Hai ricevuto una comunicazione riguardo una possibile revocatoria di anticipazioni bancarie o temi che un’azione del genere possa essere avviata nei tuoi confronti? Ti stai chiedendo cosa significa davvero “revocatoria” in questo contesto, quali sono i rischi concreti per te o la tua azienda e come puoi difenderti?
La revocatoria delle anticipazioni bancarie è uno strumento usato nelle procedure concorsuali o nei casi di crisi aziendale per mettere in discussione alcune operazioni bancarie effettuate prima del fallimento o della liquidazione giudiziale.
Vediamo quando può essere avviata, quali sono gli effetti concreti per l’imprenditore o per la banca e come ci si può opporre.
Cosa si intende per revocatoria di anticipazioni bancarie?
Si tratta della possibilità, da parte del curatore fallimentare o del liquidatore, di chiedere l’annullamento di operazioni bancarie che hanno favorito un creditore – in questo caso la banca – a danno degli altri. In pratica, viene contestato che la banca, con le sue azioni (come incassi su anticipi fatture), abbia ricevuto somme che dovevano invece rientrare nella massa dei creditori.
Quando può essere chiesta la revocatoria?
Può essere avviata se l’anticipazione o l’incasso della banca:
- È avvenuto entro l’anno precedente la dichiarazione di fallimento o liquidazione;
- Ha comportato un pagamento preferenziale alla banca rispetto agli altri creditori;
- È stata effettuata in una situazione di insolvenza nota alla banca (che, quindi, ne era consapevole o avrebbe dovuto esserlo).
Cosa succede se la revocatoria viene accolta?
Se il giudice accoglie la richiesta:
- La banca deve restituire le somme incassate al patrimonio della procedura;
- Può nascere un contenzioso complesso tra banca e curatore;
- L’imprenditore può essere coinvolto indirettamente nel procedimento, soprattutto se ci sono contestazioni su operazioni gestite prima della crisi.
Come ci si difende da una revocatoria?
Dipende da che parte ti trovi. Se sei un imprenditore che ha firmato operazioni a ridosso della crisi:
- Puoi dimostrare la regolarità delle operazioni, l’assenza di privilegio e la buona fede;
- Puoi far emergere la continuità aziendale e l’utilità dell’anticipazione per mantenere viva l’attività.
Se sei un ex amministratore, puoi opporti al tentativo di attribuirti responsabilità personali.
È una procedura automatica?
No. La revocatoria deve essere avviata dal curatore, non avviene automaticamente. E solo in presenza di determinate condizioni. Tuttavia, le banche la temono perché può esporle a restituzioni elevate, e gli imprenditori la temono per le sue conseguenze indirette.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario, crisi d’impresa e contenzioso concorsuale – ti spiega cos’è la revocatoria delle anticipazioni bancarie, quando può essere applicata e come possiamo aiutarti a difenderti e a tutelare la tua posizione.
Hai firmato operazioni bancarie prima della crisi e vuoi sapere se rischi una revocatoria? Vuoi tutelare la tua azienda da un’azione di restituzione?
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Introduzione
La revocatoria delle anticipazioni bancarie è un tema cruciale nel diritto concorsuale italiano, specie in ottica di tutela dei creditori e di difesa del debitore imprenditore. In sintesi, si tratta dell’azione con cui il curatore fallimentare (o il commissario) può chiedere la nullità degli accrediti bancari ricevuti dal fallito in un periodo sospetto (di norma l’anno precedente la dichiarazione di fallimento), qualora tali operazioni abbiano indebitamente diminuito l’esposizione debitoria complessiva. La questione ha visto negli ultimi anni un’intensa evoluzione giurisprudenziale, con orientamenti a volte contrastanti in tema di clausole di compensazione, distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie e condizioni di esenzione (consistenza e durevolezza) stabilite dalla legge. In questa guida, rivolta a operatori esperti (avvocati, imprenditori, professionisti), analizzeremo in dettaglio la normativa italiana (vecchio e nuovo sistema), la giurisprudenza aggiornata, e le strategie difensive del debitore, anche con esempi numerici e Q&A di approfondimento.
Quadro normativo generale
- Azione revocatoria ordinaria (cod. civ.) – Il Codice Civile (art. 2901 e segg.) prevede che il creditore possa ottenere l’inefficacia di atti del debitore compiuti in frode o a danno delle sue ragioni, se (i) il debitore conosceva il pregiudizio arrecato al creditore e (ii), nei casi di atto a titolo oneroso, il terzo era consapevole dello stesso pregiudizio. Tra le eccezioni si segnala che non sono revocabili i pagamenti di debiti già scaduti. L’azione ordinaria richiede quindi il dolo specifico del debitore e una prova rigorosa del nesso d’intenti con il terzo, e agisce entro termini prescrizionali relativamente brevi. In generale, la revocatoria ordinaria si applica fuori dal contesto concorsuale e aiuta a contestare cessioni di beni o pagamenti in itinere.
- Azione revocatoria concorsuale (Legge Fallimentare, L.F.) – Nel vecchio regime (Legge Fall. 267/1942) la revocatoria fallimentare è disciplinata dagli artt. 65–70 L.F. In particolare:
- Art. 66 L.F.: vieta la revoca di pagamenti di debiti liquidi ed esigibili (in denaro) effettuati nei termini d’uso;
- Art. 67 L.F., comma 3, lett. b): esclude dall’azione revocatoria le rimesse bancarie (pagamenti su conto corrente) che non abbiano ridotto in modo consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito presso la banca. Questo requisito di “consistenza e durevolezza” è stato più volte valorizzato dalla giurisprudenza (vedi par. successivo) e crea un’esenzione (o “scudo”) per le rimesse ordinarie o di normale reintegro del fido.
- Art. 67 L.F., comma 2, lett. b): consente invece di revocare gli atti di estinzione di debiti pecuniari scaduti non effettuati con denaro né altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nel periodo sospetto (solitamente 1 anno ante fallimento). In pratica, pagare un debito scaduto con una compensazione non è tutelato.
- Art. 70 L.F.: fissa il limite massimo della restituzione in azione revocatoria. Il dato aritmetico “massimo revocabile” è dato dalla differenza tra il picco massimo dell’esposizione debitoria del fallito nel periodo sospetto e l’esposizione residua alla dichiarazione di fallimento. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha precisato che questo calcolo aritmetico è solo un limite di somma, non sostituisce la verifica dell’effetto di ogni singola rimessa. In altre parole, anche se il saldo complessivo scende entro la soglia, il curatore deve dimostrare caso per caso la revocabilità delle singole rimesse.
- Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019) – Con l’entrata in vigore del nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza, gli artt. 66–70 L.F. sono stati sostituiti dagli artt. 166 e segg. del Codice (sotto la voce “Liquidazione giudiziale”). L’art. 166 comma 3 lett. b) recepisce il criterio di consistenza e durevolezza, esentando dall’azione revocatoria “le rimesse effettuate su un conto corrente bancario che non hanno ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione del debitore nei confronti della banca”. In pratica, il nuovo codice ripropone il vecchio art. 67 L.F., comma 3(b). Rilevano poi le disposizioni (artt. 170-171 CCI) sui termini di decadenza delle azioni revocatorie e dei limiti temporali analoghi a L.F. Anche qui il debitore conserva margini di difesa analoghi (es. prova della mancata scientia della banca). In questa guida faremo riferimento principalmente all’originaria L.F. per l’analisi giurisprudenziale, ma i concetti sostanziali e i criteri sono sostanzialmente confermati dal Codice della Crisi.
Le anticipazioni bancarie: definizione e caratteristiche
Le anticipazioni bancarie sono tipicamente forme di finanziamento a breve termine, garantite da pegni su titoli o merci, in cui la banca anticipa al cliente somme di denaro proporzionali al valore delle garanzie date. Caratteristica essenziale è il rapporto tra credito concesso e garanzie: se il valore del pegno diminuisce di oltre un decimo, la banca può richiedere un’integrazione. Se il pegno è regolare (titoli identificati), l’anticipazione è detta “propria” e la banca non può disporre dei beni in pegno (art. 1846 c.c.). Le anticipazioni possono assumere due forme principali:
- Anticipo a scadenza fissa: somma erogata immediatamente (al netto degli interessi), con rimborso integrale a data prestabilita.
- Anticipazione in conto corrente: funge da linea di credito rotativa entro un fido (simile a un “castelletto” di fido). Il correntista può alternare prelievi e versamenti entro il limite del fido, con la garanzia proporzionale. A differenza dell’apertura di credito semplice, qui è richiesta la garanzia reale pignoratizia ma non garanzie personali.
Per i nostri scopi, l’anticipazione bancaria in conto corrente (ad es. “anticipi salvo buon fine” di ricevute bancarie) assume grande rilievo. In questa operazione, l’impresa consegna titoli (cambiali, tratte) o merci alla banca, che ne accetta il pegno e ne accredita subito il corrispondente importo sul conto del cliente. Alla scadenza, quando il titolo viene incassato presso la banca pagatrice, l’anticipazione si estingue e la banca accredita l’incasso. Se invece il titolo risulta insoluto, la banca riaddebita al correntista l’importo dell’insoluto (di solito sullo stesso conto). In pratica, la banca incassa somme anche in rem propriam (su mandato del cliente) e utilizza i proventi per “ripagarsi” le anticipazioni ricevute.
Importante precisazione giurisprudenziale: la banca non acquista automaticamente la proprietà del credito del cliente. Come ha chiarito la Cassazione, la mera consegna di titoli (o merci) alla banca, in assenza di cessione esplicita, genera un mandato irrevocabile all’incasso (“mandato in rem propriam”) accompagnato dall’anticipazione da parte della banca. La banca è quindi tenuta a restituire al cliente (e al curatore in caso di fallimento) le somme incassate, senza poterne trattenere automaticamente l’importo a titolo di compensazione. In questo senso, come ribadito dalla Cass. 42008/2021, l’operazione di anticipazione con clausola di compensazione produce l’adempimento di un’obbligazione già sorta a carico della banca, rendendo esigibile il credito del cliente verso la banca.
Azione revocatoria delle anticipazioni bancarie
Presupposti generali
In via generale, affinché l’azione revocatoria fallimentare possa essere esperita, devono sussistere:
- Stato di insolvenza / fallimento: il debitore deve essere insolvente; nella pratica, la scientia decoctionis (conoscenza dello stato di crisi) del creditore è presunta quando vi siano gravi indizi (corrispondenza crediti-debiti insoluti, pregiudizievoli alert, protesti, anomalie di conto, preparazione di concordato, ecc.), soprattutto se il creditore è un operatore economico professionale come la banca.
- Periodo sospetto: tipicamente sei mesi (ordinario) o un anno (per atti posti in essere da imprenditore o consorzio fidi) ante dichiarazione di fallimento. In generale, gli atti patrimoniali eseguiti dopo la pubblicazione della domanda (o nei 12 mesi precedenti) possono essere revocati se dannosi (artt. 65-67 L.F., art. 166 CCI).
- Dolo del debitore (scientia): il debitore doveva avere specifica consapevolezza di arrecare pregiudizio ai creditori. In fase concorsuale la Corte richiede che il fallito fosse effettivamente in crisi (la scienza dello stato di insolvenza) e che i suoi pagamenti servissero essenzialmente a favorire un creditore a discapito degli altri.
- Consapevolezza del terzo: se l’atto è oneroso, il terzo destinatario (la banca) deve essere a conoscenza dello stato di crisi del debitore. Ciò è spesso controverso nel caso di banche: di norma si presume che, essendo professioniste, siano in grado di cogliere i segnali di insolvenza del cliente, ma resta onere del curatore provarlo caso per caso.
In aggiunta, nell’ambito delle anticipazioni bancarie vi sono aspetti peculiari:
- Tipo di atto e tempus: si tratta di un atto a titolo oneroso (debito di interesse, etc.) posto in essere ante fallimento. Se compiuto oltre il termine sospetto o con mezzi leciti (pagamento in denaro di debito scaduto), non è revocabile.
- Modalità di pagamento: le rimesse in conto corrente non pagate in denaro (compensazioni, retrocessioni o crediti) possono essere revocabili (vecchio art. 67, comma 2, lett. b L.F.). Ad esempio, se il cliente “paga” un debito scaduto consegnando semplicemente alla banca titoli invece che denaro liquido, si configura un atto revocabile.
Consistenza e durevolezza (art. 67, c.3, lett. b L.F.)
L’aspetto chiave diffusamente dibattuto è l’eccezione di cui all’art. 67, comma 3, lett. b L.F. (oggi art. 166 c.3 lett. b CCI): una banca non subisce la revocatoria per le rimesse che non abbiano ridotto in misura consistente e durevole l’esposizione complessiva del cliente. In pratica, se l’accredito su conto corrente è seguito da usi o “movimenti compensativi” tali da mantenere sostanzialmente lo stesso indebitamento, allora quel versamento va considerato come una mera riconduzione all’originale situazione debitoria, esente da revocatoria. Il concetto giuridico di “durevolezza” implica che il beneficio per il conto sia duraturo nel tempo e non azzerato da successivi addebiti; Cass. 23095/2023 ha esplicitato che il calcolo della revocabilità deve concentrarsi sugli effetti prodotti dalle singole rimesse nel tempo, non sul momento del versamento.
Se invece il versamento ha effettivamente ridotto in modo sostanziale (ad es. ha chiuso o ridotto significativamente il saldo debitore) e questa riduzione è rimasta “incisa” nel tempo (il conto non è stato subito ri-esposto da nuove operazioni), allora l’accredito può essere recuperato. Ciò significa, ad esempio, che una banca che incassa ricevute anticipate e non riceve immediatamente un equivalente movimento passivo sul conto rischia di vedersi revocare quell’incasso. Al contrario, se la banca “ripaga” il proprio credito anticipato mediante accrediti continui di nuova liquidità del cliente (somme di terzi, nuovi debiti verso terzi che vanno a compensare), allora l’operazione si annulla ex ante. In estrema sintesi: non è revocabile ciò che non modifica il debito finale del fallito.
Questa eccezione è stata spesso oggetto di contesa. Ad esempio, con la recente Cass. 34494/2023 la Corte ha chiarito che l’esenzione di cui all’art. 67, c.3 lett. b) L.F. richiede un conto corrente “regolarmente operativo”. Se invece il conto è stato chiuso o congelato e gestito solo in fase di riscossione (es. conto “solo al rientro”), ogni versamento è di fatto pagamento di un debito esistente e non può considerarsi esente; in tal caso tutte le rimesse antecedenti al fallimento si considerano revocabili nel limite della norma (normalmente 6 mesi). In pratica, con cassazione recente si profila il principio che su un conto chiuso o non attivo l’eccezione “consistenza/durevolezza” non si applica e prevale la regola base della revocatoria.
Clausola di compensazione e compensazione fallimentare
Molte banche hanno in contratto patti di compensazione che permettono di compensare automaticamente il proprio credito (anticipazione) con qualsiasi somma incassata. Un nodo giurisprudenziale rilevante è se e come tali patti prevalgano sulla regola del “cristallizzo dei crediti” in concorsualità. Secondo la cristallizzazione fallimentare (art. 56 L.F.), al fallimento i rapporti bancari cessano con tutti i debiti e crediti acquisiti fino ad allora, e non è ammessa la compensazione (salvo clausole).
- Senza clausola di compensazione opponibile: la giurisprudenza “nomofilattica” è sostanzialmente unanime nel ritenere che, in mancanza di clausola di compensazione espressa con data certa, la banca non può sottrarre alle impugnazioni le somme incassate. In particolare, Cass. 42008/2021 ha affermato che l’incasso da parte della banca di somme relative a titoli anticipati rappresenta un semplice “adempimento di obbligazione” già sorta e non un mutuo scambio automatico; pertanto, tra le anticipazioni precedenti e l’incasso successivo sussistono i presupposti della revocatoria ex art. 56 L.F.. In altri termini, senza un patto di compensazione opponibile la banca riceve liquidità cui corrisponde un credito esigibile, che non impedisce l’azione revocatoria.
- Con clausola di compensazione opponibile: se il cliente e la banca hanno pattuito un’automatica compensazione tra i rispettivi saldi (scritta e data certa), la giurisprudenza ha concesso maggiore efficacia alla clausola. Ad esempio, con l’ordinanza Cass. 42008/2021 la Corte ha ammesso che in presenza di clausola, la bancario che incassa le somme considerate al cliente, semplicemente si esaurisce nell’adempimento del proprio debito, rendendo successivamente agibile la compensazione anche dopo la dichiarazione di fallimento. Inoltre, Cass. 34424/2023 ha confermato che l’art. 1853 c.c. (compensazione tra saldi bancari) si applica anche tra un conto corrente e un altro rapporto con la banca (es. mutuo), se i crediti sono esigibili e i rapporti non chiusi. Nel caso del fallimento, ciò significa che, una volta ammesso il credito con clausola in passivo, la verifica spetterebbe al giudice dell’opposizione: il curatore non può rimettere in discussione i fatti già giudicati, ma il giudice dovrà accertare se la clausola di compensazione fosse valida ed efficace, a prescindere dall’ordine temporale dei saldi. In pratica, un patto di compensazione regolarmente stipulato va accertato e, se esistente, può derogare alla cristallizzazione (anche in epoca post-fallimento il saldo si compensa).
Attenzione: la difesa del debitore (fallito) può invocare l’assenza o l’inesistenza di un tale patto opponibile: se la clausola non è stata adeguatamente notificata o provata, non si applica. Inoltre, come precisa la Cass. 15825/2024, nella fase di opposizione allo stato passivo il giudice deve comunque valutare “ex novo” l’esistenza e l’efficacia di eventuali clausole di compensazione, anche se nel verbale di ammissione al passivo è stata ammessa la posizione della banca. Ciò significa che il curatore può far esaminare liberamente la opponibilità all’azione revocatoria delle singole anticipazioni, indipendentemente dal giudicato endofallimentare sugli importi già ammessi.
Calcolo dell’importo revocabile
Una volta accertata la revocabilità di una o più anticipazioni, si pone il problema di quantificare quanto va restituito. L’art. 70, comma 3, L.F. stabilisce un limite massimo: l’importo dovuto in revoca non può superare la differenza tra la massima esposizione raggiunta nel periodo sospetto e l’esposizione residua alla dichiarazione di fallimento. Ciononostante, la Corte ha ribadito che tale dato aritmetico da solo non indica necessariamente l’ammontare effettivamente dovuto. La differenza (saldo più alto – saldo alla fine) è infatti un tetto (norma di chiusura) e può risultare influenzata da accrediti che non devono essere conteggiati ai fini del calcolo (ad es. somme versate da terzi con danaro proprio del fallito, o versamenti del correntista stesso che non siano assimilabili alle rimesse fatte con l’operatività del conto).
Ad esempio, Cass. 24018/2023 ha ricordato che nel computo dell’importo da revocare non si devono considerare gli accrediti effettuati da terzi con denaro proprio (perché in tal caso la rimessa non è imputabile al fallito) e che non abbiano esercitato la rivalsa. In tale vicenda la Corte censurò la Corte d’Appello perché non aveva esentato dal conteggio una rimessa di terzi che non era eseguita con fondi del fallito. In pratica, nel calcolo finale delle “rimesse revocabili” occorre tenere conto di eventuali ricarichi non imputabili al fallito.
In pratica, si procede così:
- Si individua il massimo saldo debitore raggiunto nel periodo sospetto (dopo aver neutralizzato accrediti di terzi non appartenenti al fallito).
- Si sottrae il saldo finale del conto (in debito) alla data di fallimento.
- Si assume il residuo come tetto massimo.
- Tuttavia, ai fini della revoca effettiva si valuta ogni singolo accredito/per accredito, stabilendo se l’anticipo aveva effetto duraturo sulla posizione e se è revocabile. Si potrà chiedere la restituzione di una somma complessiva pari al limite (se la banca non compensa con crediti propri), oppure la restituzione di crediti non ancora estinti dal curatore stesso.
Tecniche difensive del debitore
Dal punto di vista del debitore (o del curatore che ne difende l’interesse), le strategie di difesa possono essere così riassunte:
- Eccepire la mancanza della scientia della banca: se la banca non aveva elementi oggettivi per capire la crisi, manca il requisito soggettivo. Ad es., bassi indici di rischio, mancata contestualità di segnalazioni, contestazione di situazioni di bonis. Spesso la mera qualità di “banca” impone una diligenza professionale (Cass. 26061/2017), ma resta onere del curatore. Il debitore può collaborare dimostrando contesti di normalità al momento della rimessa.
- Dimostrare che il versamento non ha modificato il debito: se il versamento era finalizzato a pagare un debito scaduto con denaro proprio o di terzi (quindi non reale “rimessa” del fallito), esso non è revocabile. Ad es., se un cliente depositava un importo che serviva a estinguere un debito in denaro proprio, secondo la L.F. l’adempimento di un debito scaduto in denaro è esente . Oppure, se il versamento proviene da un terzo con somma propria (Cass. 24018/2023), il curatore non potrà agire, a meno che il terzo abbia già chiesto la rivalsa o soddisfatto il credito del fallito prima del fallimento. In sintesi, attestare che la fonte del denaro non era il fallito stesso (o che il debito era già dovuto in denaro) esclude la natura di rimessa revocabile.
- Ricondurre la rimessa nell’ordinario svolgimento aziendale: dimostrare che la rimessa era funzionale all’attività caratteristica (pagamenti di fornitori, stipendi, acquisto materie prime) eseguiti nei termini d’uso. L’art. 166 c.3 lett. a) CCI (ex art. 66 L.F.) esenta i pagamenti compiuti nell’esercizio normale, nel limite degli usi (ad esempio pagamenti di fatture o stipendi regolari).
- Appello alle clausole contrattuali: se esiste una clausola di compensazione scritta e opponibile, il debitore/curatore potrà sostenerne l’efficacia a dispetto della cristallizzazione. In particolare, occorrerà verificare se la compensazione è stata sollevata (o poteva esserlo) in sede di formazione del passivo: Cass. 15825/2024 ritiene che la clausola deve comunque essere valutata dal giudice dell’opposizione.
- Contestare la competenza e i termini procedurali: dimostrare eventuali vizi di competenza del giudice o il decorso dei termini decadenziali (l’azione revocatoria fallimentare si esercita in opposizione allo stato passivo e, in generale, dopo 2 anni dalla nomina del curatore o dal decreto di fallimento).
- Utilizzare la mutatio libelli: laddove il curatore abbia chiesto la revoca di somme in via esemplificativa, la Corte ha ammesso che si possa chiedere anche somme maggiori in base a ulteriori accertamenti contabili, senza incorrere in mutatio libelli. Ciò significa che il debitore deve prestare attenzione a quanto è stato specificamente chiesto; la revoca di somme di più ampia entità deve poter trovare fondamento già nell’atto introduttivo (Cass. 17220/2023).
- Sottoporre il conto ad accertamenti di fatto: il debitore può far accertare (con CTU) l’effettivo andamento del conto, la tempistica degli accrediti, e l’inesistenza di usi impropri. Questo è spesso decisivo: Cass. 24018/2023 ha indicato che se le rimesse fatte da terzi “non siano state eseguite con denaro del fallito e il terzo non abbia proposto azione di rivalsa”, allora tali rimesse devono essere escluse dal calcolo e quindi non revocate. Dunque, ogni circostanza oggettiva (titolarità dei fondi, motivo del versamento) va documentata.
Infine, il debitore può far valere la competenza territoriale ed eventuali vizi nelle notifiche, ma tali questioni procedurali sono meno rilevanti nel merito economico della revocatoria. L’aspetto fondamentale è che il debitore/curatore attui una ricostruzione puntuale del conto corrente: data delle operazioni, origine delle somme, saldo più alto, saldo finale e uso dei fondi. È possibile che, come accennato da Cass. 34494/2023, persino il congelamento formale del conto (ad es. su disposizione bancaria prima del fallimento) renda tutte le rimesse revocabili: in questi casi il cliente può puntare sulla contestazione del “periodo sospetto” o sulla dimostrazione che, ancorché esistenti le rimesse, sono coperte da cause di esenzione (pagamenti di costi ordinari, garanzie preesistenti, ecc.).
Tabelle riepilogative
Periodi sospetti e limiti di azione
Evento | Revocabilità ex art. 67 L.F. / 166 CCI | Note |
---|---|---|
Atti compiuti dopo fallimento | Tutti non vincolanti; rimborso implicito a favore del curatore | Art. 65 L.F.: atti compiuti dopo fallimento sono nulli ex art. 65. |
Atti onerosi compiuti <1 anno prima | Revocabili se debitore consapevole stato e riduzione duratura del debito | Art. 67, c.1 lett. a) e c.3 (consistenza/durevolezza). |
Pagamenti di debiti scaduti in denaro | Non revocabili (adempimento di debito esigibile) | Deroga: se effettuati con mezzi diversi (compensazioni), possono essere revocati (art. 67, c.2 lett. b). |
Rimesse su conto operativo | Revocabili se riducono duramente esposizione; esenti altrimenti (art.67,3b) | Deve esserci movimentazione post-rimessa (cfr. Cass. 34494/2023). |
Rimesse su conto non operativo | Sempre revocabili (cassazione recente: art.67,3b non applicabile) | Es. conto “solo al rientro”; tutte le rimesse sono atti di pagamento. |
Esempio numerico di calcolo del rientro
Immaginiamo un conto corrente nel semestre sospetto del fallimento:
Data | Movimento | Debito finale (dopo movimento) | Nota |
---|---|---|---|
01/01/2024 | Saldo iniziale € 100.000 deb. | € 100.000 | Conto scoperto a inizio periodo. |
10/02/2024 | Accredito anticipazione € 50.000 (cliente) | € 50.000 | Rimessa del fallito, riduce esposizione. |
15/03/2024 | Versamento da terzo € 30.000 | € 20.000 | Deposito di un fornitore (non del fallito). |
20/04/2024 | Prelievo € 20.000 | € 40.000 | Nuovo utilizzo del fido (ora €40k di saldo). |
05/05/2024 | Accredito anticipazione € 60.000 | € 20.000 | Alta rimessa, riduce esposizione. |
10/06/2024 | Pagamento dipendenti € 20.000 | € 40.000 | Uso dei fondi anticipati (esborso aziendale). |
Massimo debito | € 100.000 (in Gennaio) | Bilancio massimo del periodo. | |
Saldo al fallimento | € 40.000 | Debito residuo alla data fallimento. |
- Differenza ai fini L.F. art.70: 100.000 – 40.000 = € 60.000 (capienza massima per eventuale revoca).
- Rimesse valutate: €50k (10/2) e €60k (5/5). La rimessa del 15/3 (terzo) non è imputabile al fallito.
- Condizioni: La rimessa del 10/2 ha ridotto il debito e non è stata neutralizzata (tra febbraio e maggio il saldo più basso è rimasto €20k). La rimessa del 5/5 ha riportato il saldo a €20k, ma poi il debito è risalito a €40k con prelievo. Per determinare la revocabilità bisogna chiedere: queste riduzioni sono state consistenti e durevoli? In questo caso, parrebbe di sì, perché ogni rimessa ha prodotto una diminuzione netta dell’esposizione rispetto al passato. Tuttavia il prelievo successivo di €20k ha “smontato” parte dell’effetto della prima. In concreto, il curatore potrà richiedere la restituzione fino a €60k complessivi, ma ogni singola richiesta andrà motivata (ad esempio chiedendo €50k + €60k = €110k, ammissibili fino a €60k) e potrà includere o meno il deposito di terzo a seconda delle circostanze.
- Conclusione: La banca dovrà dimostrare che le rimesse non hanno avuto effetto duraturo (eventualmente perché subito riutilizzate). Il fallito potrà far osservare che in ciascun episodio di rimessa l’esposizione è effettivamente diminuita e, in assenza di prova contraria, chiedere che almeno parte delle somme resti disponibile. Inoltre, la rimessa di terzo non entra nel conteggio del debito (Cass. 24018/2023), come evidenziato nel calcolo.
Domande e risposte
1. Che cosa si intende per “anticipazioni bancarie salvo buon fine (SBF)”?
Si tratta di un’operazione in cui la banca anticipo al cliente l’incasso di effetti (cambiali, tratte, ecc.) o di altri titoli all’atto della consegna in pegno. In pratica, il cliente consegna alla banca titoli che saranno riscossi in futuro da terzi; la banca accredita subito l’importo sul conto cliente, attivando un “apertura di credito” garantita dal pegno stesso. Alla scadenza i titoli vengono incassati (se confermati, la rimessa estingue l’anticipazione; se insoluti, la banca riaddebita il conto). Come spiegato dalla dottrina, è un contratto diverso dall’apertura di credito tradizionale poiché coinvolge beni in pegno e viene regolato dal capo dell’anticipazione bancaria (artt. 1846-1851 c.c.). L’effetto pratico è che la banca riceve somme al posto del cliente ed è tenuta a restituirle al fallimento, a meno che non si configuri un caso di revocatoria.
2. Quali sono i presupposti per esperire l’azione revocatoria fallimentare?
Occorre, anzitutto, che il fallito sia in stato di insolvenza/concordato (ovvero sia pendente la liquidazione giudiziale). Poi devono essere trascorsi i termini di legge: di norma l’azione può investire atti compiuti dopo la domanda di fallimento o negli 12 (o, per imprese, 18) mesi precedenti. Sul piano soggettivo va dimostrato che il cliente sapeva di essere insolvente e voleva favorire la banca a scapito degli altri (scientia e dolo specifico), e che la banca sapeva del suo stato. In pratica, si raccolgono elementi (proteste, anomalie bancarie, segnalazioni Centrale Rischi, ecc.) che formano prova presuntiva del crac. Infine, ai fini della revocabilità delle anticipazioni occorre che tali somme abbiano avuto un effetto duraturo sulla riduzione del debito complessivo.
3. Qual è la differenza tra revocatoria ordinaria e fallimentare?
La revocatoria ordinaria (cod. civ. art. 2901) è azionabile dal singolo creditore e presuppone un dolo specifico del debitore e del terzo. Ha termini di decadenza di 2 o 5 anni dall’atto. Non richiede insolvenza. La revocatoria fallimentare (L.F. 65-70) è esperita dal curatore una volta dichiarato il fallimento (o liquidazione), e si basa più sulla concorrenza degli interessi dei creditori: si può revocare un atto anche senza provare dolo, purché l’atto sia compiuto in un periodo a ridosso del fallimento e arrechi pregiudizio collettivo. Inoltre, la L.F. agevola il curatore ampliando i casi (anche pagamenti di debiti scaduti con mezzi diversi). In sintesi, la fallimentare si applica per tutelare la par condicio creditorum in crisi d’impresa, mentre l’ordinaria tutela il singolo creditore contro frodi specifiche.
4. Quando un accredito bancario è esente da revocatoria fallimentare?
Due casi principali:
- Se l’accredito è funzionale all’attività ordinaria del fallito (ad es. pagamento regolare di fornitori o salari nei termini d’uso), esso è solitamente tutelato dall’art. 66 L.F. (ora art. 166 CCI c.3 lett. a).
- Se l’accredito su c/c non ha ridotto in modo consistente e durevole l’esposizione debitoria (art. 67 c.3 lett. b L.F.), come ad es. un semplice reintegro del fido subito bilanciato da nuovi usi. In questi casi si applica l’esenzione di cui all’art. 166, comma 3, lett. b) CCI. Recentemente però la Cassazione (Cass. 34494/2023) ha precisato che tale esenzione vale solo se il conto è “normale” e operativo; su un conto bloccato o di sola riscossione ogni versamento è considerato pagamento di debito e non è esente.
5. Che differenza c’è tra rimesse “solutorie” e “ripristinatorie”?
Una volta in dottrina si distingue tra rimesse solutorie (il pagamento di un debito effettivamente sorto) e ripristinatorie (versamento di somme ma senza un debito preesistente, semplicemente rientro del fido). Recenti pronunce (Cass. 23095/2023) hanno affermato che questa distinzione è irrilevante in sede revocatoria. Ciò che conta è la durevolezza dell’effetto sul debito: se il versamento produce una riduzione duratura dell’esposizione, può essere revocato; altrimenti no. Quindi, per il giudice fallimentare non importa come si qualifichi il versamento, ma se questo ha “scalfito” in modo non momentaneo il debito.
6. Cosa si intende per clausola di compensazione e quali effetti ha?
È un accordo tra correntista e banca secondo cui le posizioni creditizie/debitrici si compensano automaticamente. Se la clausola è documentata e opponibile, la banca potrà trattenere le somme incassate dalle anticipazioni per compensare il proprio credito. In Cass. 42008/2021 è stato detto che con compensazione valida, l’incasso dalla banca rappresenta l’estinzione anticipata del proprio debito, rendendo solo il credito del cliente verso di essa esigibile. Ciò significa che, in caso di compensazione riconosciuta valida, l’azione revocatoria potrà colpire solo l’eventuale credito residuo (il “resto” non compensato) dopo il fallimento. Un’altra pronuncia (Cass. 34424/2023) ha ribadito che le norme sulla cristallizzazione non impediscono l’operatività del patto di compensazione (art. 1853 c.c. si applica tra conti diversi purché esigibili). In sintesi, la clausola di compensazione opponibile può impedire che l’azione revocatoria porti al recupero delle somme già incassate, rendendo il fallito creditore della banca. Tuttavia, essa va sempre provata.
7. Come si calcola l’importo massimo oggetto di revoca?
Secondo l’art. 70 L.F. (ora art. 167 CCI) il limite massimo è dato dalla differenza tra l’esposizione massima raggiunta nel periodo sospetto e quella residua alla dichiarazione di fallimento. Ad esempio, se il debito era arrivato a €100.000 e a fallimento era rimasto €40.000, si può reclamare fino a €60.000. Tuttavia la Corte ha chiarito che questo è solo il tetto complessivo, e va integrato con la verifica delle singole rimesse. Nel calcolo pratico vanno escluse le somme non imputabili al fallito (versamenti di terzi, pagamenti di debiti scaduti in denaro, ecc.) e considerate solo le rimesse effettivamente fatte dal debitore in periodo sospetto.
8. Quali azioni concrete può fare il debitore/imprenditore per difendersi?
Può dimostrare che, nel periodo sospetto, tutte le somme incassate non sono andate a ridurre permanentemente il suo debito (ad esempio perché subito riutilizzate per pagamenti urgenti). Può provare che alcune rimesse erano pagamenti di debiti scaduti già esigibili in denaro (non revocabili). Può contestare la data dei contratti di apertura di credito (ad es. Cass. 17220/2023 ha escluso che le segnalazioni alla Centrale Rischi valgano come data certa per i contratti). Può allegare che il conto era “al rientro” (bloccato) in modo che l’art. 67(3b) decade. Può infine verificarne il coinvolgimento di terzi (fornitori, soci, ecc.) e far emergere eventuali condotte collegate, o addirittura proporre un proprio concordato dimostrando una migliore soluzione rispetto al fallimento. In generale, il debitore deve collaborare con il CTU nominato per l’esame delle rimesse, fornendo tutta la documentazione contabile e bancarie sui movimenti di conto.
9. Cosa cambia con il nuovo Codice della Crisi?
Sostanzialmente i criteri sono gli stessi. L’art. 166 CCI ripropone i concetti di revocatoria (atti in un anno prima, dolo di conoscenza) e l’esenzione delle rimesse non consistenti/durevoli. I termini di decadenza sono aggiornati (art. 170 c.c.i.). Tuttavia, negli intenti del legislatore le modifiche puntavano semmai ad ampliare i diritti del debitore (es. prevedendo espressamente le riscossioni di terzi), senza sconvolgere la materia fondamentale. In pratica, chi opera in piena fase concorsuale (già da fine 2022) deve fare riferimento al CCI, ma i principi giurisprudenziali rimangono trasferiti. Un consulente esperto deve comunque controllare se il fallimento è precedente o successivo all’entrata in vigore del CCI, in modo da applicare l’articolato giusto.
10. Quale iter ha l’azione revocatoria in un fallimento?
Il curatore solitamente inserisce l’azione revocatoria nel primo atto di insinuazione al passivo (o in un atto separato), indicando le operazioni di anticipo da annullare. Queste saranno decise dal giudice delegato insieme alla verifica del credito bancario. Se il curatore ottiene un accoglimento di misura, il decreto di ammissione al passivo includerà la restituzione di somme già incassate (ad es. decurtando la somma ammessa alla banca). Contro tale decreto la banca può opporsi, aprendo un nuovo giudizio (opposizione allo stato passivo). In quella sede il giudice dell’opposizione rivisiterà i fatti: potrà riesaminare i movimenti del conto, la scienza, l’esistenza di compensazioni o di fondi terzi, senza essere vincolato dal giudicato sul quantum originario. Solo una volta esaurita l’opposizione – con sentenza a favore o meno del curatore – si passerà alla fase esecutiva della revocatoria: ottenuto il decreto dichiarativo di inefficacia (incameramento somme), il curatore può agire con ordinario procedimento di pagamento verso la banca o utilizzare altri mezzi esecutivi. Nel frattempo, le somme già incamerate dall’ordinanza di revocatoria restano vincolate al giudicato fino alla definitiva sentenza.
Fonti normative e giurisprudenziali
- Codice Civile – Art. 2901 e segg. (revocatoria ordinaria), artt. 1846-1851 (anticipazione bancaria), art. 1853 (compensazione tra saldi bancari).
- Legge Fallimentare (L. 267/1942) – Artt. 65-70 (atti a titolo oneroso e pagamenti, revocatoria fallimentare, compensazione e cristallizzazione).
- Codice della crisi (D.Lgs. 14/2019) – Artt. 166–171 (attualizzano i principi di revocatoria fallimentare).
- Giurisprudenza di legittimità: Cass. 42008/2021 (Clausola compensativa: incasso di rimesse anticipa obbligazione già sorta e consente l’esigibilità del credito); Cass. 34424/2023 (art. 1853 c.c. si applica anche tra conti diversi: compensazione valida nel fallimento); Cass. 34494/2023 (conto non operativo: art. 67(3b) non si applica, tutte le rimesse sono revocabili); Cass. 24018/2023 (ogni singola rimessa va verificata su consitenza/durevolezza, esclude i versamenti di terzi con fondi propri); Cass. 23095/2023 (irrillevanza delle rimesse solutorie vs ripristinatorie, conta solo l’effetto sul debito); Cass. 17220/2023 (no mutatio libelli se curatore chiede somme in aumento e prova data certa: CR banca inidonea a datare contratti); Cass. 15825/2024 (deve accertare la compensazione anche nell’opposizione, indipendentemente da temporalità).
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