Hai ricevuto un avviso di accertamento TARI e non sai come reagire?
La TARI è la tassa sui rifiuti dovuta per il possesso o la detenzione di immobili. I Comuni, tramite i propri uffici tributi o concessionari della riscossione, emettono avvisi di accertamento quando ritengono che non sia stata presentata la dichiarazione, che vi siano errori nei dati comunicati o che non sia stato effettuato il pagamento. Sapere come difendersi è fondamentale per non pagare importi non dovuti.
Quando arriva un avviso di accertamento TARI
– In caso di omessa o tardiva dichiarazione TARI
– Quando i metri quadrati dichiarati non corrispondono a quelli effettivi dell’immobile
– Per mancati pagamenti delle rate della tassa
– Quando il Comune rileva differenze tra catasto e dichiarazioni presentate
– In presenza di immobili utilizzati ma non dichiarati ai fini TARI
Cosa contiene un avviso di accertamento TARI
– I dati dell’immobile oggetto della contestazione
– L’importo richiesto, comprensivo di tassa, interessi e sanzioni
– Le motivazioni dell’accertamento e le norme di riferimento
– I termini entro cui è possibile pagare o presentare ricorso
Come difendersi da un avviso di accertamento TARI
– Verificare la correttezza dei dati catastali e dei metri quadrati contestati
– Controllare se l’immobile rientra tra quelli esenti (ad esempio aree inagibili, pertinenze escluse o superfici non produttive di rifiuti)
– Contestare errori materiali o calcoli sbagliati del Comune
– Dimostrare con documenti (contratti, planimetrie, dichiarazioni già presentate) che la tassa è stata pagata o non è dovuta
– Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria entro 60 giorni dalla notifica se l’atto è illegittimo
– Valutare la possibilità di chiedere la rateizzazione se l’importo è corretto ma troppo oneroso da pagare in un’unica soluzione
Cosa si può ottenere con una difesa efficace
– L’annullamento totale o parziale dell’avviso se errato o infondato
– La riduzione dell’importo con il ricalcolo della tassa dovuta
– La sospensione delle procedure esecutive (fermi, ipoteche, pignoramenti)
– La tutela del patrimonio personale e familiare
– La possibilità di pagare solo quanto effettivamente dovuto
Attenzione: molti avvisi di accertamento TARI contengono errori o vengono emessi oltre i termini di decadenza. Controllare la legittimità dell’atto è spesso decisivo per annullarlo.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in tributi locali e difesa del contribuente – ti spiega come difenderti da un avviso di accertamento TARI e quali strumenti legali puoi utilizzare.
Hai ricevuto un avviso di accertamento TARI e non sai come muoverti?
Richiedi in fondo alla guida una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Verificheremo la legittimità dell’atto, controlleremo i calcoli e costruiremo la strategia migliore per difenderti.
Introduzione
Ricevere un avviso di accertamento TARI – il provvedimento con cui il Comune contesta al contribuente il mancato o insufficiente pagamento della Tassa Rifiuti – è motivo di apprensione per chi lo riceve. Oltre all’importo richiesto (spesso comprensivo di anni arretrati, sanzioni e interessi), l’atto può presentare complessità tecnico-giuridiche che rendono difficile capire immediatamente se sia dovuto o se presenti vizi impugnabili. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale verificare la legittimità formale e sostanziale dell’avviso: vizi procedurali (ad es. difetti di motivazione o di notifica, mancanza di firma autorizzata) possono comportarne la nullità, mentre errori nel calcolo o nelle superfici possono ridurre o annullare la pretesa fiscale.
Negli ultimi anni la materia della TARI e, più in generale, dei tributi locali ha visto significative novità normative e giurisprudenziali. Si pensi all’introduzione dal 2020 dell’accertamento esecutivo per i tributi comunali (che consente al Comune di saltare la cartella esattoriale e procedere direttamente alla riscossione coattiva dopo 60 giorni), o alle pronunce recentissime della Corte di Cassazione che hanno chiarito punti chiave come il termine di prescrizione breve quinquennale per la TARI. Al contempo, la riforma della giustizia tributaria (Legge 130/2022 e D.Lgs. 119/2023) ha modificato la nomenclatura delle Commissioni Tributarie (ora Corti di Giustizia Tributaria) e, dal 2024, ha abrogato l’obbligo di reclamo-mediazione per i ricorsi di valore fino a €50.000, snellendo l’iter di impugnazione.
In questa guida – aggiornata a luglio 2025 – esamineremo in dettaglio il quadro normativo italiano di riferimento e le pronunce giurisprudenziali più autorevoli e recenti in materia di TARI, fornendo strumenti pratici di difesa per il contribuente. Useremo un linguaggio tecnico-giuridico ma con intento divulgativo, adatto sia a professionisti del settore (avvocati tributaristi, consulenti fiscali) sia a privati cittadini e imprenditori che vogliono comprendere i propri diritti. Troverete inoltre tabelle riepilogative dei concetti chiave, esempi pratici (simulazioni di casi reali) e una sezione di Domande & Risposte frequenti. L’obiettivo è guidare il debitore passo dopo passo: dalla comprensione di cos’è un avviso di accertamento TARI e di come deve essere formulato secondo legge, fino alle varie strategie di tutela attivabili (dall’istanza di autotutela al ricorso in Commissione Tributaria), con riferimento alle norme e sentenze più aggiornate.
Quadro Normativo di Riferimento
Affrontare un accertamento TARI richiede prima di tutto di inquadrare le norme chiave che regolano questa materia. Di seguito elenchiamo i riferimenti principali del diritto tributario italiano relativi alla Tassa Rifiuti e agli accertamenti tributari locali:
- Istituzione della TARI: la TARI (Tassa sui Rifiuti) è stata introdotta dalla Legge 27 dicembre 2013 n. 147 (Legge di Stabilità 2014), commi 639 e seguenti, nell’ambito dell’Imposta Unica Comunale (IUC). È un tributo comunale destinato a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento rifiuti. La legge nazionale fissa i principi generali (presupposto d’imposta, soggetti passivi, criteri di calcolo), demandando ai Regolamenti comunali la disciplina di dettaglio (tariffe, scadenze di pagamento, riduzioni ed esenzioni). La TARI ha natura tributaria e non privatistica, come confermato anche dalla Corte Costituzionale e dalla Cassazione, quindi non è soggetta ad IVA ed è regolata dallo Statuto del Contribuente.
- Soggetti obbligati e presupposto: è tenuto a pagare la TARI chi possiede o detiene locali o aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti urbani. In caso di locazione, l’obbligo normalmente ricade sull’inquilino/occupante (utente dell’immobile); se l’immobile è sfitto o privo di occupanti, il tributo è dovuto dal proprietario. Il presupposto è la “potenziale produzione di rifiuti”: anche un locale non effettivamente utilizzato può essere tassato, salvo che sia oggettivamente inidoneo all’uso (ad es. rudere, privo di utenze). I regolamenti comunali possono prevedere esenzioni o riduzioni per particolari situazioni (es. locali disabitati con utenze scollegate, seconde case non utilizzate, attività stagionali, zone non servite dalla raccolta, produzione di rifiuti speciali smaltiti autonomamente, ecc.), in conformità ai criteri della legge nazionale.
- Obbligo di dichiarazione: la normativa TARI prevede che l’utente presenti al Comune una dichiarazione iniziale (all’attivazione dell’utenza, ad es. inizio occupazione di un immobile) e successive dichiarazioni di variazione in caso di modifiche rilevanti (cambio di intestatario, variazione della superficie occupata, destinazione d’uso, numero componenti nucleo familiare, cessazione dell’utenza). Molti Comuni richiedono la dichiarazione TARI entro 30 o 60 giorni dall’evento. L’omessa o infedele dichiarazione costituisce violazione sanzionabile e può dare luogo ad accertamento d’ufficio. Le sanzioni amministrative tributarie in materia, salvo diversa disposizione comunale, seguono i criteri generali del D.Lgs. 472/1997 e D.Lgs. 471/1997: ad esempio, omessa dichiarazione TARI può essere punita fino al 100% del tributo non versato per effetto dell’omissione, mentre l’omesso versamento della tassa liquidata dovuta è sanzionato al 30% di ogni importo non pagato (in analogia all’art. 13 D.Lgs. 471/97) salvo attenuanti o riduzioni. Tali sanzioni possono essere ridotte in caso di pagamento spontaneo (ravvedimento operoso) o definizione agevolata, come vedremo.
- Poteri di accertamento del Comune: La Legge 27 dicembre 2006 n. 296 (Finanziaria 2007), art. 1 commi 161-170, ha dettato una sorta di “mini Testo Unico” per l’accertamento e riscossione dei tributi locali. In particolare, il comma 161 stabilisce che per omesse/infedeli dichiarazioni o omessi/parziali versamenti, il Comune notifica al contribuente un avviso di accertamento motivato, con decadenza fissata al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui il versamento o la dichiarazione avrebbero dovuto essere effettuati. In altri termini, i tributi locali (TARI inclusa) non possono essere accertati oltre il quinto anno successivo a quello di riferimento. Ad esempio, la TARI 2020 non pagata deve essere accertata (cioè l’atto deve essere notificato) entro il 31/12/2025, altrimenti l’ente impositore decade dalla potestà di accertamento. Il comma 162 della stessa legge impone inoltre che gli avvisi di accertamento dei tributi locali siano sottoscritti dal funzionario designato dall’ente per la gestione del tributo (cd. funzionario responsabile TARI, nominato dalla Giunta comunale ai sensi dell’art. 1, co. 692 L. 147/2013). La mancata sottoscrizione da parte del dirigente o funzionario competente comporta nullità insanabile dell’atto. Il comma 163 infine prevede che, una volta divenuto definitivo l’accertamento (perché non impugnato nei termini, o confermato in giudizio), il titolo esecutivo per la riscossione coattiva debba essere notificato (es. cartella) entro 3 anni, a pena di decadenza. Questo termine triennale ha però perso rilievo per gli atti recenti, in virtù dell’accertamento esecutivo introdotto nel 2020 (vedi oltre).
- Accertamento esecutivo dal 2020: La Legge 27 dicembre 2019 n. 160 (Legge di Bilancio 2020), art. 1 commi 792-793, ha innovato la fase di riscossione introducendo l’accertamento esecutivo per IMU, TARI e gli altri tributi locali. Gli avvisi di accertamento emessi dai Comuni dal 1° gennaio 2020 devono contenere, a pena di efficacia esecutiva, l’intimazione ad adempiere entro il termine di 60 giorni (termine per il ricorso) e l’indicazione che, decorso tale termine, l’atto costituisce titolo esecutivo per la riscossione coattiva. Inoltre vanno indicati il soggetto incaricato della riscossione (ad es. Agenzia Entrate-Riscossione o società concessionaria) e gli oneri di riscossione applicabili. In pratica, dall’avviso di accertamento stesso scaturisce – dopo 60 giorni – la possibilità per l’ente di procedere al pignoramento, fermo o ipoteca senza bisogno di notificare una cartella di pagamento separata. È previsto un ulteriore preavviso: trascorsi 30 giorni dal termine per il pagamento, prima di attivare le misure esecutive l’ente o l’agente della riscossione deve inviare un avviso bonario finale con l’intimazione ad adempiere (una sorta di sollecito ultimativo). Ma non vi sarà, diversamente dal passato, l’emissione di una cartella esattoriale: l’accertamento TARI è “immediatamente esecutivo”. Questa novità rende ancora più importante per il contribuente reagire tempestivamente: scaduti i 60 giorni senza pagamento né ricorso, l’atto non solo diventa definitivo ma anche eseguibile. Più avanti spiegheremo come chiedere la sospensione di un accertamento esecutivo in sede di ricorso, per evitare che sfoci in azioni esecutive durante il contenzioso.
- Statuto del Contribuente: la Legge 27 luglio 2000 n. 212 (cd. Statuto dei diritti del contribuente) si applica anche ai tributi locali e contiene importanti garanzie procedurali. In particolare, l’art. 7 L.212/2000 impone che ogni atto impositivo sia motivato in modo chiaro, con l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, nonché l’indicazione degli eventuali atti istruttori cui ci si riferisce (ad es. delibere comunali sulle tariffe, verbali di accertamento della Guardia di Finanza, dati catastali, ecc.). La mancata indicazione degli elementi essenziali per identificare l’immobile o il periodo oggetto dell’accertamento può rendere nullo l’atto per difetto di motivazione. Sempre lo Statuto, all’art. 6, comma 5, prevede che nei casi in cui sussistano incertezze su aspetti rilevanti della tassa, il contribuente possa interpellare l’amministrazione (diritto all’interpello, sebbene in materia di TARI ciò sia raramente utilizzato). Inoltre, l’art. 6 tutela il contribuente stabilendo che, se possibile, prima di emettere un accertamento l’ufficio dovrebbe invitare il contribuente a fornire chiarimenti (principio del contraddittorio endoprocedimentale). Nel contesto TARI, non vi è un obbligo generalizzato di contraddittorio preventivo, ma alcuni Comuni inviano avvisi bonari o inviti a fornire dati mancanti prima di emettere l’atto formale, soprattutto in caso di omessa dichiarazione: tale prassi non è obbligatoria (salvo per le imposte armonizzate o per categorie particolari di tributi), ma rientra nelle buone pratiche amministrative. In ogni caso, l’assenza di un preventivo contraddittorio non invalida di per sé l’accertamento TARI, trattandosi di tributo non armonizzato, salvo specifiche previsioni regolamentari locali.
- Norme sul processo tributario: il D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 regola il ricorso contro gli avvisi di accertamento dinanzi alle Commissioni Tributarie Provinciali (ora Corti di Giustizia Tributaria di Primo Grado). Punti essenziali: il ricorso va notificato all’ente impositore entro 60 giorni dalla notifica dell’atto (termine perentorio, pena decadenza del diritto all’impugnazione); è prevista la sospensione feriale dei termini dal 1 al 31 agosto di ogni anno (quindi un avviso notificato prima di tale periodo gode di uno slittamento dei termini); per valori in contestazione superiori a determinate soglie è necessaria l’assistenza di un difensore tecnico (avvocato, commercialista o esperto abilitato). Come anticipato, per ricorsi notificati dal 2024 non è più obbligatorio il tentativo di reclamo-mediazione per cause fino a 50.000 euro, procedura che fino al 2023 imponeva di presentare un’istanza preliminare all’ente impositore prima di poter accedere al giudice. Ora il contribuente può ricorrere direttamente al giudice tributario. È sempre possibile tuttavia, su base volontaria, trovare un accordo con l’ente in sede processuale (conciliazione) o pre-processuale (accertamento con adesione, se ammesso dal Comune), come vedremo.
Prima di entrare nel merito delle strategie difensive, nei paragrafi che seguono chiariremo anzitutto cos’è un avviso di accertamento TARI, come è strutturato e quali irregolarità (nel merito o nel procedimento) possono verificarsi, per poi esaminare come comportarsi una volta ricevuto l’atto.
Cos’è l’Avviso di Accertamento TARI e quando viene emesso
Definizione – L’avviso di accertamento TARI è l’atto formale con cui l’ente impositore (il Comune, direttamente o tramite un concessionario) contesta al contribuente una violazione relativa alla tassa rifiuti, determinando un importo da pagare. In sostanza, l’accertamento TARI segnala che, secondo l’Ufficio Tributi, vi è una difformità tra quanto dovuto e quanto dichiarato o versato dal contribuente. Nell’avviso vengono quantificati la maggiore tassa dovuta per uno o più anni, le sanzioni applicate (per omesso/parziale pagamento o omessa/infedele dichiarazione) e gli interessi di mora calcolati fino alla data dell’accertamento. Inoltre, sono indicati i termini e le modalità per pagare o impugnare l’atto.
Emittente e forma – L’avviso di accertamento TARI è emesso dal Comune competente per territorio (cioè dove si trova l’immobile tassato) – tipicamente dall’Ufficio Tributi comunale, a firma del Funzionario Responsabile TARI designato. Molti Comuni, specie quelli medio-grandi, si avvalgono di società esterne per la gestione e riscossione dei tributi locali: in questi casi l’avviso può essere emesso dal concessionario in nome e per conto del Comune. A livello formale, l’atto può essere prodotto su carta intestata comunale e notificato in forma cartacea, oppure può essere firmato digitalmente e notificato via PEC (se il contribuente ha un domicilio digitale registrato). In entrambi i casi, come vedremo, deve contenere gli elementi prescritti dalla legge perché sia valido e opponibile.
Quando viene emesso – Le situazioni che più frequentemente danno luogo a un accertamento TARI sono: omesso o insufficiente versamento del tributo dovuto e omessa o infedele dichiarazione da parte del contribuente. In pratica, l’atto può scaturire da due grandi macro-categorie di violazioni:
- Mancato pagamento – Il contribuente, pur avendo presentato regolarmente la dichiarazione TARI e ricevuto dal Comune gli avvisi di pagamento ordinari (bollettini, F24, ecc.), non ha pagato entro le scadenze previste una o più rate, oppure ha versato solo una parte (versamento insufficiente o tardivo). In tal caso l’accertamento contesterà l’omesso o tardivo versamento per l’anno X, indicando l’importo non pagato, la sanzione del 30% su tale importo (salvo che il contribuente non si sia già avvalso del ravvedimento) e gli interessi maturati. Esempio tipico: il Comune verifica i propri archivi e riscontra che il contribuente non ha versato la TARI per l’anno precedente (magari ha saltato una rata, o non ha proprio pagato nulla). Scaduti inutilmente eventuali solleciti bonari, emette l’accertamento per omesso versamento.
- Mancata dichiarazione o infedeltà dichiarativa – Il contribuente non ha presentato la dichiarazione TARI quando avrebbe dovuto (es. ha iniziato ad occupare un immobile senza dichiararlo all’Ufficio Tributi), oppure ha presentato una dichiarazione incompleta/infedele (ad es. ha indicato una superficie inferiore al reale, oppure ha usufruito di riduzioni non spettanti dichiarando il falso). In questi casi l’accertamento è tipicamente un “accertamento d’ufficio” basato su dati che l’ente ha raccolto in altro modo: incrocio con i dati catastali, risultati di sopralluoghi o verbali della Guardia di Finanza, banche dati di altre utenze (luce, gas) o anagrafe residenti. Un caso comune è la discrepanza di superfici: il Comune confronta i mq dichiarati dal contribuente nella propria denuncia TARI con i mq risultanti al Catasto, trovando magari decine di mq in più; oppure verifica che un contribuente non ha mai iscritto una certa unità immobiliare a ruolo TARI pur risultando proprietario/occupante. Ancora, molte attività non segnalano variazioni (es. ampliamenti o cambi di destinazione d’uso) che aumentano la tariffa dovuta. Tutte queste circostanze portano l’ente ad emettere avvisi di accertamento per recuperare la tassa non pagata a causa della mancata o errata dichiarazione. In tali atti, oltre al tributo e agli interessi, si applica una sanzione per omessa/infedele dichiarazione (generalmente del 100% dell’imposta evasa, ridotta a 1/3 se la dichiarazione è infedele ma presentata).
Efficacia sugli anni d’imposta – La TARI è un tributo annuale (anche se normalmente il contribuente paga in più rate nell’anno di competenza). Un avviso di accertamento può riguardare più annualità contemporaneamente, purché tutte entro il limite di decadenza (5 anni). Ad esempio, se nel 2025 il Comune accerta che un negozio aperto nel 2020 non ha mai versato la TARI né presentato dichiarazione, potrà emettere un unico avviso di accertamento TARI nel 2025 richiedendo il tributo per gli anni 2020, 2021, 2022, 2023 e 2024 (tutti gli anni non prescritti). Ogni anno viene dettagliato separatamente nel calcolo. Ciò è legittimo e anzi frequente: spesso l’accertamento per omessa dichiarazione copre l’intero quinquennio arretrato in un solo atto, così da mettere il contribuente di fronte a un importo complessivo rilevante. In altri casi, l’ente potrebbe emettere avvisi distinti per ciascun anno, ma la tendenza è di unificare per efficienza.
Differenza tra avviso di accertamento e avviso di liquidazione – È bene chiarire che l’atto di cui trattiamo (accertamento TARI) non va confuso con un semplice avviso bonario o avviso di pagamento. L’avviso di liquidazione TARI è un atto con cui il Comune richiede un importo dovuto senza che vi sia una violazione, ad esempio perché deve conguagliare somme o rideterminare la tassa dovuta in base a elementi dichiarati dallo stesso contribuente. L’avviso di accertamento, invece, implica sempre una contestazione di una irregolarità (inadempimento o violazione dichiarativa) ed è un atto impugnabile davanti al giudice tributario. Talvolta i Comuni inviano “avvisi di pagamento” anche per annualità correnti: se l’utente non versa entro la scadenza ordinaria, può ricevere un sollecito (che alcuni chiamano avviso di pagamento TARI). Attenzione: tali solleciti bonari non sono impugnabili in Commissione Tributaria, in quanto non rivestono ancora la forma di atto impositivo finale. Solo l’avviso di accertamento motivato, contenente l’intimazione a pagare e l’indicazione delle sanzioni, costituisce atto legittimato all’impugnazione (oltre che titolo esecutivo se decorso il termine). In pratica, se si riceve un semplice “preavviso” (es. una lettera con oggetto “Avviso bonario TARI” o “Sollecito di pagamento”), conviene utilizzare questa fase per chiarire la posizione con l’ufficio o provvedere al pagamento/ravvedimento. Se invece arriva un “Avviso di Accertamento TARI” vero e proprio, con intestazione ufficiale e riferimenti normativi, allora siamo di fronte all’atto formale contro cui – se non si concorda – occorre attivare una difesa entro i termini di legge.
Contenuto obbligatorio e vizi dell’Avviso di Accertamento TARI
Per valutare come difendersi, occorre anzitutto conoscere quali elementi deve contenere l’avviso di accertamento TARI per essere conforme alle norme. Un atto carente in qualcuno di questi elementi essenziali può infatti essere nullo o annullabile. Elenchiamo di seguito i requisiti principali, evidenziando per ciascuno le possibili irregolarità (vizi) che il contribuente può eccepire:
1. Intestazione, destinatario e riferimenti dell’atto
L’avviso deve indicare chiaramente l’Ente emittente (es. Comune di …, Ufficio Tributi) e il destinatario contribuente (nome, cognome/denominazione e indirizzo di residenza o sede). Attenzione a questi dettagli: se l’atto è intestato a persona diversa dal reale soggetto passivo, o riporta generalità errate che rendono dubbia l’identificazione del destinatario, potrebbe essere considerato nullo per intestazione inesatta. Ad esempio, un accertamento intestato a un soggetto deceduto da anni, senza notificarlo agli eredi, è inefficace; parimenti, se l’atto viene inviato alla vecchia residenza nonostante il Comune conoscesse la nuova, la notifica potrebbe risultare invalida.
Inoltre, l’atto in genere riporta un numero di riferimento o protocollo e la data di emissione. Questi dati sono importanti: la data di emissione/notifica serve a verificare il rispetto dei termini di decadenza. Un trucco difensivo è controllare la data di spedizione risultante dall’avviso di ricevimento: se, ad esempio, l’atto è datato dicembre 2025 ma la raccomandata è stata spedita a gennaio 2026, il Comune avrebbe formalmente rispettato la data limite ma sostanzialmente notificato fuori termine (un vizio su cui esiste contenzioso). In generale, però, fa fede la data di spedizione per il rispetto del termine di decadenza (posta la consegna all’ufficio postale entro il 31/12). Il destinatario deve essere proprio il contribuente obbligato al pagamento per quegli anni: se l’immobile ha cambiato proprietario/occupante, bisogna verificare che l’avviso sia rivolto al soggetto giusto per ciascun periodo (il che può richiedere di distinguere le posizioni se, ad esempio, Tizio e poi Caio sono stati inquilini in anni diversi).
2. Motivazione chiara e identificazione dell’immobile/tariffa
Come accennato, la motivazione è l’anima dell’atto impositivo. L’avviso deve spiegare perché il Comune ritiene dovuto un certo importo in più. Ai sensi dell’art. 7 L.212/2000, la motivazione può anche essere per relationem (cioè rinviare a documenti esterni), ma in tal caso tali documenti devono essere indicati e, se non già in possesso del contribuente, allegati. In un avviso TARI la motivazione tipicamente comprende:
- La descrizione della violazione: es. “omesso pagamento della rata TARI scadenza 16/06/2023”, oppure “omessa presentazione dichiarazione TARI per attivazione utenza dal 2019”, oppure “superficie dichiarata inferiore del 20% rispetto ai dati catastali”, ecc. Deve essere chiaro l’ambito temporale (anni d’imposta contestati) e la causa della pretesa (mancato pagamento, mancata dichiarazione, errore, ecc.).
- L’indicazione dell’unità immobiliare o dell’utenza a cui si riferisce la tassa: almeno l’indirizzo completo dell’immobile tassato e, preferibilmente, anche i dati catastali (Foglio, Particella, Subalterno) o altri elementi identificativi. Questo punto è fondamentale: secondo la Cassazione, un accertamento TARI che non consente di individuare con certezza l’immobile imponibile è viziato per difetto di motivazione. Ad esempio, un avviso che si limitasse a dire “tassa rifiuti dovuta per immobile sito in Via Roma” senza numero civico né subalterno e con superficie 100 mq ma senza indicare quale unità sia, non permette al contribuente di capire a quale proprietà si riferisce e deve essere annullato. È buona norma che l’atto riporti sia l’indirizzo che i riferimenti catastali (foglio/particella) e la categoria dell’utenza (domestica/non domestica, tipologia di attività per le utenze non domestiche). Alcuni Comuni includono in motivazione frasi tipo: “immobile identificato al Catasto al fg. X part. Y sub Z, ubicato in Via Tal dei Tali n…, destinazione d’uso: abitazione civile, superficie accertata … mq”. Se mancano gli estremi catastali ma l’indirizzo è completo e univoco, la giurisprudenza recente tende a ritenere comunque valida la motivazione, purché non vi sia ambiguità. Resta però un margine di contestazione se i dati forniti sono incompleti.
- Il calcolo dettagliato delle somme richieste: l’atto deve contenere o allegare una sorta di “prospetto di calcolo” dal quale il contribuente possa ricavare come si è arrivati all’importo finale. In pratica, per ciascun anno e per ciascun immobile dovrebbe essere indicata la tariffa applicata (es: tariffa €/mq annua per la specifica categoria), la superficie tassata, l’eventuale quota fissa e quota variabile, le riduzioni o esenzioni eventualmente considerate o negate, gli importi di tributo dovuti, gli importi versati (se ve ne sono stati) e la differenza. Inoltre vanno quantificate le sanzioni e gli interessi. Un accertamento puntiglioso, ad esempio, scriverà: “Anno 2021: superficie 120 mq, tariffa utenza domestica €1/mq (quota fissa) + €0,5/mq (quota variabile), tributo dovuto €180, tributo versato €0, differenza €180; sanzione 30% omesso versamento €54; interessi legali 1,5% annuo 2021-2023 €X; totale dovuto anno 2021 €…”. Purtroppo non tutti gli enti forniscono un dettaglio così chiaro, ma devono almeno esplicitare gli elementi essenziali di calcolo. In mancanza, l’atto può essere considerato carente di motivazione: ad esempio, la CTR Campania in una vicenda riguardante la quota variabile TARI degli alberghi ha annullato un avviso ritenendo che non fossero spiegati bene i criteri di calcolo, e la Cassazione (ord. n. 20560/2025) ha esaminato proprio se indicare i criteri astratti previsti dalla legge sia sufficiente a motivare (secondo la Corte, se i criteri sono noti e indicati nell’atto, il contribuente è messo in grado di capire e contestare).
- Il fondamento normativo della pretesa: solitamente l’avviso cita le norme violate (es. art. 1 co. 639 L.147/2013, Regolamento comunale TARI art. X, ecc.) e quelle che giustificano sanzioni e interessi (D.Lgs. 471/97 art. 13 per sanzione omesso versamento, regolamento comunale per aliquota interessi, ecc.). Inoltre, in base allo Statuto, se l’atto si basa su deliberazioni o atti amministrativi presupposti (come un Regolamento TARI o un Piano Finanziario o tariffe approvate dal Consiglio Comunale per quell’anno), dovrebbe almeno citarli. Non è necessario allegare il regolamento o le delibere tariffarie, ritenendosi che siano atti normativi generali pubblicati e conoscibili; tuttavia, se il contribuente ne eccepisce la mancata indicazione, potrebbe sostenere la violazione dell’obbligo di motivazione per omissione degli “atti presupposti”. La Cassazione ha chiarito che per i tributi periodici vanno motivati gli elementi variabili, mentre quelli fissi e noti (come i criteri tariffari fissati da norma) possono risultare da richiami generali. In ogni caso, un avviso TARI ben fatto elenca le fonti normative di riferimento.
In sintesi, un vizio di motivazione dell’accertamento TARI ricorre quando manca qualche elemento essenziale: se non si capisce chi deve pagare, cosa, per quale immobile, per quali anni e in base a quale calcolo, l’atto è illegittimo. La conseguenza è l’annullamento in sede contenziosa. Ad esempio, Cass. 30039/2018 ha annullato un accertamento TARSU perché non indicava né estremi catastali né sufficienti dettagli identificativi dell’immobile, violando così l’art. 7 L.212/2000.
3. Sottoscrizione dell’atto e potere di firma
Ogni avviso di accertamento deve essere sottoscritto da un soggetto titolato a farlo. Per la TARI (come per gli altri tributi locali) la legge individua nel Funzionario designato dal Comune il soggetto legittimato alla firma (art. 1 co.162 L.296/2006). Questo funzionario, detto Responsabile del tributo, è nominato con delibera di Giunta (o determina dirigenziale) e ha il potere di firmare gli avvisi e i provvedimenti relativi. Se manca tale nomina, vi sono sentenze che hanno ritenuto addirittura necessario che li firmi il Sindaco (in quanto legale rappresentante dell’ente). La firma serve ad attribuire paternità all’atto: un avviso non firmato o sottoscritto da soggetto non competente è nullo in modo insanabile.
Oggi molte amministrazioni usano modalità di firma alternative alla firma autografa tradizionale su carta. In particolare sono ammesse:
- Firma digitale (elettronica qualificata): se l’atto è creato in PDF e firmato digitalmente con certificato dell’ente, e poi notificato via PEC, esso è valido a tutti gli effetti purché il contribuente possa verificarne la firma. La firma digitale ha valore di firma autografa per legge (art. 21 D.Lgs. 82/2005 CAD). Se però un atto digitale viene notificato in copia cartacea, occorre che la copia analogica sia conforme all’originale digitale, cioè riporti attestazione di conformità o gli estremi che ne consentano la verifica. Un vizio talvolta sollevato è la mancata attestazione di conformità sulla copia cartacea di un atto firmato digitalmente: in alcuni casi ciò è stato ritenuto causa di nullità perché il destinatario non poteva verificare la firma (principio però in evoluzione: molte Commissioni ora ritengono che basti la presenza del nome stampato del funzionario e l’indicazione che l’originale è digitale).
- Firma a stampa (meccanografica): prevista dall’art. 1 comma 87 della L. 549/1995, norma speciale ancora in vigore. Consiste nell’apposizione in calce all’atto, generato da sistemi informativi, del nome a stampa del funzionario responsabile al posto della firma autografa. Questa modalità è lecita a patto che: (a) il Comune abbia un provvedimento dirigenziale che autorizza l’uso della firma a stampa per gli atti emessi in modo automatizzato, indicando il nominativo del funzionario responsabile; (b) nell’avviso stesso siano indicati gli estremi di tale determina e la dicitura che la firma è apposta a stampa in base alla legge. In pratica molti avvisi riportano frasi come “Documento prodotto da sistema informativo ed emanato con firma a stampa ai sensi dell’art. 1 co.87 L.549/95 – Determina Dirigenziale n… del …”. Se manca l’indicazione della determina di nomina o comunque se il contribuente contesta la validità della firma a stampa, sarà onere del Comune provare che esiste l’atto di delega e che quella firma è stata apposta da un sistema autorizzato. Cassazione ha più volte confermato che l’art. 1 co.87 L.549/95 è pienamente valido e che, in caso di contestazione, l’ente deve esibire la determina di nomina del funzionario e autorizzazione della firma meccanizzata, pena la nullità dell’atto. Ad esempio, Cass. 16459/2022 e Cass. 28445/2023 hanno ribadito che la firma a stampa sugli accertamenti locali è legittima solo se vi è prova della regolare investitura del funzionario e dell’adozione del sistema automatizzato.
- Firma autografa: naturalmente resta sempre possibile la firma manuale in calce all’originale cartaceo. In tal caso, se l’avviso è cartaceo, deve recare la sigla autografa originale del funzionario (non una mera fotocopia). Un dubbio a volte è: la notifica per posta avviene in copia, come si riconosce l’originale? In genere l’originale rimane agli atti dell’ente, ma la copia notificata deve riportare una firma (o l’indicazione a stampa se è un originale digitale). Se arrivasse un foglio senza alcuna sottoscrizione né nome stampato, sarebbe nullo perché “privo di sottoscrizione”. Da notare: la firma può essere anche olografa digitalizzata (es. firma scansionata) oppure una firma elettronica avanzata su tablet, a seconda dei sistemi: ciò che conta è che sia riconoscibile il nome del responsabile e che vi sia volontà di sottoscrizione.
💡 Vizi comuni e contestazioni sulla firma: Un accertamento TARI può essere annullato se firmato da un soggetto non autorizzato o se non firmato affatto. Ad esempio, sono nulli gli avvisi firmati da un funzionario privo di delega specifica quando la legge la richiede: Cass. 12781/2016, ad esempio, ha affermato che spetta all’ente provare, in giudizio, che il firmatario diverso dal dirigente avesse formale delega alla firma. Se il contribuente eccepisce l’assenza di delega, il Comune deve esibire la delibera di Giunta o l’atto di incarico nominativo; in mancanza, l’avviso è nullo. Ugualmente, se un Comune è privo di dirigenti e non ha deliberato alcun funzionario responsabile, la firma apposta da un funzionario qualsiasi non basta – in tali casi la legge (D.Lgs. 267/2000, art. 109) vorrebbe la firma del segretario comunale o del sindaco a seconda delle situazioni, ma sono casi limite. Nella pratica, le eccezioni sulla firma sono una difesa tecnica importante: laddove vi sia un dubbio (ad es. l’avviso reca un nome ma non è chiaro se quella persona fosse il responsabile TARI per quell’anno, oppure manca l’indicazione della base legale della firma a stampa), un avvocato tributarista solleva la questione. Spesso i Comuni sanano queste situazioni in giudizio esibendo le nomine; se non lo fanno, molti giudici tributari annullano l’atto per difetto di sottoscrizione valida, essendo una nullità assoluta ex lege.
Riassumendo: controllate sempre chi ha firmato il vostro avviso. Il nominativo dovrebbe comparire in calce; se manca del tutto, l’atto è nullo ipso iure. Se c’è ma non corrisponde a quello del dirigente/funcionario noto, verificate se è presente un riferimento a deleghe. In dubbio, nell’atto di ricorso è opportuno contestare “la nullità dell’avviso per difetto di valida sottoscrizione ai sensi dell’art. 1 co.162 L.296/2006”, costringendo il Comune a produrre le carte.
4. Notifica regolare dell’atto
Un avviso perfetto nel contenuto può comunque cadere se notificato irregolarmente. Le modalità di notifica ammesse per gli atti tributari locali sono: posta raccomandata con ricevuta di ritorno, notifica a mezzo messo notificatore comunale (o ufficiale giudiziario), oppure PEC (se il contribuente ha un indirizzo PEC registrato). È fondamentale che la notifica avvenga nel rispetto delle norme (art. 60 DPR 600/1973 per i tributi, L. 890/1982 per notifica postale, e norme speciali su PEC). Alcuni profili da attenzionare:
- Termine di notifica: come detto, va notificato entro il 31/12 del quinto anno successivo a quello di riferimento. La notifica si considera perfezionata, per l’ente, alla data di spedizione (per raccomandata) o di invio PEC, e per il destinatario alla data di ricezione. Se ricevete un avviso a gennaio che però è stato spedito a dicembre, è nei termini (fa fede il timbro postale). Viceversa, se l’ufficio ha tardato e timbra nel gennaio successivo, l’atto è fuori termine (decaduto) e andrà annullato per decadenza su eccezione del contribuente. La decadenza è rilevabile d’ufficio dal giudice, ma è sempre bene esplicitarla nel ricorso.
- Notifica postale: deve avvenire con raccomandata con AR. Se consegnata al destinatario o a familiare convivente, ok. Se “compiuta giacenza” (destinatario assente e raccomandata non ritirata), la notifica si perfeziona dopo 10 giorni di giacenza, ma il Comune deve inviare la CAD (comunicazione di avvenuto deposito). Vizi possibili: mancanza dell’AR firmata (se il Comune non riesce a produrre la ricevuta di ritorno firmata, non prova la notifica); notifica a indirizzo errato; consegna a soggetto non legittimato (es. portiere senza attestazione, vicino di casa non autorizzato, ecc.). Casi particolari: se il destinatario ha domicilio fiscale diverso dalla residenza anagrafica, l’atto va inviato al domicilio fiscale registrato (spesso coincide con residenza, ma per imprese coincide con sede legale, ecc.). Notifiche a mezzo PEC: sono valide se inviate all’indirizzo PEC risultante dagli elenchi ufficiali (INI-PEC per aziende/professionisti, indice nazionale ANPR per cittadini se hanno domicilio digitale). Il file allegato deve essere l’originale o copia informatica dell’atto. Un vizio talvolta sollevato è l’invio via PEC di file non firmati digitalmente (es. una scansione PDF semplice): la giurisprudenza ha ritenuto nulla la notifica via PEC se l’atto allegato non recava firma (digitale o autografa), perché privo di sottoscrizione valida. Questo è un controllo da fare: se ricevete l’accertamento via PEC, aprite il file .p7m e verificate la validità della firma digitale.
- Notifica presso il domiciliatario: se avevate eletto domicilio presso un professionista o presso una casella PEC specifica nelle precedenti comunicazioni, l’ente deve rispettare tale elezione. In mancanza, la notifica diretta a voi potrebbe essere nulla (ma attenti: l’elezione di domicilio nelle dichiarazioni TARI non è comune, più frequente in ambito imposte dirette).
In generale, contestare vizi di notifica è una strada tecnica: se avete dubbi sulla correttezza (es. l’avviso è stato consegnato a un indirizzo errato, o non avete mai ricevuto la raccomandata, o ancora avete ritirato l’atto ma manca la firma del notificatore), riferite tutto al vostro difensore. A volte la notifica postale può essere viziata ad esempio dalla mancanza dell’indicazione della data sulla busta o di altre formalità, ma non sempre i giudici accolgono tali eccezioni se l’atto ha comunque raggiunto lo scopo (principio di sanatoria delle nullità di notifica ex art. 156 c.p.c.). Tuttavia, alcuni errori sono insanabili (ad esempio una notifica fatta a un indirizzo totalmente diverso dove il contribuente non risiede né ha domicilio: in tal caso l’atto non è nemmeno arrivato a destinazione, quindi la nullità non può sanarsi).
5. Indicazione delle modalità e termini di impugnazione/pagamento
L’avviso di accertamento deve contenere, per prassi consolidata (e alcune norme lo prevedono per specifici tributi), l’avvertimento al contribuente circa i suoi diritti: in particolare, l’indicazione che può essere proposto ricorso entro 60 giorni avanti alla Commissione Tributaria competente, e che in alternativa il contribuente può definire l’accertamento con il pagamento entro 60 giorni con riduzione delle sanzioni (cosiddetta acquiescenza). Inoltre, dal 2020, deve contenere la menzione che decorsi 60 giorni l’atto diverrà titolo esecutivo, come visto. La mancanza di questi avvisi non comporta nullità automatica (non c’è una norma generale che la commini), ma può essere indice di scarsa chiarezza: fortunatamente quasi tutti i modelli di avviso riportano in coda un paragrafo tipo: “Ai sensi dell’art. 18 D.Lgs. 546/92 avverso il presente atto è ammesso ricorso entro 60 giorni dinanzi alla C.G.T. di …; in caso di mancata impugnazione e mancato pagamento entro 60 giorni, il presente avviso costituirà titolo esecutivo con affidamento diretto al Concessionario per la riscossione coattiva”, ecc. Se mancasse del tutto questa indicazione, non è un vizio sostanziale, ma potrebbe dare appiglio in sede difensiva per chiedere al giudice un’interpretazione favorevole (ad esempio sulla decorrenza degli interessi o delle procedure esecutive).
6. Altri vizi sostanziali: errore sul soggetto passivo o sul presupposto
Oltre ai vizi formali fin qui esaminati (motivazione, firma, notifica, ecc.), esistono vizi sostanziali che attengono proprio al merito della pretesa. Questi in realtà esulano dal “contenuto obbligatorio” in senso stretto e rientrano nelle ragioni di ricorso nel merito: ad esempio:
- Errata individuazione del soggetto passivo: il Comune ha emesso avviso verso la persona sbagliata. Ciò può capitare se c’è stato un passaggio di proprietà o di detenzione non noto all’ufficio. Ad esempio, un proprietario che aveva affittato l’immobile potrebbe vedersi recapitare la TARI che invece doveva pagare l’inquilino. Oppure viene tassato un ex inquilino per un periodo in cui già aveva lasciato l’immobile. Questi errori possono portare all’annullamento totale (se il ricorrente prova di non essere affatto obbligato per quell’anno) o parziale (se si sovrappongono più soggetti obbligati in tempi diversi). È fondamentale quindi controllare il periodo di tassazione indicato e chi occupava l’immobile in tale periodo.
- Esenzione o riduzione spettante ignorata: se il contribuente rientrava in un caso di esenzione/riduzione previsto dal regolamento (es. immobile privo di utenze e di arredi per tutto l’anno, oppure abitazione tenuta a disposizione ma soggetta a tariffa ridotta del 30%, oppure ancora attività con produzione di rifiuti speciali che esenta dal pagamento sulla relativa superficie, etc.), e l’ente non ne ha tenuto conto, l’accertamento risulterà per una somma eccessiva. In difesa, si potrà far valere il diritto alla riduzione, anche se non richiesta prima: la giurisprudenza ha talora riconosciuto che se la condizione di riduzione era oggettivamente presente, il contribuente può pretenderne l’applicazione già in sede di ricorso (salvo che la norma regolamentare richiedesse una preventiva istanza, in tal caso la mancata domanda può far perdere il beneficio per quell’anno). Ad esempio, la normativa statale prevede che se la raccolta rifiuti non è effettuata in una zona distante oltre 500 metri dall’immobile, il tributo è dovuto in forma ridotta (fino al 60% di riduzione); oppure, per le utenze non domestiche, se il rifiuto è smaltito dal produttore in proprio (rifiuti speciali), la superficie produttiva di tali rifiuti può essere esclusa dal calcolo. Sono tutte eccezioni da formulare nel merito.
- Errore di calcolo: può sembrare banale, ma a volte l’ufficio commette errori aritmetici. Rifacendo i conti, il totale indicato può essere sbagliato. In giudizio questo può portare a una rideterminazione (il giudice può ridurre la somma agli importi corretti) ma difficilmente annulla l’intero atto per un mero errore materiale. Ad ogni modo, è sempre utile verificare col calcolatore i conteggi.
- Tributo già pagato: il caso più favorevole al contribuente è quando l’accertamento chiede somme che in realtà erano già state pagate o non erano dovute. Spesso ciò dipende da pagamenti finiti al comune sbagliato (errore nel codice catastale del Comune nel modello F24) oppure da accrediti non registrati. Ad esempio, se avete prova (ricevuta) di aver pagato la TARI 2022 ma il Comune vi accerta omesso versamento 2022, basterà esibire la ricevuta: l’ufficio dovrebbe annullare in autotutela. Se non lo fa, il giudice certamente annullerà l’atto per insussistenza del fatto (pagamento già eseguito) e avrete diritto anche alle spese. Questo insegna che conservare le ricevute per almeno 5 anni è cruciale.
Tutti questi aspetti rientrano nelle possibili linee di difesa che il contribuente può adottare. Prima di affrontarle in dettaglio (nel capitolo sulle strategie difensive), facciamo un passo metodologico: cosa fare appena si riceve un avviso TARI? Quali verifiche immediate svolgere e come valutare se pagare o impugnare? Lo vediamo di seguito.
Cosa fare quando si riceve un Avviso di Accertamento TARI
Di fronte a un avviso di accertamento TARI, è importante non farsi prendere dal panico ma neppure ignorare la cosa. I passi iniziali da compiere entro i primi giorni dalla notifica sono:
1. Leggere attentamente l’atto e verificarne il contenuto. Controllate tutti gli elementi sopra descritti:
- È effettivamente intestato a voi (o alla vostra ditta)? Riguarda un immobile di cui siete proprietario o detentore nei periodi indicati?
- Quali anni d’imposta sono contestati?
- Qual è la motivazione: mancato pagamento, metri quadri non dichiarati, etc.?
- L’importo richiesto come si compone (tributo, sanzioni, interessi)?
- La firma in calce c’è ed è comprensibile chi ha firmato?
- La data di notifica (che risulta dal timbro postale o dalla PEC) è entro i termini attesi?
Annotate eventuali anomalie riscontrate perché torneranno utili. Ad esempio, se scoprite che la superficie indicata è errata rispetto ai vostri documenti, o se l’anno 2016 è incluso (ma dovrebbe essere prescritto), segnatevelo subito.
2. Verificare nei propri archivi se avete già pagato o comunicato quei dati. Prima di tutto cercate eventuali ricevute di versamento TARI per gli anni contestati. Spesso l’accertamento arriva perché il pagamento non risulta: può darsi che abbiate dimenticato di pagare, ma può anche darsi che abbiate pagato e il Comune non ne abbia evidenza (accade con gli F24, se si sbaglia il codice comune, il denaro va al comune sbagliato). Quindi, se trovate le ricevute, avete un asso nella manica: fotocopiatele subito. Analogamente, se l’accertamento parla di “omessa dichiarazione” e voi siete sicuri di aver presentato la dichiarazione TARI all’epoca, cercate la copia della dichiarazione o qualsiasi protocollo che la attesti. In assenza, si può chiedere copia all’ufficio protocollo del Comune (ma a volte con i tempi stretti conviene procedere diversamente, vedi oltre). Ogni documento che provi un vostro adempimento è prezioso.
3. Confrontare i dati contestati con la realtà. Ad esempio, l’avviso indica “superficie tassabile 200 mq” ma la vostra casa è di 150 mq: c’è probabilmente un errore. Oppure “n. componenti nucleo familiare: 4” ma voi in quell’anno eravate in 2: anche questo incide sulla tariffa in certi Comuni. Oppure ancora, vi addebitano una pertinenza (garage, cantina) che però secondo il regolamento doveva essere esclusa o conteggiata diversamente. Fate un raffronto con l’ultima bolletta TARI che avevate ricevuto (se l’avevate): spesso lì c’è scritto quanti mq e quanti componenti erano considerati. Se l’accertamento riporta numeri diversi, c’è una ragione da capire (magari avete ampliato casa e non lo avete dichiarato, oppure l’ufficio ha aggiornato i dati catastali d’ufficio, ecc.).
4. Valutare se la pretesa può essere corretta oppure no. A questo punto, con le informazioni raccolte, fate un primo bilancio:
- Se emerge chiaramente che il Comune ha sbagliato (perché voi avete pagato, o perché vi attribuiscono metri in più, o periodi in cui non c’eravate, ecc.), conviene decisamente agire per ottenere l’annullamento o la correzione dell’atto.
- Se invece, a conti fatti, risulta che effettivamente non avevate pagato quella tassa e l’importo richiesto è giustificato, potreste considerare di evitare un contenzioso destinato alla sconfitta e puntare piuttosto a mitigare le sanzioni. Ad esempio, se l’ufficio ha ragione (non avevate proprio presentato dichiarazione su un immobile, e ora vi chiedono 5 anni di tassa), difficilmente un giudice vi darà torto. Ma potreste comunque avere strumenti deflattivi (ridurre sanzioni pagando subito, chiedere rateazione, ecc.) che rendano meno oneroso il tutto.
- Ci sono poi situazioni intermedie: magari la tassa è dovuta, ma ritenete eccessive le sanzioni o alcuni aspetti discutibili (es. vi hanno negato un’agevolazione che secondo voi spettava). In questi casi, valutate la possibilità di un accordo con il Comune (adesione o conciliazione) o di un ricorso parziale.
5. Attenzione ai termini: 60 giorni scorrono in fretta. Dal giorno in cui vi è stato notificato (fa fede la data di ricezione PEC o di firma sulla ricevuta di ritorno), avete 60 giorni per presentare ricorso. Se il 60° giorno cade di sabato, domenica o festivo, slitta al primo giorno lavorativo successivo. Ad agosto il termine è sospeso (31 giorni sospesi se il termine ricade in quel periodo). Tuttavia, non aspettate l’ultimo momento: già entro 30 giorni dovreste aver deciso il da farsi, perché se scegliete di fare ricorso avrete bisogno di tempo per prepararlo; se invece scegliete di pagare con sanzioni ridotte (acquiescenza), conviene farlo entro 60 giorni. E se volete provare l’autotutela o l’adesione, questi processi richiedono anch’essi tempo (e non sospendono il termine di ricorso, salvo l’adesione formalmente attivata).
6. Considerare l’assistenza di un professionista. Se le somme in gioco sono alte o le questioni complesse, consultate un esperto (avvocato tributarista o commercialista esperto di tributi locali) il prima possibile. Per valori modesti (sotto €3.000 di tributo, esclusi interessi e sanzioni, soglia che dal 2023 è elevata a €5.000) potreste anche stare in giudizio da soli senza difensore, ma valutate se ne siete capaci: la materia tributaria ha insidie procedurali. Un professionista potrà anche aiutarvi a trattare con l’ufficio in sede di adesione o autotutela.
7. Non pagare immediatamente senza aver verificato tutto. A meno che l’importo sia irrisorio e preferiate chiudere la faccenda, evitate di pagare subito “per togliervi il pensiero” senza aver controllato l’atto. Se pagate entro 60 giorni, è vero, avrete la riduzione di 1/3 delle sanzioni (ne parliamo tra poco), ma rinuncerete automaticamente a qualsiasi contestazione. Dunque pagate immediatamente solo se siete convinti che sia tutto dovuto e non ci siano errori. In caso contrario, è meglio congelare ogni pagamento e prima valutare la strategia difensiva (salvo magari versare in pendenza di ricorso se volete evitare interessi futuri, ma questo è un discorso avanzato da ponderare con il legale).
In sintesi, la parola d’ordine è agire tempestivamente e con cognizione di causa. Nei paragrafi seguenti vedremo gli strumenti a disposizione per difendersi da un avviso TARI: dall’autotutela (istanza di annullamento in via amministrativa) ai vari istituti “deflattivi” (acquiescenza, accertamento con adesione) fino al vero e proprio ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria.
Come difendersi da un Avviso di Accertamento TARI
Passiamo ora all’aspetto centrale: quali sono le strategie di difesa che il contribuente-debitore può mettere in campo per contestare, ridurre o gestire un avviso di accertamento TARI. Le opzioni si possono dividere in due categorie: strumenti in via amministrativa (prima del giudizio) e strumenti giurisdizionali (ricorso al giudice tributario). Analizziamoli in ordine crescente di impegno.
Autotutela: chiedere l’annullamento o la rettifica al Comune
L’autotutela è la possibilità per la Pubblica Amministrazione di annullare o correggere spontaneamente un proprio atto, quando si accorge di un errore o illegittimità. Il contribuente può sollecitare l’autotutela presentando una istanza motivata all’ente impositore, chiedendo il riesame dell’accertamento. Non è un ricorso formale, bensì una richiesta informale e gratutita rivolta allo stesso ufficio che ha emesso l’atto.
Quando utilizzarla – L’autotutela è indicata in tutti i casi in cui l’accertamento presenti un errore evidente o un chiaro abuso: ad esempio, avete la prova di aver pagato (allegate ricevuta); oppure l’ente ha calcolato male, o vi chiede anni già prescritti, o ha tassato un soggetto sbagliato. In simili situazioni, spesso l’ufficio, messo di fronte all’errore, preferisce annullare o rettificare l’atto piuttosto che andare in giudizio e perdere. È invece meno probabile che il Comune accolga in autotutela questioni interpretabili o di puro merito (ad es. “la sanzione andrebbe ridotta per equità” o “ritengo la tariffa troppo alta”): di norma l’autotutela si muove su errori oggettivi o su vizi legali chiari.
Come procedere – L’istanza di autotutela non ha forme vincolanti (può essere una lettera in carta semplice), ma è consigliabile utilizzare i moduli predisposti dal Comune se disponibili. Molti Comuni sul proprio sito hanno modelli di “Istanza di annullamento/rettifica in autotutela TARI”. In ogni caso, una buona istanza deve contenere:
- I vostri dati (anagrafica, codice fiscale, eventuale recapito PEC).
- Gli estremi dell’atto impugnato: ad es. “avviso di accertamento TARI n… del …, notificato in data …, emesso dal Comune di …”.
- Una chiara esposizione dei motivi per cui chiedete l’annullamento o la rettifica. Siate concisi ma precisi: se avete pagato, indicate data e modalità del pagamento e allegate copia; se contestate un errore di superficie, allegate documenti catastali o planimetrie; se invocate la prescrizione, riportate i conteggi delle date.
- La richiesta finale: es. “si chiede l’annullamento integrale (o parziale) dell’atto in questione in via di autotutela, ricorrendo i presupposti di legge per l’annullamento d’ufficio”.
Firmate e inviate al protocollo del Comune (via PEC è l’ideale, così resta traccia certa di quando l’avete mandata).
Effetti sul termine di ricorso – Attenzione: presentare un’istanza di autotutela NON sospende né proroga il termine di 60 giorni per il ricorso giurisdizionale. Purtroppo è un errore comune pensare “ho fatto ricorso in autotutela, quindi aspetto la risposta e nel frattempo i termini sono congelati” – non è così. L’ente potrebbe anche non rispondere affatto, e intanto i 60 giorni decorrono; se li superate senza aver presentato ricorso alla Commissione, l’accertamento diviene definitivo. Dunque, l’autotutela va vista come un tentativo parallelo: si può presentare subito dopo aver letto l’atto, sperando in un intervento rapido del Comune, ma senza fare affidamento sul suo esito ai fini dei termini. Se mancano pochi giorni alla scadenza dei 60, conviene presentare comunque ricorso al giudice per sicurezza, anche se l’autotutela è pendente (potrete sempre rinunciare al ricorso se l’ente annulla l’atto).
Vantaggi e svantaggi – Il pregio dell’autotutela è la sua semplicità e economicità: non costa nulla (se fate voi l’istanza) e può risolvere il problema in tempi brevi e senza lite. Lo svantaggio è che è totalmente discrezionale: il Comune non è obbligato ad annullare l’atto neppure se esso è evidentemente errato, e non avete strumenti coercitivi (a parte la persuasione e, in ultima ratio, il ricorso al difensore civico o alla Commissione tributaria). In pratica, molti uffici sono disponibili a correggere errori palesi, ma raramente annullano atti per questioni controverse. Inoltre, se l’importo è alto, difficilmente rinunceranno a priori alle somme salvo che il vostro dossier sia schiacciante.
Esito – Se l’ufficio riconosce la fondatezza della richiesta, emetterà un provvedimento di annullamento in autotutela (totale o parziale) o di rettifica dell’avviso. Spesso inviano al contribuente una comunicazione scritta: “In riferimento alla Sua istanza, si comunica l’annullamento dell’avviso n… “ oppure “la rideterminazione del dovuto in €…, il nuovo importo potrà essere pagato…”. È importante ottenere un atto scritto di annullamento/sgravio, per avere certezza che la posizione sia definita. In caso di annullamento totale, il problema è chiuso. In caso di annullamento parziale (ad esempio vi tolgono le sanzioni ma confermano il tributo), potrete valutare se accettare o se impugnare il residuo. Se invece l’ufficio respinge l’istanza (o non risponde affatto), l’unica via per evitare il pagamento resta il ricorso al giudice.
📌 Esempio pratico: Mario riceve un avviso TARI di €500 perché secondo il Comune non ha pagato l’anno 2022. Mario però trova la ricevuta F24: ha pagato, ma per errore aveva indicato il codice comune di un altro paese (sicché i soldi sono finiti altrove). Mario presenta entro 10 giorni un’istanza di autotutela allegando la ricevuta e spiegando l’errore di codice ente. L’ufficio verifica che in effetti il Comune X ha incassato la somma erroneamente. In autotutela, il Comune di Mario annulla l’accertamento, invitandolo semmai a presentare istanza di riversamento dei fondi dall’altro Comune (procedura tra enti). Mario così evita il ricorso e la sanzione. – Se invece l’ufficio non avesse annullato, Mario avrebbe dovuto fare ricorso al giudice allegando la ricevuta: avrebbe vinto comunque, ma con tempi più lunghi e qualche costo.
Definizione agevolata (acquiescenza) o Accertamento con adesione
Prima di impugnare un accertamento, esistono istituti che consentono di chiudere la pendenza con benefici se il contribuente accetta (in tutto o in parte) la pretesa. I principali sono: la definizione per acquiescenza e l’accertamento con adesione. Vediamoli brevemente applicati alla TARI.
Acquiescenza con riduzione delle sanzioni – Prevista dall’art. 15 del D.Lgs. 218/1997 (applicabile anche ai tributi locali in virtù del richiamo generale), consiste nella possibilità di pagare entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento beneficiando di uno sconto sulle sanzioni. In particolare, se si accetta integralmente l’atto e non lo si impugna, le sanzioni irrogate sono ridotte a 2/3 del minimo previsto. Nel caso delle sanzioni da omesso versamento (30%), il minimo coincida col 30% stesso, quindi 2/3 di 30% = 20%. Significa che pagando subito ci si “abbuona” un terzo della sanzione. Ad esempio: tributo accertato €1.000, sanzioni €300 (30%), interessi €50, totale €1.350. Con l’acquiescenza si pagherà tributo €1.000 + sanzione ridotta €200 + interessi €50 = €1.250, risparmiando €100. Non è moltissimo, ma meglio di nulla; inoltre si evita il contenzioso. Attenzione: per godere della riduzione, bisogna pagare tutto l’importo dovuto (con sanzioni ridotte) entro 60 giorni. Se anche una rata o una quota non viene versata, la definizione salta e il Comune potrà riscuotere tutto (anche la parte di sanzione “scontata” decade).
In alcuni casi, i regolamenti comunali prevedono sanzioni più elevate (ad es. omessa dichiarazione 100%): anche queste possono essere ridotte ai 2/3. L’acquiescenza non richiede alcuna istanza: basta effettuare il pagamento e astenersi dal ricorso. In genere il Comune stesso nel preavviso di accertamento indica già l’importo con sanzioni ridotte se paghi entro 60 giorni. Se non lo indica, potete calcolarlo e pagare comunque parzialmente (meglio contattare l’ufficio per farsi dare gli F24 con importi ridotti).
Quando conviene acquiescenza? – Se dopo le vostre verifiche ritenete che il Comune abbia sostanzialmente ragione e non avete margini seri di contestazione, e se potete permettervi di pagare in unica soluzione (o con la rateazione concessa di norma per legge, vedi sotto), allora accettare l’atto e risparmiare 1/3 delle sanzioni può essere sensato. Ad esempio, se il grosso è tributo e sanzioni modeste, il contenzioso vi costerebbe magari più del beneficio. Fate i conti: se l’atto riguarda €10.000 di tributo e €3.000 di sanzioni, con acquiescenza paghereste ~€2.000 di sanzioni anziché 3.000, risparmiando €1.000. Un ricorso vi costerebbe forse qualche migliaio di euro tra spese e onorari, con esito incerto. Inoltre l’acquiescenza evita ulteriori interessi e vi libera dall’incubo in tempi brevissimi (basta pagare, caso chiuso). Di contro, se ritenete di avere buone chance di vittoria in giudizio (perché l’atto è viziato), fare acquiescenza significa rinunciare ai vostri diritti. Non è reversibile: una volta pagato e decorso il termine, non potete più ricorrere. Quindi valutate bene.
Rateazione in fase di acquiescenza – Anche chi definisce con acquiescenza può chiedere la dilazione del pagamento. Infatti l’art. 15 comma 2 D.Lgs. 218/97 prevede che se l’importo supera una certa soglia, è ammessa la rateazione (di solito seguendo le regole dell’art. 8 D.Lgs. 218/97: fino a 8 rate trimestrali se importo <€50.000, fino a 16 rate se superiore). Tuttavia, attenzione: le rate devono comunque tutte cadere entro i 60 giorni? La norma è un po’ oscura, ma nelle prassi dei tributi locali spesso concedono rate anche oltre il 60° giorno, facendo comunque applicare la definizione (in analogia a come avviene per gli avvisi dell’Agenzia delle Entrate). Il consiglio è: se volete pagare con riduzione ma non in unica soluzione, parlate subito con l’ufficio per formalizzare un piano di rate che rispetti la normativa locale sulle dilazioni (spesso i comuni permettono rate da 4 a 12 mensili a seconda dell’importo).
Accertamento con adesione – È un procedimento di definizione concordata dell’accertamento, previsto dal D.Lgs. 218/1997 per le imposte erariali, ma esteso anche ai tributi locali (sia pure con alcune peculiarità: i Comuni potevano emanare regolamenti per applicarlo; in assenza, talvolta lo applicano comunque in via analogica). Funziona così: il contribuente, entro il termine per ricorrere, può presentare istanza di adesione all’ente impositore. Ciò sospende il termine di impugnazione per 90 giorni. Si instaura un dialogo con l’ufficio (magari un incontro) in cui si discutono i punti dell’accertamento e si cerca un accordo su importi o quant’altro. Se si raggiunge l’accordo, si firma un atto di adesione in cui il contribuente accetta di pagare una certa somma e il Comune rinuncia al resto. Il vantaggio notevole è che, in caso di adesione, le sanzioni vengono ridotte a 1/3 (un terzo) del minimo, dunque paghereste solo il 10% se era un omesso versamento con sanzione base 30%. Inoltre si possono rimodulare le cifre: l’ente potrebbe riconoscere ad esempio che i mq tassabili non erano 200 ma 180, o che una parte di sanzione va tolta perché c’era un dubbio normativo, ecc. Insomma, è una transazione fiscale. Se l’accordo non si raggiunge, il contribuente ha 30 giorni dalla chiusura del tentativo per presentare ricorso (che riprende dopo la sospensione di 90 giorni, se istanza presentata tempestivamente).
Quando conviene l’adesione? – Quando c’è margine di trattativa e volontà di entrambe le parti di evitare il giudizio. Spesso per i tributi locali l’adesione non è molto praticata perché i margini di discrezionalità sono limitati (o devi la tassa o non la devi; non è come l’accertamento reddituale dove si può negoziare su imponibili). Tuttavia, può essere utile se il contribuente riconosce di dover pagare ma vuole uno sconto sulle sanzioni maggiore rispetto all’acquiescenza e magari discutere alcuni dettagli. Ad esempio: attività commerciale che non aveva dichiarato 100 mq, accertata TARI €5.000 + sanzione €5.000 (100%). Sa di aver torto sul tributo, però chiede adesione sperando che il Comune accetti di ridurre la sanzione a 1/3 (circa €1.667) anziché volere il 100% intero. Il Comune, per evitare il contenzioso e incassare subito, potrebbe accettare un’entrata minore. L’adesione dunque è ideale in caso di violazioni dichiarative con sanzioni elevate, dove la contrattazione sulle sanzioni fa la differenza. Tenete presente che l’ufficio tributi comunale deve comunque rispettare la legge: non può annullare arbitrariamente il tributo dovuto, ma può applicare i minimi di legge sulle sanzioni o riconoscere riduzioni che magari il contribuente non aveva chiesto.
Procedura pratica – L’istanza di accertamento con adesione va presentata al Comune per iscritto, indicando che si chiede l’avvio della procedura ex D.Lgs. 218/97 sull’avviso tale e tale. Va fatta prima di presentare ricorso (se fate ricorso decadete dalla possibilità di adesione). Dopo la richiesta, aspettate che il Comune vi convochi (di solito entro 2 mesi). Se non vi convocano o se l’incontro non porta a nulla, avete comunque guadagnato del tempo (i 90 giorni di sospensione + 30 giorni finali per ricorrere). Se vi convocano, potete andarci da soli o con un professionista; verrà redatto un verbale dell’eventuale accordo. Una volta firmato l’accordo di adesione, dovrete pagare quanto concordato (anche qui solitamente è ammessa rateazione).
Difetto di adesione obbligatoria dal 2023 – Notate: la riforma tributaria con D.Lgs. 119/2023 ha eliminato la mediazione obbligatoria, ma non ha eliminato l’adesione facoltativa: quella rimane uno strumento volontario. Alcuni commentatori notano che con l’abrogazione del reclamo il legislatore vuole che o si faccia ricorso o accordi bonari senza imposizioni. Comunque, per TARI potete proporla.
Conciliazione giudiziale – A margine, segnaliamo che anche dopo aver presentato ricorso è possibile trovare un accordo col Comune davanti alla Commissione (c.d. conciliazione, art. 48 D.Lgs. 546/92): comporta sanzioni ridotte del 40% e definizione immediata. È uno strumento utile magari in secondo grado o se emergono fatti nuovi. Non dilunghiamoci, ma sappiate che anche in corso di causa c’è spazio per accordarsi.
Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria)
Se non si trova soluzione a monte (né autotutela, né definizione agevolata soddisfacente), non resta che la via giudiziaria: proporre ricorso contro l’avviso TARI alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) competente. Questa è la strategia difensiva principale per far valere i propri diritti quando si ritiene l’accertamento infondato o viziato.
Vediamo i punti essenziali per impostare correttamente il ricorso:
1. Giudice competente e termini – Competente è la Corte di Giustizia Tributaria (CGT) di primo grado nella cui circoscrizione ha sede il Comune che ha emesso l’atto (di solito coincide con la provincia del Comune). Il ricorso va notificato all’ente impositore entro 60 giorni dalla data di notifica dell’avviso. Come già detto, il termine è perentorio, al netto di sospensioni feriali e di eventuale sospensione di 90 giorni se avete presentato istanza di adesione. La notifica del ricorso può avvenire a mezzo PEC (se il Comune ha un indirizzo PEC per il contenzioso, generalmente indicato sull’atto o reperibile su IPA) oppure tramite ufficiale giudiziario o posta. La PEC è ormai lo standard.
2. Contenuto del ricorso – Il ricorso è un atto scritto (oggi spesso un PDF firmato digitalmente dall’avvocato) che deve contenere: le generalità del ricorrente e dell’ente, l’atto impugnato (estremi e oggetto), i motivi di ricorso, la provva (documenti allegati) e le conclusioni (cosa chiede il ricorrente). Nello specifico, i motivi saranno le censure contro l’avviso: ad es. “Violazione dell’art. 1 co.161 L.296/06 per intervenuta decadenza”, oppure “Violazione art. 7 L.212/2000 per difetto di motivazione in identificazione immobile”, oppure ancora “Erronea applicazione tariffa, superficie non dovuta”, ecc., a seconda dei casi concreti. È fondamentale essere chiari e specifici: in generale, ogni vizio dev’essere sollevato come motivo distinto. Si possono unire motivi di merito (es. “non ho prodotto rifiuti, non dovevo pagare”) e motivi formali (nullità dell’atto per vizi procedurali). Nel dubbio, meglio mettere tutto: il giudice valuterà.
3. Richiesta di sospensione – Poiché l’accertamento TARI è esecutivo dopo 60 giorni, conviene quasi sempre inserire nel ricorso un’istanza di sospensione cautelare dell’atto. Ai sensi dell’art. 47 D.Lgs. 546/92, il contribuente può chiedere al giudice tributario di sospendere l’esecutività dell’atto impugnato se dall’esecuzione deriverebbe un danno grave e irreparabile e se il ricorso presenta fumus boni iuris (motivi non palesemente infondati). Nel contesto TARI, il danno grave è solitamente dimostrabile se l’importo è elevato rispetto alle capacità economiche del ricorrente, oppure se il Comune ha già minacciato azioni esecutive (pignoramenti, ecc.). In pratica, dovrete depositare insieme al ricorso un’istanza motivata di sospensione e il giudice fisserà udienza (o deciderà in camera di consiglio) entro tempi abbastanza brevi – oggi la riforma impone decisioni cautelari anche entro 30-60 giorni in molti casi. Se la sospensione è accordata, l’ente non potrà procedere a riscossione finché la causa è pendente (o per un periodo stabilito dal giudice). Se negata, il Comune potrebbe andare avanti con la riscossione: tuttavia, si può sempre riproporre l’istanza se ci sono nuovi fatti o in appello.
4. Costi del ricorso – Presentare ricorso comporta il pagamento di un contributo unificato tributario (CUT) il cui importo dipende dal valore della causa (di massima: €30 fino a 3.000 euro di valore, €60 fino a 6.000, €120 fino a 20.000, €250 fino a 50.000, €500 oltre 50.000). Nel conteggio del valore per le cause TARI, di solito si considera il totale di tributo + sanzioni contestate (gli interessi sono esclusi dal valore se indicati separatamente). Oltre al contributo, se vi affidate a un professionista ci saranno le relative spese legali; se fate da soli (cause minori), il costo è solo il contributo e poche decine di euro di marche. Se vincete, potrete chiedere al giudice la rifusione delle spese da parte del Comune (spesso però nelle cause TARI di modico valore, le spese vengono compensate o liquidate in minima parte).
5. Svolgimento del processo – Una volta notificato il ricorso, va poi depositato presso la segreteria della CGT (oggi via PEC/upload telematico tramite il portale “Giustizia Tributaria”). Il Comune si costituirà con memoria di risposta (eventualmente) entro 60 giorni dal ricevimento, difeso da un proprio funzionario o avvocato. Seguirà l’udienza di trattazione o la decisione con trattazione scritta (dipende se avete chiesto di essere sentiti). I tempi medi per una sentenza di primo grado in materia di tributi locali variano (6 mesi a 2 anni, a seconda della regione e carichi). La riforma punta ad accelerare, ma realisticamente mettete in conto almeno 1 anno.
6. Esiti possibili – La Corte Tributaria potrà: accogliere il ricorso (annullando totalmente l’atto, se reputa fondati i motivi principali); accoglierlo parzialmente (annullando ad esempio le sanzioni o riducendo l’importo); oppure respingerlo (ritenendo valido l’accertamento). In caso di accoglimento, l’ente dovrà eliminare la pretesa e, se avevate pagato in pendenza di giudizio, rimborsare quanto dovuto. In caso di soccombenza vostra, potrete appellare in secondo grado davanti alla CGT di secondo grado (ex Commissione Regionale) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado. È spesso utile farlo se ci sono buone ragioni, anche perché in appello spesso c’è più uniformità giurisprudenziale e si correggono eventuali errori dei giudici di prime cure.
Difese tipiche del ricorrente – Nel contenzioso TARI, i motivi di ricorso più frequenti e con maggiori chance di successo (se supportati dai fatti) sono:
- Decadenza del potere di accertamento: se l’avviso è stato notificato oltre il 5° anno. Questo è un motivo in diritto forte e spesso risolutivo.
- Prescrizione del diritto alla tassa: leggermente diverso dalla decadenza – supponiamo che l’atto riguardi annualità per cui il tributo era dovuto oltre 5 anni fa (magari perché l’atto stesso è tardivo, o perché ci sono stati ricorsi e poi il Comune è rimasto inerte): anche qui si può eccepire che il credito è prescritto in 5 anni (art. 2948 c.c. applicabile ai tributi locali periodici, come confermato da Cass. SS.UU. n. 11765/2024).
- Violazione obbligo di motivazione: quando mancano dati essenziali o la spiegazione è inadeguata. Ad esempio manca l’indicazione di quali immobili e come calcolati – vedi Cass. 30039/2018 citata.
- Violazione obbligo di sottoscrizione/delega: se firmato da soggetto non legittimato e l’ente non prova la delega – motivo formale che spesso porta all’annullamento.
- Erronea applicazione della tariffa o errore sul presupposto: tipicamente, superfici inesatte, duplicazioni (es. vi hanno tassato due volte lo stesso immobile), diniego di riduzioni spettanti. Qui servono prove documentali da parte vostra.
- Inesistenza o nullità della notifica: motivo preliminare, da far valere subito se la notifica è avvenuta in modo totalmente viziato (ad es. consegnata a persona sbagliata e mai giunta a voi). La notifica inesistente rende nullo l’atto ab origine. Questo motivo però richiede di non aver “sanato” la notifica ritirandolo spontaneamente (contesto tecnico: se comunque l’avete avuto in mano, alcuni giudici considerano sanato il vizio tranne i casi di notifica realmente inesistente).
E dopo il ricorso? – Se il ricorso è pendente, l’accertamento non è definitivo finché la sentenza non passa in giudicato. Il Comune però, in assenza di sospensione, potrebbe voler riscuotere metà importo dopo la sentenza di primo grado (norma che permetterebbe la riscossione provvisoria di 1/3 o 2/3 a seconda degli esiti parziali). Nelle liti TARI spesso i Comuni attendono l’esito finale prima di esigere, soprattutto se avete ottenuto sospensione in pendenza di causa. È utile monitorare: se perdete in primo grado, conviene chiedere in appello la sospensione dell’esecutività della sentenza per evitare che il Comune riscuota nelle more.
Ricorrere ha senso quando credete di avere ragioni solide o quando l’importo è significativo da giustificare l’impegno. Tenete a mente che la giurisprudenza recente è abbastanza favorevole ai contribuenti su diversi punti chiave dei tributi locali (prescrizione breve, onere della prova su Comune per le deleghe, etc.), quindi se i vostri motivi rientrano in questi ambiti, non scoraggiatevi.
Prescrizione del debito TARI e tutela post-accertamento
Un cenno approfondito merita il tema della prescrizione, spesso confuso con la decadenza ma distinto. La prescrizione attiene al diritto di riscuotere il tributo una volta accertato. La TARI, essendo tributo locale periodico, è soggetta al termine di prescrizione ordinario di 5 anni ex art. 2948 c.c., come stabilito a Sezioni Unite dalla Cassazione già nel 2016 e ribadito nel 2024. Ciò significa che, anche dopo la notifica valida di un avviso di accertamento (divenuto definitivo per mancato ricorso), il Comune deve attivare la riscossione entro 5 anni, altrimenti il debito si estingue per prescrizione. Prima abbiamo visto la decadenza (5 anni per notificare l’avviso): la prescrizione invece riguarda il periodo successivo.
Esempio: vi notificano nel 2025 un accertamento per TARI 2020, voi non ricorrete e non pagate, l’atto diventa definitivo; il Comune però per vari motivi non procede a riscuotere coattivamente. Arriva il 2031 e ancora nessuna cartella/ingiunzione/pignoramento: a quel punto il diritto a riscuotere è prescritto (5 anni dal 2026 in cui l’atto era divenuto definitivo). Potrete opporre la prescrizione contro qualunque richiesta tardiva.
Ovviamente, ogni atto interruttivo della prescrizione (es. una intimazione di pagamento, un sollecito formale, un pignoramento notificato) fa ripartire da capo i 5 anni da quella data. Ma importante: la notifica dell’accertamento non impugnato non “allunga” la prescrizione a 10 anni. In passato alcuni sostenevano che una volta formato un titolo definitivo, la prescrizione passasse a 10 anni (termine ordinario delle sentenze); la Cassazione a Sezioni Unite (sent. 23397/2016) ha però escluso questa “conversione” per i tributi, salvo che vi sia un giudicato (cioè una sentenza passata in giudicato sul merito). Quindi: accertamento non impugnato = resta 5 anni la prescrizione; cartella non impugnata = resta 5 anni; solo se c’è una sentenza di condanna o un decreto ingiuntivo passato in giudicato allora 10 anni (ma sono casi rari in tributi).
Nel nostro contesto, cosa significa? Significa che se anche non avete fatto ricorso e l’avviso è definitivo, avete ancora un’ultima linea di difesa col passare del tempo: monitorare la prescrizione. Se il Comune o l’agente della riscossione vi notifica una cartella o ingiunzione oltre i 5 anni dall’accertamento definitivo, potrete impugnare quel nuovo atto eccependo la prescrizione sopravvenuta del debito. Fate attenzione: va calcolato esattamente il periodo e verificato se ci sono stati atti interruttivi nel frattempo (la raccomandata di sollecito, se provata, interrompe).
La Cassazione a Sezioni Unite nel 2025 (ord. 2098/2025 e 8069/2025) ha inoltre risolto un dibattito su chi giudica queste eccezioni: ha stabilito che la prescrizione del credito tributario, anche dopo cartella, è sempre materia da giudice tributario (non del giudice ordinario). Quindi, se vi arriva nel 2026 un’intimazione di pagamento su TARI 2015, eccepite la prescrizione quinquennale davanti alla Corte Tributaria e, stando alle SU, avrete giurisdizione corretta e buonissime chance di vittoria.
In pratica, la prescrizione breve quinquennale è un grande alleato del contribuente: spinge gli enti a non dormire troppo sugli allori e fornisce un limite temporale oltre il quale il debito “si dimentica”. Per questo, se siete in causa o in trattativa, potete far leva talvolta su questo: “Comunque se andate in ritardo di anni, il credito svanisce”.
Riassunto operativo sulle tempistiche:
- Il Comune ha 5 anni per accertare (decadenza).
- Una volta accertato (e diventato definitivo l’avviso), ha 5 anni per avviare esecuzione (prescrizione), salvo interruzioni.
- Se interviene una cartella o ingiunzione in quei 5 anni, quest’ultima a sua volta si prescrive in 5 anni da notifica se non si riscuote.
- Ogni atto ulteriore (intimazione, pignoramento) interrompe di nuovo.
- Trascorsi 5 anni di inerzia totale, si può far dichiarare estinto il debito.
Consiglio pratico: Conservate tutti gli atti e le ricevute, anche di eventuali notifiche, per calcolare esattamente i tempi. Spesso nelle liti avanzate l’ente prova ad asserire che c’è stata un’interruzione nel mezzo (magari dicono di aver inviato un sollecito che voi non avete mai visto): in giudizio dovranno provare di averlo notificato. Se non provano, per il giudice quell’interruzione non vale.
Giurisprudenza più recente e rilevante in materia di TARI
La giurisprudenza ha avuto un ruolo importante nel delineare i confini della difesa del contribuente contro gli accertamenti TARI. Di seguito riassumiamo alcune pronunce autorevoli e aggiornate (Corte di Cassazione e Corti di merito significative) che possono essere citate a sostegno delle varie eccezioni:
- Prescrizione quinquennale dei tributi locali – Cassazione Sezioni Unite 15/02/2024 n. 11676 ha definitivamente affermato il principio che per i tributi locali (come IMU, TARI, TASI) si applica la prescrizione breve di 5 anni, in quanto sono prestazioni periodiche ex art. 2948 c.c., a differenza dei tributi erariali (IRPEF, IVA) dove vale la prescrizione decennale. Questa pronuncia di supremo livello chiude ogni residuo dubbio: la TARI non pagata si estingue dopo 5 anni dal momento in cui il credito è divenuto esigibile, salvo atti interruttivi. Anche Cass. V sez. 26/06/2024 n. 17667 ha applicato tale principio in concreto, annullando una cartella TARSU perché il Comune aveva preteso il pagamento oltre il quinquennio e non si poteva invocare il termine lungo neppure avendo la cartella valore di titolo esecutivo. In quella vicenda la Cassazione richiamò anche la storica SU 23397/2016, ribadendo che l’omessa impugnazione della cartella non trasforma la prescrizione in decennale. Dunque, per le cause in corso: se c’è da discutere di prescrizione, citare SU 2024 n.11676 e ord. 17667/2024 come pietre miliari pro-contribuente.
- Giurisdizione sulle eccezioni di prescrizione sopravvenuta – Cassazione Sezioni Unite 30/01/2025 n. 2098 (conforme SU 26/03/2025 n. 8069) ha stabilito che spetta al giudice tributario conoscere delle eccezioni di prescrizione del credito tributario anche quando esse insorgono dopo la formazione del titolo definitivo (cartella o accertamento non impugnato). Questo è rilevante per il contenzioso TARI: se ad esempio vi notificano un sollecito di pagamento 6 anni dopo l’accertamento e voi eccepite la prescrizione, dovrete impugnare il sollecito dinanzi alla CGT, la quale è competente a decidere sul merito del debito residuo e sulla prescrizione, non potendo il Comune obiettare “ormai è materia da giudice ordinario”. Le SU 2025 chiariscono la questione, uniformando la tutela del contribuente che così non deve rivolgersi al giudice civile per far valere la prescrizione post-cartella. Questa pronuncia può essere citata se, ad esempio, il Comune obiettasse incompetenza del giudice tributario su questioni di prescrizione: avete le SU a favore.
- Nullità dell’accertamento TARI per difetto di motivazione (mancata identificazione dell’immobile) – Cassazione 21/11/2018 n. 30039 ha affermato che un avviso TARI privo degli elementi identificativi dell’immobile tassato viola l’obbligo di motivazione e va annullato. Nel caso di specie si trattava di un avviso che indicava solo via e metri quadri ma non i dati catastali, generando incertezza. Questa sentenza è spesso richiamata per supportare l’eccezione di nullità quando l’atto è carente di dettagli. Anche la giurisprudenza di merito è conforme: ad esempio, la Corte Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, sent. n. 4142/2024, ha annullato un accertamento TARI perché riportava indirizzo e mq ma non il numero civico esatto e i riferimenti catastali, impedendo di capire quale unità fosse oggetto d’imposta. Quindi, in casi analoghi, citare Cass. 30039/2018 e l’art. 7 L.212/2000 rafforza la tesi.
- Validità della firma a stampa e onere della prova della delega – Cassazione 20/05/2022 n. 16459 (ordinanza) e Cass. 12/10/2023 n. 28445 hanno entrambe ribadito che la firma a stampa sugli accertamenti tributari locali è legittima se rispettate le condizioni di legge (L.549/95 art.1 c.87) e che, in caso di contestazione, spetta al Comune provare l’esistenza del provvedimento di nomina del funzionario e di autorizzazione alla firma meccanizzata. In Cass. 28445/2023 in particolare, la contribuente eccepiva la mancanza di delega dirigenziale alla firma a stampa; la Cassazione ha rigettato il ricorso perché il Comune di Diamante aveva effettivamente prodotto la delibera di Giunta che designava il funzionario e autorizzava la firma a stampa, ritenendo così soddisfatto l’obbligo. Questa decisione è utile perché elenca i requisiti puntuali: determina dirigenziale con nominativo e fonte dati, indicazione di tali estremi nell’avviso stesso, atto emesso da sistema informativo. Se vi trovate a sostenere la nullità per difetto di sottoscrizione, potete citare Cass. 16459/2022 (che enuncia i principi generali) e Cass. 28445/2023. Inoltre Cass. 6697/2020 (richiamata da ecnews) aveva sancito espressamente che in mancanza di prova della delega, l’avviso è nullo. Le Cassazioni del 2016 n.12781 e n.14877 sono sullo stesso solco.
- Motivazione degli atti TARI e criteri di calcolo – Cassazione 22/07/2025 n. 20560 (ordinanza, caso Comune di Forio vs società alberghiera) tratta del difetto di motivazione lamentato su un avviso di pagamento TARI relativo alla quota variabile. La CTR aveva ritenuto non motivato l’atto in quanto non spiegava bene la riduzione tariffaria “tecnica” per gli alberghi; la Cassazione evidenzia che l’avviso riportava i criteri di calcolo previsti dal DPR 158/1999 e che la valutazione dell’adeguatezza va fatta considerando se il contribuente, conosciuti i criteri astratti, è in grado di comprendere e contestare. Questa pronuncia sembra propendere per una visione sostanzialmente favorevole all’ente quando l’atto richiama i parametri tecnici di legge: cioè, se la tariffa e la modalità di calcolo (quota fissa/variabile, coefficienti) sono note e inserite, l’atto è motivato, anche se non dilunga in spiegazioni. In pratica Cass. 20560/2025 bacchetta la CTR per eccesso di zelo sulla motivazione. Questo può essere citato a sfavore del contribuente se questi pretendesse un dettaglio estremo, ma comunque conferma l’obbligo di indicare i criteri seguiti. Quindi, a chiusura: la motivazione è sufficiente se l’atto “riporta in modo esplicito i criteri per la determinazione della tassa”. Se mancassero, come nel caso campano 2018, è vizio.
- Altre pronunce: La Corte Costituzionale non ha emesso sentenze specifiche sulla TARI in tempi recenti; ricordiamo solo la n. 238/2009 e 64/2022 sulla TIA (vecchia Tariffa Igiene) in relazione all’IVA, ma ormai superate perché la TARI è tributo e non si applica IVA. Le Commissioni Tributarie provinciali e regionali hanno prodotto moltissime sentenze su questioni particolari (es: TARI su aree scoperte condominiali, assoggettabilità di immobili inabitabili, riduzioni per stagionalità). Citare giurisprudenza di merito può aiutare se locale e inerente, ma la Cassazione rimane il riferimento più forte.
In definitiva, il panorama giurisprudenziale attuale fornisce solidi appigli difensivi al contribuente: dall’ormai pacifico termine breve di prescrizione, alla nullità per vizi di forma ben tipizzati (motivazione e firma), fino alla garanzia di un giudice competente anche per fasi successive. Questo non significa che ogni ricorso TARI vincerà – anzi, se la sostanza dell’evasione è provata, il Comune avrà la meglio sul merito – ma significa che c’è margine per far valere i propri diritti e non subire pretese illegittime. Nel prossimo paragrafo risponderemo ad alcune domande comuni che riassumono quanto esposto, e a seguire proporremo tabelle riepilogative e fac-simili utili.
Domande Frequenti (FAQ) sull’Avviso di Accertamento TARI
D. Chi deve pagare la TARI, il proprietario o l’inquilino?
R. La TARI è dovuta da chi detiene o utilizza l’immobile, quindi in caso di locazione normalmente l’inquilino è il soggetto passivo (dal momento in cui prende possesso fino a quando riconsegna). Il proprietario paga la TARI solo per gli immobili tenuti a propria disposizione (vuoti o usati da sé) o se il detentore è di breve durata (meno di 6 mesi, in tal caso alcuni regolamenti fanno ricadere l’anno sul proprietario). In caso di inquilino moroso che non paga, il Comune non può pretendere il pagamento dal proprietario (non c’è obbligazione solidale), ma potrebbe iscrivere a ruolo il debito a carico dell’inquilino stesso. Il proprietario può eventualmente tutelarsi facendosi consegnare dall’inquilino copia della ricevuta TARI o prevedendo nel contratto che in caso di mancato pagamento, l’importo verrà trattenuto dal deposito cauzionale (come per le utenze).
D. Se l’immobile è vuoto e non produce rifiuti, devo pagare la TARI?
R. Dipende dalle circostanze e dal regolamento comunale. In generale, se l’immobile è potenzialmente idoneo all’uso e il servizio rifiuti è attivo nella zona, la TARI è dovuta anche se di fatto non lo abitate (magari con aliquota ridotta). Molti Comuni però prevedono esenzioni o riduzioni per case non locate né utilizzate: di solito richiedono che l’immobile sia privo di utenze (acqua, gas, luce) e/o arredamento, in modo da dimostrare che non viene occupato. Se rispettate questi requisiti e lo comunicate, potreste avere una riduzione (ad esempio 50% o anche esenzione totale in alcuni regolamenti). Se invece l’immobile è inagibile o inutilizzabile (es. rudere, crollato, in ristrutturazione pesante), la TARI non è dovuta ma va presentata apposita dichiarazione di inagibilità e documentazione tecnica. Infine, se il Comune non effettua il servizio di raccolta nella vostra zona (ad es. casa isolata in campagna oltre il limite di distanza previsto, tipicamente 500 metri dal punto di raccolta), la legge prevede una riduzione fino all’80% della tariffa. In sintesi: immobile vuoto ma usabile – di regola paghi, salvo agevolazioni locali; immobile inutilizzabile – non paghi, previa attestazione.
D. Entro quanti anni il Comune può mandare un accertamento TARI?
R. Cinque anni: questo è il termine di decadenza fissato dalla L.296/2006. Si conta dal 31 dicembre dell’anno in cui avreste dovuto pagare o dichiarare. Ad esempio, TARI anno 2020: pagamento a saldo dovuto nel 2020 stesso, il Comune ha tempo fino al 31/12/2025 per accertare omissioni su 2020. La notifica fatta anche un solo giorno dopo (1° gennaio 2026) sarebbe tardiva e l’accertamento nullo. Se c’è dichiarazione omessa, si considera l’anno in cui andava presentata (2021 per omessa dichiarazione di inizio 2020?). In pratica coincide col tributo. Questo termine vale anche per sanzioni. Se parliamo invece di riscossione coattiva (cartelle/ingiunzioni), il termine è 3 anni dall’anno in cui l’accertamento è definitivo, ma con l’accertamento esecutivo questo aspetto cambia (vedi sotto). Comunque oltre 5 anni niente accertamento: in caso di arrivo oltre termine, eccepite la decadenza.
D. Qual è la prescrizione della tassa rifiuti?
R. La prescrizione, ossia il tempo oltre il quale il debito non può più essere legalmente preteso, è di 5 anni (art. 2948 cod. civ.). Questo vale sia se la tassa non è mai stata accertata (il che coincide con la decadenza) sia se è stata accertata ma non riscossa. Ad esempio, se avete un debito TARI 2015 non ancora richiesto formalmente, è prescritto dopo il 2020. Se invece avete un accertamento notificato e definitivo nel 2017 e l’Agente non vi ha mai inviato intimazioni, dopo 5 anni (2022) il credito si prescrive. La Cassazione ha confermato più volte il termine breve quinquennale per TARI. Atti interruttivi (raccomandate, atti esecutivi) fanno ripartire il termine da capo. Importante: se avete fatto un ricorso e ottenuto una sentenza, dopo la sentenza passata in giudicato il credito riconosciuto in sentenza avrebbe prescrizione decennale perché c’è un titolo giudiziale. Ma al di fuori di questo scenario, sempre 5 anni.
D. Ho ricevuto un avviso per annualità molto vecchie (più di 5 anni fa): posso far valere la prescrizione?
R. Sì, se l’avviso stesso è arrivato oltre il quinto anno dall’anno d’imposta, potete eccepire la decadenza (che è simile alla prescrizione ma in questo caso è immediata nullità dell’atto per tardività). Se invece parliamo di una richiesta di pagamento successiva (tipo una cartella nel 2025 su un accertamento del 2018), allora eccepirete la prescrizione del credito sopravvenuta. In entrambi i casi, sollevate il tema nei motivi di ricorso. Esempio: avviso TARI 2016 notificato nel 2023 – vizio di tardività (oltre 5 anni). Oppure cartella su TARI 2016 notificata nel 2023 – vizio di prescrizione. Le Commissioni accolgono queste eccezioni se i conti tornano, e la Cassazione è dalla vostra parte sulle regole dei 5 anni.
D. Cosa succede se non faccio nulla entro 60 giorni dall’accertamento?
R. L’accertamento diventa definitivo ed esecutivo. Ciò significa che:
– Perdete il diritto di impugnarlo (salvo casi eccezionali di ricorso tardivo per forza maggiore, ma sono rarissimi). L’importo contestato si consolida come dovuto.
– Scatta la fase esecutiva: dal 61° giorno in poi il Comune può attivare la riscossione coattiva. Con le regole nuove, l’avviso stesso vale come titolo esecutivo, per cui, trascorsi ulteriori 30 giorni e notificato un avviso di intimazione, potreste subire azioni come fermi auto, pignoramenti di conto, stipendio, ipoteca su immobili (quest’ultima di solito se il debito supera €20.000). Non arriva più la cartella tradizionale, quindi non aspettatevi un “secondo avviso”: l’avviso di accertamento è già il primo e ultimo avviso. Al massimo, come detto, inviano una lettera di sollecito prima di pignorare.
– Maturano interessi di mora: se non pagate, dal giorno successivo alla scadenza dei 60 giorni iniziano a correre interessi moratori (di solito tasso legale aumentato di 2-3 punti, secondo regolamento). Quindi più attendete, più pagherete.
– Possibili maggiorazioni: l’agente della riscossione applicherà oneri di riscossione (percentuali aggiuntive sul debito, anche 6-10%) e spese esecutive che aumentano il dovuto.
In pratica, ignorare l’accertamento è l’opzione peggiore: vi troverete dopo qualche mese con magari un pignoramento del conto bancario o un fermo amministrativo sull’auto senza aver avuto ulteriori chance di difesa, e con l’importo lievitato. Se per qualsiasi ragione non siete riusciti a seguire la pratica in tempo e i 60 giorni sono decorsi, c’è ancora l’autotutela come estrema risorsa, ma non blocca le procedure. Quindi è sempre consigliato reagire entro i termini, anche solo chiedendo rateizzo o adesione.
D. Devo pagare la TARI contestata durante la pendenza del ricorso?
R. No, presentare ricorso sospende l’obbligo di pagamento fino alla decisione, salvo che vogliate usufruire di acquiescenza o adesione (in quel caso pagate e chiudete). Tuttavia, attenzione: l’accertamento resta esecutivo salvo sospensione giudiziale, il che significa che il Comune potrebbe tentare la riscossione anche se avete impugnato, a meno che non otteniate una sospensione dallagiustizia tributaria. In pratica, molti enti in presenza di un ricorso aspettano l’esito di primo grado prima di procedere, soprattutto se avete chiesto sospensiva. Ma per stare tranquilli, è bene richiedere la sospensione dell’atto nel ricorso e, se accordata, non dovrete pagare nell’attesa. Se invece non chiedete sospensione o vi viene negata, teoricamente l’Agente potrebbe dopo 60 giorni andare avanti: in tal caso potreste trovarvi costretti a pagare (o subire pignoramenti) prima ancora della sentenza. Ciò non accade spessissimo, ma è possibile. Quindi: durante il ricorso non sei tenuto a pagare, ma senza una sospensiva sei esposto a rischi. Se temi l’azione esecutiva, valuta se versare intanto la quota non sanzionata (tributo) per ridurre il debito pendente – ma parlane col tuo legale, perché pagare in corso di causa potrebbe essere interpretato come acquiescenza parziale (sebbene pagando solo il tributo e non le sanzioni di solito si considera pagamento spontaneo parziale, non rinuncia al ricorso sulle sanzioni). È un tema delicato, da valutare strategicamente.
D. Posso chiedere una rateizzazione del debito TARI accertato?
R. Sì. Ci sono due momenti in cui è possibile: dopo l’accertamento esecutivo (senza ricorrere) oppure dopo la cartella/ingiunzione (se ormai si è in fase di riscossione). Nel primo caso, molti Comuni consentono di rateizzare l’importo dell’avviso prima che questo sia passato all’agente. Dovrete presentare richiesta di rateazione all’ufficio tributi entro 30-60 giorni, motivando con la difficoltà economica. Le condizioni variano in base ai regolamenti: ad esempio, possono dare fino a 8 rate mensili se l’importo supera €500, fino a 20 rate se supera €5.000, ecc. Se accordano la rateazione, generalmente decade se saltate anche solo due rate. Durante la rateazione, l’ente di solito sospende azioni esecutive (purché rispettiate i pagamenti). Nel secondo caso, se il debito è già in mano all’Agenzia Entrate-Riscossione (ex Equitalia), potete chiedere la rateazione a loro: la legge nazionale consente fino a 72 rate (6 anni) o 120 rate in casi straordinari, a seconda dell’importo e soglie ISEE. Quindi anche se arrivate tardi, c’è modo di diluire. L’importante è non ignorare le comunicazioni: ogni fase ha la sua porta aperta per rateizzare, ma dovete attivarvi con richiesta formale. Note: la rateazione non ferma la decorrenza dei termini di ricorso (se chiedete rate a Comune e questo non risponde entro 60 gg, occhio che il termine ricorso passa; chiedere rate all’agente invece è post-accertamento, il ricorso ormai non c’è più). Se siete in dubbio, potete anche ricorrere e contestualmente chiedere rateizzazione per sicurezza (alcuni lo fanno per evitare pignoramenti in attesa di giudizio: l’agente se concederà rate sospenderà l’azione).
D. Cos’è e come funziona l’accertamento con adesione nel mio caso?
R. Ne abbiamo parlato: è la possibilità di “patteggiare” col Comune. Nel concreto, se ritenete di avere argomenti da discutere (es. “la metratura corretta è inferiore”, o “chiedo di non applicare la sanzione massima”), potete presentare istanza di adesione prima di fare ricorso. L’ufficio vi convocherà e, se trovate un accordo, stilerà un atto di adesione con l’importo rivisto. Voi dovrete poi pagare quello e la questione si chiude; in più, le sanzioni saranno ridotte a 1/3. Se non si raggiunge accordo, potrete comunque impugnare entro nuovi termini. È uno strumento utile se volete evitare il contenzioso ma non potete accettare integralmente l’atto. Un esempio: il Comune vi contesta omessa dichiarazione per un magazzino di 200 mq, sanzione 100% = tributo €500 + sanz €500 = €1000 oltre interessi. Sapete di aver effettivamente omesso, ma ritenete eccessiva la sanzione piena perché magari c’era un dubbio interpretativo. Con l’adesione potreste convincere l’ufficio a ridurla al minimo (1/3 = ~€167) portando argomenti (es. collaborazione, ravvedimento su altri anni, etc.). Paghereste €500+€167 invece di €1000, risparmiando €333, e niente spese legali. Non tutti i Comuni sono propensi all’adesione, ma tentar non nuoce, specie se avete buoni rapporti con l’ufficio o se la questione è complessa e anche l’ente teme l’esito del contenzioso.
D. Cos’è un “ricorso in autotutela” e in cosa differisce dal ricorso vero e proprio?
R. L’espressione “ricorso in autotutela” è un po’ impropria ma viene usata colloquialmente per indicare l’istanza di autotutela rivolta al Comune. In pratica non è un ricorso giurisdizionale: è solo una domanda al Comune di riesaminare e annullare/modificare l’atto. Si differenzia dal ricorso alla Commissione perché non coinvolge un giudice, non sospende termini, e l’ente può accoglierla o respingerla discrezionalmente. È uno strumento amministrativo, mentre il ricorso tributario è uno strumento giudiziario. Il consiglio è: provate prima l’autotutela per errori evidenti (magari il Comune annulla subito e vi evitate la causa), ma tenetevi pronti a fare il ricorso vero entro 60 giorni se il Comune non risponde o dice no. Ricordate anche che potete fare le due cose in parallelo: non c’è incompatibilità. L’autotutela è in sintesi “chiedere all’oste se il vino è buono” – a volte l’oste ammette l’errore e ve lo cambia senza farvi pagare la bottiglia.
D. Ho trovato un errore materiale nell’avviso (es. codice fiscale sbagliato, nome un po’ errato, calcolo aritmetico non coerente): rende nullo tutto?
R. Dipende dalla gravità. Un mero errore di calcolo (ad es. somma sbagliata) di solito non comporta nullità integrale: il giudice può rideterminare l’importo corretto oppure l’ente stesso in autotutela può correggerlo. Un errore nei dati del contribuente (tipo CF sbagliato di qualche cifra, nome storpiato) potrebbe non essere fatale se comunque l’atto vi è arrivato e siete identificabili. La giurisprudenza tende a non annullare per errori formali che non ledono i diritti di difesa (principio del “raggiungimento dello scopo”). Tuttavia, se l’errore vi ha potenzialmente pregiudicato (ad esempio l’avviso era intestato a un altro e per combinazione è arrivato a voi, situazione contorta), allora potrebbe essere dichiarato nullo perché manca proprio la corretta intestazione. In generale errori come l’indirizzo sbagliato o dati catastali leggermente errati non annullano se comunque si capisce di che immobile si tratta. Diverso sarebbe se indicano Foglio/Particella di un vostro immobile ma in realtà intendono un altro – situazioni confuse in cui potete giocare la carta dell’“incertezza”. Quindi, valutate caso per caso. La soluzione più pratica per errori materiali è segnalarli subito in autotutela: spesso il Comune li riconosce e corrgie (ad esempio ricalcola l’importo giusto).
D. L’avviso TARI deve contenere gli estremi catastali dell’immobile?
R. Non obbligatoriamente, ma deve comunque individuare in modo univoco l’immobile. Come discusso, se mancano i dati catastali ma l’indirizzo e la descrizione sono sufficienti a capire quale immobile è tassato, l’avviso è valido. Tuttavia, indicare gli estremi catastali è considerata best practice e molte sentenze lo esigono quando l’indirizzo non è preciso. Ad esempio, in un condominio con 10 interni, dire “Via Rossi 10, int. – , mq 50” senza altro, potrebbe non far capire di quale interno si tratta. In tal caso i dati catastali avrebbero tolto dubbio; se non ci sono, è annullabile. Quindi la regola pratica: o indirizzo completo di numero civico, scala, interno o dati catastali. Se manca uno e l’altro, vizio. Se c’è almeno uno compiuto, ok.
D. Possono emettere due avvisi per la stessa annualità?
R. No, non per lo stesso tributo sullo stesso soggetto. Se accade (ad esempio per un disguido l’ufficio emette due accertamenti entrambi per TARI 2020 su di voi), si configura una duplicazione illegittima. Basterà impugnare il secondo (o entrambi per sicurezza) segnalando che per quell’anno è già stato notificato altro avviso. Normalmente il Comune annulla il duplicato in autotutela se glielo fate notare. Non confondete però due atti diversi: a volte il Comune notifica un “avviso di liquidazione” e poi un “avviso di accertamento”: non è doppione, il primo era magari un calcolo ordinario e il secondo la sanzione per omesso pagamento. Se invece sono proprio due accertamenti identici, uno è di troppo.
D. Ho ricevuto un accertamento intestato a mia madre che però è morta l’anno scorso: è valido?
R. Gli atti intestati a persone decedute sono nulli se notificati dopo la morte, a meno che non siano stati fatti nei confronti “degli eredi di …”. La regola fiscale è che gli eredi subentrano nei debiti tributari del de cuius, ma l’ufficio per recuperarli deve notificare l’atto agli eredi (nominativamente o collettivamente, ex art. 65 DPR 600/73) entro determinati termini (entro l’anno successivo al decesso per accertamenti, se ricordo bene). Se ricevete quindi un avviso intestato al defunto, andrà impugnato dichiarando la nullità perché emesso verso soggetto inesistente. Il Comune potrà poi riemetterlo a nome degli eredi, ma intanto quello cade. Se invece siete voi eredi e l’avviso vi è intestato correttamente come “Eredi di X”, allora dovete considerarlo valido e rispondere come tali (divisi pro-quota di solito, ma questo è un dettaglio interno fra eredi).
D. In caso di successione ereditaria, chi paga la TARI dell’anno in corso?
R. Se ad esempio il de cuius muore a metà anno, la TARI fino alla data del decesso è debito suo (che ricade sugli eredi), dal giorno successivo dovrà intestarsi agli eredi che diventano detentori dell’immobile (anche se disabitato, è in carico a loro). Spesso l’anno del decesso viene richiesto interamente agli eredi a fine anno: sarebbe più corretto ripartire pre e post decesso, ma in pratica per importi modesti conviene pagare. Importante: se rinunciate all’eredità, non siete tenuti ai debiti TARI del de cuius (ma la rinuncia va formalizzata per legge).
D. Il Comune può accertare e pretendere TARI anche se l’immobile è inagibile/abusivo/non registrato?
R. Se l’immobile è di fatto esistente e utilizzato, sì, la tassa è dovuta (es. casa abusiva occupata: sul piano fiscale, conta il fatto che produce rifiuti; l’abusività urbanistica non esenta, semmai crea altri problemi). Se l’immobile è inagibile e ciò è accertato, di regola l’utente avrebbe diritto a esenzione o forte riduzione (a Roma, ad esempio, locali dichiarati inagibili hanno riduzione 50%). Se l’immobile non è accatastato e non avete mai dichiarato nulla, l’ente può comunque tassarvi facendo un sopralluogo o basandosi su altre fonti (incroci con utenze). Potrete semmai negoziare in aderenza la riduzione di sanzioni se c’erano dubbi.
D. Il Comune ha sbagliato il calcolo e ha considerato due volte la quota variabile per ogni pertinenza: posso oppormi?
R. Questo fu un problema noto anni fa (la cosiddetta “TARI gonfiata” per le pertinenze, venuto alla luce attorno al 2017). Se vi accorgete che l’ente ha applicato indebitamente più quote variabili (una per l’abitazione e una per garage, cantina ecc, quando invece la quota variabile per utenze domestiche è unica per nucleo familiare), potete senz’altro contestarlo. Il MEF stesso nel 2017 chiarì che tale prassi era scorretta e i Comuni dovettero rimborsare. Ormai difficilmente accade ancora negli accertamenti 2020-2021 in poi, ma se fosse, è un vizio sul merito del calcolo: lo fate presente e il giudice vi darà ragione (in realtà i Comuni di solito rettificano in autotutela non appena sollevate il caso, per evitare brutte figure).
D. Ho un’azienda e produco rifiuti speciali (oli esausti, scarti industriali) che smaltisco con ditte private: devo pagare TARI su quei metri quadri?
R. La legge esclude dalla TARI i rifiuti speciali derivanti da attività produttive, a condizione che l’azienda provveda a smaltirli per conto proprio secondo la normativa (ad esempio tramite aziende autorizzate, con formulario rifiuti). Tipicamente, certe aree di stabilimenti industriali o artigianali (zone di lavorazione) producono rifiuti non assimilati agli urbani e quindi non coperti dal servizio pubblico. Per tali superfici si può chiedere l’esclusione dalla tassazione, presentando idonea documentazione. Se l’avete fatto e il Comune lo ignora, l’accertamento non è corretto. Se non l’avevate dichiarato prima, potete sempre provarlo in ricorso: alcune Commissioni riconoscono l’agevolazione anche retroattivamente se l’azienda documenta di aver smaltito speciali a proprie spese. Dipende dal regolamento, perché alcuni chiedono dichiarazioni annuali specifiche. Comunque è un argomento difensivo tecnico da supportare con prove (es. copie di formulari smaltimento, contratti con ditte di rifiuti speciali, ecc.).
D. Ho scoperto di avere pagato la TARI al Comune sbagliato per anni (perché la casa sta al confine e ho confuso i codici): ora un Comune mi chiede arretrati e l’altro ha incassato indebitamente: come risolvo?
R. Situazione non frequentissima ma possibile. Purtroppo i due procedimenti (pagamento indebito al Comune A, mancato pagamento al Comune B) viaggiano separati. Dovreste: da un lato, chiedere rimborso o riversamento al Comune che ha ricevuto i soldi erroneamente; dall’altro, esibire la prova al Comune richiedente che voi avete comunque versato, sebbene al codice ente sbagliato, e chiedere l’annullamento dell’accertamento impegnandovi a far trasferire le somme. In genere i Comuni in questi casi collaborano (il MEF ha procedure di riversamento tra enti per correggere questi errori). Quindi immediatamente fate istanza di autotutela al Comune che vi accerta allegando le ricevute di pagamento (dimostrando la buona fede e che non c’è evasione ma solo un errore di codice); parallelamente chiedete al Comune che ha incassato per errore di riversare quelle somme all’altro Comune (indicate riferimenti, anni, importi). Se l’iter di riversamento è lungo, il Comune creditore di solito intanto annulla le sanzioni e congela la posizione, aspettando il riversamento. Se proprio non ne volevano sapere, ultima spiaggia il giudice che, riconoscendo il pagamento ancorché a destinatario errato, potrebbe annullare le sanzioni per obiettiva condotta non fraudolenta e magari ordinare una compensazione. Comunque, la chiave è la prova che il pagamento c’è stato (anche se a ente diverso).
Abbiamo così chiarito molti dubbi tipici. Se ne avete altri specifici sulla vostra situazione, è consigliabile consultare un professionista o gli uffici preposti con tutta la documentazione, perché il diavolo sta nei dettagli in materia tributaria.
Tabelle riepilogative
Per concludere la guida, riportiamo alcune tabelle riepilogative che sintetizzano i concetti chiave esposti, utili come riferimento rapido.
Tabella 1 – Termini e fasi di accertamento e riscossione TARI
Fase | Descrizione | Termine | Riferimento Normativo |
---|---|---|---|
Decadenza accertamento | Termine entro cui il Comune può notificare avvisi di accertamento per omessa denuncia o omesso versamento. | 5 anni dal 31/12 anno di riferimento (31/12/anno+5) | L. 296/2006, art. 1 c.161 |
Notifica avviso | Modalità: PEC, posta raccomandata, messo comunale. Deve avvenire entro termine di decadenza (fa fede data spedizione). | 60 gg prima della decadenza (pratica: spedire entro 31/12 quinto anno) | L. 296/2006, art. 1 c.161; L. 890/1982 (poste); art. 60 DPR 600/73 |
Impugnazione (ricorso) | Termine per il contribuente per presentare ricorso all’autorità giudiziaria (CGT) contro l’avviso. | 60 giorni dalla notifica (sospesi dal 1° al 31/8) | D.Lgs. 546/92, art. 21; Statuto contrib. art. 7 c.2 (motivazione su modalità ricorso) |
Autotutela (fase pre-contenziosa) | Richiesta al Comune di annullare/modificare l’atto. Non sospende termini ricorso. | Da presentare preferibilmente entro 60 gg (successivamente ha senso solo per sanare vizi dopo) | Art. 2-quater, D.Lgs. 564/94; DM 37/1997 (circ. autotutela) – prassi interna P.A. |
Accertamento esecutivo | Natura esecutiva dell’avviso decorso termine ricorso: atto vale titolo esecutivo senza cartella. | 61° giorno dopo notifica (se non impugnato) | L. 160/2019, art. 1 c.792-793 |
Intimazione ad adempiere | Avviso bonario prima di esecuzione forzata post-accertamento esecutivo. | Dopo 60 gg, concede almeno ulteriori 30 gg per pagare | L. 160/2019, art. 1 c.792 (rinvio a art.50 DPR 602/73) |
Prescrizione del credito | Termine di estinzione del diritto a riscuotere se nessun atto interruttivo è compiuto. | 5 anni dall’ultimo atto valido (es: 5 anni da notifica avviso se nulla dopo) | Art. 2948 n.4 c.c.; Cass. SU 23397/2016; Cass. SU 11676/2024 |
Riscossione coattiva | Atti esecutivi: pignoramento, fermo, ipoteca. Necessaria notifica di titolo esecutivo (accert. esecutivo stesso o cartella) e preavviso 30 gg. | – (può iniziare dal 91° giorno post-notifica avviso, se intimato) | L. 160/2019 art. 1 c.792; DPR 602/73 (fermo/ipoteca >€20k, pignoramento stipendio >€5k etc.) |
Cartella/ingiunzione (solo per atti pre-2020 o particolari) | Titolo esecutivo emesso dall’agente per riscuotere somme da avvisi definitivi (non necessario per atti 2020+). | 3 anni dalla definitività accertamento (decadenza, atti ante 2020) | L. 296/2006 art.1 c.163 |
Note: Dal 2020 la fase “cartella” è assorbita dall’accertamento esecutivo. La prescrizione quinquennale è applicata in coerenza da ultimo da Cass. SU 2024. I termini processuali (60 gg) sono sospesi di diritto in certi periodi (es. agosto).
Tabella 2 – Principali vizi impugnabili dell’Avviso TARI e riferimenti
Vizio allegato | Descrizione | Norme/Sentenze di supporto | Esito atteso |
---|---|---|---|
Decadenza del potere accertativo | Atto notificato oltre il 5° anno successivo al dovuto. | L. 296/2006, art.1 c.161; Cass. 34447/2019 (SU) | Nullità dell’atto (decaduto) |
Difetto di motivazione | Atto non spiega sufficientemente presupposti e calcoli; impossibilità di individuare immobile/periodo. | Art. 7 L.212/2000; Cass. 30039/2018; Cass. 20560/2025 (criteri) | Annullamento per violazione diritti difesa (atto carente) |
Mancata indicazione elementi immobile | Manca identificazione puntuale (es. dati catastali in caso di indirizzo incompleto). | Cass. 30039/2018; CTR Lazio 4142/2024; art. 7 L.212/00 | Annullamento per motivazione insufficiente |
Difetto di sottoscrizione | Assenza di firma oppure firma di soggetto non legittimato (niente delega valida). | L. 296/2006 art.1 c.162; Cass. 12781/2016; Cass. 16459/2022; Cass. 28445/2023 | Nullità insanabile ex lege (art.42 DPR 600/73 in analogia) |
Notifica nulla/inesistente | Errore grave nella notifica: persona sbagliata, indirizzo errato, mancato invio raccomandata, ecc. | L. 890/1982 (notif. postale); Cass. 12083/2019 (notifica a soggetto inesistente); art.156 cpc (raggiungimento scopo) | Nullità se inesistente; altrimenti annullabilità se violazione non sanata |
Soggetto passivo errato | Intestazione a persona non obbligata (es. inquilino invece di proprietario o viceversa, anni non di competenza). | Art. 1 DLgs 504/92 art. 11(segue competenza funzionario); principi generali soggettività passiva tributi locali | Annullamento totale per insussistenza obbligo (o parziale per anni non dovuti) |
Errore sul quantum (metratura, tariffa) | Differenza fra dati reali e contestati (es. mq minori, riduzioni spettanti ignorate). | Documenti tecnici (visura catastale, regolamento comunale art…); Cass. 7389/2012 (riduzione disabili, es. di riconoscimento) | Annullamento parziale: rideterminazione del dovuto corretto |
Prescrizione del credito sopravvenuta | Richiesta di pagamento tardiva su atto definitivo (oltre 5 anni dall’esecutività). | Art. 2948 c.c.; Cass. SU 11676/2024; Cass. 17667/2024; Cass. SU 2098/2025 | Estinzione del debito (il giudice dichiara non dovuto per intervenuta prescrizione) |
Violazione regole proprie TARI | Esempi: doppia quota variabile applicata, tariffa non conforme a delibera, mancato contraddittorio se previsto dal reg. | Circ. Finanze 1/DF 2017 (quota variabile una sola volta); Norme regolamentari locali | Annullamento totale/parziale a seconda del vizio (il giudice può rideterminare corretto) |
Note: I vizi formali (motivazione, firma, notifica) portano a nullità spesso “tombale” dell’atto, mentre quelli sostanziali (quantificazione, soggettività) possono portare a riduzione dell’importo. Il giudice tributario infatti può annullare in toto o anche solo parzialmente modificare l’atto impugnato (art. 7 co.5 DLgs 546/92). È sempre importante documentare i fatti a supporto dei vizi sostanziali (es. planimetrie per mq, ricevute per pagato, certificati per esenzioni, etc.). I riferimenti giurisprudenziali indicati fungono da esempio di orientamenti utili citabili.
Tabella 3 – Strumenti di difesa del contribuente e loro effetti
Strumento | Chi decide | Quando usarlo | Effetto su termine ricorso? | Vantaggi | Svantaggi |
---|---|---|---|---|---|
Autotutela (istanza annullamento) | Comune (ufficio tributi) | Errori palesi dell’atto (pagato, doppio, sogg.errato, calcolo errato). Entro 60 gg da avviso (o anche dopo, ma meglio prima). | Nessuno stop (60 gg continuano a decorrere) | Gratuita, semplice; può risolvere velocemente senza lite. | Discrezionale, nessuna garanzia; risposta può tardare o mancare. |
Ravvedimento operoso (pagamento spontaneo con sanz ridotta) | Contribuente (comunicazione a Comune) | Se ci si accorge prima dell’accertamento o entro 30gg dalla scadenza originaria. Dopo avviso non è ammesso ravvedimento ordinario. | – (non applicabile dopo notifica atto) | Sanzioni molto ridotte (da 1/10 a 1/5 del 30% a seconda del ritardo). Evita accertamento. | Applicabile solo prima che violazione sia contestata. Non rilevante dopo avviso. |
Acquiescenza (pagamento con riduz. sanzioni 1/3) | Contribuente decide, atto ex lege | Quando riconosce validità accertamento e vuole chiudere risparmiando su sanzioni. Entro 60 gg paga tutto ridotto. | – (cessa il diritto al ricorso, si rinuncia) | Riduzione sanzioni a 2/3 (es. 20% anziché 30%) e stop interessi ulteriori. Niente lite. | Bisogna pagare in tempi brevi; rinuncia definitiva a contestare anche eventuali vizi. |
Accertamento con adesione (D.Lgs.218/97) | Comune e contribuente (accordo bilaterale) | Quando c’è margine di discutere l’entità (mq, classificazione, sanzioni). Richiesta entro 60 gg prima di ricorrere. | Sospende 90 gg termine ricorso | Sanzioni ridotte a 1/3 (10% se omesso vers.). Possibilità di concordare importo minore. | Comune non obbligato a concedere sconti. Procedura può fallire -> si perde tempo (90gg). |
Ricorso Commissione Tributaria (CGT) | Giudice tributario indipendente | Quando si vuole contestare formalmente l’atto in punto di diritto o merito. Entro 60 gg notifica ricorso. | – (se niente adesione) – però processo sospende riscossione se si ottiene sospensiva | Decisione da organo terzo; possibilità di annullamento atto; tutela legale piena. | Procedura tecnica, serve difesa (oltre €3000); tempi medio-lunghi; costi (contributo, legale). |
Conciliazione giudiziale (in corso causa) | Comune e contribuente (in giudizio, con validazione giudice) | In qualsiasi stato del processo (primo grado o appello) se le parti trovano accordo parziale/totale. | – (chiude il contenzioso) | Ulteriore riduzione 40% sanzioni (se avviene in giudizio); evita grado successivo. | Va trovata intesa; non applicabile se ente è rigido su posizione integrale. |
Rateizzazione (in pendenza o dopo giudizio) | Comune o Agente riscossione | Se difficoltà a pagare importo in unica soluzione, si può chiedere dilazione prima o dopo fase giudiziale. | – (non incide su termini ricorso) | Evita esecuzione, permette pagamento graduale (fino 72-120 rate se via AER). | Debito rimane con interessi. Decadenza se salta pagamento rate. |
Note: Gli strumenti non si escludono a vicenda: ad es. si può presentare istanza di adesione e poi, se fallisce, fare ricorso; oppure fare ricorso e proporre conciliazione in udienza; oppure chiedere rateazione dopo aver perso giudizio. L’importante è rispettare i termini di ciascuno. Autotutela può coesistere con ricorso (il ricorso tutela da decadenza, l’autotutela tenta via bonaria). Il reclamo-mediazione non è più obbligatorio dal 2024 (per ricorsi nuovi), perciò non l’abbiamo incluso nella tabella come step.
Fac-simili di atti difensivi (Autotutela e Ricorso)
Di seguito forniamo degli schemi generali di come strutturare un’istanza di autotutela e un ricorso tributario, nel contesto di un avviso di accertamento TARI. Si tratta di modelli semplificati, da adattare al caso concreto con i dati specifici; per situazioni complesse è consigliabile farsi assistere da un professionista nella redazione.
Fac-simile Istanza di Annullamento/Rettifica in Autotutela – TARI
(Da inviarsi al Comune – Ufficio Tributi, preferibilmente via PEC, in carta libera)
Oggetto: Istanza di annullamento/rettifica in autotutela – Avviso di Accertamento TARI n. ___ notificato il ___
Il/La sottoscritto/a ____________, C.F. ___________, residente in _________, via ______ n.__,
in qualità di [contribuente / legale rappresentante della società ______ P.IVA _____] interessato dall’avviso in oggetto,
PREMESSO CHE:
– in data __/__/____ ha ricevuto notifica dall’Ufficio Tributi del Comune di ______ di un avviso di accertamento TARI n.___ del ______, relativo all’anno d’imposta ______, per l’immobile sito in ________, via ______ n.__ (foglio ___ particella ___ sub ___);
– tale atto impositivo richiede il pagamento di €____, di cui €___ a titolo di tributo, €___ per sanzioni e €___ per interessi, motivando la pretesa come segue: “____________________” (riportare in sintesi la motivazione addotta, es: omesso versamento, omessa dichiarazione, etc.);
– dall’esame dell’atto sono emerse le seguenti circostanze [indicare gli elementi di fatto e diritto che evidenziano l’errore o illegittimità]:
1) _______________________________________________________________________;
2) _______________________________________________________________________;
(es: “risulta che l’utenza aveva effettuato regolarmente il pagamento in data __/__, come da ricevuta allegata”; oppure “l’immobile risulta esente in quanto disabitato e privo di utenze, come da dichiarazione presentata il __/__ e allegata”; oppure “vi è un errore di calcolo nella superficie tassata, indicata in 120 mq anziché 100 mq reali come da visura catastale allegata”; ecc.)
– si ritiene quindi che l’avviso in questione sia viziato/infondato per motivi sopra esposti, e che ricorrano i presupposti per un intervento di annullamento o correzione in via di autotutela da parte dell’Amministrazione, ai sensi dell’art. 2-quater D.L. 564/1994 (conv. L. 656/94) e del DM 11/02/1997 n.37, trattandosi di atto illegittimo/erroneo oltre ogni ragionevole dubbio;
Tutto ciò premesso,
**CHIEDE**
che codesto Ufficio voglia riesaminare l’avviso di accertamento TARI n.___/____ e procedere al suo annullamento totale, o in subordine alla rettifica parziale, in autotutela, per le motivazioni sopra evidenziate. In particolare si chiede:
– l’annullamento dell’atto in quanto __________________ [es: “il tributo risulta già versato integralmente” / “l’atto è stato emesso oltre i termini di legge” / etc.];
ovvero, in via subordinata:
– la rettifica dell’importo richiesto, eliminando/riducendo __________________ [es: “le sanzioni non dovute perché il pagamento era stato correttamente effettuato” / “la parte di superficie non tassabile” / etc.], con conseguente rideterminazione del dovuto in €______.
Si allegano i seguenti documenti probatori a sostegno dell’istanza:
1. Copia avviso di accertamento impugnato;
2. [Ricevuta pagamento F24 n. ___ del __/__/__ di €___] (allegare prove pagamento se pertinenti);
3. [Visura Catastale immobile foglio__/part.__, evidenziante superficie minore] (allega doc tecnici);
4. [Copia dichiarazione TARI presentata il __/__] (se disponibile);
5. Eventuale ulteriore documentazione: _______________.
Confidando in un positivo riscontro, si rimane a disposizione per eventuali chiarimenti.
Si chiede cortesemente riscontro scritto all’indirizzo/PEC sottostante.
Luogo, data
Firma _____________
**Destinatario:** Comune di ______ – Ufficio Tributi (PEC: ________)
Note: Mantenete un tono formale e conciso. Allegate sempre copia dell’avviso per facilità di riferimento. La premessa deve far comprendere chiaramente qual è l’errore o il motivo di illegittimità; la richiesta deve essere esplicita (annullare o correggere). Questa istanza non richiede formule sacramentali, ma la chiarezza aiuta l’ufficio a processarla. Dopo l’invio, seguite presso l’ufficio l’evoluzione: se entro qualche settimana non rispondono, contattate telefonicamente o andate di persona (in modo cordiale) per chiedere se la pratica è in valutazione.
Fac-simile Ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (ex CTP) – Avviso TARI
(Da presentare entro 60 gg – schema generale, va personalizzato. In rosso le parti da adattare.)
ALLA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO DI [<PROVINCIA>]
Ricorso ex art. 18 D.Lgs. 546/1992
Ricorrente: [Nome Cognome], C.F. [cod.fisc.], residente in [Comune], via [indirizzo], CAP [____],
(oppure se società: [Denominazione] Srl, P.IVA [____], con sede in ___, via ___ n.__, in persona del legale rapp. [Nome]),
elettivamente domiciliato/a presso [Studio legale XYZ] in [città], via [indirizzo], e rappresentato/a e difeso da [Avv. ..., C.F. ...] del Foro di [...], come da procura in calce/allegata (in caso di assistenza tecnica);
– **contro** –
Resistente: Comune di [________] (CF [________]), in persona del Sindaco pro-tempore, con sede in [____], via [_____] n.__;
**OGGETTO:** Impugnazione di avviso di accertamento TARI n. [____] anno [____].
**Fatto e svolgimento:**
Il Comune resistente ha notificato al ricorrente in data __/__/____ un avviso di accertamento TARI n. ___ protocollo ___, emesso il __/__/____, relativo alla Tassa Rifiuti per l’anno d’imposta [____], con cui si richiede il pagamento di complessivi €____, di cui €___ a titolo di tributo, €___ per sanzioni e €___ per interessi.
Tale avviso concerne l’immobile sito in [Comune], via [_____] n.__, di proprietà/detenuto dal ricorrente, per una superficie tassata di ____ mq, e reca quale motivazione: “______________” (riportare sintesi: es. “Omesso versamento TARI 2019” oppure “Accertamento per omessa dichiarazione dal 2018 su immobile di via X mq Y”, ecc.).
[Eventuale: Prima dell’emissione dell’avviso il Comune non inviava alcun sollecito/avviso bonario / oppure: l’avviso fa seguito a precedente sollecito del __/__ che il ricorrente ritiene infondato].
Il ricorrente ritiene l’atto in oggetto illegittimo e/o infondato per i motivi di seguito illustrati e pertanto lo impugna tempestivamente.
**Motivi di ricorso:**
1. **Violazione di legge – Avvenuta decadenza dell’azione accertatrice (art. 1 c.161 L.296/2006)**.
L’avviso è stato notificato oltre i termini decadenziali previsti dalla legge. In particolare, esso si riferisce all’anno d’imposta [____] ma è stato notificato in data [__/__/____], ossia oltre il 31 dicembre [____] (quinto anno successivo). L’art. 1 comma 161 L.296/2006 stabilisce che gli avvisi di accertamento dei tributi locali devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui il versamento avrebbe dovuto essere effettuato. Nel caso di specie per l’anno [____] il termine ultimo era il 31/12/[____], mentre la notifica è avvenuta il __/__/____ (si veda l’avviso di ricevimento/all.1). Ne consegue la **decadenza** del potere impositivo per l’annualità in oggetto e la nullità dell’atto impugnato.
*(Se si contesta decadenza solo per alcuni anni in avviso pluriennale, specificare quali annualità sono decadute e chiedere annullamento parziale per quelle).*
2. **Nullità dell’avviso per difetto di motivazione (art. 7 L.212/2000)**.
L’atto impugnato risulta carente dei requisiti minimi di motivazione, in violazione dell’art.7 della L.212/2000 (Statuto del contribuente). In particolare non indica in modo chiaro gli elementi essenziali per consentire al contribuente di verificare la pretesa: [ad esempio] **manca l’indicazione puntuale dell’immobile** oggetto di tassa. L’avviso riporta solo “via Roma, 10 – 100 mq” senza specificare interno o riferimenti catastali; il ricorrente è titolare di più unità in via Roma n.10, sicché non è dato comprendere a quale unità si riferisca il tributo. Tale indeterminatezza viola l’obbligo di motivazione “per relationem” agli atti catastali non menzionati, rendendo impossibile esercitare appieno il diritto di difesa. La Cassazione ha chiarito che l’accertamento TARI privo di elementi identificativi dell’immobile è nullo ex art. 7 L.212/2000. Pertanto l’atto va annullato.
*(Altri esempi: la motivazione non esplicita i criteri di calcolo – se si vuole sostenere questo, indicare cosa manca es. “non è specificata la tariffa applicata né come si arriva all’importo, in violazione art.7 c.3 L.212/2000”; oppure “non sono indicati gli atti presupposti – delibera tariffe – né allegati, in violazione obbligo di allegazione”, etc.)*
3. **Violazione art. 1 c.162 L.296/2006 – Difetto di sottoscrizione da parte di soggetto legittimato**.
L’avviso impugnato risulta sottoscritto da “Dott. XYZ” in qualità di “Responsabile U.O. Entrate” con firma a stampa, ma **senza indicazione della fonte di tale potere** (manca qualsiasi riferimento alla determina dirigenziale di nomina). Il ricorrente contesta sin d’ora la validità della sottoscrizione, poiché dagli atti non emerge che il Dott. XYZ fosse il funzionario designato ai sensi dell’art.1 c.162 L.296/2006 per la gestione TARI né che vi fosse un provvedimento autorizzativo all’uso della firma a stampa ex art.1 c.87 L.549/95. Ai sensi dell’art. 42 DPR 600/73 (richiamato in via generale) e dell’art. 1 c.162 L.296/06, la mancanza di sottoscrizione valida comporta nullità dell’accertamento. La Cassazione ha affermato che in caso di contestazione è onere dell’Ente provare l’esistenza della delega o determina di attribuzione al firmatario, e in difetto l’atto è nullo. Si chiede quindi dichiararsi la nullità dell’avviso per difetto assoluto di sottoscrizione valida.
4. **Insussistenza della violazione materiale – Tributo in realtà già versato**.
In via gradata nel merito, il ricorrente evidenzia che l’omesso versamento contestato non sussiste: egli aveva regolarmente pagato la TARI anno [____] entro la scadenza, come provato dalla ricevuta di versamento F24 n. ___ del __/__/____ di €___ (doc. allegato). L’omesso abbinamento del pagamento da parte dell’ente è un disguido interno che non può dar luogo a sanzione. Pertanto la pretesa è infondata nel merito. L’importo richiesto dovrebbe semmai essere annullato integralmente (tributo già assolto) e le sanzioni eliminate.
*(Si possono aggiungere ulteriori motivi di merito: es. superficie minore: “L’area tassata è inferiore di 20 mq a quella considerata: dall’estratto di mappa catastale (all.) risulta 80 mq e non 100 mq. Quindi il tributo dovuto era inferiore. L’ente ha applicato indebitamente tariffa su superficie non imponibile, violando art… Si chiede quindi riduzione della base imponibile.” – Oppure: esenzione spettante: “Il locale in oggetto era privo di utenze e di fatto non utilizzato, condizione per cui il Regolamento TARI art.__ prevede esenzione. Il ricorrente aveva comunicato tale status in data __/__ (all.). Ignorando ciò, l’ente ha imposto il tributo in violazione del regolamento. Si chiede annullamento per mancata applicazione esenzione.”)*
**Provvedimenti chiesti alla C.T. (Conclusioni):**
Alla luce di quanto sopra, il ricorrente chiede che codesta On.le Corte di Giustizia Tributaria voglia:
- **In via principale:** dichiarare la nullità e/o annullare l’avviso di accertamento TARI n.___ notificato il __/__/____, relativo all’anno ____, per i motivi sopra esposti (decadenza, difetto di motivazione e di sottoscrizione), con conseguente sgravio totale dell’importo ivi richiesto;
- **In via subordinata (merito):** nella denegata ipotesi di mancato accoglimento delle eccezioni formali, ridurre comunque l’importo dovuto eliminando le somme non dovute (in particolare riconoscendo il pagamento già effettuato di €___, annullando le sanzioni e interessi calcolati indebitamente, e ogni altra riduzione ritenuta di giustizia), rideterminando il tributo eventualmente ancora dovuto nella minor misura ritenuta corretta;
- Con vittoria di **spese di giudizio** a carico della parte resistente.
**Istanza di sospensione:**
Considerato che l’atto impugnato ha natura di titolo esecutivo immediatamente efficace trascorsi 60 giorni (ai sensi dell’art.1 c.792 L.160/2019) e che nel caso di specie l’importo richiesto (€_____) è significativo, tale da poter compromettere la situazione economico-finanziaria del ricorrente, si chiede altresì, ai sensi dell’art. 47 D.Lgs.546/92, la **sospensione dell’esecuzione dell’avviso impugnato**, evidenziando la presenza di **fumus boni iuris** nei motivi sopra esposti (che appaiono fondati in fatto e diritto) e di **periculum in mora**, atteso che l’eventuale riscossione forzata provocherebbe gravi danni (si allega a tal fine situazione reddituale/patrimoniale – doc.__ – da cui risulta che il pagamento immediato di €____ comporterebbe… [esporre brevemente le ragioni del danno, es: “il ricorrente è pensionato con assegno di €X mensili, l’esborso comprometterebbe le sue ordinarie spese di sostentamento”]).
Si allegano i seguenti documenti:
1. Copia dell’Avviso di Accertamento TARI n.___ notificato il __/__/____ (doc.1);
2. Ricevuta di raccomandata/PEC attestante data notifica (doc.2);
3. Ricevuta di versamento F24 €___ del __/__/____ (doc.3);
4. Visura catastale/planimetria immobile (doc.4);
5. Copia dichiarazione TARI presentata il __/__ (doc.5);
6. Documenti reddito/patrimonio per istanza sospensiva (doc.6);
7. (Altri documenti utili… ad es. copia regolamento se necessario, ecc.)
Luogo, data: __/__/____
Firma del ricorrente: ________________ (e del difensore, se nominato)
*(Seguono eventuali rubriche di attestazione di valore, versamento contributo unificato €__, procura alle liti se non a margine ecc, secondo regole di procedura tributaria telematica.)*
Osservazioni: Il modello proposto è semplificato ma contiene gli elementi essenziali. È importante adattarlo: non tutti i motivi andranno usati insieme, scegliete quelli pertinenti al vostro caso. Ad esempio, se non c’è problema di firma, non mettete il motivo sulla firma. Al contrario, se ce ne sono altri (es. contestate la legittimità di una delibera tariffaria), aggiungeteli come ulteriori punti. Ogni motivo dev’essere numerato e sviluppato separatamente, con riferimenti normativi e fattuali. Allegate sempre l’atto impugnato e le prove principali. La richiesta di sospensione va motivata bene, magari con documenti di reddito per mostrare il danno. Inviare via PEC il ricorso a Comune e poi depositarlo telematicamente.
Conclusione
Dal punto di vista del contribuente (debitore), difendersi da un avviso di accertamento TARI significa innanzitutto conoscere i propri diritti e le regole del gioco: termini per agire, elementi obbligatori che l’atto deve avere, possibilità di ridurre sanzioni o ottenere piani di pagamento. Questa guida ha affrontato l’argomento con un livello di approfondimento avanzato, integrando riferimenti normativi e giurisprudenziali aggiornati al 2025, ma con un taglio pratico per orientare sia i professionisti sia i cittadini informati.
Riassumendo i punti chiave:
- Verifica formale: controllare subito se l’atto è stato notificato in tempo, se contiene motivazione sufficiente e firma valida. Molti accertamenti TARI cadono su questi aspetti formali, ed è giusto così perché sono garanzie di legge per il contribuente.
- Verifica sostanziale: accertarsi se davvero quella tassa è dovuta nella misura richiesta. Spesso emergono errori (pagamenti non visti, metri quadri sbagliati, applicazione di tariffe errate) che, se ben documentati, possono far annullare o ridurre l’atto. Il contribuente ha il diritto di pagare il giusto, non di più.
- Agire tempestivamente: mai aspettare oltre i 60 giorni. Entro quel periodo decidere la strategia – autotutela se c’è errore lampante, oppure adesione se si cerca un accordo, oppure ricorso se si vuole far valere le proprie ragioni davanti a un giudice indipendente. In ogni caso, non subire passivamente: un accertamento non contestato diventa titolo esecutivo e può portarvi via i soldi dal conto. Meglio agire e magari sospendere tutto in attesa del verdetto.
- Utilizzare gli strumenti deflativi: quando conviene, approfittare di ciò che la legge offre – la riduzione delle sanzioni con pagamento immediato (se siete d’accordo sul dovuto), o la rateizzazione per non soffocare la vostra liquidità. Lo Statuto del Contribuente e le normative correlate hanno previsto misure di equilibrio perché il cittadino possa regolarizzare la posizione senza eccessive penalità.
- Prescrizione e residui: tenere sempre d’occhio il fattore tempo. Se il Comune arriva tardi, quella è la vostra difesa più semplice: il trascorrere dei termini gioca a favore della certezza del diritto e quindi del contribuente diligente. Le recenti pronunce della Cassazione sono chiarissime nel blindare il limite quinquennale per la TARI.
In conclusione, “Come difendersi” da un avviso TARI significa non solo saper reagire, ma anche prevenire: tenere le ricevute, fare le dichiarazioni di variazione quando dovute, informarsi sulle regole locali per evitare errori che poi costano tempo e denaro. Quando l’accertamento arriva, armarsi di pazienza e metodo: esaminare, chiedere spiegazioni (anche agli uffici, talvolta un dialogo può risolvere equivoci), e se necessario far valere le proprie ragioni nelle sedi opportune. Il tutto, eventualmente, con l’aiuto di professionisti esperti in tributi locali, perché a volte investire in una consulenza evita di pagare somme non dovute.
Questa guida avanzata spera di aver fornito un quadro completo e autorevole sull’argomento, combinando la tecnica giuridica con la pratica quotidiana. Affrontare un avviso di accertamento TARI può sembrare gravoso, ma con le informazioni giuste e un approccio proattivo, anche il contribuente “debole” ha diversi strumenti per far valere i propri diritti e raggiungere una soluzione equa.
Fonti normative e giurisprudenziali utilizzate:
TributiComunali.it – guida pratica ricorso TARI – consigli verifica avviso e autotutela.
Statuto del Contribuente – Legge 27 luglio 2000, n.212, art. 7 (obbligo di motivazione atti tributari).
Legge 27 dicembre 2006, n.296, art. 1 commi 161-163 (finanziaria 2007: termini di accertamento e riscossione tributi locali).
Legge 27 dicembre 2013, n.147, commi 639-704 (istituzione IUC: disciplina generale TARI).
Legge 27 dicembre 2019, n.160, art. 1 commi 792-793 (introduzione accertamento esecutivo per tributi locali).
D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16 (sanzioni tributarie e riduzioni; ravvedimento operoso).
D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (processo tributario), artt. 18 (contenuto ricorso), 21 (termini ricorso), 47 (sospensione cautelare), 48 (conciliazione giudiziale).
Cass., Sez. Unite, 15/02/2024, n. 11676 – Principio di prescrizione quinquennale tributi locali vs decennale erariali.
Cass., Sez. V, 26/06/2024, n. 17667 – Prescrizione quinquennale TARI/TARSU e irrilevanza mancata impugnazione (no conversione in 10 anni).
Cass., Sez. Unite, 30/01/2025, n. 2098 (conforme SU 8069/2025) – Giurisdizione tributaria sulle eccezioni di prescrizione sopravvenuta post-cartella.
Cass., Sez. V, 21/11/2018, n. 30039 – Nullità avviso TARI/TARSU per carenza identificazione immobiliare (motivazione insufficiente).
Cass., Sez. V, 20/05/2022, n. 16459 – Firma a stampa atti tributari locali legittima se rispetta L.549/95 art.1 c.87; onere ente di provare delega.
Cass., Sez. V, 12/10/2023, n. 28445 – Firma meccanografica su accertamento TARSU valida con determina; conferma obbligo delega e sua prova.
Cass., Sez. V, 22/07/2025, n. 20560 – Motivazione avviso TARI: sufficiente indicazione criteri di calcolo quota variabile; giudicato esterno su elementi permanenti vs variabili.
Cass., Sez. V, 11/11/2021, n. 25080 – Notifica cartella interrompe prescrizione ma non la allunga a 10 anni (concetto poi confermato da SU 2024).
CTR Lazio (C.G.T. II grado) sent. 22/06/2024 n.4142 – Annullamento avviso TARI per mancanza dati catastali/n. civico (motivazione insufficiente).
Hai ricevuto un avviso di accertamento TARI dal Comune e non sai se è corretto? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai ricevuto un avviso di accertamento TARI dal Comune e non sai se è corretto?
Vuoi capire come funziona e quali sono le difese possibili?
La TARI è la tassa sui rifiuti che deve essere pagata da chi possiede o utilizza un immobile. Gli avvisi di accertamento vengono notificati quando il Comune ritiene che l’importo dichiarato o pagato non sia corretto, ad esempio per metrature non dichiarate, errori di calcolo o mancati versamenti. Tuttavia, non sempre le pretese sono fondate: spesso vi sono vizi di notifica, prescrizione o applicazione errata delle tariffe. In questi casi l’avviso può essere contestato davanti alla Corte di Giustizia Tributaria.
🛡️ Come può aiutarti l’Avvocato Giuseppe Monardo
📂 Analizza l’avviso di accertamento TARI e verifica la correttezza dei calcoli e delle tariffe applicate
📌 Controlla il rispetto dei termini di notifica e la prescrizione del tributo
✍️ Predispone ricorsi e memorie difensive per contestare importi non dovuti o atti illegittimi
⚖️ Ti rappresenta nel contraddittorio con il Comune e davanti alla Corte di Giustizia Tributaria
🔁 Ti supporta anche nella richiesta di rateizzazione o nella definizione agevolata del debito
🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in contenzioso tributario e tributi locali
✔️ Specializzato in difesa da accertamenti TARI, IMU e altre imposte comunali
✔️ Gestore della crisi iscritto presso il Ministero della Giustizia
Conclusione
Un avviso di accertamento TARI non è sempre legittimo: con la giusta strategia legale puoi ridurre o annullare la pretesa del Comune e proteggere il tuo patrimonio.
📞 Contatta subito l’Avvocato Giuseppe Monardo per una consulenza riservata: la tua difesa contro gli accertamenti TARI comincia da qui.