Gestisci un negozio di casalinghi o utensili per la casa e ti trovi in difficoltà economica per via di debiti con il Fisco, l’INPS o i fornitori?
Negli ultimi anni, molti piccoli commercianti del settore hanno accumulato debiti a causa dell’aumento dei costi, della concorrenza dei grandi magazzini e delle piattaforme online, e del calo dei consumi.
Quando iniziano ad accumularsi debiti fiscali, contributivi o bancari, la situazione può rapidamente sfuggire di mano, con il rischio di cartelle esattoriali, pignoramenti o blocchi dei conti correnti.
La buona notizia è che esistono strumenti legali efficaci per gestire, rateizzare o cancellare i debiti, tutelando la tua attività e il tuo patrimonio personale.
Perché molti negozi di casalinghi si indebitano
Le cause più comuni dell’indebitamento nel settore sono:
- aumento dei costi di approvvigionamento e delle spese di gestione;
- ritardi nei pagamenti da parte dei clienti o degli amministratori di condominio;
- concorrenza aggressiva da parte della grande distribuzione e dell’e-commerce;
- difficoltà a sostenere IVA e imposte nei periodi di calo delle vendite;
- finanziamenti e leasing per arredamento, merci e attrezzature;
- contributi INPS o tasse arretrate non versate.
Molti commercianti, per mantenere l’attività, rinviano i versamenti fiscali o contributivi, accumulando cartelle e interessi che col tempo diventano insostenibili.
Cosa succede se non paghi tasse o contributi
L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER) e l’INPS possono attivare rapidamente le procedure di recupero, come:
- notifiche di cartelle esattoriali e intimazioni di pagamento;
- pignoramenti dei conti correnti, dell’incasso POS o dei compensi;
- fermi amministrativi sui mezzi aziendali;
- ipoteche su immobili e beni strumentali;
- sequestri dei crediti presso fornitori o clienti;
- interessi e sanzioni che aumentano progressivamente l’importo dovuto.
Se operi come ditta individuale, rispondi con il tuo patrimonio personale dei debiti dell’attività. È quindi fondamentale intervenire prima che le procedure diventino esecutive.
Cosa fare subito se il tuo negozio ha debiti
Ecco i primi passi da compiere per affrontare la situazione in modo efficace e legale:
- Richiedi l’estratto di ruolo aggiornato all’Agenzia delle Entrate-Riscossione.
Ti permetterà di sapere esattamente a quanto ammontano i tuoi debiti, per quali anni e per quali enti. - Controlla la validità delle cartelle.
Molte contengono errori di notifica, prescrizioni o importi non dovuti che un avvocato può impugnare. - Valuta la rateizzazione.
Puoi chiedere fino a 120 rate mensili e sospendere temporaneamente le procedure esecutive. - Verifica se è attiva una definizione agevolata (“rottamazione”).
Ti permette di pagare solo il capitale, eliminando sanzioni e interessi. - Blocca i pignoramenti o le ipoteche in corso.
Presentando ricorso o istanza di autotutela puoi ottenere la sospensione immediata delle azioni in corso.
Le soluzioni legali per chi non riesce più a pagare
Se la tua situazione debitoria è grave, puoi accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, prevista dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019).
È una procedura legale rivolta a piccoli imprenditori, ditte individuali e autonomi che consente di:
- bloccare i creditori e sospendere pignoramenti e azioni esecutive;
- rateizzare i debiti con un piano sostenibile;
- ottenere la cancellazione parziale o totale dei debiti residui (esdebitazione).
Si tratta di uno strumento potente, riconosciuto dai tribunali italiani, che permette di salvare l’attività o chiuderla in modo ordinato senza trascinarsi dietro i debiti.
Come difendersi da banche, fornitori e finanziarie
Molti negozi di casalinghi contraggono finanziamenti per l’acquisto di merci, scaffalature o attrezzature. Se non riesci più a pagare le rate, puoi:
- chiedere la rinegoziazione o sospensione temporanea dei finanziamenti;
- proporre un saldo e stralcio se il credito è stato ceduto a una società di recupero;
- verificare la presenza di interessi usurari o clausole abusive nei contratti;
- impugnare decreti ingiuntivi o pignoramenti entro i termini di legge.
Un avvocato può anche assisterti nelle trattative con le società di recupero crediti per chiudere le posizioni in modo vantaggioso.
Cosa puoi ottenere con una difesa efficace
Con una strategia legale ben impostata puoi:
- sospendere pignoramenti e fermi amministrativi;
- ottenere la rateizzazione o la cancellazione dei debiti fiscali e contributivi;
- proteggere i beni personali e la casa di abitazione;
- mantenere o chiudere l’attività in modo regolare;
- ripartire da zero senza più pressioni o azioni esecutive.
Quando rivolgersi a un avvocato esperto
Devi contattare un avvocato se:
- hai ricevuto cartelle o pignoramenti;
- hai debiti con il Fisco, l’INPS o le banche che non riesci più a gestire;
- rischi la chiusura del negozio per eccessivo indebitamento;
- vuoi rateizzare, definire o cancellare legalmente i tuoi debiti.
Un avvocato esperto in diritto tributario e crisi d’impresa può bloccare la riscossione, contestare gli atti illegittimi e guidarti nella procedura di sovraindebitamento fino alla cancellazione dei debiti.
⚠️ Attenzione: ignorare le cartelle o gli avvisi di pagamento può portare rapidamente a pignoramenti, sequestri e perdita dei beni. Agire tempestivamente è fondamentale per salvare la tua attività e difendere il tuo patrimonio personale.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e tutela dei commercianti – spiega in modo chiaro cosa fare se il tuo negozio di casalinghi o utensili per la casa ha debiti, come bloccare le azioni esecutive e come cancellare legalmente le somme dovute con gli strumenti previsti dalla legge.
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Analizzeremo la tua situazione, valuteremo le possibilità di rateizzazione o esdebitazione e costruiremo una strategia personalizzata per proteggere la tua attività, i tuoi beni e liberarti definitivamente dai debiti.
Introduzione
I negozi di casalinghi e utensili per la casa – spesso piccole imprese a conduzione familiare o individuale – possono trovarsi a fronteggiare difficoltà finanziarie significative. La crisi economica degli ultimi anni, i cambiamenti nei consumi e eventi straordinari (come la pandemia COVID-19) hanno inciso profondamente sul commercio al dettaglio. Molti dettaglianti di casalinghi si sono indebitati per far fronte ai costi fissi (affitti, utenze, fornitori) in calo di fatturato, accumulando debiti verso banche, fornitori, Fisco e dipendenti. Dal punto di vista normativo, il legislatore italiano ha introdotto riforme importanti in materia di crisi d’impresa e sovraindebitamento: il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 2022, come modificato nel 2022 e 2024) ha sostituito la vecchia legge fallimentare, introducendo nuovi strumenti di allerta precoce, procedure negoziali e concorsuali e procedure specifiche per i piccoli imprenditori e privati non fallibili . Questa guida – aggiornata a settembre 2025 – fornisce un quadro completo e avanzato delle possibili soluzioni dal punto di vista del debitore, con linguaggio giuridico divulgativo ma rigoroso, rivolgendosi sia a professionisti legali sia a titolari di negozi o privati coinvolti. Verranno esaminate le varie strategie di difesa, dalle trattative extragiudiziali alle procedure concorsuali (come la composizione negoziata, il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale), senza trascurare gli strumenti per il sovraindebitamento personale (piani del consumatore, esdebitazione ecc.) e gli effetti sui dipendenti e altri soggetti coinvolti. Il tutto con riferimenti normativi puntuali e richiami a sentenze recenti delle corti italiane ed europee, per garantire un aggiornamento autorevole al settembre 2025.
Cause e tipologie di debiti per i negozi di casalinghi
Gestire un negozio di casalinghi comporta spese e obblighi finanziari diversificati. Le cause di indebitamento possono essere molteplici e spesso concomitanti:
- Debiti commerciali verso fornitori: per l’acquisto delle merci (utensili, articoli per la casa) spesso si ottengono forniture a credito. Ritardi nelle vendite o nelle entrate possono far accumulare fatture non pagate ai fornitori, con il rischio di decreti ingiuntivi e azioni esecutive.
- Debiti bancari e finanziari: molti negozianti finanziano l’attività con prestiti bancari, fidi di cassa o mutui (ad es. per ristrutturare i locali). Se il fatturato cala o i tassi aumentano, il negozio può trovarsi in difficoltà nel rispettare le rate, incorrendo in scoperti e interessi di mora. Spesso il titolare ha anche fornito garanzie personali (fideiussioni) alla banca, estendendo il rischio al proprio patrimonio.
- Debiti fiscali e contributivi: il Fisco e gli enti previdenziali sono creditori frequenti. Un negozio deve versare IVA sulle vendite, imposte sui redditi (Irpef/Ires), contributi INPS per i titolari e gli eventuali dipendenti, nonché eventuale IMU/TASI sul locale. In tempi di difficoltà, è comune rinviare questi pagamenti per far fronte ad altre spese urgenti, con conseguente accumulo di cartelle esattoriali per imposte e contributi non versati . Questi debiti generano sanzioni e interessi, aggravando l’esposizione.
- Debiti verso dipendenti: se il negozio ha dipendenti o collaboratori, il pagamento regolare di stipendi e TFR è obbligatorio. In situazioni di crisi di liquidità, si rischiano ritardi nel pagamento delle retribuzioni e nel versamento delle ritenute e contributi. Ciò espone il datore di lavoro a sanzioni amministrative e, per i contributi omessi oltre soglie rilevanti, anche penali . Inoltre i dipendenti possono agire legalmente (ingiunzioni di pagamento, vertenze sindacali) e richiedere le proprie spettanze.
- Debiti verso il locatore (affitto): la locazione del punto vendita è spesso una voce importante. Canoni non pagati portano a morosità; il proprietario può attivare uno sfratto per morosità e un decreto ingiuntivo per i canoni arretrati. La perdita del locale può significare dover cessare l’attività, per cui il debito locativo è critico da gestire.
- Utenze e altri costi fissi: bollette di luce, gas, telefono, fornitori di servizi (es. gestori di carte di credito, piattaforme e-commerce se presenti) possono accumularsi se non pagate, portando a distacchi di forniture o penali contrattuali.
- Debiti personali del titolare non legati all’attività: talvolta il titolare, specialmente se ditta individuale, contrae debiti personali (es. mutuo sulla casa di abitazione, finanziamenti personali, carte di credito) che, se l’attività va male, diventano difficili da onorare. Questi debiti, pur non aziendali, impattano sul medesimo patrimonio in caso di imprenditore individuale, confondendosi con la crisi dell’impresa. Ad esempio, il titolare potrebbe aver garantito personalmente i debiti della ditta, o finanziato l’azienda con prestiti personali.
Perché proprio i negozi di casalinghi? Questo settore ha margini spesso ridotti e forti costi fissi. Inoltre è esposto alla concorrenza della grande distribuzione e dell’e-commerce, e soggetto a fluttuazioni stagionali nelle vendite. Un imprevisto (come lavori stradali che riducono l’accesso, o un periodo di calo dei consumi) può generare uno squilibrio finanziario difficile da recuperare. Quando le entrate non coprono più le uscite, l’imprenditore commerciale può scivolare dallo “stato di crisi” (difficoltà economico-finanziaria reversibile, indici di tensione di cassa) allo stato di insolvenza vero e proprio, in cui non riesce più a soddisfare regolarmente le obbligazioni man mano che giungono a scadenza . L’insolvenza attuale è il presupposto per l’apertura delle procedure concorsuali (es. liquidazione giudiziale), ma come vedremo esistono strumenti per intervenire prima che la situazione degeneri.
In sintesi, i debiti di un negozio di casalinghi possono avere natura molto eterogenea, ognuna con particolarità giuridiche: i debiti bancari e commerciali seguono regole civilistiche (contratti, interessi, azioni legali ordinarie), i debiti fiscali sono assistiti da norme speciali sulla riscossione coattiva (cartelle, fermi amministrativi, ipoteche esattoriali) e possibili definizioni agevolate, i debiti di lavoro godono di tutela speciale (privilegi nel concorso, possibile intervento del Fondo di garanzia INPS), i debiti personali del titolare possono ricadere nel sovraindebitamento se l’imprenditore è una persona fisica non fallibile. Questa varietà rende necessaria una strategia di gestione del debito multidisciplinare, valutando caso per caso le priorità e le soluzioni più adatte.
Prime mosse di fronte alla crisi finanziaria
Quando un negozio di casalinghi entra in difficoltà finanziaria, è fondamentale agire tempestivamente e in modo organizzato. Ecco le prime mosse consigliate dal punto di vista pratico e legale per difendersi dai creditori e tentare di risanare la situazione:
1. Valutare obiettivamente la situazione economica: il titolare deve innanzitutto quantificare l’esposizione debitoria e lo stato della propria attività. Ciò comporta redigere un elenco dettagliato di tutti i debiti (importi, creditori, scadenze, eventuali garanzie) e affiancarlo a un prospetto delle attività (incassi previsti, liquidità disponibile, beni cedibili). Se possibile, è utile farsi assistere da un commercialista o un professionista della crisi per predisporre un piccolo piano di cassa prospettico: capire se l’azienda genera flussi sufficienti o se l’insolvenza è conclamata. Questa analisi preliminare è cruciale anche per decidere se tentare un risanamento (continuare l’attività ristrutturando i debiti) oppure valutare una chiusura ordinata (liquidazione). Una diagnosi precoce e realistica rientra negli obblighi di buona gestione dell’imprenditore: il nuovo Codice della crisi impone agli imprenditori (specie societari) di dotarsi di “adeguati assetti” organizzativi proprio per rilevare per tempo segnali di crisi . Ignorare il problema sperando in una ripresa miracolosa spesso aggrava la situazione e può costituire inadempimento dei doveri gestionali.
2. Verificare la legittimità e correttezza delle pretese dei creditori: non tutti i debiti sono certi o dovuti nell’importo preteso. È buona prassi esaminare criticamente ogni richiesta di pagamento ricevuta. Ad esempio, una cartella esattoriale potrebbe contenere vizi di notifica, errori di calcolo o prescrizione; un decreto ingiuntivo di un fornitore potrebbe essere opposto se il credito non è liquido ed esigibile o se vi sono contestazioni sulla fornitura. Pertanto, occorre controllare gli atti (notifiche, calcoli, applicazione di sanzioni) e valutare con un legale eventuali motivi di opposizione o annullamento . Ad esempio, molti avvisi di accertamento fiscale presentano motivazioni generiche o basate su presunzioni contestabili: un ricorso tempestivo alla giustizia tributaria può bloccare la riscossione coattiva in attesa del giudizio . Anche per le ingiunzioni civili (es. decreti ingiuntivi dei fornitori) è possibile proporre opposizione entro termini precisi, evidenziando pagamenti già effettuati o l’assenza dei presupposti del credito.
3. Stabilire le priorità e negoziare una moratoria informale: di fronte a molteplici debiti, il debitore deve prioritizzare. In genere, hanno precedenza i debiti la cui omissione produce effetti irreversibili o molto dannosi nel breve periodo. Ad esempio: stipendi e contributi (per evitare vertenze e sanzioni, oltre che per correttezza verso i lavoratori), forniture essenziali (merce e utenze, per tenere aperta l’attività), e alcuni debiti fiscali particolari (come l’IVA corrente, il cui mancato versamento oltre soglia genera reato). Quando le risorse non bastano per tutto, conviene contattare subito i creditori meno immediati (es. banca per le rate del mutuo, proprietario del locale per l’affitto, fornitore non essenziale) e chiedere una dilazione o sospensione dei pagamenti dovuti, spiegando la situazione e prospettando un piano di rientro credibile. Molti creditori preferiscono concordare una moratoria anziché avventurarsi in azioni legali lunghe e dal recupero incerto, specialmente se percepiscono collaborazione e buona fede dall’imprenditore. Questa rinegoziazione informale può dare respiro temporaneo mentre si studiano soluzioni più strutturali.
4. Controllare l’importo reale del debito e opportunità di riduzione: spesso l’importo inizialmente richiesto dai creditori include sanzioni, interessi di mora e spese che possono essere eliminati o ridotti. In ambito fiscale, ad esempio, il Governo periodicamente introduce definizioni agevolate (rottamazioni) delle cartelle esattoriali, che permettono di pagare solo la quota capitale delle imposte dovute, stralciando sanzioni e interessi . Verificare se il proprio debito rientra tra quelli rottamabili (ad esempio, nel 2023 è stata aperta la “rottamazione-quater” per debiti dal 2000 al 2017) è fondamentale: aderire a queste misure può ridurre drasticamente il debito fiscale dovuto. Anche in ambito civile, se vi sono interessi usurari o anatocistici in contratti bancari, o clausole invalide, si può contestare e ottenere una ricalcolo ridotto del dovuto. È quindi importante separare il debito certo dal debito accessorio: in sede di trattativa con il creditore, far valere che una parte del dovuto potrebbe non essere esigibile (ad esempio perché prescritta o nulla) può facilitare un accordo transattivo più vantaggioso.
5. Attivare piani di rateizzazione o misure protettive: una volta determinato l’importo corretto dei debiti e parlato con i creditori, il passo successivo è formalizzare delle soluzioni temporanee. Con l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione), se non si riesce a pagare in un’unica soluzione, è sempre possibile chiedere una rateizzazione amministrativa: fino a 72 o 120 rate mensili (6-10 anni) a seconda dell’entità del debito, ottenendo il beneficio che finché si pagano le rate vengono sospese le procedure esecutive . La domanda di rateazione è uno strumento immediato per congelare le azioni di recupero: il semplice inoltro della richiesta comporta la sospensione di fermi e ipoteche esattoriali in essere. Analogamente, con le banche si può negoziare un piano di rientro del fido o una rimodulazione del mutuo (ad esempio allungandone la durata per ridurre la rata). Se i creditori sono molti e pressanti, una strada da considerare è richiedere al tribunale delle misure protettive del patrimonio: ad esempio, nell’ambito di una procedura di composizione negoziata della crisi (si veda oltre) o presentando ricorso per concordato preventivo, il debitore può ottenere dal giudice un decreto che sospende o vieta temporaneamente le azioni esecutive individuali dei creditori . Ciò crea una “tregua” durante la quale predisporre un piano di soluzione della crisi senza il timore che un pignoramento improvviso faccia saltare gli sforzi di risanamento.
6. Consultare professionisti esperti in crisi d’impresa: quando i debiti superano la capacità di pagamento dell’azienda, è opportuno farsi affiancare da un professionista specializzato (avvocato d’affari, commercialista esperto in crisi, consulente del lavoro per aspetti di personale) sin dalle prime fasi. Un avvocato specializzato in diritto fallimentare e tributario può analizzare la posizione debitoria a 360 gradi, individuando le falle procedurali nelle azioni dei creditori (es. vizi nei precetti, nelle ipoteche o nei pignoramenti da contestare ) e suggerire la strategia globale migliore. Ad esempio, potrebbe consigliare di attivare una procedura concorsuale minore per ottenere l’esdebitazione, oppure di proporre una transazione fiscale all’Agenzia Entrate se il grosso del debito è con il Fisco. Inoltre, un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) – organismo creato dalla legge per assistere i sovraindebitati – può essere contattato (di solito tramite la Camera di Commercio locale) per valutare strumenti come i piani del consumatore o concordati minori. Questi esperti conoscono le nuove normative (Codice della crisi) e possono aiutare ad evitare errori formali che comprometterebbero le chances di successo delle procedure di composizione.
7. Evitare mosse elusive o frettolose: difendersi dai debiti non significa nascondere i beni o ingannare i creditori. Atti come la distrazione di beni aziendali, vendite simulate a parenti o trasferimenti di sede fittizi possono costituire atti in frode ai creditori, facilmente revocabili e tali da pregiudicare l’accesso alle procedure di composizione (che richiedono meritevolezza). La giurisprudenza è severa: ad esempio, un trasferimento fittizio della sede legale all’estero o lontano dal luogo d’attività non sposta la competenza se non c’è sostanza, ed è indice di mala fede . Meglio agire alla luce del sole, negoziando o ricorrendo agli strumenti legali previsti, piuttosto che incorrere in potenziali responsabilità penali (ad es. bancarotta fraudolenta in caso di fallimento) o nella inammissibilità delle procedure per comportamento scorretto.
In sintesi, le prime mosse devono mirare a guadagnare tempo e a stabilizzare la situazione, preparando il terreno per soluzioni più strutturate. Ogni atto (cartella, intimazione, precetto) ha termini precisi per essere contestato o per fruire di benefici (generalmente 30 o 60 giorni): non lasciarli decorrere inutilmente è fondamentale . Agendo entro i termini e con cognizione di causa, il debitore può “prendere in mano” la gestione della crisi, anziché subirla passivamente, ed evitare esiti irreparabili come il pignoramento dell’unico conto corrente aziendale o la chiusura forzata dell’attività.
Strategie extragiudiziali per gestire i debiti
Non sempre è necessario (né opportuno) ricorrere immediatamente a un giudice o aprire una procedura concorsuale. In molti casi, specialmente per crisi non ancora irreversibili, si possono tentare strategie extragiudiziali, ovvero accordi e azioni volontarie al di fuori del tribunale, per ristrutturare o ridurre i debiti. Queste soluzioni presentano alcuni vantaggi: sono generalmente più rapide, confidenziali (evitano la pubblicità di una procedura concorsuale) e flessibili, poiché costruite sul consenso delle parti. Vediamo le principali opzioni extragiudiziali:
● Rinegoziazione individuale dei debiti con i creditori: la prima e più immediata via extragiudiziale è il contatto diretto con ciascun creditore al fine di ottenere condizioni migliori. Come anticipato nelle “prime mosse”, il titolare può proporre a ciascun creditore di rimodulare il debito, ad esempio: prorogare la scadenza (accordare più tempo per pagare), rateizzare l’importo dovuto in quote mensili sostenibili, oppure ridurre il debito (stralcio parziale) se pagato in unica soluzione immediata. Quest’ultima ipotesi è detta transazione a saldo e stralcio: il creditore rinuncia a una parte del credito in cambio del pagamento sollecito di una percentuale concordata. Ad esempio, un fornitore con fatture arretrate per €10.000 potrebbe accettare €7.000 subito a saldo di ogni pretesa, se dubita di poter recuperare altrimenti l’intero e vuole evitare spese legali. Queste rinegoziazioni sono atti privati, che vanno formalizzati per iscritto (una scrittura privata di transazione in cui il creditore dichiara di considerare tombale il pagamento concordato). È bene inserire sempre che l’accordo vale a condizione dell’effettivo pagamento di quanto pattuito entro i termini stabiliti, per evitare decadenze. Una volta rispettato l’accordo, il debitore sarà liberato dalla restante parte del debito.
● Accordi stragiudiziali globali (workout): se i creditori sono numerosi, l’approccio uno per uno potrebbe non essere sufficiente a risolvere l’insolvenza complessiva. In tal caso si può tentare un accordo collettivo con i principali creditori – ad esempio banche e fornitori strategici – per ristrutturare il debito in modo organico. Questo spesso avviene con l’aiuto di un professionista (advisor) che prepara un piano di ristrutturazione aziendale: il piano illustrerà come, rinviando scadenze e magari ottenendo nuova finanza, l’azienda potrà risollevarsi e pagare una parte significativa dei crediti. Si invitano quindi i creditori a un tavolo di trattativa, presentando il piano e cercando di ottenere un impegno da ciascuno (ad esempio, la banca proroga i finanziamenti, i fornitori convertono parte dei crediti in forniture future, etc.). Questo tipo di workout non è formalizzato dalla legge ma è prassi di mercato. Occorre il consenso volontario di tutti i creditori coinvolti: non c’è, come nelle procedure concorsuali, un meccanismo di maggioranza che vincola la minoranza dissenziente. Pertanto, il debitore deve cercare di coinvolgere quelli più importanti e convincerli che anche per loro sia vantaggioso evitare il fallimento dell’azienda (in caso di fallimento, la soddisfazione sarebbe minima). Tali accordi possono essere assistiti da istituzioni: ad esempio, le Camere di Commercio offrono servizi di mediazione o composizione negoziata anche al di fuori delle procedure formali, mettendo a disposizione un mediatore esperto in crisi d’impresa che facilita il dialogo. Una mediazione civile strutturata può essere utile soprattutto per comporre posizioni di conflitto con banche (ad esempio su esposizioni garantite da ipoteche, dove la banca ha un potere maggiore) o con il locatore (magari rinegoziando al ribasso il canone di affitto, con la minaccia implicita che altrimenti l’azienda chiude e l’immobile resta sfitto).
● Piano attestato di risanamento (strumento ex art. 56 CCII): il piano attestato di risanamento è un particolare strumento previsto dalla legge ma ad esecuzione extragiudiziale (senza omologazione del tribunale). Consiste in un piano finanziario e industriale che prevede il risanamento dell’impresa e il riequilibrio della situazione finanziaria, attestato nelle sue ragionevoli prospettive di successo da un professionista indipendente (un esperto che redige una relazione di attestazione). Il piano, sottoscritto dall’imprenditore e dai creditori che vi aderiscono, non richiede il voto o l’adesione di tutti i creditori: è uno strumento contrattuale in cui i creditori partecipanti accettano di ristrutturare i loro crediti secondo i termini del piano. Il vantaggio del piano attestato è che, pur essendo un accordo privatistico, la legge gli riconosce effetti protettivi: in caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale), gli atti compiuti in esecuzione del piano non potranno essere revocati come pagamenti preferenziali . Inoltre, se il piano ha successo, l’imprenditore evita di dover ricorrere a procedure concorsuali. Tuttavia, il piano attestato non vincola i creditori estranei: se alcuni creditori non partecipano all’accordo, essi restano liberi di agire (non c’è automatic stay come nel concordato). È dunque uno strumento adatto quando si ha un numero limitato di creditori e si riesce a coinvolgerli tutti in modo consensuale. Nel contesto di un negozio di casalinghi, un piano attestato potrebbe essere utile ad esempio per ridefinire l’esposizione con le banche: la banca acconsente a non revocare i fidi e a prorogare i mutui, e l’esperto attesta che con ciò e con un certo apporto di capitali il negozio tornerà in equilibrio in X anni.
● Transazione fiscale e contributiva (art. 63 CCII): tra gli strumenti di accordo extragiudiziale con valenza legale vi è la cosiddetta transazione fiscale, ora inserita nelle procedure concordatarie ma di fatto negoziabile anche prima. Se la maggior parte del debito riguarda il Fisco e l’INPS, il debitore può proporre a tali enti un accordo transattivo: tipicamente il pagamento parziale dei tributi e contributi con stralcio di sanzioni e interessi. La transazione sui tributi erariali e contributi previdenziali è oggi possibile solo all’interno di una procedura concorsuale (concordato preventivo o accordo di ristrutturazione omologato) e richiede il voto favorevole dell’Agenzia delle Entrate o dell’ente interessato. Fuori dalle procedure, il debitore può comunque utilizzare gli strumenti standard (rateazioni, definizioni agevolate) per ottenere sostanzialmente un effetto simile di dilazione/stralcio. Occorre segnalare che il D.Lgs. 136/2024 (terzo correttivo al Codice della crisi, in vigore dal 28/09/2024) ha introdotto incentivi alla continuazione dell’attività: ad esempio, in sede di composizione negoziata della crisi, le banche sono ora obbligate a mantenere le linee di credito esistenti (fidi, scoperti) durante le trattative protette, senza poterle revocare solo per il fatto dell’avvio della composizione negoziata . Questo evita che l’avvio di un negoziato getti l’impresa in default immediato per ritiro degli affidamenti.
● Consolidamento dei debiti personali: se il titolare ha molti debiti personali (es. varie linee di credito al consumo, carte, piccoli prestiti), può valutare la strada del consolidamento: rivolgersi a un intermediario finanziario per ottenere un unico prestito che estingua tutti i debiti minori, lasciandone uno solo a rata più bassa. Questa operazione però è fattibile solo se il debitore ha ancora una certa affidabilità creditizia e garanzie da offrire; in contesti di crisi avanzata spesso non è praticabile perché le banche non concedono nuovi finanziamenti a soggetti sovraindebitati.
● Supporto di reti di impresa o confidi: alcune categorie di commercianti aderiscono a reti di impresa, cooperative di garanzia o confidi, che in caso di difficoltà possono offrire assistenza finanziaria o garanzie per rinegoziare debiti. Ad esempio, un confidi può garantire alla banca una parte del nuovo finanziamento necessario a ristrutturare il debito del negozio, rendendo la banca più disponibile a concederlo. Oppure associazioni di categoria possono mediare con i fornitori comuni per ottenere dilazioni collettive (specie se la crisi colpisce più negozi dello stesso settore).
Pro e contro delle soluzioni extragiudiziali: il vantaggio principale è l’assenza di formalità e la velocità: un accordo privato può essere raggiunto in pochi giorni se le parti sono collaborative, mentre una procedura concorsuale richiede mesi. Inoltre l’immagine commerciale del negozio potrebbe soffrire meno: dichiarare in pubblico una procedura concorsuale (come un concordato) può allontanare la clientela e fornitori, mentre trattative riservate permettono di presentare all’esterno un’immagine di normalità durante la ristrutturazione. Di contro, l’efficacia di queste soluzioni dipende dalla volontà di tutti i creditori: basta un creditore “cruciale” non disponibile per vanificare gli sforzi (ad esempio, se la banca rifiuta qualsiasi accordo e minaccia azioni, può trascinare l’impresa al fallimento nonostante gli altri creditori siano accomodanti). Inoltre, gli accordi stragiudiziali non hanno cram-down: non c’è modo di obbligare una minoranza dissenziente ad aderire, come invece avviene nel concordato preventivo omologato che diventa vincolante per tutti. Per questo motivo, spesso le strategie extragiudiziali funzionano meglio in situazioni di crisi incipiente o moderata, con pochi creditori relativamente facilmente coordinabili. Se l’insolvenza è grave e diffusa, può rendersi necessario passare a strumenti giudiziari che offrono protezione collettiva (ad esempio il blocco dei pagamenti per tutti i creditori) e meccanismi decisionali a maggioranza.
Di seguito, una tabella riepilogativa che confronta le principali opzioni extragiudiziali:
| Opzione extragiudiziale | Descrizione | Vantaggi | Svantaggi / Note |
|---|---|---|---|
| Trattativa individuale (saldo e stralcio, dilazione) | Accordo diretto con singolo creditore per ridurre/importare il debito. | Rapida, flessibile, evita formalità. | Richiede consenso di ciascun creditore separatamente; non vincola gli altri. |
| Accordo globale informale (workout) | Intesa consensuale con più creditori rilevanti per un piano comune di rientro. | Visone unitaria del risanamento; evita procedure pubbliche. | Difficile coordinare molti creditori; nessuna garanzia se uno si sfila. |
| Mediazione assistita (Camere Commercio, ADR) | Coinvolgimento di un mediatore neutrale per facilitare un accordo. | Ambiente controllato, aiuta a superare diffidenze. | Non obbliga a conclusioni; esito non garantito. |
| Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) | Piano di risanamento con adesione volontaria dei creditori, attestato da esperto indipendente. | Protezione da revocatorie in futuro; credibilità maggiore grazie all’attestazione. | Non blocca azioni dei creditori non aderenti; costi dell’esperto. |
| Rateizzazioni/definizioni agevolate (debiti fiscali) | Piano di dilazione con l’ente pubblico o adesione a rottamazioni. | Sospende le azioni esecutive del Fisco; stralcia sanzioni e interessi. | Richiede regolarità nei pagamenti delle rate; opportunità legate a norme temporanee. |
| Consolidamento debiti (nuovo finanziamento) | Ottenere nuova finanza per pagare vecchi debiti, con un solo debito residuo. | Semplifica la gestione, abbassa rata mensile. | Difficile se la crisi è già conclamata; può richiedere garanzie reali. |
Come evidenziato, la riuscita di un approccio extragiudiziale dipende molto dalla credibilità del debitore e dalla fiducia che riesce ad ispirare: presentare un business plan serio, mostrarsi trasparenti sui dati e magari offrire garanzie aggiuntive (es. un pegno su un bene, il coinvolgimento di un investitore esterno disposto a immettere liquidità) può convincere i creditori della bontà dell’accordo. Viceversa, se il debitore ha già perso reputazione (ad esempio ha fatto promesse di pagamento poi disattese, o ha occultato informazioni), i creditori preferiranno affidarsi ai tribunali. In tal caso, occorre prepararsi alle procedure concorsuali formali, che analizziamo nel prossimo paragrafo.
Procedure concorsuali: come funzionano e quando usarle
Quando l’indebitamento supera la possibilità di essere gestito consensualmente o quando si vuole ottenere un effetto giuridico vincolante per tutti i creditori (ad esempio una moratoria generalizzata o un taglio dei debiti imposto anche ai dissenzienti), è necessario ricorrere alle procedure concorsuali previste dalla legge. Le procedure concorsuali sono procedimenti giudiziari o para-giudiziari volti a regolare in modo unitario la crisi o l’insolvenza, sotto la supervisione del tribunale o di un organo nominato, secondo le norme del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) e, per alcune parti ancora, della legge fallimentare previgente per situazioni transitorie. Nel 2022 il Codice della crisi ha introdotto una gamma articolata di procedure, distinguendo tra soluzioni conservative (di risanamento dell’impresa) e soluzioni liquidatorie (di cessazione e liquidazione dell’attività). In questa sezione passeremo in rassegna le principali procedure concorsuali applicabili a un negozio di casalinghi in difficoltà, evidenziandone i presupposti, il funzionamento essenziale e quando conviene considerarle.
Innanzitutto occorre distinguere la situazione giuridica del debitore imprenditore commerciale: se sopra una certa dimensione, è soggetto alle procedure ordinarie (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, ecc.); se piccolo (impresa minore), rientra nel campo delle procedure di sovraindebitamento (concordato “minore”, liquidazione controllata, ecc.). Questa differenziazione si basa su soglie dimensionali fissate dalla legge. Il CCII definisce “impresa minore” quella che nei tre esercizi precedenti non ha superato alcuno di questi parametri: attivo patrimoniale ≤ €300.000, ricavi lordi ≤ €200.000, debiti totali ≤ €500.000 . Il superamento anche di uno solo di tali limiti in un solo anno fa perdere la qualifica di piccolo imprenditore, rendendo l’impresa fallibile, ossia assoggettabile alle procedure concorsuali ordinarie . Viceversa, chi rimane sotto tutti i tre limiti è un debitore non fallibile, che se insolvente potrà accedere solo alle procedure “minori” di cui diremo più avanti . Nel caso tipico di un negozio di casalinghi, se si tratta di una piccola attività a livello locale, è plausibile che rientri nei limiti di impresa minore (ad esempio, ricavi annui 150.000 € e debiti 400.000 € – sotto soglia; invece un negozio più grande con ricavi annui di 250.000 € sarebbe già sopra soglia e fallibile). Questa distinzione incide sulle procedure attivabili: liquidazione giudiziale e concordato preventivo riguardano solo imprese fallibili, mentre concordato minore e liquidazione controllata sono pensati per i debitori minori non fallibili . In ogni caso, le persone fisiche non imprenditori commerciali (consumatori, professionisti) non sono soggette a fallimento e ricadono sempre nelle procedure di sovraindebitamento.
Oltre ai requisiti soggettivi, il CCII (art. 121) richiede per l’apertura di una liquidazione giudiziale anche un requisito oggettivo di indebitamento minimo: almeno €30.000 di debiti scaduti e non pagati . Questa soglia introdotta di recente mira ad evitare fallimenti per importi esigui, antieconomici. Significa che se l’azienda è insolvente ma i debiti scaduti complessivamente non superano 30.000 euro, il tribunale non può dichiarare la liquidazione giudiziale (fallimento) su istanza dei creditori . Ad esempio, se un negozio ha €50.000 di debiti totali di cui €20.000 già scaduti e non pagati, non si raggiunge la soglia: i singoli creditori potranno fare decreti ingiuntivi e pignoramenti, ma non ottenere l’apertura di una procedura concorsuale collettiva . La soglia dei €30.000 è considerata dalla giurisprudenza una condizione di procedibilità della richiesta di fallimento: la Cassazione ha chiarito che in assenza di essa il procedimento va chiuso senza dichiarare il fallimento . Questo non vuol dire che sotto 30k il debitore sia “al sicuro” da azioni – i creditori possono comunque agire individualmente – ma solo che non potranno costringerlo in una procedura concorsuale ordinaria . Nota: la soglia dei 30k vale per la liquidazione giudiziale; nelle procedure di sovraindebitamento attivabili dal debitore stesso (concordato minore, ecc.) non è prevista un’analoga soglia fissa, sebbene nella prassi un indebitamento molto basso sconsiglia di attivarle per via dei costi.
Fatte queste premesse, esaminiamo ora le singole procedure:
Composizione negoziata della crisi d’impresa
La composizione negoziata è una procedura introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021, conv. L. 147/2021, ora parte del CCII) volta a favorire la negoziazione assistita tra l’imprenditore in crisi e i creditori, con l’aiuto di un esperto indipendente. È una procedura volontaria e confidenziale, attivabile dall’imprenditore commerciale (di qualsiasi dimensione, anche piccolo) quando si trova in situazione di difficoltà o crisi ma vuole tentare il risanamento senza ricorrere subito a procedure concorsuali giudiziali. In pratica, l’imprenditore presenta un’istanza tramite una piattaforma telematica nazionale presso la Camera di Commercio, e viene nominato un esperto (spesso un commercialista o avvocato con esperienza in ristrutturazioni) scelto da un elenco tenuto presso le CCIAA . L’esperto esamina la situazione aziendale e facilita le trattative con i creditori e gli altri soggetti interessati, cercando di individuare una soluzione per superare la crisi . Durante la composizione negoziata, l’imprenditore mantiene la gestione dell’impresa (non c’è spossessamento) ma deve seguire le indicazioni dell’esperto per evitare aggravamento della situazione.
Strumenti e peculiarità della composizione negoziata: – Misure protettive: l’imprenditore, se necessario, può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive temporanee, ad esempio il blocco delle azioni esecutive da parte dei creditori o il divieto di acquisire titoli di prelazione sui beni (ipoteche) durante le trattative . Il tribunale, verificati i presupposti, concede tali misure per una durata iniziale di 4 mesi (prorogabili fino a 12), salvo revocarle se le trattative non progrediscono. Ciò crea un “ombrello” legale sotto cui condurre le negoziazioni senza la pressione di pignoramenti o istanze di fallimento pendenti. – Continuità aziendale tutelata: la legge prevede che l’imprenditore possa compiere atti di ordinaria amministrazione liberamente e, con il consenso dell’esperto, anche atti straordinari urgenti nell’ambito della gestione corrente. Sono previste facilitazioni per ottenere finanziamenti prededucibili (cioè rimborsabili con priorità in caso di successiva procedura concorsuale) durante la composizione negoziata, in modo da incentivare nuova finanza ponte. Inoltre, come accennato, il correttivo 2024 ha stabilito che le banche non possono revocare le linee di credito già concesse solo per effetto dell’avvio della composizione negoziata , evitando il fenomeno del ritiro dei fidi che in passato complicava i tentativi di risanamento. – Esito delle trattative: se le trattative hanno successo, possono sfociare in diversi tipi di accordo: un contratto di ristrutturazione del debito (ad es. nuova dilazione o riduzione con i principali creditori), una convenzione di moratoria (tutti i creditori concordano di aspettare X mesi i pagamenti), un accordo stragiudiziale qualsiasi, oppure l’imprenditore può decidere di accedere a una procedura concorsuale vera e propria (come un concordato preventivo) con basi negoziate in precedenza. In caso di accordo stragiudiziale semplice, su richiesta, l’esperto può attestare che l’accordo concluso assicur(a) il risanamento dell’impresa, il che offre al debitore talune esenzioni da revocatorie fallimentari future simili a quelle del piano attestato. – Concordato “semplificato” per la liquidazione del patrimonio: se le trattative falliscono (esito negativo della composizione negoziata), l’imprenditore ha – solo in caso di esito infruttuoso – la possibilità di proporre entro 60 giorni un concordato semplificato per cedere i propri beni ai creditori. Si tratta di una procedura introdotta in via sperimentale: un concordato liquidatorio che non richiede il voto dei creditori, ma va direttamente all’omologazione del tribunale. Il Decreto Correttivo 136/2024 ha leggermente modificato questa disciplina: ora il concordato semplificato non è più subordinato all’esito “non positivo” delle trattative, lasciando intendere che possa essere utilizzato anche in caso di accordo parziale o altre situazioni (in passato serviva formalmente un esito negativo) . Resta comunque uno strumento adatto solo se si vuole liquidare l’azienda evitando la procedura fallimentare classica, distribuendo il ricavato ai creditori secondo le priorità di legge.
Quando conviene la composizione negoziata? Questa procedura è consigliabile quando l’impresa è ancora in piedi e ha prospettive di risanamento, ma necessita di una ristrutturazione dei debiti e del consenso dei creditori per attuarla. Ad esempio, un negozio di casalinghi che vede un futuro sostenibile (magari riducendo costi o avendo nuovi investitori) ma è strozzato dai debiti pregressi potrebbe, tramite la composizione negoziata, convincere banche e fornitori a dilazionare o ridurre i crediti, evitando così di chiudere. Il vantaggio è mantenere il controllo dell’azienda e la riservatezza (la composizione non comporta immediata pubblicità nel Registro Imprese, se non quando si chiedono misure protettive). Va detto però che per micro-imprese molto piccole, la procedura può risultare onerosa (bisogna remunerare l’esperto, anche se spesso la Camera di Commercio anticipa i costi) e complessa, mentre per imprese medie ha dato buoni risultati. Al 30 settembre 2025, secondo i dati ministeriali, diverse centinaia di imprese hanno utilizzato la composizione negoziata, con un tasso di successo negoziale variabile; il legislatore sta monitorando l’istituto, che è stato oggetto di correttivi nel 2023-2024 per migliorarne l’efficacia.
Accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII)
L’accordo di ristrutturazione dei debiti è una procedura concorsuale “mista”: avviene su base contrattuale con i creditori ma ottiene efficacia tramite l’omologazione del tribunale. È uno strumento originariamente introdotto nell’ordinamento fallimentare (art. 182-bis L.F.) e ora disciplinato nel CCII. In sostanza, il debitore predispone un accordo con una parte qualificata dei creditori e poi chiede al tribunale di omologarlo, rendendolo vincolante anche per eventuali creditori estranei (nei limiti di legge).
Caratteristiche chiave: – Soglia del 60% dei crediti: per proporre un accordo di ristrutturazione ordinario, l’imprenditore deve aver ottenuto il consenso (espresso formalmente per iscritto) di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali . Questa maggioranza qualificata assicura che l’accordo goda di un sostegno ampio. I creditori che aderiscono vengono vincolati ai termini pattuiti (es: percentuale di pagamento, scadenze nuove) e l’accordo, una volta omologato, è efficace anche per essi come titolo esecutivo. – Trattamento dei creditori non aderenti: i creditori estranei all’accordo (il rimanente <40%) in linea di principio rimangono fuori e possono agire autonomamente; tuttavia l’accordo spesso prevede che siano pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologazione (se chirografari) o 120 giorni dalla scadenza originaria (se privilegiati), come condizione per l’omologa. Il CCII ha introdotto alcune varianti come l’accordo ad efficacia estesa e l’accordo agevolato: ad esempio, se si raggiunge il 75% di adesioni, l’accordo può essere esteso forzosamente anche ai creditori finanziari dissenzienti appartenenti alla stessa categoria (c.d. cram down settoriale), e dal 2022 è previsto un “accordo minore” con soglia ridotta al 30% ma con pagamento integrale dei non aderenti (poco usato finora). Nel nostro contesto, è difficile che un piccolo negozio debba ricorrere a tali tecnicismi, perché di solito i creditori non sono così numerosi; questi strumenti sono più comuni per aziende medio-grandi con molti finanziatori. – Relazione di un esperto indipendente: il debitore deve allegare all’accordo una relazione di un professionista attestatore che certifichi la veridicità dei dati aziendali e l’idoneità dell’accordo ad assicurare il pagamento integrale dei creditori estranei nei termini di legge. Questa attestazione è un controllo di fattibilità che tutela i terzi. – Effetti dell’omologazione: con la sentenza di omologa, il tribunale rende l’accordo efficace erga omnes. Da quel momento, i creditori aderenti sono obbligati a rispettare le nuove scadenze/importi e non possono agire esecutivamente in difformità. I creditori estranei conservano i loro diritti, ma se l’accordo prevede il loro pagamento integrale in 120 giorni, di fatto non hanno interesse ad agire immediatamente (possono comunque iniziare o proseguire azioni, ma l’accordo dovrebbe porre rimedio in breve). L’omologazione può essere negata se risultano violazioni di legge o se l’accordo è gravemente squilibrato verso i non aderenti. – Misure protettive pre-omologa: il debitore che deposita la domanda di omologa può chiedere al tribunale di sospendere azioni esecutive e cautelari per tutelare l’accordo in formazione. Dal deposito, inoltre, e per 60 giorni prima, i creditori non possono acquisire pegni o ipoteche sui beni del debitore (parimenti al concordato).
Esempio: supponiamo che il negozio di casalinghi abbia debiti per 100.000 euro: 40k verso una banca, 20k verso fornitori vari, 20k di tasse e 20k verso il proprietario dell’immobile. Se il debitore convince banca, proprietario e fornitori che rappresentano insieme il 80% dei crediti a sottoscrivere un accordo (in cui magari la banca allunga il prestito, il proprietario riduce l’affitto arretrato del 30%, i fornitori accettano il 70% del dovuto in 6 mesi), l’accordo può essere presentato al giudice. I crediti erariali di 20k, se l’Erario non aderisce, dovranno essere pagati al 100% nei 120 giorni successivi all’omologa per legge. Se il giudice omologa, quell’accordo diventa la “legge del caso”: i firmatari non possono tirarsi indietro e il negozio esce formalmente dalla crisi con un documento omologato che attesta la ristrutturazione.
Vantaggi dell’accordo di ristrutturazione: rispetto al concordato preventivo (che esamineremo dopo), l’accordo è meno invasivo: non comporta la nomina di organi concorsuali né la necessaria pubblicità di una procedura collettiva a tutti i creditori (si coinvolgono solo quelli con cui si tratta). È più flessibile (non deve rispettare rigorosamente le regole di trattamento par condicio di un concordato, se i creditori sono d’accordo diversamente). Inoltre può essere “selettivo”: ad esempio si può scegliere di includere nell’accordo solo le banche e qualche fornitore strategico, tenendo fuori altri debiti che si preferisce pagare integralmente a parte. Di contro, richiede comunque una larga adesione dei creditori (non è adatto se la maggioranza è frammentata o ostile) e le spese di attestazione e omologa possono essere rilevanti in proporzione a un piccolo negozio. In pratica, l’accordo di ristrutturazione è stato poco usato dalle micro-imprese, che di solito scelgono o la via informale pura o, se devono passare dal tribunale, preferiscono il concordato preventivo che offre strumenti più incisivi (come il voto a maggioranza e moratorie anche sui dissenzienti). Tuttavia, va segnalato che la riforma ha introdotto anche il “concordato minore” per i piccoli imprenditori, che è più simile a un concordato che a un accordo (vedi oltre), rendendo l’accordo di ristrutturazione tradizionale più raro per i piccolissimi. Per un negozio di casalinghi medio (es. organizzato come S.r.l. con qualche punto vendita), l’accordo può essere utile se la gran parte del debito è concentrata su pochi creditori con cui si riesce a trovare l’intesa.
Concordato preventivo
Il concordato preventivo è la più nota procedura concorsuale di composizione della crisi diversa dalla liquidazione. È uno strumento giudiziale attraverso cui l’imprenditore insolvente (o in stato di crisi) propone ai creditori un piano per il soddisfacimento, parziale o totale, dei loro crediti, secondo determinate regole e sotto controllo del tribunale. Se i creditori approvano (a maggioranza delle somme) e il tribunale omologa, il piano diventa vincolante per tutti i creditori anteriori. Il concordato è “preventivo” perché evita la liquidazione giudiziale (fallimento), consentendo il risanamento o una liquidazione concordata dell’impresa.
Principali caratteristiche nel CCII: – Accesso e presupposti: possono accedere al concordato preventivo gli imprenditori commerciali assoggettabili a liquidazione giudiziale (quindi non le imprese minori sotto soglia né i non imprenditori). È richiesto lo stato di crisi o insolvenza (anche prospettica). Spesso l’impresa deposita prima un ricorso “con riserva” (concordato in bianco) per bloccare i creditori e poi, entro un termine, presenta il piano completo. – Tipologie di concordato: il CCII distingue il concordato in continuità aziendale (quando prevede la prosecuzione, diretta o indiretta, dell’attività d’impresa, quindi salvaguarda la continuità e i posti di lavoro) dal concordato liquidatorio (quando invece prevede solo la cessione o liquidazione di tutto il patrimonio). La legge incentiva la continuità: ad esempio richiede per il concordato puramente liquidatorio una soglia minima di soddisfazione dei creditori chirografari (almeno il 20%). Un negozio di casalinghi potrebbe proporre un concordato in continuità se ritiene di poter restare aperto e generare utili per pagare i creditori secondo il piano; oppure un concordato liquidatorio se decide di chiudere l’attività ma vuole evitare la liquidazione giudiziale, offrendo ai creditori una procedura concordata di vendita dei beni (magari cedendo il magazzino, incassando crediti, ecc. e distribuendo il ricavato). – Classi e trattamento dei creditori: nel piano di concordato, il debitore deve indicare come intende trattare i vari creditori. I creditori con privilegi (come il Fisco per alcune imposte, le banche ipotecarie, i dipendenti per stipendi) vanno soddisfatti almeno in misura equivalente a quanto otterrebbero in caso di liquidazione (principio del best interest test). I chirografari (senza garanzie) possono essere pagati parzialmente. Si possono classare i creditori in gruppi con interessi omogenei per offrire percentuali e tempistiche differenziate. Ad esempio, i fornitori strategici potrebbero essere messi in una classe a cui si offre il 50%, mentre altri chirografari il 30%, se ciò è giustificato. L’importante è che ogni classe voti separatamente. – Voto dei creditori: il concordato è sottoposto all’approvazione dei creditori: serve il voto favorevole dei creditori (per sommatoria di crediti) in ogni classe pari ad almeno il maggior valore tra 2/3 e la metà più uno dei crediti ammessi al voto. Se c’è una sola classe, serve il 50%+1. Se più classi e una non approva, il tribunale può comunque omologare (cram down) se ritiene che i dissenzienti non riceverebbero trattamento migliore in altre soluzioni e che il piano non li discrimini ingiustamente. – Organi della procedura: all’ammissione del concordato, il tribunale nomina un commissario giudiziale, che vigila sulla gestione dell’impresa durante la procedura e riferisce ai creditori e al giudice. L’imprenditore rimane in carica (nel concordato “in bianco” il tribunale può anche vietare atti straordinari senza autorizzazione). In caso di continuità, l’azienda continua operare sotto la gestione del debitore, ma con l’affiancamento del commissario; in caso di concordato liquidatorio, di solito l’attività cessa e ci si limita a vendere i beni. – Omologazione: se i creditori approvano e il tribunale accerta la legalità e fattibilità del piano (e l’assenza di opposizioni fondate), omologa il concordato. Da quel momento, il debitore esegue il piano sotto controllo di un liquidatore giudiziale (se nominato). I crediti anteriori restano modificati secondo il piano (ad es., un creditore chirografario che doveva avere 100 e il piano prevede il 30%, potrà incassare 30 e nulla più, gli altri 70 vengono esdebitati all’adempimento del piano).
Vantaggi del concordato preventivo per il debitore: è uno strumento potente di gestione dell’insolvenza perché consente al debitore proponente di mantenere l’iniziativa (propone lui il piano), di cristallizzare la situazione debitoria (con la domanda, tutte le azioni esecutive sono sospese e non se ne possono iniziare di nuove) e di tagliare il debito chirografario in misura significativa, con il benestare dei creditori. Consente inoltre di salvare l’impresa evitando la dispersione del patrimonio tipica del fallimento: nella continuità, l’azienda prosegue e i creditori vengono soddisfatti col flusso di cassa operativo (più eventuali apporti di terzi) – strategia preferibile se l’azienda è ancora valida. Per un negozio di casalinghi, ad esempio, un concordato in continuità potrebbe prevedere che il negozio resti aperto, i debiti siano pagati in parte con i profitti dei prossimi 5 anni, e il titolare immetta magari nuova finanza vendendo un immobile personale per pagare una quota dei creditori subito. In tal modo si evita la chiusura e i creditori potrebbero accettare di aspettare/perdere qualcosa confidando che l’alternativa (liquidazione giudiziale) darebbe loro ancora meno.
Svantaggi e limiti: il concordato è comunque una procedura formale, costosa e complessa. Richiede la redazione di un piano dettagliato e di documenti (relazione attestatore sulla fattibilità) e il pagamento di spese concorsuali. Inoltre, la gestione sotto controllo può essere farraginosa per chi non è abituato: ogni atto un po’ fuori dall’ordinario va autorizzato dal giudice, c’è il peso delle adunanze dei creditori, ecc. Vi è poi la incertezza del voto: nonostante gli sforzi, i creditori potrebbero bocciare la proposta se la ritengono sconveniente, facendo perdere tempo e magari precipitando poi il debitore in fallimento (in caso di esito negativo, il tribunale può aprire d’ufficio la liquidazione giudiziale). Va anche detto che, specie in concordati liquidatori puri, gli esiti per i creditori chirografari spesso sono modesti (pennies on the euro), e i tribunali possono anche non omologare se la soddisfazione è troppo bassa e non giustificata: ad esempio, la Cassazione ha confermato la possibilità di diniego di omologa per “compressione eccessiva” dei creditori chirografari in un piano del consumatore (procedura analoga) con percentuali irrisorie . Nel concordato preventivo d’impresa, finché la maggioranza approva, generalmente il tribunale non sindaca la percentuale (salvo quel 20% minimo se liquidatorio), ma la fattibilità sì.
Quando considerare il concordato: per un negoziante, il concordato preventivo ha senso se l’indebitamento è tale da non poter essere ripianato diversamente ma l’azienda ha ancora valore come going concern. Se invece l’attività è già decotta, i costi del concordato rischiano di peggiorare il dissesto: in tal caso meglio optare per una liquidazione (giudiziale o concordata) immediata. In pratica, i concordati di piccole imprese spesso sono di tipo liquidatorio semplificato (svendere le merci, chiudere e dare ai chirografari magari il 20-30%). Con l’avvento delle procedure minori per piccoli, molte micro-aziende ora preferiscono quelle perché tarate su scala ridotta.
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)
La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale di insolvenza per eccellenza, erede del “fallimento” nella legge antica. Interviene quando l’impresa insolvente non ha presentato o attuato con successo altre soluzioni. Lo scopo è liquidare tutto il patrimonio del debitore e distribuire il ricavato ai creditori secondo il principio della parità di trattamento (fatte salve le cause legittime di prelazione). È una procedura pubblica, officiosa, promossa di regola dai creditori o dall’organo pubblico (Procura) e gestita interamente da organi nominati dal tribunale (giudice delegato e curatore).
Caratteristiche: – Presupposti: come visto, serve che il debitore sia imprenditore commerciale sopra le soglie dimensionali (non impresa minore) , in stato di insolvenza attuale, e con debiti scaduti ≥ €30.000 . La richiesta può venire da un creditore, dal debitore stesso (che “chiede il proprio fallimento”) o d’ufficio dal tribunale in alcuni casi (raro). – Effetti dell’apertura: con la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale, l’imprenditore viene spossessato dei suoi beni (che entrano nella massa attiva) e perde la gestione dell’impresa. Viene nominato un curatore, professionista incaricato di amministrare il patrimonio fallimentare, chiudere l’esercizio provvisorio eventualmente autorizzato, vendere beni e ripartire il ricavato. Il debitore fallito perde la capacità di disporre del patrimonio e di stare in giudizio per questioni patrimoniali (subentra il curatore). Inoltre la sentenza comporta una serie di effetti personali: interdizione commerciale, annotazione nel Registro Imprese e presso il Casellario giudiziale, possibile interdizione dai pubblici uffici (anche se tali effetti “infamanti” sono stati attenuati rispetto al passato). – Svolgimento: i creditori devono insinuarsi al passivo entro termini stabiliti, comunicando i loro crediti al curatore. Il curatore forma lo stato passivo, che viene esaminato dal giudice; i crediti sono ammessi o respinti. Segue la fase di realizzazione dell’attivo: il curatore vende i beni del fallito (mobili, immobili, merci), riscuote i crediti, etc., di solito tramite procedure competitive (aste). Il ricavato, dedotte le spese, viene ripartito tra i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione: prima i creditori prededucibili (costi di procedura, finanziamenti autorizzati), poi i privilegiati (per rango: dipendenti, Erario, banche ipotecarie, ecc.), infine i chirografari in proporzione. Spesso questi ultimi ricevono poco o nulla, specie se i beni erano tutti ipotecati o privilegiati. – Chiusura e esdebitazione: la procedura si chiude con un decreto di chiusura una volta esaurito l’attivo. Se il debitore è persona fisica, può chiedere la esdebitazione: il beneficio di liberarsi dai debiti residui non soddisfatti nella procedura (eccetto quelli non exonerabili per legge, come debiti alimentari, da malafede, etc.), a patto di aver collaborato e non aver commesso reati fallimentari. In altre parole, il fallito meritevole ha diritto a ripartire da zero senza le pendenze passate . L’esdebitazione nell’ambito del fallimento esisteva già nella legge previgente ed è ora confermata dal CCII.
Implicazioni per il nostro negoziante debitore: la liquidazione giudiziale è ovviamente l’esito meno auspicabile per chi vuol “difendersi dai debiti”, perché comporta la perdita dell’azienda e dei beni. Tuttavia, a volte è inevitabile se l’insolvenza è troppo grave. Dal punto di vista del debitore onesto, la consolazione è la possibilità di pulire la propria posizione con l’esdebitazione post-chiusura: dopo aver subito la liquidazione, può ottenere un decreto che cancella i debiti residui e ricominciare l’attività come persona libera dai vecchi debiti (salvo eccezioni di legge). Oggi la legge consente l’esdebitazione anche immediata al momento della chiusura per i piccoli imprenditori individuali meritevoli, senza attendere ulteriori adempimenti.
Un negozio di casalinghi in forma di ditta individuale o SNC potrebbe subire la liquidazione giudiziale su istanza dei creditori solo se supera le soglie di fallibilità. Se invece era un’impresa minore, i creditori dovranno usare l’alternativa della liquidazione controllata (vedi infra). È importante notare che la giurisprudenza scoraggia l’uso del fallimento per debiti modesti: ad esempio, in una situazione in cui i debiti scaduti erano €35.000, giusto oltre la soglia, la Cassazione ha ritenuto comunque necessario valutare l’antieconomicità prima di procedere . Il legislatore stesso spinge verso soluzioni meno traumatiche per piccole crisi.
Difendersi in sede di istruttoria pre-fallimentare: se il negoziante riceve una citazione per liquidazione giudiziale (l’atto che ha sostituito l’istanza di fallimento), ha alcune possibili linee di difesa legale: (a) contestare l’esistenza dello stato di insolvenza, dimostrando di aver ripreso i pagamenti o di avere sufficienti risorse (magari grazie a iniezione di capitale di terzi, o vendite in corso); (b) eccepire di rientrare nella non fallibilità (dimostrando di essere sotto le soglie dimensionali) , con onere della prova a suo carico ; (c) eccepire il mancato superamento dei 30k di debiti scaduti, mostrando ad esempio di aver pagato parzialmente i crediti vantati o che alcuni sono contestati e quindi non “liquidi” per quella somma ; (d) proporre egli stesso un’alternativa (come un concordato preventivo o un accordo in extremis) prima che il tribunale decida – il CCII consente al debitore, entro la data dell’udienza prefallimentare, di depositare domanda di concordato o accordo di ristrutturazione, sospendendo così la decisione sulla liquidazione. Ad esempio, Cassazione ha chiarito che il debitore non ha diritto a ottenere rinvii solo perché sta negoziando una rateizzazione fiscale se al momento dell’udienza le soglie sono superate , ma se formalizza una domanda concorsuale percorribile, il tribunale può attendere l’esito di quella.
In conclusione, la liquidazione giudiziale rappresenta l’ultima ratio, quando ogni altra difesa è fallita. Dal punto di vista del debitore, va eventualmente accettata come un modo di azzerare la situazione e puntare all’esdebitazione, ricordando che poi per 5 anni circa vi saranno alcune restrizioni (la procedura rimane iscritta, e serve comportarsi diligentemente per ottenere la liberazione dei debiti).
Procedure per le piccole imprese e il sovraindebitamento
Finora abbiamo descritto gli strumenti destinati alle imprese fallibili. Ma come detto, un negozio di casalinghi potrebbe essere così piccolo da rientrare tra i debitori non fallibili (impresa minore o addirittura persona fisica non imprenditore, se il negoziante ha già cessato l’attività). In tal caso, le procedure applicabili sono quelle previste dalla normativa sul sovraindebitamento, ora integrata nel Codice della crisi. Si tratta di procedure semplificate, pensate per artigiani, piccoli commercianti, professionisti, start-up e in generale soggetti esclusi dal fallimento, nonché per i privati consumatori. Queste procedure, introdotte inizialmente con la L.3/2012 e riformate nel 2020-2022, mirano a offrire anche al piccolo debitore una via d’uscita ordinata dalle crisi, con possibilità di ridurre i debiti e ripartire.
Le tre principali procedure oggi sono: – Ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII): evoluzione del vecchio “piano del consumatore”. È riservata ai debitori persone fisiche che hanno contratto debiti estranei all’attività imprenditoriale, cioè per esigenze personali o familiari (il classico esempio è la famiglia indebitata con banche e fisco). Un piccolo imprenditore cessato potrebbe qualificare se la gran parte dei debiti è personale. In questa procedura il consumatore propone un piano di pagamento parziale ai creditori, senza bisogno del loro consenso (non c’è voto: decide solo il giudice se omologare in base alla fattibilità e alla meritevolezza del debitore) . – Concordato minore (artt. 74-83 CCII): è la versione light del concordato preventivo per i debitore non fallibili che esercitano attività d’impresa o professionale (imprese minori, professionisti, imprenditori agricoli) . La finalità è superare il sovraindebitamento con un accordo da omologare dal tribunale, similmente a un concordato preventivo, ma semplificato (ad esempio, il voto avviene in forma scritta, e si raggiunge se non viene espresso voto contrario dalla maggioranza dei crediti ammessi al voto ; inoltre il piano può prevedere sia continuità sia liquidazione). È richiesto che il debitore non sia un consumatore e non superi le soglie dimensionali. Il concordato minore non richiede per legge una percentuale minima di soddisfazione per i chirografari, ma il giudice valuta in sede di omologa la meritevolezza e l’assenza di frode. – Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII): corrisponde alla vecchia “liquidazione del patrimonio” ex L.3/2012. È la procedura liquidatoria per chi non può accedere al fallimento. Può essere richiesta dal debitore oppure da un creditore (quest’ultima ipotesi solo se il debitore è insolvente e con debiti > €50.000) . Si apre con sentenza del tribunale, nominando un liquidatore (spesso un professionista dell’OCC) che vende i beni del debitore non fallibile e ripartisce il ricavato ai creditori secondo le regole concorsuali. In pratica, è un fallimento dei poveri, ma con maglie più larghe: ad esempio, nella liquidazione controllata sono esclusi alcuni beni personali del debitore, come gli stipendi necessari al mantenimento, la casa coniugale se fondo patrimoniale, ecc., che non entrano nella massa . Inoltre, se il debitore è persona fisica, la legge prevede ora espressamente che se non c’è possibile attivo da liquidare (debitor incapiente), la liquidazione può anche non aprirsi su istanza del creditore , e comunque il debitore può aspirare all’esdebitazione anche se i creditori non ricevono nulla, come vedremo.
Come si difende un piccolo debitore con questi strumenti? Vediamo brevemente i punti cruciali di ciascuno:
– Concordato minore: il debitore, assistito dall’OCC (è obbligatorio rivolgersi a un Organismo di Composizione della Crisi per gestire la procedura), elabora un piano di ristrutturazione simile al concordato preventivo: può prevedere la continuazione dell’attività (ad es. il negozio resta aperto e coi ricavi futuri paga un 50% dei debiti in 4 anni) oppure la liquidazione (chiude e vende tutto, offrendo il ricavato). Il piano può anche essere misto (vende qualche bene, ma continua l’esercizio in forma ridotta). Viene nominato un gestore (figura analoga al commissario, di solito un membro OCC) che sovrintende. I creditori vengono informati e suddivisi in classi se opportuno. Essi hanno diritto di voto: a differenza del concordato maggiore, qui vige il silenzio-assenso – il creditore che non risponde si considera favorevole . Se la maggioranza (computata come in concordato preventivo) dei crediti non vota contro, il piano si considera approvato . Il giudice omologa se il piano è fattibile e se il debitore merita (anche qui si valuta che non abbia colpe gravi nell’indebitamento e non abbia violato obblighi di lealtà). Una particolarità: se un lavoratore dipendente è creditore in un concordato minore e ha votato a favore del piano, non può poi accedere al Fondo di garanzia INPS per le sue spettanze; se invece non vota o vota contro, il Fondo di garanzia interverrà a pagargli TFR e ultime tre mensilità come in un fallimento . Questo spinge i lavoratori, paradossalmente, a non votare il piano per non perdere il diritto al Fondo – come evidenziato da circolari INPS del 2023. Comunque, per il debitore l’omologazione del concordato minore comporta effetti analoghi al concordato normale: esecuzione del piano sotto vigilanza OCC e, all’esito, esdebitazione dei debiti residui non soddisfatti. Il concordato minore è un aiuto importante per il piccolo imprenditore onesto, tanto che è ammesso solo a suo vantaggio (il debitore deve essere meritevole e non può esservi costretto, è una facoltà volontaria) . Non a caso è stato definito “non un condono personalizzato, ma un aiuto per il debitore” in quanto consente di ridurre i debiti ma attraverso un vaglio di merito e il sacrificio parziale dei creditori su base concordata .
– Ristrutturazione dei debiti del consumatore: qui il debitore (persona fisica non fallibile) propone un piano di pagamento senza classi né voto. È pensato per famiglie sovraindebitate. Nel nostro ambito, se il titolare del negozio ha chiuso l’attività e i debiti residui sono personali (ad es. fideiussioni escusse, debiti di famiglia), potrebbe accedere a questa procedura come consumatore. Il giudice omologa il piano se ritiene che: i creditori ottengano almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione controllata alternativa; il debitore sia meritevole (non abbia colpe gravi, dolo, atti in frode) e il piano sia fattibile . In passato molti piani del consumatore venivano rigettati perché il debitore era giudicato non meritevole (ad esempio, aveva contratto debiti sproporzionati alle sue capacità in modo irresponsabile). Oggi c’è più apertura nel valutare le cause dell’indebitamento (es. sovraindebitamento “indotto” da cause esterne può scusare anche errori del debitore, come di recente riconosciuto da Tribunale di Torino 2025 che ha escluso la colpa grave in un caso di eccessivo ricorso al credito al consumo spinto da eventi di vita) . Se omologato, il piano vincola tutti i creditori anteriori, che non possono agire oltre quanto previsto dal piano stesso.
– Liquidazione controllata: è la procedura liquidatoria parallela al fallimento per chi non può essere dichiarato fallito. Il vantaggio per il debitore di attivarla lui stesso è di poter usufruire poi dell’esdebitazione. Infatti, se le sue finanze sono disperate, dichiarare spontaneamente la liquidazione controllata (una sorta di auto-fallimento minore) può essere il preludio per ripartire pulito dai debiti. La liquidazione controllata si apre con ricorso al tribunale, che nomina un liquidatore (spesso l’OCC che assisteva il debitore fa da liquidatore). Da quel momento il debitore è spossessato dei beni ceduti (può trattenere gli impignorabili ex art. 545 c.p.c. e quelli elencati prima, necessari al sostentamento) . Si procede alla vendita degli asset e al riparto come in un fallimento. I creditori presentano domande di partecipazione al passivo e vengono soddisfatti in base ai privilegi. La durata e modalità sono simili a un fallimento, sebbene spesso in scala ridotta. Al termine, automaticamente il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione dei debiti residui (esdebitazione “di diritto”), salvo che sia dichiarato indegno (per frode, etc.). Nel vecchio regime, l’esdebitazione doveva essere richiesta e concessa a parte; ora dovrebbe essere quasi automatica, a meno di opposizioni. Inoltre, esiste la particolare figura dell’esdebitazione del debitore incapiente: una novità introdotta nel 2020 e confermata nel Codice (art. 283 CCII) . Il debitore incapiente è colui che non può offrire ai creditori alcuna utilità, nemmeno in prospettiva, perché privo di beni e con redditi molto bassi . Se la liquidazione controllata si chiudesse senza alcun ricavato per i creditori, prima il debitore restava comunque con i debiti. Ora, invece, può chiedere l’esdebitazione anche senza aver pagato nulla, una sola volta nella vita. Il tribunale la concede se il debitore è meritevole (ossia l’insolvenza non è frutto di dolo o colpa grave, e ha cooperato) . In pratica gli cancella tutti i debiti. Nei tre anni successivi, però, il debitore deve comunicare eventuali sopravvenienze (eredità, vincite, aumenti di reddito oltre una certa soglia sociale) e in tal caso dovrà pagarle ai vecchi creditori fino a concorrenza del 50% di quanto ricevuto oltre la soglia . Se omette di dichiarare le sopravvenienze, l’esdebitazione viene revocata . Questa misura, controllata dal gestore della crisi per 3 anni, garantisce che il beneficio della cancellazione debiti non si tramuti in una furbata per non pagare nulla e magari vincere alla lotteria: se il miracolo economico avviene entro 3 anni, i creditori ne approfittano in parte. L’esdebitazione dell’incapiente è stata definita una svolta di civiltà: “la possibilità per il debitore onesto ma sfortunato di tornare alla vita economica attiva” senza l’eterno fardello di debiti impagabili . Ad esempio, già nel 2021 un giudice (Trib. Crotone) l’ha applicata liberando una debitrice nullatenente, anticipando la riforma .
Riepilogo in tabella delle procedure di sovraindebitamento:
| Procedura | Chi può usarla | Caratteristiche | Esiti per il debitore |
|---|---|---|---|
| Ristrutturazione debiti del consumatore | Persona fisica (non imprenditore) sovraindebitata per ragioni personali (non aziendali). | Piano proposto dal consumatore, senza voto dei creditori; omologato dal tribunale se fattibile e debitore meritevole . | Pagamento parziale dei debiti secondo il piano, residuo cancellato all’adempimento. Mantiene eventualmente i beni non ceduti nel piano. |
| Concordato minore | Imprenditore minore, professionista, start-up, oppure socio illimitatamente responsabile di società non fallibile. Consumatori esclusi. | Piano concorsuale con classi e voto (silenzio-assenso); richiesta nomina OCC; possibili sia continuità sia liquidazione. | Debiti ristrutturati secondo il piano omologato; adempimento = esdebitazione piena. Se fallisce, possibile conversione in liquidazione controllata. |
| Liquidazione controllata | Qualunque debitore sovraindebitato (persona fisica o giuridica) non soggetto a liquidazione giudiziale. Avviabile anche da creditori se debiti >50k . | Liquidazione integrale dei beni da parte di un liquidatore nominato dal giudice. Procedimento simile al fallimento ma più snello; tutela dei beni necessari al mantenimento. | Distribuzione ai creditori del ricavato. Chiusura = esdebitazione automatica per persona fisica (salvo eccezioni). Possibile esdebitazione immediata incapiente se nulla da liquidare . |
Quale scegliere? Dal punto di vista del debitore: se l’attività è ancora valida e si vuole salvare, meglio puntare su concordato minore (se piccolo) o concordato preventivo (se fallibile), perché consentono la continuità. Se l’attività non è più sostenibile, conviene evitare di tardare e optare per una liquidazione ordinata: liquidazione giudiziale per le imprese grandi, liquidazione controllata per le piccole, magari seguita da esdebitazione. I debitori persone fisiche hanno l’opzione del piano del consumatore (ristrutturazione) se desiderano tenersi qualche bene e pagare solo parzialmente i debiti. In ogni caso, tutte queste procedure richiedono la meritevolezza del debitore: chi ha frodato i creditori (es. nascondendo beni) o violato la legge (es. omesso scritture contabili, reati tributari gravi) può vedersi negare l’accesso o l’omologa. Ad esempio, la Corte di Giustizia UE ha confermato nel 2025 che gli Stati possono escludere dall’esdebitazione i debitori che abbiano agito in modo disonesto o in malafede , ribadendo l’importanza della buona fede. D’altro canto, la stessa Corte ha criticato esclusioni troppo ampie di intere categorie di debiti dalla liberazione: una sentenza del 2024 ha ritenuto incompatibile con la Direttiva Insolvenza un’esclusione integrale dei debiti fiscali dall’esdebitazione . Ciò a significare che anche i debiti tributari possono essere oggetto di falcidia e perdono nelle procedure di sovraindebitamento, salvo casi di frode fiscale conclamata.
Il ruolo dei dipendenti e la tutela del lavoro nella crisi
Quando un negozio con dipendenti entra in crisi, i lavoratori subordinati diventano una categoria di creditori particolari, tutelata dall’ordinamento con strumenti specifici. Dal punto di vista del debitore-imprenditore, occuparsi dei dipendenti è sia un obbligo morale e legale sia un elemento cruciale per gestire la crisi: lavoratori non pagati potrebbero abbandonare l’azienda o attivare azioni legali che aggravano la situazione. Vediamo come affrontare debiti verso i dipendenti e quali tutele esistono:
Stipendi e TFR non pagati: se il negozio non riesce a pagare puntualmente gli stipendi, i dipendenti possono dimettersi per giusta causa (mancato pagamento delle retribuzioni è motivo valido) e in tal caso hanno diritto anche all’indennità di disoccupazione NASpI, come se fossero stati licenziati . Inoltre, ogni dipendente può fare un decreto ingiuntivo per le somme dovute (stipendi arretrati, tredicesime, TFR) e, ottenutolo, procedere al pignoramento di beni o conti dell’azienda. Nell’ottica del debitore, è quindi prioritario comunicare con i dipendenti: spiegare la situazione, prospettare eventualmente un piano di rientro (es: pagamento parziale subito e saldo posticipato) e, se proprio non si può continuare l’attività, gestire in modo ordinato le cessazioni. Licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (crisi aziendale) o dimissioni consensuali possono essere negoziati, magari assicurando ai lavoratori l’accesso agli ammortizzatori (disoccupazione) e impegnandosi a pagar loro il dovuto appena possibile o nell’ambito di una procedura concorsuale.
Privilegio dei crediti di lavoro: i crediti dei dipendenti per retribuzioni (ultimi 6 mesi) e TFR godono di privilegio generale sui mobili dell’imprenditore, e anche di privilegio immobiliare speciale sul 50% del ricavato di vendita di immobili (se il negozio possiede immobili, art.2776 c.c.). Ciò significa che, in caso di procedura concorsuale, i dipendenti vengono soddisfatti con precedenza rispetto ai creditori chirografari e anche su molti privilegi minori. In un fallimento o liquidazione controllata, i primi soldi recuperati andranno a pagare stipendi arretrati e TFR prima di banche non garantite e fornitori chirografari. Questo privilegio agevola anche accordi stragiudiziali: un debitore potrebbe decidere di pagare per primi i lavoratori anche in assenza di procedura, perché sa che comunque in un concorso avrebbero priorità e perché eticamente aiuta il clima aziendale.
Fondo di Garanzia INPS: fondamentale per il dipendente, ma indirettamente utile anche al datore in crisi, è l’intervento del Fondo di Garanzia istituito presso l’INPS, che paga ai lavoratori il TFR e le ultime mensilità non percepite in caso di insolvenza del datore di lavoro. Tradizionalmente, questo Fondo operava solo in caso di fallimento (o procedure similari come amministrazione straordinaria, concordato preventivo). Dal 2015 in poi e con la riforma, è stato esteso anche alle procedure di sovraindebitamento: ad esempio l’INPS con messaggio n. 4968/2015 ha ammesso il Fondo per le liquidazioni del patrimonio ex L.3/2012 . Nel 2023 l’INPS (Circolare n.70/2023) ha ulteriormente chiarito che il Fondo interviene anche per: liquidazione controllata e, nel concordato minore, per i lavoratori che non abbiano votato a favore del piano . Al contrario, nella ristrutturazione dei debiti del consumatore (che è per definizione solo consumatore, quindi non riguarda lavoratori dipendenti) il Fondo non si applica . Questo significa che se il negozio di casalinghi va in liquidazione controllata, i suoi dipendenti possono presentare domanda all’INPS e ricevere il TFR maturato e fino a 3 mesi di retribuzioni arretrate (massimo gli ultimi 3 mesi del rapporto) . L’INPS poi si surroga come creditore privilegiato nella procedura . Per il datore di lavoro, sapere ciò è importante: può spiegare ai dipendenti che attraverso la procedura concorsuale essi recupereranno comunque gran parte dei loro crediti dal Fondo, anche se l’azienda non ha soldi. Questo spesso smorza conflittualità e può indurre i lavoratori a sostenere soluzioni concordatarie invece di opporvisi. Ad esempio, come accennato, in un concordato minore un lavoratore razionalmente potrebbe non votare il piano per attivare il Fondo: se vota sì, prende quello che dà il piano (magari il 60% del suo credito in 2 anni); se non vota, il piano può essere approvato lo stesso da altri e lui può chiedere al Fondo l’80-100% di TFR e stipendi. Questa asimmetria è un dettaglio tecnico, ma il debitore/imprenditore dovrebbe tenerne conto nel calcolo costi-benefici.
Contributi previdenziali e ritenute non versate: oltre ai salari, l’imprenditore deve considerare i debiti contributivi verso INPS e INAIL e le ritenute fiscali (IRPEF) operate sulle buste paga e non versate. Il mancato versamento di ritenute previdenziali per oltre una soglia (attualmente circa €10.000 annui) integra il reato di cui all’art.2 comma 1-bis D.L.463/1983, convertito in L.638/1983 . Similmente, l’omesso versamento di ritenute IRPEF certificate oltre €150.000 annui è reato (d.lgs. 74/2000). Difendersi: se in crisi si sono accumulati debiti contributivi, conviene presentare all’INPS un’istanza di rateizzazione il prima possibile per rientrare almeno sotto le soglie penali ed evitare denunce penali. La rateazione non estingue il reato già integrato, ma dimostra la volontà di rimediare e spesso, se completata, porta all’archiviazione per particolare tenuità. Lo stesso dicasi per IVA: l’omesso versamento IVA oltre €250.000 è penale, ma se entro la dichiarazione annuale successiva si riduce il debito sotto soglia, non c’è reato. Quindi il datore deve assolutamente evitare di protrarre il mancato pagamento contributi/IVA se vi è pericolo penale: magari pagando quelli e trascurando altri debiti meno pericolosi.
Gestione del personale in continuità o liquidazione: se si punta a un risanamento in continuità, bisognerà probabilmente ridurre il costo del lavoro per rendere l’impresa sostenibile. Ciò può implicare: riduzione orario (se part-time concordato coi dipendenti), utilizzo di ammortizzatori sociali (se disponibili, ad es. cassa integrazione in deroga in caso di crisi temporanea), oppure licenziamenti collettivi se proprio occorre ridurre l’organico. I licenziamenti per crisi seguono la procedura della L.223/1991 (per imprese sopra 15 dipendenti) o l’art. 24 del CCNL per i piccoli: serve comunicarli e motivarli. In caso di concordato in continuità, i licenziamenti possono essere autorizzati dal giudice delegato (la procedura non li impedisce, li gestisce in ambito concorsuale). Se invece si va verso la chiusura dell’attività, i rapporti di lavoro vanno risolti: la liquidazione giudiziale li scioglie automaticamente dalla data di apertura; la liquidazione controllata pure. Nel concordato liquidatorio, di solito il piano prevede il licenziamento di tutti alla data X. Il titolare deve corrispondere ai licenziati il TFR e le competenze di fine rapporto: se non ne ha i mezzi immediati, saranno a carico in ultima istanza del Fondo di Garanzia (post procedura concorsuale). È bene informare i dipendenti di questo iter per evitare tensioni: “anche se io non posso pagarvi subito TFR e stipendi arretrati, aprendo la procedura fallimentare o liquidatoria interviene l’INPS a garantirvi, e quel che manca ve lo darà il curatore vendendo i beni”. La comunicazione trasparente è la chiave: molti conflitti nascono perché i dipendenti temono di perdere tutto; spiegare loro i meccanismi di privilegio e Fondo li aiuta a comprendere che i loro diritti sono considerati prioritari dalla legge .
Coinvolgimento dei dipendenti come possibile risorsa: in certi casi, i dipendenti possono essere parte della soluzione. Ad esempio, potrebbero accettare una riduzione temporanea dello stipendio o la sospensione di premi in cambio della conservazione del posto (accordi sindacali di crisi). Oppure potrebbero subentrare nella gestione se il titolare esce (workers buyout cooperativo). Queste ipotesi sono rare in un piccolo negozio, ma non impossibili: magari i commessi di un negozio rilevano l’attività con aiuto di Legacoop in caso di fallimento (ci sono stati casi in altri settori).
Datori di lavoro-soci di cooperative: non il caso tipico del nostro negozio, ma per completezza: se i lavoratori sono soci lavoratori di cooperativa che gestisce il negozio, in caso di insolvenza valgono tutele analoghe, con alcune peculiarità (essendo soci, parte del TFR potrebbe essere in prestito sociale, etc.).
In sintesi, dal punto di vista del debitore, “difendersi” dai debiti verso i dipendenti significa in realtà tutelare i dipendenti il più possibile: essi sono creditori particolari che la legge mette su un piedistallo. Fare scelte che danneggiano i lavoratori (ad es. pagare altri creditori e lasciare indietro i salari) è non solo eticamente discutibile ma anche legalmente rischioso (i lavoratori hanno mezzi rapidi di rivalsa e un forte peso in eventuali procedure). Invece, collaborare con loro, assicurando che verranno soddisfatti tramite il Fondo o la procedura, e chiedendo pazienza, può evitare cause di lavoro e mantenere un clima meno teso durante la crisi.
Indebitamento personale del titolare e esdebitazione
Un aspetto cruciale, spesso intrecciato con la crisi dell’impresa, è l’indebitamento personale del titolare. Molti negozi di casalinghi sono gestiti da ditte individuali o società di persone in cui non c’è separazione netta tra patrimonio dell’impresa e quello dell’imprenditore. Ciò comporta che, se l’attività va male, i creditori possono aggredire anche i beni personali (conto corrente personale, casa di abitazione, automobile privata, ecc.), salvo limitate tutele. Anche nel caso di una società di capitali (es. una SRL), spesso l’imprenditore ha firmato garanzie personali (fideiussioni bancarie, avalli) o ha contratto debiti personali per finanziare la società. Inoltre, la legge può porre a carico dell’amministratore alcuni debiti aziendali in particolare condizioni (si pensi alle sanzioni amministrative non pagate, che possono diventare personali, o ai debiti erariali in caso di condotte irregolari). Quindi, è frequente che la crisi del negozio generi un doppio livello di indebitamento: quello aziendale e quello individuale del titolare.
Strumenti di tutela del patrimonio personale: in astratto esistono istituti come il fondo patrimoniale o il trust per separare beni familiari dalle obbligazioni d’impresa, ma devono essere costituiti prima che i debiti sorgano e comunque non proteggono da debiti contratti per bisogni della famiglia stessa (il fondo patrimoniale non salva dall’ipoteca esattoriale per debiti fiscali, ad esempio, se si ritiene siano per necessità familiari come l’attività). Spesso i piccoli imprenditori non hanno adottato tali protezioni anticipate. Dunque, quando il negozio affonda, anche il patrimonio privato è esposto. In tal senso, le procedure di sovraindebitamento e l’esdebitazione giocano un ruolo fondamentale: permettono alla persona fisica dietro l’impresa di liberarsi dai debiti residui dopo la liquidazione dei beni disponibili.
Abbiamo già illustrato l’esdebitazione nella liquidazione giudiziale (fallimento) e in quella controllata: è il provvedimento finale del giudice che cancella i debiti insoddisfatti. È un beneficio concesso al debitore persona fisica onesto e cooperativo, per dargli un fresh start. Le condizioni generali per ottenerla sono la assenza di atti in frode o di mala fede, la cooperazione con gli organi della procedura e di non aver già ottenuto esdebitazione in un periodo recente (di regola 10 anni). L’esdebitazione nel fallimento non copre però obblighi di mantenimento, alimenti, debiti da risarcimento danni per illecito extra-contrattuale o da sanzioni penali/amministrative (questi restano, art.280 CCII). Invece copre debiti tributari e ogni altro genere.
Un particolare tipo, come analizzato, è l’esdebitazione del debitore incapiente (persona fisica): il codice la regola all’art. 283. In pratica, persino senza passare per una vera liquidazione aperta, il debitore persona fisica che non ha nulla da offrire può chiedere al giudice di cancellare i suoi debiti. Questo strumento può essere ideale per il titolare che, dopo aver magari liquidato tutto il liquidabile ai creditori in via stragiudiziale (senza procedure formali), resti comunque esposto per importi che non potrà mai pagare. Ad esempio, Tizio ha chiuso il negozio, venduto la merce per pagare parte di debiti, ma rimangono €100.000 di debiti con Equitalia e banche, e Tizio è disoccupato, senza immobili. Tizio può chiedere l’esdebitazione incapiente: il giudice verifica che davvero non abbia redditi significativi né patrimoni e che la sua insolvenza non derivi da colpa grave o frodi; se sì, emette un decreto che lo libera da tutti i debiti . Questo decreto è revocabile se nei 3 anni successivi Tizio eredita una grossa somma o vince alla lotteria: dovrà in tal caso versare ai vecchi creditori l’importo eccedente la soglia di sopravvivenza (assegno sociale aumentato metà per ogni familiare a carico) . Tecnicamente, l’esdebitazione incapiente è concessa “a costo zero” per il debitore : non deve neanche aprire una liquidazione (se i creditori non hanno chiesto la liquidazione controllata). Il ruolo dell’OCC in questo caso è di assistere il debitore nella domanda e redigere una relazione sulle cause dell’indebitamento e sulla situazione economica . È una via d’uscita estrema, introdotta proprio per dare speranza a chi altrimenti sarebbe condannato a debiti eterni.
Importanza della meritevolezza personale: tutte queste misure di sollievo (piani, esdebitazione) ruotano attorno al concetto di meritevolezza del debitore. Un piccolo imprenditore può essere considerato meritevole anche se ha commesso qualche imprudenza gestionale, purché non dolosa. Ad esempio, il Tribunale di Torino 2025 citato da Carlesimo ha ritenuto che un sovraindebitamento “indotto” da fattori come la necessità di mantenere la famiglia, pur con qualche errore di valutazione, non configura colpa grave tale da negare i benefici . Invece chi ha dissipato capitali in gioco d’azzardo o lusso oltre le proprie possibilità potrebbe essere giudicato non meritevole. In quest’ultimo caso, il debitore rischia di vedersi negare l’omologazione di un piano e dover subire solo la liquidazione, magari senza esdebitazione.
Incidenza delle garanzie personali: se l’imprenditore aveva fornito fideiussioni sui debiti aziendali, la sua persona è co-obbligata. Quindi, anche se la società va in concordato o fallimento, la banca potrebbe aggredire il patrimonio personale del fideiussore. In genere, una volta escusso, il socio/fideiussore diventa creditore di regresso verso l’azienda (spesso inutile se l’azienda è insolvente). Come difendersi? L’unica è includere la posizione anche nelle procedure di sovraindebitamento personali. Esempio: Caio S.r.l. va in liquidazione giudiziale; la banca non soddisfatta integralmente si rivale su Tizio fideiussore. Tizio, persona fisica, chiederà il suo concordato minore o piano del consumatore includendo quel debito residuo verso la banca, per liberarsene anch’egli. La legge prevede anzi che il fideiussore sovraindebitato possa accedere alle procedure come il concordato minore anche se la sua garanzia era verso un imprenditore (art. 66 co.3 CCII) .
La casa di abitazione: spesso l’imprenditore indebitato ha il cruccio principale di salvare la casa dove vive con la famiglia. Se la casa è di proprietà sua ed è gravata da ipoteca (es. mutuo), in un concordato o accordo si può prevedere di mantenerla se si continua a pagare il mutuo regolarmente (la banca ha privilegio). In un fallimento o liquidazione, invece, la casa verrà venduta dal curatore se c’è convenienza (tranne il caso del divieto di esproprio prima casa per Equitalia: l’Agente della Riscossione, fuori dal fallimento, non può pignorare l’unico immobile abitativo del debitore se non di lusso e se il debitore vi risiede , a patto che non abbia debiti oltre 120k – norma D.L. 69/2013). Tuttavia, in sede concorsuale il curatore non è soggetto a quel divieto: se serve per soddisfare i creditori, la casa si liquida comunque. L’unica eccezione è se era in fondo patrimoniale per bisogni estranei: ma debiti fiscali e d’impresa spesso vengono considerati per bisogni familiari (discutibile, ma giurisprudenza lo ha affermato a volte). Dunque, proteggere la casa in assoluto non è semplice. Uno stratagemma possibile è trovare un accordo con i creditori in sede di concordato offrendo loro altro (ad es. il ricavato di un prestito ipotecario sulla casa, mantenendone la proprietà): se i creditori accettano un piano dove la casa non si vende, il debitore l’ha salvata. In un piano del consumatore, il giudice può anche modulare le pretese dell’ipoteca: ad esempio, tagliare gli interessi e allungare il mutuo se fattibile, con la banca “costretta” ad accettare (questo potere di cram-down ipotecario fu introdotto con L.176/2020).
In definitiva, la strategia dal lato personale del titolare deve andare di pari passo con quella aziendale. Spesso conviene un approccio combinato: se l’azienda è fallibile e fallisce, l’imprenditore persona fisica può comunque chiedere esdebitazione post-fallimentare e togliersi i debiti personali eventualmente rimasti. Se l’azienda è un piccolo imprenditore, allora direttamente la procedura di sovraindebitamento copre entrambi i livelli (perché in ditte individuali i debiti sono in solido). La legge consente anche la presentazione congiunta di procedure di sovraindebitamento per membri della stessa famiglia o coobbligati, davanti allo stesso giudice, per avere un piano unitario (art. 66 CCII). Quindi, se ad esempio marito e moglie sono entrambi garanti di certi debiti, possono fare un unico piano familiare. Un altro esempio: la società semplice Alfa (non fallibile) e i suoi soci possono presentare un concordato minore unico combinato, per chiudere tutto il giro debitorio insieme.
Attenzione alla tempistica: molti benefici come l’esdebitazione non scattano automaticamente se il debitore non li chiede o non segue la procedura giusta. Ad esempio, se un imprenditore fallito non presenta istanza di esdebitazione entro 1 anno dalla chiusura del fallimento, perde il diritto. Oppure, se un sovraindebitato non allega alla domanda di liquidazione controllata la documentazione completa, rischia di vedersi negare poi l’esdebitazione per mancanza di trasparenza. Quindi, difendersi significa anche essere proattivi nel conoscere e rispettare i termini e le condizioni per ottenere i benefici di legge.
In conclusione, dal punto di vista di un titolare di negozio con debiti, “difendersi” vuol dire puntare alla liberazione finale dai debiti (discharge). Tutte le strade discusse – accordi, piani, procedure – hanno come obiettivo ultimo ridurre il carico debitorio a quanto sostenibile e cancellare l’eccedenza. L’ordinamento italiano del 2025, in linea con i principi europei, offre questa chance di riscatto a chi agisce con correttezza: come sintetizzato efficacemente, “il debitore onesto ma sfortunato va aiutato a risollevarsi”. Le sentenze degli ultimi anni, come quelle della Corte di Giustizia UE nel 2024 sulla fresh start, confermano questa filosofia: ad esempio, non si può escludere dall’esdebitazione il debito fiscale solo perché tale , e il debitore va giudicato nel complesso della sua condotta prima di negargli il beneficio. Ciò non significa che tutti vengano automaticamente perdonati, ma che esiste un orizzonte di fine del tunnel per chi lo percorre rispettando le regole.
Domande frequenti (FAQ)
D: Il mio negozio ha troppi debiti, posso evitare il fallimento?
R: Sì, esistono varie strade per evitare la liquidazione giudiziale (fallimento). Puoi tentare un accordo stragiudiziale con i creditori o avviare una procedura concorsuale alternativa come il concordato preventivo, dove presenti un piano di rientro ai creditori. Inoltre, se sei un piccolo imprenditore sotto le soglie di fallibilità, per legge non puoi essere dichiarato fallito: al massimo andresti in liquidazione controllata su tua istanza o dei creditori (solo se debiti >50.000 €) . Importante: anche se sei fallibile, finché paghi almeno i debiti scaduti sotto €30.000 non possono aprire fallimento . Quindi, una difesa tattica è mantenere i debiti scaduti sotto quella soglia (ad esempio ottenendo dilazioni) . Se arrivasse un’istanza di fallimento, puoi bloccarla depositando un ricorso di concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione prima dell’udienza: il tribunale sospenderà il fallimento e valuterà il piano proposto.
D: Che differenza c’è tra concordato preventivo e accordo di ristrutturazione?
R: Entrambi sono modi di evitare la liquidazione soddisfacendo parzialmente i creditori, ma funzionano in modo diverso. Nel concordato preventivo, tutti i creditori (o per classi) votano sul tuo piano e serve l’approvazione della maggioranza ; è una procedura pubblica con commissario e omologa giudiziale finale. L’accordo di ristrutturazione invece richiede che tu ottenga privatamente l’adesione di almeno il 60% dei crediti ; poi vai dal giudice solo per omologare quell’accordo. Nel concordato, i creditori dissenzienti sono comunque vincolati se c’è la maggioranza; nell’accordo, i non aderenti rimangono fuori (ma devi pagarli integralmente altrimenti il giudice non omologa) . Il concordato è più utile quando hai tanti creditori e non riesci a ottenere il 60% di consensi in via privata – puoi sfruttare il voto in procedura. L’accordo è più semplice se pochi creditori (es. banche) controllano la gran parte del debito e li convinci: meno burocrazia e niente commissario. Entrambi richiedono un’attestazione di un esperto sulla fattibilità e spesso prevedono misure protettive su richiesta (stop ai creditori durante la trattativa).
D: Ho debiti con il Fisco (IVA, tasse) e con la banca: chi devo pagare prima per evitare guai?
R: I debiti verso il Fisco possono portare a ipoteche, fermi amministrativi e, se superano certe soglie, a problemi penali (IVA non versata > €250k annui, contributi INPS omessi > €10k) e a segnalazioni di crisi dagli enti pubblici . Quindi, per “difenderti”, conviene almeno mettere in sicurezza gli aspetti penali: ad esempio, se hai IVA non versata di poco sopra soglia, cerca di ridurla sotto soglia (pagando una parte) entro l’anno successivo. Tra banca e Fisco, difficile dire chi “prima”: la banca può agire più rapidamente con decreto ingiuntivo e pignorare conti, mentre Equitalia ha procedure un po’ più lunghe (avvisi, cartelle…). Tuttavia, Equitalia ha poteri forti (ipoteca sulla casa, fermo auto). Idealmente, avvia subito con entrambi contatti: con la banca negozia una moratoria (o al limite un consolidamento, magari con garante); col Fisco valuta la rateizzazione o se c’è una rottamazione aperta aderiscici – questo blocca le azioni esecutive . Se non puoi pagare tutti, un criterio è: paga ciò che serve a mantenere in vita l’attività (es. la banca se può chiuderti gli affidamenti indispensabili, oppure l’IVA corrente per poter continuare a emettere fatture regolari) e congela il resto. Poi inserirai tutto in un eventuale piano concordatario chiedendo il saldo parziale. Nota che in concordato i debiti IVA si possono anche falcidiare oggi (salvo giurisprudenza contraria in passato), purché tu offra ai chirografari almeno il 20% se vai in liquidatorio e rispetti il principio di trattamento equo. Se invece fai un piano del consumatore, potresti anche azzerare parte delle tasse se il giudice ritiene.
D: Posso inserire i debiti personali (es. la mia carta di credito, il mutuo di casa) nel piano per l’azienda?
R: Se usi gli strumenti per imprese fallibili (concordato preventivo, accordo ristrutturazione), quelli riguardano solo i debiti dell’impresa. I debiti personali restano a parte. Tuttavia, se la forma della tua impresa è individuale, in realtà non c’è distinzione tra te e impresa: nel concordato preventivo di un imprenditore individuale, di fatto tutti i debiti sia ditta che personali rientrano (perché sei sempre tu come persona fisica). Se invece hai una società di capitali, i debiti personali non entrano nelle procedure della società. In tal caso, se anche tu come persona sei sovraindebitato (per fideiussioni o prestiti personali), puoi intraprendere parallelamente una procedura di sovraindebitamento personale (es. piano del consumatore o liquidazione personale) e cercare magari di coordinare le due cose. Il Codice consente procedure connesse tra coobbligati: quindi, ad esempio, potresti presentare un concordato preventivo per la SRL e un concordato minore per te come garante, cercando un esito combinato. Non esiste un “piano unico” per azienda e persona se sono soggetti giuridici diversi, ma i giudici cercano di armonizzare (spesso sospendono azioni contro il garante mentre l’azienda è in concordato, etc.). Inoltre, ricorda che il mutuo sulla prima casa può essere tenuto fuori dal concorso se continui a pagarlo: se la casa non è funzionale all’attività, puoi prevedere nel piano di non toccarla (ma devi avere i soldi per pagarci le rate). Se invece la vuoi includere (perché magari vuoi venderla per pagare debiti), allora sì, devi inserire anche quel mutuo nei debiti e trattarlo come credito ipotecario.
D: I fornitori mi minacciano di portarmi in tribunale; posso oppormi?
R: Dipende cosa intendono: se minacciano decreto ingiuntivo, se il debito è certo e scaduto hai poca opposizione in merito (salvo contestazioni sulla fornitura). Una volta che hanno titolo esecutivo, possono pignorare cassa, merci o crediti (attenzione a c/c bancario). Se minacciano istanza di fallimento (liquidazione giudiziale), puoi certamente difenderti: come detto, verifica se non sei fallibile (sotto soglie) e comunica eventualmente tramite avvocato al fornitore che non raggiungi i parametri ; oppure che i debiti scaduti totali sono sotto 30k, quindi l’istanza sarebbe improcedibile . Puoi anche “anticipare” depositando tu un concordato preventivo: in tal caso la minaccia di fallimento decade perché subentra il concordato. Un’altra opposizione: se la fornitura era oggetto di contestazioni (merce difettosa, ritardi), puoi opporre eccezioni contrattuali nel decreto ingiuntivo o nel merito per guadagnare tempo o ridurre l’importo dovuto. In generale però, se il fornitore è intransigente e il debito dovuto, meglio cercare di includerlo in un accordo più ampio. Sappi anche che alcuni fornitori potrebbero attivare clausole risolutive dei contratti o revocare fidi commerciali se sanno della tua crisi: ad esempio, se eri in leasing per attrezzature e sei in ritardo, possono riprendersi i beni. La composizione negoziata offre una protezione contro la risoluzione dei contratti essenziali unilateralmente (previa autorizzazione del tribunale): quindi valuta di usarla se rischi di perdere forniture vitali .
D: Cosa succede ai dipendenti se il negozio fallisce o chiude?
R: In caso di liquidazione giudiziale (fallimento) o liquidazione controllata, i rapporti di lavoro si risolvono. I dipendenti vantano crediti per tutto quanto maturato (stipendi fino all’ultimo giorno, ratei di tredicesima, ferie non godute, TFR). Questi crediti vengono ammessi al passivo con privilegio e saranno pagati dal curatore con priorità, se ci sono fondi. Però per evitare che aspettino l’esito incerto, interviene l’INPS – Fondo di Garanzia: dopo la dichiarazione di insolvenza, ciascun lavoratore può fare domanda all’INPS per ottenere subito il pagamento del TFR e di max 3 mesi di retribuzioni . L’INPS dopo alcune verifiche pagherà (entro alcuni mesi) direttamente il lavoratore, sostituendosi come creditore privilegiato in procedura . Quindi il dipendente in genere non perde quasi nulla in termini di salario e TFR (può perdere arretrati oltre 3 mesi eventualmente). Se invece salvi l’azienda con un concordato, i dipendenti possono mantenere il posto (nel concordato in continuità). Se il concordato prevede licenziamenti, anche lì potranno accedere al Fondo di Garanzia (nel concordato minore a certe condizioni) . Importante: se vuoi continuare l’attività, devi comunque regolarizzare i contributi dei dipendenti perché altrimenti oltre alle sanzioni, rischi denunce. Dunque è sempre bene tenere i dipendenti informati e, quando possibile, metterli in grado di accedere alla NASpI o al Fondo. Ad esempio, suggerire loro di dimettersi per giusta causa se non puoi pagarli, così non restano appesi senza stipendio né sussidio. È una situazione dolorosa ma gestirla correttamente evita anche vertenze legali.
D: Dopo la chiusura del negozio avrò ancora debiti personali?
R: Se la procedura è gestita bene, no, o quantomeno potrai liberarmente liberartene. Facciamo i casi: se c’è un fallimento o liquidazione controllata, al termine chiedi l’esdebitazione personale e otterrai la cancellazione dei debiti residui . Se fai un concordato e lo esegui regolarmente pagando la percentuale dovuta, i creditori sono soddisfatti per quella parte e per legge non possono pretendere il resto, quindi sei di fatto esdebitato (l’omologa del concordato impedisce ulteriori azioni per la parte tagliata). Se fai un accordo di ristrutturazione e paghi quanto concordato, l’accordo vale come novazione: il residuo stralciato non è più dovuto. Se chiudi extra-giudizialmente e qualche debitore rimane insoddisfatto, qui dipende: tecnicamente se non hai usato procedure, i creditori a cui non hai pagato tutto potrebbero inseguirti per 10 anni (termine di prescrizione rinnovabile). Ecco perché conviene formalizzare transazioni a saldo e stralcio (così quei creditori non possono più chiedere nulla) e per gli altri non transatti valutare l’esdebitazione incapiente. Quest’ultima, come detto, ti libera legalmente dei debiti pur senza averli pagati, se proprio sei rimasto nullatenente . Attenzione: l’esdebitazione (sia post-fallimentare sia incapiente) non copre eventuali debiti derivanti da multe, sanzioni penali o amministrative e obblighi di mantenimento verso coniuge e figli . Quindi quelli, se esistono, restano. In pratica dopo la chiusura potresti restare con le multe stradali non pagate, perché quelle la legge non le abbuona nemmeno col fallimento (considera che esdebitazione serve a ripulire dai debiti “civili e commerciali”). Comunque i debiti tipici di un negozio (fornitori, banche, fisco) rientrano tutti nelle categorie esdebitabili. L’importante è rispettare le condizioni: ad esempio, collaborare con il curatore (non nascondere beni, consegnare i documenti contabili). Se violi questi doveri potresti perdere il beneficio. Nota: se prima eri un soggetto protestato (assegni a vuoto ecc.), l’esdebitazione non cancella i protesti dal registro, dovrai eventualmente rivolgerti alla Camera di Commercio per riabilitazione, ma quello è un aspetto tecnico. Dal punto di vista dei creditori, invece, dopo l’esdebitazione non potranno più nulla.
D: Cos’è la “composizione negoziata” e conviene al mio caso?
R: La composizione negoziata è una procedura volontaria, introdotta di recente, dove un esperto indipendente ti aiuta a negoziare con i creditori senza passare per il tribunale in senso stretto (se non per confermare eventuali misure protettive). Si avvia tramite la Camera di Commercio e dura qualche mese di trattative protette . Conviene se la tua impresa è ancora economicamente viable ma hai bisogno di tempo e di rinegoziare debiti. Ad esempio, se credi che con uno sconto sui debiti e magari nuova finanza potresti proseguire, l’esperto può convincere i creditori a un accordo. Ha il vantaggio di non essere pubblica finché non chiedi protezioni (riservatezza) e di lasciarti al comando. Durante la composizione puoi chiedere al giudice di sospendere i pagamenti ai creditori (blocco delle esecuzioni) . Se poi trovi l’accordo, bene; sennò hai comunque la chance di accedere a un concordato semplificato liquidatorio. Per un negozio di piccole dimensioni, bisogna valutare costi/benefici: c’è il costo dell’esperto (per fortuna calmierato e spesso a risultato) e serve avere un piano credibile. Se il negozio è troppo compromesso (tipo vendite in picchiata e nessuna idea di come risollevarle) la composizione negoziata non farà miracoli, meglio liquidare. Se invece credi sia crisi temporanea o risolvibile (es. tagliando una spesa, spostando sede, ecc.), allora sì, può aiutare a convincere i creditori a supportarti invece che farti chiudere. Tieni presente che la composizione negoziata non permette di imporre un taglio ai creditori dissenzienti: deve finire con un accordo amichevole, altrimenti non c’è esito positivo. Quindi se hai anche un solo grande creditore che non vuole sentir ragioni, quell’ostacolo resta.
D: Quanto tempo ci vuole per uscire dai debiti con queste procedure?
R: Dipende dallo strumento e dalla complessità: – Un accordo stragiudiziale privato puoi chiuderlo anche in 1-2 mesi, giusto il tempo di trattare. – Un piano del consumatore o concordato minore di solito richiede qualche mese per preparare la documentazione con l’OCC e depositare, poi 2-3 mesi per arrivare all’omologa se non ci sono intoppi. Diciamo che in 6-9 mesi potresti avere l’omologa e iniziare a eseguire. L’esecuzione poi dura quanto previsto nel piano (es. potresti prevedere 4 anni di pagamenti rateali ai creditori). L’esdebitazione avviene a conclusione dell’esecuzione (o subito se è liquidatorio). – Un concordato preventivo ha tempi più lunghi: c’è la fase di ammissione, poi fino a 180 giorni per raccogliere i voti, udienza, omologa… in media non meno di 6-12 mesi per completare omologa, e poi anche lì il piano può durare anni. – Un fallimento/liquidazione giudiziale purtroppo può durare anni (spesso 2-5 anni) prima della chiusura, perché il curatore deve vendere i beni. Però tu come debitore, se persona fisica, puoi chiedere una esdebitazione provvisoria anche prima della chiusura totale in certi casi (nel Codice c’è l’idea di chiudere prima la posizione del debitore meritevole). In ogni caso, finché il fallimento è aperto sei limitato (non disponi dei beni etc.). – Una liquidazione controllata di solito è più rapida del fallimento perché i patrimoni coinvolti sono minori: a volte in 1-2 anni si chiude. Poi l’esdebitazione segue.
Diciamo che, realisticamente, se hai tanti debiti e li vuoi risolvere in via concorsuale, mettiti nell’ordine di idee di un percorso di 1-2 anni per vedere la fine legale (senza contare che se devi pagare rate ai creditori, quello impegno può durare anche 4-5 anni). La buona notizia è che durante quel periodo sospendi la crescita degli interessi (nelle procedure concorsuali gli interessi restano bloccati salvo per ipotecari nei limiti di legge) e soprattutto ti togli la pressione: ad esempio, se sei in concordato, i creditori non possono aggredirti e devi solo rispettare il piano. È come mettere il problema in una scatola ordinata invece che subirlo continuamente. Quindi, pur durando diversi mesi, queste procedure danno respiro subito.
D: Dopo l’esdebitazione, posso aprire un altro negozio o fare l’imprenditore di nuovo?
R: Sì, l’esdebitazione ti riabilita economicamente. Se eri fallito, un tempo c’erano limitazioni (dovevi aspettare 5 anni per tornare amministratore di società, ad esempio). Oggi con l’esdebitazione ottieni la “riabilitazione” immediata e quelle limitazioni cessano . Fai attenzione però: se sei un imprenditore individuale, finché dura la procedura concorsuale non puoi avviare un’altra impresa individuale perché sei spossessato. Dopo la chiusura/esdebitazione, puoi. Se era una società che è fallita, tu personalmente, salvo essere incappato in reati o interdizioni, puoi costituire nuova società. I problemi pratici saranno: l’accesso al credito – potresti avere una segnalazione in Centrale Rischi per sofferenze passate, ma col tempo si risolve; e la credibilità – dovrai spiegare magari ai fornitori che il vecchio fallimento è stato sfortunato ma ora sei ripulito. La legge non ti vieta di ritentare, anzi lo scopo è proprio rimetterti in grado di fare impresa senza debiti pregressi. Solo, se hai beneficiato di esdebitazione, non potrai richiederne un’altra prima di 10 anni (regola generale): quindi se malauguratamente una seconda impresa fallisse in pochi anni, la seconda volta i debiti restano. Ma confidiamo che la lezione serva e la seconda impresa vada meglio!
D: Un creditore mi ha mandato un atto di precetto ma non c’è scritto nulla sul sovraindebitamento: è valido?
R: Sì, è valido. Dal 2021 è obbligatorio inserire negli atti di precetto rivolti a persone fisiche un avviso che il debitore ha la possibilità di rivolgersi all’OCC per una procedura di composizione della crisi (art. 480 c.p.c. modificato). Inizialmente alcuni ritenevano che la mancanza di tale avvertenza rendesse nullo il precetto. Tuttavia la Cassazione (sent. 23343/2022) ha chiarito che la mancata indicazione è una mera irregolarità che non comporta la nullità del precetto . In pratica, il creditore che se lo dimentica potrà essere sanzionato nelle spese ma l’atto resta efficace. Quindi tu non puoi far annullare il precetto solo per quello – devi comunque pagare o fare opposizione se hai altri motivi di contestazione. L’obiettivo della norma è informativo: anche se il tuo creditore non te l’ha scritto, tu lo sai adesso – hai il diritto di rivolgerti a un OCC e valutare una procedura di sovraindebitamento. In alcuni casi, se dimostri al giudice dell’esecuzione che stai per depositare un piano, potresti ottenere una sospensione dell’esecuzione in corso, ma non è automatica. Quindi, in sostanza, l’atto di precetto è valido e decorre il termine (10 giorni) per pagare, dopodiché possono pignorare.
Esempi pratici e casi simulati
Per concretizzare quanto visto, presentiamo alcuni casi pratici semplificati riguardanti un negozio di casalinghi indebitato, con le possibili soluzioni.
Esempio 1: Ditta individuale “CasaBella” – ristrutturazione in continuità
Maria gestisce “CasaBella”, un negozio di casalinghi. Ha debiti per €150.000: 50k con fornitori (scaduti), 40k con una banca (mutuo residuo per ristrutturazione locale, garantito da ipoteca sul negozio), 30k di IVA arretrata e 30k tra contributi e utenze. Non ha dipendenti. Il negozio ancora produce utili lordi annuali per circa €20k, ma Maria da sola non riesce a saldare gli arretrati. Patrimonio: merci a magazzino per €30k, arredi e furgone del valore usato €10k. Nessun immobile di proprietà (il locale è in affitto).
Situazione: Maria è una piccola imprenditrice sotto soglia, quindi non fallibile. È però sovraindebitata e oggettivamente insolvente (50k fornitori scaduti non pagati). Vuole evitare di chiudere, perché l’attività è ancora redditizia, e preferisce non perdere il negozio (a cui tiene molto). I creditori iniziano a scalpitare: i fornitori minacciano azioni legali, l’Agenzia delle Entrate le ha iscritto ipoteca sull’unica auto per l’IVA.
Azioni intraprese: Maria si rivolge all’OCC locale (presso la Camera di Commercio) e, con l’aiuto di un gestore, predispone un concordato minore in continuità. Elabora un piano quinquennale in cui: continua l’attività, si impegna a versare ai creditori €60.000 nell’arco di 5 anni, derivanti dai futuri utili (stimati prudenzialmente in 12k €/anno); inoltre vende subito il furgone e le rimanenze di magazzino non essenziali ricavando altri €20.000 da destinare ai creditori al momento zero. Totale previsto per i creditori: €80.000 su 150.000 (circa 53%). Il piano propone di pagare integralmente i crediti privilegiati: la banca ipotecaria (40k) manterrebbe il mutuo con rate allungate (quindi verrebbe soddisfatta integralmente ma in tempi maggiori); il Fisco (IVA 30k) verrebbe pagato al 100% ma senza sanzioni/interessi (di fatto circa 24k su 30k originari, grazie alla rottamazione a cui Maria ha aderito); i contributi e utenze (10k) al 100% in 12 mesi. I fornitori chirografari invece riceverebbero circa il 20% del loro credito (10k su 50k), in quote semestrali nei 5 anni. A garanzia, Maria offre che se l’attività andrà meglio del previsto (utili extra), destinerà metà degli extra profitti ai creditori chirografari per aumentare la percentuale. L’OCC attesta che il piano è fattibile e che i creditori chirografari prenderebbero molto meno (0%–10%) in una liquidazione, mentre così avrebbero 20% certo.
Svolgimento: Il tribunale ammette la procedura di concordato minore. I creditori vengono informati e chiamati a votare (per lo più via PEC). La banca e l’Erario votano a favore (essendo pagati integralmente, non hanno motivo di opporsi). I fornitori: 2 grandi su 5 votano contro ritenendo 20% poco, gli altri piccoli non esprimono voto (silenzio-assenso). Il totale dei voti contrari non raggiunge la maggioranza dei crediti, quindi il concordato risulta approvato (ricordiamo, nel concordato minore vale che se la maggioranza non vota contro, il piano passa ). Un fornitore dissenziente fa comunque osservazione lamentando che Maria ha svenduto le merci a un prezzo troppo basso, ma il giudice verifica che è stato fatto con perizia e rigetta l’opposizione. Dunque, il tribunale omologa il concordato minore.
Esito: Maria continua la sua attività. Paga subito 20k (frutto delle vendite beni) secondo il piano: vanno principalmente a coprire IVA ridotta e parte dei fornitori. Ottiene lo stop di tutte le azioni: la ipoteca auto dell’Erario resta ma l’auto sarà venduta dall’OCC e il ricavato andrà a coprire l’IVA in parte (fa parte dei 20k iniziali). I fornitori che protestavano ora non possono più agire per decreto ingiuntivo: devono accontentarsi di quanto dà il piano (il 20% in 5 anni). Maria per 5 anni versa l’importo pattuito ogni sei mesi al Gestore/OCC, il quale lo distribuisce ai creditori secondo il piano (dopo prededuzioni e privilegi). Maria, con l’azienda alleggerita dal debito e dagli interessi, riesce a rispettare le scadenze. Al quarto anno l’economia migliora, il suo utile è superiore al previsto: versa quindi ai chirografari un extra che porta la loro soddisfazione finale al 30%. A termine 5 anni, Maria ha pagato tutto quanto concordato: il tribunale dichiara eseguito il concordato e la libera dai residui debiti originari non pagati (restano stralciati ~35k fornitori). Esdebitazione ottenuta: Maria ha tenuto aperto il negozio (anzi, con i debiti ridotti ha potuto investire in nuovi prodotti e incrementare i ricavi) e non ha più debiti pregressi. La banca prosegue con lei il mutuo (Maria era coobbligata come persona fisica), l’IVA è sistemata, i fornitori hanno incassato qualcosa e sono tornati a fornirla sul nuovo circolante.
Commento: Questo caso mostra un’azienda ancora vitale ristrutturata con strumenti concorsuali “minori”. Notare come tutti hanno fatto dei sacrifici: Maria ha venduto assets e impegnato utili futuri, i fornitori hanno accettato un taglio, il Fisco ha tolto sanzioni (tramite rottamazione), la banca ha allungato i tempi. Con l’aiuto dell’OCC e del giudice, l’equilibrio è stato raggiunto. Senza concordato, Maria probabilmente avrebbe chiuso (i fornitori l’avrebbero pignorata fino a farle cessare l’attività).
Esempio 2: S.r.l. “Utensili&Co” – liquidazione e ripartenza del titolare
Luca era amministratore unico e socio al 100% di “Utensili&Co S.r.l.”, negozio di casalinghi con 3 dipendenti. La società aveva debiti per €400.000 (banche 150k garantiti da pegno su polizza, fornitori 100k, Fisco 80k, affitti arretrati 20k, vari 50k). Attivo: merci 50k, arredi 20k, due furgoni 30k, credito IVA 10k. Luca aveva inoltre dato fideiussione per 100k sui debiti bancari della società. A causa di un calo vendite e costi personali, la società non ha retto ed è insolvente (ha già saltato stipendi e rate mutuo). Luca decide di chiudere il negozio a fine 2024.
Situazione: La S.r.l. supera le soglie di fallibilità (ricavi sopra 200k, debiti 400k > 500k? anzi 400k totali, sotto 500k, curiosamente sotto una soglia ma ne basta una superata? Ha ricavi alti supponiamo, quindi fallibile). Ad ogni modo, essendo società di capitali, soggetta a fallimento se insolvente. Luca teme l’istanza di qualche fornitore.
Azioni: Su consiglio legale, la società autofallisce (presenta ricorso per liquidazione giudiziale volontaria a gennaio 2025). Lo fa perché non c’è alcuna prospettiva di salvarla e così i tempi saranno più rapidi e ordinati, ed evita accuse di aggravamento del dissesto. Il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale di Utensili&Co. e nomina un curatore. I 3 dipendenti vengono licenziati dal curatore, che concede subito loro il TFR e ultime 3 mensilità tramite il Fondo di Garanzia INPS. I creditori vengono invitati a insinuarsi.
Massa attiva e passivo: Il curatore raccoglie attivo: vende le merci rimaste (ricava 30k), i furgoni (25k), gli arredi (pochissimo, 5k). Inoltre incassa la polizza su cui la banca aveva pegno: la polizza viene riscossa, fruttando 100k, che vengono consegnati alla banca per intero in quanto creditore pignoratizio (soddisfazione integrale di 100k su 150k). Il curatore verifica che Luca come amministratore aveva compiuto qualche pagamento preferenziale negli ultimi mesi (ha pagato un piccolo fornitore amico per intero mentre gli altri zero): promuove un’azione revocatoria su €5.000 di pagamenti preferenziali, recuperandoli nell’attivo. Il passivo è di circa 400k, di cui 50k privilegiati (Fisco per IVA 30, dipendenti 15 tra stipendi e TFR, affitto 5 per canoni ultimi 2 mesi con privilegio locatizio). I restanti sono chirografari ~350k (banche insoddisfatte 50k residue, fornitori 100k, affitto residuo 15k, vari).
Distribuzione: Con attivo totale (dopo spese) di circa 60k liquidi, il curatore paga prima i creditori privilegiati: dipendenti in parte erano già pagati dal Fondo, quindi il Fondo surrogato prende 15k, l’Erario 30k, il locatore 5k – totale 50k. Rimangono 10k da distribuire ai chirografari su 350k di crediti: prenderanno circa il 2.8% ciascuno. La procedura viene chiusa nel 2026.
Esdebitazione di Luca: Essendo la società fallita, Luca come persona fisica non ha debiti diretti verso i creditori sociali (la S.r.l. risponde con patrimonio sociale). Tuttavia Luca aveva fideiussione per 100k verso la banca: la banca ha ottenuto 100k dalla polizza, resta con 50k scoperti e li chiede a Luca personalmente. Luca inoltre ha alcuni debiti personali (10k carta di credito, 5k bollette non pagate). Luca a questo punto è disoccupato, possiede solo un’auto vecchia e vive in affitto. Nel 2025 Luca avvia la procedura di liquidazione controllata personale per sovraindebitamento: dichiara di avere debiti personali per ~60k (50k banca da fideiussione + 15k altri) e praticamente zero attivo (ha solo l’auto dal valore di 3k). L’OCC conferma la situazione di incapienza. Il tribunale apre la liquidazione controllata di Luca, ma di fatto non c’è molto da liquidare: vendono l’auto per 3k e basta. Dopo pochi mesi, vista l’incapienza, Luca chiede l’esdebitazione dell’incapiente . Il giudice verifica che Luca non ha tenuto condotta dolosa (il dissesto è dipeso da mercato e forse qualche errore ma niente frodi) e che davvero non ha nulla da dare ai creditori tranne quei 3k già distribuiti. Nel 2026 il giudice emette decreto di esdebitazione: Luca è libero da tutti i suoi debiti residui . Dovrà solo, per 3 anni, comunicare se le sue entrate supereranno la soglia di sussistenza (ca. €800/mese single); improbabile, ma se ad esempio trovasse un buon lavoro a €2000/mese, il surplus andrebbe in parte ai vecchi creditori fino al 2029.
Ripartenza: Nel 2027 Luca, con l’aiuto di un fratello finanziatore, apre una nuova attività (una società semplice di e-commerce di utensili artigianali) forte dell’esperienza maturata e – soprattutto – senza l’ancora dei debiti passati. I fornitori della vecchia società non possono più pretendere nulla da lui perché era una S.r.l. e comunque lui ha avuto esdebitazione per i debiti personali (inclusa la fideiussione).
Commento: Questo scenario mostra un caso di chiusura e fresh start. La società è stata liquidata in modo ordinato (fornitori hanno recuperato poco ma avrebbero comunque recuperato forse 0 se Luca chiudeva informalmente e spariva; almeno qui hanno avuto il 2-3% e chiarezza). I dipendenti sono stati protetti dal Fondo e hanno preso quasi tutto. Luca, pur perdendo l’attività, non rimane indebitato a vita: ha usato la procedura di sovraindebitamento per tutelare sé stesso e può ricominciare. Notare che per la banca Luca avrebbe avuto un debito di 50k: senza esdebitazione, l’avrebbe inseguito magari con pignoramento stipendio futuro. Ciò avrebbe reso difficile riprendersi. Con l’esdebitazione, la banca ha dovuto rinunciare (dopo aver incassato la polizza). È un sacrificio imposto ai creditori in nome della seconda chance. Questo è giustificato perché Luca è stato onesto (ha autopresentato il fallimento, ha collaborato, non ha nascosto asset). Se avesse fatto il furbo (nascondendo la polizza, o dissipando merci) probabilmente gli avrebbero negato l’esdebitazione come indegno.
Conclusioni
Affrontare una situazione di sovraindebitamento per un negozio di casalinghi è un compito complesso, ma l’ordinamento italiano oggi mette a disposizione una “cassetta degli attrezzi” ricca di strumenti per difendersi legalmente dai debiti e cercare di ripartire. La chiave di volta sta nell’agire tempestivamente e con trasparenza. Dal punto di vista pratico, il titolare indebitato deve:
- Prendere coscienza della situazione finanziaria reale, senza negare la crisi, e farsi assistere da professionisti qualificati.
- Valutare tutte le opzioni: se l’attività è ancora valida, perseguire soluzioni di ristrutturazione (accordi stragiudiziali, composizione negoziata, concordato); se non lo è, optare per una liquidazione regolamentata che porti però al più presto a un’esdebitazione.
- Comunicare in buona fede con i creditori e i dipendenti, mostrando la volontà di trovare un compromesso equo. Questo spesso attenua la conflittualità e facilita la riuscita delle trattative o l’approvazione di piani.
- Utilizzare le tutele di legge: non esitare a chiedere la protezione del tribunale (sospensione dei pagamenti, ecc.) quando necessario per evitare il collasso immediato; sfruttare i benefici come la rateizzazione fiscale o il Fondo di Garanzia per i lavoratori.
- Mantenere la meritevolezza: evitare favoritismi tra creditori all’ultimo minuto, non aggravare la posizione con nuovi debiti inutili, non compiere atti in frode (trasferimenti fittizi di beni). Un debitore corretto ha molte più chance di ottenere l’aiuto della legge (piani omologati, taglio dei debiti, esdebitazione) rispetto a chi cerca di fare il furbo.
Dal lato legale, abbiamo visto che normative recentissime (fino al D.Lgs. 136/2024) hanno perfezionato gli strumenti concorsuali, e la giurisprudenza del 2025 è ormai allineata a tutelare il debitor fedele. Casi come la Cass. 4201/2025 sulla soglia dei 30.000 € o le pronunce europee sull’esdebitazione confermano che l’orientamento è di dare sollievo alle crisi minori in modo efficiente e di promuovere il risanamento quando possibile.
In un’ottica comparativa, un negoziante italiano oggi gode di opportunità di composizione del debito che un decennio fa nemmeno esistevano: basti pensare che prima del 2012 non c’era alcuna procedura per il sovraindebitato civile, e prima del 2020 non c’era l’esdebitazione “a zero”. Saperle usare è fondamentale: questa guida intende appunto fornire un quadro avanzato per orientarsi.
In definitiva, “difendersi dai debiti” non significa eluderli ingiustificatamente, ma utilizzare i mezzi legali per ridurli al giusto e poter ripartire. Un negozio di casalinghi indebitato può sperare di continuare la propria attività tramite un concordato o un accordo ben congeniato, oppure, se ciò non è fattibile, può chiudere sapendo che né lui né la sua famiglia porteranno per sempre il marchio del fallimento: la legge offre un percorso di uscita. Naturalmente ogni caso ha le sue specificità e sarà opportuno farsi seguire passo passo da un avvocato esperto in crisi d’impresa e sovraindebitamento, che saprà adattare questi strumenti generali alla situazione concreta (ad es. valutando se coinvolgere la moglie come coobbligata, se conviene la composizione assistita prima del concordato, etc.).
Un ultimo incoraggiamento: spesso il momento più difficile per un piccolo imprenditore debitore è il timore iniziale – paura dello stigma, di perdere tutto. Affrontare la realtà finanziaria con lucidità e mettere in atto una strategia (fosse anche la liquidazione) restituisce un senso di controllo e dignità. Come riconosciuto dalla Corte di Cassazione già nel 2015, il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) non è più considerato un disonore personale ma una evenienza economica da trattare con strumenti giuridici, mirando al riequilibrio . La presenza nel sistema di istituti come l’esdebitazione rafforza questa visione non punitiva ma volta al recupero. Dunque, non esitare a chiedere aiuto e ad attivarti: ogni debito ha una soluzione, piccola o grande che sia, all’interno della legalità.
Hai un negozio di casalinghi o utensili per la casa e ti ritrovi con debiti verso fornitori, banche, finanziarie o Agenzia delle Entrate?
Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai un negozio di casalinghi o utensili per la casa e ti ritrovi con debiti verso fornitori, banche, finanziarie o Agenzia delle Entrate?
Le vendite sono calate, gli affitti e i costi di magazzino aumentano, e ora ti arrivano solleciti, cartelle esattoriali o pignoramenti?
👉 Non sei solo. Oggi molti piccoli commercianti del settore casalinghi e articoli per la casa si trovano in difficoltà, ma esistono soluzioni legali concrete per bloccare i creditori, ridurre i debiti e salvare l’attività o chiuderla in modo protetto e definitivo.
In questa guida scoprirai come affrontare una crisi del tuo negozio di casalinghi, quali strategie legali adottare, e come difenderti dalle azioni di recupero crediti.
⚖️ Il problema dei negozi di casalinghi oggi
Negli ultimi anni il settore ha subito:
- aumento dei costi di fornitura e delle materie prime;
- concorrenza aggressiva dell’e-commerce e della grande distribuzione;
- margini ridotti e calo della clientela;
- ritardi nei pagamenti e difficoltà di liquidità.
📌 Questi fattori portano molti commercianti a non riuscire più a coprire spese fisse e debiti accumulati, generando un circolo vizioso che può degenerare in pignoramenti, ipoteche o chiusura forzata del negozio.
👉 Ma la legge oggi offre strumenti specifici per proteggere l’imprenditore individuale o la piccola impresa commerciale in crisi.
🧾 Tipologie di debiti più comuni nel settore casalinghi
✅ Debiti fiscali:
- IVA, IRPEF, INPS, TARI, cartelle esattoriali, sanzioni e interessi.
✅ Debiti bancari e finanziari:
- Mutui per l’acquisto del locale, scoperti di conto, prestiti e leasing su attrezzature o veicoli.
✅ Debiti commerciali:
- Fatture non pagate ai fornitori di merce, imballaggi, detersivi o articoli da cucina.
✅ Debiti personali o familiari:
- Garanzie personali, fideiussioni o rate arretrate di prestiti.
🧠 Cosa rischia un negoziante indebitato
Se non intervieni per tempo, puoi andare incontro a:
- pignoramenti di conto corrente, cassa o POS;
- fermi amministrativi o ipoteche su beni personali;
- revoca dei fidi bancari;
- azioni legali dei fornitori;
- perdita della merce o chiusura del punto vendita.
📌 Tuttavia, la buona notizia è che puoi fermare tutto: la legge italiana prevede procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e accordi con i creditori, che ti permettono di ripartire legalmente.
🧩 Le strategie legali per gestire i debiti del tuo negozio di casalinghi
💠 1. Rinegoziazione dei debiti commerciali e bancari
Puoi trattare direttamente con banche e fornitori per ottenere:
- allungamento dei termini di pagamento;
- riduzione delle rate o tassi di interesse;
- saldo e stralcio su forniture o prestiti.
👉 È la soluzione più immediata per chi ha ancora un’attività viva e vuole evitare la chiusura.
💠 2. Procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento
Prevista dal Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019), è la procedura principale per chi ha troppi debiti e non riesce più a pagarli tutti.
Consente di:
- bloccare immediatamente pignoramenti, cartelle e azioni dei creditori;
- proporre un piano di rientro sostenibile, anche parziale;
- ottenere, al termine, la cancellazione totale del debito residuo (esdebitazione).
👉 È accessibile a commercianti, ditte individuali, ex titolari e anche a chi ha chiuso l’attività.
💠 3. Liquidazione controllata
Se il negozio non è più sostenibile, puoi scegliere di liquidare legalmente i beni e chiudere in modo protetto.
Il ricavato serve a pagare in parte i creditori, e al termine:
- tutti i debiti vengono cancellati;
- non restano pendenze personali.
📌 È una chiusura “ordinata e senza fallimento”, ideale per chi vuole ricominciare da zero.
💠 4. Concordato minore (per imprese individuali e piccole SRL)
Se il negozio ha ancora potenzialità, puoi proporre ai creditori un piano di pagamento parziale o un saldo e stralcio complessivo, approvato dal Tribunale.
L’obiettivo è salvare il marchio, i dipendenti e la clientela, mantenendo l’attività operativa.
💠 5. Verifica di cartelle e accertamenti fiscali
Molti debiti con Agenzia delle Entrate derivano da errori di calcolo o prescrizione.
Un avvocato può controllare:
- la validità delle notifiche;
- la legittimità di interessi o sanzioni;
- eventuali prescrizioni (5 o 10 anni).
👉 Se le cartelle sono irregolari, puoi chiedere l’annullamento o la sospensione immediata.
🧾 Cosa fare subito
✅ 1. Fai un elenco completo dei debiti
Annota tutti i debiti (fiscali, bancari, commerciali e personali), anche se datati o contestati.
✅ 2. Non firmare accordi senza valutazione legale
Molti creditori propongono rateizzazioni “capestro” o piani non sostenibili: serve una strategia complessiva e protetta dal Tribunale.
✅ 3. Richiedi assistenza professionale immediata
Un avvocato specializzato può:
- verificare la situazione patrimoniale;
- contattare i creditori in modo ufficiale;
- predisporre una procedura legale di ristrutturazione o chiusura.
📋 Documenti utili per la difesa
- Documento d’identità e codice fiscale.
- Visura camerale o certificato di chiusura ditta.
- Estratti conto bancari e POS.
- Cartelle esattoriali e avvisi fiscali.
- Elenco dei fornitori e delle fatture pendenti.
- Contratti di locazione e leasing.
- Dichiarazioni dei redditi e bilanci (ultimi 3 anni).
⏱️ Tempi e risultati possibili
- Analisi e raccolta documenti: 1–3 settimane.
- Presentazione della procedura o piano: 1–2 mesi.
- Blocco delle azioni dei creditori: immediato con il deposito in Tribunale.
- Durata complessiva del piano: da 1 a 5 anni.
🎯 Risultati concreti:
- Stop a pignoramenti, cartelle e minacce di recupero.
- Riduzione o cancellazione definitiva dei debiti.
- Ripartenza economica, con o senza il negozio.
⚖️ I vantaggi principali
✅ Tutela immediata contro creditori e fisco.
✅ Possibilità di salvare o chiudere il negozio senza fallimento.
✅ Riduzione drastica dei debiti e cancellazione del residuo.
✅ Protezione dei beni personali e familiari.
✅ Nuova possibilità di ricominciare con serenità.
🚫 Errori da evitare
- Ignorare solleciti e cartelle.
- Pagare solo alcuni creditori peggiorando la situazione.
- Accumulare nuovi debiti fiscali o bancari.
- Rivolgerti a “consulenti” non abilitati o non avvocati.
- Rimandare troppo: i debiti non spariscono da soli.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza la tua situazione debitoria e commerciale.
📌 Valuta la strategia migliore (rinegoziazione, concordato, liquidazione o esdebitazione).
✍️ Predispone e deposita piani legali per bloccare i creditori e sospendere le cartelle.
⚖️ Ti rappresenta nei rapporti con banche, Agenzia delle Entrate e fornitori.
🔁 Ti segue fino alla cancellazione definitiva dei debiti e alla tua piena riabilitazione economica.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto commerciale, bancario e crisi d’impresa.
✔️ Specializzato nella difesa di commercianti e negozianti con debiti fiscali e bancari.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Avere un negozio di casalinghi o utensili per la casa con debiti non significa essere senza via d’uscita.
Con una strategia legale mirata puoi bloccare i creditori, ridurre drasticamente le somme dovute e ripartire pulito, salvando o chiudendo l’attività in modo protetto.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
la tua nuova vita senza debiti commerciali e fiscali può iniziare oggi.