Imprese Di Noleggio Di Macchinari Edili Con Debiti: Cosa Fare E Come Difendersi

Gestisci un’impresa di noleggio di macchinari edili e ti trovi in difficoltà economica a causa di debiti con il Fisco, l’INPS, le banche o i fornitori? È una situazione che purtroppo coinvolge sempre più operatori del settore. Il comparto edilizio, dopo anni di oscillazioni tra crisi e riprese temporanee, ha lasciato molte aziende esposte a debiti derivanti da ritardi nei pagamenti, investimenti pesanti e aumento dei costi operativi. Quando iniziano ad arrivare cartelle esattoriali, solleciti o pignoramenti, la situazione può rapidamente degenerare. La buona notizia è che esistono strumenti legali concreti per bloccare la riscossione, rateizzare o cancellare i debiti, tutelando l’impresa e il patrimonio dell’imprenditore.

Perché le imprese di noleggio macchinari edili si indebitano

Le cause principali dell’indebitamento in questo settore derivano dal forte squilibrio tra costi e incassi. L’acquisto o il leasing di escavatori, gru, piattaforme e attrezzature comporta investimenti ingenti, che spesso vengono finanziati a credito. I tempi di pagamento nei cantieri sono lunghi e, in caso di ritardi o insolvenze, l’impresa resta scoperta verso fornitori, banche e Fisco. A ciò si aggiungono i costi per manutenzioni, assicurazioni, carburante e trasporti, oltre al peso fiscale e contributivo. Quando il flusso di cassa rallenta, è frequente che l’imprenditore rinvii il pagamento delle imposte o dei contributi, accumulando interessi e sanzioni che aggravano la situazione nel tempo.

Cosa succede se non paghi tasse o contributi

L’Agenzia delle Entrate-Riscossione e gli enti previdenziali possono intervenire rapidamente con procedure di recupero forzato. Le più comuni sono la notifica di cartelle esattoriali, intimazioni di pagamento, pignoramenti dei conti correnti o dei crediti verso clienti, fermi amministrativi sui veicoli e ipoteche su immobili e attrezzature. Nel frattempo, maturano ulteriori sanzioni e interessi, facendo crescere l’importo dovuto. Se l’impresa è individuale o familiare, l’imprenditore risponde personalmente dei debiti, rischiando anche i beni privati. Intervenire tempestivamente è l’unico modo per fermare il peggioramento della situazione.

Cosa fare subito se la tua impresa di noleggio ha debiti

Il primo passo è ottenere un quadro chiaro e preciso della tua posizione. Richiedi l’estratto di ruolo aggiornato all’Agenzia delle Entrate-Riscossione per conoscere l’importo esatto, le annualità e gli enti creditori coinvolti. Successivamente, verifica la correttezza delle cartelle: molte contengono errori di notifica o importi prescritti che un avvocato può contestare. Se il debito è valido, puoi chiedere la rateizzazione fino a 120 rate mensili, sospendendo nel frattempo le azioni esecutive. È utile anche controllare se è disponibile una definizione agevolata (rottamazione), che consente di pagare solo il capitale, eliminando sanzioni e interessi. In caso di pignoramenti o ipoteche già avviate, puoi ottenere la sospensione immediata presentando un ricorso o un’istanza di autotutela.

Le soluzioni legali per chi non riesce più a pagare

Se i debiti sono diventati troppo gravosi e l’attività non riesce più a sostenerli, puoi accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, introdotta dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019). È una procedura legale rivolta a ditte individuali, artigiani e piccole imprese che permette di bloccare pignoramenti, sospendere le azioni dei creditori e ottenere la cancellazione totale o parziale dei debiti residui (esdebitazione). È uno strumento riconosciuto dai tribunali italiani e rappresenta la soluzione più efficace per salvare l’impresa o chiuderla in modo ordinato, senza lasciare pendenze fiscali o bancarie.

Come difendersi da banche, finanziarie e fornitori

Molte imprese di noleggio hanno anche debiti con banche o società di leasing per i macchinari. In questi casi puoi chiedere la rinegoziazione dei contratti, la sospensione temporanea dei pagamenti o un saldo e stralcio per chiudere le posizioni a un importo ridotto. È inoltre possibile contestare contratti con clausole abusive o tassi usurari, oppure impugnare decreti ingiuntivi e pignoramenti entro i termini di legge. Un avvocato esperto può assisterti nella trattativa con banche e fornitori, difendendoti da azioni esecutive e salvaguardando i beni indispensabili per l’attività.

Cosa puoi ottenere con una difesa efficace

Con una strategia legale tempestiva e ben organizzata puoi ottenere risultati concreti: sospendere i pignoramenti e le azioni di recupero, ottenere la rateizzazione o la cancellazione dei debiti fiscali e contributivi, proteggere i beni aziendali e personali, evitare la chiusura forzata e ripartire con una gestione sostenibile. In molti casi, un piano di rientro studiato con il supporto di un avvocato permette di rilanciare l’attività e mantenere rapporti regolari con il Fisco e i fornitori.

Quando rivolgersi a un avvocato esperto

Devi rivolgerti a un avvocato se hai ricevuto cartelle o intimazioni di pagamento, se hai debiti fiscali o bancari che non riesci più a gestire o se rischi pignoramenti e sequestri. Un avvocato esperto in diritto tributario e crisi da sovraindebitamento può contestare le cartelle illegittime, bloccare la riscossione e accompagnarti nella procedura di esdebitazione fino alla cancellazione definitiva dei debiti. Agire in tempo è essenziale per salvare l’impresa e il patrimonio familiare.

⚠️ Attenzione: ignorare cartelle o solleciti di pagamento può portare rapidamente a pignoramenti, ipoteche e blocchi dei conti. Intervenire subito è l’unico modo per proteggere la tua impresa e garantire la continuità del lavoro.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela delle imprese edili – spiega cosa fare se gestisci un’impresa di noleggio di macchinari edili con debiti, come bloccare la riscossione e come cancellare legalmente le somme dovute grazie agli strumenti previsti dalla legge.

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Introduzione

Le imprese che operano nel noleggio di macchinari edili si trovano spesso a fronteggiare consistenti esposizioni debitorie. Si tratta di un settore caratterizzato da elevati investimenti iniziali (l’acquisto o leasing dei mezzi), costi fissi importanti e flussi di cassa talvolta irregolari legati all’andamento dell’edilizia. Queste peculiarità possono portare l’azienda a una situazione di indebitamento significativo, soprattutto in periodi di crisi economica o di contrazione del mercato edilizio. Ma quali sono gli strumenti giuridici a disposizione di un imprenditore che si trova schiacciato dai debiti? Quali tutele offre l’ordinamento per “difendersi” dalle azioni dei creditori e ristrutturare l’esposizione debitoria? In questa guida approfondita (aggiornata a settembre 2025) affronteremo tali quesiti dal punto di vista del debitore, ossia dell’impresa di noleggio macchinari indebitata, fornendo un’analisi avanzata ma dal taglio pratico.

Parleremo delle diverse tipologie di debiti che gravano su queste imprese (fiscali, bancari, verso fornitori, contributivi, da leasing, ecc.) e delle relative conseguenze. Passeremo in rassegna sia le soluzioni stragiudiziali (accordi bonari, piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione dei debiti, composizione negoziata della crisi) sia le procedure giudiziali previste dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, come modificato fino al 2024), tra cui il concordato preventivo, la liquidazione giudiziale (ex fallimento), il concordato minore e gli strumenti per il sovraindebitamento. Ci soffermeremo anche sulle novità normative più recenti – ad esempio in tema di trattamento dei debiti fiscali e contributivi nei piani di risanamento – e sulle sentenze più aggiornate della giurisprudenza (Corte di Cassazione in primis) che forniscono orientamenti importanti .

Non mancheranno tabelle riepilogative per confrontare le opzioni disponibili, casi pratici simulati inerenti a imprese del settore, nonché una sezione di domande e risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni. Infine, dedicheremo una parte alle strategie per prevenire il sovraindebitamento nel settore del noleggio di macchinari edili, evidenziando l’importanza di una gestione oculata e degli “adeguati assetti” organizzativi imposti oggi dalla legge agli imprenditori. L’obiettivo è fornire una guida completa e aggiornata, con linguaggio tecnico-giuridico ma accessibile, utile sia ai professionisti del diritto (avvocati, commercialisti) sia agli imprenditori e privati che vogliono capire cosa fare e come difendersi di fronte a una crisi da debiti.

(Si ricorda che le informazioni fornite riguardano la normativa italiana vigente e prassi applicative al settembre 2025. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate saranno indicate nell’ultima sezione della guida.)

Il settore del noleggio di macchinari edili: caratteristiche e rischi di indebitamento

Prima di entrare nel merito delle soluzioni, è utile inquadrare brevemente le caratteristiche del settore del noleggio di macchinari edili e perché esso è esposto al rischio di indebitamento. Le imprese di questo comparto forniscono a imprese edili e costruttori l’uso temporaneo di macchinari pesanti (gru, escavatori, piattaforme aeree, bulldozer, ecc.) dietro corrispettivo. Il modello di business implica che l’azienda di noleggio sostiene ingenti spese in conto capitale per procurarsi i macchinari (spesso finanziate tramite leasing o mutui) e recupera l’investimento gradualmente con i canoni di noleggio.

Alcuni fattori di rischio tipici del settore includono:

  • Ciclicità del mercato edile: la domanda di noleggio macchinari segue l’andamento dell’edilizia e delle costruzioni. Periodi di recessione o calo degli appalti si traducono in minor fatturato per i noleggiatori, che però continuano ad avere costi fissi (rate leasing, manutenzione mezzi, personale, ecc.). Questo squilibrio può generare crisi di liquidità e accumulo di debiti.
  • Elevati costi fissi e leverage finanziario: l’acquisto di macchinari è spesso finanziato a debito (leasing finanziario, mutui bancari). Ne deriva un significativo leverage: l’impresa opera con un alto indebitamento iniziale che deve essere ripagato col flusso di cassa operativo. Se i ricavi da noleggio scendono o ritardano, le rate di leasing e gli interessi sui mutui possono diventare insostenibili, portando a insolvenze.
  • Ritardi nei pagamenti e insoluti: i clienti (imprese edili) possono a loro volta trovarsi in difficoltà e ritardare i pagamenti dei canoni di noleggio. Ciò impatta la liquidità del noleggiatore, che magari ha già anticipato spese (es. carburante, manutenzione, trasporto macchinari). L’aumento dei crediti insoluti e dei tempi di incasso contribuisce al sovraindebitamento.
  • Deprezzamento e costi di manutenzione: i macchinari edili richiedono costante manutenzione e si svalutano nel tempo. L’impresa di noleggio deve investire in manutenzione e rinnovo del parco mezzi. Se mancano le risorse per farlo (perché assorbite dal servizio del debito), i beni perdono valore più rapidamente, riducendo le garanzie per i creditori e aggravando il rischio di insolvenza.
  • Garanzie personali e struttura societaria: molte imprese del settore sono di piccole/medie dimensioni (spesso S.r.l. a conduzione familiare). Non di rado gli istituti di credito richiedono fideiussioni personali dagli amministratori/soci a garanzia dei finanziamenti. In caso di default della società, quindi, anche il patrimonio personale degli imprenditori è esposto (aspetto che rende ancora più delicata la gestione della crisi).
  • Variabili esogene: crisi economiche generali, aumenti dei costi (si pensi al caro carburanti o energia per far funzionare i macchinari), eventi imprevisti (come la pandemia Covid-19) possono colpire duramente il settore, generando indebitamento anche in aziende prima sane.

Questi elementi spiegano perché un’impresa di noleggio macchinari edili possa accumulare diverse tipologie di debiti: verso il fisco (se nei momenti di crisi si rinviano i versamenti tributari), verso le banche e società di leasing, verso i fornitori (officine meccaniche, fornitori di carburante, ecc.), verso i dipendenti e gli enti previdenziali, oltre a eventuali sanzioni o penali. Nei paragrafi seguenti analizzeremo ciascuna di queste categorie di debito e le relative conseguenze giuridiche.

Tipologie di debiti delle imprese di noleggio macchinari edili

Le passività di un’impresa di noleggio possono avere natura molto diversa. È fondamentale comprendere le peculiarità di ciascun tipo di debito, poiché le soluzioni e le strategie difensive variano a seconda della categoria. Di seguito esaminiamo i principali tipi di debiti che gravano su queste imprese e le problematiche connesse.

Debiti tributari (fiscali)

I debiti verso l’erario includono imposte non versate (IVA, IRES/IRPEF, IRAP) e relativi interessi e sanzioni, nonché tasse locali eventualmente dovute (IMU su immobili, TARI, ecc.). Nel settore dei noleggi edili, due voci fiscali particolarmente rilevanti sono: l’IVA (sui canoni di noleggio fatturati) e le ritenute fiscali sui dipendenti o collaboratori. In tempi di difficoltà finanziaria, può accadere che l’impresa, per far fronte ad altre spese urgenti, posticipi i versamenti IVA o le ritenute, accumulando così debiti fiscali. Occorre però essere consapevoli che tali scelte comportano gravi rischi: non solo maturano interessi di mora e sanzioni amministrative, ma alcuni omessi versamenti integrano ipotesi di reato tributario. Ad esempio, l’omesso versamento IVA oltre una certa soglia (attualmente €250.000 annui) costituisce reato penale (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000), così come l’omesso versamento di ritenute oltre €150.000 . Dunque, procrastinare indefinitamente i debiti fiscali può esporre l’imprenditore a responsabilità penali, oltre che a procedure di riscossione coattiva.

Dal punto di vista civilistico, i crediti tributari godono di privilegi e tutele speciali. In caso di escussione, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER) può attivare strumenti esecutivi peculiari come il fermo amministrativo dei beni mobili registrati (veicoli, mezzi), il pignoramento presso terzi (es. pignoramento diretto dei crediti verso i clienti), o ipoteche sugli immobili. Nel contesto concorsuale, i tributi (imposte e contributi) sono crediti privilegiati che devono essere soddisfatti con precedenza rispetto ai debiti chirografari (non garantiti). Inoltre, l’ordinamento prevedeva – fino alle riforme recenti – un trattamento di favore per alcuni crediti fiscali “impignorabili” o “infalcidiabili”: ad esempio, l’IVA e le ritenute non potevano essere falcidiate in un concordato preventivo se non tramite l’istituto della transazione fiscale (ne parleremo in seguito).

Occorre però segnalare che la disciplina è stata evoluta di recente per contemperare l’interesse fiscale con il salvataggio delle imprese. Oggi, anche l’IVA può essere trattata nei piani di ristrutturazione (non è più automaticamente esclusa dalla falcidia) , e sono possibili accordi specifici col Fisco sia in sede di concordato che persino nella composizione negoziata (dal 2024, con il terzo correttivo al Codice della crisi, è consentito concludere un accordo transattivo fiscale anche durante la composizione negoziata, includendo il pagamento parziale/dilazionato di imposte, inclusa l’IVA) . Restano invece non falcidiabili (cioè non riducibili) i debiti contributivi verso INPS e altri enti previdenziali al di fuori delle procedure concorsuali: ad esempio, nella composizione negoziata l’accordo transattivo può riguardare le imposte ma non può ridurre i contributi previdenziali dovuti . In ogni caso, i debiti fiscali vanno gestiti con grande attenzione: il Fisco ha poteri di veto o di influenza su molti piani di risanamento (è spesso un creditore “forte”) e le norme impongono specifiche condizioni per poter “stralciare” tali debiti (come vedremo parlando di transazione fiscale e cram-down).

Conseguenze e strategie: Un’impresa di noleggio con debiti fiscali deve valutare subito le opzioni di rientro volontario (ad esempio mediante rateizzazione amministrativa concessa dall’Agente della Riscossione, che può arrivare fino a 72 o 120 rate in casi di comprovata difficoltà). Esistono periodicamente norme di “definizione agevolata” (le cosiddette rottamazioni delle cartelle esattoriali) che consentono di pagare i ruoli fiscali senza sanzioni e con interessi ridotti: l’ultima, la rottamazione-quater prevista dalla L. 197/2022, ha permesso di regolarizzare molti debiti fiscali fino al 2017 con pagamenti dilazionati sino al 2027. Approfittare di queste misure può alleviare notevolmente il carico fiscale. In alternativa o in parallelo, se il debito fiscale è ingente e l’azienda è in crisi, si potrà ricorrere a strumenti concorsuali: transazione fiscale all’interno di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione, o l’accordo fiscale in composizione negoziata (dal 2024). Questi strumenti permettono di proporre un pagamento parziale del debito tributario, subordinato però a condizioni di legge: ad esempio, in concordato il piano deve offrire al Fisco una soddisfazione non inferiore a quella ricavabile in caso di liquidazione giudiziale, e il tribunale può omologare il concordato anche senza il voto favorevole dell’Erario (cram down) se tali condizioni sono rispettate . Su questo punto la Corte di Cassazione ha di recente chiarito che l’omologazione forzata è possibile pure se l’Agenzia delle Entrate ha espresso voto negativo (non solo in caso di astensione), a condizione che il piano sia più conveniente per il Fisco rispetto alla liquidazione . Ci sono tuttavia nuovi limiti introdotti nel 2024 per evitare abusi: ad esempio, se i debiti fiscali e contributivi costituiscono oltre l’80% del passivo totale e derivano da omessi versamenti protratti per oltre 5 anni o da frodi fiscali, non è consentito il cram-down forzoso su tali debiti . In altre parole, le imprese che hanno accumulato debiti fiscali in modo seriale e preponderante non potranno contare sull’imposizione giudiziale di un taglio del debito fiscale senza l’assenso dell’Erario. In tutti i casi, la strategia con i debiti tributari va ponderata attentamente con consulenti legali e fiscali: talvolta il Fisco può accettare transazioni ragionevoli (soprattutto se il piano è attestato da un professionista che ne certifica la convenienza per l’Erario ), mentre in altri casi sarà necessario prevedere il pagamento integrale almeno dell’IVA e delle ritenute per evitare impasse (ad esempio, attraverso finanziamenti terzi o cessione di asset).

Debiti contributivi (previdenziali e assicurativi)

Un altro capitolo critico è quello dei debiti verso gli enti previdenziali e assicurativi, principalmente l’INPS (contributi pensionistici e assicurativi obbligatori per dipendenti e titolari) e l’INAIL (premi assicurativi contro gli infortuni sul lavoro). Nel settore edile, dove l’impresa di noleggio può avere operatori specializzati per la gestione e manutenzione dei macchinari, è fondamentale essere in regola con i contributi: il rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) è spesso indispensabile per poter lavorare con imprese e cantieri. Il mancato pagamento dei contributi porta dunque non solo ai consueti interessi e sanzioni, ma rischia di bloccare l’operatività dell’impresa (senza DURC regolare, molte commesse sfumano). Inoltre, come per i tributi, anche le omissioni contributive possono sfociare nel penale: ad esempio, l’omesso versamento di contributi previdenziali oltre una certa soglia (circa 10.000 euro annui per contributi dovuti e trattenuti ai dipendenti) costituisce reato (art. 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983 conv. in L. 638/1983).

I crediti contributivi, in ambito concorsuale, godono anch’essi di privilegio (sono trattati come crediti privilegiati al pari dei tributi). Tuttavia, la legislazione attuale è più rigida con essi rispetto ai tributi in termini di falcidia: non è ammessa la riduzione dei contributi dovuti al di fuori di una procedura concorsuale giudiziale. Anche nelle procedure, l’INPS tradizionalmente è poco incline a sconti, e spesso richiede piani che garantiscano il pagamento integrale o quasi dei contributi arretrati (salvo eventualmente abbuonare le sanzioni). Nella composizione negoziata, come già accennato, il decreto correttivo 2024 non consente di includere i contributi nell’accordo transattivo fiscale (che copre solo le imposte), evidenziando l’atteggiamento di chiusura degli enti previdenziali . Ciò significa che un’impresa che voglia regolarizzare i contributi dovrà per forza utilizzare strumenti classici: la rateazione amministrativa concessa dall’INPS (in genere fino a 24 mesi, estensibile a 36 mesi per aziende in temporanea difficoltà, o piani straordinari fino a 60 mesi in casi eccezionali), oppure inserire il debito contributivo in un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione. In quest’ultimo caso, esiste la cosiddetta “transazione contributiva” (prevista assieme a quella fiscale): l’INPS può aderire a un accordo di ristrutturazione o concordato accettando una dilazione o parziale soddisfazione, ma se non aderisce volontariamente, il debitore potrà chiedere al tribunale il cram-down contributivo solo alle condizioni analoghe a quelle fiscali (offrire il massimo realizzabile in liquidazione). Le novità normative citate sopra (es. limite 80%) valgono anche per i contributi.

Conseguenze e strategie: Un’impresa di noleggio che abbia maturato debiti contributivi dovrebbe prioritariamente ricercare una soluzione di regolarizzazione per rientrare in possesso del DURC. Spesso è possibile ottenere dall’INPS un DURC provvisorio in presenza di domanda di rateazione accolta e prime rate pagate, il che consente di continuare a operare mentre si paga il debito. Quindi la rateizzazione contributiva è uno strumento immediato da sfruttare. Se però il debito è troppo elevato per essere gestito con una semplice dilazione (ad esempio perché l’attività non genera abbastanza margine per pagare anche le rate dei contributi pregressi oltre alle spese correnti), occorrerà integrarla in un piano di ristrutturazione generale. Nel concordato preventivo o nel concordato minore, i contributi vanno normalmente inseriti tra i crediti privilegiati da soddisfare almeno parzialmente (la legge consente di pagarli in percentuale anche inferiore al 100% solo se la liquidazione del patrimonio non li coprirebbe interamente). Nella pratica, l’INPS tende a votare favorevolmente un concordato se riceve almeno il medesimo importo che recupererebbe da un fallimento (liquidazione) o, meglio, se c’è continuità aziendale con mantenimento dei posti di lavoro (aspetto che all’ente interessa). Un consiglio è quello di interloquire tempestivamente con l’ente: in alcuni casi, l’INPS può valutare transazioni su sanzioni e interessi (specie se l’impresa ha anche crediti verso la PA che potrebbero essere compensati). Dal punto di vista difensivo, va ricordato anche che le somme trattenute ai dipendenti e non versate (contributi a carico del lavoratore) comportano la responsabilità personale dell’amministratore, che in caso di insolvenza societaria potrebbe essere perseguito per il reato di appropriazione indebita contributiva. Dunque, è bene privilegiare sempre il versamento di quelle componenti quando possibile, o includerle integralmente in ogni proposta di piano.

Debiti bancari e finanziari

Le banche e le società finanziarie/leasing sono spesso tra i principali creditori di un’azienda di noleggio macchinari edili. Le forme di indebitamento più comuni verso il sistema finanziario includono: mutui o finanziamenti a medio termine (usati magari per acquistare alcuni macchinari o capannoni), contratti di leasing finanziario su macchinari (di cui parleremo in dettaglio a parte), affidamenti di conto corrente e scoperti (per la gestione della cassa), anticipi su fatture (il ricorso a strumenti di factoring o anticipo fatture presso banche per avere liquidità immediata sui crediti).

Quando l’impresa entra in crisi, la banca può revocare gli affidamenti (riducendo gli scoperti concessi), chiedere il rientro dai fidi e segnalare la posizione alla Centrale Rischi, aggravando la tensione finanziaria. Il debito bancario è spesso garantito: può esservi un’ipoteca su beni immobili dell’azienda (o dei soci garanti), un pegno su macchinari o su altri beni, oppure (come già detto) una fideiussione personale di soci/amministratori. Ciò significa che in caso di insolvenza, la banca ha titolo per aggredire quei beni a garanzia – ad esempio, escutere i garanti personali o avviare pignoramenti immobiliari – a meno che non intervenga una tutela concorsuale (automatic stay). Inoltre, contratti come il leasing prevedono tipicamente la clausola risolutiva al mancato pagamento di poche rate, permettendo alla società di leasing di riprendere possesso del macchinario rapidamente.

Conseguenze: I crediti bancari chirografari (non garantiti) rientrano nella massa dei debiti chirografari in caso di procedura concorsuale, con sorte comune agli altri creditori. I crediti ipotecari o pignoratizi godono di privilegio (sono soddisfatti preferenzialmente sul ricavato dei beni dati in garanzia). In un concordato preventivo, ai creditori privilegiati deve essere garantito almeno il valore di mercato della garanzia (salvo diverso accordo con loro). Se la garanzia non copre interamente il credito (credito ipotecario “in sofferenza” per la parte eccedente), la parte eccedente viene trattata come chirografaria. Le banche spesso si muovono rapidamente con decreti ingiuntivi e azioni esecutive: un classico è il pignoramento del conto corrente aziendale o dei crediti verso clienti (pressione che può paralizzare l’attività). Anche la segnalazione in Centrale Rischi ed eventualmente in Crif peggiora la reputazione creditizia, rendendo impossibile ottenere nuova finanza lecita.

Strategie e soluzioni: Dal punto di vista negoziale, le banche sono interlocutori fondamentali nelle crisi d’impresa. Spesso, una rinegoziazione del debito bancario è il primo passo: ad esempio, ottenere una moratoria temporanea delle rate (come quelle concesse su larga scala durante emergenze come il Covid-19) o un allungamento dei piani di ammortamento per ridurre l’esborso periodico. Per aziende con prospettive di ripresa, le banche potrebbero accettare un riscadenzamento o una ristrutturazione del debito (magari unendo vari debiti in un unico finanziamento a più lungo termine). Un altro strumento è l’accordo di ristrutturazione dei debiti previsto dalla legge (art. 57 e segg. Codice Crisi): se si raggiunge un accordo con il 60% dei creditori (in valore), tipicamente coinvolgendo le banche principali, quell’accordo può essere omologato dal tribunale e diventare vincolante per i creditori aderenti . Ci sono varianti speciali, come l’accordo ad efficacia estesa per i creditori finanziari, che permette di estendere gli effetti anche ai dissenzienti se una maggioranza qualificata di banche aderisce. Inoltre, la legge prevede incentivi al risanamento: ad esempio, i nuovi finanziamenti apportati dalle banche in esecuzione di un piano di ristrutturazione o concordato sono considerati prededucibili (verranno cioè rimborsati con priorità) , il che incoraggia le banche a sostenere piani credibili. Dal lato difensivo, se un istituto avvia un’azione esecutiva (es. pignoramento di un macchinario o dell’account bancario), l’impresa può valutare di attivare immediatamente una procedura concorsuale (concordato o composizione negoziata con misure protettive) per ottenere lo stay (sospensione) delle azioni esecutive. In un concordato preventivo presentato con riserva ex art. 44 CCII, il tribunale emette provvedimenti di protezione che bloccano i pignoramenti in corso . Questo consente di guadagnare tempo e impedire la disgregazione dell’azienda. Ovviamente, per ottenere tale protezione, il debitore deve poi presentare un piano serio di risanamento entro i termini.

Le fideiussioni personali complicano il quadro: anche se la società avvia un concordato, il socio garante può essere escusso personalmente dalla banca (a meno che non si attivi anch’egli procedure personali, come il sovraindebitamento per il garante persona fisica). È dunque interesse anche del garante che la soluzione sia efficace e che magari l’accordo preveda la liberazione delle garanzie personali a fronte di un pagamento (ad esempio, i piani concordatari possono prevedere l’intervento del socio garante che versa una somma a beneficio dei creditori in cambio della liberazione dal debito residuo).

In sintesi, con i creditori bancari la parola d’ordine è negoziare tempestivamente e in maniera trasparente: presentare un piano industriale e finanziario che mostri come l’azienda può risollevarsi, magari con l’ingresso di nuova finanza o la dismissione di asset non strategici, cercando di ottenere accordi volontari. Se ciò non basta o fallisce, utilizzare gli strumenti legali di ristrutturazione del debito per imporre la soluzione in via giudiziale resta l’ultima risorsa.

Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali

Nel corso della gestione, l’impresa di noleggio accumula debiti verso fornitori di beni e servizi. Si pensi ai fornitori di carburante e lubrificanti (essenziali per far funzionare i macchinari nei cantieri), ai fornitori di ricambi e officine meccaniche per la manutenzione, alle imprese di trasporto che movimentano i macchinari da un cantiere all’altro, oppure ai subfornitori di attrezzature complementari (ponteggi, accessori). Ci possono essere anche debiti verso società assicurative (polizze sui mezzi), verso società di vigilanza (se i mezzi sono custoditi in deposito), affitti di capannoni, etc. Questi debiti commerciali hanno natura chirografaria (non garantita) salvo accordi specifici (ad esempio, un fornitore potrebbe aver pattuito una riserva di proprietà su un bene venduto, ma è raro in servizi).

Se l’azienda ritarda i pagamenti, i fornitori possono sospendere le forniture (es. niente carburante se non si paga l’arretrato, niente pezzi di ricambio, ecc.), aggravando la crisi operativa. Inoltre, alcuni fornitori potrebbero avviare azioni legali (ingiunzioni di pagamento, decreto ingiuntivo) e una volta muniti di titolo, tentare pignoramenti su conti o su beni dell’impresa (macchinari stessi, se non essenziali?). Tipicamente, i fornitori hanno importi più modesti rispetto alle banche o al fisco, quindi singolarmente hanno minor potere contrattuale, ma collettivamente il peso dei debiti commerciali può essere grande e la pressione esercitata (numerose azioni legali di piccolo importo) può sommergere l’impresa.

Strategie e soluzioni: Con i fornitori, spesso la via preferibile è cercare un accordo stragiudiziale individuale. Molti fornitori, pur di non perdere completamente un cliente (e di incassare almeno una parte del dovuto), accettano piani di rientro rateali o addirittura saldo e stralcio (accettare un pagamento inferiore a fronte dell’immediato o di garanzie). Ad esempio, si può proporre al fornitore di pagare il 50% del debito in un anno e il resto rinunciarlo: una piccola impresa potrebbe accettare se teme che l’alternativa sia un fallimento con recupero incerto di meno ancora. È chiaro che queste transazioni vanno calibrate con attenzione: se si paga un fornitore a scapito di altri e poi si finisce in procedura concorsuale, i pagamenti selettivi potrebbero essere oggetto di azione revocatoria fallimentare (pagamenti preferenziali). Tuttavia, esistono esenzioni: i pagamenti eseguiti nell’ambito di un piano attestato di risanamento regolarmente pubblicato non sono revocabili , a meno di dolo o colpa grave nel piano . Quindi, se le transazioni con fornitori avvengono come parte di un piano di risanamento attestato e serio, l’eventuale fallimento successivo non potrà ribaltarli (salvo frodi). Questo è un incentivo a formalizzare gli accordi in un quadro di piano attestato.

Qualora i debiti verso fornitori siano troppi per essere gestiti con accordi singoli, allora bisogna ricorrere a soluzioni collettive. Nel concordato preventivo, tutti i fornitori chirografari vengono raggruppati e trattati secondo la proposta: ad esempio, il piano potrebbe offrire ai creditori chirografari il 30% di soddisfazione pagato in 2 anni. Se la maggioranza di questi (per valore) vota sì, tutti – anche i contrari – saranno vincolati e riceveranno quel 30%. All’interno del concordato si possono però differenziare classi di fornitori (classi di creditori) se hanno posizioni giuridiche omogenee: ad esempio, separare i piccoli fornitori locali dai grandi fornitori internazionali potrebbe essere utile per gestire diversamente i pagamenti. Nel caso degli accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR) ex art. 57 CCII, se i fornitori non rappresentano una quota significativa (meno del 40%), l’azienda potrebbe concludere l’accordo principalmente con banche e fisco, e poi pagare comunque i fornitori nei termini dell’accordo. Se però i fornitori sono molto diffusi, un concordato potrebbe essere più praticabile (perché l’ADR richiede adesione individuale di ciascun creditore per vincolarlo).

In pratica, molti fornitori, soprattutto PMI, tendono a non opporsi a concordati ragionevoli, sapendo che da un fallimento otterrebbero forse zero. Perciò, comunicare con i fornitori e spiegare la situazione di crisi e la necessità di un piano può anche evitare reazioni aggressive. Alcune imprese in crisi invitano i principali fornitori a tavoli comuni, magari prospettando il mantenimento dei rapporti futuri se accettano un sacrificio ora, oppure offrendo garanzie aggiuntive (es. cambiali, riconoscimento di riserva di proprietà su future forniture). Tutto ciò, chiaramente, sotto la regia di consulenti legali per non incorrere in atti poi contestabili.

Da non dimenticare, infine, che fra i crediti chirografari possono esservi anche danni e risarcimenti (es. se l’impresa ha subito una causa civile e deve pagare un risarcimento, quel debito concorre con i fornitori) e sanzioni amministrative (multe, sanzioni per violazioni normative). Questi ultimi seguono lo stesso trattamento dei comuni crediti chirografari nei concorsi, salvo eccezioni di legge (ad esempio, sanzioni penali pecuniarie potrebbero essere non dilazionabili in alcuni casi).

Debiti da leasing e finanziamenti su macchinari

Merita un approfondimento specifico il caso dei debiti da leasing sui macchinari edili, perché è una forma molto diffusa di finanziamento nel settore e ha implicazioni particolari. Nel leasing finanziario, la società di leasing (concedente) acquista il bene (macchinario) e lo concede in uso all’impresa utilizzatrice, che paga canoni periodici e tipicamente ha facoltà di acquistarlo a fine contratto pagando un riscatto. Sino al riscatto, il proprietario formale del macchinario è la società di leasing. Questo comporta che, in caso di inadempimento dell’utilizzatore (l’impresa di noleggio), il contratto può venir risolto e la società di leasing potrà riprendersi il macchinario (a differenza di un mutuo su un bene di proprietà, dove il bene rimane all’impresa e il creditore deve agire con pignoramento).

Inadempimento e tutela del leasing: Di solito i contratti prevedono la risoluzione se l’utilizzatore salta anche solo 2 o 3 canoni. Una volta risolto per inadempimento, se l’impresa non restituisce spontaneamente il mezzo, la società di leasing può ottenere un decreto ingiuntivo per la riconsegna o avvalersi di clausole di riappropriazione. Quindi, per l’azienda debitrice, c’è il rischio immediato di perdita del macchinario, che spesso è un cespite essenziale per produrre reddito (senza quell’escavatore, non può più noleggiare e incassare). Questo scenario a volte crea un “circolo vizioso”: l’impresa in difficoltà smette di pagare il leasing, perde il macchinario, e così riduce la capacità di generare ricavi futuri per pagare i debiti.

La normativa fallimentare ha predisposto regole specifiche per i leasing in caso di procedura concorsuale (un tempo art. 72-quater l.fall., oggi trasfuso nelle regole generali del Codice della crisi). In sintesi: se alla data di apertura di una procedura di liquidazione giudiziale (fallimento) il leasing non è ancora stato risolto, il curatore può scegliere se subentrare nel contratto pagando i canoni residui o sciogliersi. Se si scioglie, il bene torna alla società di leasing, la quale potrà insinuare al passivo un credito per le rate scadute non pagate e per un equo indennizzo per la perdita del godimento futuro del bene . Se invece il contratto era già stato risolto per inadempimento prima della procedura, la società di leasing rimane proprietaria del bene ma può insinuare il suo credito per la perdita economica subita (differenza tra crediti residui e valore ricavato dal bene). Su questo aspetto, le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 2061/2021 hanno chiarito che, per i leasing traslativi (quelli in cui il riscatto finale è molto inferiore al valore e quindi il leasing è sostanzialmente un acquisto dilazionato), se il contratto era risolto prima del fallimento si applica analogicamente l’art. 1526 c.c.: il concedente ha diritto alle sole rate scadute e a un indennizzo, dovendo restituire l’eventuale eccedenza già incassata . Inoltre, le SU hanno confermato che la Legge n. 124/2017 (che disciplina il leasing finanziario) non ha effetto retroattivo: per i contratti risolti prima della sua entrata in vigore si applicano le regole precedenti (distinzione leasing di godimento/traslativo e art. 1526) . In pratica, oggi la situazione è questa: per i leasing risolti dopo il 2017, la legge prevede espressamente che il concedente, ripreso il bene, debba vendere o valutare il bene e abbattere il suo credito dell’importo ricavato (o del valore). Il debitore deve solo coprire l’eventuale differenza (più spese). Questo è un meccanismo equo: se il leasing aveva 10 rate da €5.000 l’una (totale €50.000) al momento della risoluzione, e il bene viene rivenduto a €40.000, il concedente potrà chiedere solo €10.000 residui (più magari penali se previste, ma comunque soggette al vaglio di equità). Se invece il bene fosse venduto a €60.000 superando il dovuto, la differenza andrebbe restituita al debitore. Tale disciplina evita arricchimenti eccessivi del leasing in danno del debitore e infatti è in linea con l’art. 1526 c.c. che tutela il contraente in caso di risoluzione del vendita con riserva (figura analoga).

Nella ristrutturazione del debito, il trattamento dei leasing dipende dal piano. Se l’impresa punta a proseguire l’attività (continuità aziendale), probabilmente avrà interesse a mantenere i macchinari essenziali: quindi, nel piano di concordato o accordo proporrà di continuare i contratti di leasing, pagando regolarmente le rate da maturare (eventualmente slittandole). La legge consente nel concordato preventivo la continuazione dei contratti pendenti, col beneplacito del commissario e del giudice. I canoni che scadono post-concordato sono considerati spese prededucibili da pagare regolarmente . In alternativa, l’impresa potrebbe decidere di includere il leasing in una classe separata di creditori nel concordato, offrendo ad esempio di pagare il debito residuo in percentuale e chiedendo di tenere il bene: ma questo di solito richiede l’accordo della società di leasing, poiché trattandosi di creditore che può riprendersi il bene, va negoziata la cosa. Spesso, nei concordati in continuità, la società di leasing preferisce trattare a parte: magari l’azienda porta dentro il concordato l’arretrato leasing come credito chirografario (o privilegiato se c’è riserva di proprietà?), ma continua a pagare i canoni correnti. Se invece la strategia è la liquidazione dell’azienda, mantenere i leasing attivi non serve: si riconsegneranno i beni ai lessor e questi faranno valere i loro crediti residui. In tal caso, il piano deve calcolare correttamente il valore dei beni in leasing e quanto andrà alla società di leasing.

Debiti da noleggio operativo: Da distinguere è il noleggio operativo, che è una locazione semplice di beni senza opzione di riscatto (puro affitto di macchinari da un altro noleggiatore). Se l’impresa in crisi aveva a sua volta preso in noleggio mezzi da terzi (ad es. per far fronte a un picco di domanda), quei contratti di noleggio sono più facili da gestire: basta restituire il bene al proprietario e cessa l’obbligo di canoni futuri (salvo penali contrattuali). Il noleggio operativo non genera un credito futuro per canoni come il leasing, a meno che il contratto preveda penali di recesso. In un concordato, il debitore potrebbe scegliere di sciogliere quei contratti senza grosse conseguenze (le eventuali penali diventano crediti chirografari limitati).

Strategie: Nel breve termine, se l’azienda fatica a pagare le rate di leasing, conviene dialogare con la società di leasing: a volte concedono rescheduling (spostare le rate di coda, pagare solo interessi per un periodo). Importante è evitare la risoluzione: mantenere il macchinario in azienda dà potere negoziale. Se la risoluzione appare imminente, attivare subito misure protettive di una procedura concorsuale (es. domanda di concordato con riserva) può bloccare la ripresa del bene nel frattempo. La legge fallimentare considerava i canoni scaduti pre-fallimento come credito privilegiato speciale del leasing sul ricavato del bene, e un eventuale equo indennizzo come chirografo ; il Codice attuale mantiene concetti simili. L’impresa, se vuole tenere il bene, dovrà comunque sanare i canoni scaduti (magari inserendoli nel piano come debito da pagare integralmente, magari dilazionato). Se invece l’attività può proseguire sacrificando qualche asset, può valutare di restituire volontariamente alcuni macchinari in leasing per ridurre il debito: ad esempio, restituire una gru poco usata può fermare le rate relative e limitare l’indebitamento futuro, concentrandosi sui mezzi core.

In conclusione, i debiti da leasing vanno affrontati caso per caso, valutando la convenienza di mantenere o meno ogni singolo macchinario rispetto alla capacità di generare ricavi. E giuridicamente vanno gestiti nei piani con attenzione alle norme speciali: coinvolgere la società di leasing nel tavolo di ristrutturazione spesso è necessario, perché ha un diritto materiale sui beni. Molte ristrutturazioni includono accordi del tipo: la società di leasing riduce il debito residuo o diluisce le rate, l’impresa continua a pagare e a usare il bene, eventualmente con l’impegno a riscattarlo anticipatamente appena possibile (magari con l’ingresso di un investitore).

Altre tipologie di debiti

Oltre alle categorie principali sopra analizzate, un’impresa di noleggio può avere ulteriori debiti da considerare nel contesto di una crisi:

  • Debiti verso i dipendenti: se l’azienda ha personale dipendente (operatori, amministrativi), potrebbero accumularsi stipendi arretrati, tredicesime non pagate, TFR (trattamento di fine rapporto) maturato e non accantonato. Questi crediti dei lavoratori, in caso di procedura concorsuale, godono di privilegio generale mobiliare sui beni dell’impresa (fino a un certo importo per le ultime mensilità e per il TFR) e addirittura di un privilegio super-speciale sui beni acquistati col loro lavoro, oltre all’intervento del Fondo di Garanzia INPS per il TFR e ultime 3 mensilità. Tradotto: i debiti verso dipendenti vanno considerati prioritari. In un concordato, di norma, i dipendenti vanno pagati integralmente (almeno per le componenti privilegiate) oppure soddisfatti tramite l’intervento del Fondo INPS che subentra. Inoltre, il mancato pagamento delle retribuzioni per oltre una certa soglia temporale può configurare reato contravvenzionale per l’imprenditore (omesso versamento di retribuzioni), senza contare le implicazioni sociali e di conflitto sindacale. Dunque, un piano di risanamento serio dovrebbe mettere al sicuro i lavoratori, magari pagando subito le mensilità arretrate appena c’è liquidità, oppure inserendo nel concordato l’intervento del Fondo di Garanzia.
  • Debiti per imposte locali e fornitori pubblici: ad esempio bollo auto dei mezzi, tassa rifiuti, canoni vari. Solitamente di importo minore, vanno comunque gestiti. Alcuni, come l’IMU su immobili aziendali, hanno privilegio sui beni (IMU ha privilegio sui beni immobili per cui è dovuta). Nel complesso però rientrano nei debiti fiscali come filosofia.
  • Sanzioni amministrative e interessi di mora: multe stradali (magari per mezzi pesanti), sanzioni per violazioni in cantiere, o more su imposte. Questi crediti spesso sono chirografari (multe lo sono, interessi di mora su imposte seguono la sorte del tributo). Possono essere ridotti nei piani (ad esempio, sanzioni tributarie possono essere stralciate nella transazione fiscale quasi interamente ).
  • Debiti verso soci o parti correlate: a volte i soci finanziano l’azienda con prestiti. In caso di crisi, tali crediti soci sono postergati ex lege (d.lgs 14/2019 ha confermato la postergazione dei finanziamenti soci per società di capitali in certi casi). Quindi non vanno pagati prima degli altri, e generalmente nei concordati sono lasciati fuori (i soci spesso rinunciano al credito per far riuscire il piano).
  • Garanzie prestate: se l’impresa ha rilasciato fideiussioni a favore di terzi, potrebbe trovarsi esposta come debitrice di regresso se il garante paga per lei. Esempio: polizze fideiussorie per appalti o noleggi, che in caso di escussione fanno nascere un debito verso la compagnia assicurativa. Questi sono debiti eventuali ma reali in crisi (se la performance cala, il committente potrebbe escutere la garanzia per noleggio non eseguito, ecc.). Nel piano bisogna considerare anche i creditori potenziali di questo tipo (spesso li si tratta come creditori condizionali).

Conseguenze del sovraindebitamento e della crisi d’impresa nel settore

Affrontate le tipologie di debito, vediamo cosa accade quando l’impresa di noleggio scivola in una situazione di sovraindebitamento o insolvenza. Per sovraindebitamento intendiamo, secondo la legge, quella “situazione di perdurante squilibrio tra debiti e patrimonio liquidabile che rende difficoltoso adempierli regolarmente” . L’insolvenza, invece, è lo stadio conclamato in cui il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (es. non paga sistematicamente, subisce pignoramenti etc.) . Ecco le principali conseguenze della crisi finanziaria per tali imprese:

  • Azioni esecutive individuali: come descritto, i creditori inizieranno a tutelarsi facendo decreti ingiuntivi e pignoramenti. Si possono avere conti correnti bloccati, macchinari pignorati (anche se mobili registrati come autocarri – pignoramento mobiliare o fermo amministrativo), crediti verso clienti pignorati (il che disturba i rapporti commerciali: il cliente riceve l’ordine di pagare al creditore procedente anziché all’azienda). La presenza di molti creditori porta a una “corsa al pignoramento” dove chi arriva primo si soddisfa sul poco disponibile, lasciando gli altri a mani vuote: è la cosiddetta par condicio creditorum violata, che il diritto concorsuale mira a evitare.
  • Aumento di interessi e oneri: il mancato pagamento di rate e debiti comporta interessi di mora, che fanno lievitare il debito. Inoltre scattano penali contrattuali (nel leasing ad esempio, o nei contratti di fornitura che prevedevano interessi commerciali di mora ex D.Lgs. 231/2002). Il debito cresce in modo spesso esponenziale, aggravando lo squilibrio.
  • Perdita di affidabilità e credito: l’impresa con protesti, pignoramenti, segnalazioni in Centrale Rischi perde la fiducia del mercato. I fornitori passano a pagamento anticipato, i clienti possono temere il default (ad esempio un cantiere potrebbe esitare a noleggiare da un’azienda che rischia di fallire durante i lavori). Si innesca quindi una crisi reputazionale oltre che finanziaria.
  • Interruzione forniture essenziali: come visto, carburante tagliato, manutenzione sospesa – ciò riduce la capacità di generare ricavi, peggiorando la crisi operativa oltre che finanziaria.
  • Rischio di procedure concorsuali avviate dai creditori: se la situazione degenera, i creditori (specialmente banche o l’Erario) possono presentare essi stessi un’istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) al tribunale competente. Anche il Pubblico Ministero può attivarsi se ci sono ricadute sociali (dipendenti non pagati) o irregolarità. L’imprenditore così perde il controllo sulla scelta di quali strumenti attivare, subendo la procedura liquidatoria.
  • Responsabilità personali dell’imprenditore e degli amministratori: qui c’è un duplice profilo. Per gli imprenditori individuali o soci di SNC/SAS, l’insolvenza significa che anche il loro patrimonio personale è attaccabile (sono responsabili illimitatamente). Per gli amministratori di società di capitali (es. SRL), entra in gioco la responsabilità verso i creditori se non adottano le misure previste: la legge impone, ad esempio, di non aggravare il dissesto. Se l’amministratore continua a fare debiti sapendo di essere insolvente, può incorrere in responsabilità per violazione dei doveri (azione di responsabilità promossa dal curatore poi). Inoltre, ci sono possibili reati fallimentari: bancarotta semplice (per imprudenza, es. aggravamento del dissesto, mancata tenuta delle scritture) o bancarotta fraudolenta (se spossessa beni, distrae risorse, paga preferenzialmente qualche creditore a danno di altri poco prima del fallimento, ecc.). Ad esempio, il pagamento preferenziale di alcuni fornitori a ridosso del fallimento può essere considerato bancarotta preferenziale (reato) se fatto con dolo di favorire alcuni creditori. Questo evidenzia come la fase di crisi sia molto delicata: l’imprenditore deve muoversi legalmente e con trasparenza, preferibilmente nell’ambito di strumenti di composizione della crisi, per evitare queste accuse. Notiamo a tal riguardo che certe scelte, se fatte all’interno di strumenti negoziali, non sono punibili: la legge esclude la bancarotta preferenziale per i pagamenti avvenuti in esecuzione di un concordato o di un piano attestato regolare , incentivando la gestione ordinata della crisi.
  • Intervento di organi di controllo e allerta: con la riforma della crisi d’impresa, le società hanno l’obbligo di istituire adeguati assetti organizzativi che rilevino tempestivamente la crisi (art. 2086 c.c.). Ciò significa che l’organo amministrativo deve monitorare indicatori finanziari e attivarsi appena emergono segnali di squilibrio. Inoltre, se la società ha organi di controllo (collegio sindacale o revisore), questi hanno l’obbligo di segnalare per iscritto agli amministratori lo stato di crisi e, se ignorati, possono informare l’OCRI (Organismo di composizione) o promuovere la composizione negoziata . Dal 28 settembre 2024 tali obblighi sono stati rafforzati: anche il revisore deve segnalare e la segnalazione si considera tempestiva se fatta entro 60 giorni dalla scoperta della crisi . Inoltre, creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, ecc.) devono fare segnalazione se i debiti superano certe soglie. Tutto questo per prevenire che si arrivi al tracollo senza che nessuno intervenga. Dunque l’imprenditore può trovarsi “sollecitato” a prendere provvedimenti ancor prima del default conclamato.

Riassumendo, il sovraindebitamento non gestito porta quasi inevitabilmente all’insolvenza conclamata e all’apertura di una procedura di liquidazione giudiziale (fallimento) con tutte le sue conseguenze: perdita della disponibilità dei beni aziendali (che saranno liquidati dal curatore), chiusura o ridimensionamento dell’attività, effetti personali (interdizioni, possibili azioni di responsabilità o penali). Per questo motivo, è fondamentale che il debitore non resti inerte. La legge oggi, anche con l’ultimo Codice della crisi, spinge l’imprenditore a reagire tempestivamente e ad utilizzare gli strumenti di composizione della crisi per evitare la dispersione del valore aziendale. Nel prossimo capitolo vedremo proprio quali sono questi strumenti stragiudiziali per gestire i debiti prima di arrivare al tribunale.

Strumenti stragiudiziali per la gestione dei debiti

Affrontare una crisi senza passare subito dal tribunale è spesso auspicabile: le soluzioni stragiudiziali permettono maggiore riservatezza, flessibilità e possono salvaguardare i rapporti con clienti e fornitori meglio di una procedura concorsuale pubblica. La legge italiana offre diversi strumenti per regolare la crisi fuori dalle aule di giustizia, sebbene alcuni di essi abbiano comunque un supporto normativo e un certo grado di formalizzazione. In questa sezione analizzeremo tali strumenti, ricordando che essi richiedono in genere la collaborazione e consenso dei creditori in misura variabile. Il vantaggio? Possono evitare l’apertura di un fallimento e spesso consentono di continuare l’attività aziendale con interventi mirati. Lo svantaggio? Senza l’ombrello pieno del tribunale, se il consenso dei creditori non si trova o se anche uno solo fa azioni esecutive aggressive, l’accordo può saltare. Vediamo gli strumenti principali:

Accordi bonari e rinegoziazione individuale con i creditori

Il primo livello è il più informale: parlare con i creditori e cercare accordi bonari su misura. Questo approccio, benché privo di una disciplina specifica, è sempre possibile e spesso avviene come prima linea di difesa. Consiste nel contattare ciascun creditore (o almeno quelli principali) e proporre soluzioni come:

  • Dilazione di pagamento: pagare il dovuto in più rate nel tempo, magari riconoscendo un interesse per il ritardo. Ad esempio: il debito di €50.000 verrà pagato in 18 mesi con rate mensili, congelando le azioni legali.
  • Saldo e stralcio: offrire un pagamento parziale immediato a chiusura completa del debito. Es.: “Vi devo €50.000, posso pagarvene subito €20.000 se accettate di rinunciare al resto, altrimenti rischiate di meno in caso di fallimento”.
  • Conversione del credito in altra forma: meno comune in PMI, ma in teoria si può proporre a un creditore di convertirsi in socio (rinuncia al credito in cambio di quote) oppure, per un fornitore, compensare il debito con forniture future (barter) – questo però richiede fiducia nella continuità.
  • Garanzie aggiuntive: se il creditore dubita, l’impresa può offrire una garanzia in cambio di tempo: ad esempio, un’ipoteca su un macchinario o un immobile del socio per garantire il pagamento dilazionato. Ciò può convincere il creditore ad aspettare. Bisogna fare attenzione: la concessione di una garanzia nuova su debiti preesistenti poi, in caso di fallimento entro 1 anno, sarebbe soggetta a revocatoria (atto a favore di un creditore preesistente) salvo sia nell’ambito di un piano attestato esente . Quindi, meglio muoversi con cautela e magari formalizzare il tutto in un contesto protetto (piano attestato).

Nella pratica, la rinegoziazione individuale funziona quando l’impresa ha un numero limitato di creditori chiave con cui può instaurare un dialogo costruttivo. Ad esempio, se ho 3 banche e 5 fornitori principali, li chiamo attorno a un tavolo e trovo un’intesa. Ma se i creditori sono decine e eterogenei, l’accordo individuale diventa ingestibile (rischio di azioni legali da quelli non concordi).

Va anche tenuto presente che un accordo stragiudiziale privato non vincola legalmente i dissenzienti: se anche il 90% dei creditori accetta piani di rientro ma uno non accetta, quest’ultimo può comunque portare i libri in tribunale (chiedere fallimento) o pignorare beni, compromettendo l’intera operazione. Perciò, spesso si cerca di ottenere l’adesione unanime dei creditori cruciali; se ciò non è possibile, si passa a strumenti più strutturati (ADR o concordato).

Una buona prassi è mettere tutto “nero su bianco” in un accordo transattivo firmato dai creditori coinvolti, per evitare fraintendimenti. Gli avvocati preparano accordi dove magari il creditore si impegna a non procedere legalmente salvo in caso di mancato rispetto del piano di rientro. Questo dà un po’ di tranquillità. Ma, come già ricordato, questi atti transattivi se poi l’azienda fallisce entro due anni potrebbero essere soggetti a revocatoria (in quanto pagamenti parziali di crediti vecchi, ecc.), a meno che rientrino nelle esenzioni (ad es. atto a norma di piano attestato pubblicato, esente da revocatoria ai sensi dell’art. 56 CCII ). Ci torneremo parlando del piano attestato.

In sintesi, la via bonaria è sempre consigliata come primo tentativo: mostra buona fede e volontà di risanare. Molte crisi si risolvono così, senza clamore: l’imprenditore tratta con ciascuno e sistema i debiti col tempo. Però richiede che la crisi non sia troppo grave (altrimenti i creditori non si fidano) e che l’imprenditore abbia ancora credibilità personale. Nel nostro caso, se l’impresa di noleggio ha lavorato bene con certi fornitori per anni, può chiedere loro pazienza e magari ottenere comprensione. Diversamente, se i rapporti erano già tesi, il fornitore preferirà far valere subito i propri diritti.

Piano attestato di risanamento

Il piano attestato di risanamento (PAR) è uno strumento previsto espressamente dalla legge (art. 56 Codice della crisi d’impresa, che riprende il vecchio art. 67, co.3, lett. d L.Fall.) per favorire la risoluzione stragiudiziale delle crisi attraverso un piano finanziario credibile, certificato da un esperto indipendente (attestatore). In pratica, l’imprenditore elabora – con l’ausilio di professionisti – un piano di risanamento aziendale che può includere qualsiasi misura (accordi con creditori, ristrutturazione del debito, nuove finanze, dismissioni di beni, riorganizzazione aziendale) e incarica un professionista indipendente (di solito un commercialista o revisore con i requisiti di legge) di attestare che:

  1. I dati aziendali sono veritieri e completi;
  2. Il piano è idoneo a risanare l’esposizione debitoria e a riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa entro un ragionevole periodo .

L’attestatore redige una relazione dettagliata su questi punti. Il piano, sottoscritto dall’imprenditore, viene poi pubblicato nel registro delle imprese (se si vuole ottenere la protezione dalle revocatorie). La pubblicazione non rende pubblico ogni dettaglio, ma formalizza la data certa del piano e la sua esistenza.

Qual è il beneficio del piano attestato? In primo luogo, come accennato, gli atti, pagamenti e garanzie poste in essere in esecuzione del piano sono protetti: non sono soggetti ad azione revocatoria in un eventuale successivo fallimento . Questo scudo legale è importante: i creditori saranno più disponibili ad accordi sapendo che i pagamenti che ricevono non saranno poi tolti dal curatore. Anche l’imprenditore può così pagare selettivamente alcuni fornitori strategici senza timore di commettere atti revocabili, purché tali pagamenti rientrino nel piano attestato. Il Codice della crisi ha ulteriormente rafforzato questa esenzione: ha limitato i casi in cui si può disconoscere la protezione solo alle ipotesi di dolo o colpa grave del debitore o dell’attestatore, note al creditore beneficiato . In altri termini, se il piano è farlocco o fatto con intenzione fraudolenta, allora i benefici saltano; ma se è un piano serio, i terzi possono farvi affidamento. Ciò corregge un orientamento di Cassazione 2016 che aveva reso facile contestare i piani attestati (Cass. 13719/2016) . Ora serve provare mala fede per togliere l’esenzione: un evidente incentivo ad utilizzare correttamente il PAR.

In secondo luogo, il piano attestato consente di gestire la crisi privatamente senza coinvolgere il tribunale né chiedere voti ai creditori come nei concordati. Non c’è pubblicità della situazione di crisi al di là della registrazione del piano (che molti creditori forse nemmeno vanno a cercare, specialmente i piccoli). Questo può aiutare a mantenere la reputazione.

Come funziona concretamente per l’impresa di noleggio? Poniamo che la nostra azienda EdilRent Srl abbia debiti per 1 milione di euro totali e sia in crisi di liquidità. Con i suoi consulenti, redige un piano in cui prevede:
– di cedere alcuni macchinari obsoleti e un immobile non strategico, ricavando 300.000€ per pagare parte dei debiti;
– di ottenere dai soci un finanziamento fresco di 100.000€;
– di rinegoziare i debiti con banche e fornitori per la parte restante, proponendo dilazioni;
– di tagliare alcuni costi e migliorare i flussi di cassa futuri (magari aumentando i canoni di noleggio o entrando in nuovi mercati) così da poter sostenere il rimborso del debito residuo in 5 anni.

Tutto questo viene messo a numeri in un piano a 5 anni, con conto economico e cash flow prospettici. L’attestatore verifica le assunzioni (es. il valore dei macchinari da vendere, la realisticità di ottenere 100k dai soci, la sostenibilità delle nuove rate, ecc.) e conclude che il piano è fattibile e conveniente rispetto all’alternativa del fallimento. Attesta formalmente questo. A quel punto EdilRent cerca di implementare il piano: contatta ciascuna banca e fornitore con la “garanzia” del piano attestato e propone i termini (dilazioni o stralci concordati). Se tutti o la gran parte aderiscono, EdilRent esegue i pagamenti concordati, vende i beni previsti, e così progressivamente esce dalla crisi. Tutto questo senza passare dal tribunale. Se, malauguratamente, nonostante il piano EdilRent dovesse fallire in futuro, i pagamenti fatti in esecuzione del piano (es. i 50.000€ dati a un fornitore a saldo e stralcio) non potranno essere revocati dal curatore , a meno che quel piano non fosse una frode.

Un altro aspetto: il piano attestato è flessibile. Non richiede soglie di adesione di creditori (non c’è una % minima) perché non impone niente a nessuno: vale solo per i creditori che accettano volontariamente le proposte. Non c’è un voto, ogni credito va negoziato singolarmente. Quindi, è adatto soprattutto quando il numero di creditori è contenuto e si è fiduciosi di convincerli uno ad uno. Se invece i creditori fossero centinaia (es. obbligazionisti, o fornitori diffusi), meglio un concordato con voto collettivo.

Il Codice della crisi ha introdotto l’idea (non obbligo, ma preferenza) che il piano attestato debba mirare al risanamento in continuità aziendale . Cioè, è pensato come strumento per salvare l’impresa, non semplicemente per liquidarla. Se la soluzione fosse integralmente liquidatoria (vendere tutto e pagare i creditori), la legge suggerisce che forse sarebbe più corretto usare direttamente il concordato o la liquidazione; ma alcuni ritengono ammissibile anche un piano attestato liquidatorio in certi casi . Comunque, nel nostro contesto, presumibilmente l’obiettivo dell’imprenditore è ristrutturare e proseguire l’attività di noleggio, quindi il PAR è perfettamente indicato.

Va sottolineato infine che, benché il piano attestato sia stragiudiziale, si integra con gli strumenti giudiziali: ad esempio, l’impresa potrebbe inizialmente tentare il piano attestato; se poi vede che uno o due creditori non aderiscono e rischiano di far saltare tutto con azioni legali, può sempre “convertire” quel percorso in un concordato preventivo presentando in tribunale un piano di concordato che ricalca il piano attestato (così da forzare anche i dissenzienti). In tal senso, il piano attestato può essere preparatorio di un concordato, oppure successivo: se un concordato fallisce per mancato quorum, magari si ripiega su accordi informali con chi aveva detto sì. Insomma, c’è complementarità.

Conclusione: Il piano attestato è uno strumento prezioso di difesa del debitore, perché consente di guadagnare tempo, mettere ordine nelle idee e iniziare l’azione di risanamento lontano dai riflettori del tribunale, beneficiando però di alcune tutele di legge (niente revocatoria, niente bancarotta preferenziale su atti conforme al piano ). Ovviamente, serve un serio lavoro di pianificazione e un attestatore competente e indipendente: gli “attestatori compiacenti” che certificavano piani irrealistici sono ormai finiti nel mirino, e rischiano sanzioni e cause se sbagliano grossolanamente (oltre al fatto che, se c’è colpa grave dell’attestatore, i benefici decadono ). Quindi la credibilità è tutto: se c’è, i creditori si fideranno del piano e collaboreranno, difendendo l’azienda dal fallimento.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR)

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono uno strumento a metà strada tra il piano puramente stragiudiziale e il concordato preventivo. Introdotti già nel 2005 e ora regolati dagli artt. 57 e seguenti del Codice della crisi, gli ADR permettono al debitore di formalizzare un accordo con una parte rilevante dei creditori e di chiederne l’omologazione al tribunale, ottenendo così alcuni effetti protettivi e – in certi casi – l’estensione ai dissenzienti.

In sostanza, l’impresa in crisi negozia con i propri creditori un accordo di ristrutturazione (che di solito è un documento unico simile a un piano concordatario) in cui si stabilisce come verranno pagati (es: percentuali, tempi, garanzie). Per essere omologabile, l’accordo deve essere sottoscritto da creditori rappresentanti almeno il 60% del totale dei crediti . I creditori non aderenti restano estranei (e vanno pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa o scadenza, per legge). L’accordo viene poi presentato al tribunale che – verificato il raggiungimento della percentuale e la fattibilità – lo omologa, rendendolo vincolante per i soli aderenti.

Rispetto al piano attestato, qui c’è coinvolgimento del tribunale (anche se limitato all’omologa e a eventuali opposizioni) e c’è un quorum legale da raggiungere (60%). Non c’è un voto formale come nel concordato, ma serve raccogliere adesioni scritte. Il vantaggio rispetto al concordato è che non serve il voto del 100%: basta quel 60% e i partecipanti si vincolano (non c’è rischio di bocciatura per mancata maggioranza qualificata come nel concordato). Inoltre, gli accordi sono più snelli: non si aprono procedure concorsuali piene, l’azienda rimane in gestione ordinaria, non c’è commissario (solo su richiesta in caso di misure protettive). Spesso si usano ADR per ristrutturazioni finanziarie dove poche banche detengono più del 60% del debito: in tal caso si raggiunge l’accordo con loro, e i piccoli creditori estranei vengono pagati alla scadenza (o coinvolti separatamente).

Novità: il Codice e i correttivi hanno introdotto vari “tipi” di ADR:
Accordo di ristrutturazione agevolato: soglia di adesione ridotta (30%) ma con condizione che l’impresa sia piccola e piano soddisfi integralmente i creditori estranei.
Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa: se l’accordo riguarda debiti verso banche/finanziarie e aderisce il 75% di tali creditori, l’efficacia può essere estesa anche a quelli finanziari che non hanno aderito (per evitare che una minoranza bancaria faccia saltare tutto). È un cram-down settoriale.
Accordo con transazione fiscale: se l’accordo include debiti fiscali/contributivi, serve l’adesione formale dell’ente o si può chiedere il cram-down fiscale al tribunale. La Cassazione ha recentemente chiarito che per ottenere l’omologazione forzata sugli enti pubblici (Erario, INPS) in un ADR è necessario che l’accordo sia già stato raggiunto con i creditori privati non erariali , cioè non si può usare il cram-down per raggiungere il 60% includendo un Erario contrario se non c’è già la maggioranza privata. Inoltre, normative 2023 hanno richiesto che nell’accordo venga pagato almeno il 30-40% del debito fiscale se si vuole il cram-down , e dal 2024 valgono le limitazioni anti-abuso (80% etc. già dette).

Procedura: L’accordo di ristrutturazione va accompagnato da una relazione di un esperto indipendente che attesta che l’accordo assicura l’integrale pagamento dei creditori estranei nei termini e che è idoneo a garantire l’attuabilità (quindi serve un’attestazione, più leggera di quella del concordato). Depositata la domanda di omologa, ci può essere richiesta di misure protettive (moratoria delle azioni) durante le trattative o fino all’omologa. Se il tribunale omologa, l’accordo diventa definitivo. Se qualche creditore estraneo ritiene l’accordo lesivo (perché teme di non venir pagato integralmente), può fare opposizione prima dell’omologa. Il giudice valuta e normalmente omologa se la soglia c’è e l’accordo non danneggia gli estranei.

Per l’impresa di noleggio, quando usare un ADR? Ad esempio, se ha 2-3 banche che detengono il grosso dei debiti e magari l’Agenzia delle Entrate. Convinte quelle e superato il 60%, si omologa e gli altri (fornitori minori) verranno pagati per intero come da accordo (o comunque non risentono). È un modello spesso usato per aziende medio-grandi con debiti finanziari. Nell’edilizia, alcune imprese hanno usato ADR per ristrutturare esposizioni bancarie garantite da immobili: la banca preferisce un accordo (anche con un haircut) piuttosto che esecuzioni lunghe.

Dal punto di vista del debitore, l’ADR è un modo di difendersi da minoranze dissenzienti pur rimanendo in un contesto volontario. Per dire: se ho il 70% creditori d’accordo e il 30% sparso no, col piano attestato quel 30% poteva rovinarmi (chiedendo fallimento, ad esempio). Con un ADR posso sigillare l’accordo col 70% e poi anche se uno di quel 30% prova a fallirmi, l’accordo omologato dimostra che sto pagando regolarmente e ho una prospettiva di risanamento, rendendo meno probabile una sentenza di fallimento (il tribunale vede che c’è un accordo in atto). Inoltre, dopo l’omologa, il debitore può ottenere finanziamenti prededucibili e altri incentivi come nel concordato.

In sintesi, l’accordo di ristrutturazione è un strumento potente se c’è la collaborazione della maggior parte dei creditori, soprattutto istituzionali. Non è però adatto se i creditori sono moltissimi piccoli (difficile raccogliere le firme), né se c’è grande ostilità (perché comunque serve la soglia del 60%). In tal caso, meglio il concordato dove decide il voto maggioritario.

Un ultimo cenno: esiste anche il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO), nuova figura introdotta recependo la Direttiva UE 2019/1023. È una via intermedia: un piano negoziato con creditori divisi in classi, che può essere omologato dal tribunale anche contro il voto contrario di una o più classi (cross-class cram down). Questo strumento però, al 2025, è poco utilizzato e molto tecnico, per cui in questa sede basti sapere che amplia la gamma di possibilità per l’imprenditore (è una sorta di concordato senza fallimento, solo omologazione giudiziale di un piano con classi se c’è almeno una classe favorevole).

Composizione negoziata della crisi

La composizione negoziata della crisi è uno strumento introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021) e ora inserito nel Codice della crisi (artt. 17-25 CCII), concepito per aiutare le imprese in stato di crisi a trovare soluzioni in modo assistito ma confidenziale. Non è una procedura concorsuale vera e propria, bensì un percorso volontario in cui l’imprenditore richiede la nomina di un esperto indipendente (facilitatore) che lo assiste nel negoziare con i creditori. È una sorta di “mediazione” gestita da un esperto terzo, durante la quale l’imprenditore può chiedere al tribunale misure protettive (lo stop temporaneo delle azioni esecutive) per avere lo spazio di trattativa necessario.

La composizione negoziata (CN) è confidenziale: la sua apertura non è pubblica se non quando si chiedono misure protettive (in tal caso l’istanza è pubblicata). L’esperto non impone nulla ma cerca di favorire un accordo. Il risultato sperato è che, entro il periodo (prorogabile fino a 180 giorni), l’impresa e i creditori trovino una soluzione concordata, che può prendere varie forme: potrebbe sfociare in un accordo di ristrutturazione formale, in un concordato preventivo semplificato, o anche semplici accordi stragiudiziali privati con la benedizione dell’esperto.

Cosa offre in più la CN rispetto al fai-da-te? Offre:
– Un esperto che analizza la situazione e formula proposte, dando credibilità al debitore (i creditori vedono che c’è un arbitro imparziale che certifica la gravità della crisi ma anche le possibilità di soluzione).
– La possibilità di ottenere dal tribunale una protezione generalizzata dagli atti esecutivi e cautelari (simile a quella del concordato) per il tempo delle trattative . Questo è fondamentale: ferma la “corsa all’oro” e costringe tutti i creditori a sedersi e parlare.
– Strumenti agevolativi: ad esempio, durante la negoziata l’impresa può ottenere finanziamenti prededucibili autorizzati dal tribunale, o vendere beni non strategici con autorizzazione (senza aspettare la fine).
– Un ventaglio di esiti codificati: se trova un accordo con tutti o quasi, può depositare un contratto che chiude la composizione (anche qui pubblicabile per protezione da revocatorie); se non riesce un accordo con tutti ma solo con alcuni, può utilizzare un concordato semplificato per liquidazione (strumento speciale: se la CN fallisce ma c’è valore da distribuire, l’imprenditore può chiedere al tribunale un concordato senza voto dei creditori per vendere l’azienda a terzi, con distribuzione secondo le regole); oppure può pivotare verso un concordato preventivo tradizionale o un accordo ADR. L’esperto alla fine redige una relazione conclusiva su cosa è stato fatto e, se la negoziazione non riesce, può anche dichiarare che la prosecuzione dell’attività porterebbe pregiudizio ai creditori (trigger per possibili iniziative di allerta).

Per un’impresa di noleggio macchinari, la composizione negoziata è indicata quando la crisi è ancora gestibile e c’è la volontà di proseguire l’attività, ma serve un contesto protetto per convincere i creditori. Ad esempio, EdilRent Srl potrebbe accedere alla CN nominando un esperto (scelto da un elenco ministeriale, spesso un commercialista specializzato in crisi). Ottenute misure protettive, EdilRent presenta ai creditori, con l’aiuto dell’esperto, una proposta di massima: ad esempio, vendere alcuni mezzi, dilazionare i debiti fiscali, far entrare un investitore. L’esperto convoca le parti in riunioni, modera, suggerisce. Magari emerge che alcuni creditori vogliono garanzie in più, o che serve coinvolgere la banca per nuova finanza. Se si arriva a un protocollo d’intesa, lo si formalizza e poi EdilRent potrà omologarlo come accordo ex art. 23 CCII (speciale accordo nella CN) – come detto, ora possibile includendo anche un accordo fiscale parziale . Oppure, se serve vincolare tutti, EdilRent converte quell’intesa in un concordato preventivo “in continuità” sapendo di avere già la larga adesione informale. In assenza di intesa (supponiamo che una banca non voglia assolutamente accordi), EdilRent può comunque decidere di presentare entro 60 giorni dalla fine della CN una proposta di concordato semplificato per la liquidazione: significa che, riconoscendo l’impossibilità di risanamento come azienda in funzionamento, propone al tribunale di vendere i beni (macchinari) magari a un concorrente o all’asta e distribuire il ricavato ai creditori, saltando la fase del voto (i creditori potranno solo contestare l’omologa). Questo strumento è pensato per evitare il fallimento quando c’è qualcosa da vendere e dare più rapidamente soldi ai creditori. Tuttavia, il concordato semplificato è un piano liquidatorio, quindi segna la fine dell’attività d’impresa: può essere appropriato se la crisi è irreversibile e la migliore difesa del debitore onesto è evitare la bancarotta, collaborando a una liquidazione ordinata.

In ogni caso, la composizione negoziata incarna l’idea della “early resolution”: intervenire presto e con cooperazione. Dal lato del debitore, aderire alla CN può dimostrare anche in seguito, in un eventuale fallimento, la sua buona fede (potrebbe aiutarlo ad ottenere l’esdebitazione, ad evitare accuse di aver tergiversato).

Sintesi: La CN è uno scudo temporaneo che l’imprenditore può attivare per prendersi una pausa dalle pressioni e costruire un accordo. Non garantisce il successo (dipende dalla concreta volontà dei creditori e dalla fattibilità del risanamento), ma è uno step ormai centrale nella gestione delle crisi dal 2022 in poi. Per la nostra impresa indebitata, potrebbe essere l’ultima occasione di trattativa protetta prima di scivolare in un concorso giudiziale più rigido.

Altri strumenti stragiudiziali e misure di sollievo

Oltre ai grandi strumenti analizzati, vanno menzionate alcune misure ulteriori che, pur non essendo soluzioni globali, possono aiutare l’impresa indebitata a tirare il fiato o prevenire il peggio:

  • Moratorie settoriali o di sistema: in situazioni di crisi economica generale, spesso le autorità o le associazioni promuovono moratorie sui debiti. Ad esempio, durante il Covid, ABI e governo concordarono una moratoria su prestiti alle PMI (sospensione rate). Nel settore edile colpito da crisi, potrebbero attivarsi accordi di categoria (ad es. piano di supporto alle imprese edili con Cassa Depositi e Prestiti, ecc.). L’impresa dovrebbe essere attenta a queste opportunità perché aderire a una moratoria consente di guadagnare tempo senza essere segnalati a default.
  • Interventi pubblici per sovraindebitamento: la L. 3/2012 e ora il Codice prevedono la possibilità di accesso al Fondo di prevenzione del sovraindebitamento gestito dal Ministero (se rifinanziato), o ai servizi degli OCC (Organismi di Composizione Crisi) presso Camere di Commercio che spesso offrono consulenza gratuita al debitore su come risanare. Non portano soldi diretti, ma supporto.
  • Garanzie statali e nuova finanza: se l’impresa ha prospettive di risanamento, può cercare nuovi finanziamenti (da banche, investitori) per pagare i vecchi debiti. Ad esempio, attivare il Fondo di Garanzia PMI per ottenere un prestito “di rilancio” garantito dallo Stato. Oppure convincere un investitore ad entrare in società apportando capitali (magari in cambio di quote). Questa non è una “procedura” ma una scelta strategica: a volte vendere una parte di azienda o cercare un partner è la via per uscire dalla crisi.
  • Strumenti consortili: alcune imprese aderiscono a consorzi fidi o cooperative di garanzia che, in caso di difficoltà, possono aiutare rinegoziando col sistema bancario. Non è codificato per legge, ma la rete di relazioni può dare respiro.
  • Utilizzo di crediti d’imposta e compensazioni: se l’impresa vanta crediti verso la PA (es. rimborsi IVA o bonus edilizi), può cercare di compensarli con i debiti fiscali (lo Stato consente compensazione in certi casi). Anche cedere crediti d’imposta può generare liquidità immediata.
  • Accordi transattivi con l’Erario fuori concorso: l’istituto della “transazione fiscale” puro esiste solo in concordato o ADR, ma di fatto l’Agenzia Entrate-Riscossione in questi anni ha messo in campo strumenti come le “rottamazioni” e “saldo e stralcio” che sono transazioni di massa. Tenersi informati su bandi di stralcio di cartelle (es. stralcio automatico dei piccoli debiti < €1.000 di vecchia data, deciso con L. 197/2022) può alleggerire il carico. Per contributi, ci sono stati condoni di sanzioni. Insomma, sfruttare ogni norma di favore temporanea è un dovere del consulente dell’impresa.

Tutti questi strumenti preventivi o paralleli non sostituiscono i piani, ma completano la strategia. Un buon advisor cercherà di “combinare” più misure: ad esempio, far entrare la ditta in composizione negoziata, ottenere intanto una moratoria dalle banche e l’adesione alla rottamazione-quater per i debiti fiscali, e poi chiudere la negoziazione con un accordo finale. È come un puzzle dove il fine è far respirare la cassa e ridurre l’indebitamento a un livello sostenibile.

Tabella riepilogativa – Soluzioni Stragiudiziali vs. Giudiziali

CaratteristicaAccordi bonari / Piano attestatoAccordi di ristrutturazione (ADR)Composizione negoziataConcordato preventivo (giudiziale)
Iniziativa di…Debitore (volontaria)Debitore (volontaria)Debitore (volontaria)Debitore (volontaria)
Ruolo del tribunaleNessuno (privato)Omologa accordo (limitato)Nomina esperto; omologa solo se concordato successivoCompleto (procedura concorsuale)
Pubblicità verso terziNo (riservato, salvo pubblicazione piano attestato)Sì (omologa è pubblica)Riservata (salvo misure protettive)Pubblica (iscrizione al Registro Imprese)
Quorum per efficacia100% creditori coinvolti (volontaria)60% di tutti i crediti (adesione)N/A (negoziazione, si punta idealmente a unanimità)>50% crediti votanti (per classi)
Vincolo per dissenzientiNessuno (dissenziente non legato)Solo aderenti vincolati; alcuni casi di estensione parzialeNessuno (si cerca accordo, altrimenti no vincolo)Sì, tutti i creditori sono vincolati se approvato/omologato
Misure protettive (stay)No (salvo accordo singolo standstill)Sì, su richiesta durante trattativa (simile concordato)Sì, su richiesta (max 4+4 mesi)Sì, automatiche dalla presentazione della domanda
Attestazione di espertoSì, relazione attestatore indipendente (veridicità dati e fattibilità piano)Sì, relazione attestatore (fattibilità e pagamenti estranei)Sì, relazione finale esperto + eventuali attestazioni su convenienza accordiSì, relazione attestatore su veridicità dati e fattibilità piano
Esenzioni da revocatoriaSì, per atti in esecuzione piano attestatoSì, pagamenti secondo ADR omologato non revocabili in genere– (non specifiche, ma misure protettive sospendono azioni)Non applicabile (atti durante concordato soggetti a autorizzazione)
VantaggiRiservatezza; flessibilità; niente costi procedura; salvaguarda reputazionePiù efficacia (omologa); tiene fuori piccoli creditori (se pagati); procedure snelleAmbiente protetto e guidato; possibili misure protettive; tempi rapidi; esiti flessibiliPotente, vincola tutti; stay automatico; possibilità di cram-down creditori privilegiati/fisco
SvantaggiNecessaria adesione totale di chi si vuole coinvolgere; dissenziente può agire; nessun stay automaticoNecessaria soglia 60%; procedure di omologa; costi professionali; i non aderenti vanno pagati per intero entro breveNon vincolante di per sé; se fallisce si è perso tempo (anche se si può accedere a semplificato); richiede collaborazione attiva; pubblicità se misure protettivePubblico e lungo; costoso; possibile stigma su mercato; richiede maggioranza voto; maggiore rigidità formale (ruolo commissario, ecc.)

(La tabella confronta a grandi linee gli strumenti; ogni situazione concreta va valutata nello specifico con i consulenti.)

Come si vede, la scelta tra stragiudiziale e giudiziale dipende molto dal grado di consenso ottenibile e dalla urgenza di bloccare i creditori. Il punto di vista del debitore deve essere pragmatico: meglio un accordo volontario se i creditori sono collaborativi; ma se uno o più fanno muro, occorre avere il coraggio di attivare la procedura giudiziale per evitare il peggio (fallimento disordinato). Nel prossimo capitolo affronteremo proprio tali procedure giudiziali in dettaglio.

Procedure giudiziali per la gestione della crisi e dell’insolvenza

Quando i tentativi stragiudiziali non sono praticabili o non hanno avuto successo, l’ordinamento mette a disposizione del debitore una serie di procedure concorsuali giudiziali volte a regolare la crisi o l’insolvenza. Queste procedure – disciplinate dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 15 luglio 2022 con successive modifiche) – comportano l’intervento dell’autorità giudiziaria e producono effetti vincolanti per tutti i creditori. Pur essendo più formalizzate e spesso percepite negativamente dall’imprenditore (per la pubblicità e la complessità), esse sono talora l’unica via per evitare esiti peggiori e possono offrire vantaggi come la sospensione delle azioni esecutive, la riduzione controllata dei debiti e persino la definitiva esdebitazione (liberazione dai debiti residui) a fine procedura.

Analizziamo le principali procedure concorsuali previste per il nostro caso, distinguendo tra quelle di risanamento (concordato preventivo, concordato minore) e quelle liquidatorie (liquidazione giudiziale ex fallimento, liquidazione controllata per il sovraindebitamento), senza dimenticare gli strumenti speciali per il sovraindebitamento e la menzionata esdebitazione.

Concordato Preventivo

Il concordato preventivo è la procedura regina per tentare di risanare un’impresa in crisi o regolare il suo debito evitando la liquidazione fallimentare. In parole semplici, è un accordo concorsuale proposto dal debitore ai propri creditori, sotto supervisione del tribunale, che diventa vincolante se approvato dalle maggioranze di legge e omologato dal giudice. Il concordato consente al debitore di ridurre e/o dilazionare i debiti secondo un piano, mantenendo possibilmente la continuità aziendale (in tutto o in parte) oppure liquidando il patrimonio in modo ordinato.

Vediamo gli elementi salienti:
Presupposto: trovarsi in stato di crisi o insolvenza imminente/attuale, ma avere una proposta di soluzione. Si accede su domanda volontaria dell’imprenditore (non può essere richiesto dai creditori).
Proposta e Piano: il debitore presenta un piano concordatario che può essere di due tipi principali:
Concordato in continuità: l’azienda continua l’attività (direttamente o indirettamente tramite cessione o affitto a un terzo) e i creditori vengono soddisfatti col ricavato della gestione futura, in tutto o in parte. Ad esempio, EdilRent Srl propone di continuare il noleggio, generare utili e pagare il 50% dei debiti in 5 anni. La legge incoraggia la continuità perché preserva il valore e i posti di lavoro, imponendo però che il piano sia accompagnato da un piano industriale dettagliato e indichi la finanza necessaria .
Concordato liquidatorio: l’impresa non prosegue l’attività, ma si limita a vendere i beni (macchinari, magazzino, immobili) e distribuire il ricavato ai creditori secondo le priorità. In pratica, è una liquidazione concorsuale proposta dal debitore. La legge qui è più rigida: richiede (salvo eccezioni) un apporto di finanza esterna che incrementi almeno del 10% l’attivo o comunque che i creditori chirografari abbiano almeno il 20% di soddisfazione (soglia prevista dall’art. 84 CCII per concordati liquidatori, che riflette la regola già presente nella vecchia legge fall.). Ciò per evitare concordati “liquidatori” che diano troppo poco rispetto a un fallimento. Il concordato liquidatorio puro viene spesso utilizzato se c’è un acquirente dell’azienda in blocco (concordato con assuntore).

  • Classi di creditori: il debitore può suddividere i creditori in classi omogenee per posizione giuridica ed interessi economici (es. separare banche ipotecarie, fornitori chirografari, Fisco, etc.), per proporre trattamenti differenziati. Questo è spesso utile: ad esempio, si può proporre di pagare al 100% i creditori strategici (es. fornitori indispensabili) e al 30% altri, creando classi distinte. La regola è che il trattamento deve rispettare la Relative Priority Rule (RPR) introdotta dalla direttiva UE: in parole semplici, nessuna classe inferiore può ricevere più di una classe superiore (per es, non posso pagare 100% i soci e 20% i chirografari normali) . Ai creditori pubblici (Fisco e INPS) la legge riserva un trattamento non deteriore rispetto ai chirografari comparabili .
  • Voto: dopo la fase istruttoria (verifica ammissibilità, eventuali opposizioni, parere del commissario giudiziale), si procede alla votazione dei creditori. Se c’è una sola classe chirografaria, servono i sì di creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (>50%). Se ci sono più classi, la maggioranza si computa in ogni classe, e servono il voto favorevole di la maggioranza delle classi (e almeno una classe di crediti non garanzie reali). Se una classe vota contro ma il piano offre a quella classe almeno il valore di liquidazione e i creditori di classe migliore non ricevono più del 100%, il tribunale può ugualmente omologare (cram-down interclasse, secondo le regole del Codice) – questo recepisce la direttiva UE. Insomma, esistono meccanismi per superare opposizioni minoritarie. Comunque, il più delle volte nelle PMI si ha un’unica classe di chirografari e magari singoli creditori privilegiati separati.
  • Omologazione: se il voto raggiunge le maggioranze richieste (ad es. 75% o 60% a seconda dei casi se classi, ecc.), il tribunale passa alla fase di omologa. Qui verifica legalità, che il piano offra almeno la liquidation value a ogni creditore, e decide sulle eventuali opposizioni dei creditori dissenzienti. Se tutto è regolare, emette il decreto di omologazione che rende il concordato vincolante erga omnes, sostituendo le obbligazioni originarie con quelle previste nel piano.
  • Esecuzione e vigilanza: segue la fase di attuazione del piano, monitorata dal commissario giudiziale nominato. Nel concordato in continuità, la società proponente (spesso lo stesso debitore) esegue il piano sotto sorveglianza; nel concordato con cessione di beni, viene nominato un liquidatore giudiziale che vende i beni e paga i creditori secondo il piano. Se il debitore non rispetta gli obblighi, si rischia la risoluzione del concordato e l’apertura della liquidazione giudiziale (fallimento).

Difendersi con il concordato: dal punto di vista del debitore, presentare un ricorso di concordato ha un effetto immediato di sospensione delle azioni esecutive: con la pubblicazione nel registro imprese, i creditori chirografari non possono iniziare o proseguire esecuzioni individuali (sono “bloccati” in attesa dell’esito) . Anche i creditori privilegiati sono bloccati, salvo possano chiedere di separare i beni se garanzia reale (ma di solito il tribunale sospende ugualmente per evitare disordine). Quindi il concordato è uno scudo potentissimo: se un fornitore sta pignorando i camion, con la domanda di concordato quella procedura si arresta. Per questo, esiste anche la facoltà di presentare un ricorso “con riserva” (concordato in bianco): il debitore deposita la domanda di concordato annunciando che il piano e proposta verranno depositati entro un termine (fino a 120 giorni prorogabili di 60) . Nel frattempo gode della protezione e nomina del commissario provvisorio. Questo strumento va usato lealmente per guadagnare un breve tempo di respiro e ultimare le negoziazioni, non per procrastinare all’infinito.

Con un concordato, il debitore può anche sciogliersi da contratti in corso o chiedere la sospensione, con autorizzazione del tribunale, se utile al piano (ad esempio, può sciogliersi dai contratti di leasing onerosi e restituire i beni, come per legge). Inoltre, può ottenere di finanziare l’azienda in corso di procedura con nuovi crediti prededucibili. Insomma, è un contesto ove l’impresa può riconfigurarsi.

Per la nostra impresa EdilRent, il concordato potrebbe significare: “Pago integralmente debiti privilegiati (fisco, dipendenti) in 2 anni, pago il 30% ai chirografari in 5 anni utilizzando i futuri incassi da noleggio e la vendita di qualche bene non essenziale. La società continua l’attività, i soci mantengono la guida sotto controllo del commissario. Le banche ipotecarie ricevono magari il 80% in quanto garantite dall’immobile X che vendiamo”. I creditori votano; se accettano, EdilRent esce dal concordato ridimensionata ma viva, e con i debiti tagliati a quanto promesso.

Costi e tempi: un concordato è impegnativo. Tra spese legali, del commissario, del tribunale, pubblicazioni, ecc., non è economico. Ma spesso i creditori accettano che anche i costi procedurali siano pagati col piano (sono “prededuzione”). I tempi: preparazione del piano può richiedere settimane o mesi; l’istruttoria e voto altri 4-6 mesi; l’esecuzione poi dura anni secondo piano. Quindi non è una soluzione lampo, ma piuttosto un percorso.

Sentenze aggiornate: la Corte di Cassazione segue da vicino l’evoluzione del concordato. Ad esempio, Cass. Sez. Un. 8504/2021 ha sottolineato la prevalenza dell’interesse alla continuità dell’impresa rispetto a quello fiscale (il che legittima certe interpretazioni pro-concordato in presenza di debiti tributari). Un’altra pronuncia del 2023 (Cass. 17103/2023) ha ribadito che la valutazione sulla convenienza spetta ai creditori, anche se il giudice ritiene il piano conveniente (quindi niente cram-down totale senza base normativa). E come già citato, Cass. 27782/2024 ha chiarito il cram-down fiscale possibile anche con voto contrario dell’Agenzia . Sono tutte conferme che il concordato è un istituto evolutivo, dove giurisprudenza e norma cercano di bilanciare recupero e garanzie.

Liquidazione Giudiziale (ex fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale liquidatoria che ha sostituito il termine “fallimento”. Rappresenta l’intervento autoritativo per liquidare il patrimonio dell’impresa insolvente e distribuire il ricavato ai creditori secondo le regole legali. È vista come l’ultima risorsa, da evitare se ci sono alternative, ma resta necessaria quando un’impresa è irreversibilmente insolvente e/o non vi sono prospettive concrete di risanamento.

Principali caratteristiche:
Apertura: può essere dichiarata su istanza di un creditore, su istanza del debitore stesso (che “si porta i libri in tribunale”), o su richiesta del PM in taluni casi (p.es. insolvenze che coinvolgono interesse pubblico, reati). Il tribunale competente è quello del centro principale degli interessi dell’impresa. La sentenza di apertura accerta lo stato di insolvenza (cessazione dei pagamenti) e nomina gli organi: un giudice delegato, un curatore (che gestirà la liquidazione) e un comitato dei creditori consultivo. Da tale momento, l’imprenditore perde la disponibilità e amministrazione dei beni: subentra il curatore.
Effetti: immediate e dirompenti. Ogni azione esecutiva individuale è vietata; i debiti scaduti non producono più interessi (salvo ipotecari nei limiti di garanzia); i contratti pendenti possono essere sciolti dal curatore se inutile eseguirli; i dipendenti vengono licenziati salvo esercizio provvisorio; l’impresa cessa la propria attività, salvo il tribunale autorizzi l’esercizio provvisorio per evitare danni (ci deve essere convenienza, ad esempio completare una commessa che aumenta il valore). Gli organi sociali decadono (il curatore li sostituisce).
Procedura: il curatore redige un inventario e uno stato passivo dei debiti. I creditori devono insinuarsi nel passivo entro termini, presentando domanda. Il passivo viene accertato in un’udienza (verifica crediti); il giudice delegato forma lo stato passivo delle somme dovute e i privilegi riconosciuti. Quindi il curatore procede a liquidare l’attivo: vende i beni mobili, immobili, riscuote crediti, anche in blocco (può vendere l’azienda intera se c’è un acquirente). La vendita segue regole di evidenza pubblica (aste, offerte competitive). Incassati i fondi, dopo un po’ (anche anni) il curatore propone un piano di riparto: paga prima i creditori prededucibili (es. spese di procedura, nuovi finanziamenti autorizzati, ecc.), poi i creditori privilegiati secondo l’ordine dei privilegi (se i beni erano ipotecati o con privilegio, il ricavato va lì fino a soddisfazione, eventuale eccedenza passa ai chirografari), infine i chirografari in proporzione (spesso una percentuale molto bassa).
Chiusura: esaurito l’attivo, la procedura viene chiusa con decreto. La società (se di capitali) viene cancellata dal registro imprese e cessa di esistere. I debiti insoddisfatti rimangono però non più azionabili contro la società (che non esiste più), ma se c’erano garanti o coobbligati, restano verso di loro. Se l’insolvente era una persona fisica o socio illimitatamente responsabile, resta comunque obbligato verso i crediti non soddisfatti, salvo che ottenga l’esdebitazione.

Per il debitore persona fisica (o socio illimitatamente responsabile), la liquidazione giudiziale comporta anche effetti personali negativi: limitazioni nei diritti civili (non può assumere cariche societarie per un periodo, perde elettorato attivo/passivo in alcuni casi finché in corso, etc.), la dichiarazione viene pubblicata (stigma commerciale), e se c’è stata cattiva gestione può subire azioni di responsabilità o reati. Per i soci di Srl invece, la loro responsabilità si limita al capitale perso, ma se avevano dato garanzie personali, i creditori verranno da loro separatamente.

Difendersi nel fallimento? Dal momento che è una procedura liquidatoria, più che difendersi si tratta di collaborare per minimizzare i danni e puntare eventualmente ai benefici post-chiusura. Il debitore onesto deve: consegnare libri contabili, fornire informazioni al curatore, segnalare attivi occultati (anche se verrebbe da nasconderli, farlo peggiora la posizione). Collaborando, evita l’incriminazione per bancarotta fraudolenta e può aspirare all’esdebitazione (di cui dopo). Non collaborare significa peggiorare il giudizio su di sé e rischiare misure come l’arresto in caso di bancarotta.

La liquidazione giudiziale può anche avere degli aspetti paradossalmente “liberatori” per l’imprenditore: quando un’azienda è irrimediabilmente sommersa dai debiti, l’avvio del fallimento cristallizza la situazione. Da quell’istante, i debiti si fermano, gli interessi pure, le telefonate dei creditori cessano (vanno tutti dal curatore). L’imprenditore cede il cerino al curatore e, sebbene perda l’impresa, smette di tormentarsi su chi pagare prima. Naturalmente è l’ultima spiaggia e l’insuccesso di una storia imprenditoriale, però la legge lo considera anche come un fresh start possibile per la persona fisica (grazie all’esdebitazione).

Concordato minore e procedure da sovraindebitamento

Non tutte le imprese sono soggette alle procedure ordinarie di concordato preventivo e liquidazione giudiziale. L’ordinamento distingue infatti i debitori “assoggettabili” e “non assoggettabili” a liquidazione giudiziale. In generale, le piccolissime imprese (che non superano determinati parametri dimensionali) e i debitori civili (consumatori, professionisti, startup innovative, agricoltori) non vanno in fallimento ma nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. Nel nostro caso, un’impresa di noleggio macchinari potrebbe rientrare in questa categoria se è sotto soglia (vedi più avanti). Il Codice della crisi ha raggruppato queste procedure, che prima stavano nella L.3/2012, in analoghi strumenti: il concordato minore, la ristrutturazione dei debiti del consumatore, la liquidazione controllata e l’esdebitazione dell’incapiente.

Per semplicità, ci concentriamo sul concordato minore, che è lo strumento destinato ai debitori non fallibili (imprenditori minori, professionisti, etc.) analogamente al concordato preventivo. La normativa (artt. 74-83 CCII) prevede che il debitore sovraindebitato può proporre ai creditori un accordo di ristrutturazione (anche con eventuale liquidazione di parte dei beni) che viene omologato dal tribunale. Le differenze rispetto al concordato preventivo sono:
– Non c’è votazione dei creditori: il concordato minore viene deciso interamente dal giudice. I creditori possono fare osservazioni o opposizioni, ma non esiste una fase di voto formale. Questo semplifica la procedura.
– Bisogna però assicurare ai creditori un certo livello di soddisfazione e soprattutto occorre che il debitore sia meritevole (non abbia colpe gravi o frodi nel sovraindebitamento). La “meritevolezza” è un concetto chiave: se un piccolo imprenditore è sovraindebitato per cause a lui non imputabili o non dolose, può accedere a queste procedure; se ha frodato i creditori, il giudice potrebbe non ammetterlo.
– Il concordato minore può prevedere stralci significativi del debito, anche per crediti fiscali e contributivi (qui ancora tramite transazione fiscale interna, con possibilità di cram-down, analogamente al concordato ordinario).
– Una volta omologato dal tribunale, è vincolante per tutti i creditori anteriori (quindi è come un concordato, ma imposto dal giudice senza voto).
– La percentuale di consenso: se eventuali creditori rappresentanti la maggioranza obiettano, il giudice sentirà il commissario e valuta se il piano li soddisfa almeno quanto la liquidazione farebbe, e può omologare comunque (meccanismo simile a un cram-down giudiziale puro).
– Per il resto, si nominano un OCC (gestore della crisi, di solito un professionista) che aiuta a predisporre il piano e un giudice che omologa.

In pratica, il concordato minore è uno strumento semplificato per le piccole realtà: meno formalismi, più potere al giudice di passare sopra alle opposizioni se il piano è equo e fattibile.

Esempio: un’impresa individuale di noleggio (Mario Bianchi ditta individuale) con debiti 300k potrebbe proporre un concordato minore offrendo ai creditori il 30% con la vendita di alcuni macchinari e l’apporto di 50k da parte sua, da pagare in 2 anni. I creditori vengono convocati ma non votano; magari alcuni dicono al giudice che son contrari. Il giudice valuta: se quell’accordo li soddisfa più di quanto otterrebbero dal fallimento di Bianchi (dove magari avrebbero preso 10%), allora omologa comunque. Bianchi esegue il piano e poi ottiene l’esdebitazione sui debiti residui (il codice prevede che a fine concordato minore, se eseguito correttamente, il debitore persona fisica sia esdebitato del resto).

Liquidazione controllata dei beni: per i debitori non fallibili che non hanno prospettive di concordato, c’è la procedura corrispondente al fallimento chiamata liquidazione controllata. Simile al fallimento: un liquidatore (spesso un professionista OCC) liquida tutto, con effetti meno afflittivi (non c’è interdizione dai pubblici uffici, ad esempio, per i consumatori). A fine liquidazione, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione di diritto se ha cooperato (entro 3 anni automaticamente, art. 278 CCII). Quindi un piccolo imprenditore che viene liquidato può ripartire dopo poco pulito dai debiti rimasti, salvo eccezioni (debiti alimentari, da risarcimento danni, etc., non sono esdebitabili). Questo è un incentivo alla regolarizzazione delle micro-crisi in modo ordinato.

Per un’impresa di noleggio, queste procedure minori entrano in gioco se i parametri di fallibilità non sono superati. Quali parametri? Sono quelli menzionati nell’art. 2, comma 1, lett. c) CCII, ripresi dalla L. 3/2012: attivo annuo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k . Se l’impresa rientra congiuntamente in questi limiti, è considerata “imprenditore minore” e quindi va nel regime sovraindebitamento (concordato minore, etc.). Se li supera anche in uno, è soggetta al regime ordinario (concordato preventivo, fallimento). Questa soglia può far sì che una Srl di noleggio con bilanci modesti possa optare per un concordato minore invece che uno preventivo (procedura un po’ più indulgente).

Dal punto di vista del debitore, il concordato minore e la liquidazione controllata offrono opportunità di ripartenza più rapide e tengono conto di aspetti di meritevolezza. Il debitore può anche accedere alla particolare procedura di esdebitazione del debitore incapiente: se dopo la liquidazione non è riuscito a dare niente ai creditori perché proprio nullatenente, può chiedere di essere esdebitato lo stesso, impegnandosi per 4 anni a pagare ai creditori una quota di reddito se ne avrà (è una sorta di “fresh start” per nullatenenti meritevoli). Ad esempio, se EdilRent persona fisica fallisce con zero attivo ma la crisi non è colpa sua, il signor Mario Bianchi può chiedere esdebitazione immediata; se il giudice gliela concede, lui è libero dai debiti residui subito, e se nei successivi 4 anni guadagna qualcosa in più del minimo, dovrà versarlo ai vecchi creditori fino a soddisfarli o alla fine del periodo .

Esdebitazione del debitore (liberazione dai debiti residui)

Un capitolo fondamentale dal punto di vista del debitore insolvente è la possibilità di ottenere l’esdebitazione, cioè la cancellazione dei debiti non pagati al termine della procedura liquidatoria. Questo concetto, introdotto in Italia nel 2012 per le persone fisiche fallite, è ora consolidato e ampliato nel Codice della crisi.

In sintesi, se il debitore è persona fisica (imprenditore individuale, socio illimitatamente responsabile, professionista o consumatore), può essere liberato dai debiti residui verso i creditori concorsuali una volta chiusa la procedura, a condizione che abbia collaborato lealmente e non ci siano stati comportamenti fraudolenti. Nel regime della liquidazione giudiziale, l’esdebitazione si ottiene su richiesta del debitore entro 1 anno dalla chiusura; nel regime di liquidazione controllata è addirittura automatica entro 3 anni salvo eccezioni. Nel concordato minore eseguito, il debitore persona fisica è esdebitato di diritto (art. 83 CCII).

Cosa comporta l’esdebitazione? Che i creditori chirografari (o la parte insoddisfatta dei privilegiati) non possono più pretendere nulla dal debitore a titolo personale. È la “discharge” che consente al fallito di tornare in attività senza il fardello dei debiti passati. Certi debiti però per legge non si cancellano: obblighi di mantenimento, debiti da risarcimenti per fatti illeciti, multe penali, e debiti fiscali per cui il mancato pagamento costituisce reato (IVA omessa, ritenute) restano esclusi dall’esdebitazione . Ma la gran parte dei debiti commerciali si estinguono.

Esempio: se EdilRent Srl fallisce e paga ai chirografari il 10%, la società poi viene cancellata. I creditori non soddisfatti non possono fare più nulla verso la società (che è estinta). Se però c’erano fideiussioni personali dei soci, quei creditori potrebbero perseguitare i soci. Ecco, se il socio è stato anche dichiarato fallito personalmente (come socio illimitato, o come coobbligato ammesso alla procedura), può chiedere l’esdebitazione e farsi liberare. Diversamente, un garante estraneo non fallito rimane obbligato.

Nel contesto del sovraindebitamento, l’esdebitazione è ancora più “automatica” ed è prevista anche per chi non riesce a offrire nulla (esdebitazione dell’incapiente, art. 282 CCII). Ovviamente ci vuole la meritevolezza: il debitore non deve aver frodato i creditori o violato obblighi di legge. Ad esempio, un imprenditore condannato per bancarotta fraudolenta non avrà l’esdebitazione.

Difendersi puntando all’esdebitazione: per un debitore sommerso dai debiti, sapere che esiste all’orizzonte la possibilità di liberarsene può dare sollievo. Strategicamente, se non c’è modo di salvare l’impresa, a volte la cosa migliore per il debitore persona fisica è proprio subire la liquidazione e poi ottenere l’esdebitazione, anziché restare attanagliato dai debiti tutta la vita. È un ragionamento difficile da accettare (perché implica il fallimento), ma le norme moderne vanno in questa direzione: meglio un fallimento trasparente e un fresh start, che un’agonia infinita di debiti impagabili. La Cassazione nel 2020 ha affermato principi importanti sul diritto all’esdebitazione come incentivo all’imprenditore onesto a emergere dall’economia sommersa e collaborare .

Per le società, l’esdebitazione non ha senso perché la società, finita liquidazione, cessa di esistere. Ma i soci o gli amministratori (se hanno debiti personali come coobbligati al fisco per ritenute non versate, ad esempio) potrebbero utilizzare le procedure di sovraindebitamento personali per liberarsene.

In conclusione, dal punto di vista del debitore la panoramica delle procedure giudiziali mostra che:
– Il concordato preventivo (o minore) è uno scudo attivo: lo si usa per proporre una soluzione e salvare il salvabile, tagliando i debiti e mantenendo magari l’azienda. È come negoziare sotto l’ombrello del tribunale.
– La liquidazione (giudiziale o controllata) è l’ultima spiaggia, ma anche quella in cui il debitore cede le armi e lascia che un terzo liquidi tutto. Il suo obiettivo lì diventa ottenere la remissione dei peccati (debiti) per poter eventualmente ripartire da capo, avendo imparato la lezione.
– I piccoli debitori hanno procedure più agili e clementi, ma l’idea generale è la stessa: trovare un equilibrio tra soddisfazione dei creditori e ripartenza del debitore meritevole, favorendo soluzioni negoziate dove possibile.

Prima di concludere questa parte, un breve schema riassuntivo delle procedure giudiziali:

  • Concordato preventivo (aziende medio-grandi): Proposto da debitore; protezione immediata; prevede pagamento parziale debiti secondo piano; voto creditori richiesto; omologa se maggioranze; esecuzione vigilata; se eseguito, azienda salva con debiti ridotti; se non eseguito, fallimento.
  • Liquidazione giudiziale (fallimento): Aperta da debitore/creditori/PM per insolvenza; gestione a curatore; azienda cessata o venduta; creditori pagati col ricavato secondo prelazioni; fine con chiusura società; persona fisica può ottenere esdebitazione (fine debiti) se collaborativa.
  • Concordato minore (piccoli non fallibili): Simile concordato ma senza voto; giudice omologa se equo; adatto a imprenditori minori, professionisti; se eseguito correttamente, persona fisica liberata dai debiti residui.
  • Liquidazione controllata (piccoli): Simile a fallimento ma per non fallibili; liquidatore OCC; fine con esdebitazione quasi automatica; meno stigma.

Con queste armi nel proprio arsenale, il debitore può “difendersi” proattivamente anche in tribunale: scegliere un concordato (offensiva per salvare impresa) o, se costretto, subire il fallimento ma uscirne onestamente con l’esdebitazione (ritirata strategica con possibilità di rientro).

Come difendersi dalle azioni dei creditori

Abbiamo sin qui illustrato strumenti e procedure, ma vale la pena soffermarsi in modo diretto su alcune mosse difensive immediate che un imprenditore indebitato può mettere in campo quando i creditori passano all’attacco. La prospettiva qui è molto pratica: “Ho i creditori alle porte, cosa posso fare – legalmente – per difendermi e guadagnare tempo o soluzioni migliori?”

Ecco alcune situazioni tipiche e le relative difese:

1. Arriva un decreto ingiuntivo (o precetto): Un creditore (banca, fornitore) ottiene un decreto ingiuntivo dal tribunale che intima il pagamento entro 40 giorni, pena l’esecuzione forzata, oppure ti notifica un precetto (ultimo avviso prima del pignoramento). Come reagire? Se il debito è incontestabile e solo non hai liquidità, opporsi al decreto per prendere tempo raramente conviene (si aggravano spese legali e interessi). Potresti però in quei 40 giorni trovare un accordo col creditore: spesso la notifica del decreto spinge il debitore al tavolo, il creditore può sospendere l’esecuzione se si concorda un pagamento. Se invece c’è una contestazione genuina sul credito (ad esempio, l’importo è errato, oppure puoi eccepire difetti nel contratto), allora fare opposizione al decreto ingiuntivo in tribunale apre una causa ordinaria e blocca l’esecutività finché il giudice non decide (a meno che il decreto fosse provvisoriamente esecutivo). Questa può essere una tattica per guadagnare alcuni mesi o anni se il contenzioso è complesso – ma deve esserci un minimo di fondatezza, altrimenti rischi condanne a pagare spese e interessi. Una opposizione pretestuosa può essere punita con danno processuale. Quindi: opporsi solo con ragione, altrimenti meglio trattare.

2. Pignoramento del conto corrente: Questa è spesso la prima mossa dei creditori rapidi – bloccare i conti bancari. Dal momento della notifica dell’atto di pignoramento alla banca, le somme presenti (fino a concorrenza del credito) restano vincolate. Difesa: Purtroppo, al momento del pignoramento, poche difese immediate: la banca congela i fondi. Si può fare opposizione all’esecuzione per motivi formali (ad esempio, vizio nel titolo, notifica errata del precetto, ecc.) ma di solito serve a poco se il debito è reale. L’unica vera difesa qui era preventiva: tenere liquidità minima sul conto esposto, spostare (lecitamente) la cassa su conti meno aggredibili (per esempio, in capo ad altre società del gruppo – ma attenti a non configurare distrazione – o conti personali se il debitore è diverso – anche se poi possono pignorare pure quelli se socio). Dopo il pignoramento, l’unica soluzione è trovare un accordo col creditore per sbloccare i fondi (es. convincerlo a accettare un pagamento parziale e liberare il conto) oppure, come abbiamo visto, attivare procedure che sospendono l’esecuzione: se presento una domanda di concordato preventivo, il pignoramento in corso rimane fermo (non si assegnano i soldi al creditore) . Quindi avviare un concordato può “liberare” i conti pignorati, nel senso che i soldi restano bloccati ma in attesa del piano – se poi il concordato omologa, quei fondi verranno distribuiti secondo il piano (magari dando a quel creditore la percentuale concordataria). Similmente, con la composizione negoziata e misure protettive, si può chiedere al giudice di sospendere la procedura esecutiva già avviata. Se accordata, il pignoramento rimane sospeso, di nuovo in attesa di accordo globale.

3. Pignoramento di macchinari o beni aziendali: Un ufficiale giudiziario si presenta per pignorare (inventariare) macchinari nel deposito. Spesso nomina custode lo stesso imprenditore, lasciando i beni in sede ma vietando di spostarli/venderli, in attesa dell’asta. Difesa: Qui è cruciale agire prima che vendano i beni all’asta. Possibili mosse: proporre al creditore di convertire il pignoramento in sequestro (perdendo efficacia, come segno di trattativa) o impegnarsi a non alienare i beni mentre si tratta. Se l’asta è imminente, si può tentare un ricorso d’urgenza in tribunale per sospenderla, ma serve un motivo (ad es. contestare la stima troppo bassa). Più efficace: presentare domanda di concordato o ristrutturazione: ciò blocca per legge le aste in corso (il giudice dell’esecuzione sospende su richiesta) perché la gestione passa al concorso. Anche chiedere un piano del consumatore/concordato minore se si è in area sovraindebitamento, comporta la sospensione delle esecuzioni. Insomma, avviare una procedura concorsuale è spesso l’unico modo di fermare aste già fissate. In mancanza di ciò, il bene andrà venduto: il debitore può però ancora difendersi partecipando all’asta tramite un prestanome per ricomprare il macchinario (non elegante, e serve liquidità; inoltre il pignoramento aggiunge costi, meglio evitare). A monte, per difendersi, l’imprenditore dovrebbe evitare di dare in pegno beni essenziali – ma se non c’è garanzia, il creditore li pignora ugualmente.

4. Azioni del Fisco (Agenzia Entrate-Riscossione): Il Fisco ha poteri come il fermo amministrativo dei veicoli e l’iscrizione di ipoteche sugli immobili senza passare dal giudice. Può bloccare mezzi e penalizzare l’operatività. Difesa: Per i fermi amministrativi, l’unica difesa è attivarsi prima: se arriva preavviso di fermo, chiedere subito una rateazione del debito fiscale – con la concessione della rateazione, il fermo non viene iscritto. Se già iscritto, pagando la prima rata e presentando istanza, spesso la revocano per permetterti di lavorare (discrezionale). Per l’ipoteca esattoriale su capannoni, vale lo stesso: se il debito è rateizzato prima, non la iscrivono. Quindi anticipare il Fisco è cruciale. In caso di imminente esecuzione (es. pignoramento presso terzi sui crediti o affitto di azienda), la composizione negoziata con misure protettive può bloccarlo, così come il concordato. In casi estremi, se l’AER esagera (ad esempio ipoteca su bene sproporzionata al debito) ci sono ricorsi amministrativi, ma raramente efficaci per sospendere se il debito c’è.

5. Istanza di fallimento da parte di un creditore: Se un creditore presenta istanza di liquidazione giudiziale (fallimento), l’imprenditore viene citato in tribunale. Difesa: La miglior difesa è giocare d’anticipo: depositare prima dell’udienza fallimentare una domanda di concordato preventivo o ristrutturazione (anche in bianco) blocca la pronuncia di fallimento, poiché la legge impone di dare priorità al concordato. Il tribunale sospende la decisione sul fallimento in attesa dell’esito del concordato. Quindi, l’istanza di fallimento è spesso “parata” presentando un piano concordatario: è un classico (talvolta abusato) strumento difensivo. Purché poi il concordato abbia seguito serio – se è solo dilatorio e viene dichiarato improcedibile, il fallimento si farà e magari con pregiudizio peggiore per l’imprenditore.
Se il concordato non è fattibile, l’altra difesa è contestare i presupposti: ad esempio eccepire che non si è soggetti a fallimento (azienda sotto soglie, come da art. 2 CCII), provare che il credito istante è contestato e non c’è insolvenza complessiva (mostrare di pagare altri creditori, etc.). Sono difese tecniche: se però hai smesso di pagare tutti, difficilmente convincerai il giudice a respingere l’istanza. In tal caso, meglio pilotare la cosa con un’istanza propria di fallimento in proprio, concordando col tribunale qualche soluzione più morbida (esercizio provvisorio per completare lavori in corso, scelta di un curatore gradito).

6. Responsabilità personali e penali: Difendersi significa anche proteggere sé stessi come persona. Se la crisi spinge verso comportamenti illeciti (tipo: usare gli ultimi soldi per pagare il fratello creditore e lasciare a secco gli altri, o vendere sottocosto un macchinario all’amico per toglierlo dal fallimento), occorre fermarsi: queste azioni possono essere contestate come bancarotta fraudolenta (distrazione di beni o pagamenti preferenziali). La miglior difesa contro accuse future è agire alla luce del sole tramite gli strumenti legali. Ad esempio, se vuoi vendere un macchinario prima del fallimento, fallo a valori di mercato e magari con l’assenso (ex ante) di creditori o di un esperto (in composizione negoziata l’esperto vigilerebbe). Se devi scegliere quali fornitori pagare per continuare l’attività, motivalo in un piano attestato: così non sarà bancarotta preferenziale . Mantieni libri contabili aggiornati e non farli sparire: la bancarotta documentale (mancanza di libri) è reato e impedisce difese sui crediti. Insomma, la trasparenza è la miglior difesa sul piano legale: mostra che hai tentato di minimizzare il danno per tutti e non di scappare col malloppo. Questo, oltre a essere corretto, può salvarti dalla pena di eventuali interdizioni o condanne, e predisporti ad ottenere l’esdebitazione poi.

7. Protezione del patrimonio personale: Se la tua impresa è una società di capitali, di regola il tuo patrimonio personale è separato. Ma occhio a due cose: le fideiussioni personali (ormai diffuse) e le possibili azioni di responsabilità. Per le prime, la difesa è rinegoziarle se possibile (talvolta la banca, se concordato, libera le fideiussioni dietro pagamento di una percentuale, perché preferisce evitare escussioni lunghe) oppure, per i soci, se fallisce la società, valutare il sovraindebitamento personale per ristrutturare quelle garanzie. Ad esempio, Tizio socio garante di EdilRent per 500k verso banca, se EdilRent fallisce e la banca viene contro di lui, può proporre un piano del consumatore o concordato minore personale per chiudere la partita magari pagando una parte con i suoi beni. È un uso combinato delle procedure: fallisce la società, concordato minore per il socio.
Per le azioni di responsabilità: i creditori potrebbero, tramite il curatore, citarti se hai aggravato il dissesto (ex art. 2486 c.c. se non hai convocato assemblea per perdite, etc.). Difesa qui è dimostrare di aver fatto tutto il possibile e che le scelte fatte (anche di continuare attività) erano nell’interesse dei creditori per trovare una soluzione migliore. Se hai ignorato gli obblighi di capitalizzazione o hai continuato a indebitarti sperando in un miracolo, potresti essere condannato a risarcire i creditori insoddisfatti (azione di responsabilità per gestione non conservativa). Quindi, ancora una volta, l’uso di meccanismi come la composizione negoziata e l’allerta interna (assetti adeguati) sono anche difesa: se tu dimostri che al manifestarsi delle difficoltà hai attivato gli strumenti previsti (esperto negoziatore, allerta al cda, ecc.), difficilmente ti imputeranno colpa grave.

In sintesi, “difendersi” dalle azioni dei creditori significa:
Giocare d’anticipo (non aspettare di essere alla canna del gas per reagire).
Usare la legge a proprio vantaggio: le misure protettive concorsuali sono scudi potentissimi, usali quando serve.
Evitare favoritismi illeciti: se devi privilegiare qualcuno per salvare l’azienda, inquadralo in un contesto legale (piano attestato, accordo concordatario).
Negoziare, negoziare, negoziare: molti creditori preferiscono un accordo ragionevole a una guerra costosa. Non chiuderti al dialogo, casomai fallo mediato da professionisti se i rapporti sono tesi.
Salvaguardare gli asset critici: se un macchinario è vitale, magari vendilo e prendine uno in leasing da un’altra società collegata, lasciando all’impresa indebitata meno asset appetibili (ma occhio alle revocatorie: vendite a terzi troppo sottocosto entro 2 anni pre-fallimento sono revocabili). Un trasferimento di asset lecito e fatto per valore equo può isolare il bene. Ad esempio creare NewCo e vendere ramo d’azienda a NewCo prima del concordato, se fatto a condizioni di mercato e col consenso delle banche, può preservare la continuità (il concordato liquiderà il prezzo a creditori, l’azienda prosegue in NewCo). Questa è più strategia avanzata che “difesa base”, ma va menzionata.
Proteggere l’abitazione e i beni di famiglia: se sei ditta individuale, la casa è aggredibile. Esiste la possibilità del fondo patrimoniale o del trust per segregare beni familiari, ma se fatto quando sei già indebitato può essere revocato come atto fraudolento. Dovevi pensarci prima in bonis. A crisi iniziata, l’unica via per proteggere la casa è includerla in un piano di ristrutturazione (magari cederla ai creditori in cambio di liberazione del resto) o confidare nell’esdebitazione, oppure se coniuge non debitore rivendicare sue quote ecc. È difficile: la casa spesso salta nei debiti pesanti. Alcune esenzioni: se è prima casa e il debitore è un privato sovraindebitato consumatore, la liquidazione può escluderla con accordo (legge lo ha previsto in certi casi).

Alla fine, la miglior difesa del debitore è essere proattivo e informato. Ogni mossa del creditore ha una contro-mossa nel codice civile o nella legge fallimentare, ma bisogna saperla attuare per tempo e con rigore formale. Ecco perché, per difendersi efficacemente, è essenziale farsi assistere da consulenti esperti in crisi d’impresa. L’improvvisazione o la negazione del problema portano quasi sempre al peggiore degli esiti (liquidazione coatta e anche guai personali). Viceversa, affrontare la crisi di petto, usando gli strumenti predisposti dall’ordinamento, consente spesso di limitare i danni e talora di uscirne con l’azienda salva.

Come prevenire il sovraindebitamento nel settore del noleggio di macchinari edili

Dopo aver esplorato cosa fare quando i debiti sono già diventati un problema, concludiamo la guida con un’ottica diversa ma fondamentale: la prevenzione. Prevenire il sovraindebitamento e la crisi d’impresa è sempre preferibile che curarla, e nel settore del noleggio di macchinari edili vi sono accorgimenti specifici che un imprenditore può adottare per ridurre il rischio di finire travolto dai debiti. Questa sezione offre consigli e buone pratiche – sia di natura gestionale che di compliance legale – per mantenere la propria azienda finanziariamente sana e reattiva di fronte alle difficoltà.

Monitorare costantemente l’andamento finanziario

La prima regola di prevenzione è avere il polso della situazione economico-finanziaria in tempo reale. In molti casi di sovraindebitamento, l’imprenditore si accorge tardi della gravità dello squilibrio. Nel settore del noleggio:

  • Implementare adeguati assetti organizzativi e contabili: Questo non è solo un suggerimento, ma un obbligo di legge (art. 2086 c.c. comma 2). Ogni società deve dotarsi di assetti amministrativi e contabili idonei a rilevare la crisi . In pratica, significa avere un sistema di contabilità e controllo di gestione efficace. Ad esempio, predisporre budget di cassa e piani finanziari: sapere quanta liquidità servirà mese per mese per pagare leasing, mutui, imposte, e confrontarla con i flussi in entrata previsti (canoni di noleggio). Se si prevede un deficit, si agisce prima (riduzione costi, ricerca fido, ecc.).
  • Indicatori di allerta: Sebbene il sistema di allerta obbligatoria pubblica sia stato modulato, il CNDCEC ha individuato alcuni indicatori utili, come il DSCR (Debt Service Coverage Ratio) a 6 mesi, indice che misura se i flussi di cassa previsti copriranno il servizio del debito. Un DSCR sotto 1 (ovvero, non riesci a pagare le prossime scadenze col cash flow previsto) è un segnale di crisi. Altri indicatori: patrimonio netto negativo, ritardo cruscotti (es: debiti verso fornitori scaduti > X giorni, utilizzo massimo affidamenti, debiti fiscali non versati da oltre 90 giorni per importi rilevanti, ecc.). Monitorare tali parametri mensilmente avvisa in anticipo.
  • Controllo dei costi e analisi di marginalità: Sapere per ogni macchinario e per ogni commessa di noleggio qual è il margine. A volte si noleggiano attrezzature a prezzi che coprono appena i costi variabili, sottovalutando i costi fissi (leasing, ammortamento). Fare un’analisi per macchina: ad esempio, se una piattaforma aerea costa €2.000/mese di leasing e €500 di manutenzione e assicurazione, bisogna noleggiarla almeno X giorni al mese a tariffa Y per coprire. Se non raggiunge quell’utilizzo, è un “centro di perdita”. Decidere se aumentare il tasso di noleggio o dismettere il bene poco redditizio. Questo previene accumulo di mezzi improduttivi e quindi di costi a vuoto.

Gestire prudentemente il rapporto debito-investimenti

Le imprese di noleggio vivono di investimenti continui in nuovi macchinari. Tuttavia, caricarsi di troppi debiti per espandere il parco mezzi senza valutarne il payback è pericoloso. Alcune linee guida:

  • Valutare ROI di ogni nuovo acquisto: Prima di accendere un leasing per un nuovo escavatore da €200k, stimare i ricavi attesi generabili da quell’escavatore (giornate di noleggio previste, tariffa media), detratti i costi operativi. Se l’utile atteso non è sufficiente a pagare le rate e generare margine, rinviare l’acquisto. Meglio perdere qualche opportunità di noleggio che comprare un bene che diventa un peso morto finanziario.
  • Evitare l’over-leveraging: Mantenere un rapporto equilibrato tra mezzi propri e mezzi di terzi. Se l’azienda è finanziata quasi totalmente a debito (banche/leasing), basta un piccolo shock per andare in crisi di liquidità. È buona pratica reinvestire una parte degli utili per fare acquisti senza debito quando possibile. Ad esempio, destinare gli utili di anni buoni a comprare 1-2 mezzi cash, così riduci la quota di canoni fissi. Se la società è giovane e ha poco capitale, valutare eventuali aumenti di capitale o soci finanziatori per dare una base patrimoniale.
  • Diversificare le fonti di finanziamento: Non dipendere da un’unica banca. Avere rapporti con più istituti può aiutare ad avere margine di manovra se uno restringe il credito. Lo stesso per leasing: magari avere contratti con 2-3 società di leasing diverse riduce il rischio che uno revochi tutto.
  • Usare forme di noleggio operativo/leasing operativo per flessibilità: Il noleggio operativo (affittare macchinario per X mesi da una società specializzata) invece di comprarlo tu col leasing finanziario, trasferisce parte del rischio: se il lavoro cala, non rinnovi il noleggio e stop, invece col leasing ti rimane il bene e il debito. Certo, il noleggio operativo costa di più in termini di canone, ma in termini di flessibilità finanziaria è una sorta di polizza: paghi per non doverti indebitare a lungo termine. Un mix di mezzi di proprietà e mezzi presi a noleggio da terzi può ottimizzare l’indebitamento.

Curare la gestione dei crediti e dei rapporti commerciali

Molte imprese edili falliscono non tanto per loro errori, quanto perché non incassano crediti da clienti falliti a loro volta. Per un noleggiatore, insolvenze a cascata dei clienti sono un pericolo reale. Prevenzione qui significa:

  • Valutare l’affidabilità dei clienti: Prima di noleggiare macchinari per lavori importanti a un costruttore, fare due diligence sulla sua solidità finanziaria. Richiedere anticipi o garanzie (fideiussione bancaria o assicurativa) per noleggi di lungo periodo o di grosso importo. Ad esempio, se concedo una gru per 12 mesi a €10k/mese, il mio rischio è €120k: potrei chiedere una garanzia fideiussoria di almeno una parte, o pagamenti mensili anticipati.
  • Monitorare l’esposizione cliente per cliente: Impostare un limite di fido interno: se quell’impresa edile mi deve già €50k e comincia a ritardare, sospendo ulteriori noleggi finché non riduce il debito. È duro perché potresti perdere il cliente, ma spesso chi chiede sempre più mezzi e non paga sta finanziando la propria crisi con i tuoi servizi (rischio domino).
  • Incentivare pagamenti puntuali: Ad esempio, piccoli sconti per chi paga anticipato o puntuale, more per ritardi (già previste per legge ma ribadirle contrattualmente).
  • Assicurazione crediti: Valutare polizze di assicurazione dei crediti commerciali: alcune compagnie (SACE, Coface, etc.) offrono copertura contro insolvenza dei clienti, specie se si lavora con imprese medio-grandi. Ha un costo, ma trasferisce rischio.
  • Diversificare la clientela: Non dipendere da un cantiere/progetto o da pochi clienti. Se l’80% del fatturato viene da un unico grande cliente, il default di quello ti trascina. Meglio avere un portafoglio equilibrato di clienti. Se non possibile (magari noleggi prevalentemente a un big contractor), allora mettere in conto quell’esposizione e proteggerla (garanzie, assicurazione).
  • Rapidità nel recupero crediti: Non lasciar accumulare troppe fatture scadute. Dopo un certo ritardo, intervenire: solleciti formali, magari sospensione servizi. Prima affronti un problema di incasso, più chance di risolverlo con transazione (es. se un cliente è in difficoltà, meglio accettare un 70% a 6 mesi di tutto, che rincorrerlo quando è fallito). Inoltre, dal 2021 le norme impongono di segnalare all’OCRI se hai crediti verso un’impresa in composizione negoziata: segno che il creditore deve attivarsi subito anche legalmente.

Adempiere puntualmente a obblighi fiscali e contributivi (o gestire subito i ritardi)

Spesso le crisi peggiorano perché si accumulano debiti fiscali e contributivi per troppi periodi. Prevenire questo è cruciale:

  • Versare regolarmente IVA e ritenute: Queste voci non sono capitale d’impresa, sono fiducia dello Stato – usarle come finanziamento facile è una tentazione (oggi non pago IVA così ho liquidità) ma porta a valanga di problemi (sanzioni, interessi, rischio penale). Se proprio succede un mese di saltare un F24, il mese dopo recuperare. Se vedi che devi scegliere tra pagare dipendenti o IVA, significa che il circolante non torna: meglio correre ai ripari (taglia costi, chiedi prestito ponte) che iniziare a “banchettare” con l’IVA.
  • Se emergono debiti tributari, sfrutta ravvedimenti e rateazioni: La legge consente di ravvedersi con sanzioni ridotte se paghi con poco ritardo. Non aspettare la cartella: se sai di avere un debito imposta non versata, vai tu dall’Agenzia a chiedere rateazione prima che te la revochino (72 rate ordinarie, o se il debito è grosso e sei in decadenza, tenta un concordato preventivo come estrema ratio).
  • Tenere il DURC sempre regolare: Versare contributi e premi assicurativi è doppiamente vitale: oltre alle sanzioni, senza DURC non entri nei cantieri pubblici e in molti privati. Quindi dare priorità ai contributi come spesa mensile. In caso di crisi di liquidità, l’INPS consente di chiedere rateazione PRIMA che il DURC scada: fallo tempestivamente. Rateizzare contributi è più facile che tributi (l’INPS dà piani su 24-36 mesi se motivato).
  • Accantonare TFR e mensilità aggiuntive: Il TFR è spesso lasciato liquido in azienda ma moralmente sarebbe del dipendente. Se possibile, aderire a fondi che portano fuori quell’obbligo. Per tredicesime, accantonare mese per mese su conto dedicato cosicché a dicembre non devi racimolare soldi all’ultimo. Sono pratiche di prudenza che evitano di utilizzare quei fondi come cassa e poi trovarsi scoperti.

Pianificazione prudente e cultura della crisi

Infine, una prevenzione più “culturale” ma essenziale:

  • Elaborare scenari e piani d’emergenza: Ogni impresa dovrebbe chiedersi: “Cosa farei se… perdo il mio maggior cliente? Se i tassi di interesse raddoppiano? Se per 6 mesi ho 50% di noleggi in meno (es. lockdown)?” Avere piani di contingency scritti. Ad esempio: se succede X, so che potrò vendere quel capannone per ridurre debiti, licenziare tot personale, ecc. Avere un piano B mentale aiuta a reagire prontamente quando l’evento avverso accade.
  • Non procrastinare le perdite: Spesso le PMI, per orgoglio, non vogliono “ridimensionarsi”. Invece, prevenire crisi vuol dire anche saper prendere misure impopolari in tempo: vendere un ramo d’azienda non profittevole, chiudere una filiale in perdita, ridurre personale in eccesso prima di bruciare cassa. Queste decisioni sono dure ma tengono l’azienda sostenibile.
  • Formarsi ed informarsi: L’imprenditore oggi deve avere basi di finanza aziendale e conoscere almeno i rudimenti delle procedure di crisi (per sapere quando suona un campanello d’allarme). Frequentare corsi (molte Camere di Commercio offrono seminari su come prevenire la crisi, come gestire rapporti bancari, ecc.), avvalersi di consulenti esterni per check-up periodici. Per esempio, un check-up annuale con un esperto di ristrutturazioni che analizzi i bilanci e dica se vede segnali di allerta. Prevenzione è anche questo investimento in knowledge.
  • Utilizzare gli organismi di composizione prima che sia troppo tardi: Il nuovo codice vuole togliere lo stigma dal chiedere aiuto. Se l’imprenditore percepisce segnali di tensione (es. non riesce più a pagare puntualmente, gli indicatori interni sono rossi), può rivolgersi agli OCC o alle Camere di Commercio per attivare per tempo la composizione negoziata. Prima si fa, più chance di successo. E farlo non è un disonore, anzi oggi è considerato indice di buona gestione responsabile .

In conclusione, prevenire il sovraindebitamento nel noleggio di macchinari significa combinare buona gestione finanziaria, rispetto rigoroso di obblighi legali e prontezza di reazione. È come tenere in manutenzione costante non solo i macchinari, ma anche i conti aziendali: lubrificare il circolante, stringere i bulloni dei costi, cambiare in anticipo le parti usurate del business model. E sapere quando frenare o sterzare per evitare l’ostacolo, piuttosto che andare a sbatterci contro.

(Nella prossima sezione, proponiamo una serie di domande e risposte frequenti – FAQ – che ricapitolano e chiariscono ulteriormente i punti salienti trattati in questa guida.)

Domande frequenti (FAQ)

D: Un’azienda di noleggio macchinari edili molto piccola può fallire?
R: Dipende dalle dimensioni. Se l’impresa è individuale o una società sotto certe soglie (attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k) , non è soggetta a liquidazione giudiziale (fallimento). In caso di insolvenza, utilizzerà le procedure di sovraindebitamento: concordato minore, liquidazione controllata. Quindi di fatto non “fallisce” ma può essere liquidata con quelle procedure. Se invece supera anche uno di quei limiti, è fallibile. Ad esempio, una Srl con €1 milione di debiti e attivo €400k è soggetta a fallimento.

D: Ho saltato alcune rate di leasing di un macchinario fondamentale. Posso evitarne la revoca?
R: Sì, puoi provare a negoziare con la società di leasing una moratoria o un piano di rientro delle rate arretrate prima che eserciti la risoluzione. Se già ha inviato la diffida, proponi ad esempio di pagare una rata subito e spostare le altre in coda. Se il leasing è già risolto, in un eventuale concordato preventivo potresti chiedere di ripristinare il contratto pagando l’arretrato (serve accordo del leasing). In procedura concorsuale, se il leasing non è risolto il tribunale può autorizzare la continuazione del contratto pagando i canoni correnti . Quindi la chiave è agire subito: finché il bene è presso di te, la controparte può preferire un accordo piuttosto che riprenderselo e doverlo vendere.

D: Ho debiti IVA e INPS consistenti. Posso includerli in un concordato e pagarli parzialmente?
R: Sì, è possibile tramite l’istituto della transazione fiscale e contributiva. Devi predisporre un piano concordatario in cui offri al Fisco e all’INPS una certa percentuale (che non può essere inferiore a quanto otterrebbero da un fallimento) e diluita nel tempo. Se l’Agenzia Entrate e l’INPS aderiscono al piano (votano sì), la riduzione è efficace. Se votano no ma il piano offre comunque il massimo ricavabile in liquidazione, il tribunale può omologare forzosamente (cram-down) . Nota però che per i contributi la normativa è restrittiva e generalmente si cerca di pagarne il più possibile (le ultime riforme limitano il cram-down se il debito pubblico è preponderante e seriale ). Anche nella composizione negoziata dal 2024 puoi fare un accordo col Fisco riducendo imposte (inclusa IVA) , mentre i contributi no (vanno pagati interi o rateizzati ordinariamente) . In sintesi, sì puoi tagliarli, ma serve l’omologa del tribunale e condizioni rispettate. Attenzione che IVA e ritenute omesse oltre soglia restano reato, il concordato evita sanzioni tributarie ma non cancella il reato già commesso (però in un caso recente di accordo omologato, la Cassazione ha detto che la confisca penale per omesso versamento IVA va ridotta dell’importo poi stralciato con l’accordo ). Segno che anche la giustizia tiene conto del concordato nel valutare quelle situazioni.

D: Quali beni personali rischio se la mia società ha debiti?
R: Se la tua società è di capitali (Srl, Spa) in linea di principio rispondi solo col capitale conferito. Quindi i creditori sociali non possono aggredire la tua casa, auto, conto privato. Fanno eccezione:
– se hai firmato garanzie personali (fideiussioni) verso banche, fornitori, allora sì, rispondi con i tuoi beni fino all’importo garantito;
– se hai commesso illeciti gestionali (es. distratto soldi dall’azienda), il curatore può farti causa chiedendo risarcimento col tuo patrimonio;
– debiti specifici come ritenute non versate: l’art. 2392 c.c. può rendere amministratori e liquidatori responsabili verso il fisco per certi debiti tributari (in pratica se hai pagato altri e non le ritenute, l’Erario può cercare di rivalersi);
– se la società è sottocapitalizzata e non hai convocato assemblea per perdite, potresti essere responsabile dell’aggravamento.

Per le società di persone (SNC, SAS): i soci rispondono illimitatamente coi loro beni, quindi rischi tutto il tuo patrimonio, a meno che i creditori abbiano rinunciato (ma di solito no). Idem per ditta individuale: non c’è separazione, i debiti d’impresa sono tuoi debiti. Ci sono tutele come il fondo patrimoniale, ma se i debiti sono d’impresa i creditori possono attaccare anche i beni in fondo se contratto per scopi dell’impresa. Quindi in quell’assetto rischi la casa, l’auto, etc.

D: Posso evitare il fallimento presentando un concordato preventivo anche all’ultimo momento?
R: Sì, presentare un ricorso per concordato preventivo (anche “in bianco”) prima che venga dichiarato il fallimento obbliga il tribunale a sospendere l’istruttoria pre-fallimentare e dare corso al concordato . Questa è una pratica comune: se sei convocato in tribunale su istanza di fallimento, depositare un concordato in bianco il giorno prima di solito congela il procedimento. Tuttavia, non è una scappatoia definitiva: ti verrà dato un termine (di solito 60-120 giorni) per presentare un piano serio. Se poi non lo fai o il piano è inammissibile, il fallimento verrà dichiarato e magari con giudizio peggiore su di te. Dunque sì, è un modo per “prendere tempo” e provare una soluzione concorsuale. Assicurati però di utilizzare quel tempo per predisporre davvero un piano credibile, magari coinvolgendo creditori in trattative di buona fede. I tribunali hanno strumenti per revocare l’ammissione se capiscono che è un abuso dilatorio (es. manovra palesemente vuota), e potresti incorrere in responsabilità per aggravamento del dissesto se hai solo fatto perdere tempo.

D: Che differenza c’è tra un accordo di ristrutturazione e un concordato preventivo?
R: Entrambi implicano un piano di risanamento, ma:
– L’accordo di ristrutturazione (ADR) è un accordo contrattuale tra debitore e alcuni creditori (almeno 60%) , omologato dal tribunale. Non coinvolge attivamente i creditori estranei (che vanno pagati fuori dall’accordo). Non c’è voto generale: solo adesione volontaria dei necessari. È più flessibile (nessun commissario, minor pubblicità), ma non vincola tutti i creditori (solo aderenti, tranne alcuni casi di estensione). Di solito è più rapido e leggero.
– Il concordato preventivo è una procedura concorsuale vera e propria: coinvolge tutti i creditori, c’è un voto di maggioranza che poi impone il piano a tutti, c’è un commissario e maggior controllo. Ha effetti più ampi (esdebitazione, cram-down, transazione fiscale integrata). È indicato se serve vincolare anche minoranze rilevanti o se la platea creditori è larga. È più costoso e formale.

In sintesi, se puoi ottenere consensi larghi informally, un ADR è più snello; se hai un mix di creditori difficili, il concordato è più risolutivo perché il tribunale può imporlo a tutti una volta approvato a maggioranza. C’è poi la composizione negoziata che può sfociare in entrambi (se bastano 60% fai ADR, se no converti in concordato).

D: Dopo un fallimento o una liquidazione controllata, i debiti rimasti verso fornitori e banche dovrò comunque pagarli un domani?
R: Se sei una società di capitali, no – la società viene estinta e i suoi debiti non esistono più, nessuno li paga (i creditori incassano solo la percentuale distribuìta in procedura). I soci non hanno obbligo di ripianare (a meno di garanzie date). Se sei una persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitato), senza esdebitazione saresti teoricamente ancora debitore per la parte non pagata, ma: nel fallimento puoi chiedere l’esdebitazione e ottenere la liberazione da quei debiti . Nel Codice attuale, la liberazione arriva entro 3 anni d’ufficio se hai collaborato (liquidazione controllata) o su istanza (liquidazione giudiziale) con poche eccezioni. Quindi in pratica, se ti sei comportato bene, non dovrai pagarli in futuro: verrai esdebitato e ripartirai da zero . Se ti neghino l’esdebitazione (ad esempio per frodi), quei debiti in teoria rinascono e i creditori potrebbero ancora chiederteli (ma spesso non conviene perché persona ex fallita di solito non ha risorse). Per i garanti (es. un amico fideiussore non fallito), invece, attento: la procedura non li libera e potrebbero dover pagare loro.

D: Quanto dura e quanto costa una procedura concorsuale?
R: La durata varia molto: un concordato preventivo può durare circa 6-12 mesi per arrivare all’omologa, dopodiché inizia la fase di esecuzione che può essere di pochi mesi (se prevede subito vendite) o qualche anno (se pagamenti dilazionati). Ad esempio, concordato con 5 anni di piano: la procedura di vigilanza dura quei 5 anni. Una liquidazione giudiziale (fallimento) storicamente durava anche 5-7 anni in media, ma si cerca di ridurla. Alcuni casi semplici (pochi asset) possono chiudersi in 2-3 anni, altri complessi impiegano 10 anni. La nuova normativa vorrebbe efficientare con vendite più rapide, ma la realtà dipende da cause pendenti, ecc. Una composizione negoziata è breve: per legge massimo 180 giorni (6 mesi) prorogabili di 180; può chiudersi anche in 3-4 mesi se intesa facile. Un accordo di ristrutturazione di solito in 4-6 mesi dall’inizio trattative a omologa se i creditori collaborano.

Costi:
– Concordato: ci sono i compensi del commissario (di solito qualche percento dell’attivo o passivo, secondo tariffe ministeriali), le spese di giustizia (marche, contributi), i costi dei professionisti (avvocati, commercialisti che redigono piano e attestazione). Questo può arrivare a decine di migliaia di euro anche per PMI. Vengono però pagati dalla massa attiva come prededucibili – quindi li pagano i creditori di fatto, riducendo ciò che incassano, ma l’imprenditore non deve tirarli fuori subito (salvo anticipi a professionisti).
– Fallimento: i costi sono i compensi del curatore (percentuali su attivo realizzato e passivo), di solito anche questi migliaia di euro, e spese per perizie, vendite, ecc. Pagati sempre dalla massa. Se la massa è nulla, i creditori richiedenti anticipano alcune spese. Il debitore paga in termini di perdita patrimonio, ma non gli viene chiesto di saldare i costi (tranne che se c’è stato dolo grave, allora lo Stato potrebbe rivalersi, ma casi estremi).
– Composizione negoziata: l’esperto spesso costa (tariffe forfettarie a carico impresa, a meno di PMI micro dove è gratuito o contributo CCIAA). Parliamo di importi minori (alcuni migliaia di euro).
– In generale, conciliare e negoziare è meno costoso che procedere a lunga liquidazione. Ma intraprendere qualsiasi percorso concorsuale comporta investire in consulenza e procedure – un costo che comunque è piccolo se confrontato col beneficio di ridurre i debiti di milioni.

D: Cosa comporta il nuovo Codice della Crisi per queste imprese?
R: In sintesi, il Codice (in vigore dal 2022 con correttivi fino al 2024) porta:
Maggiore enfasi sulla prevenzione: obbligo di assetti adeguati, segnalazioni anticipate (sindaci, revisori e creditori pubblici avvisano la crisi) . Ci si aspetta che l’imprenditore reagisca prima e cerchi la composizione negoziata volontaria.
Procedure più flessibili: introduzione della composizione negoziata (nuova opportunità di ristrutturare senza stigma) , possibilità di concordato semplificato dopo CN se non va (liquidazione rapida), nuovi tipi di accordi (agevolati, efficacia estesa) per includere anche dissenzienti parzialmente .
Tutela del debitore onesto: esdebitazione facilitata e quasi automatica per persone fisiche meritevoli , limitazione della responsabilità personale se hai seguito le regole.
Novità su debiti fiscali: possibilità di accordarsi su IVA anche fuori da concordato (in composizione negoziata) , ma anche restrizioni per chi ha accumulato troppi debiti fiscali con dolo (no cram-down se >80% debito fatto di evasioni seriali) .
– Terminologia nuova: fallimento → liquidazione giudiziale, concordato preventivo rimane, piano attestato codificato (art.56 CCII) con esenzione revocatoria formalizzata .

Quindi, per un’impresa di noleggio, il Codice offre strumenti più moderni per risanare (es. composizione negoziata) e incoraggia a usarli presto, e dall’altro lato punisce di più chi persevera in mala gestione (togliendo possibili scorciatoie se abusate). L’approccio è “aiuta te stesso seguendo le regole, e la legge ti aiuterà”.

D: Cos’è la composizione negoziata e quando conviene usarla?
R: La composizione negoziata è un percorso volontario in cui chiedi la nomina di un esperto terzo che ti affianca nelle trattative coi creditori, con facoltà di congelare le azioni esecutive . Conviene usarla quando sei in crisi incipiente ma pensi che l’azienda sia salvabile se i creditori collaborano. Ad esempio: hai momentanea difficoltà di liquidità, ti servirebbe uno standstill di 6 mesi e magari dilazionare i debiti fiscali. Se vai dai creditori uno a uno possono non fidarsi; con un esperto nominato e la protezione del tribunale, loro sanno che c’è supervisione e tu ottieni tempo senza pignoramenti. È ideale prima di essere insolvente conclamato. Se sei già con l’acqua alla gola (pignoramenti in corso massivi), anche allora può essere utile, ma le probabilità di accordo calano perché i creditori potrebbero preferire agire. Diciamo che se credi nella continuità aziendale e vuoi evitare il formale concordato (che è più costoso e pubblico), la CN è un’ottima prima mossa. E se non risolve, puoi sempre passare a concordato o accordo ADR alla fine. Insomma, conviene quasi sempre tentarla prima di fare scelte più drastiche, a meno che la situazione non sia talmente compromessa che tanto vale andare diretti a liquidazione.

D: Se la mia azienda è sovraindebitata per colpa mia (ad es. ho fatto investimenti azzardati), potrò comunque accedere alle procedure e all’esdebitazione?
R: La legge sul sovraindebitamento prevede un requisito di meritevolezza. Non devi aver provocato il dissesto con dolo o colpa grave o frode . Investimenti azzardati, se erano errori imprenditoriali ma non frodi, di solito non precludono. La giurisprudenza è abbastanza benevola: la “colpa grave” è riservata a condotte molto imprudenti o spese voluttuarie ingiustificate, non a un investimento andato male per congiuntura. Quindi probabilmente sì, potrai accedere a concordato minore o piano del consumatore. Ad esempio, una pronuncia (Tribunale di Napoli) ha ritenuto meritevole un imprenditore sovraindebitato che aveva continuato a operare in perdita sperando in ripresa, perché non c’era malafede, solo eccesso di ottimismo (bancarotta semplice) – lo hanno ammesso lo stesso al piano. Importante è non aver occultato patrimonio o mentito ai creditori. L’esdebitazione poi, anche se il fallimento è colpa tua, te la danno se hai cooperato e non hai frodato (la colpa gestionale non esclude esdebitazione, esclusa solo per bancarotta fraudolenta per dire). Quindi, errori sì, malafede no.

D: Se l’Agenzia delle Entrate-Riscossione inizia un pignoramento, posso bloccarlo?
R: Sì, con gli stessi strumenti concorsuali: una volta notificato l’atto di pignoramento (es. presso banca o terzi), potresti chiedere misure protettive presentando istanza in composizione negoziata o un concordato, e il giudice sospenderà quel pignoramento (sono atti individuali). C’è un dettaglio: i pignoramenti da parte di Agenzia Riscossione su stipendi o pensioni sono considerati “esattoriali” e la sospensione in concordato non li ferma automaticamente, serve chiedere al giudice la sospensione specifica. In CN, puoi chiedere di estenderla ai creditori pubblici. In pratica, il tribunale può ordinare la sospensione. Fuori dalle procedure, puoi bloccare il pignoramento solo pagando o trovando un accordo con AER (che solitamente vuole almeno un piano di rate). Se il pignoramento è su un conto e tu poi fai la rottamazione-quater per quel debito, l’AER comunque terrà i soldi pignorati in acconto. Quindi la via certa è attivare una procedura concorsuale per stoppare immediatamente.

D: Si possono cancellare totalmente i debiti?
R: “Cancellare” nel senso di non pagare nulla è raro, salvo l’ipotesi di esdebitazione persona fisica incapiente. Normalmente, con le procedure puoi ridurre i debiti pagandone una parte. Un concordato può prevedere percentuali basse (anche 10-15%) se quello è il valore realizzabile di tutti i tuoi asset e flussi. Se i creditori approvano o giudice omologa, il resto viene stralciato, quindi sì, quella parte di debiti è cancellata. Però i creditori almeno qualcosa ricevono. L’unica situazione in cui letteralmente non paghi nulla e vieni liberato è l’esdebitazione dell’incapiente: se non hai beni né redditi, il giudice può esdebitarti integralmente subito . Ma è una tantum nella vita e serve aver tenuto un comportamento onesto. Ad esempio, un ex imprenditore che ha perso tutto, vive solo della pensione minima, può essere esdebitato dai debiti residui. In generale, parlando di imprese, aspettati di dover destinare tutto il possibile ai creditori nei processi di ristrutturazione; se questo “possibile” è inferiore al 100%, la differenza viene eliminata (condonata), e quella è la parte di debito “cancellata”.

D: Come evitare che la situazione debitoria si ripeta in futuro?
R: Questa è domanda da un milione, ma la risposta sta nella cultura di impresa consapevole: fare tesoro degli errori, adottare una gestione più prudente (non confondere fatturato con liquidità, non fare il passo più lungo della gamba con i debiti), tenere indicatori sotto controllo, consultarsi con esperti periodicamente e, se proprio succede di tornare in difficoltà, intervenire subito. Spesso chi esce da un fallimento con esdebitazione ha la chance di ripartire: il consiglio è avviare la nuova attività con una struttura più leggera, meno leva finanziaria, e magari con garanzie patrimoniali separate (se prima eri ditta individuale, apri una Srl per separare rischi; se prima eri unico fornitore di un gigante, diversifica base clienti). Anche assicurarsi contro alcuni rischi (es. sottoscrivere polizze key-man, polizze di tutela legale) e creare riserve di emergenza. In sostanza, fare quello che la guida qui ha consigliato come prevenzione: budgeting, diversificazione, monitoraggio costante. E ovviamente, rispettare la legge: i nuovi obblighi di assetti e revisori non vanno visti come un intralcio burocratico, ma come un airbag che può salvare l’impresa e l’imprenditore se preso sul serio.

Conclusione: Abbiamo visto che anche una situazione di debiti pesanti, per quanto allarmante, non è mai completamente senza via d’uscita. L’ordinamento italiano mette a disposizione una cassetta degli attrezzi molto fornita: dagli accordi bonari ai piani attestati, dalle negoziazioni assistite fino ai concordati e all’esdebitazione finale, tutto è pensato per dare all’imprenditore onesto la possibilità di salvare l’impresa oppure, se ciò non è possibile, di chiudere in modo ordinato la vicenda e avere una seconda opportunità senza rimanere ostaggio dei debiti per sempre. Il settore del noleggio di macchinari edili ha le sue peculiarità (forte leva finanziaria, dipendenza dall’edilizia, beni essenziali come collateral) ma applicando le regole generali di gestione prudente e ricorrendo agli strumenti legali all’occorrenza, anche queste imprese possono superare periodi di crisi o quantomeno limitare i danni.

Dal punto di vista giuridico, il debitore oggi non è più visto solo come un fallito da punire, ma come un soggetto da accompagnare verso la soluzione della crisi, purché agisca con trasparenza e responsabilità. La chiave di volta sta proprio nell’invertire la prospettiva: non “nascondere” la crisi finché si può, ma affrontarla apertamente con l’aiuto di professionisti e, se necessario, delle autorità (tribunale, OCC). Questa guida ha fornito sia nozioni normative avanzate sia consigli pratici: entrambi gli aspetti servono all’imprenditore ed ai suoi consulenti per navigare le acque tempestose del debito.

Ricordiamo che ogni caso concreto va analizzato specificamente: le strategie efficaci dipendono da una pluralità di fattori (composizione del debito, struttura societaria, possibilità di finanza, andamento del mercato edile locale, ecc.). Tuttavia, con le informazioni qui raccolte – aggiornate alle ultime novità legislative (settembre 2025) e giurisprudenziali – l’imprenditore e il professionista legale potranno orientarsi meglio e individuare le strade percorribili “per fare e per difendersi” di fronte ai debiti di un’impresa di noleggio macchinari edili.

In estrema sintesi: agire presto, usare gli strumenti giusti e non perdere la lucidità sono le armi vincenti. E persino quando tutto sembra perduto, la legge offre la possibilità di risorgere dalle ceneri (un fallimento onesto oggi è un incidente da cui ci si può rialzare, grazie all’esdebitazione). L’auspicio è che sempre meno imprenditori debbano arrivare a quelle soluzioni finali, e che con una migliore cultura della prevenzione si riescano a gestire le crisi prima che diventino irreversibili.

Gestisci un’impresa di noleggio di macchinari edili e ti ritrovi con debiti verso fornitori, banche, finanziarie o Agenzia delle Entrate? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Gestisci un’impresa di noleggio di macchinari edili e ti ritrovi con debiti verso fornitori, banche, finanziarie o Agenzia delle Entrate?
Hai mutui o leasing per escavatori, gru o mezzi d’opera, cartelle esattoriali o contributi INPS arretrati, e temi pignoramenti o la chiusura dell’attività?
👉 Non tutto è perduto: anche le aziende del settore edilizio possono bloccare i creditori, ridurre i debiti e ripartire in modo legale, grazie agli strumenti previsti dal Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019).

In questa guida scoprirai perché le imprese di noleggio mezzi da cantiere accumulano debiti, quali sono le principali soluzioni legali disponibili, e come difenderti per salvare la tua azienda o chiuderla senza fallire.


🚧 Perché le imprese di noleggio macchinari edili si indebitano

Il settore dell’edilizia e dei mezzi da cantiere è tra i più esposti a crisi di liquidità. Le cause principali sono:

  • ritardi nei pagamenti da parte delle imprese edili o appaltatori;
  • aumenti dei costi di gestione e manutenzione dei mezzi;
  • mutui e leasing onerosi per escavatori, gru, piattaforme e attrezzature;
  • imposte e contributi non versati per mancanza di liquidità;
  • revoche di fidi o linee di credito da parte delle banche;
  • crollo delle commesse nei periodi di crisi del settore edilizio.

📌 Tutto ciò può portare a un accumulo di debiti fiscali, bancari e commerciali, mettendo in pericolo sia l’impresa che il patrimonio personale dei soci o garanti.


🧾 Tipologie di debiti più comuni nel settore del noleggio macchinari

Debiti fiscali e contributivi

  • IVA, IRPEF, IRAP, INPS, INAIL, cartelle esattoriali, multe e accertamenti.

Debiti bancari e finanziari

  • Mutui, leasing per macchine operatrici, escavatori, autocarri o piattaforme aeree.
  • Fidi e prestiti a breve termine.

Debiti commerciali

  • Fatture non pagate a fornitori di ricambi, carburante, manutenzione o officine.

Debiti personali o garanzie fideiussorie

  • Garanzie personali dei soci o dei titolari per mutui o leasing aziendali.

⚠️ Cosa rischia un’impresa indebitata

Se non intervieni per tempo, i creditori possono:

  • pignorare conti correnti, mezzi e macchinari;
  • iscrivere ipoteche su immobili e capannoni;
  • bloccare i rifornimenti di carburante o le manutenzioni;
  • revocare leasing e fidi bancari;
  • avviare azioni giudiziarie per il recupero forzato.

👉 Tuttavia, la legge oggi consente di fermare immediatamente le azioni dei creditori e ricominciare legalmente, senza fallire.


🧩 Le soluzioni legali per le imprese di noleggio in difficoltà

💠 1. Rinegoziazione dei debiti con banche e fornitori

Con l’assistenza di un legale puoi trattare piani di rientro sostenibili o accordi di saldo e stralcio, ottenendo:

  • riduzione del debito complessivo (anche fino al 70%);
  • rateizzazioni compatibili con gli incassi reali;
  • sospensione delle azioni legali o revoche di leasing.

👉 È la via più rapida per chi vuole mantenere l’attività e i macchinari in funzione.


💠 2. Concordato minore (per SRL o ditte individuali non fallibili)

È la procedura giudiziale che consente di ristrutturare i debiti con l’approvazione del Tribunale.
I vantaggi:

  • blocco immediato di pignoramenti, cartelle e sequestri;
  • riduzione legale dei debiti fiscali e bancari;
  • continuità operativa dell’azienda.

📌 È particolarmente utile per imprese che hanno ancora contratti o commesse in corso.


💠 3. Procedura di sovraindebitamento (per piccoli imprenditori)

È riservata a ditte individuali e imprenditori che non rientrano tra le società fallibili.
Consente di:

  • bloccare tutte le azioni dei creditori;
  • presentare un piano di rientro parziale o saldo e stralcio legale;
  • ottenere la cancellazione dei debiti residui dopo la chiusura (esdebitazione).

👉 Ideale per artigiani o titolari di noleggi familiari con difficoltà fiscali o contributive.


💠 4. Liquidazione controllata dei beni (ex fallimento personale)

Se l’impresa non è più sostenibile, puoi liquidare legalmente i beni non essenziali e ottenere la cancellazione totale dei debiti dopo la chiusura della procedura.
Il vantaggio?

  • Nessun fallimento, nessun marchio negativo.
  • Ripartenza pulita e possibilità di ricostruire un nuovo progetto.

💠 5. Verifica delle cartelle esattoriali e accertamenti

Molte cartelle contengono errori di notifica o importi prescritti.
Un avvocato può:

  • controllare la legittimità delle notifiche e la prescrizione;
  • chiedere lo sgravio totale o parziale del debito;
  • sospendere la riscossione in corso.

🏗️ Cosa fare subito

✅ 1. Raccogli i documenti e analizza la situazione

Prepara un elenco di tutti i debiti (fiscali, bancari, commerciali, personali), con importi e creditori.

✅ 2. Blocca subito le azioni dei creditori

Con il deposito di una procedura di sovraindebitamento o concordato, pignoramenti e sequestri vengono sospesi immediatamente.

✅ 3. Non firmare nuovi prestiti o rateizzazioni non sostenibili

Meglio intervenire con una strategia complessiva e tutelata dal Tribunale.


📋 Documenti utili per la difesa

  • Documento d’identità e codice fiscale del titolare o del legale rappresentante.
  • Visura camerale e bilanci degli ultimi 3 anni.
  • Dichiarazioni fiscali e contributive (INPS/INAIL).
  • Contratti di leasing e mutui.
  • Cartelle esattoriali e avvisi di accertamento.
  • Elenco fornitori e contratti di noleggio.
  • Estratti conto bancari e piani di finanziamento.

⏱️ Tempi e risultati possibili

  • Analisi legale e documentale: 1–3 settimane.
  • Deposito della procedura: 1–2 mesi.
  • Sospensione dei creditori: immediata con il deposito.
  • Durata del piano: da 1 a 5 anni.

🎯 Risultati concreti:

  • Blocco immediato di pignoramenti e cartelle.
  • Riduzione o cancellazione dei debiti residui.
  • Protezione dei macchinari indispensabili per lavorare.
  • Ripartenza regolare dell’attività aziendale.

⚖️ I vantaggi principali

✅ Stop immediato a pignoramenti, ipoteche e sequestri.
✅ Riduzione del debito complessivo fino all’80%.
✅ Continuità dell’attività con i macchinari indispensabili.
✅ Possibilità di chiudere in modo ordinato e senza fallire.
✅ Ripartenza economica e reputazionale pulita.


🚫 Errori da evitare

  • Ignorare le notifiche dell’Agenzia delle Entrate o delle banche.
  • Accumulare nuovi debiti per coprire i vecchi.
  • Vendere macchinari o beni aziendali senza autorizzazione legale.
  • Affidarsi a “mediatori del debito” non avvocati o non iscritti all’albo.
  • Rimandare troppo: ogni mese aumentano sanzioni e interessi.

🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza la tua posizione debitoria e individua la procedura più adatta.
📌 Blocca le azioni dei creditori con il deposito del piano in Tribunale.
✍️ Redige la proposta di concordato o di sovraindebitamento.
⚖️ Ti rappresenta nei rapporti con Agenzia delle Entrate, banche, leasing e fornitori.
🔁 Ti assiste fino alla cancellazione completa dei debiti o alla riorganizzazione dell’impresa.


🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto tributario, commerciale e crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di imprese del settore edile e del noleggio mezzi con debiti.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Essere un’impresa di noleggio di macchinari edili con debiti non significa essere destinati al fallimento.
Con una difesa legale mirata e tempestiva, puoi bloccare i creditori, ridurre drasticamente le somme dovute e salvare la tua attività o chiuderla in modo protetto.
Il Codice della Crisi d’Impresa oggi tutela chi vuole davvero ripartire in modo trasparente e legale.

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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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