Hai a che fare con una cooperativa sociale indebitata e ti stai chiedendo chi dovrà affrontare le conseguenze? I soci rispondono con i propri beni? L’amministratore rischia qualcosa? Chi paga davvero i debiti della cooperativa?
Le cooperative sociali operano spesso in ambiti delicati – assistenza, educazione, sanità – e non è raro che, per difficoltà di gestione o ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione, accumulino debiti verso fornitori, dipendenti o enti pubblici. Quando la situazione sfugge di mano, il primo pensiero va alla responsabilità: chi ne risponde legalmente ed economicamente?
I soci sono coinvolti? I creditori possono aggredire i beni personali? Gli amministratori rischiano sanzioni o richieste dirette?
La regola generale è che la cooperativa è una società con autonomia patrimoniale, quindi risponde con il proprio patrimonio, non con quello dei singoli soci. Tuttavia, ci sono eccezioni importanti. Ad esempio, se i soci hanno sottoscritto obbligazioni o garanzie personali, o se l’amministratore ha agito in modo scorretto, omettendo obblighi fiscali, contabili o gestionali, possono emergere responsabilità personali.
Anche il socio lavoratore può trovarsi coinvolto, ad esempio in caso di distribuzioni illecite di utili, o quando ha avuto un ruolo attivo nella gestione. Insomma, non tutti i soci sono sempre al riparo, soprattutto se la cooperativa ha operato in modo non trasparente o con gravi irregolarità.
In questa guida, lo Studio Monardo – avvocati esperti in diritto societario, cooperazione e responsabilità degli enti – ti spiega chi paga davvero i debiti di una cooperativa sociale, quando scatta la responsabilità dei soci o degli amministratori e cosa puoi fare per proteggere la tua posizione o chiudere correttamente la cooperativa senza conseguenze personali.
Hai ricevuto richieste di pagamento per debiti della cooperativa? Sei stato amministratore e ora temi di essere coinvolto in prima persona?
Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo: esamineremo il tuo ruolo all’interno della cooperativa, valuteremo i rischi reali e ti aiuteremo a difenderti legalmente o a gestire una chiusura in sicurezza.
Introduzione
Le cooperative sociali (disciplinate dalla L. 381/1991) sono particolari società cooperative con finalità di interesse generale: possono essere di tipo A (gestione di servizi socio-sanitari, educativi) o di tipo B (inserimento lavorativo di persone svantaggiate). In queste imprese coesistono aspetti imprenditoriali (svolgono attività economica) e sociali (assenza di scopo di lucro, perseguimento di benefici per la comunità e i soci). Questo duplice profilo incide sul regime dei debiti e delle responsabilità patrimoniali e penali dei soggetti coinvolti.
In caso di debiti di una cooperativa sociale, ci si chiede chi effettivamente ne risponda e con quali beni. Questa guida analizza in dettaglio chi paga i debiti di una cooperativa sociale, distinguendo i ruoli (soci cooperatori, soci lavoratori, soci volontari, amministratori, organi di controllo) e le varie tipologie di debito (fiscali, previdenziali, verso fornitori, banche, dipendenti, enti locali). Si esaminano inoltre le situazioni di crisi e insolvenza (scioglimento, liquidazione volontaria o coatta, liquidazione giudiziale ex fallimento) alla luce del nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, nonché le responsabilità penali connesse a una cattiva gestione (false comunicazioni sociali, bancarotta, omessi versamenti). Sono infine presentate alcune simulazioni pratiche e una sezione FAQ con le domande più frequenti, corredate da esempi concreti.
Nota sul lessico: useremo un linguaggio giuridico ma accessibile. Per “responsabilità patrimoniale” intendiamo la responsabilità di rispondere dei debiti con il proprio patrimonio; per “responsabilità penale” la soggezione a sanzioni penali in caso di reati commessi nella gestione della cooperativa. I riferimenti normativi (Codice Civile, D.Lgs. 112/2017 “Impresa sociale”, D.Lgs. 14/2019 “Codice della Crisi”, ecc.) e giurisprudenziali aggiornati al 2025 sono indicati nel testo e riepilogati in una sezione finale.
1. Responsabilità patrimoniale nelle cooperative sociali (tipo A e B)
In generale, per i debiti di una società cooperativa risponde soltanto la società con il suo patrimonio. Ciò significa che la cooperativa è un soggetto giuridico autonomo: i creditori della cooperativa possono rivalersi solo sui beni e sulle risorse appartenenti alla cooperativa stessa, e non sul patrimonio personale dei singoli soci. Questa regola vale sia per le cooperative sociali di tipo A che di tipo B, trattandosi in entrambi i casi di società cooperative. Di seguito analizziamo le responsabilità dei diversi soggetti interni alla cooperativa sociale:
1.1 Soci cooperatori (ordinari) e capitale sociale
I soci cooperatori – cioè i membri della cooperativa che hanno sottoscritto una quota di capitale e partecipano allo scopo mutualistico – non rispondono con i propri beni personali dei debiti sociali. L’art. 2518 del Codice Civile stabilisce infatti che nelle società cooperative per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio. Dunque, indipendentemente dall’importo dei debiti contratti dalla cooperativa (verso fornitori, banche, Fisco, ecc.), il singolo socio ordinario rischia esclusivamente la perdita della quota di capitale che ha versato nella cooperativa. Non può essere obbligato a ripianare i debiti sociali con il suo patrimonio personale, salvo casi eccezionali di responsabilità illimitata di cui diremo a breve.
Responsabilità limitata vs illimitata: Le cooperative oggi vengono normalmente costituite con responsabilità limitata, analogamente alle società di capitali. In tal caso vige la regola sopra enunciata (nessuna responsabilità personale dei soci oltre la quota sottoscritta). In teoria, la legge consentirebbe di costituire cooperative anche con responsabilità illimitata dei soci, nel qual caso i soci risponderebbero anche con il proprio patrimonio personale di eventuali debiti insoddisfatti. Tuttavia, le cooperative sociali sono sempre a mutualità prevalente e di regola a responsabilità limitata. Nella prassi odierna le cooperative sociali adottano lo schema della responsabilità limitata: l’eventualità di cooperative sociali a responsabilità illimitata è pressoché inesistente (sarebbe in contrasto con la natura stessa di impresa sociale volta a tutelare gli investimenti “solidali” dei soci). Dunque, il socio di cooperativa sociale ordinariamente rischia solo la quota conferita.
Va aggiunto che lo statuto della cooperativa potrebbe prevedere obblighi ulteriori per i soci (ad es. versamenti in conto capitale, fondi mutualistici interni, ecc.), ma ciò attiene ai rapporti interni cooperativa-socio e non costituisce responsabilità verso i creditori terzi. In nessun caso, comunque, un creditore della cooperativa potrà aggredire direttamente i beni personali di un socio per soddisfare un debito sociale.
Creditori personali del socio: se un socio ha debiti personali con terzi (estranei alla cooperativa), questi suoi creditori non possono aggredire i beni sociali né farsi pagare direttamente dalla cooperativa. Inoltre, fintanto che la cooperativa è “in bonis” (attiva e solvibile), i creditori particolari del socio non possono pignorare né la quota sociale né le azioni del socio. Essi potranno eventualmente aggredire gli utili o ristorni spettanti al socio (nelle cooperative autentiche, però, gli utili sono in gran parte indivisibili e vengono accantonati a riserva; le cooperative sociali per legge non distribuiscono utili a soci cooperatori né volontari, se non nei limiti dei modestissimi ristorni mutualistici). Potranno inoltre rivalersi sull’eventuale rimborso della quota spettante al socio in caso di uscita dalla cooperativa. In sostanza, i creditori personali di un socio possono sperare di soddisfarsi solo indirettamente, ad esempio attendendo che il socio maturi crediti verso la cooperativa (utili, ristorni, rimborsi) e pignorando tali somme; ma non possono incidere sul patrimonio né sull’attività della cooperativa stessa.
Eccezioni alla responsabilità limitata: come accennato, l’unica eccezione rilevante è la (rara) ipotesi di cooperative costituite con patti di responsabilità illimitata dei soci. In tal caso i soci risponderebbero solidalmente e illimitatamente delle obbligazioni sociali (in modo simile ai soci di società di persone). Tuttavia, la riforma del diritto societario del 2003 ha di fatto eliminato la possibilità di prevedere nuove cooperative a responsabilità illimitata: oggi tutte le cooperative devono indicare espressamente la responsabilità limitata nell’atto costitutivo, altrimenti la loro iscrizione nel Registro delle imprese è negata (si veda art. 2513 c.c. e seguenti). Dunque per le cooperative sociali moderne l’unica regola praticabile è la responsabilità limitata dei soci, come confermato dall’art. 2518 c.c. e dalla prassi.
In conclusione, il socio cooperatore di una cooperativa sociale di tipo A o B non paga i debiti sociali con il proprio patrimonio: risponde solo la società con il proprio patrimonio. Il socio rischia di perdere la propria quota sociale in caso di dissesto, ma non può essere chiamato a versare altri importi (salvo gli obblighi di versamento della quota sottoscritta, se non l’aveva ancora interamente versata, come vedremo per i soci uscenti).
1.2 Amministratori e organi di controllo: responsabilità civile e patrimoniale
Amministratori – tipicamente il Presidente e i membri del Consiglio di Amministrazione (CdA) della cooperativa – hanno il compito di gestire l’impresa in conformità alla legge e all’atto costitutivo. Anch’essi, in linea generale, non rispondono dei debiti sociali con il loro patrimonio personale per il solo fatto di ricoprire la carica. I creditori della cooperativa non possono pretendere pagamento dagli amministratori in virtù delle obbligazioni contratte dalla società. Tuttavia, gli amministratori possono incorrere in specifiche forme di responsabilità civile verso la società, i soci o i terzi, se violano i doveri inerenti al loro ufficio. Questo significa che pur non essendo debitori diretti verso terzi, possono diventarlo indirettamente se, con la loro mala gestio, causano danni patrimoniali che li espongono ad azioni di responsabilità. Vediamo i principali profili:
- Responsabilità verso la società (azione sociale di responsabilità): gli amministratori che con dolo o colpa violino i doveri imposti dalla legge o dallo statuto e arrechino un danno al patrimonio sociale, possono essere chiamati a risarcire tali danni. Nelle cooperative, per quanto compatibile, si applicano le norme sulle società per azioni/s.r.l.: ad esempio, l’art. 2392 c.c. prevede la responsabilità degli amministratori verso la società per inosservanza dei doveri di gestione diligente. Se la cooperativa subisce un dissesto a causa di una gestione imprudente, il nuovo CdA, l’assemblea dei soci o un liquidatore potranno agire contro gli ex amministratori per ottenere il risarcimento del danno. Questa è una responsabilità civile e personale: il patrimonio personale degli amministratori, in caso di condanna, può essere aggredito per pagare il risarcimento dovuto alla società (che poi userà quelle somme per pagare i debiti sociali). Ad esempio, se gli amministratori hanno aggravato i debiti della cooperativa con operazioni azzardate o fraudolente, potranno essere chiamati a rifondere di tasca propria le perdite causate. Ciò ovviamente richiede un giudizio civile in cui si prova la loro colpa grave o dolo nella gestione.
- Responsabilità verso i creditori sociali: distinta dall’azione sociale, vi è la possibilità di un’azione dei creditori (art. 2394 c.c.) quando il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfare i debiti. In pratica, se la cooperativa va in liquidazione o insolvenza e i beni sociali non bastano a pagare tutti, i creditori possono indirettamente chiamare in causa gli amministratori per atti di mala gestio che abbiano contribuito a quell’insufficienza patrimoniale. È un mezzo per ristorare i creditori in casi estremi: ad esempio, se gli amministratori hanno distratto risorse o ritardato il fallimento aggravando il passivo, il curatore o commissario liquidatore (nell’ambito di fallimento o liquidazione coatta) potrà promuovere un’azione di responsabilità e, se vinta, ripartire tra i creditori le somme ottenute dagli amministratori condannati. Anche qui si tratta di responsabilità patrimoniale personale, ma derivata da atto illecito degli amministratori (non per il debito sociale in sé).
- Responsabilità diretta verso terzi (soci o altri): più rara, sussiste ex art. 2395 c.c. se un amministratore con dolo o colpa provoca danni direttamente a un socio o a un terzo, al di fuori del rapporto organico con la società. Ad esempio false informazioni ai soci o ai creditori che causino danni specifici. In tal caso, il singolo danneggiato può chiedere risarcimento direttamente all’amministratore. È ipotesi non comune, ma da menzionare per completezza.
In sintesi, gli amministratori non pagano in prima battuta i debiti sociali, ma rispondono con il proprio patrimonio se viene accertata una loro responsabilità per violazioni dei doveri gestori che abbiano causato un pregiudizio (alla cooperativa o ai creditori). Nei casi di insolvenza della cooperativa, è prassi che il liquidatore o il commissario esamini le condotte degli amministratori precedenti e, se ravvisa irregolarità, agisca contro di loro per recuperare attivo. Ciò tutela indirettamente i creditori sociali.
Responsabilità dei liquidatori: analoghi principi valgono per i liquidatori nominati in caso di scioglimento volontario della cooperativa. Il liquidatore subentra agli amministratori e ha obbligo di pagare i debiti sociali con le attività disponibili; se distribuisce attivo ai soci prima di aver soddisfatto i creditori, può incorrere in responsabilità personale verso i creditori rimasti insoddisfatti. In particolare, la legge fiscale (art. 36 del DPR 602/1973) prevede una responsabilità personale dei liquidatori (e, in mancanza, degli amministratori) per le imposte dovute e non versate all’Erario: il liquidatore risponde in proprio se, avendo denaro disponibile, non paga le imposte dovute privilegiandone altri o distribuendo ai soci. Inoltre, i soci che abbiano ricevuto somme dalla società negli ultimi due anni prima della liquidazione possono essere chiamati a restituirle fino a concorrenza delle imposte non pagate. Si tratta di una responsabilità specifica verso il Fisco, di natura civilistica sanzionatoria, che mira a evitare che le società vengano svuotate a danno dell’Erario. Ne riparleremo parlando dei debiti fiscali.
Organi di controllo: nelle cooperative sociali di certe dimensioni è obbligatorio nominare un organo di controllo (Collegio sindacale o sindaco unico) e/o il revisore legale dei conti (es. se la cooperativa supera determinati parametri di asset, ricavi o numero di dipendenti, come stabilito dall’art. 2543 c.c. e D.Lgs. 112/2017 per le imprese sociali). Questi organi non gestiscono, ma vigilano sulla regolarità amministrativa e contabile. In linea di massima, anche i sindaci e i revisori non rispondono con patrimonio proprio dei debiti sociali. Tuttavia, essi possono incorrere in responsabilità civile se omettono di svolgere diligentemente il loro compito di controllo e ciò consente irregolarità che danneggiano la società. L’art. 2407 c.c. prevede che i sindaci sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i danni derivati dalla mancata vigilanza. Ad esempio, se il collegio sindacale non segnala gravi violazioni (fittizie sopravvalutazioni di bilancio, distrazione di fondi, ecc.) che aggravano il dissesto, i sindaci potranno essere chiamati a rispondere insieme agli amministratori negligenti. Si tratta comunque di azioni risarcitorie avviate dalla società (in bonis o in liquidazione) o dal commissario nella procedura concorsuale. Dal punto di vista patrimoniale, quindi, i membri dell’organo di controllo rischiano il loro patrimonio solo in caso di conclamata omissione di controllo con danno. Non hanno invece alcun obbligo di pagamento diretto dei debiti aziendali.
Da notare che i sindaci e i revisori, al pari degli amministratori, potrebbero essere destinatari di misure penali se complici di reati (ad esempio, sindaci che concorrono in false comunicazioni sociali certificando bilanci falsi, revisori che attestano il falso, ecc.). Ma sul piano civilistico, il loro ruolo di garanzia li vede obbligati a risarcire solo se provata una colpa nella vigilanza.
Soci finanziatori e altri soggetti: alcune cooperative possono avere categorie particolari di soci, ad esempio i soci sovventori o finanziatori (introdotti dalla L. 59/1992) che apportano capitali con diritti patrimoniali ma senza partecipare alla gestione mutualistica. Anche costoro godono della responsabilità limitata: rischiano al più di perdere il capitale investito, ma non rispondono oltre di eventuali debiti. Anzi, spesso i soci sovventori hanno diritto di rimborso del loro apporto a scadenze prefissate, salvo situazioni di perdita o insolvenza. Analogamente, i soci enti pubblici o altri enti (è possibile che nelle coop sociali vi siano soci fondatori pubblici o associazioni) non assumono responsabilità patrimoniali ulteriori rispetto alla quota sottoscritta.
1.3 Soci volontari nelle cooperative sociali
Una particolarità delle cooperative sociali (sia tipo A che B) è la possibile presenza dei soci volontari. Previsti dall’art. 2 della legge 381/1991, sono membri della cooperativa che prestano la loro attività gratuitamente, per finalità solidaristiche, senza instaurare un rapporto di lavoro dipendente. I soci volontari non percepiscono retribuzione, salvo il rimborso delle spese vive documentate, e il loro numero non può superare la metà dei soci complessivi. Hanno comunque status di soci a tutti gli effetti dal punto di vista civilistico (partecipano all’assemblea con diritto di voto, approvano i bilanci, ecc.).
Sotto il profilo della responsabilità patrimoniale, i soci volontari sono equiparati ai soci cooperatori ordinari. Anche per loro vale la regola che non rispondono dei debiti sociali con il proprio patrimonio personale. Se la cooperativa sociale contrae debiti che non riesce a pagare, il socio volontario non ne risulta in alcun modo obbligato in via personale. Egli rischia semmai la perdita della propria quota sociale eventualmente versata. Va precisato: spesso i soci volontari, proprio perché prestano solo lavoro gratuito, sottoscrivono una quota simbolica (il minimo previsto dallo statuto, ad esempio 25 euro); in altri casi le cooperative sociali possono anche esentare i volontari dal conferimento di capitale (ammissibile se lo statuto prevede categorie speciali di soci senza obbligo di conferimento). In ogni caso, se il volontario ha versato una quota, potrà perderla in caso di dissesto della cooperativa, esattamente come qualsiasi socio. Quella è l’unica sua esposizione patrimoniale.
Nessun rapporto di lavoro, nessun credito di lavoro: poiché il socio volontario non ha un contratto di lavoro, non matura retribuzioni né TFR dalla cooperativa. Ciò significa che, in caso di difficoltà economiche della cooperativa, il volontario non è nemmeno un creditore (al contrario dei soci lavoratori che invece maturano stipendi). Quindi un socio volontario non avrà, ad esempio, il problema di stipendi non pagati. Al massimo, potrà vantare il diritto al rimborso di qualche spesa anticipata per conto della cooperativa (es. costi di viaggio): ma anche per tali modeste somme varrà la regola generale dei crediti chirografari (senza preferenza, e saranno soddisfatti solo se rimangono fondi dopo aver pagato i creditori privilegiati e parimenti chirografari più anziani). In sintesi, il volontario non corre rischi patrimoniali particolari: non può perdere nulla più di quanto eventualmente versato come quota, e non essendo creditore di stipendi non ha esposizioni interne.
Tutela infortuni: L’unica forma di tutela specifica prevista per i volontari è l’obbligo, in capo alla cooperativa, di assicurare i soci volontari contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Il socio volontario, pur non essendo lavoratore subordinato, è equiparato ai fini INAIL per gli eventi dannosi durante lo svolgimento della sua attività gratuita. Ciò comporta un costo assicurativo a carico della cooperativa e garantisce al volontario un indennizzo in caso di infortunio. Dal punto di vista della responsabilità verso terzi, invece, se un socio volontario nello svolgimento dell’attività sociale provoca un danno a qualcuno, la cooperativa ne risponde come per fatto dei propri preposti (ex art. 2049 c.c.), mentre il volontario risponderebbe solo in caso di dolo o colpa grave personale. Sono casistiche residuali, ma mostrano che il volontario agisce nell’interesse dell’ente e non assume responsabilità ulteriori.
Concludendo, i soci volontari non pagano i debiti della cooperativa sociale col proprio patrimonio, allo stesso modo dei soci cooperatori ordinari. La loro responsabilità patrimoniale è limitata (quota eventualmente versata). E non avendo diritti patrimoniali significativi (niente utili, niente stipendi), non subiscono direttamente le conseguenze economiche del dissesto se non in termini di impegno altruistico frustrato. Naturalmente, anche i soci volontari vedranno cessare la possibilità di svolgere la loro attività nell’ente se questo si scioglie o fallisce, ma non avranno strascichi economici personali.
1.4 Soci lavoratori: doppia posizione (socio e dipendente)
Le cooperative, incluse le cooperative sociali, spesso si avvalgono di soci lavoratori. Si tratta di soci cooperatori che instaurano anche un rapporto di lavoro (subordinato o talora autonomo/parasubordinato) con la cooperativa, contribuendo alla sua attività operativa. Nelle cooperative sociali di tipo B, ad esempio, è tipico che le persone svantaggiate inserite al lavoro siano soci lavoratori; nelle tipo A, gli operatori dei servizi (educatori, infermieri, OSS) spesso sono a loro volta soci lavoratori, per rafforzare lo spirito partecipativo.
Il socio lavoratore ha dunque una doppia veste: datore di lavoro nei confronti di se stesso? In realtà no: formalmente egli è contemporaneamente datore di lavoro associato (in quanto socio) e lavoratore dipendente. La legge (L. 142/2001 sulle cooperative di lavoro) regola questa duplice natura: il socio lavoratore è tenuto a contribuire con la sua prestazione, ma mantiene i diritti del lavoratore (retribuzione, contributi previdenziali, ferie, TFR, ecc.) come da contratti collettivi.
Sotto il profilo della responsabilità per i debiti sociali, il socio lavoratore non differisce dal socio cooperatore ordinario: anche egli non risponde con il proprio patrimonio dei debiti della cooperativa. La sua responsabilità patrimoniale per i debiti sociali è limitata alla quota sociale sottoscritta (che spesso viene trattenuta dal suo stipendio o versata una tantum all’ingresso). Quindi, se la cooperativa accumula debiti, il socio lavoratore non ne risponde in proprio verso fornitori, banche, Fisco, etc., esattamente come qualunque altro socio.
Tuttavia, in quanto lavoratore, costui può avere un ruolo diverso: può diventare creditore della cooperativa per le somme a lui dovute (stipendi non pagati, trattamenti di fine rapporto, rimborsi, ecc.). Quindi, se la cooperativa attraversa difficoltà finanziarie, il socio lavoratore rischia di subire il mancato pagamento della retribuzione, come accade a qualunque dipendente di un’azienda in crisi. In caso di insolvenza conclamata, i soci lavoratori saranno a tutti gli effetti creditori privilegiati per i loro crediti di lavoro (stipendi degli ultimi mesi, ferie maturate, TFR) e potranno insinuarsi nel passivo della liquidazione concorsuale per cercare soddisfazione.
Vediamo questo duplice aspetto in dettaglio:
- Come soci: i soci lavoratori non hanno alcun obbligo di contribuire ai debiti oltre la quota sociale. Ad esempio, se la cooperativa ha un debito verso una banca, la banca non può chiedere al socio lavoratore di pagarlo, né può rivalersi sul suo stipendio per quel debito (se non eventualmente tramite pignoramento come terzo debitore nel caso in cui il socio lavoratore fosse fideiussore, ma questo esula dal rapporto sociale). Dunque sul lato “societario” il socio lavoratore è protetto dalla responsabilità limitata.
- Come dipendenti: i soci lavoratori vantano crediti retributivi nei confronti della cooperativa. In situazioni di difficoltà, essi potrebbero non percepire regolarmente lo stipendio. Questi debiti della cooperativa verso i soci lavoratori rientrano tra i debiti sociali (debiti verso dipendenti) di cui parleremo nel prossimo capitolo. Hanno tuttavia una tutela speciale: in caso di insolvenza formalizzata (fallimento o liquidazione coatta amministrativa), interviene il Fondo di Garanzia INPS a coprire in parte i mancati pagamenti (TFR e ultime mensilità, come spiegato più avanti) e comunque i crediti di lavoro godono di un privilegio generale sui beni mobili del debitore che li rende prioritari rispetto ad altri crediti chirografari.
In pratica, il socio lavoratore in caso di default della coop perde la sua quota capitale (come qualsiasi socio) e perde il posto di lavoro (la cooperativa chiude o si ridimensiona). Inoltre, subisce il possibile mancato pagamento delle ultime retribuzioni, ma per queste ha gli strumenti di tutela (insinuazione al passivo e Fondo di Garanzia).
Si noti che il fatto di essere soci non toglie ai lavoratori le tutele del lavoro: i soci lavoratori hanno pieno diritto, ad esempio, di agire in giudizio per ottenere salari arretrati, di chiedere un decreto ingiuntivo per le retribuzioni non pagate, o di presentare istanza di procedura concorsuale (ad esempio possono chiedere il fallimento o la liquidazione coatta della cooperativa se non ricevono le paghe, come farebbe un qualunque dipendente verso un datore insolvente). Essi non vengono privati di queste tutele in nome del vincolo sociale (nonostante in passato alcune cooperative disfunzionali invocassero la “natura sociale” per eludere obblighi retributivi – prassi poi contrastate dalla giurisprudenza).
Conseguenze patrimoniali: dal lato passivo, i soci lavoratori non sono chiamati a pagare i creditori sociali; dal lato attivo, essi stessi diventano creditori privilegiati in caso di insolvenza. In definitiva, non vi è alcuna responsabilità patrimoniale speciale a loro carico in quanto soci. Semmai vi è un rischio ulteriore, cioè la perdita di reddito da lavoro, ma ciò li accomuna a ogni lavoratore di impresa in crisi.
Esempio: si consideri una cooperativa sociale tipo B che fallisce con 100.000 € di debiti verso fornitori e banche, e che non ha beni sufficienti. I soci lavoratori non pagheranno quei 100.000 € (restano a carico della procedura concorsuale); ciascun socio lavoratore perderà solo la propria quota (ad es. 500 €) e magari avrà 2 mesi di stipendio arretrato e il TFR non pagati. Quei 2 stipendi e il TFR saranno richiesti al Fondo di Garanzia INPS (che li coprirà se la procedura è aperta) e/o insinuati al passivo come crediti privilegiati. Quindi il socio lavoratore subisce danni limitati: la quota e parte di stipendio (poi mitigato dall’intervento del Fondo pubblico). Nessun fornitore potrà aggredirlo per chiedere il pagamento delle proprie fatture.
Breve nota sulla gestione interna: i soci lavoratori hanno anche strumenti di controllo mutualistico: possono, in assemblea, sollevare questioni sulla gestione se questa mette a repentaglio sia la società sia i loro posti di lavoro. La partecipazione democratica (“una testa un voto” indipendentemente dalle quote) consente loro di rimuovere amministratori inadeguati. Ciò non attiene alla responsabilità patrimoniale, ma è un meccanismo di prevenzione di abusi o inefficienze che potrebbe evitare il formarsi di debiti insostenibili.
1.5 Recesso o esclusione del socio: effetti sulla responsabilità
È frequente nelle cooperative il turnover dei soci: soci che recedono volontariamente (per dimissioni, cambio di lavoro, perdita dei requisiti) o che vengono esclusi (per morosità, per comportamento contrario agli obblighi sociali, ecc.). Ci si chiede: se un socio esce dalla cooperativa, può essere comunque chiamato a rispondere di debiti sorti quand’era dentro? E ha diritto a riavere indietro la sua quota? La disciplina delle cooperative prevede alcune regole specifiche in proposito.
Rimborso della quota al socio uscente: il socio che cessa di far parte della cooperativa ha diritto al rimborso del valore nominale della propria partecipazione (eventualmente rettificato in base al patrimonio netto contabile). Il Codice Civile (art. 2535 c.c.) dispone che la liquidazione della quota avvenga sulla base del bilancio dell’esercizio in cui è avvenuto lo scioglimento del rapporto sociale (recesso, esclusione o morte del socio). In pratica, il socio uscente riceverà quanto versato (più eventuali rivalutazioni o utili assegnati alla quota, se previsti) entro un certo termine – in genere entro 6 mesi dall’approvazione di detto bilancio. Questo termine di pagamento può essere dilazionato dallo statuto (alcune cooperative prevedono rimborsi rateali o dopo 1 anno, per tutela finanziaria). Finché la cooperativa è solvibile e in attivo, normalmente rimborsa senza problemi gli uscenti.
Responsabilità per le obbligazioni sociali pregresse: qui interviene l’art. 2536 c.c., che pone due importanti limiti a tutela della società e dei creditori:
- Conferimenti non liberati: il socio uscente (o i suoi eredi) rimane obbligato verso la società per il pagamento dei conferimenti ancora dovuti, per un anno dalla cessazione. Ciò significa che se il socio non aveva ancora versato tutta la sua quota sottoscritta (ipotesi rara nelle coop, dove di solito le quote vanno versate integralmente all’atto di sottoscrizione), la cooperativa può ancora esigere quell’importo nei 12 mesi successivi all’uscita. Questo per evitare che uno esca per non versare il dovuto lasciando gli altri scoperti.
- Insolvenza entro un anno: se la società manifesta uno stato di insolvenza entro un anno dall’uscita del socio, il socio uscente è obbligato verso la società nei limiti di quanto ricevuto per la liquidazione della propria quota. In altre parole, se la cooperativa va in liquidazione coatta o fallimento entro 12 mesi dal recesso/esclusione, il socio che era stato liquidato deve restituire (al commissario liquidatore o curatore) l’importo avuto, fino a concorrenza del passivo. Esempio: Tizio recede nel gennaio 2025 e riceve €5.000 di rimborso quota; se la coop viene dichiarata insolvente a ottobre 2025, Tizio potrebbe dover restituire fino a €5.000 alla procedura, qualora ciò sia necessario per soddisfare i creditori. Questa regola serve a impedire che soci escano poco prima del crack portandosi via capitali che invece sarebbero stati destinati a pagare i debiti. Attenzione: il socio uscente non risponde oltre quanto ha ricevuto indietro; non deve cioè metterci soldi propri aggiuntivi, ma solo restituire ciò che gli era stato liquidato, qualora il buco emerga entro quell’anno.
Oltre l’anno dall’uscita, il socio è completamente “libero”: non ha più nessun obbligo verso la cooperativa né tantomeno verso i creditori sociali, e può trattenere definitivamente quanto ricevuto.
Esclusione per morosità su debiti verso la cooperativa: un caso particolare è il socio che viene escluso perché debitore verso la cooperativa (ad esempio non ha effettuato i versamenti promessi o deve rimborsare anticipi). In tal caso chiaramente la cooperativa tratterrà in compensazione dal rimborso quanto dovuto dal socio. Ma questo riguarda i debiti del socio verso la cooperativa, non i debiti della cooperativa verso terzi.
Riassumendo: il socio uscente, passati i termini di legge, non risponde più di nulla attinente ai debiti sociali. Nel primo anno dall’uscita c’è quella coda di responsabilità (limitata alla quota e ai conferimenti dovuti) per evitare spoliazioni del capitale sociale a ridosso di un’insolvenza. Ciò tutela i creditori sociali: se una cooperativa fallisce, il curatore/commissario guarderà l’elenco dei soci usciti nell’anno precedente e, se hanno ricevuto rimborsi, potrà chiedere loro la restituzione pro-quota al fine di aumentare l’attivo. Ma se l’insolvenza sopraggiunge dopo oltre un anno, i soci usciti non rischiano nulla e hanno definitivamente fatto “salvo” quanto incassato. Allo stesso modo, i soci esclusi o receduti non possono essere chiamati a versare ulteriori somme oltre i conferimenti ancora non pagati (entro l’anno).
Esempio pratico: Caio, socio di una cooperativa sociale, recede nel giugno 2024 e riceve €2.000 di rimborso quota a fine 2024. Nel marzo 2025 la cooperativa viene messa in liquidazione coatta per insolvenza. Caio rientra nell’anno: il commissario liquidatore verifica che Caio ha avuto €2.000 e vede che i creditori non saranno soddisfatti integralmente; a norma art. 2536 c.c., chiederà a Caio di restituire fino a €2.000 (non di più), somma che entrerà nell’attivo da distribuire ai creditori. Se invece l’insolvenza si manifestava nel luglio 2025 (oltre un anno dal recesso), Caio avrebbe potuto tenersi i €2.000 e non avrebbe più alcun obbligo. – Un altro esempio: Sempronio, socio lavoratore, viene escluso a settembre 2025 per gravi inadempienze. La cooperativa è sana e liquida la sua quota entro 6 mesi come da bilancio 2025. Nel 2026 però la coop fallisce: essendo passati meno di 12 mesi dall’uscita di Sempronio, anch’egli dovrà restituire il rimborso (sempre nei limiti di quell’importo). Se Sempronio non aveva ancora versato interamente i €1.000 di quota sottoscritta al momento dell’esclusione, la cooperativa poteva già esigere quel residuo entro settembre 2026.
Da questa disciplina emerge che non conviene “scappare” all’ultimo da una cooperativa in odore di crisi pensando di salvare la propria quota: la legge neutralizza questo tentativo con la responsabilità postuma annuale.
Responsabilità penali del socio uscente: in linea di massima, l’uscita dalla cooperativa non estingue eventuali responsabilità penali se il socio ricopriva ruoli gestionali. Ad esempio, un ex amministratore-socio non evita procedimenti penali (per fatti commessi quando era in carica) solo perché è uscito dalla compagine sociale. Ma se parliamo del socio semplice, non avendo ruoli di amministrazione, di norma non aveva responsabilità penali specifiche comunque. L’uscita può tuttavia far perdere la qualifica di “socio” rilevante in certe fattispecie (ad es. reati associativi, ipotesi remote nel contesto cooperativo).
Esclusione del socio e responsabilità su nuove obbligazioni: il socio escluso cessa di partecipare dalla delibera di esclusione (salvo sua opposizione in tribunale, che però in coop sociali è rara). Da quel momento, le nuove obbligazioni contratte dalla cooperativa non lo riguardano più neppure indirettamente. Se invece l’obbligazione era già sorta prima dell’esclusione (ad es. un debito fiscale maturato negli anni di sua presenza), la regola della responsabilità limitata comunque lo proteggeva già allora, quindi la sua uscita non cambia nulla per i creditori.
2. Tipologie di debiti delle cooperative sociali e relative responsabilità
Le cooperative sociali, come qualsiasi impresa, possono contrarre diversi tipi di debiti. Le regole generali sulla responsabilità (esposte nel capitolo precedente) si applicano a tutti: la cooperativa risponde con il proprio patrimonio, i soci e gli organi non sono obbligati personalmente verso i creditori sociali. Vi sono però peculiarità legate alla natura del debito: ad esempio i debiti fiscali o previdenziali seguono anche normative pubblicistiche (con possibili sanzioni o responsabilità indirette per gli amministratori), mentre i debiti verso fornitori o banche attengono a rapporti contrattuali privati. I debiti verso i dipendenti godono di particolari privilegi e garanzie, e i debiti verso enti locali possono includere tributi locali o oneri convenzionali. Vediamo separatamente le varie categorie.
2.1 Debiti fiscali (Erario: imposte e tasse)
Sono i debiti verso l’Erario, cioè imposte dirette e indirette dovute dalla cooperativa allo Stato o altri enti impositori. Per una cooperativa sociale i principali possibili debiti tributari sono:
- Imposte sui redditi (IRES): le cooperative sociali godono in genere di agevolazioni fiscali sui redditi (una parte degli utili è esente se destinata a riserve indivisibili, in virtù della funzione sociale riconosciuta dall’art. 2512 c.c.). Tuttavia, possono comunque maturare debiti d’imposta (per la quota tassabile di utili, o per altri redditi). L’IRES è dovuta tramite acconti e saldo annuale. Se la cooperativa non versa quanto dovuto, si genera un debito verso l’Erario.
- IVA (Imposta sul Valore Aggiunto): molte attività svolte dalle cooperative sociali tipo A (servizi socio-sanitari ed educativi) sono esenti o fuori campo IVA per disposizione di legge, oppure soggette a aliquote ridotte. Nelle cooperative tipo B, invece, a seconda del settore (artigianale, agricolo, industriale) l’IVA è dovuta normalmente. Un debito IVA sorge se la cooperativa emette fatture con IVA ma non la versa integralmente all’Erario. L’IVA è un tributo “neutro” perché la cooperativa incassa l’imposta dai clienti e la rigira allo Stato; non versarla significa trattenere indebitamente un importo che in realtà non le appartiene.
- Ritenute fiscali sui redditi di lavoro (IRPEF): le cooperative, in qualità di datori di lavoro o committenti, operano come sostituti d’imposta trattenendo ai lavoratori dipendenti (o autonomi) le ritenute IRPEF in busta paga o fattura, per poi versarle allo Stato. Se la cooperativa non versa queste ritenute (pur avendole trattenute ai lavoratori), matura un debito verso l’Erario per “ritenute non versate”.
- Tributi locali: come IMU (tasse sugli immobili posseduti, se non esenti), TARI (tassa rifiuti), eventuali COSAP o altri oneri verso Comuni. Questi rientrano in “debiti verso enti locali” che vedremo a parte, ma concettualmente sono debiti tributari anche quelli (seppur non verso Stato ma verso Comuni).
- Altre imposte indirette: ad es. registro, bollo, o tasse di concessione se la cooperativa stipula atti particolari. Generalmente meno rilevanti.
Chi paga i debiti fiscali? – Formalmente, li paga la cooperativa col suo patrimonio. Il Fisco può procedere con i mezzi di riscossione coattiva (cartelle esattoriali, pignoramenti) solo sui beni e crediti intestati alla cooperativa, non su quelli dei soci o degli amministratori (salvo eccezioni legali specifiche). Quindi, se la cooperativa sociale ha un debito IVA di 50.000 €, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione potrà pignorare il conto corrente societario, i veicoli o immobili della cooperativa, ma non potrà aggredire direttamente il patrimonio dei soci per quella somma. I soci sono al riparo dalla riscossione.
Eccezioni e responsabilità indirette: tuttavia, nel campo tributario esistono norme che possono coinvolgere amministratori, liquidatori e soci in certe condizioni:
- Come accennato sopra, se la cooperativa si scioglie e distribuisce attivi ai soci lasciando imposte non pagate, l’art. 36 DPR 602/1973 rende responsabili i liquidatori e anche i soci beneficiari delle distribuzioni. In particolare: i soci che hanno ricevuto denaro o beni nei due anni precedenti la messa in liquidazione rispondono dei debiti tributari non soddisfatti fino a concorrenza di quanto ricevuto; inoltre, i liquidatori (o in mancanza gli amministratori) rispondono personalmente verso il Fisco se, avendo attivo sufficiente, non hanno soddisfatto le imposte con priorità. Questa responsabilità ha natura civilistica e prescinde dall’intento fraudolento: è una forma di garanzia per l’Erario. Ad esempio, se in liquidazione volontaria la cooperativa paga prima debiti verso fornitori e termina i fondi, lasciando l’IVA insoluta, il liquidatore può essere chiamato a pagare di persona l’IVA non versata (nei limiti delle somme che avrebbe potuto destinare a quell’IVA). Analogamente, se poco prima di sciogliersi la cooperativa aveva distribuito ristorni o rimborsi ai soci e poi non restano soldi per le tasse, il Fisco può chiedere ai soci di restituire quelle somme.
- Sanzioni amministrative tributarie a carico di amministratori: in alcuni casi particolari, se la cooperativa non versa imposte per dolo o manovre degli amministratori, questi ultimi possono subire sanzioni personali (ad esempio, in materia di illeciti tributari, possono essere coobbligati per le sanzioni se la violazione è imputabile a loro comportamento individuale, ex D.Lgs. 472/1997). Ciò però esula dai debiti “tributari” in senso stretto, trattandosi di sanzioni.
- Reati tributari e responsabilità penali: se i debiti fiscali sono frutto di omessi versamenti di imposte oltre soglie rilevanti, scattano conseguenze penali (ne parleremo nel capitolo penale). In tal caso, a risponderne penalmente sono gli amministratori (legali rappresentanti o chi ha gestito di fatto). Ad esempio, l’omesso versamento di IVA oltre 250.000 € annui è reato punito con la reclusione 6 mesi – 2 anni; l’omesso versamento di ritenute oltre 150.000 € annui è parimenti reato con pene simili. Quindi il Presidente o direttore che non ha pagato quelle imposte può essere perseguito penalmente, ma pur sempre la cooperativa resta debitrice dell’imposta evasa. Il procedimento penale può tuttavia portare a sanzioni pecuniarie a carico della cooperativa stessa (in sede di confisca o di 231/2001 se applicabile), complicando il quadro.
Se la cooperativa non paga le tasse: l’Erario avvierà la riscossione coattiva (cartella esattoriale, ingiunzioni). Se la coop è in difficoltà, potrebbe chiedere una rateizzazione del debito fiscale. Finché la cooperativa esiste, i soci non ne rispondono. Se poi la cooperativa fallisce o va in liquidazione coatta, il Fisco parteciperà come creditore nel passivo, godendo di alcuni privilegi (es.: IVA e ritenute sono crediti privilegiati di grado generale, l’IRES spesso chirografaria per la parte non privilegiata). Se invece la cooperativa viene dissolta senza attivare procedure concorsuali (caso in cui può succedere che i creditori restino insoddisfatti), l’Agenzia delle Entrate Riscossione potrà comunque continuare a cercare beni ex-sociali (ad esempio pignorando eventuali crediti sopravvenuti) e, come detto, far valere l’art. 36 DPR 602/73 contro soci e liquidatori per recuperare il dovuto entro limiti di legge.
Responsabilità dei soci per debiti fiscali: ribadiamo che, salvo il caso di distribuzioni indebite di attivo, i soci della cooperativa non vengono escussi per i debiti d’imposta. Dunque alla domanda frequente “Il presidente o i soci devono pagare di tasca propria le tasse non versate dalla cooperativa?” la risposta è: civilmente no (a meno di aver ricevuto attivi in liquidazione, come visto), penalmente il presidente può rispondere se il fatto configura reato (vedi sez. penale). Un socio semplice non potrà mai essere obbligato a versare l’IVA arretrata della coop, né un socio volontario dovrà pagare l’IRAP non pagata, ecc.
Tutela del Fisco in insolvenza: grazie alla norma sulle distribuzioni ai soci e alla responsabilità dei liquidatori, l’Erario ha strumenti per tutelarsi da gestioni dissipative. Ad esempio, Cassazione SS.UU. 2021 ha confermato che la responsabilità ex art.36 DPR 602 è di natura autonoma e per fatto proprio del liquidatore, quindi esercitabile con atto impositivo verso di lui. Questo spinge i liquidatori a pagare prima le imposte dovute (che spesso hanno privilegio) e, se qualcosa avanza, restituire capitale ai soci.
In conclusione, i debiti fiscali di una cooperativa sociale restano a carico della cooperativa. I soci non li pagano col proprio patrimonio (fatte salve le restituzioni di quote in caso di scioglimento con debiti fiscali). Gli amministratori neppure sono garanti in via generale, ma possono subire procedimenti penali per omessi versamenti rilevanti o dover rispondere come liquidatori negligenti. Il Fisco ha posizioni privilegiate nel concorso e qualche via diretta contro chi ha gestito male, ma non può chiedere indiscriminatamente ai soci di coprire i debiti d’imposta.
2.2 Debiti previdenziali e contributivi (INPS, INAIL, ecc.)
Le cooperative sociali, avendo spesso dipendenti e soci lavoratori, maturano debiti contributivi verso gli enti previdenziali e assistenziali, principalmente:
- INPS (contributi previdenziali): sono i contributi obbligatori dovuti sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (quota a carico del datore di lavoro e quota trattenuta al lavoratore), nonché i contributi eventualmente dovuti per i lavoratori autonomi o parasubordinati soci (gestione separata). Ad esempio, per un dipendente la cooperativa deve versare circa il 30-35% della retribuzione lorda in contributi (di cui circa 2/3 datore e 1/3 trattenuto al lavoratore).
- INAIL (premi assicurativi): contributi per assicurazione infortuni sul lavoro dovuti all’INAIL in base alle retribuzioni e alle mansioni.
- Altri enti previdenziali: se ci sono figure iscritte a casse specifiche (per es. cooperative sociali sanitarie con infermieri potrebbero versare ENPAPI, oppure se ci sono giornalisti soci lavoratori, l’INPGI, ecc.). In generale, nelle coop sociali è quasi tutto INPS/INAIL.
- Fondi di categoria contrattuali: ad esempio Fondi di previdenza integrativa o assistenza sanitaria previsti dal CCNL Cooperative Sociali (tipo Foncooper, Cooperlavoro, ecc.). Se la cooperativa non versa a tali fondi, sono debiti verso enti anch’essi.
Il principio di responsabilità è analogo a quello fiscale: la cooperativa è debitrice e risponde con il proprio patrimonio, i soci non rispondono personalmente. L’INPS e gli altri enti possono rivalersi solo sui beni sociali. Se la cooperativa non paga i contributi, l’INPS iscriverà a ruolo il credito e avvierà la riscossione (ingiunzioni, pignoramenti) contro l’ente cooperativa.
Effetti sui lavoratori: un aspetto dei debiti contributivi è che il mancato versamento non incide immediatamente sui diritti pensionistici dei lavoratori, purché le denunce Uniemens siano effettuate: l’INPS accredita comunque la contribuzione ai lavoratori dipendenti anche se il datore non versa, riservandosi di recuperare il dovuto. Quindi il socio lavoratore o dipendente non perde l’anzianità pensionistica perché la coop non paga (salvo per la parte di contributi volontari o extra, ma non entriamo). Tuttavia, se la cooperativa fallisce lasciando contribuzioni scoperte, qualcosa potrebbe non essere coperto (in genere l’INPS copre quasi tutto come gestione del fondo di garanzia, tranne per esempio i contributi sulla parte TFR anticipata, etc.). Comunque, il lavoratore non è chiamato a pagare i contributi non versati: non deve “metterci lui i soldi” (a differenza di alcuni sistemi esteri).
Sanzioni e responsabilità per mancato versamento contributi: qui vi sono norme peculiari:
- Sanzioni civili INPS: il mancato pagamento nei termini dei contributi genera pesanti sanzioni civili a carico della cooperativa (interessi di mora e somme aggiuntive, che fanno lievitare il debito). Queste sanzioni restano debito della cooperativa.
- Responsabilità patrimoniale di amministratori/liquidatori: simile all’ambito fiscale, l’art. 36 DPR 602/73 riguarda anche i contributi previdenziali iscritti a ruolo (se la società si liquida senza pagarli). Inoltre, la Cassazione ha equiparato la posizione dei contributi a quella delle imposte per certi versi. Quindi un liquidatore che paghi i soci e non l’INPS potrebbe risponderne personalmente.
- Reato di omesso versamento di contributi previdenziali: la legge punisce penalmente il datore di lavoro (quindi il legale rappresentante della cooperativa) se non versa le ritenute previdenziali a carico dei lavoratori entro termini stabiliti e per un importo annuo sopra una certa soglia. Attualmente (dal 2016 in poi) la soglia è €10.000 annui: sotto tale importo l’omissione è illecito amministrativo, sopra è reato (art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983 conv. in L. 638/1983). Ad esempio, se in un anno la cooperativa trattiene dalle buste paga €15.000 di contributi pensionistici a carico dei lavoratori e non li versa all’INPS, il presidente commette reato. La pena prevista è la reclusione fino a 3 anni o multa fino a 1.032 €. Il reato si estingue se l’omesso versamento (sopra 10k) viene sanato entro 3 mesi dalla contestazione o dall’accertamento, il che incentiva il pagamento tardivo. Questo profilo penale, approfondito più avanti, comporta che gli amministratori possano avere conseguenze personali (processo, eventuale condanna) per i contributi non pagati – pur non essendo obbligati civilmente a pagarli essi stessi. In altre parole: se la coop non versa €20.000 di contributi, l’INPS cercherà quei soldi dalla cooperativa; il presidente rischia il carcere, ma non un ufficiale giudiziario a casa (salvo se la cooperativa ha chiuso e l’INPS attiva responsabilità del liquidatore sui fondi distribuiti).
- Tutela in caso di insolvenza: i contributi non versati, se la cooperativa fallisce o va in LCA, sono crediti privilegiati nel passivo (hanno privilegio generale ex art. 2753 c.c. per le ultime mensilità di contributi dei dipendenti, e privilegio chirografario sugli altri crediti previdenziali). L’INPS quindi in procedura concorsuale verrà soddisfatta in prelazione (dopo gli stipendi ma prima di fornitori, ad esempio). Se la procedura non copre tutto, resta un buco a carico delle gestioni INPS, ma i lavoratori individualmente non ne rispondono.
- Regime speciale per coop sociali di tipo B: va ricordato che le coop sociali di tipo B beneficiano di uno sgravio totale dei contributi previdenziali per i lavoratori svantaggiati impiegati (art. 4 L. 381/1991 e successive modifiche). Ciò riduce l’ammontare di contributi dovuti. L’INPS ha emanato circolari (es. circ. 72/1992, 85/2002) che regolano tali esoneri: se una coop sociale B rispetta la quota di almeno 30% di lavoratori svantaggiati, non paga contributi INPS per questi ultimi (restano solo assicurazione e forse contributi minimi). Ciò ovviamente abbassa i debiti contributivi potenziali. Se però la coop abusa di questa agevolazione (facendo figurare persone non svantaggiate come tali), potrebbe dover restituire contributi evasi e incorrere in sanzioni. Ma entriamo nel dettaglio: l’esonero contributivo è considerato aiuto per l’inclusione, e se i requisiti mancano l’INPS può revocarlo e richiedere i contributi arretrati. Quelli diverrebbero debiti contributivi ordinari.
In sintesi sui debiti previdenziali: la cooperativa risponde con il suo patrimonio dei contributi e premi dovuti. I soci non ne rispondono personalmente (il socio lavoratore, paradossalmente “vittima” del mancato versamento, non viene certo chiamato a pagare i suoi contributi – semmai subirebbe un danno, poi sanato di regola dall’INPS in termini pensionistici). Gli amministratori possono avere rogne penali se omettono i versamenti oltre soglia, ma civilmente l’INPS non può andare a pignorare casa del presidente per riscuotere (se non, come detto, tramite l’eventuale responsabilità del liquidatore che ha chiuso male i conti).
Conviene ricordare che i debiti verso INPS sono tra i più pericolosi perché crescono con sanzioni e interessi. Le cooperative sociali dovrebbero prioritariamente evitare di accumulare arretrati contributivi. In caso di crisi di liquidità, vi sono strumenti (rateazioni con l’INPS, definizioni agevolate se previste da norme di condono) per dilazionare. Ma se la situazione degenera e l’INPS non viene pagato per lunghi periodi, oltre al debito in sé c’è il rischio concreto di procedimento penale per gli amministratori.
2.3 Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari (commerciali)
Un’ampia categoria di debiti è quella commerciale: debiti verso fornitori di beni e servizi, consulenti, affittuari di immobili, utenze, ecc. Le cooperative sociali, operando come imprese, acquistano beni (ad es. generi alimentari per le mense, farmaci per le comunità, materiali didattici, ecc.) e servizi (utenze di luce e gas per le strutture, manutenzioni, consulenze amministrative o legali, ecc.). Se non pagano puntualmente, sorgono debiti verso questi fornitori.
Analogamente, potremmo includere qui i debiti verso professionisti (commercialista, consulente del lavoro, ecc.), debiti verso il proprietario dell’immobile sede della cooperativa se sono indietro coi canoni di affitto, debiti verso compagnie assicurative (per premi non pagati), ecc.: tutti debiti di diritto privato non privilegiati, detti chirografari (senza prelazione).
Responsabilità per tali debiti: anche qui, risponde la cooperativa col suo patrimonio. Il fornitore insoluto potrà agire legalmente contro la cooperativa (decreto ingiuntivo, pignoramento) e aggredire i conti o i beni sociali. Non può invece pretendere nulla dai soci: i soci non sono garanti personali (a meno che abbiano firmato garanzie di loro iniziativa, ma questo esula dal rapporto sociale). Ad esempio, se la cooperativa sociale non paga la ditta delle pulizie per €5.000, quest’ultima può fare ingiunzione alla cooperativa; se questa non paga, potrà pignorare eventualmente i crediti della coop verso terzi (es. i pagamenti del Comune per convenzioni) o i suoi beni. Non potrà certamente pretendere i €5.000 da alcun socio.
Fideiussioni e garanzie personali: tuttavia, nella pratica commerciale spesso i fornitori e soprattutto le banche (vedi paragrafo successivo) richiedono garanzie extra. Capita meno frequentemente con i piccoli fornitori, ma ad esempio in alcuni contratti importanti un fornitore può chiedere la fideiussione di un consorzio di garanzia fidi o di un ente di supporto (talvolta le centrali cooperative hanno fondi di garanzia). Oppure, in situazioni di scarso credito, qualche fornitore potrebbe chiedere al presidente o a un socio benestante una fideiussione personale per concedere dilazioni. Se un socio o amministratore firma volontariamente una garanzia personale verso un fornitore, in tal caso quell’individuo sì, risponderà col proprio patrimonio in base a quell’obbligo contrattuale (che però è distinto dall’essere socio). Non è la qualifica di socio a obbligarlo, ma l’aver firmato una garanzia. Questo scenario non è la regola, ma va menzionato: molte cooperative sociali – specialmente quando erano neonate – hanno ottenuto forniture di cibo, affitti o leasing solo grazie a garanzie personali dei fondatori. In quei casi particolari, se il debito non viene pagato dalla coop, il garante persona fisica può essere escusso dal creditore.
In assenza di tali garanzie, il fornitore ha come unico obbligato la cooperativa. Se questa non paga per insolvenza e finisce in procedura concorsuale, i fornitori si insinueranno al passivo come creditori chirografari (senza privilegi), venendo soddisfatti solo pro-quota se avanza qualcosa dopo aver pagato creditori privilegiati (dipendenti, fisco, banche ipotecarie, ecc.).
Nessuna responsabilità organica specifica: i fornitori non possono chiamare in causa gli amministratori se non in casi di frode (es: se l’amministratore ha simulato solvibilità per ottenere beni e poi ha fatto sparire tutto, il fornitore potrebbe denunciare per insolvenza fraudolenta, ma è vicenda penale, non di pagamento diretto). Non c’è un’azione contrattuale diretta contro gli amministratori o sindaci: il contratto ce l’hanno con la società.
Conseguenze sul rating e altre ricadute: chiaramente, se la cooperativa non paga i fornitori, ne risente la reputazione e la possibilità di ottenere futuri affidamenti. Però qui stiamo sul piano della responsabilità giuridica: i fornitori potranno semmai agire compatti per chiedere il fallimento (se fosse ammesso, vedi dopo) o la LCA della cooperativa, ma non hanno un’azione extra contrattuale verso i soci.
Cooperative sociali e consorzi/federazioni: una particolarità: molte cooperative sociali aderiscono a consorzi di cooperative sociali o a centrali (Confcooperative, Legacoop). A volte i consorzi garantiscono pagamenti verso i fornitori comuni. Ad esempio, un consorzio potrebbe fornire materie prime alle consorziate e farsi garante verso i fornitori esterni, poi addebitare alle coop. Se la coop non paga il consorzio, quest’ultimo resta debitore verso il fornitore. Ciò però è dinamica inter-aziendale, non modifica la posizione giuridica dei soci della cooperativa, ma solo sposta il debito su un altro soggetto garante. Lo citiamo per dire che spesso le coop sociali fanno rete per mitigare i rischi, ma alla fine, se la catena si rompe, rimane un soggetto giuridico inadempiente (che pagherà con il suo patrimonio).
Conclusione per debiti commerciali: i fornitori, i consulenti e gli altri creditori chirografari possono rivalersi unicamente sulla cooperativa sociale. Se questa è in bonis, li pagherà secondo i contratti; se ritarda, possono agire per vie legali ma sempre contro la cooperativa; se è insolvente, devono partecipare al concorso. I soci non sono tenuti a saldare questi debiti, né prima né dopo lo scioglimento (salvo rientri delle quote se applicabile, come visto). Dunque il rischio d’impresa grava sui creditori stessi (che devono valutare l’affidabilità della coop) e sui soci in termini di perdita del capitale ma non di oltre.
2.4 Debiti verso le banche e istituti di credito
Debiti bancari: molte cooperative sociali ricorrono a finanziamenti bancari per investimenti (mutui per acquistare immobili, leasing per veicoli, prestiti per liquidità) o affidamenti di cassa (fidi su conto corrente, anticipo fatture). Questi generano debiti verso banche o altri finanziatori (es. società di leasing, società di factoring).
Le banche, come creditori, dal punto di vista della responsabilità seguono le stesse regole: la cooperativa è l’obbligata al rimborso del mutuo o all’estinzione dello scoperto di conto. I soci non ne rispondono personalmente, a meno di garanzie. E qui va subito detto: è prassi quasi universale nel mondo del credito richiedere garanzie per i finanziamenti concessi a cooperative (specialmente se di piccola o media dimensione). Le cooperative sociali spesso non hanno grandi patrimoni da offrire in garanzia reale; tuttavia, possono talvolta dare in ipoteca immobili di proprietà (es. la sede o una casa famiglia). Se la cooperativa concede ipoteca o pegno su suoi beni alla banca, quello è un vincolo sul patrimonio sociale che dà alla banca un privilegio (credito privilegiato). In caso di insolvenza della cooperativa, la banca ipotecaria avrà diritto di escussione preferenziale su quell’immobile. Ciò è una garanzia reale tipica.
Quando la coop non dispone di asset da ipotecare, le banche chiedono spesso fideiussioni personali da parte di qualche figura di riferimento: amministratori, soci fondatori, o garanzie di terzi (consorzi fidi, fondi pubblici di garanzia per il terzo settore, ecc.). Ad esempio, il prestito bancario per avviare una cooperativa sociale è spesso garantito dal Fondo Centrale di Garanzia PMI dello Stato (che copre fino all’80% del credito). Oppure vi sono cooperative più strutturate che hanno costituito fondi mutualistici di garanzia. In assenza di queste, i membri del CdA a volte firmano personalmente. Queste garanzie personali impegnano il patrimonio degli amministratori/soci garantenti: se la cooperativa non paga il debito, la banca escute il fideiussore, che dovrà poi eventualmente rivalersi sulla cooperativa (in pratica spesso risultando egli stesso creditore concorsuale, ma di grado di solito postergato se socio).
Caso tipico: cooperativa sociale chiede un fido di 50.000 € in banca; la banca ottiene fideiussione del presidente fino a 30.000 € e di un confidi per altri 20.000 €. Se la cooperativa non rientra, la banca chiederà 30k al presidente (che potrebbe vedersi pignorare casa se non paga) e 20k al confidi. Il presidente pagante diventerebbe creditore verso la cooperativa per 30k, ma se la cooperativa è insolvente, recupererà poco o nulla.
Al netto di garanzie personali, la responsabilità primaria resta in capo alla cooperativa. Quindi, se c’è un mutuo e la cooperativa ha un immobile ipotecato, la banca escuterà l’immobile (pignoramento, vendita) per soddisfarsi; se avanza credito oltre il ricavato, parteciperà al passivo come chirografo per la differenza. Nessun socio (non garante) vedrà toccata la propria casa o il proprio stipendio per quel mutuo non pagato.
Le banche in quanto creditrici spesso rientrano tra quelle con privilegi: come detto, se c’è ipoteca su immobile o pegno su titoli, sono creditori privilegiati su quei beni. Se la cooperativa ha cessioni di credito (es. factoring o anticipo fatture cedute), la banca è protetta dal fatto che incasserà i crediti ceduti direttamente. Questi aspetti fanno sì che i debiti bancari possano avere un trattamento diverso in concorso (soddisfazione prioritaria). Ma la domanda “chi paga?” ha risposta: la cooperativa (o il garante). Non i soci in quanto tali.
Responsabilità degli amministratori: un amministratore non è debitore verso la banca per il solo essere amministratore. Se la cooperativa non paga la rata del leasing, la società di leasing potrà eventualmente citare in giudizio la cooperativa e risolvere il contratto, ma non potrà pretendere il pagamento dal legale rappresentante (salvo firma di garanzia). Può però capitare che alcune banche, in sede di concessione del credito, inseriscano clausole di “responsabilità in solido” dell’amministratore: ad esempio, certe convenzioni bancarie prevedono che il presidente firmi anche proprio nomine obbligandosi in solido. Questo è di fatto una fideiussione camuffata da coobbligazione nel contratto di conto corrente. È valida? Sì, se firmata consapevolmente. In tal caso quell’amministratore risponderebbe come garante. Ma ripetiamo: è un vincolo contrattuale, non una responsabilità legale discendente dalla carica. Un amministratore che subentra successivamente non ha firmato nulla, dunque no, non risponde.
Eventuali interventi pubblici: talora i debiti bancari di coop sociali in grave crisi vengono mitigati da interventi pubblici (es. la Regione che finanzia il salvataggio, o conversione di debito in contributo). Ma ciò sono misure straordinarie non garantite e non afferenti alla responsabilità giuridica individuale.
Conclusione per debiti bancari: la cooperativa sociale deve rimborsare i finanziamenti. Se non lo fa, la banca userà le garanzie (reali o personali) predisposte. I soci (non garanti) non pagano nulla di persona. I soci garanti, invece, pagano in base all’impegno assunto. In sede concorsuale, le banche concorreranno come creditori privilegiati (per la parte garantita da ipoteca/pegno) e chirografari per l’eventuale scoperto. Da notare: se le banche hanno privilegi generali (ad es. alcune banche ottengono privilegio sui beni aziendali iscrivendo un MCC ex art. 46 TUB come cooperative di garanzia, ma nelle coop sociali è raro), quello darebbe prelazione su tutti i beni.
I soci in ogni caso non hanno rischio oltre capitale, a meno che non abbiano volontariamente messo a garanzia i propri beni (fideiussioni, ipoteche personali). In quel caso pagheranno i debiti bancari nei limiti garantiti, ma ciò non perché soci, bensì perché garanti contrattuali.
2.5 Debiti verso i dipendenti e collaboratori
Questa categoria include gli importi dovuti ai lavoratori che prestano attività per la cooperativa: salari, stipendi, tredicesime, ferie maturate e non godute, trattamento di fine rapporto (TFR), rimborsi spese, eventuali incentivi o premi contrattuali, ecc. Nelle cooperative sociali vi sono sia soci lavoratori sia lavoratori non soci (possibile soprattutto nelle coop tipo A, dove non tutti gli operatori sono soci per varie ragioni). Inoltre, possono esservi collaboratori autonomi continuativi, il cui compenso rientra anch’esso tra i debiti verso persone fisiche per il lavoro prestato.
Chi è tenuto a pagare questi debiti? – Naturalmente, la cooperativa in qualità di datore di lavoro. Il rapporto di lavoro vincola la cooperativa al pagamento delle retribuzioni e degli altri istituti. Nessun altro soggetto (soci o amministratori) è contrattualmente obbligato verso i lavoratori. Dunque se la coop non paga gli stipendi, il lavoratore può agire legalmente (es. decreto ingiuntivo, vertenza) ma sempre nei confronti della cooperativa datore di lavoro.
Neppure qui i soci (se diversi dai lavoratori stessi) hanno obblighi. Ad esempio, un socio volontario non deve pagare di tasca propria gli stipendi arretrati dei dipendenti; un socio sovventore non deve versare il TFR ai lavoratori licenziati: è compito della società.
Strumenti di tutela del lavoratore: la legge fornisce ai dipendenti strumenti efficaci per ottenere i loro crediti, data la natura alimentare:
- Possono richiedere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per le retribuzioni dovute (ex art. 409 e 633 c.p.c. in materia di lavoro).
- Possono mettere in mora la cooperativa e, in casi di inadempimento grave, possono dimettersi per giusta causa (con diritto al TFR immediato come se licenziati).
- Possono adire il Tribunale del lavoro per ottenere sentenze di pagamento.
- Se la cooperativa è insolvente e non reagisce, i lavoratori (anche un singolo) possono presentare istanza di fallimento (per coop sociali il termine tecnico ora è liquidazione giudiziale, ma vedremo se applicabile) o possono sollecitare l’autorità di vigilanza a disporre la liquidazione coatta. Lo fanno spesso per accedere al Fondo di Garanzia (vedi dopo).
Nella prassi, quando gli stipendi saltano per più mesi, i dipendenti di una cooperativa in crisi spesso si rivolgono ai sindacati, ai quali non di rado è noto come procedere per tutelare i crediti.
Privilegi dei crediti di lavoro: nel malaugurato caso di concorso tra più creditori, la legge accorda ai crediti di lavoro alcuni privilegi di priorità nel pagamento:
- Le retribuzioni degli ultimi sei mesi di lavoro, fino a un massimale per mese (il triplo della misura dell’assegno sociale), godono di privilegio generale sui beni mobili di grado elevato (art. 2751-bis n.1 c.c.), che li pone praticamente subito dopo le spese di giustizia e pochi altri crediti.
- Il TFR (trattamento di fine rapporto) ha privilegio generale anch’esso (art. 2751-bis n.1 c.c.), ma subordinato a quelli alimentari e di funerali, comunque di grado molto alto.
- Le retribuzioni oltre i 6 mesi e altri crediti da lavoro hanno pur sempre un privilegio, ma parziale e con qualche limitazione (oltre i 6 mesi eccedenti possono essere chirografari).
- I contributi previdenziali trattenuti (che in parte sono “credito” del lavoratore verso INPS) sono altro aspetto, come già detto.
In soldoni, se la cooperativa fallisce, i lavoratori vengono soddisfatti prima dei fornitori e delle banche chirografarie sui beni mobili (e immobili in parte, su immobili vige ipoteca per banche di solito, quindi su quelli i lavoratori stanno dietro alle ipoteche ma hanno un privilegio residuo secondo art. 2776 c.c.). Questo per dire che i debiti verso dipendenti hanno precedenza nella distribuzione dell’attivo in caso di liquidazione concorsuale.
Fondo di Garanzia INPS: istituito dalla L. 297/1982, interviene quando un’azienda fallisce o comunque si trova in procedura concorsuale e non può pagare TFR e ultime tre mensilità ai lavoratori. Nel caso di cooperative sociali, se viene aperta una liquidazione coatta amministrativa (procedura concorsuale) o una liquidazione giudiziale, i dipendenti possono chiedere al Fondo di Garanzia il pagamento del TFR maturato non percepito e delle ultime 3 mensilità di retribuzione (ricordiamo che il privilegio legale è 6 mesi, ma il Fondo copre 3 mesi entro determinati limiti). Il Fondo di Garanzia eroga questi importi ai lavoratori e si surroga nel loro credito privilegiato nella procedura. Importante: tale intervento è possibile solo se c’è una procedura concorsuale formale (fallimento, liquidazione coatta, concordato preventivo, amministrazione straordinaria, ecc.) oppure se l’azienda ha chiuso senza concorso ma il lavoratore ha tentato esecuzioni infruttuose e ricorrono altre condizioni (in caso di aziende non fallibili, vedi L. 297/82 art. 2).
Nel caso delle cooperative sociali, la procedura tipica è la liquidazione coatta amministrativa (non fallibili per legge, come vedremo). La Cassazione ha chiarito che se la cooperativa è sciolta per atto dell’autorità senza accertamento di insolvenza (es. scioglimento ex art. 2545-septiesdecies c.c. per mancato deposito bilanci, che non equivale a LCA), quel caso non attiva il Fondo di Garanzia. Se invece c’è LCA (liquidazione coatta) per insolvenza, il Fondo interviene regolarmente come se fosse un fallimento.
Ciò significa che i lavoratori delle coop sociali insolventi possono contare sul Fondo di Garanzia, a patto che si attivi la procedura concorsuale corretta (LCA). In mancanza, resterebbero creditori verso un soggetto magari già estinto, con scarse chance di recupero.
Responsabilità dei soci per paghe e TFR: nessuna. Un socio, anche se volontario o finanziatore, non deve coprire i debiti verso i dipendenti. Non c’è una regola che chiama i soci a contribuire se mancano le buste paga. L’unico caso ipotizzabile sarebbe se un socio fosse allo stesso tempo committente del lavoratore in un appalto, ma qui entriamo in tutt’altro (tipo responsabilità solidale negli appalti tra imprese – scenario poco attinente). Nella cooperativa, il datore è uno: la società. I soci non rispondono.
Responsabilità degli amministratori: in caso di mancato pagamento di stipendi, l’amministratore può subire:
- L’azione di eventuale responsabilità civile da parte della cooperativa o curatore per aver gestito male e causato il dissesto che ha impedito i pagamenti. Ma non è un’azione diretta del lavoratore contro di lui, bensì conseguenza di mala gestio come visto.
- Sanzioni amministrative e penali in materia di lavoro: ricordiamo che prima del 2016 esisteva il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali (che abbiamo già visto). In passato c’era anche un reato di omesso pagamento di retribuzioni (art. 2 L. 638/83) se non pagavi entro certi termini, ma è stato depenalizzato nel 2016: ora il mancato pagamento dello stipendio è punito con una sanzione amministrativa (da €1.000 a €9.000 se oltre 3 mesi di ritardo, D.Lgs. 8/2016). Questo per dire che il datore può essere multato dall’Ispettorato del Lavoro se non paga i dipendenti, ma non va più in carcere per questo (salvo casi estremi di sfruttamento che configurino reati diversi). Quindi l’amministratore rischia multe, ingiunzioni e, sul penale, giusto i reati contributivi. Ma civilmente il dipendente non può pignorare i beni dell’amministratore: deve passare dall’azione contro la cooperativa.
In sintesi: i debiti verso dipendenti (salari e TFR) li paga la cooperativa. In caso di insolvenza, i lavoratori hanno una forte tutela (privilegio + Fondo di garanzia). Nessun socio è tenuto a coprire questi debiti. L’amministratore non ne è debitore diretto (è responsabile solo in senso gestionale o sanzionatorio). Va da sé che da un punto di vista etico, spesso i soci si preoccupano di pagare prima gli stipendi che altri debiti, ma questo rientra nelle scelte di gestione, non in obblighi giuridici (però ricordiamo: se il CdA paga alcuni stipendi arretrati a ridosso di un fallimento e lascia indietro altre classi di crediti, potrebbe incorrere in contestazioni di bancarotta preferenziale – vedi parte penale).
2.6 Debiti verso enti locali e debiti verso la pubblica amministrazione
Le cooperative sociali hanno frequenti rapporti economici con la Pubblica Amministrazione, in particolare con gli enti locali (Comuni, ASL/Aziende sanitarie, Regioni). Possono avere quindi varie tipologie di debiti verso questi enti:
- Debiti commerciali verso enti pubblici: ad esempio se la cooperativa gestisce un servizio in appalto per un Comune e, a fine gestione, risulta avere incassato anticipi maggiori del dovuto, potrebbe dover restituire somme. Oppure penali contrattuali applicate dal Comune alla cooperativa per inadempienze (es. mancato raggiungimento obiettivi). Questi sono debiti di natura contrattuale, trattati come debiti verso un qualsiasi cliente, sebbene il creditore sia un ente pubblico.
- Debiti per concessioni o canoni: alcune coop sociali usano immobili comunali in comodato o affitto a canone agevolato; se non pagano i canoni convenuti o gli oneri di manutenzione, maturano debiti verso l’ente locale. Simile a fornitori, con la differenza che l’ente potrebbe rivalersi con strumenti pubblicistici (revoca concessione).
- Debiti tributari locali: come già accennato, IMU su eventuali immobili di proprietà (anche se molte coop sociali sono esenti da IMU sugli immobili destinati a attività assistenziali, in quanto assimilabili a ONLUS/enti non commerciali), TARI se la coop non paga la tassa rifiuti, imposte comunali su pubblicità insegne, ecc. Questi sono debiti fiscali verso l’ente locale, con meccanismi di riscossione analoghi a quelli statali (ingiunzione fiscale).
- Debiti per sanzioni amministrative: se la cooperativa ha ricevuto multe da enti locali (es. sanzioni igienico-sanitarie dall’ASL, contravvenzioni del Comune per violazioni, ecc.) non pagate, anche questi diventano debiti verso l’ente.
Regime della responsabilità: la cooperativa risponde con il suo patrimonio anche di questi debiti. Gli enti locali hanno poteri di autotutela (possono compensare crediti/debiti, revocare contributi, ecc.) e di riscossione coattiva (tramite ingiunzione e ruolo, avvalendosi della normativa pubblica). Possono anche, in casi estremi, revocare convenzioni e chiedere danni. Ma in nessun caso il Comune può chiedere ai soci di pagare al posto della cooperativa. Quindi, se la coop sociale X ha €100.000 di canoni arretrati per l’affitto di un centro comunale, il Comune potrà sfrattare la coop, escutere eventuali cauzioni, e infine citare in giudizio la cooperativa per quei €100.000 o iscrivere a ruolo la somma; non potrà chiedere quell’importo agli individui soci.
Eccezione – contributi pubblici da restituire: se la cooperativa ha ricevuto contributi o finanziamenti pubblici vincolati (ad esempio un contributo regionale per un progetto, subordinato a rendicontazione), e poi non ne ha diritto (perché non ha realizzato l’attività, o non ha rendicontato regolarmente), può sorgere l’obbligo di restituire quei fondi all’ente erogatore. Questo è un debito verso l’ente. La responsabilità è sempre dell’ente cooperativo in quanto percettore. Attenzione: a volte i legali rappresentanti firmano per accettazione queste convenzioni assumendo impegni anche a nome proprio? Generalmente no, l’impegno è della persona giuridica. Salvo truffe (caso di reato, dove se i soci/amm. hanno distratto i fondi potrebbero avere responsabilità penale e anche amministrativa per danno erariale, se il caso fosse segnalato alla Corte dei Conti). Ma civilmente, il rimborso spetta alla cooperativa.
Procedura concorsuale: in caso di insolvenza, i crediti degli enti locali si dividono tra quelli privilegiati (tributi locali hanno privilegi simili a quelli erariali: es. l’IMU ha privilegio speciale sull’immobile per cui è dovuta) e quelli chirografari (penali contrattuali, contributi da restituire senza garanzia). L’ente locale parteciperà al concorso come un normale creditore: ad esempio il Comune di Alfa parteciperà al passivo della LCA della cooperativa per la restituzione di un contributo x, e otterrà la percentuale eventuale come gli altri.
Responsabilità amministrativa degli amministratori verso enti pubblici: se il dissesto cooperativo ha causato un danno a un ente pubblico (tipo la cooperativa gestiva un servizio, ha incassato anticipi e non li ha usati correttamente, costringendo l’ente a rifinanziarlo), talvolta la Corte dei Conti potrebbe chiamare in causa gli amministratori per danno erariale, specie se c’erano convenzioni con obblighi precisi. È una materia peculiare: l’amministratore di un soggetto privato può rispondere per danno erariale? In linea generale no, perché non è un pubblico agente, ma ci sono pronunce in cui, in presenza di contributi pubblici, i gestori possono essere considerati soggetti “controllati” per i quali scatta la giurisdizione contabile. È un tema molto specifico; per esempio, se la coop sociale fosse parte integrante di un servizio pubblico e i suoi amministratori malversano fondi, la Corte dei Conti potrebbe ritenerli responsabili verso l’erario. Ma ai fini di “chi paga i debiti”, resta che quell’azione servirebbe a rifondere l’ente pubblico, non i creditori privati. Ed è l’eccezione non la regola.
Riassumendo: i debiti verso enti locali li paga la cooperativa. I soci e amministratori non ne rispondono, salvo particolari fattispecie di garanzia personale o di responsabilità contabile. Gli enti locali creditori hanno strumenti privilegiati di autotutela ma non possono travalicare la personalità giuridica della cooperativa. In insolvenza, l’ente locale si accoderà come creditore privilegiato/chirografo. Ad esempio, se la coop sociale Tizio ha €20k di TARI non pagata, il Comune iscriverà il debito a ruolo e tenterà pignoramenti a Tizio coop; se Tizio coop fallisce, il Comune insinuerà i €20k con privilegio sui mobili (tributo locale equiparato, anche se la TARI è tassa non tributo, tecnicamente è chirografa forse, comunque).
Caso particolare – Unioni e consorzi di cooperative: alcune cooperative sociali partecipano a consorzi che hanno contratti con enti pubblici. In quei casi la coop sociale è subappaltatrice del consorzio: se la coop non adempie e il consorzio viene escusso dall’ente, il consorzio potrebbe rivalersi sulla coop con penali. Ma qui entriamo in rapporti interni tra soggetti privati. L’ente pubblico in quel caso ha come controparte il consorzio (che risponde con suo patrimonio). Il consorzio poi rifarà causa alla coop inadempiente. Quindi la catena di responsabilità rientra nei casi già visti (debiti verso consorzio come verso un fornitore). Nessuna implicazione sui soci.
Tabella riepilogativa – Principali tipologie di debiti e responsabilità
Tipo di debito | Chi è obbligato al pagamento | Responsabilità di soci e amministratori | Note e tutele speciali |
---|---|---|---|
Debiti fiscali (es. IVA, IRES, ritenute) | Cooperativa (soggetto passivo d’imposta) | Soci non obbligati personalmente. Amm. possono subire sanzioni e processi per omessi versamenti rilevanti (es. reato se IVA > €250k; ritenute > €150k). Liquidatore e soci possono rispondere solo entro limiti di attivo distribuito indebitamente. | Crediti Erario spesso privilegiati. Art.36 DPR 602/73: soci devono restituire somme ricevute prima della liquidazione se imposte non pagate. Reati tributari per omessi versamenti (soglia IVA 250k, ritenute 150k). |
Debiti previdenziali (INPS, INAIL) | Cooperativa (datore di lavoro) | Soci non responsabili. Amm. perseguibili penalmente per omesso versamento contributi > €10k/anno. Liquidatore eventualmente responsabile per contributi non versati se ha pagato altri in violazione dei privilegi. | Contributi dipendenti privilegiati. Omesso versamento contributi >€10.000 annui = reato (reclusione fino 3 anni) salvo pagamento entro 3 mesi. Fondo di garanzia INPS tutela TFR e ultimi 3 stipendi in caso di insolvenza procedurale. |
Debiti verso fornitori (merci, servizi) | Cooperativa (parte contrattuale) | Soci non responsabili personalmente. Amm. e sindaci non responsabili verso fornitori (salvo comportamenti fraudolenti extra-contratto). Eventuali soci garanti (fideiussori) rispondono nei limiti della garanzia. | Crediti chirografari (nessun privilegio). Fornitori possono agire esecutivamente sui beni sociali o chiedere procedure concorsuali. Garanzie personali o reali possono cambiare il grado di rischio (ma ciò dipende da patti contrattuali). |
Debiti bancari/finanziari (mutui, fidi) | Cooperativa (mutuatario, affidato) | Soci non obbligati, ma spesso esistono garanti: se soci/amministratori hanno firmato fideiussioni, pagano fino all’importo garantito. In assenza di garanzie, banca non può escutere soci. | Spesso garantiti da ipoteca o pegno su beni sociali (credito privilegiato) o da fideiussioni personali e confidi. In insolvenza, la banca soddisfa garanzie (es. ipoteca) o si insinua come chirografo sul residuo. |
Debiti verso dipendenti (retribuzioni, TFR) | Cooperativa (datore di lavoro) | Soci non responsabili. Amm. non obbligati a pagare di tasca propria stipendi arretrati (possono essere sanzionati per violazioni di legge sul lavoro, ma civilmente obbligata è la coop). Nessuna obbligazione personale verso i lavoratori salvo garanzie atipiche. | Crediti di lavoro privilegiati (ultimi 6 mesi salari e TFR con precedenza alta). Fondo di Garanzia INPS copre TFR e 3 mensilità in caso di LCA/fallimento. Manca reato per omesso pagamento stipendi (solo sanzione amm.). |
Debiti verso enti locali (tributi locali, canoni, contributi da restituire) | Cooperativa (obbligata in convenzioni o come contribuente) | Soci non responsabili. Amm. non rispondono salvo profili di danno erariale in casi eccezionali (malversazione di fondi pubblici) valutati dalla Corte dei Conti. | Enti locali possono agire con ingiunzioni fiscali. Tributi locali privilegiati su beni (es. IMU su immobile). Contributi pubblici non rendicontati: l’ente chiede restituzione alla coop; possibile segnalazione a Corte Conti se distratti fondi pubblici. |
(Legenda: “Amm.” = amministratori; “coop” = cooperativa; “LCA” = liquidazione coatta amm.)
3. Crisi, insolvenza e scioglimento della cooperativa sociale
Come tutte le imprese, anche le cooperative sociali possono attraversare situazioni di difficoltà economica fino all’insolvenza. In questo capitolo analizziamo cosa accade in caso di crisi grave: gli strumenti per affrontarla, le procedure di scioglimento volontario o coattivo, e la possibilità (o meno) di fallimento della cooperativa sociale secondo la normativa vigente (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, in vigore a regime dal 15 luglio 2022).
Per contestualizzare: le società cooperative, storicamente, sono soggette a uno speciale regime di vigilanza pubblica. In caso di insolvenza, spesso non si applica la procedura di fallimento ordinario, bensì la liquidazione coatta amministrativa (LCA), una forma di procedura concorsuale gestita dall’autorità governativa. Nel 2017, con la riforma del Terzo Settore e dell’Impresa Sociale, le cooperative sociali hanno acquisito di diritto la qualifica di imprese sociali, e per queste è previsto per legge che in caso di insolvenza si proceda con LCA, escludendo il fallimento. Questo tema (fallibilità vs non fallibilità) è cruciale e sarà approfondito al punto 3.4.
Procederemo con ordine: prima gli strumenti di allerta e la gestione interna della crisi; poi lo scioglimento volontario; quindi la liquidazione coatta amministrativa; infine la questione della liquidazione giudiziale (ex fallimento) per le cooperative sociali.
3.1 Gestione interna della crisi e strumenti di composizione
Quando una cooperativa sociale inizia ad avere difficoltà nel pagare i debiti (es. ritardi nei pagamenti, mancanza di liquidità per stipendi o fornitori), gli amministratori dovrebbero attivarsi prontamente. Il Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019) ha introdotto degli obblighi di allerta e di adozione di adeguati assetti organizzativi per rilevare la crisi. Le imprese (cooperative incluse) hanno il dovere di dotarsi di strumenti per monitorare la continuità aziendale. Nelle cooperative sociali, spesso di piccola dimensione, questo si traduce nell’attenzione degli amministratori e sindaci a segnali come perdite di esercizio, erosione del capitale sociale, cassa insufficiente, insoluti.
Se la cooperativa inizia ad essere a rischio insolvenza, i passi possibili (prima di arrivare allo scioglimento) includono:
- Piani di risanamento o accordi stragiudiziali: la coop può tentare di rinegoziare i debiti con banche e fornitori, dilazionare pagamenti, ricapitalizzarsi (chiedendo ai soci di conferire nuove risorse o coinvolgendo nuovi soci finanziatori), o cedere rami d’azienda. Tutto questo in via stragiudiziale.
- Composizione negoziata della crisi: strumento nuovo introdotto nel 2021, accessibile anche alle cooperative. Prevede la nomina di un esperto indipendente che aiuta l’impresa a trovare un accordo coi creditori. La cooperativa sociale, essendo imprenditore commerciale, può aderire a tale procedura (non essendo esclusa in quanto tale, anzi la legge incentiva anche imprese di piccole dimensioni a farlo). Questo strumento è confidenziale e volto a evitare l’insolvenza conclamata.
- Concordato preventivo o accordo di ristrutturazione del debito (ADR): secondo il Codice della Crisi, queste procedure concorsuali “minori” sarebbero teoricamente aperte a soggetti fallibili. Qui c’è un nodo: le cooperative sociali sono non fallibili (lo vedremo), quindi sorge dubbio se possano accedere al concordato preventivo. In passato, prima del 2017, alcune cooperative sociali hanno utilizzato il concordato (ammesso sulla base che fossero soggette a fallimento in quanto svolgevano attività commerciale). Oggi, con la regola della LCA obbligatoria, la dottrina dibatte se possano comunque proporre un concordato. La tesi prevalente sembra essere che anche le imprese sociali possano accedere a concordato preventivo o ADR, perché la legge speciale (art. 14 D.Lgs.112/2017) dice “in caso di insolvenza si fa LCA”, ma se l’impresa reagisce prima dell’insolvenza conclamata con un concordato, ciò potrebbe essere consentito. In pratica alcune cooperative sociali hanno presentato domande di concordato negli ultimi anni, ma la giurisprudenza non è ancora univoca. Ad ogni modo, l’uso del concordato è raro per queste realtà, date le dimensioni spesso piccole e la preferenza del legislatore per l’LCA.
- Intervento dell’autorità di vigilanza: il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (già Ministero dello Sviluppo Economico) vigila sulle cooperative tramite revisioni periodiche. Se dalle ispezioni emergono irregolarità o gravi perdite, il Ministero può convocare gli amministratori o suggerire azioni (es. fusione con altra coop, ingresso di un consorzio, ecc.). C’è anche la facoltà ministeriale di nominare commissari governativi per la gestione temporanea al posto degli organi sociali, al fine di risanare l’ente. Questo strumento, previsto dall’art. 2545-sexiesdecies c.c. per gravi irregolarità, può essere usato in contesti di crisi per evitare il fallimento immediato. Il commissario può tentare di risanare l’impresa.
- Scioglimento volontario anticipato: se la cooperativa vede che non può più proseguire utilmente l’attività ma non è ancora tecnicamente insolvente (riesce magari a pagare tutti i debiti con il patrimonio esistente), può decidere di sciogliersi e liquidare volontariamente, come dettagliato oltre. Questo è in realtà un percorso fisiologico e non traumatico se il patrimonio netto è positivo o se i creditori saranno soddisfatti integralmente.
Tutti questi passi mirano ad evitare la liquidazione concorsuale disordinata. Nel contesto cooperativo-sociale, spesso si cerca di salvare i posti di lavoro e i servizi ai beneficiari: quindi non è infrequente che quando una coop sociale è in crisi, altre cooperative (magari consorziate) subentrino nella gestione di appalti, assorbano dipendenti, ecc., con accordi tra creditori e debitori a volte mediati dai comuni o dalle centrali cooperative. Questo tipo di “salvataggio” non rientra nelle procedure codificate ma avviene di fatto come soluzione solidaristica. Ad esempio, la coop sociale Alfa in dissesto può cedere il ramo d’azienda (servizio X) alla coop Beta, che assume i lavoratori e continua il servizio, mentre Alfa viene liquidata e i creditori di Alfa accettano una transazione (spesso i comuni stessi favoriscono la transazione rinunciando a penali, ecc., pur di non interrompere servizi sociali).
Dal punto di vista giuridico, comunque, se la crisi non è risolvibile e la cooperativa diviene insolvente (incapace di pagare regolarmente i debiti esigibili con le risorse disponibili), occorre passare allo scioglimento e liquidazione formale.
3.2 Scioglimento volontario e messa in liquidazione ordinaria
L’assemblea dei soci di una cooperativa può deliberare lo scioglimento volontario della società per varie cause (ad esempio: raggiungimento dell’oggetto sociale, venir meno dei soci – sotto il minimo di legge, impossibilità di funzionamento per dissidi gravi, o anche semplicemente decisione libera di cessare l’attività). Nelle cooperative sociali inoltre lo statuto può prevedere cause specifiche di scioglimento, come la perdita delle autorizzazioni necessarie a operare, ecc.
La delibera di scioglimento (presa con la maggioranza qualificata prevista dallo statuto o dal Codice Civile) comporta la nomina di uno o più liquidatori e l’iscrizione della società in liquidazione presso il Registro delle Imprese. Da quel momento la cooperativa aggiunge la dicitura “in liquidazione” alla ragione sociale e i liquidatori subentrano al consiglio di amministrazione nella gestione, con il compito principale di realizzare l’attivo e pagare il passivo (convertire i beni in denaro e soddisfare i debiti).
Durante la liquidazione volontaria la cooperativa cessa le sue normali attività commerciali, salvo quelle necessarie alla conservazione e realizzo del patrimonio. I contratti di lavoro possono essere risolti (i dipendenti licenziati per cessazione attività, con diritto a TFR e preavviso). I soci non recedono (rimangono soci fino a fine liquidazione, sebbene di norma non intervengano più se non per approvare il bilancio finale).
Pagamento dei debiti in liquidazione volontaria: il liquidatore deve redigere un inventario e un bilancio iniziale di liquidazione, e poi procede a vendere i beni e riscuotere i crediti della cooperativa, utilizzando le somme ricavate per pagare i debiti verso creditori, secondo le rispettive cause di prelazione. In assenza di una procedura concorsuale giudiziaria, i creditori possono ancora agire individualmente, ma di fatto il liquidatore tende a pagare spontaneamente quelli noti, privilegiati in primis. Se l’attivo è sufficiente a coprire tutti i debiti, la liquidazione si svolge pacificamente: i creditori vengono soddisfatti integralmente (con eventuali interessi fino alla data di pagamento), dopodiché il liquidatore redige il bilancio finale e divide l’eventuale residuo attivo tra i soci, nei limiti consentiti dalla legge. Nel caso di cooperativa sociale (che è a mutualità prevalente di diritto), i patrimoni residuali non possono essere distribuiti ai soci ma devono essere devoluti ai Fondi Mutualistici per la promozione cooperativa o a fini sociali analoghi. In pratica, nelle cooperative a mutualità prevalente, se rimangono utili o riserve indivisibili, vanno trasferiti a questi fondi di settore (Legacoop, Confcooperative, etc.), non in tasca ai soci. Ai soci può essere restituito solo il capitale sociale versato e non ancora rimborsato (le quote) e gli utili eventualmente distribuibili deliberati prima. Nelle cooperative sociali specificamente, la normativa ONLUS/terzo settore impone che tutto il patrimonio vada a finalità sociali analoghe in caso di scioglimento (sono previsioni di legge o statutarie obbligatorie). Quindi i soci cooperatori di una cooperativa sociale non ricevono alcuna “liquidazione” di utili, al massimo ricevono indietro le proprie quote (se non già rimborsate per recesso, ecc.). Esempio: coop sociale chiude con attivo 100k e debiti 80k; paga gli 80k; rimangono 20k di patrimonio netto finale, derivante da riserve indivisibili accumulate negli anni – questi 20k vanno devoluti a un’altra cooperativa sociale o a un fondo mutualistico, non ai soci.
Insufficienza dell’attivo: può accadere che durante la liquidazione volontaria il liquidatore si accorga che il patrimonio non basta a pagare tutti i debiti (insolvenza sopravvenuta). In tal caso, il Codice Civile (art. 2487 e seguenti per le società di capitali, applicabili alle coop per rinvio) prevede che il liquidatore debba informare i soci e, se ricorrono i presupposti di insolvenza, richiedere la procedura concorsuale pertinente. Per le cooperative, se emerge insolvenza durante la liquidazione volontaria, il liquidatore non può chiedere il fallimento al tribunale (vedremo che le coop sociali non falliscono), ma deve comunicare la situazione all’autorità di vigilanza (Ministero MIMIT o regionale) affinché disponga la liquidazione coatta amministrativa (LCA). Dunque, la liquidazione volontaria di una cooperativa insolvente non prosegue come volontaria: viene convertita in coatta amministrativa.
Questo passaggio è stato confermato dal nuovo Codice della Crisi: l’art. 295 CCII stabilisce che le imprese soggette a LCA non sono soggette a liquidazione giudiziale (fallimento), salvo diversa disposizione, e quando la legge ammette entrambe le procedure (LCA e fallimento) prevale quella iniziata per prima. Nel caso delle cooperative sociali, la legge speciale non ammette il fallimento (come vedremo), quindi se in liquidazione volontaria c’è insolvenza, bisognerà necessariamente attivare la LCA.
Scioglimento per atto dell’autorità: accenniamo brevemente che le cooperative possono essere sciolte d’ufficio dall’autorità governativa per ragioni non necessariamente legate all’insolvenza, ad esempio per atto dell’autorità (art. 2545-septiesdecies c.c.) in caso di gravi irregolarità gestionali, inattività protratta, numero di soci sceso sotto il minimo, mancato deposito bilanci per oltre 2 anni, ecc.. In tali casi il provvedimento di scioglimento può essere emanato dal Ministero e contestualmente vengono nominati i liquidatori coattivamente, anche se la cooperativa non voleva sciogliersi. Questo è un potere di vigilanza. Lo scioglimento d’autorità può avvenire anche senza insolvenza (es. coop inattiva ma con patrimonio in attivo). Se la cooperativa sciolta d’autorità non è insolvente, la liquidazione proseguirà come una normale liquidazione amministrata però da liquidatori ministeriali (paga tutti i debiti e devolve l’eventuale attivo residuo). Se invece l’ente era insolvente, lo scioglimento d’autorità di fatto coincide con l’apertura di una LCA (liquidazione coatta) per insolvenza. La differenza è sottile: tecnicamente ci sono due fattispecie, ma al lato pratico se c’è insolvenza l’atto di scioglimento viene adottato “per insolvenza ex art. 2545-terdecies c.c.” e si parla di LCA. Se non c’è insolvenza, rimane “scioglimento con liquidazione ordinaria in gestione commissariale”: in tal caso, attenzione, il Fondo di garanzia INPS non interviene, perché non è concorsuale la procedura. Dunque, per i lavoratori è importante capire se l’ente è stato sciolto perché insolvente (LCA) o per altre cause (solo liquidazione amministrativa): solo nel primo caso scatta la tutela del Fondo.
In entrambi i casi, comunque, vale quanto segue: i debiti della cooperativa verranno soddisfatti con l’attivo disponibile e secondo i gradi di privilegio; se l’attivo è insufficiente, i creditori rimarranno parzialmente insoddisfatti e la cooperativa verrà cancellata una volta esaurito l’attivo. I soci non dovranno versare altro (salvo abbiano ricevuto rimborsi di quota nell’ultimo anno, come già illustrato, che in LCA il commissario potrebbe chiedere indietro).
Chiusura della liquidazione: completate le operazioni, il liquidatore redige un bilancio finale e un piano di riparto (in cooperativa sociale in genere il piano di riparto per i soci riguarda solo l’eventuale capitale residuo, il resto ai fondi mutualistici). L’assemblea approva il bilancio finale. La cooperativa viene cancellata dal registro imprese. Questo estingue la società. I creditori insoddisfatti, se esistenti, non possono più agire contro la società (che non esiste più) ma solo far valere la responsabilità di liquidatori o soci nei casi particolari previsti da legge (art. 2495 c.c. – ad es. se un credito era stato omesso in liquidazione, possono chiedere ai soci pro quota quanto da questi ricevuto, entro un anno dalla cancellazione; se il liquidatore ha colpa, possono agire contro di lui). Nel contesto cooperativo, ciò si innesta con art. 2536 c.c. per i soci (un anno etc. come visto) e con l’art. 36 DPR 602/73 per fisco e contributi (unico caso dove, come detto, l’agente della riscossione può agire anche dopo la cancellazione, entro specifici termini, verso soci e liquidatori).
3.3 Liquidazione coatta amministrativa (LCA) delle cooperative sociali insolventi
La liquidazione coatta amministrativa è la procedura concorsuale prevista per alcuni enti particolari (banche, assicurazioni, cooperative, etc.), alternativa al fallimento. È disciplinata dalle leggi speciali e oggi anche dal Titolo V del Codice della Crisi (artt. 289-297 CCII). Per le società cooperative, l’art. 2545-terdecies c.c. disponeva (testo vigente ante 2017): “In caso di insolvenza l’autorità di vigilanza dispone la liquidazione coatta amministrativa. Le cooperative che svolgono attività commerciale sono soggette anche al fallimento” (in sintesi). Questo significava: per tutte le coop insolventi il Ministero doveva avviare LCA; ma se la coop era commerciale (cioè non mutualità prevalente), poteva concorrere il fallimento (in pratica, se prima falliva su istanza di creditori, la LCA non aveva luogo, e viceversa, criterio di prevenzione).
Con la riforma 2017 dell’impresa sociale, però, tale scenario è cambiato per le cooperative sociali: sono sempre soggette a LCA in caso di insolvenza e non fallibili, come chiarito da Cassazione n. 29801/2023. Questo lo approfondiamo fra poco (punto 3.4). Intanto descriviamo cos’è la LCA in concreto:
- L’autorità competente (per coop sociali nazionali è il Ministero dello Sviluppo Economico, ora MIMIT; per alcune cooperative locali vi sono deleghe alle Regioni) accerta lo stato di insolvenza della cooperativa. Tipicamente ciò avviene su segnalazione: un tribunale può trasmettere atti al Ministero se qualcuno chiede fallimento di un ente non fallibile; oppure i creditori o gli ispettori possono segnalare che la coop non paga i debiti. Se riscontra l’insolvenza (incapacità di pagare stabilmente i debiti), l’autorità emette decreto di liquidazione coatta amministrativa, sciogliendo la società e nominandone i commissari liquidatori.
- Il decreto di LCA è pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Da quel momento, come nel fallimento, si apre una procedura concorsuale: i creditori devono presentare domanda di ammissione al passivo ai liquidatori entro una certa data (il Codice della Crisi prevede termini analoghi a fallimento, con udienza per l’esame dello stato passivo davanti ad un giudice delegato nominato dal tribunale in supporto).
- Sì, perché pur essendo “amministrativa”, la LCA coinvolge anche l’autorità giudiziaria: il tribunale nomina un giudice delegato e un comitato di sorveglianza (quest’ultimo solitamente 3 membri rappresentanti creditori e soci). Il commissario redige l’elenco dei crediti, e lo stato passivo viene approvato (nel vecchio regime L.F. c’era l’omologazione ministeriale, ora il CCII prevede comunque un intervento del GD).
- La LCA procede poi similmente al fallimento: i commissari liquidatori liquidano l’attivo, vendono beni, riscuotono crediti, e periodicamente distribuiscono ai creditori acconti secondo le cause di prelazione, con piani di riparto approvati dal GD. I creditori in LCA sono vincolati dal par condicio e non possono iniziare né proseguire azioni esecutive individuali (c’è un blocco delle azioni come in fallimento).
- Durante la LCA, gli amministratori deceduti perdono i poteri e la rappresentanza passa ai commissari. Eventuali azioni di responsabilità contro amministratori/sindaci possono essere promosse dai commissari con l’autorizzazione del Ministero (che di solito la dà su conforme parere del comitato di sorveglianza).
- I contratti di lavoro si intendono risolti ex lege alla data della LCA, ma i dipendenti maturano diritto alle indennità di legge (TFR, ecc.) che saranno pagate a parte dal Fondo di Garanzia come detto.
- La cooperativa in LCA può, se autorizzato, proseguire temporaneamente l’esercizio d’impresa (esercizio provvisorio) se utile per liquidare meglio o per esigenze sociali (ad esempio, se è una coop sociale che gestisce una casa di riposo, il Ministero può autorizzare i commissari a continuare per qualche mese finché non subentra altra gestione, per tutelare gli anziani). Però questo è limitato: di norma la LCA punta a chiudere baracca il prima possibile.
- Terminata la liquidazione (venduti i beni, incassati eventuali crediti, riscosse azioni di responsabilità ecc.), i commissari redigono un bilancio finale e un piano di riparto finale. Viene emanato il decreto di chiusura LCA dal Ministero, e si procede alla cancellazione della cooperativa dal registro imprese. I creditori non soddisfatti perdono la possibilità di attaccare ex novo la società (che non esiste più). Potrebbero – come in fallimento – fare cause residuali contro i liquidatori se hanno violato leggi (ma in LCA i commissari sono pubblici ufficiali sotto vigilanza).
- La percentuale di soddisfo ai creditori dipende dall’attivo e dal passivo. I creditori privilegiati spesso recuperano di più, i chirografari un tot percento, a volte nulla se il passivo è enorme.
- I soci in LCA non ricevono nulla in genere (perché se c’è attivo residuo dopo aver pagato tutti, si devolve ai fondi mutualistici, come da legge; se la coop era non prevalente ci sarebbe scenario di distribuzione, ma in insolvenza non accade mai che avanzi qualcosa dopo pagare tutti creditori).
Differenze tra LCA e fallimento: per il creditore, la procedura è simile (deve insinuarsi e aspetta). Per i soci e amministratori, dal punto di vista patrimoniale, è analoga (società liquida i beni e paga debiti; loro non pagano nulla oltre). Dal punto di vista penale, la LCA è equiparata al fallimento: infatti il Codice della Crisi e prima la legge fall. stabiliscono che gli stessi reati di bancarotta e altri si applicano anche in LCA. Il vecchio art. 236 L.F. e ora nel CCII (parte penale è rimasta, sebbene fuori dal codice, ma di certo la bancarotta si applica a chi è dichiarato insolvente in LCA). Quindi i responsabili della cooperativa sociale insolvente possono essere incriminati per bancarotta fraudolenta o semplice, esattamente come se la società fosse fallita, con la differenza che l’accusa formulerà “bancarotta fraudolenta in liquidazione coatta amministrativa” ma la sostanza è identica. Su questo non c’è immunità (vedi parte 4).
Insolvenza da Covid o straordinaria: segnalo solo che in periodi come la pandemia, il legislatore ha introdotto misure di sostegno e sospeso obblighi di scioglimento per perdite; alcune coop sociali hanno beneficiato di fondi straordinari. Ma se, nonostante tutto, la cooperativa è insolvente, la LCA è l’epilogo naturale.
Costo sociale: la LCA di cooperative sociali è delicata perché spesso forniscono servizi essenziali (disabili, minori, ecc.). Per questo a volte le istituzioni cercano di evitarla spingendo per fusioni o affidamenti ad altre coop prima che succeda il crack. Tuttavia, in termini giuridici, la LCA resta la procedura designata dal legislatore per chiudere queste situazioni, bilanciando la tutela dei creditori con la particolarità dell’ente.
Riassumendo, la cooperativa sociale insolvente viene sottoposta a liquidazione coatta amministrativa decisa dall’autorità pubblica, i cui costi e oneri sono simili al fallimento ma con gestione ministeriale. I creditori recuperano ciò che l’attivo consente. I soci perdono le quote e l’azienda viene estinta.
3.4 Fallimento (liquidazione giudiziale) e cooperative sociali: è possibile?
Il termine fallimento in senso tecnico dal 15 luglio 2022 è stato sostituito da liquidazione giudiziale (LG) dal Codice della Crisi. Resta però comune dire “fallimento” per intendere la procedura concorsuale ordinaria davanti al tribunale. La domanda cruciale è: una cooperativa sociale può essere dichiarata fallita (ora liquidata giudizialmente) dal Tribunale?
La risposta, alla luce della normativa vigente aggiornata a giugno 2025 e delle pronunce più recenti, è NO: le cooperative sociali, in quanto imprese sociali di diritto, non possono essere assoggettate a liquidazione giudiziale (fallimento). Devono invece essere sottoposte a liquidazione coatta amministrativa in caso di insolvenza.
Questa conclusione deriva da:
- Art. 1 comma 4 D.Lgs. 112/2017: “le cooperative sociali e i loro consorzi … acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali”.
- Art. 14 comma 1 D.Lgs. 112/2017: “in caso di insolvenza, le imprese sociali sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa”.
- Abrogazione del previgente art. 15 della L. 118/2005 (che prima ammetteva il fallimento delle imprese sociali normali oltre LCA; il nuovo art.14 esclude espressamente il fallimento).
- Cassazione civile Sez. I, n. 29801 del 27/10/2023: ha statuito chiaramente che la cooperativa sociale, essendo impresa sociale ex lege, non può essere dichiarata fallita, poiché la disciplina speciale (art.14 D.Lgs.112/17) prevale su quella generale delle cooperative (art.2545-terdecies c.c.). La Cassazione ha sottolineato che l’art. 2545-terdecies c.c. prevedeva anche il fallimento, ma l’art. 14 citato “non ammette anche la procedura di fallimento” e dunque la cooperativa sociale gode di regime “speciale e privilegiato”. In altre parole, con il 2017 il legislatore ha voluto premiare le coop sociali escludendole dal fallimento giudiziario, mantenendo solo la LCA amministrativa.
- Cassazione civile Sez. I, n. 33280 del 29/11/2023: ha ribadito il concetto (sentenza gemella, in un altro caso). Vi è anche una Corte d’Appello di Catania, sent. n. 632/2025 che in sede di reclamo ha annullato un fallimento erroneamente aperto contro una coop sociale onlus, richiamando proprio l’art. 14 D.Lgs. 112/17 e l’art. 295 CCII. In quella vicenda, inizialmente un tribunale aveva aperto la liquidazione giudiziale di una coop sociale, ma la Corte d’Appello l’ha revocata perché la legge speciale imponeva LCA e l’art. 295 CCII vieta doppio binario se soggetta a LCA.
- Nota congiunta Ministero Lavoro e MiSE n. 1095/2019: (citata dalla Cassazione) ha chiarito fin dall’entrata in vigore del D.Lgs.112/17 che tutte le cooperative sociali, iscritte all’Albo cooperative, sono imprese sociali di diritto, indipendentemente da scelte formali, e quindi non ce ne sono più di escluse. Addirittura, se una coop sociale non aveva fatto l’annotazione di impresa sociale al Registro Imprese, le Camere di Commercio l’hanno iscritta d’ufficio nella sezione imprese sociali.
Il risultato operativo: se un creditore presenta istanza di fallimento contro una cooperativa sociale insolvente, il tribunale deve rigettarla per improcedibilità, in quanto il soggetto non è fallibile. Invece, il creditore dovrebbe segnalare l’insolvenza al Ministero o al competente ufficio (Camere di Commercio, etc.) perché attivi la LCA.
Che succede se un tribunale dichiara fallita per errore una coop sociale? – Come nel caso di Ragusa 2025, la cooperativa può proporre reclamo e ottenere la revoca, oppure la stessa Procura può segnalare l’errore. L’art. 295 CCII, come visto, prevede che se esiste soggezione a LCA, non si deve aprire la liquidazione giudiziale.
Anche la Cass. n. 32992/2023 (massimata da qualche parte) ha escluso la fallibilità delle coop sociali L.381/91.
Perché questa differenza? – L’idea è che le imprese sociali (incluse coop sociali) avendo finalità non profit e regimi agevolati, dovessero essere sottratte al fallimento, considerato più penalizzante come stigma e come procedura giudiziaria, preferendo l’approccio “amministrativo” magari più attento al perseguimento dei fini sociali residui. Inoltre, le imprese sociali non distribuiscono utili, dunque il legislatore ha ritenuto giusto differenziarle dalle normali imprese lucrative quanto a trattamento della crisi.
E se la cooperativa sociale svolgeva molta attività “commerciale” con terzi non soci? – Non rileva: tutte le cooperative sociali, per il solo fatto di essere qualificate tali dalla legge, sono imprese sociali e quindi fuori dal fallimento, a prescindere dalla prevalenza mutualistica effettiva. Anche una coop sociale molto imprenditoriale (es. un tipo B con commesse sul mercato) segue lo stesso regime.
Possibilità di concordato preventivo o altre procedure per le coop sociali: come accennato sopra, qui c’è un piccolo vuoto normativo: l’art. 14 D.Lgs.112/17 dice “in caso di insolvenza → LCA”, ma non menziona concordato. L’art. 2545-terdecies c.c., letteralmente, nominava anche il fallimento (ora superato). Il CCII consente l’accesso al concordato agli “imprenditori commerciali” (escludendo dunque soggetti non fallibili). L’impresa sociale coop sociale, pur essendo imprenditore di fatto, non è fallibile, però è soggetta a LCA (che è comunque una procedura concorsuale). In teoria nulla vieterebbe di applicare l’art. 23 CCII (“accesso alle procedure di regolazione della crisi e insolvenza”) pure a imprese soggette a LCA, se la legge speciale non lo esclude espressamente. Non c’è ancora giurisprudenza consolidata su una coop sociale che abbia tentato un concordato preventivo: potrebbe essere una questione controversa. L’interpretazione più logica è che il concordato preventivo non sia praticabile per le cooperative sociali, perché lo scopo di quell’art. 14 era convogliare ogni soluzione di insolvenza nell’alveo amministrativo. Tuttavia, se una coop sociale propone un concordato prima che l’autorità disponga LCA, ci sarà conflitto di norme. Potrebbe darsi che se il concordato va a buon fine e paga tutti, il tema non si ponga; se fallisce il concordato, si aprirà LCA. È un’area dove la prassi nei prossimi anni darà risposte.
Per l’utente medio, comunque, il concetto chiave è: la cooperativa sociale non “fallisce” in tribunale, ma viene messa in liquidazione dal Ministero. Ciò comporta alcune differenze pratiche:
- Nessuna dichiarazione di fallimento pubblicata ovunque con relativo stigma, ma un provvedimento amministrativo (comunque pubblico) di LCA.
- I curatori vengono detti commissari liquidatori e rispondono al Ministero.
- I tempi e modi sono simili (a volte LCA è pure più lenta del fallimento, a onor del vero).
- I costi di procedura sono comparabili. I creditori non hanno il diritto di voto su un eventuale concordato come in fallimento (in LCA non c’è voto, è liquidazione pura salvo proposte concordatarie di chiusura LCA se previste).
- Penalmente, come detto, nulla cambia: i reati di bancarotta si applicano anche senza “fallimento” giudiziario.
Cosa succede ai creditori se per errore non venisse aperta LCA né fallimento? – In astratto, se nessuno attiva LCA e la coop è insolvente, i creditori potrebbero tentare azioni esecutive individuali finché c’è qualcosa da pignorare. Ma data la vigilanza pubblica, di solito l’LCA viene attivata d’ufficio presto o tardi.
Statuto e clausole di fallimento: alcune coop vecchi statuti prevedevano “la società può essere assoggettata a fallimento se svolge attività commerciale”. Tali clausole sono superate dalla legge 2017.
In conclusione, a giugno 2025 una cooperativa sociale insolvente va in Liquidazione Coatta Amministrativa, non in liquidazione giudiziale (fallimento). I soci e i creditori devono dunque rapportarsi con il Ministero e i commissari, non con un tribunale fallimentare (anche se c’è un giudice delegato nominato per verifica crediti). I soci non rispondono in nessuno dei due casi (fallimento o LCA), quindi per loro poco cambia in termini patrimoniali; ma per gli amministratori il non fallire non li esime dalle responsabilità: come detto risponderanno di bancarotta in LCA allo stesso modo, e i liquidatori potranno citarli per danni.
FAQ: “Ma se la cooperativa sociale non fallisce, i creditori non corrono il rischio che l’autorità non apra LCA e loro restino a bocca asciutta?” – In teoria no: l’art. 2545-terdecies c.c. e ora l’art. 14 D.Lgs.112 impongono all’autorità di intervenire (“dispone la LCA” dice la norma, atto dovuto se c’è insolvenza). Se un creditore vede inerzia, può sollecitare con diffida e, in ultima ratio, ricorrere al TAR per costringere il Ministero a decidere. In passato rare controversie così sono sorte, ma di solito il MIMIT non ha interesse a lasciar marcire la cosa.
Caso borderline: cooperativa sociale non iscritta come impresa sociale (per assurdo): come detto, la qualifica scatta ex lege, anche se la cooperativa per assurdo avesse omesso di dichiararlo. Dunque non c’è scappatoia, tutte rientrano.
Cooperative sociali di credito? Non esistono; se fosse banca o sim sarebbe altra categoria.
Chiudiamo questo capitolo con la certezza giuridica: nessun socio di cooperativa sociale dovrà mai dire “la mia cooperativa è fallita” ma dovrà dire “è stata posta in liquidazione coatta amministrativa” – formalità a parte, per il pubblico suona quasi meglio perché “fallimento” ha un’accezione più negativa. Ma gli effetti per creditori e dipendenti, purtroppo, sono analoghi: la società cessa e i crediti rimangono in buona parte insoddisfatti se il patrimonio non era sufficiente.
4. Responsabilità penale per una cattiva gestione della cooperativa
La gestione scorretta o fraudolenta di una cooperativa sociale può esporre gli amministratori (e in taluni casi altri soggetti, come direttori generali o sindaci) a responsabilità penali. I reati che tipicamente possono venire in rilievo nel contesto di una crisi o di irregolarità contabili-fiscali di cooperative sociali sono:
- False comunicazioni sociali (il cosiddetto “falso in bilancio”);
- Bancarotta fraudolenta o semplice e altri reati fallimentari (applicabili in caso di liquidazione coatta amministrativa per insolvenza, come visto);
- Omessi versamenti di imposte dovute (IVA, ritenute) e omessi versamenti di contributi previdenziali, quando superano le soglie di punibilità;
- Altre fattispecie connesse: es. malversazione ai danni dello Stato (se la cooperativa distrae fondi pubblici ricevuti per progetti sociali), truffa (se ottiene finanziamenti con artifizi), autoriciclaggio (se i proventi illeciti vengono ripuliti), ecc. Anche reati come documenti contabili falsi o distrutti rientrano nel quadro (forma di bancarotta fraudolenta documentale).
- Reati in materia di lavoro e sicurezza: es. sfruttamento del lavoro (caporalato) se dovesse verificarsi – ipotesi estrema ma da menzionare, considerato che alcune “false cooperative” sono state scoperte a sfruttare lavoratori sottopagati.
Qui di seguito analizziamo i principali reati nominati nell’elenco fornito (false comunicazioni sociali, bancarotta, omessi versamenti) e la loro applicazione alle cooperative sociali. Ricordiamo che, in generale, la cooperativa come ente non è soggetta a sanzioni penali (in Italia vige la responsabilità penale personale; semmai può scattare la responsabilità amministrativa d’ente ex D.Lgs.231/01 per alcuni reati commessi dal management nell’interesse sociale – ma per i reati fiscali e fallimentari attualmente non si applica la 231). Quindi parliamo di responsabilità penale delle persone fisiche (amministratori, liquidatori, persone che hanno commesso il fatto). I soci semplici, di regola, non hanno coinvolgimento penale se non partecipano attivamente a fatti illeciti.
4.1 False comunicazioni sociali (falso in bilancio) e reati societari affini
Le false comunicazioni sociali sono il reato previsto dagli artt. 2621-2622 del Codice Civile (come riformulati dal D.Lgs. 61/2002 e L. 69/2015), che punisce gli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori che, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico, espongono consapevolmente fatti materiali falsi o omettono fatti veri nei bilanci, relazioni o altre comunicazioni sociali, in modo idoneo a indurre in errore. In parole semplici, è il reato di falso in bilancio.
Applicabilità alle cooperative sociali: le cooperative, in quanto società (generalmente per azioni a capitale variabile), rientrano nell’ambito soggettivo della norma. La L. 69/2015 ha eliminato soglie di non punibilità quantitativa e la necessità di querela per le non quotate: oggi il falso in bilancio è procedibile d’ufficio anche per società non quotate, punito con la reclusione da 1 a 5 anni (se il fatto è di lieve entità, reclusione fino a 2 anni, con soglia di tenuità nel caso di scostamenti minimi). Dunque, se gli amministratori di una cooperativa sociale redigono un bilancio falso, ad esempio occultando perdite con artifici contabili o gonfiando l’attivo per nascondere il dissesto, possono essere incriminati per questo reato. Ciò vale a prescindere dal fatto che la cooperativa sia piccola, media o grande; non c’è più la necessità di “società per azioni” come un tempo – basta che sia un soggetto societario tenuto a bilancio (le cooperative lo sono). Le cooperative sociali redigono per legge un bilancio annuale da depositare all’Albo cooperative e Registro Imprese, quindi c’è il presupposto del reato.
Esempi concreti: supponiamo che una coop sociale presenti nei bilanci 2019-2020 crediti verso clienti inesistenti per €200.000 per mascherare ammanchi di cassa dovuti a prelievi indebiti. Questo è un falso (fatti materiali non rispondenti al vero) rilevante. Oppure se omette di indicare un debito enorme in bilancio (es. non registra un mutuo acceso, alterando i conti) per far risultare il patrimonio netto a posto, anche quello è falso per omissione di informazioni dovute. Tali condotte, se dolose e destinate a ingannare i soci finanziatori o il pubblico (creditori, ecc.), integrano il reato. Non occorre che ci sia un danno patrimoniale concreto per scattare la punibilità; è sufficiente l’idoneità ingannatoria.
Nel contesto delle coop sociali, spesso i “soci” non sono investitori speculativi ma lavoratori o volontari; tuttavia anche ingannare i soci lavoratori (che magari continuano a lavorare ignari della reale crisi) è rilevante per la norma. Inoltre, potenziali creditori come banche possono essere fuorviati da bilanci abbelliti, concedendo credito indebitamente: ciò integra l’intento di ingannare il pubblico.
Soggetti attivi: prevalentemente gli amministratori (il CDA e il presidente che firmano il bilancio). I sindaci rispondono se concorrono (ad es. attestando bilanci che sanno falsi). Nelle cooperative spesso c’è il Revisore Legale: se costui assevera un bilancio falso colludendo, può rispondere di concorso nel reato (in passato c’era reato specifico di falso del revisore – art. 27 D.Lgs.39/2010 – ma attualmente c’è responsabilità generica come concorso).
Pena e perseguibilità: come detto 1-5 anni (non c’è sospensione condizionale facile se condannati a oltre 2 anni). Procedibilità d’ufficio (nessuno deve sporgere querela, può partire da segnalazione di revisori, da relazione del curatore in caso di fallimento, o da controlli di organi ministeriali – le revisioni cooperative ministeriali potrebbero rilevare irregolarità di bilancio e segnalarle in procura).
Collegamento con lo stato di insolvenza: spesso il falso in bilancio è commesso proprio per nascondere uno stato di crisi o insolvenza, per ritardare l’inevitabile. Questo è tipico preludio poi alla bancarotta: quando la cooperativa crolla e si apre LCA, emergono i buchi mascherati. In tal caso gli amministratori risponderanno sia di falso in bilancio (per gli anni pregressi) sia di bancarotta fraudolenta per aver aggravato e nascosto la dissesto. I due reati concorrono.
Altri reati societari affini: se gli amministratori hanno anche sottratto risorse ai soci o ai creditori, possono rilevare altre fattispecie del codice civile: ad esempio:
- Infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.): amministratore che, avendo interesse proprio o altrui in conflitto, compie atti a danno della società (es. cede un bene sociale sottocosto a un amico). Reato punibile a querela della società. Difficile da veder contestato, ma possibile.
- Formazione fittizia del capitale (art. 2632 c.c.): se avessero creato capitale sociale “gonfiato” con soci compiacenti che non versano davvero. Poco pertinente alle coop sociali, dato che il capitale è variabile e spesso basso.
- Indebita restituzione dei conferimenti (art. 2626 c.c.): se avessero rimborsato quote ai soci violando i limiti legali (ad esempio restituendo quote quando c’erano perdite). In cooperativa c’è specifico divieto di rimborso quote se pregiudica il capitale (2535 c.c. in pratica). Anche questo reato, procedibile a querela, è raro ma ipotizzabile in cooperative sregolate.
- Omessa convocazione di assemblea in perdite rilevanti (art. 2625 c.c.)? Non proprio, l’omessa convocazione assemblee e impedito controllo (art. 2625) è reato minore, punito a querela se gli amministratori occultano documenti ai sindaci o ai soci deliberatamente. Possibile se soci lavoratori volevano vederci chiaro e il CDA li ostacola.
In generale però, i reati societari che emergono con più forza sono proprio falso in bilancio e illeciti in fase di crisi come bancarotta.
Conclusione: gli amministratori delle cooperative sociali devono osservare la massima correttezza nel redigere bilanci e comunicazioni. Se tentano di truccare i conti, rischiano procedimenti penali e condanne. Ciò indipendentemente dal fatto che la cooperativa sia piccola e “non profit”: la Cassazione ha affermato che anche le cooperative, benché mutualistiche, devono fornire una rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria, pena l’integrazione del reato di falso.
4.2 Reati di bancarotta e altri reati concorsuali
La bancarotta fraudolenta è forse il reato più grave tra quelli di cui discutiamo, ed è strettamente connessa a una procedura concorsuale (fallimento o liquidazione coatta). Abbiamo già spiegato che, malgrado la cooperativa sociale non “fallisca” formalmente, se finisce in LCA per insolvenza ai fini penali è equiparata: l’art. 236 L.F. (ancora in vigore per le fattispecie penali, rinviate dal CCII) dispone l’applicazione degli art. 216 ss. L.F. anche alle procedure di LCA. In altre parole, gli amministratori, i direttori, i sindaci, i liquidatori di una cooperativa sociale insolvente possono essere imputati di bancarotta esattamente come in un fallimento.
I tipi di bancarotta rilevanti:
- Bancarotta fraudolenta patrimoniale: se prima o durante la procedura l’amministratore ha sottratto, distratto, dissipato beni sociali, oppure li ha occultati ai creditori. Esempio: il presidente preleva 50.000 € dalla cassa e li fa sparire (distrazione); oppure regala un veicolo della cooperativa al cugino prima del fallimento (dissipazione); o simula la vendita di un immobile a prezzo irrisorio a una società amica (distrazione fraudolenta). Tutte queste condotte, che causano un depauperamento dell’attivo a danno dei creditori, configurano bancarotta fraudolenta patrimoniale. Pena: reclusione da 3 a 10 anni.
- Bancarotta fraudolenta documentale: se l’amministratore ha falsificato o distrutto/nascosto in tutto o in parte le scritture contabili, o tenuto contabilità in maniera da non capire più niente, al fine di ostacolare la ricostruzione del patrimonio e dei movimenti. Esempio: brucia i libri contabili, cancella i files del gestionale, tiene “doppie” scritture false per mascherare prelievi. Pena: 3 a 10 anni, come la patrimoniale, di solito contestata congiuntamente se vi sono entrambe le condotte.
- Bancarotta preferenziale: se, a dissesto già in atto, l’amministratore paga un creditore a scapito di altri in violazione della par condicio, con intenzione di favorirlo. Caso tipico: prima di andare in liquidazione coatta, il presidente paga integralmente il debito verso un fornitore amico (o verso la banca di cui è garante) e lascia gli altri a zero. Ciò è punito con la stessa pena della bancarotta semplice (fino a 2 anni), se però il fatto è di rilevante gravità può configurarsi come fraudolenta (discutibile).
- Bancarotta semplice: figure minori punite più lievemente (fino a 2 anni). Esempi: ha aggravato il dissesto per spese imprudenti, ha ritardato la richiesta di procedura aggravando il buco, oppure non ha tenuto i libri in ordine per negligenza (senza dolo). La semplice è spesso contestata in concorso con la fraudolenta in via subordinata.
- Altri reati del fallito: come l’omessa dichiarazione di credito, l’esposizione di crediti inesistenti (ma questi si riferiscono a creditori fraudolenti, non agli amministratori).
- Ricorso abusivo al credito (art. 218 L.F.): se prima del fallimento l’amm.re ha continuato a fare debiti sapendo di non poter pagare, può configurarsi (pena bassa, raramente contestato se c’è già bancarotta).
- Denuncia di creditori inesistenti (art. 220): se hanno simulato debiti in contabilità per giustificare ammanchi (es. fingono un debito verso un fornitore fittizio). Questo può essere contestato se rileva.
Applicazione pratica alle coop sociali: immaginando situazioni reali:
- Un amministratore vede che la coop è spacciata e, prima di “fallire”, sposta i beni rimasti a un’altra cooperativa neonata di amici, vendendoglieli per un euro (così li toglie dalla massa attiva). Questo è textbook bancarotta fraudolenta (distrazione di attivo).
- Oppure l’amministratore incassa dai clienti negli ultimi mesi e quei soldi li dirotta sul proprio conto o li usa per scopi non aziendali: distrazione.
- O ancora, non si trova più la cassa né la documentazione perché li ha fatti sparire: ecco la bancarotta fraud. documentale.
- Spesso nelle cooperative in collasso spunta anche la preferenziale: l’admin paga prima i debiti verso il Fisco o verso la banca garantita da lui, lasciando indietro stipendi o fornitori. Ciò configurerebbe bancarotta preferenziale (punita con 1-5 anni se con dolo di favorire un creditore a detrimento di altri).
Notare che i reati di bancarotta scattano solo se c’è procedura concorsuale (fallimento o LCA). Se la cooperativa è chiusa senza procedura (caso improbabile per coop sociali medio-grandi, ma se fosse una microcoop non rilevata, la bancarotta non si applica). Quindi l’apertura della LCA “abilita” la contestazione di tali reati. Spesso è il commissario liquidatore che, esaminati i conti, farà rapporto alla Procura segnalando eventuali fatti di rilievo penale (art. 331 c.p.p. dovere di denuncia).
Chi ne risponde: gli amministratori (anche non soci) in carica nel periodo in cui i fatti sono avvenuti. Se la coop aveva un direttore generale che di fatto gestiva e ha compiuto le azioni, può essere ritenuto correo. I membri del CdA possono dire “non sapevo”, ma se erano consapevoli o hanno approvato bilanci falsi, etc., rischiano. I sindaci rispondono per bancarotta solo in casi di concorso se ad esempio hanno agevolato la distruzione delle scritture (complicità non comune). I soci cooperatori di base no, a meno che qualche socio abbia istigato l’amministratore a frodare (allora concorso eventuale).
Pene: la bancarotta fraudolenta prevede pene elevate (fino a 10 anni). Ciò porta sovente alla custodia cautelare in casi gravi di distrazioni ingenti, anche in cooperativa sociale (ci sono stati casi di coop sociali usate come schermo per frodi, i responsabili sono stati arrestati e condannati severamente). La bancarotta semplice e preferenziale hanno pene minori (massimo 2 anni, spesso poi prescritte o condonate), ma la contestazione di fraudolenta copre quasi tutto se c’è dolo.
Esempio giurisprudenziale: se un presidente di coop sociale sposta soldi su conti esteri e poi la coop fallisce, verrà condannato per bancarotta fraudolenta patrimoniale con pena magari di 4-6 anni. Ci sono sentenze di Cassazione su cooperative (non necessariamente sociali, ma stesse regole). Non c’è indulgenza perché “opera nel sociale”: la legge è uguale.
Altri reati connessi alla crisi:
- Preferenze ai soci a scapito creditori: in cooperativa a mutualità prevalente non si possono distribuire riserve, ma se l’hanno fatto prima del crack (illecito civile), penalmente potrebbe integrarsi la bancarotta preferenziale se quei soldi dovevano restare a creditori. Non v’è fattispecie ad hoc, ma la preferenziale può essere estesa se consideriamo i soci come creditori? Non esattamente. Tuttavia, se i soci poco prima dell’insolvenza deliberano rimborsi anticipati di quote o distribuzioni anomale, oltre a doverli restituire civilmente (art. 2536 c.c.), l’amministratore che li ha autorizzati potrebbe rispondere di codista come distrazione.
- Malversazione ai danni dello Stato (art. 316-bis c.p.): questo reato punisce chi, avendo ottenuto contributi pubblici destinati a una certa attività, non li destina a quell’attività. In una cooperativa sociale, se ad esempio riceve un finanziamento pubblico per un progetto di integrazione e invece gli amministratori spendono i soldi in altri scopi o se li dividono, potrebbe configurarsi questo reato (pena da 6 mesi a 4 anni). È indipendente dal fallimento e spesso contestato se i fondi pubblici vanno persi (anche la Corte dei Conti può intervenire parallelamente). Caso vero: coop sociale che riceve fondi regionali per corsi professionali e non li fa e sparisce il denaro – amministratori imputati di malversazione.
- Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.): se la cooperativa con artifici ottiene erogazioni pubbliche non dovute (es. falsifica i requisiti per accedere a contributi, presenta rendiconti falsi per farsi liquidare più denaro). Essendo ente privato, i responsabili sono gli admin (pena fino a 7 anni). Esempio: coop sociale che “gonfia” il numero di disabili assistiti in un rendiconto al Comune per ottenere rimborsi più alti – può configurare truffa aggravata.
- Caporalato (art. 603-bis c.p.): improbabile per coop sociali genuine, ma purtroppo esistono pseudo-cooperative sociali sfruttatrici (ad es. nei servizi di facchinaggio camuffati). Se costringono soci-lavoratori ad accettare paghe misere con minacce o approfittamento, è intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, con pene severe. Il fatto che siano “soci” non esclude affatto la fattispecie se c’è stato reclutamento e imposizione di condizioni degradanti. Ci sono stati casi denunciati di cooperative “spurie” usate per abbattere salari – i dirigenti incriminati per caporalato.
- Reati tributari collegati alla crisi: li trattiamo nel prossimo paragrafo, ma accenniamo che se la cooperativa, in affanno di liquidità, non paga l’IVA o le ritenute e supera le soglie, il rappresentante legale commette reato (omesso versamento). Questi reati spesso accompagnano le procedure concorsuali: il curatore/commissario segnala che ci sono debiti IVA oltre soglia e quindi la Procura aggiunge il capo di imputazione di omesso versamento IVA oltre a bancarotta. C’è concorso formale di reati: es. Tizio sarà accusato di bancarotta fraudolenta e contemporaneamente di omesso versamento IVA per tot importo. Le due sanzioni poi si cumulano (entro eventuali limiti se c’è continuazione).
In sintesi, gli amministratori di cooperativa sociale rispondono penalmente delle proprie malefatte come qualsiasi amministratore societario. La qualifica di impresa sociale non li esime da nulla sul piano penale; anzi, vi è un paradosso: escludendoli dal fallimento giudiziario, la legge impedisce ai creditori di chiedere azioni e li affida all’autorità pubblica, ma al tempo stesso la penalità per eventuali condotte scorrette rimane intatta e affidata all’iniziativa penale pubblica. Di solito, in caso di dissesto, la Procura della Repubblica del luogo apre indagini automaticamente quando parte LCA, proprio come nei fallimenti.
Vale la pena citare che nel 2020-2021 e seguenti, diverse Procure hanno indagato su scandali di grandi consorzi di cooperative sociali (es. il “Caso Mafia Capitale” coinvolse coop sociali romane: lì vennero contestati reati di corruzione, mafia, ma anche classiche bancarotte per i fallimenti seguiti). Questo per dire che non c’è indulgenza: se un manager di cooperativa commette reati, il fine sociale non giustifica i mezzi illeciti e verrà punito.
4.3 Omessi versamenti di contributi previdenziali
Come già trattato nella sezione debiti previdenziali, l’omesso versamento delle ritenute contributive configurava un reato specifico se superava una certa soglia annua. Ribadiamo qui gli elementi salienti in ottica di responsabilità penale:
- Norma incriminatrice: art. 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983 (conv. L. 638/83 e succ. mod.). Prevede che il datore di lavoro che non versa le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori entro il termine di legge è punito con la reclusione fino a 3 anni e multa fino a €1.032, a condizione che l’importo omesso ecceda €10.000 annui. Se l’importo omesso è pari o inferiore a €10.000 in un anno, non è reato ma solo illecito amministrativo (sanzione pecuniaria da €10.000 a 50.000).
- Soggetto attivo: il legale rappresentante (presidente o amministratore delegato) della cooperativa, in qualità di datore di lavoro. Può concorrere un direttore del personale se aveva delega e poteri effettivi di pagamento contributi, ma in coop piccole di solito decide il presidente/tesoriere.
- Struttura del reato: è un reato omissivo proprio: consiste nel mancato versamento all’INPS (o altro ente) di somme trattenute al dipendente. Occorre che:
- Il datore abbia effettivamente trattenuto in busta paga i contributi a carico del lavoratore (la cosiddetta “quota dipendente” delle contribuzioni, generalmente ~9% dello stipendio).
- Non li abbia versati entro la scadenza (di solito il 16 del mese successivo).
- La somma omessa, sommando tutti i dipendenti e tutti i mesi dell’anno, superi €10.000.
- Elemento soggettivo: basta il dolo generico, ossia la consapevolezza di non versare. Non serve l’intento di appropriarsi per sempre; anche se non paga perché la coop non ha liquidità, il reato formalmente sussiste. La giurisprudenza ammette come causa di non punibilità l’ “assoluta impossibilità di versare per forza maggiore”, ma è molto restrittiva nell’accoglierla (deve essere provato che davvero non c’erano fondi, neanche richiedibili a terzi, etc. In pratica raramente esonera, perché si considera che il datore avrebbe dovuto accantonare o non trattenere se sapeva di non poter versare).
- Cause estintive: la legge concede una chance di estinzione del reato: il pagamento integrale dei contributi dovuti (oltre sanzioni civili) entro 3 mesi dalla contestazione o notifica di accertamento estingue il reato. In pratica, se l’INPS fa un accertamento o la Guardia di Finanza contesta l’omissione, il datore può correre ai ripari versando tutto entro 3 mesi, ed evita il processo penale. Questo è un forte incentivo a regolarizzare tardivamente. Anche un eventuale pagamento in fase processuale può portare a esiti più miti (non estingue se fuori dai 3 mesi, ma può portare a non punibilità per tenuità o patteggiamento lieve).
- Procedibilità: d’ufficio (nessuno deve sporgere denuncia; l’INPS di solito trasmette i nominativi dei morosi oltre soglia alla Procura, oppure escono fuori in sede di verifica aziendale).
Applicazione alle cooperative sociali: il presidente di una cooperativa sociale che, per difficoltà finanziarie, non versa i contributi dei dipendenti per un anno intero, facilmente supera €10k (bastano ad esempio 5 dipendenti con stipendio medio, la quota trattenuta annua per ciascuno potrebbe essere ~ €3-4k). Dunque scatta il reato. Non importa se quei soldi li ha usati per pagare stipendi netti o altre urgenze: penalmente è comunque appropriazione indebita di contributi altrui. Molti amministratori in buonafede incappano in questa norma quando la coop è in crisi e fanno la scelta “pago gli stipendi netti, salto i contributi, sperando di recuperarli”. È comprensibile umanamente, ma la legge lo sanziona penalmente oltre un certo limite.
Conseguenze: se scoperto, il presidente viene imputato. Tuttavia, spesso in simili situazioni concorrono la bancarotta e l’omesso versamento. Esempio: cooperativa fallisce nel 2025, si scopre che non versava contributi dal 2023, €50k di omissioni: presidente accusato di bancarotta fraudolenta per il dissesto e di omesso versamento contributi >10k per ciascuno degli anni 2023 e 2024. Il tribunale può unire le pene (bancarotta è molto più grave, l’omesso contributi aggiunge fino a 3 anni, ma magari assorbiti nel cumulo).
Differenza tra contributi e imposte: notiamo che la soglia contributi è molto bassa (€10k) e la punibilità alta (fino a 3 anni). Per l’IVA, come vedremo, la soglia è 250k e pena massima 2 anni. Questa differenza storicamente è dovuta a voler proteggere i lavoratori: i contributi trattenuti e non versati sono percepiti come “furto” ai danni del lavoratore e dell’INPS.
Sanzioni amministrative se sotto soglia: se la cooperativa omette €8.000 di contributi in un anno, non è reato ma riceverà una sanzione amministrativa pecuniaria dall’INPS (tra 10k e 50k euro), oltre ovviamente a dover comunque quei contributi. In genere l’INPS prima avvisa con una diffida a regolarizzare in 3 mesi: se pagano, la sanzione è ridotta a 1/4 (normativa L. 120/2020).
Casi particolari: l’art. 2, co.1-bis punisce solo le ritenute non versate. Se la cooperativa non versa anche la quota datore, penalmente rileva comunque? La Cassazione ha chiarito che la punibilità è solo per la quota dipendente trattenuta. La quota a carico del datore se non versata non è reato in sé (ma genera sanzioni civili). Tuttavia, solitamente se non paghi la quota dipendenti, non paghi nemmeno quella datore. L’INPS denuncia il reato per la parte dipendente e il resto resta un inadempimento civile. Il confine è un po’ strano ma è così.
Soggetti equiparati: contributi INPS, INAIL, eventualmente Casse professionali se la coop avesse iscritti (ma qui non c’entra ritenute su retribuzioni, direi irrilevante in coop).
Volontari: non generano contributi, quindi non c’è questo reato. (A parte che volontari non percepiscono nulla).
Liquidatori: se durante la liquidazione la coop non versa i contributi dei dipendenti licenziati (es. TFR al Fondo, ecc.), il liquidatore come datore pro tempore potrebbe incorrere nel reato per il periodo di sua gestione. Ma di solito in LCA i liquidatori non mantengono dipendenti attivi, li licenziano e semmai richiedono l’intervento del Fondo di Garanzia. Quindi quell’aspetto cessa.
Conclusione: il presidente della cooperativa sociale può essere perseguito penalmente se non versa i contributi dei dipendenti sopra la soglia di legge. La punizione massima è 3 anni di reclusione, con possibilità di evitare condanna solo pagando entro termini. Questo reato, benché definito minore rispetto ad altri, è comunque un grosso grattacapo: avere un procedimento penale per contributi mette l’amministratore in posizione di potenziale interdizione (in caso di condanna anche minima c’è l’interdizione dai pubblici uffici, e possibile incapacità a ricoprire ruoli gestionali per qualche tempo). Inoltre, l’iscrizione di notizia di reato per contributi spesso porta a misure cautelari se concomitante con altri illeciti (ad esempio, in un’indagine di bancarotta includono tutto, e se c’è rischio di fuga o di reiterazione, possono scattare arresti domiciliari ecc. Non solo per contributi, ma il quadro complessivo).
4.4 Omessi versamenti di imposte (IVA e ritenute fiscali) e altri reati tributari
Altro fronte delicato è quello dei reati tributari previsti dal D.Lgs. 74/2000. Nel contesto di una cooperativa sociale in difficoltà, i reati più plausibili sono quelli di omesso versamento di IVA e omesso versamento di ritenute certificate (cioè le ritenute fiscali IRPEF operate sui dipendenti o lavoratori autonomi). Abbiamo soglie molto più alte rispetto ai contributi.
Vediamoli:
- Omesso versamento di IVA (art. 10-ter D.Lgs.74/2000): il legale rappresentante che non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto IVA dell’anno successivo, l’IVA dovuta risultante dalla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a €250.000 per ciascun periodo d’imposta, è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni. Spieghiamo: supponiamo che per l’anno fiscale 2024 la cooperativa abbia presentato dichiarazione IVA indicando un saldo a debito di €300.000 (dopo compensazioni). Quella somma andava versata entro il 16 marzo 2025 (termine di versamento saldo IVA). Se non versa almeno €50.000 di essa, e arriva a fine 2025 ancora con quel debito, allora supera la soglia di punibilità (250k). A quel punto scatta il reato, che si perfeziona il 18 dicembre 2025 (termine per versamento acconto 2025, che è il riferimento normativo attuale post-riforma 2015: il reato si perfeziona decorso il termine acconto anno successivo). In parole semplici: se l’IVA non versata relativa a un anno > €250.000, reato. Se è 200k, no reato (ma ovviamente c’è sanzione amministrativa del 30% e riscossione coattiva). Soglia €250.000 è attualmente vigente e confermata nel 2024 dalla riforma (c’era ipotesi di abbassarla, ma il legislatore con D.Lgs. 75/2020 l’aveva portata a 250k, e con D.Lgs. 156/2022 e D.Lgs. 24/2023 l’ha mantenuta, anzi ha spostato il momento di verifica al 31 dicembre dell’anno successivo per allineare con possibilità di rateizzo). Infatti, la riforma 2023 ha previsto che se entro il 31 dicembre dell’anno successivo il debito IVA è ridotto sotto 250k per pagamenti o rate, il reato non si perfeziona. In pratica, danno tempo fino a fine anno successivo per mettersi in regola (questo per effetto del D.Lgs. 24/2023 attuativo riforma penale tributaria). Per la cooperativa sociale, €250.000 di IVA evasa è tantissimo: avrebbe dovuto generare giri d’affari molto alti (e cooperativa sociali tipo A spesso hanno IVA bassa o esente, tipo servizi socio-sanitari spesso esenti art.10 DPR 633/72). Tipo B invece vendono beni/servizi a IVA 22% usuale, ma 250k di IVA non versata significa milioni di fatturato. Non impossibile per grosse cooperative, ma per medie di solito l’IVA annua dovuta è sotto soglia. Quindi il reato di omesso IVA non è frequentissimo nel settore, se non in situazioni anomale. Qualora succeda, è perché hanno accumulato 2-3 anni di IVA non versata, ma il reato è annuale, quindi di solito verrebbe contestato per l’anno con supero soglia. Pena come detto da 6 mesi a 2 anni (più bassa del contributi!). Procedibilità d’ufficio. Esimenti: se entro la dichiarazione successiva paghi, il reato non si perfeziona; la riforma 2019-2020 aveva introdotto la causa di non punibilità se un piano di rateizzo era in corso: se il debito IVA è in rateizzazione e le rate regolari, niente reato (il reato “non si perfeziona” finché segui il piano). Questo per favorire la riscossione. Inoltre, come per contributi, se paghi prima del dibattimento, c’è particolare tenuità o estinzione (l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede causa di non punibilità se paghi tutto il dovuto prima che il giudice di primo grado dichiari aperto il dibattimento, con ampliamento termini nel 2023). In sintesi, c’è modo di ravvedersi tardivamente: se la coop (o spesso un nuovo soggetto subentrato) paga quell’IVA arretrata con sanzioni, il rappresentante può evitare la condanna. Questo incoraggia le transazioni con il Fisco.
- Omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis D.Lgs.74/2000): qui parliamo delle ritenute IRPEF operate su stipendi e compensi lavoro autonomo. La soglia di punibilità è €150.000 per ciascun periodo d’imposta. Se il datore (cooperativa) non versa entro il 16 di mese dovuto le ritenute risultanti dalle certificazioni (modelli CU) per un ammontare eccedente 150k annui, scatta reato (stesse pene 6 mesi-2 anni). Ad esempio: anno 2024, la cooperativa trattiene IRPEF ai dipendenti per 200k e non li versa, al 16.09.2025 (termine versamento saldo IRPEF ritenute) ancora 200k non versati -> reato. Questo reato è concettualmente simile a quello contributivo, ma per la parte fiscale. Per la cooperativa, se paga stipendi e non versa ritenute, spesso non versa manco i contributi; dunque il presidente si troverebbe imputato sia ex art.10-bis (tributario) sia per l’omesso contributi (penale o amministrativo a seconda soglia). E sì, può succedere duplicazione, perché una condotta omissiva colpisce due normative diverse. Le cause estintive e i termini per ravvedersi sono analoghi all’omesso IVA: soglia a 150k, possibilità di regolarizzare prima del dibattimento (art.13 come modificato 2019) con estinzione reato. Esempio cooperativa sociale: un grande consorzio di coop con 300 dipendenti, se salta contributi e ritenute per qualche mese può facilmente accumulare >150k ritenute non versate. Il presidente ne risponde penalmente. Per coop di 20-30 dipendenti, 150k di ritenute è un bel po’ (significa stipendi totali sui 600-700k almeno). Non impossibile comunque.
- Altri reati fiscali:
- Dichiarazione infedele (art. 4): se la cooperativa falsa la dichiarazione dei redditi o IVA (non includendo ricavi, gonfiando costi) e l’imposta evasa supera 100k € e il reddito non dichiarato supera il 10% del totale o 2 milioni, è reato. In cooperativa sociale, visto regimi speciali, potrebbe capitare se nascondono basi imponibili rilevanti. Non comune, però se c’è frode contabile per non pagare IRES, possibile. Pene moderate (fino a 3 anni).
- Fatture false (art. 2 e 8): se la cooperativa emette o utilizza fatture per operazioni inesistenti (per gonfiare costi deducibili o fare giro di IVA), con importi evasi oltre soglia (Iva 100k, costi fittizi >1M), reati gravi (fraudolenti, fino a 6 anni). Non tipico per coop sociali genuine, ma è successo in casi di consorzi corrotti (usare coop per fatture false in appalti).
- Omessa dichiarazione (art. 5): se la coop non presenta proprio le dichiarazioni dovute (IVA o redditi) e ha imposta evasa > 50k, reato. Un amministratore negligente che non presenta dichiarazioni per “sparire” commette questo. Pene fino a 2 anni, di norma overshadowed da altri reati in contesti di dissesto.
- Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11): se prima di eventuale riscossione coattiva il debitore compie atti simulati o fraudolenti per rendersi insolvente al Fisco (es: svende beni, sposta conti), e deve al Fisco > 50k, punito fino a 4 anni. Una cooperativa che trasferisce la sede fittiziamente o svuota conti quando arriva una cartella, per esempio, potrebbe implicare i legali rappresentanti in tale reato. Spesso contestato insieme a bancarotta se atti in frode a creditori includono fisco.
- In contesti di cooperativa sociale, i reati fiscali possono emergere soprattutto se c’è stata gestione fraudolenta (cooperativa come copertura per evasioni o tangenti). In scenario di crisi genuina, i più frequenti restano gli omessi versamenti.
Responsabili e sanzioni: in tutti questi, imputato è l’amministratore o chi firma dichiarazioni. Pene variano ma in genere medio-basse (massimo 6 anni nelle ipotesi più gravi).
Cumulo con reati fallimentari: la Cassazione ha stabilito che alcuni reati fiscali concorrono con la bancarotta: es. se uno sottrae beni per non pagare tasse, può essere insieme bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al Fisco (doppio giudizio, eventualmente unificati in uno se procedibile insieme). Non c’è assorbimento totale. Dunque un amministratore può vedersi condannato a 5 anni per bancarotta e 1 anno per omesso IVA, totale 6 anni.
Particolarità per cooperative ONLUS/ETS: le coop sociali sono equiparate a ONLUS di diritto fino all’operatività piena del Terzo Settore. Ciò ha portato esenzioni d’imposta su alcuni redditi e IVA esenzioni. Non influenza sui reati di omesso versamento (se esente IVA, non versa perché non doveva, quindi nessun reato; se ONLUS, esente IRES su utile destinato a riserva, quindi minor rischio di evasione; però se abusano status ONLUS per fare attività commerciali non consentite, possono incorrere in reati di dichiarazioni infedeli se non dichiarano quelle entrate). Comunque, essere ONLUS non li salva se evadono e superano soglie.
Conclusione secca: Il presidente della cooperativa sociale che non versa l’IVA dovuta per oltre €250.000 o le ritenute IRPEF per oltre €150.000 commette un reato penale punito con la reclusione. Anche qui ci sono opportunità di evitare la condanna pagando il dovuto tardivamente (rateizzando o prima del processo), ma resta un’area di rischio. Dunque chi dirige coop sociali deve stare attento: se arriva a dover scegliere se pagare fornitori o pagare IVA, e sceglie i fornitori, sta mettendo piede nel penale. Molti lo ignorano, convinti di fare il bene dei lavoratori, ma legalmente può costare caro.
Responsabilità dei soci per reati tributari? No, a meno che qualche socio partecipi attivamente al fatto (tipo un socio che, insieme all’admin, decide di occultare ricavi – allora concorre). Ma il socio inerte no.
Abbiamo coperto i punti richiesti e anche oltre. Passiamo ora a predisporre alcune simulazioni pratiche e domande frequenti per chiarire gli effetti concreti.
5. Esempi pratici e FAQ (Domande Frequenti)
In questa sezione rispondiamo in modo diretto a una serie di domande comuni sulla responsabilità patrimoniale in caso di debiti di una cooperativa sociale. Gli esempi pratici aiuteranno a comprendere meglio come si applicano i principi esposti finora.
Q: Se la cooperativa sociale fallisce (va in insolvenza), i soci devono pagare i debiti con il proprio patrimonio?
A: No. I soci cooperatori non rispondono con il patrimonio personale dei debiti sociali insoluti. In caso di insolvenza della cooperativa sociale, i creditori possono rivalersi solo sul patrimonio della cooperativa (liquidato tramite la procedura di LCA). I soci perderanno al più le somme investite (le quote sociali), ma non dovranno ripianare i debiti con soldi propri. Ad esempio, se una cooperativa sociale chiude lasciando €200.000 di debiti verso banche e fornitori, e il patrimonio sociale è zero, quei debiti resteranno insoddisfatti; i soci non dovranno mettere 200.000 € di tasca loro. Unica eccezione: se qualche socio aveva prestato garanzie personali (fideiussioni) a favore di specifici creditori, in tal caso quel socio-garante dovrà pagare il creditore garantito, nei limiti della garanzia, ma ciò avviene per via del contratto di garanzia, non per il suo status di socio. In sintesi, in una cooperativa sociale a responsabilità limitata i soci non sono personalmente obbligati verso i creditori sociali. (Ricordiamo però che i soci usciti da meno di un anno potrebbero dover restituire alla cooperativa l’eventuale rimborso quota ricevuto, se l’insolvenza si manifesta entro un anno dal loro recesso; ma anche questo importo andrà a vantaggio della massa dei creditori, non è un pagamento aggiuntivo oltre la quota).
Q: I soci lavoratori rischiano qualcosa in più in caso di fallimento della cooperativa?
A: No, il socio lavoratore non assume una responsabilità patrimoniale ulteriore rispetto a un socio non lavoratore. Egli è protetto dalla responsabilità limitata come tutti i soci, dunque non paga i debiti sociali con beni propri. La differenza è che il socio lavoratore, essendo anche dipendente, può subire il danno di non ricevere stipendi e TFR se la cooperativa fallisce. Tuttavia, per questi crediti di lavoro il socio lavoratore ha diritto di insinuarsi tra i creditori privilegiati e di ottenere l’intervento del Fondo di Garanzia INPS (che copre TFR e ultime retribuzioni). Quindi, da un lato il socio lavoratore perde il proprio investimento (quota sociale) come gli altri soci, dall’altro perde il lavoro e ha crediti di lavoro da recuperare (in parte garantiti). Ma non gli viene chiesto di ripagare i debiti della cooperativa verso terzi (fornitori, banche, Fisco, ecc.). In breve: il socio lavoratore rischia di non essere pagato, non di dover pagare i debiti altrui.
Q: E i soci volontari? Possono essere chiamati a rispondere dei debiti?
A: No, neanche i soci volontari rispondono dei debiti sociali personalmente. Anche loro sono soci con responsabilità limitata, e per di più non hanno neppure un rapporto economico (non percepiscono salari). Quindi il socio volontario, se la cooperativa va in insolvenza, perde tutt’al più la sua quota sociale eventualmente versata, ma non avendo crediti di lavoro né altro in ballo, non subisce pretese. Né la cooperativa né i creditori potranno mai chiedergli di ripianare i debiti sociali (ciò vale per tutti i soci). Inoltre, ricordiamo che i soci volontari sono assicurati per gli infortuni ma non hanno diritto ad alcunché in caso di cessazione della coop, se non al rimborso spese eventualmente non ancora rimborsate (somme modeste). Insomma, il socio volontario non paga i debiti della coop e non perde nulla, a parte il fatto di veder terminare l’attività a cui teneva.
Q: Il presidente o gli amministratori possono essere ritenuti personalmente responsabili dei debiti verso lo Stato (Fisco, INPS)?
A: In linea generale, no per quanto riguarda il pagamento civilistico del debito, ma sì possono esserci profili di responsabilità penale o per sanzioni. Mi spiego: se la cooperativa non paga tasse o contributi, l’Erario o l’INPS possono agire contro la cooperativa stessa (pignorare conti sociali, ecc.), ma non possono chiedere il pagamento ai singoli amministratori, perché il debitore è la società. Tuttavia, esistono casi particolari e obblighi di legge che riguardano gli amministratori:
- Responsabilità verso il Fisco in fase di liquidazione: se gli amministratori/liquidatori hanno distribuito attivi ai soci lasciando impagati debiti fiscali, possono essere chiamati al pagamento di queste imposte non soddisfatte, nei limiti di quanto indebitamente distribuito. Ad esempio, se un liquidatore paga i soci anziché pagare l’IVA dovuta, l’Agenzia Entrate Riscossione può rivalersi su di lui fino all’ammontare che avrebbe dovuto destinare al Fisco. È un caso specifico disciplinato dall’art. 36 DPR 602/1973.
- Sanzioni amministrative personali: in alcuni ambiti (es. sicurezza sul lavoro, omesso invio di dichiarazioni) la legge prevede sanzioni civili o amministrative a carico del legale rappresentante. Ma in termini di obbligo di pagamento dei debiti tributari/previdenziali, di norma no: se la cooperativa non paga l’IVA o l’INPS, verrà sanzionata la cooperativa (cartelle, sanzioni pecuniarie a carico dell’ente). L’amministratore in sé non viene destinatario del ruolo esattoriale.
- Responsabilità penale: questo è importante. Il presidente può essere perseguito penalmente per i debiti fiscali e contributivi non versati. In particolare, se la cooperativa non versa l’IVA per un importo superiore a €250.000 l’anno, il legale rappresentante commette un reato (omesso versamento IVA) punito con la reclusione fino a 2 anni. Analogamente, se non versa le ritenute IRPEF dei dipendenti oltre €150.000 l’anno, altro reato (fino 2 anni). E se non versa i contributi previdenziali trattenuti ai lavoratori per oltre €10.000, altro reato (fino 3 anni). Dunque, il presidente non deve pagare di tasca propria l’IVA o i contributi evasi, ma rischia la galera se li ha omessi. L’utente chiedeva: “Il presidente può essere perseguito per i debiti fiscali?” – La risposta è sì, penalmente può. Non verrà costretto civilmente a pagare quell’IVA lui stesso (quella è sempre a carico della coop, salvo le eccezioni di malversazione di attivo in liquidazione), ma subirà un processo penale per violazione delle norme tributarie (artt. 10-bis e 10-ter D.Lgs.74/2000). Questo spesso la gente lo sintetizza con “il presidente risponde di persona verso lo Stato”, intendendo proprio che può finire sotto processo e eventualmente in carcere per quei debiti erariali non pagati.
Inoltre, se la cooperativa finisce in bancarotta, il presidente e gli amministratori possono essere accusati di bancarotta fraudolenta anche verso il Fisco (ad esempio, se hanno distratto beni che dovevano servire a pagare le imposte, rientrano nel reato di bancarotta). Per riassumere: gli amministratori non vengono civilmente obbligati a pagare imposte e contributi arretrati della coop, ma possono subire conseguenze penali gravissime per non averli versati (carcere, interdizioni). Inoltre, in fase di liquidazione, liquidatori e soci che abbiano ricevuto soldi potrebbero doverli restituire per pagare il Fisco.
Q: Ho fatto parte come socio di una cooperativa sociale che ora è insolvente. Sono uscito due anni fa: rischio qualcosa?
A: Se sei uscito da oltre un anno, no, non rischi nessuna azione né di dover restituire nulla. Il Codice Civile (art. 2536) prevede una responsabilità limitata temporalmente: i soci usciti rispondono verso la cooperativa per eventuali importi ancora dovuti sulla quota e per la restituzione della quota ricevuta solo entro l’anno dall’uscita. Nel tuo caso, essendo trascorsi due anni, sei “al sicuro”. La cooperativa non può chiederti nulla e i creditori non possono rivalersi su di te. Naturalmente, se tu avessi firmato garanzie personali quando eri socio (ad es. una fideiussione bancaria), quella obbligazione ti rimane indipendentemente dall’uscita, ma è una questione contrattuale. Come ex socio, inoltre, se già ricevesti il rimborso della tua quota due anni fa, lo hai ricevuto legittimamente e definitivamente: non sei tenuto a restituirlo perché la coop è fallita dopo un anno dal tuo recesso. Quindi gli ex soci da oltre 12 mesi non hanno vincoli o responsabilità residuali legati ai debiti sociali. (Discorso diverso: i soci usciti da meno di un anno: quelli sì, come detto in altri punti, se l’insolvenza capita entro un anno dall’uscita potrebbero dover restituire quanto avuto come rimborso quota, ma oltre l’anno niente).
Q: In caso di liquidazione coatta della cooperativa, cosa succede ai debiti verso i dipendenti, fornitori, banche…? Chi viene pagato e chi no?
A: Nella liquidazione coatta amministrativa (LCA) – la procedura concorsuale applicata alle coop sociali insolventi – i debiti vengono pagati secondo un ordine di priorità (cause di prelazione):
- Debiti prededucibili (spese di procedura, compenso liquidatori, ecc.) pagati per primi dall’attivo.
- Crediti privilegiati: ad esempio i dipendenti hanno privilegio per ultimi 6 mesi di stipendi e TFR, il Fisco ha privilegio su alcuni tributi (IVA, ritenute) e ipoteche su eventuali immobili, le banche se hanno ipoteca su immobili o pegno su beni hanno prelazione su quei beni. Questi creditori privilegiati vengono soddisfatti in base al grado del loro privilegio. Ad esempio, i dipendenti e l’INPS (contributi) di solito vengono prima dei fornitori.
- Crediti chirografari: fornitori non garantiti, banche per la parte non coperta da ipoteca, creditori vari (enti locali per contributi, ecc.). Questi sono pagati proporzionalmente se resta qualcosa dopo aver soddisfatto i privilegiati.
- Eventuale residuo attivo: se miracolosamente, pagati tutti creditori, resta attivo, in una cooperativa sociale esso va devoluto ai fondi mutualistici o a scopi sociali, non ai soci (per legge).
Quindi: in LCA il liquidatore vende i beni della cooperativa (macchinari, immobili, incassa crediti) e crea un monte attivo. Con quello paga prima i creditori privilegiati (il che spesso esaurisce quasi tutto). Quel che avanza va ai chirografari con un certo percentuale (“riparto”). Molto spesso, purtroppo, nelle insolvenze il patrimonio non basta a coprire tutto, quindi alcuni creditori non vedranno i loro soldi. Ad esempio, se la coop ha €100.000 e deve: 50k di TFR dipendenti (privilegiato), 30k banca garantita da ipoteca, 40k fornitori chirografari, l’attivo 100k andrà 50k ai dip, 30k alla banca, restano 20k -> questi 20k vanno a fornitori pro-quota (nel nostro esempio recuperano 50% dei loro crediti). Se i debiti superano di molto l’attivo, i chirografari prendono poco o zero. Nessun creditore può chiedere il resto ai soci: la perdita se la devono imputare.
In pratica:
- I dipendenti (o ex dipendenti) sono relativamente tutelati: prendono qualcosa dal riparto (in preferenza) e poi il Fondo di Garanzia INPS integra TFR e 3 mensilità.
- Il Fisco e l’INPS recuperano eventuale IVA, contributi con privilegio, ma magari perdono sanzioni e interessi che sono chirografari in coda.
- Le banche con ipoteca di solito recuperano gran parte dal valore del bene ipotecato; se rimane scoperto, sono come fornitori per la differenza.
- I fornitori commerciali spesso sono quelli che ci rimettono di più, prendendo solo una percentuale bassa se l’attivo è scarso.
- I soci non ricevono nulla (a parte il rimborso quote già avvenuto se erano usciti prima). E i soci lavoratori diventano creditori come dipendenti.
Questa è la dinamica tipica di qualsiasi procedura concorsuale. La differenza con il fallimento è che qui la gestisce un commissario liquidatore nominato dal Ministero, ma agli occhi dei creditori non cambia: devono presentare domanda di insinuazione e attendere i riparti.
Q: I membri del Collegio Sindacale (organo di controllo) possono essere ritenuti responsabili dei debiti o subire conseguenze se la coop fallisce?
A: I sindaci (revisori dei conti interni) non rispondono dei debiti sociali (non devono pagarli loro, come qualunque altro soggetto estraneo). Però potrebbero essere chiamati a rispondere di danni se si dimostra che, omettendo il loro dovere di controllo, hanno contribuito a causare un aggravio del dissesto. In pratica, in caso di crack, il liquidatore può valutare se i sindaci hanno negligentemente mancato di segnalare anomalie gravi: ad esempio, bilanci falsi che avrebbero dovuto rilevare, appropriazioni non denunciate, ecc. Se c’è colpa grave, i sindaci possono essere citati in giudizio dalla procedura con un’azione di responsabilità (non comune, ma possibile). E in rari casi estremi, potrebbero avere conseguenze penali: se erano consapevolmente complici di false comunicazioni o distrazioni (concorso in bancarotta, ad esempio, se hanno avallato bilanci fraudolenti). Ma questi sono casi limite. Normalmente, i sindaci subiscono il danno reputazionale del fallimento della coop, ma non pagano di persona i debiti. Se hanno agito correttamente segnalando problemi ai soci, di solito non sono ritenuti responsabili. In conclusione: i sindaci non pagano i debiti sociali (non hanno obbligo di farlo) e rispondono solo se hanno colpe professionali gravi, in sede risarcitoria. Diverso discorso: il revisore legale esterno, anch’egli potrebbe essere chiamato a rispondere dei danni se certificò bilanci falsi, ma non di più.
Q: Una cooperativa sociale può accedere al concordato preventivo o ad altre soluzioni per evitare la liquidazione coatta?
A: Questo è un tema tecnico: in teoria il Codice della Crisi offre strumenti di ristrutturazione (accordi di ristrutturazione, concordato preventivo) agli imprenditori commerciali. Le cooperative sociali, però, essendo imprese sociali, non sono soggette a fallimento (liquidazione giudiziale) ma solo a LCA. La legge non menziona espressamente il concordato per le imprese sociali. L’orientamento attuale è che in caso di insolvenza conclamata devono andare in LCA, non potendo scegliere il concordato. Tuttavia, nulla vieta loro di tentare soluzioni prima dell’insolvenza: es. un accordo stragiudiziale con i creditori o la nuova procedura di composizione negoziata della crisi. La composizione negoziata (introdotta nel 2021) è volontaria e accessibile a tutte le imprese, cooperative incluse, e può condurre a un accordo con i creditori o a un piano attestato che eviti l’insolvenza. Quindi, sì: una cooperativa sociale può, in fase di crisi iniziale, avvalersi di strumenti per evitare di finire in insolvenza (piani di risanamento interni, accordi, composizione assistita). Ma se l’insolvenza diventa irreversibile, non si andrà in concordato preventivo davanti al tribunale: si andrà comunque in LCA per disposizione di legge speciale. In pratica: salvataggi negoziali sì, procedura concorsuale alternativa no. (Va detto che su questo punto qualche tribunale potrebbe aver ammesso concordati di coop sociali in passato quando non era chiara la norma, ma adesso con Cassazione 2023 la strada è segnata per la LCA obbligatoria).
Q: Se la cooperativa sociale è sciolta d’autorità per irregolarità (non per insolvenza), i creditori possono comunque rivalersi sul Fondo di Garanzia per i dipendenti o far aprire il fallimento?
A: Se la cooperativa viene sciolta d’ufficio dall’autorità (Ministero) senza insolvenza, ad esempio per mancato deposito di bilanci o numero soci insufficiente, e contestualmente viene nominato un commissario liquidatore, non si tratta di una procedura concorsuale per insolvenza. In tal caso, i dipendenti non possono accedere al Fondo di Garanzia INPS per TFR, come chiarito dalla Cassazione: lo scioglimento amministrativo “semplice” non dà diritto, serve l’insolvenza accertata. I creditori in quel caso dovranno attendere la liquidazione ordinaria dei beni sociali. Se durante tale liquidazione emerge insolvenza, allora verrà convertita in LCA (e a quel punto scatta la tutela concorsuale). Non possono i creditori chiedere il fallimento perché, come detto, la coop sociale non fallisce; tutt’al più, se non parte la LCA, i creditori possono iniziare esecuzioni individuali. Ma realisticamente, lo scioglimento per atto d’autorità è spesso preludio a LCA se ci sono debiti. Quindi: in uno scioglimento amministrativo “semplice”, i creditori restano vincolati a quella liquidazione e non c’è la garanzia dei fondi pubblici per i dipendenti; se poi spunta insolvenza, la procedura diventa concorsuale e allora scattano quei meccanismi.
Abbiamo così affrontato i dubbi più frequenti. In ultimo, presentiamo delle tabelle riepilogative per confrontare i diversi scenari e ruoli, così da avere un colpo d’occhio sulle responsabilità.
6. Tabelle riepilogative e confronti
Di seguito, due tabelle che aiutano a confrontare diversi scenari riguardanti la responsabilità patrimoniale e le conseguenze in caso di debiti.
Tabella 1 – Cooperativa in bonis vs in liquidazione vs insolvente
Questa tabella confronta la situazione di una cooperativa sociale in normale attività, in liquidazione volontaria, e in liquidazione coatta per insolvenza, rispetto ad alcuni aspetti chiave:
Aspetto | Cooperativa in attività (in bonis) | Cooperativa in liquidazione volontaria | Cooperativa insolvente (LCA) |
---|---|---|---|
Gestione corrente | Organi amministrativi regolari (CdA) gestiscono l’attività; contratti e operazioni continuano normalmente. | Nomina di uno o più liquidatori che sostituiscono gli amministratori. L’attività ordinaria cessa, si effettuano solo atti finalizzati a liquidare (vendere beni, riscuotere crediti). Non si intraprendono nuove operazioni se non per completare quelle in corso. | Gli organi sociali decadono. La gestione passa ai commissari liquidatori nominati dall’autorità di vigilanza (MIMIT). Eventuale esercizio provvisorio solo se autorizzato e strettamente necessario (es. per continuità servizi essenziali). |
Pagamenti dei debiti | Pagati secondo scadenze contrattuali. Se la cooperativa ritarda, i creditori possono agire esecutivamente (pignoramenti) sui beni sociali. Nessuna protezione particolare: vige il principio “chi primo agisce, si soddisfa” (salvo privilegio di alcuni crediti). | Il liquidatore forma l’elenco dei debiti. Paga man mano i creditori con le risorse disponibili. Se l’attivo consente, li soddisfa integralmente (in ordine di privilegio legale). Creditori non possono iniziare nuove esecuzioni individuali una volta aperta la liquidazione (possono insinuarsi nello stato passivo volontario). In caso di incapienza, il liquidatore valuta se proporre ai creditori una transazione sul percentuale. Se scopre insolvenza grave, deve richiedere la liquidazione coatta. | I pagamenti individuali sono bloccati (scatta il divieto di azioni esecutive individuali). I creditori devono insinuarsi al passivo della LCA entro termini stabiliti. I commissari liquidatori, sotto supervisione di un giudice delegato, venderanno i beni e distribuiranno il ricavato ai creditori in base al grado di privilegio. Crediti privilegiati (dipendenti, Erario, banche ipotecarie, ecc.) pagati per primi; crediti chirografari (fornitori, ecc.) eventualmente soddisfatti pro-quota se resta attivo. Spesso i chirografari subiscono forti decurtazioni. |
Responsabilità dei soci | Responsabilità limitata: la cooperativa risponde con patrimonio sociale, i soci non con il proprio. Soci eventuali garanti verso terzi ne rispondono solo per impegni di garanzia assunti (estranei al rapporto sociale). | I soci non assumono responsabilità diretta per i debiti in liquidazione. Possono ricevere il rimborso delle loro quote solo se tutti i creditori sono stati soddisfatti. In cooperativa sociale, l’attivo residuo finale (dopo creditori e rimborso capitale) è devoluto per legge a fondi mutualistici, non ai soci. Soci receduti da <1 anno: il liquidatore può sospendere/limitare il rimborso delle loro quote per tutelare i creditori, e possono essere chiamati a restituire quanto ricevuto se emerge insolvenza entro l’anno. | I soci perdono interamente le loro partecipazioni (quote) – non verrà distribuito nulla a loro. Non rispondono dei debiti residui col patrimonio personale. Se hanno ricevuto rimborsi di quote nell’anno antecedente la LCA, devono restituirli ai liquidatori (nei limiti di quanto avuto) per accrescere l’attivo. Eventuali soci che avessero garanzie personali (es. fideiussioni a banche) saranno escussi dai creditori garantiti, ma ciò avviene fuori dalla LCA. |
Situazione dei lavoratori | I dipendenti percepiscono normalmente stipendi e contributi. Se la coop è in difficoltà ma ancora in attività, i lavoratori possono agire per vie legali (ingiunzioni) in caso di mancato pagamento retribuzioni. Nessuna tutela del Fondo di garanzia perché non c’è procedura concorsuale. | Il liquidatore generalmente procede al licenziamento collettivo dei dipendenti per cessazione attività. I lavoratori maturano il diritto al TFR e indennità di preavviso. Se l’attivo consente, il liquidatore paga salari arretrati, TFR e ogni credito di lavoro con preferenza. Se l’attivo è insufficiente e non c’è formale insolvenza, i lavoratori non possono accedere al Fondo di Garanzia (perché richiede fallimento/LCA). Tuttavia, possono sollecitare la dichiarazione di insolvenza/LCA per ottenere quelle tutele. | Tutti i rapporti di lavoro si considerano risolti alla data della LCA (i dipendenti vengono licenziati dal commissario con effetto retroattivo al provvedimento). I lavoratori possono insinuare al passivo i loro crediti (stipendi arretrati, TFR, ferie). Tali crediti godono di privilegio generale e saranno pagati con precedenza sui beni disponibili. Inoltre, hanno diritto di chiedere all’INPS – Fondo di Garanzia il TFR e max 3 mensilità non percepite, ottenendole abbastanza rapidamente (il Fondo poi si surroga nel passivo per quelle somme). I dipendenti hanno dunque una copertura parziale. I soci lavoratori sono trattati come gli altri dipendenti per i loro crediti di lavoro. |
Conseguenze penali | Nessuna procedura concorsuale, quindi non si pone il tema di reati fallimentari. Restano possibili reati tributari (es. omesso versamento contributi o IVA) o societari (falso in bilancio) qualora la coop in attività commetta illeciti. Tali reati sarebbero perseguiti nelle forme ordinarie (denuncia, processo). | Durante la liquidazione volontaria, gli amministratori/liquidatori devono agire lealmente. Se occultano beni ai creditori (es. favoriscono taluni creditori rispetto ad altri) e poi la cooperativa risulta insolvente, potrebbero incorrere in reati di bancarotta preferenziale o distrattiva. Finché non c’è formale LCA, però, non scatta la bancarotta. Possibili reati comuni: ad es. se distruggono documenti contabili, rilevante comunque penalmente (anche senza fallimento, come reato societario). | L’apertura della LCA equivale a una dichiarazione di fallimento ai fini penali. Gli ex amministratori possono dunque essere incriminati per bancarotta fraudolenta patrimoniale (per distrazioni di beni, pagamenti preferenziali illeciti, ecc.) e bancarotta documentale (per libri contabili falsificati o spariti). Pene fino a 10 anni. Inoltre, eventuali reati tributari (omessi versamenti IVA, contributi) emergono e sono perseguiti. In sintesi, l’insolvenza porta spesso a processi penali per i responsabili della gestione. I soci non amministratori di solito non sono coinvolti penalmente (salvo casi di collusione). |
Tabella 2 – Confronto tra socio lavoratore e socio volontario
Qui mettiamo a confronto due figure tipiche delle cooperative sociali, evidenziandone differenze e punti in comune in tema di responsabilità, trattamento economico e tutele.
Caratteristica | Socio Lavoratore (es. educatore socio di coop) | Socio Volontario (membro volontario senza retribuzione) |
---|---|---|
Ruolo e status | Socio cooperatore che intrattiene con la cooperativa anche un rapporto di lavoro (generalmente dipendente). Partecipa alla gestione democratica “una testa un voto” come tutti i soci, ed in più contribuisce con la propria prestazione lavorativa all’attività sociale. | Socio cooperatore che presta attività gratuitamente per il raggiungimento degli scopi sociali. Non è un lavoratore dipendente, bensì un volontario. Ha pieni diritti associativi (diritto di voto in assemblea, ecc.), ma non percepisce alcuna retribuzione per l’attività svolta. |
Conferimento di capitale | Deve sottoscrivere e versare una quota di capitale sociale come gli altri soci cooperatori (l’importo minimo è stabilito dallo statuto; spesso quote modeste, es. 25€ come da normative cooperative). Il capitale versato è a rischio: può perderlo in caso di perdite o insolvenza della coop. | Può essere esonerato dal conferire capitale, a discrezione dello statuto. La L. 381/91 non vieta ai volontari di sottoscrivere una quota sociale, e in molte coop sociali versano una quota minima per formalizzare lo status di socio. In altri casi, lo statuto può prevedere l’ammissione di soci volontari senza obbligo di conferimento. Se versa una quota, anche per il volontario vale la regola che potrebbe perderla in caso di dissesto (rischio limitato a quella piccola somma). |
Rapporto di lavoro e compenso | Ha un contratto di lavoro (spesso subordinato) con la cooperativa, regolato dal CCNL di settore (es. CCNL Cooperative Sociali). Riceve una retribuzione mensile per il suo lavoro, ha diritto a contributi previdenziali, ferie, TFR, ecc., come qualsiasi lavoratore. In sostanza, cumula la posizione di socio e quella di dipendente. – Esempio: Maria è socio-lavoratrice OSS in una coop sociale di tipo A; lavora 38h settimanali, percepisce €1.200 netti mese dalla coop, e contemporaneamente partecipa alle assemblee dei soci con diritto di voto. | Nessun rapporto di lavoro: il volontario presta la sua opera a titolo gratuito. Non è inquadrato come dipendente né come collaboratore; di conseguenza non percepisce stipendio né altri compensi. Può solo ricevere il rimborso delle spese vive sostenute nell’attività (es. spese di viaggio), dietro presentazione di documenti giustificativi. Tali rimborsi non costituiscono reddito. – Esempio: Luca è socio volontario in una coop di tipo B: dedica qualche ora a settimana all’orto sociale; la coop gli rimborsa la benzina per arrivare sul luogo, null’altro. |
Tutela previdenziale e assicurativa | In quanto lavoratore dipendente, è iscritto all’INPS: la cooperativa versa contributi previdenziali (IVS, disoccupazione, ecc.) sul suo stipendio. Ha copertura assicurativa INAIL contro gli infortuni sul lavoro come qualsiasi dipendente (premi pagati dalla coop). Maturo TFR e ha diritto a eventuali trattamenti pensionistici e assicurativi (malattia, maternità) previsti per i lavoratori. | Non essendo lavoratore, non ha copertura pensionistica né INPS derivante dall’attività volontaria (non ci sono contributi perché non c’è retribuzione). Tuttavia, la legge impone che i soci volontari siano assicurati contro gli infortuni e le malattie professionali con apposita polizza INAIL. Di solito la cooperativa attiva per loro un’assicurazione infortuni calcolata su un minimale di retribuzione fittizia stabilito per legge. Quindi se il volontario subisce un infortunio durante l’opera volontaria, ha diritto a indennizzo INAIL come se fosse un lavoratore (calcolato sulla retribuzione convenzionale fissata dal decreto ministeriale). Nessuna copertura invece per malattia comune, disoccupazione, ecc., poiché non essendo dipendente non ne ha titolo. |
Responsabilità patrimoniale per debiti sociali | Non risponde con il proprio patrimonio dei debiti della cooperativa. Il socio lavoratore, come qualunque socio, ha responsabilità limitata: i creditori sociali non possono aggredire i suoi beni personali. Egli rischia solo la perdita della quota sociale investita. – NB: essere anche dipendente non implica alcuna estensione di responsabilità verso i creditori: il socio-lavoratore rimane giuridicamente terzo rispetto ai debiti della società (salvo che abbia prestato garanzie personali extra). | Non risponde con il proprio patrimonio dei debiti sociali, allo stesso modo di ogni socio. Il volontario, inoltre, tipicamente non ha investito somme significative (spesso la sua quota è simbolica), dunque il suo rischio economico è praticamente nullo. In caso di insolvenza della coop, non gli verrà richiesto alcun contributo per i debiti. – Esempio: se la coop fallisce con debiti, né a Marco socio-lavoratore autista né a Anna socio-volontaria verrà chiesto un euro dai creditori. Entrambi perdono solo l’eventuale quota versata (es. Marco €500 di capitale, Anna €50 di capitale sociale). |
Crediti verso la cooperativa | In quanto lavoratore, può avere crediti (stipendi non pagati, TFR). In caso di insolvenza della coop, il socio lavoratore diventa creditore privilegiato: può insinuare nel passivo tali crediti e gode di privilegio per essere soddisfatto con precedenza. Inoltre, accede al Fondo di Garanzia INPS per ottenere TFR e ultime 3 mensilità. Se la coop liquida volontariamente, il liquidatore deve pagargli per intero stipendi e TFR come debito prededotto della liquidazione. – Quindi il socio-lavoratore, sul lato attivo, è tutelato come un normale dipendente. (Come socio, potrebbe avere crediti verso la coop solo per ristorni o dividendi eventualmente deliberati, ma nelle coop sociali ciò è raro e comunque quei crediti sarebbero chirografari, pagati dopo gli altri). | Non avendo un rapporto di lavoro, di norma non vanta alcun credito retributivo verso la cooperativa. Dunque, in caso di scioglimento o insolvenza, non deve insinuare nulla per stipendi (poiché non percepisce stipendio). Potrebbe solo risultare creditore per il rimborso spese anticipato (es. se al momento del fallimento la coop gli doveva ancora rimborsare €100 di spese viaggio). Questi eventuali crediti di rimborso sono chirografari (somma dovuta come a un qualunque fornitore). Spesso sono importi minimi e i volontari non si insinuano nemmeno al passivo. – Il socio volontario non ha TFR né indennità, quindi nulla da richiedere ai Fondi di Garanzia. In sintesi, il volontario non perde nulla perché non si aspettava pagamenti; al massimo rinuncia al rimborso di qualche spicciolo di spese se la massa è insufficiente a coprirlo (ma di solito tali spese hanno la precedenza delle prededuzioni, essendo costi dell’attività corrente, per cui magari vengono anche pagate se documentate). |
Coinvolgimento gestionale | Può partecipare attivamente alla vita sociale (diritto di voto in assemblea uguale a quello degli altri soci, indipendentemente dal numero di quote conferite). Spesso i soci lavoratori sono la maggioranza nelle coop di tipo B o comunque parte significativa: quindi influiscono sulle decisioni (approvazione bilanci, nomina amministratori). – Se la coop versa in crisi, i soci lavoratori hanno interesse a intervenire (sia come soci che come dipendenti). Hanno diritto di essere informati e di esercitare il controllo (possono chieder conto agli amministratori, convocare assemblea se minoranza qualificata, ecc.). | Parimenti, ha pieno diritto di voto e può assumere cariche sociali (un volontario può essere ad esempio consigliere di amministrazione). Talvolta lo statuto riserva una percentuale massima ai volontari (per evitare sovrarappresentazione), ma per legge ogni socio – volontario o lavoratore – ha un voto ciascuno. – Nei fatti, i volontari essendo disinteressati economicamente possono rappresentare la “base ideale” della cooperativa. In assemblea possono sostenere scelte in linea col fine sociale, persino contrariando i soci lavoratori se ci fosse conflitto (es. utili vs qualità servizi). In caso di crisi, i soci volontari possono stimolare soluzioni ma subiscono meno il contraccolpo non avendo lavoro in ballo; dunque il loro coinvolgimento gestionale è “politico” più che economico. |
Esempio di scenario negativo | Esempio: la coop sociale Alfa fallisce. Mario, socio-lavoratore, avanza €3.000 di stipendi e TFR. Mario si insinua come creditore privilegiato e ottiene dal Fondo di Garanzia gran parte del TFR. Recupererà magari il 40% dei suoi stipendi arretrati dal fallimento, il resto dal Fondo (3 mesi max). Perde la sua quota capitale di €500 investita. Non deve nulla a nessuno per i debiti sociali, ma perde il lavoro e trova rifugio in NASpI (disoccupazione). | Esempio: la coop Alfa fallisce. Anna, socia volontaria, non deve salari e non deve TFR. Aveva €50 di quota sociale che andranno persi. Il fallimento le doveva rimborsare €30 di carburante dell’ultima missione volontaria: si tratta di credito chirografario modesto, che probabilmente non verrà pagato perché la priorità andrà ad altri creditori più grandi (Anna, per 30€, di solito nemmeno fa domanda di credito). Anna non subisce altro impatto economico, ma è dispiaciuta per la fine della coop e magari continuerà volontariato altrove. |
Osservando le tabelle, si conferma che nessuna figura individuale (socio, amministratore o altro) risponde illimitatamente dei debiti di una cooperativa sociale, salvo patti contrari inesistenti nella prassi. Le differenze riguardano semmai chi subisce le perdite (i creditori sociali sopportano l’insufficienza patrimoniale, i soci perdono il capitale, i lavoratori perdono il posto e parte dei crediti coperti da garanzie pubbliche).
7. Fonti normative e riferimenti (aggiornate a giugno 2025)
(In questa sezione elenchiamo le principali fonti normative e giurisprudenziali citate o rilevanti, con i riferimenti di legge aggiornati e link utili per approfondimenti.)
- Codice Civile – Norme sulle Società Cooperative: Art. 2511 c.c. (definizione di cooperative); Art. 2518 c.c. – Responsabilità per le obbligazioni sociali: sancisce la responsabilità limitata: “nelle società cooperative per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio”. Art. 2521-2524 c.c. (capitale variabile, categorie di cooperative). Art. 2535 c.c. – Liquidazione della quota del socio uscente: rimborso basato sul bilancio d’esercizio di uscita, da eseguirsi entro 6 mesi. Art. 2536 c.c. – Responsabilità del socio uscente ed eredi: il socio uscente risponde per conferimenti non versati per 1 anno, e se la società diviene insolvente entro 1 anno deve restituire quanto ricevuto per la liquidazione della quota. Art. 2545-septiesdecies c.c. – Scioglimento per atto dell’autorità (prevede la facoltà ministeriale di scioglimento in caso di inattività o gravi irregolarità). Art. 2545-terdecies c.c. – Insolvenza delle cooperative: dispone (nel testo vigente fino al 2017) che in caso di insolvenza l’autorità di controllo dispone la liquidazione coatta amministrativa; e (prima delle riforme) ammetteva anche il concorso col fallimento. Tale articolo va oggi coordinato con la disciplina speciale delle imprese sociali (v. infra). Art. 2545-quaterdecies e -quinquiesdecies c.c. (revoca amministratori e altri poteri di vigilanza).
(Riferimenti: Cod. Civ., Libro V, Titolo VI, Capo I, Sez. I e V) - Legge 8 novembre 1991, n. 381 – Disciplina delle cooperative sociali: definisce cooperative sociali di tipo A (gestione servizi socio-sanitari ed educativi) e tipo B (inserimento lavorativo di persone svantaggiate). Art. 1 L.381/91 – Definizione: le coop sociali perseguono l’interesse generale della comunità alla promozione umana e integrazione sociale dei cittadini. Comma 1 lett. a) e b) distinguono i tipi A e B. Art. 2 – Soci volontari: autorizza la presenza di volontari, massimo 50% dei soci; prestano attività gratuitamente, solo rimborso spese; sono assicurati INAIL. Art. 4 – Persone svantaggiate nelle coop di tipo B: definisce chi sono (disabili fisici/psichici, tossicodipendenti, ecc.) e richiede che costituiscano almeno il 30% dei lavoratori della cooperativa. Art. 11 – Rapporti con ONLUS: stabiliva che le coop sociali sono equiparate alle ONLUS di diritto (godendo di relative agevolazioni fiscali). (Riferimenti: G.U. n. 283/1991; Normattiva legge 381/1991)
- D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117 – Codice del Terzo Settore: riforma organica del non profit. Le cooperative sociali rientrano tra gli Enti del Terzo Settore (ETS) qualificati come imprese sociali (vedi D.Lgs.112/2017). Art. 4 c.3 D.Lgs.117/17: le cooperative sociali sono considerate enti del Terzo settore di diritto e iscritte d’ufficio nel Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) nella sezione imprese sociali (per le norme fiscali di transizione v. art. 101). Art. 150 c.1: prevede l’abrogazione della qualifica ONLUS (cooperative sociali ONLUS confluiscono in regime ETS entro il 2025). Il Codice del Terzo Settore, pur rilevante per aspetti fiscali e civilistici generali, non modifica la disciplina fallimentare, demandata alla normativa sull’impresa sociale. (Fonti: G.U. n.179/2017).
- D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 112 – Revisione della disciplina dell’impresa sociale: norma chiave. Art. 1, comma 4 D.Lgs.112/2017: “Le cooperative sociali di cui alla L. 381/1991 e i loro consorzi acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali.” Ciò significa che tutte le coop sociali sono automaticamente imprese sociali senza bisogno di ulteriore atto. Art. 14, comma 1 D.Lgs.112/2017: “In caso di insolvenza, le imprese sociali sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa.” Questa disposizione speciale esclude il fallimento delle imprese sociali, differenziandosi dall’art. 2545-terdecies c.c. (che prevedeva entrambe le procedure). Non sono previste eccezioni: l’impresa sociale insolvente deve andare in LCA. Art. 15 D.Lgs.112/17: richiama l’applicazione delle norme sulle procedure concorsuali alle imprese sociali per quanto compatibili, ribadendo però la competenza dell’autorità di vigilanza (Ministero Lavoro/MiSE) a disporre LCA. – Nota: l’art. 14 D.Lgs.112/17 ha di fatto superato l’art. 2545-terdecies c.c. limitatamente alle cooperative sociali, introducendo un regime di favore (no fallimento). (Fonti: G.U. n.167/2017; ConfiniOnline commento Cass. 29801/2023).
- D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII): riforma organica del diritto concorsuale, in vigore dal 15 luglio 2022. Art. 295 CCII: stabilisce principio di prevenzione tra liquidazione coatta amm. e liquidazione giudiziale: “le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa non sono soggette a liquidazione giudiziale, salvo che la legge disponga diversamente. Quando la legge ammette sia LCA sia liquidazione giudiziale, la procedura iniziata per prima esclude l’altra.” Ciò conferma che se un ente è per legge soggetto solo a LCA (come le coop sociali per D.Lgs.112/17), non può essere dichiarato fallito. Art. 293 CCII: disciplina l’apertura della LCA, rinvia alle leggi speciali di settore (per coop, art.2545-terdecies c.c. come integrato da norme imprese sociali). Art. 294-296 CCII: varie disposizioni su nomina organi LCA, conversione in concorsuali e viceversa. Il CCII prevede anche gli strumenti di composizione negoziata (D.L.118/2021 conv. L.147/2021, ora integrato) che sono applicabili anche alle cooperative. – In sintesi: il CCII non modifica la specialità delle coop sociali, recepisce l’esclusione del fallimento mediante l’art. 295 (con legge speciale = D.Lgs.112/17). (Fonti: G.U. n.38/2019; Corte App. Catania 632/2025 in Dirittopratico).
- Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) – Parte penale: Sebbene il CCII abbia sostituito gran parte della legge fallimentare per la parte procedurale, la disciplina dei reati fallimentari richiama ancora il R.D. 267/42 (per continuità). Art. 236 L.F.: “Le disposizioni della legge penale in materia di fallimento si applicano anche alla liquidazione coatta amministrativa”. Ciò significa che gli artt. 216 (bancarotta fraudolenta), 217 (bancarotta semplice), 218 (ricorso abusivo al credito), 223 (fatti di bancarotta fraudolenta dei soci/amm. di società) etc., valgono pure se la cooperativa è in LCA. Dunque, gli amministratori di coop sociali in LCA rispondono di bancarotta come se fosse fallimento. – Riguardo ai reati societari: artt. 2621-2622 c.c. (false comunicazioni sociali) si applicano alle coop (che rientrano tra i soggetti di cui all’art. 1 L. 262/2005). Art. 2634 c.c. (infedeltà patrimoniale) e altri reati societari pure, se ne ricorrono i presupposti. – D.Lgs. 74/2000 (reati tributari): Art. 10-bis omesso versamento ritenute > €150k; Art. 10-ter omesso versamento IVA > €250k; Art. 2 (dichiarazione fraudolenta con fatture false); Art. 5 (omessa dichiarazione imposte > €50k evasi); Art. 11 (sottrazione fraudolenta al pagamento imposte > €50k). – D.L. 463/1983 conv. L. 638/83, art. 2 comma 1-bis: reato di omesso versamento contributi previdenziali oltre €10k (oggi depenalizzato sotto soglia, v. D.Lgs. 8/2016). – Giurisprudenza rilevante: Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 4200 del 31/1/2025 (contributi – conferma soglia 10k, estinzione reato se pagamento entro 3 mesi); Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 3635/2021 (omesso IVA – conferma soglia 250k e irrilevanza assoluta mancanza fondi se dolo generico). (Fonti: D.Lgs.74/2000; Cass. n. 33274/2020 su dolo reati omissivi tributari).
- Cassazione Civile – Sezione I – Sentenza n. 29801 del 27/10/2023: caso di coop sociale insolvente. La Suprema Corte ha statuito che “la cooperativa sociale, in quanto impresa sociale di diritto, non può essere assoggettata a fallimento, dato che l’art. 14 D.Lgs.112/2017, a differenza dell’art. 2545-terdecies c.c., non ammette la procedura di fallimento”. Ha ribadito che tutte le coop sociali sono imprese sociali ex lege (art.1 co.4 D.Lgs.112/17) e dunque si applica la disciplina speciale prevalente (LCA obbligatoria). Di conseguenza, la sentenza di fallimento eventualmente pronunciata va revocata. (Riferimento: Cass. civ. I, 29801/2023, massimata anche su ConfiniOnline.it).
- Cassazione Civile – Sez. I – Sentenza n. 33280 del 29/11/2023: ulteriore pronuncia di conferma. Ha escluso la fallibilità delle coop sociali, riconoscendo che l’art. 14 D.Lgs.112/17 prevale su ogni altra disposizione e determina l’esclusiva assoggettabilità a LCA. (Fonti: massime Cass. 33280/2023, pubblicate da Terzjus).
- Corte d’Appello di Catania – Sentenza n. 632/2025 (5/5/2025): in sede di reclamo ex art.51 CCII, ha revocato la liquidazione giudiziale disposta dal Tribunale su una coop sociale ONLUS, richiamando l’art. 1 co.4 e art.14 D.Lgs.112/2017 e art.295 CCII. Ha affermato che “non esistono più cooperative sociali senza lo status di imprese sociali” e quindi l’unica procedura concorsuale prevista è la LCA (con intervento dell’autorità governativa), escludendo il fallimento. (Fonte: testo sentenza disponibile su Dirittopratico – Motivi in [11]).
- Ministero del Lavoro e dello Sviluppo Economico – Nota congiunta 31/1/2019 n. 1364/29103: (citata da Cass. 29801/2023) ha chiarito gli effetti del D.Lgs.112/17: tutte le cooperative sociali iscritte all’Albo Cooperative sono state iscritte d’ufficio come imprese sociali, con scopo premiale, indipendentemente dall’adeguamento statutario. Ciò al fine di fugare dubbi: dal 20 luglio 2017 in poi, ogni cooperativa sociale è automaticamente impresa sociale ex lege. (Fonte: Nota Min. Lavoro/MISE 2019, richiamata in Cass. 29801/23).
- Prassi amministrativa sulle cooperative sociali: – Ministero delle Imprese (ex MISE) – Vigilanza su enti cooperativi: vademecum sullo scioglimento d’autorità e LCA (sito MIMIT). – Circolare INPS n. 17/2018: incentivi contributivi per assunzioni di disabili ex L.381/91 (esonero totale contributi per coop tipo B); – Circolare Min. Lavoro n. 5/2018: inquadramento soci volontari ai fini assicurativi (fissa retribuzione convenzionale per calcolo premi INAIL). – Linee guida Agenzia Entrate: onlus di diritto (cooperative sociali godono di esenzioni IRES su utili indivisibili, art. 82 c.3 D.Lgs.117/17). – Tribunale di Milano, decreto 22/10/2020: ammissione di concordato preventivo di coop sociale (caso isolato pre Cassazione 2023, superato dagli orientamenti successivi).
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