Codice Della Crisi D’impresa E Misure Premiali

Hai un’impresa in difficoltà e stai valutando se affrontare la crisi in modo trasparente e tempestivo? Ti stai chiedendo se la legge prevede benefici per chi interviene prima che sia troppo tardi?

Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 14/2019) non serve solo a gestire il fallimento: al contrario, punta a prevenire l’insolvenza, incentivando l’imprenditore che agisce in tempo. Per questo ha introdotto una serie di misure premiali, rivolte a chi sceglie di affrontare la crisi con responsabilità, evitando l’aggravarsi della situazione.

Cosa sono le misure premiali nel Codice della Crisi?

Le misure premiali sono agevolazioni fiscali, patrimoniali e legali riconosciute all’imprenditore che:

Individua per tempo i segnali di crisi
Accede volontariamente a strumenti di composizione, come la composizione negoziata o gli accordi di ristrutturazione
Collabora lealmente con l’esperto, i creditori e l’autorità giudiziaria
– Agisce in modo da preservare la continuità aziendale o minimizzare i danni in caso di liquidazione

Quali sono le principali misure premiali previste dalla legge?

  1. Riduzione delle sanzioni tributarie e contributive
    – Se il piano viene approvato e l’accordo va a buon fine, le sanzioni possono essere ridotte o non applicate.
  2. Accesso semplificato alla rateizzazione dei debiti fiscali
    – Le somme dovute all’Erario o agli enti previdenziali possono essere pagate in forma dilazionata, anche con piani sostenibili nel tempo.
  3. Esclusione o riduzione della responsabilità degli amministratori e dei sindaci
    – Se la crisi viene gestita correttamente e tempestivamente, chi amministra o vigila sull’impresa può essere esonerato da responsabilità per il dissesto.
  4. Esclusione di reati fallimentari in caso di liquidazione
    – La gestione ordinata e trasparente della crisi può evitare la configurazione di reati come bancarotta semplice o preferenziale.
  5. Maggiori garanzie nella continuità aziendale
    – Le banche e i fornitori sono più inclini a collaborare se sanno che la crisi è gestita con strumenti previsti dalla legge.

Quando si ha diritto alle misure premiali?

Solo se l’imprenditore:

Si attiva prima del default conclamato
– Dimostra di avere ancora prospettive di risanamento
– Segue un percorso formalizzato (composizione negoziata, accordo, concordato, piano attestato)
– Fornisce documentazione completa e agisce con trasparenza

Perché conviene agire subito?

Più si aspetta, più si rischia:

– Perdita di credibilità con banche, fornitori e dipendenti
– Avvio di esecuzioni forzate
– Responsabilità personali degli amministratori
– Procedura di liquidazione giudiziale (ex fallimento) senza possibilità di beneficiare delle premialità

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Introduzione

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), introdotto con il D.Lgs. 14/2019 e successivamente modificato, ha rivoluzionato la gestione delle situazioni di difficoltà economico-finanziaria delle imprese in Italia. La riforma mira a favorire l’emersione anticipata della crisi e a incentivare il risanamento aziendale, introducendo strumenti negoziali nuovi e una serie di misure premiali a vantaggio dell’imprenditore che agisca tempestivamente e lealmente. In questa guida – aggiornata a giugno 2025 – verranno analizzati, dal punto di vista del debitore, i principali istituti del Codice della crisi con taglio avanzato, adatto a professionisti legali, imprenditori e operatori economici, ma con un linguaggio chiaro e divulgativo.

Si approfondiranno in particolare: la distinzione tra stato di crisi e insolvenza, gli indicatori della crisi e il sistema di allerta interno ed esterno; l’istituto della composizione negoziata della crisi d’impresa (procedura volontaria introdotta nel 2021) quale strumento principale di regolazione stragiudiziale; tutte le misure premiali previste a favore del debitore che ricorre a tale procedura (soprattutto di natura fiscale); nonché i benefici sul piano civilistico (esenzioni da responsabilità) e gli ultimi orientamenti giurisprudenziali. Saranno inoltre presentate tabelle riepilogative, una sezione di domande e risposte frequenti, e alcune simulazioni pratiche relative a casi italiani tipici, così da offrire un quadro completo e aggiornato.

1. Evoluzione normativa del Codice della crisi (2019-2025)

Il percorso normativo del Codice della crisi è stato lungo e articolato. Di seguito si ripercorrono le tappe principali e le modifiche più recenti, fondamentali per comprendere l’attuale disciplina.

  • D.Lgs. 14/2019 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII): emanato in attuazione della legge delega n. 155/2017, ha introdotto un corpus organico di norme in sostituzione della vecchia legge fallimentare del 1942. Il CCII distingueva chiaramente tra “procedura di allerta e composizione assistita della crisi” (strumenti di prevenzione) e procedure concorsuali tradizionali (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, etc.). In particolare, il Titolo II del Codice prevedeva originariamente meccanismi di allerta gestiti dagli OCRI (Organismi di Composizione della Crisi) istituiti presso le Camere di Commercio, volti a favorire una soluzione assistita e tempestiva della crisi. Tuttavia, l’entrata in vigore del CCII fu posticipata più volte rispetto alla data iniziale (15 agosto 2020), sia per la necessità di coordinamento con la normativa europea, sia per l’emergenza pandemica.
  • D.Lgs. 147/2020 – “Primo correttivo”: in base alla delega contenuta nella L. 20/2019, questo decreto legislativo ha apportato le prime modifiche integrative e correttive al Codice, ancora prima della sua piena operatività. Il correttivo ha affinato varie disposizioni tecniche, recependo alcune richieste degli operatori e introducendo aggiustamenti agli istituti di allerta e prevenzione della crisi.
  • D.L. 118/2021 (conv. in L. 147/2021): si tratta di un intervento urgente che anticipa parte della riforma. Con questo decreto, emanato in piena crisi pandemica, il legislatore ha rinviato ulteriormente l’entrata in vigore del CCII e ha introdotto ex novo la composizione negoziata della crisi, uno strumento volontario e stragiudiziale di soluzione della crisi, destinato a sostituire la procedura di allerta originaria basata sugli OCRI. La composizione negoziata (operativa dal 15 novembre 2021) prevede la nomina di un esperto indipendente che assista l’imprenditore nelle trattative con i creditori, in un contesto riservato e flessibile. In parallelo, il D.L. 118/2021 ha introdotto anche il “concordato semplificato” per la sola liquidazione del patrimonio (art. 18 D.L. 118/2021), utilizzabile come soluzione residuale se la composizione negoziata non sfocia in un accordo. Queste innovazioni “in anticipo” sul Codice hanno di fatto avviato nel 2021 la nuova filosofia di gestione della crisi.
  • Entrata in vigore del CCII (15 luglio 2022): tenuto conto delle indicazioni della Direttiva UE 2019/1023 sull’insolvenza (cd. Direttiva “Restructuring”), l’entrata in vigore del Codice è finalmente avvenuta nel luglio 2022. Il legislatore italiano, con il D.Lgs. 83/2022 (cosiddetto “secondo correttivo”), ha adeguato il CCII ai princìpi della direttiva UE, incorporando la composizione negoziata e abrogando formalmente la procedura di allerta originaria. In particolare, il D.Lgs. 83/2022 ha riscritto il Titolo II del Codice, ora dedicato prevalentemente alla composizione negoziata e agli strumenti di allerta “precoce” in senso diverso rispetto all’impianto 2019. È stato previsto, tra l’altro, l’art. 25-bis CCII sulle misure premiali per chi utilizza la composizione negoziata, trasferendo nel Codice le agevolazioni già introdotte dal D.L. 118/2021. Contestualmente, l’art. 25-sexies CCII ha formalizzato il concordato semplificato come procedura concorsuale speciale (senza votazione dei creditori) attivabile solo al termine infruttuoso della composizione negoziata.
  • D.L. 13/2023 (conv. L. 41/2023): noto come “Decreto PNRR 3”, ha introdotto misure urgenti per accelerare gli strumenti di risanamento, toccando anche il Codice della crisi. In particolare, ha ampliato alcune misure premiali fiscali (es. possibilità di estendere fino a 120 rate la dilazione di pagamento dei debiti tributari in casi di particolare gravità). Tali novità, inizialmente inserite nel D.L. 13/2023, sono state poi assorbite nel successivo correttivo ter.
  • D.Lgs. 136/2024 – “Terzo correttivo” (c.d. Correttivo ter): pubblicato in G.U. il 27 settembre 2024, ha apportato ulteriori disposizioni integrative e correttive al CCII, frutto dell’esperienza dei primi due anni di applicazione. Il decreto (57 articoli suddivisi in due capi) ha toccato gran parte degli articoli del Codice, con l’obiettivo di chiarire punti interpretativi emersi nella prassi e rafforzare gli strumenti di emersione precoce della crisi. In particolare, il correttivo ter è intervenuto nuovamente sul Titolo I (disposizioni generali e doveri delle parti) e sul Titolo II (strumenti di allerta e composizione della crisi) data la loro centralità. Tra le novità più rilevanti ai fini di questa guida vi sono: il rafforzamento delle segnalazioni d’allarme (art. 25-octies CCII) includendo il revisore legale tra i soggetti obbligati alla segnalazione tempestiva dello stato di crisi; la maggiore chiarezza sulle condizioni di accesso agli strumenti di regolazione (art. 12 CCII) eliminando dubbi applicativi; l’implementazione delle misure premiali (art. 25-bis CCII) con l’integrazione delle norme tributarie introdotte dal Decreto PNRR; e vari correttivi procedurali sul concordato semplificato, accordi di ristrutturazione e altre procedure (es. introduzione del “procedimento unitario” per la trattazione unificata delle domande concorsuali). Le modifiche del 2024 sono entrate in vigore a fine settembre 2024, consolidando il quadro normativo attuale.

Ad oggi (metà 2025), il Codice della crisi è quindi pienamente operativo nella sua versione emendata dai tre decreti correttivi. Le procedure di allerta “esterna” tramite segnalazioni dei creditori pubblici sono attive, sebbene concepite ora come stimolo all’accesso alla composizione negoziata più che come procedimenti autonomi autoritativi. La composizione negoziata è divenuta il perno delle strategie di risanamento anticipato, con decine di casi affrontati nei Tribunali italiani e una giurisprudenza in via di consolidamento (come vedremo). In parallelo, restano in vigore gli strumenti tradizionali (concordati preventivi, accordi di ristrutturazione, liquidazione giudiziale), opportunamente rimodellati dal Codice, ma l’accento del legislatore è chiaramente posto sulla gestione della crisi in fase precoce e sulla responsabilizzazione dell’imprenditore.

Nei capitoli successivi ci si concentrerà sui concetti chiave e sugli istituti di allerta e composizione negoziata, analizzandoli in dettaglio.

2. Crisi d’impresa: definizioni, indicatori e obblighi di allerta

2.1 Differenza tra “stato di crisi” e “stato di insolvenza”

Il Codice della crisi distingue nettamente il concetto di crisi da quello di insolvenza, che nella previgente legge fallimentare tendevano a sovrapporsi. Comprendere questa differenza è fondamentale per valutare quando attivare gli strumenti di allerta e composizione.

  • Stato di crisi: è la fase precedente l’insolvenza conclamata. Secondo la definizione legislativa, la crisi è “lo stato di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza del debitore”, manifestandosi per le imprese come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate. In altri termini, un’impresa in crisi ha difficoltà finanziarie tali da far prevedere che, senza interventi correttivi, nell’immediato futuro potrebbe divenire insolvente. Ad esempio, un cash flow prospettico insufficiente per coprire i costi e il servizio del debito nei successivi 6-12 mesi indica uno stato di crisi. La crisi ha dunque carattere prognostico/probabilistico: non ogni difficoltà transitoria è crisi, ma solo quella che prefigura uno scenario di insolvenza se nulla cambia.
  • Stato di insolvenza: è la situazione più grave, in cui il debitore “non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”, come manifestato da inadempimenti o altri fatti esteriori indicatori dell’incapacità finanziaria. L’insolvenza ha natura attuale e si desume da elementi oggettivi: ad esempio, ingenti debiti scaduti non pagati, protesti, pignoramenti esecutivi infruttuosi, ecc. In pratica, l’insolvenza è l’“irreversibilità” della crisi: quando l’azienda non paga più i propri debiti nei termini e ciò non è meramente occasionale, ma sintomo di carenza strutturale di liquidità o patrimonio.

In sintesi, la crisi è prodomica rispetto all’insolvenza: rappresenta uno stadio iniziale (potenziale) che può evolvere in insolvenza conclamata. Non tutte le crisi sfociano in insolvenza irreversibile – se affrontate per tempo, possono essere risolte o invertite – ma ogni insolvenza è stata preceduta da una fase di crisi ignorata o mal gestita. Da qui l’importanza cruciale di rilevare lo stato di crisi quando è ancora possibile un risanamento.

Il CCII, coerentemente con la direttiva europea, incentra molti obblighi sulla tempestiva rilevazione dello stato di crisi: amministratori e organi di controllo devono attivarsi già in questa fase iniziale, senza attendere l’insolvenza conclamata.

Esempio: Un’azienda presenta perdite di esercizio da due anni, flussi di cassa futuri insufficienti a coprire le rate dei finanziamenti (es. DSCRDebt Service Coverage Ratio – previsto sotto 1) e cresce l’esposizione verso i fornitori con pagamenti sistematicamente a 120 giorni (anziché 60). Questi segnali configurano uno squilibrio finanziario e una probabile insolvenza futura se la tendenza persiste, cioè uno stato di crisi ai sensi del Codice. L’azienda non è ancora insolvente (riesce ancora a pagare parte dei debiti, magari con ritardo), ma lo scenario prospettico indica che potrebbe diventarlo nel giro di pochi mesi. In tale situazione, gli amministratori devono attivare gli strumenti previsti (assetti adeguati, piani di risanamento, composizione negoziata, ecc.) per evitare il precipitare nell’insolvenza.

Al contrario, se l’azienda non paga più stipendi e fornitori da tempo, subisce continui protesti e i creditori hanno avviato pignoramenti, ci si trova già nello stato di insolvenza attuale, che tipicamente richiede l’accesso a procedure concorsuali (concordato o liquidazione giudiziale) piuttosto che la semplice composizione stragiudiziale.

2.2 Adeguati assetti organizzativi e obblighi degli amministratori

La riforma ha introdotto un principio cardine: la prevenzione della crisi parte dall’azienda stessa. L’art. 2086 c.c., modificato nel 2019, impone all’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva il dovere di istituire “assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati” alla natura e dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della continuità aziendale. In pratica, gli amministratori devono dotare la società di strumenti interni (procedure di budgeting, controllo di gestione, contabilità analitica, sistemi di allerta interna) idonei a far emergere squilibri economico-finanziari prima che diventino ingestibili.

Questa norma, già in vigore dal marzo 2019, ha portata generale: tutte le imprese (grandi e piccole, società e ditte individuali) sono chiamate a organizzarsi per monitorare la propria salute finanziaria. Ovviamente l’applicazione è proporzionata: una microimpresa non ha l’obbligo di sofisticati sistemi manageriali, ma deve comunque tenere d’occhio alcuni indicatori chiave di solvibilità e sostenibilità del debito. Per le società più strutturate, invece, sono attesi veri e propri organi o funzioni (ad es. un controller, un ufficio tesoreria, reporting periodici infra-annuali) che fungano da “sensori” di crisi.

La Cassazione ha evidenziato la centralità di tale obbligo: in pronunce recenti (es. Cass. civ. n. 17979/2022) ha sottolineato che rientra nei doveri diligenti degli amministratori predisporre sistemi di controllo di gestione e utilizzare bilanci intermedi per monitorare l’andamento, elementi ritenuti parte integrante di un assetto adeguato. Amministratori che omettano tali presìdi e non colgano segnali di crisi possono essere chiamati a rispondere delle aggravate conseguenze patrimoniali (responsabilità per mala gestio), oltre che – nei casi estremi – di reati fallimentari come la bancarotta semplice per aver aggravato il dissesto. In particolare, l’art. 3 CCII esplicita che la tardiva rilevazione della crisi e il ritardo ingiustificato nell’accesso a strumenti di regolazione costituiscono elementi valutabili in termini di responsabilità degli amministratori (anche ai fini dell’eventuale azione risarcitoria da parte di curatori o creditori, e in sede di liquidazione giudiziale).

Dunque, il primo dovere del debitore in difficoltà è organizzarsi e vigilare sui propri conti: questo consente di attivare per tempo le contromisure e, al contempo, mette gli organi sociali al riparo da possibili contestazioni di negligenza. Un imprenditore che dimostra di aver approntato assetti idonei e di aver tempestivamente reagito ai primi sintomi di crisi potrà invocare attenuanti o esoneri di responsabilità, mentre chi resta inerte rischia “pesanti rilievi dei giudici (civili e penali)”.

Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 24 CCII, organi di controllo societari (collegio sindacale, sindaco unico o revisore) hanno l’obbligo di segnalare per iscritto agli amministratori eventuali fondati indizi di crisi emersi dalla vigilanza, sollecitandoli ad attivarsi. Se gli amministratori ignorano tali solleciti, i sindaci/revisori devono riferire la situazione al Tribunale (o all’OCRI, secondo le vecchie regole) per l’adozione di provvedimenti. Dopo il correttivo 2024, è stato esplicitato che anche il revisore legale (nelle società obbligate alla revisione) rientra tra i soggetti tenuti a queste segnalazioni d’allerta precoce. Pertanto, l’impresa in crisi è “sorvegliata” anche dall’esterno: se amministratori e soci non si muovono spontaneamente, gli organi di controllo sono chiamati a suonare il campanello d’allarme.

2.3 Indicatori finanziari della crisi d’impresa

Ma quali sono, concretamente, i segnali che indicano uno stato di crisi? Il Codice dedica l’art. 13 agli “indicatori della crisi”, intesi come parametri oggettivi che rivelano squilibri economico-patrimoniali rilevanti. Si tratta di indici, anche di bilancio, capaci di misurare la sostenibilità dei debiti e la continuità aziendale nel prossimo futuro.

Gli indicatori chiave di crisi includono:

  • Indice di sostenibilità dei debiti (Debt Service Coverage Ratio – DSCR): rapporto tra flussi di cassa attesi e impegni finanziari (rate debiti) a breve termine. Un DSCR < 1 indica che l’azienda non genera cassa sufficiente a onorare nei prossimi 6 mesi i propri debiti pianificati – segnale forte di crisi. Il CCII fa riferimento esplicito alla “non sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi” come indice di squilibrio (art. 13, co.1). Se il DSCR non è calcolabile (per mancanza di piani finanziari attendibili), si guarda ad indici alternativi.
  • Patrimonio netto negativo o in forte riduzione: un capitale proprio eroso dalle perdite, prossimo allo zero o negativo, è indicativo di grave difficoltà. Per le società di capitali, patrimonio netto < zero implica anche una causa di scioglimento ex art. 2484 c.c. e l’obbligo degli amministratori di ricapitalizzare o liquidare (obbligo che, come vedremo, può essere temporaneamente sospeso se si attiva la composizione negoziata). Un patrimonio < capitale minimo legale (per S.p.A. €50.000, per S.r.l. €10.000) è anch’esso sintomo di crisi strutturale.
  • Ripetuti ritardi nei pagamenti: il mancato pagamento tempestivo di debiti verso fornitori, dipendenti, fisco o banche, soprattutto se diventa cronico, è un importante campanello d’allarme. Ad esempio, se un’impresa paga sistematicamente i fornitori con mesi di ritardo rispetto alle scadenze pattuite, o se accantona ma non versa IVA e contributi, significa che il cash flow è insufficiente a far fronte al fabbisogno finanziario corrente – un forte indicatore di crisi.
  • Perdite di esercizio rilevanti e calo del fatturato: perdite consistenti e reiterate, o un calo significativo del giro d’affari non compensato da riduzione dei costi, segnalano che l’impresa non è in equilibrio economico. Un EBIT negativo per più esercizi, margini lordi compressi e ricavi in discesa possono preludere a tensioni di liquidità (soprattutto per PMI poco capitalizzate). Il CCII parla di “squilibri di carattere reddituale” come possibili indici (pur senza soglie numeriche predeterminate).
  • Indebitamento eccessivo verso il fisco o previdenza: un accumulo di debiti tributari e contributivi può segnalare crisi, specialmente se l’impresa omette di versare imposte e contributi per finanziare l’attività corrente. In particolare, il legislatore ha indicato soglie precise oltre le quali scatta l’allerta (sez. 2.4) – ad esempio debiti IVA non versati oltre una certa percentuale del fatturato.

Oltre a questi indicatori generali, il Codice prevedeva che il CNDCEC (Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti) elaborasse specifici indici settoriali di allerta (art. 13, co.2). In effetti, nel 2019 il CNDCEC ha predisposto un insieme di indici differenziati per settore (classificati per codici ATECO) calibrando soglie di riferimento diverse a seconda del tipo di attività. Ad esempio, l’indice di liquidità (rapporto attivo corrente/passivo corrente) è considerato accettabile se superiore a circa 1,0, ma la soglia varia per settore: industria manifatturiera circa 0,8-1,0; commercio al dettaglio soglia diversa, etc.. Oppure, l’incidenza dei debiti fiscali e previdenziali sui ricavi oltre una certa percentuale può destare allarme (ad esempio se debiti fiscali > 15% dei ricavi annui, valore puramente indicativo). Tali indici settoriali, dopo alcuni rinvii, sono stati resi disponibili e approvati dal MISE (oggi MIMIT) e costituiscono un utile strumento tecnico per gli organi di controllo e gli advisor nel valutare la situazione di crisi di una data impresa comparandola ai benchmark del settore. Va precisato che gli indici del CNDCEC sono strumenti facoltativi: se l’impresa li ritiene non adatti al proprio caso particolare, può adottarne altri purché siano in grado di segnalare efficacemente la crisi (art. 13, co.3, prevedeva questa flessibilità per le imprese che redigono bilanci attestando gli indici alternativi utilizzati).

Tabella 1 – Principali indicatori quantitativi di crisi (Art. 13 CCII)

IndicatoreSegnale di crisi se…Riferimenti
DSCR (Debt Service Coverage)DSCR < 1 (flussi di cassa prospettici < debiti a breve)Art. 13 co.1 CCII
Patrimonio nettoNetto negativo, o < minimo di legge (per società di capitali)Art. 2484 c.c.; Art. 13 co.1 CCII
Ritardi nei pagamentiRitardi reiterati e significativi verso fornitori, fisco, ecc.Art. 13 co.1 e art. 24 CCII
Perdite e calo ricaviPerduranti perdite di esercizio; forte diminuzione del fatturato(Indicatore qualitativo da dottrina)
Indici settoriali CNDCECSuperamento delle soglie specifiche di settore (liquidità, indebitamento fiscale, ROI, ecc.)Art. 13 co.2 CCII

Nota: La presenza di uno solo di questi indicatori non determina automaticamente la “crisi conclamata”, ma il superamento congiunto di più indici o il grave deterioramento di uno di essi (es. patrimonio netto negativo e DSCR < 1) costituisce un forte segnale che l’impresa versa in difficoltà meritevoli di attenzione. Il Codice richiede agli amministratori un giudizio complessivo sulla situazione: qualora gli indicatori evidenzino squilibri, essi devono attivarsi tempestivamente (non potendo più sostenere che “non si erano accorti” del declino).

In pratica, quindi, un sistema di monitoraggio interno ben congegnato dovrebbe includere: budget di tesoreria a 6-12 mesi (per calcolare DSCR e fabbisogni finanziari futuri), controllo mensile dei principali indici di bilancio (margini, liquidità, indebitamento), verifica trimestrale di eventuali arretrati verso banche, fornitori e Erario, e un sistema di segnalazione immediata agli amministratori se certi parametri superano la soglia. Nelle PMI molte di queste funzioni possono essere svolte dal commercialista esterno o dal consulente finanziario, ma l’importante è che qualcuno tenga sotto osservazione costante la “temperatura” dell’impresa.

Infine, è utile menzionare che l’art. 2 CCII fornisce anche la definizione di sovraindebitamento per i soggetti non fallibili (consumatori, imprese minori): esso viene equiparato allo stato di crisi o insolvenza di tali soggetti non assoggettabili alle procedure ordinarie. Tuttavia, poiché questa guida è focalizzata sulle imprese (e non sulle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento dei privati), non approfondiremo oltre il tema del sovraindebitamento.

2.4 Sistema di allerta e segnalazioni precoci

Uno dei pilastri della riforma è il sistema di allerta tempestiva della crisi, inteso a evitare che le difficoltà aziendali vengano affrontate quando ormai è troppo tardi. Il sistema di allerta previsto dal Codice si compone di due livelli: uno “interno” all’impresa (obblighi per organi sociali e di controllo) e uno “esterno” (segnalazioni da parte di creditori pubblici qualificati).

Allerta interna – Abbiamo già visto il ruolo cruciale degli amministratori e dei sindaci/revisori: gli amministratori devono attivarsi appena individuano squilibri significativi; gli organi di controllo devono spronarli e, se necessario, informare l’autorità giudiziaria. Questo meccanismo interno funziona come una “spia” che si accende dentro la società stessa. Ad esempio, se dal bilancio semestrale emerge perdita >1/3 del capitale sociale e liquidità insufficiente, i sindaci manderanno una formale comunicazione al CdA chiedendo misure correttive immediate. Se il CdA non risponde o minimizza, i sindaci potranno riferire la situazione al tribunale (istanza ex art. 24 CCII) perché convochi gli amministratori. Va sottolineato che, con le modifiche del 2024, il legislatore ha precisato che la segnalazione deve riguardare la “esistenza dello stato di crisi o insolvenza” (non meri sintomi di pre-crisi) per evitare allarmi inutili o strumentali. Inoltre ha chiarito che la segnalazione interna è considerata tempestiva (ai fini di esimenti di responsabilità) se effettuata entro 60 giorni da quando l’organo di controllo ha avuto conoscenza (nell’esercizio diligente delle sue funzioni) dello stato di crisi. Ciò definisce un arco temporale ragionevole per i sindaci/revisori: non è richiesta la segnalazione al primo lieve indizio, ma neppure è ammesso attendere mesi; in generale, entro due mesi dalla chiara emersione di uno stato di crisi oggettivo, la segnalazione va fatta, pena la possibile corresponsabilità dei controllori.

Allerta esterna (segnalazioni dei creditori pubblici) – Accanto all’allerta interna, il Codice prevede che alcuni soggetti qualificati esterni (in particolare l’Erario, gli enti previdenziali e gli agenti della riscossione) facciano scattare un campanello d’allarme quando l’impresa accumula debiti verso lo Stato oltre certe soglie. Tali creditori pubblici, grazie alla disponibilità dei dati su posizioni debitorie, sono in grado di individuare segnali di insolvenza incipiente e hanno il dovere di avvisare formalmente l’impresa affinché corra ai ripari.

L’art. 15 CCII (nel testo aggiornato) delinea le soglie di rilevanza per queste segnalazioni esterne. Di seguito le principali:

  • Agenzia delle Entrate (AE): verifica trimestralmente l’omesso versamento dell’IVA. Scatta una segnalazione (comunicazione di allerta) se il debito IVA non versato, relativo a comunicazioni periodiche, supera il 30% del volume d’affari del periodo e contestualmente oltrepassa certe soglie assolute: €25.000 per imprese con volume affari < €10 milioni; €50.000 se volume 10-50 milioni; €100.000 se oltre €50 milioni. (N.B.: i valori citati potrebbero essere stati adeguati leggermente dai decreti attuativi, ma l’ordine di grandezza è questo). In tal caso l’Agenzia, dopo 60 giorni dal termine di pagamento senza adempimento, invia al debitore una comunicazione “riservata” che lo invita a mettersi in regola o a rivolgersi agli strumenti di composizione della crisi.
  • INPS (Istituto previdenza): monitora i ritardi nei versamenti contributivi. La soglia di allerta è fissata in un debito contributivo > 50% del dovuto annuo e comunque superiore a €50.000, con ritardo di almeno 90 giorni. In altre parole, se un’azienda non versa almeno la metà dei contributi obbligatori dell’anno precedente, per un importo che supera i 50 mila euro, l’INPS dopo alcuni solleciti emetterà una segnalazione all’azienda evidenziando il grave inadempimento. Anche qui vi è un periodo di tolleranza (es. 3 mesi di ritardo) prima di formalizzare l’allerta.
  • Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia): controlla i carichi affidati in riscossione e non pagati. La soglia indicata è: debiti iscritti a ruolo scaduti da oltre 90 giorni per più di €500.000 (per ditte individuali) o €1.000.000 (per società). Se il contribuente supera tali importi di cartelle esattoriali scadute da oltre tre mesi, l’Agente della riscossione invia entro 60 giorni un avviso al debitore invitandolo a saldare o a attivarsi per la composizione della crisi. (Va ricordato che dal 2021 queste soglie sono state abbassate rispetto all’originario CCII 2019, per rendere più efficace l’allerta: inizialmente si parlava di €1 milione anche per imprese individuali, poi ridotto a €500k).

Queste segnalazioni “riservate” dei creditori pubblici non vengono comunicate al Tribunale né rese pubbliche, ma sono indirizzate esclusivamente all’imprenditore (spesso all’organo amministrativo e di controllo). Esse contengono l’invito ad adottare entro 90 giorni le misure idonee a porre rimedio alla situazione di crisi (ad esempio pagando il dovuto o avviando una trattativa). Se l’impresa ignora la segnalazione e non attiva alcuno strumento (né paga il debito), tale circostanza potrà aggravare la sua posizione in caso di successivo fallimento, perché dimostra un allarme inascoltato.

Tabella 2 – Soglie per segnalazioni obbligatorie dei creditori pubblici (Art. 15 CCII)

Ente segnalanteCondizione di allertaSoglia quantitativa
Agenzia EntrateOmesso versamento IVA periodica > 30% volume d’affari trimestrale≥ €25.000 (fatturato ≤ €10 mln) ≥ €50.000 (€10–50 mln) ≥ €100.000 (oltre €50 mln)
INPSContributi non versati da ≥ 3 mesi > 50% di quelli dovuti anno precedente≥ €50.000
Agente RiscossioneDebiti iscritti a ruolo scaduti da ≥ 90 gg> €500.000 (imp. individuali) > €1.000.000 (società)

Nota: Le soglie di cui sopra si riferiscono al testo vigente del Codice (dopo i correttivi). Le comunicazioni d’allerta devono essere effettuate dall’ente entro 60 giorni dal verificarsi delle condizioni e inviate tramite PEC all’impresa. La ricezione della segnalazione impone agli amministratori di darne immediata informativa all’organo di controllo (se esiste) e di riferire sulle iniziative intraprese. Se entro 90 giorni l’impresa non regolarizza o non presenta istanza di composizione negoziata (o altra procedura), l’ente creditore avvia le ordinarie azioni di recupero (pignoramenti, etc.), e in caso di successiva apertura di concorso potrà evidenziare la mancata reazione all’allerta (che il tribunale potrebbe valutare negativamente rispetto all’esdebitazione o ad eventuali responsabilità).

Destinatari delle segnalazioni e ruolo dell’OCRI: inizialmente, il CCII prevedeva che tali segnalazioni fossero inoltrate anche all’OCRI (Organismo di Composizione) per convocare l’imprenditore a un tavolo di analisi. Dopo la riforma, l’OCRI è stato di fatto soppresso e sostituito dal nuovo istituto volontario della composizione negoziata. Pertanto, oggi le segnalazioni di Agenzia Entrate, INPS e altri non attivano più automaticamente un organismo terzo, ma servono principalmente a stimolare il debitore ad attivarsi. Alcune Camere di Commercio (in coordinamento con Unioncamere) hanno predisposto sportelli di assistenza, e la piattaforma telematica nazionale (vedi §3.2) è indicata negli avvisi come strumento a cui rivolgersi. Non c’è dunque coercizione immediata, ma una sorta di “moral suasion” legale affinché l’impresa si attivi spontaneamente (con l’implicito avvertimento che, se non lo fa, andrà incontro a sanzioni e a un peggior trattamento in caso di insolvenza conclamata).

Esonero da responsabilità e effetti premiali dell’allerta: vale la pena menzionare che la tempestiva attivazione degli strumenti di composizione da parte dell’imprenditore ha anche ricadute positive in termini di responsabilità personale. Ad esempio, il Codice (riprendendo l’art. 217-bis l.fall.) prevede l’esenzione da alcune fattispecie di reato fallimentare per chi abbia tempestivamente proposto un concordato o un accordo di ristrutturazione omologato. L’art. 324 CCII sancisce che non sono punibili per bancarotta semplice o preferenziale alcuni atti eseguiti in adempimento di un piano attestato o di un accordo di ristrutturazione andati a buon fine. In generale, quindi, chi reagisce in modo ordinato alla crisi (p. es. presentando un piano di risanamento prima dell’insolvenza o avviando la composizione negoziata) può evitare di incorrere in sanzioni penali che altrimenti colpirebbero comportamenti omissivi o distrattivi. Inoltre, in sede civile/fallimentare, l’aver attivato per tempo la procedura ed eventualmente aver depositato una domanda di concordato prima dell’aggravamento, viene considerato un elemento a favore per ottenere benefici (come l’esdebitazione più rapida, o l’esonero da azioni di responsabilità per i nuovi amministratori subentrati).

Riassumendo, il sistema di allerta italiano post-riforma è meno “invasivo” di come era stato pensato nel 2019 (niente più intervento dirigista di un organo pubblico sulle imprese in crisi), ma resta comunque un framework robusto: all’interno, l’azienda deve dotarsi di strumenti di autodiagnosi; all’esterno, Fisco e enti pubblici non restano silenti di fronte a grossi arretrati ma sollecitano l’impresa a reagire. Tutto questo confluisce, di fatto, verso una soluzione: la composizione negoziata della crisi, che vediamo nel prossimo capitolo. Non sorprende che la stessa Relazione illustrativa al D.L. 118/2021 definisse la composizione negoziata come lo strumento deputato a “sostituire integralmente la composizione assistita davanti agli OCRI”, considerata troppo macchinosa. In altre parole: ora è l’imprenditore, eventualmente pungolato dalle segnalazioni, che deve prendere l’iniziativa di affrontare la crisi prima che arrivi il tribunale su istanza dei creditori.

3. La composizione negoziata della crisi d’impresa

La composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa (CNC) è la procedura volontaria, non giudiziale, introdotta in via urgente nel 2021 e poi pienamente integrata nel Codice della crisi. Rappresenta il fulcro dell’approccio “premiale” e di emersione anticipata promosso dalla riforma. In questa sezione vedremo cos’è, come funziona e quali vantaggi offre questa procedura dal punto di vista dell’imprenditore-debitore.

3.1 Natura e finalità della composizione negoziata

La composizione negoziata è uno strumento stragiudiziale di ausilio alle imprese in difficoltà, basato sulla negoziazione volontaria con i creditori sotto la guida di un esperto indipendente. A differenza delle procedure concorsuali tradizionali (concordati, fallimenti) che implicano l’intervento formale del tribunale sin dall’inizio, qui l’obiettivo è consentire all’imprenditore di gestire la crisi privatamente, cercando un accordo con le parti coinvolte (creditori, soci, altri stakeholder) in modo confidenziale e con il supporto di un professionista terzo. Il tribunale interviene solo su istanza dell’imprenditore e limitatamente ad alcune misure di protezione o autorizzative, come vedremo.

La finalità primaria è facilitare la ristrutturazione o il risanamento dell’impresa quando è ancora possibile salvarne la continuità aziendale, evitando di arrivare al punto di non ritorno dell’insolvenza irreversibile. Il legislatore, in sostanza, offre all’imprenditore onesto un “percorso di tutela” nel quale egli mantiene il governo dell’azienda, ma riceve aiuto e incentivi per superare la crisi: da un lato un esperto negoziatore lo assiste nel dialogo con i creditori, dall’altro una serie di benefici (protettivi e premiali) lo mettono al riparo dall’aggressione immediata dei creditori e alleggeriscono il peso di debiti fiscali e altri oneri.

La logica premiale è chiara: chi agisce presto e in buona fede per risanare l’impresa viene premiato con sconti su interessi e sanzioni, con la possibilità di dilazioni straordinarie e con la non punibilità di certe condotte, mentre chi rimane inerte rischia sanzioni e il fallimento. Si instaura così un circolo virtuoso in cui imprenditori, creditori e sistema economico traggono vantaggio dall’evitare procedure liquidatorie: l’impresa può sopravvivere (preservando posti di lavoro e valore economico), i creditori ottengono maggiore soddisfazione di quanto avverrebbe in un fallimento, e lo Stato mantiene attiva un’entità produttiva e vede rientrare almeno parzialmente i crediti fiscali.

Inquadramento normativo: la composizione negoziata è oggi disciplinata dagli artt. 17-25 septies del Codice della crisi (CCII). L’art. 17 ne definisce l’ambito di applicazione, l’art. 18-19 riguardano le misure protettive, gli artt. 20-22 gli effetti e le autorizzazioni, l’art. 23 gli esiti possibili, l’art. 25-bis le misure premiali correlate, e così via. Questa struttura normativa deriva dal D.L. 118/2021, il cui art. 2 ne aveva delineato i tratti essenziali, confluiti poi nel CCII con modifiche.

Inizialmente, la CNC è stata vista come uno strumento “temporaneo” per fronteggiare l’ondata di crisi post-Covid, ma la sua successo pratico (oltre 300 istanze nei primi mesi, con vari risanamenti conclusi) e l’allineamento con i principi UE l’hanno consacrata a regime nel Codice. Essa ha rimpiazzato del tutto la preesistente “composizione assistita” dinanzi agli OCRI, giudicata troppo burocratica. Oggi possiamo dire che la composizione negoziata è la via maestra che un imprenditore dovrebbe percorrere appena si accorge che l’azienda scricchiola: un percorso guidato e sicuro, alternativo al navigare da soli in acque tempestose fino magari a naufragare in un fallimento.

3.2 Condizioni di accesso e requisiti per l’imprenditore

Chi può accedere alla composizione negoziata? La regola generale (post correttivo 2022) è che qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo iscritto nel Registro delle Imprese, che si trovi in condizioni di “squilibrio patrimoniale o economico-finanziario” tali da far prevedere la crisi o l’insolvenza, oppure già in uno stato di crisi o di insolvenza reversibile, può utilizzare la procedura. In parole più semplici, può presentare istanza sia l’impresa in fase di difficoltà incipiente (ancora adempiente ma con indicatori negativi), sia l’impresa già insolvente purché vi sia una prospettiva ragionevole di risanamento. Questa apertura anche a situazioni di insolvenza in atto (non gravissima) è importante: diversamente dalla vecchia legge fallimentare, che una volta insorta l’insolvenza spingeva subito al fallimento o concordato, la composizione negoziata può essere tentata anche da chi è già in default su alcuni debiti, se si intravede la possibilità di recuperare l’equilibrio con accordi e magari nuova finanza.

Sono invece escluse le imprese di grandissime dimensioni soggette a discipline speciali (es. banche, assicurazioni, grandi imprese in stato d’insolvenza soggette ad amministrazione straordinaria). L’art. 1 CCII infatti esclude dal proprio campo di applicazione gli enti finanziari sottoposti a vigilanza prudenziale e le imprese “grandi” secondo parametri UE (che restano soggette a procedure ad hoc come l’amministrazione straordinaria del D.Lgs. 270/1999). Dalla tabella 3 si nota che le microimprese e PMI sono invece pienamente incluse e destinatarie delle norme di allerta e composizione. Anzi, la legge ha previsto per le imprese “minori” (sotto determinate soglie di attivo, ricavi e debiti: attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k) alcune semplificazioni procedurali nella composizione negoziata, come vedremo (es. nomina esperto affidata al Segretario generale della Camera di Commercio, minori documenti richiesti, ecc.).

Quando si può (e conviene) attivarla? Non esiste un termine predefinito: l’imprenditore ha il dovere di attivarsi senza indugio non appena rilevi i segnali di crisi, ma formalmente può presentare istanza di composizione in qualsiasi momento si renda conto di avere necessità di una ristrutturazione. Certamente prima che i creditori perdano la fiducia e avviino azioni legali individuali. In pratica, è saggio farlo non appena gli indicatori del §2.3 cominciano a lampeggiare in rosso e l’azienda non riesce più a invertire la tendenza con i soli mezzi interni. Attendere troppo a lungo potrebbe rendere inefficace la procedura (ad esempio, se si attiva quando la cassa è azzerata e i fornitori hanno già bloccato le forniture, le chance di accordo calano drasticamente). Le Linee guida del Ministero raccomandano l’accesso alla CNC “in presenza di rilevanti difficoltà prospettiche, prima dell’irreversibile dissesto”.

Modalità di presentazione della domanda: L’istanza di composizione negoziata si presenta esclusivamente in via telematica tramite la piattaforma nazionale predisposta da Unioncamere (all’indirizzo https://composizionenegoziata.camcom.it). L’imprenditore (o un suo professionista delegato) compila online la domanda, allegando una serie di documenti obbligatori indicati dall’art. 17 co.3 CCII. Tra i principali documenti richiesti vi sono:

  • Gli ultimi bilanci d’esercizio approvati e depositati (per le società obbligate al bilancio).
  • Una situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata (es. ultimo stato patrimoniale semestrale o situazione contabile recente).
  • L’elenco dei creditori con indicazione di importi e scadenze dei debiti.
  • Una relazione che descriva le cause della difficoltà e le strategie di risanamento ipotizzate (es. linee guida di un piano di ristrutturazione).
  • Eventuale piano industriale o di risanamento già predisposto (non obbligatorio, ma se esiste va allegato).
  • Ogni altra informazione utile: attestazioni sulla regolarità fiscale e contributiva (es. DURC), esposizione bancaria (centrale rischi), elenco beni essenziali, ecc.

Per le imprese minori (sotto soglia) alcuni di questi oneri documentali sono semplificati: ad esempio, non è preteso un piano dettagliato né la relazione sulle attività aziendali dei 6 mesi successivi (richiesta invece alle imprese più grandi dal co.5 dell’art. 17). Tuttavia anche le microimprese devono fornire le informazioni essenziali su debiti, creditori e prospettive, magari con il supporto del proprio commercialista. L’obiettivo è consentire all’esperto nominando di avere un quadro chiaro della situazione iniziale.

Non è legalmente richiesta l’assistenza di un avvocato o altro consulente per presentare l’istanza, ma è fortemente consigliato farsi affiancare da professionisti (legali e aziendali) nella predisposizione dei documenti. Una domanda ben fatta, completa di tutte le informazioni e con un abbozzo di piano di risanamento credibile, facilita il compito dell’esperto e predispone meglio anche i creditori, dando un segnale di serietà. Al contrario, errori o lacune nella domanda (es. elenco creditori incompleto, dati di bilancio poco chiari) possono rallentare il processo: il tribunale infatti potrebbe dover intervenire per chiedere integrazioni documentali prima di concedere eventuali misure protettive.

Contributi e bolli: Al momento dell’invio dell’istanza tramite piattaforma, l’imprenditore paga un modesto diritto di segreteria (attualmente €252) e l’imposta di bollo (€16). Si tratta di costi contenuti, versati online via pagoPA, accessibili anche alle PMI più piccole.

Una volta caricati tutti i documenti e confermata la domanda con firma digitale del legale rappresentante, la piattaforma genera un numero di istanza e la trasmette immediatamente alla Camera di Commercio territorialmente competente (quella della provincia dove l’impresa ha la sede legale).

3.3 Nomina dell’esperto indipendente

Ricevuta l’istanza, scatta il meccanismo di nomina dell’esperto indipendente che guiderà la composizione. Presso ogni Camera di Commercio capoluogo di regione è istituita una Commissione di tre membri incaricata di designare l’esperto entro 5 giorni. La Commissione è composta da: un magistrato (designato dal presidente del Tribunale del capoluogo di Regione), un membro designato dal presidente della CCIAA e uno designato dal Prefetto. Questa composizione mista (giudice, camera di commercio, prefettura) garantisce un bilanciamento di competenze. La Commissione dura in carica 2 anni ed esamina le domande pervenute nel territorio regionale.

Per le imprese sotto-soglia (piccolissime), la legge prevede una via semplificata: la nomina dell’esperto è effettuata direttamente dal Segretario Generale della Camera di Commercio competente, anziché dalla commissione regionale, ai sensi dell’art. 25-quater CCII. Questo per evitare troppa burocrazia con micro-casi e snellire i tempi.

La Commissione, valutata la domanda, sceglie l’esperto dall’apposito elenco degli esperti formato a livello regionale presso le CCIAA. L’elenco include professionisti qualificati (dottori commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro con almeno 5 anni di esperienza, oppure esperti di crisi aziendali con specifica formazione) che abbiano i requisiti di indipendenza e competenza stabiliti dalla legge. In pratica, l’esperto è un professionista “super partes” con competenze di ristrutturazione e negoziazione. La Commissione abbina possibilmente un esperto esperto del settore di attività dell’impresa in crisi: ad esempio, se l’impresa è agricola, preferiranno un professionista che abbia già seguito crisi nel settore agricolo; se la crisi ha forti implicazioni legali (es. contenziosi pendenti), potrebbe essere scelto un avvocato con esperienza di ristrutturazioni aziendali, e così via.

La nomina è deliberata a maggioranza e comunicata all’esperto designato. Questi, entro 2 giorni, deve dichiarare se accetta l’incarico, previa verifica di assenza di conflitti di interesse con l’impresa o i creditori. L’esperto infatti deve essere completamente terzo e indipendente: non può aver avuto nei 5 anni precedenti rapporti professionali significativi né con l’imprenditore né con i principali creditori, e deve possedere requisiti di onorabilità analoghi a quelli richiesti per i sindaci di società (assenza di condanne, ecc.). Inoltre deve valutare se ha la competenza specifica e il tempo necessario da dedicare al caso, rifiutando se ritiene di non poter seguire efficacemente le trattative (ad es. se è già sovraccarico di incarichi).

Una volta accettato l’incarico, la CCIAA provvede a pubblicare nel Registro delle Imprese la notizia dell’avvenuta nomina dell’esperto. La pubblicità viene effettuata solo se l’imprenditore ha richiesto misure protettive (cioè la sospensione delle azioni dei creditori) in modo da rendere tali misure opponibili ai terzi. Se invece l’istanza è stata presentata senza richiedere protezione, la nomina può rimanere riservata e non viene iscritta in Registro. Questo è un aspetto importante: la composizione negoziata di per sé è confidenziale e non comporta automaticamente uno stigma pubblico sull’impresa. Molti imprenditori infatti temono che rendere nota la situazione di crisi possa allarmare clienti e fornitori; la procedura negoziata consente di evitare pubblicità finché non sia strettamente necessario. Solo nel caso in cui si voglia ottenere la protezione legale (stay dei creditori), è inevitabile pubblicare l’istanza e la nomina, perché i creditori devono sapere di essere soggetti a sospensione azioni. In ogni caso, a parte questa pubblicazione (che è comunque meno infamante di un’istanza di fallimento o concordato), le trattative si svolgono in modo riservato e fuori dai riflettori.

Il ruolo dell’esperto: L’esperto nominato è spesso definito “facilitatore” o “negoziatore”. Egli non ha poteri sostitutivi dell’imprenditore né può imporre decisioni ai creditori. La sua funzione, delineata dall’art. 12 co.2 CCII, è agevolare le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri interessati (soci, garanti, ecc.) per trovare una soluzione idonea a superare la crisi. In pratica l’esperto:

  • Studia la documentazione iniziale e ascolta l’imprenditore per comprendere le cause della crisi e le possibili vie di uscita.
  • Aiuta l’impresa a predisporre un piano di risanamento realistico, se non c’è già, evidenziando gli interventi necessari (taglio costi, dismissioni, nuova finanza, ristrutturazione debiti).
  • Contatta i creditori principali, organizzando incontri (anche con tutti o gruppi omogenei) per discutere delle possibili soluzioni. Egli favorisce la comunicazione, chiarisce dubbi sulla situazione aziendale (funge da super partes che certifica in qualche modo la veridicità dei dati dell’impresa, aumentando la fiducia dei creditori).
  • Propone, se del caso, soluzioni ponte o transitorie (ad es. una moratoria temporanea, un accordo di standstill) per congelare le posizioni mentre si lavora al piano.
  • Monitora che l’imprenditore gestisca correttamente l’attività durante le trattative, segnalando eventuali atti pregiudizievoli o comportamenti scorretti. L’esperto infatti deve anche valutare la “leale collaborazione” delle parti: se l’imprenditore occulta informazioni o compie atti in frode, l’esperto ne può prendere atto e ciò condurrebbe alla chiusura della procedura.
  • In ogni fase, può riferire al Tribunale per ottenere provvedimenti se necessari (es. misure cautelari, vedi più avanti). Tuttavia, diversamente da un curatore o commissario giudiziale, l’esperto non dispone direttamente nulla: egli può solo chiedere al giudice di autorizzare o inibire atti su richiesta dell’imprenditore.

In sintesi, l’esperto è un mediatore qualificato: il suo fine ultimo è mettere d’accordo le parti su come ristrutturare l’impresa, cercando di soddisfare i creditori meglio che in uno scenario liquidatorio. Come afferma la prassi, “non assiste l’imprenditore né si sostituisce alle parti, ma facilita la comprensione reciproca e stimola accordi”. I confini del suo ruolo sono ben delimitati: non può ad esempio amministrare lui l’azienda (questa resta in mano all’imprenditore), né può vincolare i creditori contro la loro volontà. La sua efficacia sta tutta nelle capacità negoziali e nell’autorevolezza: se è bravo, potrà convincere creditori che forse da soli non avrebbero dato fiducia all’imprenditore.

Durata dell’incarico: La composizione negoziata ha una durata massima predefinita: 180 giorni (6 mesi) dall’accettazione della nomina da parte dell’esperto. Questo termine può essere prorogato di ulteriori 180 giorni (massimo) su richiesta congiunta di tutte le parti coinvolte e con assenso dell’esperto, oppure automaticamente nel caso in cui vi siano misure protettive concesse dal tribunale che richiedano più tempo. Quindi la durata massima, incluse proroghe, è di 12 mesi circa. In ogni caso, l’idea è che si tratta di una procedura snella e concentrata nel tempo: non un concordato che si trascina per anni, ma trattative serrate entro pochi mesi per capire se c’è uno sbocco.

Va detto che in pratica molte composizioni si concludono anche prima dei 6 mesi (se l’accordo si trova prima, l’esperto redige la relazione finale e termina). Al contrario, se trascorsi 6 mesi non si intravede soluzione ma le parti sono vicine a un accordo, si ricorre alla proroga. L’esperto comunque chiuderà l’incarico al più tardi decorso il periodo prorogato, anche se non si è raggiunta alcuna intesa. Non esiste un meccanismo di ulteriore proroga aperta. Dunque la procedura ha un termine chiaro, allo scadere del quale l’esperto deposita una relazione finale con l’esito.

3.4 Effetti dell’apertura della composizione negoziata

Dal momento in cui l’esperto accetta l’incarico e (di norma) viene iscritta la nomina nel Registro Imprese, la composizione negoziata produce alcuni effetti giuridici rilevanti per l’impresa debitrice. Tali effetti si possono dividere in due categorie: (a) effetti automatici derivanti dalla pendenza della procedura e (b) misure protettive e cautelari specifiche che il debitore può attivare su richiesta.

a) Effetti automatici (sul regime dell’impresa): La mera pendenza della composizione non determina spossessamento né nomina di organi commissariali – l’imprenditore resta in pieno controllo della gestione aziendale. Tuttavia, la legge prevede alcune deroghe e situazioni particolari:

  • Gli amministratori durante la composizione devono continuare ad operare con la diligenza richiesta, conservando il patrimonio e astenendosi da atti che possano pregiudicare le trattative. Non c’è un divieto assoluto di compiere atti di straordinaria amministrazione (come in concordato preventivo prima dell’omologa), ma se tali atti potessero incidere sui creditori, è opportuno chiedere il coinvolgimento dell’esperto e, se necessario, l’autorizzazione del Tribunale (vedi misure cautelari infra). Ad esempio, vendere un asset importante nel mezzo della negoziazione senza informare i creditori potrebbe minare la fiducia; la legge consente di farlo con l’autorizzazione giudiziale per dare garanzie a tutti.
  • Un effetto fondamentale introdotto per favorire il tentativo di risanamento è la sospensione delle cause di scioglimento societario per perdite. Precisamente, dall’accettazione della nomina e per tutta la durata della composizione negoziata, non si applicano gli articoli 2446, commi 2-3, 2447, 2482-bis commi 4-6, c.c.. Queste norme del codice civile avrebbero imposto agli amministratori di convocare l’assemblea per ricapitalizzare o sciogliere la società in caso di perdita significativa del capitale (oltre 1/3 o riduzione sotto il minimo legale). La sospensione significa che, anche se nel frattempo il patrimonio netto diventa negativo, la società non è obbligata a sciogliersi né gli amministratori sono immediatamente responsabili per aver continuato l’attività. L’obiettivo è evidente: permettere all’impresa di portare avanti le trattative di risanamento senza dover andare in liquidazione per il solo effetto contabile delle perdite emerse. Questa moratoria civilistica vige per tutta la composizione e anche per eventuali successivi (brevi) periodi se l’impresa passa a un’altra procedura concorsuale (ci sono norme di coordinamento intertemporale). Resta fermo però che, se la composizione fallisce e non si trova altra soluzione concordataria, a quel punto le norme sul capitale sociale tornano applicabili (spesso, in caso di esito negativo, si va verso la liquidazione giudiziale, dove comunque gli amministratori decadono e il problema 2447 c.c. si risolve in altra sede).
  • In parallelo, la pendenza della composizione limita la responsabilità degli amministratori per eventuale ritardo nell’azione: grazie alla sospensione dell’art. 2485 c.c. (obbligo di accertare cause di scioglimento) e art. 2486 c.c. (responsabilità per atti oltre la conservazione in pendenza di causa di scioglimento), gli amministratori non incorrono in colpa automatica per non aver liquidato la società, a condizione che stiano perseguendo in buona fede il risanamento attraverso la composizione. Questo li protegge, salvo comportamenti dolosi, dall’azione di responsabilità per aggravamento del dissesto dovuta al protrarsi dell’attività durante le trattative.

b) Misure protettive e cautelari: Uno dei vantaggi principali e più immediati per il debitore che accede alla composizione negoziata è la possibilità di ottenere una protezione dalle azioni dei creditori, similmente a quanto avviene nel concordato preventivo, ma modulabile a richiesta. Vediamo come funziona:

  • Misure protettive automatiche e conferma: L’imprenditore, già nella domanda iniziale o anche successivamente, può richiedere l’applicazione di misure protettive del patrimonio ex art. 18 CCII. Tali misure consistono essenzialmente in un divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore, nonché il divieto di acquisire titoli di prelazione (garanzie) se non concordati con l’imprenditore. Tradotto: una volta attive le misure protettive, i creditori non potranno pignorare beni, né iscrivere ipoteche o pegni, né proseguire i processi esecutivi già avviati, a pena di nullità. Queste misure hanno efficacia erga omnes (verso tutti) solo se pubblicate nel Registro Imprese e soggette a conferma del tribunale competente. Infatti, il meccanismo è il seguente: al momento del deposito dell’istanza di nomina con richiesta di misure protettive, l’imprenditore ottiene una protezione provvisoria fino a quando il tribunale non decide se confermarla (il tribunale deve essere adito entro brevissimo termine, 30 giorni, con apposito ricorso ex art. 19 CCII). Se l’imprenditore non presenta ricorso al tribunale per la conferma entro il termine di legge, le misure decadono automaticamente. Se invece adisce il tribunale, quest’ultimo fissa un’udienza entro 30-45 giorni e, valutate le circostanze, può emettere decreto di conferma delle misure protettive fino a 120 giorni (prorogabili). In questa finestra temporale, i creditori restano bloccati. La ratio è di dare all’imprenditore un po’ di respiro per condurre le trattative senza l’assillo delle esecuzioni, similmente al automatic stay del Chapter 11 statunitense. La giurisprudenza di merito ha sottolineato che la conferma delle misure protettive è quasi sempre opportuna, altrimenti “le trattative sarebbero inevitabilmente pregiudicate se i creditori potessero agire individualmente in via esecutiva”. In altre parole, è difficilissimo negoziare con i creditori se alcuni di essi stanno contemporaneamente pignorando i conti o i magazzini: il tribunale, a fronte di una prospettiva di risanamento non manifestamente implausibile, tende a concedere la sospensione delle azioni, proprio per dare una chance effettiva alla composizione negoziata. Occorre notare che le misure protettive non congelano l’attività: l’imprenditore può continuare a pagare fornitori strategici e a proseguire l’attività corrente. Infatti, la legge specifica che i creditori non possono rifiutare la prestazione contrattuale né risolvere i contratti pendenti solo perché il debitore è in composizione negoziata. Ciò impedisce, ad esempio, che un fornitore essenziale interrompa la fornitura invocando un inadempimento pregresso, se ciò comprometterebbe le prospettive di risanamento. Il tribunale di Ivrea (17 febbraio 2023) ha affermato che il divieto di esecuzioni si estende anche implicitamente al divieto per i creditori di alterare unilateralmente i rapporti in essere a sfavore del debitore in crisi. Insomma, durante la protezione, l’impresa deve poter operare in una sorta di “bolla di sicurezza”: i creditori non la possono aggredire né possono sottrarsi alle loro obbligazioni contrattuali, mentre l’imprenditore può effettuare i pagamenti necessari e ordinari (non c’è una moratoria sui pagamenti volontari, salvo che l’imprenditore stesso decida di sospenderne alcuni in accordo coi creditori). Da un punto di vista pratico, per il debitore ottenere le misure protettive può fare la differenza tra il successo e il fallimento delle trattative: ad esempio, se una banca ha già avviato la decadenza dal beneficio del termine su un finanziamento e minaccia escussione di garanzie, la sospensione dell’azione esecutiva le “impone” di sedersi al tavolo negoziale. Tuttavia, il tribunale non concede a cuor leggero queste misure: deve sussistere il cosiddetto fumus boni juris e periculum in mora, ossia una ragionevole probabilità di risanamento e la necessità effettiva della protezione per condurre le trattative. Se l’azienda appare senza speranza o se le misure danneggerebbero eccessivamente i creditori senza prospettiva concreta di accordo, il giudice può rifiutarle o limitarle. In alcuni provvedimenti si è visto ad esempio restringere le misure solo ad alcuni creditori o subordinare la conferma a determinate condizioni (fornire informazioni aggiuntive, ecc.).
  • Misure cautelari specifiche: Oltre alla sospensione generalizzata, l’imprenditore può chiedere al tribunale misure cautelari ad hoc “necessarie per condurre a termine le trattative” (art. 18 co.3 CCII). Ciò consente, ad esempio, di ottenere provvedimenti che impediscano a un singolo creditore di assumere iniziative disruptive fuori dall’ordinario. Un caso tipico: se un contratto essenziale (fornitura di energia, leasing di macchinari) è a rischio risoluzione per inadempienze pregresse, il debitore può chiedere al giudice di inibire la risoluzione e mantenere provvisoriamente in vita il contratto, depositando le somme dovute in contenzioso. Oppure, l’imprenditore potrebbe ottenere un ordine che imponga a una banca di mantenere operativa una linea autoliquidante per qualche mese. Queste misure sono discrezionali e calibrate sulla situazione concreta. Dall’esame della giurisprudenza, risulta ad esempio che i tribunali hanno autorizzato in via cautelare: la sospensione di istanze di fallimento depositate da creditori (in attesa dell’esito della composizione); la sospensione di provvedimenti di revoca fidi; il mantenimento di forniture essenziali dietro pagamento corrente; etc. Tuttavia, ricordiamo che la competenza per tutte le misure protettive e cautelari spetta al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la sede principale, non ad altri giudici eventualmente investiti di procedimenti esecutivi (è stato chiarito che il tribunale fallimentare del luogo dell’impresa è l’unico competente a confermare le misure, anche se c’è un’esecuzione pendente altrove).
  • Durata delle misure protettive: Una volta confermate, durano inizialmente non più di 4 mesi (120 giorni), prorogabili dal tribunale su richiesta motivata fino al termine della composizione negoziata. Se la composizione viene prorogata oltre i 6 mesi, ovviamente occorrerà chiedere al tribunale di prorogare anche le misure protettive per coprire il periodo aggiuntivo. In ogni caso, le misure protettive cessano se l’imprenditore rinuncia o se l’esperto dichiara conclusa anticipatamente la procedura, oppure se il tribunale – su istanza di un creditore o su segnalazione dell’esperto – decide di revocarle perché ad esempio il debitore sta pregiudicando i creditori (c’è la clausola generale che se il debitore abusa delle misure protettive in assenza di progressi nelle trattative, il giudice può revocarle).

In conclusione, le misure protettive offrono al debitore un periodo di tregua in cui nessuno può portargli via beni o escutere crediti, a condizione di utilizzare quello spazio per lavorare seriamente alla soluzione. La prassi conferma che senza questa “ombrella protettiva” le trattative sarebbero spesso vane, specie con creditori eterogenei. Pertanto, dal punto di vista del debitore, richiedere le misure protettive all’avvio della composizione negoziata è quasi sempre consigliabile, salvo rari casi in cui la situazione sia talmente circoscritta da poter negoziare senza finire in pasto ai tribunali (ad esempio con pochi creditori tutti consenzienti).

Atti autorizzati dal tribunale: Oltre alle misure difensive, l’imprenditore in composizione negoziata può chiedere al tribunale di autorizzarlo a compiere atti di straordinaria amministrazione funzionali al risanamento, con alcuni benefici giuridici. Tra questi:

  • Finanziamenti prededucibili: Il debitore può farsi autorizzare a contrarre nuovi finanziamenti (ad esempio un prestito ponte da un socio o banca) che, in caso di successivo fallimento o concordato, saranno considerati prededucibili, cioè rimborsati con priorità. Questo serve a incentivare finanziatori a mettere liquidità nell’impresa in crisi, sapendo di avere tutela qualora le cose andassero male. La legge inizialmente richiedeva la nomina dell’esperto per poter ottenere tale autorizzazione, ma la giurisprudenza ha chiarito che la nomina dell’esperto non è condizione necessaria: anche prima, un imprenditore potrebbe chiedere al tribunale l’autorizzazione a finanziamenti prededucibili se sta per accedere a uno strumento di regolazione. Ovviamente, una volta nella composizione, la richiesta passa tramite l’esperto che segnala la necessità di nuova finanza.
  • Contratti pendenti e affitto d’azienda: L’imprenditore può chiedere di essere autorizzato a cedere l’azienda o rami di essa, o ad affittarla, come parte del piano di risanamento (ad es. cessione a un investitore). Il tribunale valuta il progetto di cessione e se lo autorizza, l’atto può avvenire con alcune esenzioni di legge. Una delle più importanti riguarda l’art. 2560 c.c.: normalmente chi acquista un’azienda risponde dei debiti aziendali risultanti dai libri contabili; ma nel contesto della composizione negoziata si può prevedere l’esclusione della responsabilità dell’acquirente per i debiti pregressi, a patto che la cessione avvenga rispettando il principio di competitività (cioè attraverso una procedura trasparente di ricerca di offerte migliori). La giurisprudenza (es. Trib. Milano, Trib. Cagliari) ha confermato che se l’azienda viene trasferita con autorizzazione ex art. 22 CCII, l’acquirente può non rispondere dei debiti anteriori, il che è un potente incentivo per trovare investitori disposti a rilevare l’impresa in crisi senza il timore di zavorre occulte. Inoltre, l’autorizzazione alla cessione può includere la deroga alle formalità previste dalla legge fallimentare per la vendita in esercizio (nel concordato serve un’asta competitiva): nella composizione negoziata, pur raccomandandosi un confronto di offerte, c’è maggiore flessibilità su come condurre la trattativa con potenziali acquirenti. L’importante è che l’esperto certifichi che la scelta è nell’interesse dei creditori e della continuità.
  • Deroga a revocatorie: Un altro effetto favorevole: gli atti dispositivi autorizzati dal tribunale durante la composizione negoziata sono protetti dalla revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento. Ad esempio, se il tribunale autorizza l’imprenditore a pagare un fornitore strategico durante le trattative, quel pagamento non potrà poi essere revocato come preferenziale in caso di fallimento successivo (perché avvenuto con il beneplacito giudiziale). Questo scudo rende i creditori più disponibili ad accettare pagamenti parziali o accordi perché non rischiano di dover restituire le somme in futuro.
  • Rinegoziazione dei contratti: Il CCII consente di chiedere al tribunale l’autorizzazione a rinegoziare contratti in corso (art. 22, co.5 CCII) se ciò è necessario per il risanamento. Ad esempio, rinegoziare al ribasso un canone di locazione troppo oneroso o modificare le condizioni di un contratto di leasing. Il tribunale può, su proposta dell’esperto, decretare che il creditore contraente debba sedersi a rinegoziare in buona fede. Non può imporre il nuovo canone, ma la pressione giudiziaria può portare a un accordo col fornitore/locatore, pena la risoluzione del contratto. È uno strumento ancora poco sperimentato, ma esiste.

In sintesi, il tribunale funge da “garante” delle operazioni che l’imprenditore in composizione ritiene cruciali: se validate con decreto, tali operazioni avranno una tenuta anche in scenario concorsuale e offriranno tranquillità ai terzi contrattanti. Dal lato dell’imprenditore, questo significa poter prendere decisioni straordinarie (vendere un ramo d’azienda, ottenere soldi nuovi, ridurre costi contrattuali) con la rete di sicurezza dell’approvazione giudiziale che evita impugnazioni successive.

3.5 Esito della composizione negoziata: soluzioni possibili

La composizione negoziata può concludersi in vari modi, a seconda se le trattative portano o meno a un risultato positivo. L’art. 23 CCII elenca le possibili soluzioni positive, distinguendo tra imprese di dimensioni normali e imprese minori (sotto soglia). Vediamole:

Soluzioni per le imprese (ordinarie):
a) Contratto con uno o più creditori che consente la continuità aziendale per almeno 2 anni. Questa è un’ipotesi di accordo stragiudiziale bilaterale o plurilaterale: ad esempio, l’impresa ottiene da alcuni creditori chiave (banche, fornitori principali) un accordo di ristrutturazione dei debiti (allungamento delle scadenze, riduzione tassi, remissione parziale) tale che l’azienda può proseguire l’attività per almeno due anni. Non è necessario coinvolgere tutti i creditori, ma quelli cruciali sì. Se l’esperto, nella relazione finale, attesta che tale contratto è idoneo a garantire la continuità per 2 anni, scatta uno dei benefici premiali: la riduzione degli interessi al tasso legale (misura premiale ex art. 25-bis). In pratica, il legislatore incentiva anche soluzioni parziali, purché sufficienti a salvare l’impresa.

b) Convenzione di moratoria ex art. 62 CCII. Si tratta di un accordo, previsto dal Codice, in cui uno o più creditori finanziari accordano una moratoria dei crediti, vincolando anche eventuali dissenzienti se si raggiungono percentuali di adesione elevate. È uno strumento pensato in particolare per banche e obbligazionisti: se ad esempio l’80% delle banche aderisce, la moratoria può essere estesa per legge al restante 20%. Questa convenzione di moratoria, conclusa durante la composizione negoziata, è un successo perché congela la posizione debitoria in attesa di miglioramenti, ed è considerata esito positivo.

c) Accordo sottoscritto da imprenditore, creditori e l’esperto. Questa è forse la figura più peculiare: un accordo “tri-firma” in cui anche l’esperto firma, attestando che il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi o insolvenza. Tale accordo (che può essere di qualsiasi contenuto: un piano di risanamento attestato, un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII semplificato, etc.) se viene pubblicato nel Registro delle Imprese, produce l’effetto di precludere l’assoggettabilità ad azioni revocatorie dei pagamenti e delle garanzie posti in essere in esecuzione di esso. In altri termini, se grazie alla composizione le parti raggiungono un piano concordato di risanamento e l’esperto certifica che è credibile, l’accordo viene reso pubblico e da quel momento i pagamenti fatti secondo l’accordo o le nuove garanzie concesse ai creditori non potranno essere successivamente revocati dal curatore in caso di fallimento. Questo scudo revocatorio è un forte incentivo per i creditori: li rassicura che se accettano un accordo e poi le cose vanno male, almeno non verranno coinvolti in lunghe cause per restituire quanto incassato. È un effetto introdotto su modello di quanto avviene per i piani attestati di risanamento (art. 56 CCII) – di fatto qui si sta formalizzando uno di tali piani ma con l’avallo dell’esperto nominato.

Un accordo di questo tipo, potendo avere contenuto vario, è la soluzione più flessibile: potrebbe essere un “piano attestato” a tutti gli effetti, oppure un semplice accordo stragiudiziale con la maggior parte dei creditori che accettano una percentuale di soddisfo, ecc. L’importante è che ci sia trasparenza (da qui la pubblicazione) e l’attestazione di coerenza da parte di un professionista indipendente (il nostro esperto). È particolarmente utile quando non si raggiungono le maggioranze per un accordo di ristrutturazione omologato (ex art. 57 CCII, che richiede 60% dei crediti), ma comunque la gran parte dei creditori è d’accordo: si può formalizzare privatamente l’intesa e ottenere comunque protezioni giuridiche significative.

Soluzioni per le imprese minori (sotto-soglia):
Le imprese piccolissime hanno a disposizione varianti semplificate degli esiti, per tener conto che potrebbero non avere organi di controllo né poter accedere ad esempio agli accordi di ristrutturazione formali:

a) Contratto con continuità aziendale (privo di effetti verso terzi). Qui si intende un accordo raggiunto con alcuni creditori che consenta all’impresa minore di proseguire l’attività, ma che non viene pubblicato né formalizzato in modo da avere efficacia verso i non aderenti. È un gentlemen’s agreement che però se funziona salva l’azienda.

b) Convenzione di moratoria ex art. 62 (applicabile anche a PMI, non solo grandi, se banche coinvolte).

c) Accordo sottoscritto da imprenditore, creditori e esperto, con pubblicazione. Anche per le imprese minori, se pubblicano l’accordo con l’attestazione dell’esperto, scatta l’agevolazione fiscale prevista: in particolare, l’art. 23 co.1 lett. c) per minori prevede che la pubblicazione dell’accordo consente la fruizione delle agevolazioni fiscali ex art. 88 co.4-ter e 101 co.5 TUIR (sopravvenienze attive esenti e perdite deducibili). Quindi anche il piccolo imprenditore può far valere i benefici fiscali di un piano attestato se segue questa procedura.

Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio: Se nessuna delle soluzioni di cui sopra è praticabile – in altre parole, se la composizione negoziata non porta a un accordo che salvi l’azienda come going concern – resta aperta per il debitore una soluzione residuale: proporre entro 60 giorni dalla chiusura delle trattative un concordato semplificato liquidatorio (art. 25-sexies CCII). Questo concordato, introdotto in via transitoria dal D.L. 118/2021 e poi trasfuso a regime, consente di chiedere al tribunale l’omologazione di un piano di liquidazione dei beni senza il voto dei creditori. I creditori possono solo fare opposizione all’omologa, ma non votano. Tuttavia, il concordato semplificato è ammesso solo se l’esperto nella relazione finale dichiara espressamente che non sono praticabili soluzioni migliori (continuità o accordi). È quindi un rimedio di ultima istanza, da usare quando il risanamento è impossibile e l’alternativa sarebbe il fallimento puro e semplice.

Nel concordato semplificato, l’imprenditore propone come ripartire il ricavato della liquidazione ai creditori (nel rispetto delle cause di prelazione) e può anche prevedere la vendita dell’azienda in esercizio. Il tribunale valuta la fattibilità e la congruità dell’offerta ai creditori. La legge non impone percentuali minime di soddisfo per i chirografari (a differenza del concordato preventivo ordinario che chiede almeno 20%), ma la giurisprudenza ha chiarito che la proposta deve comunque garantire la par condicio e offrire ai creditori non garantiti qualcosa, sebbene simbolico, salvo che proprio non vi sia attivo. Ad esempio, proporre lo 0% ai chirografari con dati incompleti è motivo di diniego di omologa. Occorre una chiara tabella di riparto e la massimizzazione dell’attivo, altrimenti il tribunale rigetta.

Una peculiarità: durante il concordato semplificato, non si applicano automaticamente le misure protettive come nella CNC, perché, essendo procedura concorsuale, per bloccare azioni esecutive occorre richiedere misure cautelari ad hoc. Ciò è logico, in quanto il concordato semplificato arriva quando l’azienda spesso ha già cessato l’attività o sta per farlo.

Perché l’imprenditore dovrebbe attivare questo concordato? Perché gli consente di evitare il fallimento e ottenere un’esdebitazione più rapida alla fine, oltre a poter gestire la liquidazione in modo più controllato (ad es. scegliere il liquidatore, spesso se stesso, e vendere i beni a prezzi di mercato migliori di un’asta fallimentare). Dal punto di vista dei creditori, invece, non è sempre benvisto perché li esautora del voto; pertanto i tribunali sono piuttosto rigorosi nell’omologazione: la Corte d’Appello di Venezia in una recente decisione (28 marzo 2024) ha sottolineato che il concordato semplificato va ammesso solo quando è dimostrato che nessuna soluzione alternativa (anche liquidatoria concordataria ordinaria) era praticabile, e che vanno rispettate le regole di regolarità formale in modo stringente.

In breve, il concordato semplificato è un’opportunità per il debitore onesto ma sfortunato che, pur non potendo salvare l’impresa, vuole chiudere la vicenda evitando le lungaggini del fallimento e magari salvaguardando alcune ragioni (ad es. vendere l’azienda a qualcuno che continui l’attività, se possibile). È un istituto ancora poco applicato ma di grande interesse, che rappresenta il “piano B” dopo il fallimento della composizione negoziata.

Chiusura senza accordo: Se la composizione negoziata si conclude senza un accordo e l’imprenditore non attiva neanche il concordato semplificato, resteranno aperte le strade ordinarie: i creditori potrebbero presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) oppure l’imprenditore stesso potrebbe ricorrere ad un concordato preventivo tradizionale o ad un accordo di ristrutturazione omologato (se nel frattempo ha raccolto adesioni sufficienti). L’esito negativo delle trattative viene comunque formalizzato nella relazione finale dell’esperto, che è depositata nella piattaforma e comunicata all’imprenditore e, su richiesta, al Tribunale. Non c’è un obbligo di comunicazione automatica al tribunale in caso di esito negativo (salvo situazioni di insolvenza irreversibile conclamata, in cui l’esperto potrebbe sollecitare il debitore a farlo). Tuttavia, l’impresa rimane esposta alle azioni esecutive e concorsuali dei creditori.

È importante sottolineare che, dal punto di vista del debitore, anche tentare la composizione negoziata senza successo può avere effetti positivi: se dimostra di aver cooperato e di aver cercato un accordo, questo comportamento virtuoso potrebbe essere considerato a suo favore in seguito (ad esempio nel giudizio di colpevolezza del dissesto o nella concessione dell’esdebitazione, dato che il CCII premia il debitore che ha tentato di evitare il fallimento). Inoltre, i documenti raccolti e l’analisi svolta con l’esperto possono tornare utili per preparare un eventuale concordato preventivo successivo in modo più rapido. Dunque, per il debitore vale quasi sempre la pena provare la via negoziata prima di arrendersi.

3.6 Le misure premiali per il debitore virtuoso (art. 25-bis CCII)

Uno degli aspetti innovativi e favorevoli per il debitore che accede alla composizione negoziata è il pacchetto di misure premiali previste dall’art. 25-bis CCII, principalmente di natura fiscale. Come anticipato, lo scopo di tali misure è incentivare l’impresa ad attivarsi tempestivamente offrendo concreti sconti o benefici se la procedura ha esito positivo. Approfondiamo il contenuto di queste premialità:

Riduzione degli interessi al tasso legale – Dal giorno della pubblicazione dell’istanza di nomina dell’esperto, gli interessi che maturano sui debiti tributari dell’impresa sono dovuti solo nella misura del tasso di interesse legale (attualmente fissato annualmente, e di solito inferiore al tasso di mora fiscale). Normalmente, i debiti fiscali come IVA o imposte accertate in ritardo maturano interessi di mora elevati (intorno al 4-6% annuo). Grazie a questa misura, durante la composizione negoziata (e fino alla sua conclusione) tali interessi “corrono” ad un tasso ridotto – quello legale (es. 1,25% annuo nel 2021, 5% nel 2023, variato di recente). Ciò può comportare un risparmio significativo soprattutto se la procedura dura vari mesi e l’azienda aveva grossi debiti fiscali su cui altrimenti sarebbero maturati interessi di mora ben più alti. Ad esempio, su un debito IVA di €100.000, 6 mesi di interessi legali al 5% annuo sono circa €2.500, mentre a tasso di mora (poniamo 6%) sarebbero €3.000: un piccolo risparmio. Su importi maggiori e tempi più lunghi, il beneficio cresce. Questa riduzione si applica erga omnes su tutti i debiti tributari dell’impresa sorti prima del deposito dell’istanza, ma solamente per gli interessi maturati dopo l’istanza stessa. Quelli già maturati restano dovuti.

Riduzione delle sanzioni al minimo edittale – Le sanzioni tributarie relative ai debiti fiscali dell’impresa sono ridotte alla misura minima prevista dalla legge. In campo fiscale, molte sanzioni (ad es. omesso versamento IVA) hanno un range minimo-massimo (es. dal 30% al 100% dell’imposta). Applicare il minimum edittale significa addebitare solo la percentuale più bassa. Inoltre, se già erano state irrogate sanzioni in misura superiore, queste vengono ricalcolate al ribasso. Questo vale per le sanzioni sui debiti anteriori alla composizione. Non solo: per i debiti tributari oggetto dell’accordo di composizione, è prevista un’ulteriore riduzione del 50% delle sanzioni (e anche degli interessi). In pratica, se un certo debito fiscale (nato prima dell’istanza) rientra nell’accordo con l’Erario, sanzioni e interessi dovuti su di esso vengono dimezzati. Si tratta di un bonus rilevante: un’impresa che avesse €50.000 di IVA non versata, con sanzione 30% (€15.000) e interessi ipotetici €3.000, beneficerebbe prima della riduzione sanzione al minimo (comunque 30%) e poi del taglio a metà: pagherebbe €7.500 di sanzione anziché 15.000 e €1.500 di interessi invece di 3.000. Totale risparmio €9.000 (60% in meno sulle penalità). Naturalmente, per godere di questo dimezzamento occorre che la crisi si risolva con un accordo: infatti l’art. 25-bis collega questa misura all’esito (co.3). Se la trattativa non produce soluzione, le sanzioni restano al minimo ma non dimezzate.

Va menzionato che esiste una clausola di decadenza: se l’impresa non rispetta gli accordi fiscali presi (es. non paga una rata del piano di dilazione concesso), decade dai benefici premiali relativi a interessi e sanzioni. Ciò significa che tornerebbero dovuti per intero. Quindi è un incentivo ma anche un monito: una volta ottenuto lo sconto, bisogna onorare gli impegni per non perderlo.

Dilazione straordinaria dei debiti tributari (fino a 120 rate) – L’Agenzia delle Entrate, su richiesta dell’imprenditore in composizione negoziata, deve concedere un piano di rateazione fino a 72 rate mensili (6 anni) dei debiti tributari non ancora iscritti a ruolo. Questa è una norma imperativa: se l’impresa è in temporanea difficoltà, il Fisco non può rifiutare una dilazione ragionevole del pagamento delle imposte dovute (IVA, ritenute, IRES, IRAP) che non siano ancora andate a cartella. Inoltre, grazie al correttivo 2024, in casi di grave difficoltà, il piano può essere esteso fino a 120 rate mensili (10 anni). La differenza tra 72 e 120 rate è rilevante: quest’ultimo è riservato a situazioni molto critiche (serve dimostrare che l’azienda è in grave e non temporanea difficoltà), ma consente di spalmare il debito su un arco quasi doppio, riducendo l’esborso mensile. Per esempio, un debito di €240.000 in 72 rate sarebbero €3.333/mese, in 120 rate diventano €2.000/mese – un alleggerimento fondamentale per la tesoreria. La legge prevede che la domanda di rateazione debba essere presentata entro 60 giorni dall’istanza di composizione e l’Agenzia deciderà sulle condizioni di difficoltà (temporanea vs grave) per determinare la durata. Questo strumento, simile a una “maxi-rateazione”, è molto attraente per l’imprenditore perché normalmente ottenere 10 anni di tempo per debiti fiscali è impossibile (se non versando garanzie, ecc.). Con la composizione negoziata, invece, il Fisco collabora diluendo i pagamenti e rinunciando a una parte di interessi/sanzioni. Ovviamente, le rate vanno poi pagate puntualmente: in caso di inadempimento, si decade dal beneficio e l’intero debito residuo torna esigibile immediatamente con sanzioni piene.

Agevolazioni fiscali sulle sopravvenienze attive e sulle perdite dei creditori – Questa è una misura di favore rivolta sia all’impresa debitrice sia ai creditori. In caso di esito positivo della composizione negoziata con un accordo contrattuale o un piano attestato pubblicato (art. 23 co.1 lett. a) o c)), si applicano al risultato le agevolazioni fiscali previste dall’art. 88 co.4-ter e dall’art. 101 co.5 del TUIR. Cosa sono?

  • L’art. 88 comma 4-ter TUIR stabilisce che le sopravvenienze attive derivanti da riduzione dei debiti dell’impresa in crisi in sede di accordo di ristrutturazione omologato o piano attestato non concorrono a formare il reddito imponibile. In altre parole, se grazie all’accordo l’azienda ottiene uno stralcio di debiti (ad es. le banche rinunciano al 30% del credito), il “guadagno” contabile che appare nel bilancio come sopravvenienza da riduzione debiti non viene tassato come ricavo. Normalmente, cancellare un debito sarebbe un provento tassabile, ma il fisco rinuncia a tassarlo per favorire il risanamento. La condizione nel contesto della composizione negoziata è che l’accordo concluso venga pubblicato nel Registro Imprese – ciò equipara quell’accordo a un piano attestato di risanamento ufficiale.
  • L’art. 101 comma 5 TUIR consente ai creditori che subiscono perdite su crediti nell’ambito di un accordo di ristrutturazione o piano attestato di dedurre fiscalmente tali perdite. Quindi, se la banca accetta 70 su 100 di credito e perde 30, potrà dedurre quel 30 dalla sua base imponibile ai fini IRES (risparmiando imposte), come se fosse una normale perdita su crediti certa e definitiva. Questo incentivo fiscale per i creditori è molto importante per convincerli ad aderire: sanno che la parte sacrificata del loro credito non avrà almeno impatto fiscale (non dovranno pagarci tasse come se fosse profitto, anzi riduce l’utile tassabile). Anche qui è necessario che l’accordo sia pubblicato con attestazione dell’esperto per certificare che rientra nella fattispecie agevolata.

Queste agevolazioni esistevano già per concordati e accordi omologati; la novità è la loro estensione alle soluzioni “in esito” alla composizione negoziata, pur senza omologa formale. In sostanza, il legislatore ha voluto che un accordo privato ma monitorato dall’esperto avesse dignità fiscale pari a un concordato giudiziale: niente tasse sui tagli di debito per il debitore e deducibilità per i creditori. È un forte segnale di sostegno pubblico alle ristrutturazioni volontarie.

Sintesi delle misure premiali fiscali (art. 25-bis CCII)

Misura premialeDescrizione
Interessi al tasso legaleGli interessi maturati dopo l’istanza sui debiti fiscali sono calcolati al solo tasso legale (non al tasso di mora).
Sanzioni tributarie al minimoLe sanzioni su imposte non pagate sono ridotte al minimo edittale previsto dalla legge.
-50% sanzioni e interessi su debiti anterioriSanzioni e interessi relativi ai debiti tributari sorti prima dell’istanza sono ulteriormente ridotti alla metà, se tali debiti sono oggetto di un accordo concluso in esito positivo alla composizione.
Rateazione straordinaria fino a 72/120 rateL’Agenzia Entrate concede un piano di dilazione fino a 6 anni (72 rate) sui debiti fiscali non iscritti a ruolo; in casi di grave difficoltà, estensibile a 10 anni (120 rate).
Sopravvenienze attive esentiLe riduzioni di debito ottenute con contratti/accordi finali non sono tassate come ricavi (art. 88 co.4-ter TUIR).
Perdite su crediti deducibiliI creditori possono dedurre le perdite su crediti derivanti da accordi di ristrutturazione conclusi in esito alla CNC (art. 101 co.5 TUIR).

Oltre a queste misure codificate, esistono altre premialità indirette:

  • Il già citato trattamento premiale penale: l’art. 324 CCII esclude la punibilità per bancarotta semplice e preferenziale di pagamenti e operazioni compiute in un tentativo di risanamento andato a buon fine. Questo non è specifico solo della composizione negoziata (vale anche per concordati e accordi), ma rientra nell’idea di fondo che il debitore virtuoso non va punito. Nel contesto della CNC, se essa sfocia in un accordo o in un concordato omologato, atti altrimenti rischiosi (pagare selettivamente alcuni fornitori durante la crisi, ottenere finanziamenti garantiti ecc.) non potranno essere perseguiti come reati di bancarotta preferenziale.
  • Un eventuale attenuazione della responsabilità civile: come già accennato, un amministratore che attiva per tempo la CNC potrebbe vedere riconosciuto, in sede di giudizio di responsabilità per aggravamento del dissesto, di aver fatto il possibile e quindi evitare condanne. Non è un automatismo, ma è ragionevole che un giudice valuti diversamente chi ha agito con l’aiuto di un esperto e magari ha ridotto le perdite rispetto a chi ha lasciato marcire la situazione. Anche sul piano dell’esdebitazione personale dell’imprenditore insolvente, aver tentato la CNC denota quella meritevolezza che è requisito per la liberazione dei debiti residui.
  • Premialità per l’esperto (curiosità): la legge prevede che se la composizione negoziata si conclude con successo (accordo, contratto o convenzione che salva l’impresa), il compenso dell’esperto raddoppia rispetto a quello base. Questo chiaramente non è un vantaggio per il debitore (che dovrà pagarlo), ma è concepito per incentivare l’impegno dell’esperto nel trovare soluzioni. In ogni caso, i compensi dell’esperto sono predeterminati per scaglioni di attivo e moderati (min €4.000, max €400.000), tenendo conto anche del numero di creditori coinvolti. Il raddoppio scatta pure se, fallito l’accordo, si approda comunque a un concordato o accordo omologato, a evidenziare che l’esperto è stato utile nel traghettare verso una soluzione giudiziale.

Decadenza dai benefici: come già accennato, l’art. 25-bis co.6 stabilisce che se l’imprenditore non esegue gli accordi presi (ad esempio, salta pagamenti delle rate fiscali o non rispetta i termini verso creditori) e la procedura finisce in liquidazione giudiziale, egli perde i benefici sugli interessi e sanzioni. Cioè, in sede fallimentare l’Erario tornerà a insinuare l’intero ammontare come se lo sconto non ci fosse mai stato. Questo per evitare abusi: uno potrebbe essere tentato di avviare la CNC solo per congelare sanzioni e prendere tempo, senza vera intenzione di risanare. La legge quindi condiziona la definitività di quei vantaggi all’effettivo buon esito, un po’ come dire: “ti riduco il carico fiscale se ti salvi; se poi fallisci comunque, recupero il dovuto completo”.

Tuttavia, la decadenza riguarda i benefici di cui ai commi 1 e 2 (interessi legali e sanzioni minime), mentre sul dimezzamento (comma 3) la norma tace: la dottrina si è interrogata se, in caso di fallimento post-accordo, il Fisco possa ripristinare le sanzioni dimezzate. Probabilmente no, perché quel dimezzamento si consolida a seguito dell’accordo stesso (che magari è stato parzialmente eseguito).

In conclusione, le misure premiali sono uno degli elementi più qualificanti e “convenienti” per il debitore. Rendono la composizione negoziata una sorta di “concordato light” dove però il Fisco fa più concessioni di quante ne farebbe in sede giudiziale (si pensi che in un concordato preventivo ordinario, senza transazione fiscale, l’IVA non potrebbe essere falcidiata affatto, mentre qui nei fatti si può dimezzare la componente sanzionatoria e dilazionare). Non a caso la dottrina ha definito questo sistema un “incentivo all’emersione spontanea” della crisi: l’imprenditore è invogliato a non nascondere i problemi, perché se li affronta ha davanti a sé un percorso facilitato e meno oneroso.

4. Domande frequenti (FAQ) sulla composizione negoziata e le misure premiali

In questa sezione presentiamo una serie di domande e risposte ricorrenti da parte di imprenditori e professionisti interessati alla composizione negoziata, sintetizzando quanto spiegato sinora in forma di quesiti pratici.

D1: Chi può accedere alla composizione negoziata?
R: Tutte le imprese iscritte al Registro Imprese (società di capitali, di persone, imprese individuali commerciali o agricole) che si trovino in condizioni di squilibrio o di crisi, escluse soltanto le grandi imprese soggette a procedure speciali (es. banche, assicurazioni). Non sono previsti requisiti dimensionali minimi: anche una piccola s.r.l. o un imprenditore agricolo possono attivare la procedura. Per le imprese “sotto soglia” (attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k) la procedura è semplificata, ma comunque accessibile. È importante però che vi sia una prospettiva di risanamento: se l’impresa è ormai decotta senza alcuna chance, l’esperto potrà solo prenderne atto e la procedura finirà presto.

D2: In quali casi è consigliabile attivarla?
R: Appena emergono segnali di crisi significativi: tensioni di liquidità persistenti, ritardi nei pagamenti ai fornitori o nel versamento di IVA e contributi, perdite rilevanti in bilancio, indicatori come DSCR < 1, patrimonio netto in forte calo. Attendere troppo può far perdere la fiducia dei creditori e ridurre le opzioni di risanamento. Anche se l’impresa è già formalmente insolvente (alcuni debiti scaduti non pagati), può valere la pena tentare la composizione negoziata se esiste un nucleo di attività sano da salvare (ad es. ordini in portafoglio, mercato promettente) e se i creditori chiave mostrano apertura al dialogo. In generale, prima si agisce meglio è – la procedura è stata pensata proprio per affrontare la crisi “quando è ancora possibile salvare l’azienda” e prima che scattino azioni legali irreversibili. Non c’è un momento “troppo presto”: anche un’impresa che prevede di non poter rispettare scadenze tra 6 mesi può legittimamente attivarla per giocare d’anticipo.

D3: Come si presenta la domanda e quali documenti servono?
R: La domanda si presenta online, sulla piattaforma di composizione negoziata (gestita da Unioncamere). Occorre autenticarsi con firma digitale e compilare l’istanza, allegando: ultimi bilanci depositati (o documentazione contabile equipollente), situazione patrimoniale e finanziaria recente, elenco completo dei creditori (con importi e scadenze), una relazione sulle cause della crisi e sulle prospettive di risanamento, eventuali piani o proiezioni finanziarie, documenti fiscali (certificati debiti tributari e contributivi) e ogni altro elemento utile. È fortemente consigliato farsi assistere dal proprio commercialista e da un legale nella predisposizione di questa documentazione, per assicurare completezza e correttezza. La mancanza di documenti può portare il tribunale a chiedere integrazioni e far perdere tempo prezioso. Contestualmente, si può chiedere l’attivazione delle misure protettive (blocco azioni) già nell’istanza. Il costo iniziale è modesto: €268 tra diritti e bolli. Una volta inviata, la domanda viene inoltrata subito alla CCIAA competente e in pochi giorni avviene la nomina dell’esperto.

D4: Serve un avvocato obbligatoriamente?
R: No, la legge non impone l’assistenza legale obbligatoria per questa procedura. L’imprenditore può teoricamente fare da sé. Tuttavia è altamente raccomandabile farsi affiancare da un avvocato esperto di crisi d’impresa e da un professionista contabile/finanziario. Ci sono scelte strategiche da compiere sin dall’istanza (ad esempio quali misure protettive chiedere, come presentare il piano) che beneficiano dell’esperienza di professionisti. Inoltre, durante le trattative con banche e creditori, avere consulenti è fondamentale per valutare proposte, redigere accordi, garantire il rispetto delle norme (es. transazione fiscale). Anche l’esperto nominato potrebbe interfacciarsi meglio se c’è un advisor che parla il suo linguaggio tecnico. In sintesi: non è obbligatorio, ma un imprenditore che intraprende da solo la composizione negoziata rischia di non sfruttarla appieno o commettere errori, specie se non ha una struttura organizzata interna.

D5: Cosa comporta la nomina dell’esperto? Perdo il controllo dell’azienda?
R: No, l’imprenditore mantiene la gestione dell’azienda in tutta la composizione negoziata. L’esperto nominato non è un commissario: non può amministrare né vincolare l’azienda. Egli ha un ruolo di facilitatore e supervisore, ma le decisioni imprenditoriali restano in capo al debitore. L’esperto guiderà le trattative, chiederà informazioni, darà suggerimenti, ma non può ad esempio firmare contratti al posto dell’imprenditore o obbligarlo a sottoscrivere un accordo non voluto. In caso di dissenso su come procedere, l’esperto potrà eventualmente dimettersi o segnalare al tribunale situazioni critiche, ma il potere decisionale sulla gestione (compresi pagamenti da fare, ordini da accettare, ecc.) rimane all’organo amministrativo dell’impresa. Questo è un aspetto rassicurante per molti imprenditori: a differenza del fallimento o dell’amministrazione straordinaria, qui non arriva nessuno a “espropriarli” dell’azienda. Naturalmente, mantenere il controllo significa anche assumersi la responsabilità di rispettare gli impegni presi durante la procedura e di agire con correttezza (sotto lo sguardo attento dell’esperto e dei creditori).

D6: I creditori sono obbligati a partecipare? E se qualcuno si rifiuta?
R: La composizione negoziata è volontaria per tutte le parti. I creditori non sono obbligati a sedersi al tavolo, né tantomeno a concedere sconti o dilazioni. Tuttavia, l’attivazione della procedura e, se richieste, delle misure protettive, crea un contesto in cui i creditori hanno convenienza a partecipare: se le azioni esecutive sono sospese, l’unico modo per recuperare qualcosa è trattare con il debitore. In genere, i principali creditori (banche, fornitori strategici) comprendono che la negoziazione è preferibile a fare muro contro muro – anche perché se la procedura fallisce, la probabile alternativa è il fallimento del debitore, scenario in cui spesso i creditori recuperano meno. Nulla toglie però che qualche creditore possa tenere un atteggiamento ostile o disinteressato. L’esperto cercherà di coinvolgere tutti in modo trasparente; se un creditore rifiuta il dialogo, si terrà conto della sua posizione separatamente. Ad esempio, se il 90% dei creditori è disposto a una certa ristrutturazione e uno no, si potrà comunque definire un accordo per il 90% e gestire il dissenziente a parte (magari soddisfacendolo integralmente se di importo minore, oppure prevedendo di crammdownarlo con una procedura formale successiva). In poche parole, l’unanimità non è necessaria, anche se auspicabile. La legge prevede strumenti (es. convenzioni di moratoria, accordi ex art. 23 lett.c con efficacia protettiva) per cui la manciata di creditori non cooperativi possa essere neutralizzata. Certo, se la maggioranza dei creditori si rifiuta di negoziare, la composizione negoziata difficilmente raggiungerà un accordo e andrà verso la liquidazione.

D7: La procedura è pubblica? La mia crisi diventerà di dominio pubblico?
R: Nella fase iniziale, la procedura può rimanere riservata. Se non si richiedono misure protettive, la nomina dell’esperto non viene iscritta nel Registro Imprese e quindi non c’è pubblicità verso l’esterno. Le trattative avvengono in modo confidenziale tra le parti coinvolte (tipicamente i creditori convocati sanno, ma terzi no). Soltanto nel caso in cui chiedi il blocco delle azioni esecutive (misure protettive), la legge richiede la pubblicazione dell’istanza e dell’accettazione dell’esperto perché tutti i potenziali creditori devono sapere della protezione erga omnes. In quel caso, l’annotazione su Registro Imprese rende conoscibile che l’azienda è in composizione negoziata. Tuttavia, a differenza di un fallimento o concordato, ciò non comporta un fatto così stigmatizzante: spesso viene visto come un segnale che l’azienda sta cercando di risanarsi e potrebbe anche rassicurare alcuni (es. enti pubblici e fornitori vedono che c’è un professionista terzo nominato). Inoltre, la pubblicità è limitata: appare una nota nel cassetto fiscale/registro; non c’è una sentenza o un’informativa sui giornali a meno che i creditori stessi non la diffondano. Dunque, c’è un certo grado di discrezione. Molti imprenditori iniziano la procedura senza misure protettive per sondare i creditori in modo riservato, e poi eventualmente attivano lo “scudo” solo se necessario. Ovviamente, se l’esito è un accordo che prevede la pubblicazione per i benefici fiscali, alla fine bisognerà iscrivere l’accordo stesso. Ma a quel punto sarà un’informazione positiva (impresa risanata con accordo X). In sintesi: la CNC nasce come strumento confidenziale, e la pubblicità interviene solo quando serve e nei limiti necessari.

D8: Posso continuare l’attività normalmente durante la procedura?
R: Sì, l’impresa prosegue la sua attività ordinaria durante la composizione negoziata. Gli amministratori restano in carica e possono compiere gli atti di gestione correnti (acquisti, vendite, produzione, pagamento stipendi etc.). Le eventuali limitazioni riguardano gli atti straordinari: in teoria l’imprenditore potrebbe anche compierli liberamente, ma è consigliato farlo con il consenso dell’esperto e (se di grande rilievo) con l’autorizzazione del tribunale, per evitare contestazioni. Ad esempio, se volessi vendere un macchinario importante durante le trattative, è prudente coinvolgere l’esperto e magari farsi autorizzare per assicurarsi di ottenere il giusto prezzo e di non incorrere in possibili revocatorie. Ma quanto all’operatività quotidiana, nulla vieta di proseguire i contratti in essere, acquisire nuovi ordini, fare investimenti di routine. Anzi, mantenere la continuità è spesso cruciale per il successo del risanamento (bisogna evitare il “fermo” dell’attività che farebbe crollare le prospettive). Le misure protettive non impediscono all’imprenditore di effettuare pagamenti, incassare crediti, rifornirsi: bloccano solo le azioni dei creditori per recuperare forzosamente i loro crediti. Dunque, l’azienda può e deve operare, cercando però di non aggravare la sua esposizione (ad esempio, evitando di contrarre nuovi debiti se non sostenibili). Durante le trattative, spesso l’esperto imposta anche azioni di risanamento in itinere: ad esempio riduzione di costi, dismissione di rami inefficienti, cassa integrazione per alleggerire il personale, ecc. Tutte cose che l’imprenditore può fare di propria iniziativa, informandone l’esperto e concordandole con i creditori quando necessario (se vendi un asset su cui un creditore aveva garanzia, servirà il suo assenso o la surroga su altri beni).

D9: Cosa succede se l’impresa peggiora la sua situazione durante la CNC?
R: Può capitare che, nonostante la procedura avviata, l’andamento aziendale peggiori (es. saltano delle commesse, i risultati sono sotto le attese). Se questo peggioramento è tale da far diventare irrealistico un risanamento, l’esperto potrebbe decidere di interrompere anticipatamente la composizione negoziata, segnalando che non ci sono più prospettive. Ad esempio, se nel corso dei mesi l’azienda diventa incapace di pagare forniture essenziali e la produzione si ferma, l’esperto nella sua relazione periodica lo evidenzierà e potrà spingere per chiudere la procedura e far ricorrere l’impresa a un concordato o alla liquidazione. Se invece il peggioramento è temporaneo o gestibile, si può proseguire magari aggiustando il piano. Il CCII consente la proroga fino a 12 mesi totali, ma non oltre, quindi se dopo 12 mesi la situazione è ancora negativa e nessun accordo raggiunto, si deve chiudere. In pratica, se l’impresa peggiora, due scenari: (a) si passa ad altro strumento – l’imprenditore può depositare un ricorso per concordato preventivo “classico” in bianco, oppure chiedere direttamente il concordato semplificato liquidatorio entro 60 giorni (se proprio non c’è altra via); (b) l’impresa viene portata in liquidazione giudiziale da un creditore o d’ufficio se insolvente. Va ricordato però che finché è in corso la CNC con misure protettive, per legge non si possono dichiarare procedure concorsuali sul debitore. Quindi, se il peggioramento avviene ma formalmente la procedura è aperta, i creditori non possono chiederne il fallimento immediato. Dovranno attendere la chiusura o revoca delle misure. Un’eccessiva deriva peggiorativa senza azioni correttive può portare il tribunale, su istanza ad esempio di creditori, a revocare le misure protettive (ad es. se vede che l’impresa le sta usando solo per ritardare l’inevitabile). In tal caso i creditori tornerebbero liberi di agire e quasi certamente partirebbe un’istanza di liquidazione giudiziale. Insomma: la CNC offre un tempo limitato di protezione, ma se la barca continua ad affondare, bisogna evacuare verso procedure concorsuali ordinate.

D10: Quali sono i principali vantaggi concreti per l’imprenditore?
R: Riassumendo i vantaggi chiave dal punto di vista del debitore: (1) Sospensione delle azioni esecutive dei creditori – cioè tempo e respiro per negoziare senza subire pignoramenti e assedi. (2) Mantenimento della gestione dell’impresa, senza commissari esterni – l’imprenditore resta “al comando” (sotto supervisione) e può puntare alla continuità aziendale invece di subire una liquidazione forzata. (3) Incentivi fiscali e normativi: riduzione di interessi e sanzioni sui debiti fiscali, piani di rientro molto lunghi col Fisco, esenzione tasse su eventuali tagli di debito ottenuti, possibilità di deduzione perdite per i creditori (che li rende più ben disposti). (4) Costi contenuti: la procedura di per sé costa poco (qualche centinaio di euro all’avvio, più il compenso dell’esperto finale, che comunque è spesso molto inferiore ai costi di un lungo concordato con commissari e professionisti multipli). (5) Flessibilità nelle soluzioni: si può trovare qualsiasi tipo di accordo ritagliato su misura (dal semplice allungamento dei debiti, alla conversione di crediti in quote, all’ingresso di nuovi soci, ecc.), senza dover rispettare rigidamente le regole di un concordato formale. (6) Minor stigma e pubblicità: come detto, è una gestione in bonis e riservata, quindi l’azienda può continuare a lavorare sul mercato senza subire il marchio di “fallita” o “in concordato” (che spesso spaventa clienti e fornitori). (7) Protezione da revocatorie e da responsabilità: se l’accordo riesce, i pagamenti fatti in esecuzione non saranno revocabili; inoltre l’imprenditore evita di incorrere in possibili accuse di ritardo colpevole, e sul penale riduce il rischio di incriminazioni per bancarotta semplice/preferenziale in caso di successivo default. In una parola, la composizione negoziata offre l’opportunità di un “salvataggio guidato” dell’azienda, con lo Stato che mette a disposizione un facilitatore e vari sconti, piuttosto che punire immediatamente l’insuccesso.

D11: E quali sono gli svantaggi o i limiti?
R: Non è una panacea universale. Limiti principali: (1) Non è coercitiva – se i creditori non vogliono accordarsi o chiedono condizioni troppo dure, l’imprenditore non può imporre loro nulla (a differenza di un concordato omologato dove il voto a maggioranza vincola tutti). Se c’è eccessiva frammentazione o conflittualità, la CNC può fallire. (2) Funziona solo se c’è ancora fattibilità aziendale – se l’impresa non ha alcuna prospettiva di generare utili o cassa neanche post-risanamento, difficilmente i creditori accetteranno perdite ulteriori per prolungarne l’agonia. In quei casi, meglio passare a una liquidazione ordinata. (3) Non c’è la moratoria generale dei pagamenti commerciali – l’imprenditore, a differenza del concordato, non ottiene un automatico stop ai pagamenti dovuti (solo un divieto per i creditori di pretendere coattivamente). Questo significa che se l’azienda ha fornitori critici da pagare cash on delivery, deve trovare liquidità per farlo durante la procedura, altrimenti rischia di paralizzarsi. Serve quindi un minimo di risorse per traghettare nei mesi della negoziazione (spesso si chiede nuovo finanziamento prededucibile a tal fine). (4) I tempi stretti: in massimo 6-12 mesi bisogna chiudere il cerchio. Può sembrare tanto, ma per ristrutturazioni complesse potrebbe essere poco. Alcune rinegoziazioni bancarie richiedono più di un anno; nel concordato non c’è un limite così breve. (5) Compenso dell’esperto: sebbene giustificato, è un costo che si aggiunge in un momento di difficoltà. E se la procedura produce un esito positivo, quel compenso raddoppia. L’impresa deve quindi mettere a budget qualche migliaio/migliaio di euro per pagare l’esperto al termine. (6) Possibile interferenza di creditori esterni: se hai molti creditori esteri o non soggetti alle leggi italiane, questi potrebbero comunque agire all’estero o ignorare la procedura (le misure protettive erga omnes valgono in Italia, ma non è detto che blocchino azioni su beni all’estero). (7) Infine, se l’impresa è molto grande e ha obbligazionisti, la CNC potrebbe non essere lo strumento adatto per gestire migliaia di creditori diffusi (in quei casi tipicamente si va su concordato preventivo o amministrazione straordinaria).

In generale però, per la maggioranza delle PMI italiane, tali limiti non superano i vantaggi. Infatti ad oggi la composizione negoziata è stata utilizzata soprattutto da società di piccola-media dimensione con un numero concentrato di creditori (banche, fornitori principali, Fisco), dove il dialogo è fattibile.

D12: Cosa succede se non si riesce a trovare un accordo?
R: Se la composizione negoziata non porta ad alcun esito entro la sua durata, l’esperto chiude l’incarico depositando una relazione finale che darà atto del fallimento delle trattative. A quel punto l’imprenditore ha alcune opzioni nell’immediato: può proporre il concordato semplificato (entro 60 giorni) per liquidare l’azienda evitando il fallimento; oppure può presentare un ricorso per concordato preventivo “ordinario” (magari in continuità se crede di poter riorganizzare via procedura giudiziale); oppure cercare un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (art. 57 CCII) se ha almeno il 60% di consensi da formalizzare con l’omologa tribunale. Se il debitore non fa nulla e permane insolvente, i creditori potranno a quel punto presentare istanza di liquidazione giudiziale (ex fallimento) e il tribunale probabilmente la accoglierà, tenendo conto anche del rapporto finale dell’esperto. In pratica, la fine senza accordo della CNC riporta tutti nello scenario consueto: creditori liberi di agire e necessità di una procedura concorsuale per governare la crisi. Tuttavia, l’impresa avrà beneficiato intanto di qualche mese di protezione in cui può aver, ad esempio, venduto scorte per ridurre debiti, o predisposto documentazione. E soprattutto, se poi si va in concordato o fallimento, l’avere tentato la CNC con trasparenza potrà evitare accuse di malafede o ritardo. Dunque, il “piano B” dopo la CNC c’è: il concordato semplificato se non c’è speranza di salvare l’azienda come attività in esercizio, altrimenti un concordato normale se invece serve più tempo per ristrutturarla ma con i poteri della procedura concorsuale (ad es. cram down delle minoranze dissenzienti).

D13: Il concordato semplificato conviene al debitore?
R: Sì, in termini relativi conviene perché è un’alternativa al fallimento con più controllo da parte del debitore. Il concordato semplificato permette di presentare una proposta di liquidazione dove il debitore può scegliere cosa vendere, come valorizzare i beni (anche con offerte già individuate) e che viene approvata dal tribunale se reputata migliore del fallimento per i creditori. Non c’è voto dei creditori, quindi non si rischia che uno o due creditori la blocchino: decide il giudice sull’effettiva convenienza e legalità. Per l’imprenditore, se è anche persona fisica garantisce di solito la esdebitazione rapida – tutti i debiti residui insoddisfatti vengono cancellati più velocemente rispetto a un fallimento, a patto di cooperare lealmente. E l’imprenditore evita l’infamia del fallimento (che ha con sé restrizioni, rischi penali, interdizioni). Chiaramente, è una resa: l’azienda viene liquidata. Ma se si è arrivati a quel punto, vuol dire che non c’erano alternative. Alcuni rischi: il tribunale può non omologarlo se la proposta è troppo ingiusta verso i creditori (es. non dà nulla ai chirografari pur potendo dare qualcosa). E se scopre che il debitore ha truccato le carte (ad es. nascosto attivo per non pagare i creditori), negherà l’omologa e a quel punto scatterà un fallimento pure con possibile accusa di atti in frode. Quindi va usato con serietà. In sostanza, dal punto di vista del debitore corretto, è uno strumento utile per chiudere dignitosamente un’attività non più risanabile, vendendo i beni a valori di mercato (meglio di aste al ribasso) e evitando la procedura fallimentare lunga.

D14: Quali sono i costi da sostenere nella composizione negoziata?
R: Oltre ai già citati €268 iniziali, i costi principali sono: (a) il compenso dell’esperto a fine procedura; (b) le spese dei propri professionisti (avvocato, consulente finanziario) che assistono l’impresa; (c) eventuali spese di giustizia se si fanno ricorsi al tribunale (es. contributo unificato per un’istanza cautelare, ma sono importi minori). Il compenso dell’esperto è stabilito per legge in percentuale sull’attivo dell’impresa e varia a scaglioni: indicativamente, per attivi piccoli (fino a €300k) sarà attorno a poche migliaia di euro; per attivi maggiori può crescere, ma come detto ha minimi e massimi (€4.000 min, €400.000 max). Se la procedura va a buon fine con accordo, l’esperto può chiedere il doppio di tale compenso. Ad esempio, per un’azienda con attivo €1 milione, il compenso base potrebbe stare attorno a €10-15k, raddoppiabili a €20-30k se successo. Ovviamente poi ci sono le parcelle dell’avvocato e commercialista dell’impresa, che dipendono dall’attività e dagli accordi col cliente. Molti lavorano a forfait per l’intera procedura. In ogni caso, comparando col costo di un lungo concordato preventivo (dove ci sono commissari, attestatori, avvocati, spese di procedura elevati), la composizione negoziata risulta meno costosa mediamente. Inoltre, un suo successo può evitare i ben più onerosi costi indiretti di un fallimento (smobilizzo forzoso a valori bassi, perdita di avviamento, ecc.). C’è anche la possibilità di chiedere un finanziamento per pagare questi costi e altre esigenze, finanziamento che, se autorizzato, sarà prededucibile. Alcune regioni hanno istituito fondi per supportare le imprese nelle spese di composizione negoziata (ad es. contributi a fondo perduto per pagare l’esperto): conviene informarsi a livello locale.

D15: Come viene trattato il debito con il Fisco e l’INPS nella composizione negoziata?
R: Il Fisco e gli enti previdenziali partecipano come creditori a tutti gli effetti, ma la legge ha previsto norme speciali per incentivarne la collaborazione. In particolare: l’impresa può chiedere un piano di rateazione fino a 6 o 10 anni per i debiti tributari correnti (IVA, ritenute, imposte) e l’Agenzia Entrate lo concederà se ci sono ragionevoli prospettive di pagamento. Per i debiti già a ruolo (cartelle) c’è comunque la possibilità di rateazione ordinaria con l’Agente Riscossione (fino 6 anni, estensibili a 10 in casi gravi). Sul fronte stralcio, attenzione: nella composizione negoziata non c’è la transazione fiscale formalizzata come nel concordato, quindi non è che in automatico si possano ridurre le somme dovute al Fisco in quota capitale – però, di fatto, combinando la riduzione sanzioni/interessi e la dilazione, il carico fiscale è alleggerito. Se poi l’accordo finale prevede un saldo e stralcio con l’Erario (es. l’impresa propone di pagare solo il 50% del dovuto per chiudere), tecnicamente quello accordo deve prendere la forma di un piano attestato o accordo art.182-ter L.F. (ora 63 CCII) a seconda dei casi. Diciamo che la CNC consente di negoziare informalmente anche col Fisco: magari l’Agenzia aderisce al piano attestato con stralcio di parte del debito, se ritiene che la liquidazione frutterebbe meno. Non è automatico come in concordato, ma l’esperto spesso funge da mediatore anche con l’Erario. L’INPS e altri enti di norma seguono le orme dell’Agenzia Entrate: applicano la riduzione sanzioni per legge, e possono concedere dilazioni su contributi omessi. Da notare che i debiti IVA e ritenute per principio non possono essere falcidiati nel concordato, mentre nel contesto della CNC qualche accordo transattivo extragiudiziale li può toccare (seppur formalmente si direbbe che viene condonato parte di sanzioni e interessi, lasciando intatto il capitale – questo per rispettare il principio dell’integrale pagamento IVA, almeno formalmente). In sintesi: il trattamento di Fisco e contributi nella CNC è favorevole all’impresa per via delle misure premiali e della flessibilità di accordo. L’importante è coinvolgere subito l’Agenzia e l’INPS nelle trattative, presentando proposte credibili e sostenibili. Essi valuteranno anche le cause del debito: se l’imprenditore ha evaso fraudolentemente potrebbero essere più rigidi; se invece è crisi di liquidità genuina, spesso accettano piani di rientro lunghi pur di massimizzare il recupero.

D16: Ci sono rischi di azioni legali durante la procedura? Ad esempio un creditore può comunque presentare istanza di fallimento?
R: Finché le misure protettive sono attive e confermate, nessun creditore può iniziare o proseguire azioni esecutive presentare ricorso per la liquidazione giudiziale (poiché sarebbe considerato in contrasto con la pendenza delle trattative). Se qualche creditore tentasse comunque un’azione, ad esempio depositasse un’istanza di fallimento, il tribunale dovrebbe sospenderla fino alla fine della composizione (di fatto l’art. 20 CCII prevede l’improcedibilità temporanea). Ci sono stati casi di creditori che hanno provato ad aggirare la cosa sostenendo che il debito non era soggetto a misure protettive: i tribunali hanno dichiarato incompetenza o improcedibilità, rinviando ogni decisione a dopo. Quindi l’impresa, con lo scudo protettivo, è al riparo dai fallimenti a sorpresa. Se però l’impresa non chiede le misure protettive (scegliendo la via riservata), rimane esposta: un creditore, se viene a sapere ugualmente della crisi o comunque per altre vie, potrebbe presentare istanza di fallimento. In tal caso l’imprenditore può sempre correre ai ripari dopo, chiedendo le misure protettive urgenti al tribunale e facendo sospendere la dichiarazione. Ma è un rischio: per questo, nella maggioranza dei casi, i debitori chiedono la protezione immediata per congelare anche le procedure concorsuali avverse. Per il resto, eventuali cause civili pendenti (es. cause di risarcimento) non vengono automaticamene sospese salvo che rientrino tra quelle cautelari/esecutive. Ma l’imprenditore potrebbe valutare col proprio legale di chiedere una sospensione in via di fatto se in corso di composizione. In generale però, la protezione del Codice è molto focalizzata su esecuzioni e prelazioni: blocca pignoramenti, sequestri, iscrizioni ipotecarie. Non blocca processi di cognizione (cause ordinarie). Se c’è una causa in corso su un credito, quella può andare avanti fino a sentenza eventualmente, ma il creditore poi non potrà eseguirla. Spesso, comunque, se le parti entrano in CNC sospendono consensualmente le liti in corso per trattare.

D17: Dopo la conclusione, posso utilizzare di nuovo la composizione negoziata in futuro?
R: In teoria sì, ma con qualche riserva. La legge non vieta a un imprenditore di attivare la composizione negoziata più volte, anche a distanza di tempo ravvicinato, purché ovviamente vi siano di nuovo condizioni di crisi da gestire. Tuttavia, va considerato: se la prima volta è stata un insuccesso e l’azienda ne esce ancora in crisi, difficilmente i creditori avranno voglia di rifare lo stesso percorso poco dopo, a meno di cambiamenti sostanziali. Inoltre, se la composizione si chiude senza esito e l’impresa non viene dichiarata fallita né adottata altra procedura, un secondo tentativo potrebbe apparire come un abuso (usare la CNC per guadagnare tempo su tempo). Il tribunale vigilerebbe: ad esempio, potrebbe negare la concessione delle misure protettive la seconda volta se fiuta uno stratagemma dilatorio. Invece, se la prima CNC aveva avuto esito positivo, l’auspicio è che l’impresa sia risanata e non debba più ricorrervi; se a distanza di anni la crisi si ripresenta, nulla vieta di usare di nuovo lo strumento. Formalmente, quindi, non esiste un divieto di “reiterazione”, ma l’affidabilità dell’imprenditore è cruciale: già una volta i creditori hanno concesso fiducia, farlo ancora non è scontato. Dunque un imprenditore saggio cercherà di non sprecare la chance offerta dalla prima composizione negoziata, perché la seconda potrebbe non essergli di fatto concessa (per mancanza di collaborazione dei creditori o scetticismo del tribunale).

D18: Come vengono trattati soci e garanzie personali?
R: Durante la CNC, l’obiettivo è salvare l’impresa; per i soci non c’è un intervento diretto se non nella misura in cui possano contribuire al risanamento (ad es. con nuova finanza, garanzie, ecc.). La legge prevede però un meccanismo interessante: se per attuare un accordo i soci devono rinunciare a diritti (ad esempio azzerare capitale e fare spazio a nuovi soci, o conferire denaro), l’esperto può facilitare anche queste discussioni e il tribunale può autorizzare operazioni societarie necessarie (fusioni, aumenti di capitale) anche in deroga a regole statutarie, per favorire la ristrutturazione (questo rientra nei “strumenti di composizione della crisi: piano attestato, accordi, PRO” di cui la Relazione Cassazione parla). Le garanzie personali (fideiussioni dei soci o di terzi): la composizione negoziata di per sé non le tocca, nel senso che le misure protettive non si estendono ai garanti (il creditore potrebbe agire contro il fideiussore anche se non può agire contro la società). A meno che il tribunale, su istanza, emetta una misura cautelare ad hoc per estendere il divieto di esecuzione pure sui fideiussori, cosa che qualche tribunale ha fatto in analogia con l’art. 168 L.F. (che nel concordato non estende agli obbligati solidali, quindi non è scontato). Se l’accordo di ristrutturazione prevede sacrifici per i creditori, spesso i creditori chiedono che i garanti rimangano obbligati per la parte tagliata: starà alla trattativa decidere se la liberazione del debitore principale libera anche i garanti (in un concordato sì, qui è negoziato quindi va pattuìto). Diciamo che se un socio ha prestato fideiussione, è probabile che i creditori la useranno come leva per farsi pagare qualcosa in più. L’esperto dovrà gestire anche questo aspetto. Non c’è automatica shield per i garanti nella CNC, contrariamente a quanto avviene in certi ordinamenti in cui la moratoria copre pure i co-obbligati.

D19: In caso di accordo, i creditori dissenzienti possono attaccarlo dopo?
R: Se l’accordo è di natura privata (non omologato), un creditore che non vi ha aderito non è ovviamente vincolato e potrebbe, ad esempio, agire in via giudiziale per cercare di ottenere di più. Tuttavia, se quell’accordo rappresenta comunque la migliore proposta fattibile, il tribunale potrà eventualmente confermare un successivo concordato basato su di esso. Se invece la domanda intende: un creditore che ha aderito all’accordo può impugnarlo poi sostenendo che era invalido? In generale, l’accordo concluso in esito a CNC ha natura contrattuale ed è soggetto alle norme generali sui contratti. Se tutti hanno agito correttamente, non ci sono motivi di annullarlo. Potrebbe essere attaccato se viziato da dolo, errore, etc., ma è raro perché è frutto di lunghe negoziazioni spesso con assistenza legale. Con la pubblicazione al Registro, quell’accordo acquisisce anche pubblicità e opponibilità. Inoltre, ricordiamo, se è accordo ex art. 23 lett. c) con attestazione esperto, i pagamenti fatti secondo l’accordo non sono revocabili: quindi anche in caso di fallimento successivo, il curatore non può far invalidare quell’accordo per riprendersi i soldi. Questa è una forte stabilità. In un certo senso, l’accordo finale gode di una “quasi omologazione” indiretta, perché l’esperto l’ha attestato e il Registro l’ha pubblicato. Quindi il rischio di contestazioni postume è minimo, se ben costruito.

D20: Ci sono esempi di casi risolti con successo?
R: Sì, nei primi anni di applicazione ci sono stati molti casi positivi. Ad esempio, una PMI manifatturiera nel Nord Italia con calo di fatturato ha usato la composizione negoziata: l’esperto ha aiutato a predisporre un piano in cui due banche hanno accettato di allungare i mutui di 5 anni, alcuni fornitori hanno convertito parte del credito in capitale sociale diventando soci, i soci esistenti hanno immesso nuova finanza, il tutto portando l’azienda a recuperare liquidità. L’impresa ha potuto continuare la produzione, e il piano è riuscito; grazie alle misure premiali ha dilazionato i debiti IVA e si è liberata di varie sanzioni. Un altro esempio, nel settore retail: una catena locale di negozi, colpita dal lockdown Covid, ha negoziato con i proprietari dei locali una riduzione dei canoni d’affitto (grazie anche alla “moral suasion” dell’esperto e alla minaccia che altrimenti avrebbe chiuso i negozi lasciandoli sfitti) e con i fornitori una dilazione sui pagamenti; la combinazione di questi accordi ha permesso di superare la fase acuta e dopo un anno l’azienda è tornata a utili. Anche il concordato semplificato ha visto applicazioni: ad esempio il Tribunale di Milano nel 2022 ha omologato un concordato semplificato di un’impresa edile che dopo tentata CNC non aveva soluzioni – venduti i cantieri in corso ad altri costruttori e ripartito il ricavato, i creditori hanno preso qualcosa di più di quanto stimato in fallimento, quindi il giudice ha dato l’ok. Il massimario 2025 citava decine di pronunce su vari aspetti, segno che lo strumento è stato impiegato molte volte. In particolare, i tribunali di Milano, Roma, Napoli hanno fatto da apripista con diverse composizioni negoziate gestite a buon fine.

D21: Quali sono le ultime novità normative da tenere presenti (aggiornamento 2025)?
R: Le ultime novità importanti (aggiornate a giugno 2025) sono quelle introdotte dal Correttivo ter (D.Lgs. 136/2024):

  • Maggiore coinvolgimento del revisore nell’allerta: se la società ha un revisore legale, questo ora ha obbligo di segnalazione pari a quello dei sindaci. Ciò rafforza il sistema di rilevazione interna.
  • Estensione rate fino 120 mesi per debiti fiscali: come detto, ora c’è la possibilità delle 120 rate mensili in casi di grave difficoltà, misura inserita col Decreto PNRR e resa permanente dal correttivo.
  • Accordi di ristrutturazione agevolati: non trattati qui in dettaglio, ma vi è una nuova forma di accordo (cd. “accordo semplificato” art. 60 CCII) che richiede solo il 30% di adesioni, introdotta dal correttivo 2022 e completata dal 2024, che può integrarsi con la CNC come possibile outcome (questo per dire: se in CNC ottieni il sì di almeno il 30% dei creditori e la proposta è conveniente, potresti passare a un accordo ex art. 61 CCII chiedendo al giudice di estenderlo forzosamente ad altri con cram down erariale – ma è materia specialistica).
  • Procedimento unitario: dal 2022 è introdotto un iter unificato per chi propone più soluzioni (es. depositi domanda concordato ma anche accordo ristrutturazione insieme), per semplificare procedimenti davanti al tribunale. Questo tocca la CNC solo se sfocia in concordato o accordo.
  • Norme transitorie: fino a fine 2023 alcune soglie di allerta erano più alte, ora a regime sono quelle indicate in Tabella 2.
  • Giurisprudenza recente: Cassazione Sezioni Unite 2022 n. 17979 (citata sopra) su doveri assetti; Cass. 8448/2023 su organi di controllo e obblighi di denuncia. Tribunali vari su concordato semplificato (ad es. App. Venezia 2024 ha richiesto rigore nella proposta).
  • Digitalizzazione: la piattaforma telematica è costantemente aggiornata; dal 2023 è stato integrato il test pratico di verifica perseguibilità risanamento (un questionario/algoritmo che l’imprenditore può compilare per capire se ha chance – non vincolante ma utile).
  • PNRR e fondi: nel quadro del PNRR l’Italia ha investito su questo strumento, quindi ci sono sportelli informativi e formazione (Unioncamere ha creato un portale, webinar etc.).

In generale, il quadro normativo a metà 2025 è maturo e stabile, per cui un imprenditore può affrontare la composizione negoziata con regole ormai definite, dopo la fase di aggiustamenti dei primi anni.

5. Simulazioni pratiche (casi di studio)

Per comprendere in concreto come si applicano gli istituti descritti, proponiamo due scenari pratici basati su casi verosimili di aziende italiane, analizzati dal punto di vista del debitore.

Caso 1: Risanamento di una PMI manifatturiera tramite composizione negoziata

Scenario: Alfa S.r.l. è una PMI toscana (settore moda) con 50 dipendenti. Nel 2023 ha subito un calo di fatturato del 30% a causa di problemi di approvvigionamento e aumento costi materie prime. Il bilancio 2023 registra una perdita di €200.000 che erode oltre metà del capitale sociale. I debiti complessivi sono €2 milioni (di cui €500k verso banca per mutuo, €300k scoperto di c/c, €200k leasing macchinari, €600k verso fornitori, €200k debiti tributari e contributivi, €200k altri). Gli indicatori a inizio 2024 mostrano DSCR ≈ 0,8 (negativo), liquidità corrente 0,7 (insufficiente), alcuni fornitori strategici iniziano a spedire solo previo pagamento anticipato. Alfa ha però un portafoglio ordini per la nuova stagione del valore di €1,5 milioni, che potrebbe riportare in utile l’azienda se riesce a produrli. L’amministratore unico, resosi conto che a settembre mancherà liquidità per pagare salari e fornitori, decide di non attendere oltre: a giugno 2024 convoca il commercialista e un legale d’azienda ed elabora la documentazione per accedere alla composizione negoziata.

Avvio procedura: A luglio 2024 Alfa S.r.l. presenta istanza tramite piattaforma. Richiede immediatamente le misure protettive, temendo che qualche fornitore o la banca possa nel frattempo agire (ad esempio uno dei fornitori ha minacciato ingiunzione per €50k). La domanda è completa di bilancio 2022, situazione contabile aggiornata a 30/6/2024, elenco dettagliato creditori e una bozza di piano in cui l’azienda prevede: riduzione costi del personale (ricorso a cassa integrazione per 6 mesi, già discussa informalmente con i sindacati), dismissione di un ramo non profittevole (negozio monomarca secondario da vendere), e richiede ai creditori finanziari la moratoria di 1 anno sui rimborsi mutui/leasing, ai fornitori un allungamento a 120 giorni delle prossime forniture, al Fisco la rateazione di 72 mesi dei debiti IVA e una remissione delle sanzioni. Propone inoltre ai soci un apporto di €100k freschi (i soci sono disposti ma solo se i creditori fanno la loro parte).

Dopo 5 giorni, la Commissione regionale nomina l’esperto, il dott. Bianchi, un commercialista con esperienza nel settore moda. Bianchi accetta e il 10 luglio viene pubblicata sul Registro Imprese la nomina e l’avvio delle misure protettive (inibendo azioni esecutive). Subito l’esperto convoca l’amministratore di Alfa per un primo incontro.

Fase di trattative: L’esperto Bianchi analizza i dati e concorda che Alfa ha potenzialità di ripresa se riesce a produrre gli ordini. Valuta che il fabbisogno di cassa immediato per produrre la stagione è di €300k (materie prime e paghe). Prospetta quindi di cercare un finanziamento prededucibile di pari importo. Propone ad Alfa di contattare un factor o la stessa banca finanziatrice per ottenere liquidità garantita dagli ordini futuri. Il tribunale, su istanza di Alfa supportata dall’esperto, autorizza a fine luglio un contratto di finanziamento di €300k con Banca X, garantito da pegno su crediti futuri, da restituire a fine 2024, con qualifica di prededucibile. Ciò convoglia rapidamente nuova linfa in azienda.

Bianchi nel frattempo convoca i principali creditori a incontri separati:

  • Con Banca A (mutuo e scoperto): discute la possibilità di estendere la durata del mutuo residuo di 5 anni e capitalizzare le rate 2024 in coda. La banca inizialmente è reticente, ma l’esperto fa leva sul fatto che se Alfa fallisce, la banca con ipoteca su capannone (valore sceso) recupererebbe meno. Inoltre, offre la prospettiva che i soci di Alfa diano garanzie aggiuntive post-risanamento. Banca A accetta in linea di massima una moratoria di 12 mesi e la riscadenziazione a 5 anni in più, riservandosi di vedere il piano finale.
  • Con società di leasing: l’esperto chiede di congelare i canoni di 6 mesi (pagandoli a termine leasing). La società di leasing aderisce purché Alfa riprenda i pagamenti regolari dal 2025 e i soci firmino un atto di impegno a rilevare in solido eventuali rate saltate.
  • Con fornitori principali: Bianchi organizza un incontro collegiale con i 5 fornitori maggiori (che rappresentano il 60% del debito commerciale). Spiega loro la situazione e propone un accordo: Alfa pagherà il 50% dei crediti 2023 in 6 mesi, e per il restante 50% emetterà strumenti partecipativi (liquidati se l’azienda torna in utile entro 3 anni, altrimenti compensati con sconti futuri). Alcuni fornitori preferiscono uno stralcio cash: dopo trattativa, si concorda che Alfa pagherà subito il 20% dei debiti arretrati a ciascuno (utilizzando parte del finanziamento nuovo), e il resto dilazionato su 12 mesi. In cambio, i fornitori riprendono consegne regolari con pagamento a 90 giorni per gli ordini nuovi. Viene redatta una bozza di “accordo di fornitura e ristrutturazione debiti” da firmare.
  • Con l’Agenzia Entrate: Alfa, tramite l’esperto, presenta istanza di rateazione per €150k di debiti IVA in 60 rate. L’Agenzia risponde proponendo 72 rate (6 anni) che Alfa accetta. Inoltre, viene avviata una trattativa sulla sanzione per omesso versamento: grazie alla composizione, la sanzione viene ridotta al minimo 30% e poi di fatto dimezzata (diventerà 15%) se Alfa pagherà il dovuto secondo il piano. L’INPS similmente concede dilazione su €50k contributi in 48 rate (4 anni) e riduce le sanzioni al minimo.
  • I dipendenti e il sindacato vengono informati: l’azienda spiega di aver chiesto la CIGS straordinaria per 6 mesi (motivazione crisi temporanea) e che sta cercando accordi con creditori per evitare licenziamenti. Il sindacato, vedendo gli sforzi, coopera.

In tutto questo, l’esperto Bianchi redige periodicamente verbali delle riunioni e aggiorna la piattaforma. A fine settembre 2024, il quadro dell’accordo è delineato: moratoria bancaria 12 mesi, allungamento mutuo, dilazione leasing, pagamento fornitori 20% immediato + 80% su 12 mesi, rate fisco 72 mesi con sconti sanzioni, soci pronti a versare €100k (lo faranno a dicembre a condizione di aver firma accordi con tutti). L’esperto verifica la sostenibilità: con questi termini, il piano finanziario mostra che Alfa nel 2025 tornerebbe a flusso di cassa positivo e nel 2026 potrebbe addirittura rimborsare anticipatamente parte dei debiti. DSCR prospettico >1 dal 2025 in poi.

Conclusione accordo: In ottobre 2024, Alfa S.r.l., i creditori e l’esperto sottoscrivono un accordo quadro. Esso consiste in: un contratto modificativo con Banca A (nuovo piano mutuo), convenzioni firmate con ciascun fornitore per la dilazione, un accordo collettivo allegato firmato dall’esperto che attesta che “il piano di risanamento di Alfa appare coerente con la regolazione della crisi ed idoneo a assicurare la continuità per almeno due anni”. Viene deciso di pubblicare l’accordo principale al Registro Imprese per usufruire delle agevolazioni fiscali su remissioni e deduzioni. L’esperto redige la relazione finale positiva, in cui dichiara che la soluzione trovata (un insieme di contratti e accordi ex art. 23 co.1 lett. a) e c)) garantisce continuità aziendale ≥ 2 anni e prevede la soddisfazione regolare di tutti i creditori entro 6 anni, meglio di un’ipotetica liquidazione.

A novembre 2024, la composizione negoziata di Alfa viene dichiarata conclusa con successo. L’esperto chiede la liquidazione del suo compenso, poniamo €20.000, che Alfa paga attingendo in parte al conferimento soci (i quali nel frattempo hanno immesso i €100k in conto capitale, migliorando il patrimonio netto dell’azienda).

Esiti:

  • Alfa S.r.l. prosegue l’attività, produce gli ordini con la liquidità ottenuta e nel 2025 torna in utile di €50k. Grazie alle misure premiali, sulle sanzioni fiscali ha risparmiato circa €20k, sugli interessi altri €5k. I fornitori hanno ricevuto il 20% immediato (beneficiando anche loro di incassi non revocabili) e poi il resto come da accordi, detraendo fiscalmente le perdite (qualche fornitore ha rinunciato a un 10% nominale, che deduce come perdita deducibile). La banca avrà i suoi mutui rimborsati, forse più lentamente ma con interessi comunque. I soci mantengono la proprietà e vedono il valore dell’azienda risalire.
  • Dal punto di vista legale, i pagamenti fatti in esecuzione dell’accordo (ad esempio il 20% ai fornitori, o gli ipotetici rimborsi extra a qualcuno) non sono soggetti a revocatoria: se malauguratamente Alfa fallisse fra 3 anni, quei creditori non dovranno restituire nulla.
  • L’imprenditore-amministratore ha evitato ogni procedura concorsuale e responsabilità: al contrario, se Alfa fosse fallita, avrebbe rischiato azioni per mala gestio; ora può dire di aver ottemperato a tutti i doveri.
  • L’esperto Bianchi ottiene il doppio compenso perché c’è stata continuità ≥2 anni assicurata (i creditori sono contenti di pagarlo, considerando che ha salvato capra e cavoli).
  • Alfa pubblica un comunicato stampa locale dicendo che “ha concluso con successo un accordo di ristrutturazione del debito e rilancio aziendale con l’ausilio di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio”. Questo tranquillizza il mercato e i dipendenti: l’azienda è salva e riparte.

Considerazione: Questo caso evidenzia la logica win-win della composizione negoziata: l’imprenditore mantiene la sua azienda in vita; i creditori ottengono in tempi ragionevoli gran parte (se non tutto) dei loro crediti, con garanzie legali e fiscali; i lavoratori conservano il posto; lo Stato continua a incassare tasse future invece di gestire un fallimento. Tutto ciò è avvenuto in pochi mesi e senza passare da un’aula di tribunale se non per qualche decreto di routine. Con la vecchia legge fallimentare, Alfa probabilmente sarebbe andata in concordato preventivo nel 2025, con esiti più incerti e costi maggiori, o peggio in fallimento.

Caso 2: Liquidazione ordinata tramite concordato semplificato dopo tentativo fallito

Scenario: Beta S.p.A. è un’impresa edile dell’Emilia, con 20 dipendenti. Nel 2022-2023 accumula forti perdite per il rincaro materiali e la crisi del mercato immobiliare; diversi cantieri in appalto restano bloccati. A maggio 2023 Beta non riesce più a pagare i debiti: ha insoluti verso banche e fornitori per oltre €3 milioni. I lavori in corso sono fermi e l’attivo è costituito da qualche terreno, mezzi di cantiere usati, e crediti verso clienti in crisi. L’amministratore, pressato dai creditori che minacciano fallimento, a luglio 2023 prova ad accedere alla composizione negoziata sperando di trovare un investitore che rilevi l’azienda o di vendere i cantieri a qualcun altro.

Composizione negoziata tentata: Beta presenta istanza e ottiene misure protettive. Viene nominato un esperto, arch. Rossi, data la natura del settore. Rossi, dopo analisi, comprende che Beta è insolvente senza prospettive autonome di risanamento: l’unica opzione sarebbe cedere i 3 cantieri in corso ad altre imprese per salvare almeno in parte il valore (ci sono contratti con la PA e altri privati). Avvia trattative con due competitor di Beta interessati a subentrare nei contratti d’appalto. Intanto però emergono irregolarità: Beta ha debiti fiscali ingenti e non ha versato contributi per un anno, inoltre uno dei soci ha prelevato somme sospette poco prima della crisi. Rossi segnala al tribunale che la continuità appare improbabile, ma chiede un po’ di tempo per finalizzare la cessione dei cantieri. Viene autorizzata una vendita urgente: a settembre 2023 Beta, con decreto del giudice su istanza dell’esperto, cede il contratto del cantiere principale a Gamma S.r.l. per €500k, incassati immediatamente su un conto vincolato. La vendita è fatta con procedura competitiva semplificata e prevede che Gamma rileva anche 5 operai di Beta e certe attrezzature (il giudice esclude l’applicazione di art. 2560 c.c. su quei contratti, proteggendo Gamma da debiti pregressi di Beta verso fornitori di quel cantiere).

Nonostante ciò, Beta rimane insolvente per il resto delle attività. A fine ottobre 2023 l’esperto dichiara che nessuna soluzione di risanamento è praticabile (gli altri cantieri non hanno trovato acquirente, se non a valori minimi). Le trattative con creditori per un concordato preventivo falliscono perché non c’è flusso per pagare almeno il 20% ai chirografari richiesto dal concordato ordinario. Beta è di fatto destinata a liquidazione. L’esperto chiude la composizione negoziata senza accordo.

Concordato semplificato liquidatorio: A questo punto, Beta S.p.A. entro 60 giorni presenta al tribunale una proposta di concordato semplificato (ex art. 25-sexies CCII). La proposta prevede: utilizzare i €500k ricavati dalla cessione + la vendita dei restanti mezzi (€100k stimati) per pagare i creditori in misura pari al 30% ai privilegiati (non ci sono abbastanza attivo per coprirli integralmente) e un 5% ai chirografari. Non ci sono prospettive migliori. Il tribunale, visto che la relazione finale dell’esperto conferma l’impraticabilità di soluzioni alternative, ammette Beta a concordato semplificato. Ordina alcune misure cautelari per proteggere quel patrimonio residuo (vieta ai creditori di iniziare esecuzioni, di fatto proseguendo la protezione, e nomina un ausiliario per sorvegliare la liquidazione). Entro gennaio 2024 Beta vende i mezzi e incassa i €100k. In udienza di omologa, alcuni creditori chirografari protestano perché ricevono solo 5%, ma il giudice valuta che in un fallimento neanche quello sarebbe assicurato (Beta era senza beni immobili). Verifica che Beta ha gestito correttamente la procedura (tranne quelle prelevazioni del socio, su cui però il socio è chiamato a rispondere a parte). Considera che l’imprenditore ha cooperato attivamente, tant’è che ha ceduto il cantiere massimizzando il valore in corso di CNC, e non ha aggravato il buco nel frattempo. Così a marzo 2024 il Tribunale omologa il concordato semplificato di Beta.

Esiti: Beta S.p.A. viene liquidata, ma in modo ordinato: i creditori ricevono in poco tempo (entro metà 2024) le ripartizioni previste (privilegiati 30% dei loro crediti, chirografari 5%). I dipendenti che sono confluiti in Gamma mantengono il posto, gli altri accedono al fondo di garanzia INPS per TFR e stipendi arretrati. Il socio di Beta responsabile di prelievi indebiti viene citato per responsabilità e dovrà risarcire qualcosa (la procedura concordataria, su spinta di alcuni creditori, ha promosso un’azione). L’imprenditore di Beta, persona fisica, ottiene l’esdebitazione subito dopo la chiusura: essendoci cooperazione e concordato rispettato, il tribunale lo libera dai debiti residui oltre il 5% pagato. In questo modo, evita le sanzioni infamanti del fallimento (non è dichiarato fallito, quindi non subisce le limitazioni ai diritti civili né lo stigma legale). I creditori accettano la situazione: appurano che quell’incasso di €600k totali era il massimo valore ricavabile, quindi ottengono qualcosina in tempi rapidi, mentre col fallimento forse avrebbero aspettato anni per percentuali simili o inferiori.

Questo secondo caso mostra che la composizione negoziata, pur non avendo salvato l’impresa, è servita a predisporre una exit strategy meno traumatica: grazie all’esperto, si è potuto cedere l’appalto a un concorrente (salvando in parte la commessa e i posti di lavoro) e incassare una somma che ha alimentato il concordato semplificato. Senza CNC, Beta sarebbe stata travolta subito in un fallimento disordinato, con i cantieri abbandonati (danni anche per i committenti pubblici/privati) e probabilmente minore attivo realizzato. Inoltre, l’imprenditore, pur perdendo l’azienda, ha potuto chiudere la vicenda in pochi mesi con la fedina pulita (nessuna dichiarazione di fallimento, nessuna bancarotta semplice contestabile visto che ha cercato di attivarsi). Questo evidenzia l’utilità dello strumento anche come preludio a una liquidazione “pilotata” quando non c’è altro da fare. Tuttavia, attenzione: i tribunali vigilano molto su questi concordati semplificati per evitare abusi. Nel nostro scenario Beta si è comportata correttamente e non c’erano alternative, quindi è andato tutto liscio. In altri casi, se ci fosse il sospetto che il debitore abbia usato la CNC solo per ritardare e poi proporre un concordato ingiusto, l’omologa potrebbe essere negata.

Lezioni apprese:

  • La composizione negoziata può anche fallire nello scopo di salvare l’impresa, ma può comunque agevolare la successiva fase concorsuale, preparando atti (come la cessione beni) e dati (la relazione dell’esperto) che aiutano il tribunale a decidere.
  • Il concordato semplificato è una chance per il debitore in bonis di evitare il fallimento, ma richiede una condotta trasparente. Nel nostro esempio, Beta aveva comunque qualche asset da monetizzare; se proprio non avesse avuto nulla, nemmeno il semplificato sarebbe servito e si sarebbe dovuto fallire.
  • Il ruolo del tribunale nel concordato semplificato è incisivo: qui ha valutato con rigore la proposta, richiedendo par condicio (tutti chirografari 5% in proporzione, non si poteva favoritare qualcuno) e completezza delle informazioni (Beta ha dovuto esporre tutto). Questa è prassi comune.

Conclusione

La gestione anticipata della crisi d’impresa tramite gli strumenti introdotti dal Codice della crisi rappresenta un cambiamento culturale e operativo di grande rilievo nel panorama italiano. Dal punto di vista del debitore, oggi esiste un percorso normativo chiaro che, se intrapreso tempestivamente e con buona fede, consente di evitare gli esiti distruttivi del fallimento attraverso il dialogo e la collaborazione con i creditori. La composizione negoziata della crisi è il fulcro di questo percorso: una procedura moderna, flessibile e premiale, in cui l’imprenditore non è più lasciato solo né immediatamente colpevolizzato, ma anzi viene sostenuto (con l’ausilio di un esperto terzo e con sconti significativi) nel tentativo di risanare la propria impresa.

Abbiamo visto come il sistema di allerta e gli indicatori di crisi agiscano da sentinelle per attivare per tempo tali strumenti, e come la giurisprudenza stia consolidando principi che incentivano la sollecita emersione e puniscono l’inerzia colpevole. Le recenti riforme fino al 2025 hanno ulteriormente affinato il quadro, eliminando incertezze e potenziando gli incentivi (ad esempio la maxi-dilazione fiscale a 120 rate e il coinvolgimento obbligatorio del revisore nelle segnalazioni).

Per gli avvocati, consulenti e imprenditori che affrontano situazioni di crisi, è fondamentale avere padronanza di questi strumenti: saper leggere i segnali di allarme nei bilanci, conoscere la procedura telematica, negoziare con creditori sotto l’ombrello protettivo del tribunale, strutturare accordi sostenibili e garantirne la protezione legale. Il linguaggio giuridico della crisi d’impresa si è arricchito di termini nuovi – composizione negoziata, esperto indipendente, concordato semplificato, misure premiali – che si affiancano ai concetti tradizionali di concordato preventivo e fallimento, ridefiniti anch’essi in ottica più efficiente (si pensi all’abbandono stesso del termine “fallimento”, sostituito da “liquidazione giudiziale”).

In conclusione, il Codice della crisi d’impresa, con le sue evoluzioni, offre oggi un sistema avanzato e articolato per gestire le difficoltà aziendali: un sistema che tende la mano al debitore meritevole e collaborativo, offrendogli vie d’uscita onorevoli e spesso convenienti, e al contempo tutela il credito in modo più efficace, poiché privilegiando soluzioni di continuità si massimizza il valore recuperabile (rispetto alla tradizionale liquidazione fallimentare). Come dimostrato dai casi pratici e dalle sentenze più aggiornate, la chiave del successo risiede nella tempestività e trasparenza: il debitore che, prima di precipitare, attiva gli adeguati assetti, chiede aiuto tramite la composizione negoziata e tratta in modo franco con i propri creditori, troverà nella legge un alleato potente per salvare l’impresa o quantomeno per evitare conseguenze personali rovinose.

Il punto di vista del debitore dunque cambia radicalmente: da una posizione passiva e timorosa (come spesso era in passato di fronte allo spettro del fallimento), a una posizione proattiva, in cui egli ha strumenti concreti per pilotare la crisi verso un approdo sostenibile. Conoscere e utilizzare bene tali strumenti – avvalendosi dei professionisti giusti e dialogando con i creditori nella cornice predisposta dalla legge – può fare la differenza tra la rinascita di un’impresa e la sua scomparsa. Questa guida ha inteso fornire una mappa dettagliata e aggiornata di tale cornice normativa, così da orientare al meglio imprenditori e consulenti nel difficile ma non impossibile cammino del risanamento aziendale.

Fonti (normative, giurisprudenziali e dottrinali)

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, come modificato da D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 (attuazione direttiva UE 2019/1023) e D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (terzo correttivo). In particolare artt. 2 (definizioni di crisi e insolvenza), 12-25 septies (composizione negoziata e allerta), 25-bis (misure premiali), 25-sexies (concordato semplificato).
  • Decreto-Legge 24 agosto 2021, n. 118, convertito con L. 147/2021 – Misure urgenti in materia di crisi d’impresa (ha introdotto composizione negoziata e concordato semplificato).
  • Codice Civile, art. 2086 (obbligo di adeguati assetti organizzativi), artt. 2446-2447, 2482-bis e 2482-ter (riduzione capitale per perdite, derogati ex art. 20 CCII durante composizione).
  • TUIR (D.P.R. 917/1986), art. 88, c.4-ter (sopravvenienze attive esenti in piani/accordi di risanamento), art. 101, c.5 (perdite deducibili per creditori in piani/accordi).
  • Cassazione Civile, Sez. Unite, 22 giugno 2022 n. 17979 – in tema di doveri organizzativi ex art.2086 c.c. e responsabilità degli amministratori, sottolinea che la predisposizione di adeguati assetti è obbligo imperativo e prevede organi di controllo interni per rilevare la crisi.
  • Cassazione Civ., 8 settembre 2021 n. 23776 – afferma l’obbligo degli organi di controllo di attivarsi di fronte allo stato di insolvenza, precorrendo principi poi confluiti nel CCII.
  • Cassazione Civ., 24 marzo 2023 n. 8448 – richiama i “principi di allerta” e la necessità di segnalazione tempestiva da parte degli organi societari, confermando l’impianto del Codice (segnalazioni interne).
  • Relazione Ufficio del Massimario Cassazione n.10/2025 (30 gennaio 2025, Farolfi-Romano) – Approfondimento sul Correttivo ter, illustra le modifiche al Titolo II CCII: segnalazioni d’allerta (art. 25-octies, inserimento revisore legale), condizioni di accesso (art.12) e novità in composizione negoziata e concordato semplificato.
  • Massimario Nazionale Composizione Negoziata (IV ed. Unioncamere, maggio 2025) – Raccolta di massime dei tribunali: es. Trib. Torino 17/10/2023 su necessità di confermare misure protettive per efficacia trattative; Trib. Ivrea 17/2/2023 su divieto ai creditori di rifiutare adempimenti contrattuali durante misure protettive; Trib. Milano 16/9/2022 su coordinamento con concordato semplificato (precedente art.18 DL 118/21 abrogato); App. Venezia 28/3/2024 sul controllo di regolarità e praticabilità del concordato semplificato (necessità di dimostrare che altra soluzione non era possibile); Trib. Venezia 2023 (massima) sull’obbligo di par condicio nel concordato semplificato (no disparità tra creditori, v. pagamento proporzionale).

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