Hai accumulato debiti superiori ai 100.000 euro e ti stai chiedendo se esiste una via d’uscita legale per evitarne il tracollo? Le banche, l’Agenzia delle Entrate o i creditori privati stanno bussando alla porta e non sai più come difenderti?
Una soglia così alta di indebitamento non è solo un problema economico: è una vera emergenza legale e patrimoniale. Ma non tutto è perduto. Anche in presenza di debiti gravi, la legge offre strumenti per bloccare le pretese, ristrutturare il debito e tutelare i tuoi beni.
Quando i debiti superano i 100.000 euro, cosa rischi concretamente?
– Pignoramento di stipendio, conto corrente, pensione o beni immobili
– Iscrizione di ipoteche e fermi amministrativi
– Segnalazione nelle banche dati come cattivo pagatore
– Azioni esecutive da parte di creditori privati e pubblici, inclusi Equitalia, INPS, banche, finanziarie
– Se hai un’attività, la paralisi dell’azienda o la richiesta di liquidazione giudiziale
Cosa puoi fare per evitare il tracollo?
– Non fare altri debiti per coprire quelli vecchi: peggioreresti la situazione
– Non agire in ritardo: più aspetti, meno strumenti avrai
– Analizza la natura dei debiti (tributari, bancari, personali, aziendali): ognuno ha un percorso diverso
– Attiva subito una procedura di composizione della crisi o un piano di ristrutturazione
Quali sono gli strumenti per chi ha debiti molto elevati?
– Piano del consumatore, se sei un privato e vuoi una ristrutturazione sostenibile
– Accordo di ristrutturazione dei debiti, se sei un imprenditore, anche minore
– Composizione negoziata della crisi, se hai un’attività ancora attiva
– Procedura per il debitore incapiente, se non hai nulla da offrire ma agisci in buona fede
– Concordato minore, se hai una posizione ibrida tra persona fisica e attività economica
È possibile salvare la casa o l’attività?
Sì. Con i giusti strumenti legali puoi:
– Bloccare pignoramenti già avviati
– Impedire la vendita forzata dei beni
– Rateizzare debiti fiscali e previdenziali in modo compatibile
– Proporre un piano che mette al riparo i beni essenziali, compresa la prima casa
Cosa NON devi fare?
– Firmare piani proposti da recupero crediti senza tutele
– Accettare accordi verbali o telefonici senza controllo legale
– Fare finte donazioni o passaggi di beni: sono atti in frode e ti espongono a gravi rischi
– Aspettare la notifica di un pignoramento per muoverti
E se hai già subito decreti ingiuntivi o cartelle esattoriali?
In molti casi puoi ancora agire. Anche dopo la notifica puoi:
– Opporre gli atti, se illegittimi
– Bloccare l’esecuzione con la composizione della crisi
– Ottenere una dilazione legale dei pagamenti
– Azzerare o ridurre il debito in base alla tua reale capacità economica
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in ristrutturazione del debito e crisi da sovraindebitamento – ti spiega cosa fare se hai debiti oltre i 100.000 euro, quali sono gli strumenti legali per difenderti e come evitare che la situazione degeneri in una perdita totale del tuo patrimonio.
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Cos’è il sovraindebitamento e qual è la normativa vigente?
In ambito giuridico italiano la situazione di sovraindebitamento indica l’impossibilità per un debitore (persona o piccolo imprenditore) di far fronte regolarmente ai propri debiti a causa di un grave squilibrio finanziario. In parole semplici, si tratta di quando le uscite superano stabilmente le entrate, rendendo ingestibile il rimborso di mutui, finanziamenti, fornitori, tasse e altre obbligazioni. Trovarsi con debiti oltre 100.000€ è spesso indice di sovraindebitamento, ma fortunatamente l’ordinamento offre strumenti specifici per affrontare questa crisi.
La “Legge Salva Suicidi” (L. 3/2012) – così soprannominata perché introdusse per la prima volta un rimedio per i debitori civili disperati – ha disciplinato le procedure per risolvere le crisi da sovraindebitamento. Dal 15 luglio 2022, però, tale legge è stata sostituita dalle corrispondenti norme del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), che hanno mantenuto i concetti base ampliandone l’efficacia. Successivi interventi, tra cui il Decreto Legislativo 13 settembre 2024 n. 136 (Correttivo-ter), hanno ulteriormente perfezionato la disciplina, semplificando l’accesso alle procedure e rafforzando le tutele per i debitori meritevoli.
L’obiettivo di questa normativa è offrire al debitore onesto un “nuovo inizio”, conciliando due esigenze: da un lato permettergli di rimborsare i debiti in misura proporzionata alle sue reali possibilità economiche; dall’altro lato, liberarlo dal peso del debito residuo che non riuscirebbe mai a pagare. Questa liberazione finale dai debiti insostenibili prende il nome di esdebitazione, ovvero la cancellazione dei debiti non soddisfatti a conclusione della procedura. Non si tratta di un condono “automatico”: al debitore è richiesto lo sforzo di pagare quanto effettivamente può, in base al proprio patrimonio, reddito e carichi familiari, mantenendo però uno standard di vita dignitoso. In pratica, lo Stato bilancia le esigenze dei creditori con il diritto del debitore a non essere oppresso a vita dai debiti, se questo risulta economicamente irrealistico.
Va evidenziato che il sistema italiano distingue tra debitori “fallibili” (soggetti alle procedure concorsuali ordinarie come il fallimento, oggi “liquidazione giudiziale”) e debitori “non fallibili” che possono accedere invece alle procedure di sovraindebitamento. In generale possono beneficiare delle procedure ex L. 3/2012/CCII i soggetti non fallibili, tra cui: privati consumatori, lavoratori autonomi e professionisti, piccoli imprenditori sotto determinate soglie di fatturato/attivo/debiti, imprenditori agricoli, start-up innovative, enti non profit e enti pubblici. Le soglie di fallibilità previste dalla legge fallimentare (oggi abrogata) e riprese dalla prassi delineano il piccolo imprenditore non assoggettabile a fallimento. Tali soglie, negli ultimi tre esercizi, sono: attivo patrimoniale ≤ 300.000 €, ricavi lordi ≤ 200.000 € e debiti ≤ 500.000 €. Un imprenditore che rimanga entro questi limiti (verificati di regola su almeno due parametri) è considerato “minore” e può accedere alle procedure di sovraindebitamento; viceversa, chi li supera può essere dichiarato insolvente con le procedure concorsuali ordinarie (liquidazione giudiziale, concordato preventivo, ecc.).
Importante: Le procedure di sovraindebitamento non si applicano ai debitori fallibili di grandi dimensioni (ad es. società di capitali medio-grandi, imprese con debiti oltre 500.000 € e attivo rilevante). In tal caso il debitore dovrà valutare strumenti diversi, come la composizione negoziata della crisi o il concordato preventivo previsti dal Codice della crisi per le imprese maggiori. In questa guida, però, adottiamo il punto di vista del debitore sovraindebitato “comune” – consumatore, piccolo imprenditore o professionista – illustrando le soluzioni disponibili in Italia nel 2025 per gestire debiti personali superiori a 100.000€. Il taglio è avanzato ma con un linguaggio comprensibile, adatto sia ai professionisti legali sia ai privati e imprenditori direttamente interessati.
Conseguenze dei debiti oltre 100.000€: rischi e problematiche
Accumularsi di debiti di tale entità comporta una serie di conseguenze legali ed economiche potenzialmente molto gravi per il debitore. È fondamentale comprenderle per valutare l’urgenza di intervenire:
- Procedimenti esecutivi e pignoramenti: I creditori (banche, finanziarie, fornitori, Agenzia delle Entrate-Riscossione, ecc.) possono avviare azioni legali per recuperare coattivamente le somme. Ciò significa atti di precetto, esecuzioni forzate come pignoramenti dello stipendio o pensione (di regola fino a 1/5 dell’importo mensile netto, cumulabile fino a 1/2 in presenza di più pignoramenti di diversa natura), pignoramento di conti correnti (fino a concorrenza del debito, con tutele limitate solo per somme provenienti da salario/pensione), e pignoramento di beni mobili o immobili di proprietà. Un grosso debito espone al rischio concreto di vedersi pignorare l’automobile, i macchinari aziendali non essenziali e soprattutto gli immobili di proprietà (abitazioni, locali commerciali, terreni), che possono finire all’asta giudiziaria.
- Ipoteca e vendita forzata della casa: Se il debito è garantito da ipoteca (ad esempio un mutuo non pagato) o se un creditore ottiene un pignoramento immobiliare, la casa del debitore può essere espropriata. Va però distinta la posizione dei diversi creditori: un creditore ipotecario (es. banca mutuante) ha diritto di soddisfarsi sul ricavato della vendita dell’immobile; creditori senza ipoteca possono anch’essi iscrivere ipoteca giudiziale dopo una sentenza di condanna o procedere al pignoramento. Eccezione: l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) non può pignorare l’unica casa di residenza del debitore se questa non è di lusso (categorie catastali A/8, A/9) e il debito fiscale è inferiore a 120.000 € – limite oltre il quale invece può iscrivere ipoteca e, superati i 120.000 €, avviare espropriazione. Ciò tutela parzialmente la prima casa per i debiti fiscali, ma non impedisce che altri creditori (banche, privati) procedano contro l’abitazione. Pertanto, con debiti >100.000€ il rischio per la casa di proprietà è elevato in assenza di accordi o soluzioni.
- Interessi di mora e oneri accessori: Un debito ingente genera interessi passivi elevati e, in caso di inadempimento, penali e interessi di mora che fanno crescere ancora l’esposizione. Ad esempio, i debiti bancari e finanziari possono prevedere tassi di mora anche superiori al tasso base; i debiti fiscali iscritti a ruolo maturano interessi e aggiornamenti semestrali della sorte per aggio e spese, e in passato cartelle esattoriali non pagate raddoppiavano in circa 8–10 anni. Ciò significa che 100.000€ di debiti oggi potrebbero diventare 150.000€ o più in pochi anni di inerzia, aggravando ulteriormente la sproporzione tra redditi e obblighi.
- Segnalazioni e preclusioni finanziarie: Un soggetto molto indebitato e in ritardo nei pagamenti viene in genere segnalato nelle banche dati creditizie (come CRIF) con status di “cattivo pagatore” o, per le imprese, protesti e pregiudizievoli in Camera di Commercio. Tali segnalazioni impediscono di ottenere nuovi finanziamenti o fidi bancari, bloccando di fatto la possibilità di rifinanziare il debito a condizioni sostenibili. Anche le carte di credito e gli affidamenti in conto corrente vengono revocati. In parallelo, i fornitori tenderanno a pretendere pagamenti anticipati o garanzie, aggravando le difficoltà di proseguire un’attività imprenditoriale.
- Responsabilità patrimoniale illimitata: Il codice civile prevede che il debitore risponda delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.). Dunque, se non si interviene, anche futuri risparmi, stipendi e acquisti potranno essere aggrediti dai creditori. Ad esempio, se oggi un debitore nullatenente accumula 150.000€ di debiti e non li paga, ogni reddito che otterrà in futuro potrà subire pignoramenti finché i creditori non siano soddisfatti (salvo eventuali prescrizioni o decadenze dei loro diritti, evenienza spesso incerta e lunga da concretizzarsi). Inoltre, l’eredità di un debitore insolvente può essere attaccata dai creditori: i successori devono decidere se accettare con beneficio d’inventario o rinunciare per evitare di rispondere coi propri beni.
- Rischio di fallimento (per imprenditori): Un imprenditore commerciale con debiti ingenti che superi le soglie di fallibilità rischia l’apertura d’ufficio di una procedura concorsuale. Ad esempio, un creditore potrebbe chiedere al tribunale la dichiarazione di fallimento (ora liquidazione giudiziale) dell’azienda se vi è insolvenza e i debiti scaduti superano una certa entità. Anche se 100.000€ non è di per sé una cifra enorme per medie imprese, se l’imprenditore individuale ha superato i limiti di legge, questa situazione può sfociare in una procedura concorsuale con effetti molto invasivi: nomina di un curatore, spossessamento dei beni aziendali e personali inerenti all’impresa, liquidazione forzata del patrimonio e possibile inibizione ad attività futura (in caso di insolvenza fraudolenta, anche responsabilità penale). È dunque vitale, per l’imprenditore sovraindebitato, agire prima che i creditori arrivino a iniziative del genere.
In sintesi, debiti oltre 100.000€ non gestiti possono portare a pignoramenti ripetuti, perdita di beni di famiglia o aziendali, esclusione dal credito e rovina economica di lungo periodo. Per questo, di fronte a una situazione debitoria grave, è importante non restare inerti: occorre valutare il prima possibile le strategie di risanamento o di composizione della crisi, prima che le azioni dei creditori compromettano definitivamente il patrimonio e la reputazione finanziaria del debitore.
Soluzioni extragiudiziali: trattative private, piani di rientro e saldo a stralcio
Prima di ricorrere alle procedure giudiziali di composizione della crisi (che vedremo in dettaglio nel paragrafo successivo), è spesso opportuno tentare delle soluzioni extragiudiziali, ossia accordi privati con i creditori. Queste soluzioni stragiudiziali presentano alcuni vantaggi: maggiore snellezza, costi inferiori, riservatezza e flessibilità negoziale. Di contro, richiedono la collaborazione volontaria dei creditori e non godono dei poteri e delle protezioni offerte da una procedura giudiziaria. Ecco le principali opzioni extragiudiziali quando si hanno debiti molto elevati:
- Rinegoziazione dei prestiti con banche/finanziarie: Se gran parte del debito deriva da mutui, prestiti personali o finanziamenti, un primo passo può essere contattare le banche o finanziarie creditrici per rinegoziare i termini. Ad esempio, si può chiedere un allungamento del piano di ammortamento (per ridurre la rata mensile), un periodo di moratoria (sospensione temporanea delle rate), o un consolidamento dei debiti (accorpando più prestiti in uno nuovo a rata unica più sostenibile). Le banche potrebbero accettare se il debitore dimostra di poter sostenere il nuovo piano e se la rinegoziazione appare più efficiente del recupero forzoso. Tali accordi vanno formalizzati per iscritto (scritture private o atti di transazione) e possono includere garanzie aggiuntive. È importante essere trasparenti sulla propria situazione economica e presentare un piano credibile. Tuttavia, la rinegoziazione non comporta riduzione dell’importo dovuto in linea capitale: semplicemente ne modifica tempi e costi finanziari. Può essere utile quindi quando il problema è di liquidità temporanea, meno quando il debito è oggettivamente troppo alto da ripagare integralmente anche in futuro.
- Piano di rientro rateale con i creditori commerciali o privati: Un debitore d’impresa può proporre ai fornitori o creditori vari un piano di rientro: ad esempio, dilazionare il pagamento di fatture scadute su un arco di 12–24 mesi (o più), magari riconoscendo un piccolo interesse di dilazione. Questo consente al debitore di evitare azioni legali immediate e al creditore di avere una prospettiva di recupero integrale, seppur ritardato. Spesso il piano di rientro viene formalizzato tramite una ricognizione di debito con promessa di pagare alle nuove scadenze pattuite. È bene che tali accordi prevedano che il creditore si astenga nel frattempo da azioni esecutive, salvo in caso di nuovo inadempimento. Il rischio è che, essendo volontario, qualunque creditore non aderente o insoddisfatto possa comunque procedere giudizialmente, vanificando lo sforzo: ecco perché serve coinvolgere tutti i creditori principali. Per i debiti fiscali, esiste uno strumento specifico di piano di rientro: la rateizzazione delle cartelle esattoriali presso Agenzia Entrate-Riscossione. Attualmente si può ottenere una dilazione ordinaria fino a 72 rate (6 anni) per importi fino a 120.000 € senza dover documentare lo stato di difficoltà, e piani straordinari fino a 120 rate (10 anni) per importi superiori o in caso di comprovata temporanea situazione di obiettiva difficoltà. Con debiti fiscali oltre 100.000€, dunque, è spesso possibile chiedere un piano a 10 anni presentando idonea documentazione. Attenzione però: la rateizzazione fiscale non riduce sanzioni o interessi, sospende le azioni esecutive solo finché si rispettano i pagamenti, ed è revocata se si saltano più di 5 rate. Inoltre, tutti gli altri debiti non inclusi in essa restano esigibili autonomamente.
- Saldo e stralcio (transazione a stralcio del debito): Quando il debitore dispone di una somma immediata (ad esempio tramite aiuti familiari, liquidazione di un TFR, vendita di un bene) inferiore al totale dovuto ma significativa, può proporre ai creditori un accordo a saldo e stralcio. Consiste nell’offrire il pagamento di una percentuale del debito subito, a fronte della cancellazione del restante. Ad esempio, su 100.000€ si può offrire 30.000€ immediatamente richiedendo l’acquittanza a saldo. Molti creditori finanziari sono disponibili a stralci di questo tipo, specie se il debitore è in conclamata insolvenza e la prospettiva di recupero forzoso è incerta o lunga. Un accordo stragiudiziale di transazione va redatto con cura (meglio se con l’ausilio di un legale): deve prevedere che il pagamento concordato estingue ogni obbligazione residua (il stralcio appunto) e che il creditore rinuncia a eventuali cause o pignoramenti in corso. Il vantaggio del saldo e stralcio è la riduzione effettiva dell’esposizione debitoria, ma presuppone di avere liquidità disponibili (o reperibili) per convincere il creditore. Per importi molto elevati, potrebbe essere necessario coinvolgere più creditori in accordi simultanei (accordo plurilaterale): ad esempio offrire a tutti i creditori chirografari una certa percentuale pro-quota. Tali operazioni complesse richiedono spesso l’assistenza di un professionista negoziatore e funzionano solo se tutti i creditori strategici aderiscono volontariamente.
- Assistenza di organismi o professionisti specializzati: Il debitore sovraindebitato può farsi assistere, nelle trattative private, da consulenti esperti in crisi da debiti. Vi sono associazioni dei consumatori e società di consulenza che offrono servizi di debt management, analizzando la posizione debitoria e negoziando con i creditori soluzioni sostenibili. In ambito aziendale, dal 2022 esiste la Composizione Negoziata della Crisi (D.L. 118/2021 e Codice della crisi) che mette a disposizione dell’imprenditore in difficoltà un esperto indipendente per facilitare accordi di ristrutturazione con i creditori fuori dal tribunale. Questa procedura volontaria (attivabile via piattaforma online CCII) consente di ottenere alcune tutele temporanee (come misure protettive simili al divieto di azioni esecutive) e di negoziare con i creditori un accordo che poi può essere omologato (ad esempio sotto forma di piano attestato o accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli artt. 57-64 CCII). Si tratta però di strumenti pensati per imprese più strutturate. Per il consumatore o piccolo debitore, l’approccio negoziale rimane informale: l’ausilio di un avvocato specializzato può aumentare le chance di successo, sia perché il legale sa interloquire con banche e finanziarie (magari facendo leva su precedenti sentenze favorevoli ai debitori o possibili eccezioni legali da sollevare), sia perché può prospettare ai creditori l’alternativa concreta della procedura di sovraindebitamento (“prendere questi soldi ora, o rischiare di meno in futuro con la procedura”). Spesso la minaccia credibile di aprire una procedura ex L. 3/2012 può incentivare i creditori ad accettare un ragionevole stralcio stragiudiziale, evitando così le lungaggini e incertezze del percorso giudiziario.
Limiti delle soluzioni extragiudiziali: Il principale limite è che serve il consenso di tutti i creditori principali, altrimenti l’accordo parziale viene frustrato dall’azione di chi rimane fuori. Non c’è infatti modo di imporre a un creditore dissenziente una dilazione o rinuncia, se non attraverso una procedura giudiziale. Inoltre, gli accordi privati non eliminano formalmente i debiti residui se non quando esplicitamente previsto (nel caso del saldo e stralcio); e non offrono automaticamente la protezione dagli atti esecutivi (salvo promettano di sospenderli in via contrattuale, ma se un creditore cambia idea può agire comunque, costringendo il debitore a reagire in tribunale). In sostanza, le trattative stragiudiziali funzionano bene in situazioni relativamente semplici – ad esempio pochi creditori disposti a collaborare – oppure come preludio alla procedura: si può tentare l’accordo bonario e, se fallisce, si passa a una soluzione giudiziale più incisiva.
Di seguito una tabella riepilogativa che confronta le caratteristiche delle soluzioni extragiudiziali rispetto alle procedure giudiziali di composizione del debito:
Aspetto | Soluzioni extragiudiziali (trattative private) | Procedure giudiziali ex L. 3/2012 – CCII (sovraindebitamento) |
---|---|---|
Consenso dei creditori | Richiede l’adesione volontaria di tutti i creditori interessati per avere successo. Un solo creditore dissenziente può agire separatamente (es. pignorare) rompendo l’accordo. | Non richiede l’accordo unanime: nel Piano del Consumatore non è previsto voto dei creditori (decide il giudice); nel Concordato Minore serve il voto favorevole di almeno il 50% dei crediti chirografari. L’omologazione da parte del tribunale rende il piano vincolante per tutti i creditori, anche dissenzienti. |
Tempi e costi | Generalmente più rapidi e con minori formalità. Costi contenuti (spese legali di negoziazione). Riservatezza: l’accordo resta privato. | Procedimenti più lunghi (diversi mesi per l’omologazione, e piani di pagamento anche pluriennali) e costi maggiori: contributo all’OCC (Organismo Composizione Crisi) e spese di procedura. Gli atti sono pubblici (iscrizione al registro procedure) ma offrono garanzie legali (es. sospensione dei pignoramenti). |
Tutela dal recupero forzoso | Nessuna sospensione automatica: i creditori potrebbero avviare o proseguire pignoramenti durante le trattative, salvo accordo temporaneo di standstill. Il debitore non ha protezione legale se non quella contrattuale (sempre revocabile). | Con l’apertura della procedura il giudice dispone il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali. Ciò implica la sospensione dei pignoramenti in corso (è il giudice dell’esecuzione a disporla materialmente, una volta informato del divieto) e impedisce nuovi atti finché dura la procedura. Questo automatic stay dà respiro al debitore. |
Riduzione del debito | Possibile solo tramite negoziazione: il debitore deve convincere i creditori a rinunciare a parte del credito (saldo e stralcio). Ogni creditore decide liberamente se accettare un pagamento parziale. Non esiste una “forzatura” della minoranza. | Possibile attraverso la falcidia dei crediti nella proposta omologata. Ad esempio, un accordo di ristrutturazione (concordato minore) può prevedere pagamenti parziali ai chirografari, vincolanti se omologati dal giudice. I creditori privilegiati possono subire una decurtazione della parte di credito non coperta dal valore del bene gravato (quella eccedente viene trattata come chirografa), purché non ricevano meno di quanto otterrebbero liquidando quel bene (principio del best interest test). Il giudice verifica sempre che il piano non pregiudichi i creditori rispetto all’alternativa della liquidazione, condizione necessaria per l’omologa. |
Debiti fiscali e verso enti pubblici | Trattamento rigido: fuori dalle procedure concorsuali i margini di riduzione sono fissati per legge. Il debitore può solo chiedere rateazioni standard o attendere eventuali definizioni agevolate introdotte dal legislatore (es. “rottamazione” delle cartelle) per ridurre sanzioni e interessi. Le Agenzie pubbliche non possono transigere liberamente sull’importo di imposte e contributi se non tramite queste normative speciali. | Trattamento flessibile entro limiti di legge: nell’ambito di un piano di sovraindebitamento si possono inserire i debiti tributari e previdenziali, prevedendone anche il pagamento parziale (transazione fiscale), purché non inferiore a quanto il Fisco otterrebbe in una liquidazione forzata dei beni del debitore. La presenza dell’Erario non impedisce l’omologa se tale condizione è rispettata (il tribunale può approvare il piano anche senza adesione formale del fisco, applicando la regola del miglior soddisfo). |
Esdebitazione (cancellazione dei debiti residui) | Non prevista automaticamente. Se un creditore accetta un pagamento parziale a saldo, quel debito si estingue, ma rimangono integralmente dovuti i debiti verso eventuali creditori non aderenti all’accordo. Il debitore resta obbligato per ogni importo non espressamente condonato. | Prevista per legge: al termine della procedura regolarmente eseguita, il debitore ottiene dal Tribunale l’esdebitazione ossia la liberazione da tutti i debiti rimasti insoddisfatti. Questo beneficio (concesso una sola volta salvo eccezioni) consente al debitore di ripartire senza più l’onere delle pregresse esposizioni. |
Come si nota, le procedure legali offrono strumenti più incisivi (blocco delle azioni esecutive, riduzione forzata dei debiti, cancellazione finale del residuo), al prezzo di maggiore formalità, pubblicità e durata. Le soluzioni extragiudiziali vanno comunque sempre valutate come primo tentativo: se il numero di creditori è contenuto e vi è margine di dialogo, un accordo negoziato può risolvere la crisi più rapidamente e senza gli “stigmi” di una procedura concorsuale. In caso contrario, il debitore può (e deve) ricorrere agli strumenti offerti dalla legge per risolvere in modo ordinato la propria esposizione debitoria. Vediamo ora in dettaglio quali sono tali strumenti e come funzionano.
Procedure di sovraindebitamento (Legge 3/2012 e Codice della Crisi)
Le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento costituiscono la risposta legislativa al problema dei debiti insostenibili per i debitori non fallibili (consumatori e piccole imprese). Si tratta di procedure giudiziali semplificate, simili per certi versi a un mini-fallimento controllato, ma orientate al risanamento o all’esdebitazione del debitore civile. Dal 2022, come detto, la disciplina è regolata nel Codice della Crisi (CCII) che ha rinominato le procedure originarie della L. 3/2012, pur mantenendone l’impianto. In questa sezione useremo i nomi aggiornati:
- Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (in breve, Piano del Consumatore), corrispondente al piano del consumatore introdotto dalla L. 3/2012;
- Concordato Minore, corrispondente al vecchio accordo di composizione dei debiti;
- Liquidazione Controllata del sovraindebitato, già liquidazione del patrimonio nella L. 3/2012;
- Esdebitazione del debitore incapiente, nuova procedura (introdotta prima nel 2020 in L.3 e ora nel CCII) che consente la liberazione dai debiti anche a chi non ha nulla da offrire.
Analizziamo le caratteristiche di ciascuno, dopo aver chiarito i requisiti generali di accesso e i concetti chiave comuni.
Requisiti di accesso e principi comuni
Le condizioni generali per poter accedere a qualsiasi procedura di sovraindebitamento sono:
- trovarsi in stato di sovraindebitamento effettivo, cioè incapacità cronica di pagare i debiti accumulati (non basta la mera difficoltà temporanea, dev’essere una situazione di insolvenza o crisi conclamata);
- appartenere alla categoria dei soggetti non fallibili (come elencato sopra: consumatore, professionista, impresa sotto soglie, ecc.);
- il debitore deve essere meritevole: la legge richiede che non abbia colpe gravi nella genesi del sovraindebitamento. In particolare non deve aver commesso atti di frode a danno dei creditori (es. distrazione di beni, vendite simulate per sottrarli alla garanzia, ecc.) e non deve aver assunto dolosamente debiti senza prospettiva di pagarli. Questo concetto di meritevolezza è valutato caso per caso dal tribunale, spesso attraverso la relazione dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi). Ad esempio, aver fatto spese voluttuarie eccessive col solo scopo di non pagarle potrebbe far dubitare della buona fede; viceversa, un sovraindebitamento dovuto a eventi sfortunati (perdita lavoro, malattia, crisi economica) in assenza di comportamenti maliziosi di sottrazione patrimoniale indica meritevolezza. Va segnalato che dal 2021 la normativa considera non preclusiva la circostanza che taluni crediti siano stati concessi con leggerezza dagli istituti finanziari: anzi, viene introdotto il principio del merito creditizio, secondo cui saranno “puniti” (ossia subiscono le conseguenze dell’insolvenza) quei finanziatori che hanno concesso prestiti sapendo che il debitore era già in difficoltà. Ciò serve a non imputare totalmente la colpa al debitore nei casi di sovraindebitamento da facile accesso al credito.
- infine, non si può accedere alle procedure se si è già usufruito di un’esdebitazione nei 5 anni precedenti. Questa regola anti-abuso evita che un soggetto azzeri i debiti ripetutamente a breve distanza di tempo. Ad esempio, chi ottiene l’esdebitazione nel 2023 non potrà presentare una nuova domanda fino almeno al 2028. (Nel Codice della crisi è stato chiarito che rileva l’avvenuto beneficio dell’esdebitazione nei 5 anni, non semplicemente aver fatto una procedura minore).
Tutte le procedure prevedono il coinvolgimento di un organismo specializzato: l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi), istituito presso enti pubblici o privati abilitati (come Ordini professionali, Camere di Commercio, organismi ministeriali). L’OCC nomina un Gestore della crisi, figura di ausilio (spesso un professionista esperto in insolvenze) che ha il compito di esaminare la documentazione del debitore, redigere una relazione sulle cause dell’indebitamento e sulla fattibilità del piano, assistere il debitore nel predisporre la proposta e fungere da collegamento con il Tribunale. In pratica, chi intende avviare la procedura presenta un’istanza all’OCC territoriale competente e viene guidato dal Gestore nelle fasi successive. Questo comporta dei costi (il compenso dell’OCC/Gestore, stabilito secondo parametri ministeriali, a carico del debitore – spesso fra i 1.000 e i 4.000 euro a seconda della complessità, dilazionabili). Tuttavia, i benefici della procedura possono superare di gran lunga i costi, specie per chi ha debiti molto elevati.
Effetti immediati della procedura: Una volta depositata la domanda di accesso al tribunale (corredata dalla relazione OCC), il giudice verifica la documentazione e, se la ritiene completa e ammissibile, dichiara aperta la procedura con decreto. Da quel momento:
- scatta il divieto di azioni esecutive individuali: nessun creditore può iniziare o proseguire pignoramenti o altre esecuzioni sul patrimonio del debitore senza autorizzazione del giudice. Ciò crea una moratoria che protegge il debitore mentre si svolge la procedura;
- i creditori vengono informati e, a seconda del tipo di procedura, potranno eventualmente votare sulla proposta (nel concordato minore) oppure solo opporsi per iscritto (nel piano del consumatore);
- se erano pendenti esecuzioni (pignoramenti, aste), il giudice dell’esecuzione – avvisato dal debitore – sospenderà i procedimenti in attesa dell’esito. In pratica il tribunale “concorsuale” non annulla retroattivamente i pignoramenti (non ha il potere di dichiararli nulli direttamente), ma li mette in stand-by; starà poi al giudice delle esecuzioni emettere i provvedimenti di sospensione o chiusura, coordinandosi con quello concorsuale. La Cassazione ha chiarito nel 2023 che il giudice del sovraindebitamento non può egli stesso dichiarare improcedibile o nullo un pignoramento pendente, potendo solo disporre il divieto di prosecuzione, e che è onere delle parti attivarsi davanti al GE per far valere tale divieto.
Altro effetto comune è la cristallizzazione del debito: dalla data di apertura, generalmente cessano di maturare interessi di mora sui crediti chirografari (non garantiti) per tutto il corso della procedura. Gli interessi sui crediti privilegiati invece possono maturare entro i limiti della capienza dei beni su cui insiste la garanzia. Questo principio è analogo a quanto avviene nel fallimento e serve a evitare che il debito lieviti ulteriormente durante il tentativo di risanamento.
Infine, tutte le procedure – tranne l’esdebitazione dell’incapiente – possono concludersi con un piano da adempiere (rate, pagamenti, liquidazioni di beni). È fondamentale che il debitore rispetti puntualmente gli obblighi assunti nel piano omologato. In caso di inadempimento grave o ingiustificato, infatti, il tribunale può revocare l’esdebitazione o dichiarare risolto l’accordo, facendo rivivere i debiti originari (salvo quanto già pagato) e riaprendo la strada ai creditori per agire esecutivamente. Dunque la procedura va intrapresa con serietà e con un piano realmente sostenibile.
Vediamo ora i singoli strumenti previsti:
Piano del Consumatore (ristrutturazione dei debiti del consumatore)
Cos’è: È un piano di ristrutturazione riservato al consumatore, ossia alla persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività d’impresa o professionale. È lo strumento pensato per le famiglie e gli individui sovraindebitati (es. per mutui, prestiti al consumo, bollette, spese mediche, ecc.), distinto da quello per imprenditori. Novità 2024: la definizione di “consumatore” è stata estesa a includere anche i soci di società di persone (snc, sas) limitatamente ai debiti personali estranei all’attività sociale. Ciò significa, ad esempio, che un socio illimitatamente responsabile di una snc, indebitato anche per questioni private, può usare il Piano del Consumatore per quei debiti personali – senza che il fatto di essere socio (e potenzialmente fallibile per i debiti sociali) lo impedisca, purché la procedura non pregiudichi i creditori della società.
Procedura: Il consumatore, con l’ausilio del Gestore OCC, predispone un piano di rientro dei debiti sostenibile in base al suo reddito e patrimonio. Può proporre qualsiasi forma di pagamento: rate mensili utilizzando il reddito disponibile, liquidazione di alcuni beni (es. vendita auto, quota TFR), mantenendo eventualmente beni necessari. Non è richiesto il consenso dei creditori: questa è la caratteristica peculiare del Piano del Consumatore rispetto alle altre procedure. Il piano viene sottoposto direttamente all’omologazione del giudice, il quale valuta:
- la fattibilità del piano (che ci siano sufficienti risorse per rispettarlo);
- la meritevolezza del consumatore (ad esempio, verifica che non abbia colpe gravi o frodi all’origine dei debiti, sulla base della relazione OCC);
- la convenienza per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria. In altri termini, il giudice approva il piano solo se ritiene che ogni creditore ottenga almeno quanto avrebbe ricavato in una liquidazione dei beni del debitore. Questo principio garantisce che il piano, pur potendo prevedere pagamenti parziali (falcidie) dei crediti, non danneggi i creditori oltre misura. Ad esempio, se un creditore ha ipoteca su un immobile, il piano deve assicurargli un trattamento non inferiore al valore ricavabile dalla vendita di quell’immobile, altrimenti quel creditore potrebbe risultare pregiudicato.
I creditori non votano sul piano, ma possono presentare opposizione (osservazioni) se lo ritengono non conveniente o contestare i dati. Al termine, il tribunale – se soddisfatte le condizioni – omologa il piano, che diviene vincolante per tutti. In caso di opposizione di creditori, il giudice omologa solo se giudica il piano conveniente per loro almeno quanto la liquidazione.
Contenuto del piano: Il piano può prevedere le soluzioni più varie e creative, adattabili alla situazione familiare:
- Rateizzazione dei debiti in base al reddito disponibile. Ad esempio, se la famiglia può destinare 500 € al mese al rimborso debiti, il piano potrebbe offrire 500 € * 60 mesi = 30.000 € ripartiti proporzionalmente fra i creditori chirografari a fronte di, poniamo, 100.000 € di debiti originari (quindi pagando circa il 30%). Questa percentuale offerta dipende anche dal valore dei beni: se il debitore possiede una casa o altri asset, i creditori dovrebbero ricevere almeno quanto otterrebbero liquidandoli.
- Mantenimento di beni essenziali: Il consumatore può chiedere di mantenere la prima casa o altri beni, a patto di rispettare i creditori con un pagamento equivalente. Una novità introdotta dal 2024 (Correttivo-ter) è la tutela specifica della prima casa: l’art. 67, co.5 CCII consente, col via libera del giudice, di pagare le rate scadute del mutuo ipotecario per evitare la decadenza e mantenere la proprietà dell’abitazione principale. In pratica, se il debitore è in arretrato col mutuo sulla casa di residenza, il piano può includere il rimborso delle rate insolute (magari con un accordo con la banca per diluirle) così da non perdere l’immobile, continuando a pagare le rate future regolarmente.
- Moratoria ai creditori privilegiati: Il nuovo Codice ora permette esplicitamente di posticipare il pagamento di creditori privilegiati (es. ipotecari) fino a 2 anni dall’omologazione. In passato la L.3/2012 menzionava una moratoria fino a 1 anno (art. 8 co.4 L.3/2012) che aveva generato dubbi interpretativi. La Cassazione, prima della riforma, ha chiarito che il termine annuale era da intendersi come tempo entro cui iniziare i pagamenti ai privilegiati, non necessariamente completarli. Ora l’art. 67 CCII stabilisce chiaramente che si può iniziare a pagare i creditori con prelazione anche fino a 24 mesi dopo l’omologa, restando dovuti nel frattempo i soli interessi legali. Questa moratoria dà al debitore un po’ di respiro iniziale per riorganizzarsi finanziariamente. Ad esempio, un mutuo ipotecario scaduto potrebbe riprendere i pagamenti due anni dopo, se il giudice lo approva, senza che la banca possa attivare nel frattempo la risoluzione del contratto.
- Falcidia dei crediti: Il piano del consumatore può prevedere il pagamento parziale (falcidia) dei debiti, specialmente quelli chirografari (non garantiti). Anche i crediti privilegiati (garantiti) possono essere non pagati integralmente per la parte che eccede la garanzia. Ad esempio, se c’è un’ipoteca su un immobile del valore di 50.000 €, ma il debito verso la banca è 80.000 €, il piano potrebbe pagare 50.000 € alla banca (valore dell’immobile) e considerare chirografo il restante 30.000 €, che viene pagato in percentuale come gli altri o addirittura escluso se il piano non riesce a soddisfarlo – in tal caso quel 30.000 € residuo verrebbe esdebitato a fine procedura. La legge consente questa operazione, purché – come detto – nessun creditore garantito prenda meno di quanto gli spetterebbe escutendo la garanzia in uno scenario liquidatorio.
- Eventuale apporto di risorse esterne: il piano può beneficiare di soldi da terzi (es. parenti disposti a contribuire). Tali somme aggiuntive migliorano il trattamento dei creditori. Il CCII art. 74 definisce ora meglio cosa si intende per “risorse esterne” nella proposta di concordato minore/piano: sono incrementi dell’attivo disponibile al momento della domanda (non semplicemente maggior soddisfazione dei creditori). Nel piano consumatore, contributi di terzi possono essere decisivi per confermare la fattibilità.
Durata: Non c’è una durata fissa per il Piano del Consumatore. Può essere breve (pochi mesi, se ad esempio si prevede di vendere un immobile e distribuire il ricavato) oppure lungo diversi anni. In genere, i tribunali tendono a non approvare piani eccessivamente lunghi senza garanzie, ma non c’è un limite legale assoluto. È citato il caso di un piano di rientro trentennale omologato in passato, anche se costituisce un’eccezione legata forse a rate minime su debiti ipotecari. Tipicamente, i piani del consumatore sono progettati su un orizzonte di 4–5 anni per i pagamenti rateali, in linea con la durata ragionevole delle procedure concorsuali minori. I crediti non soddisfatti al termine saranno oggetto di esdebitazione.
Vantaggi e peculiarità: Il Piano del Consumatore è uno strumento potente perché non richiede il voto dei creditori: un debitore persona fisica onesto può ristrutturare il proprio debito anche contro la volontà di una parte di creditori, se convince il giudice della bontà della proposta. Ciò tutela situazioni in cui, ad esempio, un singolo creditore (magari l’Agenzia delle Entrate o una banca) non voglia accordarsi – il tribunale può ugualmente omologare il piano se ritiene che quel creditore non subisca un danno ingiusto. Il creditore potrà al più contestare la convenienza, ma come visto la verifica sulla convenienza è intrinseca all’omologazione stessa. Questo strumento è quindi ideale per i debitori civili con più creditori, reddito limitato ma regolare, e volontà di evitare la liquidazione totale del patrimonio.
Esempio pratico: Una famiglia con 150.000 € di debiti (di cui 100.000 € di mutuo residuo su casa e 50.000 € tra prestiti e carte) e un reddito mensile complessivo di 2.500 €. Potrebbe proporre un Piano del Consumatore così strutturato: continuare a pagare regolarmente le rate del mutuo (per salvare la casa) e destinare, dopo aver pagato le spese correnti di sostentamento, 500 € al mese per 5 anni ai creditori chirografari. Ciò significa offrire 30.000 € in 5 anni a fronte di 50.000 € dovuti (circa il 60%). Se il valore di mercato della casa è ad esempio 120.000 €, la banca ipotecaria è garantita e non subisce perdite (continua a ricevere le rate e potrebbe comunque rivalersi sull’immobile in caso di default futuro). I creditori chirografari, ricevendo 30.000 su 50.000, dovranno accettare uno stralcio del 40% del loro credito – ma dovranno confrontarlo con quanto otterrebbero in caso di liquidazione: se la liquidazione forzata della casa lasciasse poco o nulla per i chirografari (cosa probabile, essendoci l’ipoteca della banca che assorbirebbe gran parte del ricavato), allora il 60% offerto nel piano è conveniente e il giudice potrà omologarlo anche se qualcuno fosse contrario. La famiglia conserva la casa, rientra gradualmente dai debiti secondo le sue capacità, e dopo 5 anni ottiene l’esdebitazione del debito restante non pagato (in questo caso, i 20.000 € residui chirografari). Questo esempio mostra la finalità sociale del piano: conciliare il recupero parziale per i creditori con la sopravvivenza economica della famiglia debitrice.
Concordato Minore (ex Accordo di composizione per imprenditori e professionisti)
Cos’è: Il Concordato Minore è la procedura destinata ai debitori non fallibili che non siano consumatori puri, quindi tipicamente piccoli imprenditori, professionisti, startup, imprese agricole o anche persone fisiche che hanno però contratto debiti in parte legati ad attività d’impresa. Corrisponde all’“accordo di composizione della crisi” della vecchia legge. La differenza chiave rispetto al piano del consumatore è che qui i creditori votano sulla proposta di concordato, analogo a quanto avviene nel concordato preventivo delle imprese maggiori, sebbene con maggioranze più favorevoli al debitore.
Procedura: Il debitore elabora, con l’OCC, un piano di concordato che può prevedere sia la ristrutturazione dell’azienda in continuità sia la liquidazione di beni, o un misto di entrambe (è ammessa la continuità aziendale). Il piano viene sottoposto al voto dei creditori riuniti in adunanza (o con modalità telematiche). Per l’approvazione serve il voto favorevole dei creditori che rappresentino almeno il 50% dei crediti chirografari complessivi. I creditori privilegiati non votano se sono integralmente soddisfatti secondo le cause di prelazione, altrimenti partecipano al voto per la parte non soddisfatta (analogamente al concordato preventivo). Una volta ottenuto il quorum di consensi, il tribunale omologa il concordato minore e questo diviene vincolante per tutti i creditori, anche per il restante 50% eventualmente dissenziente. Se invece non si raggiunge la maggioranza del 50%, la proposta non è approvata e la procedura di norma viene chiusa. Il debitore a quel punto può convertire la domanda in liquidazione controllata, oppure – novità introdotta nel 2020 – può ottenere dal giudice la concessione di un termine (fino a 90 giorni) per presentare una nuova proposta di concordato o passare a un piano del consumatore (se ne ha i requisiti). La Cassazione ha specificato che questo “secondo tentativo” è possibile a certe condizioni (es. modifica sostanziale della proposta) e deve essere richiesto entro il termine stabilito dal giudice nel provvedimento di diniego.
Contenuto del concordato minore: Può includere soluzioni analoghe a quelle viste per il piano:
- pagamento parziale dei crediti chirografari (es. percentuale e concordati in una certa misura);
- suddivisione in classi dei creditori (facoltativa ma possibile, per trattare diversamente creditori con posizioni giuridico-economiche differenti);
- liquidazione di beni non strategici con distribuzione del ricavato;
- continuazione dell’attività d’impresa sotto controllo (il debitore rimane in possesso dei beni, di regola, e prosegue l’attività se ciò genera valore per pagare creditori);
- eventuali apporti di terzi o garanzie esterne per migliorare le prospettive di pagamento.
Anche qui vige il requisito fondamentale che il piano offra ai creditori un’utilità non inferiore a quella ricavabile dalla liquidazione (best interest test). Il tribunale, in sede di omologa, deve verificare su opposizione di eventuali creditori dissenzienti la convenienza economica della proposta. In assenza di opposizioni, se vi è la maggioranza di voti il concordato è solitamente omologato salvo riscontri di illegalità o fattiva impossibilità.
Moratoria biennale: In parallelo al piano del consumatore, anche nel concordato minore si applicano le novità sulla moratoria dei creditori privilegiati: il debitore può iniziare a pagarli fino a 2 anni dopo omologa (pagando intanto interessi legali), come previsto dall’art. 86 CCII richiamando l’art. 67.
Durata: Un concordato minore in continuità può avere durata pluriennale (generalmente 4–5 anni per completare i pagamenti, ma talvolta anche più lunga se l’attività necessita di più tempo per generare utili). La normativa incoraggia comunque una durata ragionevole. Nel caso di liquidazione in concordato, i tempi dipendono dalla vendita dei beni e distribuzione attivi, ma spesso in 1–2 anni si chiude la fase esecutiva, seguita dall’esdebitazione dopo 3 anni se vi è residuo.
Vantaggi rispetto al fallimento: Il concordato minore evita al debitore le conseguenze più gravose della liquidazione giudiziale (fallimento). In particolare, il debitore mantiene l’amministrazione dei beni (sotto vigilanza del Gestore o Commissario), anziché subire lo spossessamento; può continuare la sua attività; evita le interdizioni personali (come l’inabilitazione all’esercizio di impresa che può seguire a un fallimento). Inoltre, offre ai creditori chirografari solitamente una soddisfazione migliore rispetto a una liquidazione forzata, grazie anche ad eventuali risorse esterne. È, in sostanza, uno strumento di ristrutturazione negoziata del debito in sede giudiziale.
Esempio pratico: Un artigiano con ditta individuale ha debiti per 200.000 € (50.000 € con fornitori, 50.000 € con una banca scoperto di conto chirografario, 100.000 € di mutuo ipotecario su capannone del valore 120.000 €). L’attività è ancora redditizia, ma il carico debitorio accumulato è insostenibile. L’artigiano propone un concordato minore in continuità: mantiene il capannone e l’attività, continuando a pagare le rate di mutuo (quindi la banca ipotecaria è soddisfatta integralmente, fuori dal concordato per la parte garantita dall’immobile); propone ai fornitori e alla banca chirografaria un pagamento pari al 40% dei loro crediti, utilizzando il flusso di cassa aziendale di 20.000 € annui per 5 anni (in totale 100.000 € da destinare: il 40% di 100.000 € di debiti chirografari). Offre inoltre una piccola garanzia: un familiare si impegna a versare ulteriori 10.000 € se l’utile d’impresa non bastasse. I creditori votano: la maggioranza (banca chirografa e alcuni fornitori) accetta perché preferisce incassare 40% in 5 anni che rischiare un fallimento dove, al netto del realizzo del capannone da cui la banca ipotecaria prenderebbe quasi tutto, a loro forse non sarebbe rimasto nulla. Alcuni fornitori magari dissentono, ma contando i voti si supera il 50%. Il tribunale omologa il concordato: l’azienda prosegue, i creditori chirografari incassano gradualmente la percentuale concordata, dopo 5 anni l’artigiano ottiene l’esdebitazione del restante 60% non pagato. Così ha salvato l’attività e pagato il possibile senza essere schiacciato da tutto il debito.
Liquidazione Controllata del sovraindebitato (ex liquidazione dei beni)
Cos’è: È la procedura da intraprendere quando non è possibile o conveniente proporre un piano di ristrutturazione (né come consumatore né come concordato) oppure quando tale piano non ottiene l’omologazione. In sostanza, è l’equivalente di un piccolo “fallimento” del debitore civile, con la differenza che a fine procedura il debitore persona fisica viene liberato dai debiti residui (cosa che nel fallimento d’impresa avviene solo a determinate condizioni di meritevolezza, con l’istituto dell’esdebitazione del fallito). La liquidazione controllata può essere attivata volontariamente dal debitore, oppure – novità del CCII – anche da un creditore o dal Pubblico Ministero nei confronti di un soggetto sovraindebitato non fallibile. In tal caso, però, al debitore è concessa ancora la possibilità di ripiegare su un piano: se un creditore chiede al tribunale l’apertura della liquidazione, il debitore può opporre la richiesta di essere ammesso a una procedura di ristrutturazione (piano o concordato minore) e il giudice dovrà esaminare prima quella, secondo il principio di preferenza delle soluzioni concordate rispetto alla liquidazione.
Procedura: Il debitore deposita un ricorso per liquidazione presso il tribunale, allegando l’elenco di tutti i beni, redditi, debiti e creditori, e la relazione dell’OCC. Il tribunale, verificati i presupposti, dichiara aperta la liquidazione e nomina un Liquidatore (figura analoga al curatore fallimentare). Da quel momento il debitore è spossessato dei suoi beni: tutto il suo patrimonio viene conferito nella massa attiva da liquidare, ad eccezione dei beni impignorabili per legge (ad es. beni di stretta necessità, stipendio per la parte non pignorabile, etc.). Il Liquidatore predispone un programma di liquidazione, approvato dal giudice, e procede a trasformare in denaro i cespiti: vende gli immobili (salvo che sia prevista la continuazione di un eventuale azienda in esercizio provvisorio), converte in denaro gli strumenti finanziari, riscuote crediti, ecc. Il ricavato, detratte le spese, verrà distribuito ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione (i privilegiati per primi fino a capienza, poi gli eventuali chirografari in proporzione).
La liquidazione controllata non richiede alcun voto dei creditori – è una procedura giudiziaria classica. I creditori sono invitati a presentare le domande di ammissione al passivo entro un termine (ora 90 giorni dalla comunicazione di apertura, prorogabile di altri 30). Il Liquidatore forma lo stato passivo (l’elenco dei crediti ammessi, con eventuali esclusioni motivate), su cui il giudice decide. Da notare: il Correttivo 2024 ha allungato il termine per le domande da 60 a 90 giorni, venendo incontro alle esigenze dei creditori e rafforzando la tutela delle loro ragioni.
Importante novità: è stata chiarita la condizione di inammissibilità della liquidazione se non vi sono beni da liquidare. In passato si discuteva se un debitore completamente privo di risorse potesse comunque accedere alla liquidazione (magari al solo scopo di ottenere poi l’esdebitazione). Il nuovo art. 268 CCII, modificato nel 2024, stabilisce che la domanda di liquidazione è improcedibile se manca un patrimonio liquidabile, a meno che l’OCC attesti la possibilità di ricavare attivo da azioni giudiziarie (ad esempio cause risarcitorie, revocatorie per recuperare beni alienati, ecc.). L’OCC ha ora l’obbligo di certificare dettagliatamente la presenza di attivi liquidabili, altrimenti la procedura non parte. Questo serve a evitare procedure inutili e costose per l’erario quando non c’è nulla da distribuire. In pratica, se il debitore è nullatenente e non si ravvisano possibili recuperi, non verrà aperta la liquidazione (tale debitore potrà semmai percorrere la strada dell’esdebitazione incapiente, come vedremo). Se invece qualche attivo c’è o potrebbe emergere (es. possibili somme recuperabili da terzi responsabili), la liquidazione procede.
Durante la liquidazione controllata il debitore deve collaborare (ha obblighi simili al fallito: fornire documentazione, informazioni, non aggravare la propria situazione). Il Liquidatore redige relazioni periodiche al giudice ogni 6 mesi sullo stato della procedura. La procedura non ha più un durata minima predeterminata: la riforma ha eliminato il previgente vincolo di 4 anni minimo. Oggi la durata dipende solo dal tempo necessario a liquidare e distribuire – può essere anche inferiore a 4 anni se tutto si realizza prima. D’altro canto, vi è un limite massimo implicito di 3 anni per il debitore persona fisica ai fini dell’esdebitazione: il Codice prevede infatti che dopo 3 anni dall’apertura il debitore possa ottenere l’esdebitazione residua anche se la liquidazione non è ancora formalmente chiusa. Approfondiamo questo aspetto più avanti, parlando di esdebitazione.
Effetti per i creditori: La liquidazione controllata, similmente al fallimento, comporta la spalmatura delle soddisfazioni secondo le garanzie. I creditori ipotecari o con privilegio realizzeranno, al massimo, il valore dei beni su cui vantano prelazione, potendo insinuarsi come chirografari per l’eventuale residuo. I creditori chirografari riceveranno una percentuale (dividendo) calcolata sul ricavato disponibile dopo i privilegiati. Spesso, in casi di grave sovraindebitamento, questo dividendo può essere molto basso (a volte pochi centesimi per euro di credito). Tuttavia, accettando la procedura, i creditori almeno ottengono una chiusura definitiva del contenzioso e la distribuzione di tutto quanto recuperabile, senza continuare a inseguire il debitore vita natural durante.
Fine della procedura ed esdebitazione: Terminata la liquidazione dei beni, il liquidatore presenta un conto finale e il giudice dichiara chiusa la procedura. Dopodiché, se il debitore è persona fisica, viene emesso il provvedimento di esdebitazione, cioè la cancellazione di tutti i debiti non soddisfatti con il ricavato. La riforma 2024 ha reso questo passaggio più semplice: il tribunale ha l’obbligo di dichiarare inesigibili i debiti residui al termine, senza necessità di un’apposita istanza del debitore. Addirittura, è previsto – come accennato – che se la liquidazione giudiziale (per le imprese fallibili) si prolunga oltre 3 anni, il debitore persona fisica possa chiedere l’esdebitazione dopo 3 anni dall’apertura, pur con procedura ancora in corso. Nel caso della liquidazione controllata (sovraindebitamento), la prassi è concluderla entro 3 anni, quindi coinciderà con l’esdebitazione finale automatica. Il fine è garantire comunque al debitore una liberazione in tempi certi, evitando che rimanga appeso all’incertezza per troppo tempo.
Vantaggi e svantaggi: La liquidazione controllata ha il pregio di essere accessibile anche quando un piano non è praticabile – ad esempio, se il debitore non ha reddito sufficiente per offrire pagamenti rateali e/o non raggiunge accordi coi creditori. Il debitore subisce la liquidazione del suo patrimonio, ma in compenso ottiene l’esdebitazione (a meno di comportamenti gravemente scorretti che possano portare a diniego di tale beneficio). Di fatto, è la via per “togliersi il peso” dei debiti sacrificando ciò che eventualmente si possiede. Uno svantaggio relativo è che, se il debitore possiede beni di valore affettivo (es. la casa di famiglia), qui non c’è modo di salvarli: verranno liquidati salvo accordi transattivi particolari durante la procedura (tecnicamente il debitore potrebbe trovare un accordo con i creditori per evitare la vendita di un bene, offrendo qualcosa in cambio – ma ciò di solito rientra più in un concordato che in una liquidazione). Inoltre, nella liquidazione il debitore perde la gestione dei beni e subisce un controllo più stringente. Tuttavia, quando i debiti superano di molto le risorse, spesso la liquidazione è l’unica strada realistica.
Esempio pratico: Un ex imprenditore, chiusa l’attività, si ritrova con 120.000 € di debiti (fornitori non pagati, banche per scoperti, qualche debito fiscale) e nessun reddito attuale. Ha solo una vecchia auto e nessun immobile. È nullatenente o quasi. Un piano di pagamento non sarebbe credibile (non ha entrate per sostenerlo). Costui può avviare una liquidazione controllata: il liquidatore venderà l’auto (ricavando magari 5.000 €), controllerà se ha eventuali crediti verso terzi da incassare, e non trovando altro distribuirà qualche spicciolo ai creditori. Dopo la chiusura, il tribunale lo esdebita: i ~115.000 € rimasti inesiguiti vengono cancellati. I creditori non potranno più perseguitarlo e se in futuro guadagnerà qualcosa, sarà pulito dai vecchi debiti. Questo evidenzia come la liquidazione funzioni da “capitolo finale” per chiudere situazioni altrimenti irrisolvibili. (Va precisato che se fin dall’inizio è chiaro che non c’è nulla da liquidare – come nel caso di un soggetto nullatenente totale – il giudice potrebbe non aprire la procedura per improcedibilità, indirizzando semmai al percorso dell’esdebitazione incapiente di cui sotto, ove applicabile).
Esdebitazione del debitore incapiente (c.d. esdebitazione senza utilità)
Cos’è: È una procedura speciale introdotta per la prima volta con la L. 176/2020 (di riforma della L.3) e ora disciplinata nel CCII, pensata per quei debitori persona fisica totalmente incapienti, cioè privi di beni liquidabili e di redditi aggredibili, che altrimenti non avrebbero accesso ad alcuna forma di composizione (non possono offrire un piano né attivare una liquidazione perché non c’è nulla da liquidare). In pratica, consente – una volta nella vita – di ottenere la cancellazione di tutti i debiti anche senza pagare nulla ai creditori, purché il debitore sia meritevole e versi in condizioni economicamente disperate. È una sorta di “fresh start” estremo, paragonabile al concetto del debitore civilmente morto che viene riabilitato.
Requisiti specifici: Oltre ai requisiti generali di meritevolezza e non fallibilità, serve la prova che:
- il debitore non possiede alcun bene liquidabile (neppure parzialmente);
- non ha entrate reddituali che consentano pagamenti significativi verso i creditori (al netto del minimo per il sostentamento proprio e della famiglia). Insomma, niente patrimonio e niente reddito disponibile;
- l’insolvenza non deriva da violazioni dolose della legge (ad es. multe per reati, debiti da attività illecite intenzionali) e in generale il debitore ha tenuto un comportamento collaborativo e onesto.
La valutazione di meritevolezza qui è stringente: l’idea è aiutare chi è poverissimo e incolpevole.
Procedura: Si deposita un ricorso al tribunale chiedendo l’esdebitazione a zero, allegando l’inventario negativo dei beni. L’OCC interviene, sebbene non ci sia un piano da predisporre: deve però valutare e attestare la condizione di incapienza e l’assenza di attivi. Il tribunale convoca i creditori, i quali possono eventualmente opporsi (magari contestando la veridicità della dichiarazione di nullatenenza, o sostenendo che il debitore non è meritevole). Se il giudice, sentite le parti, accerta che il debitore non ha nulla da offrire e che è meritevole, emette un decreto di esdebitazione dell’incapiente. Tutti i debiti antecedenti vengono immediatamente cancellati.
Condizioni post-esdebitazione: La legge pone però un obbligo importante a carico del debitore incapiente esdebitato: nei 4 anni successivi al provvedimento, se il debitore consegue “utilità” rilevanti (come vincite, lasciti, incrementi di reddito), tali da permettergli di pagare almeno il 10% dei debiti originari, egli deve farlo. In pratica, se la fortuna gira entro quattro anni (trova un buon lavoro, eredita una somma, vince alla lotteria, etc.), il debitore ha il dovere legale di informare l’OCC annualmente sul proprio stato economico e, se supera la soglia del 10%, di pagare ai vecchi creditori fino a quel 10% (non l’intero debito, solo quella quota minima; se gli “utilità” consentissero di più, la norma fissa comunque quell’obbligo del 10%). Questo meccanismo evita che persone con debiti cancellati facciano poi guadagni improvvisi senza riconoscere nulla ai creditori: per quattro anni si rimane sorvegliati, dopodiché quo ante.
Trascorso tale quadriennio senza eventi positivi, l’esdebitazione diventa definitiva e irretrattabile. Se invece emergono utilità ma il debitore omette di segnalarle, rischia la revoca del beneficio e sanzioni.
Effetti e limiti: L’esdebitazione senza utilità è il rimedio più drastico, concepito per situazioni socialmente delicate (pensiamo a chi si è indebitato per curarsi o per aiutare familiari, senza più nulla in mano). Non richiede alcun pagamento ai creditori, quindi questi ultimi ne risultano completamente pregiudicati – motivo per cui la legge è restrittiva nel concederla. È un provvedimento di clemenza economica, concesso una tantum. Non a caso, non è ammesso se il debitore ha beneficiato di altre esdebitazioni nei precedenti 5 anni, e logicamente se emergono prove di mala fede. Inoltre, restano comunque esclusi dalla esdebitazione alcuni debiti di natura particolare, come le obbligazioni alimentari (mantenimento a coniuge e figli) e le sanzioni penali (multe e ammende per reati) – queste voci infatti, per espressa previsione, non possono essere toccate neppure dalle procedure di sovraindebitamento ordinarie.
Esempio pratico: Un giovane indebitato perché fideiussore di un’attività altrui fallita: si ritrova con 200.000 € di debiti di cui legalmente responsabile, ma non ha beni né un lavoro stabile (magari è disoccupato o precario). Ha cercato di pagare ma è oggettivamente incapiente. Presenta istanza di esdebitazione incapiente. Il tribunale verifica che non possiede nulla oltre pochi mobili usati, vive presso i genitori, e che i debiti derivano dal fallimento della società di un amico per la quale aveva ingenuamente garantito – nessuna frode da parte sua. I creditori non possono indicare beni nascosti perché non ce ne sono. Il giudice quindi cancella tutti i suoi debiti. Tre anni dopo, il ragazzo trova un buon lavoro: accumula risparmi e supera la soglia del 10% (20.000 €) rispetto ai 200.000 di debiti originari. Egli sarà tenuto a destinare quei 20.000 € (non di più) ai creditori precedenti, ripartiti proporzionalmente, segnalando il tutto all’OCC. Così facendo avrà rispettato la legge e resterà libero dal restante 90%. Se invece nei 4 anni non fosse migliorata la sua situazione, nessun obbligo sorgerebbe e i creditori non potrebbero più avanzare pretese. Si capisce come questo istituto, pur poco gradito ai creditori (che recuperano zero o quasi), costituisca un’importante rete di sicurezza sociale, evitando che persone totalmente insolventi e prive di risorse restino marchiate a vita dai debiti.
Confronto riepilogativo delle procedure
Per riassumere le caratteristiche delle quattro procedure descritte, si propone la seguente tabella:
Procedura (riferimento normativo CCII) | Destinatari principali | Voto dei creditori | Durata tipica | Esiti e benefici |
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Piano del Consumatore(Ristrutturazione debiti consumatore, art. 67 e 68 CCII) | Consumatori (persone fisiche non imprenditori, o soci per debiti personali estranei all’impresa). Ideale per famiglie e privati con sole obbligazioni civili. | No voto dei creditori (decide il Giudice su omologazione). Creditori possono solo fare osservazioni/opposizioni. | Variabile: spesso 4–5 anni di pagamenti rateali; nessun limite massimo rigido (anche piani più lunghi se sostenibili). Moratoria iniziale fino 2 anni per i privilegiati. | Pagamenti calibrati su reddito; possibile stralcio parziale dei debiti (falcidia chirografari, ecc.) con mantenimento di beni essenziali (es. prima casa, se autorizzato). Esdebitazione del residuo a fine piano. Niente spossessamento generale dei beni. Tutele per debitore meritevole (stop pignoramenti, ecc.). |
Concordato Minore(artt. 74–83 CCII) | Debitori non fallibili non consumatori: piccoli imprenditori, professionisti, start-up, impr. agricoli, persone fisiche con debiti anche professionali. Consigliato se vi è attività d’impresa da ristrutturare o creditori aziendali da coinvolgere. | Sì, voto richiesto: serve il sì di ≥ 50% dei crediti chirografari. Obbligo di consenso non unanime ma di maggioranza. Creditori privilegiati contano solo per l’eventuale parte non garantita. | In media 5–6 anni per l’esecuzione del piano. Può essere più breve se prevalentemente liquidatorio. Consente continuità aziendale durante la procedura (debitor in possesso). | Accordo vincolante per tutti i creditori se omologato. Possibilità di continuare l’attività e salvare l’azienda. Stralcio dei debiti chirografari in percentuale; soddisfazione dei privilegiati almeno fino a capienza garanzie (eventuale residuo come chirografo). Esdebitazione finale del debito non pagato. Se fallisce, possibilità di ripiegare sulla liquidazione. |
Liquidazione Controllata(artt. 268–277 CCII) | Qualunque debitore sovraindebitato non in grado di offrire un piano o i cui piani non siano stati approvati. Accessibile anche su istanza di creditori o PM (con preferenza a soluzioni concordate se proposte dal debitore). | No voto dei creditori. Procedura d’ufficio: creditori ammettono i crediti al passivo e ricevono riparti secondo prelazioni. | Durata massima 3 anni auspicata (eliminato obbligo min. 4 anni). Può chiudersi prima se beni liquidati rapidamente, oppure durare di più per attività complesse (ma dopo 3 anni il debitore può ottenere esdebitazione anche se la liquidazione prosegue). | Liquidazione integrale del patrimonio del debitore da parte di un Liquidatore nominato dal Tribunale. Il debitore perde la disponibilità dei beni (spossessamento) ma dopo la chiusura ottiene l’esdebitazione dei debiti insoddisfatti. Se non ci sono beni, la domanda è improcedibile a meno di attivi recuperabili con cause. È l’ultima risorsa per chiudere la situazione debitoria: i creditori ottengono tutto il ricavabile, poi il debitore viene liberato. |
Esdebitazione “incapiente”(art. 283 CCII e segg.) | Persona fisica nullatenente e senza reddito che non può accedere ad altre procedure. Rimedio straordinario concesso una volta sola. | Nessun voto – i creditori possono esprimere opposizione ma decide il giudice. | Tempi procedurali brevi (pochi mesi per il decreto). Dopo, c’è un periodo di 4 anni di “probatorio” in cui il debitore deve segnalare eventuali sopravvenienze attive. | Cancellazione totale dei debiti senza pagamenti, salvo l’obbligo di versare ai creditori, nei 4 anni successivi, fino al 10% se sopraggiungono nuove capacità economiche. Strumento di “clemenza” per debitori assolutamente meritevoli e disperati. Libera dal debito ma non copre obblighi alimentari e debiti per sanzioni penali. |
(Note: tutte le procedure offrono la sospensione delle azioni esecutive una volta aperte; in ogni caso, i debiti per alimenti al coniuge/figli restano esclusi da qualsiasi esdebitazione.)
Norme e giurisprudenza di riferimento (aggiornate al 2025)
Le procedure di sovraindebitamento sono state interessate da varie modifiche normative e pronunce giurisprudenziali negli ultimi anni. Riassumiamo qui i riferimenti principali e le novità più recenti utili al professionista:
- Legge 27 gennaio 2012 n. 3 – Introduzione delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (accordo, piano del consumatore e liquidazione del patrimonio). È la legge istitutiva, più volte modificata in seguito. Nota come “legge salva suicidi”, è stata in vigore fino al 2022 (ora sostituita dal CCII per le nuove procedure, ma ancora rilevante per i procedimenti pendenti e per la giurisprudenza formata su di essa).
- D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, conv. in L. 18 dicembre 2020 n. 176 – Riforma emergenziale che ha anticipato molte novità: introduzione della procedura familiare (più membri della stessa famiglia in un unico piano), abbassamento della maggioranza accordo al 50% (prima era 60%), nuova esdebitazione del debitore incapiente, ampliamento definizione di consumatore, possibilità per i soci illimitatamente responsabili di accedere alle procedure (con efficacia estesa delle omologhe ai soci), termine fino a 90 giorni per nuova proposta in caso di omologa negata, ecc. Queste norme transitorie hanno aggiornato la L.3/2012 negli ultimi suoi anni.
- D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII). Entrato pienamente in vigore dal 15 luglio 2022 (dopo vari rinvii), ha abrogato la L.3/2012 per le nuove procedure. Nel CCII le procedure da sovraindebitamento sono disciplinate dal Titolo IV, Artt. 65-91 (per piani e concordato minore) e Artt. 268-277 (liquidazione controllata), Artt. 282-283 (esdebitazione). Ha introdotto terminologie nuove: concordato minore al posto di accordo, ristrutturazione debiti del consumatore per piano, ecc., e ha integrato queste procedure nel sistema concorsuale unitario.
- D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 – “Correttivo-bis” al CCII, con modifiche minori. E D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 – “Correttivo-ter”, in vigore da fine 2024, con modifiche sostanziali:
- Divieto di domande “in bianco” o prenotative: non è più consentito presentare ricorsi generici per bloccare i creditori in attesa di formulare la proposta (art. 65 CCII modificato).
- Ampliamento nozione di consumatore (art. 2 lett. e): include i soci di società di persone per debiti estranei all’impresa.
- Introduzione della procedura unitaria familiare (art. 66): membri della stessa famiglia conviventi e con debiti di origine comune possono presentare un unico progetto di composizione, riducendo costi e tempi. Ciò risolve molti casi di coniugi coobbligati.
- Moratoria biennale per crediti privilegiati nel piano del consumatore (art. 67 co.4): chiarita e portata a 2 anni. Aggiunto il co.5 art.67: possibilità di rimborso rate scadute mutuo ipotecario su prima casa con autorizzazione giudice.
- Concordato minore: reso inammissibile se il debitore ha già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti (mod. art. 77).
- Precisazioni su “risorse esterne” nel concordato (art. 74 co.2): si valuta in base all’aumento dell’attivo disponibile rispetto alla domanda, non alla maggiore percentuale ai creditori.
- Liquidazione controllata: obbligo attestazione OCC di attivo liquidabile, altrimenti improcedibilità (art. 268); relazione OCC deve valutare anche la diligenza del debitore nel contrarre debiti (meritevolezza, con possibili riflessi sull’esdebitazione); termine domande creditori esteso a 90 gg; possibilità per debitore di chiedere piano/concordato se creditore chiede liquidazione (principio di preferenza concordati); rivista disciplina sostituzione liquidatore, controlli semestrali (art. 275); eliminato vincolo 4 anni minimo.
- Esdebitazione: riorganizzato il Capo X CCII distinguendo regole generali e specifiche per liquidazione giudiziale vs controllata. Modificato art. 281: il tribunale dichiara inesigibili i debiti residui contestualmente al decreto di chiusura, su istanza del debitore (comunicata ai creditori che possono fare osservazioni in 15 gg). Sostituito il co.3 art.281 per semplificare la procedura di esdebitazione anticipata dopo 3 anni (non servendo rendiconto finale perché la liquidazione è ancora in corso). Eliminata la necessità di un’ulteriore domanda di esdebitazione: diventa quasi automatica passati i termini, salvo comportamenti scorretti ostativi.
- Tutela prima casa: come detto, nuova norma per rimborsi rate scadute (art.67 co.5).
- Giurisprudenza recente: Numerose pronunce di legittimità hanno chiarito punti controversi:
- Cass. Civ. Sez. I, 14 febbraio 2023 n. 4613: ha stabilito che un accordo di sovraindebitamento non può essere omologato se pregiudica un creditore ipotecario assicurandogli meno di quanto conseguirebbe dalla vendita dell’immobile ipotecato in liquidazione. Nel caso concreto il debitore aveva donato la nuda proprietà dell’immobile alle figlie prima della procedura, impedendo al creditore ipotecario di recuperare il dovuto: la Cassazione ha ritenuto che omologare l’accordo avrebbe leso il creditore (violazione del best interest test), quindi ha negato l’omologa. Questo conferma l’attenzione al divieto di atti in frode e alla tutela minima dei garantiti.
- Cass. Civ. Sez. III, 26 luglio 2023 n. 22715: ha chiarito i rapporti tra il giudice del sovraindebitamento e il giudice dell’esecuzione. In caso di procedure esecutive pendenti, il giudice concorsuale può solo disporre il divieto di prosecuzione, ma non può dichiarare egli stesso sospesa o estinta la singola esecuzione – provvedimenti riservati al giudice dell’esecuzione. Spetta poi a quest’ultimo, una volta informato del divieto concorsuale, sospendere la procedura esecutiva ai sensi dell’art.623 c.p.c. se ne ricorrono i presupposti. La pronuncia sottolinea la coordinazione paritetica fra i due giudici e indica che eventuali dinieghi di sospensione da parte del G.E. vanno impugnati dal debitore con gli strumenti delle opposizioni esecutive.
- Cass. Civ. Sez. I, 11 aprile 2025 n. 9549: (decisione sul vecchio art.8 L.3/2012, ma rilevante in parallelo col nuovo CCII) – ha affrontato il tema della moratoria e falcidia dei creditori privilegiati nel piano del consumatore. Ha interpretato che il termine di un anno previsto dalla L.3/2012 per iniziare a pagare i privilegiati era un termine iniziale (non finale), cioè il debitore poteva iniziare i pagamenti entro l’anno dall’omologa ma poi diluirli oltre. Ha escluso l’applicazione analogica delle norme sul concordato preventivo (diritto di voto ai privilegiati falcidiati) al piano del consumatore, perché il legislatore ha deliberatamente escluso il voto in quella procedura. Ogni creditore privilegiato non soddisfatto integralmente può comunque contestare la convenienza, e in tal caso l’omologa è subordinata al giudizio di convenienza del giudice (ex art.12-bis co.3-4 L.3/2012). La sentenza allinea inoltre la vecchia moratoria annuale alla nuova biennale, ritenendole concettualmente sovrapponibili salvo la diversa durata.
- Cass. Civ. Sez. I, 27 febbraio 2025 n. 5157: ha statuito in tema di impugnazioni che solo chi ha assunto la qualità di parte nel procedimento di omologazione (essendo stato messo in condizione di intervenirvi) può proporre reclamo contro il decreto di omologa di un piano del consumatore. Ciò per limitare impugnazioni da parte di soggetti che, pur creditori, siano rimasti estranei al contraddittorio (ad esempio perché non convocati per errore – in tal caso avranno altri rimedi, ma non il reclamo).
- Cass. Civ. Sez. VI, 23 dicembre 2024 n. 34133: ha chiarito l’ambito di applicazione della proroga fino a 90 giorni per presentare una nuova proposta dopo diniego di omologa, introdotta dal DL 137/2020. Ha precisato che il beneficio vale solo se il diniego non è dovuto a fatti imputabili al debitore (es. mancanza di documenti essenziali o frode) e va richiesto tempestivamente entro l’udienza di omologa. In pratica, offre una seconda chance al debitore “in buona fede” il cui piano sia stato bocciato per ragioni tecniche o per dissenso dei creditori, purché rimedia con modifiche sostanziali in poco tempo.
- Tribunale di Milano, decreti 2023: in linea con Cass. 22699/2023, hanno affrontato il tema del debitore “promiscuo” (persona fisica con debiti misti, personali e di impresa). Le decisioni hanno teso a escludere la possibilità di un piano del consumatore quando i debiti sono in parte riconducibili ad attività economica, anche non prevalente, dovendo in tal caso l’istante ricorrere al concordato minore. Questo per evitare abusi nell’usare la corsia “privilegiata” del piano consumer in situazioni ibride. La distinzione è comunque meno rigida dopo il 2020: un soggetto misto può separare le due masse debitorie (personale vs impresa cessata) e agire con piani distinti, oppure includere tutto in un concordato minore qualora l’attività economica abbia avuto un ruolo non marginale.
In definitiva, la giurisprudenza ha in gran parte sostenuto l’approccio di favore verso il debitore meritevole, pur tracciando confini precisi per evitare abusi (frodi, condotte dilatorie, uso strumentale delle procedure). È importante tenere presenti sia le norme aggiornate sia gli orientamenti dei giudici, perché il successo di una procedura di sovraindebitamento dipende dalla corretta impostazione legale sin dall’inizio.
Domande frequenti (FAQ) dal punto di vista del debitore
D: Ho più di 100.000€ di debiti e non riesco più a pagare. Posso davvero liberarmene con queste procedure?
R: Sì, le procedure di sovraindebitamento sono pensate proprio per dare una soluzione definitiva ai debiti impagabili. Se sei onesto e in buona fede, puoi proporre un piano sostenibile e far cancellare il restante. Ad esempio, se hai debiti per 150.000€ ma realisticamente puoi pagarne solo 50.000€ in cinque anni, il tribunale potrebbe omologare un piano che preveda il pagamento di quei 50.000€ e la cancellazione (esdebitazione) dei 100.000€ rimanenti. Ovviamente devi rispettare i requisiti: non avere truffato i creditori e offrire il massimo di ciò che puoi permetterti. In alternativa, se non hai proprio nulla, c’è la procedura di esdebitazione dell’incapiente che permette di azzerare i debiti senza pagamento (una volta sola nella vita). In ogni caso, al termine il giudice emetterà un decreto che ti libera legalmente da tutti i debiti residui.
D: Cosa significa in concreto “esdebitazione”? I creditori non potranno più chiedermi nulla?
R: Esatto. L’esdebitazione è un provvedimento del tribunale che dichiara inesigibili tutti i debiti non pagati nell’ambito della procedura. Equivale a dire che quei debiti sono cancellati: tu non sei più legalmente obbligato a pagarli e i creditori non possono più perseguirti. Ad esempio, se avevi un prestito di 20.000€ non rimborsato e il tuo piano ne ha pagati solo 5.000€, i restanti 15.000€ saranno annullati dall’esdebitazione. Riceverai un decreto di esdebitazione e quei creditori non potranno né pignorare né iscrivere ipoteca né cederti ad una società di recupero crediti. L’esdebitazione vale solo per i debiti sorti prima della procedura (quindi non per nuovi debiti eventualmente contratti dopo). Nota: restano fuori dall’esdebitazione eventuali debiti per obblighi di mantenimento (alimenti a coniuge/figli) e sanzioni penali: su quelli i creditori possono ancora agire. Per tutto il resto, è una liberazione totale. La legge vuole darti modo di ricominciare senza il fardello del passato.
D: Ho un unico debito enorme verso la banca: oltre 100.000€ di mutuo residuo che non riesco più a pagare. Posso usare la legge sul sovraindebitamento o riguarda solo chi ha tanti creditori?
R: Si può utilizzare anche con un solo grosso creditore. Non serve averne molti: basta la situazione d’insolvenza. Nel tuo caso specifico (mutuo ipotecario non più sostenibile), occorre valutare: se vuoi mantenere la casa, potresti proporre un piano del consumatore chiedendo di riscadenzare il mutuo o di vendere l’immobile a un certo valore e liberarti dall’eventuale debito residuo. Ad esempio, se la casa vale meno del debito, il piano può prevedere la vendita e offrire alla banca il ricavato come pagamento integrale fino a concorrenza del valore (il resto sarebbe stralciato). Oppure, se hai reddito per riprendere i pagamenti, puoi chiedere al giudice di concederti tempo (fino a 2 anni di moratoria) per rimetterti in pari con le rate scadute e proseguire il mutuo normalmente. La banca non ha voto nella procedura del piano consumatore, ma può opporsi se ritiene che ricaverebbe di più pignorando la casa; sarà il giudice a decidere chi ha ragione (di solito, se offri almeno il valore di mercato della casa, il giudice può imporlo alla banca). In alternativa, potresti considerare di vendere tu la casa sul mercato (spesso si ottiene un prezzo migliore che all’asta) e poi trattare il residuo debito con la banca magari via saldo e stralcio o via procedura per cancellarlo. Ogni caso è diverso: conviene farti assistere da un OCC o avvocato per scegliere la strategia. Ma sì, anche con un solo creditore grande la legge si applica.
D: Durante la procedura le finanziarie e il fisco possono continuare a perseguitarmi?
R: No, per legge tutte le azioni esecutive e cautelari vengono sospese. Quando il tribunale apre la procedura, emette un provvedimento che vieta ai creditori di iniziare o proseguire pignoramenti, sequestri, ipoteche giudiziali ecc.. Se ad esempio avevi un pignoramento dello stipendio in corso, verrà sospeso (il datore di lavoro, informato dell’ordinanza di sospensione dal giudice dell’esecuzione, dovrà cessare le trattenute). Lo stesso per le azioni dell’Agenzia Entrate-Riscossione: non potrà fissare nuove aste o altri fermi amministrativi mentre sei protetto dalla procedura. Attenzione però: questa “protezione” scatta dalla data di ammissione dal tribunale, non appena depositi l’istanza. Dunque può essere utile chiedere all’avvocato/OCC se è il caso di domandare anche misure protettive urgenti contestualmente al deposito della domanda, specie se hai un’asta immobiliare imminente (spesso il tribunale concede un decreto di sospensione provvisorio delle esecuzioni pendenti in attesa della decisione sull’ammissione). In generale, comunque, una volta dentro la procedura, nessuno può toccare i tuoi beni senza violare l’ordine del giudice. Ciò permette di lavorare al piano con serenità, senza l’assillo di nuovi atti di aggressione.
D: Se ho evaso delle tasse o contravvenuto a leggi fiscali, posso accedere lo stesso?
R: Dipende. Il fatto di avere debiti fiscali per omessi versamenti non è di per sé ostativo: moltissimi sovraindebitati hanno cartelle esattoriali. L’importante è che tu non abbia commesso frodi o comportamenti dolosi verso il Fisco. Ad esempio, emettere fatture false, occultare scritture contabili, simulare la nullatenenza trasferendo beni a terzi sono atti che potrebbero far dichiarare la tua domanda inammissibile per mancanza di buona fede. Ma se i tuoi debiti tributari derivano da difficoltà oggettive (es. non sei riuscito a pagare IVA e contributi perché l’azienda andava male, oppure hai rateizzato ma poi sei decaduto per indigenza), allora non c’è preclusione: quei debiti potranno entrare nel piano. Ricorda che, in base al principio di meritevolezza, l’OCC e il giudice esamineranno come si è formato il debito: se riscontrano condotte fiscalmente fraudolente (magari sei stato condannato per reati tributari gravi legati a quei debiti), potrebbe esserti negata la procedura. In assenza di ciò, puoi includere tasse, IVA, contributi nel piano o liquidazione, e anche prevedere di pagarli parzialmente se necessario (rispettando il vincolo di offrire almeno quanto otterrebbe il Fisco in una liquidazione fallimentare). Nota: le sanzioni tributarie amministrative (multe per omessa dichiarazione, ecc.) sono debiti anch’essi falcidiabili ed esdebitabili – non rientrano tra le esclusioni come le sanzioni penali.
D: Ho un procedimento di sfratto o di consegna dell’immobile in corso, la procedura lo ferma?
R: Solo in parte. La sospensione riguarda le azioni di esecuzione patrimoniale per ottenere denaro. Uno sfratto per morosità (rilascio di un immobile in affitto) oppure una restituzione di bene in leasing non sono propriamente azioni per ottenere denaro, ma per riavere un bene. Quindi non sono automaticamente sospesi dalla legge sul sovraindebitamento. Tuttavia, talvolta i giudici concedono misure protettive estese anche a questi procedimenti, soprattutto se funzionale al buon esito del piano (es. il debitore chiede un po’ di tempo per vendere l’immobile da solo e soddisfare i creditori meglio che all’asta). Non c’è garanzia: formalmente lo sfratto va avanti, perché l’idea è che il locatore riavendo l’immobile non lede la par condicio dei creditori (non è un’azione per prendersi soldi prima degli altri). In pratica, se sei sotto sfratto per affitto arretrato, l’unico modo per bloccarlo è pagare le mensilità dovute o trovare un accordo col locatore. La procedura di per sé non cancella quel debito (che rientra nei debiti da pagare eventualmente pro quota) né ti permette di restare in casa senza pagare. Diverso sarebbe se parlassimo di pignoramento immobiliare: quello sì viene sospeso come detto prima.
D: Quanto costa avviare una procedura di sovraindebitamento? Devo pagare tutto subito?
R: Ci sono alcuni costi da considerare, ma spesso possono essere dilazionati e in parte inclusi nel piano. I costi principali sono:
- Compenso dell’OCC/Gestore: varia in base alla complessità e all’attivo. Indicativamente potrebbe essere qualche migliaio di euro. L’OCC spesso chiede una sorta di fondo spese iniziale (ad esempio 2-300 euro per attivare la pratica e le visure) e poi il resto viene liquidato dal giudice a conclusione, magari facendolo rientrare tra le spese da pagare nel piano stesso. Ad esempio, il tribunale può disporre che parte delle somme versate dal debitore vadano a coprire il compenso del Gestore prima di ripartire ai creditori. In liquidazione controllata, il liquidatore viene pagato coi fondi ricavati dalla vendita dei beni.
- Marca da bollo e contributo unificato: la domanda richiede una marca da bollo (16 €) e il versamento di un contributo unificato. Quest’ultimo per le procedure concorsuali minori è attualmente di 98 € (tariffa fissa). Quindi parliamo di meno di 120 € all’atto di deposito.
- Eventuale consulenza legale: non è obbligatorio avere un avvocato (la procedura può essere seguita dall’OCC stesso), ma è altamente consigliato specialmente se la situazione è complessa o ci sono opposizioni. I costi legali dipendono dal professionista; alcuni avvocati praticano tariffe agevolate sapendo che il debitore è in crisi, magari concordando un pagamento dilazionato o subordinato al buon esito. Ad es., parte del compenso dell’avvocato potrebbe essere anch’esso previsto nel piano come spesa prededucibile.
- Spese vive di pubblicazione/registro: minima cosa, potrebbe esserci da pagare qualche diritto di cancelleria per le comunicazioni, ma parliamo di decine di euro.
- Compenso del Liquidatore (se liquidazione): anche questo verrà detratto dall’attivo realizzato, quindi il debitore non deve anticipare nulla (ma ovviamente sottrae risorse ai creditori).
In sintesi, non servono esborsi ingenti immediati: se hai solo 200 € li puoi usare per iniziare. L’importante è poi, se la procedura va in porto, destinare parte dei pagamenti a coprire i costi interni. Il tribunale garantisce che i costi siano “prededucibili”, ossia pagati prima di soddisfare i creditori, così nessuno lavora gratis e il debitore non deve trovare soldi extra al di fuori di quanto già offre. È chiaro che un minimo di risorse devi metterle in conto (difficile avviare tutto a costo zero), ma se confronti con un fallimento aziendale, i costi sono molto più bassi e commisurati alla tua situazione.
D: Ho un garante/coobbligato per alcuni debiti (es. mio padre ha garantito un prestito). Se io faccio la procedura e vengo esdebitato, il creditore può rivalersi su di lui?
R: Purtroppo sì, l’esdebitazione ha effetto solo nei tuoi confronti. I tuoi coobbligati o fideiussori restano obbligati in solido. Questo è esplicitamente previsto dalla legge (anche nel fallimento: l’esdebitazione del debitore principale non libera i coobbligati). Quindi, usando il tuo esempio: se tu vieni liberato dal debito col finanziatore, tuo padre garante rimane comunque debitore per l’intero importo garantito e il creditore potrà chiederglielo. L’unico modo per ovviare è coinvolgere anche il garante nella procedura, se possibile. Procedura familiare: se tuo padre è tuo convivente e il debito ha origine comune (diciamo, ha garantito un tuo finanziamento che hai usato in famiglia), potreste fare una procedura unica familiare, presentando un piano congiunto. In tal caso, anche il suo obbligo verrebbe trattato nel piano e si estinguerebbe con la tua esdebitazione, in quanto partecipe pure lui. Se invece il garante è una persona non coinvolgibile (es. un amico, un parente non convivente), la sua obbligazione è autonoma e rimane. Spesso, sapendo ciò, conviene avvisare il garante delle proprie intenzioni: potrebbe essere che anche lui decida di fare la sua procedura (se ha solo quel debito di riflesso, magari può accordarsi col creditore una volta che tu definisci la tua posizione). Nota bene: alcune banche, se vedono che il debitore principale entra in procedura, iniziano subito a escutere il garante. Non possono più agire contro di te, ma contro di lui sì. Dunque valuta con delicatezza la situazione e coordinati con eventuali garanti prima di agire, per evitare conseguenze spiacevoli a terzi inconsapevoli.
D: Posso scegliere liberamente quale procedura tentare (piano, concordato, liquidazione)?
R: In parte sì, in parte dipende dalla tua qualifica. Se sei consumatore puro, hai un’opzione in più (il Piano del Consumatore) che ti esenta dal voto dei creditori. Se sei imprenditore o hai debiti “misti”, devi andare sul Concordato Minore o, se non fattibile, in liquidazione. Tecnicamente un consumatore potrebbe anche lui usare la liquidazione subito, ma sarebbe masochistico se può farne a meno. In pratica l’ordine di preferenza da valutare, se hai i requisiti, è:
- Piano del consumatore – se gran parte dei debiti sono personali e hai un reddito stabile, è la via preferibile perché i creditori non decidono sull’esito.
- Concordato minore – se hai un’attività da salvare o se non rientri tecnicamente tra i “consumatori” (ad es. sei un imprenditore minore), oppure se come consumatore non riesci a soddisfare il test di convenienza per mancanza di sufficienti beni (nel concordato potresti contare sull’adesione dei creditori disposti a rischiare qualcosa in più).
- Liquidazione – se non sei in grado di proporre pagamenti significativi o se le prime due opzioni falliscono (mancato raggiungimento di maggioranza, diniego di omologa per questioni di meritevolezza). La liquidazione è sempre attivabile anche dopo il fallimento di un piano.
- Esdebitazione incapiente – se davvero non hai niente e anche la liquidazione sarebbe improcedibile. È un jolly estremo, concesso dal giudice dopo attenta verifica.
Puoi anche, all’inizio, presentare sia un piano che, in via subordinata, chiedere la liquidazione se il piano non va: alcuni tribunali lo consentono, altri preferiscono che prima si esaurisca il tentativo di accordo e poi, in caso negativo, si converta in liquidazione (come previsto). Ricorda: una volta presentata una proposta, puoi modificarla in meglio se emergono osservazioni dei creditori o richieste del giudice, purché prima dell’omologa. È un processo dinamico. L’importante è non abusare del sistema: la legge non ti farà scegliere di rifare infinite proposte diverse per perdere tempo. Devi arrivare con un progetto serio e perseguirlo.
D: Se la procedura non va a buon fine (ad es. il giudice non omologa il piano, oppure non ottengo voti sufficienti), rimango fregato?
R: Non necessariamente, hai alcune chance in più:
- Come accennato, c’è la possibilità di una nuova proposta entro 90 giorni se la prima viene bocciata. Devi però aver agito in buona fede e presentare qualcosa di migliorativo (non una copia della precedente). Ad esempio, se il piano è stato rifiutato perché offrivi troppo poco ai creditori privilegiati, potresti proporne uno nuovo aumentando quella quota o magari vendendo un bene in più. Oppure passare da un concordato minore a un piano del consumatore se magari ti rendi conto che era meglio così (sempre che ne avessi diritto).
- Se comunque nessun piano regge, resta la liquidazione controllata come “rete di salvataggio”: magari tu speravi di evitare di liquidare i beni, ma se l’accordo non funziona, puoi mettere i beni nella liquidazione e puntare all’esdebitazione. In questo modo non perdi l’occasione di liberarti dei debiti – perdi semmai i beni, ma almeno ne ricavi la cancellazione del debito.
- Durante una procedura non omologata, i creditori sono stati bloccati per un po’ di tempo: può darsi che in quel frattempo tu abbia trovato un accordo stragiudiziale con alcuni di loro, oppure che la tua situazione sia cambiata (in meglio o in peggio). Insomma, non tutto è perduto. Con l’aiuto del tuo avvocato, potrai valutare anche accordi transattivi all’ultimo minuto.
- Va detto però che se la procedura fallisce per colpa del debitore (es. viene fuori che hai mentito su dei documenti, o hai aggravato il dissesto, o hai tenuto condotta scorretta in corso di procedura), allora il giudice dichiarerà inammissibile/chiusa la procedura e tu perderai quelle tutele. I creditori potranno riprendere subito le azioni esecutive e sarà molto più difficile convincerli di nuovo a negoziare. Inoltre rischi di non poter ripresentare una nuova domanda per qualche tempo. Quindi non fare mosse azzardate: massima trasparenza e collaborazione sono la chiave. La gran parte dei rigetti di omologa avviene perché il giudice riscontra dati non veritieri o mancanza di merito, più che per l’opposizione dei creditori (che comunque, ricordiamolo, non decidono loro, salvo il voto nel concordato). Se hai agito correttamente ma il piano non passa, il sistema prevede appunto un “piano B” che è la liquidazione con esdebitazione.
D: Dopo l’esdebitazione, se volessi accendere un nuovo mutuo o finanziamento, la banca vedrà che ho fatto una procedura?
R: Sì, nel breve termine è probabile che le banche vedano un pregresso concorsuale e siano caute. Durante la procedura il tuo nominativo appare nei registri delle procedure concorsuali tenuti dai tribunali (è una procedura pubblica, seppur non di enorme risonanza come un fallimento). Dopo la chiusura, verrai cancellato da quei registri trascorso un certo tempo (di solito 5 anni). Inoltre, nelle banche dati creditizie private (CRIF, Cerved, Experian) un debito che è stato parzialmente non pagato risulterà come sofferenza chiusa o accordo transattivo: in genere queste informazioni restano per qualche anno nei sistemi. In pratica, nei primi anni dopo l’esdebitazione potresti trovare difficoltà a ottenere credito, perché risulterai come uno che ha avuto insolvenze (anche se regolate per legge). Tuttavia, l’esdebitazione in sé non è un’infamia: anzi, a differenza di un fallimento, non porta automaticamente a restrizioni legali future (il fallito per alcuni anni non poteva fare impresa, l’esdebitato di sovraindebitamento non ha queste limitazioni). Quindi molto dipenderà dalla politica della banca e dal tuo standing attuale: se dopo 3-4 anni hai un buon reddito, zero debiti e magari hai ricostruito uno storico positivo (pagando regolarmente le utenze, affitto, etc.), potresti ricominciare ad ottenere fiducia. Legalmente nulla ti vieta di chiedere nuovi finanziamenti dopo l’esdebitazione, ma realisticamente dovrai ricostruire la tua affidabilità col tempo. Ci sono anche istituti che offrono microcredito o prestiti a chi ha avuto sovraindebitamento, valutando caso per caso. Insomma, il “marchio” non è per sempre: dopotutto la ratio della legge è proprio di ridarti accesso all’economia attiva (fresh start). Tieni presente che se tenterai di indebitarti di nuovo e poi fallire ancora, la legge e le banche saranno meno clementi: l’esdebitazione non è ripetibile a breve, e un secondo default ti chiuderebbe molte porte. Quindi, dopo esser uscito dai debiti, cerca di pianificare con prudenza le tue finanze future.
Fonti Normative e Bibliografia
- Legge 27 gennaio 2012, n. 3 – Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento. G.U. 30/01/2012.
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12/01/2019, n. 14), in vigore dal 15/07/2022, e successive modifiche (D.Lgs. 17/06/2022, n. 83; D.Lgs. 13/09/2024, n. 136).
- Corte di Cassazione Civile, Sez. I, 14/02/2023 n. 4613 – Principio di diritto sul requisito di convenienza per il creditore ipotecario in accordo da sovraindebitamento.
- Corte di Cassazione Civile, Sez. III, 26/07/2023 n. 22715 – Coordinamento giudice sovraindebitamento e giudice esecuzione; sospensione delle esecuzioni pendenti.
- Corte di Cassazione Civile, Sez. I, 11/04/2025 n. 9549 – Ammissibilità di moratorie >1 anno e falcidie di crediti privilegiati nel Piano del Consumatore ex L.3/2012.
- Corte di Cassazione Civile, Sez. I, 27/02/2025 n. 5157 – Legittimazione al reclamo contro il decreto di omologa del piano del consumatore.
- Tribunale di Milano, ord. 27/10/2023 – Caso di “debito promiscuo” e distinzione tra piano del consumatore e concordato minore.
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- Valutare la tua situazione patrimoniale e reddituale per scegliere lo strumento giusto
- Avviare una trattativa strutturata con i creditori, anche attraverso professionisti
- Accedere agli strumenti legali previsti dal Codice della Crisi, come la composizione negoziata, il piano del consumatore o l’accordo di ristrutturazione
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Conclusione
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