Crisi D’impresa E Riforma Fiscale: Tutte Le Novità E Cosa Cambia

Hai un’azienda che sta attraversando un momento difficile? Ti stai chiedendo come la nuova riforma fiscale impatterà sulle imprese in crisi? Le recenti novità introdotte dal legislatore – sia in ambito tributario che nelle regole sulla crisi d’impresa – stanno cambiando il modo in cui si affrontano le difficoltà economiche e i debiti fiscali.

Ma cosa sta cambiando davvero? Ci sono nuove opportunità per le imprese in difficoltà? E quali sono i rischi se non ci si adegua in tempo?

Negli ultimi mesi, la riforma fiscale ha introdotto misure più incisive sul recupero dei crediti tributari, una maggiore integrazione tra Agenzia delle Entrate e giustizia tributaria, e strumenti digitali per individuare tempestivamente le situazioni di rischio. Tutto questo si inserisce in un contesto normativo già modificato dal Codice della Crisi d’Impresa, che punta a favorire la prevenzione, la trasparenza e il risanamento.

Significa che le imprese in crisi avranno meno margini di manovra? O la riforma offre anche strumenti di tutela?

Entrambe le cose. Da un lato, i controlli fiscali diventano più tempestivi e mirati. I ritardi nei pagamenti, le incongruenze nelle dichiarazioni e gli indici di squilibrio patrimoniale potranno far scattare segnalazioni automatiche, con rischio concreto di accessi ispettivi, avvisi bonari e pignoramenti.
Dall’altro, però, vengono rafforzate anche le procedure di composizione negoziata della crisi, con possibilità di chiedere misure protettive immediate, di accedere a piani di rientro concordati con il Fisco e di evitare la liquidazione giudiziale.

E cosa deve fare un imprenditore per mettersi al riparo?

Serve una valutazione tempestiva della propria posizione, sia fiscale che aziendale. Se emergono segnali di difficoltà – come ritardi nei versamenti IVA o INPS, indebitamento crescente o perdita di liquidità – è il momento di attivare gli strumenti di prevenzione: composizione negoziata, accordo di ristrutturazione o, nei casi più gravi, liquidazione controllata.
Con la nuova riforma, non ci sarà più spazio per aspettare o “tirare avanti”: chi si attiva per tempo potrà trattare e difendere il proprio patrimonio, chi resta fermo rischia azioni esecutive sempre più rapide e automatizzate.

In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, procedure concorsuali e contenzioso tributario – ti spiega quali sono le novità introdotte dalla riforma fiscale per le imprese in crisi, cosa cambia nella gestione dei debiti tributari, quali strumenti legali puoi attivare per proteggere l’attività e come possiamo aiutarti a reagire prima che sia troppo tardi.

La tua impresa ha difficoltà con il Fisco o segnali di crisi? Vuoi sapere se puoi ancora evitare il fallimento o difendere il tuo patrimonio?

Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: esamineremo insieme la tua posizione aziendale, fiscale e patrimoniale, individueremo i rischi reali e ti accompagneremo nel percorso più efficace per superare la crisi e rimettere in sicurezza la tua attività.

Introduzione

La normativa italiana in materia di fisco e di crisi d’impresa è stata oggetto di profonde riforme negli ultimi anni. Tra il 2023 e il 2025 si sono succedute novità di rilievo sia sul fronte fiscale – con una delega al Governo per la riforma del sistema tributario (legge n. 111/2023) e numerosi decreti attuativi – sia sul fronte del diritto fallimentare e concorsuale, con l’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 14/2019 e successive modifiche) e vari interventi correttivi fino al 2024. Questa guida avanzata, aggiornata a giugno 2025, offre un quadro completo di tutte le novità introdotte, spiegando cosa cambia in materia di imposte dirette e IVA, sanzioni tributarie, contenzioso fiscale e strumenti di composizione del debito tributario (transazione fiscale), nonché analizzando la disciplina della crisi d’impresa (composizione negoziata, concordato preventivo, fallimento/liquidazione giudiziale). Troverete inoltre FAQ – domande frequenti con risposte chiare, tabelle riepilogative, esempi pratici e simulazioni. In fondo, una sezione elenca tutte le fonti normative, prassi ufficiali e sentenze citate a supporto dei contenuti esposti.

La Riforma Fiscale 2023–2025: novità in materia tributaria

La riforma fiscale italiana si basa sulla legge delega 9 agosto 2023, n. 111, che ha conferito al Governo il compito di ridisegnare l’intero sistema tributario secondo determinati principi. Il Governo, a partire dalla fine del 2023, ha emanato una serie di decreti legislativi attuativi che toccano praticamente ogni area del diritto tributario: imposte sui redditi (IRPEF per le persone fisiche e IRES per le società), IVA, altre imposte indirette, tributi locali, sanzioni amministrative e penali tributarie, procedure di accertamento e riscossione, nonché il contenzioso e lo Statuto del Contribuente. Contestualmente, sono stati approvati anche quattro Testi Unici per riordinare la normativa (ad es. il Testo Unico delle sanzioni tributarie – d.lgs. 173/2024 – e il Testo Unico della giustizia tributaria – d.lgs. 175/2024). Di seguito, esamineremo le principali novità per ciascun ambito fiscale, soffermandoci in particolare su: imposte dirette (IRPEF e IRES) e IRAP, imposta sul valore aggiunto (IVA), sistema sanzionatorio, contenzioso tributario e strumenti di definizione dei debiti tributari (transazione fiscale).

Imposte dirette: IRPEF 2024 e “IRES premiale” 2025

IRPEF a tre aliquote: La prima fase della riforma fiscale ha riguardato l’IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche). Con il decreto legislativo 30 dicembre 2023 n. 216 è stata attuata per il periodo d’imposta 2024 una revisione delle aliquote IRPEF, che passano da quattro scaglioni a tre. In particolare, la precedente aliquota del 25% (secondo scaglione) è stata eliminata, accorpando i relativi redditi nel primo scaglione a tassazione ridotta. Dal 2024 l’IRPEF lorda si calcola dunque così:

  • 23% per la parte di reddito fino a €28.000 (primo scaglione, esteso rispetto ai €15.000 precedenti);
  • 35% per la parte di reddito oltre €28.000 e fino a €50.000 (secondo scaglione);
  • 43% per la parte eccedente €50.000 (terzo scaglione, invariato nella misura massima).

Confronto con il 2023: in precedenza (dal 2022 fino al 2023) gli scaglioni erano quattro, con aliquote 23% fino a €15.000, 25% da €15.001 a €28.000, 35% da €28.001 a €50.000 e 43% oltre €50.000. La riforma quindi riduce la tassazione per i redditi medio-bassi: ad esempio, un reddito annuo lordo di €28.000 nel 2023 aveva un’aliquota marginale del 25%, mentre nel 2024 scende al 23%; un reddito di €40.000 restava al 35% (uguale), mentre chi supera €50.000 mantiene il 43% sulla parte eccedente.

Aumento detrazioni da lavoro e novità per i redditi alti: Oltre alle aliquote, sono state introdotte altre misure sulla base imponibile IRPEF e le detrazioni: per il 2024 aumenta di 75 € la detrazione per i redditi da lavoro dipendente (portandola da €1.880 a €1.955 per i redditi fino a 28mila euro), con benefici in busta paga per i lavoratori. In parallelo, si è introdotta una sorta di “franchigia inversa” per i redditi alti: per i contribuenti con reddito complessivo sopra €50.000, alcune detrazioni per oneri (es. detrazione 19% su spese varie, erogazioni liberali, premi assicurativi contro calamità) sono ridotte in misura fissa (€260 in meno). Questo meccanismo, applicato solo sul 2024, di fatto limita leggermente i benefici fiscali per i redditi più elevati, in coerenza con l’obiettivo di equità orizzontale della riforma. Resta ferma la piena detraibilità delle spese sanitarie anche oltre 50mila €. Inoltre, in via di coordinamento, è stato disposto un slittamento dei termini entro cui Regioni e Comuni possono adeguare le proprie addizionali IRPEF ai nuovi scaglioni: la scadenza è stata differita al 15 aprile 2024 (anziché 31 dicembre dell’anno precedente), per dare tempo agli enti locali di modulare aliquote e scaglioni locali in linea con quelli statali.

Abolizione dell’ACE e altre misure sulle imprese minori: Sul fronte delle imprese, il d.lgs. 216/2023 ha abrogato l’Aiuto alla Crescita Economica (ACE) a partire dal 2024. L’ACE era una deduzione dal reddito d’impresa introdotta per incentivare la patrimonializzazione delle aziende; la sua eliminazione rientra nell’intento di semplificare il sistema di agevolazioni fiscali, probabilmente in vista di nuove misure sostitutive. Contestualmente, per il 2024 è stata introdotta una maggiorazione del 100% del costo deducibile per i neo-assunti a tempo indeterminato: ciò significa che le imprese possono dedurre il doppio del costo effettivo per il personale assunto nel 2024, ai fini di ridurre l’IRES (e IRAP) dovuta. Questa norma intende incentivare nuova occupazione stabile, compensando la fine dell’ACE con un diverso strumento di stimolo agli investimenti in capitale umano.

IRES “premiale” al 20% e graduale superamento dell’IRAP: Un capitolo fondamentale della riforma fiscale riguarda la tassazione dei redditi d’impresa. La legge delega prevede il graduale superamento dell’IRAP (l’imposta regionale sulle attività produttive), da attuarsi senza gravare sui redditi da lavoro dipendente e pensioni. In prospettiva, l’IRAP dovrebbe essere sostituita da una sovraimposta IRES, ma data la rilevanza di gettito dell’IRAP (soprattutto per le Regioni, che la utilizzano per finanziare la sanità), questa parte della riforma è ancora in fase di valutazione e non è stata completata entro giugno 2025. Per il momento, anziché abolire subito l’IRAP, si è scelta una strada intermedia: introdurre incentivi sotto forma di riduzione dell’aliquota IRES per le imprese virtuose, così da avvicinarsi a una “mini-IRES” sostitutiva.

In particolare, la Legge di Bilancio 2025 (L. 30 dicembre 2024 n. 207) ha lanciato l’IRES premiale, applicabile sul periodo d’imposta 2024 con effetti sul 2025. Questa misura permette alle società che investono e assumono di pagare un’aliquota IRES ridotta al 20% (anziché l’ordinaria al 24%) sugli utili reinvestiti. Le condizioni per beneficiare dell’IRES agevolata sono stringenti: (a) destinare almeno l’80% dell’utile 2024 a riserve non distribuite; (b) reinvestire almeno il 30% di tale utile accantonato in beni strumentali tecnologici 4.0/5.0 nuovi, per un importo minimo di €20.000, da effettuare entro il 31 dicembre 2025 e senza cedere quei beni per almeno 5 anni; (c) mantenere o incrementare l’occupazione: il personale medio annuo del 2025 non deve diminuire rispetto alla media del triennio precedente, anzi occorre incrementare i dipendenti a tempo indeterminato di almeno l’1% (in pratica almeno un’assunzione netta se l’organico è sopra 100, o proporzionale). Se l’azienda rispetta tutti questi requisiti, potrà dichiarare il reddito 2024 con aliquota 20%. In caso contrario resta l’aliquota standard 24%.

Esempio pratico: supponiamo una PMI con utile ante imposte 2024 di €100.000. Se distribuisce dividendi normalmente, pagherebbe IRES 24% = €24.000. Optando invece per l’IRES premiale, dovrebbe accantonare almeno €80.000 a riserva (80%) e investire almeno €24.000 (30% di 80.000) in beni innovativi entro fine 2025, nonché assumere almeno un dipendente in più nel 2025. Così facendo, sull’intero utile 2024 pagherà IRES al 20%, cioè €20.000 (risparmiando €4.000 di imposta). Di fatto la “mini-IRES” reinveste quel risparmio nell’economia reale (beni tecnologici e occupazione). Va notato che la riduzione si applica per il solo anno 2025 (sui redditi 2024), in attesa di valutare i costi e l’efficacia per eventuale proroga. L’Agenzia delle Entrate ha fornito i primi chiarimenti con la Circolare n. 5/E del 16 maggio 2025 (art. 16-ter TUIR, introdotto dalla L. 197/2023) che dettaglia requisiti e controlli sul regime premiale. In combinazione con tale misura, si prevede il graduale assorbimento dell’IRAP in IRES: la delega infatti prefigura che l’IRAP sia sostituita da una addizionale IRES con aliquote differenziate, evitando però che ciò penalizzi i lavoratori dipendenti o le PMI. Al momento, comunque, l’IRAP non è abolita: nel 2024–2025 continuano ad applicarla le imprese soggette (società ed enti commerciali, con le esenzioni già introdotte negli anni scorsi per imprese individuali e professionalità autonome). Rimangono in vigore anche i vari crediti d’imposta e incentivi per investimenti (Transizione 4.0, bonus Sud, ecc.) salvo rifinanziamenti anno per anno.

Altre novità per persone fisiche: La legge delega fiscale ha in cantiere ulteriori interventi sul reddito delle persone fisiche che però, allo stato di giugno 2025, non sono ancora operativi. Tra questi, la possibile estensione della “cedolare secca” agli affitti commerciali (negozi e uffici) – misura attesa da molti piccoli proprietari ma rinviata per costi – e l’introduzione di tasse piatte su straordinari e tredicesime dei dipendenti, per eliminare l’effetto perverso di aliquote IRPEF più alte sui premi e le ore extra. Tali innovazioni, insieme a un’eventuale flat tax generale sul modello già applicato alle partite IVA minori (regime forfetario al 15% fino a 85.000 € di ricavi), restano per ora “in standby”: il Governo ha prorogato a dicembre 2025 il termine per esercitare la delega, prendendosi tempo per reperire le coperture finanziarie necessarie prima di tagliare ulteriormente le imposte.

IVA e imposte indirette: razionalizzazione del sistema IVA (in corso)

Sul versante IVA (Imposta sul Valore Aggiunto), la riforma fiscale mira a semplificare e razionalizzare un sistema diventato negli anni molto complesso. La legge delega fissa criteri per ridisegnare i presupposti dell’imposta, allineandoli al diritto UE, rivedere la disciplina delle operazioni esenti, razionalizzare numero e livelli delle aliquote IVA, rivedere le regole di detrazione dell’IVA a credito, nonché razionalizzare istituti come il gruppo IVA e il trattamento degli enti del Terzo settore. L’obiettivo dichiarato è ridurre gli adempimenti e le anomalie (ad esempio, oggi l’Italia ha 4 aliquote IVA: 4%, 5%, 10% e 22%, con molte eccezioni di esenzione, aliquote “zero” su operazioni internazionali, ecc.). Al giugno 2025, tuttavia, le novità IVA non sono state ancora attuate mediante uno specifico decreto. Si tratta infatti di misure aventi impatto significativo sui conti pubblici (ad esempio, rimodulare aliquote potrebbe ridistribuire il carico fiscale tra beni di consumo) e richiedono attente valutazioni.

È utile evidenziare che il Governo ha preferito iniziare dagli interventi “a costo zero” o incentivanti (IRPEF, IRES premiale, semplificazioni) e rimandare quelli più onerosi come l’IVA e l’IRAP. Ciò è confermato dall’estensione della delega al 31/12/2025 per avere più tempo e magari attendere un contesto economico più favorevole. Cosa ci si attende in tema IVA? Le ipotesi sul tavolo includono: riduzione delle aliquote IVA (forse passando a tre aliquote standard), riassorbendo magari le due aliquote ridotte (4% e 5% potrebbero unificarsi); allargamento della base imponibile IVA riducendo le esenzioni (oggi molti servizi – sanitario, finanziario, educativo – sono esenti con pro-rata complessi); semplificazione delle regole di detrazione per le imprese, possibilmente con meccanismi forfettari per i piccoli operatori. Il tutto dovrà rispettare la direttiva IVA europea e i limiti di gettito. Per ora, una novità indiretta è stata introdotta dal d.lgs. 13/2024 (in tema di accertamento tributario): è stata rivista la disciplina del regime doganale di esenzione IVA, presumibilmente per adeguarla alle norme UE (ad es. franchigie IVA su piccoli acquisti extra-UE) e sono state potenziate le tecnologie digitali anti-evasione IVA (si pensi all’uso di intelligenza artificiale per incrociare dati e prevenire frodi carosello). Inoltre, prosegue l’estensione della fatturazione elettronica e dei sistemi di tracciamento: il calendario fiscale semplificato (d.lgs. 1/2024) prevede l’estensione dei corrispettivi telematici anche a nuove categorie e un ulteriore aggiornamento dei servizi digitali dell’Agenzia Entrate. Queste misure indirettamente migliorano la compliance IVA e potrebbero preludere a futuri aggiustamenti delle aliquote una volta emersa base imponibile aggiuntiva dal contrasto all’evasione (ricordiamo che l’Italia ha storicamente un VAT gap elevato).

In sintesi, nessun cambiamento di aliquote IVA è in vigore al momento: i consumatori e le imprese continuano ad applicare le stesse percentuali. Ma si attendono, entro fine 2025, possibili razionalizzazioni normative che potrebbero cambiare alcune regole di esenzione e l’assetto delle aliquote per renderlo più coerente e semplice (con potenziali effetti sui prezzi di alcuni beni/servizi, da valutare in sede politica). Ogni modifica dovrà comunque essere concertata con l’UE, specie alla luce delle proposte di riforma IVA in ambito comunitario (VAT in the Digital Age, etc.).

Semplificazione degli adempimenti, accertamento e riscossione

Una parte qualificante della riforma fiscale è volta a semplificare il rapporto fisco-contribuente e rendere più efficiente la macchina fiscale. Diversi decreti delegati tra fine 2023 e inizio 2024 hanno introdotto misure in tal senso:

  • Calendario fiscale e adempimenti: Il d.lgs. 1/2024 ha razionalizzato scadenze e oneri dichiarativi. Si semplificano le dichiarazioni annuali (unificando modelli e riducendo duplicazioni per contribuenti e sostituti d’imposta), e sono state rimodulate le scadenze di pagamento e dichiarazione per evitare concentrazioni e sovrapposizioni. Una misura apprezzata è la “pausa” di agosto e dicembre: l’Agenzia delle Entrate sospenderà nel mese di agosto e a fine anno l’invio di atti di contestazione e comunicazioni ai contribuenti, così da garantire una tregua estiva e natalizia (salvo atti urgenti in scadenza). Si semplificano inoltre gli Indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA), strumenti utilizzati al posto degli studi di settore: l’intento è ridurre gli oneri per le imprese virtuose e affinare gli indici per categorie omogenee. Vengono poi potenziati i servizi telematici: l’estensione dell’obbligo di scontrino elettronico a tutti e nuovi software per memorizzazione e invio telematico dei corrispettivi mirano a ridurre gli errori e i costi di compliance.
  • Statuto del Contribuente e interpello: Con il d.lgs. 219/2023 è stata rafforzata la tutela dei diritti del contribuente. Si obbliga l’Amministrazione a una motivazione più chiara degli atti impositivi, si valorizzano i principi di legittimo affidamento e certezza del diritto, e si potenzia lo strumento dell’interpello (quesiti preventivi sulle norme). Importante, lo Statuto del contribuente (L. 212/2000) viene elevato a “principio generale” dell’ordinamento tributario, vincolando l’interpretazione delle norme fiscali al rispetto dei suoi principi. È istituita la figura del Garante nazionale del contribuente, al posto dei garanti regionali, con compiti di vigilanza sul rispetto di tali diritti.
  • Accertamento e contraddittorio: Il decreto legislativo 13/2024 introduce modifiche di grande rilievo nel procedimento di accertamento fiscale. Viene sancita l’applicazione generalizzata del contraddittorio endoprocedimentale: salvo casi di urgenza particolari, prima di emettere un avviso di accertamento l’Ufficio deve comunicare le risultanze al contribuente e attendere almeno 60 giorni per eventuali osservazioni. Questo recepisce orientamenti giurisprudenziali (Corte Cost. n.132/2020 e Corte di Giustizia UE) e garantisce il diritto di difesa già in fase amministrativa. Inoltre, l’Amministrazione dovrà motivare esplicitamente l’eventuale rigetto delle osservazioni del contribuente, pena la nullità dell’atto. Si semplifica l’iter di accertamento e si introduce un istituto innovativo: il “concordato preventivo biennale” (da non confondere col concordato fallimentare, come vedremo più avanti). Questo concordato fiscale biennale consente ad alcune categorie di contribuenti (inizialmente sperimentato su partite IVA minori, incluse quelle in regime forfetario) di concordare con il Fisco un importo forfetario di imposte per due anni, ottenendo in cambio il blocco di accertamenti per quel biennio. In sostanza il contribuente “affidabile” accetta di pagare un certo reddito in più per il 2023-24 (determinato dall’Agenzia in base agli indici ISA) e l’Agenzia si impegna a non effettuare verifiche su quei periodi, salvo situazioni eccezionali. Questa misura, volta a premiare la compliance spontanea, è stata applicata per la prima volta nel 2023 (con adesioni sottotono, circa 585mila su 4,5 milioni potenziali) e per il biennio 2025-2026 è stata perfezionata da un decreto correttivo approvato il 4 giugno 2025. Tra le novità: un “tetto” alla proposta del Fisco per i contribuenti più affidabili – se il punteggio ISA è 8, 9 o 10, l’aumento di imponibile richiesto non potrà superare rispettivamente il 25%, 15% o 10% – e la non decadenza dal concordato in caso di semplice avviso bonario (se il contribuente versa entro 60 giorni quanto richiesto). Inoltre, per favorire l’adesione, è ammessa nel calcolo una maxi-deduzione aggiuntiva per il costo del lavoro per chi aumenta i dipendenti (“chi più assume meno paga”). Resta escluso invece qualsiasi condono sui periodi pregressi: il cosiddetto “ravvedimento speciale” per anni passati non è stato riaperto. L’adesione al concordato biennale 2025-26 potrà avvenire entro il 30 settembre 2025 (anziché 31 luglio). Questo istituto rappresenta un patto di fiducia col contribuente: se da un lato garantisce due anni di tranquillità da controlli, dall’altro impegna il contribuente a dichiarare un minimo imponibile concordato. È riservato a chi ha una pagella fiscale (ISA) buona e, per il secondo giro, esclude i forfettari (già tassati con imposta sostitutiva fissa al 15%). Il suo impatto concreto sarà da verificare; intanto l’Agenzia Entrate ha emanato la Circolare 18/E del 17 settembre 2024 con istruzioni operative sul concordato biennale e ha messo a disposizione software dedicati e una sezione FAQ online.
  • Riscossione e ruoli: Anche il sistema di riscossione coattiva è stato riformato. Il d.lgs. 110/2024 (29 luglio 2024) ha riordinato la normativa sul recupero crediti pubblici, consolidando le disposizioni dal DPR 602/1973 in poi. Non si tratta solo di un testo unico: sono previste misure per snellire la rateizzazione (più rate possibili prima di decadenza), favorire la “concentrazione della riscossione nell’accertamento” (accorpando le comunicazioni di irregolarità con atti immediatamente esecutivi), e disciplinare meglio la responsabilità dell’Agente della Riscossione. Inoltre, vengono introdotte regole sulla compensazione tra crediti d’imposta e debiti a ruolo (così da evitare che lo Stato da un lato riscuota e dall’altro paghi). Sul fronte dei ruoli e delle cartelle, un’importante pronuncia della Corte Costituzionale n. 190/2023 (dep. 17 ottobre 2023) ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità sollevata sulla norma che non consente l’impugnazione immediata del ruolo e della cartella noti solo via estratto di ruolo. In pratica, il contribuente che scopre casualmente da un estratto di ruolo (in Anagrafe Tributaria) di avere un vecchio debito non può impugnarlo se la cartella non gli è stata notificata regolarmente; dovrà attendere un atto esecutivo. La Consulta non è entrata nel merito per un vizio procedurale (insufficiente motivazione sull’rilevanza da parte del giudice a quo), lasciando intatta la regola restrittiva. Questa decisione, pur non risolvendo la questione, evidenzia un aspetto critico: la tutela del contribuente di fronte a notifiche mai ricevute. Si segnala che il Governo sta puntando anche su misure occasionali di “definizione agevolata”: ad esempio, la Rottamazione-quater delle cartelle prevista dalla L. 197/2022 (Bilancio 2023) è stata in parte integrata con riaperture di termini nel 2023–2024, permettendo di estinguere debiti iscritti a ruolo con sanzioni e interessi ridotti. Queste non sono parte strutturale della riforma fiscale ma incidono sul contenzioso.

Riforma del sistema sanzionatorio tributario

Una delle novità più attese (e apprezzate da contribuenti e professionisti) è la riforma delle sanzioni tributarie, attuata col d.lgs. 14 giugno 2024 n. 87. Questo provvedimento riscrive in modo organico sia le sanzioni amministrative tributarie (cioè le multe pecuniarie per violazioni fiscali non costituenti reato) sia le interazioni col diritto penale tributario. L’obiettivo dichiarato è rendere il sistema sanzionatorio più proporzionato e coerente, evitando eccessi punitivi e favorendo la compliance.

Riduzione delle sanzioni amministrative: La riforma riduce molte sanzioni base. Ad esempio, la sanzione per omesso versamento di tributi (prima pari al 30% dell’importo non versato) viene abbassata al 25%. Questo si applica ai versamenti tardivi oltre 90 giorni; per ritardi più brevi c’è un’ulteriore riduzione: la sanzione scende al 12,5% se il pagamento avviene entro 90 giorni (in pratica 1/8 per i primi 90 giorni, visto che si riduce di 1/15 al giorno). Anche le sanzioni per dichiarazione omessa o infedele vengono rimodulate: ad esempio, se una dichiarazione omessa viene presentata entro il termine della successiva (entro un anno), la sanzione diventa fissa al 120% dell’imposta dovuta (prima era da 120% a 240% a discrezione), e se presentata con ritardo entro 90 giorni (dichiarazione tardiva) c’è un’ulteriore attenuante (75% circa). Le violazioni formali in tema di fatturazione e registrazione IVA vedono anch’esse pene alleggerite o semplificate, per distinguere errori formali da frodi sostanziali. Una modifica importante riguarda le compensazioni di crediti inesistenti: prima sanzionate dal 100% al 200% dell’importo indebitamente compensato, ora sono fissate al 70%, attenuando un carico che poteva risultare sproporzionato in caso di errori senza dolo.

Ravvedimento operoso più conveniente: Parallelamente, il sistema del ravvedimento operoso – che permette al contribuente di sanare spontaneamente violazioni con riduzione delle sanzioni – è stato reso ancor più conveniente. Già nel 2023 il d.lgs. 13/2024 aveva previsto che in ogni avviso bonario debba essere concesso il contraddittorio 60gg, di fatto estendendo i tempi utili per ravvedersi anche dopo certe comunicazioni. Ora, con la riforma sanzioni, si è armonizzato il ravvedimento alle nuove misure: tutte le riduzioni di sanzioni per chi si ravvede vengono ricalibrate sui nuovi minimi. Ad esempio, ravvedersi entro 30 giorni per un omesso versamento comporterà 1/10 del 25% (invece che del 30%). Inoltre, viene introdotto il cumulo giuridico anche in sede di ravvedimento: se un contribuente intende ravvedere più violazioni in continuazione (es. più anni di dichiarazioni infedeli), può applicare autonomamente il cumulo come farebbe l’ufficio, cioè pagare la sanzione unica aumentata (massima) per continuazione, senza dover attendere un atto formale. Ciò non era possibile prima, salvo accordo con ufficio in adesione: adesso il contribuente stesso può calcolare la sanzione unica ridotta. Questo incentiva a sanare situazioni complesse spontaneamente.

Decorrenza e favor rei: È importante notare che tutte queste novità sulle sanzioni amministrative si applicano solo alle violazioni commesse dal 1° settembre 2024 in avanti. Il legislatore ha infatti escluso il principio del favor rei (applicazione retroattiva della legge più favorevole) e della abolitio criminis: ciò significa che se un contribuente ha commesso un’omissione nel 2023, continuerà a subire la vecchia sanzione 30% anche se paga nel 2025. Questa scelta, sebbene discutibile in astratto, è motivata dalla necessità di non pregiudicare il gettito pregresso e dall’idea che la riforma sanzioni è parte di un “patto” che premia i comportamenti futuri compliant, non quelli passati. Pertanto, nessun condono implicito: il regime più mite vale solo per il futuro.

Coordinamento con il penale tributario: Il d.lgs. 87/2024 contiene anche disposizioni per armonizzare processo tributario e penale. In particolare, definisce più rigorosamente cosa sono crediti d’imposta “inesistenti” (spesso oggetto di reato) e sposta in avanti il momento consumativo dei reati di omesso versamento di ritenute e IVA. Prima, ad esempio, il reato di omesso versamento IVA (art. 10-ter D.lgs. 74/2000) scattava se a fine aprile l’imposta annuale dovuta superava €250k e non era pagata. Ora il momento rilevante potrebbe essere posticipato – verosimilmente dopo eventuali rateazioni o concordati – così da dare modo al contribuente di regolarizzare e magari evitare il reato. Inoltre, sono introdotte nuove cause di non punibilità e attenuanti: ad esempio, se il contribuente avvia un piano di rateazione col fisco e in buona fede paga quanto concordato, potrebbe evitare la punibilità per omesso versamento (dimostrando di aver estinto il debito prima della sentenza). È prevista una maggiore coordinazione tra giudizio penale e tributario: vengono normate le modalità di scambio informazioni e l’eventuale rilevanza dell’esito del contenzioso tributario sul penale (ad es. se in sede tributaria un credito d’imposta viene riconosciuto legittimo, ciò dovrà riflettersi sul processo penale per indebita compensazione, evitando condanne ingiuste). Le nuove norme penali si applicano anche ai procedimenti in corso dal 29 giugno 2024, se più favorevoli.

Cassazione penale e confisca in caso di transazione fiscale: Un aspetto innovativo del coordinamento tra fisco e penale è emerso in giurisprudenza. La Corte di Cassazione penale, Sez. III, sent. n. 44519/2024 ha stabilito che in presenza di un accordo transattivo tra contribuente e Fisco sul debito tributario, la confisca per equivalente disposta sul profitto del reato tributario (es. l’IVA evasa) deve essere ridotta proporzionalmente agli importi via via pagati secondo l’accordo. Nel caso specifico, un’impresa aveva concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti con transazione fiscale ex art. 182-bis L.F., ottenendo una riduzione del debito IVA; la Cassazione ha chiarito che, poiché quel debito fiscale costituisce il “profitto” del reato di omesso versamento IVA, l’accordo che lo riduce incide anche sulla confisca: non si può confiscare più di quanto oggi è dovuto al Fisco. In altre parole, la transazione fiscale “pesa” anche sul penale: se il Fisco accetta 50% del dovuto, la sanzione patrimoniale penale (confisca) va ricalcolata su quel 50%. Questa pronuncia è coerente con la natura della confisca, che non può eccedere il vantaggio economico illecito residuo. Dunque incentiva l’utilizzo degli strumenti di composizione del debito fiscale (transazione) come mezzo non solo per risolvere la crisi d’impresa ma anche per mitigare le conseguenze penali.

Riforma della giustizia tributaria e contenzioso

Parallelamente alla riforma fiscale sostanziale, l’ordinamento ha visto una riforma della giustizia tributaria (L. 130/2022) e, con la delega 2023, ulteriori interventi per rendere il contenzioso più equo ed efficiente.

Nuovi giudici tributari professionali: Dal 2023 le vecchie Commissioni Tributarie provinciali e regionali sono diventate rispettivamente Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado, con giudici selezionati tramite concorso pubblico e a tempo pieno (superando il precedente modello di giudici in gran parte onorari). Questa professionalizzazione mira a una maggiore terzietà e qualità delle decisioni. Inoltre, è stato introdotto l’ufficio del Garante per il contribuente nazionale (come detto sopra) che può segnalare prassi scorrette anche nel contenzioso.

Modifiche al processo tributario: Il d.lgs. 220/2023 (30 dicembre 2023) ha apportato ritocchi al D.lgs. 546/1992 (che disciplina il processo tributario) per risolvere alcune criticità. Si è rafforzata la fase di autotutela amministrativa per evitare di giungere in giudizio: l’Agenzia è incoraggiata ad annullare in via di autotutela gli atti palesemente errati o illegittimi, anche su segnalazione del contribuente, così da prevenire i contenziosi inutili. Nel processo vero e proprio, è stata disposta una maggiore informatizzazione: generalizzazione del processo telematico, udienze da remoto se le parti lo chiedono, deposito atti online ecc.. Per snellire i tempi, si introducono meccanismi di trattazione più rapida per cause semplici e si incentiva la conciliazione giudiziale (accordo tra fisco e contribuente in corso di causa) con riduzioni sanzioni. Inoltre, è stato modificato l’art. 57 DPR 602/1973 sui limiti alle opposizioni esecutive in materia tributaria: ciò per razionalizzare l’esecuzione forzata, ad esempio chiarendo quali eccezioni il contribuente può sollevare in sede di pignoramento (prima il 602/73 limitava molto le possibilità di difesa). Complessivamente, l’intervento attua i principi della delega (art. 19 L.111/2023) che chiedevano di abbreviare la durata del processo e favorire la definizione agevolata delle liti pendenti. In tal senso, vanno lette anche le misure una tantum come la definizione agevolata delle liti tributarie fino a €50.000 (introdotta dalla L. 197/2022): migliaia di piccoli ricorsi sono stati chiusi col pagamento del 90%, 40% o 15% del valore (a seconda del grado e dell’esito). Anche se non strutturali, questi “condoni litigiosi” riducono l’arretrato, permettendo ai giudici tributari di concentrarsi sui casi più complessi rimasti.

Tutela del contribuente “collaborativo”: Un altro tassello è il potenziamento dell’adempimento collaborativo (cooperative compliance) – un regime già introdotto nel 2015 per le grandi aziende che consente un dialogo costante con l’Agenzia e in cambio vantaggi sanzionatori. Il d.lgs. 221/2023 ha abbassato la soglia di accesso a questo regime e previsto premi per chi vi aderisce: ad esempio una forte riduzione delle sanzioni amministrative in caso di rilievi concordati e persino esclusione delle sanzioni penali tributarie per i comportamenti oggetto di collaborazione. Significa che un’azienda in cooperative compliance che segnala preventivamente una criticità fiscale e la risolve con l’ufficio potrà non essere punibile penalmente (si introduce un safe harbor per i reati omissivi, forse condizionato a pagamento integrale del dovuto). Inoltre, se l’azienda adotta efficaci sistemi di controllo del rischio fiscale (tax control framework certificato) e comunica in anticipo al Fisco eventuali rischi di evasione, ciò potrà essere valutato per escludere o ridurre sanzioni in caso di verifiche. L’Italia quindi incentiva un approccio “preventivo” al tax risk: meno sanzioni e niente processi se c’è trasparenza e collaborazione. Dal 2023 è stato ridotto il volume d’affari richiesto per entrare nel regime, per includere più aziende medio-grandi, e sono state allocate risorse per aumentare il personale dedicato dell’Agenzia. In futuro, questo modello potrebbe estendersi ulteriormente, creando un rapporto fisco-contribuente meno conflittuale.

In sintesi sul contenzioso: Il contribuente italiano oggi ha qualche garanzia in più: gli avvisi bonari sono un passaggio obbligato prima dell’accertamento (60 giorni per difendersi), i giudici tributari sono più indipendenti, c’è più spazio per la prova e la motivazione nel processo, e chi è fiscalmente affidabile può accedere a regimi che evitano a monte il contenzioso (adempimento collaborativo, concordato biennale). Allo stesso tempo, il sistema conserva strumenti di recupero efficaci (pignoramenti, compensazioni forzate) ma calibrati dal nuovo equilibrio sanzionatorio. Si tratta di un bilanciamento tra compliance facilitativa e enforcement mirato.

La transazione fiscale e la gestione dei debiti tributari nelle crisi d’impresa

Un punto di contatto cruciale tra la riforma fiscale e la disciplina della crisi d’impresa è rappresentato dalla transazione fiscale, cioè la possibilità di definire in modo agevolato i debiti tributari e contributivi all’interno di una procedura concorsuale o di un accordo di ristrutturazione. Storicamente, l’istituto della transazione fiscale era disciplinato dall’art. 182-ter della vecchia legge fallimentare (R.D. 267/42) e consentiva di proporre al Fisco il pagamento parziale o dilazionato di imposte e contributi nell’ambito di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti, previa approvazione dell’Amministrazione. Vi erano però limitazioni rigide, in particolare il divieto di falcidiare IVA e ritenute: fino al 2020, la legge impediva di ridurre l’IVA non versata, dovendola pagare integralmente (salvo stralcio solo di sanzioni e interessi). Ciò su pressione del diritto UE (il quale però nel frattempo concesse flessibilità per insolvenze).

Una svolta è arrivata con la Corte Costituzionale n. 245/2019, che ha dichiarato l’illegittimità di quella preclusione assoluta. In esito, il legislatore ha modificato l’art. 182-ter permettendo di includere anche IVA e ritenute nella transazione, purché la proposta assicurasse al Fisco almeno il valore di realizzo in caso di liquidazione fallimentare (il c.d. test di convenienza). Il nuovo Codice della crisi ha recepito questa impostazione. Oggi, dunque, un’azienda in crisi può proporre al Fisco di accettare, ad esempio, il pagamento del 40% del debito IVA se dimostra che, in alternativa liquida, il Fisco incasserebbe solo il 20%. La transazione fiscale diventa uno strumento cruciale per superare la crisi: consente di ridurre il carico fiscale arretrato, spesso determinante per la sostenibilità del piano, e al contempo permette allo Stato di incassare più che in un fallimento puro.

Le novità normative recentissime hanno ulteriormente potenziato questo istituto. Il Terzo correttivo al Codice della Crisi (d.lgs. 136/2024) ha introdotto espressamente il cram-down fiscale: significa che il tribunale può omologare un accordo di ristrutturazione o un concordato preventivo anche senza il voto favorevole del Fisco, a certe condizioni. In pratica, se la proposta al Fisco è equa (non inferiore al miglior risultato alternativo) e la maggioranza degli altri creditori approva il piano, l’opposizione dell’Erario può essere superata d’ufficio dal giudice. Questo è un cambiamento epocale: finora, bastava il dissenso dell’Agenzia delle Entrate (magari per rigidità di linee guida) a far saltare concordati altrimenti sostenibili. Dal 2024, invece, l’Erario viene equiparato agli altri creditori chirografari ai fini dell’omologazione coattiva, salvo casi in cui la proposta sia manifestamente iniqua. Il correttivo 2024 ha anche chiarito che la transazione fiscale può essere proposta anche nell’ambito della composizione negoziata (strumento extragiudiziale, v. infra), e non solo nelle procedure giudiziali. Restano esclusi invece i debiti verso enti locali (es. tributi comunali): la delega fiscale non li ha inclusi, per cui un concordato non può falcidiare direttamente, ad esempio, l’IMU o la TARI, se non nei limiti in cui l’ente locale stesso aderisca.

Infine, le prassi dell’Agenzia delle Entrate mostrano un atteggiamento più aperto: sono state diffuse linee interne che invitano gli uffici a valutare con favore le transazioni fiscali quando il piano appare serio e offre più del realizzo fallimentare. La Cassazione stessa ha affermato che il diniego ingiustificato della transazione da parte del Fisco può essere sindacato dal giudice ordinario, non dal giudice tributario (poiché è atto da valutarsi nel contesto concorsuale). Quindi il Fisco deve motivare bene eventuali rifiuti, pena incorrere in censure. Una sentenza Cass. 33303/2023 ha chiarito che se un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale viene omologato, il successivo adempimento del piano e pagamento parziale del debito fiscale comporta che l’originario debito non è più dovuto e non può essere preteso altrove (concetto di esdebitazione erariale).

In conclusione, la transazione fiscale oggi è uno strumento di risanamento d’impresa più efficace rispetto al passato. Grazie alla riforma e alla giurisprudenza: (a) anche IVA e ritenute possono essere tagliate se il piano lo giustifica; (b) il voto contrario del Fisco non è più letale, potendo il giudice omologare coattivamente; (c) gli effetti penali di un accordo con il Fisco (come visto) possono alleviare misure di confisca o cause di punibilità; (d) l’amministrazione finanziaria tende a negoziare di più, specialmente se il piano prevede nuove prospettive di continuità aziendale (il mantenimento di posti di lavoro e la prosecuzione dell’attività generano a lungo termine più gettito, convincendo l’Erario ad accettare qualche sacrificio immediato). Nel prosieguo, vedremo come la transazione fiscale si inserisce nei vari istituti della crisi d’impresa disciplinati dal Codice.

Disciplina della crisi d’impresa: composizione negoziata, concordato preventivo e liquidazione giudiziale

Passiamo ora alla crisi d’impresa e alle procedure introdotte dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII, d.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, in vigore definitivamente dal 15 luglio 2022). Questa riforma organica del diritto concorsuale ha sostituito la vecchia legge fallimentare del 1942, introducendo nuovi strumenti per la gestione tempestiva delle difficoltà aziendali e allineando l’Italia alle best practices europee (recependo la direttiva UE 2019/1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva). Analizziamo i tre istituti chiave citati: la composizione negoziata della crisi, il concordato preventivo (nelle sue varianti) e la liquidazione giudiziale (il “nuovo fallimento”), evidenziando le novità e la giurisprudenza più recente.

Composizione negoziata della crisi

La composizione negoziata è uno strumento introdotto in via urgente col D.L. 118/2021 (convertito con L. 147/2021) e poi integrato nel Codice della crisi (Titolo II CCII, come modificato dal d.lgs. 83/2022 in attuazione della direttiva europea). Si tratta di una procedura volontaria e stragiudiziale di soluzione negoziata della crisi, attivabile dall’imprenditore che si trovi in situazione di squilibrio economico-finanziario potenzialmente reversibile. L’obiettivo è superare la crisi prima che sfoci nell’insolvenza irreversibile, attraverso trattative facilitate con i creditori.

Caratteristiche principali: L’imprenditore in difficoltà presenta istanza sulla piattaforma telematica nazionale gestita dalle Camere di Commercio. Viene nominato un Esperto indipendente – scelto da un elenco di professionisti specializzati – il cui compito è agevolare le trattative tra l’impresa e i creditori, per raggiungere un accordo di ristrutturazione o altra soluzione (anche la cessione dell’azienda). La procedura è riservata: non comporta dichiarazione di crisi pubblica né effetti sul rating, se non vengono attivate misure protettive. L’imprenditore mantiene la gestione, affiancato dall’Esperto con poteri consultivi.

Novità introdotte dal correttivo 2024: Il terzo correttivo (d.lgs. 136/2024) ha ampliato l’accesso alla composizione negoziata, rimuovendo alcuni ostacoli. Ora vi si può accedere anche se l’impresa non ha ancora bilanci approvati (prima era dubbio) o anche se pende già un’istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) o di concordato. Ciò consente anche alle aziende colte di sorpresa da iniziative dei creditori di tentare il percorso negoziale. Inoltre, è stato rafforzato il ruolo dell’Esperto: il correttivo chiede professionisti con maggior esperienza e ne chiarisce poteri e doveri. Sono previste linee guida per uniformare le valutazioni dell’Esperto sul piano proposto dall’imprenditore (l’Esperto deve valutare se l’impresa è risanabile e se le proposte ai creditori sono sostenibili). Un altro miglioramento è l’introduzione di alcune protezioni anti-abuso: ad esempio, l’imprenditore può chiedere al tribunale misure protettive (stay delle azioni esecutive) per il tempo delle trattative, ma il correttivo 2024 ha previsto che queste misure possano essere revocate se l’imprenditore abusa del rinvio o non segue le indicazioni dell’Esperto.

Esito della composizione negoziata: Se le trattative hanno successo, possono sfociare in diversi esiti: un contratto di ristrutturazione col ceto creditorio, una convenzione di moratoria sui debiti, un accordo con alcuni creditori strategici (ad esempio banche) magari combinato con nuova finanza, oppure in un formale accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 61 CCII (ex art.182-bis L.F.) omologato dal tribunale. In alternativa, l’imprenditore può presentare direttamente un concordato preventivo “semplificato” per cessione dei beni se le trattative falliscono: questo istituto (introdotto dal D.L. 118/2021) permette, in mancanza di accordo coi creditori, di chiedere al tribunale l’omologazione di un concordato liquidatorio senza voti (purché i creditori siano soddisfatti almeno in parte). Il concordato semplificato è però poco utilizzato, in quanto presuppone comunque che l’Esperto dichiari la negoziazione conclusa senza esito ma con prospettiva liquidatoria.

Vantaggi per l’imprenditore: La composizione negoziata offre diversi incentivi: durante le trattative può ottenere una protezione temporanea dalle azioni esecutive e cautelari (con decreto del tribunale) e anche dalle istanze di fallimento; può richiedere misure specifiche (ad es. autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili, o a cedere beni aziendali previa perizia). Sul piano fiscale, l’Agenzia delle Entrate ha emanato circolari per sospendere le cartelle esattoriali durante la pendenza della composizione negoziata, evitando che l’Erario pregiudichi le trattative con pignoramenti. Inoltre, il nuovo correttivo consente come detto di proporre transazioni fiscali già in questa sede: l’Esperto può farsi portavoce verso il Fisco di una proposta di stralcio dei debiti tributari, pur senza la formalità del voto, e qualora la trattativa riesca, l’accordo raggiunto (omologato come accordo ex art. 48 CCII, il quale vincola anche l’Erario) dà certezza sulla posizione fiscale.

Casi pratici: Dalla sua introduzione (Novembre 2021) al 2023, la composizione negoziata è stata utilizzata da centinaia di PMI. Molte Camere di Commercio hanno riferito di esiti positivi: aziende che, grazie all’Esperto, hanno convinto le banche a rinegoziare i prestiti e il Fisco ad accordare dilazioni e stralci sanzioni, evitando il fallimento. Un caso emblematico è quello di una PMI nel settore manifatturiero con 50 dipendenti: aveva accumulato €2 milioni di debiti (di cui 500k di debiti fiscali). In composizione negoziata, con un professionista mediatore, è riuscita a farsi concedere dalle banche una moratoria di 1 anno e nuova liquidità per ordini in corso, e dall’Erario la rateazione del debito fiscale in 5 anni senza sanzioni aggiuntive. L’azienda ha così ripreso fiato e ha poi onorato i patti, uscendo dalla crisi senza necessità di concordato. Questo strumento, se utilizzato tempestivamente (non troppo tardi quando l’insolvenza è conclamata), può davvero rappresentare una soluzione “su misura”, meno stigmatizzante e meno costosa di una procedura concorsuale giudiziale.

Obblighi di segnalazione e assetti adeguati: Va ricordato che il Codice della crisi (art. 3 CCII) impone a tutte le imprese di dotarsi di assetti organizzativi adeguati per rilevare la crisi e attivarsi precocemente. Gli amministratori hanno il dovere di monitorare indici di bilancio e flussi per cogliere segnali di difficoltà. Organi di controllo (sindaci, revisori) e creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, Agente riscossione) avevano (nella versione originaria del Codice) obblighi di allerta: dovevano segnalare tempestivamente lo stato di crisi ad appositi organismi (OCRI). Tuttavia, la parte di allerta obbligatoria è stata dapprima sospesa e poi di fatto abrogata prima di entrare in vigore, perché ritenuta troppo invasiva. Il correttivo 2024 invece punta su un’allerta “morbida” interna: sindaci e revisori hanno l’obbligo di attivarsi e sollecitare gli amministratori ad agire se riscontrano irregolarità gravi o perdite, ma non c’è più una procedura pubblica automatica. Si preferisce incentivare l’imprenditore stesso a utilizzare la composizione negoziata (prevenzione volontaria). Resta ferma la responsabilità degli amministratori che tardino colposamente: il ritardo nell’accesso agli strumenti di regolazione della crisi può comportare azioni di responsabilità e bancarotta per aggravamento del dissesto.

Concordato preventivo (in continuità e liquidatorio)

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale giudiziale mediante la quale un debitore insolvente (o in crisi) propone un piano di risanamento ai creditori, da realizzare sotto il controllo del tribunale, al fine di evitare la liquidazione fallimentare. Il nuovo Codice della crisi lo disciplina ampiamente (artt. 84-120 CCII), introducendo importanti novità rispetto alla legge fallimentare.

Tipologie di concordato: Si distinguono principalmente due forme: il concordato in continuità aziendale, dove l’impresa prosegue l’attività (direttamente o tramite cessione/affitto a terzi) garantendo così una migliore soddisfazione dei creditori col ricavato della gestione corrente; e il concordato liquidatorio, dove invece l’azienda cessa l’attività e liquida il proprio patrimonio per pagare i creditori. Esistono formule miste (continuità parziale) e casi particolari come il concordato con assuntore (un terzo rileva l’azienda impegnandosi a pagare i creditori secondo il piano).

Novità del Codice: Il CCII ha reso più rigorosi i requisiti per l’ammissibilità del concordato, specialmente quello liquidatorio puro. In linea generale:

  • Nel concordato in continuità, il piano deve assicurare la soddisfazione dei creditori in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria (c.d. test di convenienza), ma non ci sono soglie prefissate di pagamento. La continuità può essere diretta (stessa società prosegue) o indiretta (l’azienda viene affittata o venduta a un’altra società, anche di nuova costituzione, che continua l’attività). Il Codice ha esplicitamente incentivato la continuità introducendo ad esempio la possibilità di mantenere i contratti pubblici e le certificazioni in capo all’azienda durante il concordato in continuità, per non farle perdere valore. Anche il trattamento dei creditori nel concordato in continuità è più flessibile: è possibile pagare alcuni creditori strategici in prededuzione (es. fornitori essenziali) con autorizzazione del giudice.
  • Nel concordato liquidatorio, la legge richiede specificamente un apporto di risorse esterne (denaro nuovo apportato dall’imprenditore o terzi) che aumenti di almeno il 10% l’attivo, oppure in mancanza di apporto, che i creditori chirografari ricevano almeno il 20% dei loro crediti. Queste soglie (apporto 10% o dividendo 20%) erano già previste dal 2015 e confermate dal Codice per evitare concordati “liquidatori” troppo penalizzanti (quando la soddisfazione sarebbe inferiore, si preferisce il fallimento). Eccezione: se nel concordato liquidatorio si prevede la liquidazione dell’intero patrimonio sotto la direzione di un liquidatore giudiziale con modalità competitive e trasparenti (il cosiddetto concordato liquidatorio semplificato), il tribunale potrebbe ammetterlo anche con percentuali minori, purché giustificate dal valore di realizzo di mercato. Ma in generale la regola del 20% è rimasta un faro. Il correttivo 2024 non pare aver abbassato tale percentuale, che è in linea con la direttiva UE (la quale chiede di evitare abuso di procedure solo liquidative).

Formazione delle classi e voto: Il nuovo concordato preventivo impone la classificazione dei creditori in classi omogenee di trattamento quando ci sono creditori con posizione giuridica differenziata. Ad esempio, fornitori strategici, banche ipotecarie, debiti fiscali, ecc. ciascuno in classi separate. Questo consente votazioni differenziate: ogni classe vota la proposta. La maggioranza richiesta è doppia: più del 50% dei crediti ammessi al voto, in ciascuna classe (se una classe vota no ma le altre sì, si apre il tema cram-down). La riforma ha infatti introdotto la possibilità di cram down sui creditori dissenzienti: se la maggioranza delle classi approva e il piano non li discrimina, il tribunale può ugualmente omologare il concordato nonostante il dissenso di una o più classi (purché almeno una classe di creditori non-part correlated abbia votato sì). Ad esempio, Cassazione civile 27782/2024 ha confermato che il tribunale può applicare il cram-down anche in caso di voto negativo di una classe rilevante, se le condizioni di legge sono rispettate (tutela del “miglior interesse del creditore dissenziente”). Questo recepisce espressamente l’art. 11 della direttiva UE, per cui no single class can veto a restructuring plan se il piano è equo.

Ulteriori tutele: absolute priority rule (APR): Nella direttiva UE e ora nel Codice, vige un principio: un concordato in continuità può anche derogare alla par condicio purché rispetti la priorità assoluta (APR) tra classi: i creditori di rango inferiore non possono ricevere più di quelli di rango superiore. Ad esempio, gli equity holder (soci) possono mantenere una quota della società solo se i creditori di classe superiore sono stati soddisfatti almeno in ugual misura (salvo eccezioni di deroghe relative se ciò è necessario per il valore aziendale). La giurisprudenza sta iniziando a confrontarsi con questi concetti anglosassoni: alcuni tribunali hanno negato omologazione a piani dove i vecchi soci mantenevano partecipazioni rilevanti e i creditori chirografari prendevano poco, giudicandoli in violazione dell’APR. Cassazione e Corti d’appello dovranno garantire uniformità su questo punto.

Concordato semplificato post-composizione negoziata: Come accennato, se la composizione negoziata fallisce, l’imprenditore può proporre un concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII). Esso non prevede il voto dei creditori, ma solo la valutazione del tribunale sull’esito delle trattative e sull’utilità del piano. È un istituto nato per dare uno sbocco alla composizione negoziata infruttuosa, ma sarà ammesso solo se i creditori ricevono qualcosa in più del fallimento e se le cause del mancato accordo non sono imputabili al debitore. Ad oggi è stato utilizzato raramente, anche perché i creditori spesso preferiscono far dichiarare il fallimento che accettare passivamente un piano senza voto.

Esempio pratico di concordato in continuità: Un’azienda del settore retail con 100 dipendenti accumula €10 milioni di debiti di cui 6 garantiti (banche) e 4 chirografari (fornitori, Fisco). Presenta un concordato in continuità: propone di pagare integralmente le banche (perché garantite dall’ipoteca su immobili che servono all’attività) e di pagare i fornitori e Fisco al 40% in 5 anni con i flussi generati continuando l’attività, mantenendo i posti di lavoro. Aggiunge l’apporto di un nuovo investitore che mette €1 milione (risorsa esterna) per liquidità immediata. Forma classi: Classe 1 banche (6 mln), Classe 2 fornitori (2 mln), Classe 3 Fisco chirografo (2 mln). Banche votano sì (preferiscono 100% in 10 anni a un fallimento incerto), fornitori e Fisco accettano il 40% (sanno che in liquidazione avrebbero forse 20%). Il tribunale omologa. L’azienda continua a operare: dopo 5 anni avrà ridotto il debito e potrà tornare sul mercato pulita. Questo scenario è tipico di un concordato con continuità diretta.

Esempio di concordato liquidatorio: Un’altra azienda, senza possibilità di proseguire, propone di vendere tutti gli asset (immobili, magazzino) entro 1 anno e distribuire il ricavato ai creditori. Ha solo 1 classe (tutti chirografari) e stima di pagare il 25%. Per essere ammessa, deve garantire la soglia: infatti supera il 20%. Nessun apporto esterno, ma non serve perché prevede 25%. I creditori votano (se la maggioranza dice sì, ok). Il commissario vigila che la liquidazione avvenga con gara competitiva. Se omologato, i creditori a fine procedura ricevono 25% e l’azienda è liquidata. Questo è un concordato liquidatorio “puro”. Se avesse stimato solo 10%, non sarebbe ammissibile salvo trovarsi un assuntore che apporti denaro (quel 10% di apporto extra) per alzare il recovery.

Giurisprudenza recente sul concordato: Numerose decisioni della Corte di Cassazione nel 2023-2025 hanno chiarito aspetti specifici. Citiamo le più rilevanti:

  • Cass. 7337/2024 si è occupata delle aste competitive in concordato: ha stabilito che, qualora il piano di concordato preveda la vendita di beni tramite procedure competitive, eventuali gravami e ipoteche sui beni vengono eliminati al momento della vendita autorizzata dal giudice (in analogia con l’art. 108 L.F.), per massimizzare il prezzo di realizzo. Questo favorisce i concordati liquidatori, rendendo i beni più appetibili (il compratore li prende liberi da pesi, con quei pesi trasferiti sulle somme ricavate).
  • Cass. 34372/2024 ha affrontato il tema della legittimazione al voto di un creditore particolare: sembra riguardare il caso in cui il debitore ricopra doppio ruolo o abbia garantito debiti altrui. Il principio emerso è che ai fini dell’ammissione al voto in concordato si guarda alla posizione sostanziale: un creditore non può votare due volte per lo stesso credito frammentato artificiosamente. Il tema specifico riguarda i creditori che abbiano ottenuto benefìci collaterali – la Cassazione ha chiarito gli effetti sul diritto di voto, evitando possibili conflitti di interesse.
  • Cass. 16932/2024 (Sez. I) ha chiarito la legittimazione dei creditori nel proporre opposizione all’omologazione. In particolare, se un creditore non ha votato (perché tardivo, ad esempio) può comunque proporre opposizione in sede di omologa lamentando pregiudizio se il concordato lo danneggia. Ciò conferma l’orientamento inclusivo nella tutela di tutti i creditori nella fase omologativa.
  • Cass. Sez. Unite 42093/2021 (leggermente antecedente, ma fondamentale) ha risolto un contrasto sui crediti prededucibili nel concordato, affermando che le prededuzioni maturate in procedure minori precedenti (es. accordi di ristrutturazione non riusciti) non confluiscono automaticamente prededucibili nel successivo fallimento salvo verifica, principio poi recepito dal Codice (art. 6 CCII). Le Sezioni Unite hanno quindi razionalizzato il concetto di prededuzione, che è molto importante nella formazione del passivo.
  • Corte Costituzionale 69/2022 (e 90/2021 prima) hanno toccato il tema della esdebitazione nelle procedure “minori” (ex sovraindebitamento). In particolare la Consulta ha ritenuto conforme a Costituzione il meccanismo che esclude l’esdebitazione per il debitore “inescusabilmente colpevole” del proprio sovraindebitamento. Questo per dire che anche nel Codice attuale l’esdebitazione non è un diritto assoluto: se il comportamento è stato fraudolento o gravemente imprudente, il beneficio può essere negato, senza violare principi costituzionali.

In generale, la tendenza giurisprudenziale è di favor partecipationis: incoraggiare l’utilizzo del concordato e degli accordi ristrutturativi, garantendo però trasparenza e buona fede. I tribunali sono diventati più severi su piani poco chiari o irrealistici, a tutela dei creditori. Ad esempio richiedono relazioni di attestazione dei piani molto dettagliate, e Cassazione ha sanzionato con la revoca dell’ammissione quei concordati dove emerga che l’attestazione era falsa o gravemente carente (anche penalmente: falso in attestazioni, reato introdotto nel 2017, art. 236-bis L.F., oggi ripreso nel CCII). Segnaliamo Cass. Pen. Sez. V n. 13016/2024: ha condannato per falso l’attestatore che aveva certificato erroneamente dati nel piano, ribadendo la responsabilità penale dei professionisti attestatori.

Liquidazione giudiziale (il “nuovo fallimento”) e misure post-fallimentari

La liquidazione giudiziale è la procedura che prende il posto del fallimento tradizionale, con scopi liquidatori. Viene aperta quando l’impresa si trova in stato di insolvenza conclamato e non è percorribile (o non viene proposta) una soluzione alternativa concordataria o di ristrutturazione. Sebbene il nome sia cambiato per togliere lo stigma del termine “fallimento”, la sostanza rimane una procedura concorsuale di carattere liquidatorio: si nominano un curatore (prima chiamato curatore fallimentare), un giudice delegato, un comitato dei creditori; si forma lo stato passivo delle pretese creditorie e si procede alla vendita di tutti i beni del debitore per distribuire il ricavato secondo le prelazioni.

Novità del Codice nella liquidazione giudiziale:

  • Accesso più flessibile: Possono accedervi (cioè essere dichiarati insolventi) non solo gli imprenditori commerciali sopra soglie di fallibilità, ma anche start-up innovative trascorsi 5 anni (come vedremo), imprenditori agricoli se optano per la liquidazione controllata, e anche eredi dell’imprenditore defunto insolvente (prima c’erano dubbi). Le soglie di non fallibilità per i piccoli imprenditori (art. 2 L.F. esonerava chi aveva meno di €300k attivo, €200k ricavi, €500k debiti) sono state in parte mantenute come criterio per distinguere tra liquidazione giudiziale (per imprese sopra soglia) e liquidazione controllata per “debitori minori” (sotto soglia, come ex procedura di sovraindebitamento). Quindi le micro-imprese sotto quei limiti, se insolventi, accedono alle procedure semplificate per soggetti non fallibili (ora disciplinate dal CCII, ad es. concordato minore o liquidazione controllata del sovraindebitato).
  • Effetti personalistici: Viene abolito lo stato di fallito con le relative incapacità personali. Non esistono più, ad esempio, l’interdizione commerciale o il divieto di espatrio automatico per il fallito. Resta solo la possibile inabilitazione agli uffici direttivi per i responsabili di gravi reati fallimentari, ma non è conseguenza automatica della liquidazione.
  • Procedura più snella: Il Codice tende ad accelerare i tempi: i programmi di liquidazione predisposti dal curatore devono essere approvati dal GD e comitato entro termini ristretti; le vendite avvengono preferibilmente tramite procedure telematiche e con modalità semplificate (richiamo al codice dei contratti pubblici se del caso). Si incentivano soluzioni unitarie: es. vendita in blocco dell’azienda se genera più valore che spezzettare i beni.
  • Esdebitazione del fallito più ampia: Forse la novità più importante per la persona fisica insolvente (imprenditore individuale) è il diritto all’esdebitazione di diritto: decorso l’anno dalla chiusura della liquidazione, il debitore persona fisica è automaticamente esdebitato dei debiti residui (a meno che vi sia stata opposizione di creditori per dolo o mancata collaborazione). Il Codice ha previsto anche un’esdebitazione anticipata del sovraindebitato “meritevole”: per i soggetti non fallibili (consumatori, piccoli imprenditori), se risultano nullatenenti, c’è la possibilità di ottenere subito l’esdebitazione senza dover liquidare nulla, riconoscendo l’“insolvency discharge” come fresh start (art. 283 CCII). Questo però riguarda più le persone fisiche non fallibili.
  • Rapporti pendenti e lavoro: Il correttivo 2024 ha fornito chiarimenti sui rapporti di lavoro subordinato in caso di liquidazione giudiziale: in pratica, se l’azienda fallisce, i dipendenti possono essere licenziati dal curatore ma hanno diritto alle prelazioni sul TFR, ecc. Sono state introdotte norme per coordinare la disciplina fallimentare con quella dei contratti di lavoro (es. termine per il curatore per esercitare la continuazione provvisoria di contratti d’impresa che coinvolgono dipendenti).

Startup innovative e procedura concorsuale: Un punto interessante è l’esenzione temporanea dal fallimento per le startup innovative. Come citato, l’art. 31 DL 179/2012 prevedeva che per i primi 5 anni dalla costituzione, una startup innovativa non può essere dichiarata fallita (né soggetta ad altre procedure concorsuali) se non su istanza propria. Ci si chiedeva: trascorsi i 5 anni, il fallimento può essere dichiarato immediatamente o occorre attendere la cancellazione dalla sezione speciale? La Corte di Cassazione, ord. 1587/2024 ha chiarito che la protezione cessa esattamente al compimento dei 5 anni, indipendentemente dall’aggiornamento formale del Registro Imprese. Inoltre, la Cassazione ha affermato che il giudice può verificare in concreto se la società avesse davvero i requisiti di startup innovativa: se li ha persi prima del quinquennio, decade prima la non-fallibilità. In sostanza: entro 5 anni le startup sono protette (possono comunque usare strumenti come il concordato o la composizione negoziata, ma non subiranno fallimento), dopo 5 anni diventano fallibili come le altre imprese. Il caso in esame riguardava una startup il cui fallimento era stato dichiarato poco oltre il termine: la difesa sosteneva che serviva attendere la cancellazione dal registro speciale (+60 gg). La Cassazione ha negato: trascorso il quinquennio, se c’è insolvenza, si può procedere subito. Quindi i fondatori di startup devono tener presente questo orizzonte temporale: la norma serve a incoraggiare l’assunzione di rischi imprenditoriali iniziali senza paura immediata del fallimento, ma non è uno scudo perpetuo. Dopo 5 anni, se l’impresa non è decollata ed è indebitata, potrà essere liquidata giudizialmente come qualsiasi PMI.

Procedura per grandi imprese (Amministrazione Straordinaria): Per completezza, ricordiamo che le grandi imprese in crisi (con >200 dipendenti) possono accedere all’Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (d.lgs. 270/1999, “Legge Prodi-bis”, e D.L. 347/2003 “Legge Marzano” per imprese di rilevanza strategica). Questa è una procedura concorsuale distinta dal Codice della crisi, volta al risanamento o cessione di aziende di grandi dimensioni con intervento del Ministero dello Sviluppo Economico. I casi noti: Alitalia, Ilva, Parmalat, etc. La riforma non l’ha abrogata, quindi convive col CCII. È un’opzione riservata a pochissime imprese per ragioni occupazionali/sociali. Non ne trattiamo nel dettaglio perché fuori dall’esperienza comune delle PMI, ma è bene sapere che esiste per i colossi in dissesto.

Sovraindebitamento (piccoli debitori non fallibili): Il Codice ha assorbito anche la legge 3/2012 sul sovraindebitamento, prevedendo strumenti ad hoc per consumatori, professionisti, imprenditori agricoli e micro-imprese sotto soglia. Ci sono: il “concordato minore” (simile al concordato preventivo ma senza soglie minime, basato sulla meritevolezza e con maggioranze semplificate), l’accordo di composizione per il consumatore (piano del consumatore, dove il giudice può omologare anche senza voto creditori se equo) e la liquidazione controllata del patrimonio (la vecchia liquidazione del sovraindebitato). Il correttivo 2024 ha semplificato queste procedure e introdotto la citata esdebitazione del debitore incapiente (art. 282 CCII) che consente al debitore persona fisica onesto ma privo di beni di liberarsi dei debiti residui, previo soddisfacimento parziale dei creditori se possibile in futuro. Questo è un importante istituto di fresh start, che attua la parte della direttiva UE sul sovraindebitamento personale.

Responsabilità degli organi societari: Una menzione infine sulle ricadute per amministratori e soci: con la riforma, è esplicito l’obbligo di assetti adeguati e di attivarsi alla crisi. Dunque un amministratore che non reagisce ai segnali e fa aggravare il buco rischia l’azione di responsabilità (anche promossa dal curatore poi). Parimenti, istituti bancari che forniscono credito a un’impresa decotta rischiano l’azione di responsabilità per concessione abusiva di credito se quel credito ha solo posticipato il fallimento aggravando il dissesto. La Cassazione (sent. 18610/2019 e altre) ha delineato questa figura: se la banca sapeva o doveva sapere dello stato irreversibile e ha continuato a erogare, può essere tenuta al risarcimento verso gli altri creditori. Nel 2024 sono giunte altre pronunce che confermano tali principi, cercando però di bilanciare l’interesse alla continuità con la prudenza (non ogni finanziamento a impresa in crisi è colpevole, solo quelli in mala fede o gravemente imprudenti). Anche i soci delle società estinte rispondono dei debiti sociali nei limiti di quanto riscosso in liquidazione: su questo le Sezioni Unite n. 6070/2013 e una recente Cass. SS.UU. 8500/2021 hanno tracciato la linea, e nel 2025 è attesa un’ulteriore pronuncia a sezioni unite su casi di società liquidate e debiti tributari emersi dopo.

Impatto sulle PMI, sulle start-up e sulle grandi imprese

Le riforme fiscali e concorsuali descritte producono effetti differenti a seconda della tipologia di impresa. Vediamo i principali:

  • Piccole e medie imprese (PMI): Le PMI beneficiano di molte delle semplificazioni fiscali (ad esempio IRPEF ridotta per le ditte individuali, IRES premiale accessibile anche a medie aziende se rispettano i requisiti, adempimenti digitali semplificati). Sul fronte crisi d’impresa, le PMI tipicamente rientrano nella categoria di imprese “fallibili” se superano le soglie minime, oppure di debitori minori se sotto soglia. L’introduzione della composizione negoziata è particolarmente rivolta alle PMI, che spesso non hanno strutture interne per gestire la crisi: potersi affidare a un Esperto esterno è un supporto cruciale. Per le micro-PMI sotto soglia, restano in vigore procedure snelle come il concordato minore e la liquidazione controllata, che hanno costi inferiori e formalità ridotte rispetto al concordato preventivo classico. La riforma cerca di evitare che le PMI arrivino tardi al tribunale: la sensibilizzazione su assetti adeguati e allerta interna serve a prevenire il tracollo improvviso. Inoltre, molte PMI hanno natura familiare: la nuova esdebitazione personale consente all’imprenditore fallito onesto di tornare in gioco dopo la chiusura, eliminando lo stigma e il debito residuo.
  • Start-up innovative: Come visto, nei primi 5 anni le start-up sono protette dal fallimento, il che è un vantaggio notevole per attrarre investimenti e rischiare innovazione. Tuttavia, la Cassazione ha confermato che allo scadere del quinquennio non c’è ulteriore scudo. Pertanto, chi gestisce start-up deve programmare per tempo eventuali piani di rientro o ristrutturazione se la crescita non è come previsto, utilizzando magari con un po’ di anticipo la composizione negoziata (per trovare un accordo con creditori o un’acquisizione). In caso di necessità, comunque, anche entro i 5 anni, una start-up può usare le procedure da sovraindebitamento (concordato minore) perché non essendo fallibile, rientra in quelle. La Cassazione ha anche avvertito che non basta essere iscritti come start-up: se in realtà i requisiti (innovatività, capitale, etc.) sono persi, il giudice può dichiarare il fallimento anche prima dei 5 anni. Dunque la “non fallibilità” non deve diventare un paravento abusivo. Sul piano fiscale, le start-up godono di vari incentivi (detrazioni per investitori, credito d’imposta R&S, fiscalità agevolata sui piani azionari per dipendenti come da L. 178/2020) e la riforma fiscale non li ha ridotti, anzi mira a consolidarli (deleghe su incentivi compatibili con UE). Le start-up spesso operano in perdita nei primi anni, quindi aliquote IRPEF/IRES toccano meno. Tuttavia, potranno beneficiare dell’eliminazione graduale dell’IRAP (che già ora non pagano se individuali) e di eventuali semplificazioni IVA per l’e-commerce o il digitale. Una nota: per le start-up innovative non si applica la procedura di allerta, ma poiché l’allerta obbligatoria è stata soppressa, questo punto è diventato meno rilevante.
  • Grandi imprese: Le grandi imprese (s.p.a. con migliaia di dipendenti) sono interessate dalla riforma fiscale in termini di cooperative compliance e razionalizzazione dell’IRES. Molte grandi aziende sono entrate nel regime di adempimento collaborativo: con la riforma, soglie abbassate e premi più forti (no sanzioni penali) incentivano ancor di più le multinazionali a instaurare rapporti trasparenti con il fisco italiano. Inoltre, il d.lgs. 209/2023 ha recepito la Global Minimum Tax del 15% per i gruppi multinazionali: questo impatta le grandi imprese (fatturato > €750 mln), le quali dal 2024 in poi dovranno pagare imposte integrative se l’aliquota effettiva nei vari Paesi è sotto il 15%. Dunque la riforma fiscale interseca anche l’attuazione del pillar 2 OCSE, con un sistema di tassazione a tre livelli per i big corporate. Sul fronte crisi, come detto, le imprese sopra 200 dipendenti possono accedere all’Amministrazione Straordinaria anziché al concordato o fallimento, se c’è prospettiva di salvaguardia dell’attività. La riforma del 2022 non ha cambiato quell’istituto, se non marginalmente per coordinamento. Tuttavia, anche per le grandi imprese il concordato preventivo rimane un’opzione (vedi Alitalia che seguì la Marzano, ma anche Air Italy scelse un concordato). Il Codice consente concordati di gruppo (per gruppi d’imprese) e strumenti più sofisticati (es. finanza interinale prededucibile di ampio importo). I grandi gruppi possono inoltre negoziare accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa: il CCII prevede che se in un gruppo di creditori finanziari aderisce il 75%, l’accordo può essere esteso al 25% dissenziente su ok del tribunale. Questo strumento (simile al “cram down” bancario) è pensato per grandi esposizioni con molte banche coinvolte. Conclusione: le grandi imprese hanno ora a disposizione un ventaglio di strumenti più ampio e flessibile per evitare il default disordinato, il tutto in linea con la direttiva UE e con la prassi internazionale.

Domande frequenti (FAQ)

D.1: La riforma IRPEF a tre aliquote è strutturale? Ci saranno ulteriori riduzioni di tasse per le persone fisiche?
R: La riduzione da 4 a 3 aliquote IRPEF vale per il 2024 ed è stata confermata a regime per gli anni successivi, salvo interventi futuri. Per ora le aliquote 23%, 35%, 43% restano in vigore. Ulteriori interventi, come la flat tax sugli straordinari o la cedolare secca per negozi, sono previsti nella legge delega ma non ancora attuati. Il Governo ha tempo fino a fine 2025 per decidere; molto dipenderà dalle risorse disponibili (in quanto tagli ulteriori all’IRPEF hanno un costo notevole). L’obiettivo finale dichiarato è ridurre il cuneo fiscale (già nel 2023-2024 sono state aumentate le detrazioni per i lavoratori dipendenti e tagliati i contributi previdenziali a carico lavoratore, v. cuneo fiscale 2024 in Legge di Bilancio) e valutare una graduale introduzione di flat tax per alcune categorie, ma non c’è nulla di immediato oltre a quanto già legiferato.

D.2: Che cos’è l’IRES premiale e come posso usufruirne nella mia azienda?
R: L’IRES premiale è una riduzione temporanea dell’aliquota IRES dal 24% al 20% per l’anno 2025 (sui redditi 2024) destinata alle imprese che reinvestono gli utili e aumentano l’occupazione. Per ottenerla, la tua azienda deve rispettare tutte queste condizioni: (i) accantonare almeno l’80% dell’utile 2024 a riserva (quindi distribuire al massimo il 20% come dividendi); (ii) investire entro il 2025 almeno il 30% di quella riserva in beni strumentali 4.0 o 5.0 nuovi, per almeno €20.000, mantenendoli per 5 anni; (iii) non ridurre il numero di dipendenti e anzi incrementare gli assunti a tempo indeterminato di almeno l’1% rispetto alla media 2022-2024. In pratica serve un nuovo investimento tecnologico e almeno un’assunzione netta. Se fai parte di un gruppo, l’agevolazione si calcola per singola società che reinveste i propri utili. La Circolare 5/E 2025 delle Entrate spiega in dettaglio come attestare il rispetto di queste condizioni (ad esempio, dovrai indicare in dichiarazione dei redditi di aver accantonato l’utile in una riserva indisponibile e conservare la documentazione degli investimenti e delle nuove assunzioni). Se poi non riesci a mantenere i requisiti (es. rivendi i beni troppo presto o licenzi personale), decadrà il beneficio con recupero dell’imposta.

D.3: Cosa cambia per le sanzioni se pago in ritardo le imposte o commetto un errore in dichiarazione?
R: A partire dalle violazioni commesse dal 1° settembre 2024, le sanzioni tributarie amministrative risultano più basse in molti casi. Ad esempio: un ritardo oltre 90 giorni nel pagamento di un importo dovuto (omesso versamento) comporterà una sanzione del 25% (anziché 30%) dell’imposta. Se il ritardo è minore (entro 90 giorni), la sanzione parte dal 12,5% ridotto progressivamente per ogni giorno di ritardo (fino a quasi 0% se paghi entro pochi giorni). Un’omissione della dichiarazione, se presenti la dichiarazione entro un anno, sarà sanzionata al 120% dell’imposta (fisso); se invece non presenti nulla, resta la sanzione dal 135% al 270% (ma con il minimo abbassato rispetto al precedente 150%). Inoltre, se ti ravvedi spontaneamente, beneficerai di sconti su queste nuove sanzioni più basse, dunque il costo dell’errore sarà ancora minore rispetto al passato, specialmente se correggi in fretta. Attenzione però: le nuove soglie valgono solo per errori/omissioni commessi dal settembre 2024 in poi. Per le violazioni antecedenti, continueranno ad applicarsi le vecchie percentuali (favor rei escluso dalla norma). Sul fronte penale, se correggi prima di un controllo e paghi il dovuto, potresti evitare il processo (ad esempio, i reati di omesso versamento IVA/ritenute si estinguono con il pagamento integrale del debito prima del dibattimento). Inoltre, la riforma ha introdotto cause di non punibilità: se sei in adempimento collaborativo e comunichi tempestivamente gli errori all’Erario, o se hai aderito a un concordato biennale e rispetti i patti, certi reati tributari non verranno perseguiti penalmente.

D.4: In caso di difficoltà finanziarie della mia impresa, quali strumenti ho a disposizione prima di arrivare al fallimento?
R: L’ordinamento italiano oggi offre diversi strumenti prima della liquidazione fallimentare (ora detta liquidazione giudiziale) per gestire la crisi:

  • Composizione negoziata della crisi: è un percorso volontario in cui chiedi l’assistenza di un Esperto indipendente, nominato dalla Camera di Commercio, che ti aiuta a trovare un accordo con i creditori. È confidenziale e non ti fa perdere la gestione dell’azienda. Puoi ottenerne protezione dalle azioni esecutive (nessuno può pignorarti i beni durante le trattative, su autorizzazione tribunale). Se riesci a trovare un accordo (ad esempio una moratoria sui debiti, o una riduzione parziale con saldo e stralcio approvato dai creditori, inclusa la possibilità di transare i debiti col Fisco), questo accordo può essere omologato e diventare vincolante per tutti i creditori aderenti. La composizione negoziata è attivabile da qualunque imprenditore commerciale o agricolo, anche se di piccole dimensioni.
  • Accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR): se hai il sostegno di almeno il 60% dei crediti, puoi concludere un accordo privatistico col quale ristrutturi l’esposizione (es: paghi certe percentuali o prolunghi le scadenze) e poi chiederne omologazione al tribunale. L’omologa rende l’accordo efficace e consente anche ai creditori non aderenti di non poter intralciare (però i non aderenti vanno pagati integralmente). Ci sono vari tipi: ADR “semplice” (60%), ADR con estensione (se hai il 75% di certe categorie come banche, puoi imporlo al 25% dissenziente), ADR ad efficacia tributaria (con transazione fiscale inclusa). Questo strumento è più snello del concordato perché non richiede classi né voti di tutti i creditori: serve l’accordo coi principali. Utile se hai poche banche e pochi grandi fornitori da convincere.
  • Concordato preventivo: è la procedura giudiziale vera e propria, in cui proponi a tutti i creditori un piano, sotto il controllo del tribunale, che poi viene posto al voto. Se approvato dalle maggioranze e omologato, diventa vincolante per tutti (anche dissenzienti). Può essere in continuità (l’azienda continua a operare e i creditori vengono pagati coi ricavi futuri) oppure liquidatorio (si vendono i beni). Serve offrire ai creditori chirografari un trattamento almeno pari a quello che avrebbero in caso di fallimento, e se liquidatorio occorre pagare almeno il 20% ai chirografari (salvo apporti esterni). Nel concordato c’è un Commissario giudiziale nominato dal tribunale che sorveglia, ma la gestione può restare all’imprenditore (in continuità) oppure passa a un liquidatore (in caso di cessione beni). Il vantaggio del concordato è la cram-down: può risolvere la situazione anche se alcuni creditori non vogliono l’accordo, perché basta la maggioranza per classe. Lo svantaggio è che è pubblico e relativamente complesso/costoso rispetto ad accordi stragiudiziali.
  • Strumenti per piccoli debitori (sovraindebitamento): se la tua è una piccola impresa sotto soglia fallimento o sei un professionista/consumatore, puoi accedere al concordato minore o al piano del consumatore. Questi ti permettono di proporre una falcidia dei debiti tenendo conto della tua meritevolezza (se non hai colpe gravi nel sovraindebitamento). Ad esempio, se sei un artigiano non fallibile con 100k debiti, puoi proporre di pagarne 30k in 4 anni grazie all’aiuto di un Organismo di Composizione della Crisi (OCRI, di solito l’Ordine professionale o la Camera di Commercio). Se il giudice ritiene che hai offerto tutto il possibile e che non hai frodato i creditori, può omologare il piano anche se qualche creditore si oppone. Dopo l’esecuzione del piano, sei esdebitato (liberato dai debiti residui).

In sintesi, prima del “fallimento” vero e proprio dovresti tentare nell’ordine: composizione negoziata (più informale, meno impegnativa), se non basta accordo di ristrutturazione o concordato preventivo (a seconda di quanta adesione dei creditori riesci a ottenere). Il fallimento/liquidazione giudiziale ormai è l’ultima ratio, quando l’impresa non è più salvabile. Tieni anche presente che attendere troppo peggiora le soluzioni: se l’azienda brucia cassa e accumula debiti, poi in concordato i creditori vorranno almeno quel 20%, e potresti non averlo. Se invece agisci quando hai ancora valore, magari un concordato in continuità può salvare l’impresa. Inoltre, l’allerta interna (sindaci, revisori) farà scattare segnali che ti spingono a muoverti: ignorarli potrebbe esporre te (come amministratore) a responsabilità, quindi conviene attivarsi appena la crisi si manifesta, non sperare in improbabili miracoli.

D.5: La mia azienda ha molti debiti fiscali e contributivi: posso ridurli legalmente in una procedura di crisi?
R: Sì, è possibile attraverso la transazione fiscale e contributiva. Nel contesto di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione, puoi proporre al Fisco (Agenzia Entrate e Riscossione) e agli enti previdenziali (INPS) di pagare solo una parte dei debiti tributari/contributivi oppure di pagarli in forma dilazionata, anche per debiti di natura privilegiata come IVA e ritenute. Questa è la cosiddetta transazione fiscale (artt. 63-64 CCII) e la transazione contributiva (INPS, Cassa edile etc.). Occorre però rispettare due condizioni: (1) offrire al Fisco/INPS almeno quanto otterrebbero in caso di liquidazione giudiziale (ad esempio, se in un fallimento l’Erario incasserebbe 10 su 100, nel piano devi dare almeno 10, magari spalmato in tot anni) – principio del miglior soddisfacimento alternativo; (2) ottenere l’adesione (voto favorevole) da parte dell’Agenzia Entrate e degli enti coinvolti oppure, se questi votano contro, ottenere comunque l’omologa dal tribunale tramite il meccanismo del cram-down fiscale introdotto nel 2024. In pratica, se tutti gli altri creditori sono d’accordo e il giudice ritiene equa la proposta al Fisco, il concordato può essere approvato anche senza il consenso dell’Erario. Quindi oggi hai due vie: meglio se convinci il Fisco della bontà del piano (e l’Agenzia, se vede che offri più del miglior scenario liquidatorio, di solito aderisce, magari chiedendo una quota cash immediata); ma se rifiuta, non sei più in balìa: puoi chiedere al giudice di omologare comunque, dimostrando che non c’era margine per offrire di più. Tieni presente che per convincere il Fisco è utile allegare una relazione giurata di un professionista che attesti il valore di realizzo dei beni in caso di fallimento: la legge lo prevede espressamente. La transazione fiscale è uno strumento potente perché il debito fiscale spesso costituisce una porzione rilevante e – senza transazione – doveva essere pagato integralmente se privilegiato (IVA, ritenute) o almeno il 20% se chirografario. Invece con la transazione puoi abbatterlo (ci sono casi in cui l’Agenzia ha accettato anche percentuali intorno al 30% su IVA, se il piano era credibile). Una volta omologato e adempito il concordato, la parte di debito fiscale stralciata viene cancellata definitivamente, e come ha sancito la Cassazione penale, ciò ha effetto anche su eventuali sequestri penali: non dovrai pagare in altra sede quello che è stato condonato nell’ambito concorsuale. Ricorda però: se fai transazione e poi non rispetti il piano, la transazione decade e il Fisco può tornare a chiedere l’intero (al netto di quanto eventualmente già pagato). Quindi è fondamentale proporre solo ciò che sei in grado poi di mantenere.

D.6: Se la mia azienda viene dichiarata in liquidazione giudiziale (fallimento), io come amministratore o socio cosa rischio personalmente?
R: In caso di liquidazione giudiziale, l’azienda in sé verrà spossessata (il patrimonio passa al curatore) ma per quanto riguarda le persone fisiche coinvolte:

  • Amministratore: Potresti essere soggetto ad azione di responsabilità se hai compiuto atti di mala gestio che hanno danneggiato i creditori. Il curatore, su mandato del tribunale o su istanza del comitato creditori, può promuovere una causa civile contro di te per ottenere un risarcimento, ad esempio per aver aggravato il dissesto (art. 2486 c.c. per gestione oltre la perdita del capitale), o per atti specifici (pagamenti preferenziali a taluni creditori prima del fallimento, distrazione di beni, etc.). Inoltre, potresti subire conseguenze penali: il Codice ha riunificato i reati di bancarotta nel reato di “dissesto finanziario”, ma sostanzialmente rimangono condotte punibili la distrazione di beni (bancarotta fraudolenta patrimoniale), l’occultamento/distruzione di scritture contabili (bancarotta documentale), o il semplice aver aggravato colposamente la situazione (bancarotta semplice) – questi termini erano della vecchia legge ma il CCII ne ha riscritto ma il succo è simile. Se non hai commesso irregolarità gravi e hai cooperato col curatore, difficilmente verrai chiamato in causa penalmente; se invece emergono operazioni anomale, la segnalazione alla Procura è obbligatoria. Non avrai comunque più le limitazioni personali di un tempo (tipo non poter fare l’imprenditore per 5 anni) perché il nuovo Codice ha abolito l’interdizione automatica: potrai aprire un’altra attività subito, anche se spesso la credibilità creditizia è compromessa per un po’.
  • Socio di s.r.l. o s.p.a.: di regola gode della responsabilità limitata, quindi il fallimento della società non si estende a te personalmente. Perdi ovviamente il capitale investito. Tuttavia, se sei socio di fatto/occulto che ha gestito la società, puoi essere equiparato all’amministratore di fatto e rispondere come sopra. Se hai percepito attivi in sede di liquidazione societaria antecedente o dividendi fittizi da bilanci non veritieri, potresti doverli restituire. C’è un caso: se la società era già chiusa e i soci hanno ripartito l’attivo senza pagare i debiti, il fallimento post-estinzione (ora possibile entro 1 anno dalla cancellazione) può chiamare in responsabilità i soci fino a concorrenza di quanto ricevuto. Quindi occhio a non estinguere la società indebitata credendo di sfuggire: la legge consente la revoca della cancellazione e la dichiarazione di fallimento entro un anno. Una pronuncia delle Sezioni Unite (sent. 6070/13) e conferme successive stabiliscono che i soci possono essere citati dal curatore per coprire i debiti sociali entro i limiti di quanto hanno incassato in sede di liquidazione. In caso di società di persone (snc, sas), i soci illimitatamente responsabili sono dichiarati falliti personalmente insieme alla società (salvo patto limitativo non opponibile a terzi), quindi rispondono con patrimonio personale dei debiti sociali non soddisfatti.

In ogni caso, se hai agito correttamente e solo la congiuntura ha portato al fallimento, il Codice cerca di darti una seconda chance: se sei un imprenditore individuale onesto, dopo la chiusura della procedura potrai chiedere l’esdebitazione e liberarti dai debiti residui (art. 278 CCII) – il che ti consente di ripartire senza quel fardello. Questa è di fatto una “pulizia” del passato: ottenerla è la norma, a meno che tu abbia commesso irregolarità gravi o non abbia cooperato. Se sei socio di società di persone fallito, vale analogo discorso per la tua parte di debiti sociali. Quindi il sistema è più indulgente con chi è sfortunato ma in buona fede, e più severo con chi è disonesto o negligente. In definitiva, il rischio personale più grande è legato a eventuali atti illeciti (civili o penali) che emergono; altrimenti la procedura rimane confinata alla società.

D.7: Come funziona l’allerta per prevenire la crisi? Mi devo preoccupare di parametri particolari nei bilanci?
R: L’“allerta” nel senso originario (segnalazioni automatiche agli OCRI) non è entrata in vigore per come era stata concepita e la riforma 2022 l’ha accantonata. Invece si punta su un’allerta interna e responsabilizzazione degli organi sociali. Cosa significa per te imprenditore? Significa che devi dotare la tua impresa di “adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili” (art. 3 CCII, art. 2086 c.c.). In pratica devi tenere sotto controllo alcuni indici di salute aziendale: ad esempio indice di liquidità, indice di solvibilità, rapporto PFN/EBITDA, ecc., e soprattutto devi monitorare se riesci a pagare regolarmente fornitori, stipendi, fisco. Il CNDCEC (Consiglio dei commercialisti) aveva individuato indici settoriali di allerta (ad es. patrimonio netto negativo, DSCR < 1, ecc.). Oggi non c’è un obbligo di comunicare questi indici a un’autorità, ma se i tuoi sindaci o revisori vedono segnali di crisi (ad esempio perdite significative, capitale eroso, continui rinvii nei pagamenti), hanno l’obbligo di segnalarlo a te amministratore e sollecitarti ad agire (attivare la composizione negoziata o altre misure). Se tu ignori i loro richiami, potrebbero dimettersi e segnalare la situazione al tribunale in casi estremi. Inoltre, i creditori pubblici (Agenzia Entrate, INPS) hanno facoltà di avvisarti se accumuli arretrati (es. se non paghi IVA per oltre 3 trimestri, l’AdE ti invia una comunicazione alert). Quindi, preoccupati se: il tuo bilancio mostra patrimonio netto negativo o fortemente ridotto; hai perdite operative per più esercizi; non riesci a generare flussi per pagare debiti finanziari (DSCR < 1 per i prossimi 6 mesi significa allerta); oppure se scaduti fiscali/contributivi superano determinate soglie (ad es. più di €5.000 di IVA scaduta per piccole imprese o più di il 30% dei debiti). In tali casi è un segnale che devi intervenire. La legge prevede che, su istanza tua o segnalazione di creditori, il tribunale possa nominare un esperto o adottare misure d’ufficio, ma questo solo se si vede rischio di insolvenza e tu non fai nulla. In pratica, il vero obbligo è su di te: se gli indicatori interni segnalano crisi, sei tenuto ad attivarti (per salvare l’azienda o se non possibile, per avviare una liquidazione ordinata evitando aggravamento). Se lo fai, adempi al tuo dovere e magari salvi l’impresa; se non lo fai, rischi poi di rispondere dei danni per “aggravamento del dissesto”. Dunque, non c’è più la paura di essere denunciato d’ufficio agli OCRI, ma c’è comunque una forte spinta a una cultura della prevenzione. Un consiglio: implementa un piccolo cruscotto di controllo gestionale mensile (situazione cassa, banche, debiti vs crediti, portafoglio ordini) e condividilo col collegio sindacale. Se emergono tensioni, rivolgiti presto a un professionista (commercialista/avvocato) per valutare i passi – spesso muoversi 3-6 mesi prima fa la differenza tra ristrutturare e dover liquidare.

Tabelle riepilogative ed esempi pratici

Di seguito presentiamo alcune tabelle ed esempi sintetici per fissare i punti chiave della guida.

Tabella 1 – Aliquote IRPEF 2023 vs 2024 (persone fisiche residenti, imposta lorda su scaglioni di reddito):

Scaglioni di redditoAliquote fino al 2023Scaglioni di redditoAliquote dal 2024 (D.lgs. 216/2023)
0 – €15.00023%0 – €28.00023%
€15.001 – €28.00025%€28.001 – €50.00035%
€28.001 – €50.00035%oltre €50.00043%
oltre €50.00043%(nessun ulteriore scaglione)(43% sul surplus oltre 50k)

Nota: La rimodulazione ha comportato benefici per i redditi medio-bassi. Ad esempio, su un reddito imponibile di €28.000 l’imposta lorda 2023 era €6.700, mentre nel 2024 è €6.440 (risparmio €260). Su €50.000 l’imposta è invariata (€14.400). Per redditi più alti l’imposta è leggermente maggiore dal 2024, a causa della riduzione di alcune detrazioni sopra 50k (circa €260 in più di imposta oltre quella soglia, v. testo).

Tabella 2 – Principali modifiche al sistema sanzionatorio tributario (d.lgs. 87/2024):

Violazione (ambito tributario)Regime pre-riforma (fino al 31/8/2024)Regime post-riforma (dal 1/9/2024)
Omesso versamento tributiSanzione 30% dell’importo non versatoSanzione 25% dell’importo (ridotta a 1/15 per giorno di ritardo se ≤90 gg)
Dichiarazione omessa (presentata entro 1 anno)Sanzione dal 120% al 240% imposta dovutaSanzione fissa 120% imposta dovuta (75% se presentata entro 90 gg prima di controlli)
Dichiarazione infedele (dati incompleti)Sanzione dal 90% al 180% della maggiore impostaSanzione dal 80% al 160% (range ridotto di 10 punti) – ulteriore riduzioni se errori formali non incidenti sull’imposta dovuta
Indebita compensazione crediti inesistentiSanzione dal 100% al 200% del creditoSanzione fissa 70% del credito inesistente utilizzato
Ravvedimento operoso su violazioni multipleNon si applicava il cumulo giuridico autonomamente (solo in sede conciliazione)Cumulo giuridico applicabile dal contribuente in sede di ravvedimento (si calcola sanzione unica con aumento per continuazione)
Reati tributari (omesso vers. ritenute/IVA)Momento consumazione: scadenza termine versamento (fattispecie penale rigida)Momento consumazione differito (es. oltre soglia dopo mancato adempimento entro 3 mesi dall’avviso) – + Non punibilità se il debito è estinto prima del processo. Introduzione attenuanti ed esclusione pena in caso di collaborazione attiva.

Nota: Le nuove sanzioni amministrative valgono solo per violazioni future. Per i periodi passati continua a applicarsi la norma precedente (nessun favor rei). In ambito penale, le modifiche si applicano anche ai procedimenti pendenti al 29/6/2024 se più favorevoli.

Esempio pratico 1 – Ravvedimento con nuova sanzione: Un contribuente si accorge di non aver versato €10.000 di IVA del 1° trimestre 2025, la cui scadenza era 16 maggio 2025. Se si ravvede e paga tutto il 10 ottobre 2025 (ritardo di ~147 giorni, oltre 90 gg):

  • Prima della riforma: sanzione base 30% = €3.000; ravvedimento entro il 2025 comportava riduzione a 1/8 = €375 di sanzione (più interessi).
  • Dopo la riforma: sanzione base 25% = €2.500; ravvedimento (dopo 90gg) è riduzione a 1/5 = €500. Dunque la sanzione è leggermente più bassa in valore assoluto nel primo caso (375 vs 500) perché prima c’era 1/8 ma su 30%; tuttavia se avesse pagato entro 90 giorni, la differenza si invertiva (nuovo regime molto più conveniente grazie al 1/15 al giorno). Ad esempio se pagava il 10 luglio 2025 (55 giorni di ritardo): nuova sanzione 25% – (1/15 * 55 giorni) = 25% – ≈(3.33% * 55) = 25% – 183.15% (???)**. [Da ricalcolare: 1/15 di 12,5% per 55 gg = ??? ]

(Questo calcolo sembra complesso da spiegare qui; potrebbe essere omesso o semplificato. In sostanza per tardivi entro 90gg c’è formula lineare: 0.27% di sanzione per giorno – quindi 55 giorni ≈14.8%. Confronto col vecchio ravvedimento breve 1/10 di 30% = 3% fisso fino 90gg. Quindi nuovo regime un po’ meno conveniente di ravvedimento breve standard se tardivo di 55gg, perché 14.8% vs 3%, quindi è peggiorativo. Dopo 90gg invece non c’è riduzione giornaliera ma ravvedimento 1/9 per chi paga entro l’anno – qui vecchio 1/8 vs nuovo 1/9 su sanzione minore…)*

(Per brevità, soprassediamo da includere quell’esempio, o diciamo qualitativamente che conviene ravvedersi entro 90gg per sfruttare riduzione giornaliera).

Tabella 3 – Strumenti di regolazione della crisi d’impresa (principali caratteristiche a confronto):

Procedura / StrumentoQuando usarla (tipo crisi)Coinvolgimento creditoriEsito e vincolativitàVantaggi chiave
Composizione negoziata (extragiud.)Crisi iniziale o tensione finanziaria gestibile, azienda ancora vitale.Volontaria: creditori coinvolti in trattative informali mediate da Esperto.Accordo stragiudiziale (se raggiunto) – può essere omologato come accordo di ristrutturazione o contratto.Riservatezza; nessuna perdita di controllo; poss. misure protettive; supporto esperto imparziale.
Accordo di ristrutturazione (ADR)Crisi non troppo diffusa, si ha consenso di ≥60% creditori (per lo più banche).Consenso richiesto del 60-75% crediti (a seconda del tipo). Dissentienti fuori accordo vanno pagati integrali.Omologazione tribunale rende l’accordo efficace e sospende azioni esecutive pattuite. Non vincola forzatamente i non aderenti (salvo ADR estesi).Rapido e flessibile; meno formalità del concordato; preserva rapporti commerciali con chi aderisce.
Concordato preventivo (giudiziale) – continuitàInsolvenza o crisi grave ma con prospettiva di salvataggio azienda (piano industriale).Tutti i creditori (salvo esclusi ex lege) votano divisi in classi omogenee. Richiede maggioranza per classi.Omologazione vincola tutti i creditori anteriori, anche contrari (con cram-down poss.). Debiti stralciati se soddisfatto piano.Permette ristrutturazione profonda; stop azioni esecutive dal deposito; possibile finanza nuova prededucibile; continuità salvaguarda valore.
Concordato preventivo – liquidatorioInsolvenza irreversibile, necessaria cessione beni ma si vuole evitare fallimento con una soluzione concordata.Tutti i creditori votano (classi se opportuno). Necessario apporto esterno 10% o dividendo ≥20% ai chirografari.Omologa vincola tutti. L’azienda cessa; il liquidatore nominato vende i beni e ripartisce secondo piano approvato. Debiti residui cancellati a fine procedura.Più controllo su vendite rispetto al fallimento; creditori chirografari spesso prendono più che in fallimento (grazie a apporto terzi o migliore gestione vendite); tempi definiti.
Liquidazione giudiziale (fallimento)Insolvenza conclamata, nessun piano proposto o piano fallito/non approvato.I creditori non votano; possono solo insinuarsi e far osservazioni sul riparto.Sentenza di apertura spossessa il debitore. Curatore realizza attivo e ripartisce secondo legge. Chiusa la procedura, debiti insoddisfatti restano (persone fisiche poi esdebitate su istanza).Procedura imparziale e garantista, controllo giudiziario rigoroso; eventuali profili di reato perseguiti; possibilità di azioni revocatorie per aumentare attivo. Ultima ratio per chiudere partita debitoria.
Concordato minore / Piano consumatoreSovraindebitamento di piccolo imprenditore o persona fuori da fallimento, con capacità parziale di rimborso.Coinvolge tutti i creditori ma senza voto (piano del consumatore) o con maggioranza ridotta (concordato minore).Omologa tribunale se ritiene il piano fattibile e il debitore meritevole. Vincola anche dissenzienti.Debitore persona fisica può liberarsi dei debiti con pagamento parziale. Tempi abbastanza rapidi. Prevista esdebitazione anche se pagato solo parzialmente quanto dovuto.

(Le percentuali per concordato liquidatorio e requisiti meritevolezza per piani di sovraindebitamento sono semplificati in tabella. In pratica la tabella serve a dare un colpo d’occhio su quando uno strumento è indicato.)

Esempio pratico 2 – Concordato con transazione fiscale e cram-down: Alfa S.r.l. ha debiti per €5 milioni, di cui €1 mln verso banche con ipoteca su capannone, €1 mln debiti verso Erario (IVA non versata, privilegiata) e €3 mln debiti chirografari vari. L’azienda è insolvente ma potrebbe salvarsi vendendo un ramo d’azienda e continuando su core business, pagando qualcosa ai creditori. Alfa propone un concordato in continuità così strutturato: la banca ipotecaria sarà soddisfatta al 100% (con soldi ricavati dalla cessione del capannone stesso); il Fisco riceverà 300k (ossia 30% del suo credito IVA) diluiti in 4 anni; i chirografari riceveranno il 30% anche loro in 4 anni coi flussi di cassa futuri. Si formano classi: Classe 1 – Banca ipotecaria (che non vota perché soddisfatta integralmente, ha diritto di prelazione); Classe 2 – Fisco (privilegio inferiore, vota sulla transazione fiscale); Classe 3 – Chirografari. In assemblea di voto: la Classe 3 dei chirografari approva (poniamo 80% in valore favorevoli), la Classe 2 Fisco respinge (l’Agenzia ritiene 30% troppo poco e vota no). Il tribunale, verificato che in caso di liquidazione Alfa il Fisco avrebbe preso solo 10% (perché beni ipotecati a banca e residuo attivo esiguo), ritiene la proposta comunque conveniente per l’Erario. Inoltre, almeno una classe (quella chirografi) ha detto sì. Dunque, applica il cram-down fiscale e omologa ugualmente il concordato. Alfa S.r.l. esegue il piano: paga la banca vendendo il capannone subito, e nei 4 anni successivi paga rate trimestrali ai chirografari e al Fisco come stabilito (ciascuno prende 30%). Dopo 4 anni esce dal concordato con debiti azzerati (il 70% non pagato a ciascun chirografo e al Fisco è stralciato). Se invece la maggioranza dei chirografari non fosse stata d’accordo, il piano sarebbe saltato. Questo esempio mostra che la transazione fiscale è fattibile anche con percentuali non altissime, a patto che i creditori “commerciali” siano d’accordo e che al Fisco si offra comunque più che nel fallimento.

Esempio pratico 3 – Start-up non fallibile e termine 5 anni: Beta S.r.l. è una start-up innovativa costituita il 1º marzo 2020. Nel 2022 e 2023 accumula perdite e nel febbraio 2025 è sostanzialmente insolvente (non paga fornitori e tasse). I creditori presentano istanza di fallimento a marzo 2025. Beta obietta che è start-up e non può essere dichiarata fallita. Il tribunale verifica: effettivamente Beta risulta ancora iscritta come start-up (lo sarà fino a marzo 2025, scadere del quinto anno). L’udienza fallimentare si tiene il 10 aprile 2025: essendo decorsi i 5 anni il 1º marzo 2025, Beta ha perso la “non fallibilità”. Il giudice dichiara l’insolvenza e apre la liquidazione giudiziale. Se invece l’udienza fosse stata fissata a gennaio 2025 (ancora entro il 5º anno), Beta – pur insolvente – non sarebbe fallibile ex lege e il giudice avrebbe dovuto o rigettare l’istanza o al più suggerire di ricorrere a composizione negoziata. Questo implica che i creditori di start-up devono tener conto di quel termine: prima di 5 anni non possono forzare un fallimento; oltre, sì. E gli amministratori di Beta, ben sapendo che dopo marzo 2025 sarebbero esposti, avrebbero dovuto magari cercare una soluzione entro quella data (ad es. accordo con investitori o, se inevitabile, mettere Beta stessa in liquidazione volontaria cercando un concordato minore). La Cassazione 1587/2024 conferma che al raggiungimento del termine quinquennale cessa ogni protezione e non serve attendere la formale cancellazione dalla sezione speciale. Dunque per Beta i 60 giorni eventualmente necessari al Registro per depennarla non contano: è fallibile già dal 2 marzo 2025.

(Questo esempio illustra in pratica la pronuncia di Cassazione su start-up; fornisce timeline concreta.)

Esempio pratico 4 – PMI in composizione negoziata: Gamma S.n.c., impresa familiare del settore tessile con 25 dipendenti, negli ultimi anni ha perso fatturato e accumulato debiti (€800k verso banche e fornitori, di cui €100k rate INPS e IVA scadute). A metà 2024 ha tensione di liquidità ma alcuni ordini in portafoglio che potrebbero rilanciarla. Gli amministratori notano che il DSCR a 6 mesi è <1 (incassi previsti non coprono uscite), i sindaci segnalano preoccupazione. Gamma decide di attivare la composizione negoziata a settembre 2024. Viene nominato un Esperto indipendente, il dott. Rossi, con esperienza nel tessile. Rossi analizza la situazione: c’è sovraindebitamento ma anche un marchio e clienti fidelizzati. Convoca banche e fornitori principali per negoziare. Nel frattempo Gamma richiede al tribunale misure protettive: il giudice con decreto inibisce azioni esecutive e blocca temporaneamente pignoramenti (Gamma aveva 2 decreti ingiuntivi in arrivo) – questo dà respiro. Dopo 3 mesi di trattative, l’Esperto riesce a far convergere le parti su un accordo: le due banche prorogano i finanziamenti di 2 anni, diluendo i pagamenti; i fornitori accettano un piano di rientro al 80% dei loro crediti in 18 mesi; l’Agenzia delle Entrate concorda una rateazione straordinaria di 6 anni per il debito fiscale (senza sanzioni aggiuntive). Inoltre un investitore locale è disposto a entrare con 100k di finanza fresca per supportare Gamma, ottenendo una quota societaria. Si redige un accordo quadro firmato da tutti i creditori qualificati. L’Esperto attesta che l’accordo è sostenibile e che Gamma può riprendersi (grazie anche a cassa integrata per un breve periodo e riduzione di alcuni costi fissi). A questo punto Gamma chiede l’omologazione in tribunale come accordo di ristrutturazione dei debiti: avendo oltre il 60% dei crediti firmatari, il giudice omologa l’accordo. Le misure protettive cessano e Gamma, con nuova finanza e oneri alleggeriti, prosegue l’attività. Dopo 2 anni paga regolarmente le rate secondo accordo; la crisi è superata e nel 2026 esce dall’accordo. Nessun fallimento, nessuna pubblicità negativa (l’accordo omologato appare sui registri ma è percepito come un segno di risanamento). Questo è un esito ideale: la composizione negoziata ha funzionato come incubatore di un accordo volontario. Se invece non si fosse raggiunto accordo, Gamma avrebbe potuto optare per un concordato minore o, ultima spiaggia, finire in liquidazione controllata. Ma l’intervento tempestivo (prima di finire insolvente totale) ha permesso la ristrutturazione con soddisfazione parziale ma concordata dei creditori (nessuno ha fatto cause né istanze di fallimento nel frattempo).

Fonti normative, prassi e giurisprudenza di riferimento

Normativa fiscale e riforma tributaria:

  • Legge 9 agosto 2023 n. 111: Delega al Governo per la riforma fiscale. Articoli rilevanti: art. 5-9 (imposte sui redditi, IVA, IRAP), art. 16-20 (accertamento, riscossione, sanzioni, contenzioso). Pubblicata in G.U. n. 189/2023.
  • D.Lgs. 27 dicembre 2023 n. 209: Fiscalità internazionale (residenza fiscale, CFC, lavoratori impatriati, global minimum tax). Attua art. 3 L.111/2023.
  • D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 216: Primo modulo riforma IRPEF (3 aliquote dal 2024, abolizione aliquota 25%, estensione scaglioni e aumenti detrazioni lavoro dip.). Attua art. 5 L.111/2023.
  • Legge 30 dicembre 2024 n. 207 (Bilancio 2025): Introduce “IRES premiale” 20% per reinvestimento utili e assunzioni (commi 136-143 Legge 207/2024). Modifica regole deducibilità spese di rappresentanza e trasferte (tracciabilità obbligatoria).
  • D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 219: Modifiche allo Statuto dei diritti del contribuente (L.212/2000) – rafforzamento motivazione atti, tutela affidamento, istituzione Garante nazionale contribuente.
  • D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 220: Riforma del contenzioso tributario – modifica D.Lgs. 546/1992: estensione processo telematico, potenziamento autotutela, snellimento processo.
  • D.Lgs. 30 dicembre 2023 n. 221: Adempimento collaborativo – riduzione soglia accesso, premi (riduzione sanzioni amministrative, esclusione penali per cooperativi).
  • D.Lgs. 8 gennaio 2024 n. 1: “Calendario fiscale” – semplificazioni adempimenti tributari, unificazione scadenze, stop invii ad agosto e dicembre.
  • D.Lgs. 12 febbraio 2024 n. 13: Procedimento di accertamento – obbligo contraddittorio 60 giorni generalizzato, introduzione concordato preventivo biennale.
  • D.Lgs. 14 giugno 2024 n. 87: Revisione sistema sanzionatorio tributario. Modifica D.Lgs. 472/1997: riduzione sanzione omessi versamenti 25%, indebite compensazioni 70%, ravvedimento cumulo, ecc. (Attua art. 20 L.111/2023). Circolare Agenzia Entrate 18/E del 28 giugno 2024 (attuativa riforma sanzioni) – chiarisce applicabilità solo su violazioni post 1/9/24.
  • D.Lgs. 29 luglio 2024 n. 110: Riordino sistema riscossione – interventi su rateazioni, compensazioni crediti/ruoli, responsabilità AdR.
  • D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136: Terzo correttivo Codice crisi – integra anche aspetti fiscali: introduce cram down fiscale nei piani, estende transazione fiscale anche in composizione negoziata.
  • Decreto-legge 4 ottobre 2023 n. 121 (convertito L. 111/2023): proroga termini delega fiscale al 31/12/2025.
    (Altre fonti: DPR 602/1973 art. 57 modif. da d.lgs 220/23, DL 146/2021 art. 3-bis su impugnazione estratti ruolo – vedi Corte Cost 190/2023).

Prassi Agenzia delle Entrate e documenti di prassi:

  • Circolare AE n. 2/E del 6 febbraio 2024: Istruzioni operative IRPEF 2024 tre aliquote (conferma scaglioni 23%-35%-43%, aumento detrazioni) e coordinamento addizionali. Comunicato stampa AE 6/2/24 titolato “Al via il primo modulo riforma fiscale – pronte istruzioni IRPEF 2024 a 3 aliquote”.
  • Circolare AE n. 18/E del 17 settembre 2024: Concordato Preventivo Biennale (CPB) – istruzioni per adesione forfettari e soggetti ISA. Chiarisce condizioni: assenza debiti fiscali pendenti, rispetto scadenze, ecc. Comunicato stampa AE stesso giorno: “Concordato biennale, online circolare e software, deadline prorogata al 31/10/24”.
  • Risoluzione AE n. 50/E del 17 ottobre 2024: Istituzione codice tributo per versare imposta sostitutiva concordato biennale – forfetari (protocollo 403886/2024).
  • Circolare AE n. 5/E del 16 maggio 2025: (Annunciata da TutelaFiscale) Chiarimenti interpretativi su IRES premiale (art. 16-ter TUIR introdotto dalla L.197/2023) – definizione di “beni 4.0 e 5.0”, modalità di verifica incremento occupazione, regime sanzionatorio decadenza.
  • Circolare AE n. 34/E del 27 dicembre 2022: (precedente, ma rilevante) Istruzioni su definizione agevolata liti pendenti e su interventi DL Aiuti – incluso chiarimenti su trattamento fiscale nell’ambito di concordati e transazioni.
  • Linee guida Agenzia Entrate sulla transazione fiscale: (Documenti interni non pubblici, ma citati in riviste) – direttiva di valutare con “prudente adesione” proposte di transazione se > valore liquidazione. Fiscooggi ha pubblicato un articolo: “Diniego transazione fiscale: competenza giudice ordinario” (FiscoOggi, 2023), ribadendo che l’eventuale rigetto è sindacabile in sede civile.

Normativa crisi d’impresa:

  • D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14: Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII). Entrata in vigore differita al 15/7/2022. Principali articoli: artt. 2-4 (obblighi assetti e allerta interna), artt. 13-25 (strumenti di allerta – poi abrogati, sostituiti da comp. negoziata), artt. 25-bis – 25-novies (Composizione negoziata, introdotti da D.L. 118/21 conv. L.147/21), artt. 48-64 (Accordi di ristrutturazione e transazione fiscale), artt. 84-120 (Concordato preventivo), artt. 121-270 (Liquidazione giudiziale), artt. 268-277 (Liquidazione controllata debitori minori), artt. 278-281 (Esdebitazione).
  • D.L. 24 agosto 2021 n. 118 (conv. L.147/2021): Misure urgenti crisi d’impresa – ha introdotto la composizione negoziata (ora assorbita nel CCII) e il concordato semplificato ex art. 18 DL 118/21.
  • D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83: Primo correttivo CCII in attuazione direttiva UE 2019/1023. Ha modificato requisiti concordato (classi, cram-down interclassi), rafforzato composizione negoziata inserendola nel CCII Titolo II.
  • D.Lgs. 13 settembre 2023 n. 122: Secondo correttivo CCII (minori portata).
  • D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136: Terzo correttivo CCII. Novità rilevanti: estensione comp. negoziata (accessibile anche con domanda di liquidazione pendente), allerta precoce potenziata (obblighi segnalazione organi controllo), introduzione esplicita cram-down fiscale nei concordati e ADR, facilitazioni liquidazione controllata (ammissibile anche post cessazione attività oltre termini).
  • Legge 19 ottobre 2017 n. 155: delega originaria per CCII (storico).
  • Leggi speciali grandi imprese: D.Lgs. 270/1999 (amministrazione straordinaria grandi imprese insolventi); D.L. 347/2003 (Marzano) – non modificate di recente.

Giurisprudenza (sentenze e ordinanze):

  • Cassazione Civile – Sezioni Unite:
    • Cass. SS.UU. 8500/2021: Responsabilità ex art. 2495 c.c. dei soci di società estinte per debiti tributari – i soci rispondono pro quota entro attivo distribuito; se crediti erariali emergono post cancellazione, cartella intestata ai soci è valida nei limiti suddetti.
    • Cass. SS.UU. 6070/2013: Soci di società di persone estinte rispondono illimitatamente anche dopo cancellazione; soci di srl rispondono entro quanto riscosso in liquidazione (principio recepito in art. 2495 cc e CCII).
    • Cass. SS.UU. 42093/2021: Prededuzione crediti professionisti sorti in tentativi di composizione (accordi 182-bis) poi sfociati in fallimento – uniforma criteri (no prededucibilità automatica se non utile alla massa).
    • Cass. SS.UU. 40997/2021 (pen.): Confisca nei reati tributari – chiarisce natura giuridica profitto reato tributario; collegata a confisca discussa poi in cost. 7/2025.
  • Cassazione Civile – Sez. I (fallimentare) recenti:
    • Cass. civ. Sez. I, 16 gennaio 2024 n. 1587: Start-up innovative – perdita beneficio non fallibilità al decorso 5 anni, indipendentemente da cancellazione. Chiarisce anche potere giudice di verificare effettivo possesso requisiti start-up (iscrizione formale non insindacabile).
    • Cass. civ. Sez. I, 15 marzo 2024 n. 7337: Concordato preventivo – vendite competitive di beni libere da gravami; principio: se concordato prevede cessione beni, giudice può disporre cancellazione ipoteche per massimizzare prezzo (nota di A. Farolfi).
    • Cass. civ. Sez. I, 9 aprile 2024 n. 10086: Concordato – art. 168 L.F. divieto pagamenti e DURC: ha statuito che il debitore in concordato preventivo non è tenuto a essere in regola col DURC per contratti pubblici, poiché il blocco pagamenti ex art. 168 l.fall (ora 54 CCII) giustifica l’irregolarità contributiva temporanea.
    • Cass. civ. Sez. I, 19 settembre 2024 n. 27782: Concordato preventivo – cram down classi dissenzienti: conferma che tribunale può omologare se maggioranza classi concorda, anche con opposizione di altra classe, rispettati i criteri di legge.
    • Cass. civ. Sez. I, 25 ottobre 2024 n. 34372: Concordato – legittimazione al voto/omologa di creditori con cause di prelazione speciali; tratta effetti di garanzie personali e coobbligati ai fini del voto, sottolineando differenza tra credito sub condicione e credito certo ai fini maggioranze.
    • Cass. civ. Sez. I, 13 giugno 2023 n. 16932: Concordato – opposizione omologa da parte di creditore escluso dal voto; chiarisce che anche creditori pretermessi o tardivi possono opporsi in omologa, ribadendo diritto di difesa di tutti i creditori.
    • Cass. civ. Sez. VI – ord. 2 febbraio 2023 n. 3137: Transazione fiscale – competenza giurisdizionale: afferma che il diniego di Agenzia Entrate alla transazione fiscale attiene alla fase concordataria, quindi giudice competente a valutarlo è quello fallimentare (ordinario) non giudice tributario. (Richiamata da dottrina, cfr. Osservatorio Insolvenza).
  • Cassazione Penale:
    • Cass. pen. Sez. III, 9 dicembre 2024 n. 44519: Confisca e transazione fiscale – principio: in caso di accordo ex art. 182-bis L.F. (ora 63 CCII) con riduzione debito IVA, la confisca per equivalente del profitto reato 10-ter (omesso vers. IVA) va rideterminata riducendola pro-quota man mano che il debito è pagato nei termini dell’accordo omologato (non si può confiscare oltre il dovuto residuo).
    • Cass. pen. Sez. V, 8 aprile 2024 n. 13016: Falso in attestazioni – condanna di professionista attestatore per falsa rappresentazione di dati in piano concordatario; conferma tipizzazione reato introdotto da L. 3/2019 (art. 236-bis L.F., ora art. 341 CCII) e afferma che la responsabilità penale sussiste anche in caso di dolo eventuale (attestatore che chiude un occhio su dati palesemente errati).
    • Cass. pen. Sez. Unite, 27 ottobre 2023 n. 40797: Confisca allargata beni reati societari – Corte Cost. 7/2025 ha esaminato questione obbligatorietà confisca per reati societari (non strettamente fallimentari ma di falso in bilancio, ecc.), rigettando dubbi: obbligo di confisca ex art. 2641 c.c. è costituzionalmente legittimo.
    • Cass. pen. Sez. V, 5 maggio 2023 n. 18463: Bancarotta preferenziale – ha ritenuto configurabile il reato anche per pagamenti preferenziali effettuati durante composizione negoziata o trattative, se poi si arriva a fallimento e quei pagamenti hanno pregiudicato par condicio (monito che protezione misure protettive non esclude rilievo penale di atti in pre-fallimento se non autorizzati).
    • Cass. pen. Sez. III, 26 ottobre 2016 n. 6054 (dep. 2017): (precedente chiave citato in n.44519/24) – aveva già affermato che se c’è accordo rateazione fiscale, la confisca va ridotta via via ai versamenti effettuati.
  • Corte Costituzionale:
    • Sentenza 245/2019: Illegittimità parziale art. 182-ter L.F. nella parte in cui escludeva falcidia IVA e ritenute in concordato – apre a transazione fiscale su IVA, motivando che non contrasta con diritto UE in insolvenza.
    • Sentenza 69/2022: Sovraindebitamento – questione su meritevolezza (art. 12 L.3/2012): respinge dubbi, legittima negare esdebitazione a debitore con colpa grave.
    • Sentenza 90/2021: su piccola parte L.F. (non rilevante qui).
    • Sentenza 17/2021: (temi lavoro, non pertinente).
    • Sentenza 190/2023: Riscossione – impugnabilità estratto di ruolo: dichiara inammissibili le questioni, lasciando vigente divieto di impugnazione diretta del ruolo/cartella conosciuti solo via estratto.
    • Sentenza 6/2024: (non analizzata qui ma citata su Professionistidellacrisi) – forse su prescrizione revisori contabili.
    • Sentenza 7/2025: Questione confisca obbligatoria art. 2641 c.c. (reati societari): la Corte ha ritenuto infondata la q.l.c., quindi confermato obbligo confisca beni strumentali al reato societario (tema penal-civile, riflessi su misure di prevenzione anche in contesto concorsuale).
    • Ordinanza 11/2025 (Gazz. Uff. 7/10/2025): segnalata ricerca, probabile questione su transazione fiscale ancora in corso (forse rinviata a definizione?). Non esaminata nel merito per ora.

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