Sai che hai diritto a partecipare al procedimento tributario prima che l’Agenzia delle Entrate emetta un avviso di accertamento?
Questo diritto si chiama contraddittorio preventivo ed è uno degli strumenti più importanti di difesa del contribuente. Ti permette di far valere le tue ragioni e presentare documenti già nella fase preaccertativa, prima che il Fisco formalizzi la sua pretesa.
Cos’è il contraddittorio preaccertativo
– È il diritto del contribuente a essere ascoltato prima dell’emissione di un avviso di accertamento
– Si concretizza nella possibilità di presentare memorie, chiarimenti e documenti entro 60 giorni dal processo verbale di constatazione (PVC)
– Deriva dai principi costituzionali di difesa e trasparenza, ed è riconosciuto anche dal diritto europeo
– Rende più equilibrato il rapporto tra Fisco e contribuente, evitando accertamenti basati su errori o presunzioni
Quando si applica il contraddittorio
– A seguito di accessi, ispezioni e verifiche fiscali in azienda o presso il contribuente
– Dopo la notifica di un processo verbale di constatazione da parte della Guardia di Finanza o dell’Agenzia delle Entrate
– Nei procedimenti fondati su presunzioni, ricostruzioni indirette o dati non immediatamente verificabili
– Nei casi in cui la legge prevede espressamente l’obbligo di instaurare il contraddittorio
Come funziona
– Il contribuente riceve il PVC con le contestazioni rilevate
– Ha 60 giorni di tempo per presentare memorie difensive, prove e chiarimenti
– L’Agenzia delle Entrate deve valutare le osservazioni prima di emettere l’avviso di accertamento
– La mancata attivazione del contraddittorio può rendere nullo l’accertamento, soprattutto se ha inciso sul diritto di difesa
Perché è importante
– Permette di correggere errori di calcolo o valutazioni sbagliate già in fase preliminare
– Può evitare l’emissione di un avviso di accertamento infondato
– Rafforza la posizione difensiva del contribuente in caso di successivo ricorso
– È uno strumento che riduce tempi, costi e rischi di contenzioso
Come difendersi in caso di violazione del contraddittorio
– Contestare la nullità dell’avviso di accertamento per mancata instaurazione del contraddittorio
– Dimostrare che la violazione ha inciso sulla possibilità di difendersi efficacemente
– Eccepire in ricorso la violazione dei principi di trasparenza e partecipazione
– Chiedere l’annullamento dell’atto davanti alla Corte di Giustizia Tributaria
Cosa si può ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento dell’avviso di accertamento emesso senza contraddittorio
– La sospensione di cartelle e azioni esecutive collegate
– La possibilità di chiudere il contenzioso in fase preventiva, senza arrivare a giudizio
– Una maggiore tutela dei diritti del contribuente contro accertamenti arbitrari
Attenzione: il contraddittorio non è una semplice formalità. È una garanzia essenziale che, se non rispettata, può invalidare l’intero accertamento.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario e difesa del contribuente – ti spiega come funziona il diritto al contraddittorio nella fase preaccertativa e come farlo valere.
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Introduzione
Il diritto al contraddittorio nella fase preaccertativa (detto anche contraddittorio endoprocedimentale) è la facoltà riconosciuta al contribuente di essere avvisato delle contestazioni fiscali prima che venga emesso un atto impositivo definitivo, potendo così esporre le proprie ragioni, presentare documenti e controdeduzioni. Si tratta di una garanzia fondamentale di partecipazione procedimentale, volta a garantire un giusto procedimento e prevenire errori o atti impositivi arbitrari da parte dell’amministrazione finanziaria. In altre parole, l’ente impositore (Agenzia delle Entrate, ente locale, ecc.) prima di cristallizzare una pretesa tributaria in un avviso di accertamento o atto equivalente, deve instaurare un dialogo con il contribuente, informandolo delle risultanze a suo carico e consentendogli di difendersi preventivamente. Ciò rafforza il diritto di difesa del contribuente e la trasparenza dell’azione amministrativa, in linea con i principi costituzionali (artt. 24 e 97 Cost.) e unionale (art. 41 Carta dei diritti UE sul buon andamento e diritto a essere ascoltati).
Fino a tempi recenti, tuttavia, questo diritto non aveva portata generale in ambito tributario. Esistevano alcune norme specifiche che prevedevano il contraddittorio solo in determinate situazioni – ad esempio, l’art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000) garantiva il contraddittorio solo in caso di verifiche fiscali svolte presso il contribuente (accessi, ispezioni e verifiche in loco), imponendo di attendere 60 giorni dal verbale di chiusura prima di emettere l’accertamento. Invece, in altri casi (le cosiddette verifiche “a tavolino”, svolte interamente in ufficio sui documenti), la normativa non imponeva alcun confronto preventivo. Questa disparità di trattamento ha dato luogo a incertezze, contenziosi e a un acceso dibattito giurisprudenziale sull’eventuale esistenza di un obbligo generale di contraddittorio anche in assenza di una norma ad hoc. La giurisprudenza, specie della Corte di Cassazione, è intervenuta più volte per tracciare i confini del principio: in particolare le Sezioni Unite nel 2015 affermarono che – in mancanza di una previsione normativa interna generale – il contraddittorio doveva ritenersi obbligatorio in via generale solo per i tributi armonizzati (come l’IVA, per effetto dei principi UE) e non per gli altri tributi, salvo specifica previsione. Inoltre, anche quando riconosciuto come obbligatorio (ad es. per l’IVA), la sua omissione poteva portare all’annullamento dell’atto solo se il contribuente dimostrava in giudizio che il confronto gli avrebbe potuto evitare (in tutto o in parte) la pretesa fiscale: la cosiddetta “prova di resistenza”.
Negli ultimi anni vi è stata una evoluzione normativa e giurisprudenziale significativa. Da un lato, la Corte Costituzionale ha più volte richiamato l’attenzione sulla necessità di estendere e uniformare le garanzie partecipative, evidenziando che la partecipazione del contribuente esprime una “esigenza di carattere costituzionale”, pur lasciando al legislatore il compito di approntare una disciplina organica (v. sent. n. 47/2023). Dall’altro lato, il legislatore è intervenuto di recente con la riforma fiscale del 2023-2024, che ha introdotto nell’ordinamento un obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo per quasi tutti gli atti impositivi. In particolare, dal 30 aprile 2024 (data di entrata in vigore delle nuove norme) vige in Italia un principio generale, codificato nel nuovo art. 6-bis dello Statuto del contribuente, per cui tutti gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario devono essere preceduti da un contraddittorio “informato ed effettivo”, a pena di annullabilità. Questa svolta epocale ha colmato il precedente vuoto normativo, estendendo il contraddittorio preventivo anche ai tributi non armonizzati (es. IRPEF, IRES, tributi locali) che prima ne risultavano in parte esclusi. Restano escluse solo alcune categorie di atti per loro natura incompatibili col contraddittorio (ad es. atti automatizzati di mera liquidazione) e i casi di urgenza motivata, come vedremo in dettaglio.
Dal punto di vista del contribuente (debitore), capire come funziona il diritto al contraddittorio preventivo è fondamentale per poter tutelare al meglio i propri diritti in sede fiscale. Un vizio procedurale legato alla mancata instaurazione del contraddittorio può infatti costituire un valido motivo di ricorso e condurre all’annullamento dell’atto impositivo viziato. Di seguito, questa guida fornirà un quadro avanzato e aggiornato (fino a luglio 2025) della disciplina del contraddittorio endoprocedimentale in ambito tributario, con riferimenti normativi puntuali, orientamenti giurisprudenziali recentissimi (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale, Corte di Giustizia UE) e casi pratici. Verranno anche proposte domande e risposte frequenti in materia, tabelle riepilogative e simulazioni di casi concreti, in modo da chiarire gli aspetti teorici e applicativi del principio. L’obiettivo è offrire uno strumento utile sia ai professionisti (avvocati tributaristi, commercialisti) sia ai contribuenti (privati o imprenditori) che vogliano comprendere in termini pratici quando e come far valere il diritto al contraddittorio nella fase che precede un accertamento fiscale.
(Proseguendo, si esamineranno prima il quadro normativo e la sua evoluzione, poi l’ambito applicativo attuale, la procedura da seguire, le conseguenze delle violazioni e alcuni ambiti particolari come i tributi locali. Infine, sarà presente una sezione FAQ e alcune esemplificazioni pratiche, con una raccolta completa delle fonti normative e giurisprudenziali citate in fondo.)
Quadro Normativo e Giurisprudenziale: evoluzione del principio
Il contraddittorio prima della riforma 2023/2024
In assenza di una disciplina generale fino al 2024, il contraddittorio preaccertativo in materia tributaria era garantito solo da norme settoriali. La disposizione cardine era l’art. 12, comma 7, della Legge 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), introdotta nel 2000 e poi rafforzata dal 2011. Tale norma prevedeva espressamente che, dopo una verifica fiscale sul campo presso il contribuente, i verbalizzanti consegnassero un processo verbale di constatazione (PVC) e che il contribuente avesse 60 giorni per presentare memorie e osservazioni; l’ufficio non poteva emettere l’avviso di accertamento prima di tale termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza. La sanzione per la violazione di questa regola era la nullità dell’accertamento emesso ante tempus (come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza), trattandosi di un termine posto a garanzia del contraddittorio (termine perentorio a difesa). Tuttavia, questa garanzia operava solo nelle ipotesi di accertamenti scaturiti da verifiche in loco. Diversamente, per gli accertamenti cosiddetti “a tavolino” – ovvero basati su controlli d’ufficio, senza accesso presso il contribuente – lo Statuto non imponeva un analogo contraddittorio generalizzato. In tali casi la prassi dell’Agenzia delle Entrate (salvo specifiche discipline, ad es. in materia di studi di settore o altre situazioni in cui era previsto un invito) era di emettere l’avviso senza un preventivo confronto formale con il contribuente. Ciò ha comportato per lungo tempo una disparità di tutele: il contribuente verificato sul posto godeva di maggiori garanzie partecipative rispetto a chi subiva un accertamento “da scrivania”.
Oltre all’art. 12, co.7 Statuto, vi erano (e vi sono tuttora) altre norme specifiche che prevedevano obblighi di contraddittorio limitati a particolari procedimenti tributari. Ad esempio: l’art. 10-bis della L. 212/2000 (introdotto nel 2015) richiede il contraddittorio preventivo obbligatorio nei procedimenti di contestazione di abuso del diritto fiscale, pena la nullità dell’atto emanato senza convocare il contribuente. Analogamente, l’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973 (prima della sua abrogazione e sostituzione proprio dall’art. 10-bis Statuto) prevedeva il contraddittorio nei casi di operazioni elusive. Altre fattispecie: l’art. 11, co.1, D.Lgs. 74/2000 obbliga il contraddittorio nei accertamenti con adesione su iniziativa dell’ufficio; l’art. 5-ter, D.Lgs. 218/1997 (introdotto dal D.L. 34/2019, c.d. Decreto Crescita) prevedeva dal 2020 un invito obbligatorio al contraddittorio per alcuni avvisi di accertamento (pena l’invalidità, ma solo se il contribuente in giudizio provava le ragioni che avrebbe potuto far valere – dunque riprendendo la logica della “prova di resistenza”). Inoltre, in materia di accertamenti basati su presunzioni e studi di settore/indicatori sintetici di affidabilità (ISA), la legge prevedeva già uno specifico contraddittorio anticipato: ad es. per gli accertamenti da studi di settore era obbligatoria la convocazione del contribuente per il contraddittorio (art. 10, L. 146/1998), così come per l’accertamento sintetico redditometrico occorreva invitare il contribuente a fornire dati e notizie prima di emettere l’atto (art. 38, co.7 D.P.R. 600/73, nel testo ante riforma). Tali discipline settoriali indicavano una tendenza legislativa ad ampliare gli spazi di interlocuzione, ma mancava comunque una regola generale onnicomprensiva.
In sintesi, prima del 2024 il quadro normativo italiano presentava un contraddittorio “a macchia di leopardo”: garantito obbligatoriamente in alcune ipotesi (accessi presso il contribuente, contestazioni di abuso, accertamenti da studi di settore, ecc.), negato o non previsto in altre (controlli formali e automatici, accertamenti a tavolino per imposte non armonizzate, ecc.). Questa situazione ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale per disparità di trattamento (art. 3 Cost.) e possibili violazioni del diritto di difesa (art. 24 Cost.), su cui è stata più volte investita la Corte Costituzionale. Emblematica in proposito la sentenza n. 132/2015 della Consulta, che però dichiarò inammissibile la questione sulla mancanza di contraddittorio nei tributi locali, lasciando spazio al legislatore. Successivamente, altre ordinanze di rimessione hanno portato la Corte a riesaminare la materia: ad esempio, una vicenda originata da Firenze ha condotto alla sentenza n. 47/2023 della Corte Costituzionale. In quella decisione, pur ribadendo che non esisteva un obbligo costituzionale immediato di contraddittorio generalizzato (riconoscendo quindi la discrezionalità del legislatore), la Corte ha sottolineato come la partecipazione del contribuente sia un valore di rango costituzionale e come vi fosse l’esigenza di un intervento normativo organico. La Corte infatti osservò che nel sistema vigente mancava una disciplina positiva generalizzata del contraddittorio preaccertativo, auspicando un adeguamento legislativo. La questione sollevata (che verteva proprio sull’art. 12, co.7, ritenuto irragionevolmente limitato ai soli accessi) fu definita con una pronuncia di inammissibilità, motivata dal fatto che spettava al Parlamento colmare tale lacuna senza che vi fosse una “soluzione costituzionalmente obbligata” univoca. Questo sostanzialmente è stato un monito al legislatore.
Parallelamente, la Corte di Giustizia UE aveva già affermato importanti principi sul diritto al contraddittorio nei procedimenti tributari, specie in materia di IVA e dazi (tributi armonizzati). La giurisprudenza unionale (casi Sopropé, Kamino, Ispas, Glencore e altri) ha stabilito che il diritto di essere ascoltati prima di un provvedimento lesivo è parte integrante dei diritti fondamentali dell’UE e deve essere garantito in ogni procedimento amministrativo che possa incidere sensibilmente sugli interessi del destinatario. Tuttavia, la CGUE ha anche precisato che la violazione di tale diritto comporta l’annullamento dell’atto solo se, in assenza di irregolarità, il procedimento avrebbe potuto portare a un risultato diverso. In altre parole, anche per il diritto UE non si tratta di un principio assoluto e fine a sé stesso, ma è soggetto al criterio del nesso causale: se la mancata interlocuzione non ha inciso sul contenuto finale (perché, ad esempio, il contribuente non avrebbe comunque potuto addurre elementi utili), l’atto può restare valido nonostante il vizio. Questo orientamento europeo è stato recepito dalla Cassazione italiana nella dottrina della prova di resistenza, come già accennato.
Dal lato della Corte di Cassazione nazionale, la tappa fondamentale è rappresentata dalla sentenza a Sezioni Unite n. 24823 del 9 dicembre 2015. In quella pronuncia storica, le SS.UU. composero contrasti interpretativi interni e sancirono che:
- (a) Per i tributi “armonizzati” (es. IVA) esiste, anche in mancanza di norma interna espressa, un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale in forza dei principi comunitari; la sua violazione determina l’invalidità dell’atto purché il contribuente, impugnando, abbia indicato in concreto le difese che avrebbe sollevato se interpellato (onere a suo carico, cfr. infra “prova di resistenza”).
- (b) Per i tributi “non armonizzati” (es. imposte sui redditi, IRAP, tributi locali), invece, non sussiste un analogo obbligo generale, né per legge né per principio sovranazionale, sicché il contraddittorio preventivo è dovuto solo nei casi in cui una specifica norma nazionale lo preveda per quello specifico procedimento. In mancanza di tale previsione, l’amministrazione può legittimamente emettere l’atto anche senza aver prima interloquito con il contribuente.
Le Sezioni Unite 2015, in pratica, confermarono la “dualità” di trattamento: solo l’IVA (e pochi altri tributi UE) godeva di un regime protetto dal diritto UE, mentre per gli altri tributi il contribuente non poteva invocare un principio generale di rango superiore. Questa posizione ha trovato conferma in numerosissime sentenze successive della Cassazione (Sez. Trib.), che fino al 2023 hanno costantemente respinto le eccezioni di nullità di avvisi “a tavolino” relativi a imposte dirette, quando nessuna norma imponeva il contraddittorio. Ad esempio, si segnalano Cass. 18904/2017, Cass. 27623/2018, Cass. 701/2020 e molte altre che hanno escluso l’obbligo di contraddittorio per accertamenti a tavolino IRPEF/IRES, ribadendo che l’art. 12, co.7 Statuto si applicava solo alle verifiche con accesso (“l’istituto del contraddittorio endoprocedimentale non si estende agli accertamenti a tavolino”, Cass. 701/2020). Anche in materia di tributi locali (IMU, TARI, ecc.), la giurisprudenza di legittimità, in assenza di uno statuto locale del contribuente, negava la necessità di contraddittorio salvo che i regolamenti comunali lo prevedessero.
Quanto ai tributi armonizzati (IVA), la Cassazione ha applicato il principio dell’obbligo generalizzato ma con la citata condizione della prova di resistenza. In pratica, se un avviso IVA veniva emesso senza contraddittorio, il giudice poteva annullarlo solo se il contribuente dimostrava, anche solo in via argomentativa, che aveva delle osservazioni pertinenti che avrebbero potuto influire sull’esito (ad es. documenti non considerati, errori nei calcoli, giustificazioni plausibili per le anomalie contestate). Se il contribuente si limitava a lamentare formalmente la mancanza di contraddittorio senza indicare quali difese concrete avrebbe avanzato, l’eccezione veniva rigettata e l’atto confermato. Questa impostazione Cassazione+CGUE è stata costantemente seguita (v. Cass. 701/2020, Cass. 3386/2021, Cass. 5115/2025 – quest’ultima ordinanza ribadisce puntualmente tali principi –).
In definitiva, prima della recente riforma, la situazione era la seguente: il contraddittorio preaccertativo era un “must” per le verifiche fiscali in loco e per alcuni atti tipizzati (abuso del diritto, studi di settore, IVA ma con riserva di prova di resistenza), mentre per molte altre tipologie di accertamento il contribuente poteva trovarsi di fronte ad un avviso a sorpresa, senza essere stato previamente ascoltato. Questa realtà ha spinto dottrina, giurisprudenza e parte della politica a richiedere una armonizzazione e generalizzazione della tutela, per evitare che diritti fondamentali difensivi dipendessero dalla natura del tributo o dal tipo di controllo (soprattutto dopo che la riforma del processo tributario – D.Lgs. 156/2015 – ha affermato i principi del giusto processo anche nel contenzioso fiscale).
La riforma fiscale 2023/2024: introduzione dell’art. 6-bis Statuto e obbligo generalizzato
A fronte delle istanze di riforma e del monito costituzionale, il legislatore è intervenuto in modo organico con la Legge Delega n. 118/2022 (riforma fiscale) e i relativi decreti attuativi nel 2023. In particolare, in materia di garanzie del contribuente, la delega prevedeva l’estensione del contraddittorio endoprocedimentale a tutti gli atti impositivi e sanzionatori. L’attuazione di tale principio si è avuta con il D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219 (in vigore dal 18 gennaio 2024), il quale ha modificato lo Statuto del contribuente inserendo il nuovo articolo 6-bis, rubricato “Principio del contraddittorio”. Questa norma – definita da molti un “pilastro” della riforma – generalizza l’obbligo del contraddittorio preventivo in ambito tributario, superando le limitazioni previgenti.
Ecco, in sintesi, il contenuto del nuovo art. 6-bis L. 212/2000:
- Comma 1: Principio generale. «Salvo quanto previsto dal comma 2, tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria sono preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo ai sensi del presente articolo». In altre parole, ogni atto fiscale che il contribuente può impugnare (avvisi di accertamento, avvisi di liquidazione, provvedimenti sanzionatori, ecc.) deve essere preceduto da una fase di interlocuzione attiva. La violazione di tale obbligo rende l’atto annullabile su ricorso del contribuente. Si noti la differenza terminologica: la legge parla di annullabilità, qualificando espressamente il vizio come tale e non come nullità assoluta. Ciò implica che il difetto di contraddittorio va eccepito dal contribuente nel ricorso introduttivo (entro i termini), pena la decadenza, e non è rilevabile d’ufficio dal giudice. Si tratta di un aspetto procedurale importante: il contribuente deve attivarsi per far valere la violazione, diversamente l’atto diviene definitivo.
- Comma 2: Deroghe ed esclusioni. «Non sussiste il diritto al contraddittorio ai sensi del presente articolo per gli atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, nonché per i casi motivati di fondato pericolo per la riscossione.». Questa disposizione elenca due macro-categorie di eccezioni: (a) gli atti a carattere automatizzato o di mero riscontro formale – che verranno elencati in dettaglio da un apposito D.M. MEF – per i quali non vi è contraddittorio; (b) le situazioni di urgenza per pericolo nella riscossione, cioè casi in cui l’amministrazione deve agire senza indugio (ad es. rischio concreto di fuga del contribuente o di dispersione dei beni) e può quindi saltare il confronto preventivo, motivando le ragioni di urgenza nell’atto stesso. Su quest’ultimo punto, è importante notare che l’assenza di contraddittorio per urgenza deve essere adeguatamente motivata nell’avviso emesso (pena la illegittimità dell’atto per carenza di motivazione e violazione di legge).
- Comma 3: Procedura del contraddittorio. «Per consentire il contraddittorio, l’amministrazione finanziaria comunica al contribuente lo schema di atto di cui al comma 1, assegnando un termine non inferiore a sessanta giorni per eventuali controdeduzioni ovvero, su richiesta, per accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo. L’atto non è adottato prima della scadenza del termine… Se la scadenza di tale termine è successiva a quella del termine di decadenza per l’adozione dell’atto conclusivo … tale ultimo termine è posticipato di 120 giorni.». Questo comma descrive operativamente come si svolge il contraddittorio: l’ente impositore deve inviare al contribuente una comunicazione contenente uno schema di atto (in pratica una bozza di avviso con l’indicazione di tutte le contestazioni e gli elementi raccolti) e deve concedere almeno 60 giorni di tempo perché il contribuente presenti le sue osservazioni e documenti. Su istanza del contribuente, dev’essergli consentito di accedere al fascicolo e ottenere copia degli atti istruttori (ad es. verbali, perizie, segnalazioni) su cui si fonda la pretesa: ciò per garantire un contraddittorio informato, ossia che il contribuente conosca gli elementi a suo carico. L’ufficio non può emettere l’atto finale prima che siano decorsi i 60 giorni. Se però i 60 giorni dovessero andare oltre il termine di decadenza previsto per l’accertamento (esempio: decadenza al 31/12, ma i 60 gg scadono a gennaio), la norma allunga automaticamente il termine di decadenza di 120 giorni dalla scadenza del contraddittorio. In pratica è stata prevista una moratoria per evitare che l’amministrazione rinunci al contraddittorio per timore di far scadere i termini: se il periodo residuo è inferiore a 120 giorni, la scadenza slitta di 4 mesi. Questa proroga opera ope legis, evitando contenziosi sul punto.
- Comma 4: Esito del contraddittorio e motivazione. Il legislatore ha previsto che «L’atto adottato all’esito del contraddittorio tiene conto delle osservazioni del contribuente ed è motivato con riferimento a quelle che l’Amministrazione ritiene di non accogliere.». Ciò significa che, una volta concluse le interlocuzioni, se l’ufficio decide comunque di emanare l’accertamento (in toto o in parte), dovrà dare conto nella motivazione delle difese presentate dal contribuente: ogni rilievo mosso dal contribuente dovrà essere o accolto (e allora l’atto magari verrà ridotto o archiviato) oppure respinto con adeguata motivazione. Questa “motivazione rafforzata” serve a garantire che il contraddittorio non sia una vuota formalità, ma incida effettivamente sul contenuto dell’atto e che il contribuente possa comprendere perché le sue argomentazioni non sono state reputate idonee. In caso di mancato riferimento alle osservazioni del contribuente, l’atto può risultare viziato per difetto di motivazione (art. 7 dello Statuto impone la motivazione chiara degli atti).
L’introduzione dell’art. 6-bis ha richiesto anche norme di coordinamento e attuazione. Da un lato, infatti, è stato abrogato l’art. 12, comma 7, dello Statuto (che disciplinava solo il contraddittorio post-verifica): dal 30 aprile 2024 quella disposizione non è più in vigore, essendo di fatto assorbita dalla nuova regola generale. Dall’altro lato, il Governo ha emanato il previsto Decreto MEF 24 aprile 2024 (pubblicato in G.U. n. 100 del 30/4/2024) che individua gli atti esclusi dall’obbligo (in attuazione del comma 2). Inoltre, con la conversione in legge del D.L. 29 marzo 2024 n. 39 (L. 67/2024), sono state inserite alcune norme interpretative per chiarire l’ambito di applicazione di art. 6-bis, commi 1 e 2. Queste precisazioni (art. 7-bis del D.L. 39/2024 conv.) stabiliscono che:
- Il nuovo obbligo di contraddittorio riguarda “gli atti recanti una pretesa impositiva”, dunque rimangono esclusi gli atti per cui la legge già prevede specifiche forme di interlocuzione (ad es. l’invito nell’accertamento con adesione) e gli atti di recupero derivanti dal diniego di crediti d’imposta inesistenti (cioè frodi, dove spesso l’urgenza di bloccare subito il credito prevale).
- Si chiarisce inoltre che tra gli atti esclusi da contraddittorio (ai sensi del comma 2) rientrano anche i provvedimenti di diniego di rimborso tributario, tenendo conto anche del relativo valore economico. Ciò significa ad esempio che se un contribuente chiede un rimborso e l’ufficio lo nega, quell’atto (impugnabile in commissione tributaria) non richiede contraddittorio preventivo, specie se di modesta entità.
Il DM 24.4.2024 sugli atti esclusi conferma tali indicazioni. Senza elencarli qui analiticamente, possiamo dire che sono esclusi essenzialmente: le comunicazioni di irregolarità e avvisi “bonari” emessi a seguito di controlli automatizzati (ex art. 36-bis D.P.R. 600/73 e 54-bis D.P.R. 633/72) o di controlli formali (art. 36-ter D.P.R. 600/73); gli avvisi di liquidazione che derivano da attività automatica (es. liquidazione dell’imposta di registro su base di atti registrati, calcolo dei tributi dovuti in autoliquidazione, ecc.); le cartelle di pagamento emesse direttamente a seguito di tali controlli; gli atti di recupero di crediti d’imposta non spettanti (soprattutto se frutto di indebite compensazioni o frodi); i provvedimenti di diniego o revoca di agevolazioni automatici; in generale, tutti gli atti “derivati” da un mero riscontro automatizzato di dati forniti dallo stesso contribuente o da terzi e per i quali l’apporto dialogico non aggiungerebbe elementi (salvo naturalmente la possibilità di chiarimenti in sede di autotutela o di definizione agevolata). Si tratta, come evidente, di atti che per loro natura non contengono una particolare attività valutativa discrezionale dell’ufficio, ma solo una liquidazione ex lege di dati e calcoli: per essi il legislatore ha ritenuto eccessivamente gravoso attivare sempre il contraddittorio, considerandoli per definizione atti “celermente” emettibili.
Oltre a ciò, il D.L. 39/2024 ha previsto un’interpretazione autentica per gestire il periodo transitorio intorno all’entrata in vigore della riforma. In particolare, è stato stabilito che:
- Le disposizioni dell’art. 6-bis non si applicano agli atti emessi prima del 30 aprile 2024, né a quelli per i quali l’invito al contraddittorio (lo schema di atto) sia stato già notificato prima di tale data.
- Tali atti “ante riforma” restano disciplinati dalle norme previgenti. Dunque, se ad esempio un accertamento è stato notificato a marzo 2024 senza contraddittorio (perché non obbligatorio allora), esso non diventa impugnabile per quel motivo alla luce della nuova legge – si giudicherà secondo le vecchie regole.
- Se però l’amministrazione, prima del 30 marzo 2024 (data di entrata in vigore del D.L. 39/2024), ha già inviato lo schema di atto al contribuente in base alla nuova disciplina (anticipando l’applicazione), allora si applica la proroga dei termini di decadenza prevista dal comma 3 dell’art. 6-bis. Questa è una disposizione di coordinamento che ha tutelato gli uffici che, in fase di incertezza, avessero già iniziato a sperimentare il contraddittorio generalizzato prima ancora dell’obbligo legale.
Con tali norme transitorie, il legislatore ha voluto assicurare un passaggio ordinato al nuovo regime, evitando contestazioni retroattive e vuoti normativi. La relazione illustrativa governativa ha ribadito che fino al 30/4/2024 nulla cambia rispetto a prima e che l’art. 6-bis va coordinato con le altre previsioni vigenti (come visto sopra).
In definitiva, dal 30 aprile 2024 il sistema tributario italiano conosce un principio di portata generale: il contraddittorio prima degli atti è la regola, non più l’eccezione. Ciò “adegua la protezione dei diritti dei contribuenti agli standard internazionali e unionali” – come sottolineato dall’IFEL (Fondazione ANCI) – e dovrebbe contribuire a migliorare il rapporto fisco-contribuente, aumentando la reciproca fiducia e la collaborazione. Va anche detto che questa riforma comporta un onere organizzativo non indifferente per l’amministrazione finanziaria e per gli enti locali, chiamati a gestire un numero elevato di interlocuzioni. Nei prossimi paragrafi esamineremo come, in concreto, viene svolto il contraddittorio e quali sono le strategie difensive a disposizione del contribuente.
Ambito di applicazione attuale del contraddittorio preventivo
Come spiegato, la regola generale ora è che quasi tutti gli atti tributari impugnabili devono essere preceduti da contraddittorio. Ma è utile definire meglio l’ambito di applicazione positivo e quello negativo, ossia quali atti sono soggetti all’obbligo e quali no (esclusioni), nonché in quali casi particolari l’obbligo può venir meno. Inoltre, occorre considerare l’applicazione del principio ai diversi enti impositori (Agenzia Entrate, Agenzia Dogane, Comuni, ecc.) e ai diversi tributi (erariali, locali, armonizzati UE, non armonizzati).
Atti soggetti all’obbligo di contraddittorio
Per atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria si intendono tutti quei provvedimenti che il contribuente può impugnare direttamente davanti al giudice tributario, ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. 546/1992 (come modificato dal 2022). Fra essi rientrano tipicamente:
- Avvisi di accertamento di qualsivoglia imposta (avviso di accertamento IRPEF, IRES, IVA, IRAP; avviso di rettifica e liquidazione registro, successioni, ecc.).
- Avvisi di liquidazione che liquidano tributi dovuti (es.: avviso di liquidazione dell’imposta di registro su un atto registrato, avviso di liquidazione delle imposte ipocatastali su successioni/donazioni, ecc.).
- Provvedimenti sanzionatori autonomi, come gli atti di contestazione o irrogazione di sanzioni tributarie (che sono impugnabili autonomamente).
- Atti della riscossione se autonomamente impugnabili: ad esempio la cartella di pagamento è impugnabile quando contiene per la prima volta la pretesa (tipicamente per omessi versamenti da dichiarazione); analogamente, l’ingiunzione fiscale in ambito locale. (Va precisato però che cartelle e ingiunzioni spesso derivano da controlli automatizzati su dichiarazioni, quindi in tali casi rientrano tra gli atti esclusi dal contraddittorio – v. oltre).
- Dinieghi o revoche di agevolazioni/rimborsi, quando la legge li annovera tra gli atti impugnabili (ad es. diniego di rimborso IVA, provvedimento che revoca un credito d’imposta o un bonus fiscale precedentemente riconosciuto). Anche qui, come visto, i dinieghi di rimborso potrebbero essere esclusi dall’obbligo se così previsto dal DM o dalla soglia di valore.
- Altri atti indicati dall’art. 19, D.Lgs. 546/92: ad esempio l’avviso di mora (oggi raro), l’iscrizione di ipoteca o il fermo amministrativo su beni del contribuente (anche se questi non sono “impositivi” ma misure cautelari – su questi l’applicazione del contraddittorio è dubbia; tendenzialmente no perché non determinano un nuovo tributo ma attuano la riscossione).
In generale, possiamo affermare che qualsiasi atto con cui l’amministrazione tributaria, centrale o locale, richiede un pagamento o nega un beneficio, deve essere anticipato da uno schema di atto e dal confronto. L’ambito è quindi onnicomprensivo sul fronte delle imposte: statali, regionali e locali senza distinzione. Ciò è stato confermato anche dall’inserimento di un nuovo comma 3-ter all’art. 1 dello Statuto, per cui le regioni e gli enti locali devono anch’essi rispettare i principi dello Statuto nei loro procedimenti, senza prevedere garanzie inferiori a quelle stabilite a livello nazionale. Prima della riforma vi era incertezza se lo Statuto vincolasse gli enti locali: ora è stabilito espressamente che sì, lo Statuto (incluso il nuovo art. 6-bis) si applica anche ai tributi locali.
Un caso peculiare è quello delle imposte doganali e accise: queste, pur non rientrando nel processo tributario ordinario ma in quello innanzi al giudice ordinario, sono tributi armonizzati UE e già da tempo soggetti al contraddittorio per via giurisprudenziale (v. caso Sopropé sulla dogana). La riforma non incide direttamente su di essi, ma è ragionevole ritenere che anche in tali procedimenti l’Agenzia delle Dogane applichi analogamente il principio partecipativo (anche in ossequio al diritto UE).
Atti esclusi dall’obbligo: il decreto ministeriale e i casi particolari
Come visto, l’art. 6-bis comma 2 elenca le categorie generali di atti esonerati dal contraddittorio obbligatorio. Possiamo dettagliare queste categorie alla luce del D.M. 24.4.2024 e delle norme interpretative:
- Atti “automatizzati” o “sostanzialmente automatizzati”: sono quegli atti emessi tramite procedure automatiche o in base a controlli massivi centralizzati, con scarsa o nulla discrezionalità dell’ufficio. Rientrano qui le comunicazioni di irregolarità conseguenti al controllo automatico delle dichiarazioni dei redditi e IVA (ex art. 36-bis DPR 600/73 e 54-bis DPR 633/72) – i cosiddetti avvisi bonari che segnalano, ad esempio, imposte dovute in più rispetto al dichiarato, calcoli di interessi, errori formali, ecc. Tali comunicazioni già di per sé offrono al contribuente 30 giorni per eventualmente fornire chiarimenti o pagare con sanzioni ridotte, e non sono provvedimenti impositivi definitivi ma atti “prenotativi” della cartella; il legislatore le ha escluse dal contraddittorio perché equivarrebbe a duplicare un dialogo che in qualche modo è già implicito (il contribuente può rispondere alla comunicazione senza dover attendere la cartella). Anche le cartelle di pagamento derivanti da controlli automatizzati (emesse se il contribuente ignora l’avviso bonario) sono escluse: infatti la fase di possibile interlocuzione è già avvenuta a monte con l’avviso bonario, e la cartella non aggiunge elementi nuovi ma cristallizza solo il debito dovuto.
- Atti di “pronta liquidazione”: in questa definizione rientrano quegli atti che scaturiscono automaticamente da adempimenti del contribuente stesso. Ad esempio: l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro o di altre imposte indirette quando si registra un atto notarile (l’ufficio liquida l’imposta dovuta in base ai dati dell’atto); oppure l’avviso di liquidazione per imposta di successione dopo la presentazione della dichiarazione di successione (l’ufficio calcola l’imposta e la notifica). Questi procedimenti sono in gran parte algoritmici: l’avviso riporta i calcoli secondo legge e spesso non c’è margine per osservazioni (salvo errori di calcolo, che possono essere corretti senza un formale contraddittorio, o in autotutela). Dunque si è ritenuto di non appesantirli con lo schema di atto.
- Atti di “controllo formale delle dichiarazioni”: qui si fa riferimento agli esiti del controllo formale ex art. 36-ter DPR 600/73, ovvero quelle comunicazioni/avvisi con cui l’ufficio, dopo aver riscontrato la dichiarazione con documenti e informazioni varie, rettifica errori materiali o richiede giustificazioni su oneri detraibili/deducibili. Anche queste comunicazioni (che poi sfociano in cartelle esattoriali se inevase) sono escluse dal contraddittorio: di norma il contribuente è già invitato in quell’ambito a fornire documentazione integrativa (pensiamo alle lettere che chiedono, ad es., le pezze giustificative di oneri detraibili) e, se non ottemperate o se confermano l’errore, l’ufficio liquida la maggiore imposta. Il contraddittorio formale è quindi considerato già integrato nella richiesta di documenti; non avrebbe senso un ulteriore schema di atto finale oltre a ciò.
- Atti conseguenti al controllo di crediti d’imposta inesistenti: questa fattispecie è stata esplicitata dalle norme di interpretazione (L. 67/2024). Si tratta degli atti di recupero quando l’amministrazione scopre che un credito d’imposta, magari utilizzato in compensazione dal contribuente, in realtà non spettava o era fittizio. In tali casi spesso l’azione immediata è essenziale (per bloccare la fruizione indebita). Per essi il legislatore ha previsto la non applicazione del contraddittorio preventivo, dovendosi procedere subito al recupero (ferma restando la possibilità di difendersi poi in giudizio). Ad esempio, se da incroci dati emerge che un contribuente ha compensato un “credito IVA” inesistente, l’ufficio emette direttamente un atto di recupero (magari con sanzione del 90% per credito inesistente) senza invitarlo a spiegare, perché verosimilmente non ci sono spiegazioni lecite da fornire se il credito è fittizio.
- Provvedimenti di diniego di istanze del contribuente: come detto, la legge ha chiarito che anche il diniego di un rimborso o di un’istanza di autotutela non rientrano tra gli atti da precedere da contraddittorio. Questo perché, concettualmente, il contraddittorio riguarda la formazione di un atto impositivo nuovo, mentre se il contribuente chiede un rimborso o un provvedimento e l’ente lo nega, siamo in un ambito diverso (decisione su istanza di parte). Inoltre, per i rimborsi spesso la motivazione del diniego è secca (es: fuori termine, o non spettante per legge): un contraddittorio anticipato non aggiungerebbe molto, se non complicare e rallentare l’erogazione dei rimborsi spettanti.
- Casi di urgenza per pericolo nella riscossione: questa non è una categoria di atti, ma una circostanza eccezionale. Qualunque atto, teoricamente anche uno normalmente soggetto a contraddittorio, può essere emesso senza contraddittorio se l’ufficio ritiene vi sia un fondato pericolo per la riscossione. In pratica è la codificazione dell’urgenza già contemplata dall’abrogato art. 12 comma 7 Statuto (che permetteva di saltare i 60 gg post-verifica in caso di urgenza motivata). I presupposti di tale urgenza non sono dettagliati nella norma, ma la prassi e la giurisprudenza indicano situazioni come: contribuente che sta per alienare beni, per trasferirsi all’estero, società in procinto di scioglimento, elementi concreti che facciano temere l’infruttuosità della riscossione se si attende. Ad esempio, se un soggetto sta svuotando i conti e vendendo immobili dopo essere stato verbalizzato, l’ufficio potrebbe emettere subito l’accertamento (anche per poter iscrivere ipoteca o bloccare i beni) senza attendere 60 giorni di contraddittorio, perché in quel lasso di tempo il patrimonio aggredibile potrebbe sparire. È un’arma a tutela del credito erariale, ma da usare con parsimonia e motivando in modo rigoroso. La motivazione nell’avviso dovrà spiegare i fatti concreti che integrano il pericolo di perdita della garanzia patrimoniale. In mancanza di una motivazione adeguata, il giudice potrà annullare l’atto per difetto di contraddittorio (implicitamente riconoscendo che l’urgenza addotta non sussisteva).
Da quanto sopra, risulta che le esclusioni mirano a mantenere snelle le attività di controllo standardizzate e ad evitare contraddittori inutili o dannosi per l’Erario. In ogni caso, va evidenziato che se un atto rientra tra gli esclusi, il contribuente non può dolersi della mancanza di contraddittorio: in sede di ricorso non avrebbe argomento, poiché la legge stessa lo esenta. Ad esempio, non avrebbe senso impugnare una cartella da liquidazione automatica lamentando di non aver avuto contraddittorio: il giudice rigetterebbe subito l’eccezione, essendo atto escluso ex lege. Diverso è il caso dell’urgenza infondata: qui l’eccezione può essere sollevata, eccependo che l’amministrazione ha illegittimamente invocato l’urgenza quando i presupposti non c’erano (ad es., in passato la giurisprudenza ha annullato accertamenti emessi prima dei 60 giorni post-PVC, perché l’urgenza era motivata solo genericamente con “esigenze di gettito” e simili, ritenute insufficienti).
Di seguito una tabella riepilogativa semplifica la distinzione tra atti soggetti e atti esclusi dal contraddittorio obbligatorio:
Atti Soggetti a Contraddittorio (esempi) | Atti Esclusi dal Contraddittorio (esempi) |
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Avvisi di accertamento imposte dirette, IVA, IRAP | Comunicazioni di irregolarità da controllo automatico (36-bis) |
Avvisi di rettifica e liquidazione (registro, successioni, ecc.) | Avvisi da controllo formale dichiarazione (36-ter) |
Atti di contestazione e irrogazione sanzioni (autonomi) | Avvisi di liquidazione “automatici” (calcolo imposte da dichiarazioni) |
Provvedimenti di recupero crediti d’imposta (non fraudolenti) | Atti di recupero crediti d’imposta inesistenti (es. compensazioni fraudolente) |
Dinieghi di agevolazioni se impugnabili (salvo diversa previsione) | Dinieghi di rimborsi tributari (in genere esclusi, specie se di modesto importo) |
Cartella di pagamento se primo atto impositivo (es. omesso versamento dichiarato) | Cartella di pagamento su esito 36-bis/36-ter (deriva da avviso bonario) |
Ingiunzione fiscale (primo atto impositivo locale) | Atti emessi in casi di urgenza pericolo riscossione (motivata nell’atto) |
Accertamenti esecutivi enti locali (IMU, TARI, ecc.) [vedi oltre] | – [il contraddittorio è regola generale, qui si elencano solo eccezioni] |
(Nota: l’asterisco indica che per gli enti locali si rimanda al paragrafo dedicato; i dinieghi di rimborso sono esclusi su base interpretativa; le categorie riportate sono esemplificative e non esaustive).
Tributi armonizzati vs non armonizzati: cosa cambia ora?
Uno dei punti focali del dibattito passato era la distinzione tra tributi armonizzati (soggetti a normativa comunitaria, principalmente l’IVA e i dazi) e tributi non armonizzati (imposte dirette come IRPEF, IRES, IRAP, e i tributi locali come IMU, TARI, ecc.). Come spiegato, fino al 2023 questa distinzione era decisiva: solo per i primi la giurisprudenza riconosceva un obbligo di contraddittorio in via generale (seppur con prova di resistenza), per i secondi no.
Con l’entrata in vigore dell’art. 6-bis, la distinzione perde gran parte della sua rilevanza in prospettiva futura: la regola legislativa si applica infatti a tutti i tributi, senza differenze. Dunque IVA, imposte sui redditi, tributi locali, ecc. sono tutti soggetti all’obbligo di contraddittorio secondo la normativa nazionale. In altri termini, il legislatore italiano ha scelto di andare oltre il minimo richiesto dal diritto UE e di offrire un contraddittorio generalizzato anche dove l’Unione non lo avrebbe imposto (es. IRPEF). Questo per garantire uniformità e parità di trattamento. La Corte Costituzionale aveva auspicato proprio tale equiparazione, osservando che nel procedimento di accertamento spesso convivono profili IVA e imposte dirette: era irragionevole che per l’IVA valesse il contraddittorio e per il resto no. Le nuove norme realizzano esattamente questa uniformità.
Ciò detto, rimangono due residui profili in cui la distinzione armonizzato/non potrebbe avere ancora spazio:
- Atti “ante 2024” in contenzioso – Se un contribuente impugna oggi (nel 2025) un avviso relativo, poniamo, all’IRPEF 2019 emesso senza contraddittorio (non obbligatorio allora), la controversia va decisa col vecchio regime: non essendoci obbligo all’epoca, la sua doglianza sarebbe respinta (come conferma Cass. ord. n. 19516/2025 che in luglio 2025 ha escluso contraddittorio per accertamenti a tavolino IRPEG 2009-2010). Viceversa, per un avviso IVA 2019 emesso senza contraddittorio, in giudizio il contribuente potrebbe ancora giovarsi del principio generale UE e chiedere l’annullamento, purché mostri la famosa prova di resistenza (come ribadito ad es. da Cass. ord. n. 5115/2025). Quindi, per i procedimenti pre-riforma, i tributi armonizzati godono tuttora – in sede contenziosa – di un trattamento più favorevole rispetto ai non armonizzati, riflesso di un principio che la riforma non può applicare retroattivamente. Addirittura, proprio nel 2025 le Sezioni Unite della Cassazione sono tornate sul tema con la sentenza Cass. SS.UU. 25 luglio 2025, n. 21271, la quale ha fatto il punto sui “tributi armonizzati e contraddittorio nelle verifiche a tavolino”. In essa le SS.UU. hanno confermato l’orientamento per cui, prima del 2024, per IVA anche nelle verifiche solo documentali esisteva l’obbligo di contraddittorio (in forza del diritto UE), mentre per imposte interne no. La sentenza SU 21271/2025, in particolare, ha affrontato un caso di omesso contraddittorio in un accertamento IVA a tavolino relativo a fatture fittizie (società cartiera), e ha ribadito che l’obbligo di ascolto discende direttamente dall’art. 41 della Carta UE e dai principi generali, non potendo dipendere dal tipo di controllo. Ciò a conferma che, ratione temporis, il diritto vivente pre-riforma resta quello scolpito nel 2015. Dunque, nei giudizi pendenti su annualità passate continuerà a vedersi eccepire contraddittorio per IVA (con esito incerto secondo la prova di resistenza) e non per IRPEF.
- Prova di resistenza vs annullabilità automatica – Il diritto unionale pone, come detto, la condizione che l’omissione del contraddittorio comporti annullamento dell’atto solo se il contribuente dimostra la potenziale utilità del confronto. La nuova legge italiana invece afferma l’annullabilità ipso iure (automatica) dell’atto se il contraddittorio manca, senza menzionare alcuna prova di resistenza. Questo crea un potenziale dilemma applicativo per i tributi armonizzati: la legge nazionale elimina la condizione della prova di resistenza (almeno espressamente), il che è più favorevole per il contribuente rispetto al diritto UE. Non vi è però contrasto, poiché gli Stati possono prevedere garanzie maggiori di quelle minime europee. Quindi, dal 2024 in avanti, anche negli accertamenti IVA, l’approccio dovrebbe essere: se l’ufficio viola l’obbligo di contraddittorio (dove dovuto) l’atto è annullabile su semplice eccezione del contribuente, senza onere per quest’ultimo di dimostrare il “che cosa avrebbe detto”. In sostanza, la nuova norma renderebbe superfluo il concetto di prova di resistenza nel futuro. Ciò è stato confermato anche dalla Relazione illustrativa governativa, che ha esplicitamente affermato che “la prova di resistenza non dovrebbe più trovare applicazione” alla luce del nuovo art. 6-bis. Attenzione: questo vale nell’ordinamento interno; resta teoricamente possibile che, in un contenzioso IVA post-riforma, un giudice dialoghi con la Corte di Giustizia su questo tema, ma è improbabile: se la legge italiana offre maggior tutela (annullamento ex se), ciò non lede certo il diritto UE, semmai lo rafforza, dunque non ci sarà ragione di disapplicarla.
In conclusione, dal punto di vista pratico oggi la differenza tra tributi armonizzati e non è assorbita dalla legge interna, salvo per i contenziosi pendenti su annualità pregresse (dove permane la distinzione di trattamento per come evoluta giurisprudenzialmente). Il contribuente quindi non deve più lambiccarsi su “questo è IVA quindi forse potevo essere sentito, questo è IRAP quindi no”: se il fatto accertato è del 2024 o successivo, qualsiasi imposta sia, ha diritto al contraddittorio preaccertativo salvo le eccezioni sopra viste.
Il contraddittorio negli enti locali (tributi locali)
Un capitolo di grande interesse è l’estensione del principio del contraddittorio ai tributi locali (IMU, TARI, imposta di pubblicità, canone unico patrimoniale, ecc.), amministrati da Comuni o altri enti territoriali. In passato, come detto, non esisteva uno statuto del contribuente locale e molti comuni raramente attivavano contraddittori formali, se non su base volontaria. La riforma cambia radicalmente lo scenario anche per loro.
Il nuovo art. 6-bis, essendo nello Statuto 212/2000, si applica anche agli atti degli enti locali che siano impugnabili dinanzi alle Commissioni Tributarie (ora rinominate Corti di Giustizia Tributaria). Ciò comprende in primis gli avvisi di accertamento IMU/TARI/IMI/etc. che i Comuni notificano, nonché gli atti di irrogazione sanzioni locali o ingiunzioni fiscali per tributi locali. Dunque, ad esempio, un avviso di accertamento IMU per omesso/parziale pagamento deve seguire la trafila del contraddittorio: il Comune dovrà comunicare al contribuente uno schema di atto di accertamento IMU, attendere 60 giorni le eventuali osservazioni, e poi solo dopo emettere l’atto definitivo tenendo conto di quelle osservazioni. Analogamente per una TARI: se dal confronto con le banche dati il Comune rileva superfici non dichiarate e vuole accertare maggiore tassa rifiuti, dovrà prima invitare il contribuente a un contraddittorio.
Questo comporta per i Comuni un notevole impatto organizzativo, come segnalato da IFEL (organo tecnico dell’ANCI) che parla di “enorme lavoro” di adeguamento. I Comuni dovranno dotarsi di regolamenti ad hoc per disciplinare le modalità del contraddittorio, in applicazione della norma statale. Infatti, l’art. 6-bis comma 4 (in combinato con l’art. 1, co. 3-ter Statuto) lascia agli enti locali il compito di definire: quali atti localmente prevedono il contraddittorio obbligatorio, quali eventuali atti di minore importanza magari saranno oggetto solo di contraddittorio facoltativo, come gestire i termini e le notifiche dello “schema di atto”, ecc., purché non si scenda sotto le garanzie minime fissate dalla legge. In mancanza di un tale regolamento, comunque la legge statale è direttamente applicabile, ma un regolamento comunale può aiutare a calare la disciplina nella realtà locale (es. individuando uffici competenti, modulistica di invito, casi di esclusione ulteriori se ammessi dalla norma generale, ecc.).
Va evidenziato che anche per i tributi locali valgono le stesse esclusioni viste sopra: quindi gli atti automatizzati o di liquidazione anche locali non richiedono contraddittorio. Ad esempio, se un Comune invia un avviso bonario TARI basato sul controllo automatizzato delle superfici (incrociando catasto e banca dati TARI), quello è un atto automatizzato e può essere escluso dal contraddittorio (sarà il DM MEF eventualmente ad includerlo negli atti esentati). Oppure, se notifica un’ingiunzione per riscuotere una tassa già liquidata in passato, non c’è contraddittorio perché è un atto della riscossione. Invece, l’avviso di accertamento IMU che rettifica il valore imponibile di un immobile, implicando un giudizio (es. “immobile non dichiarato” o “area edificabile vs agricola”), quello sì richiede contraddittorio.
Dal punto di vista del contribuente locale, questa è una novità di grande rilievo: prima per far valere le proprie ragioni bisognava attendere l’atto e poi ricorrere, ora c’è un passaggio precedente in cui può confrontarsi con l’ente. Spesso i Comuni commettono errori materiali (sbagli di metrature, aliquote, intestazioni) o hanno banche dati incomplete: il contraddittorio può consentire di chiarire e magari evitare l’accertamento. Immaginiamo un contribuente che riceve uno schema di atto IMU perché il Comune ritiene non dichiarata un’area edificabile; il contribuente in contraddittorio potrebbe dimostrare con documenti che quell’area ha un vincolo che ne abbassa il valore o la rende inedificabile, convincendo il Comune a ridurre o annullare la pretesa prima di emettere l’avviso definitivo. Questo meccanismo deflattivo è positivo sia per il cittadino sia per l’ente, che evita di dover gestire un contenzioso successivo e incassare con ritardo.
Occorre però cautela: se il contribuente ignora l’invito al contraddittorio del Comune (es. non risponde entro 60 giorni), poi non potrà lamentarsi. L’ente potrà procedere ed emettere l’accertamento; in giudizio, il fatto che il contribuente abbia scelto di non partecipare gioca a sfavore di quest’ultimo, perché l’ente potrà sostenere di averlo messo in condizione di difendersi e che l’eventuale omissione di elementi difensivi è colpa del contribuente stesso. Dunque è consigliabile, specie in ambito locale dove a volte c’è minor formalità, rispondere sempre agli inviti o presentarsi alle convocazioni fissate.
Da notare: l’art. 6-bis è formulato in modo da vincolare tutti gli organi della giurisdizione tributaria, quindi copre anche i tributi locali di competenza delle Province (es. IPT, RC auto regionali) e delle Regioni (IRAP regionale in caso di accertamenti dell’ente regione, Tosap/Cosap se ancora esistenti in qualche forma, ecc.). La portata, insomma, è completa.
Infine, gli enti locali dovranno aggiornare i propri regolamenti anche tenendo conto delle interazioni con gli istituti deflativi come l’accertamento con adesione: molti comuni già prima invitavano il contribuente a definire bonariamente l’imposta (specie per IMU) anche senza obbligo. Ora con il contraddittorio obbligatorio, si dovrà capire se l’invito al contraddittorio coinciderà con un invito all’adesione (così come per l’Agenzia delle Entrate spesso lo schema di atto contiene anche la proposta di adesione). È probabile che i Comuni adotteranno prassi analoghe all’Agenzia, magari predisponendo schemi di accertamento che includono l’indicazione: “puoi fare osservazioni entro 60gg o aderire all’accertamento con sconto sanzioni”, in modo da unire le due cose.
In sintesi, nei confronti dei debiti tributari verso Comuni ed enti locali, dal 2024 il contribuente ha gli stessi diritti di contraddittorio che ha verso l’Agenzia delle Entrate. Questo segna un forte avanzamento delle garanzie a livello decentrato, e impone agli enti locali di operare con maggiore trasparenza e comunicazione preventiva.
Contraddittorio per imprese, società e casi di contitolarità
Il diritto al contraddittorio spetta al “contribuente” inteso come soggetto passivo dell’obbligazione tributaria. Nel caso di società, enti o imprese collettive, l’invito al contraddittorio andrà rivolto alla persona giuridica o al soggetto passivo d’imposta, nella persona del suo legale rappresentante. Ad esempio, per una società di capitali sarà convocata la società (rappresentata dall’amministratore); per una società di persone, la società stessa (che però non ha personalità giuridica, ma è comunque soggetto d’imposta per IVA, IRAP e ora anche IMU).
Un tema interessante riguarda proprio le società di persone (snc, sas) e i relativi soci. In tali casi, com’è noto, le imposte sui redditi sono accertate in capo alla società ma poi trasferite per trasparenza ai soci (ognuno dichiara la quota di reddito accertato). Ebbene, in passato è sorta la questione se il contraddittorio svolto con la società potesse considerarsi automaticamente esteso anche ai soci oppure no. La Corte di Cassazione ha affrontato la cosa sancendo che il contraddittorio con la società di persone assorbe quello con i soci, nel senso che non occorre fare due volte la procedura (sarebbe ridondante) e che i soci non possono lamentare di non essere stati sentiti personalmente, purché la società – il cui rappresentante ovviamente difende anche gli interessi dei soci in quanto interessi coincidenti sulla determinazione del reddito – sia stata messa nelle condizioni di interloquire. D’altronde, i soci avranno modo di difendersi nel contenzioso eventualmente instaurato dalla società avverso l’accertamento. Un caso analogo si pone per le società di fatto o associazioni professionali: l’invito va al soggetto collettivo (associazione tra avvocati, studio associato, ecc.). Se alcuni partecipanti non vengono convocati singolarmente, non è un vizio, purché l’ente collettivo sia stato sentito. La ratio è evitare duplicazioni.
Diverso è il caso in cui vi siano soggetti co-obbligati solidali ma distinti, ad esempio due contribuenti acquirenti di un bene registrato, entrambi destinatari di un avviso di liquidazione imposta di registro: in tal caso se l’ufficio manda lo schema di atto solo a uno, l’altro potrebbe eccepire la mancata instaurazione del contraddittorio nei suoi confronti. Occorrerà quindi che l’ufficio convochi tutti i destinatari dell’atto.
Nel caso di controlli fiscali di gruppo (es. società controllante e controllate): se gli accertamenti sono distinti per ciascuna società, ciascuna ha diritto al proprio contraddittorio. Non basta aver ascoltato la capogruppo per legittimare accertamenti verso una controllata, se l’atto è diverso. Quindi ogni soggetto passivo è titolare autonomo della garanzia, salvo i casi di immedesimazione quali le società di persone sopracitati.
Un cenno merita il fallimento o liquidazione delle società: in tali casi l’invito va fatto al curatore fallimentare o al liquidatore, ossia al rappresentante in quel momento. Se l’azienda è cessata e priva di legale rappresentante, la situazione si complica: tendenzialmente l’ufficio notifica l’avviso al curatore o ai soci ex art. 2495 c.c., ma per il contraddittorio, se la società non esiste più, di fatto non c’è un soggetto con cui dialogare. Potrebbe configurarsi un caso in cui, essendo impossibile instaurare il contraddittorio per cessazione del soggetto, l’ufficio proceda comunque (un po’ come l’urgenza). La giurisprudenza dovrà affrontare situazioni del genere (contribuente irreperibile o estinto): probabilmente si tratterà di giustificare l’omissione come causa di forza maggiore.
Per quanto riguarda il contribuente deceduto, se l’ufficio deve accertare un’imposta relativa al deceduto, invita gli eredi (che sono i successori passivi). Anche qui, non è necessario invitare tutti gli eredi separatamente se uno solo ha assunto la rappresentanza comune (ad es. se uno ha fatto la dichiarazione di successione e rappresenta gli altri). Ma per sicurezza l’amministrazione tende a notificare gli atti a ciascun erede; similmente potrebbe inviare lo schema di atto a ciascuno. Non esistono al momento prassi note, sarà da vedere.
In generale, il principio è che il contraddittorio segue la figura del destinatario dell’atto. Se l’atto avrà più destinatari, tutti devono avere la chance di partecipare (o delegare uno di loro a rappresentarli). Se l’atto ha un solo destinatario giuridico (es. la SNC), basta quell’unico contraddittorio, anche se poi i suoi effetti si ripercuotono su altri (i soci).
Dal punto di vista delle imprese e società, il contraddittorio può essere un momento cruciale per chiarire situazioni contabili complesse. Spesso nelle verifiche a tavolino l’Agenzia delle Entrate rileva incongruenze nei bilanci o nei conti IVA e inviando lo schema di atto la società ha l’opportunità di far intervenire i propri professionisti (commercialista, tributarista) per spiegare quei numeri o fornire documenti che ancora non erano stati prodotti (contratti, perizie, ecc.). Ad esempio, una società riceve uno schema di accertamento IRES perché l’Ufficio vuole riprendere a tassazione alcuni costi ritenuti indeducibili: nel contraddittorio potrà produrre memorie per dimostrare l’inerenza di quei costi, allegare contratti che ne provino la correlazione ai ricavi, e magari convincere l’ufficio a desistere dalla contestazione. È, se ben utilizzato, un secondo esame che può ribaltare l’esito, senza arrivare al giudizio.
Non va però confuso il contraddittorio endoprocedimentale con l’accertamento con adesione: sono istituti diversi, pur potendo convivere. L’accertamento con adesione (D.Lgs. 218/1997) è un procedimento su richiesta del contribuente, successivo alla notifica di un avviso (o in alcuni casi attivato su invito, come da art. 5-ter previgente), che mira a definire bonariamente la pretesa con uno sconto di sanzioni. Il contraddittorio 6-bis è invece obbligatorio e preliminare rispetto all’avviso. Nulla vieta che il contribuente, ricevuto lo schema di atto, nelle sue osservazioni proponga lui stesso un’adesione (ad es. “riconosco in parte l’imposta, chiedendo riduzione sanzioni”). Anzi, il comma 3 dell’art. 6-bis menziona espressamente la possibilità che, tra le osservazioni, il contribuente presenti anche istanza di accertamento con adesione. In tal caso, l’invito al contraddittorio vale già come invito all’adesione e la procedura segue le regole del D.Lgs. 218/97, con sospensione dei termini ecc. (l’art. 6-bis richiama opportunamente il coordinamento con l’adesione). Quindi, per un’azienda potrebbe aprirsi la chance di negoziare una chiusura agevolata del caso già in contraddittorio, evitando di arrivare al contenzioso.
Procedura del contraddittorio: fasi e modalità operative
Vediamo ora come concretamente si svolge il contraddittorio preventivo e quali sono gli accorgimenti procedurali, sia dal lato dell’amministrazione che da quello del contribuente. Le fasi principali, come già anticipate nella norma, sono: invito/comunicazione dello schema di atto, scambio di memorie e documenti, eventuale incontro (non obbligatorio ma possibile), chiusura del contraddittorio con esito positivo o negativo, ed adozione dell’atto finale motivato.
Possiamo scandire il procedimento in modo ordinato:
- Predisposizione dello “schema di atto” da parte dell’ufficio – Quando l’ente impositore (es. Agenzia Entrate) ritiene di dover emettere un avviso di accertamento, inizia col preparare una bozza dell’atto, completa di ogni elemento (soggetto, periodo d’imposta, imponibili, imposta, sanzioni, motivazione con i rilievi contestati, norma violata, ecc.). Questo documento, di fatto un accertamento in forma di bozza, sarà l’oggetto del contraddittorio. In prassi, l’Agenzia sta adottando modelli di “invito a contraddittorio” molto simili a un avviso di accertamento per intestazione e contenuto, con la differenza che recano chiaramente la dicitura che trattasi di invito al contraddittorio ex art. 6-bis Statuto e non producono effetti esecutivi. Nel caso di enti locali, lo schema di atto potrebbe essere predisposto come una proposta di accertamento (ad es. “avviso di accertamento IMU in bozza”).
- Notifica della comunicazione di contraddittorio – Lo schema di atto va comunicato con modalità idonee a garantirne la conoscibilità, il che significa che deve essere notificato o comunicato con gli stessi criteri di importanza di un atto amministrativo. Solitamente, l’Agenzia Entrate lo notifica via PEC (Posta Elettronica Certificata) se il contribuente ha un domicilio digitale, oppure tramite raccomandata A/R o messo notificatore (stessa procedura degli atti fiscali). L’ente locale potrebbe usare la PEC per le imprese e raccomandata per le persone fisiche. La data di comunicazione segna l’inizio del termine concesso. Nella comunicazione devono essere indicati chiaramente: il termine (data) entro cui inviare osservazioni o chiedere accesso agli atti; la possibilità di chiedere copia degli atti del fascicolo; la facoltà di farsi rappresentare da professionisti; e i riferimenti dell’ufficio istruttore per eventuali contatti. In taluni casi, l’ufficio potrebbe direttamente fissare una data per un incontro orale (specie se la materia è complessa) – non c’è un obbligo di fissare l’audizione, ma è prassi gradita. Se l’ufficio non fissa incontro, il contribuente può comunque chiederlo nelle sue memorie.
- Accesso al fascicolo e documentazione – Se il contribuente lo richiede, l’ufficio deve consentirgli di vedere e ottenere copia di tutti gli atti istruttori su cui l’accertamento si basa. Ciò potrebbe includere: processi verbali di constatazione della Guardia di Finanza, perizie tecniche, segnalazioni di altri enti (es. rapporto dell’Agenzia delle Dogane o dell’INPS), risultanze da banche dati (es. movimentazioni finanziarie), ecc. Questo aspetto è cruciale: a volte il contribuente non conosce la fonte di certe contestazioni; ora ha diritto di saperlo. L’ufficio può organizzare l’accesso in sede (visione e ritiro copie) oppure, come spesso avviene, inviare in allegato allo schema di atto i principali allegati probatori (ad esempio, copia del PVC se c’è stato, estratti dei conti bancari contestati, ecc.). Con la digitalizzazione, è probabile che molti documenti saranno forniti via PEC in formato PDF. Il contribuente dovrebbe approfittare di questa facoltà per assicurarsi di avere il quadro completo.
- Termine a disposizione (almeno 60 giorni) – La legge fissa in 60 giorni minimo il termine concesso. L’ufficio può concedere anche di più (ma raramente lo farà, se non in casi di enorme mole di documenti). Durante questo periodo, tipicamente sospeso durante il mese di agosto? Su questo punto c’è un tecnicismo: il termine di 60 giorni per le osservazioni non è un termine processuale ma procedimentale, dunque la sospensione feriale dei termini processuali (1-31 agosto) di regola non si applica. Un’autorevole analisi (Euroconference) suggerisce che il termine di contraddittorio continua a decorrere anche ad agosto, salvo che in caso di simultanea presentazione di istanza di adesione, che sospende i termini di impugnazione e dunque anch’essa l’iter (questione tecnica: se entro 60gg il contribuente, invece di sole osservazioni, presenta istanza di accertamento con adesione, allora si innesta la sospensione feriale del termine di impugnazione, che però è successivo; interpretazione non pacifica). In assenza di indicazioni normative, è prudente non dare per scontato lo stop feriale: se ad esempio lo schema di atto è notificato il 10 luglio, i 60gg scadono l’8 settembre, indipendentemente delle ferie (anche perché le controdeduzioni non sono un atto giurisdizionale). Molti uffici comunque per prassi tengono conto delle ferie e se ricevono richiesta di breve proroga (purché motivata) la accordano. La norma non prevede formalmente proroghe (salvo il caso di concomitanza con scadenza decadenza, già risolto dalla proroga di 120gg). Il contribuente quindi deve organizzarsi per predisporre la risposta entro il termine indicato.
- Presentazione di memorie e documenti difensivi – Il contribuente, possibilmente assistito dal proprio professionista di fiducia, deve preparare le osservazioni scritte. Questo è il cuore della difesa: si tratta di redigere una memoria in cui si risponde punto per punto ai rilievi contenuti nello schema di atto. Ad esempio: se l’ufficio contesta ricavi non dichiarati basandosi su movimenti bancari, la memoria spiegherà la natura di quei movimenti (es. finanziamenti soci, giroconti, ecc.) allegando documenti giustificativi; se contesta costi perché ritenuti personali, la memoria fornirà elementi probatori dell’inerenza aziendale, e così via. È importante allegare tutta la documentazione utile (contratti, fatture, perizie, foto, e-mail, ecc.) che supporti le argomentazioni. Ogni affermazione dev’essere il più possibile provata o quantomeno convincente. Va ricordato che, se poi si arriverà in giudizio, questi documenti eventualmente nuovi dovranno essere prodotti di nuovo in quel contesto; ma intanto esibirli ora può magari convincere l’ufficio. Le memorie vanno inviate preferibilmente con mezzi tracciati: PEC all’indirizzo indicato, o raccomandata A/R, oppure consegna a mano all’ufficio (che protocolla). Non esiste un limite alla lunghezza delle memorie, ma è consigliabile essere sintetici e focalizzati sui punti contestati. Se il contribuente lo desidera, nella memoria può chiedere un contraddittorio orale: ad esempio può scrivere “si chiede di discutere le suddette osservazioni in sede di contraddittorio presso i Vs. uffici”. Spesso l’incontro orale è utile per chiarire a voce ciò che per iscritto è poco comprensibile, o per scendere a compromessi. Non c’è però un diritto assoluto all’audizione orale se non previsto; è a discrezione dell’ufficio concederla – ma in genere la concedono, specie per accertamenti di un certo rilievo economico o complessità.
- Svolgimento dell’eventuale incontro (audizione) – Se viene fissato un incontro, esso si svolgerà tipicamente presso l’ufficio accertatore (o da remoto, come ormai avviene spesso via videoconferenza). Saranno presenti il funzionario responsabile del procedimento e/o i verificatori che hanno curato la pratica, e dall’altro lato il contribuente e/o il suo difensore. L’incontro di solito è informale: si discutono i punti, l’ufficio può chiedere chiarimenti ulteriori, il contribuente può fornire spiegazioni orali più dettagliate. È essenziale mantenere un atteggiamento collaborativo e non conflittuale: ricordiamoci che siamo ancora in fase amministrativa e c’è spazio per convincere l’ufficio. Talvolta si possono trovare soluzioni intermedie: per esempio, l’ufficio potrebbe proporre di ridurre la pretesa su alcuni punti se il contribuente accetta di non contestarne altri, preludendo magari a un accertamento con adesione. Oppure l’ufficio, convinto dalle spiegazioni, potrebbe indicare che su alcuni rilievi farà marcia indietro (prendete però sempre con cautela le promesse verbali, attendendo i fatti). Di solito, di questi incontri viene redatto un breve verbale o scambio di e-mail a posteri, giusto per lasciare traccia di quanto emerso, ma non è obbligatorio verbalizzare. Se l’incontro non porta a totale accordo, l’ufficio chiuderà comunque il contraddittorio e procederà.
- Chiusura del contraddittorio ed eventuali esiti favorevoli – Una volta trascorsi i 60 giorni (o se prima il contribuente ha dichiarato di non aver altro da aggiungere), l’amministrazione fa il punto. Ci sono due scenari: (a) le difese del contribuente appaiono fondate in tutto o in parte; (b) le difese vengono ritenute insufficienti. Nel caso (a), l’ufficio può decidere di non emettere affatto l’avviso di accertamento (archiviazione totale) oppure di emetterlo in forma ridotta (parziale accoglimento). Ad esempio: su 5 rilievi contestati nello schema, 2 vengono ritenuti superati grazie alle prove fornite; l’accertamento finale conterrà solo i restanti 3. Se addirittura tutte le contestazioni cadono, il procedimento si chiude lì: l’ufficio notifica magari al contribuente una lettera di archiviazione o semplicemente non notifica nulla (silenzio-assenso, in pratica). Nel caso (b), invece, l’ufficio procederà a emettere l’atto impositivo come inizialmente ipotizzato (salvo magari piccoli aggiustamenti). Qualsiasi sia l’esito, va ricordato: l’onere di prendere in considerazione le osservazioni del contribuente è in capo all’ufficio, che deve valutarle con attenzione e buona fede, non può scartarle a priori. Un eventuale atteggiamento pregiudiziale dell’ufficio (del tipo: contraddittorio svolto pro-forma senza leggere nulla) oltre a essere deontologicamente scorretto, potrebbe riflettersi in un vizio di motivazione dell’atto finale, se emergente.
- Notifica dell’atto finale motivato – Se si decide di procedere con l’accertamento (in toto o in parte), questo viene notificato al contribuente come da prassi (PEC o altri mezzi). L’atto conterrà – come richiesto dal comma 4 – un paragrafo dedicato alle “Osservazioni del contribuente e valutazioni dell’Ufficio” in cui, per ciascun punto delle memorie difensive, l’ente spiegherà perché non le ha accolte. Ad esempio: “il contribuente ha sostenuto che il versamento bancario di €10.000 del 5/5/20 è un prestito familiare e ha prodotto dichiarazione sostitutiva del padre; tuttavia, tale giustificazione non è ritenuta probante poiché manca riscontro di effettiva restituzione, né la somma risulta contabilizzata come debito”. Questa parte è molto importante in caso di successivo ricorso: dimostra il rispetto (o meno) del contraddittorio. Se la motivazione dell’atto finale ignora completamente le osservazioni, limitandosi a ripetere le contestazioni iniziali, il contribuente in giudizio potrà evidenziare tale mancanza come indice di un procedimento viziato (anche se la legge non prevede espressamente sanzione, la giurisprudenza potrebbe annullare per difetto di motivazione). Una motivazione adeguata invece rende più solido l’atto, dovendo poi il contribuente confutare anche le contro-deduzioni dell’ufficio.
- Eventuale fase di definizione per adesione – Qualora l’accertamento finale venga notificato e il contribuente non concordi, egli ha ancora 60 giorni (più eventuale sospensione feriale) per presentare ricorso. Durante questi 60 giorni può attivare l’accertamento con adesione (se ne ricorrono i presupposti), che sospende per 90 giorni il termine per ricorrere. Curiosamente, la nuova disciplina ha creato una situazione per cui già c’è stato un contraddittorio prima, ma niente vieta un’ulteriore trattativa in sede di adesione dopo. In molti casi, se il contraddittorio è stato infruttuoso, è difficile che l’adesione porti a un esito diverso – salvo che il contribuente porti elementi nuovi o l’ufficio, volendo evitare il contenzioso, faccia concessioni. Ad ogni modo, l’adesione resta un istituto separato e volontario: se il contribuente l’aveva già proposta in contraddittorio e l’ufficio non ha voluto aderire, difficilmente cambi idea poi; viceversa, se il contribuente in contraddittorio aveva assunto una linea dura (nessuna ammissione) e invece, ricevuto l’atto, preferisce patteggiare, può proporre adesione e magari ottenere una riduzione.
Un aspetto cruciale da sottolineare: la mancata risposta del contribuente all’invito non blocca il potere di accertamento. Se il contribuente non invia osservazioni entro 60 giorni (e non chiede proroghe né adesione), l’ufficio decorso il termine emanerà l’accertamento come da schema iniziale, presumendo che non vi fosse nulla da eccepire. In giudizio, il contribuente non potrà trarre vantaggio dal proprio silenzio, nel senso che non può dire “siccome non ho partecipato ora l’atto è nullo”: anzi, semmai il giudice potrebbe considerare il fatto che egli abbia ignorato la chance difensiva come indizio a suo sfavore. Tuttavia, il contribuente conserva il diritto di difendersi in giudizio anche se non ha fatto memorie nel contraddittorio: potrà ancora presentare tutte le eccezioni e prove in sede processuale (non c’è preclusione in tal senso, a differenza di altri ordinamenti). Certo, sarebbe controproducente non sfruttare l’opportunità anticipata.
Schema riassuntivo – In breve, il timing di un accertamento fiscale post-riforma sarà:
- Notifica invito ex art.6-bis → (60 gg + eventuale incontro) → Fine contraddittorio →
- Se tesi contribuente accolte: archiviazione o accertamento parziale;
- Se tesi rigettate: avviso di accertamento emesso (motivatamente) → (60 gg) →
- Possibile adesione (90 gg)
- oppure direttamente ricorso in Commissione Tributaria.
Va aggiunto infine che il diritto al contraddittorio è indisponibile per l’ufficio: una volta che la legge lo impone, l’ufficio non potrebbe scegliere di non avviarlo (salvo urgenza). Se lo facesse, l’atto sarebbe annullabile. E non è sanabile con comportamenti successivi: ad esempio, se l’ufficio tenta di rimediare offrendo il contraddittorio dopo aver notificato l’atto (magari sospendendone gli effetti in autotutela), ciò non sana il vizio originario secondo la prevalente dottrina. L’unica via corretta se si accorgono di aver saltato il contraddittorio sarebbe annullare in autotutela l’atto e rinotificarlo dopo contraddittorio (operazione complessa e rara). Pertanto gli uffici dovranno prestare massima attenzione a rispettare la procedura.
Conseguenze della violazione del contraddittorio
Un punto nevralgico, specie in ottica contenziosa, riguarda cosa accade se l’amministrazione non rispetta l’obbligo di contraddittorio. Le possibilità sono: (a) non ha proprio attivato il contraddittorio pur dovendo; (b) lo ha attivato ma in maniera irregolare (vizi di forma o tempi non rispettati); (c) lo ha svolto ma poi ha ignorato completamente le osservazioni nella motivazione finale. Analizziamo le implicazioni di ciascuna situazione, distinguendo anche tra il regime attuale (post-riforma) e i principi formatisi prima (che, come visto, ancora possono rilevare per atti pre-2024).
Annullabilità dell’atto viziato (regime attuale)
L’art. 6-bis comma 1 stabilisce espressamente che l’atto emesso senza il preventivo contraddittorio (quando dovuto) è colpito da annullabilità. Ciò significa che, su ricorso del contribuente, il giudice tributario dovrà annullare l’atto se accerta che l’amministrazione ha omesso di instaurare il contraddittorio in violazione della norma. Non occorre – a differenza del passato – alcuna ulteriore prova da parte del contribuente circa il pregiudizio subito (nessuna “prova di resistenza” richiesta). Basterà dimostrare che l’atto rientrava tra quelli per cui c’era l’obbligo e che l’ufficio lo ha emesso senza previa comunicazione dello schema e senza attendere i 60 giorni. In tal caso, il vizio è procedurale e comporta l’annullamento integrale dell’atto impugnato. L’ufficio eventualmente potrà riemettere un nuovo avviso (se i termini di decadenza lo consentono, tenendo conto della sospensione eventualmente dovuta al giudizio in corso), stavolta rispettando il contraddittorio. Si tratta di una tutela forte per il contribuente: l’effetto deterrente per l’amministrazione è notevole, in quanto un errore procedurale la costringe a rifare da capo l’intero accertamento, e se nel frattempo i termini son scaduti ha perso a causa di ciò la possibilità di accertare quel tributo (cosa che difficilmente un funzionario vorrà rischiare).
Esempio: Agenzia Entrate notifica nel 2025 un avviso di accertamento IRES ad Alfa Srl senza aver inviato alcun invito al contraddittorio. Alfa Srl propone ricorso eccependo la violazione dell’art. 6-bis. Il giudice verifica che non ricorrevano cause di esclusione (non è un atto automatizzato, non c’era urgenza) e che l’ufficio ha effettivamente saltato la fase del contraddittorio. In applicazione dell’art. 6-bis, il giudice annulla l’avviso in toto per violazione di legge sul procedimento. L’Agenzia, se può, dovrà riprendere l’iter da capo: invito, attesa 60 gg, ecc., e poi un nuovo avviso (sempreché i termini di decadenza glielo consentano; se fossero nel frattempo trascorsi, il tributo sarebbe perso).
Va detto che la scelta del legislatore di qualificare il vizio come “annullabilità” e non “nullità” implica anche un altro aspetto: l’onere di eccezione spetta al contribuente nei primi atti del giudizio. Infatti l’art. 7-bis Statuto (introdotto dal D.Lgs. 219/2023) elenca tra i motivi di annullabilità anche la violazione delle norme sul procedimento e sulla partecipazione del contribuente. I motivi di annullabilità devono essere sollevati dal ricorrente, e non sono rilevabili d’ufficio dal giudice. Pertanto, se il contribuente dimentica di eccepire nel ricorso la mancata attivazione del contraddittorio, non potrà più farlo successivamente e il giudice non potrà annullare l’atto d’ufficio su quel fondamento (sopperendo magari alla dimenticanza). Ciò rende fondamentale per i difensori controllare bene il rispetto dell’art. 6-bis e, in caso negativo, inserirlo tra i motivi di ricorso. In passato, poiché non c’era norma generale, alcuni difensori talora trascuravano l’eccezione sul contraddittorio (specie nei tributi non armonizzati, ritenendola inutile data la giurisprudenza contraria); ora che c’è la norma, quell’eccezione diventa vincente, quindi è essenziale non dimenticarla.
E se il contraddittorio è stato attivato ma in modo non corretto? Ad esempio: l’ufficio invia lo schema di atto ma concede solo 30 giorni invece di 60, e poi notifica l’avviso. Oppure notifica lo schema e l’avviso quasi contestualmente, senza attendere i 60 giorni completi. O ancora, notifica lo schema ma non permette l’accesso agli atti richiesti dal contribuente. In tutte queste ipotesi si ha una violazione procedimentale della norma, equiparabile alla mancata attivazione. La giurisprudenza con ogni probabilità assimilerà le gravi irregolarità all’omissione, perché altrimenti basterebbe alle Entrate comunicare lo schema e dare 5 giorni di tempo per salvarsi, cosa chiaramente contraria alla ratio. Quindi un avviso emesso senza attendere il termine (salvo urgenza vera) dovrebbe essere dichiarato annullabile per lo stesso motivo: violazione dell’art. 6-bis (e del principio del termine a difesa). Similmente, se all’accesso agli atti viene opposto un diniego ingiustificato, il contribuente potrà lamentare di non aver potuto efficacemente controdedurre; non c’è una giurisprudenza ancora, ma è presumibile che i giudici valuteranno caso per caso la “sostanzialità” del vizio: ad esempio, se l’ufficio non ha consegnato i documenti ma il contribuente già li conosceva perché era egli stesso ad averli prodotti, il giudice potrebbe ritenere che la lesione difensiva è minima; viceversa se l’ufficio ha tenuto nascoste delle prove impedendo una difesa compiuta, l’atto finale potrebbe essere inficiato.
Va ricordato che la violazione del contraddittorio rientra, come natura, tra i vizi procedurali dell’atto (violazione di legge sul procedimento), non nel merito. Pertanto, il giudice che annulla per questo vizio di regola non entra neppure nel merito della pretesa tributaria (non valuta se l’imposta era dovuta o no), perché l’atto è annullato ab origine per vizio formale. Fa eccezione il caso in cui il contribuente lamenti sia la violazione procedurale sia l’infondatezza nel merito: in teoria, il giudice potrebbe accogliere subito per vizio di contraddittorio senza analizzare il merito, ma c’è chi suggerisce che, in un’ottica di economia processuale, potrebbe comunque scrutinare anche il merito per evitare un secondo giudizio qualora l’ufficio reiteri l’accertamento. Si vedrà nella prassi, ma formalmente l’annullamento per vizio procedurale rende superfluo esaminare altro.
La “prova di resistenza”: retaggio per atti pre-riforma (e tributi armonizzati in passato)
Come ampiamente spiegato, nel vigore pregresso per ottenere l’annullamento di un atto (armonizzato) privo di contraddittorio, il contribuente doveva adempiere alla prova di resistenza, ossia dimostrare in giudizio che l’interlocuzione mancata avrebbe potuto portare a esito diverso. Questa prova consisteva, in pratica, nell’anticipare al giudice le proprie difese di merito che avrebbe svolto in contraddittorio: “se mi avessero ascoltato avrei spiegato XYZ, provando che la pretesa è in parte infondata”. Se tali difese apparivano non pretestuose e potenzialmente idonee a ridurre l’accertamento, allora il giudice annullava l’atto per vizio procedurale. Se invece il contribuente non indicava nulla di concreto o le sue argomentazioni risultavano chiaramente infondate, l’assenza di contraddittorio veniva considerata irrilevante e l’atto restava valido.
Questa impostazione, derivata dalla giurisprudenza UE e consolidata con Cass. SU 24823/2015, ha trovato applicazione fino agli accertamenti dell’era pre-6-bis (e, come detto, troverà ancora applicazione residua per atti di anni passati in contenzioso). Esempio tipico: accertamento IVA 2018 notificato senza contraddittorio. In ricorso 2019 il contribuente eccepisce la cosa: il giudice, applicando la prova di resistenza, chiede “cosa avrebbe detto il contribuente se interpellato?”. Se la risposta è convincente (es. avrebbe fornito una contabilità mancante che ora produce e che effettivamente riduce l’imponibile), ecco che l’atto è annullato per vizio di contraddittorio; se la risposta è “non so, volevo solo farmi sentire” oppure “avrei detto che le norme UE sono ingiuste” (quindi nulla di sostanziale), allora l’eccezione è respinta e l’accertamento valido.
Come evidenziato, dal 2024 la prova di resistenza non è più formalmente richiesta per gli atti soggetti ad art. 6-bis. Ciò significa che se oggi un contribuente impugna un accertamento IRPEF 2024 senza contraddittorio, il giudice non dovrà affatto indagare se quelle osservazioni avrebbero avuto pregio: gli basterà constatare il vizio procedurale. Questo cambia l’approccio difensivo: in passato molti avvocati tributaristi si affannavano (saggiamente) a “inventare” possibili ragioni difensive da enunciare, anche solo per non far apparire pretestuosa l’eccezione procedurale; d’ora in avanti, ciò non servirà più per gli atti cui la nuova legge si applica.
Tuttavia, un avvocato accorto potrebbe comunque inserire qualche elemento di merito nel ricorso, anche se non strettamente necessario, per due ragioni: primo, per mostrare al giudice la concretezza della difesa (male non fa, anzi può rendere più sensibile il giudicante alla violazione procedurale se vede che c’erano effettivamente cose da dire); secondo, nel caso di tributi armonizzati, per evitare qualsiasi riflesso strano se mai un giudice volesse comunque applicare la vecchia logica. Ad ogni modo, non è più una condizione di legge.
In quali casi dunque la prova di resistenza rimane rilevante? Essenzialmente in due situazioni:
- Atti di tributi armonizzati emessi prima del 2024 ancora sub iudice – Come detto, un IVA 2021 senza contraddittorio tuttora va col filtro della prova di resistenza. Lo stesso vale per un dazio doganale 2020. Finché ci saranno cause in corso su annualità pregresse, i giudici continueranno ad usare quell’approccio (lo confermano Cass. 5115/2025 e Cass. 2795/2025 – quest’ultima ordinanza ribadisce pedissequamente: per IVA obbligo c’è, ma nullità solo con prova che esito poteva differire).
- Atti formalmente esclusi dal 6-bis ma per i quali il contribuente tenti comunque di far valere il contraddittorio come principio generale – Ad esempio, una comunicazione di irregolarità IVA 2024: il contribuente in teoria non ha diritto al contraddittorio ex lege, ma prova comunque a eccepire in giudizio che, essendo tributo armonizzato, avrebbe avuto diritto a essere sentito (tesi ardita visto che la legge lo esclude). Se mai una simile eccezione venisse considerata, allora sicuramente il giudice dovrebbe richiedere la prova di resistenza (ma è improbabile che gliene dia atto, stante l’esclusione espressa: quell’atto non è “illegittimo” per mancanza contraddittorio perché la legge lo consente).
- Casi di urgenza contestata – Non è esattamente una prova di resistenza, ma una considerazione: se l’ufficio ha saltato il contraddittorio per urgenza, e il contribuente contesta la sussistenza di tale urgenza, in giudizio il contribuente dovrà convincere il giudice che in effetti quell’urgenza non c’era e che sarebbe servito il confronto. In questo forse un giudice potrebbe, prima di annullare, domandarsi se il contribuente avesse comunque elementi validi o se l’urgenza è solo pretesto dell’ufficio per evitare difese. Non è uno scenario tipico di prova di resistenza, ma è l’unico margine in cui la discussione su “cosa avrebbe potuto emergere” potrebbe contare. Se, ad esempio, l’ufficio invoca urgenza perché l’imprenditore stava chiudendo l’azienda, ma in giudizio il contribuente dimostra che in realtà l’azienda era solida e continuativa, allora l’urgenza decadrà e l’atto sarà annullato. Qui più che di prova di resistenza parliamo di onere di confutare l’urgenza.
Per completezza, ricordiamo che in dottrina la prova di resistenza è stata a lungo criticata, in quanto rendeva la tutela del contraddittorio condizionata e dunque, secondo alcuni, snaturava il diritto di difesa. La riforma ne ha fatto giustizia, allineandosi a un’impostazione più garantista. La Corte Costituzionale stessa, nella sentenza 47/2023, pur non imponendo costituzionalmente il contraddittorio in ogni caso, aveva comunque fatto notare come ormai il contraddittorio procedimentale fosse da considerare parte del giusto procedimento e quindi strettamente connesso al diritto di difesa. Si può dire che il nostro ordinamento, con l’art. 6-bis, recepisce quella indicazione e afferma: se difesa dev’essere, lo sia pienamente, senza chiedere al contribuente l’ulteriore onere di provare che la difesa sarebbe servita.
Vizi nella motivazione dell’atto finale relativi al contraddittorio
Un’ulteriore conseguenza della disciplina del contraddittorio riguarda la motivazione dell’atto definitivo. Come visto, l’art. 6-bis comma 4 impone di motivare anche in riferimento alle osservazioni del contribuente rimaste non accolte. Dunque, un vizio possibile è che l’accertamento finale sia carente di motivazione sotto questo profilo: se l’ufficio ignora totalmente le memorie difensive del contribuente e non ne fa menzione nell’avviso, il contribuente potrebbe impugnarlo per motivazione insufficiente, in violazione tanto dell’art. 6-bis co.4 che dell’art. 7 dello Statuto (obbligo di motivazione degli atti). La giurisprudenza dovrà valutare la “soglia” di motivazione necessaria: probabilmente non serve che l’atto risponda a ogni singola riga delle memorie, ma almeno ai punti salienti sì. Se ad esempio nelle memorie c’erano 5 argomentazioni e l’atto ne replica solo a 2, tacendo sulle altre 3, il contribuente in ricorso segnalerà che quei 3 aspetti non sono stati considerati e dunque l’atto è viziato (oppure, si potrebbe argomentare che per implicito l’ufficio li ha rigettati, ma sarebbe cattiva pratica). È presumibile che i modelli di accertamento dell’Agenzia standardizzeranno questo paragrafo, in modo da “coprire” tutte le osservazioni, magari raggruppandole per tema. Comunque, un atto emanato dopo contraddittorio dovrà essere più ricco nella spiegazione, e se non lo è rischia di essere annullato per carenza di motivazione. Questo contenzioso sulla motivazione sarà verosimilmente minoritario (gli uffici faranno attenzione), ma è un aspetto che i difensori potranno sfruttare quando capita.
C’è anche la situazione opposta: il contribuente non fa osservazioni. In tal caso, l’obbligo di motivare “con riferimento alle osservazioni” cade, perché non ce ne sono. L’ufficio potrà nell’avviso finale specificare: “Invitato a controdedurre, il contribuente non ha presentato osservazioni, pertanto l’atto è emesso confermando integralmente i rilievi contestati nello schema inviato”. Questo è sufficiente. Se il contribuente non ha nulla da dire, non può poi eccepire che l’atto è immotivato: sarebbe contraddittorio (in senso logico!).
Riassumendo le conseguenze: con il nuovo regime, la sanzione per la mancata o irregolare instaurazione del contraddittorio è l’annullamento dell’atto su eccezione del contribuente; non c’è più spazio per “sanatorie” in giudizio tramite prove di resistenza. Il contraddittorio, da argomento dibattuto e spesso frustrato in passato, diventa ora uno strumento potente nelle mani del contribuente per far valere i propri diritti, e un obbligo stringente per l’amministrazione, la cui violazione comporta la caducazione dell’atto impositivo (con possibili riflessi di responsabilità anche interni, come per qualunque atto annullato).
Va aggiunto che persistono comunque tutte le altre possibili censure di legittimità dell’atto finale: il contribuente può contestarne sia il merito (i calcoli, i presupposti) sia altri vizi formali. Il contraddittorio si affianca a queste tutele, non le sostituisce. Ad esempio, un avviso notificato senza contraddittorio e magari anche oltre i termini di decadenza: il ricorrente giustamente eccepirà entrambe le cose (decadenza e contraddittorio), ciascuna potenzialmente decisiva.
Prima di passare alle FAQ e ai casi pratici, sottolineiamo un ultimo scenario: cosa succede se l’amministrazione “salta” il contraddittorio assumendo (magari erroneamente) che l’atto rientri tra le esclusioni? Potrebbe capitare che l’ufficio qualifichi un atto come automatizzato e quindi non faccia invito, ma poi in giudizio si scopre che non era così automatico (ad es. un funzionario ha dovuto valutare un certo aspetto). In tal caso, il giudice potrebbe decidere che quell’atto non rientrava nelle esclusioni e quindi doveva seguire il contraddittorio: conseguenza, annullamento. Insomma, anche la qualificazione di “atto escluso” potrebbe essere oggetto di contesa. La legge delega su questo ha dato uno strumento: il DM definisce categorie, ma non può prevedere ogni casistica. Starà alla giurisprudenza nel dubbio preferire la garanzia (ubi dubbium, pro contribuente, verrebbe da dire). Quindi gli uffici faranno bene a usare con cautela l’etichetta di “sostanzialmente automatizzato” come scappatoia.
Domande Frequenti (FAQ) sul contraddittorio preaccertativo
Di seguito una serie di domande e risposte che riassumono in forma concisa i principali dubbi e aspetti pratici relativi al diritto al contraddittorio nella fase pre-accertativa, dal punto di vista del contribuente.
- D: Che cos’è, in parole semplici, il contraddittorio nella fase preaccertativa?
R: È il diritto del contribuente ad essere informato anticipatamente delle contestazioni fiscali a suo carico prima che venga emesso un accertamento definitivo, e di poter presentare le proprie difese (documenti, spiegazioni) per cercare di convincere l’ufficio a modificare o annullare la pretesa. In pratica, l’ufficio deve “contraddire”, cioè dialogare, con il contribuente: prima gli manda una bozza di avviso (detta schema di atto o invito) e poi valuta le risposte del contribuente. È uno strumento di garanzia che serve ad evitare errori e a rendere più giusto il procedimento. Se svolto correttamente, a volte il contraddittorio può far sì che l’accertamento venga ridotto o addirittura non venga più emesso, perché il contribuente ha chiarito tutto. - D: Da quando esiste questo diritto generalizzato?
R: Dal 30 aprile 2024, data dalla quale è entrato in vigore il nuovo art. 6-bis dello Statuto del contribuente, introdotto con la riforma fiscale 2023/2024. Prima di allora esistevano forme di contraddittorio solo in alcuni casi specifici (es. verifiche in loco, accertamenti da studi di settore, IVA secondo principi UE), ma non per ogni tipo di accertamento. La svolta è appunto avvenuta con il D.Lgs. 219/2023 che ha previsto l’obbligo quasi universale del contraddittorio endoprocedimentale. - D: Quando è obbligatorio attivare il contraddittorio?
R: Sempre, per quasi tutti gli atti impositivi “importanti”. In generale, ogni qualvolta l’ufficio sta per emettere un avviso di accertamento o altro atto che il contribuente potrebbe impugnare, deve prima inviare lo schema di atto e attendere almeno 60 giorni per le controdeduzioni. Fanno eccezione solo le categorie di atti indicate dalla legge come escluse (vedi domanda seguente) e i casi di estrema urgenza. Quindi, ad esempio, è obbligatorio il contraddittorio prima di: avvisi di accertamento fiscale (IRPEF, IRES, IVA, IRAP), avvisi di liquidazione (registro, successioni), atti di contestazione di sanzioni, accertamenti esecutivi dei comuni (IMU, TARI), ecc. – purché l’atto non sia un mero ricalcolo automatizzato. Anche gli atti di recupero di crediti d’imposta indebitamente fruiti sono in genere soggetti, a meno che non siano casi di frode (crediti inesistenti) dove la norma li esenta per rapidità. In sintesi, quasi tutti gli accertamenti tributari richiedono contraddittorio. Persino per le sanzioni amministrative tributarie, se notificate con atto autonomo, va fatto contraddittorio (la legge non le esenta). - D: Ci sono casi in cui l’amministrazione non è tenuta ad attivare il contraddittorio preventivo?
R: Sì, la legge prevede alcune eccezioni precise. I principali casi in cui non sussiste il diritto al contraddittorio sono:
– Gli atti emessi da procedure automatizzate o di controllo formale, come le comunicazioni di irregolarità (i famosi avvisi bonari dopo il controllo dichiarazioni) e gli esiti dei controlli formali, nonché le relative cartelle di pagamento. Questi atti, essendo di tipo automatico, non richiedono un contraddittorio preventivo secondo la norma (che infatti li esclude).
– Gli atti di liquidazione automatica di tributi (ad esempio liquidazione dell’imposta di registro su una compravendita, basata sugli elementi dell’atto notarile). Sono considerati anch’essi atti sostanzialmente automatici e quindi esclusi.
– I provvedimenti di recupero di crediti d’imposta inesistenti o fraudolenti. Se il Fisco scopre un credito fasullo, può emettere subito l’atto di recupero senza contraddittorio, per evitare che il contribuente ne approfitti ulteriormente (questo è stabilito dalla norma di interpretazione autentica).
– I dinieghi di rimborso tributario. La legge ha chiarito che anche quando il Fisco rifiuta un rimborso richiesto dal contribuente, non è tenuto a invitarlo al contraddittorio prima (probabilmente perché in quel caso è il contribuente che ha chiesto, e il Fisco risponde motivando il diniego, quindi un ulteriore contraddittorio sarebbe ridondante).
– Casi di urgenza per pericolo nella riscossione: qui l’obbligo in teoria c’era, ma la legge consente all’ufficio di saltarlo in quel caso eccezionale (ad esempio se c’è il rischio concreto che il contribuente sottragga beni o si renda insolvibile). Ovviamente l’ufficio deve motivare bene perché c’era urgenza. Se c’è urgenza vera, il contraddittorio non è dovuto (perché bisogna agire subito). Fuori da queste ipotesi, in tutti gli altri casi l’obbligo rimane. Ad esempio: un accertamento basato su indagini finanziarie non è atto automatico – va preceduto da contraddittorio. Un accertamento IMU per un immobile non dichiarato – va preceduto (non è automatico perché c’è un’attività valutativa). - D: Cosa succede se l’ufficio non rispetta l’obbligo e notifica un accertamento senza aver fatto il contraddittorio?
R: In base alla nuova normativa, l’accertamento è annullabile dal giudice su ricorso del contribuente. In altre parole, la violazione del contraddittorio è un vizio procedurale che rende l’atto invalido. Il contribuente, nel proporre ricorso, deve evidenziare che non è stato invitato al contraddittorio, e il giudice – verificato che l’atto rientrava tra quelli soggetti e non c’erano ragioni di urgenza o similari – lo annullerà per violazione di legge. L’atto annullato viene eliminato e, se i termini sono ancora aperti, l’ufficio dovrà eventualmente rifare la procedura correttamente (invito, ecc.) e notificare un nuovo atto. Se invece nel frattempo i termini di accertamento sono decaduti, l’ufficio perde la chance: il contribuente non dovrà nulla perché l’accertamento è stato annullato e non può essere reiterato oltre i termini (se ci provassero, sarebbe nullo per decadenza). Quindi, in sintesi, l’atto emesso saltando il contraddittorio può essere fatto annullare in commissione tributaria dal contribuente. - D: Serve ancora che il contribuente dimostri che avrebbe avuto “qualcosa da dire” (la cosiddetta prova di resistenza) per ottenere l’annullamento?
R: No, non per gli atti soggetti alla nuova disciplina. Fino a qualche tempo fa, per gli accertamenti IVA ad esempio, la giurisprudenza richiedeva che il contribuente, oltre a lamentare il mancato contraddittorio, indicasse anche le concrete ragioni difensive che avrebbe potuto far valere (in modo da provare che il confronto avrebbe potuto cambiare l’esito). Ora questa impostazione non è più necessaria con l’art. 6-bis: l’obbligo è sancito per legge e la sua violazione comporta annullamento a prescindere dalle ragioni di merito. Quindi il giudice non richiederà al contribuente di entrare nel merito: basterà la violazione formale per far decadere l’atto. Ovviamente, nel ricorso il contribuente può comunque anticipare anche le sue ragioni di merito (non è vietato), ma non è una condizione essenziale per vincere sul vizio di procedura. - D: Come si svolge in pratica il contraddittorio? Cosa deve fare il contribuente quando riceve l’invito?
R: Quando l’ufficio avvia il contraddittorio, di solito invia un “Invito a comparire” o una “Comunicazione preventiva di accertamento” con allegata una proposta di atto (schema di avviso). Nella lettera c’è scritto più o meno: “Ai sensi dell’art. 6-bis L.212/2000 le comunichiamo il progetto di accertamento per l’anno X, che contestualmente Le inviatiamo a discutere. Ha 60 giorni di tempo per far pervenire osservazioni e/o chiederci documenti e un eventuale incontro.”. A quel punto, il contribuente può fare due cose:- Accedere agli atti: se vuole vedere su cosa si basa l’ufficio, può chiedere (anche via email PEC) di visionare il fascicolo. Spesso l’ufficio invia già molti elementi, ma se qualcosa manca è un diritto averlo.
- Preparare le osservazioni: conviene scrivere una memoria difensiva entro i 60 giorni, punto per punto, allegando documenti e spiegazioni. Questa è l’occasione per far valere le proprie ragioni prima che l’accertamento venga chiuso. Inoltre, il contribuente può chiedere un incontro orale (di persona o da remoto) per discutere. Spesso è utile, specialmente per chiarire aspetti complessi o per negoziare possibili soluzioni (es. definire alcune contestazioni e mollarne altre).
- D: Il contraddittorio può portare a evitare del tutto l’accertamento? È davvero efficace difendersi in quella sede?
R: Sì, può succedere. Se il contribuente fornisce spiegazioni convincenti e documenti solidi, l’ufficio potrebbe accogliere in pieno le sue ragioni e archiviare il procedimento. Ad esempio, se contestavano ricavi non dichiarati ma tu dimostri che erano finanziamenti e non ricavi, l’ufficio potrebbe non emettere alcun avviso. Oppure può succedere parzialmente: magari c’erano 5 rilievi, ne mollano 3 e accertano solo i restanti 2. Dipende molto dalla fondatezza delle difese e anche dall’elasticità dell’ufficio (ci sono uffici più “dialoganti” e altri più rigidi). In ogni caso, tentare è certamente utile: nella peggiore delle ipotesi, se non ti ascoltano, avrai comunque già preparato il materiale che userai poi in ricorso. Nella migliore, eviti proprio il contenzioso. Inoltre, partecipare al contraddittorio ti consente di capire meglio la posizione dell’ufficio (magari emergono elementi che non conoscevi) e quindi di prepararti meglio per un eventuale ricorso. Insomma, conviene sempre far valere le proprie ragioni in contraddittorio: può evitare errori clamorosi dell’ufficio (che a volte si basava su dati incompleti) e può portare a soluzioni più favorevoli. Diversi studi evidenziano che il contraddittorio, se ben gestito, deflaziona un bel po’ di future liti. - D: Se l’ufficio fissa un incontro, devo andarci di persona? E se sono un privato non esperto?
R: Non necessariamente devi andarci tu di persona (a meno che tu voglia). Il contribuente può farsi rappresentare da un professionista di fiducia (es. il commercialista, un avvocato tributarista) munito di delega. Per un privato cittadino non abituato a queste cose, è anzi consigliabile farsi assistere, perché il dialogo può vertere su questioni tecniche. Nulla vieta comunque che tu sia presente insieme al tuo consulente. L’importante è che all’incontro vengano portati tutti i chiarimenti e si risponda alle domande dell’ufficio in modo collaborativo. Se non puoi andare il giorno proposto, puoi chiamare e spostarlo (di solito sono abbastanza flessibili, entro i limiti dei 60 giorni). E se sei impossibilitato fisicamente a partecipare, si può chiedere di fare una videochiamata (ormai post-Covid molti contraddittori avvengono via Teams o Skype con buoni risultati). - D: Se il contribuente non partecipa al contraddittorio (non invia nulla in 60 giorni), cosa accade?
R: Se ignora l’invito, l’ufficio semplicemente, trascorsi i 60 giorni, emetterà l’atto finale come era stato prospettato. In pratica, perderà un’opportunità di difendersi anticipatamente. Inoltre, questa scelta potrebbe essere vista male in seguito: se poi fai ricorso, l’ufficio certamente evidenzierà al giudice che “il contribuente è stato invitato a chiarire ma non ha fornito alcun elemento in sede amministrativa”. Non è che per questo perdi il ricorso automaticamente, però parti col piede sbagliato, perché sembra che tu non avessi proprio argomenti (altrimenti li avresti detti prima, no?). Quindi, a meno di casi particolarissimi, è sconsigliabile non partecipare. Fai valere sempre le tue ragioni. Ci sono magari strategie difensive per cui uno preferisce “non scoprire le carte” subito – ma con la nuova disciplina conviene scoprirle, perché potresti chiudere lì la partita. In sintesi: se non partecipi, l’accertamento arriva lo stesso e perdi quel vantaggio procedurale che la legge ti offriva. - D: Il contraddittorio esiste anche nel processo tributario?
R: Sì, ma è un concetto diverso. Nel processo tributario (così come in ogni processo) vige il principio del contraddittorio tra le parti in senso processuale: ognuno deve poter conoscere e controbattere le argomentazioni e prove dell’altro, con parità di armi. Ma questo attiene alla fase giudiziale (dopo l’emissione dell’atto, davanti al giudice). Qui invece parliamo di contraddittorio prima del processo, in sede amministrativa. Sono due livelli differenti: uno non sostituisce l’altro. Anche se fai contraddittorio amministrativo, poi se fai ricorso avrai ugualmente diritto al contraddittorio processuale con udienza, repliche, ecc. Viceversa, il fatto di avere un contraddittorio prima arricchisce il tuo diritto di difesa, perché ti dà due round: uno in amministrazione e uno eventualmente in giudizio. - D: Se nel contraddittorio l’ufficio e il contribuente trovano un accordo su alcune somme, c’è uno sconto sanzioni?
R: Il contraddittorio in sé non prevede automaticamente uno sconto sulle sanzioni come invece avviene con l’adesione. Però, in pratica, se si raggiunge un intesa, spesso l’ufficio formalizza l’accertamento ridotto e contestualmente può proporre la definizione agevolata delle sanzioni (ad esempio applicando le sanzioni minime o invitando il contribuente all’adesione su quell’importo residuo). Non c’è una norma che lo sancisce, è più una prassi: l’ufficio potrebbe dire “ok su questi punti lascio perdere, su questi mantengo la pretesa: se paga entro tot, applichiamo sanzioni ridotte 1/3 come in adesione”. In assenza di accordo, invece, nell’avviso finale le sanzioni saranno quelle piene di legge, e poi sarà il contribuente semmai a chiederne la riduzione in adesione o in conciliazione giudiziale. Comunque il contraddittorio non obbliga a trovare accordi economici, è più focalizzato su c’è imponibile o non c’è? Se c’è, l’importo e le sanzioni sono quelle di legge. - D: Questa nuova regola del contraddittorio vale anche per le cartelle esattoriali e la riscossione?
R: La cartella di pagamento in sé è impugnabile e quindi rientrerebbe tra gli atti “impugnabili dinanzi al giudice tributario”. Tuttavia, gran parte delle cartelle sono successive a un avviso (cioè la fase di contraddittorio c’è stata prima dell’avviso) oppure sono il risultato di controlli automatici (che la norma esclude dal contraddittorio). Ad esempio, se ti arriva una cartella perché non hai versato IRPEF che risultava dalla tua dichiarazione, quella è emissione automatica: niente contraddittorio (anche perché il contenuto è semplicemente “dovevi pagare, non hai pagato, ecco la cartella”). Quindi nella realtà, raramente una cartella richiederà contraddittorio. Un caso potrebbe essere: l’ufficio non fa in tempo a notificare l’accertamento e iscrive a ruolo straordinario un importo facendolo arrivare direttamente via cartella – in quel caso la cartella è il primo atto e forse avrebbe dovuto essere preceduta da contraddittorio (ma di solito se iscrivono a ruolo straordinario invocano l’urgenza, che è causa di esonero). Dunque, semplificando: cartelle sì impugnabili ma di regola no contraddittorio, perché o derivano da controlli automatici o da urgenze. Per la riscossione coattiva (pignoramenti, ipoteche), quella esula: siamo oltre l’accertamento, non c’è contraddittorio (è fase esecutiva). - D: In caso di reati tributari (es. frode fiscale), cambia qualcosa nel contraddittorio?
R: Sul piano amministrativo, no: anche se c’è un profilo penale in corso, l’accertamento tributario segue le stesse regole. Anzi, spesso in caso di frodi l’ufficio tende a invocare l’urgenza per evitare che gli importi spariscano, quindi a volte salterebbe il contraddittorio. Ma se non c’è un pericolo concreto, dovrebbe farlo comunque. C’è da dire che se vi è un processo penale parallelo, il contribuente magari starà attento a cosa dichiara in contraddittorio (per non autoincriminarsi). È un ambito delicato: in genere, in casi di frode conclamata, l’ufficio non tralascia di fare l’accertamento anche senza contraddittorio appellandosi al fatto che il contribuente potrebbe occultare beni. Comunque la legge non prevede un’esclusione esplicita per reati: solo per crediti inesistenti. Quindi, se la frode è sull’IVA (fatture false), formalmente l’obbligo di contraddittorio resta, salvo urgenza. L’esperienza dice che però in quei casi difficilmente il contraddittorio cambia l’esito (perché se hai emesso fatture false non c’è molto da “spiegare” se non confessare, cosa che ovviamente nessuno farà prima del penale). - D: Se un atto è annullato in giudizio per mancato contraddittorio, il Fisco può rifare tutto da capo e notificarmi un nuovo atto?
R: Sì, può rifarlo solo se non sono scaduti i termini di accertamento. L’annullamento per vizio procedurale non impedisce all’ufficio di correggere l’errore e riprovarci, ma deve essere ancora nei tempi. Per le imposte dirette e IVA i termini ordinari sono il 31 dicembre del quinto anno successivo (es: anno 2024 -> termine 31/12/2029). Se il giudizio dura anni e la sentenza di annullamento arriva quando i termini sono decorsi, l’ufficio non può più re-invitare e riaccertare (sarebbe tardivo). Se invece c’è tempo, ad esempio la sentenza arriva nel 2025 per un 2024, l’ufficio può subito re-inoltrare l’invito e rifare l’iter. Va detto che, psicologicamente, un ufficio che incassa una sconfitta su un vizio proprio magari punterà a fare le cose per bene la seconda volta (ma non è detto rinuncino: se il merito è importante, ci riprovano). Quindi l’annullamento per vizio di contraddittorio è una vittoria per il contribuente, ma non sempre definitiva: attenzione ai termini di decadenza per capire se il capitolo è chiuso o se può esserci un “round 2”. - D: È vero che d’ora in poi l’ufficio dovrà aspettare 60 giorni prima di ogni accertamento? Non si allungano troppo i tempi?
R: Sì, di fatto si allungano i tempi dei procedimenti, ed è voluto: è il prezzo da pagare per garantire il diritto di difesa. Considera che su un accertamento standard, già prima c’era spesso un intervallo di qualche mese tra PVC e avviso; ora anche sugli accertamenti a tavolino ci sarà questo intervallo. Il legislatore ha mitigato l’effetto prevedendo la proroga di 120 giorni dei termini di decadenza, così l’ufficio non va in ansia. Quindi, più che altro, si dilata la durata potenziale di un accertamento. L’ottica è: meglio prendersi 2 mesi in più oggi che sbagliare e passare anni in contenzioso. Per il contribuente ciò significa che eventuali definizioni (es. adesione, conciliazione) si spostano più avanti nel tempo. Ad esempio, prima potevi ricevere direttamente un avviso e definire con adesione entro pochi mesi; ora hai contraddittorio, poi avviso, poi adesione… si crea un percorso più articolato. Ma l’idea è che magari con contraddittorio risolvi prima di arrivare all’avviso. Per l’amministrazione, certo, comporta più lavoro e tempi più lunghi per incassare: ad esempio, un accertamento che avrebbero notificato a marzo 2024 ora prima devono fare invito e magari notificano a giugno 2024 (incassando poi nel 2025 se va bene). Tuttavia, se ciò porta a meno ricorsi, potrebbe bilanciare. Insomma è una riforma che “rallenta per far meglio”. - D: Il diritto al contraddittorio c’è anche con altri enti impositori, tipo INPS per i contributi o altri?
R: Attenzione: parliamo qui di tributi trattati dal giudice tributario. L’INPS per contributi non è un tributo (e va davanti al giudice del lavoro). Lì non si applica lo Statuto del contribuente. Alcuni enti non tributari hanno proprie regole (es. l’INPS comunque spesso manda avvisi di addebito con possibilità di chiarimenti, ma non è normato come contraddittorio). Quindi, strettamente, la disciplina 6-bis vale per tributi (imposte, tasse). Non vale per sanzioni amministrative non tributarie, per contributi previdenziali, per tariffe. Va detto però che il principio generale di buona amministrazione sarebbe auspicabile ovunque: ad es., in molti procedimenti amministrativi la L. 241/1990 prevede già il “preavviso di rigetto” per cui il cittadino può dire la sua; anche in ambito contributivo a volte c’è il preavviso di iscrizione a ruolo. Ma formalmente, 6-bis Statuto no, è circoscritto al perimetro fiscale. - D: E nel caso di tributi doganali?
R: Le dogane (dazi, IVA import) sono un po’ un sistema a parte: lì già da tempo esiste il contraddittorio per effetto del Codice Doganale UE e delle sentenze (caso Sopropé). In dogana, quando c’è un avviso di rettifica, di norma ti mandano una comunicazione di revisione dell’accertamento e ti danno tempo per osservazioni (10 o 30 giorni secondo i casi). Quindi direi che per i tributi doganali nulla cambia, perché erano già avanti su questo fronte. Non ricadono sotto il giudice tributario ma su quello ordinario, quindi tecnicamente l’art. 6-bis non li menziona, ma il principio analogo vale per via UE. Insomma, se hai questioni doganali, aspettati comunque un contraddittorio come prima.
Esempi pratici e simulazioni (casi concreti)
Per comprendere meglio la portata del diritto al contraddittorio nella fase pre-accertativa, presentiamo alcuni scenari pratici tipici, illustrando come la procedura dovrebbe funzionare e quali sono le possibili strategie difensive o conseguenze per il contribuente.
Caso 1: Accertamento IVA prima della riforma, contraddittorio omesso
Tizio, imprenditore, riceve nel marzo 2023 un avviso di accertamento IVA per l’anno d’imposta 2019, con cui l’Agenzia delle Entrate rettifica il credito IVA e richiede €50.000 di imposta e sanzioni. L’accertamento è il risultato di una “verifica a tavolino”: Tizio aveva solo ricevuto una richiesta documenti alcuni mesi prima, ma nessun invito formale a discutere. In sede di ricorso (nel 2023, quindi ante art.6-bis), il difensore eccepisce la violazione del contraddittorio endoprocedimentale. Poiché si tratta di IVA (tributo armonizzato), il giudice applica i principi UE/Cassazione: riconosce che l’obbligo di contraddittorio sussisteva anche se a tavolino, ma verifica la prova di resistenza. Tizio nel ricorso ha indicato che, se fosse stato sentito, avrebbe potuto esibire fatture e contratti a supporto di operazioni contestate dall’ufficio come inesistenti. Esaminando tali documenti ora prodotti, il giudice li ritiene plausibili e vede che forse l’accertamento poteva essere ridotto. Di conseguenza annulla l’avviso per vizio del contraddittorio, proprio in virtù del fatto che il confronto mancato “avrebbe potuto comportare un risultato diverso”. L’Agenzia, incassata la sconfitta, nel 2024 emette un nuovo invito a Tizio per l’IVA 2019 (il termine non è ancora scaduto, perché per il 2019 scade a fine 2024). Nel frattempo, però, è entrato in vigore l’art.6-bis: dunque questo nuovo round avviene con le nuove regole – Tizio ha ora 60 giorni per difendersi. Forte anche della sentenza favorevole, Tizio presenta controdeduzioni solide. L’ufficio, preso atto, emette un nuovo avviso molto ridotto o addirittura rinuncia. Conclusione: prima del 2024, Tizio ha potuto far valere il contraddittorio solo in sede di processo e a certe condizioni; ora la situazione è cambiata, ma in questo caso il contenzioso è servito a far riconoscere quel diritto. (Va notato che se Tizio non avesse indicato nulla di concreto nel suo ricorso iniziale, il giudice avrebbe potuto convalidare l’atto nonostante la mancanza di contraddittorio, definendola innocua – ecco l’importanza della prova di resistenza in passato.)
Caso 2: Accertamento IRPEF post-riforma, contraddittorio omesso
Caio, professionista, riceve a settembre 2025 un avviso di accertamento IRPEF 2022 con cui si contestano compensi non dichiarati per €30.000 sulla base di movimenti bancari non giustificati. L’avviso arriva senza alcun preavviso: Caio infatti non ha mai ricevuto uno schema di atto nei mesi precedenti, ma direttamente l’accertamento. Essendo il 2025, l’art. 6-bis è pienamente in vigore e l’accertamento IRPEF rientra a pieno titolo tra gli atti soggetti a contraddittorio. Caio, assistito da un avvocato, propone ricorso in Commissione Tributaria evidenziando subito che l’ufficio ha violato l’obbligo di contraddittorio, non inviando alcun invito né bozza e non attendendo i 60 giorni. Nel ricorso Caio indica anche che quei movimenti bancari riguardavano una vendita di beni personali (non imponibile) e un prestito familiare, ma sottolinea soprattutto il vizio procedurale. In giudizio, l’Agenzia cerca di difendersi dicendo che l’accertamento in questione derivava da controlli incrociati centralizzati, suggerendo che fosse “automatizzato” (in realtà non lo è, c’è stata valutazione). Il giudice verifica la situazione: l’atto non rientra tra quelli esclusi (non è un mero 36-bis o simili) e non è indicata alcuna urgenza. Dunque l’ufficio avrebbe dovuto fare il contraddittorio. Pertanto, senza entrare nemmeno nel merito dei movimenti bancari, il giudice annulla l’avviso per violazione dell’art. 6-bis. In questo caso, Caio ottiene l’annullamento ipso iure, senza bisogno di convincere il giudice che aveva ragione sul merito (anche se aveva comunque elementi validi) – il processo finisce prima, per vizio formale. L’Agenzia dovrà ora rifare l’accertamento 2022, se vuole, partendo da un invito e riaprendo la discussione. Se i termini per il 2022 sono ancora aperti (fino al 31/12/2027), probabilmente lo farà; Caio in sede di nuovo contraddittorio potrà far valere subito le sue giustificazioni ed evitare magari un secondo contenzioso. Conclusione: post-2024 l’omissione del contraddittorio rende l’accertamento IRPEF annullabile senza ulteriori condizioni; il contribuente vince sul punto di diritto, rinviando l’eventuale confronto sul merito.
Caso 3: Contraddittorio in un accertamento complesso con esito positivo per il contribuente
La XYZ S.p.A. subisce nel 2025 un controllo fiscale. Anche se non vi è accesso in azienda (tutto avviene a distanza con scambio documenti), l’Agenzia, dovendo contestare una serie di operazioni infragruppo ritenute elusive, invia a luglio 2025 una Comunicazione preventiva di accertamento (schema di atto) per IRES e IVA 2021. Nello schema contesta €500.000 di imponibile non dichiarato per ripreso prezzo di trasferimento. La società, assistita da un fiscalista, utilizza appieno i 60 giorni: presenta un’ampia memoria tecnica con studi di transfer pricing, documenti che l’ufficio non aveva ottenuto prima, e chiede un incontro. Durante il contraddittorio (incontri ad agosto e settembre 2025), emergono nuovi elementi: XYZ dimostra che, secondo linee guida OCSE, il metodo utilizzato dal Fisco era parziale e fornisce un calcolo alternativo. L’ufficio riconosce che alcune rettifiche erano eccessive e manifesta apertura a ridurre la pretesa. Alla fine del contraddittorio, i verificatori concordano che parte dei €500.000 non va tassata perché giustificata dai nuovi documenti, e riducono l’imponibile a €200.000. Emettono quindi l’avviso definitivo ad ottobre 2025 limitato a quell’importo, motivando che le altre contestazioni sono state accantonate in quanto la società ha provato la congruità dei prezzi di trasferimento per quella quota. XYZ, a questo punto, decide di non fare ricorso ma di definire la questione con un accertamento con adesione sul residuo (ottenendo anche sanzioni ridotte). Conclusione: grazie al contraddittorio, l’accertamento è stato ridotto del 60% ed è stato possibile evitare un lungo contenzioso su questioni tecniche complesse. La società ha collaborato e il Fisco ha riconosciuto parte delle ragioni: un tipico esempio di efficacia deflattiva del contraddittorio ben utilizzato.
Caso 4: Contraddittorio “formalizzato” ma motivazione carente nell’atto finale
Sempronio, commerciante, riceve un invito al contraddittorio a fine 2024 relativo a ricavi non dichiarati per IRAP e IVA 2020. Sempronio invia delle osservazioni scritte spiegando che alcuni ricavi presunti in realtà erano già stati tassati l’anno precedente (c’era un errore di competenza). L’ufficio però emette comunque l’accertamento quasi identico allo schema iniziale, senza menzionare affatto l’argomento della competenza sollevato da Sempronio. Nella motivazione dell’avviso, sotto la voce “Osservazioni del contribuente”, si trova solo un cenno generico: “Le osservazioni presentate non sono accolte perché non pertinenti”. Non c’è alcuna spiegazione specifica. Sempronio impugna l’avviso lamentando, oltre al merito (la doppia tassazione di stesso ricavo su due anni), anche il difetto di motivazione: sostiene che l’ufficio ha violato l’art. 6-bis co.4 non dando conto delle sue eccezioni. La Commissione Tributaria, esaminato il caso, dà atto che in effetti l’ufficio non ha confutato la questione del ricavo già tassato nell’anno precedente – questione pertinente e documentata. Considera ciò un vizio di motivazione rilevante e annulla l’atto per motivazione insufficiente (in subordine avrebbe potuto annullare anche per il merito della duplicazione). Conclusione: l’ufficio, pur avendo rispettato formalmente il contraddittorio (ha invitato e atteso), è incorso in un vizio perché non ha motivato adeguatamente sulle osservazioni: ciò conferma che il contraddittorio obbliga anche a dare risposte precise alle difese, pena l’illegittimità dell’atto finale.
Caso 5: Tributo locale – IMU, applicazione del contraddittorio presso un Comune
Il Comune di ABC nel 2025 intende emettere avvisi di accertamento IMU 2020 per diverse particelle di terreno che, secondo l’Ufficio Tributi, sono diventate edificabili a seguito di una variante urbanistica e quindi andavano dichiarate con valore imponibile maggiore. Tra i destinatari c’è la società agricola Verde, proprietaria di un fondo. In base al nuovo art. 6-bis, il Comune invia a Verde Srl una proposta di accertamento IMU (schema di atto) in cui richiede €10.000 per IMU arretrata, dando 60 giorni per controdedurre. La società Verde risponde nei 60 giorni sostenendo che, sebbene la variante urbanistica avesse reso edificabile la zona, il terreno in questione è gravato da un vincolo ambientale (ad es. è in area protetta) che di fatto ne impedisce l’edificazione; allega documenti tecnici e normativi sul vincolo. Il Comune, valutate le osservazioni magari con l’ausilio dell’ufficio tecnico, riconosce che il vincolo incide e ridetermina il valore imponibile riducendolo ad esempio del 50%. Emana quindi l’avviso IMU definitivo con una base imponibile dimezzata, e naturalmente motiva che ha tenuto conto del vincolo segnalato dal contribuente (che in sede di liquidazione originaria non era stato considerato). La società Verde, constatando che l’accertamento è stato corretto e l’importo è ora ragionevole, decide di pagare senza fare ricorso. Conclusione: in ambito locale, il contraddittorio ha permesso di personalizzare l’accertamento in base a circostanze che solo il contribuente conosceva bene (il vincolo ambientale) e il Comune ne ha preso atto, evitando un potenziale contenzioso in cui la società avrebbe potuto far valere la stessa cosa. Entrambe le parti risparmiano tempo e il Comune mostra equità adeguando la tassazione alla reale capacità contributiva.
Caso 6: Omessa risposta all’invito – contributo del silenzio del contribuente
Mario riceve nel 2025 un invito al contraddittorio per un reddito non dichiarato (ircocervo scenario). Per ragioni sue (magari pensa di guadagnare tempo, o si fida di risolvere in adesione dopo) decide di non rispondere affatto all’invito. L’ufficio aspetta 60 giorni, non riceve nulla e quindi emette l’avviso di accertamento identico alla bozza. Mario a quel punto presenta ricorso in Commissione sostenendo l’infondatezza dell’accertamento. L’Avvocatura dell’Agenzia nelle controdeduzioni mette in risalto che Mario è stato invitato a fornire elementi nella fase precontenziosa ma non l’ha fatto, e sottolinea come eventuali documenti prodotti in giudizio avrebbero potuto già essere esibiti prima. Il giudice, pur esaminando il merito, vede negativamente l’inerzia di Mario: nel decidere il caso, se i documenti portati all’ultimo momento da Mario risultano poco credibili, terrà conto che Mario non li ha tirati fuori quando ne ebbe la possibilità due mesi prima. In sostanza, il silenzio di Mario nuoce alla sua credibilità. Il ricorso viene respinto, e Mario oltre a perdere la causa, ha perso l’occasione di chiarire prima e magari evitare l’atto. Morale: ignorare il contraddittorio è quasi sempre un autogol: il contribuente dovrebbe partecipare e giocare le sue carte lì, piuttosto che sperare di farlo dopo in tribunale. Il giudice stesso ormai si aspetta che le contestazioni vengano affrontate già nella fase amministrativa, e la mancanza di collaborazione può pesare nel giudizio di merito.
In conclusione, questi esempi mostrano situazioni variegate: casi in cui il contraddittorio ha successo e l’atto viene evitato o ridimensionato, casi in cui la sua mancanza porta all’invalidazione dell’atto, e casi in cui la condotta del contribuente (partecipare o no) influenza l’esito. La regola che emerge è che conviene sempre esercitare attivamente il diritto al contraddittorio, mentre per l’amministrazione è divenuto imprescindibile rispettarlo per non vanificare il proprio lavoro con nullità procedurali.
Tabelle riepilogative
Di seguito presentiamo alcune tabelle di sintesi per fissare i concetti chiave trattati, utili sia per un ripasso veloce sia per apprezzare in uno sguardo le differenze pre/post riforma.
Tabella 1 – Evoluzione normativa e giurisprudenziale del contraddittorio
Periodo / Sentenza | Principio affermato | Riferimenti |
---|---|---|
Pre-2015 (assenza regola generale) | Contraddittorio garantito solo in casi espressi (es. art. 12 co.7 Statuto per accessi in loco, studi settore, ecc.). Per il resto nessun obbligo generale. | Norme settoriali (L.212/2000 art.12, DLgs 218/97 art.5, ecc.) |
Cass. SS.UU. 24823/2015 (dic. 2015) | Obbligo generalizzato solo per tributi armonizzati (IVA, dazi) con prova di resistenza; no obbligo generalizzato per tributi interni, salvo legge. | Cass. SU 24823/2015 |
Corte Cost. 132/2015 | (Questione su tributi locali) – Contraddittorio non imposto costituzionalmente, rinviato al legislatore. (Rigetto ricorso su ICI) | Corte Cost. 132/2015 |
Cass. (varie) 2016-2022 | Consolidata giurisprudenza segue SS.UU. 2015: IVA & tributi UE sì (con onere difesa concreta), imposte interne no. Contraddittorio art.12 Statuto solo per verifiche in loco, non per controlli a tavolino. | Cass. 701/2020; Cass. 3386/2021; Cass. 701/2020; Cass. ord. 19516/2025 |
Corte Cost. 47/2023 (mar. 2023) | Evidenzia esigenza costituzionale di generalizzare il contraddittorio, ma dichiara inammissibile questione art.12 co.7, rimettendo al legislatore riforma. | Corte Cost. 47/2023 |
Riforma D.Lgs. 219/2023 (vig. gen. 2024) | Introduce art.6-bis Statuto: obbligo generalizzato di contraddittorio per tutti gli atti impugnabili (pena annullabilità), con esclusioni per automatismi/urgenza. | D.Lgs. 219/2023 art.1 lett. e) |
D.M. MEF 24/4/2024 | Elenca atti esclusi: comunicazioni automatizzate, controllo formale, recuperi crediti inesistenti, dinieghi rimborso ecc.. | DM 24.04.2024 (GU n.100/2024) |
Cass. SS.UU. 21271/2025 (lug. 2025) | Conferma obbligo contraddittorio per tributi armonizzati anche in verifiche a tavolino (dir.UE) e non per non armonizzati ante riforma; bilancia tutela contribuente e interesse erariale. | Cass. SU 21271/2025 |
Oggi (post-2024) | Contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio ex lege per quasi tutti i tributi (armonizzati e non). Violazione = annullabilità atto (senza prova resistenza). | L. 212/2000 art. 6-bis (commi 1-4) |
Tabella 2 – Principali differenze pre- e post-riforma contraddittorio
Aspetto | Prima (fino al 2023) | Dopo (dal 2024) |
---|---|---|
Ambito di applicazione | Limitato: obbligo solo in casi particolari (verifiche in loco, presunzioni tipo studi settore, tributi UE con giurisprudenza). Per molti accertamenti a tavolino (es. IRPEF) nessun obbligo. | Generale: tutti gli atti impugnabili da contribuente devono esser preceduti da contraddittorio (salvo atti automatici/urgenza). Include imposte statali e locali, armonizzate e non. |
Fonte dell’obbligo | Scaturiva da interpretazione giurisprudenziale (per IVA/UE) o da singole norme settoriali (art.12 Statuto, art.10-bis Statuto, etc.). Nessuna disposizione generale. | Previsto da norma primaria (L.212/2000 art.6-bis) di portata generale. Obbligo sancito ex lege dal D.Lgs. 219/2023. |
Tributi armonizzati vs non | Distinto: per IVA/dazi obbligo generale (con condizioni); per IRPEF/IRES ecc. no obbligo generale (solo se legge speciale). | Unificato: stesso obbligo per tutti i tributi (armonizzati e non). Distinzione rileva solo per atti pre-riforma ancora in giudizio. |
Prova di resistenza | Richiesta per annullare atto IVA senza contraddittorio: contribuente doveva indicare ragioni difensive non pretestuose. Non richiesta per casi con obbligo ex lege (es. art.12 Statuto, dove violazione era nullità automatica). | Non richiesta: l’annullabilità è automatica se manca contraddittorio dovuto. Il contribuente non deve provare il “cosa avrebbe detto” (si presume la lesione del diritto di difesa). |
Sanzione per violazione | Per tributi armonizzati: invalidità dell’atto solo se contribuente provava potenziale diverso esito. Per tributi non armonizzati: di regola nessuna invalidità (giudice considerava l’omissione irrilevante salvo norme specifiche). | Annullabilità piena dell’atto su eccezione del contribuente. Il giudice annulla l’atto viziato, senza ulteriori condizioni. (Vizio eccepibile entro ricorso introduttivo). |
Termine per difese | Variabile secondo norme speciali: es. 60 gg post-PVC art.12 Statuto; 15 gg invito studi settore; oppure nessuno nei casi non previsti. | Fisso minimo 60 giorni per presentare osservazioni dal ricevimento dello schema di atto. Termine prorogato di 120 gg se interferisce con decadenza. |
Esclusioni dall’obbligo | N/A (obbligo non generale, quindi non si poneva in termini generali; singole norme avevano proprie esclusioni, es. art.12 Statuto escludeva urgenza). Giurisprudenza UE ammetteva restrizioni purché proporzionate (es. non richiesto per importi irrisori, etc.). | Specifiche per legge: atti da controlli automatici, formali, liquidazioni, recuperi crediti inesistenti, dinieghi rimborsi, casi di urgenza riscossione. Stabilite da comma 2 art.6-bis e decreto attuativo MEF. |
Motivazione atto finale | Se contraddittorio avveniva (es. post-verifica), vi era obbligo generale di considerare memorie (L.212/2000 art.12 impone di valutarle). Giurisprudenza richiedeva di dar conto di eventuali osservazioni respinte per atti su PVC. Non previsto per altri casi. | Obbligo esplicito di motivare sulle osservazioni del contribuente non accolte. La mancata indicazione in motivazione può causare vizio dell’atto (motivo di illegittimità per difetto di motivazione). |
Applicabilità enti locali | Dibattuta: Statuto formalmente si applicava salvo diverse disposizioni; molti comuni non prevedevano contraddittorio se non facoltativo. Nessun obbligo generale (salvo regolamenti locali virtuosi). | Estesa pienamente: Statuto vincola anche enti locali (art.1 co.3-ter L.212/2000). Comuni/province devono adeguare regolamenti prevedendo contraddittorio obbligatorio prima di avvisi tributari locali. |
Tabella 3 – Sintesi procedurale contraddittorio 6-bis
Fase | Descrizione | Durata/Termini |
---|---|---|
1. Invio schema di atto | L’ente impositore trasmette al contribuente lo schema di accertamento (bozza con rilievi e importi) e l’invito a partecipare al contraddittorio. | – |
2. Accesso agli atti (facolt.) | Il contribuente, se vuole, richiede copia degli atti del fascicolo (es. documenti, info, prove alla base dei rilievi). L’ufficio fornisce quanto richiesto. | Immediato (appena ricevuto l’invito) |
3. Presentazione memorie | Il contribuente prepara e invia eventuali osservazioni scritte, controdeduzioni e documenti a supporto. Può chiedere incontro orale. | Entro 60 gg dal ricevimento invito (termine minimo) |
4. (Eventuale) incontro orale | L’ufficio e il contribuente si incontrano per discutere i rilievi e le difese (non obbligatorio, ma spesso utile; fissato dall’ufficio o su richiesta contribuente). | Entro la scadenza dei 60 gg (o poco oltre, di comune accordo, ma prima di decisione finale) |
5. Valutazione ufficio | L’ufficio esamina le difese: se le ritiene fondate, adegua o annulla l’accertamento; se non le ritiene convincenti, conferma la pretesa iniziale. | Subito dopo la ricezione memorie / incontro |
6. Emissione atto finale | L’amministrazione emette l’atto impositivo definitivo (accertamento, ecc.) tenendo conto degli esiti: può essere identico alla bozza o modificato/ridotto. Motivazione deve riferire le osservazioni non accolte. Se difese totalmente accolte, può anche non emettere più alcun atto. | Dopo decorso 60 gg + tempo valutazione (non c’è un termine immediato, ma di regola a breve distanza) |
7. Notifica atto al contribuente | L’atto definitivo viene notificato con le forme di legge (PEC, ufficiale riscossione, raccomandata). Se il contraddittorio ha modificato qualcosa, l’atto conterrà già tale recepimento. | – (Termini decadenza eventualmente prorogati di 120 gg se necessari) |
8. Eventuale adesione o ricorso | Dopo la notifica, il contribuente può decidere se accettare e pagare (anche avviando accertamento con adesione per sanzioni ridotte) o se impugnare l’atto in giudizio (ricorso entro 60 gg, sospendibile con adesione). | Ricorso: 60 gg dalla notifica (sospeso in caso di adesione) |
(Nota: se il contribuente non presenta osservazioni né partecipa, l’iter prosegue comunque dal punto 5 alla notifica dell’atto; se l’ufficio non riceve nulla, emetterà l’atto come proposto inizialmente, trascorsi i 60 giorni.)
Conclusione – Il diritto al contraddittorio nella fase preaccertativa rappresenta oggi, per il contribuente, una tutela concreta e rafforzata: gli permette di giocare d’anticipo rispetto a un potenziale accertamento, potendo influenzarne l’esito già sul nascere. Per il Fisco, costituisce un obbligo procedurale stringente, il cui mancato rispetto può compromettere la validità degli atti. In un sistema improntato al cooperative compliance e alla leale collaborazione, questo istituto mira a ridurre il contenzioso inutile e a migliorare la qualità delle pretese tributarie (emergendo eventuali errori prima che diventino atti definitivi).
Dal punto di vista del “debitore” fiscale (sia esso cittadino, professionista o azienda), è fondamentale conoscere e saper sfruttare questo diritto: quando si riceve un invito al contraddittorio occorre attivarsi subito, raccogliere le evidenze a proprio favore e presentarle ordinatamente. Se invece si riceve direttamente un avviso senza essere stati convocati, si deve verificare se ciò sia legittimo o meno e, in caso negativo, far valere immediatamente l’eccezione in ricorso per ottenerne l’annullamento.
In definitiva, il contraddittorio endoprocedimentale è ormai parte integrante del “giusto procedimento” tributario italiano, al pari di come il contraddittorio in giudizio è cardine del giusto processo. Come affermato dalla Corte Costituzionale, esso è espressione del diritto di difesa e del principio partecipativo democratico, garanzie ineludibili che distinguono un sistema fiscale di diritto da un sistema arbitrario. Saperlo utilizzare efficacemente – sia da parte dei contribuenti che da parte dell’amministrazione – contribuisce a dare maggiore legittimità, trasparenza ed equilibrio all’azione impositiva dello Stato.
Fonti e Riferimenti Normativi/Giurisprudenziali
- Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000) – art. 12, comma 7 (previgente, contraddittorio post-verifica in loco); art. 6-bis (introdotto da D.Lgs. 219/2023, in vigore dal 18/01/2024: “Principio del contraddittorio” con commi 1-4).
- D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 219 – Riforma fiscale 2023, art. 1 comma 1 lett. e) inserisce art. 6-bis Statuto; lett. o) abroga art. 12 co.7 Statuto (dal 30/04/2024). Introduce anche art. 7-bis e 7-ter Statuto (annullabilità/nullità atti).
- Decreto MEF 24 aprile 2024 (attuativo art. 6-bis co.2) – Elenco atti esclusi dal contraddittorio: atti da controlli automatizzati (art. 36-bis DPR 600/73, art. 54-bis DPR 633/72), controlli formali (36-ter DPR 600/73), atti liquidazione, ruoli e cartelle relative, atti recupero crediti inesistenti, dinieghi di rimborso, ecc.. (Pubbl. in G.U. 30/4/2024 n.100).
- D.L. 29 marzo 2024 n. 39 conv. L. 67/2024 – Art. 7 e 7-bis: disposizioni interpretative art. 6-bis. Precisano ambito (solo atti impositivi, esclusi atti con altre forme interlocuzione e recuperi crediti inesistenti); interpretazione comma 2 include dinieghi di rimborso tra esclusi; disciplina transitoria: art.7 comma 1-3 D.L. 39/24 esclude applicazione obbligo per atti pre-30/4/24 e coordina proroghe.
- Cass., Sez. Unite, 9/12/2015 n. 24823 – Principio cardine su contraddittorio: per tributi armonizzati obbligo generale (vizio invalidante con onere difesa concreta), per non armonizzati no obbligo generale (solo se previsto). Confermata da giurisprudenza successiva univoca.
- Cass., Sez. Unite, 25/07/2025 n. 21271 – (Massime SU 2025) Contraddittorio endoprocedimentale: ribadito obbligo generale per IVA anche in accertamenti “a tavolino” (ex art.41 Carta UE) e sua violazione causa invalidità atto se prova che esito poteva cambiare; per tributi non armonizzati obbligo solo se norma lo prevede. Equilibrio tra diritto di difesa contribuente e interesse pubblico all’accertamento enfatizzato.
- Cass., Sez. Trib., ord. 27/02/2025 n. 5115 – Ribadisce che, per IVA (tributo armonizzato), la violazione del diritto ad essere sentiti comporta nullità dell’atto solo se il procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” senza quella violazione; necessita prospettare concretamente le ragioni difensive non espresse causa mancato contraddittorio. (Conferma SU 2015 e Corte Giust. UE C-129/13 e C-130/13 Kamino).
- Cass., Sez. Trib., ord. 15/07/2025 n. 19516 – (Osservatorio Giur. Trib. 23/7/2025) Accertamenti “a tavolino” su tributi non armonizzati: nessun obbligo di contraddittorio anticipato ratione temporis (prima del 2024), art.12 co.7 Statuto applicabile solo ad accessi in loco. Rileva che l’obbligo permane limitato alle ipotesi espressamente previste fino all’entrata in vigore art.6-bis.
- Corte Costituzionale, sent. 21/03/2023 n. 47 – Questione su art.12 co.7 Statuto (CTR Toscana): dichiarata inammissibile, ma Corte evidenzia: partecipazione del contribuente è esigenza costituzionale, tuttavia manca disciplina generale e spetta al legislatore intervenire; non esiste obbligo costituzionale incondizionato di contraddittorio in ogni caso (discrezionalità legislativa).
- Corte Costituzionale, sent. 39/2025 – (in ambito penale processuale) Riafferma il principio del contraddittorio quale garanzia fondamentale del giusto processo e diritto di difesa ineludibile. Richiamata quale conferma trans-settoriale dell’importanza del contraddittorio.
- Corte Costituzionale, sent. 87/2025 – (in ambito fallimentare) Rileva lesione diritto al contraddittorio per soci illimitatamente responsabili non coinvolti in procedimento di fallimento in estensione, sollevando questione su art.147 L.Fall. (tema diverso dal tributario, ma sempre relativo a difesa procedimentale dei soggetti coinvolti). Indirettamente conferma la tendenza a valorizzare la partecipazione in ogni procedimento che incide su situazioni soggettive.
- Direttiva UE e giurisprudenza UE: Art. 41 Carta dei Diritti Fondamentali UE (diritto a buona amministrazione, incluso diritto di ogni persona a essere ascoltata prima di un provvedimento individuale negativo); Corte di Giustizia UE: sentenze Sopropé (C-349/07, 2008) – diritto al contraddittorio nei dazi doganali; Kamino e Datema (C-129/13 e C-130/13, 2014) – annullamento atto doganale solo se esito potenzialmente diverso (introduce “prova di resistenza” in UE); Ispas (C-298/16, 2017) – diritto di accesso al fascicolo nell’ambito del contraddittorio; Glencore (C-189/18, 2020) – su effetti violazione contraddittorio in accertamenti IVA; giurisprudenza UE ribadita in Cass. 5115/2025 e altre.
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