Cosa Fare Se Arriva Un’Intimazione Di Pagamento All’Agenzia Delle Entrate?

Hai ricevuto un’intimazione di pagamento dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione e non sai cosa fare?
L’intimazione è un atto con cui il Fisco richiede il pagamento dei debiti iscritti a ruolo entro un termine molto breve, solitamente 5 giorni. Se ignorata, può portare a pignoramenti, fermi amministrativi e ipoteche. Sapere come reagire subito è fondamentale per evitare conseguenze pesanti.

Cos’è un’intimazione di pagamento
– È un atto notificato dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione per sollecitare il pagamento delle somme non ancora saldate
– Si riferisce a cartelle esattoriali già notificate e rimaste insolute
– Ha valore di ultimo avviso prima dell’esecuzione forzata
– Impone al contribuente di saldare entro 5 giorni, pena l’avvio immediato delle procedure esecutive

Cosa succede se non si paga
– Dopo i 5 giorni, l’Agenzia delle Entrate può iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore
– Può procedere al pignoramento di conti correnti, stipendi, pensioni e beni mobili
– Può disporre il fermo amministrativo dei veicoli
– Gli interessi e le spese continuano a maturare, aumentando il debito complessivo

Cosa fare se ricevi un’intimazione di pagamento
– Verificare la regolarità della notifica e l’esistenza delle cartelle a cui si riferisce
– Controllare se i debiti sono ancora validi o prescritti
– Contestare eventuali vizi formali o sostanziali con un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria
– Valutare la richiesta di rateizzazione per diluire l’importo nel tempo
– In caso di debiti insostenibili, valutare procedure di sovraindebitamento o saldo e stralcio
– Agire subito, senza attendere, per evitare che partano le esecuzioni forzate

Cosa si può ottenere con una difesa efficace
– La sospensione delle azioni esecutive collegate all’intimazione
– L’annullamento totale o parziale del debito se viziato o prescritto
– La riduzione dell’importo con definizioni agevolate o accordi di rientro
– La tutela del patrimonio personale e familiare da ipoteche e pignoramenti
– La possibilità di regolarizzare la propria posizione pagando solo quanto realmente dovuto

Attenzione: l’intimazione di pagamento è un atto urgente che non può essere ignorato. I 5 giorni concessi sono pochissimi, quindi bisogna intervenire immediatamente con l’assistenza di un professionista.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in riscossione e difesa del contribuente – ti spiega cosa fare se arriva un’intimazione di pagamento e come proteggerti dalle azioni dell’Agenzia delle Entrate.

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Introduzione

L’intimazione di pagamento (o “avviso di intimazione”) è un atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate – Riscossione (ex Equitalia) intima al contribuente di pagare, entro 5 giorni, le somme risultanti dal ruolo esattoriale, prima di avviare le azioni esecutive (pignoramenti, ipoteche, ecc.). In pratica, è l’ultimo avviso obbligatorio prima di procedere con la riscossione forzata. Questo strumento è disciplinato dal D.P.R. 602/1973, art. 50:

  • Art. 50, co.1-2: Il concessionario della riscossione può iniziare l’espropriazione solo dopo 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento (salvo rateizzazione o sospensione). Se dopo un anno dalla cartella non è stata avviata l’espropriazione, deve prima notificare un “avviso di intimazione ad adempiere” con termine di 5 giorni.
  • Art. 50, co.3: L’avviso di intimazione (modello ministeriale) perde efficacia dopo un anno dalla notifica. In altre parole, l’intimazione vale per un anno; se entro tale termine non si procede al pignoramento, occorre emetterne una nuova. (Si segnala che fino al 16 luglio 2020 il termine di efficacia era di 180 giorni, poi esteso a 12 mesi).

In sintesi: l’intimazione non crea un nuovo debito, ma è l’avviso finale di pagamento delle cartelle già notificate; ingiunge di pagare entro 5 giorni per evitare l’esecuzione coattiva. Il debitore in genere riceve per posta un avviso dettagliato con l’elenco delle cartelle e ruoli ai quali si riferisce, importi dovuti (capitali, sanzioni, interessi di mora e spese), con l’indicazione del termine per il pagamento.

Tabella 1 – Differenze principali: Cartella di pagamento vs Intimazione

Cartella di PagamentoIntimazione di Pagamento
Natura: Atto di accertamento e pretesa coattiva (del concessionario) con valenza di titolo esecutivo.Natura: Avviso finale (formale sollecito) che precede l’avvio dell’espropriazione.
Termine per pagare: 60 giorni dalla notifica.Termine per pagare: 5 giorni dalla notifica.
Efficacia: vale fino all’esaurimento delle fasi di riscossione; assume rilievo di titolo esecutivo.Efficacia: vale 1 anno dalla notifica (poi decade). Serve a bloccare l’esecuzione entro breve.
Contenuti: indica debito, sanzioni, interessi e modalità di impugnazione (art. 19 DLgs. 546/92).Contenuti: riepiloga le cartelle (ruoli) insolute e intima il pagamento entro 5 giorni.

In altre parole, la cartella è l’atto principale di riscossione coattiva, mentre l’intimazione è un atto successivo (quando è scaduto l’anno dalla cartella) che invita a pagare o rischiare le misure esecutive. Non si tratta di un nuovo ruolo o di un maggior debito: semplicemente, se non si è pagato quanto indicato nella cartella entro l’anno, l’intimazione è il “bonus” finale che consente al fisco di procedere.

Tempistiche e conseguenze pratiche

  • 5 giorni per pagare: dalla notifica dell’intimazione il debitore ha soli 5 giorni di tempo per versare quanto richiesto. Trascorsi 5 giorni senza pagamento (salvo il diritto di impugnare), l’Agenzia può dare avvio all’espropriazione (ad es. pignoramenti). Questo breve termine è tassativo.
  • Decade in 1 anno: l’intimazione “scade” dopo un anno dalla notifica. Se entro 12 mesi dall’intimazione non è iniziato alcun atto esecutivo, l’Agenzia deve ripetere l’avviso.
  • Esecuzione forzata: una volta trascorsi i 5 giorni senza pagare, si procede al pignoramento di beni mobili, somme sui conti correnti, stipendi/pensioni (fino a 1/5 del netto) e si può iscrivere ipoteca sugli immobili. L’Agenzia può bloccare conti o richiedere trattenute allo stipendio/INPS.

Primo passo suggerito: appena ricevuta l’intimazione, verificare con attenzione il contenuto – importi, cartelle richiamate, destinatario. In molti casi (soprattutto per imprese o professionisti) le cartelle e la stessa intimazione vengono recapitate via PEC all’indirizzo “Entratel” o “Fisconline”. Controllare anche il codice fiscale dell’intestatario e la correttezza dell’indirizzo: errori possono invalidare la notifica. Se l’intimazione è infondata o errata (es. importi già pagati, vizi di notifica), è consigliabile reagire subito prima che si avvii il pignoramento.

Diritti del contribuente e rimedi (dal punto di vista del debitore)

Ricevuto l’avviso, il contribuente può procedere in varie direzioni, in base alle circostanze:

  • Pagare entro i termini: se il debito è certo e la liquidità lo consente, pagare entro 5 giorni evita qualsiasi misura coattiva. Conviene agire subito per evitare ulteriori spese ed interessi.
  • Verificare prescrizione o nullità: se esistono vizi di notifica (p.es. manca la notifica della cartella di pagamento sottostante, o questa è stata notificata oltre il termine), oppure il debito è ormai prescritto (o caduto in decadenza), il contribuente può far valere queste eccezioni. Attenzione: secondo la Cassazione recente, per far valere la prescrizione di crediti erariali è necessario impugnare l’intimazione. In altri termini, se non si impugna quest’avviso, il debito diventa “cristallizzato” e non si potrà più sollevare la prescrizione maturata fino a quel momento.
  • Ricorso tributario (Commissione Tributaria): il principale rimedio è il ricorso in Commissione Tributaria (Tribunale Tributario Provinciale) contro l’intimazione, entro 60 giorni dalla notifica. Il ricorso può contestare vizi di forma o di merito: ad esempio l’errore nei calcoli, i carichi contestati, la mancata notifica della cartella originaria, la prescrizione maturata. La Cassazione (Sez. trib., sent. n. 6436/2025) ha affermato che l’intimazione di pagamento va equiparata all’“avviso di mora” e deve essere impugnata autonomamente ai sensi dell’art. 19 co.1 lett. e) del D.Lgs. 546/1992. Non farlo equivale a perdere il diritto di contestare il debito sulla base di vizi anteriori. In precedenza vi erano orientamenti contrastanti (es. Cass. n. 16743/2024) che ritenevano facoltativa l’impugnazione, ma le ultime pronunce (Sezioni Unite Cass. n. 26817/2024 e Cass. n. 6436/2025) hanno ribadito chiaramente la necessità di impugnare l’intimazione se si vuole far valere qualsiasi eccezione, come la prescrizione o l’erroneità della cartella.
  • Opposizione agli atti esecutivi (giudice ordinario): se l’esecuzione forzata è già iniziata (es. notificato pignoramento esecutivo), è possibile proporre opposizione ex art. 615 e/o 617 c.p.c. davanti al giudice ordinario (Tribunale). Questi rimedi sono però residuali e di natura civilistica: l’opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) può sollevare vizi di inesigibilità del titolo (ad es. cartella annullata) e va proposta prima del primo atto esecutivo. L’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) può contestare vizi formali di pignoramenti già eseguiti entro 20 giorni dalla notifica. Tuttavia, quando si contesta il merito del credito tributario (ad es. la legittimità del debito), il foro competente resta quello tributario, e quindi è preferibile agire preventivamente in Commissione Tributaria con un ricorso ex art. 19.
  • Autotutela amministrativa: si può tentare di ottenere un annullamento o rettifica tramite istanza all’Agenzia Entrate Riscossione, motivando gli errori o la prescrizione. In pratica, si invia una richiesta di riesame o istanza di autotutela all’Agenzia, allegando documentazione (p.es. ricevute di pagamento, sentenze, quietanze, ecc.) e sottolineando l’errore di fatto o diritto. Se l’Agenzia accoglie l’istanza, l’intimazione viene annullata o rettificata, scongiurando il contenzioso. Se riceviamo risposta negativa, resta comunque la possibilità di impugnare formalmente in Commissione Tributaria. Attenzione: l’istanza di autotutela è discrezionale e i termini per proporre ricorso tributario non si interrompono automaticamente a meno che l’Agenzia non confermi (eventualmente con provvedimento scritto) l’annullamento.
  • Rateizzazione straordinaria: il contribuente può chiedere di rateizzare l’importo indicato nella cartella (art. 19 bis, D.P.R. 602/1973) anche dopo l’intimazione, per dilazionare il pagamento e sospendere l’esecuzione. In generale, la richiesta di rateizzazione di una cartella esattoriale comporta la sospensione dell’esecuzione coattiva fino alla decisione dell’Agenzia. Se concessa, l’agente di riscossione sospende pignoramenti e ipoteche per tutta la durata del piano approvato. È opportuno fare domanda subito (normalmente in via telematica nel portale “Riscossione”), prima di subire ulteriori atti esecutivi.
  • Definizione agevolata e “rottamazioni”: se si possiedono cartelle non pagate, è possibile valutare l’adesione a forme di «definizione agevolata» (rottamazioni) attualmente previste dalla legge. Ad esempio, la Rottamazione-quater (definizione agevolata per debiti affidati dal 2000 al 30/6/2022) consente di estinguere i debiti (tributi e contributi) senza interessi, sanzioni e aggio di riscossione, pagando solo il capitale e le spese. Per aderire occorreva presentare domanda entro i termini stabiliti (originariamente fine 2022, in seguito prorogati e riaperti). Attenzione: a seguito della Legge n. 15/2025 (conversione del DL Milleproroghe 2024) è stata riaperta la possibilità di riammissione alla Rottamazione-quater per chi era decaduto (per omesso o tardivo pagamento) dal piano originario. I contribuenti decaduti al 31/12/2024 possono rientrare nella definizione agevolata presentando domanda entro il 30 aprile 2025 e scegliere fino a 10 rate (ad es. scadenti il 31/7/2025, 30/11/2025, 28/2/2026, ecc.). Per non perdere i benefici della rottamazione è cruciale rispettare i pagamenti previsti, altrimenti la rateizzazione decade.
    • Tabella 2 – Principali scadenze Rottamazione-quater (Definizione agevolata):
    Azione Termine originale Aggiornamento legge 15/2025 Adesione (domanda online) Originariamente entro settembre 2023 Non più aperta in generale (termine scaduto). Pagamento unica rata (o 1° rata) 31 ottobre 2023 Per riammessi: 31 luglio 2025 (scadenza ultimativa, con 5 giorni di tolleranza). 2° rata 30 novembre 2023 Per riammessi: 30 novembre 2025 (proroga «Milleproroghe»). Rate successive 28/2, 31/5, 31/7, 30/11 dal 2024 al 2027 I termini sono rimasti invariati; le prime tre rate prorogate al 15/3/2024 dalla L.18/2024. Quinte e successive al 15/9/2024 (DLgs.108/2024). I riferimenti normativi includono: D.L. n. 119/2018 (rottamazione-ter), L. n. 145/2018 e L. n. 197/2022 (pace fiscale 2022), D.Lgs. 23/2020 (definizione agevolata per fin. locali, Riscossione PA), D.L. 146/2021 (tregua fiscale), L. 11/2022, L. 234/2021 e successive, che hanno via via introdotto e prorogato queste misure.
  • Saldo e stralcio: contribuenti in difficoltà economica hanno potuto beneficiare anche di altre misure (p.es. “Saldo e stralcio” legge 197/2022) per cancellare una parte delle imposte dovute. Anche queste hanno loro scadenze e requisiti di reddito. Se si rientrava nei parametri, si può presentare istanza e bloccare l’esecuzione in corso (spesso in corso il termine per aderire, da verificare ogni anno).

Impugnazione dell’intimazione e giurisprudenza recente

L’intimazione di pagamento è un atto impugnabile davanti alla Commissione tributaria. Fino a pochi anni fa la questione era controversa, perché l’art. 19 del D.Lgs. 546/1992 elencava espressamente “avviso di mora” fra gli atti impugnabili, ma non menzionava l’intimazione. Tuttavia, la giurisprudenza ha ormai chiarito che l’intimazione è assimilabile all’avviso di mora e che la sua impugnazione non è facoltativa: essa è infatti necessaria se si vogliono sollevare eccezioni (come la prescrizione) anteriori alla notifica.

In particolare, con la sentenza Cass. n. 6436/2025 (Sez. trib.) la Corte di Cassazione ha affermato che l’intimazione ex art. 50 DPR 602/1973 va considerata come avviso di mora e rientra nell’ambito di impugnazione ex art. 19, comma 1, lett. e) D.Lgs. 546/1992. In tale sentenza si stabilisce che la mancata impugnazione dell’intimazione fa decorrere l’“immissione in mora” del contribuente, cristallizzando il debito: se l’intimazione non viene contestata, non si possono più far valere, davanti alla Commissione, le vicende estintive anteriori (es. prescrizione dei ruoli). Le Sezioni Unite (ordinanza n. 26817/2024) avevano già sottolineato che il sollecito di pagamento ex art. 50 è atto che precede l’esecuzione e, pur con nomi diversi, ha la stessa funzione dell’avviso di mora.

Va invece citata come superata la precedente Cass. n. 16743/2024 (ordinanza) che – isolatamente – aveva ritenuto l’intimazione come atto “atipico” non ricompreso nell’art. 19 citato, attribuendo alla sua impugnazione natura meramente facoltativa. Le pronunce del 2024-2025 (Cass. 22108/2024; 6436/2025; SU 26817/2024) hanno preso nettamente la direzione opposta: si impugna come atto autonomo, altrimenti il debito si consolida.

Cosa significa nel concreto: per far valere un debito ormai prescritto occorre impugnare l’intimazione entro 60 giorni. Se si ignora l’intimazione fino all’atto esecutivo, non si potrà poi chiamare in causa la prescrizione (a meno di ricorrere in extremis ai rimedi del giudice civile, in cui però il “merito tributario” non è sindacabile). In pratica, anche per motivi tattici è consigliabile contestare l’intimazione subito anziché attendere.

Nel ricorso tributario si possono richiedere anche gli effetti sospensivi ex art. 47 DLgs. 546/1992 (o più in generale chiedere alla Commissione di sospendere l’esecuzione coatta, art. 47 comma 3), dimostrando l’incertezza del debito. Sebbene l’automatismo della “sospensione cautelare” (come previsto, ad esempio, per i contributi Covid) sia ormai scaduto, le Commissioni spesso accordano la sospensione della procedura esecutiva fino alla decisione di merito, qualora ricorrano gravi motivi di incertezza (cfr. art. 47 co. 1-2).

Prescrizione, decadenza e altri termini

Un tema critico è la prescrizione del credito fiscale sottostante. La prescrizione ordinaria dei ruoli contributivi/statali è di regola di 10 anni (ormai resa uniforme a 10 anni dal 2015). Per i tributi locali (imposte periodiche) vale spesso il termine quinquennale. Per i contributi previdenziali (INPS) la prescrizione è quinquennale (legge 335/1995, art. 3 comma 9); la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 23397/2016) ha infatti uniformato a 5 anni anche la prescrizione per i ruoli INPS (prima vi era confusione tra 5 e 10 anni). Le sanzioni amministrative (multe stradali, cartelle di Agenzie statali ecc.) sono generalmente prescritte in 5 anni.

È bene quindi controllare la data di notifica della cartella originaria rispetto alla data di notifica dell’intimazione: se la differenza supera il termine di prescrizione (10 o 5 anni, a seconda del tipo di credito), è possibile eccepirla. Tuttavia, come detto, per far valere la prescrizione è necessario impugnare subito l’intimazione. Se non si agisce nei 60 giorni, non si potrà sollevare la prescrizione in via ordinaria (resterebbe il solo ricorso in Tribunale ordinario ex art. 615 c.p.c., con noti limiti).

Esiste inoltre la nozione di decadenza: l’Agenzia deve emettere cartelle e avvisi nei termini di legge. I tributi registrati in ruolo sono decaduti se, prima di notifica della cartella, siano trascorsi certi termini (ad es. 48 mesi per accertamenti d’ufficio, 20 mesi per contributi INPS, 10 anni per riscossioni ordinarie). In caso di decadenza, il debito è estinto e l’intimazione è priva di effetto. Anche in questo caso la contestazione deve essere sollevata in Commissione.

Aspetti specifici per contributi INPS, sanzioni e altre entrate

L’Agenzia delle Entrate – Riscossione può notificare intimazioni non solo per tributi erariali/IVA, ma anche per contributi previdenziali e sanzioni amministrative (es. multe, sanzioni pecuniarie). Nel caso di crediti INPS iscritti a ruolo, l’intimazione segue la stessa disciplina: 5 giorni per pagare, pena pignoramento presso terzi (es. datore di lavoro o INPS) o iscrizione ipotecaria. Tuttavia, va ricordato che per i contributi INPS l’autorità giurisdizionale competente in caso di opposizione (ricorso) è il Tribunale – sezione lavoro (laddove l’Agenzia Riscossione agisca per suo conto). Se invece si contesta semplicemente l’intimazione in quanto tale (ad es. forma, prescrizione), spesso il ricorso si fa comunque alla Commissione tributaria, in attesa di chiarire poi in seguito quale giudice fisserà definitivamente la questione (Corte Cost. n. 68/2022 ha ristabilito la competenza del giudice tributario per i crediti INPS affidati agli agenti della riscossione, salvo eccezioni).

Per le multe e sanzioni amministrative, l’intimazione è simile e vale 5 giorni. Occorre prestare attenzione alle competenze: ad esempio, per sanzioni stradali l’intimazione può essere notificata da AER su delega del Comune/AGenzia e il ricorso potrebbe dover essere presentato alla Sezione di P.G.L. del Tribunale (per multe fino a 20.000€) oppure alla Commissione Tributaria (in base alla normativa vigente). In generale, contro un’intimazione di sanzioni, è spesso competente il giudice tributario.

Strategie preventive e pratica quotidiana

  • Verifica immediata: appena arriva l’intimazione, rivedere la propria posizione contributiva e fiscale. Controllare se gli importi sono corretti, se le cartelle elencate corrispondono a cartelle già notificate e se si hanno titoli (quietanze, provvedimenti, sentenze) che estinguono o riducono quei debiti. Qualora si rilevi una cartella non notificata o già pagata, è imperativo presentare ricorso.
  • Primo pagamento: in alcuni casi può convenire pagare subito l’importo dovuto (o parte) anche per evitare il blocco di conti o misure peggiori. Il pagamento effettuato entro i 5 giorni dall’intimazione viene infatti considerato “rimedio spontaneo” e blocca l’esecuzione. Se in seguito il ricorso dovesse avere esito positivo (ad es. si accerta un errore), si potrà richiedere il rimborso o la compensazione dell’eventuale eccedenza.
  • Rinegoziazione del debito: se non si ha liquidità per saldare l’intero debito, si possono immediatamente cercare soluzioni come la rateizzazione (art. 19-bis, DPR 602/1973) o l’adesione alle definizioni agevolate. A titolo d’esempio, anche dopo aver ricevuto un’intimazione si può presentare domanda di rateazione delle cartelle (anche in presenza di procedure coattive, sempreché si sospendano fino alla risposta dell’Agenzia). La domanda di rateizzazione — se accolta — blocca l’esecuzione e dà modo di dilazionare il pagamento su più anni.
  • Tutela patrimoniale: per imprenditori e professionisti con partita IVA, è utile adottare misure cautelari (anteposizione di beni personali, apertura di nuovi conti, ecc.) qualora la minaccia di pignoramenti sia incombente. Tenere in ordine i bilanci, evitare operazioni sospette, e consultare un legale fiscalista per valutare scelte come transazioni (ravvedimento operoso) o atti di distacco dal proprio patrimonio aziendale (se legalmente possibile).
  • Simulazioni pratiche: è consigliabile preparare una check-list interna o con il consulente di contabilità, riportando – in vista di qualsiasi intimazione – le cartelle pendenti, i termini di prescrizione, le rateazioni in corso e i provvedimenti di sospensione ottenuti. Ciò aiuta a reagire in tempo. Per esempio, se si sa che alla data odierna sono decorsi 10 anni da una cartella non pagata, val la pena impugnare subito l’intimazione sulla base della prescrizione decennale; se invece esiste una rateazione in corso regolare, fare domanda di riattivazione immediata della stessa rateizzazione.

Domande frequenti (FAQ)

D: Se pago entro 5 giorni, perdo il diritto di fare ricorso?
R: No. Il pagamento spontaneo entro termine salva dalla esecuzione, ma non preclude il ricorso successivo: si può presentare opposizione tributaria anche dopo aver pagato (richiedendo il rimborso totale o parziale), purché entro i 60 giorni di legge. In pratica si può pagare per fermare la macchina, chiedendo però la restituzione in caso di vittoria.

D: Posso rifiutare l’intimazione e ignorare le comunicazioni della riscossione?
R: No, ignorare l’intimazione è rischioso. L’Agenzia procederà automaticamente con pignoramenti su beni e conti. Inoltre, si perderebbe l’occasione di contestare il debito (in quanto la Cassazione dice che la mancata impugnazione blocca la prescrizione).

D: Cosa succede se non ho ricevuto la cartella di pagamento a cui si riferisce l’intimazione?
R: Se la cartella non è stata regolarmente notificata (o è nulla), l’intimazione è illegittima. In tal caso è fondamentale impugnare l’intimazione in Commissione Tributaria, eccependo la nullità della cartella originaria. Secondo Cass. n. 6436/2025, l’intimazione va impugnata autonomamente; analogamente Cass. n. 2616/2015 ammetteva l’insostituibilità della cartella esattoriale. Se la cartella è nulla, un ricorso ben fondato dovrebbe condurre all’annullamento dell’intimazione e bloccare l’esecuzione.

D: Quali spese si rischiano se non si paga o contesta l’intimazione?
R: Oltre agli importi dovuti, il contribuente dovrà sopportare spese di notifica aggiuntive se sono presenti accertamenti, interessi di mora fino alla data di effettivo pagamento, e soprattutto le spese esecutive (circuito esattoriale) in caso di pignoramento (fino all’8% degli importi pignorati, oltre spese vive). In caso di contenzioso perso, al debitore possono essere addebitate le spese legali della Commissione Tributaria, oltre gli oneri di lite.

D: Cosa succede in caso di opposizione e sospensione?
R: Se si presenta ricorso tributario entro 60 giorni, l’esecuzione si ferma implicitamente fino alla decisione (in pratica, fino al giudizio di merito la riscossione non prosegue). Se si chiede esplicitamente la sospensione (istanza cautelare ex art. 47 DLgs. 546/92) e la Commissione la concede, ogni azione coattiva viene congelata fino al giudizio finale. Ciò significa che, se il ricorso ha successo, l’Agenzia dovrà annullare l’intimazione (e le cartelle sottostanti). In caso contrario, si torna al punto di partenza e l’Agenzia potrà riprendere l’esecuzione già pianificata.

D: Come redigere il ricorso in Commissione e l’istanza di sospensione?
R: Il ricorso tributario va proposto al giudice tributario competente (provinciale) entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione. È un atto formale che contiene i dati dell’intimazione, l’indicazione delle motivazioni (errori di calcolo, nullità di notifica, prescrizione, ecc.), e la richiesta di annullamento totale o parziale. È sempre consigliato l’intervento di un avvocato tributarista. Per la sospensione, può essere redatta una memoria aggiuntiva al ricorso o un’istanza separata, richiamando art. 47 DLgs. 546/92 e illustrando il periculum (es. rischio pignoramenti imminenti).

Esempio sintetico di inizio ricorso tributario:

Al Tribunale Tributario Provinciale di [Città]
Con ricorso iscritto al n. … del registro [anno], il Sig. Caio, C.F. …, elettivamente domiciliato presso [indirizzo avvocato], – ricorrente – propone opposizione avverso l’“Avviso di intimazione ad adempiere” notificato in data [data] dall’Agenzia Entrate – Riscossione di [Città], codice fiscale …, relativo alle cartelle esattoriali n. 123/2019 e 456/2020, per le seguenti ragioni di fatto e di diritto:

  1. Natura del ricorso: si impugna l’intimazione ex art. 19, comma 1 lett. e) D.Lgs. 546/1992, come atto finale di riscossione, chiedendo l’annullamento dello stesso per i motivi sotto elencati.
  2. Errori di calcolo: l’intimazione quantifica il debito in euro X, ma il calcolo è errato (vedi allegata copia del conteggio).
  3. Nullità di notifica della cartella: la cartella n. 123/2019 non è mai stata regolarmente notificata al contribuente (documenti allegati), per cui il debito corrispondente è nullo. Conseguentemente, l’intimazione è infondata.
  4. Prescrizione decennale: i ruoli sottostanti risalgono al [anno], pertanto il credito è ormai prescritto. Il ricorrente ha scoperto l’erronea notifica solo con la presente intimazione. Alla luce della Cass. 6436/2025, impugna l’atto per far valere la prescrizione.
    P.Q.M.: Si chiede il rinvio in decisione del presente ricorso e, nei termini di legge, l’annullamento dell’avviso di intimazione in oggetto, con restituzione delle somme eventualmente versate. In via principale si chiede altresì la sospensione immediata dell’esecuzione coattiva ai sensi dell’art. 47 D.Lgs. 546/1992, per i gravi motivi sopra indicati.
    [Luogo e data] – Avv. Foro di … – Sig. Caio (ricorrente)

Modello sintetico di istanza di sospensione (Commissione Tributaria)

Oggetto: Istanza di sospensione cautelare ex art. 47 D.Lgs. 546/1992 – Avviso di intimazione [n. … del …].
Il sottoscritto [Nome Cognome], in persona del suo difensore Avv. [Nome], espone: il [data] il contribuente ha ricevuto intimazione di pagamento [dati intimazione]. Vista la gravità del caso concreto (il debitore è imprenditore con azienda in crisi, sussistono [spiegare motivi]) e l’elevato rischio di irreversibili danni patrimoniali (blocco conti, pignoramento beni strumentali, perdita di appalti, ecc.), si chiede la sospensione della procedura esecutiva coattiva in atto, fino alla decisione di merito sul ricorso già presentato. Sussistono gravi dubbi sull’esistenza o entità del credito (errata notifica/cartella prescritta, vedi allegati) tali da giustificare l’intervento cautelare.
P.Q.M. Si chiede di sospendere immediatamente ogni atto esecutivo (pignoramenti, ipoteche, ecc.) derivante dall’intimazione n. …/…/202… notificata al sottoscritto, in attesa dell’udienza di merito fissata al [data] presso questo T.A.R. (Tribunale Tributario).

(Questo è un esempio di massima; si consiglia di adeguare sempre il ricorso e l’istanza ai fatti specifici del caso e alla normativa vigente.)

Tabelle riepilogative

  • Scadenze dei termini: Atto/Rimedi Termine di legge Osservazioni Cartella di pagamento Avviso per 60 giorni dal ricevimento Deve decorrrere senza pagamento o sospensione Intimazione di pagamento Pagare entro 5 giorni dalla notifica Obbligatorio rispettare per evitare esecuzione forzata Impugnazione (ricorso tributario) 60 giorni dalla notifica dell’intimazione Giudice: Commissione Tributaria; se mancato, debito consolidato Opposizione all’esecuzione (art.615 c.p.c.) Prima del primo atto esecutivo (o entro termine variabile) Tribunale ordinario; consente sollevare vizi del titolo Opposizione agli atti esecutivi (art.617 c.p.c.) 20 giorni dalla notifica dell’atto viziato Giudice dell’esecuzione; accerta vizi formali di pignoramenti Istanza di rateizzazione (cartelle) In qualsiasi momento prima dell’esecuzione Richiede approvazione Agenzia; sospende esecuzione in attesa Adesione a rottamazione/definizione Varia a seconda del bando (vedi Tabella 2) D.L. 119/2018, L. 232/2016, ecc.; in ogni caso prima della chiusura della riscossione
  • Riassunto delle strategie di tutela:
    • Ricorso tributario (primario) – Sospende la procedura e consente di chiedere l’annullamento dell’intimazione.
    • Rateazione del debito – Se accordata, blocca il pignoramento e dilaziona i pagamenti.
    • Sospensione cautelare (Tributario) – Richiesta al T.A.R. (art.47 DLgs.546/92) per fermare immediatamente l’esecuzione fino alla decisione.
    • Opposizione civile (residuale) – Art. 615/617 c.p.c. se l’esecuzione è già in corso (contesto straordinario).
    • Autotutela/Agenzia – Istanza di annullamento o correzione (utile ma non sostitutivo del ricorso).

Conclusioni

Ricevere un’avviso di intimazione di pagamento richiede una reazione rapida e mirata. Il contribuente (privato, imprenditore, professionista) deve innanzitutto verificare l’effettiva legittimità del debito e valutare se pagare, contestare o rateizzare. La normativa tributaria e la recente giurisprudenza impongono di non sottovalutare l’intimazione: se esistono dubbi sulla validità del debito, è fondamentale presentare ricorso tributario entro il termine di legge. Nel contempo, si possono esplorare soluzioni come la definizione agevolata (rottamazione) o il pagamento rateale, che consentono di ridurre oneri e interessi.

Questa guida ha voluto fornire un quadro aggiornato (luglio 2025) delle procedure, delle sentenze recenti e delle possibili difese in caso di intimazione di pagamento dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione. Ad ogni passo, è consigliabile il supporto di un consulente legale o fiscale esperto, poiché ogni situazione ha i suoi dettagli particolari.

Fonti normative e giurisprudenziali: D.P.R. 602/1973 (art.50); D.Lgs. 546/1992 (art. 19 e segg., art. 47); L. 147/2013, D.Lgs. 23/2020, L. 197/2022 e s.m.i. (definizioni agevolate); Cass. Sez. Trib. n. 6436/2025; Cass. SS.UU. n. 26817/2024; Cass. Sez. Trib. n. 22108/2024; Cass. Sez. Trib. n. 16743/2024; Cass. SS.UU. n. 23397/2016; altro.

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L’intimazione di pagamento è un atto con cui l’Agenzia delle Entrate-Riscossione richiede il saldo immediato delle cartelle esattoriali rimaste non pagate. Se non si paga entro i termini (di solito 5 giorni), l’ente riscossore può avviare azioni esecutive come pignoramenti, fermi amministrativi e ipoteche. Tuttavia, non sempre l’intimazione è legittima: può essere contestata se il debito è prescritto, se le cartelle non sono state notificate correttamente o se ci sono errori di calcolo.


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Conclusione
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