Hai ricevuto una telefonata insistente, una lettera di sollecito o addirittura un’intimazione di pagamento da una società di recupero crediti? Ti stai chiedendo cosa possono davvero fare, cosa sei obbligato a pagare e come puoi difenderti legalmente?
Quando parte un’azione di recupero crediti, chi la subisce si sente spesso sotto pressione. Le comunicazioni sono frequenti, talvolta aggressive, e chi le riceve finisce per credere di dover pagare tutto e subito, senza possibilità di replica. Ma non è così: hai diritti precisi, e strumenti legali per proteggerti.
Un sollecito è già una causa? Possono venire a casa tua? Ti possono pignorare i beni senza preavviso? È tutto legittimo quello che scrivono o dicono al telefono?
Prima di pagare o firmare qualsiasi accordo, è fondamentale capire se il credito è ancora esigibile, se è prescritto, se l’importo richiesto è corretto e se la società ha davvero il titolo per agire. Spesso si tratta di vecchi debiti ceduti da banche o finanziarie a operatori specializzati, che però non sempre rispettano la legge, né nelle modalità né nei toni.
Difendersi è possibile, soprattutto se intervieni in tempo e con il supporto di un professionista. In molti casi si può contestare l’importo, chiedere documenti, ottenere una sospensione o persino annullare la richiesta, se mancano i requisiti legali.
In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti in diritto del credito, difesa debitori e contenzioso civile – ti spiega come funziona il recupero crediti, quando e come difendersi legalmente, e cosa puoi fare per evitare abusi, pressioni indebite o richieste ingiuste.
Hai ricevuto una richiesta di pagamento che non riconosci? Ti stanno minacciando telefonicamente o con lettere aggressive? Vuoi sapere se sei davvero obbligato a pagare?
Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: analizzeremo ogni documento ricevuto, verificheremo se la pretesa è legittima e costruiremo insieme la strategia migliore per difenderti, guadagnare tempo e – quando possibile – chiudere la questione senza conseguenze gravi.
Introduzione
Vivere una situazione di indebitamento è un’esperienza sempre più comune in Italia: negli ultimi anni si è registrato un aumento significativo dei debiti contratti da famiglie, professionisti e piccole imprese. Secondo una recente analisi, circa il 59% dei cittadini maggiorenni italiani ha almeno un finanziamento o mutuo attivo. Di pari passo è cresciuto anche il ricorso al recupero crediti da parte di banche, finanziarie e creditori vari. Per il debitore che si trova dall’altro lato, può sembrare di affrontare un “gigante” contro il quale non si hanno strumenti: lettere di sollecito, telefonate insistenti di società di recupero crediti, fino all’arrivo di atti legali come ingiunzioni di pagamento, pignoramenti su stipendio o beni. Eppure, anche il debitore ha diritti e mezzi di tutela. Questa guida, aggiornata a giugno 2025, illustra in chiave avanzata ma divulgativa come difendersi dal recupero crediti, fornendo consigli utili tanto ai privati cittadini indebitati, quanto ai professionisti e imprenditori alle prese con creditori, nonché ai legali che li assistono.
Seguendo un filo logico dal meno al più invasivo, analizzeremo prima i casi tipici di recupero crediti e le azioni che il debitore può subire (dalle semplici segnalazioni nelle banche dati creditizie fino ai pignoramenti forzati). Vedremo quindi le strategie extragiudiziali per prevenire o gestire tali situazioni (ad esempio accordi a saldo e stralcio, mediazioni, reclami alle autorità competenti). Approfondiremo poi gli strumenti legali e processuali a disposizione del debitore per reagire formalmente (opposizioni a decreti ingiuntivi, opposizioni all’esecuzione, ricorsi all’Arbitro Bancario Finanziario, procedure di sovraindebitamento ed esdebitazione, ecc.). Dedicheremo una sezione specifica alle differenze settoriali – come si differenzia la difesa del debitore consumatore privato rispetto a quella del professionista o dell’imprenditore – con esempi pratici. Non mancheranno una serie di Domande e Risposte frequenti (FAQ), utili per chiarire i dubbi più comuni in modo immediato, nonché tabelle riepilogative che riassumono i principali strumenti difensivi, i relativi procedimenti e le tempistiche. Infine, verranno presentate alcune simulazioni pratiche di casi reali (come la ricezione di un atto di pignoramento presso terzi o un’iscrizione indebita in CRIF) per capire passo dopo passo cosa fare in situazioni concrete. Chiuderà la guida una sezione finale con i riferimenti normativi e giurisprudenziali aggiornati al 2025, con link diretti a sentenze o provvedimenti rilevanti citati nel testo.
Casi tipici di recupero crediti e azioni del creditore
In questa sezione esamineremo le situazioni più frequenti e rilevanti in cui un debitore può incorrere durante un recupero crediti. Sapere cosa il creditore può fare (e fino a che punto) è fondamentale per preparare una corretta difesa. I casi che analizzeremo comprendono:
- Pignoramenti – ovvero l’esecuzione forzata su beni del debitore – in tre forme principali: pignoramento mobiliare (beni mobili, es. arredamento, conto in banca, auto), pignoramento immobiliare (beni immobili, es. casa, terreno) e pignoramento presso terzi (crediti che il debitore vanta verso terzi, es. stipendi, pensioni, affitti).
- Ingiunzioni di pagamento e decreti ingiuntivi – il procedimento monitorio tramite cui il creditore ottiene rapidamente un titolo esecutivo di pagamento, spesso preludio al pignoramento se il debitore non paga o non si oppone.
- Segnalazioni nelle banche dati creditizie (CRIF e Centrale dei Rischi) – l’iscrizione del nominativo del debitore come “cattivo pagatore” nei sistemi informativi finanziari, con conseguenze sulla reputazione creditizia.
Vediamo in dettaglio ciascuno di questi scenari, quali sono le regole del gioco e come può difendersi il debitore in ogni caso.
Pignoramenti
Il pignoramento è l’atto con cui il creditore, munito di un titolo esecutivo (ad esempio una sentenza passata in giudicato, un decreto ingiuntivo non opposto, o una cambiale protestata), avvia l’esecuzione forzata sui beni del debitore. In parole semplici, si tratta del mezzo attraverso cui i beni del debitore vengono individuati, vincolati e poi liquidati o assegnati al fine di soddisfare coattivamente il credito non pagato. Il codice di procedura civile italiano distingue varie forme di pignoramento a seconda della natura dei beni colpiti:
- Pignoramento mobiliare: riguarda i beni mobili di proprietà del debitore, che possono trovarsi nella sua casa o nella sua disponibilità (ad esempio mobili, arredamento, televisori, gioielli, contanti, autoveicoli, ecc.). Include anche il pignoramento di beni mobili registrati (auto, moto, barche) e il pignoramento di beni mobili presso il debitore (i classici pignoramenti a domicilio eseguiti dall’ufficiale giudiziario).
- Pignoramento immobiliare: colpisce i beni immobili intestati al debitore (case, appartamenti, terreni). Tipicamente inizia con una trascrizione nei registri immobiliari e si conclude, se il debitore non paga, con la vendita all’asta dell’immobile.
- Pignoramento presso terzi: prende di mira i crediti che il debitore deve incassare da altre persone o enti. I casi più comuni sono la garnizione dello stipendio o della pensione (pignoramento presso il datore di lavoro o l’ente pensionistico) e il pignoramento del conto corrente (presso la banca del debitore). Può riguardare anche altri crediti, ad esempio i canoni di affitto dovuti da un inquilino al debitore proprietario.
Esaminiamo separatamente queste tipologie, per capire come avvengono e quali difese sono possibili in ciascun caso.
Pignoramento mobiliare (beni mobili del debitore)
Il pignoramento mobiliare presso il debitore avviene quando l’Ufficiale Giudiziario si presenta presso l’abitazione (o la sede) del debitore per ricercare beni pignorabili. In genere ciò accade dopo che il creditore ha notificato al debitore un atto di precetto (un intimazione formale a pagare entro almeno 10 giorni, pena l’esecuzione forzata) e tale termine è scaduto senza pagamento. L’ufficiale giudiziario, munito del precetto e del titolo esecutivo, può accedere nei locali di proprietà del debitore (di norma in orario diurno) e redigere un verbale di pignoramento elencando i beni di valore rinvenuti. Alcuni aspetti importanti del pignoramento mobiliare e relative tutele per il debitore sono:
- Beni impignorabili: la legge esclude dalla presa forzata una serie di beni mobili considerati essenziali. Ad esempio, vestiti, biancheria, mobili ed elettrodomestici indispensabili per la vita quotidiana, generi di prima necessità, ricordi di famiglia, animali da compagnia, strumenti necessari per il lavoro del debitore (in parte) non possono essere pignorati (art. 514 c.p.c. e ss.). Se l’ufficiale giudiziario tenta di pignorare oggetti che per legge sono impignorabili, il debitore può fare opposizione agli atti esecutivi per far dichiarare nullo il pignoramento di quei beni (vedi più avanti la sezione sulle opposizioni).
- Limiti alla ricerca dei beni: l’ufficiale può perquisire i locali del debitore, ma non può forzare porte chiuse a chiave né pignorare beni che appaiano di terzi (ad esempio, se in casa vi sono beni manifestamente di altre persone, come documenti intestati ad altri, il debitore può dichiararlo all’ufficiale). In caso di abuso o violazione di domicilio, il debitore può sporgere reclamo o denuncia.
- Verbale di pignoramento: se vengono trovati beni utilmente pignorabili, l’ufficiale li descrive nel verbale, valutandone il valore di stima. Da quel momento i beni sono vincolati: il debitore ne perde la disponibilità giuridica (non li può vendere né spostare senza autorizzazione) e saranno successivamente messi all’asta o assegnati al creditore. Se l’ufficiale non trova beni, redige verbale negativo (pignoramento infruttuoso).
- Custodia dei beni: di regola, i beni mobili pignorati vengono lasciati in custodia allo stesso debitore (che ne diventa “custode” con obbligo di conservarli per l’asta). In alcuni casi, però, il creditore può chiedere la nomina di un custode terzo (ad es. per veicoli, opere d’arte di valore, ecc., o se teme che il debitore sottragga i beni).
- Difese del debitore: di fronte a un pignoramento mobiliare, il debitore ha varie possibili reazioni. Se ritiene che il pignoramento sia illegittimo perché, ad esempio, il titolo esecutivo non è valido o il debito era già estinto, può proporre una opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) per contestare il diritto del creditore di procedere. Se invece il pignoramento è stato eseguito regolarmente ma vi sono vizi negli atti (ad es. mancata notifica del precetto, errori nel verbale, pignoramento di beni impignorabili), può proporre opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) entro 20 giorni dall’atto viziato. In entrambi i casi, il debitore può chiedere al giudice dell’esecuzione la sospensione della procedura (una “pausa” temporanea nella vendita dei beni) in attesa che venga deciso il merito dell’opposizione.
- Conversione del pignoramento: un importante strumento a favore del debitore previsto dall’art. 495 c.p.c. è la conversione del pignoramento. Consiste nella possibilità di sostituire i beni pignorati con una somma di denaro, evitando così la vendita all’asta. In pratica, il debitore può chiedere al giudice di determinare l’importo dovuto a titolo di capitale, interessi e spese; versando una cauzione iniziale (almeno un quinto del totale dovuto) e impegnandosi a pagare il resto a rate (in un massimo di 36 mesi, secondo le riforme più recenti), ottiene di solito la sospensione della vendita e, se completa i pagamenti, i beni vengono liberati dal pignoramento. La conversione è un’ottima via per salvare beni di valore affettivo o strumentali al proprio lavoro, dilazionando il debito; tuttavia, richiede che il debitore disponga subito di una somma iniziale significativa e di redditi stabili per le rate.
- Intervento di terzi proprietari: se tra i beni pignorati ve ne fossero di proprietà di terzi estranei al debito (es. un macchinario in leasing, un oggetto prestato da un amico, o beni del coniuge in regime di separazione dei beni), tali terzi possono tutelarsi con l’opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., chiedendo al giudice di escludere quei beni dall’esecuzione fornendo prova della loro proprietà. È consigliabile, in situazioni del genere, che il terzo agisca prontamente per evitare la vendita di un bene non dovuto.
- Esito: se il debitore non riesce ad annullare o sospendere l’esecuzione, i beni mobili pignorati vengono stimati e messi in vendita (generalmente tramite aste telematiche sul Portale delle Vendite Pubbliche). Il ricavato, al netto delle spese, andrà a pagare il creditore procedente (ed eventuali altri creditori intervenuti). Se rimangono somme eccedenti, tornano al debitore; se invece il ricavato non copre l’intero debito, il creditore potrebbe tentare ulteriori pignoramenti (se ci sono altri beni) oppure, in certi casi, la procedura si chiude infruttuosamente.
Da notare che il pignoramento mobiliare presso il debitore è spesso l’ultima risorsa per il creditore, attuata quando non vi sono beni più facilmente aggredibili (come stipendio o conto in banca). Questo perché il pignoramento in casa può rivelarsi poco fruttuoso – molti beni usati hanno scarso valore di realizzo – e comporta costi. Ciò non toglie che il debitore debba essere preparato: mantenere la calma durante l’accesso dell’ufficiale giudiziario, far valere subito eventuali esenzioni (indicando, ad esempio, quali beni sono indispensabili o altrui), e attivarsi immediatamente dopo per esercitare i rimedi legali opportuni.
Pignoramento immobiliare (case e immobili)
Il pignoramento immobiliare è la procedura attraverso cui il creditore espropria coattivamente un bene immobile del debitore (ad es. un appartamento, una villa, un terreno) per soddisfarsi sul ricavato della sua vendita. I passi principali sono: la notifica al debitore dell’atto di pignoramento (che viene anche trascritto nei Registri Immobiliari, così da vincolare l’immobile), l’eventuale nomina di un custode giudiziario e perito estimatore, e infine la vendita all’asta dell’immobile con aggiudicazione al miglior offerente. Dal punto di vista del debitore, ecco gli elementi salienti e le possibili difese:
- Prima casa e limiti: a differenza di quanto molti pensano, la legge italiana non tutela la “prima casa” da pignoramenti da parte di creditori privati. Se il debitore è proprietario di un immobile adibito ad abitazione principale, un creditore privato (es. banca, finanziaria o persona) può comunque iscrivere ipoteca e pignorarla per debiti non pagati. La protezione dell’abitazione principale esiste solo verso alcune pretese fiscali: l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (il fisco) non può pignorare l’unico immobile di residenza del debitore se non di lusso, ma questa eccezione non si applica ai creditori privati. Dunque, un mutuo non pagato, un decreto ingiuntivo di una banca, o una fattura non saldata possono in ultima istanza portare all’espropriazione della casa del debitore.
- Procedura: il debitore, ricevuto l’atto di pignoramento immobiliare, ha ancora la possibilità di evitare la vendita pagando il dovuto prima che si tengano l’asta o l’assegnazione. Può anche chiedere, se sussistono motivi validi, la conversione del pignoramento immobiliare analoga a quella mobiliare (versando l’importo dovuto in denaro a rate, come visto sopra). Una volta iniziata la procedura, però, i tempi sono più rigidi: di solito entro 90 giorni dall’atto il creditore deve depositare l’istanza di vendita e la documentazione, dopodiché il Tribunale nomina un perito e fissa i termini d’asta.
- Custodia dell’immobile: nella maggior parte dei casi il debitore rimane custode dell’immobile pignorato e può continuare a risiedervi fino alla vendita. Tuttavia, su istanza del creditore o se il debitore non paga le spese, il giudice può nominare un custode professionale e ordinare al debitore di lasciare l’immobile (sfratto in corso di esecuzione).
- Difese legali: similmente al pignoramento mobiliare, anche nell’immobiliare il debitore può proporre opposizione all’esecuzione (se contesta il diritto del creditore di procedere, ad es. perché il debito non esiste o è prescritto) oppure opposizione agli atti esecutivi (se vi sono vizi formali nell’atto di pignoramento o negli atti successivi). In particolare, errori nella notifica o nella trascrizione del pignoramento possono dar luogo a opposizione agli atti. Inoltre, se l’immobile è cointestato o in comunione, il comproprietario non debitore può intervenire per tutelare la sua quota.
- Sospensione della vendita: è possibile chiedere al giudice dell’esecuzione la sospensione dell’esecuzione immobiliare, ad esempio presentando un’istanza motivata (magari perché si è avviata una trattativa di saldo e stralcio col creditore, o perché si è depositata domanda di una procedura di sovraindebitamento che blocca le esecuzioni – v. oltre). La sospensione può essere concessa in caso di gravi motivi; inoltre, se il debitore deposita una concordata soluzione (ad esempio la prova di aver messo in vendita privatamente l’immobile a un prezzo congruo), talvolta i giudici possono rinviare la vendita per dare spazio a soluzioni concordate.
- Esdebitazione post-vendita: va segnalato che, qualora l’immobile venga venduto e il ricavato non copra tutto il debito, il debitore rimane ancora obbligato per l’eventuale differenza. Tuttavia, in alcuni casi dopo l’espropriazione immobiliare il debitore persona fisica può richiedere l’esdebitazione per liberarsi dei debiti residui (ad esempio nell’ambito di una procedura fallimentare o di sovraindebitamento, se ne ricorrono i presupposti – v. sezione sulle procedure di esdebitazione).
- Prezzo d’asta e strategie: spesso le aste giudiziarie portano alla vendita degli immobili a prezzi molto inferiori al mercato. Questo è un danno sia per il debitore (che vedrà estinguersi solo una parte del debito, pur perdendo la casa) sia per il creditore. Per questo motivo, a volte conviene negoziare con il creditore prima dell’asta: ad esempio cercando di vendere l’immobile privatamente a un prezzo migliore e usare il ricavato per pagare il debito (richiedendo al giudice di sospendere l’asta in attesa della vendita privata). Alcuni tribunali favoriscono questi accordi, nell’interesse di entrambe le parti. L’importante è agire con trasparenza e ottenere l’ok del giudice per evitare contestazioni di atti in frode.
In definitiva, il pignoramento immobiliare è una procedura complessa e di grande impatto (perché incide sul bene spesso più prezioso, la casa). Al debitore spetta il compito di non restare inerme: fin dall’arrivo dell’atto di precetto o del pignoramento, è fondamentale attivarsi, valutando con un legale le possibili opposizioni o soluzioni (dalla vendita volontaria al saldo e stralcio). Non di rado, un debitore informato riesce a salvare la propria abitazione trovando un accordo col creditore (ad esempio, coinvolgendo una banca per rifinanziare il debito, oppure un familiare disposto ad acquistare la casa e lasciare il debitore dentro come inquilino, etc.). Approfondiremo più avanti le strategie extragiudiziali.
Pignoramento presso terzi (stipendi, conti correnti, crediti)
Il pignoramento presso terzi è spesso la forma di esecuzione preferita dai creditori, perché colpisce direttamente denaro o crediti liquidi del debitore, offrendo maggiori chance di soddisfazione. Consiste nel fatto che un soggetto terzo, che deve del denaro al debitore, viene “bloccato” dal creditore e obbligato a versare quelle somme (fino a concorrenza del credito vantato) direttamente al creditore procedente. I tipici esempi, come accennato, sono il datore di lavoro (che deve pagare lo stipendio al debitore lavoratore), l’ente pensionistico (che paga la pensione) o la banca (che detiene sul conto i risparmi del debitore). Analizziamo i punti chiave:
- Notifica e dichiarazione del terzo: il creditore notifica un atto di pignoramento sia al debitore sia al terzo (ad es. al datore di lavoro o alla banca). Da quel momento, il terzo è tenuto a bloccare le somme dovute al debitore (ad esempio, congelare l’importo in conto corrente, o accantonare una parte dello stipendio). Il terzo dovrà poi comunicare al giudice (tipicamente con una “dichiarazione del terzo” in udienza o per lettera) quali somme detiene o deve al debitore. In base a questa dichiarazione, il giudice potrà assegnare al creditore le somme pignorate.
- Limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni: il legislatore prevede importanti limiti a tutela del debitore quando si pignora uno stipendio o una pensione, per garantire il minimo necessario alla sopravvivenza. In particolare:
- Stipendio: può essere pignorata solo una parte del salario netto. In generale, il massimo pignorabile è un quinto (20%) dello stipendio netto mensile. Tuttavia, se il pignoramento è per crediti alimentari (es. mantenimento) o concorre con altri pignoramenti fiscali, le quote possono cumularsi sino a un limite (in ogni caso, di norma non oltre metà stipendio). Dal 2021-2022, per i debiti fiscali sono state introdotte fasce: stipendio fino a 2.500 € pignorabile al 10%, tra 2.500 e 5.000 € al ~14%, oltre 5.000 € fino al 20%. Ma per creditori ordinari resta valido il tetto del 20%. In pratica, su 1.500 € netti mensili di stipendio, al massimo 300 € possono essere distolti via pignoramento (un quinto).
- Pensione: è impignorabile per una parte maggiore, poiché il pensionato deve mantenere il minimo vitale. La legge (dal 2022) fissa una soglia impignorabile pari a 1.000 € mensili. Ciò significa che se una pensione è, ad esempio, di 900 € al mese, non può essere toccata affatto. Se invece la pensione è superiore, la parte eccedente i 1.000 € può essere pignorata, sempre nei limiti di un quinto. Ad esempio, su una pensione di 1.400 €, solo 400 € sono teoricamente pignorabili al 20%, quindi l’importo massimo trattenibile è 80 € al mese. Anche per le pensioni il pignoramento dell’ente pubblico (per debiti fiscali) segue le fasce analoghe allo stipendio: 10% tra 1.000 e 2.500 €, ~14% tra 2.501 e 5.000 €, 20% oltre.
- Conto corrente: se sul conto corrente del debitore confluisce lo stipendio o la pensione, la legge distingue tra somme già accreditate e somme future. Per le somme già depositate sul conto prima del pignoramento: se si tratta di stipendio/pensione accreditati nell’ultimo mese, ne è impignorabile una quota pari al minimo vitale (attualmente 1.000 €), mentre l’eccedenza può essere pignorata. Se invece sul conto vi sono altre disponibilità (risparmi pregressi, ecc.), tali importi sono pignorabili interamente (nei limiti del dovuto). Dopo la notifica del pignoramento, tutte le nuove somme che arrivano sul conto (stipendi futuri) vengono trattate come stipendio presso terzi, quindi con prelievo di un quinto. In sintesi: il conto viene bloccato sino all’udienza, poi il giudice assegna al creditore l’eventuale saldo pignorabile presente e dispone il prelievo mensile delle quote su futuri stipendi.
- Difese del debitore: il pignoramento presso terzi, specie quando riguarda stipendi e conti, può essere molto invasivo perché sottrae al debitore risorse liquide immediate. Il debitore però ha strumenti di difesa:
- Può contestare l’atto con opposizione all’esecuzione o agli atti, come visto, se ad esempio il credito è contestato o se la procedura presenta vizi (notifica viziata, somme superiori al dovuto bloccate, ecc.). Ad esempio, se viene pignorato oltre il quinto legale, il debitore può ricorrere al giudice per ottenere la liberazione dell’eccedenza.
- Può chiedere al giudice una riduzione del pignoramento se ritiene che quanto congelato sia esagerato rispetto al dovuto. Ad esempio, se su un conto cointestato a due coniugi debitore e non debitore viene bloccato tutto il saldo, il coniuge non debitore può intervenire per liberare almeno la sua metà.
- In caso di conti cointestati, appunto, la situazione è delicata: la legge permette il pignoramento dell’intero saldo, ma di fatto presume divise a metà le quote salvo prova contraria. Il coerente non debitore deve fare un’opposizione (spesso di terzo) per svincolare la propria quota, dimostrando magari che le somme derivano dal suo reddito.
- Quando il terzo non paga: se il datore di lavoro o la banca non rispettano l’ordine (ad esempio una banca che libera i soldi al cliente malgrado il blocco), il creditore può agire direttamente contro il terzo inadempiente (es. con un’ingiunzione). Questo però esula dalla difesa del debitore, ma spiega perché i terzi sono molto attenti a congelare subito i fondi appena ricevuto l’atto.
- Esito: il pignoramento presso terzi termina con un’ordinanza di assegnazione del giudice. In essa il giudice assegna al creditore le somme disponibili (ad es. “assegna al creditore X l’importo di € 5.000 giacente sul conto Y, nonché quota di 1/5 dello stipendio mensile del debitore fino alla concorrenza del credito…”). Da quel momento, il terzo deve pagare secondo quanto stabilito (la banca verserà i 5.000 € al creditore; il datore di lavoro comincerà a trattenere 1/5 ogni mese versandolo al creditore). Il debitore vedrà dunque decurtate le entrate periodiche fino a saldo del debito. Se il rapporto (es. lavoro) cessa prima del pagamento integrale, il creditore potrà eventualmente cercare altri beni; viceversa, se il credito si estingue, il debitore potrà chiedere al giudice di dichiarare cessata la materia del contendere.
Aggiornamento 2025: Le ultime riforme normative hanno introdotto alcuni cambiamenti nel panorama dei pignoramenti. Ad esempio, il Decreto Aiuti-bis (L. 142/2022) ha elevato il minimo vitale pensionistico a 1.000 €, come visto, e procedure speciali in ambito fiscale (non affrontate diffusamente qui) permettono addirittura pignoramenti più celeri senza cartella esattoriale ma anche maggiori possibilità di rateizzazione per bloccare l’esecuzione. Sebbene tali novità riguardino in primis i debiti erariali, mostrano un trend di bilanciamento tra esigenze del creditore e tutela dei beni essenziali del debitore. In ogni caso, il debitore deve restare informato e aggiornato: un dettaglio (come l’aumento della soglia impignorabile) può fare la differenza nel predisporre una difesa efficace.
Ingiunzioni di pagamento e decreti ingiuntivi
Passiamo ora alla fase precedente al pignoramento: l’ingiunzione di pagamento, meglio nota in Italia come decreto ingiuntivo. Molti debitori vengono a conoscenza di un credito insoluto proprio tramite la notifica di un decreto ingiuntivo emesso dal giudice su richiesta del creditore. Comprendere il funzionamento di questo procedimento è fondamentale, perché da esso dipende spesso la possibilità di opporsi prima che inizi l’esecuzione forzata.
Cos’è un decreto ingiuntivo? Si tratta di un ordine di pagamento emesso da un giudice (di solito, Giudice di Pace o Tribunale a seconda del valore e della materia) su ricorso di un creditore, senza previa citazione del debitore. È una procedura rapida (detta anche “monitoria”) in cui il creditore presenta prove scritte del credito (contratti, fatture, cambiali, estratti conto certificati da banca, ecc.) e, se il giudice le ritiene sufficienti, viene emesso un decreto che ingiunge al debitore di pagare entro un certo termine (di norma 40 giorni) sotto pena di esecuzione forzata. Il decreto ingiuntivo diventa esecutivo trascorso quel termine senza opposizione del debitore.
Notifica e termini: Il decreto ingiuntivo va notificato al debitore entro 60 giorni (in Italia) o 90 giorni (se all’estero) dall’emissione. Dal momento della notifica, il debitore ha tipicamente 40 giorni per pagare o proporre opposizione (termine ordinario ai sensi dell’art. 641 c.p.c.). In alcuni casi, il giudice può aver concesso provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo (ad esempio se il credito è fondato su assegni/cambiali o c’è pericolo nel ritardo): in tal caso il creditore può procedere subito ad esecuzione, senza attendere 40 giorni, e il debitore che si oppone dovrà anche chiedere la sospensione di tale esecuzione provvisoria. È possibile che il giudice abbia abbreviato il termine di opposizione a 10 giorni nei casi più urgenti (ma è raro). Inoltre, esiste la possibilità di opposizione tardiva (art. 650 c.p.c.) se il debitore non ha avuto conoscenza tempestiva dell’ingiunzione per irregolarità nella notifica o causa di forza maggiore: in tal caso si può opporsi dopo i 40 giorni, entro 10 giorni dal momento in cui si ha effettiva conoscenza del decreto.
Cosa comporta non opporsi? Se il debitore non propone opposizione entro i termini, il decreto diventa definitivo: il creditore potrà apporre la formula esecutiva e procedere a pignoramento immediatamente. Inoltre, il decreto ingiuntivo passato in giudicato costituisce accertamento del debito non più discutibile, salvo casi eccezionali (vizi della notifica gravi da far revocare il decreto in sede di opposizione tardiva, o eventuale impugnazione in appello se c’è stato un giudizio in opposizione). Dunque è vitale per un debitore, quando riceve un decreto ingiuntivo, valutare subito con un legale se vi siano motivi fondati di opposizione.
Come opporsi a un decreto ingiuntivo: L’opposizione a decreto ingiuntivo è un atto di citazione (o, dopo la riforma 2023, ricorso in alcuni casi) con cui il debitore contesta il decreto e instaura un giudizio ordinario di cognizione. In tale giudizio il giudice esamina nel merito la vicenda: il creditore opposto deve provare il suo diritto, e il debitore opponente può far valere tutte le sue difese (ad esempio: l’inesistenza del credito, l’avvenuto pagamento, la prescrizione, l’invalidità del contratto, errori di calcolo, ecc.). In pratica, l’opposizione trasforma il procedimento monitorio (sommario e senza contraddittorio) in un normale processo civile a parti contraddittorie. Dal punto di vista procedurale, segnaliamo alcune novità introdotte dalla Riforma Cartabia (D.lgs. 149/2022): oggi l’orientamento è che l’opposizione si proponga con atto di citazione oppure con ricorso a seconda dei casi, e in particolare quando il decreto ingiuntivo è stato richiesto dopo febbraio 2023 in Tribunale, l’opposizione va introdotta con ricorso (mentre per decreti precedenti o emessi dal Giudice di Pace si segue ancora l’atto di citazione). Ciò è stato oggetto di dibattito, ma linee guida dei tribunali confermano questo approccio misto in fase transitoria. In ogni caso, ciò che conta per il debitore è: rispettare il termine e formare un atto di opposizione valido. All’atto di opposizione segue la citazione del creditore in udienza e l’inizio del processo civile vero e proprio.
Sospensione della provvisoria esecuzione: se il decreto ingiuntivo aveva efficacia esecutiva provvisoria (ex art. 642 c.p.c. o per legge), allora il creditore potrebbe attivare pignoramenti anche durante i 40 giorni. In tal scenario, il debitore opponente deve subito chiedere al giudice dell’opposizione un provvedimento di sospensione dell’esecuzione (art. 649 c.p.c.). Di solito il giudice fissa un’udienza a breve per valutare se ci sono fumus (motivi seri di opposizione) e periculum (danno nel proseguire l’esecuzione) e decidere se congelare l’efficacia esecutiva del decreto in attesa della decisione finale. Se concessa, la sospensione blocca temporaneamente i pignoramenti in corso.
Mediazione obbligatoria in opposizione: Un aspetto peculiare del decreto ingiuntivo è l’interazione con la mediazione civile obbligatoria in certe materie (per esempio bancarie, finanziarie, assicurative, locazioni, condominio, ecc.). La legge infatti esclude la mediazione prima di chiedere il decreto ingiuntivo (per non rallentare il creditore), ma la prevede dopo in caso di opposizione. In passato vi era incertezza su chi dovesse attivarla; le Sezioni Unite della Cassazione nel 2020 hanno chiarito che spetta al creditore opposto avviarla, pena la revoca del decreto. La Riforma Cartabia 2022 ha inserito espressamente questa regola nel nuovo art. 5-bis del d.lgs. 28/2010: nelle materie soggette a mediazione obbligatoria (ad es. controversie bancarie), se il debitore propone opposizione a DI, il creditore deve attivare la mediazione; se non lo fa, il decreto ingiuntivo viene revocato. Ciò significa che, ad esempio, se una banca ottiene decreto ingiuntivo per un fido e il cliente si oppone, la banca (creditore opposto) deve depositare istanza di mediazione presso un organismo entro la prima udienza, altrimenti rischia di perdere il titolo. Per il debitore è una tutela in più: qualora il creditore fosse inattivo, egli potrebbe eccepire l’improcedibilità e far cadere l’ingiunzione. In pratica dunque, dopo l’opposizione, c’è spesso una fase di mediazione: il debitore dovrebbe parteciparvi (è condizione di procedibilità per il creditore) esponendo le proprie ragioni; se si trova un accordo la causa si chiude, altrimenti si prosegue in giudizio.
Esiti dell’opposizione: l’opposizione a decreto ingiuntivo si conclude con una sentenza del giudice. Se il debitore vince (opposizione accolta), il decreto ingiuntivo viene revocato o dichiarato inefficace, in tutto o in parte, e il debitore può essere liberato dall’obbligo o vedersi ridurre la somma dovuta. Se invece l’opposizione è rigettata, il decreto diviene esecutivo come una sentenza. La sentenza che decide sull’opposizione è a sua volta appellabile nei normali termini. Durante il processo, il debitore può ancora decidere di transigere col creditore (magari pagando una parte a saldo e stralcio) e fare estinguere la causa per accordo.
Consigli pratici al debitore ingiunto: alla ricezione di un decreto ingiuntivo:
- Non ignorare l’atto: le scadenze sono stringenti. Segnare la data e calcolare i 40 giorni (o 30 se il giudice li ha ridotti). Un errore comune è pensare “ci penserò più avanti”: così facendo si rischia di far passare i termini.
- Consultare un legale subito: occorre valutare i motivi di opposizione. Se ci sono contestazioni serie sul credito (ad esempio interessi usurari, errori di calcolo, mancanza di prova, prescrizione), vale la pena opporsi. Se invece il debito è sostanzialmente corretto e si vuole solo più tempo, attenzione: l’opposizione pretestuosa può poi portare a spese ulteriori se si perde. In tal caso, meglio puntare a un accordo col creditore nei 40 giorni.
- Verificare la provvisoria esecutività: se è indicato che il decreto è “provvisoriamente esecutivo”, significa che il creditore può agire subito. Occorre eventualmente attivarsi con urgenza per chiedere la sospensione (magari anche prima che inizino i pignoramenti).
- Costi: Opporsi comporta versare un contributo unificato (costo di causa) proporzionato al valore del decreto, e pagare un avvocato. Se si vince, tali spese verranno di solito poste a carico del creditore; se si perde, si aggravano i costi. Valutare quindi costi/benefici.
- Possibilità di saldo a stralcio: talvolta il debitore può, entro i 40 giorni, negoziare con il creditore una riduzione dell’importo dovuto in cambio del pagamento. Se si raggiunge un accordo scritto e il creditore ottiene il pagamento, quest’ultimo di solito rinuncia all’azione (il che può avvenire formalmente con rinuncia al decreto ingiuntivo). Attenzione: ottenere dal creditore una dichiarazione scritta di rinuncia o di avvenuto saldo è fondamentale per avere prova che il decreto non avrà seguito.
- Opposizione parziale: se si contesta solo una parte del credito, è possibile riconoscere il resto e opporsi parzialmente. Ad esempio: decreto ingiuntivo di 50.000 €, ma il debitore riconosce 30.000 e contesta 20.000 di interessi. Può pagare i 30.000 e opporsi solo sugli interessi. Questo può ridurre l’ambito della causa e mostrare buona fede.
In sintesi, il decreto ingiuntivo è un meccanismo efficace per i creditori, ma non è una condanna senza appello: il debitore ha la “chance” dell’opposizione per far valere le proprie ragioni e magari ribaltare la situazione. L’importante è agire con tempestività e cognizione di causa, preferibilmente assistiti da un avvocato esperto in procedure esecutive.
Segnalazioni in CRIF e nelle Centrali dei Rischi
Un aspetto del recupero crediti spesso meno “fisico” ma ugualmente rilevante per il debitore è la segnalazione nelle banche dati creditizie come cattivo pagatore. In Italia operano principalmente due tipi di sistemi informativi creditizi:
- SIC privati (Sistema di Informazioni Creditizie): il più noto è CRIF Eurisc, a cui si affiancano Experian, Cerved, Assilea, e altri. Sono banche dati private in cui banche e finanziarie registrano i finanziamenti concessi ai clienti e il relativo andamento dei pagamenti (regolari o in ritardo). Servono principalmente per la valutazione del merito creditizio delle persone che chiedono prestiti. In tali sistemi la segnalazione non ha soglie minime: anche un ritardo di pochi euro può teoricamente essere registrato, purché la finanziaria rispetti le regole del codice deontologico di settore (es. invio preavviso, tempi di conservazione, ecc.).
- Centrale dei Rischi Bankitalia (CR): è una banca dati pubblica gestita dalla Banca d’Italia, cui partecipano gli intermediari vigilati. Registra le esposizioni sopra una certa soglia (attualmente 30.000 € in generale) e le situazioni di sofferenza anche su importi più bassi (soglia 250 €). È utilizzata principalmente dalle banche per valutare l’indebitamento globale di un cliente (riporta mutui, affidamenti, sconfinamenti, sofferenze bancarie).
Quando si parla di “segnalazione in CRIF” in gergo comune, in realtà si intende la presenza di dati negativi nei SIC privati, ad esempio l’indicazione che il soggetto ha rate scadute non pagate o un prestito classificato in “sofferenza” (insolvenza). Queste segnalazioni rendono difficile ottenere nuovi finanziamenti, poiché chi consulta la banca dati vedrà che il cliente è inaffidabile. La difesa del debitore, in questo ambito, riguarda principalmente due situazioni: prevenire le segnalazioni (o saperle gestire) e rimuovere eventuali segnalazioni illegittime o errate.
Ecco gli aspetti principali e le tutele possibili:
- Obbligo di preavviso al debitore: La normativa (art. 125 comma 3 TUB e il Codice deontologico dei SIC) prevede che, per i consumatori, prima di effettuare una prima segnalazione negativa (ad esempio classificare una posizione in sofferenza, o un ritardo grave) la banca/finanziaria debba avvisare il cliente con almeno 15 giorni di anticipo. Ciò serve a dare al debitore un’ultima chance di sistemare il pagamento ed evitare il “marchio” di cattivo pagatore. La Corte di Cassazione ha chiarito che tale obbligo di preavviso vale solo per il credito al consumo (clienti consumatori), e non ad esempio per un mutuo fondiario fuori ambito consumo. Quindi, se il debitore è un consumatore e non ha ricevuto l’avviso scritto, la segnalazione è da considerarsi illegittima e il debitore può pretenderne la cancellazione. Se invece è un’azienda o un professionista fuori dall’ambito consumer, l’obbligo legale di preavviso non sussiste, anche se molti intermediari lo inviano comunque per buona prassi.
- Tempistiche di conservazione: Le segnalazioni negative non sono eterne: hanno una durata limitata nei SIC privati, trascorsa la quale devono essere cancellate automaticamente. Ad esempio, un ritardo di 2 rate poi sanato rimane registrato per 12 mesi dal regolarissimo, ritardi più gravi sanati rimangono 24 mesi, mentre eventi più gravi come sofferenze non sanate restano al massimo 36 mesi dall’ultimo aggiornamento. Nella Centrale Rischi Bankitalia, invece, i dati di sofferenza permangono finché la posizione è attiva e per un certo periodo dopo la chiusura. Il debitore deve conoscere questi tempi: ad esempio, se ha estinto tutto il debito, può sapere che entro 1-2 anni la sua posizione negativa dovrebbe sparire dai SIC; se ciò non avviene, potrà sollecitare la cancellazione.
- Accesso ai dati e rettifica: Ogni interessato ha diritto di accedere alle informazioni che lo riguardano nelle banche dati (diritto di accesso Privacy/GDPR). Ad esempio, per CRIF si può fare richiesta online e ottenere gratuitamente il proprio resoconto creditizio. È buona norma, in caso di problemi, esercitare questo diritto per vedere esattamente cosa è riportato. Se si riscontrano errori (importi sbagliati, posizione segnalata come aperta ma in realtà chiusa, omonimie, ecc.), si può presentare una richiesta di rettifica/cancellazione sia al gestore del SIC sia direttamente all’ente segnalante, corredando di prove. Questo è il primo passo per far correggere eventuali informazioni scorrette.
- Segnalazioni illegittime o contestate: I casi più delicati sono quando il debitore ritiene che la segnalazione sia avvenuta senza diritto. Esempi: il debito era inesistente o già pagato; la banca ha segnalato “sofferenza” mentre il cliente era in trattativa o in situazione non così grave; mancato preavviso (per i consumatori); scambio di persona. In tali frangenti, il debitore può:
- Diffidare formalmente la banca/finanziaria a cancellare la segnalazione, indicando perché è illegittima (richiamando magari il mancato preavviso o la prova del pagamento effettuato).
- Presentare un reclamo all’intermediario (tutte le banche hanno un ufficio reclami) chiedendo la rettifica dei dati.
- Se entro 30-60 giorni non si ottiene soddisfazione, rivolgersi all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) o all’Autorità Garante Privacy. L’ABF in particolare è spesso scelto per le controversie su segnalazioni: con un costo di 20€, il debitore può presentare un ricorso online all’ABF chiedendo la cancellazione della segnalazione illegittima e l’eventuale risarcimento del danno. L’ABF decide di solito in pochi mesi ed è una procedura stragiudiziale efficace; le banche tendono ad adeguarsi alle decisioni (altrimenti sono pubblicate come inadempienti).
- In casi urgenti o molto gravi, è possibile anche ricorrere al Tribunale ordinario chiedendo un provvedimento d’urgenza (ex art. 700 c.p.c.) per far cessare la segnalazione e risarcire i danni. Questo avviene ad esempio se un soggetto si vede rifiutare un mutuo prima casa perché risulta erroneamente “cattivo pagatore”: può chiedere al giudice di ordinare alla banca segnalante e al SIC di eliminare subito la segnalazione sbagliata, evidenziando il danno imminente (perdita dell’acquisto della casa).
- Danno da segnalazione illegittima: Essere etichettati come cattivi pagatori può causare danni sia patrimoniali (es. mancato accesso al credito, costi più alti per finanziarsi) che morali (stress, reputazione). La giurisprudenza ha affrontato spesso il tema del risarcimento. La Cassazione ha stabilito che il danno patrimoniale non è in re ipsa (automatico) e va provato dal danneggiato, mentre per il danno non patrimoniale (es. lesione reputazione personale) una volta accertata la segnalazione illegittima è più facile presumere l’esistenza di un pregiudizio. In sede di urgenza, molti giudici ritengono il periculum in mora (rischio di danno grave) implicito nella permanenza di una segnalazione infondata, il che facilita ottenere provvedimenti di rimozione immediata. In sede di merito però, per ottenere soldi a titolo di risarcimento, il debitore dovrà dimostrare concretamente le conseguenze subite (ad esempio: “a causa di quella segnalazione mi è stato negato un finanziamento, e ho dovuto rinunciare ad un affare, perdendo tot euro” oppure “ho dovuto accettare un prestito a tasso più alto” oppure documentare il turbamento morale).
- Centrali Rischi pubbliche: Nel caso della Centrale dei Rischi di Bankitalia, le tutele del debitore includono il diritto di accesso (si può chiedere a Bankitalia il proprio resoconto CR dettagliato) e la possibilità di far correggere errori tramite la banca segnalante (o, in ultima istanza, segnalando a Bankitalia o al giudice se un dato è chiaramente errato). Non esiste un “ABF” per la CR, ma le regole impongono alle banche di classificare in “sofferenza” solo clienti in grave e conclamata insolvenza: se una banca abusa segnalando a sofferenza un cliente non insolvente, può essere chiamata a rispondere. Questi casi spesso finiscono in Tribunale, con perizie, ecc. Dunque per la CR il discorso è più complesso e meno standardizzato rispetto al CRIF, ma vale la pena sapere che anche lì si può intervenire (il debitore può scrivere direttamente alla propria banca contestando una posizione, e se necessario adire il giudice).
Scenario tipico: Mario non paga alcune rate di prestito; la finanziaria lo sollecita e infine, senza ulteriore avviso, segnala a CRIF il mancato pagamento. Mario se ne accorge mesi dopo, quando prova a chiedere un nuovo prestito e viene rifiutato. Come può agire? 1) Chiede subito a CRIF l’accesso ai dati: scopre che risulta un “credito in sofferenza” segnalato dalla finanziaria X per 5.000 €. 2) Manda un reclamo a X dicendo che non è mai stato avvisato e che quella è un’illegittima segnalazione (supponendo sia consumatore e che non ha ricevuto la raccomandata di preavviso). 3) In parallelo, potrebbe pagare il dovuto se effettivamente lo deve (così da far aggiornare a “saldo stralcio” la posizione, migliorando un poco l’aspetto creditizio). 4) Trascorsi 30 giorni senza risposta, presenta ricorso all’ABF chiedendo la cancellazione immediata per mancato preavviso e risarcimento del danno (nel frattempo magari la casa che voleva comprare è sfumata per il prestito negato). 5) L’ABF, verificati i fatti, spesso dà ragione al cliente: ordina alla finanziaria di cancellare la segnalazione perché senza preavviso e magari riconosce un indennizzo per il disservizio. 6) La finanziaria entro 30 giorni esegue, Mario torna “pulito” nei database. – Questo esempio mostra un percorso tipico di difesa extragiudiziale. Se invece fosse necessario agire in giudizio, Mario avrebbe potuto chiedere un decreto urgente. Spesso però, l’ABF (o Autorità come il Garante Privacy) sono vie più rapide e meno costose per queste problematiche.
In conclusione, difendersi dalle segnalazioni creditizie negative è possibile, ma occorre muoversi con decisione: mantenere la corrispondenza (il preavviso scritto) come prova, contestare subito eventuali errori, e conoscere i propri diritti di cancellazione decorso il termine. Anche dopo la normale cancellazione, se ad esempio una banca continua a considerare il cliente come “cattivo” basandosi su informazioni passate non più attuali, il cliente può esigere un trattamento corretto. La reputazione creditizia oggi è un bene prezioso quasi quanto i beni materiali: va tutelata attivamente.
Strategie extragiudiziali per gestire o contrastare il recupero crediti
Dopo aver visto “cosa può succedere” in termini di atti del creditore, passiamo alla prospettiva del debitore: cosa può fare attivamente per risolvere o attenuare il problema dei debiti, prima di arrivare allo scontro legale frontale? Spesso, infatti, la via extragiudiziale (fuori dalle aule di tribunale) è la più conveniente per entrambe le parti: permette al creditore di recuperare almeno in parte il proprio credito senza lungaggini, e al debitore di negoziare condizioni sostenibili, evitando misure aggressive come pignoramenti o l’esposizione mediatica di cause giudiziarie. Vediamo alcune delle principali strategie e strumenti extragiudiziali, tra cui: saldo e stralcio, piani di rientro concordati, mediazione, trattative private e reclami/ricorsi stragiudiziali.
Accordo a saldo e stralcio
Cos’è: Il saldo e stralcio è un accordo transattivo in cui il debitore paga al creditore un importo inferiore a quello dovuto originariamente, e in cambio il creditore considera il debito estinto (stralciato) rinunciando a pretendere altro in futuro. È dunque una forma di “sconto sul debito” che viene formalizzata per iscritto tra le parti. Ad esempio, su un debito di 10.000 €, le parti possono accordarsi che il debitore paghi 6.000 € in un’unica soluzione entro 30 giorni, e il creditore accetta tale somma a chiusura definitiva, rinunciando ai restanti 4.000 €.
Quando conviene: Il saldo e stralcio è frequente quando:
- Il debitore è in difficoltà economica e non riesce a pagare l’intero importo, ma magari può procurarsi una somma minore (risparmi familiari, aiuto di parenti, liquidazione TFR, vendita di un bene, ecc.) per chiudere la posizione.
- Il creditore preferisce incassare subito una percentuale del dovuto piuttosto che avviare lunghe azioni legali dall’esito incerto. Ciò succede spesso con banche o finanziarie che vendono i crediti deteriorati a società di recupero crediti: queste ultime li acquistano a prezzo ridotto e quindi possono accettare pagamenti ridotti pur di fare margine.
- Il debito è contestato o di difficile esigibilità: ad esempio, se il debitore ha sollevato eccezioni legali che potrebbero invalidare parte del credito (interessi contestati, vizi contrattuali) oppure il debitore è nullatenente e aggredibile con difficoltà. In questi casi il creditore è incentivato a “accontentarsi” di una porzione subito, piuttosto che rischiare di non ottenere nulla.
Vantaggi per il debitore: Chiaramente, il vantaggio principale è il risparmio economico – si paga meno del dovuto. Inoltre:
- Si chiude definitivamente la vicenda debitoria, evitando ulteriori stress, spese e la “perdita di controllo” tipica delle esecuzioni forzate.
- Spesso il creditore, nell’accordo, si impegna a far cancellare eventuali segnalazioni negative (es: se c’è una sofferenza in CRIF, a seguito del pagamento a saldo e stralcio molti creditori accettano di segnalare la posizione come “chiusa” con beneficio per il rating futuro del debitore).
- Il debitore evita un possibile fallimento (per le imprese) o altre procedure concorsuali, e può pianificare la propria ripartenza finanziaria con basi più solide.
Svantaggi e attenzioni: Non è tutto roseo:
- Trovare i fondi per il saldo e stralcio può essere difficile: spesso si richiede un pagamento unico e immediato o comunque in poche soluzioni ravvicinate (proprio per invogliare il creditore allo sconto). Il debitore deve quindi mobilitare risorse in tempi brevi.
- Se il debitore in realtà avrebbe potuto pagare l’intero importo (magari con sacrifici), c’è l’aspetto morale/strategico: richiedere uno stralcio implica ammettere difficoltà e trattare da posizione di debolezza (il che, tuttavia, è coerente con la situazione debitoria).
- Attenzione alle tracce scritte: è fondamentale mettere per iscritto l’accordo di saldo e stralcio, a firma di entrambe le parti. L’accordo dovrebbe esplicitare che il pagamento parziale di € X entro tale data sarà accettato a totale saldo del debito e che nessuna ulteriore pretesa verrà avanzata. Inoltre, è prudente far inserire che la rinuncia è valida anche verso eventuali cessionari futuri del credito. Questo per evitare che, dopo aver pagato, spunti fuori qualche società a chiedere il resto.
- Effetti fiscali: per il debitore persona fisica, lo stralcio del debito può talvolta avere conseguenze fiscali (in teoria il debito condonato potrebbe essere considerato un arricchimento tassabile). Tuttavia, nel recupero crediti privato, di solito questi importi non vengono tassati come reddito per il debitore (diverso in ambito fiscale, dove il saldo e stralcio di cartelle può generare imponibile). È comunque un aspetto da verificare per somme molto elevate.
Come negoziare un saldo e stralcio:
- Il debitore può farsi avanti spontaneamente con una proposta scritta al creditore. È importante presentarla in modo credibile: spiegare la propria condizione (es. perdita del lavoro, spese mediche, ecc.), indicare l’importo massimo che si è in grado di offrire e i tempi. Se il debitore ha più creditori, può essere utile far presente che la somma offerta deriva da un sacrificio unico e che o l’accetta quel creditore o la si offrirà ad altri (fa leva sulla “concorrenza” tra creditori).
- Spesso è efficace affidarsi a un avvocato o società di debito specializzata: costoro sanno quali percentuali sono normalmente accettate. Ad esempio, per crediti di difficile recupero venduti a società, un’offerta del 30% può andare a buon fine; per debiti bancari garantiti (es. mutuo con ipoteca) lo sconto sarà minore, ecc.
- Cedere qualcosa in cambio: il creditore può essere invogliato se il debitore rinuncia a contestazioni. Ad esempio, “Pago il 50% ma rinuncio a qualsiasi contestazione legale e vi do atto che nulla è più dovuto né pretendibile da entrambe le parti”. Questo “pace totale” spesso è attraente per creditori timorosi di lunghe cause.
- Timing: il momento migliore per proporre saldo e stralcio è prima che il creditore sostenga grosse spese legali (pignoramenti, aste) ma dopo che il credito sia magari un po’ “stagionato” (se si propone troppo presto, il creditore spera ancora di riscuotere tutto). Ad esempio, un paio di mesi dopo il decreto ingiuntivo, oppure subito dopo un primo pignoramento andato a vuoto, possono essere momenti giusti.
- Transazione a fronte di opposizione: se c’è già un’opposizione in corso, si può transigere con saldo e stralcio anche in quella sede, facendolo risultare nel verbale di conciliazione in tribunale (che dà maggior forza formale all’accordo).
In sostanza, il saldo e stralcio rappresenta spesso la via d’uscita più rapida dal tunnel dei debiti: il debitore “strappa il cerotto” pagando quanto possibile e liberandosi del resto. Va però usato con consapevolezza e trasparenza, preferibilmente supportati da un consulente legale, così da non incorrere in sorprese. Una volta chiuso l’accordo, è buona pratica farsi rilasciare dal creditore una liberatoria scritta dove si attesta l’avvenuto pagamento e l’estinzione del debito, documento utile per il futuro (ad esempio da esibire se per errore arrivassero ulteriori richieste su quel debito).
Piani di rientro e dilazioni di pagamento
Accanto al saldo e stralcio (che implica una riduzione del debito), un’altra strategia extragiudiziale diffusa è quella di concordare un piano di rientro a rate per pagare l’intero importo dovuto (o una parte significativa) in maniera sostenibile. In pratica, si tratta di una dilazione del debito: il debitore riconosce il debito e si impegna a pagarlo gradualmente, e il creditore accetta di aspettare e spesso interrompe le azioni esecutive purché il piano venga rispettato.
Caratteristiche:
- Di solito il piano di rientro è formalizzato in una scrittura privata (spesso chiamata “accordo di rateizzazione” o “piano di rientro”), firmata da debitore e creditore. Contiene l’importo totale, il numero di rate, l’importo di ciascuna e le scadenze.
- Spesso il creditore chiede che il debitore emetta cambiali per ogni rata, a garanzia del piano: in tal modo, se il debitore non paga una cambiale, il creditore ha un titolo esecutivo immediatamente (la cambiale protestata) per riprendere le azioni. Non è obbligatorio, ma prassi comune in molte transazioni.
- Talvolta, soprattutto con banche o finanziarie, il piano può prevedere che il debitore firmi un atto di ricognizione del debito o un titolo esecutivo stragiudiziale (es. una cambiale unica, o una confessione di debito autenticata). Ciò rende più sicuro il creditore ma può complicare le cose per il debitore (perché in caso di inadempimento si troverebbe un titolo pronto senza più possibilità di opposizione sul merito).
- Il creditore in genere acconsente a sospendere le azioni legali pendenti (ad esempio sospendere un pignoramento in corso) fintanto che il debitore paga regolarmente le rate. Può essere inserita una clausola risolutiva espressa: se il debitore salta una o due rate, l’accordo si considera risolto e il creditore può agire per l’intero importo detratto quanto eventualmente pagato.
Pro:
- Il debitore evita il colpo immediato di dover pagare tutto e soprattutto evita (o ferma) pignoramenti, distribuisce l’onere nel tempo.
- Non ci sono “sconti” sul capitale normalmente, ma a volte il creditore può rinunciare a parte di interessi o spese, oppure semplicemente rinuncia ad aggiungerne di ulteriori durante la dilazione (blocca gli interessi futuri se paghi regolare).
- Psicologicamente, avere un piano concordato toglie l’ansia del “quando mi colpiranno?” – si ha un percorso definito da seguire.
- Per alcuni debitori, soprattutto aziende, il piano di rientro permette di gestire il flusso di cassa e magari evitare l’apertura di procedure concorsuali.
Contro e rischi:
- Impegna il debitore a pagare l’intero (o quasi) del dovuto. Quindi se la situazione finanziaria è molto compromessa, forse non è la soluzione ottimale: ci si troverà solo a prolungare l’agonia, pagando per un periodo e poi eventualmente fallendo lo stesso. In quei casi estremi, sarebbe meglio optare per soluzioni di esdebitazione (vedi oltre) o un saldo e stralcio.
- Se il debitore non rispetta il piano, spesso sta peggio di prima: il creditore potrebbe accelerare le azioni (es. mettere all’incasso tutte le cambiali rimanenti) e il clima di fiducia si rompe, rendendo più aggressiva la controparte.
- Potrebbe precludere alcune difese legali: firmare un piano di rientro equivale di solito a riconoscere il debito, quindi il debitore perde la possibilità di contestare in seguito vizi del credito (anatocismo, prescrizione, ecc.). Dunque va fatto solo se si è sicuri dell’importo e si accetta di pagarlo.
- Attenzione alla decadenza dal beneficio del termine: spesso l’accordo prevede che se saltano ad es. due rate, l’intero residuo diventa esigibile subito in un’unica soluzione. Quindi dopo un’inadempienza il creditore può richiedere tutto insieme, non solo la rata mancante.
Esempio: un imprenditore ha un debito commerciale di €20.000 con un fornitore, scaduto. Invece di farsi portare in tribunale, propone di pagare €20.000 in 10 rate mensili da €2.000. Il fornitore accetta, ma chiede cambiali mensili da €2.000 cad. L’imprenditore le firma. Nei mesi seguenti paga regolarmente le prime 5 rate, poi ha un problema di liquidità e salta la 6a rata: la cambiale va in protesto, il fornitore risolve l’accordo e gira il caso a un legale. L’imprenditore ora si trova con 4 cambiali scadute (titoli esecutivi) per €8.000 totali e perde il vantaggio dilatorio: il fornitore può procedere subito col pignoramento sui beni aziendali per l’intero residuo. – Questo scenario insegna che concordare un piano è utile ma bisogna avere ragionevole certezza di poterlo rispettare.
Negoziare una dilazione:
- Anche qui, il timing conta: spesso i creditori concedono dilazioni prima di avviare vie legali, o appena dopo averle iniziate. Ad esempio, una banca può proporre al cliente moroso un “piano di rientro di 12 mesi” per rientrare dallo scoperto, inviando una lettera. È bene rispondere tempestivamente se l’offerta è fattibile, magari cercando di aggiustare importo rata se troppo alto (è nell’interesse di entrambi che il piano stia in piedi).
- Garanzie aggiuntive: a volte per concedere una dilazione il creditore chiede ulteriori garanzie: ad esempio, un garante terzo che firmi per avallo delle cambiali o coobbligandosi, oppure una pegno/ipoteca su qualche bene del debitore. Bisogna valutare bene: aggiungere garanzie può mettere a rischio altri beni che prima erano al sicuro. Però se ciò convince il creditore ad allungare i tempi e il debitore è certo di pagare, può valere la pena.
- Interessi: la dilazione spesso comporta degli interessi di mora sulle rate. Conviene sempre chiarire se la somma rateizzata è comprensiva di interessi o se su ogni rata maturano interessi ulteriori. Idealmente, ci si accorda su un importo “fisso” totale (capitale + interessi forfettari) e rate costanti, così non ci saranno sorprese.
- Mantenere traccia scritta dei pagamenti: se si paga a rate, meglio farlo con mezzi tracciabili (bonifico, bollettini) e conservare le ricevute, nel caso il creditore o un cessionario futuro pretendesse ancora soldi sostenendo pagamenti non avvenuti.
In breve, il piano di rientro è uno strumento di compromesso: non abbatte il debito ma lo rende gestibile nel tempo. Si colloca spesso in un’ottica di “pausa negoziata” che evita il ricorso a cause e pignoramenti. Dal punto di vista psicologico impegna il debitore a una disciplina di pagamento, quasi come un nuovo prestito. È fondamentale però valutare onestamente la propria capacità: accettare piani troppo gravosi porta solo a un default posticipato. Meglio un piano più lungo ma realistico, che uno breve ma insostenibile.
Mediazione e negoziazione assistita
Oltre alle trattative dirette tra debitore e creditore, esistono strumenti terzi di composizione delle controversie che possono essere sfruttati anche nel recupero crediti. La mediazione civile e, in taluni casi, la negoziazione assistita sono procedure in cui, con l’ausilio rispettivamente di un mediatore imparziale o degli avvocati, le parti cercano un accordo evitando la causa. Vediamo come possono aiutare nel contesto di debiti e recupero crediti:
- Mediazione civile: È prevista dal D.lgs. 28/2010. Normalmente il creditore non è obbligato a tentarla prima di agire (tranne che in alcune materie specifiche, e come visto nell’opposizione a DI). Tuttavia il debitore può attivare volontariamente una mediazione presso un Organismo iscritto, invitando il creditore. Ad esempio, Tizio debitore di somme verso una banca potrebbe depositare un’istanza di mediazione illustrando una proposta (saldo e stralcio, rateazione, revisione interessi) e sedersi al tavolo col creditore con l’aiuto del mediatore. Se il creditore aderisce, c’è la possibilità di un accordo scritto che, se firmato da avvocati di parte e omologato dal giudice, vale come titolo esecutivo. La mediazione può essere utile quando i rapporti sono molto tesi: la presenza di un mediatore facilita il dialogo e può far emergere soluzioni creative (es. il mediatore potrebbe suggerire: “perché non date in garanzia quell’altro bene per ottenere più tempo?”, ecc.). Non tutti i creditori accettano di partecipare volontariamente, ma tentar non nuoce: a volte anche la volontà del debitore di mostrarsi collaborativo in sede di mediazione può far breccia. Alcuni accordi di ristrutturazione di debiti familiari (es. con finanziarie che avevano più crediti su un nucleo) sono stati raggiunti proprio tramite mediazione.
- Negoziazione assistita: Prevista dal D.L. 132/2014, la negoziazione assistita è un accordo tra le parti di tentare una composizione con l’aiuto dei propri avvocati, formalizzato in una convenzione. È obbligatoria in pochi casi (non in materia di recupero crediti pecuniari), ma può essere adoperata facoltativamente. In pratica, se entrambe le parti hanno avvocati, possono firmare un accordo di negoziazione e cercare un’intesa. Se trovata, l’accordo sottoscritto ha efficacia esecutiva (un po’ come la mediazione). Può essere utile in contesti dove magari c’è già una causa pendente: sospendere la causa per negoziare con più calma. Nel recupero crediti classico, è meno usata della mediazione, perché spesso inizialmente il debitore non ha avvocato e non vuole sostenere spese; tuttavia, se la posta in gioco è alta, questa via formale può aggiungere serietà alle trattative.
- Arbitrato: lo citiamo per completezza, anche se in materia di semplice recupero crediti non è comune avviare arbitrati (a meno di clausole contrattuali preesistenti). L’arbitrato infatti serve a ottenere una decisione di merito da arbitri privati invece che dal giudice, ma se il debitore non contesta il debito non ha senso “arbitrare” il nulla; se contesta, di solito preferisce il giudice statale (che è gratuito) piuttosto che pagare arbitri. Più che difesa del debitore, è un diverso foro di decisione e non rientra propriamente tra le strategie difensive.
- Conciliazioni paritetiche: in alcuni settori (banche, energia, telecomunicazioni) esistono procedure di conciliazione paritetica o presso organismi specifici (ad esempio la conciliazione presso l’ABF di cui diremo, o presso camere di commercio). Nel recupero crediti in senso lato, possiamo includere anche quelle: ad esempio, per le bollette non pagate di luce/gas spesso si può conciliare presso l’ARERA o simili per dilazioni.
In sintesi, il concetto chiave è: coinvolgere un terzo neutrale o seguire procedure “ordinate” può aiutare a uscire dal conflitto creditore vs debitore con una soluzione win-win. Il debitore dimostra buona volontà nel cercare una soluzione bonaria, il creditore vede un impegno concreto. Certo, queste procedure richiedono tempo e, talvolta, costi (la mediazione ha un costo di segreteria e un’indennità per il mediatore, spesso a carico di chi la promuove se non si chiude con accordo). Vanno quindi valutate caso per caso.
Reclami e ricorsi stragiudiziali
Un ambito spesso sottovalutato dal debitore è quello dei reclami formali e dei ricorsi alle autorità indipendenti o organismi di settore. Mentre il pignoramento e l’ingiunzione si affrontano in tribunale, molte situazioni di abuso o scorrettezza nel recupero crediti possono essere risolte tramite segnalazioni agli enti competenti. Alcuni esempi:
- Reclamo all’istituto creditore: Tutte le banche, le finanziarie, le società di leasing e anche le società di recupero crediti importanti hanno un ufficio reclami. Un debitore che subisca comportamenti scorretti (es. telefonate minacciose, errori nei conteggi, applicazione di interessi non dovuti) dovrebbe sempre inviare un reclamo scritto all’ente, meglio via PEC o raccomandata A/R, dettagliando il problema e cosa chiede (es: “contestazione calcolo interessi, chiedo ricalcolo del debito”; oppure “segnalate un debito che ho già pagato, chiedo correzione e scuse”). L’istituto deve rispondere entro 30 o 60 giorni a seconda del settore. Se il reclamo cade nel vuoto o è respinto, ciò apre la porta al passo successivo.
- Arbitro Bancario Finanziario (ABF): Ne abbiamo già parlato nella parte sulle segnalazioni CRIF, ma vale in generale: l’ABF è un organismo indipendente (istituito da Bankitalia) che decide controversie tra clienti e intermediari bancari/finanziari fino a 200.000 € circa. Molti casi di recupero crediti “anomalo” possono essere sottoposti all’ABF: ad esempio, contestazioni su interessi di mora troppo elevati, contestazione di una carenza di comunicazioni, richieste di restituzione di somme indebitamente addebitate. Anche il debitore può ricorrere all’ABF in funzione difensiva: per esempio, se la banca rifiuta un piano del consumatore presentato ex legge 3/2012 senza valide ragioni, oppure se una finanziaria continua a pretendere somme già saldate. Il procedimento ABF è scritto, veloce (circa 4-6 mesi) e con costo irrisorio (20 € rimborsati in caso di vittoria). Le decisioni ABF non sono vincolanti come una sentenza, ma quasi tutte le banche le rispettano. Se la banca non esegue, viene pubblicamente censurata. Questo strumento offre quindi una leva morale notevole. Ad esempio, ABF ha deciso su casi di società di recupero crediti aggressive condannandole a risarcire il cliente per i toni minacciosi: il debitore segnalò l’accaduto e l’ABF riconobbe che erano state violate le regole deontologiche, disponendo un indennizzo.
- Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF): riguarda investimenti, quindi meno attinente ai classici crediti di prestito, ma se il debito deriva da investimenti mal gestiti (es. broker fallito) potrebbe essere un forum.
- Garante Privacy: Se nel recupero crediti vengono violati dati personali (ad es. il recuperatore rivela a terzi i dettagli del debito, o pubblica sui social il nome del debitore, o telefona in orari impropri), si può fare un esposto al Garante per la Protezione dei Dati. Il Garante può sanzionare pesantemente l’azienda colpevole e ordinare misure correttive. Per il debitore, non si ottiene direttamente un risarcimento (va eventualmente richiesto poi in causa), ma si ottiene che l’abuso cessi e che l’ente venga punito.
- AGCM (Antitrust): L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato vigila anche sulle pratiche commerciali scorrette, tra cui i comportamenti aggressivi nel recupero crediti verso i consumatori. In passato l’AGCM ha multato società di recupero crediti che mandavano lettere minatorie con falsi atti giudiziari o facevano telefonate moleste. Un consumatore può segnalare tali pratiche all’AGCM (tramite modulo online). L’Autorità, se riscontra violazioni del Codice del Consumo, può irrogare sanzioni (anche decine di migliaia di euro). Ciò indirettamente tutela il consumatore e spinge le società a comportarsi correttamente.
- OAM: L’Organismo degli Agenti e Mediatori gestisce l’albo delle società di recupero crediti. Queste ultime devono seguire un codice condotta. Un debitore può inviare un esposto all’OAM se un’agenzia iscritta si comporta in modo grave (minacce, millantato titolo di pubblico ufficiale, pressioni illegali). L’OAM può anche sospendere o radiare l’agente di recupero scorrettamente operante.
- Altre autorità: In casi specifici, si possono attivare tutele di settore: es. se il debito riguarda bollette, l’ARERA (Autorità energia) ha conciliazioni; se riguarda telecomunicazioni, c’è il Co.Re.Com; se è di natura tributaria locale, il difensore civico o il garante del contribuente.
In generale, il consiglio al debitore è: non subire passivamente soprusi o errori da parte di chi recupera il credito. Un reclamo ben scritto, un ricorso a costo basso come ABF, o una segnalazione all’autorità, possono risolvere situazioni che altrimenti degenererebbero. Queste vie stragiudiziali spesso portano anche a risultati più rapidi di una causa. Ovviamente, se il debitore ha torto (es. il debito è chiaro e scaduto), difficilmente le autorità gli daranno ragione; ma se ci sono ragioni valide (es. “mi perseguitano telefonicamente 20 volte al giorno”, o “mi chiedono più del dovuto”), allora vale la pena intraprendere queste azioni.
Da notare che molti di questi passaggi (reclami, ricorsi) possono essere fatti senza avvocato. Tuttavia, farsi assistere da un’associazione di consumatori o un legale può aumentare l’efficacia dell’istanza (linguaggio più tecnico, richiami normativi precisi). In ogni caso, tenere copia di tutto e creare un “dossier” può essere utile anche se poi si finisce in giudizio: dimostrare al giudice di aver tentato tutte le strade stragiudiziali e di essersi imbattuti in un comportamento ostinato del creditore può dipingere il debitore sotto una luce migliore.
Strumenti giuridici e processuali a disposizione del debitore
Non sempre le soluzioni bonarie funzionano o sono possibili: in certi casi il debitore si trova costretto a difendersi formalmente nelle sedi giudiziarie o attraverso procedure legali strutturate. In questa sezione passeremo in rassegna gli strumenti “tecnici” che l’ordinamento offre al debitore per reagire o gestire i procedimenti avviati dal creditore. Si tratta di misure che in genere richiedono l’assistenza di un avvocato e il coinvolgimento di un giudice o di un organismo giurisdizionale. Le principali categorie che tratteremo sono:
- Opposizioni: sia l’opposizione a decreto ingiuntivo (per contestare un ordine di pagamento ottenuto dal creditore) sia le opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi (per contestare un pignoramento o i singoli atti esecutivi).
- Istanze al giudice dell’esecuzione: in particolare l’istanza di sospensione dell’esecuzione, misura urgente per congelare un pignoramento in corso.
- Ricorsi “in autotutela”: un termine generico con cui ci riferiamo a richieste di annullamento/riesame rivolte allo stesso ente creditore (tipiche in ambito fiscale e amministrativo).
- Ricorsi all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF): già menzionato come strumento stragiudiziale, lo riprendiamo qui come parte del ventaglio di opzioni.
- Cause in Tribunale: dal reclamo ex art. 700 c.p.c. (provvedimenti d’urgenza) fino alle cause di accertamento negativo del debito o di risarcimento danni subiti.
- Procedure concorsuali minori e sovraindebitamento: le istanze di esdebitazione e le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (piani del consumatore, concordati minori, ecc.), che possono essere l’ultima spiaggia per liberarsi legalmente dei debiti insostenibili.
- Ulteriori strumenti: come già accennato, la conversione del pignoramento (trattata sopra), o l’intervento in procedura esecutiva.
Analizzeremo ciascuno con i suoi presupposti, tempi e finalità, fornendo anche riferimenti normativi dove opportuno.
Opposizione a decreto ingiuntivo
Abbiamo dettagliatamente discusso della opposizione a decreto ingiuntivo nella sezione sugli ingiunzioni di pagamento. Qui riepiloghiamo i punti chiave in ottica di strumento difensivo:
- Quando: quando si riceve un decreto ingiuntivo, il debitore può proporre opposizione entro i termini (in genere 40 giorni dalla notifica, salvo abbreviati o decorrenze diverse in caso di notifica all’estero o tardiva conoscenza).
- Cosa comporta: si instaura un giudizio ordinario di merito in cui il debitore diventa attore (opponente) e il creditore il convenuto (opposto). Il decreto ingiuntivo perde efficacia esecutiva fino alla fine del giudizio, salvo fosse esecutivo provvisoriamente (in tal caso bisogna ottenere la sospensione ex art. 649 c.p.c.).
- Motivi di opposizione: qualsiasi eccezione di merito o procedura che il debitore avrebbe potuto sollevare se fosse stato citato in un processo normale. Ad esempio: contestazione del credito (non dovuto, già pagato, importo errato, prescrizione), nullità del contratto originario, vizi formali della procedura monitoria (mancanza dei requisiti per ingiunzione).
- Forma: dal 2023 la forma è ricorso per i decreti ingiuntivi emessi in base alla nuova normativa (ricorsi monitori depositati dal 28/2/2023 in Tribunale), mentre resta atto di citazione per gli altri. Questo adeguamento formale è un dettaglio tecnico di cui l’avvocato del debitore terrà conto; l’importante è non mancare la scadenza.
- Effetti: l’opposizione se vinta annulla il decreto; se persa, il decreto diviene titolo esecutivo definitivo.
- Costi e rischi: se l’opposizione viene rigettata, il debitore può essere condannato alle spese di lite (pagare l’avvocato del creditore) e a eventuali interessi moratori maturati nel frattempo. Se accolta, viceversa, può recuperare spese e far valere eventuali suoi crediti (se ad esempio aveva pagato troppo).
- Strategie: a volte il debitore può scegliere di fare opposizione parziale: ad esempio, opporsi solo per una quota contestata, pagando nel frattempo la parte riconosciuta. Ciò può ridurre l’oggetto del contendere e magari convincere il creditore a mollare. Un’altra strategia è usare l’opposizione come leva negoziale: se il creditore teme di perdere, potrebbe accordarsi per un saldo e stralcio. Tuttavia, attenzione a non abusare dell’opposizione solo per prendere tempo: se è chiaramente infondata, il giudice potrebbe concedere al creditore l’esecuzione provvisoria ex art. 648 c.p.c., vanificando il guadagno di tempo.
- Caso particolare – decreto ingiuntivo europeo: esiste un procedimento europeo per ingiunzioni transfrontaliere. Se un debitore riceve un’ingiunzione europea (European Payment Order), i termini di opposizione sono 30 giorni e l’atto di opposizione comporta il trasferimento del caso in sede ordinaria nello Stato membro d’origine. È raro ma da sapere nel contesto difensivo se il creditore estero usa questo canale.
In sostanza, l’opposizione a DI è il primo baluardo difensivo: se credete di avere valide ragioni, non esitate a esercitarla, perché è più facile fermare un credito ingiusto in questa fase iniziale che disinnescare un pignoramento successivo. Come sempre, consultare un legale esperto in monitorio può far la differenza tra un’opposizione efficace e una che si ritorce contro.
Opposizione all’esecuzione e opposizione agli atti esecutivi
Quando il recupero crediti è già passato alla fase esecutiva (pignoramenti e affini), le armi del debitore sono le opposizioni esecutive, disciplinate dal codice di procedura civile:
- L’opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) serve a contestare il diritto del creditore di procedere a esecuzione. In altre parole, il debitore dice: “questa esecuzione non doveva proprio iniziare, perché io non devo nulla / ho già pagato / il titolo è nullo / ecc.”. È un’opposizione di merito sul rapporto sottostante o sul titolo esecutivo.
- L’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) serve a denunciare irregolarità formali degli atti dell’esecuzione, ad esempio un vizio di notifica, il mancato rispetto di termini, errori nel contenuto di atti (precetto, pignoramento, avvisi).
- Vi è anche l’opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.), citata prima, che però è attivata da un terzo che rivendica la proprietà di un bene pignorato.
Tempistica:
- L’opposizione all’esecuzione pre-esecutiva (cioè proposta prima che inizi il pignoramento, ad esempio contro il precetto) non ha un termine perentorio definito dal codice, salvo quello generale di farla prima che l’esecuzione sia conclusa. In pratica va proposta entro l’inizio dell’esecuzione se riguarda il titolo o il diritto a procedere (es: “il precetto è invalido perché il titolo è nullo”).
- L’opposizione all’esecuzione in corso di esecuzione (dopo che il pignoramento è partito) è ammessa solo per fatti sopravvenuti o conosciuti dopo (es: “ho pagato il debito dopo il precetto”, oppure “il titolo è venuto meno per una sentenza sopravvenuta”). Va proposta anch’essa tempestivamente e comunque non oltre la fine della procedura.
- L’opposizione agli atti esecutivi ha invece termine perentorio di 20 giorni dalla notifica o dalla conoscenza legale dell’atto viziato (art. 617). Ad esempio, se il precetto ha un vizio formale, devo oppormi entro 20 gg dalla sua notifica; se il pignoramento è viziato, 20 gg dalla notifica del verbale a me o dell’avviso.
Competenza e forma:
- Queste opposizioni vanno fatte al giudice dell’esecuzione competente (di solito il Tribunale del luogo dell’esecuzione, o il GdP se titolo GdP e solo mobili?). La forma è l’atto di citazione in opposizione (a volte con ricorso se in corso, dipende). L’opposizione all’esecuzione pre-esecutiva contro il precetto va introdotta con atto di citazione contro il creditore davanti al tribunale competente per l’esecuzione.
- L’opposizione in corso e agli atti spesso si propone con ricorso allo stesso giudice dell’esecuzione se l’esecuzione è pendente, facendola comparire in udienza.
- Sono dettagli tecnici, ma significano che è indispensabile l’avvocato (non sono atti semplici che il debitore possa improvvisare, pena l’inammissibilità).
Opposizione all’esecuzione (615):
- Può riguardare ragioni di merito: es. “non dovevo questa somma” oppure “il credito si è estinto prima del pignoramento (pagamento, compensazione, remissione…)”, oppure “il titolo esecutivo non è valido o è stato annullato”. Anche l’usura sopravvenuta (interessi oltre soglia nel corso di un mutuo) è stata ammessa come eccezione del debitore opponente nell’esecuzione.
- Può riguardare ragioni di legittimità del titolo: es. la sentenza non è ancora passata in giudicato e non era provvisoriamente esecutiva, quindi il precetto è prematuro; oppure il decreto ingiuntivo non è stato notificato come legge comanda prima di pignorare.
- Importante: se il debitore scopre un vizio radicale, può usarla anche tardivamente: ad es. se dopo anni scopre che la notifica del titolo era nulla, può far valere la nullità anche durante l’esecuzione (questo confina con motivi art. 617 se notifica del titolo considerata atto esecutivo).
- Se proposta prima del pignoramento (tipicamente contro il precetto), sospende l’inizio dell’esecuzione se il giudice, su istanza, sospende il precetto. Se proposta dopo, l’esecuzione prosegue salvo sospensione da parte del giudice (vedi infra).
- Spesso è bifasica: c’è una fase sommaria davanti al G.E. e poi una fase di merito a cognizione piena (specie per opposizioni pre-esecutive). Ad esempio, oppongo il precetto per prescrizione: il giudice può sospendere l’esecuzione e rinviare le parti a un giudizio di merito dove si deciderà se la prescrizione c’era o no.
Opposizione agli atti esecutivi (617):
- Deve specificare l’atto viziato e il vizio: es. “il pignoramento è nullo perché non era firmato dall’ufficiale giudiziario” oppure “il precetto è nullo perché manca l’indicazione del titolo” o “la notifica del pignoramento è stata fatta a un indirizzo sbagliato”.
- Mira a far annullare quell’atto. Se l’atto annullato è fondamentale (es. il pignoramento), l’intera esecuzione può essere travolta; se è un atto incidentale (es. l’avviso d’asta) si può rinnovare quell’atto.
- Termini strettissimi (20 gg). Se il debitore se ne accorge tardi, perde la possibilità.
- Non sospende di per sé l’esecuzione, ma il giudice può sospendere gli effetti dell’atto impugnato se opportuno.
Sospensione dell’esecuzione:
È un capitolo correlato: sia nell’opposizione ex 615 che 617, il debitore deve chiedere la sospensione se vuole bloccare intanto la procedura. L’art. 624 c.p.c. consente al giudice dell’esecuzione di sospendere con ordinanza se ricorrono gravi motivi. Gravi motivi tipici: la fondatezza evidente dell’opposizione (fumus) unita a un pregiudizio grave nel far proseguire (periculum). Esempio: se non sospendo, settimana prossima vendono la casa e poi magari scopriamo che il debitore aveva ragione: irreparabile. Il giudice può sospendere la vendita allora.
- La sospensione può essere totale o parziale (es. sospendo solo la distribuzione delle somme, ma l’asta si fa lo stesso).
- Una volta sospesa, l’esecuzione rimane ferma finché non si risolve l’opposizione (anni magari). Questo dà respiro al debitore, ma attenzione: se poi perde, il creditore potrebbe riattivare tutto e chiedere anche i danni da ritardo.
Quando usare 615 vs 617:
- Se il problema è sostanziale (non devo pagare) -> 615.
- Se il problema è procedurale (atto malfatto) -> 617.
- Spesso si possono cumulare: il debitore può far valere più motivi alcuni di 615 altri di 617. La giurisprudenza ha criteri per distinguere, ma in pratica il legale li inserisce separatamente.
- Se si sbaglia la qualificazione e il giudice la ritiene tardiva, si rischia l’inammissibilità; quindi è importante farlo bene.
In conclusione, le opposizioni esecutive sono lo scudo e la spada del debitore durante i pignoramenti. Sono però armi tecniche: serve un avvocato esperto in esecuzioni. I tempi non sono brevi (possono durare anni), ma offrono la chance di far valere le proprie ragioni e talvolta di fermare immediatamente la “gogna” esecutiva in atto.
Istanza di sospensione dell’esecuzione
Abbiamo accennato sopra alla sospensione nell’ambito delle opposizioni. Dedichiamo qualche riga a questo specifico strumento: l’istanza di sospensione è il mezzo processuale con cui il debitore chiede al giudice di mettere in pausa temporaneamente la procedura esecutiva in corso. La circostanza tipica è proprio quando viene promossa un’opposizione ex art. 615 co.2 c.p.c. (dopo pignoramento) o ex art. 617, oppure ex art. 619 c.p.c. (opposizione di terzo): il giudice dell’esecuzione, sentite le parti, può sospendere.
Cosa implica la sospensione?:
- Se concessa prima della vendita, sospende la vendita o assegnazione. L’asta fissata viene rinviata.
- Se concessa dopo la vendita ma prima della distribuzione, sospende la distribuzione delle somme (i creditori non ricevono i soldi finché non si risolve la causa di opposizione).
- Sospende anche eventuali atti di esecuzione ulteriori (ad esempio, sospeso un pignoramento, il custode non procede a sloggio del debitore dalla casa ecc., tutto resta congelato).
- Non estingue l’esecuzione: è un fermo temporaneo in attesa di decisione. Se la decisione arriva e l’opposizione è rigettata, il creditore può chiedere la revoca della sospensione e tutto riprende.
Gravi motivi:
- Non c’è elenco tassativo, ma ad esempio: errore palese nel calcolo del dovuto (il creditore chiede €100k ma il titolo ne autorizza 10k – sospendiamo perché c’è sproporzione evidente); rischio di danno irreparabile (vendere un bene unico mentre c’è contestazione seria in corso).
- Il giudice valuta sommariamente: può anche richiedere una cauzione al debitore per sospendere (art. 624 comma 3 c.p.c.), se teme che la sospensione possa danneggiare ingiustamente il creditore. Ad esempio: sospendo il pignoramento di €50k però il debitore versa 10k in un conto vincolato come garanzia nel frattempo.
Procedura:
- L’istanza di sospensione di solito si presenta con l’opposizione (inclusa nell’atto introduttivo) o verbalmente all’udienza di comparizione.
- Il giudice può decidere con ordinanza motivata dopo aver sentito le parti (a volte prima sente solo l’opponente se urgenza, poi eventualmente revoca se sente l’altra parte dopo).
Altre cause di sospensione:
- Fuori dai casi di opposizione, ci sono altri eventi che sospendono l’esecuzione: es. se il debitore fallisce (nel vecchio sistema fallimentare) le esecuzioni individuali si sospendono; se il debitore accede a un piano di ristrutturazione omologato, le esecuzioni per crediti anteriori sono sospese; moratorie di legge (tipo normativa COVID che sospese per un periodo i pignoramenti immobiliari prima casa).
- Il debitore che ad esempio presenta una domanda di concordato preventivo o un piano del consumatore può chiedere al giudice di quella procedura di sospendere le esecuzioni in corso. In sede di sovraindebitamento, l’art. 54 CCII prevede la possibilità per il debitore di ottenere misure protettive che bloccano i creditori individuali una volta depositata la richiesta di composizione della crisi. È una sospensione “automatica” se accordata dal giudice della crisi.
Importanza pratica:
- La sospensione è fondamentale per guadagnare tempo e salvare attivi nell’immediato. A volte anche se poi il debitore perderà, quel tempo è servito per vendere meglio un immobile o per trovare un accordo.
- Però, abusare della sospensione (chiederla con motivi pretestuosi) può portare a rigetto immediato e inasprire il giudice contro il debitore (ad es. condannando a spese, ritenendo l’opposizione temeraria se priva di base).
In conclusione, come in una partita a scacchi, la mossa della sospensione serve a fermare l’avanzata dell’avversario e riorganizzare la difesa. Va giocata al momento giusto e con le giuste argomentazioni.
Ricorsi in autotutela (annullamento amministrativo dei debiti)
Il termine “autotutela” in ambito debiti si riferisce principalmente al contesto dei debiti verso la Pubblica Amministrazione (multe, tasse, cartelle esattoriali). Significa chiedere all’ente creditore di riesaminare la propria pretesa e annullarla o ridurla se risulta errata o illegittima, senza dover andare dal giudice. Sebbene il grosso dei nostri temi riguardi crediti privati, può capitare che un debitore abbia a che fare con Equitalia/Agenzia Entrate Riscossione o col Comune per sanzioni, ecc. Quindi spendiamo qualche parola:
- Istanza di autotutela: è una lettera/richiesta rivolta all’ente emittente (es: Comune per una multa, Agenzia Entrate per un avviso di addebito, Agenzia Riscossione per una cartella) in cui si espongono i motivi per cui l’atto è errato (es: “ho già pagato prima, ecco la ricevuta” oppure “errore di persona, non sono io il debitore” o ancora “vizio di notifica che riconoscete voi stessi”) e si chiede l’annullamento o correzione dell’atto.
- L’ente può annullare d’ufficio i propri atti se li ritiene effettivamente viziati, per evitare contenzioso. Lo fa in base a poteri di autotutela (disciplinati dalla L. 241/1990 in generale e da norme specifiche in materia tributaria).
- Per il debitore, è una via spesso più rapida e gratuita rispetto al fare ricorso (ad es. al giudice di pace o commissione tributaria). Tuttavia, non sospende automaticamente i termini di ricorso: quindi, va affiancata eventualmente da una richiesta di sospensione e bisogna stare attenti a non far scadere il termine per ricorrere, nel caso l’ente non annulli.
- Esempio: a Mario arriva una cartella per un bollo auto già pagato. Mario fa istanza di autotutela allegando la prova del pagamento. L’ente verifica e annulla la cartella, comunicandogli l’archiviazione. Fine senza giudice.
Nel recupero crediti privato, l’autotutela in senso stretto non si applica (una finanziaria non “annulla d’ufficio” un debito se non costretta). Però possiamo analogicamente dire che un reclamo risolto dal creditore è una forma di autotutela privata: es. Mario reclama alla banca che gli chiedeva 1000 € erroneamente; la banca riconosce l’errore e cancella il debito. Questo è il parallelo privato, anche se non si chiama così.
In conclusione, se il credito è pubblico (fiscale o sanzioni), prima di impugnare vale sempre la pena provare l’istanza in autotutela: spesso i Comuni, ad esempio, annullano multe doppie o palesemente viziate. Se il credito è privato, la “autotutela” è convincere il creditore, cosa già trattata in reclami extragiudiziali.
Reclamo all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF)
Già discusso nelle sezioni precedenti, l’ABF merita un punto riassuntivo come strumento a sé stante. L’ABF è un organismo imparziale davanti al quale il debitore cliente bancario/finanziario può far valere le proprie ragioni su controversie fino a 200mila euro. Aspetti rilevanti:
- Competenza: rapporti con banche, finanziarie, istituti di pagamento. Quindi mutui, prestiti, conti correnti, carte di credito, leasing, cessioni del quinto, segnalazioni CRIF, ecc. Restano esclusi operatori non finanziari (es: debito verso fornitore commerciale non soggetto a Bankitalia).
- Procedura: interamente scritta, tramite portale online. Prima di ricorrere è obbligatorio aver fatto un reclamo all’intermediario e atteso 60 giorni senza risposta o con risposta insoddisfacente. Poi si può presentare ricorso ABF, con pagamento di €20. Non servono avvocati (anche se si può farsi assistere).
- Tempi: decisione entro circa 180 giorni dall’accettazione del ricorso.
- Decisioni: non vincolanti come sentenze, ma se l’intermediario non ottempera, l’elenco degli “inadempienti” viene pubblicato e ciò nuoce alla loro reputazione e può influire sulla vigilanza. In pratica quasi tutti eseguono (percentuale di esecuzione oltre 98%).
- Vantaggi per il debitore: costo basso, zero rischio di spese legali contro (l’intermediario non può farsi rimborsare costi legali neanche se vince), forum specializzato (giudici ABF sono esperti bancari, spesso più rapidi a capire di un giudice ordinario). Esempio: ABF su anatocismo, su usura, su segnalazioni in CR, su errori di calcolo, ecc., ha formato un contenzioso ricchissimo con orientamenti consolidati. Il debitore può leggere precedenti e citare quelli a suo favore.
- Limiti: l’ABF non può sospendere pignoramenti né intervenire su cause già decise dal giudice. Se c’è un decreto ingiuntivo divenuto definitivo, l’ABF non rimetterà in discussione quel credito. Inoltre l’ABF non può decidere su “solo interessi di mora eccessivi se non versati” (questa è considerata materia di qualità del servizio?). Ci sono alcune materie escluse, ma in generale su questioni tipiche dei debiti bancari decide eccome.
- Risultati tipici: ABF può annullare addebiti di interessi non dovuti, riconoscere al cliente importi da restituire, ordinare la cancellazione di segnalazioni negative illegittime, imporre risarcimenti (di solito modesti, qualche migliaio di euro al massimo, per danno da illegittima segnalazione o simili). Non può imporre sanzioni o punizioni, solo ristori al cliente.
Quindi, il debitore che ha controversie con banche/finanziarie dovrebbe considerare l’ABF come uno degli strumenti preferenziali: spesso più semplice che citare in Tribunale la banca. Anche se la banca avesse già un titolo, l’ABF può intervenire su aspetti collaterali (es: la banca ti pignora ma intanto ABF può farti recuperare addebiti indebiti per ridurre l’importo… situazioni particolari ma possibili). Certo, se l’ABF dà torto, il debitore può comunque ancora rivolgersi al giudice ordinario (il ricorso ABF non preclude il giudizio, mentre viceversa se fai causa non puoi più andare in ABF per la stessa questione).
Ricorsi in Tribunale e azioni giudiziarie del debitore
Oltre al ruolo passivo/difensivo (opposizioni, resistere a cause), il debitore può anche agire attivamente in giudizio in alcune circostanze:
- Azione di accertamento negativo del debito: se il debitore vuole essere proattivo, può citare lui il (presunto) creditore chiedendo al giudice di dichiarare che nulla è dovuto. Questa strada è percorsa quando magari il creditore minaccia azioni ma ancora non ha titolo: per spezzare l’incertezza, il debitore porta la questione davanti al giudice. Ad esempio: arriva una lettera di avvocato “paghi 10.000 entro 7 gg o agiamo”, il debitore convinto di non dover nulla può citare il creditore davanti al tribunale per far dichiarare inesistente il credito. È rischioso perché se il giudice ritiene che invece qualcosa è dovuto, il debitore potrebbe subire una condanna (anche parziale) e innescare lui stesso la formalizzazione del debito. Però in certe situazioni (ad esempio per far emergere documenti o ottenere intanto una trattativa più seria) può avere senso.
- Azione di risarcimento danni: se il debitore ha subito illegittime pressioni o azioni poi rivelatesi infondate, può agire per danni. Esempio: una banca avvia un pignoramento ma l’esecuzione viene dichiarata improcedibile perché il titolo era viziato; il debitore ha subito danni (conto bloccato, stress, immagine). Può citare la banca chiedendo i danni. Attenzione, non è frequente ottenere molto, perché spesso il creditore dirà di aver agito in buona fede su un titolo valido. Ma se l’errore è grossolano o la condotta molto aggressiva (stile stalking finanziario), allora il giudice può liquidare danni.
- Procedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c.: questo è uno strumento potente se il debitore subisce un pregiudizio imminente e irreparabile e non c’è un procedimento ad hoc. Ad esempio, il caso classico: illegittima segnalazione CRIF e il cliente sta per perdere l’acquisto della casa per mutuo negato. Può fare ricorso d’urgenza chiedendo al giudice di ordinare la cancellazione temporanea della segnalazione (in attesa del giudizio ordinario). Se convince il giudice che la segnalazione è sbagliata e che c’è urgenza, può ottenere un decreto cautelare in tempi rapidi (settimane) salvando la situazione. Un altro esempio: il debitore scopre che la firma sul contratto da cui origina il debito è falsificata – può chiedere d’urgenza la sospensione di ogni azione esecutiva su quel titolo. Il 700 c.p.c. è molto flessibile, serve quando non c’è una sospensione automatica o un’opposizione tipica da fare. Nel contesto difensivo del debitore, direi che è utile soprattutto per fermare segnalazioni o tutelare diritti personalissimi (come la reputazione) piuttosto che bloccare esecuzioni (che hanno già i loro strumenti).
- Impugnazioni: se un debitore ha perso una causa (es: opposizione rigettata), può fare appello (nei termini) o ricorso in Cassazione per cercare di ribaltare l’esito. Ciò può dilatare i tempi ulteriormente. Durante l’appello potrebbe chiedere la sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado (altro incidente cautelare). Insomma, il sistema delle impugnazioni è esso stesso parte della strategia difensiva (non arrendersi alla prima sentenza se ci sono motivi validi per contestarla).
- Procedura da sovraindebitamento o fallimento: parlando di Tribunale, non dimentichiamo che aprire una procedura concorsuale è di fatto un’azione del debitore (o subita) che congela i creditori. Un imprenditore soverchiato dai debiti può presentare domanda di concordato preventivo: da quel momento i creditori individuali sono bloccati. Un privato può presentare piano del consumatore: anche qui il giudice con le misure protettive li ferma temporaneamente. In casi estremi di indebitamento totale, l’ultimo rifugio è proprio ricorrere al tribunale non per difendersi dal singolo creditore ma per riorganizzare l’intero debito in una procedura concorsuale (vedi prossima sezione su esdebitazione).
Procedure di sovraindebitamento ed esdebitazione
Questo è un capitolo di importanza crescente: cosa può fare un debitore onesto ma sfortunato quando i debiti complessivamente superano ogni sua capacità di rimborso? Dal 2012 in Italia esisteva la Legge 3/2012 (cosiddetta “salva suicidi”) che offriva a piccoli imprenditori non fallibili e privati sovraindebitati alcune procedure per liberarsi dei debiti residui, previa approvazione del tribunale. Dal 2020-2021 tali norme sono confluite ed evolute nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), vigente dal 15 luglio 2022, che dedica una parte alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento per soggetti non fallibili (consumatori, professionisti, start-up, etc.). Inoltre, è stata introdotta la nuova figura dell’esdebitazione del debitore incapiente (o “a zero utile”).
Vediamo sinteticamente gli strumenti oggi disponibili (aggiornati al 2025):
- Ristrutturazione dei debiti del consumatore: È l’erede del “piano del consumatore” della legge 3/2012. Riservata a chi ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale (quindi il classico privato cittadino o anche il socio che ha fatto da garante, ecc.). Consente di presentare al tribunale, con l’ausilio di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi), un piano che prevede il pagamento parziale dei debiti, in misura sostenibile per il debitore, anche senza l’accordo di tutti i creditori (il giudice può omologarlo se ritiene equo e che il debitore sia “meritevole”, ossia in buona fede). Ad esempio, un consumatore con 100k debiti potrebbe proporre di pagarne 30k in 5 anni attingendo al suo stipendio ecc., e se il giudice approva, il resto 70k è cancellato. La meritevolezza è cruciale: non deve aver colpe gravi nell’indebitamento né aver violato obblighi informativi, ecc.
- Concordato minore: successore dell’“accordo di composizione” per debitori non consumatori (piccoli imprenditori sotto soglia fallimento, professionisti con debiti di studio, ditte individuali, ecc.). In questo caso serve l’adesione di almeno il 60% dei creditori (trattandosi di soggetti giuridici). È come un mini concordato preventivo per chi non rientra nel fallimento. Permette di pagare in parte e liberarsi del resto.
- Liquidazione controllata del sovraindebitato: ex “liquidazione del patrimonio” della L.3/2012. Qui il debitore mette a disposizione tutti i suoi beni (tranne quelli impignorabili) a un liquidatore nominato dal giudice, per distribuirli ai creditori. Alla fine della liquidazione, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione (liberazione) dai debiti residui, a certe condizioni. È una sorta di “fallimento personale” pilotato dal tribunale, con la differenza che c’è più elasticità su soglie e figure.
- Esdebitazione del debitore incapiente: Novità assoluta, art. 283 CCII. Se un debitore persona fisica non è in grado di offrire nulla ai creditori (nessun patrimonio liquidabile significativo), può chiedere comunque di essere esdebitato (liberato) dai debiti chirografari, a patto di soddisfare requisiti stretti:
- Non deve aver agito con frode o colpa grave.
- Non deve aver già usufruito in passato di altra esdebitazione.
- Si impegna, se nei 4 anni successivi ottiene sopravvenienze attive rilevanti (es. vincita, eredità, forte aumento reddito), a pagarle ai creditori fino almeno al 10% dell’ammontare dei debiti (se le sopravvenienze lo consentono).
- L’OCC redige una relazione sulla sua situazione e sulla condotta del debitore.
- Se il giudice approva, con decreto concede l’esdebitazione “a zero”, e i creditori possono opporsi ma se tutto è ok viene confermata.
- In pratica è un fresh start per i poverissimi onesti. Si può fare una sola volta nella vita.
- Esdebitazione post liquidazione fallimentare: per completezza, se un imprenditore fallisce (oggi “liquidazione giudiziale”), a fine procedura può chiedere di essere esdebitato dai debiti rimasti (art. 282 CCII). Ma questo riguarda i soggetti fallibili (società, imprenditori sopra soglie) e dipende dal aver collaborato durante la procedura.
Queste procedure richiedono la presenza di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o di un professionista nominato dal tribunale, che aiuta a predisporre piani e gestisce la procedura. Non sono gratuite (ci sono spese di procedura, compensi da pagare ai gestori, anche se per l’incapiente la legge prevede riduzioni del 50% dei compensi OCC). Tuttavia, per un debitore sommerso da più fronti, possono essere l’unica via.
Esempio pratico: Un ex artigiano ha debiti verso 5 diversi creditori (banche, fornitori) per 200.000 €. Non ha immobili, solo uno stipendio modesto da lavoro dipendente che ha trovato. Non riuscirà mai a pagare tutto. Può rivolgersi a un OCC e avviare una procedura: magari propone di pagare 500 € al mese per 4 anni, quindi ~24.000 € in totale, distribuendo equamente, e chiede la ristrutturazione dei debiti del consumatore. Il giudice verifica che l’indebitamento è nato da difficoltà oggettive e non da colpa grave, sente i creditori (il loro dissenso non impedisce se il piano è equo), e omologa il piano. Il debitore paga le rate all’OCC, che le smista. Dopo 4 anni, il debitore avrà pagato il 12% circa e il restante 88% viene cancellato. – Se invece il soggetto non aveva proprio nulla da offrire, poteva tentare l’esdebitazione da incapiente: in 6-12 mesi poteva ottenere la liberazione integrale, con impegno morale di pagare eventuali entrate future straordinarie.
Impatto sui singoli creditori:
- Durante queste procedure, i creditori sono bloccati: non possono iniziare né proseguire esecuzioni individuali (c’è una moratoria, come un mini-automatic stay).
- Se avevano ipoteche o pegni, manterranno un grado di privilegio sui riparti.
- Alla fine, i debiti residui chirografari non pagati vengono cancellati per legge (salvo poche eccezioni come debiti da obblighi alimentari, da risarcimenti per fatto illecito, o sanzioni penali/amministrative pecuniarie, che restano).
- Quindi per il debitore è un reset, per i creditori è una falcidia forzata (ma preferibile spesso al nulla totale, se il debitore altrimenti finirebbe in nero per sempre).
Meritevolezza e crediti recenti:
- La legge punisce un po’ i comportamenti opportunistici: se uno ha fatto spese pazze e subito chiede esdebitazione, il giudice potrebbe negarla per mancanza di meritevolezza. Ad esempio, se uno ha ottenuto volontariamente crediti sapendo di non poterli restituire (dolo o colpa grave) non dovrebbe essere esdebitato (principio generale).
- Anche non si può ottenere due volte l’esdebitazione in breve tempo: c’è divieto di accesso se già avuta nei 5 anni precedenti.
- Inoltre, i crediti fiscali e contributivi sopra certe soglie richiedono sempre un pagamento minimo del 10% se si vuole la omologa senza voto (nel piano del consumatore c’è questa regola).
- Dunque vanno pianificate con avvocato e OCC con attenzione.
In conclusione, le procedure da sovraindebitamento ed esdebitazione rappresentano la soluzione radicale per chiudere col passato di debiti e ripartire da zero, a prezzo di sacrificare quel poco che si ha (se si ha) e di sottoporsi a controllo tribunale. Non tutti i casi sono ammissibili, ma la normativa del 2022 ha ampliato la platea e reso più flessibile l’accesso, includendo addirittura la famiglia sovraindebitata (si possono presentare procedure familiari congiunte, se i debiti hanno origine comune). Per un debitore seriamente indebitato con più creditori, vale assolutamente la pena informarsi su queste opportunità rivolgendosi a un OCC (spesso istituito presso le Camere di Commercio o gli Ordini professionali locali).
Piani di rientro concordati (in procedura o fuori)
Abbiamo già trattato dei piani di rientro extragiudiziali. Qui solo un cenno ai piani concordati nell’ambito delle procedure legali:
- Art. 182-bis LF (ora accordi di ristrutturazione) e concordato preventivo: per imprenditori sopra soglia, sono modi per concordare coi creditori il rientro ed evitare il fallimento. Non li approfondiamo oltre, ma li menzioniamo come parte del quadro: un imprenditore può difendersi dal recupero crediti presentando un concordato preventivo in tribunale e mettendo al voto un piano di rientro parziale ai creditori; se approvato o omologato, taglia i debiti.
- Piano del consumatore e accordo: come visto, anch’essi sono in fondo piani di rientro “concordati” o imposti dal giudice.
- Transazione fiscale: anche col fisco si possono fare accordi su cartelle, utilizzando strumenti come la rottamazione o la transazione nel concordato preventivo, riducendo i carichi.
In parole semplici, tutte le volte che creditore e debitore trovano un accordo, anche dentro un processo, ciò vince su qualsiasi disputa. Quindi, pure mentre c’è un’opposizione in corso, si può transigere e formalizzare un piano di rientro concordato giudizialmente (ad esempio facendolo risultare da un verbale di conciliazione in tribunale, che costituisce titolo esecutivo anch’esso). Questo dà un doppio vantaggio: il creditore è più fiducioso a sospendere l’azione avendo un titolo in mano (verbale) e il debitore ha la tranquillità che finché segue il piano nessuno lo disturba.
Differenze pratiche tra privati, professionisti e imprenditori
Non tutti i debitori sono uguali di fronte alla legge. Le strategie di difesa e gli strumenti disponibili possono variare a seconda che si tratti di un privato consumatore, di un professionista o di un imprenditore commerciale. In questa sezione analizziamo le differenze principali e forniamo esempi settoriali:
- Privati consumatori: Persone fisiche che hanno contratto debiti per motivi personali (prestiti al consumo, mutui prima casa, bollette, ecc.). Godono di alcune tutele specifiche (es: preavviso CRIF obbligatorio, norme consumeristiche contro le pratiche aggressive, possibilità del piano del consumatore senza voto creditori, ecc.). D’altra parte, non possono essere soggetti a fallimento, il che li tutela da istanze di fallimento ma rende disponibili solo le procedure di sovraindebitamento. Un consumatore spesso ha come “bene” principale il reddito da lavoro: si applicano le regole dei pignoramenti di stipendio con soglie massime. Un esempio pratico: Maria, insegnante (privata) – Riceve un decreto ingiuntivo per rate non pagate dell’auto; può opporsi se ha contestazioni sul contratto di finanziamento (magari tassi invalidi?), ha diritto a essere avvisata prima della segnalazione come morosa, e se non ce la fa a pagare vari debiti, può proporre un piano del consumatore. Non rischia certo che la mettano in fallimento, e la sua prima casa è pignorabile solo da creditori privati ma non dal fisco (se unico immobile non di lusso).
- Professionisti e ditte individuali non fallibili: Ad esempio un avvocato, un idraulico con piccolo giro d’affari sotto le soglie di fallibilità. Questi soggetti contraggono debiti anche per l’attività, ma la legge non li assoggetta a fallimento (perché non sono imprenditori commerciali o perché piccoli). Hanno accesso alle procedure di sovraindebitamento (concordato minore ad esempio). Non beneficiano delle norme consumer per preavviso (se un avvocato prende un leasing auto, la finanziaria potrebbe non dover mandare preavviso CRIF perché non è “consumatore” ma professionista). Negli esecutivi, i beni strumentali del professionista (es. computer di un architetto) in parte sono tutelati (beni necessari alla professione sono impignorabili nei limiti del necessario per svolgere l’attività, art. 515 c.p.c.). Un esempio: Studio dentistico Dr. Rossi (professionista) – Debiti per acquisto macchinari. Non può fallire, ma i fornitori lo portano in tribunale con decreto ingiuntivo. Può tentare accordi o proporre un concordato minore se vuole abbattere i debiti. Se gli pignorano l’attrezzatura medica, può opporsi indicando che senza quella cesserebbe l’attività (spesso il giudice lascia al dentista gli strumenti indispensabili e pignora magari solo il conto).
- Imprenditori commerciali (società e ditte fallibili): Questi hanno un ventaglio diverso: se l’indebitamento è grave, i creditori possono chiederne il fallimento (ora liquidazione giudiziale). L’imprenditore può a sua volta usare strumenti come il concordato preventivo, l’accordo di ristrutturazione, la composizione negoziata della crisi (introdotta nel 2021) per trovare un accordo sotto egida del tribunale o comunque con protezione temporanea (stay). Inoltre, le società di capitali hanno la responsabilità limitata: i creditori possono aggredire il patrimonio sociale ma non i beni personali dei soci, salvo garanzie personali date. Un esempio: S.r.l. Alfa (impresa) – Ha 10 fornitori insoddisfatti. Questi iniziano pignoramenti su conti aziendali, su magazzino. La società può decidere di presentare un concordato preventivo in continuità offrendo di pagare il 40% a tutti in 2 anni: se approvato, blocca i singoli pignoramenti e diventa la soluzione unica. Oppure, se fallisce, i creditori concorrono nel fallimento e i soci perdono il capitale ma non la casa (se non avevano dato garanzie).
- Differenze nel recupero crediti:
- Con i consumatori spesso operano società di recupero crediti specializzate B2C, con telefonate, solleciti. Con le aziende invece si va più diretti su decreti ingiuntivi e pignoramenti, magari di beni aziendali o crediti verso clienti.
- Un consumatore debitore potrebbe subire il pignoramento del quinto dello stipendio; un imprenditore con dipendenti potrebbe subire il pignoramento dei crediti presso i suoi clienti (il creditore notifica ai clienti dell’imprenditore di pagare il creditore invece che l’imprenditore, mettendo in imbarazzo e in difficoltà l’attività).
- Con le imprese, i creditori a volte ricorrono a strumenti come l’ingiunzione fiscale (per contributi) o l’istanza di fallimento come pressione (anche se dal 2022 le soglie per istanza di fallimento sono di debito minimo €30.000).
- Regime patrimoniale familiare: per privati e professionisti, se sposati, attenzione al regime di comunione o separazione: un creditore di uno può pignorare beni in comunione (in quote) ma non quelli personali del coniuge. Quindi la strategia difensiva per una famiglia può includere la scelta del regime (se un coniuge è molto indebitato, la separazione dei beni protegge l’altro).
- CRIF e Centrale Rischi: per privati e piccoli prof hanno regime di SIC privati e CR come visto. Per società, c’è la Centrale Rischi per esposizioni sopra 30k (quindi quasi tutte medie imprese figurano) e la segnalazione a “sofferenza” è pesante. Ma per una società che viene segnalata a sofferenza, il danno reputazionale colpisce anche i garanti personali. Un imprenditore quindi se vede approcciarsi la sofferenza in CR, potrebbe preferire negoziare una ristrutturazione col ceto bancario per evitare la segnalazione (perché poi il sistema bancario gli chiude le linee di credito).
- Usura e tassi: per consumatori, c’è la legge antiusura che annulla interessi esosi; per imprese pure, ma la giurisprudenza è stata a volte diversa (es. CMS su aziende etc.). Difendersi per interessi ultralegali è possibile in entrambi i casi, ma i giudici a volte valutano la professionalità dell’impresa (minor protezione rispetto al consumatore).
- Prescrizione dei debiti: in generale uguale, ma ad esempio i debiti commerciali si prescrivono in 5 anni in molti casi, quelli del consumatore pure; però alcuni (utenze domestiche) hanno prescrizioni ridotte (2 anni luce/gas). Un professionista che non paga contributi previdenziali subisce prescrizioni diverse rispetto al privato che non paga il telefono.
- Differenza nelle procedure concorsuali: l’imprenditore può subire il pignoramento immobiliare anche sulla prima casa da parte di chiunque, e in più se la casa è di proprietà della società e questa fallisce, la casa va ai creditori di sicuro. Il consumatore invece, come detto, col fisco ha un’esenzione sulla prima casa.
- Esempio finale di confronto:
- Debitore privato: Marco, operaio, debito carta di credito 5k, arretrato bollette 1k, finanziamento auto 10k. Non paga perché perde lavoro. Subisce solleciti da recuperatori (che però non possono fare altro che pressarlo, magari minacciano cose che non possono fare – come “ti portiamo via i mobili”, cosa falsa perché per 5k difficilmente faranno pignoramento mobiliare). Marco si informa, scopre che i recuperatori non possono violare la sua privacy né minacciare illegalmente: li diffida, e segnala all’Antitrust se esagerano. Intanto trova nuovo lavoro ma lo stipendio è basso: i creditori ottengono decreti ingiuntivi. Uno gli pignora 1/5 dello stipendio: 150 €/mese. Marco valuta se fare un piano di rientro unico accorpando i debiti o se rivolgersi a OCC per un piano del consumatore per ridurre magari gli interessi. Alla fine, riesce a ottenere un consolidamento con saldo e stralcio parziale, pagato dai genitori. Oppure, se fosse andata male, avrebbe potuto optare per la liquidazione controllata e farsi esdebitare (ma per 16k debito forse eccessivo).
- Debitore imprenditore: Luca, gestisce un negozio (ditta individuale, con 2 dipendenti). Debiti: affitto non pagato 3 mesi, bollette, fornitore merci 8k, banca fido 15k sconfinato. I creditori iniziano azioni: il proprietario locale ottiene sfratto per morosità, la banca revoca fido e notifica precetto. Luca rischia pignoramento merci in negozio e conto svuotato. Può tentare un accordo con la banca (pagare un po’ e chiudere fido in 6 mesi), mentre col fornitore fa accordo cambializzato. Se proprio non vede via d’uscita perché le vendite calano, chiude il negozio e chiede al tribunale una procedura da sovraindebitato: liquida le merci, chiude contratti, e propone ai creditori 30 cent/€, sapendo che altrimenti non avrebbero nulla perché lui non ha immobili. I creditori accettano. Luca paga quel che può e il resto è esdebitato. Differenze qui: Luca come piccolo imprenditore può fare concordato minore, mentre se fosse stata una S.n.c. sarebbe stato fallibile e magari i creditori tentavano l’istanza di fallimento invece dei pignoramenti singoli.
- Debitore professionista: Anna, architetto, debiti: leasing plotter 5k arretrato, Equitalia 10k contributi non versati, banca mutuo studio 40k. Lei non è fallibile. Equitalia le ha già iscritto fermo auto; la banca minaccia pignoramento casa-studio. Anna cerca rifugio nella legge 3/2012 (oggi CCII sovraindebitamento): propone un piano di ristrutturazione pagando i 40k mutuo vendendo una seconda casa piccola che ha ereditato, e rateizzando il resto. Equitalia di solito aderisce se vede che in 4-5 anni recupera almeno una parte. Anna salva la casa principale e riparte pulita. Se fosse stata considerata consumatrice o meno è un tema (i debiti fiscali e professionali la rendono più accordo concordato minore che piano consumatore).
In sintesi, il profilo del debitore incide su:
- Quali procedure il creditore può usare (istanza fallimento vs pignoramento).
- Quali difese e opportunità di “restart” il debitore ha (piano consumatore se consumer, concordato minore se impresa, ecc.).
- Alcune tutele specifiche (consumer law).
- Aspetti patrimoniali (casa impignorabile per fisco se privato, non se impresa; beni strumentali protetti in parte per professionista; socio d’impresa se garantisce è come un privato garante, etc.).
È importante quindi adattare la strategia difensiva al tipo di debitore: un avvocato che assiste un debitore consumer punterà molto su normative consumeristiche e sovraindebitamento; con un’imprenditrice società di persone punterà su soluzioni concordate globali; con una S.r.l. guarderà allo spettro del fallimento e al contempo userà gli strumenti della legge fallimentare per bloccare creditori e ristrutturare.
Domande e risposte frequenti (FAQ)
Di seguito presentiamo una serie di domande comuni che i debitori si pongono sul recupero crediti e le relative risposte pratiche, in un formato breve e diretto:
D: Ho ricevuto un atto di precetto: cosa devo fare?
R: Il precetto è un ultimatum di pagamento (tipicamente entro 10 giorni) su un titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo ecc.). Se ricevi un precetto, verifica subito: a) chi è il creditore e l’importo richiesto; b) su quale titolo si fonda (è allegato). Se ritieni di non dovere quei soldi (perché già pagati o perché il titolo è sbagliato), rivolgiti immediatamente a un avvocato per valutare un’opposizione al precetto (opposizione all’esecuzione) prima che scadano i 10 giorni. Se invece il debito è dovuto, puoi in extremis contattare il creditore per trovare un accordo (una dilazione o riduzione) entro quei 10 giorni, altrimenti allo scadere il creditore potrà iniziare il pignoramento senza ulteriore avviso. Ignorare il precetto è sconsigliato: prepara un piano (pagamento, opposizione o trattativa) entro il termine.
D: Non ho nulla di intestato, possono farmi qualcosa i creditori?
R: Se un debitore è nullatenente (nessun immobile, nessun conto attivo, né stipendio/pensione ufficiale, né auto), i creditori fanno fatica a recuperare coattivamente. Possono ottenere decreti ingiuntivi e sentenze, ma quando tenteranno pignoramenti troveranno “niente”. Questo però non significa essere al sicuro: il debito rimane e maturano interessi; il creditore può rinnovare i pignoramenti periodicamente sperando in cambiamenti (es. che tu trovi un lavoro o erediti qualcosa). Inoltre, se sei nullatenente ma percepisci redditi informalmente, rischi che investigando trovino tracce (es. movimenti bancari anomali, beni intestati a familiari ma comprati con tuoi soldi – il creditore può provare ad aggredirli con azione revocatoria se c’è frode). Dunque, formalmente non possono prendere ciò che non esiste, ma il debito potrebbe seguirti per molto (la prescrizione si interrompe con atti esecutivi). Attenzione anche perché alcuni crediti (Erario) permettono misure come fermo amministrativo auto o divieto espatrio per somme alte. Infine, se un giorno acquisisci beni (casa, lavoro), i vecchi creditori potrebbero tornare. Valuta piuttosto la strada del sovraindebitamento: se davvero non hai nulla e debiti insostenibili, potresti chiedere l’esdebitazione dell’incapiente per cancellarli legalmente e ricominciare.
D: Che differenza c’è tra “opposizione all’esecuzione” e “opposizione agli atti esecutivi”?
R: Sono due tipi di opposizione da fare durante una procedura esecutiva:
- Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): sostieni che l’esecuzione non doveva proprio iniziare o continuare, perché manca il diritto del creditore. Esempi: il debito non esiste o si è estinto, il titolo esecutivo è invalido o non più efficace. Può essere proposta anche prima che inizi il pignoramento (contro il precetto). Non ha termini fissi, ma va fatta al più tardi entro la fine dell’esecuzione.
- Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): riconosci che il creditore forse ha diritto, ma contesti un vizio formale di uno specifico atto dell’esecuzione. Esempi: il precetto non contiene i requisiti di legge, il pignoramento è stato notificato irregolarmente, l’avviso di vendita era nullo. Ha termine breve di 20 giorni dalla conoscenza dell’atto viziato e mira ad annullare quell’atto.
In sintesi, con la prima si attacca la sostanza (il “se” dell’esecuzione), con la seconda la forma (il “come” si sta svolgendo). Spesso un debitore li usa entrambi: ad esempio, oppone l’esecuzione per dire “non devo nulla” e in subordine oppone un atto perché magari notificato male. La differenza pratica: l’opposizione all’esecuzione può durare più a lungo (si discute il merito) mentre quella agli atti di solito viene decisa più rapidamente e se vinta comporta il rifacimento dell’atto.
D: Possono pignorare la mia casa di residenza?
R: Dipende dal tipo di creditore e dalla situazione. Se il creditore è un privato (banca, finanziaria, persona a cui devi soldi), sì, può pignorare l’immobile di tua proprietà, anche se vi abiti e anche se è l’unica casa. Non esiste nel codice civile un’esenzione generale della “prima casa” per i debiti verso privati. Quindi, a meno che la casa non sia in comunione con un coniuge non debitore (in tal caso verrà pignorata solo la tua quota), o non sia protetta da un fondo patrimoniale per debiti estranei ai bisogni familiari, il rischio c’è. Invece, se il creditore è Agenzia Entrate Riscossione (Fisco), allora c’è un limite introdotto nel 2013: non può pignorare l’unico immobile di proprietà che sia destinato a tua abitazione principale, purché non di lusso (categorie catastali A/8, A/9) e tu risieda lì. Quindi Equitalia non ti toglierà l’unica casa (fermo restando che può iscrivere ipoteca per debiti sopra 20k €). Altri enti pubblici (es. Comune per IMU) seguono regole simili tramite Agenzia Riscossione. Riassumendo:
- Per debiti privati la casa è pignorabile;
- per debiti fiscali l’unica casa di residenza è protetta (ma seconda casa o immobile di lusso non lo sono).
Strategie: se prevedi attacchi dai privati, valutare soluzioni come vendere l’immobile per pagare i debiti o ricorrere a procedura sovraindebitamento prima che arrivi all’asta (dove la casa verrebbe svenduta). Tieni presente che l’immobile in cui vivi può comunque restare tuo a lungo: la procedura immobiliare dura molti mesi/anni e puoi usarla nel frattempo, e se riesci a saldare prima dell’aggiudicazione, si interrompe tutto.
D: Quanto mi possono pignorare dallo stipendio?
R: La legge fissa limiti precisi:
- Massimo un quinto (20%) del netto mensile per crediti ordinari. Quindi se prendi 1.500 € netti, al massimo 300 €. Se hai più pignoramenti concorrenti (es. uno per banche e uno per alimenti), possono sommarsi ma in genere non oltre metà stipendio.
- Minimo vitale impignorabile: se stipendio o pensione sono molto bassi, c’è una soglia esente. Per le pensioni, come detto, oggi è 1.000 €: fino a quell’importo non toccano nulla. Per lo stipendio in banca, l’ultimo accredito è protetto fino a 1.000 € anche quello.
- Fisco: se il pignoramento viene dall’Agenzia Entrate, applica percentuali ridotte a scaglioni: 1/10 fino 2.500 €, 1/7 tra 2.500-5.000, 1/5 oltre. Quindi ad esempio su 2.000 € pignorano 200 €, su 3.000 € circa 429 €, su 6.000 € 1.200 €.
- Pensioni: come detto, solo parte eccedente 1.000 € e poi max 1/5 su quella eccedenza.
- Tredicesime: contano come parte dello stipendio, soggette a pignoramento anch’esse proporzionalmente.
Dunque, non possono mai portarti via l’intero stipendio, ma solo una quota limitata. Attenzione: se lo stipendio viene accreditato in conto e scatta pignoramento conto, sul saldo presente valgono regole specifiche (primo accredito intoccabile fino a x, ecc.). Ma in linea generale, ti resta sempre almeno il 50-60% del tuo netto mensile (di più se redditi bassi). Se il giudice vede che comunque quella percentuale ti lascerebbe sotto il minimo vitale, può ridurre ancora (specialmente per pensioni minime, come la soglia 1.000 € appunto).
D: Ho debiti con più soggetti: è meglio unire tutto in un’unica causa/piano?
R: Se parliamo di cause legali, ogni creditore farà valere il suo credito separatamente (ognuno con decreto ingiuntivo o atto di citazione). Non c’è una causa unica per tutti i debiti (a meno che tu stesso non faccia un’azione di accertamento negativo cumulativa contro tutti, cosa complessa). Tuttavia, tu puoi gestire la situazione in modo unitario tramite:
- Procedure di sovraindebitamento: presenti un piano unico che include tutti i creditori e lo fai omologare dal tribunale; quelli votano o vengono coinvolti insieme. Questo risolve in un colpo solo.
- Trattativa stragiudiziale globale: potresti rivolgerti, per esempio, a un consulente o associazione consumatori che contatta tutti i creditori proponendo un accordo combinato (es: saldo e stralcio proporzionale a tutti, se tutti accettano). Non sempre funziona, ma tentar non nuoce.
- Consolidamento: se hai la possibilità di ottenere un prestito di consolidamento (una finanziaria che ti presta per chiudere gli altri debiti), valuti bene costi e benefici. Attento a non cadere dalla padella alla brace con interessi altissimi.
In linea di massima, più creditori = più complicato coordinare. Il tribunale con sovraindebitamento è spesso la strada ordinata per affrontarli tutti insieme. Se invece sono pochi (es. 2-3) magari riesci tu a negoziare con ciascuno separatamente. L’importante è evitare di favorirne uno a scapito di altri in modo inefficace: ad esempio, spendi tutti i soldi per pagarne uno piccolo e ti resta il grosso insoluto – meglio cercare di ottenere uno sconto dal grande, etc.
D: Ho ricevuto una lettera minacciosa da una società di recupero crediti, piena di timbri e frasi del tipo “avvio azione legale immediata”: devo preoccuparmi?
R: Molto spesso le società di recupero usano toni intimidatori per spingere al pagamento. Bisogna distinguere la forma dalla sostanza:
- Una lettera su carta intestata (talvolta con loghi pseudo-istituzionali) non è un atto legale. Controlla se è raccomandata o PEC o solo ordinaria: spesso mandano semplici lettere non tracciate. Tanti timbri e codici possono essere scenografia. Finché non ricevi un atto giudiziario vero (decreto ingiuntivo, precetto, citazione) la lettera vale come sollecito, non ha efficacia esecutiva.
- Detto ciò, ignorarla completamente può portare poi all’azione vera. Conviene rispondere se le pretese sono infondate (dicendo “contesto questo debito per X motivi”), oppure contattare per trovare accordo se il debito c’è ma vuoi evitare la causa.
- Se il linguaggio è molto minaccioso o scorretto (es. “Se non paghi, commetti reato”, oppure “arriveremo a pignorare anche i tuoi parenti”: cose false o illegali), sappi che è vietato. Puoi segnalare all’AGCM una pratica aggressiva. Intanto, non farti prendere dal panico: a volte scrivono “Ufficio Legale” quando non c’è ancora nessun avvocato; oppure “Ultimo avviso prima di procedimento penale” (nessun penale per debiti civili normali). Insomma, gran parte è psicologia del terrore.
- Se però la lettera proviene effettivamente da uno studio legale (avvocato) e annuncia ad esempio un decreto ingiuntivo imminente, prendila sul serio: forse stanno davvero per procedere legalmente. In tal caso, valuta se puoi pagare o contattare l’avvocato per un rinvio/piano onde evitare la causa.
In sintesi: non confondere le comunicazioni di recupero crediti (per quanto ufficiali possano sembrare) con un atto giudiziario. Informati sul mittente (cerca il nome online: spesso altri raccontano se è affidabile o no). Mantieni la calma e decidi una strategia: pagare (se dovuto), contestare (se hai ragione), o proporre una soluzione. Ma non lasciarti paralizzare dalla paura per minacce spesso esagerate o generiche.
D: Dopo quanti anni si prescrive un debito?
R: La prescrizione dipende dal tipo di credito:
- Crediti ordinari derivanti da contratto scritto (mutui, finanziamenti, prestiti personali): 10 anni salvo eccezioni.
- Crediti da fatture commerciali (forniture di beni/servizi): 5 anni di solito (rapporto di conto corrente bancario 10, ma singole forniture mercantili 1 anno per commercianti? Varie normative).
- Bollette utenze: luce, gas, acqua oggi 2 anni; telecom 5 anni.
- Affitti: canoni locazione 5 anni.
- Stipendi non pagati: 5 anni.
- Assegni bancari: 6 mesi per protesto ma il debito di chi l’ha firmato rimane 10 anni come riconoscimento di debito.
- Cartelle esattoriali: variano in base al tributo (iva 10, bollo auto 3, multe 5, contributi INPS 5).
In generale molti debiti civili=5 anni. Comunque, attenzione: la prescrizione si interrompe con qualsiasi atto formale del creditore (messa in mora, raccomandata, ingiunzione, precetto) e da lì ricomincia da capo. Inoltre, se il creditore ottiene una sentenza o decreto ingiuntivo passato in giudicato, da quel momento vale la prescrizione decennale del diritto accertato. Quindi se perdi una causa, il creditore ha 10 anni per eseguire (rinnovabili con atti interruttivi). Spesso si sente dire “dopo 5 anni non ti possono far nulla”: non è vero se in quei 5 anni ti hanno inviato solleciti scritti raccomandati o atti giudiziari. Perciò, verifica la cronologia: se davvero sono passati X anni senza nessun atto scritto di richiesta, allora puoi far valere la prescrizione come eccezione (non automatica, va eccepita in giudizio). Esempio: carta di credito non pagata 6 anni fa, mai ricevuto nulla – se ora ti chiedono soldi, il tuo avvocato eccepirà prescrizione 5 anni e vincerai. Ma basta un sollecito raccomandato nel mezzo che i 5 anni ripartono. Ergo, ogni caso va analizzato storicamente.
D: Una finanziaria può segnalarmi in CRIF per un ritardo di pochi giorni?
R: La segnalazione nei SIC (tipo CRIF) avviene di solito per ritardi non brevissimi: tipicamente devono scadere almeno 2 rate mensili (o 1 bimestrale) perché si inserisca un “past due” a fine mese. Inoltre, per i consumatori, è obbligatorio un preavviso almeno 15 giorni prima della prima segnalazione negativa. Quindi se hai tardato di, diciamo, 20 giorni una rata, di norma la finanziaria ti avrà inviato un sollecito e finché non arrivi al mese successivo senza pagare non ti mette in CRIF. Se sei finito in CRIF per pochi giorni di ritardo ma poi hai pagato, potrebbe essere stato un disguido: chiedi l’accesso ai dati CRIF e verifica. Potrebbe risultare solo come “ritardo poi rientrato”, che rimane visibile 12 mesi e poi sparisce. Se invece ti hanno segnalato come “sofferenza” per un ritardo leggero, è scorretto. In tal caso, reclama subito e se non correggono, ricorri all’ABF o Garante Privacy per far rettificare. In sintesi: tecnicamente possono segnalare anche 1 euro non pagato (nessuna soglia minima nei SIC), ma devono rispettare le procedure. E per pochi giorni di ritardo, se li recuperi, rimane un’annotazione minore. Il grosso danno è essere segnalato a “sofferenza” (insolvenza conclamata): quello di solito accade dopo che sei moroso grave (oltre 90 giorni) e considerato non solvibile. Per importi piccoli, raramente ti mettono sofferenza, al massimo “morosità di 1-2 rate”.
D: Ho pagato il debito dopo il pignoramento: cosa succede ora?
R: Se dopo che è iniziato un pignoramento (mobiliare, immobiliare o presso terzi) paghi integralmente il creditore procedente, hai diritto di ottenere la cessazione dell’esecuzione. In pratica:
- Chiedi al creditore di rilasciarti una dichiarazione di quietanza e di consenso alla cessazione.
- Depositi istanza al giudice allegando la prova del pagamento e chiedendo l’estinzione della procedura per soddisfazione del creditore.
- Il giudice può emettere un’ordinanza che dichiara estinto il processo esecutivo.
Eventuali beni pignorati vengono liberati (se erano conti, sbloccati; se era un immobile, si chiude la procedura e non andrà all’asta; se erano stipendi, il datore smette di trattenere). Tieni presente: - Se non hai pagato tutti i creditori intervenuti, ma solo quello principale, la procedura potrebbe proseguire per gli altri. Devi estinguere l’intero monte crediti se la procedura è già partita ed altri creditori si sono aggiunti.
- Hai dovuto comunque pagare anche le spese legali e di esecuzione al creditore (in genere comprendono spese precetto, pignoramento, compensi avvocato liquidati dal giudice). Di solito nel conteggio fornitoti dal creditore saranno incluse.
- Se paghi dopo che ad esempio l’asta si è tenuta ma prima del decreto di trasferimento, potresti bloccare assegnazione fondi e riavere l’eventuale eccedenza. Ci sono momenti dell’esecuzione in cui non si può tornare indietro (es: se l’immobile è stato aggiudicato e il decreto di trasferimento emanato, ormai la proprietà passa all’aggiudicatario; tu verrai semmai rimborsato col ricavato).
- Quindi, tempismo fondamentale: pagare il prima possibile una volta deciso, e assicurarsi di includere tutte le spese. Chiedere sempre ricevuta liberatoria completa.
In caso di saldo e stralcio concordato dopo il pignoramento, funziona uguale: il creditore comunica la rinuncia all’esecuzione al giudice appena incassa e la procedura viene chiusa.
D: Se non posso pagare proprio nulla, rischio la prigione o altre conseguenze penali?
R: Per i debiti civili (prestiti, forniture, affitti, ecc.) non esiste più la prigione per debiti. È un principio costituzionale (art. 25: nessuno può essere detenuto per inadempimento di obblighi contrattuali). Quindi non pagare un mutuo, un prestito o un fornitore non ti porta in carcere. Attenzione però a:
- Debiti verso figli o ex coniuge (alimenti): qui c’è rilevanza penale se non paghi volontariamente. L’omesso versamento di assegno di mantenimento può integrare reato.
- Debiti erariali: di per sé no, ma se ad esempio evadi il fisco oltre soglie scatta il penale tributario (che è collegato, ma non è “non aver pagato” bensì “aver frodato”). O la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (es. nascondi beni al fisco intenzionalmente).
- Assegni scoperti: emettere assegni senza provvista non è più reato dal 2002, però comporta sanzioni amministrative e interdizioni (oltre al protesto).
- Truffa o insolvenza fraudolenta: se hai contratto un debito con l’intenzione di non pagare (es. prendi beni e fuggi), il creditore potrebbe denunciarti per truffa o insolvenza fraudolenta. Ma deve provare il dolo iniziale. Se semplicemente poi non ce l’hai fatta a pagare, non è reato.
Dunque il fallimento economico non è un crimine. Le conseguenze sono patrimoniali (pignoramenti, perdita beni). Non possono toglierti la libertà personale. Possono però, in rari casi, toccare la patente (alcune multe non pagate possono portare sospensione patente), o il passaporto (per debiti fiscali altissimi con riscossione in corso, può essere negato il rilascio passaporto per rischio espatrio debitorio). Ma sono situazioni particolari. Quindi, togliamoci la paura di “finire in galera” per le bollette o per la carta di credito: non succede. Resta il peso morale e civile di sistemare i debiti.
D: Ho ereditato dei debiti da un parente defunto, posso fare qualcosa?
R: Quando si eredita, si ereditano attivi e passivi. Se un tuo parente muore con molti debiti, tu come erede hai tre opzioni: accettare l’eredità (e allora pagherai anche i debiti con il tuo patrimonio se l’attivo ereditario non basta), rinunciare (e allora niente, non prendi nulla ma neanche debiti) oppure accettare con beneficio d’inventario (il che separa il patrimonio del defunto dal tuo: paghi i debiti solo entro il valore dell’eredità ricevuta). Dunque prima di accettare, valuta bene l’entità dei debiti. Se hai già accettato e scopri dopo grossi debiti, sei responsabile col tuo patrimonio. Per difenderti:
- Puoi provare a usare le procedure di sovraindebitamento anche per debiti ereditari (sei comunque un consumatore indebitato).
- Oppure, se ancora in tempo, valuta se la rinuncia all’eredità è la scelta giusta (ad esempio se i debiti superano gli attivi).
- I creditori del defunto potrebbero pignorare beni ereditari anche se li hai divisi tra coeredi, quindi attenzione.
In definitiva, non sei obbligato ad ereditare i debiti: la legge ti dà strumenti per evitarlo (rinuncia) o limitarlo (beneficio inventario). Se invece li hai accettati, li tratti come tuoi debiti personali e applichi tutto quanto detto finora per difenderti.
D: Una finanziaria mi ha offerto di “consolidare” i miei debiti: è una buona idea?
R: Il consolidamento consiste nel fare un nuovo prestito più grande con cui estinguere tutti quelli piccoli, ottenendo una sola rata più bassa. Può avere senso se il nuovo prestito ha condizioni sostenibili e magari tasso più basso (anche se spesso allunga la durata, quindi paghi più interessi in totale). Bisogna stare attenti a:
- Non inserire garanzie che prima non avevi (ad es. ipotecare la casa per consolidare debiti che prima erano chirografari – ti esponi a perdere la casa se poi non paghi).
- Controllare il TAEG del nuovo prestito: se è molto alto, stai solo spostando il problema.
- Evitare consolidamenti da società poco trasparenti che richiedono commissioni esose upfront.
Spesso le banche serie offrono consolidamenti a clienti con più finanziamenti: se la rata totale ti soffoca, meglio una rata unica minore. Ma se la tua situazione è già compromessa (morosità in corso), potresti non avere accesso a un buon consolidamento. In quel caso, occhio a chi “fiuta l’affare” e propone consolidamenti a tassi altissimi garantiti da un bene: rischi un sovraindebitamento peggiore. In sintesi: può essere utile, ma va valutato con esperti, confrontando offerte. E considera alternative: trattare direttamente coi creditori oppure le procedure di composizione crisi. Consolidare significa comunque continuare a pagare tutto il debito, solo più diluito; se già sai di non poter pagare nemmeno così, allora non risolve.
D: Come posso cancellare il mio nominativo dalla lista CRIF dei cattivi pagatori?
R: Se la segnalazione è legittima (ad esempio, un ritardo su prestito effettivamente avvenuto), non puoi “cancellarla a piacimento”: rimarrà per il periodo previsto (di solito 12, 24 o 36 mesi a seconda della gravità) e poi verrà rimossa automaticamente. Non esistono scorciatoie magiche (diffida da chi chiede soldi promettendo cancellazioni immediate – se i dati sono veri, nessuno può cancellarli prima del tempo se non per eccezioni). Quello che puoi fare:
- Se hai estinto il debito o regolarizzato, attendere i tempi: es. 1 anno per ritardi sanati, 3 anni per sofferenza sanata o non sanata. Dopo tali periodi, verifica che CRIF abbia davvero eliminato; se no, manda richiesta di cancellazione per decorso termine.
- Se la segnalazione è errata o illegittima, allora sì, puoi pretendere la cancellazione immediata: fai reclamo alla banca e se non toglie, ricorri a ABF o Garante Privacy con prove. Il Garante spesso ordina cancellazioni immediate se il dato è trattato illecitamente (ad es. mancato preavviso a consumatore).
- Puoi esercitare il diritto di accesso e eventualmente di rettifica: magari non tolgono la voce, ma se c’è un errore (importo sbagliato, data errata) devi farlo correggere.
- Se qualcuno ti dice che pagando una certa quota la società X “pulirà” CRIF: è falso, CRIF accetta modifiche solo dagli enti segnalanti su base di veridicità. Quindi devi passare attraverso la fonte del dato (la banca/finanziaria).
In breve: cancellazione anticipata solo se la segnalazione non doveva starci. Altrimenti, il tempo e la condotta virtuosa futura sono gli unici rimedi. Ricorda infine che dopo la cancellazione di una sofferenza, le banche potrebbero avere memoria interna del tuo precedente default (soprattutto se sei stato loro cliente); ma ufficialmente non lo vedranno più nelle centrali rischi condivise.
D: Mi hanno pignorato un conto cointestato con mia moglie per un mio debito: possono prendere anche i soldi di mia moglie?
R: Il pignoramento su conto cointestato blocca in genere tutto il saldo, perché la banca non sa distinguere la quota di proprietà di ciascuno. Però, di principio, si presume che i cointestatari abbiano il 50% ciascuno (salvo prova contraria). Quindi tua moglie, che non è debitrice, ha diritto alla sua metà. Cosa fare:
- Informare subito la banca che il pignoramento riguarda un debito tuo personale e che c’è un cointestatario non debitore.
- Tua moglie dovrebbe presentare un’opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.) al giudice dell’esecuzione, chiedendo di liberare la sua quota dal pignoramento. Dovrà provare la sua titolarità almeno del 50%, e se magari le entrate sul conto provenivano in gran parte dal suo stipendio, meglio ancora – potrebbe rivendicare una percentuale maggiore.
- Il giudice in molti casi ordina di svincolare la metà spettante al coniuge non debitore. L’altra metà resta pignorata per il creditore.
- Se invece non fate nulla, rischiate che dopo l’ordinanza di assegnazione l’intero saldo venga attribuito al creditore, e poi dovrete voi agire contro il coniuge debitore per riavere la parte ingiustamente tolta (più complicato).
Quindi attivatevi: il co-titolare innocente deve far valere i propri diritti. Questo vale per qualsiasi conto cointestato (anche tra soci, parenti, ecc.). A volte, più pragmaticamente, la moglie può anche negoziare col creditore: “rilasciami i soldi che sono miei e magari li uso per farvi una proposta transattiva”. Ma formalmente, l’opposizione di terzo è lo strumento corretto.
D: La finanziaria ha venduto il mio debito a una società di recupero: devo comunque pagare? Posso difendermi diversamente?
R: Sì, se la finanziaria (creditore originario) cede il credito a un’altra società (cessionaria), il debito rimane valido e ora dovresti pagare al nuovo soggetto. La cessione del credito è lecita e non richiede il tuo consenso (art. 1260 c.c.), di solito ti viene comunicata con lettera. Dal punto di vista difensivo:
- Verifica che ti abbiano notificato o comunicato la cessione: fino a quando non lo fanno, tu puoi legittimamente pagare al vecchio creditore liberandoti. Dopo la notifica, pagare al vecchio non libera più.
- La nuova società di recupero spesso acquista a prezzi stracciati, quindi è magari più disponibile a un saldo e stralcio favorevole a te (perché anche con metà importo fanno profitto). Quindi tratta: puoi offrire anche il 30-40% a chi ha comprato NPL (non performing loans), potrebbero accettare.
- Controlla gli importi: a volte nella cessione gonfiano con interessi o spese strane. Chiedi l’estratto conto aggiornato. Hai diritto a saper come si compone il debito.
- Se avevi contestazioni in corso col vecchio creditore (es: causa per interessi usurari), proseguono contro il nuovo (subentra nei rapporti, ma potresti dover aggiornarlo in giudizio).
- Occhio alla prescrizione: la cessione non interrompe la prescrizione di per sé (solo atti di costituzione in mora o giudizi la interrompono). Capita che passino anni durante le cessioni. Se il nuovo creditore compare all’improvviso dopo lungo silenzio, valuta se quel credito non sia prescritto e quindi opponi la prescrizione.
In sintesi, devi pagare comunque se dovuto, ma hai margine per negoziare di solito più sconto. Assicurati di ottenere la lettera liberatoria dal nuovo creditore a saldo effettuato.
D: Posso oppormi a una cartella esattoriale per multe o tasse non pagate?
R: Sì, però le regole sono diverse dalle opposizioni civili. In caso di cartella esattoriale:
- Se contesti la fonte del debito (es: la multa non era valida, l’accertamento fiscale errato), devi fare opposizione nei termini previsti a quell’atto (ricorso al giudice di pace per multe entro 30gg, commissione tributaria per tasse entro 60gg). Se ti è sfuggito, la cartella diventa definitiva e puoi opporla solo per vizi propri.
- Se contesti vizi della cartella o notifiche (mai notificata, prescrizione sopravvenuta), puoi fare ricorso in autotutela all’ente e poi eventualmente sempre al giudice competente (pace o tributario secondo la natura).
- Ci sono anche le sospensioni amministrative: puoi chiedere sospensione ad Agenzia Riscossione se hai ricorsi pendenti o pagato nel frattempo.
- Le opposizioni alle cartelle seguono il rito delle opposizioni a esecuzione se sono fuori dall’ambito tributario (un po’ complicato: ad esempio per contributi INPS, si va al giudice del lavoro).
In sostanza sì, ci si può opporre, ma conviene farsi assistere da un esperto in cause tributarie o amministrative perché le procedure differiscono. E i termini sono stringenti. Se la cartella è già seguita da pignoramento (es. pignoramento presso terzi da Agenzia Entrate Riscossione), puoi fare opposizione all’esecuzione ma limitatamente a eccepire pagamenti già avvenuti o vizi formali, non rimettere in discussione il merito del tributo. Quello va fatto a monte. In ogni caso, per difenderti da cartelle hai anche strumenti come rottamazioni, saldo e stralcio fiscale, rateizzazioni fino a 10 anni che l’ente concede (ad aprile 2023 persino con prima rata simbolica di €50 hanno bloccato pignoramenti). Quindi valuta anche quelle vie.
D: Ho troppi debiti e non vedo via d’uscita: che consigli mi date?
R: Prima di tutto: non disperare. Ci sono state introdotte leggi proprio per situazioni di sovraindebitamento. Fai un passo indietro e analizza la tua condizione:
- Fai l’elenco di tutti i debiti (importi, creditori, scaduti o meno, eventuali garanzie).
- Valuta i tuoi beni e redditi: cosa ho di aggredibile? casa, auto, stipendio, TFR, ecc.
- Confronta debiti e risorse realisticamente. Se è chiaro che non riuscirai mai a pagare interamente, allora considera la procedura di composizione delle crisi (legge “salva suicidi”): rivolgiti a un OCC (Organismo Composizione Crisi) nella tua provincia (spesso li trovi in Camera di Commercio o Ordine Avvocati). Ti aiuteranno a capire se puoi fare un piano del consumatore o chiedere l’esdebitazione.
- Nel frattempo, cerca di evitare nuove azioni aggressive: comunica ai creditori che stai predisponendo un piano di ristrutturazione, magari loro attendono prima di procedere a pignoramenti sapendo che il tribunale poi bloccherebbe tutto. Alcuni creditori potrebbero aderire spontaneamente a un saldo e stralcio, il che ridurrebbe il carico.
- Non indebitarti ulteriormente per pagare vecchi debiti a meno di soluzioni ragionate: ad es., ipotecare la casa dei genitori per prendere soldi – mosse così disperate spesso aggravano il problema.
- Se i debiti non sono così estremi ma ti manca liquidità, priorità ai bisogni essenziali (casa, cibo) e alle bollette indispensabili; altre cose come prestiti minori, temporaneamente mettile in seconda priorità e cerca poi accordi.
- Parlane con la famiglia: a volte con l’aiuto di tutti si trova una soluzione (vendere beni di famiglia inutilizzati, ecc.).
In sintesi: la legge non vuole più che una persona onesta resti schiacciata dai debiti a vita. Ci sono spiragli di speranza (piano, esdebitazione). Certo, richiede affrontare l’iter legale, esporre la propria situazione a un giudice, ma ne vale la pena se significa liberarsene e ripartire. Quindi il consiglio è di consultare esperti (associazioni debitori, OCC) e non rimanere isolato nella vergogna o paura. Uscirne è possibile.
Tabelle riepilogative
Di seguito presentiamo alcune tabelle riassuntive utili per avere un colpo d’occhio su strumenti difensivi, procedure e tempistiche.
Tabella 1: Principali strumenti difensivi del debitore e loro caratteristiche
Strumento difensivo | Quando si utilizza | Termine per attivarlo | Effetto sull’azione di recupero | Autorità competente | Riferimenti normativi |
---|---|---|---|---|---|
Opposizione a decreto ingiuntivo | Quando si riceve un decreto ingiuntivo ingiusto o errato | 40 giorni dalla notifica (salvo ridotti) | Apre un giudizio ordinario; sospende esecuzione se non era già esecutivo (o se concessa sospensione ex art.649) | Tribunale/GdP che ha emesso ingiunzione | Art. 645 c.p.c.; D.lgs 149/2022 (Cartabia) |
Opposizione all’esecuzione | Durante/prima dell’esecuzione, se si contesta il diritto del creditore di procedere | Prima o durante l’esecuzione; idealmente prima del pignoramento o entro fine esecuzione | Possibile sospensione della procedura esecutiva (art. 624 c.p.c.) se gravi motivi; se accolta, estingue l’esecuzione | Giudice dell’esecuzione (Tribunale) | Art. 615 c.p.c. |
Opposizione agli atti esecutivi | Durante l’esecuzione, per vizi formali di singoli atti | 20 giorni dall’atto (notifica o conoscenza) | Possibile sospensione parziale; annullamento dell’atto viziato (e atti successivi conseguenti) | Giudice dell’esecuzione (Tribunale) | Art. 617 c.p.c. |
Istanza di sospensione dell’esecuzione | In pendenza di opposizione (615/617) per congelare l’iter | Contestuale all’opposizione o appena dopo | Sospende temporaneamente il pignoramento/vendita | Giudice dell’esecuzione (Tribunale) | Art. 624 c.p.c. |
Reclamo Arbitro Bancario Finanziario (ABF) | Controversie con banche/finanziarie (es. anatocismo, addebiti, segnalazioni) | 12 mesi da risposta reclamo (termine ABF) | Interruzione prassi scorrette; decisione autorevole con invito a rimborso/cancellazione dati ecc. (non forzosa ma di solito rispettata) | Collegio ABF (stragiudiziale) | Art. 128-bis TUB; Regolamento ABF |
Ricorso in autotutela (PA) | Debiti da atti amministrativi (cartelle, multe) errati | Prima di ricorrere in giudizio; tempestivo entro termini ricorso | L’ente può annullare l’atto e fermare riscossione | Ente emanante (Comune, Agenzia Entrate, ecc.) | L. 241/1990 (annullamento ufficioso) |
Ricorso giudiziale ordinario | Per far valere diritti del debitore (es. accertamento negativo, risarcimento danni) | Entro prescrizione del diritto (variabile) | Ottenere sentenza che dichiara insussistente il credito o risarcisce il debitore | Tribunale/Giudice competente per materia/valore | Art. 2697 c.c. (onere prova), art. 2043 c.c. (danno) |
Procedura sovraindebitamento (piano/concordato) | Situazione di insolvenza civile non fallibile | Nessun termine fisso; prima che i creditori escutono troppo beni | Sospende le azioni esecutive individuali; porta a ristrutturazione debiti o esdebitazione finale | Tribunale (sez. fallimentare) con ausilio OCC | CCII D.Lgs.14/2019, artt. 65-83 (ristrutturazione consumatore), 84-91 (concordato minore), 282-283 (esdebitazione) |
Saldo e stralcio (accordo) | Debito certo ma debitore in difficoltà, si negozia riduzione | Da avviare preferibilmente prima o durante azioni legali (tempestivamente) | Estingue l’obbligazione per accordo transattivo; sospende e poi chiude eventuali cause/esecuzioni in corso | N/A (accordo privato; può essere formalizzato in sede giudiziale) | Art. 1965 c.c. (transazione) |
Piano di rientro extragiudiziale | Debito non contestato, si chiede tempo per pagarlo a rate | Prima che il creditore pignori (o anche dopo, per far sospendere) | Sospensione volontaria delle azioni esecutive da parte del creditore se piano rispettato; evita nuove azioni legali finché in regola | N/A (contratto privato; possibilità di omologa se fatto in mediazione o in causa) | Art. 1322 c.c. (autonomia contrattuale) |
Note: N/A = non applicabile (strumento non gestito da autorità giudiziaria direttamente). La tabella semplifica i termini: consultare legale per casi specifici. “Gravi motivi” per sospensione e criteri di opposizioni devono essere valutati dal giudice caso per caso. Le norme CCII indicate sono del Codice Crisi 2019 aggiornato.
Tabella 2: Tempi indicativi delle procedure di recupero crediti e delle difese
Procedura / Azione | Tempo tipico | Commenti per il debitore |
---|---|---|
Decreto ingiuntivo (ottenimento da parte creditore) | 1-3 mesi (se prove ok) | Dopo la notifica, 40 giorni per opposizione. Se non opponi, diventa esecutivo in ~2 mesi. |
Processo di opposizione a ingiunzione | 1-2 anni (a seconda del tribunale) | Può allungarsi; nel frattempo se decreto provvisoriamente esecutivo serve sospensione. |
Notifica atto di precetto | 10 giorni minimo di attesa prima esecuzione | Finestra per pagare o opposizione pre-esecuzione. |
Pignoramento mobiliare + vendita all’asta | 6-12 mesi (spesso aste multiple) | Se beni di valore basso, può andare deserta più volte. Debitore può convertire pignoramento per evitare vendita. |
Pignoramento presso terzi (es. stipendio) + assegnazione | 2-4 mesi fino all’ordinanza di assegnazione | La trattenuta poi dura finché debito estinto (potenzialmente anni). |
Pignoramento immobiliare + asta | 1-3 anni mediamente | Tempi lunghi: stima perizia, pubblicità, eventuali ribassi d’asta. Debitore può usarli per trovare accordo o proporre soluzione. |
Opposizione all’esecuzione (615) | 1-2 anni (giudizio di merito) | Se sospesa esecuzione, pignoramento fermo per durata causa. |
Opposizione atti esecutivi (617) | Pochi mesi (decisa spesso in udienza ad hoc) | Procedura più sommaria. Se vinta, esecuzione può dover ripartire da capo (per atto annullato). |
Procedura sovraindebitamento (piano/accordo) | ~6-12 mesi per omologa | Una volta depositata, creditori bloccati da misure protettive per qualche mese. |
Liquidazione controllata / Esdebitazione incapiente | 1-2 anni (dipende da complessità patrimonio) | Debitore persona fisica ottiene esdebitazione al termine. Incapiente: ~6 mesi per esdebitazione se tutto ok. |
Segnalazione CRIF negativa (ritardi) | 12-36 mesi in archivio dopo aggiornamento finale | Esempio: 1 rata pagata in ritardo poi sanata: visibile 12 mesi. Sofferenza non sanata: 36 mesi dalla comunicazione ultimo aggiornamento. |
Reclamo ABF e decisione | 5-7 mesi (compresi tempi interlocutori) | Se creditore inadempiente oltre 30 gg da decisione, segnalato pubblicamente. |
Istanza ABF per sospensione segnalazione urgente | 1-2 mesi (procedura d’urgenza raramente concessa) | ABF a volte anticipa in via d’urgenza, ma non sempre – di solito segue iter standard. |
Mediazione civile (durata tentativo) | 2-3 mesi (proroga di 3 mesi procedimenti) | Se debitore la avvia, può ottenere rinvio termini causa pari a max 3 mesi. |
Fallimento / Liquidazione giudiziale (procedura concorsuale) | Oltre 5 anni in media (varia molto) | Durante il fallimento, debitore è spossessato beni, ma poi può ottenere esdebitazione residui. |
Note: I tempi sono medi e variabili per distretti e complessità. Le opposizioni e procedure concorsuali possono durare anche più a lungo indicato. I “tempi di respiro” per il debitore (es. tra precetto e pignoramento, o durante iter asta) dovrebbero essere sfruttati proattivamente.
Simulazioni pratiche di casi
Per comprendere meglio “sul campo” come mettere in atto le difese esaminate, presentiamo alcune simulazioni di casi pratici di recupero crediti dal punto di vista del debitore, con indicazione passo-passo di cosa succede e come reagire.
Caso 1: Pignoramento presso terzi (conto corrente)
Scenario: Davide ha un debito di €15.000 con una banca derivante da un prestito personale non rimborsato. La banca ottiene un decreto ingiuntivo esecutivo e, poiché Davide non ha beni immobili né stipendio (lavora come autonomo), attiva un pignoramento presso terzi sul conto corrente di Davide presso la Banca XYZ. Davide scopre un mattino che il suo conto è bloccato: non riesce a prelevare e l’home banking indica “conto pignorato – saldo indisponibile €12.000”.
Cosa è successo dietro le quinte: La banca creditrice ha notificato a Banca XYZ (terzo) un atto di pignoramento, intimando di congelare le somme di Davide fino a €15.000. Contestualmente quell’atto è stato notificato a Davide (forse l’ha trovato nella casella postale, o via PEC se ha un indirizzo). L’atto indica un’udienza dal giudice tra circa un mese, in cui Banca XYZ dovrà dichiarare quanti soldi di Davide aveva in conto al momento della notifica. In attesa, Banca XYZ ha subito vincolato l’importo presente (supponiamo Davide avesse €12.000 sul conto, tutti bloccati).
Reazione di Davide – passo 1: verificare e capire. Davide recupera copia dell’atto di pignoramento (se non l’avesse, lo chiede alla sua banca terza o in tribunale). Legge che il creditore è Banca ABC (quella del prestito) con titolo esecutivo decreto ingiuntivo Tot, importo €15.000 + spese. L’atto elenca conto n. XXX presso Banca XYZ. È indicata l’udienza in tribunale data X.
Passo 2: consultare un legale. Davide corre da un avvocato. Si valutano le possibili opposizioni:
- Davide conferma che il debito è reale (aveva smesso di pagare). Non ha motivi di contestazione sostanziale (non può dire che non deve quei soldi).
- Si controllano eventuali vizi formali: la notifica del decreto ingiuntivo era andata a buon fine? Sì, ricevuta mesi fa e ignorata (purtroppo). Il precetto gli è stato notificato? Dice di non averlo visto… potrebbe essere un vizio se davvero mai notificato, ma forse è andato irreperibile e affisso. L’avvocato controllerà in atti. Supponiamo che il precetto fosse stato notificato correttamente a mano.
- Non emergono vistose irregolarità nell’atto di pignoramento.
In assenza di opposizioni solide, l’avvocato consiglia a Davide un approccio transattivo: cercare di evitare almeno che i €12.000 sul conto vengano interamente girati al creditore e poi resti comunque un debito residuo (€3.000 + spese). Meglio tentare un saldo e stralcio. Davide per racimolare fondi chiede aiuto ai familiari e mette insieme €10.000 liquidi.
Passo 3: trattativa con il creditore. Tramite l’avvocato, Davide contatta l’ufficio legale di Banca ABC proponendo: pagamento immediato di €10.000 a saldo e stralcio, altrimenti farà opposizione tardiva e manderà forse la ditta individuale in liquidazione (un bluff, ma per far leva). La banca valuta che €10k subito forse sono meglio di sperare di trovarne altri (magari Davide potrebbe svuotare il conto e restare nullatenente). Dopo qualche giorno, accettano €12.000 come saldo (vogliono almeno recuperare il 80%). Si accordano.
Passo 4: formalizzare accordo e pagamento. Viene redatto un accordo scritto: Davide paga €12.000 entro 5 giorni e Banca ABC si impegna a rilasciare atto di assenso alla cancellazione del pignoramento e a rinunciare alla procedura per il residuo. Davide firma e, essendo i soldi già sul conto vincolato, concorda con Banca XYZ di sbloccare €12.000 per fare un bonifico al creditore (la banca terza a volte lo consente con l’accordo di entrambe le parti). Il bonifico va a buon fine.
Passo 5: rinuncia agli atti e sblocco conto. L’avvocato del creditore deposita in tribunale un’istanza di rinuncia al pignoramento presso terzi, allegando la quietanza del pagamento ricevuto. All’udienza, il legale del creditore e di Davide compaiono e comunicano al giudice che il debitore ha pagato e si chiede estinzione. Il giudice emette un’ordinanza di estinzione dell’esecuzione per soddisfacimento. Dopo qualche settimana (il tempo che l’ordinanza arrivi alla banca terza con atto formale), Banca XYZ sblocca il conto di Davide e gli restituisce eventuali eccedenze (in questo caso aveva 12k, tutti usati per pagare; se ci fosse stato di più, la differenza gli tornerebbe libera).
Esito: Davide ha perso €12.000 (ma d’altronde il debito doveva pagarlo), tuttavia:
- Ha evitato di pagare più di così (il creditore ha abbuonato ~3k + interessi futuri).
- Ha evitato che la procedura proseguisse e che magari pignorassero altri crediti (in teoria avrebbero potuto pignorare anche futuri bonifici sul conto fino a raggiungere 15k).
- Ha sbloccato il suo conto in tempi relativamente brevi, riprendendo operatività.
Alternative: Se Davide non avesse trovato fondi per accordarsi, probabilmente l’udienza sarebbe avvenuta, Banca XYZ avrebbe dichiarato “€12.000 disponibili” e il giudice avrebbe emesso ordinanza assegnando quei €12.000 a Banca ABC, e disponendo il pignoramento del 100% di eventuali altre somme future sul conto fino a soddisfo (€3.000 restanti). Ogni bonifico in entrata sarebbe stato girato al creditore. Davide si sarebbe trovato senza liquidità e con il conto inutilizzabile finché non recuperava diversamente. Inoltre avrebbe dovuto pagare anche spese di procedura in aggiunta. Quindi l’accordo gli ha giovato.
Lezioni apprese: Nel pignoramento presso terzi, se il debitore non ha opposizioni da fare, conviene essere proattivi in trattativa. Inoltre, l’importo bloccato dal terzo è una leva: il creditore sa di poter prendere fino a lì, ma non oltre, e se il debitore può offrire qualcosa subito chiudendo, talvolta preferisce evitare incognite. Per il debitore, liberare il conto è prioritario perché senza conto può avere seri problemi (pagamenti rifiutati, domiciliazioni saltate, ecc.). Sempre coinvolgere l’istituto terzo con le soluzioni: qui Banca XYZ ha collaborato per permettere il bonifico concordato (altrimenti avrebbero dovuto attendere ordinanza). Infine, evitare di depositare grosse somme in conto se si hanno debiti noti: se Davide avesse tenuto meno soldi sul conto (magari su carte prepagate non pignorabili nominative – anche se ormai molte sono pignorabili – o contanti), la banca avrebbe recuperato di meno. Questo però rasenta l’astuzia che può essere illegale (non si può movimentare per frodare i creditori). Ma come consiglio generale: un debitore esposto dovrebbe mantenere sui conti solo il necessario mese per mese.
Caso 2: Iscrizione illegittima in CRIF
Scenario: Luisa ha estinto un finanziamento con una finanziaria “CrediSì” due anni fa, anticipando anche il pagamento delle ultime rate. Tutto sembrava a posto. Ora Luisa fa domanda di mutuo per la prima casa presso la Banca Delta, ma con sua sorpresa la banca le comunica che risulta segnalata come “cattivo pagatore in CRIF” dalla finanziaria CrediSì per uno sconfinamento non saldato di €50. Luisa cade dalle nuvole: non le risulta alcuno scoperto. Dopo varie richieste, ottiene (da Banca Delta, che ha visto il suo credit report) un codice pratica. Decide di vederci chiaro.
Passo 1: accesso ai dati CRIF. Luisa invia tramite il portale CRIF una richiesta di Accesso ai dati personali. Dopo circa 10 giorni riceve via PEC un PDF con la sua posizione: risulta una linea di credito di CrediSì chiusa due anni fa, con uno stato “Saldo stralcio – sofferenza €50” segnalato il mese successivo alla chiusura, e ancora presente (CRIF conserva sofferenze per 36 mesi). In pratica, la finanziaria l’ha segnalata come se al momento della chiusura lei non avesse pagato €50 e loro avessero perso quel importo (stralcio). Luisa però ha quietanze di aver pagato tutto fino all’ultimo centesimo. È chiaro che c’è un errore: forse €50 di interessi non calcolati? O un errore amministrativo di CredSì.
Passo 2: reclamo alla finanziaria. Luisa prepara una PEC indirizzata all’ufficio reclami di CrediSì, allegando:
- Copia dell’estratto CRIF evidenziando la segnalazione.
- Copia delle ricevute di pagamento che mostrano l’intero importo dovuto saldato.
Nella lettera contesta la segnalazione come erronea e illegittima (nessun debito residuo) e richiama il fatto che non ha ricevuto alcun preavviso di 15 giorni per tale segnalazione (essendo consumatrice, era suo diritto). Chiede la cancellazione immediata della segnalazione negativa e comunicazione a CRIF dell’errore, nonché una lettera di scuse e rettifica da inviare a lei e a Banca Delta per riabilitarla nella pratica mutuo. Conclude che, in mancanza di riscontro entro 15 giorni, si rivolgerà alle autorità competenti (ABF e Garante Privacy).
Invia la PEC. Passano 20 giorni, nessuna risposta da CrediSì.
Passo 3: ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario. Luisa decide di non perdere altro tempo: compila il form online dell’ABF (Collegio competente per territorio dove risiede). Nel ricorso spiega i fatti, allega le prove (contratto, ricevute pagamenti, estratto CRIF, copia del reclamo inviato). Chiede all’ABF di:
- dichiarare illegittima la segnalazione a sofferenza di €50 data l’assenza di debito e il mancato preavviso;
- ordinare a CrediSì di cancellare la segnalazione presso CRIF e qualsiasi altro SIC;
- condannare CrediSì a un risarcimento per danno non patrimoniale da erronea segnalazione, quantificato ad es. in €5.000, considerato che per tale segnalazione Luisa ha visto rifiutare un mutuo e ha subito stress.
Paga €20 di contributo ABF. CrediSì, interpellata dall’ABF, risponde alla memoria difensiva ammettendo che in effetti c’era stato un errore contabile, che provvederanno a rettificare, e offrono €500 a titolo di “attenzione al cliente” (lo scrivono come proposta conciliativa). Luisa replica che il danno è stato ben maggiore (ha perso l’opportunità del tasso agevolato su quel mutuo, ora dovrà ripresentare richiesta ecc.) e mantiene la richiesta di €5.000.
Passo 4: decisione ABF. Dopo circa 4 mesi, il Collegio ABF emette decisione: accoglie parzialmente il ricorso di Luisa. Rileva che:
- La segnalazione è priva di fondamento (nessun debito di €50 risultava dovuto) e in re ipsa la presenza di un errore così ha comportato un danno reputazionale.
- CrediSì avrebbe dovuto inviare preavviso (richiamano Cass. 14382/2021), e non l’ha fatto.
- Ordina quindi a CrediSì di attivarsi immediatamente presso CRIF per cancellare la posizione negativa di Luisa.
- Quanto al risarcimento, l’ABF riconosce a Luisa un importo, però più contenuto: ad esempio €1.500 per il danno non patrimoniale (tenendo conto del disagio e del ritardo nel mutuo, senza prova specifica di danno patrimoniale perché Luisa non ha documentato quanto le costerà in più il mutuo ottenuto poi).
- Dispone inoltre la rifusione del contributo €20 a Luisa.
La decisione viene comunicata alle parti.
Passo 5: esecuzione e risultato. Entro 30 giorni, CrediSì:
- invia comunicazione a CRIF e agli altri SIC per cancellare completamente la posizione contestata di Luisa.
- versa a Luisa €1.500 (probabilmente tramite bonifico).
- comunica all’ABF di aver adempiuto.
Luisa intanto aveva spiegato la situazione a Banca Delta, che aveva tenuto in sospeso la pratica mutuo in attesa dell’esito. Ora, con la cancellazione, Luisa risulta pulita in CRIF (anzi, appare pagata regolare). Il mutuo viene approvato e ottiene condizioni normali.
Esito: Luisa è riuscita a far rimuovere un’ingiusta macchia creditizia e ha anche ottenuto un (parziale) indennizzo. L’intera vicenda ha richiesto alcuni mesi, ma senza dover andare in tribunale ordinario. CrediSì incassa una figuraccia e forse sarà più attenta in futuro.
Alternative: Poteva Luisa andare subito in Tribunale con urgenza (art. 700) per far cancellare? Sì, poteva, ma sarebbe costato tempo e soldi di avvocato, con esito magari analogo. L’ABF era la via più semplice ed economica. Un’altra via: reclamo al Garante Privacy. Avrebbe potuto pure fare segnalazione al Garante, che magari dopo vari mesi avrebbe ordinato la cancellazione per trattamento dati inesatto. ABF è specializzato proprio in casi bancari, quindi ha funzionato.
Lezioni apprese: Controllate sempre che i creditori chiudano le posizioni correttamente quando finite di pagare. Se c’è un errore di pochi euro, può costare caro in termini di reputazione creditizia. Il debitore ha armi efficaci: diritto di accesso (per scoprire cosa c’è scritto su di lui), reclamo e ABF/autorità. Anche in caso di segnalazioni legittime ma senza preavviso, si può ottenere risarcimento (Cass. ha sancito principi in merito). Infine, il caso mostra che il “danno in re ipsa” è riconosciuto per giustificare l’urgenza di togliere la segnalazione, mentre per quantificare soldi serve motivare (l’ABF non dà enormi cifre se non c’è dimostrazione di un danno economico preciso).
Caso 3: Ricezione di un atto di pignoramento mobiliare domiciliare
Scenario: Marco è un piccolo imprenditore che ha cessato l’attività. Un suo ex fornitore, a cui Marco doveva €8.000, ottiene un titolo esecutivo (sentenza) e invia l’ufficiale giudiziario a casa di Marco per pignorare beni. Marco vive con la famiglia in un appartamento in affitto. Un pomeriggio riceve la visita dell’ufficiale giudiziario accompagnato da un avvocato del creditore. Gli notificano sul posto un atto di pignoramento mobiliare e chiedono di entrare per individuare beni di valore.
Passo 1: mantenere la calma e collaborare il minimo necessario. Marco è colto di sorpresa ma ricorda di aver letto che non può opporsi fisicamente. Permette l’accesso. Chiede di vedere l’atto: legge che il creditore Alfa Srl vanta €8.000 + spese, titolo: sentenza Tribunale X, precetto notificato un mese fa (in effetti Marco aveva ignorato una lettera che doveva essere il precetto). L’atto elenca già ad esempio “autovettura Fiat targa…”. Infatti avevano individuato l’auto di Marco parcheggiata fuori.
All’interno, l’ufficiale giudiziario inizia a guardarsi intorno. Marco sa che molte cose in casa sono di proprietà della moglie o dei figli, o comunque di scarso valore (mobili usati, un vecchio TV). Però ha un televisore grande e nuovo acquistato da poco da lui stesso, e un computer che usa suo figlio ma comprato da Marco. L’ufficiale intende pignorarli.
Passo 2: far valere impignorabilità e terza proprietà. Marco segnala subito all’ufficiale: “Guardi che i mobili, il tavolo, l’armadio sono in casa in affitto e appartengono al proprietario (in realtà è vero, l’appartamento era ammobiliato: può provarlo col contratto di locazione). Li indica come impignorabili perché di terzo proprietario (il locatore). L’ufficiale allora tralascia quei mobili. Il TV: Marco dichiara che è di proprietà della moglie (anche se in realtà fu lui a pagarlo, ma con soldi del conto cointestato). L’ufficiale, scettico, può comunque descriverlo a verbale ma scrive “il debitore dichiara essere di proprietà della moglie”. Il PC: Marco insiste che è strumento essenziale di studio del figlio universitario, quindi chiede di lasciarlo in quanto bene strettamente necessario alla famiglia (ci prova – a volte col buon senso l’UG desiste se è roba modesta). Se l’UG non volesse sentire ragioni, può pignorare e poi starà al figlio fare opposizione di terzo.
Alla fine, l’ufficiale pignora formalmente pochi beni: il televisore (valutato €500), un orologio di un certo valore che Marco possiede (€1.000), e soprattutto l’automobile di Marco (stimata €5.000). Redige il verbale di pignoramento, nominando Marco custode dei beni (l’auto può continuare a usarla ma non può venderla né sottrarla). Lascia nel verbale avviso dell’udienza per l’eventuale vendita, etc.
Passo 3: reazione legale post-pignoramento. Marco ora:
- Si consulta con un legale per verificare se può fare opposizione agli atti esecutivi per qualche irregolarità: ad esempio se il precetto non gli fu notificato regolarmente (ma pare fosse arrivato). Oppure se l’UG ha pignorato beni impignorabili. Nel verbale, l’UG ha effettivamente pignorato il televisore nonostante la rivendicazione della moglie.
- La moglie di Marco, se può provare che il TV l’ha comprato lei (es. scontrino a suo nome o estratto conto suo), potrebbe presentare opposizione di terzo entro 20 giorni.
- Marco stesso valuta l’opposizione all’esecuzione: in realtà il debito è dovuto, però c’è un dettaglio: Alfa Srl aveva già ricevuto da Marco un pagamento parziale di €2.000 dopo la sentenza, ma non l’ha scomputato nel precetto (forse non se ne erano accorti). Ciò è un motivo di opposizione parziale: il debito residuo era 6k, non 8k. Marco, tramite avvocato, propone un’opposizione all’esecuzione per far correggere l’importo e contestualmente chiede la sospensione (perché pignorare 5k auto per un debito forse minore).
- L’avvocato deposita l’opposizione e il giudice fissa udienza per discussione sospensione.
Passo 4: nel frattempo, tentare conversione o accordo. Marco non vuole perdere l’auto (gli serve per lavoro nuovo) né far vendere oggetti di casa. Potrebbe chiedere la conversione del pignoramento: versare una somma per sostituire i beni. Ma deve depositare almeno 1/5 del dovuto. Su 8k, 1/5 = 1.600 €. Li ha? Riesce a racimolarli e li deposita in tribunale, chiedendo di poter pagare il resto in 12 rate mensili. Il giudice dell’esecuzione, prima di decidere sulle vendite, valuta la conversione: il creditore ovviamente preferirebbe riscuotere subito l’intera somma dalla vendita, ma se Marco versa quella cauzione, la legge gli concede di convertire.
- Nel frattempo il giudice dell’opposizione (che è diverso dall’esecuzione in questo caso) potrebbe sospendere parzialmente per l’eccedenza contestata (2k €).
Supponiamo che:
– Marco versa i 1.600 €.
– In udienza di sospensione, il giudice vede che in effetti c’è stata doppia contabilizzazione di 2k già pagati: invita le parti a trovare accordo su importo. Alfa Srl ammette l’errore, riduce pretesa a 6k. Il giudice sospende l’esecuzione limitatamente a 2k eccedenti. Ormai il debito considerato è 6k.
– Il giudice dell’esecuzione accetta la conversione sul nuovo importo 6k: Marco deve quindi pagare 6k – 1.600 cauzione = 4.400 in rate. Gli dà 12 mesi (circa 366 €/mese) da versare.
– Appena Marco firma il verbale di conversione, il giudice emette ordinanza che libera i beni pignorati dal vincolo, salvo che restano come garanzia finché paga tutte le rate (se smette, il vincolo rivive). In pratica, l’auto e il TV non andranno all’asta, rimangono a Marco che ne rientra in possesso pieno ad ultima rata.
Passo 5: conclusione. Marco segue il piano: paga mensilmente €366. In un anno estingue quei 6k residui. Alfa Srl incassa tutto (non 8 ma 6, perché doveva essere 6 in realtà). I beni di casa non vengono toccati oltre. La moglie rinuncia all’opposizione di terzo perché, essendo arrivata conversione, non serve (il vincolo su TV decade).
Esito: Il pignoramento mobiliare di Marco si è risolto senza vendita forzata grazie alla conversione. Ha dovuto comunque pagare il debito, ma almeno ha tenuto l’auto e gli averi. Ha anche corretto un errore di importo tramite l’opposizione. Non tutti i casi sono così gestibili: se non avesse avuto i 1.600 € per conversione, i beni sarebbero stati messi all’asta (l’auto venduta probabilmente a prezzo di realizzo più basso, il TV forse neanche venduto perché di scarso interesse). Avrebbe potuto veder cancellato 2k per via dell’opposizione, ma comunque la pressione sui beni c’era.
Lezioni apprese: In un pignoramento mobiliare:
- Conosci i tuoi diritti: dichiarare subito cose di terzi o impignorabili (strumenti di lavoro, beni di minimo indispensabile). L’UG può non accontentarsi delle sole dichiarazioni, ma è importante verbalizzarle per poterle far valere dopo.
- Conversione del pignoramento è un ottimo strumento se hai almeno una parte di soldi e reddito per rate. Ti evita la vendita e diluisce il debito.
- Opposizioni: se ci sono contestazioni (pagamenti non dedotti, prescrizioni, nullità del titolo), vanno fatte subito. Anche solo ridurre il dovuto (come qui da 8 a 6) è utile.
- Beni di modesto valore spesso non interessano al creditore (vende il TV usato per poche decine di euro? inutile). Spesso il creditore mira a spingere il debitore a trovare i soldi, più che ottenere valore da quei beni.
- Occhio alla custodia: se l’UG avesse nominato custode terzo e portato via subito i beni (può succedere per oro, contanti, etc.), sarebbe stato peggio. Nel nostro caso, per TV e oggetti ha lasciato a Marco (prassi comune). L’auto formalmente pignorata non può essere venduta o rottamata da Marco, ma può usarla. Però non dovrebbe neanche nasconderla o danneggiarla, sennò commette reato di sottrazione di cose pignorate.
Questi casi concreti dimostrano come, pur in situazioni diverse (conto bancario bloccato, segnalazione creditizia, ufficiale in casa), il debitore informato e reattivo possa mitigare i danni e arrivare a soluzioni più favorevoli di quelle che subirebbe passivamente.
Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate a giugno 2025)
(In questa sezione elenchiamo le principali fonti citate o rilevanti per approfondimenti sulla materia “Recupero crediti: come difendersi”, con indicazione sommaria del contenuto. Dove possibile forniamo riferimenti a disposizioni di legge aggiornate al 2025 e a pronunce giurisprudenziali significative.)
Codice Civile (R.D. 262/1942) – Artt. 2740-2953 c.c. disciplinano in generale l’obbligazione patrimoniale (responsabilità per i debiti) e cause di prelazione (privilegi, pegno, ipoteca). Es: art. 2740 c.c. principio di responsabilità patrimoniale illimitata del debitore; art. 2910 c.c. e segg. sull’espropriazione forzata; art. 2929-bis c.c. (azione esecutiva su atti in frode). Importante anche art. 1260 c.c. (cessione del credito) per capire che il credito può essere trasferito. – Nota: principi generali, citati per completezza.
Codice di Procedura Civile (R.D. 1443/1940) – Libro III (artt. 474-632 c.p.c.) regola il processo di esecuzione. Alcuni articoli chiave menzionati:
- Art. 480 c.p.c.: forma e contenuto del precetto.
- Art. 491 c.p.c.: principio di unitarietà dell’esecuzione (dal primo atto esecutivo i beni sono indisponibili).
- Art. 492 c.p.c.: possibilità di ricerca telematica dei beni (accesso banche dati – riforma 2014).
- Art. 514-515 c.p.c.: beni mobili assolutamente impignorabili (vestiario, letti, etc.) e relativamente impignorabili (strumenti di professione in parte).
- Art. 543 c.p.c.: atto di pignoramento presso terzi (contenuto e notifica).
- Art. 545 c.p.c.: limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni (aggiornato da varie leggi, ultimo DL Aiuti-bis conv. L.142/2022 – soglia pensioni 1000€).
- Art. 615 c.p.c.: opposizione all’esecuzione (prima o dopo pignoramento).
- Art. 617 c.p.c.: opposizione agli atti esecutivi (entro 20 gg).
- Art. 619 c.p.c.: opposizione di terzo (per beni di terzi pignorati).
- Art. 624 c.p.c.: sospensione dell’esecuzione da parte del G.E. (gravi motivi).
- Art. 624-bis c.p.c.: (Novità) possibilità di accordo tra debitore e creditore per sospendere l’esecuzione su istanza congiunta (introdotto con riforma Cartabia 2022, consente sospensione fino a 24 mesi se debitore si impegna a un piano di pagamento concordato con i creditori).
- Art. 628 c.p.c.: conversione del pignoramento (debitor deposita quinto e ottiene rate).
- Art. 644-648 c.p.c.: decreto ingiuntivo, notifiche e opposizione. Rilevante l’art. 645 c.p.c. (opposizione 40 gg) e art. 648 c.p.c. (concessione esecuzione provvisoria in opposizione).
- Art. 650 c.p.c.: opposizione tardiva a decreto ingiuntivo.
(N.B. molte di queste norme sono state modificate dalla Riforma Cartabia – D.lgs. 149/2022 – ma i principi rimangono, salvo procedure più snelle per opposizioni introdotte con ricorso).
Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – Ha sostituito in gran parte la legge fallimentare. Sezioni importanti per i debitori civili:
- Artt. 65-73: “Ristrutturazione dei debiti del consumatore” (piano del consumatore nuova versione).
- Artt. 74-83: “Concordato minore” (ex accordo di composizione).
- Artt. 268-277: Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione patrimonio).
- Art. 282: Esdebitazione del debitore civile a seguito liquidazione (anche per fallimenti).
- Art. 283: Esdebitazione del debitore incapiente, introdotta dal D.Lgs. 83/2022 (secondo correttivo Codice Crisi).
- Artt. 54-55: misure protettive (sospensione azioni esecutive) durante procedure di composizione.
Queste norme permettono la liberazione dai debiti a fine procedura, con i requisiti di meritevolezza e le condizioni di pagamento parziale come descritto.
Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993) – Rilevante per:
- Art. 120-121 TUB: disciplina trasparenza bancaria, inclusa la questione anatocismo.
- Art. 125 TUB: credito ai consumatori, comma 3 prevede obbligo di preavviso scritto almeno 15 giorni prima segnalazione negatività per consumatori (introdotto da D.Lgs. 141/2010).
- Art. 128-bis TUB: istituzione sistemi di risoluzione stragiudiziale (ha base legale l’ABF).
Codice Privacy (D.Lgs. 196/2003, GDPR UE 679/2016) – Importante per la gestione dati creditizi:
- Principi di esattezza e aggiornamento dei dati (art. 5 GDPR) – base per chiedere cancellazione segnalazioni errate.
- Diritti interessato: accesso, rettifica, cancellazione (artt. 15-17 GDPR).
- Provvedimento del Garante Privacy n. 8/2015 (codice deontologico SIC) – definisce tempi di conservazione: es. 36 mesi sofferenze, 12 mesi ritardi sanati ecc.
- Cass. Civ. sez. I, n. 14382/2021 – Interpretazione dell’art. 125 TUB: preavviso segnalazione solo per credito consumo.
- Cass. Civ. Sez. I, n. 355/2021 – (es.) ha affermato che la segnalazione illegittima in centrale rischi genera un danno presunto alla reputazione, ma il risarcimento non è automatico: il danno va allegato/provato in concreto. In pratica: in re ipsa ai fini inibitori (periculum), ma per il risarcimento serve prova (cfr. ordinanza 8/1/2019 n. 207 citata).
- Cass. Sez. Unite 26724/2007 – in ambito privacy, riconobbe il diritto al risarcimento per illegittima segnalazione info creditizie (principio di chiusura).
Leggi di riforma rilevanti:
- L. 3/2012 – Sovraindebitamento (ormai integrata nel CCII, ma giurisprudenza 2012-2021 su “meritevolezza”, “consumatori”, ecc. rimane valida in molti aspetti).
- D.L. 83/2015 conv. L.132/2015 – Riforma esecuzioni: introdotto ricerca telematica beni (art. 492 bis cpc), modifiche conversione pignoramento (rate max 36 mesi).
- D.L. 59/2016 conv. L.119/2016 – Introdotto pegno non possessorio, patto marciano (per crediti bancari, non approfondito qui).
- D.L. 135/2018 conv. L.12/2019 – Ha migliorato L.3/2012 (esdebitazione anche per incapienti onesti, poi ripresa nel CCII).
- D.L. 34/2020 conv. L.77/2020 (Decreto Rilancio) – Sospensione pignoramenti presso terzi su stipendi/pensioni nel 2020 (norma emergenziale Covid).
- DL 73/2021 conv. L.106/2021 (Sostegni-bis) – Modifiche alle soglie impignorabilità pensioni (da 1,5x a 2x assegno sociale, poi portato a fisso 1000 con Aiuti-bis).
- DL 118/2021 conv. L.147/2021 – Composizione negoziata crisi (per imprenditori).
- D.Lgs. 149/2022 (Riforma Cartabia) – Ha inciso su opposizioni (ricorso vs citazione), introdotto art. 624-bis cpc (accordo esecuzione), obbligo forma ricorso in monitorio di Tribunale, mediaconciliazione obbligatoria in opposizione a DI (codificato art. 5-bis D.lgs.28/2010).
Giurisprudenza significativa:
- Cass., Sez. Unite, n. 19596/2020 – mediazione in opposizione a decreto ingiuntivo: onere a carico creditore opposto, decreto revocato se non attiva (principio poi messo in legge).
- Cass., Sez. III, n. 8241/2020 – Cartella esattoriale: prima casa impignorabile dal fisco confermato (interpretazione su art. 76 DPR 602/73).
- Cass., Sez. III, n. 1176/2020 – Pignoramento conto cointestato: presumzione 50% a testa, onere prova contraria.
- Cass., Sez. III, n. 20865/2018 – Opposizione atti esecutivi su vizi notifica pignoramento: 20 gg da conoscenza effettiva (fa giurisprudenza su termine).
- Cass., Sez. VI, n. 11105/2017 – Minimo vitale pensioni: confermava soglia 1,5x assegno (ora elevata a 1000 € da L.142/2022).
- Cass., Sez. III, n. 25177/2019 – Danno da iscrizione ipotecaria illegittima su casa: riconosciuto danno morale.
- Cass., Sez. III, n. 12477/2017 – Conversione pignoramento: rate concessione discrezionale G.E., ma orienta a favorire dilazione entro 48 mesi (prassi tribunali).
- Trib. di Rimini ord. 28/1/2021 – Caso esdebitazione incapiente ante legem: giudice ha anticipato applicazione per dare fresh start a debitore meritevole. Ora consolidato in art.283 CCII.
Autorità e linee guida:
- Banca d’Italia – Provvedimenti ABF: le decisioni ABF, consultabili sul sito ABF, fungono da orientamento esemplare (es: Decisione ABF n. 6165/2015 su segnalazione illegittima e risarcimento; Decisione n. 1238/2019 ABF su molestie recupero crediti – considerata pratica scorretta, ecc.).
- Garante Privacy – Provv. n. 479/2019: sanzionata società recupero per telefonate reiterate (configurate molestia ex art. 130 Codice Privacy).
- AGCM – caso n. PS/11716 (2018): sanzione a società per minacce simulate atti legali in solleciti (pratica commerciale scorretta).
Queste fonti sono solo una selezione. Si suggerisce ai debitori (e ai loro consulenti) di tenere monitorate le evoluzioni normative (es. eventuali nuove soglie o condoni) e giurisprudenziali (specie Cassazione a Sezioni Unite su questioni controverse, come in passato su pignoramenti e mediazione).
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✔️ Avvocato esperto in diritto bancario e tutela del debitore
✔️ Difensore in centinaia di procedimenti contro società di recupero
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Conclusione
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