Hai troppi debiti e ti stai chiedendo se esiste una via legale per liberartene e ricominciare da capo? Hai sentito parlare di esdebitazione, ma non sai come funziona né se puoi davvero ottenerla?
L’esdebitazione è lo strumento previsto dalla legge per consentire a chi si trova in una condizione di sovraindebitamento di cancellare i debiti non pagati e ripartire senza il peso del passato. Ma non si ottiene automaticamente, serve rispettare precisi requisiti e seguire una procedura ben definita.
Cosa significa ottenere l’esdebitazione?
Vuol dire che, una volta conclusa la procedura – come ad esempio la liquidazione del patrimonio o il piano del consumatore – puoi essere esonerato dal pagamento dei debiti residui. Nessun creditore potrà più chiederti nulla su quei debiti: vengono cancellati in via definitiva.
Chi può accedere all’esdebitazione?
Possono chiederla:
- le persone fisiche sovraindebitate;
- i piccoli imprenditori o ex imprenditori che non possono accedere al fallimento;
- chi ha già affrontato una procedura di liquidazione controllata;
- anche chi non ha alcun patrimonio (cosiddetto debitore incapiente), ma agisce in buona fede.
Come si ottiene l’esdebitazione?
La prima cosa da fare è valutare se ci sono i requisiti: serve dimostrare che non si è potuto pagare per reali difficoltà economiche, e di aver agito correttamente senza frodi o colpa grave. A quel punto, si può avviare la procedura, con l’assistenza di un avvocato o di un Gestore nominato dall’Organismo di Composizione della Crisi (OCC).
In base al tuo caso, potrai accedere a una delle seguenti procedure:
- Piano del consumatore, se hai un reddito regolare e vuoi proporre un piano di rientro;
- Liquidazione del patrimonio, se metti a disposizione i tuoi beni per chiudere la posizione;
- Esdebitazione del debitore incapiente, se non hai nulla da offrire ma sei in buona fede.
E dopo?
Una volta approvata dal tribunale, l’esdebitazione produce un effetto preciso: i debiti vengono cancellati e nessuno potrà più esigerli, né legalmente né tramite recupero crediti. Attenzione però: alcuni debiti non si cancellano, come quelli per alimenti, multe o responsabilità penale.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in procedure di esdebitazione e sovraindebitamento – ti spiega come ottenere l’esdebitazione, quando è possibile farlo, quali sono i passaggi fondamentali e cosa possiamo fare per aiutarti a uscire dal peso dei debiti e ritrovare serenità.
Hai accumulato debiti che non riesci più a pagare e vuoi sapere se puoi davvero cancellarli?
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Introduzione
L’esdebitazione è il meccanismo legale che permette al debitore persona fisica insolvente e meritevole (ossia in buona fede, non colpevole di frodi o mala gestio) di ottenere la cancellazione dei debiti residui dopo aver tentato di soddisfare i creditori nelle forme previste dalla legge. In altre parole, l’esdebitazione offre al debitore onesto ma sfortunato una “seconda chance” per reinserirsi nell’economia senza il peso dei debiti pregressi. Questo principio del fresh start è stato rafforzato in Italia con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII, D.lgs. 14/2019), entrato in vigore definitivamente dal 15 luglio 2022. Il CCII ha riordinato la materia delle procedure concorsuali, introducendo in particolare strumenti moderni per la crisi da sovraindebitamento (cioè l’insolvenza di soggetti “non fallibili” come consumatori, professionisti, start-up, piccoli imprenditori) con l’obiettivo di favorire il risanamento e, quando ciò non è possibile, liberare comunque il debitore dai debiti insostenibili.
Nel corso del 2020-2024 il legislatore ha emanato diversi decreti “correttivi” al Codice della crisi per perfezionarne le norme, recependo anche la Direttiva UE 2019/1023 sull’insolvenza. In particolare, il Decreto Correttivo Ter (D.lgs. 136/2024) ha introdotto modifiche sostanziali agli istituti dell’esdebitazione e del sovraindebitamento, ad esempio riducendo a 3 anni i tempi di durata delle liquidazioni e dell’eventuale sorveglianza post-esdebitazione. Parallelamente, la giurisprudenza recente (Corte di Cassazione e tribunali di merito) ha fornito importanti chiarimenti applicativi, consolidando un orientamento di favor debitoris in linea con i principi europei. Ad esempio, la Cassazione civile, Sez. I, sent. n. 15359/2023 ha ribadito che le condizioni di meritevolezza previste dalla legge per concedere l’esdebitazione sono tassative e non possono essere integrate dal giudice con ulteriori requisiti arbitrari; inoltre, non è richiesto il pagamento di una soglia minima ai creditori ai fini dell’accesso al beneficio. Ciò uniforma la prassi italiana ai principi UE, confermando che anche un debitore incapace di offrire ai creditori alcuna soddisfazione può comunque essere esdebitato, purché ricorrano tutti gli altri presupposti di legge (assenza di frode, buona fede, etc.).
Di seguito analizziamo tutti gli strumenti di esdebitazione previsti dal CCII dal punto di vista del debitore, ossia le varie procedure a cui può accedere chi si trova sovraindebitato per ottenere la liberazione dai debiti. In particolare, tratteremo:
- l’esdebitazione a seguito di liquidazione controllata (cioè dopo la vendita dei beni del debitore tramite procedura concorsuale semplificata);
- l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII), riservata a chi non ha alcun patrimonio da liquidare;
- il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (il nuovo “piano del consumatore” ex artt. 67-73 CCII);
- il concordato minore (accordo di composizione della crisi per debitori non consumatori, ex artt. 74-83 CCII);
- la liquidazione controllata del sovraindebitato (procedura concorsuale liquidatoria ex artt. 268-277 CCII).
La guida adotterà un linguaggio tecnicamente accurato ma divulgativo, con spiegazioni chiare dei termini giuridici, in modo da risultare utile sia al professionista legale sia al debitore privo di specifiche competenze. Per ogni istituto verranno illustrati i requisiti di accesso, il funzionamento pratico (durata, organi coinvolti, effetti per debitore e creditori), gli sbocchi (come e quando si ottiene l’esdebitazione) e le novità introdotte fino al 2025. Riferimenti a casi reali (sentenze di Tribunali e della Corte di Cassazione fino al 2024/2025) arricchiranno l’analisi, così come esempi pratici che mostrano l’applicazione delle norme a tipiche situazioni di crisi (dal privato consumatore al piccolo imprenditore). Sono inoltre incluse FAQ (domande e risposte frequenti) per chiarire i dubbi comuni, e tabelle riepilogative che comparano sinteticamente le diverse procedure. Infine, in appendice, sono riportate le principali fonti normative e giurisprudenziali citate nel testo.
Panoramica degli strumenti di esdebitazione nel Codice della Crisi
Il Codice della crisi prevede diverse procedure per la soluzione del sovraindebitamento, le quali possono sfociare nell’esdebitazione del debitore. Tali strumenti si distinguono in due categorie fondamentali:
- Procedure di composizione negoziata dei debiti (concordatarie): in cui il debitore propone un accordo o piano ai creditori per ristrutturare i debiti, pagando in parte o secondo certe modalità, con omologazione del tribunale. Se il piano viene regolarmente eseguito, i debiti sono considerati estinti o ridotti conformemente all’accordo e il debitore ne risulta liberato. In questi casi l’effetto liberatorio è intrinseco all’omologazione e al completamento del piano, senza bisogno di un separato provvedimento di esdebitazione. Rientrano qui:
- la ristrutturazione dei debiti del consumatore (il “piano del consumatore” riservato a debitori persone fisiche consumatori);
- il concordato minore (procedura simile al concordato preventivo ma destinata a debitori non consumatori non fallibili, es. piccoli imprenditori, professionisti, start-up, enti non commerciali);
- (Nota: esistono anche gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII, ma nel contesto del sovraindebitamento essi coincidono sostanzialmente con il concordato minore per i soggetti non consumatori).
- Procedure liquidatorie (concorsuali): in cui il patrimonio del debitore viene liquidato (venduto) sotto controllo del tribunale e di un liquidatore nominato, per distribuire il ricavato ai creditori. Poiché in questi casi di norma i crediti non risultano interamente soddisfatti, il legislatore prevede la possibilità di liberare il debitore dai debiti residui non pagati tramite un provvedimento formale di esdebitazione emesso dal tribunale al termine (o dopo un certo tempo dall’apertura) della procedura. Rientrano qui:
- la liquidazione controllata del sovraindebitato (corrispondente alla “liquidazione dei beni” della previgente Legge 3/2012, oggi disciplinata dagli artt. 268-277 CCII), destinata ai debitori non fallibili in stato di insolvenza. In esito a questa procedura, decorso il termine di legge (massimo 3 anni dall’apertura) il tribunale dichiara inesigibili tutti i crediti concorsuali rimasti insoddisfatti, a condizione che il debitore sia meritevole. Si parla di esdebitazione “di diritto” perché integrata nella procedura: una volta esaurita la liquidazione, il debitore ottiene automaticamente (salvo opposizioni) la cancellazione dei debiti residui.
- l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII), procedura speciale e residuale introdotta di recente per il debitore persona fisica nullatenente che non ha beni liquidabili né redditi da offrire ai creditori. In tal caso, il debitore – se meritevole – può chiedere direttamente al tribunale di essere esdebitato senza aver pagato nulla ai creditori (c.d. “esdebitazione a costo zero”). Questa procedura, che costituisce una extrema ratio azionabile una sola volta nella vita, prevede comunque una tutela postuma per i creditori: per i 3 anni successivi, il debitore esdebitato resta obbligato a segnalare e destinare ai creditori una parte di eventuali utilità patrimoniali sopravvenute (in misura non inferiore al 10% dell’ammontare originario dei debiti). Se tale evenienza non si verifica, l’esdebitazione rimane definitiva.
Oltre a queste procedure tipiche, va menzionato che anche la liquidazione giudiziale (il fallimento in senso tradizionale, riservato agli imprenditori commerciali di dimensioni non piccole) prevede un istituto di esdebitazione simile: ai sensi degli artt. 279-281 CCII, il fallito persona fisica può ottenere la liberazione dai debiti non soddisfatti alla chiusura del fallimento (o dopo 3 anni dall’apertura) se rispetta determinati requisiti di onestà e cooperazione. Tuttavia, questa guida si concentra sulle procedure di sovraindebitamento ex lege 3/2012 confluite nel CCII, ossia quelle accessibili anche a consumatori, professionisti e piccoli imprenditori non soggetti a fallimento. La tabella seguente riassume in chiave comparativa le tipologie di esdebitazione oggi previste:
Tabella riepilogativa – Tipologie di esdebitazione nel CCII (2025)
Tipo di esdebitazione | Destinatari (ambito) | Quando opera | Riferimenti normativi |
---|---|---|---|
Liquidazione giudiziale (fallimento) | Debitori fallibili (imprenditori commerciali sopra soglie) | – Alla chiusura della procedura (esdebitazione contestuale);– Dopo 3 anni dall’apertura, anche se la liquidazione non è terminata (su istanza del debitore). | Art. 279 CCII (tempi);Art. 280 CCII (condizioni);Art. 281 CCII (procedimento). |
Liquidazione controllata (sovraindebitamento) | Debitori non fallibili (consumatori, imprenditori minori, professionisti, start-up innovative, enti no-profit, imprenditori agricoli, soci illimitatamente responsabili di società minori, ecc.) | – Alla chiusura della liquidazione controllata;– Dopo 3 anni dall’apertura, se la procedura è ancora in corso (operatività di diritto: il tribunale pronuncia l’esdebitazione con decreto, salvo cause ostative). | Art. 282 CCII (esdebitazione di diritto nella liquidazione controllata). |
Esdebitazione del debitore incapiente | Persona fisica nullatenente (priva di beni o redditi utilmente liquidabili) che non possa accedere ad altre procedure per mancanza di attivo. Esclusi enti e soggetti collettivi. | – Procedura autonoma su istanza del debitore (tramite OCC) senza liquidazione di attivo (poiché il debitore non possiede nulla);– Il tribunale, verificati i requisiti, concede l’esdebitazione con decreto anche immediatamente, senza dover attendere 3 anni (non essendoci riparti da effettuare). NB: Per 3 anni dopo il decreto il debitore dovrà segnalare e destinare ai creditori eventuali nuove utilità, altrimenti il beneficio può essere revocato. | Art. 283 CCII (procedura debitori incapienti), introdotto da L. 176/2020 e confermato dal CCII. |
(N.B.: Nelle procedure concordatarie di sovraindebitamento – piano del consumatore, concordato minore – non si parla di “esdebitazione” in senso tecnico, poiché i debiti vengono soddisfatti, ridotti o stralciati in base al piano omologato. In tali casi, una volta eseguito il piano, il debitore è comunque libero dalle obbligazioni residue conformemente all’accordo, senza bisogno di ulteriore pronuncia del giudice. L’esdebitazione formale interviene invece nelle procedure liquidatorie – fallimento o liquidazione controllata – dove, esaurito l’attivo, permangono debiti impagati.)
Nei capitoli che seguono entreremo nel dettaglio di ciascuna delle procedure sopra elencate (ad eccezione della liquidazione giudiziale, per la quale rinviamo alle trattazioni specialistiche sul fallimento, dato che riguarda soggetti diversi dai sovraindebitati “civili”). Per ognuna descriveremo requisiti soggettivi e oggettivi, iter procedurale, ruolo dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) o di altri organi, effetti per il debitore e per i creditori, fino alla conclusione con l’esdebitazione. Si forniranno inoltre esempi pratici e si citeranno le principali novità normative apportate fino al 2024/2025 (come il nuovo Fondo per l’esdebitazione degli incapienti o le modifiche sul mantenimento della prima casa), nonché i precedenti giurisprudenziali più rilevanti.
Ristrutturazione dei debiti del consumatore (Piano del consumatore)
Definizione e scopo: La ristrutturazione dei debiti del consumatore – comunemente nota come piano del consumatore – è una procedura di sovraindebitamento riservata esclusivamente al debitore consumatore, cioè la persona fisica che ha contratto obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Questo strumento, disciplinato dagli artt. 67-73 CCII, consente al consumatore sovraindebitato, con l’ausilio di un OCC, di proporre ai propri creditori un piano di rientro sostenibile, indicando specificamente come e in che tempi intende superare la crisi pagando in tutto o in parte i debiti. L’obiettivo è evitare la liquidazione dei beni del debitore, attraverso una soluzione concordata e calibrata sulla sua capacità reddituale, garantendo però ai creditori una soddisfazione almeno pari a quella ottenibile dalla liquidazione (c.d. principio del miglior soddisfacimento possibile). In altre parole, il piano del consumatore deve assicurare che nessun creditore venga trattato peggio di come sarebbe trattato se si liquidassero i beni del debitore.
Accesso e requisiti di meritevolezza: Possono accedere al piano del consumatore solo i soggetti che soddisfano i seguenti requisiti:
- essere consumatori, ossia persone fisiche che hanno assunto debiti per scopi personali estranei ad attività d’impresa o professionali (sono equiparati ai consumatori anche i soci di società di persone per i debiti estranei all’attività sociale);
- non aver già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti la domanda, né aver beneficiato dell’esdebitazione più di due volte in totale nella vita;
- non aver causato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode (art. 69 CCII). In pratica, il consumatore deve essere “meritevole”, ossia aver assunto i debiti con diligenza e buona fede. Ad esempio, un eccesso di indebitamento dovuto a eventi sfortunati (malattia, perdita del lavoro, ecc.) è compatibile con la meritevolezza; viceversa, chi ha abusato del credito contrattando prestiti sproporzionati con l’intento di non restituirli può essere dichiarato non meritevole. Spetta al giudice valutare caso per caso la condotta del debitore e le cause dell’indebitamento.
Oltre a ciò, il debitore consumatore non deve aver dissipato il proprio patrimonio in atti in frode ai creditori (vendite simulate, donazioni di beni per sottrarli ai creditori, ecc.), pena l’inammissibilità. Tali comportamenti fraudolenti, se accertati, escludono la meritevolezza e portano al diniego della procedura e dell’esdebitazione. Anche omissioni gravi nei doveri fiscali possono incidere: ad esempio, una cospicua evasione fiscale protratta senza giustificato motivo può costituire indice di malafede (salvo sia dovuta a circostanze eccezionali fuori dalla volontà del debitore, come ha rilevato Trib. Bergamo 4 febbraio 2023 in tema di omesso versamento di imposte per comprovata impossibilità economica).
Preparazione del piano: Il consumatore, generalmente assistito da un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) o da un professionista gestore della crisi, predispone una proposta di piano che descrive in dettaglio:
- le cause dell’indebitamento e lo stato patrimoniale ed economico del debitore;
- l’elenco dei creditori con l’importo dei debiti e le eventuali garanzie;
- le modalità di ristrutturazione proposte: ad esempio la dilazione dei pagamenti, il pagamento parziale (falcidia) di alcuni crediti, l’eventuale messa a disposizione di beni o redditi futuri per pagare i creditori, ecc. Il contenuto del piano è libero e può contemplare qualsiasi forma di soddisfacimento, anche differenziata tra diversi crediti (purché nel rispetto delle cause legittime di prelazione);
- un’analisi della fattibilità del piano, ossia la capacità concreta del debitore di adempiervi. Su questo punto l’OCC redige una relazione particolareggiata (art. 68 CCII) in cui attesta la veridicità dei dati e la sostenibilità del piano, nonché il rispetto del principio del miglior soddisfacimento dei creditori rispetto all’alternativa liquidatoria.
Presentazione e omologazione: Il piano viene presentato con ricorso al Tribunale del luogo di residenza del consumatore. Aperta la procedura, il giudice:
- Verifica inizialmente la completezza della documentazione e la sussistenza delle condizioni di ammissibilità (in particolare lo status di consumatore e l’assenza di atti in frode o colpa grave). Se tutto è in regola, dichiara aperta la procedura e nomina un gestore della crisi (di norma un professionista dell’OCC che già ha seguito la pratica). Inoltre, fissa l’udienza di omologazione del piano e ordina la sospensione di eventuali azioni esecutive individuali dei creditori nel frattempo.
- Notifica ai creditori: I creditori vengono avvisati e ricevono copia della proposta di piano e della relazione OCC. Essi non votano sul piano (a differenza di quanto avviene nel concordato minore), in quanto la legge non richiede il consenso dei creditori per l’omologazione della ristrutturazione del consumatore. Tuttavia, i creditori possono formulare osservazioni o contestazioni, ad esempio eccependo l’inesattezza dei dati, la mancanza di convenienza del piano o la mala fede del debitore.
- Udienza di omologazione: Il tribunale, in composizione monocratica o collegiale a seconda dei casi, tiene l’udienza in cui valuta: (a) la fattibilità e legalità del piano; (b) la meritevolezza del debitore; (c) le eventuali opposizioni dei creditori. Il giudice verifica in particolare che il piano non pregiudichi i creditori – ad esempio che a ciascuno venga offerto almeno quanto otterrebbe dalla liquidazione dei beni del debitore – e che non vi siano creditori privilegiati sacrificati oltre il consentito (ad es., un creditore ipotecario deve ricevere almeno il valore di stima del bene ipotecato, altrimenti l’accordo non può essere imposto senza il suo consenso). Se queste condizioni sono soddisfatte e il debitore risulta meritevole, il tribunale omologa il piano con decreto, rendendolo vincolante per tutti i creditori anteriori. In caso contrario, rigetta l’omologazione (ciò può avvenire, ad esempio, se emerge che il debitore ha dolosamente aggravato la propria posizione o se il piano è manifestamente inattuabile).
- Esecuzione del piano: Dopo l’omologazione, il debitore (sotto la supervisione dell’OCC/gestore) dà attuazione al piano, effettuando i pagamenti e le altre operazioni previste nei tempi stabiliti. Durante questa fase, i creditori anteriori non possono iniziare né proseguire azioni esecutive individuali, dovendo attendere l’esecuzione del piano secondo i termini concordati. Il piano omologato ha efficacia di vincolo contrattuale per tutti i creditori interessati, anche dissenzienti.
Esdebitazione nel piano del consumatore: Se il piano viene eseguito correttamente fino al termine, il consumatore ottiene l’effetto liberatorio conforme a quanto previsto dal piano stesso: i debiti inclusi nel piano si considerano estinti o ridotti secondo l’accordo omologato e i creditori non possono più agire per eventuali importi residui eccedenti quanto ricevuto. Non è necessario un ulteriore provvedimento di esdebitazione, in quanto – differentemente dalle procedure di liquidazione – qui i debiti sono stati regolati negozialmente. È però importante precisare che l’omologazione del piano non cancella automaticamente i debiti, ma li “congela” nelle nuove forme previste: sarà l’integrale adempimento del piano da parte del debitore a determinare l’effetto solutorio finale (ad esempio, se il piano prevede di pagare il 40% di un certo debito e ciò avviene, il restante 60% è definitivamente non esigibile).
Se invece il debitore non adempie alle obbligazioni assunte col piano, possono aprirsi due scenari: (a) il tribunale, su istanza dei creditori, dichiara la risoluzione del piano per inadempimento (anche se non colpevole) e in tal caso cessano gli effetti favorevoli per il debitore, il quale perde il beneficio dell’esdebitazione concordata; i creditori tornano liberi di agire per l’intero credito originario (dedotto quanto eventualmente già incassato in esecuzione del piano); (b) in alternativa, se l’inadempimento è minimo o dovuto a causa di forza maggiore, il tribunale può tentare di salvaguardare il piano con provvedimenti di proroga o modifica (ma sono ipotesi rare). Di regola, purtroppo, un piano del consumatore non eseguito si traduce nella caduta della protezione per il debitore e spesso viene aperta una liquidazione controllata dei suoi beni come soluzione residuale.
Novità 2024/2025: La disciplina del piano del consumatore è stata affinata dal Correttivo Ter (D.lgs. 136/2024). Pur mantenendo la struttura originaria (assenza di voto dei creditori, omologazione giudiziale), sono stati chiariti alcuni punti e introdotte ulteriori tutele:
- È confermato che il piano del consumatore può prevedere la suddivisione dei creditori in classi e trattamento diversificato, purché rispettoso delle priorità di legge (ad es. si possono prevedere stralci maggiori per i chirografari rispetto ai privilegiati).
- La convenienza del piano viene valutata in base al confronto con la liquidazione controllata: se un creditore contesta di ricevere meno di quanto otterrebbe da una liquidazione, spetta al debitore dimostrare il contrario (coadiuvato dall’attestazione OCC). In caso di dubbio su questo punto, il giudice tende a negare l’omologazione per salvaguardare il diritto del creditore.
- È stata ridefinita la figura del consumatore “meritevole” in maniera più estesa: il Correttivo Ter ha precisato che anche il consumatore che abbia alcuni debiti legati ad attività occasionali o di modesta entità rimane comunque consumatore, purché il debito prevalente sia di natura personale. La Cassazione (sent. n. 22699/2023) ha peraltro chiarito che in presenza di debiti “promiscui” (sia personali che professionali) occorre guardare alla finalità prevalente: se la maggior parte dell’indebitamento deriva da esigenze familiari/personali, il soggetto è trattato come consumatore ai fini dell’accesso al piano. I tribunali di merito (es. Trib. Milano, decreto 30/09/2023) si sono allineati a questo orientamento, consentendo il piano del consumatore anche in casi di indebitamento misto, purché il requisito soggettivo sia soddisfatto in prevalenza.
- Infine, per incentivare l’uso del piano del consumatore, il legislatore ha istituito un Fondo di solidarietà destinato a coprire parzialmente i costi della procedura per i debitori meno abbienti (vedi § Fondo per l’esdebitazione incapienti più avanti). Sebbene il Fondo sia rivolto principalmente alle procedure di esdebitazione incapienti, esso potrà, nelle intenzioni, alleggerire le spese anche dei piani consumatore in situazioni di particolare difficoltà, assicurando così che i costi di OCC e giustizia non siano un ostacolo insormontabile.
Esempio pratico (Piano del consumatore): Luisa, impiegata forty anni, ha accumulato €80.000 di debiti (mutuo residuo su casa, prestiti personali e carte di credito) dopo aver perso il lavoro per un anno. Attualmente percepisce uno stipendio mensile di €1.600 con cui mantiene due figli. Non possiede altri beni oltre all’appartamento dove vive con mutuo ipotecario. Luisa si rivolge a un OCC e propone un piano di ristrutturazione: offre ai creditori chirografari il pagamento del 50% dei debiti in 5 anni (rate mensili di ~€330), mentre continua a pagare regolarmente le rate del mutuo per non perdere la casa (l’ipoteca verrà così soddisfatta integralmente). L’OCC attesta che il piano è sostenibile con il suo reddito e che, in una liquidazione, i creditori chirografari otterrebbero addirittura meno (poiché la casa è gravata da ipoteca e verrebbe forse venduta all’asta a valore inferiore). Nessun creditore propone opposizione. Il Tribunale omologa quindi il piano, ritenendo Luisa meritevole (la crisi è dovuta alla perdita involontaria del lavoro) e constatando che il trattamento dei creditori è equo. Luisa esegue regolarmente il piano: al termine dei 5 anni ha versato ai creditori chirografari €20.000 (pari al 50% dovuto) e ha mantenuto in regola il mutuo. A questo punto il gestore della crisi deposita l’attestazione di avvenuto adempimento. Effetto: Luisa è libera dai debiti residui: il restante 50% dei crediti chirografari (€20.000) è definitivamente cancellato dall’esdebitazione conseguente all’esecuzione del piano, e il mutuo prosegue fino a estinzione senza ulteriori azioni dei creditori.
Concordato minore
Cos’è il concordato minore: Il concordato minore è la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento prevista dal CCII per i debitori non consumatori – tipicamente piccoli imprenditori commerciali sotto le soglie di fallibilità, imprenditori agricoli, start-up innovative, professionisti, ditte individuali o anche società di persone di piccole dimensioni. Si tratta di un accordo tra debitore e creditori per ristrutturare i debiti in modo soddisfacente ma alternativo alla liquidazione. Il concordato minore riprende molti elementi del concordato preventivo (la procedura concorsuale per le imprese maggiori), ma con adattamenti semplificati. In base all’art. 74 CCII, infatti, “si applicano al concordato minore le norme dettate per il concordato preventivo, in quanto compatibili”. Ciò significa, tra l’altro, che il concordato minore può essere presentato in continuità (con prosecuzione dell’attività d’impresa o professionale) oppure liquidatorio (con cessazione dell’attività e vendita dei beni), e che richiede in ogni caso l’approvazione dei creditori e l’omologazione del tribunale.
Finalità e requisiti: La finalità del concordato minore è offrire al debitore sovraindebitato non consumatore una via d’uscita concordata, evitando la liquidazione giudiziale o la liquidazione controllata, purché ciò avvenga senza pregiudizio per i creditori. Pertanto, il piano di concordato deve garantire ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella ottenibile in caso di liquidazione dei beni del debitore (principio del “best interest test”). Inoltre, il debitore deve rispettare requisiti analoghi di meritevolezza: pur non essendo consumatore, gli si richiede di non aver aggravato la propria crisi con dolo o colpa grave e di non aver commesso atti in frode (tali circostanze, se presenti, porteranno il tribunale a non ammettere o a non omologare la proposta). Il concordato minore è quindi riservato al debitore incolpevole o sfortunato nella gestione della sua attività.
Attivazione della procedura: L’iniziativa spetta in primo luogo al debitore. Questi, con l’ausilio di un professionista o dell’OCC, predispone un piano e una proposta di concordato minore da presentare al tribunale competente (art. 75 CCII). Nella domanda vanno allegati, fra l’altro, i bilanci o le scritture contabili, l’elenco dei creditori e la relazione particolareggiata dell’OCC che illustri le cause dell’indebitamento, la diligenza del debitore nell’assunzione dei debiti e la fattibilità del piano. Il contenuto del piano deve indicare chiaramente le modalità e i tempi di adempimento della proposta (es. piano industriale se in continuità, oppure programma di liquidazione dei beni se liquidatorio). La proposta specifica invece cosa viene offerto ai creditori (percentuali di pagamento, eventuali garanzie, ecc.).
Il tribunale, ricevuta l’istanza, valuta l’ammissibilità: verifica la competenza (sovraindebitamento, non fallibile), la completezza documentale e l’assenza di cause di inammissibilità (ad es. precedente concordato minore omologato meno di 5 anni prima, atti in frode, ecc.). Se ammette la procedura, nomina un giudice delegato e un commissario giudiziale (figura analoga a quella del concordato preventivo), e fissa l’adunanza dei creditori per il voto sul piano.
Classi e formazione del consenso: Nel concordato minore il debitore può suddividere i creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi omogenei (non è obbligatorio ma frequente). Ad esempio, si possono classificare separatamente banche, fornitori, erario, ecc. A questo punto si apre la fase di voto: la proposta di concordato deve essere approvata dai creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (art. 78 CCII). Se vi sono più classi, è necessario il voto favorevole della maggioranza in valore dei crediti in ciascuna classe; in mancanza, è possibile chiedere al tribunale l’omologazione nonostante il dissenso di una classe (cram-down) ma solo al ricorrere di specifiche condizioni di legge. Il meccanismo ricalca quello del concordato preventivo. È importante notare che i creditori privilegiati (muniti di pegno, ipoteca o privilegio) votano solo se la proposta prevede per essi l’incapienza o una alterazione dei loro diritti (es. stralcio parziale); altrimenti, se sono soddisfatti integralmente, sono esclusi dal voto per legge ma vincolati ugualmente dall’esito.
Durante la fase di voto, il commissario giudiziale raccoglie le adesioni (che possono avvenire per via telematica o in udienza) e riferisce l’esito. Se la maggioranza richiesta approva, si passa alla fase successiva; se la proposta non raggiunge le maggioranze, il concordato minore fallisce e il tribunale dichiarerà l’improcedibilità, spesso aprendo d’ufficio una liquidazione controllata (in caso di insolvenza conclamata).
Omologazione: In caso di voto favorevole, il tribunale procede all’omologazione del concordato minore con decreto. Anche in questa fase i creditori dissenzienti possono proporre opposizione, ma il giudice la accoglierà solo se riscontra violazioni di legge o mancanza di convenienza per i creditori. In particolare, verificherà nuovamente il rispetto del principio di miglior soddisfacimento: se un creditore ha contestato di ricevere meno che nella liquidazione, il tribunale può rifiutare l’omologazione qualora tale contestazione risulti fondata (la Cassazione ha ad esempio annullato l’omologazione di un accordo di sovraindebitamento che pregiudicava un creditore ipotecario oltre misura: Cass. civ. 4613/2023). In generale, però, una volta approvato dalle maggioranze, il concordato viene omologato a meno di vizi gravi.
Con il decreto di omologazione, il concordato minore diventa vincolante per tutti i creditori anteriori (anche per quelli che non hanno votato o hanno votato contro). Da questo momento, il debitore deve attuare il piano concordatario sotto la vigilanza del commissario (che di solito diventa liquidatore giudiziale se è prevista la vendita di beni). Gli atti dispositivi eventualmente previsti dal piano saranno compiuti dal liquidatore con le forme prescritte. I creditori, dal canto loro, non possono intraprendere azioni individuali esecutive né iniziare procedure concorsuali diverse: essi devono attendere i pagamenti secondo il piano. I crediti sorti dopo l’omologazione (per forniture successive, etc.) sono considerati prededucibili e, se il debitore non li paga regolarmente, i relativi creditori possono agire esecutivamente sui beni non oggetto del piano (quelli destinati ai creditori concorsuali restano protetti dalla segregazione patrimoniale).
Esdebitazione nel concordato minore: Analogamente al piano del consumatore, non occorre un’apposita istanza di esdebitazione. I debiti sono regolati dal piano omologato: l’esecuzione integrale del concordato libera il debitore da ogni ulteriore obbligo verso i creditori concorsuali. Se il concordato prevede il pagamento parziale dei crediti, la parte residua è irrevocabilmente cancellata una volta completato ciò che è stato promesso. In caso di inadempimento del concordato, invece, il tribunale (su segnalazione del commissario o su ricorso dei creditori) dichiara la risoluzione della procedura. Gli effetti protettivi cessano ed è come se il concordato non avesse mai avuto luogo: i creditori riacquisiscono il diritto di pretendere l’intero importo originario, detratto quanto eventualmente incassato prima della risoluzione. Spesso, dopo la risoluzione, i creditori chiedono e ottengono l’apertura di una liquidazione controllata o, se il debitore nel frattempo è divenuto fallibile, di una liquidazione giudiziale (fallimento). Va notato che il CCII, a differenza della vecchia legge 3/2012, non consente (al 2025) di mantenere gli effetti esdebitativi parziali in caso di concordato minore risolto per inadempimento incolpevole: la regola resta che o il piano è eseguito totalmente, o il debitore perde ogni beneficio. Questo tema è oggetto di dibattito dottrinale, ma la prassi al momento è rigorosa.
Tipologie di concordato minore: Come accennato, il CCII prevede due forme:
- il concordato minore in continuità aziendale, in cui è prevista la continuazione (diretta o indiretta) dell’attività del debitore. Ciò può avvenire con la prosecuzione dell’impresa da parte dello stesso debitore (continuità diretta) oppure tramite la cessione o affitto dell’azienda a terzi che la proseguano (continuità indiretta). La continuità è la modalità favorita dal legislatore, perché tende a massimizzare i valori e mantenere posti di lavoro. Il piano in continuità deve includere un’analisi economico-finanziaria dettagliata, un piano industriale che mostri come l’attività genererà flussi di cassa sufficienti a pagare i creditori secondo le nuove scadenze.
- il concordato minore liquidatorio, in cui il debitore propone di liquidare tutto o parte del suo patrimonio per pagare i creditori, cessando l’attività. Questa forma è ammessa solo a determinate condizioni: l’art. 74, comma 2 CCII richiede che il piano liquidatorio preveda l’apporto di risorse esterne (denaro o beni di terzi, nuovi finanziamenti, ecc.) tali da incrementare in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori. Ciò perché un concordato puramente liquidatorio senza apporti esterni sarebbe peggiore o equivalente a una liquidazione controllata, ma con più costi e tempi più lunghi, finendo per danneggiare i creditori. Se il debitore non è in grado di offrire contributi esterni significativi, dovrà optare direttamente per la liquidazione controllata anziché per un concordato liquidatorio. In ogni caso, anche nel concordato minore liquidatorio è obbligatorio destinare ai creditori tutto l’attivo disponibile, salvo diversa convenienza per essi.
Il piano può anche essere misto, parte in continuità e parte liquidatorio (es. mantenere l’attività ma vendere alcuni beni non strategici). In tal caso la procedura si qualifica comunque come concordato in continuità se la prosecuzione dell’attività è prevista almeno in parte, anche se il grosso dei pagamenti ai creditori deriverà dalla dismissione di cespiti.
Novità 2024: conservazione della prima casa – Una delle innovazioni più importanti apportate dal D.lgs. 136/2024 al concordato minore riguarda la tutela dell’abitazione principale del debitore persona fisica. È stato introdotto il comma 2-bis all’art. 75 CCII, che consente di escludere dal piano la liquidazione della casa di abitazione gravata da mutuo ipotecario, a certe condizioni. In sostanza, se il debitore ha un mutuo sulla prima casa e risulta in regola con le rate scadute (o paga le eventuali rate arretrate prima di presentare la domanda), può prevedere nel concordato di continuare a pagare le rate future alle scadenze convenute, mantenendo l’immobile. L’OCC deve attestare che il creditore ipotecario sarebbe comunque soddisfatto integralmente dal valore di mercato della casa e che il mantenimento del mutuo non lede gli altri creditori. Se il tribunale autorizza, l’effetto è che l’abitazione non viene venduta e il debitore la conserva, pagando il mutuo come originariamente previsto. Questa previsione evita che il debitore perda la propria casa pur potendo onorare il relativo debito: è un notevole passo avanti nel favor debitoris, allineato a misure simili già viste nella legislazione emergenziale COVID e nella previgente legge 3/2012 (che nell’ultima versione consentiva di salvare la casa familiare in certi piani di composizione). Ad esempio, Tribunale di Treviso, decreto 21 marzo 2024 ha applicato per la prima volta l’art. 75 co.2-bis CCII, omologando un concordato minore in cui la debitrice aveva previsto di proseguire regolarmente il pagamento del mutuo prima casa, risultato sostenibile, evitando la vendita forzata dell’immobile. Questa novità si pone in sinergia con le norme sul “consolidamento” dei debiti ipotecari nelle procedure familiari, assicurando che la casa di abitazione – se vi è la possibilità economica di salvarla – non vada dispersa nel concorso dei creditori.
Esempio pratico (Concordato minore in continuità): “Beta Tech” S.r.l. è una piccola impresa (fatturato €1 mln) con debiti per €500.000 verso banche e fornitori. Ha in attivo un capannone (valore €300.000) e macchinari (€50.000). Beta Tech è insolvente ma vuole evitare il fallimento: quando alcuni creditori chiedono la liquidazione controllata, l’azienda deposita una proposta di concordato minore in continuità. Il piano prevede la cessione dell’azienda a una nuova società disposta a rilevarla e investire, garantendo così la prosecuzione dell’attività e il mantenimento di 10 posti di lavoro. Dalla cessione Beta Tech ricaverà €200.000, che – insieme a un apporto di finanza esterna di €50.000 da parte dei nuovi soci acquirenti – saranno destinati a pagare i creditori. In particolare, il piano offre il pagamento integrale dei creditori privilegiati (leasing su macchinari, TFR dipendenti) e il 35% ai creditori chirografari, da erogarsi in un anno dalla cessione. Il commissario giudiziale valuta positivamente la continuità (l’azienda ha commesse che la nuova società intende onorare) e attesta che il 35% proposto ai chirografari è superiore a quanto otterrebbero liquidando il capannone e i macchinari (stimati netti €250.000 in caso di vendita forzata, ovvero solo ~20% per i chirografari dopo i privilegi). All’adunanza dei creditori, la proposta ottiene l’adesione dell’80% dei crediti (nessun contrario rilevante). Il Tribunale omologa quindi il concordato. Beta Tech cede l’azienda come previsto e entro un anno il liquidatore (il precedente commissario) paga integralmente i privilegiati e ripartisce ai chirografari la percentuale concordata. Esito: I creditori vengono soddisfatti nei termini previsti e Beta Tech si libera del restante 65% dei debiti chirografari non pagati. La società, esaurita la liquidazione, verrà verosimilmente cancellata dal registro imprese, ma senza strascichi debitori; inoltre, i soci non avranno ulteriori obblighi (salvo garanzie personali prestate a qualche banca, che rimangono valide). L’attività prosegue in mano ai nuovi investitori: si è evitata una chiusura disordinata e i creditori hanno ricevuto più di quanto avrebbero ottenuto dal fallimento o liquidazione pura.”
Liquidazione controllata del sovraindebitato
Cos’è la liquidazione controllata: La liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) è la procedura concorsuale di carattere liquidatorio prevista per il debitore sovraindebitato (persona fisica o giuridica) che non ricorre a piani di ristrutturazione oppure che non riesce a farli omologare. È l’erede della “liquidazione del patrimonio” introdotta dalla Legge 3/2012. In pratica, con la liquidazione controllata i beni del debitore vengono sottoposti a vendita forzata sotto la gestione di un liquidatore nominato dal tribunale, e il ricavato viene distribuito ai creditori secondo le regole della par condicio (ordine delle prelazioni). Al termine, il debitore persona fisica – se meritevole – ottiene l’esdebitazione ex lege, cioè la liberazione dai debiti residui non pagati. Questa procedura rappresenta spesso l’ultima risorsa quando il debitore non è in grado di proporre soluzioni concordate fattibili: pur essendo dolorosa (implica la spossessione dei beni), offre comunque al debitore la prospettiva di ripartire pulito dai debiti entro un tempo definito.
Chi può accedere e quando: Sono legittimati a chiedere la liquidazione controllata:
- il debitore sovraindebitato stesso (persona fisica – consumatore o imprenditore minore – o anche società od ente non fallibile);
- i creditori del debitore (anche un singolo creditore);
- in caso di imprenditore, anche il Pubblico Ministero può attivare la procedura, ma solo se il debitore è un’impresa e ricorrono i presupposti (es. insolvenza manifestata).
La liquidazione controllata è dunque aperta a una platea ampia di debitori, purché non soggetti a liquidazione giudiziale (fallimento). Ad esempio, un lavoratore autonomo o un piccolo commerciante sotto le soglie di fallibilità può accedere; una società di capitali insolvente di medie dimensioni no (in tal caso sarà soggetta a liquidazione giudiziale). La distinzione fra chi è “fallibile” e chi no è data dall’art. 2 CCII e art. 1 L. fall.: oggi include praticamente tutte le imprese commerciali, tranne quelle davvero minori o particolari (imprenditori agricoli, start-up innovative, enti non profit). In dubbio, prevale il favor per la liquidazione controllata: se un imprenditore non è stato dichiarato fallito entro l’anno dalla cessazione attività, può comunque accedere alla liquidazione controllata anche oltre il termine annuale (il Correttivo 2024 ha esplicitamente previsto che l’ex imprenditore commerciale, scaduto l’anno dalla cancellazione dal Registro Imprese, possa comunque avviare una procedura di sovraindebitamento: art. 33 co.4 CCII).
Presupposti oggettivi: Deve sussistere lo stato di sovraindebitamento, definito come l’incapacità cronica del debitore di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni (una situazione di insolvenza conclamata o di crisi irreversibile). Occorre allegare documentazione contabile ed elenchi dei creditori, beni, redditi, ecc., per dimostrare la realtà dei debiti e l’entità del patrimonio. È essenziale che esista un attivo liquidabile – anche modesto, ma non nullo – da poter distribuire: infatti, l’art. 268 CCII (come modificato dal D.lgs. 83/2022) richiede che l’OCC attesti la presenza di almeno qualche bene o diritto aggredibile o di possibili azioni recuperatorie utili, altrimenti la domanda di liquidazione è dichiarata improcedibile. Questa novità mira a evitare “procedure inutili” quando il debitore è totalmente privo di risorse: in tali casi, piuttosto, il debitore dovrà percorrere la strada dell’esdebitazione da incapiente (art. 283). Dunque, liquidazione controllata e esdebitazione incapiente sono alternative: se c’è qualcosa da liquidare, si fa la liquidazione; se non c’è nulla, si percorre la procedura speciale a costo zero. Come sintetizzato dal Tribunale di Ferrara, “l’esdebitazione di diritto in esito alla liquidazione controllata (art. 282 CCII) e quella del debitore incapiente (art. 283 CCII) sono istituti operanti l’uno in alternativa all’altro: il debitore che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità…non può accedere alla liquidazione controllata…e può soltanto beneficiare dell’esdebitazione dell’incapiente; di converso, il debitore ‘falso incapiente’, che versa cioè nelle condizioni di offrire ai creditori una soddisfazione non simbolica…può soltanto domandare l’ammissione alla liquidazione controllata, e non all’esdebitazione ex art. 283”.
Iter della procedura: I passi principali della liquidazione controllata sono:
- Ricorso iniziale: Il debitore (o il creditore, o il PM se ammesso) presenta ricorso al tribunale per l’apertura della liquidazione controllata, allegando tutta la documentazione richiesta (elenco creditori, inventario dei beni, stato di famiglia, ultima dichiarazione redditi, relazione dell’OCC, ecc.). Se il ricorso è del creditore, il debitore può anche depositare un ricorso “in riserva” per proporre soluzioni alternative (ad es. un piano del consumatore o concordato minore) entro termini stabiliti. Il giudice, infatti, prima di aprire la liquidazione su istanza dei creditori, deve concedere al debitore la chance di presentare un proprio piano entro al massimo 60+60 giorni.
- Apertura della procedura: Se non vi sono alternative praticabili, il tribunale dichiara aperta la liquidazione controllata con sentenza (o decreto). Nel provvedimento nomina un giudice delegato e un liquidatore (che talvolta può essere lo stesso professionista OCC che ha istruito la pratica). La sentenza di apertura viene comunicata a tutti i creditori noti e pubblicata (registro imprese, PEC ai creditori, ecc.). Da quel momento: (a) il patrimonio del debitore è sottratto alla sua disponibilità (diviene massa attiva gestita dal liquidatore); (b) sono sospese le azioni esecutive individuali dei creditori (divieto di nuovi pignoramenti, quelli in corso vengono estinti o congelati); (c) decorre il termine (90 giorni, prorogabili di 30) per i creditori di presentare le domande di ammissione al passivo al liquidatore.
- Verifica del passivo: Il liquidatore forma lo stato passivo, esaminando le domande dei creditori, e il giudice delegato lo approva (accertamento dei crediti ammessi a partecipare ai riparti). È previsto un termine di 90 giorni dalla comunicazione dell’apertura per presentare le domande (esteso dai 60 giorni previsti inizialmente, per dare più tempo ai creditori, come da correttivo 2022). I crediti tardivi possono essere ammessi con riserva fino a un anno dopo.
- Liquidazione dell’attivo: Il liquidatore predispone un programma di liquidazione (art. 275 CCII) indicando come intende vendere i beni (procedure competitive, incarichi a operatori specializzati, ecc.) e lo sottopone al giudice delegato. Una volta approvato, procede alle vendite. Deve riferire semestralmente al tribunale sullo stato delle operazioni, pena la revoca automatica dell’incarico in caso di omissione. Le vendite sono effettuate di regola con modalità pubbliche (aste telematiche, ecc.) per massimizzare il ricavo. Il liquidatore può anche esercitare azioni recuperatorie: ad esempio, promuovere azioni revocatorie per far rientrare nel patrimonio somme uscite indebitamente prima della procedura, o azioni risarcitorie contro amministratori o garanti. Può inoltre continuare eventualmente l’esercizio di un’impresa del debitore per il tempo necessario a venderla meglio, su autorizzazione del giudice.
- Riparti ai creditori: Man mano che si realizza liquidità, il liquidatore effettua i riparti distribuendo le somme ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione: prima i crediti in prededuzione (costi della procedura, compensi del liquidatore, crediti sorti dopo apertura se autorizzati), poi i privilegiati (es. dipendenti, fisco, banche con ipoteca, ecc.), infine i chirografari in proporzione. Se il patrimonio è modesto, può farsi un solo riparto finale; se invece è consistente, si faranno più riparti parziali durante i (massimo) 3 anni.
- Chiusura della procedura: La liquidazione controllata ha per legge una durata massima di 3 anni dall’apertura. In molti casi può chiudersi prima se i beni si vendono in minor tempo. Una volta esaurite le operazioni (o comunque decorso il triennio), il liquidatore presenta il conto finale delle sue attività e un progetto di riparto finale delle eventuali somme rimaste da distribuire. Il tribunale emette il decreto di chiusura della liquidazione controllata, approvando il conto e liberando il liquidatore dall’incarico.
Esdebitazione a seguito di liquidazione controllata: L’esdebitazione nella liquidazione controllata opera di diritto al termine della procedura. In base all’art. 282 CCII, decorso il termine di 3 anni dall’apertura (salvo eventuale proroga di breve durata in casi eccezionali) il tribunale dichiara inesigibili tutti i debiti concorsuali rimasti insoddisfatti, pronunciando così l’esdebitazione del debitore. Se la procedura si chiude prima di 3 anni, l’esdebitazione viene disposta con il provvedimento di chiusura stesso. In ogni caso, il debitore persona fisica meritevole ha diritto a uscire dalla procedura liberato dai propri debiti residuali verso i creditori concorsuali.
Le condizioni perché ciò avvenga sono le seguenti (artt. 280-282 CCII):
- Meritevolezza del debitore: il tribunale verifica d’ufficio la condotta del debitore nella formazione dell’indebitamento e durante la procedura. L’esdebitazione è negata se risulta che il debitore ha tenuto comportamenti fraudolenti o gravemente colposi: ad esempio se ha distratto o sottratto beni ai creditori, simulato passività insussistenti, aggravato il dissesto con dolo, violato l’obbligo di collaborazione col liquidatore, o se è stato condannato per gravi reati fallimentari o tributari. Tutte queste circostanze (atti in frode, bancarotta fraudolenta, frode fiscale, ecc.) costituiscono cause ostative tassative. Fuori da questi casi, il giudice non può rifiutare l’esdebitazione introducendo criteri ulteriori: ad esempio, non può pretendere che i creditori abbiano ricevuto una percentuale minima (la legge ha eliminato ogni soglia di pagamento). Questo principio è stato sancito espressamente dalla Cassazione, la quale ha ribadito che se il debitore ha rispettato i requisiti normativi (onestà, cooperazione, niente frodi né dolo grave), l’esdebitazione non può essergli negata adducendo ragioni diverse.
- Soddisfacimento minimo dei creditori: la regola generale nel sovraindebitamento è che non vi è un minimo obbligatorio da pagare (anche 0% è ammissibile, in teoria). Tuttavia, nell’ambito della liquidazione controllata, la prassi e parte della dottrina hanno individuato una soglia indicativa del 10%: se i creditori chirografari sono stati soddisfatti almeno in quella misura, l’esdebitazione è pienamente giustificata; se invece hanno ricevuto meno (o nulla), il tribunale può comunque concedere l’esdebitazione ma ponendo al debitore una condizione: quella prevista dall’art. 282 co.2 CCII, cioè l’obbligo di pagamento entro 4 anni di eventuali sopravvenienze utili fino a raggiungere il 10%. In pratica, il debitore “incapiente relativo” (che in procedura ha pagato ad es. solo il 2-5%) viene esdebitato, ma con l’impegno a restituire ai creditori fino al 10% qualora entro i 4 anni successivi si arricchisca in modo inaspettato. Questa clausola di salvaguardia è analoga a quella dell’esdebitazione incapiente, e mira a bilanciare il sacrificio dei creditori. Molti tribunali l’adottano: ad esempio, Trib. Torino, decreto 15 gennaio 2023 ha concesso l’esdebitazione ad un artigiano che aveva soddisfatto i chirografari solo al 5%, imponendo la condizione quadriennale di cui sopra (in caso di vincita alla lotteria o altro, avrebbe dovuto versare fino a integrare il 10%). Qualora invece il piano di liquidazione abbia già assicurato un pagamento non simbolico (>=10%), l’esdebitazione viene pronunciata senza condizioni aggiuntive.
- Assenza di opposizioni fondate: dopo la chiusura, i creditori hanno un breve termine (30 giorni) per proporre opposizione o reclamo avverso il decreto di esdebitazione, lamentando eventualmente la mancanza dei presupposti. Se nessuno si oppone, o se le opposizioni vengono respinte, l’esdebitazione diviene definitiva ed efficace erga omnes. Se invece l’opposizione viene accolta (caso raro, di solito motivato da scoperta postuma di frodi del debitore), l’esdebitazione può essere revocata.
In sintesi, alla scadenza dei 3 anni (o prima, se la liquidazione si è conclusa anticipatamente) il liquidatore deposita il rendiconto finale e il giudice emette simultaneamente il decreto che chiude la procedura e dispone la cancellazione di tutti i debiti residui del debitore. Da quel momento il debitore è liberato da ogni obbligo verso i vecchi creditori per la parte non pagata, con le eccezioni di legge (si vedano infra le categorie di debiti non cancellabili, come alimenti, risarcimenti dolosi, ecc.). Eventuali creditori che non avevano partecipato o insinuato il loro credito in procedura rimangono anch’essi senza azione, poiché i debiti antecedenti si estinguono per inefficacia sopravvenuta. Come ulteriore tutela per la collettività, il nome del debitore esdebitato viene annotato nel Registro Informatico (se imprenditore) o comunicato nei registri ufficiali, così che risulti la sua pregressa insolvenza – ma ciò non gli impedisce di riprendere l’attività economica.
Durata massima 3 anni: Una delle innovazioni più rilevanti del CCII rispetto alla vecchia legge è la riduzione dei tempi. Prima, la liquidazione del patrimonio durava 4 anni e l’esdebitazione richiedeva una domanda apposita dopo la chiusura. Ora, invece, la liquidazione controllata non può eccedere i 3 anni, e trascorsi 3 anni il debitore può chiedere la chiusura e ottenere comunque l’esdebitazione anche se qualche cespite non è ancora liquidato. Il giudice può prorogare di poco solo in casi eccezionali (ad es. se manca poco alla vendita di un immobile e conviene attendere per soddisfare meglio i creditori), ma la regola è che dopo 3 anni il debitore va liberato. Questo limite temporale recepisce la normativa europea, che indica in 3 anni il periodo oltre il quale negare la fresh start sarebbe eccessivamente punitivo. Dalla prassi del 2022-2024, risulta che i tribunali applicano rigorosamente il termine: ad es., Trib. Ferrara 10 marzo 2025 ha chiuso d’ufficio una liquidazione ancora pendente a 3 anni dall’apertura e dichiarato esdebitato il debitore, nonostante vi fossero in corso azioni revocatorie non ancora concluse (il liquidatore proseguirà quelle azioni per distribuire eventuali recuperi, ma senza più vincolare il debitore).
Esempio pratico (Liquidazione controllata): Mario è un piccolo imprenditore edile che ha cessato l’attività ed è sovraindebitato con €100.000 di debiti (banche, fornitori e debiti fiscali). Ha come unico bene un appartamento di proprietà, valore circa €50.000, sul quale però non grava ipoteca. Mario non riesce a proporre un concordato sostenibile (non avendo redditi sufficienti per un piano). Si rivolge quindi a un OCC e avvia la liquidazione controllata. Il Tribunale apre la procedura, nomina il liquidatore (lo stesso OCC) e sospende i pignoramenti in corso contro Mario. I creditori presentano le domande: risultano ammessi €100.000 di crediti (nessun privilegio, tutti chirografari tranne €5.000 di spese di procedura). Il liquidatore mette in vendita l’appartamento tramite asta telematica e lo vende a €48.000 netti. Dopo aver pagato le spese e i compensi prededucibili (€5.000), restano €43.000 da distribuire ai chirografari, che ottengono quindi circa il 43% dei loro crediti. Trascorsi 2 anni, non essendoci altri beni, il liquidatore presenta il rendiconto e il progetto di riparto finale. Il Giudice chiude la liquidazione e, rilevata l’assenza di frodi o irregolarità da parte di Mario, pronuncia la sua esdebitazione: i residui €57.000 di debiti vengono dichiarati inesigibili. Mario è così libero da qualunque obbligo verso i vecchi creditori e può ricominciare un’attività lavorativa senza timori di azioni di recupero.
(Variante: se nel caso di Mario i creditori avessero recuperato, ad esempio, solo il 5% – poniamo che l’immobile fosse ipotecato e il ricavato andato tutto alla banca garantita, lasciando i chirografari a zero – il tribunale gli avrebbe comunque concesso l’esdebitazione, ma con la condizione dei 4 anni di monitoraggio delle sopravvenienze. Nel decreto di esdebitazione, infatti, il giudice avrebbe imposto a Mario di comunicare annualmente all’OCC eventuali entrate straordinarie e di pagarne fino al 10% ai creditori, qualora entro quattro anni si verificassero. Se Mario vincesse un risarcimento o ottenesse una consistente eredità in quel periodo, dovrebbe destinare ai creditori fino a €10.000 (ossia il 10% di 100.000) per non perdere l’esdebitazione. Viceversa, trascorsi i 4 anni senza novità, la condizione si scioglierebbe e l’esdebitazione diverrebbe definitiva.*)
Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII)
Cos’è l’esdebitazione del debitore incapiente: Si tratta di uno strumento eccezionale e di ultima istanza che consente al debitore persona fisica privo di qualunque utilità da offrire ai creditori di ottenere la cancellazione dei debiti, pur in assenza di pagamento, al fine di dargli un vero “fresh start”. In gergo è detto anche “esdebitazione a zero” o “a costo zero” perché i creditori non ricevono nulla nell’immediato (salvo una tutela minima su eventuali sopravvenienze future). Questo istituto, introdotto inizialmente con la L. 176/2020 e ora disciplinato dall’art. 283 CCII, nasce per quei casi di insolvenza gravissima in cui il debitore è completamente privo di beni e di reddito, e dunque non potrebbe neppure accedere a una liquidazione controllata (che, come visto, richiede almeno un attivo liquidabile). L’intento del legislatore, in recepimento anche di indicazioni europee, è di evitare che una persona resti per tutta la vita schiacciata da debiti impagabili per i quali non esiste alcuna possibilità di soddisfacimento, concedendogli una “pulizia” totale dei debiti a patto che sia un soggetto meritevole e incolpevole.
Ambito soggettivo: Possono beneficiare di questa esdebitazione speciale solo i debitori persone fisiche. Restano esclusi gli enti collettivi e le società (che, se incapienti, semplicemente si estinguono con i debiti al seguito, senza bisogno di esdebitazione). In particolare, rientrano tra i potenziali destinatari:
- i consumatori nullatenenti;
- i professionisti individuali nullatenenti (non esteso a studi associati o società tra professionisti);
- gli imprenditori individuali minori o non commerciali nullatenenti;
- gli ex imprenditori commerciali non più fallibili per decorso del tempo (oltre 1 anno dalla cessazione) se nullatenenti;
- i soci illimitatamente responsabili persone fisiche di società insolventi, se essi stessi nullatenenti per i debiti sociali rimasti a loro carico.
Sono invece esclusi tutti i soggetti collettivi (società, associazioni, etc.) e in generale chi non è persona fisica. L’esdebitazione dell’incapiente è un rimedio pensato per la reintegrazione del singolo nel circuito economico. Inoltre, è concessa una sola volta nella vita: la legge espressamente prevede che il debitore possa usufruirne “solo per una volta” (mentre le altre esdebitazioni possono teoricamente aversi due volte nella vita, come visto, con 5 anni di intervallo).
Quando si può chiedere: La procedura può essere attivata solo se il debitore non è in grado di accedere ad altre soluzioni. In particolare, come visto, se il soggetto ha anche un minimo bene liquidabile o un reddito disponibile, dovrà seguire la liquidazione controllata (dove eventualmente otterrà l’esdebitazione al termine) e non questa procedura incapienti. Viceversa, se davvero “non è in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura”, allora può chiedere l’esdebitazione da incapiente. La valutazione pratica di questa condizione viene fatta dal tribunale caso per caso: la norma fornisce un criterio quantitativo indicando che è considerato incapiente anche chi ha reddito inferiore all’ammontare dell’assegno sociale (raddoppiato e “aggiustato” in base al nucleo familiare). Ma tale indicatore non è assoluto: conta soprattutto la concretezza dell’incapienza. Ad esempio, Trib. Ferrara 10/03/2025 ha chiarito che un debitore con un piccolo reddito può essere comunque ritenuto incapiente se quel reddito basta appena al suo mantenimento dignitoso e, pur essendo sopra il doppio dell’assegno sociale, non consentirebbe comunque di offrire niente di significativo ai creditori. Ciò per evitare situazioni paradossali in cui un povero cronicamente in bolletta venga escluso solo perché ha un reddito minimo. In sostanza, se anche con un modesto reddito (tolto il necessario per vivere) non resterebbe nulla per i creditori in un triennio di liquidazione, allora si può accedere all’esdebitazione incapiente.
Procedura pratica: L’esdebitazione dell’incapiente si svolge con un ricorso al tribunale competente (lo stesso delle procedure di sovraindebitamento) presentato dal debitore, con l’assistenza di un OCC o di un professionista. Non è obbligatorio il patrocinio di un avvocato – la domanda può essere proposta anche personalmente con l’ausilio dell’OCC, come confermato dalla giurisprudenza di merito – il che sottolinea il carattere accessibile della procedura. Nel ricorso, il debitore espone la propria situazione debitoria e la totale assenza di patrimonio e redditi aggredibili, allegando l’elenco dei creditori, l’indicazione delle cause dell’insolvenza e qualsiasi documento utile a dimostrare la propria incapienza (es. ISEE, estratti conto a zero, stato di disoccupazione, etc.).
Ruolo dell’OCC: L’Organismo di Composizione della Crisi svolge un compito di verifica e attestazione simile alle altre procedure: esamina la documentazione, redige una relazione in cui conferma lo stato di sovraindebitamento e attesta che il debitore non possiede beni né risorse per soddisfare i creditori, neppure parzialmente. Viene anche valutata la meritevolezza: l’OCC riferisce se risultano atti in frode, comportamenti dolosi o colposi gravi all’origine dei debiti. Inoltre, poiché l’art. 283 modificato impone al debitore incapiente di mantenere un certo obbligo informativo post-esdebitazione, l’OCC spesso suggerisce al tribunale le modalità con cui vigilare sulle eventuali sopravvenienze (ad es. obbligo di presentare una dichiarazione annuale delle proprie entrate per i 3 anni successivi).
Pronuncia del tribunale: Ricevuto il ricorso, il tribunale convoca il debitore e provvede in camera di consiglio. Tutti i creditori vengono avvisati dell’udienza (la legge richiede che siano informati e messi in condizione di fare osservazioni, sebbene non ci sia un vero contraddittorio né un voto). Se il tribunale ritiene provati i presupposti – assenza di attivo liquidabile e meritevolezza del debitore – emette un decreto con cui concede l’esdebitazione incapiente. Il decreto viene comunicato a tutti i creditori e pubblicato. Da quel momento, tutti i debiti antecedenti (non soddisfatti) del debitore sono cancellati e non possono più essere pretesi, salvo alcune eccezioni per legge (vedremo sotto quali debiti restano esclusi). Di fatto, il debitore ottiene immediatamente l’effetto di una liberazione integrale dai debiti senza dover passare per una liquidazione.
Obblighi post-decreto: La concessione dell’esdebitazione incapiente comporta però un importante obbligo a carico del debitore: per i 3 anni successivi (originariamente erano 4 anni, ma il Correttivo Ter ha ridotto a 3 anni il periodo di sorveglianza) il debitore deve comunicare tempestivamente all’OCC (o al tribunale) l’eventuale arrivo di utilità patrimoniali rilevanti. In pratica, se durante questo triennio post-esdebitazione il debitore “miracolosamente” ottiene nuovi beni o entrate significative (un’eredità, una vincita, un incremento reddituale consistente, etc.), dovrà destinarne una parte ai vecchi creditori, fino almeno al 10% dei loro crediti originari. L’OCC è incaricato di vigilare su questo adempimento per tutto il triennio. Per facilitare i controlli, il debitore di solito viene tenuto a depositare ogni anno (per 3 anni) una sorta di autodichiarazione sulle proprie entrate e a fornire all’OCC documentazione (dichiarazioni dei redditi, estratti conto, ecc.). Se venisse scoperto che ha taciuto una sopravvenienza o non ha versato ai creditori la quota dovuta, il tribunale può revocare l’esdebitazione. Diversamente, trascorsi i 3 anni senza novità di rilievo, l’esdebitazione incapiente diviene definitiva e irretrattabile.
Meritevolezza rigorosa: La valutazione della buona fede è particolarmente stringente in questa procedura, perché qui i creditori vengono totalmente sacrificati fin dall’inizio. L’art. 283 comma 7 CCII specifica che il giudice deve valutare l’assenza di atti in frode e di dolo o colpa grave nella formazione dell’indebitamento prima di concedere il beneficio. Se emergono elementi di malafede, la domanda viene respinta. Ad esempio, è stato negato il beneficio a un debitore incapiente che, pur povero, aveva omesso di versare all’Erario somme trattenute ai dipendenti (Trib. Bergamo, decreto 4 febbraio 2023): il giudice ha ritenuto che l’omissione di versamenti fiscali per anni, anche se dettata da difficoltà finanziarie, eccedeva i limiti della scusabilità e denotava una condotta non meritevole. Invece, in Trib. Oristano, decreto 29 luglio 2024, il giudice ha accolto l’istanza di una debitrice incapiente evidenziando come la sua insolvenza fosse dovuta a cause indipendenti dalla sua volontà (riduzione orario di lavoro, malattia, crisi post-pandemia) e non a comportamenti imprudenti, riconoscendone quindi la meritevolezza. In generale, povertà non vuol dire meritevolezza automatica: il tribunale scruta tutta la storia debitoria. Ma quando la “colpa” del sovraindebitamento non c’è, oppure è lieve e scusabile, allora l’orientamento è di concedere il beneficio per permettere un reinserimento socio-economico del debitore.
Effetti dell’esdebitazione incapiente: Una volta emesso il decreto:
- Il debitore è immediatamente libero da tutti i debiti anteriori (fatti salvi quelli non esdebitabili per legge, vedi paragrafo successivo). I creditori concorsuali non possono più iniziare né proseguire alcuna azione di recupero nei suoi confronti. È come se il debito fosse estinto, anche se tecnicamente la norma parla di “inesigibilità” (il debito rimane come obbligazione naturale, ma senza tutela giuridica per il creditore).
- Non c’è una fase di riparto né liquidazione, quindi i creditori ricevono 0 nell’immediato.
- Il decreto di esdebitazione viene di solito trascritto nei pubblici registri e annotato nel registro delle imprese (se era imprenditore) o comunicato a centrali rischi, ecc. Di fatto, il debitore potrà incontrare difficoltà ad ottenere credito per qualche tempo, ma legalmente nessuna norma glielo impedisce.
- Durante i 3 anni successivi, come detto, permane l’obbligo di trasparenza su eventuali nuovi beni o redditi. L’OCC può effettuare verifiche (ad esempio consultare banche dati, chiedere informazioni) per controllare la situazione del debitore. Alcuni tribunali prevedono anche che il debitore incapiente, qualora trovi un lavoro stabile entro i 3 anni, versi una parte del reddito eccedente il minimo vitale su un conto dedicato ai creditori (questo sulla base di un’interpretazione estensiva del dovere di destinare le utilità sopravvenute).
- Se trascorrono i 3 anni senza revoche, l’esdebitazione si consolida e viene formalmente dichiarata “irrevocabile”. I creditori restano definitivamente insoddisfatti, tranne che per quei debiti che la legge esclude espressamente (ad esempio le obbligazioni alimentari, le sanzioni penali, etc., su cui il debitore resta obbligato nonostante tutto).
Fondo di solidarietà per incapienti: Una novità di estremo rilievo è l’istituzione, nel 2024, del Fondo nazionale per l’esdebitazione dei debitori incapienti presso il Ministero della Giustizia. Si tratta di un fondo con dotazione iniziale di 500.000 euro (per il 2025) finalizzato a coprire i costi procedurali delle istanze di sovraindebitamento presentate da soggetti incapienti. In concreto, il Fondo potrà rimborsare o anticipare: le spese di giustizia, il compenso dell’OCC o del gestore, e altre spese vive connesse alla procedura. Questo perché spesso proprio i costi iniziali (seppur ridotti) di una procedura dissuadono i più poveri dal presentare la domanda. Con il Fondo, invece, il debitore incapiente potrà richiedere di attingervi dimostrando la propria assoluta indigenza; se ammesso (ci sarà un regolamento ministeriale a definire le soglie e modalità), non dovrà pagare di tasca propria l’OCC o altri oneri. Ciò rende la procedura veramente accessibile a tutti. Al giugno 2025 il Fondo non è ancora operativo (si attende il DM attuativo), ma è previsto entro fine anno. È plausibile che i tribunali già inizino a tenerne conto, ad esempio nominando OCC nei casi incapienti con la prospettiva di compenso a carico del Fondo anziché del debitore.
Debiti esclusi dall’esdebitazione (in tutte le procedure): Vale la pena riepilogare, a questo punto, quali sono i debiti che non vengono cancellati né dalla liquidazione controllata né dall’esdebitazione incapiente (né, in generale, da alcuna esdebitazione). Infatti, la legge individua alcune categorie di crediti che, per ragioni di ordine pubblico o di equità, rimangono a carico del debitore anche dopo il provvedimento di esdebitazione. Le principali eccezioni sono:
- Obblighi alimentari e di mantenimento: Debiti per assegni di mantenimento, alimenti, contributi dovuti a coniuge, figli o familiari in base a sentenze o accordi omologati non sono esdebitabili. Si tratta di crediti legati al sostentamento, considerati indisponibili: il debitore, anche se esdebitato, dovrà continuare a pagarli integralmente (l’eventuale arretrato resta dovuto). Esempio: arretrati di €10.000 per il mantenimento dei figli resteranno esigibili e potranno ancora essere pretesi dall’ex coniuge anche dopo l’esdebitazione.
- Risarcimenti da fatti illeciti dolosi (o colpa gravissima): I debiti derivanti da sentenze di risarcimento per danni provocati con dolo (o colpa equiparata al dolo) non si cancellano. La ratio è tutelare la vittima del reato o del fatto illecito: chi ha causato intenzionalmente un danno non può liberarsi dell’obbligo di risarcirlo. Se invece il fatto illecito è stato commesso solo con colpa lieve o normale (es. incidente stradale per distrazione non grave), allora il relativo debito risarcitorio è esdebitabile. Ma nei casi di dolo o colpa grave (es. lesioni personali volontarie, frodi, ecc.), la vittima conserva il diritto al ristoro per intero.
- Multe, ammende e sanzioni penali/amministrative di natura punitiva: Tutte le pene pecuniarie per reato (multe e ammende penali) e le sanzioni amministrative aventi carattere punitivo (ad es. sanzioni Antitrust, sanzioni pecuniarie da reati finanziari, multe stradali) restano dovute. Lo Stato non consente che un soggetto si liberi di una punizione pecuniaria attraverso il fallimento o il sovraindebitamento. Vi può essere la sola eccezione delle sanzioni accessorie a debiti estinti: ad esempio, interessi di mora su imposte condonate potrebbero decadere, ma la regola generale è che la sanzione principale rimane. Esempio: €3.000 di multe stradali non pagate non vengono cancellate dall’esdebitazione: il Comune potrà sempre esigerle.
- Debiti fiscali derivanti da condanna per reati tributari: In linea di massima, i debiti verso l’Erario (imposte, tasse, contributi) sono esdebitabili come gli altri – e in ciò l’ordinamento italiano è compatibile con il diritto UE, che consente la liberazione anche dall’IVA purché vi sia controllo giudiziario. Però la legge fa una precisazione importante: se il debitore è stato condannato in via definitiva per reati tributari gravi (dichiarazione fraudolenta, emissione di false fatture, sottrazione dolosa al fisco, ecc.), i relativi debiti fiscali non vengono cancellati. Questo per evitare che autori di frodi fiscali possano eludere le sanzioni pecuniarie annesse. In presenza di un procedimento penale in corso per tali reati, la concessione dell’esdebitazione viene sospesa in attesa dell’esito penale. Se poi arriva condanna, quei debiti restano fuori. La Corte di Cassazione ha confermato che al di fuori di queste ipotesi di frode conclamata, tutti i debiti tributari, IVA compresa, rientrano nell’esdebitazione. Quindi, ad esempio, un debito IVA residuo può essere cancellato se non vi è stato reato (ciò è stato ribadito da Cass. 262/2021 citando la giurisprudenza comunitaria).
- Debiti derivanti da dolo del debitore verso i creditori: Se il debitore ha contratto volontariamente debiti senza intenzione di adempiere, ad esempio ottenendo prestiti con documenti falsi o facendo shopping compulsivo pianificando di fallire, quei debiti potrebbero essere esclusi dall’esdebitazione in sede di concessione. In realtà, una condotta così fraudolenta normalmente farebbe dichiarare il debitore non meritevole in toto (portando al diniego dell’esdebitazione integrale). Ma qualora la malafede riguardi solo alcuni specifici debiti, il tribunale ha la facoltà di escluderli singolarmente dal beneficio, mantenendoli esigibili. Si tratta comunque di ipotesi estreme e rare: in genere se c’è dolo nel contrarre debiti, l’intera procedura viene rigettata.
- Debiti di natura familiare o personale non comprimibili: Abbiamo già menzionato alimenti e mantenimento. A questi possiamo aggiungere eventuali obblighi civili di restituzione di proventi illeciti (es. confische pecuniarie) o altre situazioni particolari. Ad esempio, pur non essendo previsto esplicitamente dalla legge, la giurisprudenza è restia a cancellare debiti verso dipendenti per stipendi non pagati o contributi INPS: se tali debiti derivano da comportamento doloso del datore di lavoro, alcuni giudici li tengono fuori dall’esdebitazione appellandosi ai principi generali di tutela del lavoro. Non c’è uniformità su questo: in genere se l’impresa è fallita in buona fede, anche i debiti verso i dipendenti vengono falcidiati (tra l’altro spesso sono già stati pagati dal Fondo di Garanzia INPS che subentra come creditore). Ma se risultasse che l’imprenditore ha deliberatamente non pagato i dipendenti per arricchirsi, il giudice potrebbe – in teoria – escludere quelle somme dal beneficio per ragioni di ordine pubblico sociale.
Riassumendo, mantenimento, risarcimenti per dolo, sanzioni penali, tributi da frode e debiti da dolo verso i creditori rappresentano lo “zoccolo duro” che sopravvive all’esdebitazione. In ogni decreto che concede l’esdebitazione, il tribunale specifica espressamente quali debiti (eventualmente presenti nel caso di specie) ne sono esclusi, richiamando tali categorie normative. Ciò avvisa debitore e creditori residui su cosa rimane dovuto. È importante per il debitore comprendere che l’esdebitazione non cancella proprio tutto: ad esempio, se aveva multe stradali o assegni di mantenimento arretrati, se li troverà ancora da pagare anche dopo.
FAQ – Domande frequenti sull’esdebitazione
D: Chi può ottenere l’esdebitazione? Ci sono differenze tra categorie di debitori?
R: Possono aspirare all’esdebitazione tutti i debitori civili o piccoli imprenditori insolventi che accedano a una procedura concorsuale prevista dalla legge e ne rispettino le condizioni. In particolare: (a) gli imprenditori commerciali fallibili possono ottenerla al termine di una liquidazione giudiziale (fallimento); (b) i consumatori, i professionisti, gli imprenditori minori, le start-up innovative, gli imprenditori agricoli e in generale i non fallibili possono ottenerla attraverso le procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata); (c) gli eredi di un debitore deceduto durante una procedura possono proseguirla e chiedere l’esdebitazione in nome del defunto (rinunciando al beneficio d’inventario) – ipotesi rara ma prevista; (d) il socio illimitatamente responsabile di una società di persone fallita può chiedere l’estensione a sé dell’esdebitazione dopo il fallimento sociale. Sono invece esclusi come soggetti: le persone giuridiche e gli enti (una società fallita non “ha bisogno” di esdebitazione perché, estinguendosi, i debiti insoddisfatti si estinguono con essa), gli obbligati in solido e i fideiussori (l’esdebitazione vale solo per il debitore principale che l’ha chiesta: coobbligati e garanti restano obbligati per intero verso i creditori). Inoltre, un debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione al massimo due volte nella vita, con almeno 5 anni di distanza; mentre l’esdebitazione incapiente è concessa una volta sola.
D: Cosa significa che l’esdebitazione è subordinata alla “meritevolezza” del debitore?
R: Significa che il beneficio è concesso solo al debitore onesto e cooperativo, e non a chi ha colpevolmente abusato del credito o frodato i creditori. In termini giuridici, le leggi (art. 280 CCII per la liquidazione, art. 283 CCII per incapienti) elencano le cause ostative: ad esempio atti in frode (aver distratto beni, simulato debiti, compiuto operazioni dolose), condanne definitive per reati gravi in ambito economico (es. bancarotta fraudolenta, frodi fiscali), dolo o colpa grave nell’indebitamento, mancanza di cooperazione con gli organi della procedura. Se ricorre anche una sola di queste situazioni, il giudice negherà l’esdebitazione. In pratica, il debitore deve aver tenuto un comportamento trasparente e diligente: ha consegnato tutti i documenti, non ha nascosto beni, non ha creato scientemente il proprio dissesto. Un esempio di condotta non meritevole: un imprenditore che sposta capitali all’estero poco prima di fallire o che falsifica i libri contabili per nascondere asset – in tal caso quasi certamente l’esdebitazione sarà negata. Viceversa, un debitore sovraindebitato a causa di sventure (crisi economica, malattia, perdita lavoro) che però ha fatto del suo meglio per onorare i debiti finché ha potuto, sarà considerato meritevole. La Cassazione ha sottolineato che i criteri di meritevolezza sono solo quelli di legge, e se essi sono soddisfatti il giudice non può inventare ulteriori motivi per negare il beneficio. Ad esempio, non può negarlo solo perché “ha pagato troppo poco i creditori”: la legge ha abolito l’idea di una soglia minima di pagamento. Ciò che conta è l’assenza di frode e mala fede. In sintesi, la meritevolezza è la “pietra angolare” dell’esdebitazione: serve a evitare che diventi una scappatoia per furbi, riservandola a chi effettivamente merita un perdono dei debiti.
D: Quali debiti vengono cancellati con l’esdebitazione?
R: L’esdebitazione libera il debitore dalla responsabilità personale per tutti i debiti concorsuali rimasti insoluti alla fine della procedura. Ciò include in generale: debiti bancari, finanziari, fornitori, canoni, bollette, scoperti di conto, leasing residui, debiti fiscali (salvo eccezioni sotto), contributi previdenziali, ecc. Anche i debiti verso il Fisco e verso l’INPS sono di regola esdebitabili – persino l’IVA, come chiarito in giurisprudenza, purché non vi siano frodi. Non tutti però: alcune categorie di crediti sono escluse per legge o giurisprudenza, e restano quindi da pagare anche dopo l’esdebitazione. Le principali sono: (a) gli assegni di mantenimento/alimenti a coniuge e figli (e relativi arretrati); (b) i risarcimenti per fatti illeciti dolosi o gravemente colposi (es. debiti da reati intenzionali); (c) le multe, ammende e sanzioni penali o amministrative pecuniarie a carattere afflittivo; (d) i debiti fiscali per cui il debitore abbia riportato condanna penale definitiva per frode fiscale (in pratica, tasse evase con dolo accertato in giudizio); (e) in teoria, i debiti contratti con dolo verso i creditori – ma questi casi di solito comportano il diniego totale dell’esdebitazione, come spiegato sopra. Tutti gli altri debiti “normali” sono invece coperti dal beneficio. Quindi, ad esempio: mutui residui, prestiti personali, scoperti di carte di credito, debiti commerciali, cartelle esattoriali per imposte non pagate (IRPEF, IVA se non c’è frode, IMU, bollo auto, ecc.), contributi pensionistici, debiti verso fornitori di servizi – tutto questo viene cancellato. Il debitore esdebitato non potrà più essere perseguito per tali somme, e i creditori dovranno eliminarle dai loro bilanci come perdite. Si noti che restano obbligati invece eventuali coobbligati e garanti: ad esempio, se Tizio viene esdebitato da un debito bancario cointestato con Caio, la banca potrà ancora chiedere l’intero a Caio (e Caio a sua volta potrà rivalersi su Tizio solo entro i limiti della quota che Tizio avrebbe dovuto pagare).
D: Quanto tempo ci vuole per essere esdebitati?
R: I tempi variano a seconda della procedura scelta:
- Nel piano del consumatore o concordato minore, la liberazione dai debiti coincide con la durata del piano stesso: può essere immediata per la parte eccedente (se il piano stralcia subito una quota di debito) oppure progressiva e finale (il debitore è libero una volta pagate tutte le rate previste). Se ad esempio il piano prevede pagamenti per 5 anni, solo al termine dei 5 anni – completato il pagamento parziale concordato – il debitore sarà liberato dal resto. Durante l’esecuzione, però, gode della sospensione delle azioni esecutive. Quindi complessivamente, dal deposito della domanda di piano all’esdebitazione finale possono passare 1-2 anni (per arrivare all’omologazione) + la durata degli adempimenti (fino a 5 anni o più in piani complessi).
- Nella liquidazione controllata, i tempi sono più definiti: 3 anni al massimo dall’apertura per ottenere il decreto di esdebitazione. In molti casi meno, se i beni si vendono prima. Ad esempio, se il patrimonio è piccolo e si liquida tutto in 1 anno, il tribunale potrebbe chiudere anticipatamente e concedere l’esdebitazione già dopo 1 anno e qualche mese. La legge però fissa comunque il termine massimo di 3 anni dall’apertura della procedura, scaduti i quali il debitore può chiedere l’esdebitazione anche se la liquidazione non è del tutto conclusa. Ciò significa che il worst case è 3 anni. A questi vanno aggiunti i tempi iniziali per aprire la procedura (diciamo 2-3 mesi dalla domanda alla sentenza di apertura). Quindi in genere in 3 anni e mezzo circa dal ricorso si può essere esdebitati, al massimo.
- Nell’esdebitazione del debitore incapiente, i tempi sono brevi: non essendoci liquidazione, si può arrivare al decreto di accoglimento in pochi mesi (dipende dal carico del tribunale, ma indicativamente 2-6 mesi). L’effetto di liberazione è immediato alla pronuncia. Bisogna però “scontare” il periodo di 3 anni di condizionalità: per 3 anni dopo, l’esdebitazione è sotto possibile revoca se emergono utilità non condivise. Trascorsi quei 3 anni senza revoche, il debitore è definitivamente libero. Quindi un debitore incapiente ottiene un sollievo immediato, ma può considerarsi completamente fuori solo dopo 3 anni di buona condotta.
- Per confronto, nel fallimento (liquidazione giudiziale) i tempi sono analoghi alla liquidazione controllata: 3 anni dall’apertura per la liberazione, salvo eventuali attese per chiusura.
D: Durante la procedura devo continuare a pagare qualcosa ai creditori?
R: Dipende. Se sei in un piano del consumatore o concordato minore, il piano stesso stabilisce quanto e come devi pagare ai creditori: ad esempio potresti dover versare rate semestrali ai chirografari, o pagare subito i privilegiati in una certa percentuale, ecc. Quelle somme vanno pagate secondo scadenza, altrimenti il piano fallisce. Fuori da quanto previsto dal piano, però, non devi pagare altro e i creditori non possono pretendere oltre. Durante la procedura, anzi, sono sospese eventuali rateazioni precedenti: se avevi un prestito personale, dal momento dell’apertura del piano non paghi più le rate originarie, ma solo quelle eventualmente ridefinite dal piano stesso. Nel concordato minore, finché non c’è omologazione, di solito il debitore non paga nulla ai vecchi creditori (se ha fornitori strategici li paga come crediti prededucibili per forniture post-apertura se autorizzato, ma i debiti pregressi restano congelati e poi soddisfatti nei modi del concordato). Nella liquidazione controllata, il debitore non paga direttamente nulla ai creditori durante la procedura: è il liquidatore a distribuire il ricavato delle vendite. Al debitore è tolta la gestione del patrimonio, quindi non deve (né può) pagare i singoli debiti – anzi, eventuali pagamenti non autorizzati sarebbero nulli. Dalla data di apertura, i creditori devono presentare domanda al passivo e attendere i riparti fatti dal liquidatore. Il debitore potrebbe tutt’al più concordare di versare egli stesso una somma integrativa nella massa attiva (es. un familiare gli dona dei soldi per alzare la percentuale ai creditori), ma sono ipotesi volontarie. Se il debitore ha un reddito da lavoro, una parte di esso può essere presa dal liquidatore per la massa, ma sempre su base legale: ad esempio, il liquidatore può ottenere dal giudice la cessione di un quinto dello stipendio del debitore durante la procedura, oppure il debitore può concordare di versare un tot mensile. In generale, comunque, durante la liquidazione il debitore vive del necessario e il surplus (se c’è) va ai creditori, similmente a un pignoramento dello stipendio. Nell’esdebitazione incapiente, non essendoci rimborsi, il debitore non paga nulla ai creditori (né potrebbe). Dovrà solo, in caso gli arrivino soldi nei 3 anni successivi, destinarne una parte come detto.
D: Perdo tutti i miei beni con l’esdebitazione? Mi porteranno via anche la casa e l’auto?
R: Dipende dalla procedura:
- Nel piano del consumatore e nel concordato minore, spetta a te decidere nel piano quali beni mettere a disposizione e quali tenere. Se vuoi salvare la casa, puoi prevedere di mantenerla continuando a pagare il mutuo (ora espressamente possibile per il concordato minore grazie alla riforma 2024). Ovviamente ciò deve avvenire senza pregiudicare i creditori (cioè devi offrire loro un valore equivalente altrimenti). Molti piani lasciano al debitore beni essenziali: l’auto necessaria per lavoro spesso non viene liquidata, ma le rate continuano, ecc. È una negoziazione in sostanza: i creditori accettano di non toccare certi beni se compensati diversamente.
- Nella liquidazione controllata, invece, tutti i beni del debitore (esclusi quelli impignorabili per legge, come oggetti personali, stipendi nei limiti ecc.) entrano nella massa da liquidare. Quindi in principio perdi la casa, l’auto, i mobili di pregio, i conti correnti, ecc. Tuttavia, anche qui ci sono delle eccezioni o attenuanti: ad esempio, la legge consente al debitore di accordarsi coi creditori per escludere la prima casa se offre qualcosa di più (questo accadeva nella prassi con la “procedura familiare” su base volontaria, mutuando regole del piano del consumatore; oggi col correttivo c’è pure la norma ad hoc per il concordato minore). Nella liquidazione controllata pura la casa va venduta, ma spesso se la casa è gravata da ipoteca e la sua vendita non porterebbe alcun vantaggio ai chirografari, il liquidatore può rinunciare a venderla lasciando la banca ipotecaria ad agire separatamente. Inoltre, il debitore può chiedere al giudice di sospendere la vendita della casa se intende trovare un accordo coi creditori (es. un familiare la riscatti) – a discrezione del giudice. Comunque, in linea di massima, sì, nella liquidazione controllata il patrimonio non protetto viene liquidato: la legge di per sé non tutela l’abitazione principale in questa procedura (a differenza che nel concordato), salvo interventi creativi del tribunale in casi umanitari. Ad esempio, alcuni tribunali hanno evitato di liquidare la casa quando il debitore era proprietario solo di quella ed era necessaria per il suo nucleo familiare, equiparando la situazione alle tutele dell’art. 41-bis L. 3/2012 (oggi abrogato) sulla casa – ma si tratta di prassi non uniformi. In generale, preparati a perdere i beni in liquidazione, eccetto quelli di valore trascurabile.
- Nell’esdebitazione incapiente, poiché non c’è liquidazione, non perdi nulla semplicemente perché non hai nulla di valore. Se avessi un bene significativo, non saresti considerato incapiente e ti farebbero fare la liquidazione! Quindi per definizione i debitori incapienti non possiedono casa (o se la possiedono è magari gravata da ipoteca che la rende senza utilità netta). Al limite, se in futuro acquistassi un bene importante entro 3 anni, potresti doverlo in parte dare ai creditori (ma ciò equivarrebbe a dire che non sei più incapiente e subiresti la revoca del beneficio probabilmente).
- Nota bene: restano impignorabili per legge alcuni beni essenziali anche in liquidazione: ad esempio, i ricordi di famiglia, i beni di uso personale per vita quotidiana, stipendi/pensioni per la parte minima vitale (di solito fino a metà circa, salvo cessione del quinto), gli animali da compagnia, ecc. Questi beni non te li portano via comunque, neanche in fallimento.
D: Cosa succede se dopo l’esdebitazione eredito dei soldi o vinco alla lotteria?
R: Se l’esdebitazione è conseguita tramite liquidazione controllata, dopo la chiusura della procedura sei libero: eventuali entrate successive non possono essere aggredite per i vecchi debiti (a meno che fossero proprio l’oggetto di quell’obbligo del 10% in 4 anni, se applicato). Dunque, in linea generale, dopo l’esdebitazione definitiva i nuovi soldi sono tuoi e i vecchi creditori non ne hanno diritto. Attenzione però: se la liquidazione è chiusa ma il decreto di esdebitazione conteneva la clausola 10%/4 anni, allora in quel caso specifico devi rispettare quella clausola – quindi se ad es. entro 4 anni ti arriva una somma grossa, sei tenuto a darne fino al 10% ai creditori, come spiegato prima, pena la revoca del beneficio. Trascorsi i 4 anni (o se la clausola non c’era perché avevi già pagato abbastanza), sei del tutto svincolato. Invece, se hai usufruito dell’esdebitazione incapiente, allora per 3 anni dal decreto vige l’obbligo di dichiarare e destinare ai creditori le eventuali “vincite” o eredità sopra la soglia di rilevanza. Di solito la soglia di rilevanza è molto bassa, praticamente qualunque somma non di mera sussistenza andrebbe segnalata. L’OCC vigila. Ad esempio: se entro 1 anno dal decreto incapiente ricevi un’eredità di €50.000, il giudice potrebbe revocare l’esdebitazione originaria e/o ordinarti di pagare i creditori con quella somma fino a concorrenza del 10% dei debiti (o più se il patrimonio ereditato lo consente integralmente, a seconda di come è formulato il provvedimento). In sintesi, durante il periodo di condizionalità previsto dalla legge, le grosse fortune impreviste devono in parte andare ai creditori “sacrificati”. Oltre quel periodo, invece, ciò che guadagni o ricevi è definitivamente tuo senza vincoli. Nota che se la fortuna arriva mentre la tua procedura liquidatoria è ancora in corso (es. vinci alla lotteria l’anno dopo l’apertura della liquidazione), quell’importo entra immediatamente nell’attivo della procedura e andrà ai creditori per intero (non come 10% ma proprio tutto l’importo vinto sarà preso, salvo lasciarti una parte se eccede i debiti). Insomma, se devi vincere alla lotteria, meglio che accada dopo la chiusura e la fine del periodo di sorveglianza!
D: L’esdebitazione incide sui miei documenti o sul casellario? Verrò segnalato come fallito a vita?
R: Quando ottieni l’esdebitazione, il tribunale ne dispone una certa pubblicità per trasparenza verso i terzi: se eri imprenditore, viene iscritta al Registro delle Imprese; se non lo eri, può essere annotata nei registri tenuti presso il tribunale stesso. Inoltre, il provvedimento può essere comunicato alla Banca d’Italia (Centrale Rischi) o ai sistemi di informazione creditizia privati (CRIF, etc.), i quali segnalano che i tuoi debiti sono stati annullati per insolvenza. Non esiste però un “casellario giudiziale” dell’insolvenza accessibile a tutti. In pratica, eventuali futuri creditori potranno venire a conoscenza della tua passata esdebitazione attraverso visure camerali (se eri iscritto) o richiedendo certe informazioni ad agenzie. Questo potrebbe rendere più difficile ottenere credito in futuro, poiché il tuo rating risulterà compromesso per un po’ (generalmente le banche, saputo che sei stato insolvente, concedono prestiti con maggiore cautela). Tuttavia, col tempo, specialmente se riprendi un’attività e fornisci garanzie, potrai riabilitarti anche nei sistemi di credito. Dal punto di vista legale, dopo l’esdebitazione non hai limitazioni: puoi aprire una nuova impresa, partecipare a società, partecipare a gare d’appalto (salvo specifici regolamenti), etc. Ricorda che aver ottenuto un’esdebitazione ti preclude di ottenerne un’altra per 5 anni (o mai più se ne hai già avute due), ma oltre a questo non ci sono conseguenze civili. L’esdebitazione non è un reato né una condanna, quindi non risulta in alcun casellario penale. È solo un fatto concorsuale. Se sei un professionista (avvocato, commercialista) o ricopri cariche, potresti dover informare l’ordine professionale o l’assemblea soci della tua insolvenza pregressa secondo i codici deontologici, ma molte categorie non hanno più preclusioni per chi è stato insolvente, proprio grazie allo spirito della fresh start. Ad esempio, la legge fallimentare vecchia prevedeva l’incapacità a esercitare imprese commerciali per chi era stato insolvente, ma oggi con l’esdebitazione quell’incapacità cessa. Quindi, formalmente, una volta esdebitato sei “riabilitato” sul piano economico.
D: Se la mia domanda di esdebitazione viene rigettata, posso fare qualcosa?
R: Sì. Contro il provvedimento che nega l’esdebitazione si può proporre reclamo (appello) alla Corte d’Appello competente entro 30 giorni. Se anche la Corte d’Appello conferma il rigetto, resta eventualmente il ricorso per Cassazione. In ogni caso, se il rigetto diventa definitivo, purtroppo i debiti restano tutti dovuti. Non potrai ripresentare immediatamente un’altra istanza di esdebitazione se non c’è una nuova procedura: dovresti eventualmente rifare una procedura concorsuale se se ne crea la possibilità (non auspicabile). Dunque è fondamentale preparare bene la prima domanda, con l’aiuto di professionisti, per evitare rigetti. Le cause tipiche di diniego sono la scoperta di atti in frode o la non meritevolezza: se hai quell’ombra nel passato, valutate attentamente prima di procedere (magari aspettare una riabilitazione penale se hai una condanna, ecc.). Una volta rigettata l’esdebitazione, i creditori possono riprendere le azioni di recupero nei tuoi confronti (salvo tu non abbia nel frattempo dichiarato fallimento o altro). In certi casi, passati i 5 anni, potresti ritentare se la legge lo consente, ma è incerto e rischioso. La cosa migliore è evitare il rigetto presentando un caso solido e trasparente fin dall’inizio.
Conclusioni
L’esdebitazione rappresenta oggi, per il debitore italiano onesto ma sopraffatto dai debiti, un traguardo concreto e raggiungibile entro tempi ragionevoli. Grazie alla riforma organica del Codice della crisi d’impresa e alle sue successive integrazioni, il sistema offre una gamma completa di procedure calibrate sulle diverse tipologie di insolvenza personale: dal piano del consumatore per chi ha una capacità di rimborso (anche parziale) e vuole conservare i propri beni essenziali, al concordato minore per i piccoli operatori economici che puntano a ristrutturare e magari continuare l’attività, fino alla liquidazione controllata per chi non ha alternative e deve sacrificare il patrimonio residuo, e infine all’esdebitazione dell’incapiente per i casi più disperati di indigenza totale.
Il filo conduttore di tutte queste procedure è il bilanciamento tra il favor verso il debitore meritevole – cui si offre la liberazione integrale dai debiti e la possibilità di ripartire da zero – e la tutela del credito – che viene garantita almeno nella misura del miglior soddisfacimento possibile, se non in forma immediata, almeno attraverso condizioni e controlli (come la clausola sulle sopravvenienze). La giurisprudenza recente, come abbiamo visto, ha sposato un’interpretazione evolutiva delle norme, eliminando vecchie rigidità (ad esempio la soglia minima di pagamento ai creditori) e privilegiando l’inclusione del maggior numero di debitori nell’alveo dei rimedi concorsuali. Allo stesso tempo, i tribunali non mancano di rigorosità quando affiorano condotte maliziose: l’esdebitazione non è mai un diritto automatico, ma un beneficio da meritarsi con comportamenti corretti e trasparenti.
Per avvocati e professionisti del settore, la sfida è oggi quella di guidare il debitore attraverso lo strumento più adatto, costruendo piani fattibili e completi o gestendo con efficienza le liquidazioni, in modo da massimizzare le chances di esdebitazione. Per i debitori stessi (imprenditori in difficoltà, famiglie sovraindebitate), il messaggio è che una via d’uscita legale esiste: il “fallimento” non è più una condanna a vita, ma può diventare – se ben affrontato – un episodio da archiviare nel giro di pochi anni, aprendosi un nuovo capitolo libero dai debiti pregressi. L’educazione finanziaria e l’assistenza tempestiva di professionisti (OCC, gestori, consulenti) giocano un ruolo cruciale: molte procedure di sovraindebitamento hanno successo solo quando il debitore collabora attivamente e fornisce tutte le informazioni, spesso con grande sollievo finale.
In conclusione, ottenere l’esdebitazione in Italia nel 2025 è più accessibile che mai per il debitore in buona fede: il quadro normativo consolidato dal CCII – arricchito da misure come il Fondo incapienti e da pronunce chiarificatrici – fornisce gli strumenti per voltare pagina. Occorre però scegliere con attenzione la procedura giusta, rispettarne puntualmente gli obblighi e dimostrare sempre la massima correttezza. Con questi ingredienti, l’ordinamento garantisce al debitore sovraindebitato la possibilità di risorgere da una crisi e ritrovare la dignità economica, senza che i debiti passati lo inseguano per sempre. È la realizzazione del principio del “fresh start”, un tempo estraneo alla nostra cultura giuridica, oggi divenuto realtà concreta nei tribunali italiani.
Fonti normative e giurisprudenziali principali:
- Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14) – Artt. 65-73 (Ristrutturazione dei debiti del consumatore); Artt. 74-83 (Concordato minore); Artt. 268-277 (Liquidazione controllata); Artt. 278-283 (Esdebitazione).
- Decreto Legislativo 13 settembre 2022 n. 83 (Correttivo bis) e Decreto Legislativo 13 settembre 2024 n. 136 (Correttivo ter) – Modifiche integrative al CCII (riduzione termini a 3 anni, art. 75 co.2-bis su casa principale, ecc.).
- Legge 27 gennaio 2012 n. 3 (Legge sul sovraindebitamento) – (Testo previgente, rilevante per la genesi degli istituti, come modificato da L. 176/2020 che introdusse art. 14-quaterdecies sulla esdebitazione incapienti).
- Cassazione Civile, Sez. I, 31 maggio 2023 n. 15359 – Massima: “tassatività delle ipotesi ostative (art. 142 l.f.) per la meritevolezza; non richiesta soglia minima di soddisfacimento dei creditori” (principi applicati al CCII in tema di esdebitazione).
- Cassazione Civile, Sez. I, 6 novembre 2024 n. 28505 – Ha statuito che la mancanza di pagamento parziale dei creditori non preclude l’esdebitazione se il debitore è meritevole, cassando decisioni contrarie.
- Cassazione Civile, Sez. I, 14 febbraio 2023 n. 4613 – Ha stabilito che un accordo di sovraindebitamento/concordato minore non può essere omologato se lede ingiustificatamente i diritti di un creditore ipotecario (va garantito almeno il valore di realizzo del bene dato in garanzia).
- Cassazione Civile, Sez. VI, 20 luglio 2023 n. 22699 – In tema di qualificazione del “consumatore” ha affermato che un debitore con debiti promiscui (personali e professionali) può accedere al piano del consumatore se prevale la finalità personale.
- Tribunale di Oristano, decreto 29 luglio 2024 – Primo caso di esdebitazione incapiente in Sardegna: ha concesso il beneficio a una debitrice priva di beni, rilevando l’assenza di condotte imprudenti e sottolineando la finalità di fresh start dell’istituto.
- Tribunale di Rimini, decreto 23 gennaio 2024 – Ha chiarito la natura non concorsuale dell’esdebitazione incapiente, che diventa concorsuale solo se entro 4 anni emergono sopravvenienze per almeno il 10%.
- Tribunale di Ferrara, decreto 10 marzo 2025 – Ha evidenziato l’alternatività tra liquidazione controllata ed esdebitazione incapienti: debitore con attivo anche minimo → liquidazione; debitore totalmente incapiente → solo procedura ex art. 283.
- Tribunale di Bergamo, decreto 4 febbraio 2023 – Ha negato l’esdebitazione a debitore incapiente che aveva omesso versamenti fiscali per lungo tempo, ritenendo tale condotta incompatibile con la meritevolezza (salvo sia dovuta a cause eccezionali).
- Tribunale di Milano, decreto 30 settembre 2023 – Ha ammesso un piano del consumatore presentato da soggetto con debiti “misti”, qualificandolo consumatore in prevalenza, in applicazione dei principi Cass. 22699/2023 (debitoria promiscua).
- Tribunale di Treviso, decreto 21 marzo 2024 – Ha applicato l’art. 75 co. 2-bis CCII (come da D.lgs. 136/2024) in un concordato minore, consentendo al debitore di conservare la propria abitazione principale continuando a pagare le rate del mutuo, previa attestazione OCC sul vantaggio per i creditori.
- Tribunale di Catania, Sentenza n. 277/2022 – In tema di sovraindebitamento, ha confermato i principi di legge sulla par condicio creditorum e sugli effetti esdebitativi, affermando che il debitore, adempiuto il piano omologato, è liberato dai debiti residui.
- Tribunale di Torino, linee guida 2023 – (Linee guida pratiche, pubblicate sul sito del Tribunale) hanno ribadito che nella liquidazione controllata l’esdebitazione opera di diritto alla chiusura o dopo 3 anni, e che la domanda di esdebitazione post-liquidazione giudiziale può farsi contestualmente alla chiusura (art. 281).
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Conclusione
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