio di consulenti, che dimostri la capacità dell’azienda di riequilibrare la propria situazione finanziaria. Il piano deve avere contenuti dettagliati (analisi della crisi, misure da adottare, tempistiche, flussi di cassa prospettici) ed essere asseverato da un professionista indipendente (un revisore o commercialista) che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano stesso. Una volta attestato, il piano viene eseguito attraverso accordi negoziali con i creditori interessati (tipicamente banche, principali fornitori). Ciò significa che i creditori devono aderire volontariamente: non c’è un voto o un’imposizione giudiziale. Qualora tutti (o comunque quelli necessari) aderiscano, il piano si realizza e, importantissimo, se per sfortuna successivamente l’impresa fallisse, i pagamenti e gli atti compiuti in esecuzione del piano non potranno essere revocati dal curatore fallimentare . Questo scudo protegge i creditori aderenti (che altrimenti temerebbero di vedersi chiedere indietro – in revocatoria – quanto incassato in fase di risanamento se il risanamento fallisce). In pratica, il piano attestato serve a dare credibilità e sicurezza giuridica agli accordi stragiudiziali di ristrutturazione.
Per un piccolo negozio, il piano attestato è raramente utilizzato, perché è più indicato per aziende medio-grandi con molte banche coinvolte e rischio di revocatoria su pagamenti ingenti. Può tuttavia essere utile se, ad esempio, l’imprenditore biologico ottiene nuova finanza (da un investitore o parente) per rilanciare l’attività e vuole convincere i creditori a ridurre i loro crediti e accettare la nuova liquidità a saldo: l’attestatore potrà certificare che con quell’apporto l’azienda tornerà solvibile. Si noti che il piano attestato non offre protezione legale immediata: non c’è sospensione delle azioni esecutive (i creditori possono comunque agire, se non contrattualmente vincolati a fermarsi) e non c’è una omologazione giudiziale. Tutto si basa sulla fiducia costruita con la perizia dell’attestatore. In sintesi, uno strumento efficace solo se i creditori già confidano nelle prospettive di risanamento e serve soltanto un “sigillo” tecnico per procedere.
3. Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021 e art. 23 CCII): Questa è una novità assoluta introdotta nel 2021 e confermata nel Codice della Crisi, pensata proprio per favorire le soluzioni stragiudiziali con un supporto istituzionale. La composizione negoziata è una procedura volontaria e riservata in cui l’imprenditore in crisi, tramite una piattaforma online gestita dalle Camere di Commercio, chiede la nomina di un Esperto indipendente. L’Esperto (di norma un commercialista o esperto di ristrutturazioni aziendali) ha il compito di esaminare la situazione economico-finanziaria dell’impresa e facilitare le trattative con i creditori, al fine di raggiungere un accordo per il superamento della crisi . La caratteristica innovativa è che l’Esperto fa da mediatore “super partes”, convoca le parti, suggerisce soluzioni, pungola i creditori a trovare un punto d’incontro, il tutto fuori dalle aule giudiziarie ma sotto l’egida di un’istituzione (la CCIAA e, indirettamente, il tribunale che può essere adito per provvedimenti specifici).
La composizione negoziata non prevede voti né omologazione, salvo che si raggiunga un accordo finale che può assumere varie forme (accordo stragiudiziale, contratto di ristrutturazione, piano attestato, o anche la richiesta di un concordato “semplificato” di cui diremo a breve). Durante la composizione negoziata, l’imprenditore può chiedere al tribunale misure protettive temporanee: ad esempio la sospensione delle azioni esecutive dei creditori per la durata delle trattative (inizialmente fino a 3 mesi, prorogabili di altri 3) . Questo consente di cristallizzare la situazione mentre si cerca l’accordo. È importante notare che la recente riforma (D.Lgs. 136/2024) ha ulteriormente potenziato questo strumento, introducendo espressamente la possibilità di coinvolgere il Fisco e l’INPS in accordi transattivi sui debiti tributari e contributivi nell’ambito della composizione negoziata . In altre parole, oggi anche durante la composizione negoziata si può proporre all’Agenzia Entrate e all’INPS un taglio parziale dei loro crediti, simile a quello della transazione fiscale, con il vantaggio di evitare lungaggini di un concordato preventivo.
Per il titolare di un negozio biologico indebitato, la composizione negoziata è un’arma da considerare quando l’attività ha ancora prospettive di risanamento (ad esempio: c’è una clientela affezionata, i ricavi potrebbero crescere riducendo alcuni costi o investendo in marketing, ecc.), ma serve una ristrutturazione dei debiti per ripartire. Con l’aiuto dell’Esperto, egli potrà presentare un piano di risanamento credibile ai creditori: ad esempio, chiedere alle banche di prorogare le scadenze dei mutui, ai fornitori di ridurre i crediti in cambio di forniture future, al Fisco di accettare pagamento dilazionato di IVA e ritenute senza sanzioni. L’Esperto redige al termine una relazione finale sulla composizione (se riesce o meno). Se le parti trovano un accordo soddisfacente, si formalizzerà in uno o più contratti transattivi o accordi di ristrutturazione, con eventuale omologazione semplificata se prevista (ad esempio, il legislatore ha introdotto un nuovo “accordo sotto soglia” per imprese minori, ma in sostanza si può anche depositare in tribunale il risultato per dargli esecutività erga omnes). Se invece la composizione non raggiunge soluzioni percorribili, l’imprenditore ha comunque un vantaggio: ha analizzato a fondo la situazione con l’Esperto e può a quel punto optare per una procedura concorsuale alternativa con maggiore consapevolezza.
4. Concordato “semplificato” per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII): Questo istituto, strettamente collegato alla composizione negoziata, è una sorta di paracadute: se le trattative assistite dall’Esperto falliscono (ovvero non si trovano soluzioni consensuali), l’imprenditore in crisi può proporre al tribunale un concordato semplificato di tipo liquidatorio, senza il voto dei creditori . È un caso eccezionale in cui, vista l’impossibilità di accordo, si consente al debitore di presentare comunque un piano di liquidazione dei beni che preveda la distribuzione del ricavato ai creditori secondo le regole legali (priorità ai privilegiati, ecc.) – e sarà il giudice a valutare se omologarlo “nell’interesse dei creditori nel loro insieme” . I creditori possono fare osservazioni, ma non c’è una votazione formale. Il concordato semplificato è, come dice la parola, semplificato perché salta tutta la fase di approvazione da parte dei creditori. È però accessibile solo se c’è stato un tentativo di composizione negoziata concluso senza successo e se non esistono alternative migliori . In pratica è un’“ultima spiaggia” per evitare il fallimento: il debitore liquida tutto comunque sotto controllo del tribunale ma in modo più rapido e ordinato, e i creditori ricevono qualcosa subito dal ricavato.
Nel contesto di un negozio biologico, il concordato semplificato potrebbe entrare in gioco qualora, esperite le trattative con i creditori (magari scettici sulla continuità dell’attività), si arrivi alla conclusione che l’unica strada è chiudere e vendere quel poco che c’è. Ad esempio: l’Esperto non è riuscito a mettere d’accordo tutti, però c’è un’offerta per rilevare l’avviamento o alcuni asset del negozio (il marchio, le giacenze di magazzino) da parte di un terzo. In tal caso il debitore, invece di subire un fallimento, può proporre al giudice un concordato semplificato dove quell’offerta viene accettata e il ricavato distribuito proporzionalmente ai creditori. Così facendo, ottiene due risultati: un risparmio di tempo e costi rispetto al fallimento tradizionale, e la chiusura definitiva dei debiti residui (nel concordato, infatti, dopo l’esecuzione del piano i debiti insoddisfatti si estinguono per la società; per la persona fisica resterebbero eventualmente esdebitabili).
Da ricordare che il D.Lgs. 136/2024 (correttivo) ha ampliato l’uso del concordato semplificato eliminando il requisito formale che le trattative “non abbiano avuto esito positivo” (ora basta che non vi siano soluzioni praticabili) e confermando che durante la pendenza dell’eventuale concordato semplificato il debitore può ottenere le stesse misure protettive del concordato ordinario . Questo per facilitare l’accesso a tale istituto quando serve.
(Segue nella prossima sezione l’analisi degli strumenti formali: concordato preventivo, concordato minore, piano del consumatore e liquidazione controllata.)
Procedure concorsuali e di sovraindebitamento (soluzioni giudiziali)
Passiamo ora agli strumenti giudiziali veri e propri, cioè quelle procedure attivate presso il tribunale che comportano un coinvolgimento formale dei creditori tramite il voto o comunque decisioni omologate dal giudice. Queste procedure offrono il massimo grado di protezione legale per il debitore (blocco delle azioni esecutive, sospensione degli interessi, ecc.), ma richiedono il rispetto di regole stringenti e tempi che, seppur accelerati rispetto al passato, sono più dilatati rispetto alle soluzioni stragiudiziali. Le principali procedure oggi vigenti, alla luce del CCII, sono:
- Concordato preventivo (per imprese soggette a fallimento, quindi sopra soglia).
- Concordato minore (per imprese sotto soglia e altri debitori non fallibili).
- Piani di ristrutturazione del consumatore (ex “piano del consumatore”, per debitori civili meritevoli).
- Accordo di composizione della crisi (ex “accordo di sovraindebitamento”, in pratica coincidente col concordato minore).
- Liquidazione controllata (ex liquidazione del patrimonio per sovraindebitati, o fallimento per chi non era fallibile).
- Liquidazione giudiziale (il nuovo nome del fallimento vero e proprio).
- Esdebitazione del debitore incapiente (procedimento speciale per cancellare debiti a chi non ha nulla).
Vediamo i principali in dettaglio, focalizzandoci su quelli più utili nel contesto di un piccolo negozio.
5. Concordato preventivo (ordinario) in continuità o liquidatorio: Il concordato preventivo è la tradizionale procedura concorsuale che un imprenditore fallibile (cioè non sotto soglia) può attivare per evitare il fallimento mediante una proposta di accordo ai creditori. Può essere in continuità se l’azienda prosegue (direttamente o tramite affitto/cessione a terzi che ne garantiscano la continuità) , oppure liquidatorio se prevede la cessazione dell’attività e la vendita dei beni. Nel concordato preventivo:
- Il debitore deposita una domanda di ammissione, che può essere “con riserva” (concordato in bianco) per ottenere subito le protezioni legali mentre prepara il piano .
- Il tribunale nomina un commissario giudiziale e fissa termine per presentare il piano concordatario e la proposta ai creditori. Nel frattempo scatta il divieto di azioni esecutive individuali e di acquisire titoli di prelazione su crediti anteriori (stay).
- Il piano deve garantire un pagamento non inferiore al 20% dei crediti chirografari se è liquidatorio puro (art. 84 CCII), salvo eccezioni. In caso di continuità non vi è soglia minima di legge, ma è necessario dimostrare che i creditori riceveranno almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione fallimentare.
- Sono possibili trattamenti differenziati dei creditori mediante classi (gruppi omogenei per posizione giuridica o interessi). Ad esempio, si può classare separatamente le banche, i fornitori chirografari, il Fisco chirografario, etc.
- I creditori votano sulla proposta in adunanza o esprimendo il voto per iscritto. Serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza per teste e per valore; se ci sono classi, serve il voto favorevole della maggioranza delle classi o, in difetto, certi quorum globali).
- Se i creditori approvano, il tribunale procede all’omologazione, verificando la regolarità della procedura e la fattibilità del piano, nonché (nel concordato in continuità) acquisendo il parere del commissario e attestatore circa la ragionevole perseguibilità degli obiettivi .
- In caso di voto contrario di una classe o di Erario/INPS, è possibile l’omologazione forzosa (cram-down) se il piano assicura comunque il rispetto della priorità dei crediti e della convenienza rispetto alla liquidazione . Ad esempio, come visto, se il Fisco dissente ma rappresenta solo il 10% del totale crediti e l’offerta per esso è equa, il giudice può omologare nonostante il no .
- A piano omologato, il debitore (sotto la vigilanza del commissario o del liquidatore nominato) esegue gli atti previsti: vendite di beni, pagamenti ai creditori secondo le percentuali approvate, ecc., di solito nell’arco di alcuni anni. In un concordato in continuità, il debitore rimane alla guida sotto sorveglianza e attua il risanamento promesso (ad es. utilizza i profitti futuri per pagare i creditori dilazionati).
- Ultimato il piano, il tribunale dichiara adempiuto il concordato e l’azienda ne esce “pulita”: i debiti residui insoddisfatti sono cancellati salvo che il concordato preveda diversamente (nel concordato liquidatorio, la società di regola si estingue; in quello in continuità la società prosegue l’attività con un debito ridotto). Per le società, l’omologa e l’esecuzione del concordato equivalgono in pratica a una “esdebitazione” legale (non è tecnicamente un’esdebitazione perché quella è prevista per le persone fisiche post-liquidazione giudiziale, ma l’effetto sostanziale è che i crediti antecedenti non soddisfatti non sono più esigibili) .
Nel caso di un negozio biologico sopra soglia (ad esempio, un piccolo franchising con più punti vendita) un concordato preventivo in continuità potrebbe essere la soluzione per ristrutturare l’attività: si congelano i debiti, si mantiene la gestione, si pagano gradualmente i creditori con la cassa generata dalle vendite future (come illustrato nel “Caso Alfa S.r.l.” più avanti, dove un’impresa edile in crisi ha utilizzato il concordato in continuità per dilazionare IVA e debiti verso fornitori in 4-5 anni ). Il concordato consente anche operazioni straordinarie, ad esempio la cessione dell’azienda a un nuovo investitore libero dai debiti pregressi (cd. concordato in continuità indiretta), con garanzia di esonero dalle responsabilità per il cessionario sui debiti tributari del cedente .
Per un piccolo imprenditore, però, l’ostacolo del concordato preventivo ordinario è la complessità e i costi: occorre un piano asseverato da un esperto, nominare un commissario, pagare contributi di procedura, etc. Se l’impresa è di dimensioni modeste e rientra nei parametri di non fallibilità, non può nemmeno accedere al concordato ordinario: dovrà piuttosto avvalersi delle procedure minori di sovraindebitamento (di cui ora parliamo). Da ultimo, evidenziamo che il concordato preventivo ordinario rimane uno strumento fondamentale per aziende medio-grandi, ma nel contesto di un negozio biologico individuale o familiare è probabilmente “troppo” – in quei casi meglio il concordato minore.
6. Concordato minore: Il concordato minore è la nuova procedura introdotta per i debitore non fallibili, cioè gli imprenditori sotto soglia, i professionisti, le start-up innovative e ogni altro soggetto ammesso al sovraindebitamento . In sostanza, è l’equivalente, per i “piccoli”, del concordato preventivo. La logica è la medesima: il debitore propone un piano ai creditori per pagare in parte i debiti e ottenerne l’esdebitazione sul residuo . Si utilizza la procedura di sovraindebitamento presso il tribunale, con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) che assiste il debitore nella predisposizione del piano e svolge funzioni simili a quelle del commissario (l’OCC verifica i requisiti, aiuta a convocare i creditori, redige una relazione sulla fattibilità e meritevolezza, ecc.).
Tra concordato preventivo e concordato minore le differenze principali sono:
- Il concordato minore non richiede soglie di debito (può essere utilizzato anche per debiti molto bassi, purché il debitore sia sovraindebitato) e non impone il 20% minimo ai chirografari, offrendo maggior flessibilità al giudice di omologare piani anche con percentuali modeste se comunque più vantaggiose della liquidazione .
- È rivolto a soggetti spesso persone fisiche (imprenditori individuali o soci illimitatamente responsabili di società di persone) il cui obiettivo è anche liberarsi personalmente dai debiti. Perciò il concordato minore in caso di società di persone produce i suoi effetti anche sui soci illimitatamente responsabili , evitando procedure separate.
- La votazione dei creditori avviene ma con regole semplificate: il tribunale può decidere di omologare anche in presenza di dissensi se ritiene che la proposta sia comunque vantaggiosa e soddisfi il criterio di meritevolezza del debitore (assenza di frode o colpa grave nell’indebitamento). In pratica, nel concordato minore il giudice ha poteri più ampi di omologazione anche in mancanza di un voto formale favorevole, un po’ sul modello del vecchio “piano del consumatore” (che era senza voto). Ciò perché si presume che nei piccoli contesti i creditori potrebbero non partecipare attivamente, e per non bloccare soluzioni utili, la legge consente al giudice di dare l’ok se il piano appare equo .
- Deve comunque esserci un qualche grado di adesione: la norma (art. 80 CCII) prevede che se i creditori non votano affatto o rigettano, il giudice può omologare d’ufficio solo se ritiene che nessun creditore riceverebbe di più dalla liquidazione rispetto a quanto offerto nel concordato minore. In altre parole, c’è un cram-down analogico: la proposta deve essere più conveniente del fallimento per tutti, in particolare per l’Erario e gli enti pubblici (che spesso votano no).
- Meritevolezza: è richiesto che il debitore non abbia causato la propria insolvenza con dolo o colpa grave (art. 76 CCII). L’OCC nella sua relazione deve attestare questo elemento, e se il giudice riscontra comportamenti fraudolenti o gravemente imprudenti del debitore, può negare l’omologa del concordato minore anche se i creditori erano consenzienti. Ad esempio, un piccolo imprenditore che abbia distratto attivi o fatto spese personali enormi prima di indebitarsi potrebbe essere giudicato non meritevole e non accedere ai benefici.
- Una volta omologato e eseguito il piano, il debitore (persona fisica) ottiene l’esdebitazione automatica per legge (art. 282 CCII). Ciò è un aspetto fondamentale: completato il concordato minore, i debiti residui insoddisfatti si estinguono e il debitore può ripartire senza strascichi . Per una società, invece, i debiti residui restano insoddisfatti ma la società di solito viene estinta.
Nel contesto del nostro negozio biologico, il concordato minore può essere lo strumento giusto se l’attività è individuale o SNC/SAS sotto soglia, e c’è la volontà di offrire ai creditori una soluzione mediata dal tribunale senza passare dal fallimento. Ad esempio, il negoziante potrebbe proporre: “Vendo l’automobile e attivo un piccolo prestito familiare, così posso pagare subito il 30% a tutti i creditori, dopodiché vi chiedo lo stralcio del restante 70%”. I creditori magari sono scettici, ma davanti a un giudice che evidenzia come in una liquidazione otterrebbero forse il 10%, potrebbero non opporsi; e anche se qualcuno si oppone, il giudice potrà comunque omologare se ritiene l’offerta equa e il debitore meritevole (come nel Caso Beta S.a.s. esaminato in seguito, dove il tribunale ha omologato un piano nonostante la contestazione dell’INPS, ritenendo che il 40% offerto fosse comunque migliore del nulla in caso di fallimento ).
In definitiva, il concordato minore è un ottimo strumento per comporre la crisi delle piccole imprese: più flessibile, meno costoso e più orientato alla persona del debitore rispetto al concordato ordinario. Occorre però usarlo in buona fede e con trasparenza, altrimenti se nega l’omologa il giudice non ci sono appelli: il debitore finirebbe per subire le esecuzioni o il fallimento.
7. Ristrutturazione dei debiti del consumatore: Questo istituto, erede del “piano del consumatore” della L. 3/2012, è riservato alle persone fisiche consumatrici, ossia ai debitori che hanno contratto obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale . Nel nostro caso, potrebbe riguardare l’eventuale coobbligato non imprenditore (es. il coniuge garante che non è socio, oppure se il negoziante ha chiuso la partita IVA e rimane solo come persona fisica sovraindebitata). Tuttavia, va detto che l’ambito “consumatore” puro non copre debiti d’impresa. Un imprenditore può accedere a questa procedura solo se la sua posizione debitoria è mista e prevalgono gli aspetti personali oppure se ha cessato l’attività. Nel “Caso Beta” che vedremo, ad esempio, il titolare della SAS ha presentato un piano del consumatore a proprio nome perché molti debiti erano personali e la società era sotto soglia .
La ristrutturazione del debito del consumatore funziona così: il debitore, con l’aiuto dell’OCC, elabora un piano di pagamento dei debiti (anche qui spesso con falcidia parziale) indicando quali risorse metterà a disposizione (il patrimonio liquidabile, quote di stipendio, ecc.) e come verranno ripartite tra i creditori. Il piano viene depositato in tribunale, senza voto dei creditori: saranno informati e potranno fare osservazioni, ma non hanno diritto di veto. Il giudice valuta il piano sulla base di due criteri fondamentali: la meritevolezza del debitore (cioè che non abbia colpa grave, comportamento fraudolento, che non abbia approfittato dolosamente del credito) e la convenienza del piano rispetto alla liquidazione (i creditori devono prendere col piano almeno quanto avrebbero da una liquidazione del patrimonio del debitore) . Se questi criteri sono soddisfatti, il tribunale omologa il piano anche se, ad esempio, il Fisco è contrario .
Dopodiché il piano viene eseguito sotto controllo dell’OCC e, completati i pagamenti promessi, il debitore persona fisica ottiene la esdebitazione di diritto di tutti i debiti residui (tranne quelli esclusi ex lege come alimenti, risarcimenti per danni da illecito, sanzioni penali – vedi elenco in fondo). Questa procedura è molto favorevole al debitore onesto: di fatto consente di imporre un saldo e stralcio ai creditori senza consultazione, purché rispetti requisiti di equità. È pensata per situazioni come famiglie sovraindebitate, dipendenti con troppi prestiti, ecc.
Nel nostro contesto, se il titolare del negozio è anche consumatore (cioè magari i debiti d’impresa si confondono con debiti personali), potrebbe ambire a questa soluzione. Ad esempio, se il negozio non è più attivo e rimane solo la persona fisica ex imprenditore con debiti verso banca, fisco e fornitori, l’OCC potrebbe qualificare la situazione come sovraindebitamento del consumatore e presentare un piano. Il vantaggio è saltare la fase del voto e l’assemblea creditori, con un risparmio di tempo e minor esposizione mediatica.
Va notato però che i tribunali stanno attenti ad evitare abusi: non si può camuffare da “consumatore” chi in realtà ha debiti d’impresa significativi. Se c’è commistione, spesso viene preferito trattarlo come concordato minore (che prevede il voto) anziché come piano del consumatore. Nel Caso Beta SAS citato, il titolare era sia accomandatario (imprenditore) sia persona fisica con debiti promiscui, e hanno comunque usato lo schema del piano del consumatore forse perché la SAS essendo società minore rientrava nel perimetro e i debiti erano in gran parte personali garantiti . Ciò dimostra la flessibilità delle nuove norme: l’obiettivo è dare una via di uscita, non impantanarsi in cavilli su quale procedura usare.
8. Liquidazione controllata del sovraindebitato: È la procedura di liquidazione giudiziale (fallimento) adattata ai debitori non fallibili. Prevista dagli artt. 268-277 CCII, prende il posto della “liquidazione del patrimonio” ex L. 3/2012. Può accedervi sia il debitore sovraindebitato volontariamente, sia i creditori o il P.M. in alcuni casi per forzare la liquidazione (ad es. se il debitore ha frodato i creditori o se un piano proposto non viene omologato e non c’è alternativa). Nella liquidazione controllata:
- Viene nominato un liquidatore dal tribunale, che spossessa il debitore dei suoi beni (salvo quelli impignorabili per legge, come necessario per vita dignitosa) e li vende per distribuire il ricavato ai creditori. È analoga a un fallimento ma su scala ridotta e con meno formalità (ad esempio, non c’è il comitato dei creditori obbligatorio salvo grandi masse).
- Tutti i creditori anteriori partecipano al passivo, presentando domanda di insinuazione. I debiti vengono soddisfatti secondo ordine di privilegi e, se l’attivo è insufficiente, rimangono in parte insoluti.
- La procedura dura al massimo 3 anni dalla apertura (salvo proroghe eccezionali), per volontà di legge, così da non trascinare all’infinito la situazione .
- Al termine, se il debitore è una persona fisica, può chiedere l’esdebitazione di tutti i debiti residui non pagati. Questa è la grande differenza rispetto al vecchio fallimento: ora anche chi liquida i propri beni senza soddisfare tutti i creditori può ottenere la liberazione dai debiti, purché abbia collaborato lealmente e non vi siano stati comportamenti dolosi.
La liquidazione controllata è la scelta da fare quando non vi è alcuna prospettiva di risanamento o accordo. È dolorosa (si perdono i beni) ma talvolta inevitabile. Per il nostro piccolo imprenditore, può essere consigliabile nei casi più gravi: ad esempio, il negozio è ormai chiuso, i debiti superano ogni possibilità e non si riesce a proporre un piano neanche minimale. Piuttosto che subire pignoramenti a catena e restare indebitato a vita, il titolare può attivare lui stesso la liquidazione controllata: metterà sul piatto magari la liquidazione del magazzino e di eventuali proprietà residue, dopodiché potrà chiedere l’esdebitazione ed avere una seconda chance.
Esempio: Tizio, ex negoziante bio, ha chiuso l’attività ma gli restano €200.000 di debiti tra fisco e banche; possiede solo un’auto vecchia e il 50% di un appartamento in comproprietà con la moglie. Mette tutto in liquidazione controllata: l’auto viene venduta, la sua quota di casa pure (eventualmente la moglie potrebbe rilevarla alle condizioni di stima). I creditori recuperano magari un 20%. Alla fine, Tizio chiede ed ottiene l’esdebitazione: il restante 80% non potrà più essergli richiesto, e lui potrà magari trovarsi un lavoro dipendente senza l’incubo di vedersi pignorare lo stipendio per i debiti passati.
9. Esdebitazione del debitore incapiente: Citazione a parte merita questa innovazione introdotta dapprima col D.L. 137/2020 e ora normata nell’art. 283 CCII. È pensata per chi non ha davvero nulla da offrire ai creditori, neanche in prospettiva. In passato, chi non possedeva beni non poteva accedere alle procedure di sovraindebitamento (perché comunque dovevi offrire qualcosa); oggi, invece, si consente di cancellare i debiti anche a chi è totalmente incapiente, in casi eccezionali, senza liquidazione dei beni (per forza, non ne ha). I requisiti sono stringenti: il debitore persona fisica deve dimostrare di non avere beni né entrate pignorabili, di non aver beneficiato di altre esdebitazioni nei 5 anni precedenti, di essere meritevole (no frodi), e che almeno uno dei creditori lo abbia escusso inutilmente (cioè che si sia già constatata l’inesigibilità, ad es. tramite un pignoramento negativo) . Se il tribunale accoglie l’istanza, i debiti vengono cancellati immediatamente. Esiste però una “condizione risolutiva”: nei 4 anni successivi, se il debitore ottiene redditi o beni prima mancanti (es. una vincita, un’eredità significativa), è obbligato a pagare i creditori in misura non oltre il debito annullato, pena la revoca del beneficio .
Questa forma di esdebitazione serve a evitare che un individuo resti per sempre schiacciato da debiti che non potrà mai pagare, una situazione contraria al principio stesso di dignità umana e al concetto di “fresh start”. Per un ex imprenditore che abbia perso tutto, potrebbe essere l’ancora di salvezza finale. In pratica, però, i tribunali la concedono con prudenza, preferendo comunque che anche un piccolo importo venga liquidato e distribuito (come segno di responsabilizzazione). L’esdebitazione totale e immediata è l’ultima risorsa.
Abbiamo dunque un quadro completo degli strumenti. Schema riepilogativo: un negoziante in crisi finanziaria dovrebbe valutare prima le soluzioni negoziali (più rapide e meno costose), e solo se queste non riescono, passare alle procedure concorsuali vere e proprie. Spesso, come abbiamo visto, le due vie si intrecciano: la composizione negoziata può preludere a un concordato semplificato, un piano attestato può sfociare in un concordato se qualche creditore dissente, etc. L’importante è agire presto e con l’ausilio di professionisti competenti (OCC, advisor finanziari, legali) per scegliere l’opzione giusta e impostarla correttamente.
Nel prossimo paragrafo confronteremo in tabelle i tratti salienti di questi strumenti, per aiutare il debitore a orientarsi. Successivamente, analizzeremo le differenze legate alla forma giuridica dell’impresa (ditta individuale, società di persone, società di capitali) rispetto alla responsabilità sui debiti e alle procedure applicabili.
Differenze in base alla forma giuridica dell’impresa
Il tipo di struttura giuridica attraverso cui è gestito il negozio biologico influenza notevolmente sia la portata della responsabilità per i debiti, sia gli strumenti di gestione della crisi disponibili. Analizziamo i tre principali casi: impresa individuale, società di persone e società di capitali (SRL), evidenziando per ciascuno come rispondono i titolari/soci dei debiti contratti e quali procedure si applicano in caso di insolvenza.
Impresa individuale (ditta individuale)
Se il negozio è gestito come ditta individuale, giuridicamente non c’è separazione tra il patrimonio dell’azienda e quello personale dell’imprenditore. Tutti i debiti contratti nell’esercizio dell’attività (così come quelli personali) fanno capo alla medesima persona fisica, la quale risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.). Non esiste limite di responsabilità: anche la casa di abitazione, il conto personale, l’auto privata del titolare possono essere pignorati dai creditori dell’impresa (fatta salva l’impignorabilità di beni essenziali come da norme di procedura civile). L’unica eccezione potrebbe derivare dall’aver costituito un fondo patrimoniale o un trust sui beni personali prima dell’insorgenza dei debiti, ma sono strumenti complessi e spesso inefficaci verso i creditori fiscali o bancari se hanno cause di revocatoria. Insomma, il titolare individuale è l’impresa, nel bene e nel male.
In termini di procedure di crisi, l’imprenditore individuale può essere soggetto o meno a fallimento (liquidazione giudiziale) a seconda delle dimensioni economiche: se sotto soglia (attivo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000 negli ultimi 3 esercizi ), non è soggetto a liquidazione giudiziale ordinaria. Rientra dunque nel campo del sovraindebitamento e potrà accedere a concordato minore, ristrutturazione del consumatore, liquidazione controllata. Se invece supera anche uno solo di quei parametri, è considerato fallibile (imprenditore commerciale non minore) e può essere assoggettato a concordato preventivo, fallimento ecc. In pratica, un negozio al dettaglio raramente supera quelle soglie, tranne in casi di piccole catene o vendite online estese; quindi la maggior parte dei negozianti individuali utilizzerà gli strumenti “minori”.
Un aspetto cruciale per l’individuale è la questione della esdebitazione personale: quando l’impresa individuale fallisce o liquida il patrimonio, il titolare persona fisica – essendo egli stesso il debitore – può ottenere l’esdebitazione integrale dai debiti non pagati una volta terminata la procedura . Questo è un incentivo potente a utilizzare le procedure concorsuali: solo così infatti il soggetto può ambire a tornare “pulito”. Se invece non facesse nulla e lasciasse che i creditori lo inseguano, rimarrebbe teoricamente indebitato a vita (prescrizioni a parte). Pertanto, l’imprenditore individuale in profonda insolvenza dovrebbe considerare la liquidazione controllata o un concordato minore come un mezzo per ripartire da zero dopo aver ceduto il possibile ai creditori.
Riassumendo per la ditta individuale: responsabilità illimitata su debiti; possibile fallimento se sopra soglia, altrimenti sovraindebitamento; opportunità di esdebitazione a fine procedura. Sul piano pratico, molti piccoli imprenditori sono reticenti a portare i libri in tribunale perché vivono il fallimento come un’onta; ma grazie alla riforma, l’approccio dovrebbe cambiare: adesso la procedura non è più punitiva, è vista come strumento di riabilitazione dell’imprenditore onesto. Inoltre, il nuovo art. 2086 c.c. impone all’imprenditore di attivarsi in presenza di squilibri patrimoniali per prevenire l’insolvenza – la legge vuole che la crisi si affronti presto, anche ricorrendo a concordati o simili, piuttosto che aggravare i debiti (pena possibili responsabilità per aver tardato). Quindi, paradossalmente, per l’imprenditore individuale reagire in modo “concorsuale” può essere un dovere oltre che un diritto.
Società di persone (SNC, SAS)
Una società di persone (come la S.n.c. o la S.a.s.) è un’entità giuridica distinta dai soci, ma i soci hanno (nella SNC tutti; nella SAS solo i soci accomandatari) responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali (artt. 2291, 2313 c.c.). Ciò significa che se la società non paga, i creditori possono chiedere il pagamento ai singoli soci su tutto il loro patrimonio personale, dopo aver escusso il patrimonio sociale (beneficio di escussione). In pratica però, specie in contesti di dissesto, i creditori possono aggredire i soci illimitatamente responsabili quasi contestualmente alla società. Dunque, se il nostro negozio biologico è gestito in forma di SNC tra due soci, i fornitori, banche e Fisco possono rivalersi su ciascun socio per l’intero debito. Il patrimonio personale dei soci (case, conti, stipendio se fanno altro) è quindi a rischio come in una ditta individuale.
Dal punto di vista delle procedure, la società di persone può fallire (o accedere a concordato preventivo) se supera le soglie di fallibilità, analogamente all’imprenditore individuale. E quando fallisce la società, falliscono anche i soci illimitatamente responsabili (art. 147 L.F. previgente, ora recepito nell’art. 270 CCII ): c’è un’estensione automatica del fallimento ai soci. Viceversa, i soci possono accedere alle procedure di sovraindebitamento se la società è sotto soglia: in tal caso la società stessa rientra nel sovraindebitamento e qualunque procedura (concordato minore, liquidazione controllata) coinvolgerà inevitabilmente anche i soci, dato che il loro patrimonio risponde dei debiti sociali . Il Codice della Crisi ha esplicitato che l’apertura di un concordato minore o di una liquidazione controllata per una società di persone produce effetti anche verso i soci illimitatamente responsabili . Ciò evita di dover aprire doppi procedimenti: uno per la società e uno per ciascun socio. Si procede unitariamente, anche se poi tecnicamente l’attivo comprende i beni sociali e il patrimonio dei singoli soci (salvo quelli personali non escutibili per legge).
All’atto pratico, quindi, i soci di una SNC o SAS non possono sperare di separare il proprio destino da quello della società: se l’azienda va male, inevitabilmente dovranno risponderne personalmente. Però, di nuovo, hanno la chance di liberarsi dai debiti residui attraverso l’esdebitazione a fine procedura (liquidazione controllata o concordato minore). Se la società viene liquidata, i soci – persone fisiche – una volta pagato il possibile otterranno l’esdebitazione per la parte non pagata, esattamente come l’imprenditore individuale . Importante: la recente normativa consente l’esdebitazione anche se i crediti riguardano l’Erario o enti pubblici, purché non derivino da frodi tributarie. Ciò sgombra il campo dall’idea (che alcuni avevano in passato) che certi debiti “seguano per sempre” i soci: oggi non è così, fatta eccezione per pochi tipi di debito non esdebitabili (alimentari, malafede, ecc. – v. elenco fonti).
Se il negozio è in S.a.s., occorre ricordare che i soci accomandanti non rispondono oltre la quota conferita, a meno che abbiano ingerito nella gestione (perdendo il beneficio di limitazione). Quindi in teoria un accomandante è al riparo, come un socio di SRL, salvo che abbia prestato fideiussioni personali. In una SAS in crisi, generalmente è l’accomandatario (illimitatamente responsabile) a subire le azioni dei creditori. Ma attenzione: se la SAS non può fallire per dimensioni e accede al sovraindebitamento, l’accomandatario verrà coinvolto e dovrà liquidare i suoi beni; l’accomandante no, a meno che sia garante o debitore personale. Tuttavia, spesso nelle SAS familiari gli accomandanti partecipano di fatto alla gestione e magari firmano fideiussioni: quindi sostanzialmente la differenza si assottiglia.
In sintesi, per le società di persone valgonO le stesse strategie del caso individuale, con la complicazione che vanno coordinate tra più soggetti (società e soci). Idealmente, conviene affrontare unitariamente la crisi: ad esempio, se la SNC “BioVerde” di due soci ha troppi debiti, i soci predisporranno un unico piano di concordato minore per la società che includa anche i loro beni personali, così da soddisfare più creditori possibile e chiudere la posizione in un colpo solo. Evitare assolutamente situazioni confuse dove la società viene lasciata morire e i creditori poi inseguono separatamente i soci per anni. Meglio una soluzione concorsuale globale che definisca tutto.
Società di capitali (SRL, SPA)
Una società a responsabilità limitata (SRL) o altra società di capitali (SpA, Srls, Soc. Coop) ha personalità giuridica e autonomia patrimoniale perfetta: i soci non rispondono con il proprio patrimonio personale dei debiti sociali (art. 2462 c.c. per la SRL). Il massimo che possono perdere è quanto investito nel capitale sociale. Questa è una differenza enorme rispetto ai casi visti prima. Per i creditori, una SRL indebitata significa che possono rivalersi solo sui beni intestati alla società (merci, attrezzature, cassa, eventuali immobili di proprietà della società) e non sulla casa o sui risparmi dei soci.
Tuttavia, occorre segnalare due attenuazioni pratiche di questo “scudo”:
- Garanzie personali dei soci o amministratori: Nel mondo reale, gli istituti di credito e talvolta i fornitori chiedono sovente ai soci (specie se di SRL piccole) di firmare fideiussioni o garanzie personali a supporto delle obbligazioni della società. Ciò riporta di fatto la responsabilità sui soci garantenti. Ad esempio, se la SRL non paga il mutuo, la banca escute la fideiussione del socio; se la SRL non paga il fido di conto, il socio garante viene escusso. Dunque la protezione vale solo per i crediti non garantiti personalmente. Un imprenditore accorto deve tenere traccia di quali debiti societari ha garantito personalmente e quali no: nel risanamento, potrebbe decidere di far rientrare prima quelli che lo vedono esposto direttamente.
- Responsabilità per mala gestio: I soci (nel caso di piccola SRL spesso coincidono con gli amministratori) possono incorrere in responsabilità personali se commettono illeciti gestori. Ad esempio, se gli amministratori aggravano dolosamente il dissesto (continuando a fare credito quando sanno che la società è insolvente, distraggono attivi, pagano preferenzialmente taluni creditori violando la par condicio, falsificano i bilanci, etc.), possono essere perseguiti penalmente per bancarotta ed essere chiamati a rispondere di danni verso la massa dei creditori. Questo però avviene in sede di fallimento con l’azione di responsabilità del curatore. In procedure di concordato, di solito non emergono sanzioni dirette per gli amministratori, salvo abbiano compiuto reati tributari (già discussi) o sociali. In ogni caso, sono situazioni estreme: se il socio-amministratore ha agito onestamente ma sfortunatamente, non gli verrà chiesto di ripianare i debiti con i propri soldi (a meno di garanzie come detto). Se invece ha fatto fesserie o peggio, frodi, allora la limitazione della responsabilità potrebbe cadere in parte per vie risarcitorie o penali.
Dal punto di vista delle procedure applicabili, una SRL può fallire se supera le soglie dimensionali (praticamente sempre, anche una SRL piccola può avere debiti oltre €500k facilmente, quindi è fallibile). Se è proprio micro (sotto soglia), dottrina e giurisprudenza sono concordi che anch’essa beneficerebbe dell’esenzione da fallimento, rientrando nelle “imprese minori” definite dall’art. 2 CCII . Quindi una SRL sotto soglia potrebbe accedere alle procedure di sovraindebitamento (concordato minore, ecc.). Su questo c’è stato dibattito, perché in passato ogni società commerciale era fallibile per definizione, ma la nuova norma pare includerle nell’ambito del sovraindebitamento se non raggiungono quelle soglie . In pratica, comunque, la maggior parte delle SRL commerciaLI supera almeno uno dei parametri (specie il limite di debiti €500k se ha mutui o fornitori rilevanti), quindi parleremo soprattutto di fallimento/concordato preventivo per esse.
Ebbene, se la SRL va in liquidazione giudiziale (fallimento), i soci di regola non falliscono con lei (a differenza delle SNC). Perciò dopo il fallimento essi restano proprietari dei loro beni personali. Però il fallimento della società può risultare devastante indirettamente: oltre a perdere l’investimento nella società (quote azzerate), come detto i soci possono vedersi chiamati dalle banche per le garanzie; se erano anche amministratori, possono subire azioni di responsabilità del curatore (che chiede loro danni per gestione negligente, magari per aver continuato l’attività erodendo patrimonio in violazione dell’art. 2486 c.c., cosiddetta wrongful trading). Tali azioni sono sempre possibili, ma più probabili se c’è stato ritardo nel portare i libri in tribunale e il deficit fallimentare si è ampliato a scapito dei creditori.
Nei concordati preventivi, la società SRL rimane in bonis e ristruttura il debito come visto. I soci potrebbero essere chiamati a contribuire ad esempio con versamenti a fondo perduto se vogliono mantenere la società attiva: in diversi concordati i soci apportano nuova finanza (postergata o in prededuzione) per migliorare il soddisfacimento dei creditori e salvare l’impresa. Questo è volontario, non obbligatorio; ma se i soci rifiutano di mettere anche un euro mentre i creditori subiscono perdite, talvolta i creditori votano contro per “ripicca”, specie se percepiscono che i soci avevano magari prelevato utili in passato. Insomma, i soci di SRL non hanno obbligo giuridico di pagare i debiti sociali, ma potrebbero avere un onere morale/negoziale di contribuire qualcosa nelle trattative di ristrutturazione, in cambio della fiducia dei creditori e del mantenimento dell’azienda sotto il loro controllo.
Dopo un concordato o accordo andato a buon fine, la società prosegue con i soli debiti residui previsti dal piano. I creditori estranei (che non hanno partecipato) potrebbero ancora vantare pretese, ma nella maggior parte dei casi il concordato li include tutti (ad eccezione di quelli che la legge esclude, ad esempio i debiti per sanzioni penali non sono falcidiabili e dunque restano a carico della società, ma di solito la società li liquida integralmente o li lascia fuori se non rilevanti ai fini del successo del piano). Se la società invece viene liquidata (sia in fallimento che in liquidazione controllata se sotto soglia), essa una volta terminata la procedura viene cancellata dal Registro Imprese ed estinta. I debiti insoddisfatti non si trasferiscono ai soci (salvo appunto garanzie personali): rimangono inesigibili perché il soggetto debitore non esiste più . C’è però un’eccezione: secondo la Cassazione, se la società si estingue con patrimonio negativo non soddisfatto, i creditori sociali potrebbero agire verso i soci fino a concorrenza di quanto da questi percepito in sede di liquidazione (o del capitale restituito) – ma se in fallimento non hanno percepito nulla, quella via è preclusa. In altre parole, la chiusura di una società di capitali insolvente di fatto seppellisce i debiti non pagati, a meno che non vi siano soci colpevoli di qualche abuso.
Riepilogo per la SRL: i soci sono protetti per legge, ma spesso “di fatto” coinvolti tramite garanzie o versamenti. Le procedure concorsuali riguardano solo la società, con l’eccezione delle micro-imprese sotto soglia (dove la SRL rientra nel sovraindebitamento, procedura comunque unica). Il fallimento società non intacca direttamente i soci (salvo revocatorie di atti anomali fatti verso di loro prima del fallimento, ad esempio restituzioni di finanziamenti soci nei 2 anni antecedenti sono revocabili). I soci persone fisiche, qualora abbiano garantito debiti sociali e vengano escussi, possono a loro volta accedere al sovraindebitamento individuale per quei debiti (è un caso particolare: società fallita e socio garante sovraindebitato – non raro).
Un ultimo cenno meritano le start-up innovative: queste società godono di alcune esenzioni temporanee da fallimento nei primi anni di vita e comunque se falliscono i soci non rispondono dei debiti sociali. Per un negozio biologico raramente si tratta di start-up innovativa (che è concetto legato a tecnologie innovative); potrebbe però essere una cooperativa di lavoro o di consumo. Le coop hanno regole speciali, ma in genere se insolventi vanno in liquidazione coatta amministrativa, procedura concorsuale speciale amministrativa, e i soci di coop per legge rispondono solo col capitale conferito (salvo diverse previsioni statutarie per coop a responsabilità illimitata, oggi rare). Dunque, analogamente alle SRL, i soci cooperatori di solito non rischiano patrimonio personale, tranne garanzie.
Tabella di confronto delle responsabilità:
| Forma giuridica | Responsabilità per i debiti | Procedure di crisi applicabili | Esdebitazione finale |
|---|---|---|---|
| Ditta individuale | Illimitata su tutti i beni presenti e futuri del titolare. | Sovraindebitamento (se sotto soglia) – concordato minore, piano del consumatore, liquidazione controllata. Fallimento/concordato preventivo (se sopra soglia). | Sì, persona fisica esdebitabile a fine liquidazione o adempimento piano . |
| Società di persone (SNC/SAS) | Illimitata e solidale per i soci (accomandatari in SAS; accomandanti limitata alla quota). Creditori escutono prima patrimonio sociale poi soci. | Sovraindebitamento (se sotto soglia) – coinvolge soci illimitati . Fallimento/concordato (se sopra soglia) – con estensione ai soci fallibili. | Sì, per soci persone fisiche (stesse regole dell’imprenditore individuale). Debiti residui della società estinta inesigibili. |
| Società di capitali (SRL/SpA) | Limitata al capitale conferito. Soci non personalmente responsabili (salvo garanzie volontarie). | Fallimento, concordato preventivo, accordi ristrutturazione. Se sotto soglia, possibili procedure sovraindebitamento (concordato minore etc.). | Società: non prevista esdebitazione, ma debiti residui si estinguono con l’estinzione della società . Soci: non coinvolti (salvo garanzie), se escussi possono cercare esdebitazione propria. |
Osservazione: Nel contesto del negozio biologico, spesso la scelta di operare come SRL è fatta per tutelare i beni personali dei proprietari. Questo funziona, ma bisogna mettere in conto che banche e padroni di immobili quasi sempre chiedono ai soci una fideiussione: ad esempio, il contratto di locazione commerciale magari è stato firmato con garanzia personale dei soci di pagare i canoni. Dunque il vantaggio può ridursi. Al contempo, la SRL offre strumenti giuridici di ristrutturazione analoghi alle ditte (concordati), con in più la possibilità (negli accordi di ristrutturazione) di cram-down interclassi se il Fisco è minoritario . Una difficoltà per le micro SRL era finora la mancanza di accesso al sovraindebitamento (c’era discussione se potevano o no). Con il CCII sembra possibile; infatti il Caso Gamma S.p.A. che discuteremo è un esempio di PMI innovativa che ha usato la composizione negoziata invece del fallimento , segno che anche le società di capitali possono percorrere vie “alternative” alla liquidazione giudiziale classica.
Tabelle riepilogative
Di seguito presentiamo alcune tabelle riassuntive che condensano le informazioni sin qui illustrate, per facilitare la comprensione e il confronto tra le diverse opzioni.
Tabella 1 – Tipologie di debiti vs. Azioni del creditore e Strumenti di difesa del debitore:
| Tipo di debito | Azioni tipiche del creditore | Rischi per il debitore | Strumenti di difesa (pre-procedura concorsuale) |
|---|---|---|---|
| Fiscale (Erario) | Cartella di pagamento (AER); fermi amministrativi; ipoteche legali; pignoramenti su conti, beni mobili e immobili. Eventuale denuncia penale se omessi versamenti oltre soglia . | Aggressione immediata del patrimonio aziendale e personale; blocco beni (fermo auto); interessi e sanzioni in crescita; rischio di procedimento penale . | – Rateizzazione cartelle (fino 72 o 120 rate) .<br>– Definizioni agevolate (rottamazioni) se previste .<br>– Sospensione amministrativa (richiesta dilazione) per congelare pignoramenti in corso.<br>– Ricorso in Commissione Tributaria se vi sono motivi di opposizione (vizi cartella, prescrizione, ecc.).<br>– Nei casi estremi, presentazione di domanda di concordato preventivo o composizione negoziata per ottenere misure protettive (sospensione delle azioni esecutive) . |
| Contributivo (INPS) | Avviso di addebito INPS; cartella esattoriale; eventuale pignoramento tramite AER; segnalazione ad Agenzia Entrate per sospensione DURC. Denuncia penale se omissione contributi > €10k/anno . | Come per il Fisco: pignoramenti, ipoteche; impossibilità di ottenere DURC regolare (compromette appalti, convenzioni) ; rischio penale per contributi dipendenti . | – Dilazione contributi con INPS (fino 24 mesi ordinari, più estensioni eccezionali).<br>– Richiesta DURC provvisorio in presenza di piano in corso (es. concordato con continuità) .<br>– Verifica di eventuali condoni contributivi (talvolta i decreti “rottamazione” includono anche contributi minori).<br>– Pagamento prioritario dei dipendenti (per evitare vertenze e denunce). |
| Bancario/Finanziario | Decadenza dal termine (richiesta immediato rimborso integrale); revoca fidi e scoperti; escussione garanzie (fideiussioni, ipoteche); decreto ingiuntivo immediato su rate scadute; segnalazione in centrale rischi. | Blocco delle linee di credito (difficoltà a operare); escussione del patrimonio personale dei garanti; pignoramento di beni dati in garanzia (es. casa ipotecata). Reputazione finanziaria compromessa (rating, accesso credito futuro). | – Moratoria/standstill accordato informalmente (chiedere congelamento rate per X mesi).<br>– Ristrutturazione del debito bilaterale (allungamento piani di ammortamento, riduzione tassi).<br>– Ricorso al Mediatore Civile bancario (Arbitro Bancario Finanziario) per contestare eventuali anatocismi o irregolarità contrattuali, guadagnando tempo.<br>– Coinvolgimento della banca in una composizione assistita (composizione negoziata) per ottenere respiro protetto da misure del tribunale .<br>– Valutare piano attestato di risanamento se ci sono più banche: presentare un piano con attestazione indipendente per rassicurare i creditori finanziari. |
| Fornitori commerciali | Solleciti informali; sospensione forniture future; messa in mora formale; decreto ingiuntivo (in 30-60 gg); pignoramento beni aziendali o crediti (conto corrente, merci in negozio); pubblicazione su sistemi di informazione creditizia (protesti, banche dati). | Difficoltà operative per mancata fornitura (scaffali vuoti); costi legali aggiuntivi; rischio di esecuzione sui beni del negozio (pignoramento attrezzature, incassi); peggioramento reputazione nel settore (altri fornitori chiedono pagamento anticipato). | – Negoziazione privata: accordo di dilazione del debito, eventualmente con riduzione (saldo e stralcio), prima che il fornitore agisca in via legale.<br>– Se pochi fornitori: predisporre un piano di rientro graduale e onorarlo per riacquisire fiducia.<br>– Se molti fornitori: valutare un accordo “di filiera” coinvolgendo i principali in una ristrutturazione collettiva (es. tutti accettano 40% a 12 mesi se l’attività prosegue).<br>– Verifica di eventuali contestazioni sulla merce fornita (vizi, ritardi): se sussistono, usarle per ridurre/compensare il dovuto (ma in buona fede, non come pretesto).<br>– In extremis, presentazione di piano di concordato/sovraindebitamento che blocchi i decreti ingiuntivi sul nascere con la procedura concorsuale. |
| Locatore (Affitto) | Intimazione di sfratto per morosità (dopo ca. 20 giorni dal mancato pagamento); convalida sfratto dal tribunale (entro 1-2 mesi); esecuzione forzata di rilascio con ufficiale giudiziario (in 3-6 mesi); decreto ingiuntivo per affitti arretrati e spese; iscrizione eventuale di titolo esecutivo per canoni su beni del conduttore. | Perdita del locale commerciale (chiusura forzata dell’attività); costi di trasloco, danno di avviamento (clientela perduta); condanna a pagare arretrati + indennità occupazione; possibile richiesta di risarcimento ulteriori danni (es. canoni fino a nuova locazione). | – Ricerca di un accordo col proprietario: riduzione temporanea del canone, utilizzo cauzione per coprire mensilità, rateizzazione del moroso.<br>– Se crisi prevedibilmente lunga: valutare la risoluzione consensuale anticipata per evitare accumulo di morosità (meglio restituire subito le chiavi limitando i danni e magari far subentrare un nuovo conduttore che versI un key money al vecchio, da girare al locatore).<br>– Pagare almeno parzialmente i canoni prima dell’udienza di sfratto per chiedere un termine di grazia (max 90 giorni) ex art. 55 L.392/78 al giudice.<br>– Se in procedura concorsuale: decidere se mantenere il contratto (pagando i correnti) o scioglierlo. Usare l’ombrello del concordato per trattare col locatore il debito pregresso come credito concorsuale (spesso chirografo). |
Tabella 2 – Confronto sintetico tra principali procedure di soluzione della crisi:
| Procedura | Soggetti ammessi | Natura | Ruolo creditori | Vantaggi per debitore | Svantaggi/Condizioni |
|---|---|---|---|---|---|
| Composizione negoziata (strumento stragiudiziale assistito) | Imprese (anche sotto soglia). Anche imprenditori agricoli e società (nessuna esclusa) . | Negoziazione volontaria con ausilio di Esperto indipendente nominato da commissione camerale. | Nessun voto formale; creditori partecipano a incontri mediati. Accordi finali consensuali. | – Misure protettive attivabili (sospensione azioni, 120 giorni) .<br>– Riservatezza (non pubblica fino ad eventuali provvedimenti del tribunale).<br>– Flessibilità: soluzioni su misura (accordi individuali, contratti di vendita, ecc.).<br>– Possibilità di transazione fiscale anche fuori dal tribunale . | – Non vincola i dissenzienti (serve accordo con ciascun creditore strategico).<br>– Durata limitata (6 mesi + proroga) per trovare soluzione.<br>– Costi dell’Esperto e impegno gestionale.<br>– Se fallisce, si è “scoperti” a meno di accesso a concordato semplificato. |
| Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) | Imprese (di qualsiasi dimensione). | Accordo stragiudiziale supportato da piano finanziario attestato da professionista. | Nessun coinvolgimento del tribunale né voto. Adesione volontaria creditori rilevanti. | – Evita pubblicità della crisi.<br>– Protezione da revocatorie per pagamenti/garanzie su fatti previsti dal piano .<br>– Rapido e flessibile (nessuna forma vincolata). | – Necessario consenso pressoché totale dei creditori principali (basta uno fuori che pignora per far saltare il risanamento).<br>– Nessun automatic stay: se un creditore agisce, nessuna tutela se non accordi standstill privati. |
| Accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII, ex 182-bis) | Imprese commerciali soggette a fallimento (sopra soglia). Anche imprese agricole e imprese minori se scelgono volontariamente (disponibile a tutti soggetti CCII tranne consumatori). | Procedura giudiziale semplificata: accordo privato con almeno 60% creditori, omologato dal tribunale e vincolante per tutti i firmatari (dissenzienti extraconcordo restano fuori, da pagare a parte). | Nessun voto assembleare, ma serve adesione scritta ≥60% crediti. Creditori non aderenti non vincolati (a meno di estensioni specifiche per categorie omogenee). | – Meno costoso e più rapido di un concordato preventivo.<br>– Possibile includere transazione fiscale (art. 63 CCII) e imporla al Fisco se condizioni rispettate .<br>– Procedura riservata (udienza in camera di consiglio, minor pubblicità). | – Deve assicurare pagamento integrale creditori estranei entro 120 giorni da omologa (o scadenza naturale se successiva). Questo spesso obbliga a escludere pochi dissenzienti pagando integralmente il loro credito.<br>– Rischio di opposizione dei creditori non aderenti in sede di omologa (il giudice valuta l’accordo ma dissenzienti possono contestare convenienza).<br>– Necessario attestatore che certifichi veridicità dati e fattibilità. |
| Concordato preventivo (art. 84+ CCII) – ordinario | Imprese soggette a liquidazione giudiziale (fallibili). (Non ammesso per consumatori o professionisti non imprenditori). | Procedura concorsuale piena, sotto controllo del tribunale, mirata alla continuazione o alla liquidazione alternativa all’insolvenza. | I creditori votano per classi sulla proposta (maggioranza >50% crediti ammessi). Minoranza dissenziente vincolata se omologa approvata . | – Sospende tutte le azioni esecutive e cautelari (protezione ampia).<br>– ConsentE transazione fiscale e contributiva con eventuale cram-down .<br>– Consente anche soluzioni complesse (cessione azienda, affitto, intervento nuovi investitori) con autorizzazione giudice, quindi maggiore flessibilità operativa protetta.<br>– Al termine, la società può proseguire con debiti ridotti oppure, se liquidatorio, soci liberI da rivendicazioni (società estinta). | – Procedura lunga e costosa (commissario, spese giustizia, tempi per voto e omologa, di solito 6-12 mesi per ammissione+omologa + anni per esecuzione).<br>– Richiede piano dettagliato e attestazione da parte di professionista (costi consulenza).<br>– Percentuale minima 20% ai chirografari se concordato liquidatorio puro (art. 84) – soglia derogabile solo in continuità. |
| Concordato minore (art. 74+ CCII) | Debitori sovraindebitati non fallibili: piccole imprese sotto soglia, professionisti, start-up, soggetti non commerciali (es. enti non profit indebitati). Esclusi i consumatori puri. | Procedura concorsuale semplificata ex Tribunale, analoga al concordato ma in ambito sovraindebitamento. OCC nominato al posto del commissario. | I creditori possono essere consultati o votare, ma l’omologazione può avvenire anche senza approvazione espressa se il piano è equo e conveniente rispetto alla liquidazione . Il giudice tiene conto dell’eventuale dissenso, ma non vincola se requisiti soddisfatti (cram-down possibile). | – Accessibile con costi ridotti e formalità minori rispetto a concordato ordinarIo.<br>– Non richiede percentuale minima di pagamento ai chirografari se c’è meritevolezza e convenienza (massima flessibilità per proporre soluzioni anche parziali).<br>– Il giudice può omologare anche con Fisco/INPS contrari se ritiene la proposta migliore del fallimento .<br>– Il debitore persona fisica (o socio illimitato) ottiene esdebitazione residuo di diritto a fine piano eseguito .<br>– Consente, come il concordato, moratoria sui debiti privilegiati non oltre 2 anni dall’omologa (possibilità di pagamento dilazionato). | – Richiesta meritevolezza: se il debitore ha avuto colpe gravi nella genesi del debito, il giudice può negare l’omologa (standard più “morale” rispetto al concordato ordinario).<br>– Necessità di coinvolgere OCC e seguire procedure di formazione del piano, con relativa burocrazia (anche se minori per numero creditori di solito). |
| Piano di ristrutturazione del consumatore (art. 67 CCII) | Persona fisica consumatore (debiti non derivanti da attività d’impresa o professionale). Ammissibile anche per ex imprenditori se i debiti sono misti ma principalmente personali. | Procedura concorsuale senza voto: il tribunale omologa il piano se rispetta requisiti di legge (meritevolezza e convenienza). | Creditori non votano; possono solo fare osservazioni e opposizione eventuale dopo. Il giudice valuta e decide sull’omologa . | – Debitore non deve cercare consenso dai creditori: risparmia tempo e dinamiche conflittuali.<br>– Anche forti falcidie possono essere approvate se il giudice le reputa giustificate (p.es. pagamento 10% ai creditori se il patrimonio quello consente).<br>– Ampia protezione: sospende procedure esecutive in corso sull’abitazione principale se il piano lo prevede (art. 54-ter CCII).<br>– Esdebitazione totale a fine esecuzione (eccetto debiti non eliminabili ex lege) .<br>– Adatto a famiglie e debiti personali (carte, finanziamenti, bollette). | – Ammissibile solo se il debitore non è imprenditore attivo (se lo è, deve usare concordato minore).<br>– Standard di meritevolezza più stringente: assenza di colpa grave nel sovraindebitamento è scrutinata rigorosamente (no omologa se debitore ha fatto spese voluttuarie sproporzionate, etc., salvo eventi sopravvenuti) .<br>– Necessaria assistenza OCC e monitoraggio stretto del budget familiare durante esecuzione del piano (spesso 4-5 anni di pagamento quote reddito). |
| Liquidazione controllata (ex liquidaz. patrimonio, art. 268+ CCII) | Qualunque debitore sovraindebitato (persona fisica o giuridica non fallibile). Può essere richiesta dal debitore stesso o dai creditori (in certi casi) o disposta d’ufficio se un piano concordatario fallisce. | Procedura concorsuale liquidatoria: simile al fallimento, un liquidatore raccoglie e vende tutti i beni, poi distribuisce il ricavato secondo i privilegi. | Creditori non votano; presentano le domande di insinuazione al passivo e partecipano al riparto. | – Libera il debitore persona fisica dai debiti con esdebitazione (su istanza) una volta terminata .<br>– Durata massima 3 anni (estendibile a 4 in casi eccezionali) , dunque il debitore vede una fine certa alla procedura.<br>– Possibilità per il debitore di proporre ai creditori un soddisfacimento migliore durante la liquidazione (se trova offerte per beni, etc.), ma senza obbligo di elaborare un piano complesso sin dall’inizio.<br>– Il liquidatore può sciogliere i contratti in corso (salvo lavoro) per massimizzare il ricavato senza penali. | – Il debitore perde la disponibilità di tutti i suoi beni non necessari ai bisogni vitali (si spoglia completamente del patrimonio).<br>– Se emergono atti in frode o anomalie pregressE, il giudice può negare l’esdebitazione finale (p.es. mancata consegna di un bene nascosto, comportamento poco collaborativo).<br>– Implica la cessazione eventuale dell’attività (se ditta individuale, l’azienda viene liquidata; se società, viene sciolta). |
| Liquidazione giudiziale (fallimento) | Imprese commerciali sopra soglia e altri soggetti previsti (es. impr. agricolo sopra soglia secondo nuovo CCII). Può essere richiesta da creditore o dal debitore stesso in tribunale. | Procedura concorsuale liquidatoria “classica”, con nomina di curatore, giudice delegato e eventuale comitato creditori. Obiettivo: liquidare patrimonio imprenditore insolvente per soddisfare creditori par conditio. | Creditori insinuano i crediti al passivo; non c’è voto perché non c’è piano di pagamento, si soddisfano secondo legge sui risultati di liquidazione. Possono però influenzare alcune decisioni tramite comitato creditori. | – Solleva il debitore dall’onere di gestire la crisi: passa tutto al curatore.<br>– Se persona fisica, può ottenere esdebitazione a fine procedura (entro 3 anni dal decreto di chiusura fallimento, art. 278 CCII).<br>– Eventuali atti in frode ai creditori possono essere revocati, recuperando risorse a beneficio del ceto creditorio (questo è più un vantaggio per creditori, ma anche per debitore onesto che vede puniti i comportamenti scorretti della concorrenza sleale). | – Stigma reputazionale e personale (anche se diminuito rispetto al passato, fallire è sempre percepito negativamente).<br>– Perde totalmente la gestione dell’impresa e dei beni.<br>– Tempi lunghi (un fallimento può durare anche diversi anni, se ci sono cause o beni difficili da vendere, benché il CCII miri a accelerare).<br>– Per i soci di società fallita, come detto, possibili azioni di responsabilità. |
(N.B.: Le procedure semplificate come il concordato semplificato post-composizione negoziata non sono incluse in tabella per brevità; si tratta di ipotesi residuali speciali.)
Le tabelle confermano che la scelta dello strumento dipende dalla situazione specifica: se l’attività ha chance di salvataggio e i creditori principali paiono collaborativi, meglio tentare una composizione negoziata o un accordo. Se c’è troppa disaccordo o serve l’autorità del tribunale per imporre sacrifici, allora un concordato (minore o preventivo) è opportuno. Se invece non c’è nulla da salvare, la liquidazione, per quanto dolorosa, è spesso la strada più lineare per chiudere i conti e ricominciare.
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito rispondiamo ad alcune domande comuni che imprenditori e privati si pongono quando si trovano con debiti insostenibili derivanti dalla gestione di un negozio o piccola impresa. Le risposte sono formulate in modo diretto e sintetico, richiamando i concetti spiegati nella guida.
D: Un piccolo negozio può essere dichiarato fallito?
R: Dipende dalle dimensioni economiche. La legge prevede soglie sotto le quali l’imprenditore non è assoggettabile a fallimento (attivo annuo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000) . Se il negozio biologico rientra in questi limiti, non potrà subire un fallimento (liquidazione giudiziale). Ciò non significa che i debiti spariscano: i creditori potranno agire individualmente (pignoramenti) oppure il debitore potrà attivare le procedure di sovraindebitamento (concordato minore, ecc.) per risolvere la crisi. Se invece il negozio supera anche solo una soglia (ad esempio ha €600.000 di debiti), allora in caso di insolvenza i creditori possono chiederne il fallimento, o il titolare stesso può proporre un concordato preventivo per evitarlo. In pratica molti negozi sotto soglia non falliscono mai, ma possono comunque essere strozzati dai debiti se non ricorrono alle procedure minori.
D: Cosa rischio se non pago l’IVA o le tasse del negozio?
R: Il mancato versamento di IVA, ritenute e altre imposte comporta: 1) cartelle esattoriali con sanzioni e interessi; 2) possibili ipoteche su immobili e fermi su veicoli; 3) pignoramenti di conti correnti, incassi e beni, ad opera dell’Agenzia Entrate-Riscossione ; 4) se gli importi superano le soglie penali (IVA > €250k annua, ritenute > €150k) scatta il reato tributario con rischio di processo penale . Anche sotto soglia, ripetute omissioni d’imposta possono portare a indagini se c’è intento fraudolento. In breve, il Fisco ha ampi poteri di esecuzione forzata e le tasse non pagate producono rapidamente more e sanzioni elevate. Occorre reagire subito: chiedere rateizzazioni, aderire a rottamazioni se aperte , oppure includere il debito fiscale in un piano di ristrutturazione (tramite transazione fiscale) per ridurre sanzioni e ottenere più tempo . Ignorare il problema aggrava solo la posizione.
D: Ho debiti con l’INPS per i contributi: posso cancellarli o ridurli?
R: I contributi previdenziali (soprattutto quelli trattenuti ai dipendenti) sono considerati “sacri” – l’INPS di regola non acconsente a riduzioni volontarie del dovuto. Si possono però dilazionare (fino a 2 anni, o 5-6 anni in casi gravi con approvazione ministeriale). In una procedura concorsuale, i debiti INPS possono essere falcidiati similmente a quelli fiscali, ma l’INPS tende a votare contro ogni taglio . Fortunatamente, se il piano è conveniente, il tribunale può omologare ugualmente e imporre il taglio (cram-down) . Quanto alla cancellazione totale, l’unico modo è ottenere l’esdebitazione a fine procedura di liquidazione: ciò libera anche dai contributi rimasti non pagati , fatta salva la “scopertura” ai fini pensionistici (non verranno accreditati quei contributi). Non esistono condoni contributivi frequenti; a volte il legislatore condona sanzioni e interessi su contributi (es. inclusi nelle rottamazioni cartelle), ma il capitale contributivo in sé di norma va pagato. In sintesi: puoi diluire, in casi eccezionali ridurre in sede concorsuale, e se proprio non riesci a pagare, l’esdebitazione finale è l’ancora per azzerare il debito.
D: I miei fornitori non sono stati pagati e mi minacciano legalmente. Posso fare qualcosa per evitarlo?
R: Puoi negoziare. Spesso un fornitore preferisce un accordo piuttosto che spendere soldi in avvocati e forse trovare un debitore in fallimento. Proponi un piano di rientro a rate, magari garantito da cambiali (per formalizzarlo): molti accettano. Se hai disponibilità limitata, potresti offrire un pagamento parziale immediato a saldo del debito (ad es. “ti pago subito 30% e chiudiamo la partita”): si chiama saldo e stralcio e tanti fornitori lo accettano sapendo che alternative potrebbero portare zero. Formalizza l’accordo per iscritto con quietanza finale. Se qualche fornitore ha già ottenuto un decreto ingiuntivo, valuta con un legale se ci sono motivi di opposizione (vizi nelle fatture, prescrizione): a volte si guadagna tempo contestando. In extremis, avvia una procedura concorsuale (concordato minore se sei sotto soglia): l’ammissione alla procedura bloccherà le azioni esecutive dei fornitori e ti permetterà di gestirli in modo collettivo, offrendo una percentuale unica a tutti. Questa è la soluzione “forte” se i fornitori sono tanti e ingestibili singolarmente.
D: Il proprietario del negozio (locatore) può buttarci fuori se siamo indietro con l’affitto?
R: Sì, se la morosità supera i termini contrattuali (generalmente basta un mese di ritardo significativo), il locatore può attivare uno sfratto per morosità e ottenerne la convalida rapidamente (in 1-2 mesi) . Una volta convalidato lo sfratto, il tribunale ti assegna un termine breve per lasciare i locali (di solito 30 giorni) . Pagando integralmente il dovuto (canoni arretrati, oneri, spese) prima o in udienza puoi bloccare lo sfratto, ma ciò è ammesso una sola volta. Se non puoi pagare e vieni sfrattato, dovrai liberare il locale; il locatore potrà anche chiederti i canoni arretrati e i danni per il periodo di mancata locazione. Come difendersi?: parlando col locatore prima che proceda legalmente. Spiega la situazione e chiedi magari una riduzione temporanea del canone o l’uso della cauzione. Se il locatore vede prospettiva di continuare il rapporto potrebbe accettare; se invece vuole liberarsi di te o ritiene che non pagherai mai, sarà inflessibile. In quest’ultimo caso, valuta tu stesso di restituire i locali spontaneamente per evitare costi aggiuntivi: magari trovi un accordo per cui rinunci alla cauzione e te ne vai senza ulteriori pretese reciproche. Se invece vuoi tentare di mantenere i locali e risanare l’attività, puoi – in caso estremo – presentare una domanda di concordato preventivo o minore: durante la procedura, lo sfratto potrebbe essere sospeso (non è garantito al 100% perché dipende dallo stato in cui si trova, ma spesso il giudice della procedura chiede di sospendere esecuzioni in corso). Poi nel concordato potrai decidere se proseguire il contratto di affitto (pagando regolarmente da lì in poi) o scioglierlo. Questa è una mossa molto sofisticata e costosa, da valutare solo se sei certo di poter salvare il negozio e l’affitto è essenziale.
D: Ho sentito parlare di sovraindebitamento e legge “salva suicidi”: posso liberarmi dei debiti anche se non ho nulla da offrire?
R: La legge lo consente in casi eccezionali. In generale, le procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore) richiedono di offrire ai creditori qualcosa – tipicamente il ricavato di beni venduti o una parte del reddito futuro – in modo da soddisfarli almeno in parte . Non esistono pasti gratis: se proprio non hai nulla, c’è la possibilità dell’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) dove il tribunale ti cancella i debiti senza pagare nulla . Ma devi provare di essere totalmente privo di beni pignorabili, meritevole (non hai truffato o dissipato attivo volontariamente) e che non avresti comunque prospettive di recupero. È una soluzione limite e concessa raramente, perché i giudici preferiscono che almeno si tenti una liquidazione controllata (anche vendendo pochi beni) prima di arrivare al condono totale. Comunque c’è: se davvero sei nullatenente e i debiti ti strangolano, dopo 4 anni dal decreto di esdebitazione potrai voltare pagina definitivamente (salvo dover pagare qualcosa se nel frattempo vinci alla lotteria!). Questa è la cosiddetta norma “salva suicidi”, pensata per chi è in disperazione totale. Importante: funziona solo per persone fisiche, non per società.
D: Quanto tempo dura una procedura di sovraindebitamento o concordato?
R: Dipende dalla complessità. Indicativamente, una composizione negoziata dura 3-6 mesi di trattative. Un concordato preventivo ordinario impiega circa 6 mesi per arrivare all’omologa (se tutto fila liscio), poi l’esecuzione del piano può durare fino a 5 anni (o eccezionalmente di più se i creditori accettano). Il concordato minore ha tempi più snelli: l’udienza di omologa spesso avviene entro 3-4 mesi dal deposito del piano, perché non c’è l’assemblea di voto formale (o comunque è semplificata). Dopo l’omologa, il piano minore solitamente prevede pagamenti in 4-5 anni al massimo (spesso anche in meno tempo, dipende dalle risorse). La liquidazione controllata deve concludersi entro 3 anni per legge , a cui aggiungere il tempo per la pronuncia di esdebitazione (qualche mese extra). Un piano del consumatore di solito ha durata di pagamento intorno a 4 anni (è calibrato su quanto il debitore può pagare risparmiando sul suo stipendio, ecc.), ma potrebbe essere più corto se c’è liquidazione immediata di beni. Dunque, realisticamente: da un minimo di pochi mesi (se vendi subito tutto e chiudi la pratica) a un massimo di 5 anni di pagamento. In ogni caso, molto meglio di restare nel limbo dei debiti per decenni. Esempio concreto: nel Caso Beta presentato sopra, dalla domanda al decreto di omologa passarono pochi mesi e il piano prevedeva liquidazione di beni in pochi mesi, infatti entro un anno circa il signor B ha eseguito tutto e ottenuto l’esdebitazione . Al contrario, nel Caso Alfa (concordato preventivo grande) il piano è durato 5 anni . Quindi dipende dalla taglia.
D: Se non rispetto il piano concordatario o di ristrutturazione, cosa succede?
R: Se interrompi o non esegui correttamente un piano omologato, le conseguenze sono gravi: la procedura viene revocata o risolta dal tribunale e tornano efficaci tutti i debiti originari (deducendo quanto eventualmente pagato). In un concordato preventivo, l’annullamento/risoluzione del concordato può portare i creditori a chiedere immediatamente il fallimento (anzi, spesso contestualmente chiedono di riservarsi questa facoltà in caso di inadempimento). Nel sovraindebitamento, la legge prevede la revoca dell’esdebitazione se il debitore non adempie senza giustificato motivo. Ad esempio, se in un piano del consumatore ti impegni a versare €500 al mese per 3 anni e smetti di farlo dopo 1 anno senza motivo valido, il giudice può revocare l’omologazione e perderai il beneficio, con i creditori liberi di agire di nuovo. Insomma, i piani vanno rispettati fedelmente. C’è una certa elasticità: se hai un problema temporaneo, comunica subito all’OCC o al commissario per cercare un aggiustamento (a volte il giudice può concedere una proroga dei termini di pagamento se giustificata). Ma non contare troppo su questo. Meglio piani prudenti e sostenibili che promettono meno ma vengono onorati, piuttosto che piani ottimistici destinati a fallire. In ogni caso, se proprio non riesci a rispettare il piano e la procedura viene risolta, torni alla casella di partenza con i debiti (meno quanto hai già pagato) e i creditori potranno riprendere le azioni.
D: Posso aprire una nuova attività dopo essere passato per queste procedure?
R: Sì, nella maggior parte dei casi puoi ricominciare senza preclusioni, soprattutto se hai ottenuto l’esdebitazione. L’idea stessa del “fresh start” è che, pulito dai debiti, tu possa tornare a essere economicamente attivo. Alcune limitazioni temporanee esistevano per i falliti: ad esempio, durante il fallimento l’imprenditore non può assumere cariche societarie senza informare i soci, e i falliti fraudolenti subivano interdizioni. Ma se ottieni l’esdebitazione, cessano gli effetti penali e civili del fallimento (puoi anche accedere a finanziamenti con più facilità perché risulti senza debiti pregressi esigibili). Per quanto riguarda i sovraindebitati, la legge attuale non impone divieti di aprire nuove imprese dopo aver chiuso la procedura. C’è solo un vincolo: non puoi usufruire di un’altra procedura di esdebitazione prima di 4 anni (per evitare abusi seriali). Quindi, nulla ti impedisce di aprire un nuovo negozio o di continuare quello vecchio se il concordato era in continuità. Ad esempio, nel Caso Alfa, la società ha continuato l’attività e, dopo aver completato il concordato, è rimasta attiva “più snella da debiti” . Un nota bene: se fai un accordo con transazione fiscale e poi torni ad accumulare nuovi debiti fiscali, l’Agenzia Entrate sicuramente sarà molto meno indulgente in futuro. Cioè, puoi ripartire, ma cerca di non ricadere negli stessi errori perché al secondo giro la credibilità è minore.
D: Quali debiti NON si possono cancellare neanche con queste procedure?
R: Ce ne sono alcuni, stabiliti dalla legge, per ragioni di tutela superiore. In particolare: i debiti per alimenti dovuti per legge (assegni di mantenimento a coniuge e figli) non sono falcidiabili né esdebitabili ; i debiti da risarcimento di danni per fatti illeciti gravi (lesioni, morte, reati) non vengono cancellati (il creditore vittima mantiene il diritto di ottenere il risarcimento integrale) ; le multe e ammende penali e le sanzioni amministrative di natura punitiva (es. sanzioni Antitrust) restano dovute per intero ; i debiti fiscali derivanti da frodi conclamate (ad es. se sei stato condannato per dichiarazione fraudolenta, l’IVA evasa con frode non te la cancellano nemmeno con il sovraindebitamento) ; i debiti per obblighi di restituzione di aiuti di Stato (questo è un caso raro, ma per legge non si possono falcidiare per par condicio con altri concorrenti economici); infine, i debiti contratti con dolo o colpa grave in vista del sovraindebitamento possono essere esclusi dall’esdebitazione (ad es. se hai fatto nuovi debiti sapendo già di non volerli pagare, il giudice – su eccezione dei creditori – può lasciarteli fuori) . In sintesi, debiti verso familiari per mantenimento, debiti derivati da comportamenti illeciti, sanzioni penali e pochi altri sono “indisponibili”. Tutto il resto (fisco onesto, banche, fornitori, contributi, ecc.) invece rientra nelle procedure e può essere tagliato o cancellato.
D: Ci sono novità legislative recenti di cui tenere conto nel 2024-2025?
R: Sì, molte. La materia è stata rivoluzionata dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 2022) , con successivi correttivi nel 2020, 2022 e 2024 . Alcune novità specifiche: la composizione negoziata introdotta nel 2021 è ora strutturale; il correttivo 2024 (D.Lgs. 136/2024) ha rafforzato la possibilità di accordi fiscali nella composizione assistita e ha limato la norma sul concordato semplificato, rendendolo più accessibile . Sul fronte fiscale, la Legge Delega 111/2023 permetterà di includere in futuro anche i tributi locali nei piani di transazione (finora non falcidiabili) . In attesa dei decreti attuativi, ciò significa che forse tra un po’ si potranno stralciare quote di IMU/TARI in concordato, cosa oggi non possibile. Dal lato penale tributario, segnalo il D.Lgs. 84/2023 che, attuando la delega penale, ha introdotto la causa di non punibilità per crisi di liquidità non imputabile: quindi non pagare IVA o ritenute non è reato se provi che era impossibile e hai adottato misure idonee per fronteggiare la crisi . Questo certamente incoraggia a utilizzare gli strumenti di composizione (concordati, accordi) perché dimostrano la tua volontà di porre rimedio. Inoltre è stata innalzata la soglia di punibilità delle ritenute a €10.000 (prima era 5.000) e precisato che il termine per il reato IVA decorre dal 31/12 dell’anno successivo (dando più tempo per pagare ed evitare il penale) . Insomma, un quadro più favorevole al debitore onesto. Nel 2023 c’è stata la Rottamazione-quater per le cartelle fino al 30/6/22, e nel 2024 il Governo ipotizza ulteriori definizioni agevolate (ad esempio stralcio interessi per chi paga a saldo entro certi termini, ma su questo attendiamo conferme normative). Per un avvocato o un imprenditore è importante restare aggiornati perché le regole cambiano: un caso eclatante, pochi anni fa i crediti INPS privilegiati non si potevano mai toccare, ora con il CCII e il correttivo 2022 si possono falcidiare come gli altri privilegiati, se il piano rispetta certe soglie . Questa evoluzione normativa continua è il motivo per cui avere un consulente esperto è essenziale.
Casi pratici e simulazioni (scenari risolutivi)
Passiamo ora a illustrare, con esempi concreti, come le norme e gli strumenti descritti possano applicarsi nella realtà. Presentiamo due casi ipotetici ispirati a situazioni frequenti:
- Caso A – Ristrutturazione dell’impresa in crisi (concordato in continuità): un piccolo imprenditore cerca di salvare il suo negozio ristrutturando i debiti e continuando l’attività.
- Caso B – Liquidazione e liberazione dai debiti (piano del consumatore/liquidazione): il titolare decide di chiudere l’attività ormai insostenibile e azzerare i debiti residui, proteggendo quel poco del suo patrimonio personale.
Queste simulazioni, pur semplificate, mostrano passo passo l’utilizzo degli strumenti giuridici e le decisioni chiave da prendere, evidenziando gli esiti ottenuti.
Caso A: “BioBenessere SRL” – Ristrutturazione e concordato in continuità
Profilo: BioBenessere S.r.l. è una società di capitali che gestisce due negozi di alimenti biologici e prodotti eco-sostenibili in Toscana. Ha 8 dipendenti in totale. Negli ultimi due anni ha affrontato difficoltà: concorrenza della grande distribuzione “bio” (supermercati) e calo di consumi. Il fatturato è diminuito del 30%. La società ha accumulato debiti IVA per €150.000 (non è riuscita a versare interamente l’IVA trimestrale per via dei costi fissi), debiti verso fornitori per €200.000 (una decina di fornitori italiani e esteri di prodotti biologici confezionati) e debiti bancari per €300.000 (mutuo residuo di €200k garantito da ipoteca su uno dei negozi di proprietà sociale, più €100k di scoperto di conto garantito da pegno su titoli dei soci). Inoltre deve €50.000 di contributi arretrati all’INPS (perché ha preferito pagare gli stipendi netti ai dipendenti ma non ha versato tutte le contribuzioni). Totale indebitamento: €700.000 circa. Alcuni fornitori hanno già messo in mora BioBenessere e minacciano azioni legali; la banca ha segnalato che, se non si rientra dallo scoperto, tra 60 giorni lo revocherà.
Nonostante la crisi, BioBenessere ha ancora un buon mercato locale e un sito e-commerce in crescita. I soci credono che, se si riduce il debito e gli oneri finanziari, l’azienda possa tornare redditizia. Non vogliono chiudere.
Soluzione scelta: Concordato preventivo in continuità aziendale con transazione fiscale e contributiva. La società, essendo fallibile, decide di evitare il fallimento presentando un piano concordatario che prevede la prosecuzione dell’attività in entrambe le sedi, con alcuni tagli di costi e l’intervento finanziario moderato dei soci.
Passi operativi:
- Deposito di concordato con riserva: BioBenessere deposita presso il tribunale una domanda di concordato “in bianco” (art. 44 CCII), chiedendo il termine di 120 giorni per presentare il piano definitivo . Contestualmente chiede misure protettive: il tribunale le concede, quindi tutte le azioni esecutive dei creditori vengono sospese. Questo ferma un decreto ingiuntivo che un fornitore aveva appena notificato e soprattutto impedisce alla banca di revocare il fido o iniziare il pignoramento immobiliare per il mutuo scaduto. L’azienda continua a operare sotto la supervisione di un commissario giudiziale nominato (il quale vigila che non sprechi risorse nel frattempo).
- Elaborazione del piano e proposta: Con l’aiuto di un professionista (advisor), la società formula un piano a 5 anni. Gli elementi salienti:
- Verranno pagati integralmente i debiti con privilegio “alto”: in primis i contributi INPS relativi agli ultimi 2 anni (€30k che sono privilegiati), e l’IVA dell’ultimo anno (€50k privilegiata). Come? Vendendo un piccolo magazzino di proprietà non strettamente necessario all’attività, stimato €100k. Il ricavato coprirà contributi e IVA privilegiata, il resto pagherà parzialmente i professionisti della procedura e qualche spesa.
- Per i debiti chirografari (fornitori e Fisco/INPS per la parte non privilegiata): si propone di pagarli al 40% in 5 anni, in tranche semestrali, utilizzando i futuri utili generati dalla continuazione dell’attività. In pratica, grazie a un piano di rilancio (nuova linea di prodotti a marchio proprio, marketing online, riduzione di un paio di dipendenti tramite accordi incentivati), la società prevede di generare cassa sufficiente per destinare ~€160k (il 40% di 400k) ai creditori chirografari in 5 anni.
- Il debito bancario ipotecario (€200k residui mutuo) verrà ristrutturato fuori concordato: la banca ha accettato informalmente di non opporsi se continuiamo a pagare le rate, magari allungandole di 2 anni ma pagando tutto (essendo garantita da ipoteca, comunque verrebbe soddisfatta integralmente, quindi la teniamo fuori dalla moratoria concorsuale).
- Transazione fiscale e contributiva: L’Agenzia Entrate e l’INPS vengono coinvolti per la parte chirografaria dei loro crediti: nel piano si propone di stralciare sanzioni e interessi e pagare solo il 40% del tributo base su 5 anni, come agli altri chirografari. In cifre: dei €150k di IVA, €50k sono stati considerati privilegiati (ultimo anno) e pagati integralmente, restano €100k chirografari per annualità più vecchie – ne offriremo €40k; dei €50k contributi, €30k privilegiati pagati integrali, restano €20k chirografari – ne offriremo €8k. Sanzioni e interessi (~€20k) sarebbero azzerati. Dunque Erario riceverebbe €40k invece di €100k e INPS €8k invece di €20k. I fornitori anch’essi 40%. Questa parità di trattamento garantisce che nessuno sia discriminato.
- I soci si impegnano a immettere €50k di nuova finanza (hanno deciso di vendere alcuni loro investimenti personali) a titolo di patrimonio aggiuntivo post-omologa, per coprire eventuali flessioni e assicurare il pagamento delle prime rate del concordato.
- PianO di monitoraggio: viene allegato un dettagliato cronoprogramma: se i ricavi supereranno le stime, una percentuale extra andrà a incrementare i pagamenti ai creditori (clausola migliorativa per ottenere consenso). Se invece andassero peggio, è previsto comunque un minimo garantito derivante dai risparmi operativi.
- Attestazione e deposito del piano: Un professionista indipendente (attestatore ex art. 87 CCII) verifica i numeri del piano e attesta che è fattibile e che i creditori non fallimentari (Fisco, fornitori) riceveranno nel concordato più di quanto otterrebbero in caso di liquidazione fallimentare . Nell’attestazione, sottolinea che se la società fallisse, i negozi verrebbero chiusi e liquidati frettolosamente: si ricaverebbe forse €150k dalla vendita degli arredi e del magazzino e dall’immobile ipotecato (che basterebbe appena a soddisfare la banca), lasciando zero per IVA e fornitori. Nel concordato invece ne ricevono 40%, quindi è nettamente migliorativo . L’attestazione conferma anche che il ritorno in utile è credibile (grazie al taglio debiti e al piano di rilancio, prevede un +€80k/anno di cash flow, sufficiente per le rate).
- Adunanza dei creditori e voto: Il tribunale, esaminato il piano e la relazione, ammette la società al concordato e convoca i creditori. Nel frattempo BioBenessere, tramite i consulenti e l’OCC, ha colloqui preliminari con alcuni grandi fornitori e con l’Agenzia delle Entrate per illustrare la proposta di transazione . All’adunanza, su 100% di crediti chirografari, il 75% vota sì (i fornitori maggiori e l’Agenzia Entrate sono favorevoli, riconoscendo che 40% è conveniente rispetto al fallimento) . L’INPS vota no (ha una direttiva interna a non accettare falcidie se non imposte) , ma pesa solo per 5% del totale crediti chirografari, quindi la maggioranza complessiva c’è . Non ci sono classi separate in questo caso (tutti chirografari insieme), ma se anche ci fossero, i creditori pubblici costituiscono una classe minoritaria quindi irrilevante per il raggiungimento del quorum.
- Omologazione: Un piccolo fornitore (che avrebbe preferito fuori concordato agire per conto suo) si oppone lamentando che avrebbe potuto essere pagato di più vendendo più asset; l’INPS formalizza opposizione ribadendo che i contributi non dovrebbero essere tagliati . Il tribunale però esamina il piano e respinge le opposizioni: accerta che tutti i creditori chirografari sono trattati in modo uniforme (INPS compresa, al 40% come gli altri, quindi non c’è disparità) ; e verifica che, dati alla mano, in caso di liquidazione l’INPS non avrebbe preso più di zero (perché i beni si sarebbero esauriti sui privilegiati di grado superiore). Inoltre considera che i soci hanno messo nuovo denaro, segno di impegno. Pertanto omologa il concordato. Grazie alla norma del cram-down (art. 48 CCII), l’omologazione viene concessa nonostante il dissenso dell’INPS , poiché la proposta rispetta la convenienza e c’è la maggioranza di consensi richiesta. Viene ufficialmente approvata la transazione fiscale e contributiva: i debiti IVA e contributi chirografari sono ridotti rispettivamente a €40k e €8k secondo piano .
- Esecuzione del piano: BioBenessere continua l’attività come previsto. I due negozi rimangono aperti e implementano le azioni di rilancio. Ogni 6 mesi, la società versa le rate concordatarie: Agenzia Entrate e INPS ricevono puntualmente i pagamenti ridotti (rispettivamente €10k e €2k annui, divisi in due semestralità); i fornitori ricevono anch’essi i pagamenti pro-quota. Il commissario giudiziale monitora i bilanci semestralmente e relaziona che tutto procede regolarmente. Dopo 4 anni BioBenessere ha pagato interamente i €48k dovuti a Fisco e INPS e il 40% a ciascun fornitore. Nel frattempo la situazione è persino migliorata oltre le previsioni: uno dei fornitori, colpito dalla lealtà della società, ha offerto migliori sconti migliorando i margini; inoltre la clientela è aumentata grazie al marketing digitale. Questo ha generato utili aggiuntivi: come da clausola di miglioramento, BioBenessere ha destinato il 20% dei profitti extra ad anticipare e incrementare i pagamenti ai chirografari, portando il dividendo finale dal 40% al 50% per i fornitori e il Fisco.
- Chiusura e liberazione: Ottenuto il attestato del commissario sul completamento del piano, il tribunale dichiara chiuso il concordato. Le Agenzie (Entrate e INPS) emettono i provvedimenti di sgravio: le cartelle relative ai debiti falcidiati sono ufficialmente annullate per la parte non pagata. Il DURC di BioBenessere torna regolare a tutti gli effetti. La società prosegue l’attività con reputazione riabilitata e senza arretrati che la soffocano. I soci hanno mantenuto la proprietà e ora beneficiano di un’azienda risanata. Dal lato penale, amministratore e soci (prima indagati per omesso versamento IVA e contributi) vedono i procedimenti archiviati: hanno infatti pagato tutto il dovuto come da concordato, e la riforma li tutela riconoscendo che la crisi era indipendente dalla loro volontà (quindi niente dolo) . Questo caso dimostra come, con un buon piano e la collaborazione anche forzata di creditori pubblici, una piccola impresa può superare un momento critico, onorare in parte i debiti e tornare sul mercato rafforzata.
Caso B: “Natura&Salute di Mario B.” – Liquidazione sovraindebitamento ed esdebitazione
Profilo: Mario Bianchi è titolare di Natura&Salute, un negozio di prodotti biologici gestito come ditta individuale. Negli ultimi tempi, complice la pandemia e l’avvento dell’e-commerce, il fatturato è crollato e Mario ha accumulato debiti per circa €120.000: ha €30.000 di IVA non versata in due anni, €10.000 di contributi INPS commercianti arretrati, €50.000 di debiti verso fornitori vari (alcuni insoluti da oltre 6 mesi) e un prestito bancario residuo di €30.000 con garanzia personale di sua moglie. Mario ha già ridotto le spese al minimo e attinto a tutti i risparmi. Ora l’attività va in perdita e lui non vede prospettive di ripresa significative: la grande distribuzione biologica ha aperto un supermarket vicino e il suo negozio di quartiere non è più sostenibile. Mario decide quindi di chiudere il negozio per non accumulare ulteriori perdite. Resta però il problema dei debiti pregressi. Il patrimonio di Mario consiste in: un furgone usato del 2015 del valore di circa €5.000 e attrezzature/merci in negozio per un valore stimato di €10.000 (scaffali, registratore di cassa, frigo e un po’ di magazzino invenduto). Mario è comproprietario al 50% della casa coniugale (valore della sua quota €80.000), ma c’è un mutuo residuo ipotecario pari a €75.000 intestato a lui e alla moglie; la banca ha ipoteca di primo grado. Dunque di fatto nella casa c’è poco equity. Inoltre l’immobile è adibito ad abitazione principale della famiglia con due figli minori. Mario non vuole vendere la casa (anche perché dovrebbe comunque estinguere il mutuo). Nessun altro bene rilevante.
In sintesi: i creditori chirografari (fornitori, Fisco, ecc.) hanno ben poche prospettive di soddisfazione individuale: potrebbero pignorare i conti (vuoti) o pignorare i beni mobili (valore esiguo). La banca creditrice ha la garanzia ipotecaria ma la sua ipoteca copre giusto il residuo mutuo, quindi è soddisfatta se Mario continua a pagare le rate (cosa che riesce ancora a fare con lo stipendio di sua moglie).
Soluzione scelta: Procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento – nello specifico un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore presentato da Mario come persona fisica “meritevole” . Sebbene i debiti derivino dall’attività d’impresa, Mario essendo piccolo imprenditore sotto soglia rientra tra i soggetti ammessi, e l’OCC considera che la sua situazione è sovrapponibile a quella di un consumatore (non c’è differenza tra debiti aziendali e personali ormai, vista la confusione patrimoniale). Alternativamente, avrebbe potuto fare un concordato minore: ma il vantaggio del piano del consumatore è evitare la necessità di voto dei creditori (lui ha un paio di creditori pubblici ostici e preferisce bypassarli).
Passi operativi:
- Ricorso ex L. 3/2012 (ora CCII) all’OCC: Mario si rivolge all’Organismo di Composizione della Crisi locale (presso la Camera di Commercio). Viene nominato un referente che analizza la posizione debitoria e lo aiuta a predisporre un piano del consumatore (ora “piano di ristrutturazione del consumatore”) ai sensi degli artt. 67-73 CCII . Mario è un piccolo imprenditore non fallibile, dunque può usare questa procedura. L’OCC verifica le cause dell’indebitamento e prepara la documentazione di meritevolezza.
- Contenuto del piano: Mario propone di cessare l’attività (infatti ha già chiuso il negozio e restituito i locali al proprietario) e di liquidare tutti i beni mobili disponibili per pagare parzialmente i creditori. In particolare, vende tutte le rimanenze di magazzino e gli arredi del negozio (tramite svendita e successiva cessione a stock): ne ricava circa €10.000. Inoltre vende il suo furgone per €5.000. Totale risorse: €15.000. Non tocca la casa coniugale in quanto è gravata da mutuo e comunque abitazione necessaria (non c’è equità apprezzabile e l’OCC nota che la moglie co-proprietaria non è coinvolta nella procedura). Con questi €15.000, Mario propone di pagare circa il 40% del totale debiti (€15k su €40k effettivamente trattabili nel piano, perché il debito bancario garantito dalla moglie viene escluso dal piano: la moglie, garante, si accollerà il mutuo e il prestito per evitare il default familiare – ciò è lecito: il piano può escludere un creditore garantito se tanto quel creditore può soddisfarsi altrove, in questo caso sulla moglie garante) . Nello specifico, la ripartizione proposta è:
- Pagare prima le spese di procedura e un piccolo debito privilegiato (aveva una dipendente part-time per cui deve €1.000 di TFR, credito privilegiato che va soddisfatto per primo).
- Con i restanti ~€14.000, offrire il 40% ai creditori chirografari: Agenzia Entrate ~€12.000 su €30.000 di IVA; INPS ~€4.000 su €10.000; fornitori ~€22.000 su €55.000 (in proporzione, alcuni fornitori micro avranno somme minuscole e rinunceranno a formalizzare, incrementando leggermente la quota altrui). Questo comporta un pagamento di circa 40 centesimi per ogni euro di debito, equamente distribuito .
- La banca non viene toccata dal piano: il prestito di €30k è garantito dalla moglie di Mario, quindi il piano prevede esplicitamente che la banca sarà soddisfatta al di fuori escutendo la garante (la moglie ha reddito stabile e si impegna a pagare quel prestito, quindi la banca non subisce perdita) . Questo è un dettaglio importante: per legge nel piano del consumatore si possono trattare in modo diverso crediti con garanzie esterne, perché tanto il creditore non è pregiudicato dal taglio se può rivalersi sul garante. Dunque la banca non vota né partecipa (e comunque essendo garantita non avrebbe diritto a falcidia nel piano).
- Nessuna risorsa futura viene prevista (Mario non ha stipendio, è disoccupato al momento; la moglie ha stipendio ma essendo estranea non viene coinvolto il suo reddito nel piano).
- Meritevolezza e convenienza: L’OCC raccoglie prove che Mario non ha condotto una vita lussuosa né sperperato denaro: l’indebitamento è dipeso dal calo degli affari e da fattori esterni (concorrenza GDO, pandemia). Verifica inoltre che Mario non ha altri beni nascosti. Nella sua relazione, l’OCC attesta che Mario è meritevole, ovvero non ha colpa grave né ha aggravato volontariamente la situazione . Inoltre dichiara che il piano offre ai creditori più di quanto avrebbero ottenuto dalla liquidazione giudiziale: perché? Se Mario andasse in liquidazione controllata, probabilmente non si ricaverebbe nemmeno €15.000 (forzatamente vendere il negozio vuoto e i beni potrebbe portare a realizzi minori e maggiori spese); inoltre la casa non verrebbe liquidata comunque essendo ipotecata interamente dalla banca e in comproprietà con minori (difficile da vendere in liquidazione). Quindi l’Erario e gli altri, in un fallimento, avrebbero preso forse zero, mentre col piano prendono 40%. Questa convenienza è fondamentale perché consente al giudice di omologare il piano anche se un creditore pubblico è contrario .
- Trattamento del Fisco e opposizioni: L’OCC notifica il piano a Agenzia Entrate e INPS. Questi non hanno diritto di voto, ma possono presentare osservazioni scritte. Nel caso di Mario, l’Agenzia Entrate non si oppone (riconosce implicitamente che prendere 12k è meglio che tentare inutili pignoramenti) . L’INPS invece si oppone formalmente, sostenendo il principio che i contributi non andrebbero tagliati per equità verso altri lavoratori etc. . L’OCC risponde all’INPS spiegando che, se il piano non passasse, l’INPS non vedrebbe comunque nulla perché Mario è nullatenente e la casa è della banca . Non c’è realisticamente alternativa migliore per l’ente.
- Omologazione in tribunale: Il giudice esamina d’ufficio i requisiti. Verifica che Mario ha agito senza frode (non ha fatto atti in frode, non ha nascosto beni) e che il piano è conveniente per i creditori (come attestato). Rileva la contestazione INPS, ma la valuta infondata: imporre a Mario di pagare 100% dei contributi (cioè €10k su €15k disponibili) renderebbe impossibile il piano e sarebbe iniquo verso gli altri creditori. Inoltre l’INPS non suggerisce alternative migliorative, si limita a opporsi. Pertanto, il tribunale decide di omologare il piano nonostante il dissenso INPS, ritenendo soddisfatti i criteri di legge . Nella sentenza sottolinea che Mario ha destinato tutto il ricavato liquidabile proporzionalmente a tutti i creditori, senza favoritismi (nessuno prende più di un altro in percentuale). Questa equità permette di superare l’obiezione dell’ente.
- Esecuzione del piano: Una volta omologato, Mario attua il piano. Ha già chiuso il negozio e ora organizza una vendita promozionale delle merci rimaste: incassa €8.000 da una svendita di fine attività. Vende anche l’automezzo per €5.000 e alcuni scaffali e frigoriferi a un altro commerciante per €2.000. In totale raccoglie circa €15.000, leggermente meno del previsto €15k (diciamo €14.800) . Ne informa l’OCC, il quale chiede al giudice di autorizzare una ripartizione proporzionalmente ridotta (circa il 38% anziché 40%) . Il giudice approva. Mario quindi versa €11.400 all’Agenzia Entrate (pari al 38% del suo credito €30k) e €3.800 all’INPS (38% di €10k), chiudendo così quei debiti . Versa i restanti ~€22.800 ai fornitori chirografari (anche loro ~38%). Alcuni piccoli fornitori, avendo crediti di pochi euro, rinunciano a formalizzare l’incasso, così Mario ridistribuisce quelle briciole tra gli altri creditori migliorando leggermente la loro quota.
- Esdebitazione: Ad esecuzione completata, l’OCC riferisce che Mario ha fatto tutto quanto promesso. Mario presenta istanza di esdebitazione del sovraindebitato ai sensi dell’art. 282 CCII. Il tribunale, con decreto, dichiara il piano attuato e contestualmente Mario esdebitato da tutti i debiti residui insoddisfatti . Ciò significa che i creditori chirografari (Fisco, INPS, fornitori) non possono più pretendere nulla da Mario per la parte non pagata. Quei debiti sono estinti per inesigibilità. Mario è legalmente libero.
- Post-esdebitazione: Liberatosi dei debiti, Mario ha potuto cercare un nuovo impiego. Trova lavoro come commesso in un supermercato biologico (il paradosso: viene assunto dal concorrente che lo aveva messo fuori mercato). Grazie allo stipendio, riesce a pagare il mutuo di casa che è rimasto in essere (così la moglie non perde l’abitazione). L’INPS gli invia un estratto conto contributivo aggiornato dove risulta che per 2 anni c’è un buco del 60% nei versamenti, il che si tradurrà in una pensione leggermente più bassa in futuro, ma Mario lo mette in conto . Sul fronte fiscale, i €18k di IVA non incassati (60%) sono ormai inesigibili: Agenzia Entrate ha chiuso le cartelle per quella parte . E lato penale, fortunatamente Mario non aveva superato le soglie di punibilità (aveva €15k annui di IVA omessa, sotto 250k, e €5k annui di ritenute, sotto 150k), dunque non c’erano procedimenti. Se anche ci fossero stati, il fatto di aver completato il piano ed essersi esdebitato sarebbe stato comunque un elemento fortemente favorevole per ottenere clemenza o archiviazione.
Risultato: Mario, piccolo imprenditore, è riuscito a chiudere la sua attività non fallibile con una procedura ordinata, pagando una parte ragionevole dei debiti (circa 38%) e ottenendo la cancellazione di tutti i debiti residui (anche quelli fiscali e contributivi) . I creditori pubblici non hanno ostacolato (tranne INPS che comunque è stata bypassata) perché la soluzione era trasparente e chiaramente la migliore possibile rispetto alle alternative di recupero forzoso . Questo caso dimostra come gli strumenti di sovraindebitamento possano offrire un vero “fresh start” a chi non ha più modo di pagare tutti i debiti, pur mantenendo un criterio di equità: Mario ha comunque destinato ai creditori tutto il suo patrimonio liquidabile, non è scappato con niente, e in cambio la legge gli ha dato la possibilità di ricominciare da zero.
In ambedue i casi esaminati, notiamo il filo conduttore: la tempestività e la buona fede del debitore nel rivolgersi agli strumenti giuridici appropriati. Laddove c’è stata collaborazione e trasparenza (dare tutto il possibile ai creditori, convincerli – o costringerli legalmente – che quella era la soluzione migliore), si è giunti a un esito win-win o quantomeno accettabile: il creditore pubblico ha incassato qualcosa invece di nulla, il piccolo imprenditore onesto ha potuto salvare l’azienda (Caso A) o quantomeno la propria dignità liberandosi dei debiti (Caso B).
Conclusioni
La gestione di un negozio con debiti – come visto nell’ambito di un esercizio di prodotti biologici – richiede un approccio lucido, informato e proattivo. Il quadro normativo italiano, aggiornato al 2025, offre oggi una serie di strumenti avanzati per affrontare la crisi d’impresa bilanciando due esigenze apparentemente opposte: da un lato il legittimo interesse dei creditori (in primis Fisco e INPS) a riscuotere il dovuto, dall’altro la necessità di evitare che il peso dei debiti pregressi soffochi qualsiasi prospettiva di risanamento e continuità aziendale.
La riforma introdotta con il Codice della Crisi d’Impresa e i successivi correttivi ha tracciato un percorso innovativo: per la prima volta, anche i crediti erariali – un tempo intoccabili – possono essere oggetto di accordi e sacrifici concordati, purché ciò avvenga all’interno di procedure vigilate (attestazioni di esperti, omologazioni giudiziali, soglie di soddisfacimento minimo) . Strumenti come la transazione fiscale e contributiva, il cram-down fiscale (omologa forzosa nonostante il voto contrario del Fisco) e la composizione negoziata si sono rivelati leve fondamentali per i professionisti che assistono imprese in difficoltà . Essi permettono di ridurre il monte debitorio pubblico a un livello sostenibile, preservando la continuità aziendale quando ci sono prospettive, oppure – nei casi estremi – di chiudere dignitosamente l’impresa liquidando i beni e liberando l’imprenditore dai debiti residui (esdebitazione).
Parallelamente, le recenti modifiche normative in ambito penale tributario offrono all’imprenditore onesto un forte incentivo a emergere dall’ombra: se la crisi non è colpa sua e attiva gli strumenti per porvi rimedio, l’ordinamento tende a non punirlo come un evasore, riconoscendo anzi cause di non punibilità e attenuanti per chi coopera e regolarizza . Ciò segna un cambiamento culturale: il debitore non è più visto a priori come il “furbetto” da perseguitare, ma può essere – e spesso è – una vittima di circostanze avverse che merita una seconda chance, se agisce con correttezza.
Per questo, avvocati e imprenditori devono conoscere a fondo queste opportunità, saper bilanciare il vincolo legale dell’indisponibilità del tributo (superabile ormai per via eccezionale) con l’obiettivo di uscire dalla crisi in modo costruttivo. Ogni caso richiede un’analisi specifica, ma la comparazione tra disciplina previgente e attuale ci insegna che oggi c’è molta più flessibilità negoziale entro confini chiari (non si può proporre al Fisco meno di quanto avrebbe in fallimento, ad esempio, senza rischiare il rigetto) . I casi pratici mostrano che, con preparazione e buona fede, è possibile trovare soluzioni che soddisfino almeno parzialmente anche l’Erario, evitando esiti distruttivi che non giovano a nessuno .
In definitiva, l’aggiornamento 2025 del quadro normativo mette a disposizione un arsenale completo per affrontare i debiti d’impresa: dagli accordi in continuità con transazione fiscale fino alla liquidazione con esdebitazione, passando per il negoziato assistito. La chiave del successo risiede nella tempestività (attivarsi ai primi segnali di difficoltà, non aspettare l’irreparabile), nella trasparenza (dati chiari, piani realistici attestati) e nella collaborazione con gli enti creditori (oggi dotati di strumenti per sedersi al tavolo, come dimostrato dal Provvedimento AE 2024 sulle transazioni) . Con queste premesse, anche il Fisco può diventare – da rigido esattore – un attore della soluzione della crisi, nella cornice garantita dalla legge . E il piccolo imprenditore debitore, da soggetto schiacciato dai debiti, può tornare ad essere un cittadino economicamente attivo, rimesso in gioco a beneficio proprio e dell’intero tessuto sociale.
Gestisci un negozio di prodotti biologici, alimenti naturali o integratori e ti ritrovi con debiti verso banche, fornitori, dipendenti o Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Gestisci un negozio di prodotti biologici, alimenti naturali o integratori e ti ritrovi con debiti verso banche, fornitori, dipendenti o Agenzia delle Entrate?
Hai cartelle esattoriali, mutui o leasing arretrati, contributi INPS non versati o affitti in ritardo, e temi pignoramenti, blocchi bancari o la chiusura dell’attività?
👉 Non farti travolgere: anche le attività commerciali nel settore biologico possono difendersi legalmente, bloccare i creditori, ridurre o cancellare i debiti e ripartire in modo regolare e protetto, grazie al Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019).
In questa guida scoprirai perché molti negozi bio si trovano in difficoltà, quali soluzioni legali puoi adottare, e come salvare o chiudere l’attività senza perdere tutto ciò che hai costruito.
🌿 Perché i negozi di prodotti biologici si indebitano
Il mercato del biologico è in crescita, ma anche sempre più competitivo e fragile. Le cause più comuni della crisi economica sono:
- Aumento dei costi delle forniture e dei trasporti;
- Margini di guadagno ridotti per concorrenza di GDO e marketplace online;
- Affitti o mutui elevati per i locali;
- Tassazione e contributi difficili da sostenere;
- Calo dei consumi o vendite stagionali;
- Errori di gestione amministrativa o fiscale;
- Mancati pagamenti da parte di clienti o partner commerciali.
📌 Questi fattori possono portare rapidamente a debiti fiscali, bancari e commerciali, minacciando la continuità dell’attività e la serenità familiare.
🧾 I debiti più comuni nei negozi biologici
✅ Debiti fiscali e contributivi
- IVA, IRPEF, INPS, INAIL, TARI, cartelle esattoriali e accertamenti.
✅ Debiti bancari e finanziari
- Mutui o leasing per arredi, frigoriferi, scaffali, macchinari o locali.
- Prestiti aziendali e scoperti di conto.
✅ Debiti commerciali
- Fatture non pagate a fornitori di alimenti, bevande, packaging e prodotti naturali.
✅ Debiti verso dipendenti e collaboratori
- Stipendi arretrati, contributi previdenziali non versati, TFR o vertenze.
✅ Debiti personali o fideiussioni
- Garanzie personali firmate dal titolare o dai soci per prestiti e finanziamenti.
⚠️ Cosa rischia un negozio biologico indebitato
Se non intervieni subito, i creditori possono:
- pignorare conti correnti, merci e attrezzature;
- bloccare i rifornimenti o revocare linee di credito;
- emettere cartelle, decreti ingiuntivi o ipoteche;
- bloccare forniture essenziali e rapporti commerciali;
- compromettere la reputazione e i rapporti con i clienti.
👉 Ma la legge oggi ti permette di bloccare tutto immediatamente, ristrutturare i debiti e continuare a lavorare o chiudere in modo protetto, senza fallire.
🧩 Le soluzioni legali per negozi di prodotti biologici con debiti
💠 1. Rinegoziazione dei debiti con banche e fornitori
Con il supporto di un avvocato puoi ottenere:
- riduzione del debito complessivo (saldo e stralcio);
- rateizzazioni più lunghe e sostenibili;
- sospensioni temporanee dei pagamenti.
👉 È la via più immediata per chi vuole continuare a lavorare e mantenere i rapporti con fornitori e clienti.
💠 2. Procedura di sovraindebitamento (D.Lgs. 14/2019 – Codice della Crisi)
È la procedura perfetta per piccole attività commerciali o ditte individuali.
Consente di:
- bloccare pignoramenti, cartelle e azioni esecutive;
- presentare un piano di rientro proporzionato alle entrate;
- ottenere la cancellazione definitiva dei debiti residui (esdebitazione).
📌 È adatta ai negozi di piccole dimensioni o a conduzione familiare.
💠 3. Concordato minore (per SRL o società di commercio)
È la procedura omologata dal Tribunale che permette di:
- bloccare immediatamente i creditori;
- ridurre legalmente i debiti fiscali, bancari e commerciali;
- preservare la continuità dell’attività e i contratti di fornitura.
📌 È ideale per catene di negozi o attività strutturate con più sedi.
💠 4. Liquidazione controllata dei beni (ex fallimento personale)
Se l’attività non è più sostenibile, puoi chiudere in modo ordinato e protetto, mettendo a disposizione solo i beni non essenziali (arredi, attrezzature, scorte).
Alla fine della procedura, il Tribunale cancella tutti i debiti residui, permettendoti di ricominciare senza pendenze fiscali o bancarie.
💠 5. Verifica e contestazione delle cartelle fiscali
Molti debiti derivano da errori o irregolarità nelle notifiche.
Un avvocato può:
- verificare la prescrizione (5 o 10 anni);
- eccepire duplicazioni, vizi o importi inesatti;
- chiedere la sospensione o l’annullamento del debito.
🥦 Cosa fare subito
✅ 1. Analizza la situazione economica e i debiti
Raccogli bilanci, cartelle, contratti, leasing, fornitori e spese fisse.
✅ 2. Blocca i creditori con una procedura legale
Con il deposito in Tribunale di una procedura di sovraindebitamento o concordato, tutti i creditori devono sospendere le azioni di recupero.
✅ 3. Evita nuovi debiti o prestiti non sostenibili
Serve una strategia legale globale, gestita da un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa.
📋 Documenti utili per la difesa
- Documento d’identità e codice fiscale.
- Visura camerale e bilanci aziendali.
- Dichiarazioni fiscali e posizione INPS/INAIL.
- Contratti di mutuo, leasing e finanziamenti.
- Cartelle esattoriali e accertamenti fiscali.
- Elenco fornitori, clienti e dipendenti.
- Estratti conto bancari e documentazione contabile.
⏱️ Tempi e risultati possibili
- Analisi e pianificazione legale: 1–3 settimane.
- Deposito della procedura: 1–2 mesi.
- Blocco immediato dei creditori: al deposito.
- Durata del piano di rientro: da 1 a 5 anni.
🎯 Risultati concreti:
- Stop a pignoramenti, cartelle e sequestri.
- Riduzione o cancellazione dei debiti residui.
- Tutela dei beni e del punto vendita.
- Ripartenza economica e professionale.
⚖️ I vantaggi principali
✅ Blocco immediato delle azioni dei creditori.
✅ Riduzione dei debiti fino all’80%.
✅ Tutela del negozio e delle scorte.
✅ Possibilità di continuare o chiudere legalmente senza fallimento.
✅ Ripartenza economica e reputazionale serena.
🚫 Errori da evitare
- Ignorare cartelle e diffide di pagamento.
- Accumulare nuovi debiti o prestiti “tampone”.
- Vendere beni senza assistenza legale.
- Pagare solo alcuni creditori peggiorando la posizione generale.
- Rimandare troppo: agire subito è la chiave per salvare l’attività.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la situazione finanziaria e debitoria della tua attività.
📌 Ti guida nella scelta tra rinegoziazione, sovraindebitamento, concordato o liquidazione controllata.
✍️ Redige e deposita il piano legale per bloccare subito i creditori.
⚖️ Ti rappresenta nei rapporti con Agenzia delle Entrate, banche, fornitori e dipendenti.
🔁 Ti accompagna fino alla cancellazione definitiva dei debiti o alla ristrutturazione completa della tua attività commerciale.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto commerciale, tributario e crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di negozi biologici, attività alimentari e imprese del commercio con debiti fiscali e bancari.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Essere un negozio di prodotti biologici con debiti non significa dover chiudere o perdere tutto.
Con una difesa legale mirata e tempestiva, puoi bloccare i creditori, ridurre drasticamente i debiti fiscali e bancari, e continuare a lavorare in modo sereno e legale, o chiudere l’attività in modo protetto.
La legge oggi tutela chi agisce con trasparenza e vuole davvero ripartire.
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