Quanto Costa La Procedura Di Esdebitazione?

Sei sommerso dai debiti e stai pensando all’esdebitazione per liberarti una volta per tutte? Ti stai chiedendo quanto costa questa procedura e se puoi davvero permettertela in un momento in cui non riesci nemmeno a pagare le spese ordinarie?

È una domanda comprensibile. Quando si è in difficoltà economica, anche una semplice consulenza sembra un lusso. Ma la verità è che la procedura di esdebitazione è pensata proprio per chi non ha più risorse e vuole uscire in modo legale e definitivo dal peso dei debiti.

Ma quanto costa davvero l’esdebitazione? Posso pagarla a rate? E se non ho nulla, posso comunque accedere?

La risposta dipende dal tuo caso. Il costo varia in base al tipo di procedura (liquidazione controllata, piano del consumatore o esdebitazione per debitore incapiente), ma anche dalla presenza di beni, dal numero dei creditori, dalla documentazione da predisporre e dalla complessità generale della tua posizione.

In ogni caso, si può sempre trovare una soluzione sostenibile, anche con pagamento dilazionato o con costi minimi, quando previsto dalla legge.

In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti in esdebitazione, sovraindebitamento e crisi personale – ti spiega quanto può costare la procedura in base al tuo profilo, cosa serve per iniziare, quali possibilità hai anche se non puoi affrontare subito tutte le spese e cosa possiamo fare per aiutarti a liberarti dai debiti senza blocchi e senza sorprese.

Vuoi sapere se hai i requisiti per l’esdebitazione? Hai bisogno di capire quanto ti costerebbe, in modo chiaro e senza impegno?

Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: analizzeremo la tua situazione, ti daremo una risposta chiara sui costi reali e ti accompagneremo passo dopo passo fino alla cancellazione definitiva dei tuoi debiti.

Introduzione

L’esdebitazione è il meccanismo legale che consente a un debitore sovraindebitato – sia esso un privato cittadino, un piccolo imprenditore o un ex imprenditore fallito – di ottenere la liberazione dai debiti residui al termine di una procedura concorsuale. In altre parole, l’esdebitazione cancella le obbligazioni non soddisfatte nella procedura, rendendo tali crediti inesigibili nei confronti del debitore. Si tratta di uno strumento di “fresh start” introdotto nell’ordinamento italiano per dare al debitore onesto ma sfortunato la possibilità di ripartire senza rimanere schiacciato dai debiti pregressi.

Questa guida, rivolta a professionisti legali, privati cittadini e imprenditori, offre un’analisi approfondita e aggiornata a giugno 2025 dell’istituto dell’esdebitazione dal punto di vista del debitore. Il taglio sarà tecnico-giuridico ma con intento divulgativo, spiegando i concetti in modo chiaro e completo. Verranno esaminate tutte le tipologie di esdebitazione previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche), con particolare attenzione a:

  • Esdebitazione del consumatore – la procedura dedicata ai debitori persone fisiche consumatori, introdotta dalla “Legge Salva Suicidi” (L. 3/2012) e ora disciplinata nel Codice della Crisi. Si tratta del piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore).
  • Esdebitazione del debitore incapiente – la nuova procedura “a costo zero” ex art. 283 CCII, riservata al debitore persona fisica privo di qualunque utilità da offrire ai creditori. Consente la cancellazione dei debiti senza alcun pagamento, in presenza di rigorose condizioni di meritevolezza.
  • Liquidazione controllata – la procedura concorsuale liquidatoria prevista dal Codice per i debitori sovraindebitati (inclusi consumatori, professionisti e piccoli imprenditori non fallibili). È l’equivalente dell’ex “liquidazione del patrimonio”, con vendita controllata dei beni del debitore e successiva liberazione dai debiti.
  • Esdebitazione dell’imprenditore fallito (artt. 278 e ss. CCII) – il procedimento di esdebitazione collegato alla liquidazione giudiziale (già chiamata fallimento) dell’imprenditore commerciale. Riguarda gli imprenditori soggetti a fallimento che, dopo la chiusura (o decorsi tre anni dall’apertura) della procedura, possono ottenere la cancellazione dei debiti residui.

Per ciascuna tipologia analizzeremo in dettaglio: condizioni e presupposti normativi, costi diretti e indiretti (onorari, contributi unificati, spese vive di procedura, ecc.), nonché le conseguenze economiche per il debitore. La guida offrirà inoltre sentenze aggiornate di merito e di legittimità che hanno interpretato questi istituti, citando le fonti normative più recenti (inclusi i correttivi al Codice della Crisi fino al 2024). Troverete anche tabelle comparative dei costi delle diverse procedure a seconda del profilo di debitore, e simulazioni pratiche con numeri realistici – ad esempio il caso di un consumatore con €30.000 di debiti, o di un imprenditore con pesanti passività fiscali – per comprendere concretamente l’impatto economico dell’esdebitazione. Infine, una sezione di FAQ (Domande Frequenti) risponderà ai quesiti più comuni (chi può accedere, quali debiti si cancellano, quante volte si può chiedere l’esdebitazione, ecc.), chiarendo i dubbi operativi più ricorrenti.

Importanza dell’aggiornamento: Il panorama normativo dell’insolvenza è stato oggetto di profonde riforme negli ultimi anni. Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII) – emanato con D.Lgs. 14/2019 – è entrato pienamente in vigore nel 2022, incorporando e innovando la precedente legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012) e la legge fallimentare (R.D. 267/1942). Successivamente, sono intervenuti ben tre decreti correttivi (D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024) che hanno ulteriormente perfezionato la disciplina, recependo tra l’altro la Direttiva UE 2019/1023 in tema di ristrutturazione e seconda opportunità. Questa guida tiene conto delle modifiche in vigore a giugno 2025, come la riduzione dei tempi per il fresh start, l’eliminazione della soglia minima di pagamento ai creditori e l’introduzione della procedura per il debitore incapiente. Tutte le informazioni sono corredate da riferimenti normativi e giurisprudenziali puntuali, per garantire autorevolezza e verificabilità.

Nota sul linguaggio: Pur trattando argomenti tecnici, useremo un linguaggio il più possibile chiaro. I termini giuridici saranno spiegati quando necessario, così che anche un lettore non specialista possa orientarsi. L’obiettivo è fornire un quadro completo che sia utile sia all’avvocato che deve consigliare il cliente indebitato, sia al privato cittadino o piccolo imprenditore che vuole capire cosa comporta, anche economicamente, avviare una procedura di esdebitazione.

Procediamo ora ad esaminare singolarmente le diverse procedure di esdebitazione, le relative condizioni e i costi, partendo dai debitori civili e consumatori, per poi passare ai piccoli imprenditori non fallibili, e infine agli imprenditori soggetti a fallimento. Successivamente confronteremo i costi in una panoramica unitaria, presenteremo esempi pratici e risponderemo alle domande frequenti.

Quadro Normativo Aggiornato (Giugno 2025)

Prima di entrare nel merito delle singole procedure, è utile delineare il quadro normativo di riferimento aggiornato:

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, entrato in vigore definitivamente il 15 luglio 2022 (dopo alcuni rinvii), che ha riordinato l’intera materia delle procedure concorsuali. Il CCII ha integrato la legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012) all’interno di un testo unico, prevedendo specifici strumenti per debitori civili e piccoli imprenditori (c.d. crisi da sovraindebitamento) accanto alle procedure per le imprese maggiori.
  • Decreti correttivi del CCII:
    • D.Lgs. 26 ottobre 2020 n. 147 (“correttivo-bis”),
    • D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (attuativo direttiva UE sulle ristrutturazioni),
    • D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (“correttivo-ter”).
      Tali decreti hanno introdotto varie novità in tema di esdebitazione. Ad esempio, il correttivo 2022 ha inserito nel CCII la possibilità di ottenere l’esdebitazione in tempi più brevi (3 anni) e ha espunto il previgente requisito di pagamento parziale dei creditori. Il correttivo 2024 ha ulteriormente razionalizzato la disciplina distinguendo le regole tra liquidazione giudiziale e liquidazione controllata. In particolare, è stato riorganizzato il Capo X del Titolo V CCII inserendo:
      • una Sezione I (generale) con disposizioni comuni a ogni esdebitazione;
      • una Sezione I-bis con disposizioni specifiche per l’esdebitazione nella liquidazione giudiziale (fallimento);
      • una Sezione II per l’esdebitazione nella liquidazione controllata (procedure di sovraindebitamento).
  • Eliminazione del requisito di pagamento minimo: Sotto la vecchia legge fallimentare l’esdebitazione del fallito poteva essere concessa solo se i creditori concorsuali erano stati soddisfatti almeno in parte (era richiesta una percentuale minima, ad es. il 5–10%) – ciò escludeva i casi di fallimenti totalmente incapienti. Il CCII ha eliminato tale condizione: oggi il beneficio può essere ottenuto anche se i creditori non ricevono nulla, purché il debitore sia meritevole. Questo rappresenta un cambio di paradigma a favore del debitore onesto ma sfortunato: conta la condotta (requisito soggettivo), non la percentuale pagata ai creditori. La Corte di Cassazione ha confermato questo principio, chiarendo che la scarsa consistenza del patrimonio del debitore non può di per sé precludere l’esdebitazione, una volta escluso che il difetto di attivo sia dovuto a comportamenti fraudolenti o abusivi del debitore. In altri termini, nessuna soglia minima di soddisfacimento è richiesta ai fini dell’esdebitazione.
  • Riduzione dei tempi per il “fresh start”: Il legislatore, in attuazione dei principi UE, ha introdotto meccanismi per accelerare la liberazione dai debiti. Nelle procedure di sovraindebitamento, la regola ora è che trascorsi 3 anni dall’apertura della liquidazione, l’esdebitazione opera di diritto ed è dichiarata dal tribunale con decreto motivato. Ciò significa che il debitore persona fisica non deve più attendere la conclusione formale della liquidazione: decorsi 3 anni dalla sentenza di apertura, se ha tenuto un comportamento collaborativo e soddisfa i requisiti, ottiene lo stop ai debiti residui. Questo vale per la liquidazione controllata; per la liquidazione giudiziale (fallimento) il Codice prevede parimenti la possibilità di un’esdebitazione anticipata dopo 3 anni dall’apertura: il tribunale può pronunciarsi sulla liberazione dai debiti già decorso tale termine, anche se la procedura concorsuale non è ancora terminata. Resta fermo che, in ogni caso, al termine della procedura (sia controllata che giudiziale) il tribunale deve pronunciarsi sull’esdebitazione. Il risultato è che oggi i debitori persone fisiche hanno un orizzonte temporale certo e relativamente breve (massimo 3 anni per le procedure “minori”, e tendenzialmente contenuto anche per quelle maggiori) per ottenere la cancellazione dei debiti, laddove in passato i tempi erano più lunghi e incerti.
  • Estensione dell’esdebitazione ai soggetti collettivi: Un’altra novità del Codice è la possibilità di esdebitare anche società ed enti. In passato solo le persone fisiche potevano accedere al beneficio, mentre le società fallite rimanevano obbligate verso i creditori (obbligazioni peraltro inesigibili nei fatti, data l’estinzione della società). Oggi l’art. 278 co. 5 CCII prevede che anche una società sottoposta a liquidazione giudiziale venga liberata dai debiti residui, con efficacia verso i soci illimitatamente responsabili. In sostanza, al termine di un fallimento di società di persone, l’esdebitazione della società produce effetti a beneficio dei soci illimitatamente responsabili, equiparandoli a dei falliti esdebitati. È una norma di coordinamento che estende la “clean slate” formale anche all’impresa collettiva (pur se di regola l’ente viene poi cancellato dal registro imprese). Restano naturalmente applicabili per i soci e gli ex amministratori le condizioni ostative previste (meritevolezza, assenza di reati fallimentari, ecc., ex art. 278 co.4 e art. 280 CCII).
  • Introduzione della procedura per il debitore incapiente: I decreti correttivi hanno inserito nel CCII (art. 283) una misura eccezionale per i casi di insolvenza assoluta. Si tratta dell’esdebitazione del debitore incapiente, riservata al debitore persona fisica meritevole che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità né immediata né prospettica. In tali casi, senza aprire alcuna procedura di liquidazione, il tribunale può dichiarare cancellati tutti i debiti del soggetto (da cui l’espressione mediatica “esdebitazione a costo zero”). È una soluzione radicale ispirata a finalità sociali: si riconosce che tenere aperta una procedura concorsuale formale sarebbe inutile e dispendioso quando non c’è nulla da distribuire, per cui è preferibile liberare il debitore onesto dalla “condanna” a una povertà permanente. La norma tuttavia impone condizioni stringenti a tutela dei creditori: ad esempio, il debitore incapiente deve impegnarsi a segnalare e destinare ai creditori qualsiasi miglioramento consistente della propria situazione economica nei 4 anni successivi all’esdebitazione. In pratica, se entro quattro anni dal provvedimento il debitore dovesse entrare in possesso di risorse tali da poter soddisfare almeno il 10% dei crediti originari, egli ha l’obbligo di informare il tribunale e i creditori, e dovrà versare queste somme ai creditori, pena la revoca dell’esdebitazione. Approfondiremo oltre i dettagli di questa procedura, che può essere concessa una sola volta nella vita dell’individuo.
  • Limiti alla reiterazione del beneficio: Già la legge fallimentare prevedeva che l’esdebitazione non potesse essere ottenuta più di una volta ogni 10 anni. Il CCII ha reso la regola ancor più rigorosa: un debitore può ottenere l’esdebitazione al massimo due volte nella vita, e con almeno 5 anni di intervallo tra una e l’altra. L’art. 280 comma 1 lett. d) ed e) CCII stabilisce che non è ammesso alla liberazione chi ha già beneficiato di altra esdebitazione nei 5 anni precedenti o più di due volte in totale. Queste norme mirano ad evitare un utilizzo strumentale e ripetuto delle procedure di insolvency da parte di soggetti recidivi.
  • Conferma delle esclusioni oggettive: Restano escluse dall’esdebitazione alcune categorie di debiti considerati per legge non cancellabili, già previste in passato e confermate dal CCII (art. 278 co.7). In particolare NON vengono mai cancellati: (a) gli obblighi di mantenimento e gli alimenti dovuti per legge (es. assegni a coniuge o figli); (b) i debiti da risarcimento danni da fatto illecito extracontrattuale (es. risarcimenti per lesioni personali causate dal debitore); (c) le sanzioni pecuniarie penali o amministrative che non siano accessorie a debiti estinti. Su questo punto vale la pena notare che i debiti fiscali e contributivi ordinari (es. IVA, imposte, contributi previdenziali) non sono esclusi: anch’essi rientrano tra i debiti esdebitabili al pari di ogni altro debito chirografario, purché il debitore sia meritevole. Sia la Corte di Cassazione sia la Corte di Giustizia UE hanno chiarito che nulla osta, in presenza di buona fede, a includere anche l’IVA tra i debiti soggetti a esdebitazione. L’unica eccezione in materia fiscale riguarda le sanzioni tributarie: queste, in quanto sanzioni amministrative pecuniarie, rimangono non cancellabili (a meno che non siano già state ammesse al passivo come accessorie). Riassumendo: imposte e contributi sì, multe e ammende no. Ovviamente l’esdebitazione del debitore principale non libera eventuali coobbligati, fideiussori o obbligati in via di regresso, che restano tenuti al pagamento del debito (e il creditore potrà rivalersi su di loro). Ad esempio, se un parente aveva garantito un debito poi esdebitato, il garante resta obbligato per intero. Analogamente, le garanzie reali di terzi non si estinguono: se una terza persona aveva concesso un’ipoteca o pegno a garanzia del debito, il creditore potrà escutere quella garanzia sul bene del terzo malgrado l’esdebitazione del debitore.

Questo quadro normativo generale evidenzia come, a partire dal 2022, l’ordinamento italiano abbia adottato un approccio più favorevole al debitore onesto: nessuna preclusione per debiti non pagati, tempi più brevi (3 anni) per la liberazione, possibilità di uscire dai debiti persino se totalmente incapienti, il tutto bilanciato da rigorosi controlli sulla buona fede del debitore. Con queste premesse, passiamo ora ad analizzare le singole procedure di esdebitazione previste dal Codice, distinguendo tra le procedure di sovraindebitamento (per consumatori, professionisti e piccole imprese non fallibili) e la procedura di liquidazione giudiziale (fallimento) per gli imprenditori di maggiori dimensioni.

Tipologie di Procedure di Esdebitazione nel CCII

Il Codice della Crisi prevede diverse forme di procedura per conseguire l’esdebitazione, a seconda della tipologia di debitore e della soluzione adottata per regolare la crisi. Pur avendo il medesimo scopo finale (liberare il debitore dai debiti residui), queste procedure si differenziano per presupposti soggettivi, modalità di svolgimento e necessità o meno di liquidare il patrimonio. Possiamo distinguerle in due macro-categorie:

  • Procedure di sovraindebitamento (crisi da sovraindebitamento) – riservate a debitori non fallibili, cioè consumatori, professionisti, startup e piccoli imprenditori sotto soglia. Comprendono:
    1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore);
    2. Concordato minore (ex accordo di composizione dei debiti, oggi chiamato accordo di ristrutturazione dei debiti del sovraindebitato);
    3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (già liquidazione del patrimonio);
    4. Esdebitazione del debitore incapiente (procedura speciale senza liquidazione).
  • Procedura di liquidazione giudiziale – riservata agli imprenditori commerciali assoggettabili a fallimento (imprese medio-grandi). Al termine (o in corso) di tale procedura, l’imprenditore persona fisica può accedere all’esdebitazione secondo le regole degli artt. 278 e seguenti CCII.

Di seguito esamineremo ciascuna di queste procedure in dettaglio, evidenziando chi può accedervi, come si svolgono, quali costi comportano e come conducono all’esdebitazione.

1. Esdebitazione del Consumatore (Piano del Consumatore)

Cos’è: Il piano del consumatore – nel CCII denominato piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore – è la procedura di composizione della crisi pensata esclusivamente per i debitori consumatori, ossia persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei ad un’attività imprenditoriale o professionale. Introdotto inizialmente con la L. 3/2012, oggi disciplinato agli artt. 67-73 CCII, il piano del consumatore consente al debitore civile sovraindebitato di proporre al tribunale un piano di pagamento dei propri debiti sostenibile in base al suo reddito e patrimonio, senza necessità di accordo con i creditori. È uno strumento negoziale-giudiziale: il piano viene predisposto dal debitore con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e omologato dal tribunale, anche in mancanza di voto favorevole (o addirittura contro il dissenso) dei creditori, purché il giudice valuti che la proposta è fattibile e che il debitore merita il beneficio.

Ambito soggettivo: possono accedere al piano solo i consumatori intesi come persone fisiche non fallibili che hanno debiti di natura personale/familiare. Se il soggetto ha anche debiti per attività di impresa o professionali, non rientra in questa categoria – dovrà eventualmente accedere al concordato minore o alla liquidazione controllata. Il CCII specifica che nel piano del consumatore il sovraindebitamento non deve dipendere da colpa grave, malafede o frode del debitore (requisito di meritevolezza). Il giudice, prima di omologare, valuta espressamente la condotta del consumatore: ad esempio, aver fatto spese sproporzionate con leggerezza o aver fatto ricorso al credito in modo irresponsabile può costituire colpa grave e portare a rigettare il piano; viceversa, indebitamento derivato da eventi sfortunati e involontari (perdita del lavoro, malattia, ecc.) indica meritevolezza. La giurisprudenza ha affrontato casi spinosi sul punto: ad esempio, un consumatore affetto da ludopatia (gioco d’azzardo patologico) è stato in alcuni casi considerato non pienamente colpevole dei debiti contratti, data la natura compulsiva della dipendenza, e quindi ammesso al beneficio; di contro, chi accumula debiti “per vivere al di sopra dei propri mezzi” potrebbe essere ritenuto non meritevole, salvo valutare anche l’eventuale corresponsabilità degli enti finanziatori (tema del merito creditizio). In sintesi, sarà omologato solo il piano presentato da un consumatore “onesto”: se emergono atti in frode (ad es. beni occultati o documenti falsificati), la procedura viene dichiarata inammissibile o revocata.

Come funziona: Il consumatore deve rivolgersi a un OCC (Organismo di Composizione della Crisi), oppure chiedere al tribunale la nomina di un professionista gestore della crisi. Nella prassi ci si rivolge direttamente a un OCC autorizzato presso il Tribunale competente. L’OCC (o il gestore nominato) esamina la situazione debitoria del consumatore, lo assiste nella predisposizione di un piano sostenibile e predispone una relazione particolareggiata sulla situazione economica e sulla fattibilità del piano, nonché un’attestazione sulla veridicità dei dati forniti (art. 70 CCII, richiamato dagli artt. 68-69). Questa relazione indipendente è fondamentale perché fornisce al giudice gli elementi di giudizio sulla fattibilità e la meritevolezza.

Il piano prevede in genere che il consumatore paghi in modo parziale e/o dilazionato i propri debiti, nella misura in cui ciò è possibile coi suoi redditi futuri o realizzando parte del patrimonio, e che alla fine venga esdebitato dell’eventuale importo restante. Ad esempio, il piano potrebbe proporre che il debitore versi una rata mensile per 5 anni utilizzando il proprio reddito disponibile, offrendo così ai creditori una soddisfazione (es. 50% del totale) e chiedendo la cancellazione del residuo 50%. Non è richiesto il voto dei creditori: il tribunale può omologare il piano del consumatore anche senza (o contro) il consenso dei creditori, purché accerti che il piano non li danneggi eccessivamente rispetto all’alternativa liquidatoria (art. 69 CCII). In particolare, il giudice verifica che i creditori otterranno col piano almeno quanto otterrebbero da una liquidazione del patrimonio del consumatore. Inoltre, considera l’eventuale grado di convenienza del piano per i creditori (pur non vincolante come nel concordato, ma come criterio di equità).

Se il tribunale ritiene soddisfatti i requisiti (meritevolezza, fattibilità, convenienza rispetto alla liquidazione) emette un decreto di omologa del piano. Da quel momento il piano diventa vincolante per tutti i creditori concorsuali. Il consumatore deve quindi eseguire puntualmente quanto promesso (pagare le rate concordate, eventualmente cedere beni previsti dal piano, ecc.). Durante l’esecuzione, egli è affiancato e monitorato dall’OCC, che verifica il rispetto del piano e riferisce al giudice eventuali problemi. I creditori non possono intraprendere azioni esecutive individuali, essendo i debiti gestiti nell’ambito del piano omologato (vige una protezione simile all’automatic stay).

Esdebitazione nel piano del consumatore: se il consumatore esegue correttamente il piano fino al termine, egli ottiene l’esdebitazione per la parte di debiti eventualmente non pagata integralmente. In pratica, l’omologazione del piano e il suo adempimento producono la liberazione dai debiti residui, senza bisogno di un ulteriore provvedimento (si parla di esdebitazione “di diritto” a fine piano, sancita dall’art. 73 CCII). Va sottolineato che, a differenza della liquidazione, qui non c’è attesa di 3 anni: la durata dell’impegno è quella stabilita nel piano (spesso 4–5 anni), dopodiché i debiti restanti sono cancellati. Se però il debitore non rispetta il piano (ad es. salta pagamenti senza giustificazione) o si scoprono elementi di frode, il beneficio può essere revocato e i creditori tornano liberi di agire (art. 73 co.2). D’altra parte, la legge prevede una certa flessibilità: il consumatore può chiedere modifiche al piano in caso di sopravvenute difficoltà non dipendenti dalla sua volontà (es. nuova riduzione del reddito), oppure la chiusura anticipata se riesce a pagare prima del tempo. In ogni caso, al completamento regolare, il debitore sarà liberato dai debiti concorsuali residui (fatti salvi quelli non esdebitabili per legge, v. sopra).

Costi della procedura per il consumatore: Il piano del consumatore è generalmente la procedura meno costosa in termini di oneri procedurali tra quelle di sovraindebitamento, per vari motivi: non richiede il voto dei creditori (evitando spese di convocazione assemblee, ecc.), non comporta liquidazione generalizzata di beni (si evitano le spese di gestione/svendita del patrimonio), ed è spesso più rapido. Tuttavia, alcuni costi diretti sono presenti:

  • Compenso dell’OCC: l’Organismo di Composizione della Crisi o il gestore nominato hanno diritto a un compenso, stabilito dal tribunale a fine procedura. In genere l’OCC richiede un acconto iniziale al debitore e poi trattiene il resto durante l’esecuzione del piano. La legge (D.M. 202/2014 tuttora applicabile) prevede che il compenso sia calcolato in base all’attivo e al passivo e non superi il 5% dell’ammontare distribuito ai creditori. Spesso però gli OCC applicano tariffe forfettarie in base alla complessità. Per un piano del consumatore tipico, il costo OCC può aggirarsi su €1.500–3.000 euro. Ad esempio, per un debito fino a €30.000 con pochi creditori, diversi OCC propongono un forfait intorno a €1.500-2.500.
  • Parcella dell’avvocato: se il consumatore si avvale di un avvocato (altamente consigliabile, anche se non sempre obbligatorio, soprattutto per dialogare con l’OCC e predisporre la proposta), dovrà considerare i relativi onorari. Molti avvocati praticano tariffe forfettarie per seguire un’intera pratica di sovraindebitamento. Indicativamente, per un piano semplice il costo legale può essere €1.500–3.000. Alcuni professionisti modulano l’onorario in base al numero di creditori e all’importo del debito.
  • Contributo unificato e bolli: la domanda di omologazione (volontaria giurisdizione) richiede il versamento di un contributo unificato di importo fisso (€98) più una marca da bollo da €27. Se ci si rivolge direttamente all’OCC (senza istanza al tribunale per nomina), in genere l’OCC chiede una tassa d’iscrizione analoga (molti OCC applicano una quota iniziale di ~€200 + IVA). Dunque le spese vive iniziali sono nell’ordine di poche centinaia di euro.
  • Eventuali spese aggiuntive: se è necessaria una perizia (ad es. per valutare un immobile del debitore da ipotecare nel piano, oppure per accertare redditi futuri), ci sarà il costo del perito. Nella maggior parte dei piani del consumatore ciò non serve, ma qualora richiesto può incidere (€500–1.000). Inoltre, l’OCC spesso richiede al debitore di sostenere le spese per ottenere documentazione e certificati (es.: certificati catastali, ispezioni PRA, visure), per importi modesti (qualche decina di euro o poco più).
  • Spese di pubblicità legale: con il CCII, le procedure di sovraindebitamento devono essere iscritte nel Registro pubblico delle procedure di insolvenza. Può esservi qualche costo di pubblicazione, ma in pratica è incluso nelle spese generali liquidate al termine.

In sintesi, il costo diretto complessivo di un piano del consumatore di modesta complessità (debiti < €50.000, pochi creditori) tende a collocarsi tra circa €3.000 e €6.000 tutto compreso. Importi più elevati di debito e una situazione più articolata (molti creditori, reddito da ristrutturare in modo complesso) possono far salire proporzionalmente i compensi: per debiti nell’ordine di €100.000 si può arrivare a €6.000–10.000 di costi totali. È importante notare che tali costi possono essere pagati dilazionatamente durante la procedura (spesso l’OCC accetta acconti mensili dal debitore) e, in caso di particolare situazione di indigenza, il giudice può ridurre o persino azzerare il compenso dell’OCC. Alcuni Organismi prevedono tariffe agevolate e rateizzazioni per facilitare l’accesso anche ai debitori a basso reddito. Ad esempio, l’OCC della Camera Arbitrale di Milano fissa un compenso minimo di €2.000 (oltre oneri) per le procedure ordinarie di sovraindebitamento, comprensivo di gestore e Organismo, ma è disposto ad applicare le riduzioni consentite dalla legge nei casi più gravi. Inoltre, il debitore consumatore con reddito sotto i limiti di legge può sempre chiedere il patrocinio a spese dello Stato per la difesa legale (coprendo così la parcella dell’avvocato tramite l’erario).

Vantaggi e svantaggi dal punto di vista del debitore consumatore: Il piano del consumatore presenta importanti vantaggi:

  • Mantiene un certo controllo sulle proprie risorse: il debitore propone come e quanto pagare, spesso riuscendo a conservare beni essenziali (ad es. l’automobile necessaria per lavorare, o la casa se il piano prevede di mantenerne il mutuo).
  • Non richiede di liquidare integralmente tutto il patrimonio come nella liquidazione, quindi il consumatore potrebbe evitare la perdita di beni personali se riesce a pagare ratealmente i creditori.
  • Non dipende dal voto dei creditori ostili: il giudice può imporre il piano anche se qualche creditore è contrario, a tutela del debitore meritevole.
  • Le passività sono congelate: dalla presentazione del piano e soprattutto dopo l’omologa, i creditori non possono attivare o proseguire pignoramenti individuali, né pretendere importi diversi da quelli fissati nel piano.
  • Se intervengono miglioramenti di reddito durante la procedura, restano al debitore oltre quanto dovuto dal piano (a differenza della liquidazione dove qualsiasi sopravvenienza entra nell’attivo da liquidare).

Di contro, alcuni svantaggi/limitazioni:

  • Il debitore deve comunque destinare ai creditori ogni surplus di reddito disponibile per diversi anni, impegnandosi finanziariamente quasi come in un “mini concordato”. Ciò richiede sacrificio e disciplina nel lungo periodo.
  • Se il reddito è troppo basso per offrire almeno una minima soddisfazione ai creditori, il piano potrebbe non essere omologato (in questi casi si dovrà ricorrere alla liquidazione controllata o, in estremis, all’istituto dell’incapiente).
  • Il beneficio scatta solo dopo aver adempiuto il piano: se qualcosa va storto a metà percorso (es. nuova insolvenza del debitore), c’è il rischio di perdere la protezione e vanificare lo sforzo fatto.
  • Il debitore resta sorvegliato dall’OCC durante l’intero piano e deve mantenere una condotta trasparente; spese eccessive non compatibili col piano potrebbero far presumere malafede.
  • La procedura, pur semplificata rispetto al fallimento, comporta comunque la pubblicità nel registro delle insolvenze e può incidere sulla reputazione creditizia.

In definitiva, per il consumatore sovraindebitato onesto con una capacità di rimborso anche parziale, il piano del consumatore rappresenta uno strumento efficace per ristrutturare il debito a misura delle proprie possibilità e ottenere la cancellazione del debito residuo. Il tutto con costi relativamente contenuti rispetto ad altre procedure concorsuali. Nel seguito vedremo un esempio concreto di piano del consumatore con cifre realistiche (paragrafo Simulazioni pratiche).

2. Concordato Minore (Accordo di Ristrutturazione dei Debiti del Sovraindebitato)

Cos’è: Il concordato minore è la procedura prevista per i debitori sovraindebitati diversi dal consumatore, in particolare per imprenditori minori, imprenditori agricoli, start-up innovative, professionisti e altri enti non fallibili. Corrisponde all’istituto che la L. 3/2012 chiamava accordo di composizione dei debiti, ora ridenominato e disciplinato agli artt. 74-83 CCII. In sostanza, è un accordo di ristrutturazione in cui il debitore propone un piano di pagamento ai creditori, ma a differenza del piano del consumatore, qui è richiesta l’adesione di una parte dei creditori. Si parla di concordato “minore” perché ricorda, in scala ridotta, il concordato preventivo delle imprese maggiori: c’è un voto dei creditori e un’omologazione giudiziale.

Chi può accedervi: tutti i debitori sovraindebitati non consumatori. Ad esempio un lavoratore autonomo indebitato, un piccolo imprenditore commerciale sotto le soglie di fallibilità, un imprenditore agricolo (esente da fallimento per legge) o anche una società di persone di piccole dimensioni, rientrano in questa procedura. Se invece il debitore è persona fisica consumatore puro, deve usare il piano del consumatore visto sopra. Da notare che se i debiti sono misti (in parte personali, in parte di impresa), prevale la natura non da consumatore e quindi la strada è il concordato minore. Il CCII ha previsto anche la possibilità di procedure familiari congiunte se più membri della stessa famiglia sono sovraindebitati; in tal caso, se almeno uno dei debitori familiari non è consumatore, l’intera procedura segue le regole del concordato minore.

Il debitore per accedere deve essere meritevole secondo criteri analoghi a quelli visti: assenza di atti in frode o colpa grave. Nel concordato minore la valutazione di meritevolezza è implicita ma comunque rilevante: se emergono condotte gravemente scorrette (es. distrazione di beni, false attestazioni, ecc.) il tribunale non omologherà l’accordo (art. 75 CCII richiama le cause di inammissibilità).

Come funziona: Anche qui il primo passo è rivolgersi a un OCC per la nomina di un gestore che aiuti a elaborare la proposta. Il debitore elabora un piano di ristrutturazione dove indica come intende pagare i creditori, in che percentuale e con quali tempistiche. Può prevedere sia pagamento in forma parziale (stralcio di una quota di debito) sia dilazionata (piani pluriennali), nonché eventuali operazioni straordinarie (ad es. apporto di nuove risorse da terzi, cessione di beni non strategici, ecc.). Ad esempio, un artigiano potrebbe proporre ai creditori chirografari di pagare il 40% del dovuto in 5 anni, utilizzando i proventi futuri dell’attività, mentre ai creditori privilegiati (es. Fisco per IVA) pagherà il 100% ma rateizzato.

La proposta deve garantire ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella ottenibile in caso di liquidazione (principio di convenienza). L’OCC redige una relazione che attesta la fattibilità e la veridicità dei dati, simile a quella del piano consumatore. Presentata l’istanza, il tribunale fissa un termine per l’eventuale voto dei creditori. Infatti, nel concordato minore i creditori votano: è richiesto che la proposta ottenga l’adesione dei creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti chirografari ammessi al voto (la percentuale è stata ridotta dal CCII rispetto al 70% richiesto dalla vecchia legge). I creditori privilegiati non partecipano al voto se la proposta prevede il loro integrale pagamento; se invece anche ai privilegiati si propone una falcidia del credito, allora anch’essi votano (ma di regola il debitore cerca di soddisfarli per intero per evitare il loro voto contrario).

Raggiunto il quorum (calcolato sui crediti vantati, non sul numero di creditori), il tribunale verifica la regolarità e omologa l’accordo, rendendolo vincolante per tutti i creditori aderenti e non aderenti (quindi anche i dissenzienti sono obbligati dal concordato omologato). Se non si raggiunge il quorum del 60%, la procedura di concordato minore non può proseguire: il debitore dovrà ripiegare sulla liquidazione controllata (salvo convincere singolarmente i creditori extra-procedura, ma in mancanza di omologa la protezione viene meno).

Durante la fase di voto e omologazione, il debitore può chiedere al giudice misure protettive contro azioni esecutive dei creditori (simili al piano consumatore). L’OCC svolge un ruolo di mediatore e facilitatore nelle trattative con i creditori: spesso prima del voto vero e proprio si cerca l’adesione informale dei principali creditori, specie se ce n’è qualcuno strategico (ad es. l’Erario, che per legge può aderire solo se il piano prevede il pagamento di almeno il capitale delle imposte, mentre può rinunciare ad interessi e sanzioni).

Esdebitazione nel concordato minore: Se l’accordo viene omologato e il debitore esegue integralmente quanto promesso, egli risulterà adempiente e i creditori saranno stati soddisfatti nelle percentuali concordate. Il residuo dei debiti viene di fatto cancellato per effetto dell’adempimento dell’accordo omologato: dopo l’esecuzione completa, il debitore può ottenere dal tribunale un decreto che attesta l’avvenuto adempimento e la conseguente cessazione di ogni obbligo ulteriore verso i creditori concorsuali. Non c’è un’apposita “istanza di esdebitazione” perché è il concordato stesso che, una volta eseguito, libera il debitore dalle obbligazioni pregresse non interamente soddisfatte (analogamente a quanto avviene in un concordato preventivo per le imprese). Anche qui, in caso di inadempimento rilevante, il concordato può essere risolto (su istanza dei creditori) e i debiti originari tornano esigibili, salvo gli importi già eventualmente pagati (art. 81 CCII).

Costi della procedura per il debitore: Il concordato minore tende ad essere più oneroso del piano del consumatore in termini di costi procedurali, poiché è più complesso:

  • Compenso OCC: considerata la necessità di interagire con i creditori, raccogliere voti, ecc., l’attività del gestore è maggiore. Tipicamente il compenso dell’OCC per un accordo può partire da €2.500 fino a €5.000 o più, a seconda del numero di creditori e dell’importo del debito. Ad esempio, per un piccolo imprenditore con debiti ~€80.000 e 4–5 creditori, l’OCC potrebbe chiedere €3.000–4.000. I parametri di legge (D.M. 202/2014) fissano soglie massime, ma il tribunale ha margine di ridurre il compenso se il debitore ha situazione economica modesta. Come per il piano, di solito è richiesto un anticipo (circa 10% del compenso stimato) e il resto durante la procedura.
  • Parcella avvocato: la presenza della fase di voto e di eventuali negoziazioni con creditori rende opportuno il supporto legale. Il costo legale può essere più alto che nel piano consumatore. Si stimano spese legali intorno a €3.000–6.000 per seguire un concordato minore di media difficoltà, con variazioni in base al numero di riunioni con creditori, eventuali contestazioni, ecc.
  • Spese di tribunale: simili al piano consumatore (contributo unificato €98, marca €27). In aggiunta, c’è il costo di eventuali comunicazioni ai creditori per il voto (invio PEC o raccomandate dell’avviso di adunanza), che può essere a carico del debitore (poche decine di euro).
  • Altre spese: se il piano richiede stime, ad esempio la valutazione di un immobile da porre in garanzia o la verifica di stock di magazzino, si dovrà pagare un perito. Poniamo €500–1.000 per tali consulenze. Inoltre, l’OCC può avere spese vive (viaggi per incontrare creditori, accesso a banche dati) rimborsabili a forfait (il DM 202/2014 prevede un rimborso spese generali fino al 5% del compenso).
  • Costi indiretti: spesso nel concordato minore il debitore cede volontariamente parte del patrimonio ai creditori (ad es. vende un bene e mette il ricavato a disposizione). Questo non è un costo procedurale, ma è comunque un sacrificio economico per il debitore. Ad esempio, un professionista indebitato potrebbe dover vendere un secondo immobile o liquidare un investimento per reperire liquidità da offrire ai creditori: tale perdita patrimoniale è funzionale alla riuscita dell’accordo e in ultima analisi al conseguimento dell’esdebitazione.

Esempio di costi: Una situazione media (debiti €50.000–100.000, 5–10 creditori) può comportare costi totali di €7.000–12.000 tra OCC, legali e spese varie. Una situazione complessa (debiti > €100.000 e molti creditori) può salire verso €15.000 e oltre. Ad esempio, uno studio legale riferisce un caso di accordo per debiti ~€120.000 con 8 creditori, costato circa €10.000 complessivi. D’altra parte, concordati di entità piccola (es. €20.000 con pochi creditori, ipotesi rara perché solitamente il consumatore preferirebbe il piano) potrebbero stare anche sotto €5.000 di costi. In ogni caso, una parte dei costi può essere spalmata nel piano stesso (ad es. includendo nel piano il pagamento dilazionato del compenso OCC).

Considerazioni finali sul concordato minore: Dal lato del debitore non consumatore, il concordato minore è preferibile alla liquidazione quando si hanno prospettive di pagare almeno parzialmente i debiti e si vuole evitare di liquidare tutti i beni. Il vantaggio chiave è la flessibilità negoziale: si può concordare con i creditori soluzioni ad hoc (es. ristrutturazione di debiti fiscali, mantenimento dell’attività lavorativa in corso) che in una liquidazione verrebbero troncate. C’è però l’incertezza del voto: occorre convincere una larga maggioranza di crediti, il che richiede una proposta seria. I costi sono più alti rispetto a un piano del consumatore, ma comunque inferiori a un fallimento in termini di complessità e spese. Inoltre, come per il piano, il concordato minore consente di mantenere l’azienda in esercizio (se c’è) durante la procedura, evitando gli effetti dirompenti di un fallimento. Se l’accordo fallisce per mancato voto o inadempimento, resta sempre possibile la liquidazione controllata come rete di protezione.

3. Liquidazione Controllata del Sovraindebitato

Cos’è: La liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) è la procedura “di ultima istanza” del sovraindebitamento, consistente nella liquidazione giudiziale di tutti i beni del debitore non fallibile, sotto la direzione di un liquidatore nominato dal tribunale. È l’equivalente, per i piccoli debitori civili o non fallibili, di ciò che il fallimento (ora liquidazione giudiziale) è per le imprese maggiori. In pratica: se un consumatore o piccolo imprenditore non è in grado di proporre o eseguire un piano/accordo, può (o deve, su istanza di creditori) attivare questa procedura in cui il suo patrimonio viene liquidato in concorso e, dopo la liquidazione, egli ottiene l’esdebitazione secondo le regole del Capo X CCII.

Quando si ricorre alla liquidazione controllata: Può avvenire in vari scenari:

  • Su richiesta volontaria del debitore: quando il debitore valuta di non poter soddisfare i requisiti di meritevolezza per un piano, o non riesce a sostenere pagamenti futuri, o i suoi creditori sono troppo frammentati per un accordo, egli stesso può chiedere la liquidazione dei beni come soluzione. Ad esempio, un debitore anziano senza reddito, con qualche bene da liquidare ma debiti insostenibili, preferirà la liquidazione immediata per poi esdebitarsi.
  • Conversione da altre procedure: se un piano del consumatore o concordato minore fallisce (perché non omologato o risolto per inadempimento), la legge prevede in automatico o su istanza la conversione in liquidazione controllata (art. 270 CCII). È la rete di sicurezza: i beni vengono comunque liquidati a vantaggio dei creditori e il debitore può ancora aspirare all’esdebitazione a fine procedura.
  • Su istanza dei creditori o del P.M.: Novità del CCII, anche un creditore può chiedere l’apertura di una liquidazione controllata contro un debitore sovraindebitato (purché questi rientri tra i soggetti ammissibili). Ad esempio, un creditore può dimostrare che il suo debitore, pur non fallibile, è insolvente e chiedere al tribunale di avviare la liquidazione del patrimonio. La Cassazione ha confermato la legittimità di tale istanza ex officio creditoris, superando previe incertezze. Ciò colma un vuoto: in passato, solo il debitore poteva attivare le procedure di L.3/2012, mentre ora i creditori hanno uno strumento per non restare inerti di fronte a un sovraindebitato inattivo (specie se ha beni occultati). Ovviamente, se la liquidazione è aperta su istanza di terzi, il debitore potrà comunque chiedere l’esdebitazione finale se meritevole.

Procedura: La liquidazione controllata ricalca, semplificandoli, molti aspetti della liquidazione giudiziale (fallimento). Il tribunale, verificati i presupposti (stato di insolvenza o di sovraindebitamento non risolvibile altrimenti, + presenza di patrimonio anche minimo), emette sentenza di apertura della liquidazione controllata. Nomina un Giudice Delegato e un Liquidatore (spesso un professionista tratto dall’albo dei curatori/OCC). Da quel momento:

  • Il patrimonio attuale del debitore diviene oggetto della liquidazione: il liquidatore prende possesso dei beni (salvo quelli impignorabili per legge) e procede alla loro vendita secondo le norme (tipicamente attraverso procedure competitive).
  • Il debitore ha l’obbligo di collaborazione, deve consegnare documenti, elenco beni e creditori, ecc. e può mantenere l’amministrazione di attività eventualmente produttive sotto la supervisione del liquidatore (a differenza del fallimento dove spossessamento è totale, qui la legge consente al debitore di partecipare alla gestione sotto controllo, per quanto non abbia più la libera disponibilità dei beni).
  • Si forma lo stato passivo: i creditori devono presentare domanda di partecipazione e il liquidatore forma l’elenco dei crediti da soddisfare, distinti per grado (privilegiati, chirografari). Il giudice lo approva.
  • Eventuali atti dannosi compiuti prima (pagamenti preferenziali, ecc.) possono essere revocati (il CCII estende alcune revocatorie anche al sovraindebitamento).
  • Durante la procedura, il debitore persona fisica conserva comunque i mezzi di sostentamento necessari e non tutti i beni vengono liquidati: ad esempio, sono esclusi gli stipendi/pensioni per la parte minima vitale, i beni di uso quotidiano, gli strumenti di lavoro indispensabili, ecc., secondo le norme ordinarie sulle cose impignorabili (art. 268 co.4 rinvia agli artt. 545 c.p.c. e simili).

L’obiettivo è convertire in denaro i beni non essenziali e distribuirlo ai creditori secondo le regole di priorità (prima i creditori prededucibili e privilegiati, poi gli eventuali chirografari pro quota).

Durata massima e conclusione: Il CCII stabilisce che la liquidazione controllata debba avere una durata non superiore a 3 anni dall’apertura. Questo è un punto cruciale: la liquidazione non può trascinarsi oltre i 3 anni, trascorsi i quali comunque scatta l’esdebitazione di diritto (vedi oltre). Entro tale termine il liquidatore cerca di vendere i beni; se rimangono beni invenduti ma non facilmente liquidabili, il giudice può chiudere la procedura lo stesso. Al termine, c’è un decreto di chiusura e il riparto finale ai creditori.

Esdebitazione nella liquidazione controllata: La grande differenza rispetto al passato è che il debitore persona fisica ha diritto all’esdebitazione automaticamente decorsi 3 anni dall’apertura, oppure alla chiusura se precedente. L’art. 282 CCII sancisce che trascorsi 3 anni, l’esdebitazione opera di diritto ed è dichiarata dal tribunale con decreto motivato. In pratica, se il debitore ha collaborato lealmente e non sono emerse cause ostative (es. frodi, condanne penali, ecc.), il giudice emette il decreto di esdebitazione liberando il debitore dai debiti concorsuali rimasti insoddisfatti. Questo può avvenire anche prima della chiusura formale della liquidazione, se ad esempio la procedura si protrae oltre i 3 anni per questioni formali. Di solito, però, il piano è di concludere le vendite entro i 3 anni e chiudere contestualmente esdebitando il debitore.

Va sottolineato che non serve un’istanza apposita del debitore per l’esdebitazione nella liquidazione controllata: essa avviene “di diritto” al maturare del triennio. Ciò alleggerisce il debitore dall’onere di fare richiesta e anche eventuali opposizioni creditorie trovano poco spazio se i requisiti soggettivi sono rispettati (il decreto di esdebitazione è comunque impugnabile dai creditori solo per contestare la sussistenza dei requisiti di legge, non certo per il mancato pagamento dei loro crediti).

Condizioni di meritevolezza: Anche qui il debitore deve risultare meritevole ex art. 280 CCII (nessuna condanna per reati concorsuali, nessun atto in frode, cooperazione con gli organi della procedura, ecc.). Tali condizioni vengono valutate dal giudice delegato e dal tribunale al momento di dichiarare l’esdebitazione. Ad esempio, se emergesse che il debitore ha nascosto dei beni al liquidatore, l’esdebitazione verrebbe negata e il debitore resterebbe debitore residuo. Ma in assenza di condotte dolose, il fatto che i creditori siano stati soddisfatti poco o nulla non impedisce la concessione del beneficio. Questo è stato confermato espressamente: anche fallimenti senza attivo o liquidazioni incapienti possono concludersi con esdebitazione del debitore onesto.

Costi della liquidazione controllata: Dal punto di vista del debitore, i costi diretti della procedura consistono principalmente nelle spese di giustizia e nel compenso del liquidatore, ma sono pagati con le risorse ricavate dalla liquidazione stessa (prededuzione). In altri termini:

  • Il compenso del liquidatore (stabilito dal giudice a fine procedura sulla base del lavoro svolto e dell’attivo realizzato) viene prelevato dall’attivo prima di distribuire ai creditori. Dunque, se il debitore ha beni, in sostanza saranno i creditori a sopportare quel costo tramite una riduzione di quanto incassano. Il D.M. 202/2014 (artt. 14-16) prevede parametri percentuali decrescenti sull’attivo liquidato per calcolare il compenso del gestore; in ogni caso, esso non può superare il 5% del ricavato totale. Se la liquidazione è molto semplice (pochi beni), il tribunale può riconoscere un compenso minimo standard al liquidatore.
  • Contributo unificato: l’istanza di apertura liquidazione costa €98 + marca €27, come le altre procedure volontarie. Se la procedura è attivata da un creditore, il contributo potrebbe essere più alto (nei fallimenti il creditore istante paga CU €] 518); ma nel sovraindebitamento si applica il rito volontaria giurisdizione, quindi probabilmente sempre €98. In alcuni tribunali però il creditore istante versa un importo maggiorato. In ogni caso, il debitore che subisce l’istanza non paga nulla per attivarla.
  • Spese di procedura: pubblicazione del decreto di apertura sul registro e eventuali notifiche ai creditori, anch’esse anticipate dall’erario o dal creditore istante e poi recuperate sull’attivo. Se l’attivo è zero, lo Stato potrebbe rimanere soccombente di questi piccoli importi.
  • OCC vs Curatore: Nella liquidazione controllata il ruolo di liquidatore può essere svolto da un professionista iscritto agli OCC. Alcuni OCC chiedono al debitore una quota iniziale anche per la liquidazione (es. molti OCC hanno una fee base di €2000 come visto). Se la procedura è chiesta dal debitore, può capitare che l’OCC pretenda un acconto per avviare la pratica. Tuttavia, essendo una procedura concorsuale, una volta aperta formalmente, le spese devono transitare nel passivo. In diversi tribunali si opta per nominare direttamente un professionista (gestore) senza oneri anticipati significativi per il debitore, soprattutto se è già in difficoltà.
  • Costi indiretti per il debitore: sono principalmente la perdita del patrimonio. Tutti i beni non essenziali verranno venduti, il che per il debitore equivale a sostenere il costo economico più alto (es.: perdere la proprietà della casa di abitazione, dell’auto, ecc.). È il prezzo da pagare per liberarsi dei debiti. Inoltre, durante la procedura il debitore potrebbe trovarsi limitato nella disponibilità del reddito: se ha un salario elevato, il giudice può disporre che la parte eccedente il minimo vitale affluisca mensilmente alla procedura. Quindi, per i 3 anni della liquidazione, il debitore vive con lo stretto necessario, sapendo però che dopo potrà ricominciare pulito.

Rapporto costi/benefici: Per un debitore completamente insolvente, la liquidazione controllata di per sé potrebbe sembrare “costosa” perché porta via i beni. Ma è bene capire che, se il debitore non avesse attivato la procedura, i creditori avrebbero potuto comunque aggredire quei beni singolarmente (pignoramenti) e lui sarebbe rimasto ancora debitore per l’eventuale differenza. Invece, con la liquidazione controllata, quei beni vengono liquidati una volta per tutte in modo ordinato e, soprattutto, il debitore ottiene la cancellazione del debito residuo. Inoltre, grazie alle nuove norme, la procedura è relativamente breve (massimo 3 anni) e può chiudersi anche prima se i beni si vendono subito.

Esempio di costi pratici: Ipotizziamo un piccolo imprenditore con debiti per €150.000 e un patrimonio consistente in un appartamento del valore €100.000 gravato da ipoteca e qualche bene mobile. Nella liquidazione controllata, l’appartamento viene venduto magari a €90.000: si paga prima il creditore ipotecario (ad es. banca residuo mutuo €70.000) e rimangono €20.000 di attivo libero. Su questi, il liquidatore prende poniamo il 5% = €1.000, più spese. Ai creditori chirografari restano €19.000 da dividersi (poco più del 10% dei loro crediti). Il debitore perde la casa ma in 2 anni la procedura si chiude. Egli ha speso di tasca propria solo €98 di contributo unificato e magari qualche centinaio di euro di spese iniziali all’OCC; il resto (compenso liquidatore, notaio aste, ecc.) è stato detratto dall’attivo ricavato. I creditori hanno incassato il possibile e il debitore, essendosi comportato correttamente, viene esdebitato dal residuo (~€130.000 restanti) – incluso, ad esempio, un debito IVA che aveva parte di quei crediti, interamente falcidiato. Se confrontiamo questa situazione con un fallimento tradizionale, notiamo come i tempi siano stati più rapidi e l’esdebitazione garantita nonostante il basso realizzo (0,0003% ai chirografari nel caso di Cass. 28505/24, ma esdebitazione concessa).

Conclusione: La liquidazione controllata è spesso l’ultima spiaggia ma anche una soluzione limpida: il debitore rinuncia a tutto ciò che ha, in cambio ottiene in tempi certi la pace dai creditori. È fondamentale la collaborazione: tribunali come Torino hanno enfatizzato che la procedura serve a dare ristoro (per quanto minimo) ai creditori e insieme la chance di ripartenza al debitore, ma ciò presuppone che il debitore sia trasparente e non approfitti maliziosamente (ad esempio dilapidando attivi prima di chiedere la liquidazione). In casi meritevoli, i giudici hanno mostrato sensibilità: ad esempio, Tribunale di Milano 23/12/2024 ha ritenuto meritevole un debitore incapiente anche se la sua insolvenza era prevalentemente verso l’Erario, riconoscendo che debiti fiscali ingenti non escludono di per sé la buona fede. D’altro canto, se emergono scorrettezze, l’esdebitazione può essere negata, lasciando il debitore senza beni e ancora indebitato (uno scenario disastroso). Fortunatamente la maggior parte delle liquidazioni controllate di persone fisiche oggi si conclude con esdebitazione, salvo casi di vera frode.

4. Esdebitazione del Debitore Incapiente (Procedura “a costo zero” ex art. 283 CCII)

Cos’è: L’esdebitazione del debitore incapiente è una procedura speciale e straordinaria introdotta dal Codice (art. 283) per dare sollievo al debitore persona fisica che si trova in uno stato di assoluta incapienza, cioè privo di beni e di redditi aggredibili da offrire ai creditori. In altre parole, è pensata per chi non ha proprio nulla – né patrimonio, né entrate disponibili oltre il minimo vitale – e si trova schiacciato dai debiti. In tali casi, aprire una liquidazione controllata sarebbe inutile (non ci sarebbe nulla da liquidare) e anzi controproducente per il sistema (si sprecherebbero risorse procedurali inutilmente). Pertanto, l’art. 283 consente al tribunale, in presenza di rigorose condizioni, di concedere direttamente l’esdebitazione di tutti i debiti del soggetto incapiente, senza attivare alcuna procedura concorsuale di liquidazione. Proprio per questa caratteristica si parla colloquialmente di “esdebitazione a costo zero” – attenzione però: “zero” riferito al pagamento dei creditori, non necessariamente ai costi procedurali, come vedremo.

Questa misura, di natura eccezionale, è ispirata da finalità sociali: evitare che una persona onesta ma totalmente indigente sia condannata a restare per sempre inseguita da debiti impagabili, situazione che spesso alimenta economia sommersa o disperazione (da cui il nome mediatico “salva suicidi” originariamente attribuito alla L.3/2012). Con l’esdebitazione dell’incapiente, l’ordinamento preferisce spezzare il circolo vizioso debiti-povertà e dare una chance di reinclusione economica al debitore, pur consapevole che i creditori non riceveranno nulla (o quasi).

Chi può accedere: Solo persone fisiche (non società) e che siano meritevoli. In particolare il comma 1 definisce il “debitore incapiente” come “il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità nemmeno in futuro”. Dunque i presupposti chiave sono:

  • Incapienza assoluta attuale: il debitore non deve avere beni liquidabili né redditi disponibili da destinare ai creditori. Se anche un piccolo attivo c’è, va verso la liquidazione controllata. È ammessa una soglia di minima entità? La legge non fissa numeri precisi, ma dalla frase “nessuna utilità” si evince che se il debitore può anche solo pagare, ad esempio, il 5% dei debiti, dovrebbe optare per la liquidazione controllata (dove magari quel 5% viene distribuito e poi esdebitato dal 95%). L’istituto dell’incapiente è riservato a chi davvero non può pagare nulla. Nel dubbio, i tribunali valutano caso per caso: ad es. se un debitore ha un reddito modesto ma qualche piccola capacità di rimborso, potrebbe essergli suggerito di provare un piano o liquidazione invece che l’incapiente.
  • Previsione per il futuro: non solo ora non può pagare, ma neppure si prevede che in un orizzonte ragionevole possa offrire qualcosa. La norma considera un orizzonte di 4 anni dopo l’esdebitazione (vedi obblighi post-esdebitazione infra): se appare probabile che in quel lasso di tempo il debitore otterrà entrate significative, l’incapiente forse non è lo strumento giusto (meglio un piano dilazionato magari). In pratica, l’incapiente dev’essere in una situazione di persistente difficoltà (es. disoccupato senza beni, pensionato al minimo, invalido, ecc.).
  • Meritevolezza: questo è fondamentale e strettissimo. Chi chiede esdebitazione incapiente sarà passato al setaccio: ogni segno di malafede o colpa grave condurrà al rigetto. Ad esempio, un soggetto che sia incapiente perché ha dissipato volontariamente il proprio patrimonio non sarà considerato meritevole. Le stesse cause di esclusione dell’art. 280 CCII valgono: aver commesso reati di bancarotta, frodi ai creditori, aver già avuto esdebitazione recente o ripetuta, ecc. Quindi l’istituto è destinato all’“insolvente sfortunato”, non al furbo.

Procedimento: Tecnicamente si tratta di una procedura di volontaria giurisdizione molto snella. Il debitore presenta ricorso al tribunale attestando la propria situazione di incapienza assoluta, allegando l’elenco dei creditori, delle cause dell’indebitamento, e soprattutto tutti i documenti che provano l’assenza di cespiti: estratti conto, situazione reddituale (es. dichiarazione dei redditi a zero), stato di famiglia, eventuale attestazione ISEE, etc. È consigliabile coinvolgere un OCC anche in questa fase, benché la legge non lo imponga esplicitamente come per le altre procedure. Infatti molti tribunali pretendono comunque la relazione di un OCC o gestore che certifichi la veridicità delle dichiarazioni del debitore. Questo per evitare abusi (ci vuole un occhio terzo che confermi che davvero non ci sono beni occultati).

Il tribunale convoca il debitore per un’udienza (spesso in camera di consiglio) e può sentire anche i creditori (se qualcuno si è opposto). Se accerta che tutti i requisiti sono soddisfatti, emette il decreto di esdebitazione del debitore incapiente. Tale decreto:

  • dichiara inesigibili tutti i debiti concorsuali del debitore (cioè quelli sorti prima della domanda, analogamente all’esdebitazione post-liquidazione);
  • impone al debitore gli obblighi di condotta post-esdebitazione (vedi sotto);
  • è comunicato a tutti i creditori (che non potranno più agire esecutivamente).

La procedura è dunque molto rapida: in pochi mesi si può ottenere il decreto. Non c’è liquidatore, non c’è riparto, perché non c’è nulla da ripartire.

Obblighi successivi e condizione risolutiva (4 anni): L’esdebitazione concessa al debitore incapiente è sub conditione. Il debitore, come anticipato, deve:

  • Dichiarare tempestivamente al tribunale l’eventuale arrivo, nei 4 anni successivi, di “sopravvenienze attive rilevanti”. Cioè se entro 4 anni il debitore incapiente riceve un’eredità, vince alla lotteria, trova un lavoro ben retribuito, o in generale entra in possesso di risorse sufficienti a soddisfare almeno il 10% dei crediti originari, deve segnalarlo.
  • Versare ai creditori tali nuove somme, fino a concorrenza del debito originario ridotto al 10% (non è del tutto chiaro se debba versare tutto il ricavato fino a raggiungere il 10% dei debiti – interpretazione probabile – o se basti che metta a disposizione quel 10%; la norma dice “utilità rilevanti… i creditori potranno beneficiare di tali somme”).
  • Astenersi da comportamenti dolosi: qualora si scoprisse che il debitore ha occultato volontariamente delle risorse ottenute nei 4 anni (ad es. percepisce un’eredità e non la dichiara), il beneficio sarà revocato.

In pratica è una esdebitazione condizionata: il debitore è libero dai debiti subito, ma per 4 anni rimane “sorvegliato speciale”. Se la sua situazione rimane precaria, bene, l’esdebitazione diventa definitiva senza pagare nulla. Se invece gli capita un colpo di fortuna (o un miglioramento economico significativo), quella ricchezza inattesa non andrà solo a lui ma dovrà in parte andare ai creditori (almeno nella misura del 10% dei crediti, soglia oltre la quale la situazione non è più quella di incapienza originaria). Questa clausola ha lo scopo di bilanciare equamente gli interessi: il debitore viene graziato dei debiti, ma se in breve tempo dovesse trovarsi nelle condizioni di poter effettivamente rimborsare qualcosa, è giusto che i creditori ne traggano giovamento ex post.

Se il debitore viola questi obblighi (non informa, non versa), il tribunale – su segnalazione di un creditore o d’ufficio – può revocare l’esdebitazione e far tornare esecutivi tutti i vecchi debiti, come se il decreto non fosse mai stato concesso. La revoca sarebbe devastante: paradossalmente, se nel frattempo il debitore ha un reddito, i creditori potranno aggredirlo. Quindi, al debitore incapiente conviene essere trasparente e rispettare la condizione: se davvero ottiene risorse consistenti, gli conviene spontaneamente destinare ai vecchi creditori quel 10% (o la somma disponibile) per mettere al riparo il beneficio sul resto.

Costi della procedura incapiente: Formalmente, l’esdebitazione incapiente è detta “a costo zero” perché il debitore non paga nulla ai creditori. Tuttavia, ci sono alcuni costi tecnici:

  • Spese di procedura: contributo unificato €98 e bollo €27 per il ricorso, come sempre.
  • Compenso OCC/gestore: se il debitore si affida a un OCC per presentare l’istanza (cosa consigliata), dovrà pagare il compenso dell’OCC. Molti OCC applicano tariffe agevolate per l’incapiente: ad esempio l’OCC di Milano (Camera Arbitrale) prevede un compenso minimo di €1.000 + oneri per l’intera procedura di incapiente, più basso rispetto ai €2.000 delle altre procedure. Alcuni OCC potrebbero ridurre ulteriormente o dilazionare tale importo considerando la situazione di estrema difficoltà (il D.M. 202/2014 consente riduzioni fino al 40% in casi del genere). In ogni caso, un minimo di qualche centinaio di euro per coprire il lavoro di istruttoria e relazione sarà normalmente dovuto. Se il debitore proprio non dispone neanche di quelli (capita, perché parliamo di nullatenenti), potrebbe provare a rivolgersi all’OCC del proprio comune: a volte esistono convenzioni con cui i Consigli degli Ordini professionali finanziano parzialmente l’attività degli OCC in casi socialmente rilevanti. In difetto, il debitore potrebbe racimolare la somma con aiuto di familiari o amici, trattandosi di importi relativamente modesti.
  • Assistenza legale: per la richiesta di incapiente non è strettamente richiesta l’assistenza di un avvocato (il ricorso lo può presentare anche l’OCC stesso o il debitore personalmente). Tuttavia, se ci si affida a un legale, andrà prevista la parcella. Alcuni avvocati trattano queste pratiche a tariffe ridotte data la condizione del cliente – ad esempio, potrebbero chiedere €1.000 pagabili a rate. Se il debitore ha i requisiti, può anche accedere al patrocinio a spese dello Stato, facendo rientrare la procedura incapiente tra i procedimenti ammessi (essendo volontaria giurisdizione civile, dovrebbe essere coperto).

Tutto considerato, il costo complessivo tipico per un debitore incapiente può variare da circa €1.000 (minimo) a €3.000 in totale, principalmente per compensi professionali e qualche tassa. Esempio: un pensionato nullatenente, tramite OCC dell’Ordine Avvocati locale, paga €1.200 IVA compresa per il gestore e nulla per l’avvocato (perché un legale volontario lo segue pro bono), spendendo quindi solo €1.200. Un altro debitore, seguito da un avvocato in regime di legal aid e da un OCC che ha rinunciato a parte del compenso, potrebbe addirittura non sborsare nulla di rilievo upfront. Ma questi casi richiedono circostanze favorevoli; generalmente almeno il compenso OCC di base va corrisposto.

Effetti e vantaggi: Se il decreto viene emesso, il debitore è immediatamente libero da tutte le obbligazioni pregresse (salvo quelle escluse per legge, che comunque in genere non sono la fetta maggiore). La differenza rispetto alle altre procedure è notevole: qui non c’è stata alcuna distribuzione ai creditori. In pratica, il debitore ottiene il risultato finale dell’esdebitazione senza aver dovuto subire la procedura concorsuale, grazie al riconoscimento legale della sua incapienza. Il vantaggio per il debitore è enorme: cancella i debiti subito (non deve attendere 3 anni né eseguire piani), evita la perdita di eventuali beni essenziali (che non aveva comunque) e può dedicare il proprio (scarso) reddito futuro solo al proprio mantenimento, salvo la clausola del 10% se diverrà più agiato.

Dal punto di vista sociale, questo strumento permette di reinserire persone ai margini: pensiamo a chi non trova lavoro perché formalmente risulta pieno di debiti e pignorabile – dopo l’esdebitazione, potrà invece accettare un impiego senza timore che stipendio venga aggredito, favorendo così il rientro nell’economia legale.

Critiche e cautele: Ovviamente, essendo una misura drastica a favore del debitore, il tribunale la applica con estrema prudenza. La dottrina ha discusso sulla possibilità che qualche furbo cerchi di usare l’incapienza dopo aver nascosto beni altrove: ecco perché è indispensabile la vigilanza dell’OCC e del tribunale sulla veridicità delle dichiarazioni. Già le prime pronunce mostrano rigore: ad esempio, Trib. Torino 23/4/2025 ha concesso l’esdebitazione incapiente a una debitrice ultra-indebitata ma ha scrutinato attentamente le cause dell’indebitamento, distinguendo debiti causati da eventi sfortunati (perdita lavoro, crisi economica) da quelli eventualmente imputabili a spese voluttuarie o gioco d’azzardo (che avrebbero potuto indicare difetto di meritevolezza). Nel caso specifico, il tribunale ha ritenuto la debitrice meritevole poiché i suoi debiti non derivavano da azzardo o consumi frivoli ma da condizioni di necessità, ed era prevedibile che non avrebbe mai potuto pagare nulla. In altri decreti (es. Trib. Milano 5/7/2023), giudici hanno sottolineato che anche un indebitamento principalmente fiscale non preclude l’incapienza, se il contribuente è in buona fede (ad es. un pensionato che non poteva pagare cartelle esattoriali è stato esdebitato totalmente).

In conclusione, l’esdebitazione del debitore incapiente rappresenta una svolta epocale nell’ordinamento italiano: per la prima volta si accetta che un debitore onesto ma completamente insolvente venga liberato dai suoi debiti senza dare nulla in cambio ai creditori. Questo strumento va però visto come residuale: è riservato a situazioni davvero disperate, dove ogni altra opzione (piano, concordato, liquidazione) non avrebbe senso. Per tali casi limite, la legge offre la cancellazione dei debiti come atto di “grazia” condizionata, nella speranza che il debitore possa così riscattarsi. Naturalmente, i creditori subiscono un sacrificio totale, ma ciò è giustificato – nel bilanciamento legislativo – dall’assenza di alternative (se il debitore non ha nulla, neppure aggredendolo individualmente otterrebbero comunque nulla). In definitiva, è un istituto da maneggiare con cautela ma che risponde a un principio di umanità e seconda chance promosso anche dall’Unione Europea.

5. Esdebitazione dell’Imprenditore Fallito (Liquidazione Giudiziale ex art. 278 e ss. CCII)

Passiamo ora alla procedura di esdebitazione collegata al fallimento (ora detto liquidazione giudiziale) degli imprenditori commerciali. Questa è l’ipotesi che originariamente – fino al 2006 – era del tutto assente nell’ordinamento: il fallito imprenditore restava per tutta la vita responsabile dei debiti non soddisfatti. Dal 2006 in poi, prima con l’art. 142 legge fallimentare e oggi con gli artt. 278-281 CCII, anche l’imprenditore può liberarsi dei debiti residui post-fallimento, a certe condizioni.

Ambito soggettivo: riguarda gli imprenditori commerciali assoggettabili alla liquidazione giudiziale (cioè non piccoli, oltre le soglie art. 2 CCII) e gli soci illimitatamente responsabili di società fallite. In pratica, quando si chiude un fallimento (liquidazione giudiziale) che ha riguardato una persona fisica imprenditore o una società, si apre il capitolo dell’esdebitazione:

  • Se il debitore era persona fisica imprenditore, può chiedere di essere esdebitato dai debiti non pagati nel fallimento.
  • Se il fallito era una società, la società stessa può essere dichiarata esdebitata (novità CCII) con efficacia per eventuali soci illimitatamente responsabili. In più, i soci illimitatamente responsabili e gli ex rappresentanti legali devono risultare meritevoli ex art. 280 co.4 perché la società ottenga l’esdebitazione.

Condizioni per l’esdebitazione (art. 280 CCII): Le condizioni soggettive richieste al debitore imprenditore per accedere al beneficio sono elencate tassativamente:

  • Assenza di condanne penali gravi legate all’insolvenza: il debitore non dev’essere stato condannato in via definitiva per bancarotta fraudolenta o altri delitti connessi all’attività d’impresa (reati fallimentari, reati societari gravi, ecc.), a meno che non sia intervenuta riabilitazione. Se c’è un processo penale in corso per tali reati, il tribunale sospende la decisione sull’esdebitazione in attesa dell’esito.
  • Assenza di atti in frode ai creditori: il debitore non deve aver distratto o simulato attivo, esposto passività insussistenti, aggravato il dissesto con dolo o colpa grave, fatto ricorso abusivo al credito, ecc.. In sostanza, non dev’essere la causa colpevole del fallimento né aver tentato di ingannare i creditori.
  • Condotta cooperativa nella procedura fallimentare: il debitore deve aver collaborato con il curatore, fornito tutte le informazioni e i documenti richiesti, non aver ostacolato o rallentato le operazioni. Il classico obbligo di leale collaborazione ex art. 49 CCII.
  • Limiti temporali: come già detto, il debitore non deve aver ottenuto un’altra esdebitazione nei 5 anni precedenti e non può averne già avute due in totale. Quindi, se un imprenditore è al secondo fallimento in breve tempo, potrà chiedere esdebitazione solo se la precedente risale a oltre 5 anni prima, e comunque mai oltre la seconda volta nella vita.
  • Parziale soddisfacimento creditori (requisito OGGETTIVO) – NON più richiesto: sotto la vecchia legge fall. era richiesto che i creditori chirografari avessero ricevuto almeno una piccola percentuale (di solito il 5% salvo esimenti). Il CCII ha eliminato questo requisito come visto. Quindi anche l’imprenditore il cui fallimento si è chiuso con zero recuperi per i chirografari può essere esdebitato, se soddisfa i requisiti soggettivi. La Cassazione ha affermato con forza che l’eliminazione del requisito oggettivo sposta la verifica tutta sul requisito soggettivo di meritevolezza: l’esiguità o nullità dell’attivo non è motivo di esclusione dall’esdebitazione.

Procedura per ottenere l’esdebitazione: Nella liquidazione giudiziale (fallimento) la regola è che il debitore persona fisica deve presentare istanza di esdebitazione al tribunale. Tipicamente ciò avviene in prossimità della chiusura del fallimento: il curatore avvisa il debitore della possibilità, e il debitore deposita un’istanza formale (tramite il suo legale) in cui dichiara di aver diritto al beneficio ex art. 280. Con la riforma, è previsto che l’imprenditore possa chiedere l’esdebitazione anche dopo 3 anni dall’apertura se la procedura è ancora pendente (la cosiddetta esdebitazione “ante chiusura”). In tal caso, depositata l’istanza dopo il triennio, il tribunale può esdebitare il fallito anche se il fallimento non è tecnicamente chiuso (ciò per evitare di farlo aspettare troppo, in linea con la direttiva UE).

Ricevuta l’istanza, il tribunale (in composizione collegiale) convoca un’udienza in cui possono comparire i creditori ed eventualmente esprimere opposizione (ad esempio contestando la meritevolezza del debitore, se ritengono che abbia nascosto qualcosa). Il tribunale valuta la sussistenza dei requisiti di legge e le eventuali opposizioni. Se tutto è in regola, emette il decreto di esdebitazione ex art. 281 CCII, liberando il debitore dai debiti concorsuali insoddisfatti. Questo decreto è notificato a tutti i creditori. Se qualche creditore ritiene che non ci fossero i presupposti, può proporre reclamo (un rimedio impugnatorio) alla corte d’appello, ma soltanto per motivi specifici di legittimità o erronea valutazione della meritevolezza.

Va evidenziato che nel fallimento la richiesta non è automatica: se il debitore non presenta istanza, l’esdebitazione non viene dichiarata d’ufficio (salvo i nuovi poteri del giudice di anticiparla dopo 3 anni su istanza del debitore). Quindi un debitore distratto potrebbe perdersi il beneficio se non lo chiede – per questo la legge impone al curatore di informarlo. Inoltre, contrariamente alla liquidazione controllata, i creditori nel fallimento hanno più voce in capitolo: possono attivamente opporsi se ritengono il debitore indegno. Tuttavia, in assenza di motivi concreti (es. scoperta di beni sottratti, comportamenti fraudolenti), di norma l’opposizione non ha successo, perché il giudice dà prevalenza all’idea che l’imprenditore meritevole vada liberato dai debiti per poter tornare in attività.

Effetti dell’esdebitazione imprenditore: Simili agli altri casi: il debitore persona fisica è liberato da tutti i debiti concorsuali rimasti impagati (ad eccezione di quelli non esdebitabili per legge: alimentari, risarcimenti da illecito, sanzioni – che anche nel fallimento restano fuori). Ciò significa, ad esempio, che anche eventuali debiti fiscali residui del fallito vengono cancellati – questo è un punto importante perché in passato vi era dibattito sull’IVA (ora chiarito: si esdebitano anche IVA e altre imposte, come confermato dalla Cass. e CGUE). Inoltre, con l’esdebitazione cessano le incapacità personali legate al fallimento: il debitore riacquista la piena capacità imprenditoriale (può tornare ad amministrare società, etc.), venendo meno le cause di ineleggibilità o decadenza collegate allo status di fallito.

Se invece l’esdebitazione viene negata (ad esempio perché il tribunale ritiene il fallito non meritevole), i debiti residui tornano esigibili individualmente: i creditori chirografari potranno riprendere o iniziare azioni esecutive sul nuovo patrimonio del debitore post-fallimento. In tal caso, il fallito rimane con il peso integrale dei debiti non pagati dalla procedura.

Costi per il debitore nella procedura fallimentare: Qui i costi diretti della procedura (compensi, spese) gravano sulla massa attiva o eventualmente sul creditore istante. Il debitore imprenditore in sé tipicamente:

  • Paga un contributo unificato se è lui a richiedere il proprio fallimento (circa €336, più eventuale anticipazione delle spese di procedura se il tribunale la chiede). Se il fallimento è chiesto da un creditore, il debitore non ha costi iniziali.
  • Durante la procedura, non sostiene spese dirette (è il curatore che amministra e paga le spese dal patrimonio del fallito).
  • Per chiedere l’esdebitazione, ci sarà il costo del suo avvocato per preparare l’istanza e rappresentarlo. Questo è un costo privato: l’avvocato può chiedere onorari intorno a €1.000–2.000 per gestire la fase di esdebitazione, a seconda della complessità (di solito abbastanza semplice se non ci sono opposizioni). Se il debitore ne ha i requisiti, può avvalersi del patrocinio a spese dello Stato anche qui.
  • Marca da bollo per la domanda di esdebitazione: solitamente €27 (è un’istanza nel fallimento già pendente, quindi spese minime).

L’aspetto economico più importante per l’imprenditore è che, se aveva beni, questi sono stati liquidati dal curatore; se non aveva beni, il fallimento viene chiuso per insufficienza attivo (prima ciò impediva l’esdebitazione, ora non più). In entrambi i casi, comunque il patrimonio personale pregresso del debitore è stato azzerato nel corso della procedura. Dunque il “costo” sostanziale è che il debitore ha perso la propria azienda e i propri beni dati ai creditori (ma questo è intrinseco al fallimento, non all’esdebitazione in sé).

Esempio riassuntivo: Un imprenditore individuale fallito con debiti per €500.000, di cui €100.000 recuperati dal curatore vendendo i suoi beni (20% di soddisfo ai creditori). Alla chiusura, se l’imprenditore soddisfa le condizioni (nessuna frode, ha collaborato, ecc.), il tribunale gli concede l’esdebitazione. Egli quindi viene liberato dai restanti €400.000 di debiti. Ha dovuto subire la perdita del patrimonio (€100.000 ceduti) e l’onta del fallimento, ma non dovrà ripagare nulla di più oltre quanto i creditori hanno già ricevuto (20%). I costi del curatore e della procedura erano inclusi in quei €100.000 (in prededuzione). Lui di tasca propria ha pagato solo il suo avvocato per l’istanza di esdebitazione. Se invece avesse negato la collaborazione o occultato beni, il tribunale gli avrebbe negato l’esdebitazione: in tal caso, i creditori, dopo aver preso il 20% in fallimento, sarebbero tornati a poterlo inseguire per il restante 80%. Magari inizialmente non avrebbero avuto da prendere nulla (perché l’imprenditore era rimasto senza beni), ma col tempo se avesse ripreso un’attività o ereditato qualcosa, quei creditori avrebbero potuto rifarsi.

Giurisprudenza recente: La Corte di Cassazione ha emanato diverse pronunce a chiarimento. Oltre alla già citata Cass. 28505/2024 sull’irrilevanza della mancanza di attivo, si segnala Cass. 22699/2023 che ha affrontato il caso di un imprenditore cessato e cancellato dal registro imprese da oltre un anno: tradizionalmente, trascorso un anno dalla cessazione non era più possibile dichiararlo fallito (art. 10 l.fall.). La Cassazione ha però aperto alla possibilità che un soggetto del genere possa accedere comunque a una procedura di sovraindebitamento (liquidazione controllata) per poi esdebitarsi. Questo per evitare che imprenditori “vecchi fallibili” rimangano esclusi dal fresh start solo per questioni temporali. Inoltre, tribunali di merito – es. Trib. Roma 2023 – hanno negato l’esdebitazione a falliti che avevano nascosto beni (una sentenza ha menzionato un fallito che aveva celato un immobile all’estero, vedendosi negato il beneficio come tipico caso di malafede). Segno che la vigilanza c’è, ma sono casi eccezionali: nella generalità, se il fallito è realmente onesto, “i creditori hanno poco margine per opporsi e l’esdebitazione viene concessa”.

Conclusioni sul punto: L’esdebitazione dell’imprenditore ex art. 278 e ss. CCII completa il quadro dando anche al fallito una via d’uscita. Il Codice della Crisi ha reso questa via più ampia (eliminando soglie di pagamento, riducendo i tempi a 3 anni, includendo le società) e più chiara nelle condizioni. Dal punto di vista economico, il debitore imprenditore beneficia di non dover restituire personalmente i debiti rimasti, potendo ripartire magari con una nuova impresa senza i vincoli del passato. L’impatto sui creditori è stato mediato dalla procedura concorsuale: loro hanno ottenuto tutto il possibile dal patrimonio dell’impresa, e accettano che oltre quello il debitore venga “discharged” così come avviene nelle moderne legislazioni fallimentari internazionali. Insomma, il fallito non è più un “morto civile” a vita, ma dopo pochi anni può tornare in pista, il che è anche nell’interesse dell’economia generale (si pensi a quanti imprenditori innovativi possono fallire una prima volta ma avere successo alla seconda se non stroncati dai debiti pregressi).

Analisi Dettagliata dei Costi delle Procedure di Esdebitazione

Dopo aver descritto le varie procedure, focalizziamo ora l’attenzione su un aspetto cruciale: i costi, diretti e indiretti, che queste procedure comportano per il debitore. Comprendere i costi è fondamentale per valutare la convenienza e la fattibilità di ogni soluzione di esdebitazione.

In questa sezione analizzeremo:

  • Costi diretti: gli esborsi monetari che il debitore deve sostenere per avviare e condurre la procedura. Ad esempio: compensi dovuti all’OCC o al curatore, onorari legali, contributi unificati, spese amministrative (bolli, notifiche), eventuali perizie pagate, ecc.
  • Costi indiretti: le conseguenze economiche che, pur non configurandosi come pagamenti di fatture, incidono sul patrimonio del debitore. Tra questi rientrano: la cessione di beni (perdite patrimoniali dovute alla liquidazione), l’impiego di reddito futuro (nei piani e accordi, destinare parte del proprio stipendio equivale a un costo opportunità), nonché eventuali effetti collaterali come le limitazioni creditizie e reputazionali durante e dopo la procedura.

Va premesso che i costi variano sensibilmente a seconda della procedura e della situazione individuale del debitore (profilo, importo dei debiti, complessità del caso). Daremo quindi sia un’analisi qualitativa generale, sia delle quantificazioni medie emerse dall’esperienza pratica, evidenziando anche possibili agevolazioni (ad esempio il ruolo del patrocinio a spese dello Stato per chi ha bassissimo reddito).

1. Costi Diretti: contributi, compensi e spese vive

Contributo unificato e bolli: Tutte le procedure concorsuali di esdebitazione vengono attivate con un ricorso al tribunale (o, in alternativa, con una domanda all’OCC). In ogni caso c’è da pagare un contributo unificato, generalmente di importo fisso €98, trattandosi di procedimenti di volontaria giurisdizione. Fa eccezione la liquidazione giudiziale (fallimento) se richiesta da un creditore, dove l’istante paga un contributo più alto secondo il valore (es. €518), ma ciò non ricade sul debitore. Dunque il debitore che spontaneamente chiede piano, accordo, liquidazione controllata o incapiente, pagherà €98 di CU + €27 di marca da bollo. Se si rivolge direttamente a un OCC senza passare prima dal tribunale, molti OCC richiedono una fee di istruttoria equivalente (tipicamente ~€200 IVA compresa). Queste sono spese vive iniziali di modesta entità.

Compenso dell’OCC/Gestore: Nelle procedure di sovraindebitamento (piano consumatore, concordato minore, liquidazione controllata, incapiente) gioca un ruolo centrale l’Organismo di Composizione della Crisi e il professionista gestore nominato. Il loro compenso è disciplinato dal D.M. 202/2014 e determinato dal giudice a fine procedura. In pratica però molti OCC adottano tariffari forfettari a seconda del tipo di procedura e dell’importo del debito. Abbiamo rilevato, come indicazione generale:

  • Piano del consumatore: OCC €1.500–2.500 per casi semplici (pochi creditori, debito < €50k); fino a €3.000–4.000 per casi più complessi.
  • Concordato minore: OCC €2.500–5.000 mediamente (debiti tra €50k e €200k), potendo salire ulteriormente se il caso coinvolge asset da liquidare o molti creditori.
  • Liquidazione controllata: OCC in veste di liquidatore chiede spesso un anticipo minimo attorno a €2.000, poi prende il resto dal ricavato dei beni. Se l’attivo è cospicuo, il compenso finale potrà essere qualche migliaio di euro (fino al 5% dell’attivo); se l’attivo è nullo, il compenso resta limitato a quanto versato come fondo spese iniziale (o potrebbe addirittura essere simbolico se il giudice decide così in mancanza di massa).
  • Incapiente: OCC spesso richiedono un contributo fisso ridotto, es. €1.000 (OCC Milano), proprio per rendere accessibile la procedura a chi non ha risorse. Questo è di solito comprensivo sia del compenso del gestore sia delle spese dell’Organismo.

È importante capire che il debitore normalmente deve anticipare una parte di questo compenso. In molti casi l’OCC, all’atto di accettare l’incarico, chiede un acconto non ripetibile pari a circa il 10% del compenso totale previsto. Ad esempio, se si stima che il compenso finale sarà €3.000, il debitore versa subito €300. Il resto dell’onorario può essere corrisposto a rate durante la procedura oppure alla fine (se ad es. il piano prevede pagamenti periodici, l’OCC potrebbe trattenere una quota di tali pagamenti). In liquidazione controllata, l’OCC/liquidatore spesso viene pagato alla fine sui ricavi di vendita, ma se teme che non ci sia nulla potrebbe chiedere un fondo spese ex ante.

Da segnalare: l’art. 16 D.M. 202/2014 consente al giudice di ridurre il compenso OCC dal 15% al 40% in casi di particolare semplicità o esiguità dell’attivo. Molti tribunali applicano tali riduzioni, soprattutto quando il debitore ha situazione economica grave, così da contenere i costi.

Compenso del Curatore (liquidazione giudiziale): Nel fallimento, il compenso del curatore è anch’esso parametrato al realizzo (D.M. 30/2012). È a carico della massa e viene sottratto dall’attivo prima di pagare i creditori. Quindi non è un esborso diretto del debitore – incide indirettamente su quanto vanno a prendere i creditori. Se l’attivo è insufficiente a coprire il compenso minimo del curatore, di solito il fallimento viene chiuso anticipatamente ex art. 231 CCII (improcedibilità per difetto di attivo) oppure il curatore viene liquidato in via equitativa con un importo contenuto. In caso di fallimento completamente incapiente, la procedura spesso non viene nemmeno aperta se non c’è chi anticipa le spese (ma con l’attuale normativa il debitore persona fisica potrebbe in alternativa optare per l’incapiente). In sintesi, il curatore non chiederà soldi al debitore, si paga dal ricavato dei beni; se non ci sono beni, la sua retribuzione è purtroppo sacrificata (o ridotta allo stretto necessario coperto dall’erario).

Compenso dell’avvocato del debitore: A meno che il debitore proceda proprio da solo (sconsigliabile), dovrà farsi assistere da un legale, specialmente in udienza per l’omologa o per difendersi da eventuali contestazioni dei creditori. Le tariffe legali per queste procedure non sono rigidamente normate, quindi spesso si concorda un forfettario. Come visto nelle singole sezioni, possiamo stimare:

  • Per un piano del consumatore semplice: €1.500–3.000.
  • Per un concordato minore: €3.000–6.000 (più complesso per via del voto creditori).
  • Per una liquidazione controllata: l’avvocato è meno impegnato (la procedura la porta avanti il liquidatore), spesso il legale interviene solo per presentare l’istanza e qualche comparizione. Onorario tipico €1.000–2.500.
  • Per l’incapiente: alcuni legali prestano assistenza quasi pro bono; altrimenti €1.000 circa.
  • Per l’esdebitazione fallito: il legale prepara l’istanza e assiste in un’udienza di solito non contenziosa; parcella intorno a €1.000–2.000.

Va ricordato che se il debitore ha i requisiti di reddito (attualmente circa €11.700 annui lordi per nucleo unipersonale, soglia patrocinio a spese dello Stato), può richiedere il patrocinio gratuito per farsi assistere. In tal caso i costi legali vengono coperti dallo Stato e il debitore non li paga. Molti debitori sovraindebitati rientrano in queste soglie, quindi è uno strumento importante di accesso.

Spese vive e amministrative: Ci riferiamo a una serie di piccoli costi:

  • Notifiche e comunicazioni: nelle procedure che prevedono il voto dei creditori (concordato minore) bisogna inviare l’avviso di adunanza a tutti i creditori. Oggi spesso si fa via PEC (a costo zero). Se occorrono raccomandate, qualche decina di euro.
  • Spese di cancelleria: copie, imposte di registro eventuali (il decreto di omologa va registrato ma di norma esente da bollo e registro per natura concorsuale).
  • Pubblicità legale: l’iscrizione nel Registro delle procedure di crisi e insolvenza (tenuto dal Ministero Giustizia) è obbligatoria. Per ora non comporta un costo a carico del debitore, salvo i diritti per eventuali visure.
  • Perizie tecniche: se è necessario un perito estimatore (ad es. per valutare un immobile da vendere in liquidazione, o per calcolare il valore di mercato di un bene che il piano intende non liquidare), il compenso del perito è anch’esso spesa di procedura. Nel piano/accordo può capitare che il debitore debba anticiparlo. Stimiamo €500–1.500 secondo la perizia. Nella liquidazione controllata, se l’attivo lo consente, il perito verrà pagato dalla massa; altrimenti, il liquidatore potrebbe chiedere al debitore un fondo per la stima (ma se il debitore non ce l’ha… spesso i professionisti riducono al minimo queste spese).
  • Gestione vendite: in liquidazione (controllata o giudiziale) vanno venduti i beni. Possono esserci costi come compenso per commissionari d’asta (solitamente percentuale sul realizzo), spese per cancellare ipoteche, trasferimento proprietà ecc. Anche queste voci sono prelevate dall’attivo prima di distribuire ai creditori, quindi per il debitore significano indirettamente meno debito pagato (che comunque verrà condonato dopo).

Riassumendo, il peso dei costi diretti sul debitore varia con la procedura:

  • Nel piano del consumatore e concordato minore, il debitore deve prevedere un budget per OCC e avvocato, diciamo nell’ordine di qualche migliaio di euro (4-8k tipicamente), più spiccioli per bolli.
  • Nella liquidazione controllata, se il debitore ha beni, i costi principali saranno prelevati dall’attivo di quei beni. Il debitore anticipa poco (es. 2k all’OCC, se richiesti). Se non ha beni (caso di liquidazione con attivo zero), in teoria la procedura non dovrebbe neppure aprirsi – piuttosto si usa l’incapiente – ma se aprisse, il liquidatore avrebbe un compenso quasi simbolico eventualmente a carico dell’erario. Quindi in pratica il debitore persona fisica nullatenente non paga quasi nulla ma ottiene lo stesso la chiusura debiti (appunto tramite l’istituto incapiente).
  • Nell’incapiente, i costi diretti sono ridotti al minimo: per definizione il debitore è nullatenente, quindi si cerca di non aggravarlo. Spesso l’unico costo sostanziale è quell’€1000 circa di compenso OCC (magari dilazionato). In alcuni casi, se il debitore non riesce proprio a pagarlo, la procedura non parte (nessun OCC lavorerà gratuitamente senza prospettiva di recupero – a meno di intervento caritatevole di un ente pubblico).
  • Nel fallimento (liq. giudiziale), i costi di procedura gravano sul patrimonio fallimentare, quindi il debitore vede ridursi l’attivo disponibile ai creditori ma non paga di tasca propria i professionisti del fallimento. Per l’esdebitazione in sé, spende solo l’eventuale avvocato per l’istanza.

Di seguito, presentiamo una tabella comparativa indicativa dei costi diretti tipici per ciascuna procedura, in diversi scenari di debitore:

ProceduraProfilo Debitore (esempio)Contributo UnificatoCompenso OCC/LiquidatoreOnorario AvvocatoAltre spese viveTotale stimato
Piano del consumatore (Ristrutturazione dei debiti)Consumatore con €30.000 debiti verso banca e finanziaria; niente immobili, reddito stipendio mensile medio.€98 + €27 bolliOCC: €1.500 – 2.500 (forfettario caso semplice)€1.500 – 3.000~€200 documenti e comunicazioni€3.100 – 5.800
Concordato minore (Accordo di ristrutturazione dei debiti)Lavoratore autonomo/professionista con €80.000 debiti (banche, fornitori, Fisco); nessun immobile ma auto e attrezzature; reddito variabile.€98 + €27OCC: €2.500 – 4.500 (maggiore complessità, gestione voto creditori)€3.500 – 6.000€200 – 500 cancelleria/assemblea + €500 – 1.000 perizie€6.700 – 12.000
Liquidazione controllata (Procedura concorsuale liquidatoria)Piccolo imprenditore sovraindebitato con €150.000 debiti (banche, fornitori, Agenzia Entrate); 1 immobile da liquidare (valore €100k), alcuni beni mobili; attività cessata.€98 + €27OCC-Liquidatore: €4.000 – 7.000 (in parte da attivo: ~5% realizzo) + €1.000 spese gestione vendita€6.000 – 10.000 (assistenza in istruttoria e eventuali contestazioni)€300 – 600 pubblicità + €1.500 – 3.000 stima immobile + €2.000 – 5.000 costi vendita beni€13.800 – 25.600 (coperti in gran parte dall’attivo liquidato; l’esborso diretto del debitore è modesto in avvio)
Esdebitazione incapiente (senza liquidazione)Persona fisica nullatenente con €50.000 debiti vari; nessun bene pignorabile, reddito solo pensione sociale.€98 + €27OCC: €1.000 (minimo complessivo) (spesso ridotto/rateizzato)€0 – 1.500 (possibile gratuito patrocinio)~€100 certificati/documenti€1.200 – 2.700 (procedura agevolata)
Liquidazione giudiziale (Fallimento + esdebitazione)Ex imprenditore fallito con €500.000 debiti; attivo liquidato €100.000 (20% ai creditori); nessun illecito.(fallimento su istanza creditori: creditore paga CU) Istanza esdebitazione: €0 o piccola marcaCuratore: compenso su €100k attivo (ad es. €7.000), già dedotto dall’attivo distribuito ai creditori.€1.000 – 2.000 (istanza esdebitazione e udienza)~€100 comunicazioni ai creditori€1.100 – 2.100 (a carico debitore). (Costi fallimento pagati dall’attivo: circa €7.000)

(Le cifre sopra sono indicative, basate su fonti pratiche aggiornate al 2025. Possono variare secondo il foro competente e la complessità del singolo caso.)

Come si nota dalla tabella, le procedure “negoziate” (piano e accordo) richiedono un certo impegno finanziario iniziale dal debitore (per compensi OCC e legali), mentre le procedure liquidatorie tendono a scaricare i costi sull’attivo (cioè sui creditori). L’incapiente è la più economica in assoluto (ma riservata a chi davvero non può offrire nulla). Il fallimento come procedura in sé costa molto (per i creditori), ma al debitore costa “solo” la perdita dei beni e un modesto onorario legale per chiedere l’esdebitazione.

2. Costi Indiretti e conseguenze economiche

Oltre ai numeri scritti sull’assegno, vi sono costi meno tangibili ma rilevanti per il debitore che intraprende una procedura di esdebitazione. Vediamoli:

  • Perdita del patrimonio (costo opportunità dei beni ceduti): Nelle procedure che prevedono liquidazione (liquidazione controllata o giudiziale), il debitore paga il prezzo di rinunciare ai propri beni. Ciò può includere la casa di abitazione, i risparmi investiti, l’automobile, etc. In un piano/accordo potrebbe riuscire a conservarne alcuni, ma spesso dovrà comunque destinare qualsiasi bene non strettamente indispensabile ai creditori. Ad esempio, vendere la seconda auto o liquidare un fondo pensione integrativo per usarne il ricavato nel piano rappresenta un costo indiretto per il debitore (perde un asset che aveva accumulato).
  • Impiegare il reddito futuro: Nei piani e concordati il debitore s’impegna a versare ai creditori parte dei suoi redditi futuri (stipendi, affitti, ecc.) per un certo periodo. Questo implica un sacrificio sul tenore di vita: il debitore dovrà vivere con meno risorse perché una porzione del suo stipendio va al piano ogni mese. Ad esempio, destinare €300 al mese per 5 anni ai creditori significa rinunciare a €18.000 di consumo personale in quel periodo – un costo opportunità notevole, anche se sostenibile. In liquidazione controllata, se il debitore ha un reddito alto, il giudice può ordinare la cessione del quinto o comunque della parte eccedente il minimo vitale per la durata della procedura. Anche questo è un costo indiretto (il debitore lavora e una parte del frutto del suo lavoro va ai creditori).
  • Rinuncia a crediti verso terzi: Se il debitore aveva crediti da riscuotere (es. un risarcimento danni dovuto a lui, o crediti commerciali se imprenditore), in liquidazione questi crediti entrano nella massa e se vengono incassati vanno ai suoi creditori. Quindi il debitore perde anche quelle entrate potenziali.
  • Effetti sul rating creditizio: L’accesso a una procedura di insolvenza viene segnalato nelle banche dati creditizie pubbliche (Registro delle procedure) e private (Crif, Experian, etc., in quanto i creditori segnalano i sofferti). Durante la procedura, il debitore avrà praticamente impossibilità di ottenere nuovo credito (nessuna banca presta a chi è in sovraindebitamento concorsuale). Dopo l’esdebitazione, la situazione migliora ma non sparisce immediatamente: ad esempio, la segnalazione in Centrale Rischi di Banca d’Italia per sofferenze rimane visibile per qualche tempo e viene solo aggiornata come “chiusa per esdebitazione”. L’esdebitazione non cancella la storia negativa di per sé; le segnalazioni creditizie di insolvenza di solito permangono per un periodo (solitamente 36 mesi dalla chiusura della procedura per CRIF). Quindi, anche se legalmente il debitore non deve più nulla, potrebbe trovare difficoltà ad accedere a prestiti o mutui per alcuni anni, finché la sua reputazione finanziaria non si ristabilisce. Questo è un costo indiretto: l’accesso limitato al credito può costringerlo a rinviare investimenti (es. comprare un’auto nuova, ottenere un mutuo casa) o a rivolgersi a canali meno vantaggiosi.
  • Stigma e relazioni commerciali: Un imprenditore che passi per una liquidazione giudiziale potrebbe subire un danno d’immagine presso fornitori e partner, che indirettamente è un costo economico (potrà dover accettare forniture solo contro pagamento anticipato per un po’, ecc.). Tuttavia, l’introduzione stessa dell’esdebitazione ha mitigato lo stigma legale: ad esempio, la legge toglie al fallito esdebitato le incapacità civili, quindi può tornare ad essere amministratore di società, che prima gli sarebbe stato precluso.
  • Perdita di eventuali agevolazioni o patrimonio protetto: Un esempio di costo particolare: se il debitore aveva una casa di abitazione su cui gravava una ipoteca a garanzia di un mutuo, in un piano potrebbe provare a mantenere la casa continuando a pagare il mutuo (con l’accordo della banca) ed escluderla dalla liquidazione, mentre in una liquidazione controllata la casa sarebbe venduta. Quindi optare per la liquidazione significherebbe perdere anche gli eventuali benefici collegati alla casa (es. il poter vivere senza pagare affitto). Questo è un costo indiretto: dover pagare un affitto dopo aver perso la casa venduta è un nuovo esborso che prima non c’era.
  • Periodo di vigilanza (nel caso incapiente): Come visto, chi ottiene l’esdebitazione incapiente rimane sotto la “spada di Damocle” di 4 anni di monitoraggio. Ciò potrebbe disincentivare il debitore dall’intraprendere attività troppo fruttuose in quel periodo, perché sa che se guadagna oltre un certo limite dovrà darne ai creditori. Questa considerazione è più teorica (uno spera sempre di migliorare, anche se comporta pagare qualcosa), ma è un possibile effetto: l’incapiente potrebbe, ad esempio, evitare di accettare un lavoro che improvvisamente gli facesse guadagnare tanto, per non perdere il beneficio. In ogni caso, se gli capita una fortuna, il costo indiretto sarà dover destinare quel 10% (o più, a seconda di come il giudice interpreta “beneficiare di tali somme”) ai vecchi creditori: di fatto, è come avere per 4 anni una “tassa straordinaria” sui superguadagni del 10% destinata ai creditori passati. Questo è un eventuale costo post-procedura.

In prospettiva, comunque, l’esdebitazione mira a ridurre i costi futuri del debitore: liberandolo dai debiti, lo rende di nuovo produttivo e bancabile (dopo un periodo), cosa che altrimenti non sarebbe. Quindi molti di questi costi indiretti sono transitori e valgono molto meno del beneficio di essersi liberati da un fardello che impediva qualsiasi progresso economico.

Possiamo sintetizzare i principali pro e contro economici così:

  • Pro (benefici economici): stop ad interessi e sanzioni che maturerebbero sui debiti, eliminazione definitiva dei debiti residui, rimozione dei pignoramenti in corso (appena omologato il piano o chiuso il fallimento con esdebitazione, i pignoramenti cessano, liberando stipendi e beni futuri), possibilità di tornare a produrre reddito e patrimonio senza che sia immediatamente aggredibile dai vecchi creditori.
  • Contro (costi): perdita immediata di patrimonio liquido e futuro impiegato per soddisfare i creditori almeno in parte, restrizioni finanziarie temporanee, iter procedurale da seguire con annessi costi e stress.

In termini quantitativi, quanto “costa” liberarsi di €100 di debito? Dipende:

  • Un consumatore con un piano potrebbe dover pagare, ad esempio, €50 su €100 (quindi ottiene uno “sconto” del 50%, ma deve aggiungere i costi procedurali, diciamo un altro 5-10%, quindi alla fine paga ~€55-60 per ogni 100 di debito, risparmiando il resto).
  • Un imprenditore in fallimento incapiente paga €0 su €100 (100% sconto per lui, i costi li subiscono i creditori che non incassano nulla).
  • Un incapiente paga €0 su €100 pure, a patto di restare povero (se arricchisce, potrebbe doverne pagare €10 su 100 entro 4 anni).
  • In liquidazione controllata, se un debitore ha beni, il costo per lui è la perdita di quei beni: se con beni da €30k soddisfa debiti per €100k, per lui è come aver “pagato” il 30% e avuto il 70% sconto.
  • Nei casi con accordo votato dai creditori, di solito il debitore propone di pagare ciò che può – può essere il 20%, il 50%, dipende dal caso. Più eventuali spese.

Dalle esperienze emerge che, in media, un debitore sovraindebitato ottiene l’esdebitazione pagando una frazione relativamente piccola dei suoi debiti: spesso tra il 0% e il 30%. Ovviamente ogni caso è a sé, ma questo per dare un’idea: la maggior parte del carico viene alleggerito. I costi di procedura riducono un po’ il beneficio, ma incidono molto meno del debito condonato. Ad esempio, un consumatore con €50.000 di debiti potrebbe riuscire a pagare €15.000 in 4 anni (30%) e spendere €5.000 di costi; in totale esborsa €20.000, ma si libera di tutti i €50.000. Ha “risparmiato” €30.000, ovvero il 60%. Un ottimo affare rispetto al baratro iniziale, se consideriamo anche che senza procedura quei €50.000 sarebbero potuti lievitare con interessi e spese esecutive.

3. Riduzione e gestione dei costi: strumenti di sostegno

È opportuno evidenziare brevemente i meccanismi che l’ordinamento offre per attenuare l’impatto dei costi sul debitore in difficoltà:

  • Patrocinio a spese dello Stato: come detto, copre le spese legali per i non abbienti. Moltissimi debitori sovraindebitati rientrano nei limiti di reddito (soprattutto consumatori nullatenenti o pensionati). Questa è un’importante agevolazione, perché spesso la parcella dell’avvocato potrebbe altrimenti scoraggiare dal fare il passo.
  • Pagamenti rateali e differiti: gli OCC e i professionisti sanno che i debitori non nuotano nell’oro. Quasi sempre consentono di pagare gli acconti a rate. Alcuni OCC iniziano il lavoro anche solo con un acconto simbolico, e il resto lo recuperano se e quando la procedura va a buon fine (ad esempio includendo il proprio compenso tra le spese che il debitore paga nell’ambito del piano).
  • Riduzione compensi OCC: i giudici spesso applicano la facoltà di ridurre i compensi OCC nei casi di sovraindebitamenti con masse piccole, per evitare che le spese divorino quel poco che c’è. È prassi ad esempio ridurre del 30-40% il compenso calcolato se risulterebbe sproporzionato. Ci sono stati casi in cui l’OCC, per questioni etiche, ha rinunciato a parte del compenso pur di far andare in porto una procedura molto “sociale”.
  • Supporto enti pubblici: alcune Regioni e Comuni hanno istituito fondi a sostegno delle procedure di sovraindebitamento, o convenzioni con gli OCC locali per seguire gratuitamente o a costo ridotto i casi di particolare disagio (ad es. famiglie indebitate a rischio usura). Non è uniforme sul territorio, ma è un trend in crescita. Questo può coprire le spese vive o i compensi dei gestori.
  • Nessuna tassazione aggiuntiva: i provvedimenti di esdebitazione sono esenti da imposta di registro e bollo (se rientrano nell’esenzione dei provvedimenti concorsuali, come di solito avviene). Dunque il debitore non deve pagare tasse sul “beneficio” ricevuto (ad es. il debito condonato non genera reddito tassabile IRPEF – in Italia la remissione di debito non è reddito imponibile per la persona fisica in tali casi).
  • Coordinamento con altre procedure: se il debitore aveva diritto a gratuito patrocinio, esenzione spese, ecc., può cumularlo. Ad esempio, se è sovraindebitato e anche indebitato per bollette, potrebbe ottenere bonus energia dallo Stato e insieme l’esdebitazione: i due aiuti non si escludono.

In sintesi, l’ordinamento cerca di evitare che i costi di procedura divengano essi stessi un ostacolo all’accesso all’esdebitazione. Come enunciato anche da linee guida internazionali, le procedure di fresh start dovrebbero essere accessibili e non eccessivamente onerose. L’Italia, con la riforma, ha fatto passi avanti: si pensi all’incapiente, dove il messaggio è chiaro – se sei povero, ti liberiamo dai debiti senza chiederti nulla (o quasi).

Simulazioni Pratiche

Per comprendere meglio l’applicazione concreta delle procedure di esdebitazione e i relativi costi/benefici, presentiamo alcune simulazioni basate su casi realistici. Questi esempi illustrano come, in situazioni tipiche, si possono combinare i vari strumenti e quale potrebbe essere l’esito economico per il debitore.

Esempio 1: Consumatrice con €30.000 di debiti al consumo

Scenario: Maria, impiegata 35enne, ha accumulato €30.000 di debiti tra carte di credito, finanziamenti per acquisti e un piccolo prestito personale. Ha un reddito fisso (stipendio netto €1.500/mese), vive in affitto, non possiede immobili. Negli ultimi anni ha sempre pagato le rate, ma ora – complici spese mediche e la riduzione di straordinari – fatica a sostenere €600 di rate mensili complessive. Il suo sovraindebitamento consiste nel fatto che, pagando queste rate, le rimarrebbero solo €900 per vivere, insufficienti per affitto, bollette e spese essenziali.

Obiettivo: Ridurre l’onere mensile e liberarsi dei debiti in un orizzonte di qualche anno, evitando che la situazione degeneri (insolvenze a catena, pignoramento stipendio etc.). Maria è meritevole: i debiti sono dovuti a spese ordinarie e qualche imprevisto, non ha mai fatto frodi o spese voluttuarie esagerate.

Soluzione scelta: Piano del consumatore. Maria si rivolge all’OCC locale (istituito presso l’Ordine degli Avvocati). Con l’aiuto del gestore, elabora un piano che prevede:

  • Pagamento di €300 al mese per 5 anni ai creditori, per un totale di €18.000 (circa il 60% del debito originario).
  • Suddivisione proporzionale di queste somme tra i creditori chirografari (nessuno ha garanzie).
  • Previsione che i creditori vengano soddisfatti al 60%, e il restante 40% (€12.000) sia cancellato a fine piano.
  • Mantenimento di un tenore di vita essenziale per Maria: €1.200 restano a lei (dei 1.500) e 300 vanno nel piano.
  • La fattibilità è confermata dal fatto che Maria può tagliare qualche spesa superflua (cene fuori, abbonamenti) e liberare €300 mensili senza compromettere esigenze vitali.

Costi e distribuzione: L’OCC stima un compenso di €2.000 per il proprio operato, e viene deciso che:

  • Maria pagherà un anticipo di €200 all’avvio (che riesce a farsi prestare da un familiare).
  • Il resto del compenso OCC (€1.800) sarà pagato all’interno del piano: in pratica, delle €300 mensili, ~€25 saranno trattenuti dall’OCC (pari a €1.500 su 5 anni) e il restante andrà ai creditori; inoltre Maria versa a parte altri €300 a fine piano per coprire del tutto il compenso OCC.
  • L’avvocato di Maria accetta di assisterla con il patrocinio a spese dello Stato (Maria rientra nei limiti di reddito netti annui, considerando che ha a carico un figlio). Dunque Maria non paga le spese legali direttamente.
  • Contributo unificato: €98 (anch’esso coperto dallo Stato per via del gratuito patrocinio).

Omologazione: I creditori non hanno potere di voto. Il tribunale verifica i requisiti:

  • Meritevolezza: ok (nessuna colpa grave).
  • Convenienza: viene accertato che se Maria finisse in liquidazione controllata, i creditori avrebbero quasi zero (lei non ha beni, e in caso di pignoramento stipendio al 1/5 otterrebbero forse 300€/m per molti anni, ma considerato il minimo vitale e la possibile perdita del lavoro, non è garantito). Il piano che offre 60% è quindi conveniente rispetto a scenari alternativi.
  • Fattibilità: 300€/mese appare sostenibile dal suo bilancio.

Il giudice omologa il piano. Da quel momento:

  • Sospende eventuali azioni di recupero: due finanziarie che minacciavano decreto ingiuntivo devono fermarsi e aderire al piano.
  • Maria inizia a pagare €300 al mese all’OCC, che smista i pagamenti ai creditori (trattenendo la micro-quota per sé come da piano).

Durante i 5 anni: Maria riesce a rispettare il piano. Ha dovuto ridurre spese, ma ce la fa. Un anno c’è un problema (spesa imprevista per malattia) e Maria chiede al giudice di modificare il piano allungandolo di 6 mesi per recuperare due rate saltate: il tribunale glielo consente, con l’assenso del gestore (modifica che non danneggia i creditori, posticipa solo di poco la fine). Quindi il piano dura 5 anni e 6 mesi.

Esito: Maria completa i pagamenti pattuiti: in totale ha versato circa €18.600. Di questi, €2.000 sono andati a coprire i costi (OCC), e circa €16.600 ai creditori. Ciò significa che ogni creditore ha ricevuto circa il 55% del proprio credito (leggermente meno del 60% previsto perché andava dedotta la parte spese OCC). Il tribunale emette il decreto che attesta l’avvenuto adempimento e dichiara esdebitata Maria da ogni residuo. I €13.400 circa di debito rimasti sono cancellati.

Situazione post-esdebitazione: Maria ora non ha più debiti pendenti. Il suo stipendio è di nuovo tutto disponibile per lei (non deve più destinare 300 al mese ai vecchi debiti). I suoi pagamenti regolari del piano negli ultimi anni hanno migliorato il suo profilo creditizio: le finanziarie hanno dovuto classificare i crediti come parzialmente soddisfatti da procedura, meglio di un default completo. Dopo un anno dalla fine, Maria prova a chiedere un piccolo prestito per acquistare un’auto usata: inizialmente incontra qualche difficoltà perché risulta la procedura di sovraindebitamento nel suo storico, ma mostrando il decreto di esdebitazione e il fatto che ora ha zero debiti e un reddito stabile, trova una banca disposta a finanziarla, seppur a tasso un po’ più alto. In altri termini, Maria ha recuperato solvibilità e può ripartire a costruire la sua vita finanziaria senza il macigno del passato.

Dal punto di vista costi/benefici: Maria ha pagato circa €18.600 su €30.000 di debiti originali + interessi. Ha quindi “risparmiato” €11.400 più tutti gli interessi futuri che sarebbero maturati se avesse continuato a trascinarsi il debito per molti anni. Il costo principale è stato limitare le sue spese per 5 anni e rinunciare a quell’11.400 condonato (che i creditori non hanno avuto). Avendo potuto avvalersi del patrocinio gratuito, Maria ha affrontato la procedura senza dover anticipare grosse somme. L’anticipo di €200 all’inizio e i €300 finali per l’OCC li ha coperti chiedendo aiuto ai genitori, che glieli hanno regalati vedendola decisa a uscire dai debiti.

Questo esempio mostra come un consumatore sovraindebitato possa, con un piano ben calibrato, dimezzare il proprio debito e ottenere la pace finanziaria a fronte di qualche anno di austerità. Se Maria non avesse scelto il piano, probabilmente sarebbe andata incontro a insolvenza: i creditori l’avrebbero pignorata (1/5 dello stipendio, €300, per 10+ anni forse, con interessi che continuavano a correre). Col piano, invece, ha avuto una soluzione definita e soprattutto una fine certa al problema.

Esempio 2: Imprenditore individuale con debiti fiscali e bancari

Scenario: Paolo è un artigiano edile di Fifty anni. Ha chiuso la sua piccola impresa due anni fa a causa di una crisi del settore. È cancellato dal registro imprese da oltre un anno. Ha debiti per circa €120.000: di questi, €70.000 verso l’Erario (IVA non versata, contributi INPS per dipendenti non pagati, alcune cartelle esattoriali), e i restanti €50.000 verso fornitori e una banca (insolvenza su fido di conto corrente). Non ha immobili (la casa in cui vive è di proprietà della moglie), possiede solo un vecchio furgone e attrezzature di modesto valore. Attualmente fa lavori saltuari in nero perché teme che qualsiasi entrata regolare gli sarebbe pignorata da Agenzia Entrate Riscossione. La sua situazione è di sovraindebitamento post-impresa.

Problema: Paolo, avendo chiuso l’attività da più di un anno, non poteva essere dichiarato fallito sotto la vecchia legge (superato l’anno di art. 10 l.fall.). Tuttavia, con il CCII, egli rientra tra i debitori non fallibili che possono usare le procedure di sovraindebitamento. Paolo vorrebbe regolarizzare la sua posizione e tornare a lavorare in modo emerso, ma i debiti (specie quelli fiscali con interessi e sanzioni in crescita) lo spaventano: teme che aprendo una partita IVA o un conto gli vengano subito bloccati.

Soluzione valutata: Liquidazione controllata del sovraindebitato con successiva esdebitazione. Altre opzioni:

  • Un piano/concordato minore appare irrealistico: Paolo non ha redditi da offrire in continuità e i creditori (specie l’Agenzia Entrate) difficilmente accetterebbero uno stralcio significativo. Inoltre, Paolo vorrebbe proprio azzerare e ripartire, non trascinarsi piani decennali.
  • L’istituto del debitore incapiente: Paolo ha qualche asset seppur minimo (furgone, attrezzi) e potrebbe in futuro lavorare bene. Inoltre, il suo debito fiscale è cospicuo: la giurisprudenza (ad es. Trib. Milano 23/12/2024) afferma che anche l’incapiente con debiti erariali può essere meritevole, ma in questo caso Paolo in prospettiva può pagare qualcosa vendendo il furgone e con un paio d’anni di lavoro, quindi l’incapiente puro non è adattissimo.
  • Pertanto la liquidazione appare adatta: consente di liquidare i pochi beni e, trascorsi 3 anni, liberare Paolo dal resto, includendo i debiti fiscali (che sono esdebitabili).

Attivazione procedura: Un fornitore creditore, stufo di attendere, minaccia di portarlo in tribunale. Con l’aiuto di un legale, Paolo anticipa la mossa e presenta egli stesso ricorso per apertura di liquidazione controllata al Tribunale competente. Al ricorso allega: elenco creditori, situazione reddituale (praticamente nulla), elenco beni (furgone, attrezzi valutati €5.000 totali). Indica di preferire la nomina di Tizio (gestore OCC già contattato) come liquidatore.

Apertura liquidazione: Il tribunale accerta lo stato di insolvenza di Paolo e apre la procedura. Viene nominato il liquidatore (il professionista OCC proposto). Viene notificato a tutti i creditori l’apertura. Da questo momento:

  • I creditori non possono più agire individualmente (pignoramenti sospesi).
  • Il liquidatore prende possesso del furgone e attrezzi e li mette all’asta.
  • Paolo viene convocato per esibire documenti, e collabora attivamente.

Realizzo attivo: Il furgone e le attrezzature vengono venduti all’asta telematica ricavando €6.000 (risultato discreto). Questi soldi vanno così:

  • Prededuzione: €1.000 accantonati per il compenso e spese del liquidatore (stima).
  • Crediti con privilegio: tra i crediti fiscali, €10.000 sono di IVA e contributi che hanno privilegio generale sui mobili. Ma qui i mobili venduti valgono 6k, quindi solo quelli possono essere soddisfatti: tolto l’1k prededuzione, restano €5.000, che vengono distribuiti pro quota a questi creditori privilegiati (diciamo €3.000 ad Agenzia Entrate su IVA e €2.000 a INPS su contributi).
  • Niente va ai chirografari, perché l’attivo si esaurisce con i privilegi.

Durante i 3 anni: Paolo, sollevato dal fatto che i creditori non lo braccano più, riesce a trovare più lavoretti e nel frattempo lavora come dipendente saltuario (a chiamata) per un’impresa. In liquidazione, se guadagna qualcosa in più del necessario, dovrebbe teoricamente versarlo, ma i suoi redditi restano modesti (sotto il minimo pignorabile) quindi il liquidatore non gli chiede nulla di quel poco (Paolo guadagna circa €800 al mese in media come operaio saltuario, spesi per la famiglia). Il liquidatore annualmente fa rapporto al giudice dicendo che Paolo vive di poco, non ci sono entrate da devolvere.

Trascorsi 3 anni dall’apertura, la liquidazione non ha altri attivi significativi (non compaiono eredità né nulla). Il liquidatore deposita un resoconto finale: i 6k sono stati ripartiti, la procedura è tecnicamente conclusa salvo stralci (restano insoluti ~€115.000 di crediti).

Esdebitazione anticipata: Già appena trascorsi i 3 anni, su istanza di Paolo, il Tribunale dichiara chiusa la liquidazione e contestaulmente emette il decreto di esdebitazione di Paolo. Nessun creditore si oppone – del resto è evidente che Paolo non aveva nascosto nulla e ha perso tutto il possibile (il furgone).

Risultato: Paolo viene liberato dall’obbligo di pagare i debiti residui: circa €115.000 (inclusi circa €67.000 di debiti fiscali rimasti). Da notare: restano comunque esclusi ex lege eventuali debiti per sanzioni amministrative: nel suo caso, aveva ~€5.000 di sanzioni per omesso versamento contributi; queste, essendo “sanzioni amministrative pecuniarie”, non sono esdebitate. Quindi tecnicamente Paolo dovrà ancora quei 5k allo Stato. Tuttavia, siccome Paolo non possiede nulla, difficilmente lo Stato li recupererà (potrà in futuro se Paolo un giorno avrà un reddito cospicuo e non protetto da minimi vitali, ma almeno capitale e interessi sui contributi sono stati condonati, restano solo le sanzioni).

Dopo la procedura: Paolo ora può ricominciare senza la pressione dei debiti. Decide infatti di riaprire una piccola attività (questa volta come lavoratore individuale edile con regime forfettario). Prima non osava, per paura di incassi pignorati. Ora, con il fresh start, sa che i vecchi creditori non hanno più alcun diritto su di lui (a parte quelle sanzioni, ma confida eventualmente nel tempo in una rottamazione fiscale, visto che il governo spesso le vara).

Certo, Paolo dovrà affrontare qualche difficoltà: per esempio, il suo credit score è compromesso. Egli risulta in Centrale Rischi come ex insolvente, e l’esdebitazione non ha cancellato quell’informazione ma l’ha solo chiusa. Quindi le banche gli negano un prestito per comprare un nuovo furgone. Paolo allora lavora per 6 mesi come dipendente per mettere da parte un po’ di soldi e compra un furgone usato contanti. Dopo un paio d’anni di buona condotta finanziaria (e senza più intoppi), la situazione reputazionale migliora: quando chiede un fido di conto corrente di 5k per la sua ditta, glielo concedono con qualche garanzia.

Considerazioni: Paolo in questa procedura ha perso quei pochi beni (6k) e ha “pagato” i creditori per una minima parte (circa il 4% del totale debiti). Ma grazie all’esdebitazione, ha visto cancellarsi oltre 110mila € di debiti, inclusi i non pochi debiti fiscali che l’opprimevano. Se non fosse esistita questa via, Paolo sarebbe rimasto a vita un “evasore” inseguito da cartelle, costretto nell’irregolarità. Ora, invece, può tornare nella legalità e forse in futuro pagare regolarmente le tasse del suo nuovo lavoro.

Costi diretti sostenuti da Paolo: la procedura in sé è riuscita a coprire i propri costi con l’attivo (il liquidatore ha preso €1.000 prededotti). Paolo ha pagato solo: €98 di contributo unificato iniziale, e il suo avvocato gli ha fatto un prezzo amici di €1.000 dilazionati (tra l’altro includendo l’istanza di esdebitazione). Avendo venduto il furgone, Paolo per 3 anni ha dovuto prendere mezzi pubblici o farsi accompagnare (un disagio/costo indiretto non trascurabile per un artigiano). Questo lo annoveriamo tra i costi indiretti: impossibilità di esercitare subito la professione per mancanza di mezzi – ma l’ha fatto per liberarsi del debito e ne è valsa la pena.

Meritevolezza e giurisprudenza: Un aspetto interessante del caso Paolo è che la maggior parte del suo debito era col Fisco, e lui era cessato da oltre un anno. Alcune vecchie interpretazioni rigide avrebbero potuto dire: “hai tasse non pagate, non meriti” o “sei cessato da più di un anno, non possiamo aiutarti”. Invece, grazie al CCII, le porte si sono aperte: il tribunale ha considerato Paolo meritevole (aveva chiuso per crisi e non per frode) e Cassazione 2023/22914 aveva proprio confermato la possibilità di far accedere un ex imprenditore cancellato da >1 anno alla liquidazione controllata. Dunque Paolo ha beneficiato della ratio moderna: seconda opportunità anche a chi ha fallito col Fisco, purché onesto.

Questo esempio evidenzia come la liquidazione controllata + esdebitazione offra un reset totale al costo di perdere i propri beni attuali.

Esempio 3: Pensionato incapiente con debiti di varia natura

Scenario: Carlo, 68 anni, ex commerciante, ora pensionato sociale (assegno da €600/mese). Debiti accumulati: ~€40.000, frutto di alcune carte revolving e prestiti contratti anni fa quando aveva un’attività (poi fallita senza attivo). La sua unica entrata è la pensione minima, che è impignorabile per la parte di minima vitale. Nessun immobile, vive in casa popolare in affitto; come beni ha solo mobilia di modesto valore. È chiaramente incapiente: non potrebbe offrire nulla ai creditori, se non un paio di vecchi mobili usati.

Situazione: Da anni non riesce a pagare quei debiti; le finanziarie hanno passato tutto a società di recupero che periodicamente lo tempestano di richieste o minacce di pignoramento (ma non hanno agito, consce che la pensione minima è impignorabile). Carlo vorrebbe la tranquillità, anche perché teme per il futuro: se un domani la pensione dovesse aumentare (difficile, ma ipotizziamo arrivi a €700), teme possano portargliene via una parte.

Soluzione: Esdebitazione del debitore incapiente ex art. 283. Carlo contatta uno sportello antiusura locale, che lo indirizza all’OCC. Verificata la situazione, l’OCC conferma: nessun bene da liquidare, reddito appena per sopravvivere, nessuna prospettiva che la situazione migliori (età avanzata, nessun altro reddito). Tipico caso per la procedura incapiente.

Avvio: Con l’aiuto gratuito dello sportello (che gli mette a disposizione un giovane praticante legale), Carlo presenta ricorso in tribunale chiedendo l’esdebitazione incapiente. Allegati: documenti pensione, certificato che non ha case, elenco creditori con importi originari e attuali. L’OCC fornisce una relazione dove attesta che: i debiti risalgono a oltre 5 anni fa, Carlo li aveva contratti per esigenze anche di famiglia, non ha atti in frode (ha perso anche la casa in un vecchio fallimento), attualmente non possiede nulla e la pensione basta a malapena a vivere (nessuna utilità ricavabile), ed è persona onesta (mai condannato per bancarotta; il suo fallimento fu chiuso senza attivo ma è passato tanto tempo e la norma transitoria consente di applicare i nuovi criteri anche al suo caso).

Decisione: Il tribunale tiene udienza. Nessun creditore si presenta (quei creditori probabilmente hanno già ammortizzato la perdita e sanno che difficilmente recupereranno, quindi non spendono soldi a opporsi). Il giudice riscontra che Carlo rientra nei parametri dell’art. 283. Emana quindi un decreto che:

  • Dichiara aperta la procedura esdebitazione incapiente e contestualmente dispone l’esdebitazione immediata di Carlo da tutti i debiti indicati (~€40.000).
  • Specifica gli obblighi di Carlo: dovrà comunicare entro 4 anni se riceve eredità o vincite, etc., e se tali somme permettono di soddisfare almeno il 10% dei creditori originari, dovrà versarle a un conto dedicato per i creditori.
  • Mette in chiaro che, in mancanza di migliorie economiche, decorsi 4 anni il beneficio diverrà definitivo.

Dopo il decreto: Carlo è libero dai debiti. Le società di recupero non potranno più avanzare pretese (possono solo insinuarsi per eventuali sopravvenienze come vedremo). Lui finalmente dorme la notte senza paura del postino.

Nei 4 anni successivi: Carlo continua a incassare la pensione sociale. Nessun cambiamento sostanziale nelle sue finanze. Dopo 2 anni, riceve una piccola eredità dal fratello: €5.000 sul conto e qualche mobile di valore. Ora, i debiti originari erano 40k; il 10% sarebbe 4k. Con questi 5k ricevuti, Carlo supera quella soglia, quindi tecnicamente è avverata la condizione di “sopravvenienza utile >=10% crediti”. Da persona onesta qual è, Carlo informa subito il tribunale tramite l’OCC e propone di destinare €4.000 (il 10% esatto del debito originario) ai vecchi creditori, tenendo per sé 1k per far fronte alle spese di casa. Il tribunale autorizza. L’OCC provvede a contattare i creditori e distribuire loro proporzionalmente quei €4.000 (non saranno soddisfatti in toto ovviamente, ma è qualcosa). A questo punto la condizione dell’art. 283 è rispettata: i creditori hanno beneficiato dell’importo rilevante, e Carlo rimane esdebitato per tutto il resto. I creditori non possono più chiedere altro. Se Carlo ricevesse ulteriori somme entro il quarto anno, dovrebbe analogamente dichiararle, ma ipotizziamo di no.

Scaduti i 4 anni, l’esdebitazione diviene definitiva e irrevocabile. Non essendo intervenuta alcuna revoca (Carlo ha fatto tutto correttamente), ora i creditori non possono più pretendere nulla neppure se Carlo diventasse ricco (ormai la condizione risolutiva è trascorsa).

Valutazione economica: Carlo, a conti fatti:

  • Ha pagato ai creditori €4.000 su €40.000 di debiti (il 10%). Questo non era sicuro al momento dell’esdebitazione, ma è successo per via dell’eredità. Se non avesse ricevuto nulla, avrebbe pagato €0.
  • Ha sostenuto costi procedurali quasi nulli: l’OCC e l’avvocato del centro antiusura l’hanno assistito gratuitamente (il centro riceve fondi regionali per questo scopo, e l’OCC ha applicato la gratuità attivando un programma pro bono – possibile in base a convenzioni). Ha pagato solo €98 di contributo unificato ma anche quello gli è stato rimborsato dal fondo antiusura. Quindi Carlo non ha praticamente speso nulla per attivare la procedura (condizione ideale, ottenuta grazie a questi meccanismi di supporto sociale).
  • Il suo merito creditizio era già compromesso da tempo; l’esdebitazione in sé a 68 anni gli serve più che altro per la serenità, non intende fare nuovi debiti. Comunque ora se un domani gli servisse un prestito (difficile che glielo diano data l’età e reddito, ma ipoteticamente per spese mediche) potrebbe presentarsi come esdebitato invece che come debitore insolvente indefinito – leggero miglioramento reputazionale.

Emotivo: per Carlo, questo istituto è stato come una “grazia”: sapeva di non poter mai pagare quei debiti in vita sua, e la legge gli ha di fatto condonato tutto in considerazione della sua assoluta indigenza. In passato non c’era nulla di simile: sarebbe morto con quei debiti aperti.

Questo esempio dimostra la funzione sociale dell’esdebitazione dell’incapiente: risolvere situazioni umanamente senza via d’uscita con un provvedimento che non costa quasi niente allo Stato (se non la modesta attività del tribunale) e ridà dignità alla persona. I creditori (spesso banche o finanziarie) subiscono una perdita, ma realisticamente l’avrebbero subita comunque: da uno come Carlo non avrebbero mai cavato nulla, se non forse 50 € pignorando mobilio – e avrebbero speso di più in spese legali.

Naturalmente, la condizione dei 4 anni evita comportamenti opportunistici: se Carlo avesse nascosto quell’eredità, avrebbe rischiato la revoca del beneficio. Ma il meccanismo ha funzionato correttamente, bilanciando i diritti di tutti.

Domande Frequenti (FAQ) sull’Esdebitazione

Di seguito rispondiamo ad alcune delle domande più comuni che privati, imprenditori o professionisti pongono riguardo alle procedure di esdebitazione. Questa sezione riepiloga in forma Q&A punti chiave già toccati, fornendo chiarimenti immediati.

D: Chi può ottenere l’esdebitazione?
R: Possono accedere all’esdebitazione tutti i debitori persone fisiche che siano stati coinvolti in una procedura concorsuale di liquidazione dei beni. In pratica:

  • Consumatori sovraindebitati (persone fisiche non imprenditori) possono ottenere l’esdebitazione tramite il piano del consumatore, la liquidazione controllata o, se privi di qualunque utilità, la procedura incapiente.
  • Imprenditori non fallibili (piccoli imprenditori, professionisti, startup, imprenditori agricoli) possono ottenere l’esdebitazione attraverso il concordato minore o la liquidazione controllata.
  • Imprenditori commerciali fallibili (es. titolari di impresa medio-grande) e soci illimitatamente responsabili possono ottenere l’esdebitazione nell’ambito della liquidazione giudiziale (fallimento).
    In sostanza, oggi tutte le categorie di debitori persone fisiche possono aspirare al beneficio, purché rispettino le condizioni di legge (meritevolezza, ecc.). Anche le società ed enti possono essere esdebitati, ma ciò rileva principalmente per liberare i soci illimitati. Da notare: se una persona ha debiti personali e professionali insieme, le procedure di sovraindebitamento sono comunque accessibili (il caso va gestito in base alla qualifica prevalente del debitore).

D: La presenza di debiti fiscali (IVA, tasse) impedisce l’esdebitazione?
R: No. Le imposte e i contributi non pagati rientrano tra i debiti “concorsuali” esdebitabili, purché il debitore abbia i requisiti di meritevolezza. Non sono esclusi per legge, dunque il decreto di esdebitazione copre anche essi al pari degli altri crediti chirografari. Anzi, Cassazione e persino la Corte di Giustizia UE hanno chiarito che ciò è legittimo e conforme ai principi europei: dunque anche un debito IVA residuo può essere cancellato se il debitore è onesto e procede tramite le opportune procedure concorsuali. L’unica eccezione riguarda le sanzioni tributarie: le multe e ammende per violazioni fiscali, in quanto sanzioni amministrative pecuniarie, rientrano tra i debiti esclusi per legge (a meno che non fossero già state considerate accessori nel passivo). In sintesi: imposte e contributi sì, sanzioni no. Quindi, ad esempio, Carlo del caso sopra ha potuto cancellare il debito IVA, ma non le sanzioni per omesso versamento contributi.

D: Quali debiti non vengono cancellati dall’esdebitazione?
R: Sono esclusi per legge (art. 278, comma 7 CCII) e dunque non si estinguono neppure con l’esdebitazione:
a) Gli obblighi di mantenimento o alimentari verso familiari. Esempio: arretrati dell’assegno di mantenimento per i figli, o alimenti a un parente, restano dovuti.
b) I debiti da risarcimento danni extracontrattuali derivanti da fatto illecito. Ciò significa che se il debitore doveva risarcire qualcuno per un danno (es. lesioni personali causate da lui in un incidente), quel debito non viene cancellato.
c) Le sanzioni pecuniarie penali o amministrative (multe stradali, ammende penali, sanzioni fiscali in senso stretto, pene pecuniarie). Queste sono escluse salvo che siano “accessorie a debiti estinti” – in pratica, se la sanzione è già compresa nel credito ammesso e soddisfatto (caso raro).
In aggiunta, vale la regola generale che l’esdebitazione non tocca i coobbligati e i garanti del debitore. Cioè, se Tizio viene esdebitato, un eventuale garante Caio rimane obbligato per intero verso il creditore. Analogamente, se c’era un’ipoteca o pegno su beni di terzi a garanzia del debito, l’esdebitazione di Tizio non libera quella garanzia: il creditore potrà escutere il bene del terzo garantente. Dunque, ad esempio, se la madre del debitore aveva dato in pegno un suo gioiello a garanzia, il creditore potrà rivalersi su quel gioiello nonostante l’esdebitazione del debitore principale.

D: L’esdebitazione è automatica o va richiesta?
R: Dipende dalla procedura.

  • Nella liquidazione giudiziale (fallimento), l’esdebitazione deve essere richiesta espressamente dal debitore con apposita istanza al tribunale. Di solito si chiede al momento della chiusura del fallimento, ma dopo il CCII si può chiedere anche dopo 3 anni dall’apertura. Se il debitore non la chiede, il tribunale non la concede d’ufficio (se non nelle liquidazioni controllate, vedi oltre).
  • Nelle procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore) la liberazione dai debiti è intrinseca all’omologazione e al completamento del piano. In particolare, il CCII prevede che nella liquidazione controllata l’esdebitazione opera di diritto trascorsi 3 anni dall’apertura. Quindi in quel caso è automatica: decorso il termine, il giudice pronuncia il decreto di esdebitazione senza bisogno di istanza (anche se, per prassi, il debitore può segnalare la scadenza). Nel piano del consumatore e accordo, l’esdebitazione è condizionata all’esecuzione integrale del piano, ma una volta eseguito non serve un’ulteriore domanda: si verifica di diritto (il tribunale emette un decreto di attestazione).
  • Nella procedura incapiente, l’esdebitazione è concessa dal tribunale su ricorso del debitore all’avvio, quindi occorre la sua iniziativa per ottenerla.
    In sintesi: nei fallimenti va chiesta (altrimenti nulla), nelle liquidazioni controllate è automatica dopo 3 anni, nei piani/accordi è implicita con l’adempimento.

D: Quante volte si può ottenere l’esdebitazione?
R: Massimo due volte nella vita, e con almeno 5 anni di distanza tra l’una e l’altra. Questa è la regola attuale introdotta dai correttivi del CCII: un debitore può beneficiare di un nuovo esdebitamento solo se sono trascorsi almeno 5 anni dal precedente beneficio, e comunque non può mai chiederla più di due volte in assoluto. In passato (legge fallimentare) la regola era “una volta ogni 10 anni”, che in pratica significava una volta sola nella vita per la maggior parte delle persone. Ora c’è un po’ più di flessibilità: ad esempio, un consumatore che ottiene un’esdebitazione oggi, potrebbe – malauguratamente se ricade in debiti dopo molti anni – chiederne un’altra passati almeno 5 anni. Ma una terza non sarebbe ammessa. Questa limitazione mira ad evitare abusi seriali: il concetto di seconda chance sì, terza chance no (o solo in casi eccezionali e non ravvicinati). Vale la pena precisare che il divieto riguarda l’esdebitazione in sé, non le procedure: uno potrebbe teoricamente fare più procedure, ma non gli verrebbe concessa l’esdebitazione se ha già raggiunto il limite.

D: Cosa succede se il tribunale nega l’esdebitazione?
R: In caso di diniego dell’esdebitazione, il debitore rimane obbligato verso tutti i crediti residui. La chiusura della procedura concorsuale (fallimento o liquidazione) rimuove lo status di fallito e le relative incapacità, ma non estingue i debiti insoddisfatti: quei creditori tornano liberi di agire individualmente per il recupero. Ad esempio, se un fallito non ottiene l’esdebitazione, una volta chiuso il fallimento i suoi creditori chirografari possono riprendere pignoramenti (magari scoprendo se nel frattempo il debitore ha ricostituito un patrimonio). Insomma, la situazione tornerebbe come prima della procedura, salvo che i crediti privilegiati soddisfatti in parte restano soddisfatti per quella parte. È un esito ovviamente sfavorevole per il debitore, che si vede di nuovo inseguito. Per evitarlo, è cruciale impostare bene la procedura e rispettare i requisiti: il tribunale nega il beneficio solo in casi gravi (frodi, inadempienze gravi, condotte dolose). In taluni casi, il debitore potrà comunque provare a pagare transattivamente i residui (ma se non aveva soldi prima, difficile dopo). In generale, se c’è diniego, la legge non concede altre chances per quegli stessi debiti.

D: L’esdebitazione cancella anche le segnalazioni in Centrale Rischi o CRIF?
R: Tecnicamente no, l’esdebitazione libera dall’obbligo di pagare, ma non cancella la storia creditizia negativa. Se il debitore era segnalato come “sofferente” per un prestito non pagato, quella segnalazione storica rimarrà negli archivi creditizi per il periodo previsto (di solito 36 mesi dalla chiusura della posizione in CRIF, e fino a 5 anni in Centrale Rischi banca d’italia per i casi gravi). L’esdebitazione viene di solito annotata come causa di chiusura del debito (es: “chiusura per esdebitazione/fallimento”), ma non fa sparire il fatto che il debitore fu insolvente. Quindi, dopo l’esdebitazione, il debitore può incontrare difficoltà ad ottenere nuovi finanziamenti, almeno finché non passa un po’ di tempo e ricostruisce un buon merito creditizio. Ad esempio, un esdebitato potrebbe dover inizialmente rivolgersi a istituti di credito secondari o fornire garanzie maggiori. Tuttavia, la posizione è certamente migliore che durante la pendenza dei debiti: molti istituti considerano la riabilitazione e, trascorsi alcuni anni dall’esdebitazione, il debitore potrà gradualmente tornare “affidabile”. NB: il debitore ha comunque diritto, decorsi i termini di conservazione dei dati negativi, a vedere cancellate le segnalazioni secondo la normativa privacy.

D: Devo pagare una parte minima dei debiti per ottenere l’esdebitazione?
R: No, non esiste una soglia minima di pagamento richiesta per legge (a differenza di qualche vecchia regola del passato). Il CCII ha eliminato qualsiasi requisito oggettivo di soddisfacimento parziale: l’esdebitazione può essere concessa anche se i creditori non ricevono nulla. Conta solo la condotta del debitore (requisito soggettivo di meritevolezza). Ad esempio, è possibile l’esdebitazione di un fallito totalmente incapiente – la Cassazione ha affermato che non lo si può escludere dal beneficio solo perché ha patrimonio scarso, se la scarsità non è dovuta a sua colpa grave. Dunque non c’è una percentuale fissa tipo “almeno 10% ai creditori”, salvo il caso particolare del debitore incapiente che, se entro 4 anni trova mezzi per pagare almeno il 10%, deve darli ai creditori. Ma quella è una condizione post, non un prerequisito iniziale. In generale, ovviamente, più il debitore riesce a offrire ai creditori, più facile è il percorso (meno opposizioni, più favore dei giudici nel valutare meritevolezza). Ma non c’è un obbligo legale di pagamento minimo.

D: Serve il consenso dei creditori per ottenere l’esdebitazione?
R: Nelle procedure liquidatorie (fallimento, liquidazione controllata, incapiente) no, non serve alcun consenso dei creditori: l’esdebitazione è un provvedimento del giudice che può essere concesso d’ufficio (liq. controllata) o su istanza del debitore (fallimento) indipendentemente dalla volontà dei creditori. Questi possono solo eventualmente opporsi se ritengono manchi la meritevolezza, ma non hanno potere di veto se il debitore ha rispettato le condizioni.
Nelle procedure negoziali (piano del consumatore, concordato minore) il discorso è leggermente diverso:

  • Nel piano del consumatore, non serve il voto dei creditori (nessun “consenso” richiesto), decidono OCC e giudice. I creditori possono fare osservazioni ma se il giudice ritiene il piano equo, può omologarlo anche con tutti i creditori contrari.
  • Nel concordato minore, invece, è previsto un meccanismo di voto dei creditori e serve il consenso di una maggioranza del 60% dei crediti chirografari. Se i creditori non approvano, l’accordo non si perfeziona. Dunque lì sì, serve convincere i creditori. Tuttavia, una volta che l’accordo è omologato (con il consenso di quella maggioranza qualificata), i dissenzienti rimangono comunque vincolati e il debitore, ad esecuzione completata, otterrà l’esdebitazione del residuo anche per loro.
    In breve: la procedura di accordo è l’unica in cui i creditori hanno un potere deliberativo effettivo. In tutte le altre, l’esdebitazione è piuttosto una misura decisa dal giudice a beneficio del debitore meritevole, a prescindere dall’assenso dei singoli creditori (che ovviamente potrebbero essere scontenti, ma l’ordinamento antepone l’interesse al recupero del debitore).

D: Posso conservare la mia casa o l’auto attraverso queste procedure?
R: È possibile in certe condizioni, soprattutto tramite un piano del consumatore o concordato, ma non garantito:

  • Se la casa di abitazione ha un mutuo ipotecario, spesso nei piani si prevede di non liquidarla e continuare a pagare il mutuo regolarmente (anche perché la banca ipotecaria è privilegiata e vendendo la casa spesso ricaverebbe meno). Se ciò non danneggia gli altri creditori, il giudice può accettare che il debitore mantenga la prima casa. Ad esempio, in diversi casi di piano del consumatore è stato consentito al debitore di conservare l’immobile in cui vive, pagando il mutuo e offrendo ai creditori chirografari altre risorse (redditi futuri). Quindi sì, con un buon piano si può salvare la casa.
  • Nell’accordo/concordato minore vale simile: dipende dall’accordo coi creditori. Se i creditori (specie la banca ipotecaria) concordano che il debitore tenga l’immobile e prosegua i pagamenti, si può fare.
  • Nella liquidazione controllata o fallimento, no: per definizione in quelle procedure tutti i beni non indispensabili sono venduti. La casa di abitazione non è più impignorabile (lo era in alcune proposte legislative ma attualmente no), per cui verrà liquidata se ha valore. Salvo rare eccezioni (se la casa è di valore trascurabile o di proprietà in quota minima non appetibile, allora potrebbe restare invenduta, ma sono casi fortuiti).
  • L’auto: se è necessaria per il lavoro ed è di modesto valore, talvolta il giudice può autorizzare il debitore a tenerla anche in liquidazione (considerandola “strumento indispensabile per l’attività lavorativa”). Altrimenti, se ha buon valore, verrà venduta. Nei piani, il debitore può proporre di tenerla motivando che gli serve per lavorare: se regge, di solito i creditori non si oppongono su beni di valore modesto.
    In sintesi: le procedure negoziali consentono flessibilità nel decidere quali beni liquidare. Quelle liquidatorie no, prevedono la liquidazione integrale (con eccezione per beni impignorabili per legge, ad es. oggetti personali, beni di culto, ecc.). Quindi, chi ha una casa e vuole salvarla tenterà la via del piano/accordo anziché la liquidazione. È un classico esempio di valutazione da fare con l’avvocato.

D: Dopo l’esdebitazione potrò accendere nuovi finanziamenti o aprire un’attività?
R: , giuridicamente non ci sono preclusioni, anzi l’idea è proprio che tu possa ripartire. Il debitore esdebitato:

  • Nel fallimento, perde lo status di fallito e le relative incapacità: può tornare ad aprire imprese, essere amministratore di società, ottenere licenze, ecc., come una persona qualsiasi.
  • Nel sovraindebitamento, non c’erano grosse incapacità se non l’essere nel registro: una volta esdebitato, la sua procedura è chiusa e non gli impedisce nulla.
    Quindi legalmente può aprire partita IVA, chiedere mutui, fare società, ecc. L’unico scoglio è quello reputazionale/creditizio già discusso: le banche potrebbero inizialmente rifiutare prestiti. Ma non c’è un divieto legale a contrarre debiti di nuovo (si spera lo faccia con prudenza!). In qualche caso, immediatamente dopo l’esdebitazione, alcuni ex debitori hanno ottenuto credito da finanziarie minori (magari a tassi alti) – ma è meglio essere cauti. Dal punto di vista di registro, l’esdebitazione viene pubblicata sul registro delle procedure ma successivamente quell’iscrizione viene chiusa, e trascorso il tempo di legge, vien meno. Ad esempio, le Centrali rischi private tengono i dati negativi per 3 anni; dopodiché l’ex debitore risulta “pulito” a tutti gli effetti.

D: L’esdebitazione copre anche i debiti futuri o solo quelli passati?
R: Copre solo i debiti per fatti o cause anteriori all’apertura della procedura. I debiti sorti dopo rimangono normali. Ad esempio, se durante il piano del consumatore il debitore contrae una nuova bolletta e non la paga, quella non sarà esdebitata (è successiva). L’esdebitazione è legata alla procedura concorsuale specifica. Quindi è cruciale includere tutti i debiti pregressi nella procedura. Se ne viene lasciato fuori uno per errore (magari un creditore non noto), la legge prevede che comunque se era anteriore e avrebbe avuto diritto a partecipare, anche quel debito residuo si intende esdebitato per la parte eccedente quella che avrebbe preso nel concorso. Esempio: un creditore non avvisato, di pari grado, potrà ottenere eventualmente la stessa percentuale degli altri sul concorso, ma oltre quella parte non potrà pretendere. Questo per evitare che distrazioni formali pregiudichino l’esdebitazione.

D: Durante la procedura posso ottenere prestiti o nuove carte di credito?
R: In linea di massima no, e sarebbe anche sconsigliabile. Una volta aperta la procedura concorsuale, il debitore è tenuto a non aggravare la sua esposizione: quindi contrarre nuovi debiti sarebbe visto male (potrebbe addirittura configurare malafede se poi non li paga). Inoltre, nessuna banca seria darebbe credito a un soggetto in procedura (specie se appare nei registri pubblici). Nel concordato minore l’attività prosegue, ma eventuali crediti di finanziatori post omologa hanno uno status protetto per incentivarli: tuttavia, per un debitore piccolo è raro che qualcuno presti denaro nel mezzo della crisi, a meno che non sia finalizzato ad eseguire il piano (es. un parente presta soldi per pagare i creditori – in tal caso spesso quel parente subentra e viene soddisfatto anch’egli secondo il piano). Quindi conviene non fare nuovi debiti durante. Finita la procedura ed ottenuto il beneficio, come detto ci vorrà prudenza e tempi tecnici per tornare a normalità creditizia.

D: Se avevo una segnalazione al CAI (Centrale Assegni) per assegni scoperti, l’esdebitazione la elimina?
R: No, quella è una sanzione amministrativa accessoria (divieto di emettere assegni per 6 mesi o più). Non viene meno per l’esdebitazione. Bisogna attendere il decorso naturale. Idem eventuali provvedimenti di revoca fidi o altro: l’esdebitazione non cancella segnalazioni di abuso di credito. In sintesi, l’esdebitazione libera dai debiti, ma non cancella le conseguenze amministrative di eventuali illeciti (come emettere assegni a vuoto).


Fonti e Riferimenti utilizzati

Normativa:

  • D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 – Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), in vigore dal 15 luglio 2022, articoli 65-83 (strumenti di sovraindebitamento) e 278-283 (esdebitazione). (Testo coordinato con modifiche D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024.)
  • D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 – “Decreto correttivo” del CCII, attuativo direttiva UE 2019/1023. Ha introdotto, tra le altre cose, l’art. 283 CCII sull’incapiente e la riduzione a 3 anni per l’esdebitazione.
  • D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 – Terzo correttivo CCII, in vigore dal 28 settembre 2024. Ha riorganizzato il Capo X CCII in sezioni separate per esdebitazione in liquidazione giudiziale e controllata.
  • Legge 27 gennaio 2012 n. 3 – Vecchia legge sul sovraindebitamento (“Salva Suicidi”), abrogata dall’entrata in vigore del CCII, ma rilevante per i concetti originari di piano del consumatore, accordo e liquidazione patrimonio.
  • Regolamento Ministeriale 24 settembre 2014 n. 202 – Criteri di iscrizione e compensi degli OCC. Stabilisce tra l’altro il metodo di calcolo dei compensi dei gestori (artt. 14-16 DM 202/2014).
  • Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267) – Formalmente abrogata, ma citata per principi poi recepiti nel CCII (es. art. 142 l.fall. sulle condizioni per esdebitazione).

Giurisprudenza di legittimità:

  • Cass. civ. Sez. I, 6 novembre 2024, n. 28505 – Principio: il fallito meritevole non può essere escluso dall’esdebitazione a causa della scarsa consistenza del patrimonio, eliminato essendo il requisito oggettivo. Conferma che conta solo la condotta onesta (art. 142 l.f. soggettivo) e che il CCII ha eliminato la necessità di pagamento parziale.
  • Cass. civ. Sez. I, 26 luglio 2023, n. 22699 – Ha affrontato il caso di imprenditore cancellato da oltre un anno: ha affermato che tale soggetto può accedere alle procedure da sovraindebitamento (liquidazione controllata), superando il precedente limite annuale (art. 10 l.fall.). Conferma estensione platea beneficiari.
  • Cass. civ. Sez. I, 19 agosto 2024, n. 22914 – (Ordinanza) Ha confermato la legittimità dell’istanza di liquidazione controllata presentata da un creditore ai sensi dell’art. 268 CCII. Ribadito che anche i creditori possono attivare la liquidazione del sovraindebitato.
  • Cass. civ. Sez. I, 14 febbraio 2023, n. 4613 – (Ordinanza) Principio in materia di meritevolezza e sostenibilità dei piani: la Cassazione ha sottolineato la flessibilità nella struttura dei piani di sovraindebitamento, purché il giudice verifichi la convenienza per i creditori (fonte: Diritto Bancario) – ribadendo l’ampio potere valutativo del giudice nel piano consumatore.
  • Cass. civ. Sez. Unite, 31 gennaio 2020, n. 3274 – (precedente rilevante) Ha sancito la possibilità di falcidiare l’IVA nei piani del consumatore, in coerenza con la CGUE e in rottura col passato orientamento (anche se prima del CCII).

Giurisprudenza di merito:

  • Tribunale di Torino, decreto 23 aprile 2025 – Caso di esdebitazione incapiente concessa. Il giudice ha evidenziato l’importanza della meritevolezza valutando cause del sovraindebitamento: in particolare ha ritenuto meritevole una debitrice le cui passività derivavano da eventi sfortunati e non da spese futili o azzardo.
  • Tribunale di Milano, decreto 5 luglio 2023Esdebitazione dell’incapiente: concesso a pensionato ultrasessantacinquenne indebitato per prestiti personali. Ha confermato che anche debiti di natura prevalentemente erariale non impediscono l’esdebitazione dell’incapiente se il debitore è in buona fede (cfr. nota Unijuris).
  • Tribunale di Milano, decreto 23 dicembre 2024 (Est. De Simone) – Ha affermato che un indebitamento prevalentemente erariale non esclude la meritevolezza dell’incapiente. Il debitore incapiente può essere esdebitato anche se deve principalmente al Fisco, purché abbia agito senza dolo.
  • Tribunale di Roma, 8 marzo 2023 – (Citato in dottrina) Caso in cui è stata negata l’esdebitazione del fallito per comportamento doloso: fallito che aveva nascosto un immobile all’estero, tipico esempio di malafede, esdebitazione rigettata.

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  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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