Piano Attestato Di Risanamento 2025: Come Funziona E Cosa Sapere

Hai un’impresa in crisi ma vuoi evitare procedure giudiziarie? Cerchi una soluzione concreta per ristrutturare i debiti, recuperare la fiducia dei creditori e continuare a lavorare legalmente?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, piani attestati e risanamento aziendale – ti spiega in modo semplice e aggiornato come funziona il Piano Attestato di Risanamento secondo il Codice della Crisi d’Impresa e le novità del 2025, chi può utilizzarlo, quali sono i vantaggi e come costruire un piano credibile e sostenibile.

Scopri quali debiti possono essere inclusi, come trattare banche, fornitori e Fisco, quando il piano protegge da azioni revocatorie, qual è il ruolo dell’attestatore indipendente, quali documenti servono, e come presentarlo nel modo giusto per ottenere l’adesione dei creditori e rilanciare l’azienda.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, analizzare la tua situazione aziendale e costruire insieme un Piano Attestato di Risanamento efficace, protetto dalla legge e capace di ridare futuro alla tua impresa.

Introduzione

Il Piano Attestato di Risanamento è uno strumento di risanamento aziendale di natura negoziale e stragiudiziale, cioè attuato al di fuori delle procedure concorsuali giudiziarie. Introdotto originariamente nel 2005 nella legge fallimentare italiana, questo istituto consente all’imprenditore in crisi o insolvenza di predisporre un piano di risanamento volto a riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa e a evitare il fallimento, ottenendo in cambio importanti benefici legali, come la protezione da azioni revocatorie e da alcune responsabilità penali in caso di successivo dissesto. Nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (d.lgs. 14/2019, di seguito CCII), in vigore dal 15 luglio 2022, il Piano Attestato di Risanamento trova una disciplina organica all’art. 56 CCII, che ne definisce contenuti, presupposti ed effetti, aggiornando e ampliando la precedente normativa ex art. 67, comma 3, lett. d) della Legge Fallimentare.

Questa guida, aggiornata a maggio 2025, offre un’analisi approfondita del Piano Attestato di Risanamento alla luce delle più recenti novità normative e degli ultimi orientamenti giurisprudenziali. Il testo è rivolto a professionisti legali (avvocati, commercialisti) e imprenditori, con un linguaggio tecnico-giuridico ma dal taglio divulgativo, per chiarire come funziona questo strumento, quando e perché adottarlo, e quali sono vantaggi, limiti e implicazioni pratiche.

Nei paragrafi che seguono esamineremo in dettaglio la disciplina vigente (inclusi gli aggiornamenti intervenuti con i correttivi del 2020, 2022 e 2024), i requisiti di forma e contenuto del piano, il ruolo cruciale del professionista attestatore, gli effetti legali (esenzioni da revocatoria fallimentare e ordinaria, esenzioni da reati di bancarotta, agevolazioni fiscali), e metteremo a confronto il Piano Attestato con altri strumenti di regolazione della crisi d’impresa (come concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e composizione negoziata della crisi). Verranno illustrati anche alcuni casi pratici di applicazione, in particolare per le PMI (piccole e medie imprese), e fornita una sezione di FAQ (domande frequenti) per rispondere ai dubbi più comuni. Infine, la guida si conclude con un elenco ragionato di fonti normative, dottrinali e giurisprudenziali autorevoli utilizzate.

Quadro Normativo e Definizione del Piano Attestato

Origine nell’ordinamento e recepimento nel Codice della Crisi

Il Piano Attestato di Risanamento fa la sua comparsa nel diritto fallimentare italiano con il Decreto Legislativo 35/2005, poi convertito nella Legge 80/2005, che introdusse nell’art. 67 della Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) una nuova ipotesi di esenzione da revocatoria fallimentare (comma 3, lett. d)): si stabilì che non sarebbero stati soggetti all’azione revocatoria “gli atti, i pagamenti e le garanzie concessi in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria, purché tale piano sia attestato da un professionista indipendente circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano stesso”. Questa breve disposizione non disciplinava compiutamente il “piano attestato” in sé, ma ne delineava indirettamente i tratti essenziali collegandoli all’effetto premiale dell’esenzione dalle revocatorie fallimentari.

Negli anni successivi, la normativa è stata affinata: il Decreto Sviluppo 2012 (D.L. 83/2012 conv. in L. 134/2012) modificò la formulazione dell’art. 67, co. 3, lett. d) L.F., senza però stravolgerne la sostanza, mentre si sono susseguite pronunce giurisprudenziali che hanno chiarito i presupposti di applicabilità dell’esenzione in presenza di un piano attestato.

Con la riforma organica delle procedure concorsuali sfociata nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – emanato con D.Lgs. 14/2019 in attuazione della legge delega 155/2017 – il legislatore ha codificato il Piano Attestato di Risanamento come uno degli strumenti di regolazione negoziale della crisi. L’art. 56 CCII, rubricato “Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento”, ha colmato la lacuna della precedente disciplina “minimale” fornendo una regolamentazione positiva, sebbene essenziale, dell’istituto. Si passa così da una norma che ne disciplinava solo gli effetti (esenzione da revocatoria) a una norma che ne definisce presupposti soggettivi, contenuto minimo e modalità di attestazione e pubblicazione.

Art. 56 CCII: presupposti soggettivi e finalità

L’art. 56 CCII, nella sua formulazione vigente aggiornata al 2025, prevede al comma 1 che: “L’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza può predisporre un piano, rivolto ai creditori, che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria”. Questa disposizione individua innanzitutto i soggetti legittimati: solo un imprenditore commerciale (in forma individuale o societaria) può avvalersi del piano attestato, ed esclusivamente se si trova in uno stato di “crisi” o “insolvenza”.

La “crisi” nel CCII è definita come la prospettiva di insolvenza o il grave squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza, mentre l’“insolvenza” è l’incapacità conclamata di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni (concetti mutuati dalla legge fallimentare). È significativo che la norma includa espressamente anche l’imprenditore già insolvente: ciò consente, almeno in teoria, l’utilizzo del piano attestato anche in situazioni molto critiche, evitando immediatamente l’apertura di una procedura concorsuale, purché vi sia la concreta possibilità di risanare l’impresa. Va però ricordato che il Piano Attestato è concepito per evitare il dissesto irreversibile, quindi nella prassi è più frequente l’attivazione in una fase di crisi incipiente o pre-insolvenza, piuttosto che a insolvenza avanzata. Inoltre, la Relazione Illustrativa al CCII ha chiarito che il beneficio del piano (esenzione da revocatoria) riguarda solo imprenditori “assoggettabili alla liquidazione giudiziale”, cioè fallibili. Pertanto, le imprese minori non fallibili (es. sotto soglia artigiani, piccole imprese non superanti certi limiti) difficilmente troverebbero applicazione pratica nell’istituto, sebbene nulla vieti loro di predisporre comunque piani di risanamento informali.

La finalità del piano attestato è esplicitata dalla norma: risanare l’esposizione debitoria dell’impresa e riequilibrarne la situazione finanziaria (ed economico-patrimoniale). Si tratta dunque di perseguire la continuità aziendale, non la liquidazione. Non a caso, l’art. 56 CCII si colloca tra gli “strumenti di regolazione della crisi” e non tra le procedure liquidatorie: il presupposto implicito è che vi sia un’azienda ancora economicamente salvabile attraverso ristrutturazione del debito e misure di rilancio. In mancanza di prospettive di continuità, strumenti come il concordato liquidatorio sarebbero più appropriati.

Evoluzione normativa recente (2020-2025)

Dal 2019 ad oggi, l’art. 56 CCII ha subito alcuni interventi correttivi e integrativi, in parte per recepire la Direttiva UE 2019/1023 in materia di ristrutturazioni e insolvenza, in parte per perfezionare la disciplina interna. In sintesi gli aggiornamenti normativi principali sono:

  • D.Lgs. 147/2020 (c.d. “Correttivo al Codice della Crisi” del 2020): ha riscritto integralmente l’art. 56 prima ancora dell’entrata in vigore del CCII, confermandone però l’impianto generale. Il correttivo ha specificato alcuni elementi, ad esempio richiedendo espressamente che il piano indichi i creditori estranei e le risorse destinate a soddisfarli integralmente (vedi oltre), e affinando le previsioni sulla forma del piano (data certa).
  • D.L. 118/2021 convertito in L. 147/2021: questo decreto, emanato per fronteggiare l’emergenza economica da pandemia e anticipare parte della direttiva UE, ha introdotto la Composizione Negoziata per la Soluzione della Crisi d’Impresa. Pur non modificando direttamente l’art. 56, ha creato un nuovo contesto in cui il piano attestato può collocarsi: spesso infatti la composizione negoziata funge da incubatore per soluzioni come il piano attestato (o accordi di ristrutturazione) facilitando le trattative con i creditori sotto la guida di un esperto indipendente.
  • D.Lgs. 83/2022 (c.d. “Correttivo 2022” o decreto di attuazione della direttiva Insolvency): entrato in vigore il 15 luglio 2022 insieme al CCII, ha apportato modifiche di coordinamento e aggiornamento. Per quanto riguarda l’art. 56, ha modificato la rubrica della sezione (ora “Piano attestato di risanamento” semplice, mentre prima era “Accordi in esecuzione di piani attestati”). Inoltre, ha enfatizzato la necessità di considerare nella attestazione anche il rispetto di normative di settore (sicurezza sul lavoro, ambiente – concetto poi ripreso nel 2024).
  • D.Lgs. 13 ottobre 2022 n. 149: questo intervento (c.d. “Decreto correttivo bis”) ha avuto impatto marginale sul piano attestato, concentrandosi più su concordato preventivo e sovraindebitamento.
  • D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (c.d. “Correttivo ter” 2024): ha introdotto modifiche puntuali all’art. 56 CCII per recepire definitivamente alcune indicazioni della Direttiva UE e migliorare la completezza del piano. In particolare:
    • ha integrato il comma 1 sostituendo “situazione economico-finanziaria” con “situazione patrimoniale ed economico-finanziaria”, chiarendo che il risanamento deve riguardare non solo i flussi finanziari ma anche la solidità patrimoniale complessiva;
    • ha riscritto il comma 2 sui contenuti obbligatori del piano, aggiungendo la lettera g-bis) che richiede l’analitica indicazione di costi e ricavi attesi, del fabbisogno finanziario e delle relative modalità di copertura, tenuto conto anche dei costi necessari a rispettare normative su sicurezza sul lavoro e ambiente. Questa novità mira a rendere più robusta l’analisi di fattibilità del piano, includendo aspetti spesso trascurati (es. investimenti per sicurezza e compliance ambientale);
    • ha ampliato il novero dei documenti pubblicabili ex comma 4, sostituendo la dicitura “accordi con i creditori” con “accordi con le parti interessate”, termine più ampio che recepisce la terminologia della direttiva (coinvolgendo potenzialmente anche soci finanziatori, garanti, etc., non solo creditori in senso stretto).
    • queste modifiche sono entrate in vigore il 28 settembre 2024, e si applicano ormai pienamente nel 2025.

In definitiva, il quadro normativo vigente a maggio 2025 vede l’art. 56 CCII come norma cardine per i piani attestati, affiancato da altre disposizioni del CCII che regolano gli effetti del piano (artt. 166 e 324 CCII, di cui diremo), nonché dalle norme tributarie di favore (art. 88, co.4-ter TUIR). Per completezza, ricordiamo che il CCII contempla anche altri strumenti negoziali con qualche analogia, come gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57 e ss. CCII) e i nuovi piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione (introdotti nel 2022, artt. 64-bis e ss. CCII), rispetto ai quali il piano attestato si distingue per l’assenza di qualsiasi intervento del tribunale in fase di esecuzione.

Finalità e Obiettivi del Piano Attestato

Il Piano Attestato di Risanamento ha come obiettivo primario quello di evitare l’insolvenza irreversibile e la conseguente apertura di procedure concorsuali (fallimento, ora liquidazione giudiziale, o anche il concordato) attraverso un risanamento dell’impresa attuato in via privata. In sostanza, è un tentativo di “salvataggio” dell’azienda svolto per mezzo di accordi volontari con i creditori, ma sostenuto da un atto formale (il piano, appunto) che viene attestato da un professionista indipendente per garantirne la credibilità.

Le finalità del piano attestato possono essere riassunte come segue:

  • Ristrutturare il debito ed evitare il fallimento: tramite il piano l’imprenditore cerca di rinegoziare le proprie obbligazioni (scadenze, importi, garanzie) con i creditori in modo da renderle sostenibili, evitando di dover ricorrere a un concordato preventivo o subire istanze di fallimento. Se il piano ha successo, l’impresa può proseguire l’attività come going concern.
  • Ripristinare l’equilibrio finanziario: oltre a ridurre o riscadenzare il debito, il piano tipicamente include misure per riequilibrare i flussi di cassa e la struttura patrimoniale dell’azienda (ad es. ricapitalizzazioni, dismissione di asset non strategici, taglio costi, nuove linee di credito). L’attestatore deve verificare che il piano prospetti un ritorno a condizioni di solvibilità entro l’orizzonte temporale stabilito.
  • Evitare l’intervento giudiziario: il piano attestato consente di gestire la crisi senza il coinvolgimento diretto del tribunale (nessuna omologazione né procedura pubblica), il che comporta meno formalità, tempi più rapidi e una maggiore riservatezza. Ciò è spesso preferito dagli imprenditori per minimizzare l’impatto reputazionale e mantenere i rapporti con clienti e fornitori in relativa tranquillità.
  • Beneficiare di protezioni legali mirate: pur non essendo una procedura concorsuale, il piano attestato gode – in caso di successivo fallimento dell’impresa – di talune protezioni legislative: in particolare, come vedremo, gli atti compiuti in esecuzione del piano non potranno essere oggetto di azione revocatoria (né fallimentare né ordinaria), e le persone coinvolte (imprenditore e finanziatori) saranno esenti da responsabilità penale per i reati di bancarotta semplice e preferenziale legati a tali atti. Queste protezioni sono pensate per incoraggiare sia l’imprenditore che i terzi creditori/finanziatori a porre in essere operazioni di supporto al risanamento, senza il timore che queste vengano poi invalidate o sanzionate in caso di esito negativo.
  • Mantenere il controllo dell’azienda: a differenza di un concordato o amministrazione straordinaria, nel piano attestato l’imprenditore rimane al comando della gestione. Non vi è un commissario né la spada di damocle di una liquidazione giudiziale imminente (salvo il piano fallisca). Questo consente maggiore flessibilità nelle scelte strategiche e operative durante l’attuazione del risanamento, pur imponendo all’imprenditore una forte assunzione di responsabilità sulla veridicità dei dati e la fattibilità delle azioni prospettate.

In sintesi, il piano attestato di risanamento è uno strumento privatistico e volontario per superare la crisi d’impresa, che mira a combinare i vantaggi di una trattativa privata con alcuni effetti protettivi di tipo pubblicistico (come le esenzioni da revocatoria e da reati fallimentari) tipici invece delle procedure concorsuali. Come osservato in dottrina, rimane comunque “una procedura negoziale di natura prettamente privatistica, che pacificamente non rientra tra le procedure concorsuali”: ciò comporta, ad esempio, che non si verifichi alcuna consecuzione di procedure concorsuali in caso di successivo fallimento (il periodo sospetto per le revocatorie rimane ancorato alla data di apertura della liquidazione giudiziale, senza retrocedere al momento della stipula del piano).

Il successo del piano attestato, in termini di finalità perseguite, dipende in larga misura dalla collaborazione e fiducia reciproca tra imprenditore e creditori: diversamente dalle procedure giudiziali, infatti, qui non vi è modo di imporre ai creditori dissenzienti un trattamento loro sfavorevole (mancano meccanismi di cram-down). Pertanto il piano è efficace solo se i principali creditori sono convinti che aderire alla ristrutturazione proposta sia nel loro migliore interesse (spesso in quanto preferibile al recupero aleatorio in caso di fallimento).

Presupposti e Condizioni di Accesso

Passiamo ora ad analizzare i presupposti soggettivi e oggettivi e le condizioni di ammissibilità/efficacia del Piano Attestato di Risanamento, così come previsti dall’art. 56 CCII e dalla prassi applicativa.

Soggetti ammessi e natura dell’impresa

  • Imprenditore commerciale: Il piano può essere predisposto solo da un soggetto qualificabile come imprenditore ai sensi degli artt. 2082 e 2083 c.c. (sono escluse quindi le persone fisiche non imprenditori e gli enti non lucrativi). In particolare, deve trattarsi di imprenditore “assoggettabile a liquidazione giudiziale” (il nuovo termine per fallibile). Ciò in genere include società di capitali, cooperative, società di persone e imprenditori individuali che superino le soglie di non fallibilità (art. 2 CCII). Un imprenditore agricolo puro, ad esempio, non rientra in questa categoria e utilizzerebbe semmai gli strumenti di sovraindebitamento.
  • Stato di crisi o insolvenza: Come già evidenziato, l’art. 56 richiede che l’imprenditore versi in uno stato di crisi o di insolvenza. Dunque la platea è ampia: si va dall’impresa che intravede difficoltà future (crisi prospettica) fino all’impresa già insolvente (che normalmente avrebbe l’obbligo di richiedere il fallimento o un concordato). Non è richiesta una dichiarazione formale di crisi né alcuna attestazione iniziale per accedere allo strumento (al contrario, nel concordato serve una delibera assembleare e un ricorso in tribunale). Tuttavia, avviare un piano attestato in piena insolvenza conclamata può esporre gli amministratori a rischi di mala gestio se il tentativo di risanamento si rivelasse vano e aggravasse il dissesto. Dunque, la condizione sostanziale implicita è che sussista ancora una ragionevole chance di risanamento: diversamente, l’uso del piano potrebbe essere considerato abusivo (ad es. per ritardare il fallimento) con potenziali conseguenze di responsabilità.
  • Continuità aziendale: Anche se non esplicitata come condizione formale, la logica dello strumento presuppone che l’impresa voglia proseguire l’attività. Il piano attestato non è pensato per liquidare l’azienda e ripartire l’attivo tra i creditori (come avverrebbe in un concordato liquidatorio). Infatti deve prevedere il riequilibrio economico-finanziario: ciò implica un business plan di rilancio o ristrutturazione operativa. Un’azienda ormai cessata difficilmente potrà predisporre un piano attestato sensato (potrebbe, al più, ricorrere a un accordo di ristrutturazione con cessione asset, ma non è l’uso tipico di questo istituto).
  • Volontarietà e accordo con i creditori: Il piano attestato è volontario e non impone adesione coattiva ai creditori. Ciò significa che almeno una parte significativa dei creditori deve essere disponibile a negoziare e supportare il piano (di solito i principali finanziatori, banche o fornitori strategici). Non è necessario il consenso di tutti i creditori (si possono avere creditori “estranei” che restano fuori dall’accordo, purché vengano soddisfatti alle scadenze originarie), ma è chiaro che se troppi creditori si oppongono o agiscono individualmente (pignoramenti, istanze di fallimento), il piano rischia di naufragare. Non esiste un quorum legale minimo come nei concordati (dove serve il voto favorevole della maggioranza dei crediti) o negli accordi ex art.57 (dove serve il 60% dei crediti): nel piano attestato anche un singolo creditore rilevante potrebbe dover essere coinvolto per la buona riuscita, ad esempio l’unica banca finanziatrice. La condizione pratica quindi è ottenere le adesioni necessarie mediante accordi bilaterali.

Forma e requisiti formali

  • Forma scritta e data certa: Il piano deve essere formulato per iscritto e avere data certa. La data certa è fondamentale per due ragioni: (i) stabilire il momento a partire dal quale gli atti esecutivi godono della protezione dalle revocatorie (se successivi alla formazione del piano); (ii) dare evidenza temporale ai creditori e terzi dell’effettiva sequenza degli eventi. La “data certa” può ottenersi tramite vari mezzi: la sottoscrizione del piano da parte dell’imprenditore autenticata da un notaio, la registrazione presso l’Agenzia delle Entrate, la spedizione a sé medesimi per posta (vecchio metodo), oppure – come consente la norma stessa – tramite la pubblicazione nel Registro delle Imprese su richiesta del debitore. Quest’ultima strada, benché facoltativa per la validità del piano, è fortemente consigliata specie se si intende usufruire delle agevolazioni fiscali (in realtà è resa obbligatoria dal TUIR per avere il beneficio fiscale sulle sopravvenienze attive, vedi oltre).
  • Documentazione e allegati: L’art. 56 CCII prevede che la documentazione da allegare al piano sia quella richiesta al debitore che accede a una procedura di regolazione della crisi. In pratica, è opportuno (anche se non esplicitamente sanzionato) che l’imprenditore predisponga un corredo documentale simile a quello di un concordato: situazione patrimoniale aggiornata, elenco dei creditori con i rispettivi crediti, elenco dei beni e dei titolari di diritti su di essi, eventuale situazione finanziaria di gruppo, ecc. Questo sia per trasparenza verso i creditori, sia perché in caso di “conversione” del piano in una procedura concorsuale si avranno già le informazioni pronte. Molti professionisti consigliano di includere nel piano o negli allegati anche i contratti o accordi specifici con i creditori che aderiscono (es. schemi di accordo di ristrutturazione del debito bancario, lettere di moratoria, accordi standstill), così che il tutto formi un pacchetto coerente e facilmente verificabile.
  • Pubblicazione (opzionale/obbligatoria): Come accennato, la pubblicazione del piano, dell’attestazione e degli accordi nel Registro delle Imprese è facoltativa secondo l’art. 56, co.4 CCII, su istanza del debitore. Pubblicare conferisce pubblicità legale al piano, rendendolo conoscibile ai terzi e fissandone la data in modo inoppugnabile. In linea generale l’imprenditore potrebbe essere riluttante a pubblicare notizie della propria crisi per timore di perdere fiducia sul mercato; tuttavia, a volte la pubblicazione è vista come indice di maggiore trasparenza e serietà del piano, e come detto è condizione necessaria per ottenere la detassazione delle sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione del debito. Inoltre, se l’imprenditore opta per attivare la procedura di Composizione Negoziata della crisi, sarà comunque necessaria un’annotazione nel Registro Imprese, perdendo in parte il vantaggio della riservatezza. Dunque, la scelta sulla pubblicazione va ponderata caso per caso, valutando l’impatto reputazionale contro i benefici fiscali e di certezza della data.

Contenuto obbligatorio del piano

L’art. 56, comma 2 CCII elenca in dettaglio gli elementi che devono essere indicati nel piano di risanamento (nella versione aggiornata dal D.Lgs. 136/2024). Si tratta di un vero e proprio checklist di contenuti minimi obbligatori, che garantiscono la completezza del piano. Vediamoli singolarmente:

  • a) Situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa: Il piano deve contenere una fotografia accurata dello stato dell’impresa al momento di presentazione del piano. Ciò include il bilancio di verifica o situazione contabile aggiornata, lo stato patrimoniale, il conto economico e il rendiconto finanziario attuale, evidenziando disponibilità liquide, crediti, debiti (distinguendo scaduti e a scadere), ecc. In pratica è l’“esposizione dello stato di fatto” da cui si parte. Nella formulazione 2024 questa voce è stata ampliata a comprendere l’indicazione del debitore e delle eventuali parti correlate, e la posizione dei lavoratori rispetto all’impresa. Dunque, vanno segnalate eventuali società collegate o gruppi, e il numero/condizione dei dipendenti (ad es. se sono in cig, se vi sono stipendi arretrati, etc.), per dare un quadro completo.
  • b) Cause della crisi e dimensioni del dissesto: Il piano deve offrire una descrizione delle principali cause che hanno condotto alla crisi o insolvenza, nonché l’entità di tale stato (quanto “profonda” è la crisi). Ad esempio: perdita di un importante cliente, contrazione del mercato, tassi di interesse crescenti su debiti, investimenti errati, problemi gestionali, frode subita, ecc. Indicare le cause è importante sia per dimostrare di averle individuate e quindi poterle affrontare, sia per dare contezza ai creditori della portata del problema (ad es. calo del fatturato del 30%, indebitamento raddoppiato in 2 anni, capitale azzerato). Comprendere le cause aiuta anche a valutare la credibilità delle misure di risanamento proposte.
  • c) Strategie di intervento e tempi di attuazione: Questo è il cuore prospettico del piano. Occorre delineare chiaramente come si intende risanare l’impresa: le strategie possono includere ristrutturazione del debito (mora temporanea, dilazioni, stralcio parziale di crediti), ricapitalizzazione da parte dei soci o ingresso di nuovi investitori, conversione di debiti in strumenti partecipativi, cessione di rami d’azienda o cespiti per ridurre l’indebitamento, riorganizzazione aziendale (chiusura di punti vendita non redditizi, licenziamenti o cassa integrazione, nuovi piani commerciali, lancio di nuovi prodotti), accordi con fornitori per sconti, ecc. Per ciascuna azione strategica, il piano deve indicare i tempi necessari per realizzarla e per raggiungere il riequilibrio finanziario. Ad esempio: “entro 6 mesi la società otterrà nuova finanza dai soci per €500.000; entro 12 mesi verrà ceduto l’immobile X con incasso stimato di €1 milione; il break-even operativo previsto al termine del secondo esercizio di piano…”. Questo cronoprogramma è fondamentale anche per il monitoraggio successivo: dovrebbe essere possibile verificare step by step se il piano sta funzionando o se si registrano scostamenti.
  • d) Elenco dei creditori da rinegoziare e creditori estranei: Il piano deve indicare quali sono i creditori coinvolti nella ristrutturazione (e l’ammontare dei rispettivi crediti oggetto di rinegoziazione), nonché lo stato delle eventuali trattative in corso con essi. Parallelamente, va fornito l’elenco dei creditori estranei, cioè quelli che rimangono fuori dal piano, specificando quali risorse (cash flow, realizzo asset, ecc.) verranno destinate a pagarli integralmente e puntualmente alle loro scadenze originarie. Questa previsione serve a tutelare i creditori che non partecipano all’accordo: se il piano li pregiudicasse, di fatto sarebbe un concordato mascherato e necessiterebbe di una procedura formale. Dunque, il piano attestato consente di tagliare o dilazionare il debito solo verso i creditori consenzienti, mentre chi non aderisce deve essere pagato regolarmente (salvo ovviamente che anch’essi in seguito accettino di entrare nell’accordo). Questa distinzione va ben evidenziata nel piano. Ad esempio: “Creditori coinvolti: Banca X (€2M, proposta: rimborso 80% in 5 anni), Fornitore Y (€300k, proposta: stralcio 30%). Creditori estranei: Fornitore Z (€50k, pagamento a scadenza con liquidità corrente), Erario (€200k per IVA e ritenute, da pagare alle scadenze con provvista derivante da… etc.)”.
  • e) Eventuali apporti di finanza nuova: Se il piano prevede l’ingresso di nuove risorse finanziarie (ad esempio finanziamenti soci, aumenti di capitale, nuovi prestiti bancari, emissione di strumenti di debito, o anche finanziamenti pubblici agevolati), questi vanno esplicitamente indicati. È importante chiarire l’importo, la forma (equity, debito, ibridi) e la tempistica di tali apporti, perché spesso la fattibilità del risanamento dipende proprio dalla disponibilità di liquidità fresca per sostenere l’azienda nella fase di rilancio e per pagare i creditori estranei. Occorre anche indicare se tali nuovi finanziatori riceveranno garanzie (es: pegno su beni aziendali, garanzia statale) o condizioni particolari. Nel CCII esistono norme (artt. 99 e 100) che favoriscono la prededucibilità di nuova finanza autorizzata in certe procedure, ma nel piano attestato – mancando un provvedimento del giudice – chi immette finanza lo fa confidando soprattutto nelle prospettive di ripresa e nelle tutele offerte dal piano (esenzione da revocatoria per la garanzia concessa, nessun rischio di azione di responsabilità).
  • f) Timeline delle azioni e rimedi per gli scostamenti: Collegato al punto c), qui si richiede un dettaglio sui tempi di realizzazione delle singole azioni previste dal piano e, elemento cruciale, l’indicazione degli “strumenti da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi e la situazione in atto”. Questa è una novità significativa introdotta dal CCII rispetto alla legge fallimentare: l’impresa deve cioè predisporre una sorta di “piano B” o almeno indicare come intende reagire se il piano non sta andando come previsto. Ad esempio: se le vendite risultassero inferiori del 10% rispetto alle previsioni, la società potrebbe impegnarsi a vendere un ulteriore cespite o a ridurre ulteriormente certi costi; oppure, se un certo asset non riuscisse a essere ceduto nei tempi, si prevede un’alternativa (una linea di credito ponte, ecc.). Questa clausola di salvaguardia aumenta la fiducia nei creditori che il piano non è un libro dei sogni ma ha considerato anche eventuali imprevisti. L’attestatore dovrà valutare anche la plausibilità e sufficienza di questi rimedi alternativi.
  • g) Piano industriale e proiezioni finanziarie: Il comma 2 lettera g) menziona il piano industriale e l’evidenziazione dei suoi effetti sul piano finanziario. In altri termini, il piano di risanamento deve includere un vero e proprio business plan pluriennale, che mostri come evolveranno conto economico, flussi di cassa e posizione finanziaria netta dell’impresa se le azioni di risanamento avranno successo. Tipicamente, questo si traduce in bilanci previsionali su base mensile o trimestrale per i primi 1-2 anni e annuale per gli anni successivi, con annessa analisi delle ipotesi (volume di affari atteso, margini operativi, investimenti, ecc.). Dato che molte imprese in crisi hanno andamenti altalenanti, è buona prassi includere anche analisi di sensibilità e scenari (scenario base, pessimistico, ottimistico). Il piano industriale deve essere coerente con gli accordi di ristrutturazione finanziaria: ad esempio, se i debiti finanziari vengono dilazionati su 5 anni, la proiezione del cash flow deve mostrare la capacità di pagare le rate in quei 5 anni.
  • g-bis) Costi e ricavi attesi, fabbisogno e coperture (inclusi costi sicurezza e ambiente): Questa voce aggiunta nel 2024 richiede di esplicitare in modo analitico i costi e ricavi attesi durante l’orizzonte del piano, il fabbisogno finanziario complessivo e come esso sarà coperto (nuovi finanziamenti, dismissioni, risorse interne). Inoltre, viene richiesto di tenere conto dei costi necessari per assicurare il rispetto delle normative sulla sicurezza sul lavoro e la tutela ambientale. Ciò deriva dall’esperienza che, in situazioni di crisi, spesso l’azienda tende a trascurare o rimandare spese su sicurezza e compliance ambientale (manutenzioni impianti, adeguamenti normativi) con possibili effetti negativi di medio termine. Il piano quindi deve essere realistico anche su questi fronti e accantonare risorse per tali obblighi. Per il professionista attestatore, questa aggiunta comporta un’ulteriore area di verifica: dovrà controllare che nel business plan siano previste spese adeguate per sicurezza e ambiente (es. smaltimento rifiuti, aggiornamento macchinari per normativa antinfortunistica, etc.), pena giudicare non fattibile il piano se tali costi sono stati ignorati.

In definitiva, il contenuto obbligatorio del piano attestato richiama in parte quello di un piano concordatario, con la differenza che qui non c’è l’imprimatur del tribunale e dunque spetta all’attestatore e in ultima analisi ai creditori valutare la completezza e attendibilità di tutte queste informazioni. Un piano di risanamento ben fatto dovrebbe comunque andare anche oltre i punti minimi di legge, spiegando ad esempio il modus operandi dell’attestatore, eventuali perizie di stima se vi sono asset da vendere, un’analisi SWOT dell’azienda, etc., per fornire quanta più chiarezza e convincere i creditori della serietà del progetto.

L’Attestazione del Piano: il Ruolo del Professionista Indipendente

Uno degli elementi qualificanti del Piano di Risanamento è la presenza dell’attestazione da parte di un professionista indipendente. Questa figura, mutuata inizialmente dall’esperienza dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione (art. 161 e 182-bis L.F.), assume un ruolo cruciale nel dare credibilità e trasparenza al piano attestato. Approfondiamo i suoi compiti, requisiti e responsabilità.

Requisiti di indipendenza e nomina

L’art. 56, comma 3 CCII stabilisce: “Un professionista indipendente deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano”. La norma non definisce qui chi sia il professionista indipendente, ma rinvia implicitamente ai requisiti previsti per gli attestatori nelle altre procedure:

  • Deve trattarsi di un soggetto iscritto in un albo professionale (dottore commercialista, revisore legale, avvocato, consulente aziendale) con adeguate competenze in materia concorsuale e aziendale.
  • L’indipendenza significa assenza di conflitti di interesse rispetto all’impresa debitrice e ai creditori: in particolare, non deve essere legato all’azienda o alle parti correlate da rapporti di lavoro, consulenza continuativa, parentela con gli amministratori, partecipazioni societarie, ecc. Spesso ci si riferisce ai requisiti dell’art. 2, comma 1, lett. o) CCII (definizione di “professionista indipendente”) che esclude chi, nei 5 anni precedenti, abbia avuto incarichi di consulenza o funzioni negli organi della società debitrice o parti correlate, o rapporti di natura economica significativi.
  • Non deve trovarsi egli stesso in situazioni di incompatibilità (ad esempio non può essere il revisore legale in carica dell’azienda, né un creditore della società).
  • Tipicamente viene scelto un dottore commercialista esperto di ristrutturazioni aziendali, iscritto all’albo dei curatori e con esperienza di attestazioni in concordati o accordi ex art. 57. In alcuni casi possono fungere da attestatori anche avvocati se il fulcro è legale, ma la prassi vuole più spesso figure economico-aziendali data la necessità di analizzare bilanci e piani finanziari.

La nomina dell’attestatore spetta all’imprenditore/debitore. Non vi è un meccanismo pubblico di nomina (diversamente dalla composizione negoziata dove l’esperto è nominato da un commissione esterna). Dunque è fondamentale per la buona riuscita che l’imprenditore scelga un professionista di chiara fama e terzietà, in grado di conquistare la fiducia dei creditori. Frequentemente, nelle trattative iniziali, i creditori maggiori richiedono di poter conoscere e approvare la scelta dell’attestatore, proprio per evitare figure compiacenti. L’attestatore dovrà dichiarare esplicitamente nella relazione di attestazione la propria indipendenza e l’assenza di cause di incompatibilità.

Obblighi e attività dell’attestatore

Il compito principale è attestare due aspetti chiave: (1) la veridicità dei dati aziendali esposti nel piano; (2) la fattibilità economica del piano. Vediamo cosa comporta ciascuno:

  • Veridicità dei dati aziendali: L’attestatore deve svolgere una verifica approfondita sulla attendibilità delle informazioni finanziarie e contabili fornite dall’imprenditore. Questo significa controllare bilanci, estratti conto bancari, elenco creditori e debiti, inventari, situazione fiscale e contributiva, ecc., per assicurarsi che il quadro di partenza (situazione di cui alla lettera a) del piano) sia corretto e completo. In pratica, l’attestatore agisce quasi come un revisore: chiede documentazione di supporto, si avvale eventualmente di ispezioni e conferme da terzi (ad esempio può contattare alcuni creditori per confermare gli importi dovuti, oppure verificare i cespiti tramite perizie indipendenti). I Principi di attestazione emanati dal CNDCEC nel 2017 forniscono linee guida su fin dove spingersi in queste verifiche. Ovviamente l’attestatore non rifà il bilancio dell’azienda, ma deve assicurarsi che non vi siano grossolane falsità o omissioni nei dati che inficerebbero il piano. Se scopre discrepanze, chiederà correzioni.
  • Fattibilità economica del piano: È la parte più complessa e delicata. Attestare la fattibilità significa esprimere un giudizio professionale sul fatto che, con le azioni previste, l’impresa riuscirà plausibilmente a risanarsi. Non si chiede all’attestatore di garantire il successo (è sempre una valutazione prognostica, quindi soggetta a incertezza), ma di valutare se il piano è realisticamente idoneo allo scopo. Come affermato in dottrina, l’attestatore deve spiegare “le ragioni in base alle quali ritiene che l’operazione abbia concrete prospettive di successo”. Questo implica:
    • analisi della coerenza interna del piano: se i numeri tornano, se i costi e ricavi attesi (punto g-bis) sono ragionevoli e supportati da assunti credibili, se il fabbisogno finanziario calcolato è effettivamente coperto dagli apporti previsti.
    • analisi della coerenza esterna: confrontare le ipotesi del piano con l’andamento del settore, con eventuali benchmark di mercato, con scenari macroeconomici. Ad esempio, se il piano prevede raddoppio del fatturato in 2 anni, ciò è in linea col mercato? Se prevede margini di utile altissimi, è credibile per quel settore?
    • verifica dei KPI (Key Performance Indicators) e stress test: i Principi di attestazione suggeriscono di eseguire analisi di sensitività variando alcune ipotesi chiave (es. -10% vendite, +1% tassi interesse) per vedere se il piano regge comunque (indicando quali parametri sono più critici). Questo esercizio andrebbe riportato sinteticamente in relazione, per mostrare la robustezza del piano.
    • valutazione dei rimedi in caso di scostamento: come richiesto dalla legge, il piano deve prevedere strumenti per gli scostamenti (punto f). L’attestatore deve quindi giudicare se tali strumenti sono effettivamente attivabili e sufficienti. Ad esempio, se il rimedio proposto è “vendere un immobile ulteriore”, l’attestatore valuta se quell’immobile esiste, che valore ha, se è libero da vincoli, se è vendibile in tempi rapidi.
    • giudizio probabilistico: infine, l’attestatore formula il proprio giudizio conclusivo di fattibilità. Può farlo in termini qualitativi (es. “a giudizio di chi scrive, il piano appare ragionevolmente fattibile in quanto…”) oppure anche con considerazioni probabilistiche (“riteniamo che il piano presenti elevate probabilità di successo se realizzato secondo quanto previsto, salvo eventi eccezionali”). L’importante è che sia motivato e non apodittico. Spesso si ribadisce la definizione: l’attestazione è una “valutazione prognostica circa la realizzabilità dei risultati attesi riportati nel Piano, in ragione dei dati e delle informazioni disponibili al momento del rilascio dell’attestazione”.

Dal punto di vista pratico, l’attestatore produce una Relazione di Attestazione scritta, strutturata generalmente in:

  • introduzione (incarico ricevuto, dichiarazione d’indipendenza, documenti esaminati, eventuale utilizzo di ausiliari o team, ecc.);
  • descrizione dell’azienda e delle cause della crisi (spesso riepiloga le sezioni a) e b) del piano con parole proprie, per dimostrare di aver compreso e validato lo scenario di partenza);
  • analisi del piano (esamina punto per punto le strategie, i dati prospettici, i contratti con i creditori – magari allega uno schema riassuntivo dei debiti ristrutturati e di come verranno pagati – e commenta la coerenza e sufficienza di ciascuna misura, citando magari i Principi di attestazione come riferimento metodologico);
  • giudizio finale di attestazione, dove si dichiara espressamente che i dati aziendali sono veritieri e che il piano è fattibile e idoneo a risanare l’impresa. A volte l’attestatore pone delle condizioni o raccomandazioni (es: “il giudizio positivo è espresso assumendo che i soci versino effettivamente la somma X entro il tal termine, come da lettera di intenti allegata”).

Vale la pena sottolineare che, mancando completamente una fase giudiziale nella disciplina del piano attestato, la relazione dell’attestatore è l’unico documento “terzo” che conferisce ufficialità al piano. Il giudice interverrà solo se successivamente qualcosa va storto (ad esempio in sede di fallimento, per valutare ex post se il piano era idoneo). Ciò investe il professionista attestatore di una grande responsabilità e richiede massima diligenza nel suo operato.

Responsabilità e controllo dell’attestatore

Il ruolo dell’attestatore non è meramente notarile; comporta responsabilità civili e anche potenziali responsabilità penali:

  • Responsabilità civile: l’attestatore risponde verso l’imprenditore e i terzi (creditori, nuovi finanziatori) per dolo o colpa grave in caso di attestazione infedele. Se, ad esempio, attesta dati falsi sapendo che sono falsi, oppure valuta fattibile un piano manifestamente irrealistico omettendo controlli basilari, potrà essere chiamato a risarcire i danni subiti dai creditori che facendo affidamento sull’attestazione hanno aderito al piano perdendo poi i propri crediti. Tipicamente l’azione di responsabilità potrà essere esercitata dal curatore fallimentare nel successivo fallimento come azione di massa, oppure dal singolo creditore danneggiato. Occorre dimostrare la colpa grave o il dolo (non basta l’errore onesto di valutazione, vista la natura prognostica).
  • Responsabilità penale: il Codice della Crisi (art. 341 e 342 CCII) prevede esplicitamente il reato di falso in attestazioni e relazioni, punendo il professionista che nelle relazioni o attestazioni richieste dalla legge espone informazioni false o occulta informazioni rilevanti sulla situazione dell’impresa, con l’intento di indurre in errore i creditori. Questa norma è l’equivalente dell’art. 236-bis della vecchia legge fallimentare. Se l’attestatore agisce in malafede per aiutare l’imprenditore a frodare i creditori, rischia quindi sanzioni penali anche severe. Inoltre, se concorre consapevolmente con l’imprenditore in reati concorsuali (es. bancarotta fraudolenta documentale o preferenziale), può anch’egli essere perseguito a titolo di concorso nel reato.
  • Controllo giudiziale ex post: Pur non essendovi un’omologazione preventiva, la validità sostanziale del piano e della relativa attestazione può essere scrutinata ex post dal giudice in caso di successiva insolvenza formale dell’impresa. In particolare, nei giudizi per azioni revocatorie o nei riparti fallimentari, il tribunale valuterà se effettivamente il piano era idoneo al risanamento e se l’attestazione era accurata. Come affermato dalla Cassazione, il giudice deve compiere una valutazione ex ante (conoscitiva del momento in cui il piano fu formato) dell’idoneità del piano a risanare l’impresa, tenendo conto proprio della completezza e attendibilità del lavoro dell’attestatore. Se il giudice riscontra che il piano era manifestamente inetto e l’attestatore non lo ha rilevato, potrebbe dedurne una carenza grave. Tuttavia – come vedremo più avanti nel capitolo sulla giurisprudenza – la Cassazione ha chiarito che questo controllo giudiziale non deve trasformarsi in una sovrapposizione del giudizio del tribunale a quello dell’attestatore, bensì limitarsi a verificare ragionevolezza e serietà dell’attestazione: “il giudice non tende a sovrapporre la congettura del tribunale al giudizio espresso dall’attestatore; deve limitarsi a soppesarne la ragionevolezza […] la correttezza dei criteri valutativi adoperati, l’attendibilità e la coerenza delle previsioni”. In altre parole, l’attestatore non è infallibile ma non deve essere negligente né colluso.

In conclusione, la figura dell’attestatore è il perno attorno a cui ruota la credibilità del piano attestato. Gli imprenditori devono comprendere che scegliere un attestatore qualificato e trasparente, ed essere collaborativi fornendo tutti i dati necessari, è nel loro migliore interesse: un’attestazione forte e motivata rende i creditori più propensi ad aderire e, in caso di controllo giudiziario futuro, metterà al riparo dagli effetti negativi (ad esempio, confermando l’esenzione da revocatoria). Dal lato dei creditori, questi guarderanno con attenzione al curriculum e all’indipendenza dell’attestatore: spesso un istituto di credito condizionerà la sua adesione al piano proprio alla presenza di un attestatore di fiducia e stima.

Procedura di Predisposizione e Attuazione del Piano

Pur non essendovi una procedura formalizzata per legge (non ci sono ricorsi, udienze, decreti), nella pratica la predisposizione di un Piano Attestato di Risanamento segue una serie di passaggi operativi relativamente standard. Di seguito illustriamo un possibile iter, dall’emersione della crisi fino all’esecuzione degli accordi:

  1. Diagnosi preliminare della crisi: l’imprenditore, spesso coadiuvato da consulenti finanziari o legali, analizza la situazione di difficoltà per capire se vi sono margini per un risanamento. In questa fase si raccolgono i dati contabili, si valuta la gravità dell’insolvenza (quali debiti sono scaduti, quali asset disponibili, contenziosi pendenti, ecc.) e si inizia a delineare un percorso (piano A e magari un piano B in caso di fallimento per compararne gli esiti). È qui che si decide se il piano attestato è lo strumento adatto: ad esempio, se la situazione richiede una moratoria immediata o una falcidia dei debiti non consensuale, forse è preferibile un concordato; se invece i principali creditori sono noti e collaborativi, il piano può funzionare.
  2. Coinvolgimento preliminare dei creditori chiave: prima di stendere un piano dettagliato, l’imprenditore generalmente contatta in via riservata i suoi maggiori creditori (ad es. la banca principale, o fornitori strategici) per sondare la disponibilità a negoziare. In molti casi si stipula un accordo di riservatezza e standstill, in cui i creditori si impegnano a non agire esecutivamente per un breve periodo per dare respiro alle trattative (le banche spesso, su richiesta, congelano temporaneamente le rate, i fornitori sospendono azioni legali, ecc.). Questo “patto di moratoria” non è garantito da legge ma è frutto di negoziazione: se ottenuto, crea lo spazio temporale per elaborare il piano senza il fiato sul collo di decreti ingiuntivi o istanze di fallimento.
  3. Nomina del professionista attestatore: una volta deciso di perseguire la strada del piano attestato e ottenuto un minimo di appoggio informale, si procede a individuare e incaricare formalmente l’attestatore indipendente. Come detto, è bene che la scelta sia condivisa con i creditori principali per aumentarne la fiducia. Il professionista, una volta accettato l’incarico, inizia subito a raccogliere la documentazione e spesso interagisce con l’azienda anche nella definizione del piano (pur mantenendo la necessaria terzietà: può dare suggerimenti su come strutturare le proiezioni o evidenziare incongruenze, senza però “scrivere il piano” al posto dell’imprenditore, per non compromettere la sua indipendenza).
  4. Redazione del Piano di Risanamento: l’imprenditore con il supporto dei suoi consulenti (spesso un advisor finanziario e uno legale) prepara materialmente il documento di piano, comprensivo di tutte le sezioni richieste (analisi della situazione, cause crisi, misure proposte, ecc. come viste sopra) e degli allegati (situazioni contabili, elenco creditori, business plan dettagliato, bozze di accordi con creditori, lettere di impegno di nuovi finanziatori, perizie di stima se rilevanti, e via dicendo). È un lavoro intenso, che può durare diverse settimane, e spesso viene rivisto più volte anche in base ai feedback che nel frattempo arrivano dai creditori coinvolti. Ad esempio, la banca X potrebbe dire “non accettiamo solo l’80% a 5 anni, vogliamo almeno l’85%”, e allora il piano si ricalibra magari riducendo altre voci di spesa o coinvolgendo più soci. In parallelo, l’attestatore effettua le sue verifiche: esamina i bilanci, verifica i contratti di debito, chiede conferme dei saldi, testa le proiezioni. Vi è quindi un dialogo continuo tra attestatore e azienda: quest’ultima fornisce dati e magari aggiusta il tiro su richiesta dell’attestatore (ad es. inserendo i costi sicurezza se li aveva dimenticati, su indicazione del professionista).
  5. Negoziazione con i creditori e accordi individuali: mentre il piano prende forma, si negoziano i singoli accordi bilaterali con i creditori aderenti. Ad esempio, con ciascuna banca si firmerà un accordo di ristrutturazione del mutuo (piano di rientro), con i fornitori un accordo transattivo su forniture pregresse (magari riconoscendo una percentuale a saldo e stralcio). Questi accordi dovrebbero essere coerenti col piano complessivo (art. 56 richiede che siano “conclusi in esecuzione e coerentemente con il piano”). Nella pratica, il piano potrebbe non allegare tutti i contratti finali già firmati (a volte la firma definitiva avviene contestualmente all’attestazione per far partire tutto insieme), ma almeno delle lettere di intenti vincolanti. Il professionista attestatore vorrà vedere questi impegni per accertarsi che non siano mere vaghe promesse. Ad esempio, la banca rilascerà una lettera di approvazione creditizia del nuovo piano di ammortamento; i fornitori firmeranno un term sheet di rinuncia a parte del credito condizionato all’attuazione del piano. È importante che tutti questi accordi abbiano data certa (es. firma digitale con marca temporale, atto notarile o scambio PEC) per poterli poi far rientrare a pieno titolo tra gli atti esecutivi protetti.
  6. Attestazione finale del professionista: quando la bozza di piano è completa e gli accordi con i creditori pronti (anche se magari firmati solo in escrow in attesa dell’attestazione), il professionista redige la Relazione di Attestazione finale. Può anche essere utile far leggere in bozza la relazione ai creditori maggiori, in modo da rassicurarli in anticipo sul contenuto. Una volta firmata digitalmente o autenticata l’attestazione, il pacchetto finale è pronto. Normalmente si crea un dossier contenente: piano di risanamento firmato dall’imprenditore; relazione di attestazione firmata dall’attestatore; accordi con i creditori firmati dalle parti; eventuali allegati documentali. Il tutto con data certa (ad es. si porta in registro imprese per l’iscrizione).
  7. Esecuzione del piano e monitoraggio: a questo punto si passa alla fase attuativa. Gli accordi ristrutturativi diventano efficaci: ad esempio, scattano i nuovi piani di pagamento, i soci effettuano i versamenti promessi, eventuali atti dispositivi (vendita di un immobile, conferimento di un nuovo pegno, ecc.) vengono posti in essere. La direzione aziendale deve seguire pedissequamente il piano, e possibilmente implementare un sistema di monitoraggio periodico con report ai creditori. Anche se la legge non prevede un commissario o un supervisore ufficiale, spesso i contratti con le banche includono clausole di covenant: obbligo di fornire bilanci infrannuali, indicatori di performance da rispettare (es. margine minimo, rapporto debt/EBITDA sotto una soglia), e previsione che se i covenant saltano la banca possa considerare il piano risolto. Insomma, i creditori intendono vigilare sulla buona esecuzione. Alcune aziende costituiscono dei comitati di sorveglianza volontaria con rappresentanti dei creditori, oppure incaricano lo stesso attestatore o un revisore terzo di predisporre relazioni periodiche sullo stato di avanzamento del piano. Questo non è richiesto ex lege, ma è una buona prassi per mantenere la fiducia durante i (spesso pluriennali) tempi di attuazione.
  8. Completamento del piano o emersione di criticità: se tutto va secondo i piani, al termine del periodo previsto l’impresa avrà adempiuto i nuovi accordi, ridotto il debito e ritrovato equilibrio economico-finanziario. L’uscita “formale” dal piano in genere coincide semplicemente con la fine degli obblighi contrattuali verso i creditori (l’ultima rata pagata, ecc.). Non essendoci omologazioni o esdebitazioni ufficiali, il successo si misura dal fatto che l’impresa è tornata solvibile e non ha più strascichi concorsuali. Viceversa, se durante l’esecuzione il piano diventa inattuabile (ad esempio per un nuovo shock economico, o perché le performance sono molto peggiori del previsto e i rimedi non bastano), allora ci si trova in un bivio: tentare di rimodulare il piano con un nuovo accordo (a volte accade: si rinegoziano ulteriori dilazioni, si cerca ulteriore finanza – essenzialmente un “secondo round” di piano attestato), oppure prendere atto del fallimento e accedere a una procedura concorsuale formale. Purtroppo, la giurisprudenza riporta casi in cui un piano attestato mal calibrato ha solo ritardato di poco il fallimento, aggravando la situazione; in tali casi gli amministratori possono rischiare azioni di responsabilità per aver proseguito l’attività oltre il dovuto. Tuttavia, se il piano era stato attestato regolarmente, gli atti compiuti nel frattempo (es. i pagamenti fatti ad alcuni creditori) resteranno comunque protetti dalle revocatorie, e questo limita i danni per quei creditori che hanno confidato nel piano.

Da questo iter emerge chiaramente che, sebbene il piano attestato sia privo di formalità giudiziarie, la complessità operativa non va sottovalutata: servono capacità di negoziazione, accuratezza nella pianificazione finanziaria, e disciplina nell’esecuzione. Per un imprenditore, affrontare un piano attestato senza adeguata assistenza professionale sarebbe estremamente rischioso. In genere, un team ideale comprende: un advisor finanziario esperto di ristrutturazioni (spesso coincidente con l’attestatore oppure distinto se si vogliono separare i ruoli), un consulente legale per la contrattualistica e per eventuali tutele (ad esempio per predisporre ricorsi urgenti se qualche creditore agisce comunque, oppure per valutare l’impatto di eventuali procedure concorsuali aperte da creditori minori), e naturalmente il management aziendale stesso che deve mettere in atto le misure industriali previste (non dimentichiamo che risanare un’azienda non è solo questione di accordi finanziari: spesso occorre prendere decisioni difficili come tagli di rami improduttivi, rilancio commerciale, innovazione di prodotto – cose che esulano dall’ambito giuridico ma vanno fatte).

Effetti Giuridici del Piano Attestato

Il Piano Attestato di Risanamento, in quanto operazione principalmente contrattuale, non produce automaticamente effetti nei confronti di tutti i creditori (come ad esempio un concordato che è vincolante per la totalità), né prevede stati di emergenza quali sospensioni legali delle azioni esecutive. Tuttavia, la normativa gli riconosce alcuni effetti giuridici specifici, soprattutto in caso di eventuale successivo fallimento o liquidazione giudiziale dell’impresa. Tali effetti fungono da “incentivi” sia per l’imprenditore sia per i terzi a perseguire la via negoziale. Vediamoli in dettaglio:

Esenzione dalle azioni revocatorie (fallimentari e ordinarie)

L’effetto più rilevante è l’esenzione da revocatoria per gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato. Questa previsione, già presente in art. 67 L.F., è ora ribadita e ampliata negli artt. 166 e 324 CCII. In particolare:

  • Art. 166 CCII: disciplina l’esenzione da revocatoria “civile”, stabilendo che non sono soggetti all’azione revocatoria (sia fallimentare che ordinaria) gli atti, pagamenti e garanzie compiuti in esecuzione di un piano attestato ex art. 56 CCII. Ciò significa che, qualora successivamente l’impresa venga dichiarata in liquidazione giudiziale (ex fallimento), il curatore non potrà chiedere l’inefficacia di quegli atti invocando le norme sugli atti a titolo preferenziale o a titolo oneroso anomali compiuti in periodo sospetto. Analogamente, anche al di fuori di una procedura concorsuale, un singolo creditore non potrà esercitare l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. per far dichiarare inefficace un atto compiuto durante ed in esecuzione del piano (ad esempio, se l’impresa ha pagato il Fornitore A ma non B, B non può agire in revocatoria ordinaria contro il pagamento a favore di A, se avvenuto come parte del piano di risanamento pubblicato). Questa estensione all’azione ordinaria è frutto dell’interpretazione evolutiva della Cassazione (sent. n. 2176/2023) e oggi è messa nero su bianco dal CCII. Lo scopo è impedire che un piano attestato venga vanificato da cause intentate da creditori estranei che si ritenessero pregiudicati: se costoro ricevono quanto dovuto alle scadenze originarie, non hanno motivo di lamentarsi né strumento per aggredire atti destinati a risanare l’impresa.
  • Limiti dell’esenzione: L’esenzione non è un salvacondotto assoluto e indiscriminato. La giurisprudenza ha più volte chiarito che, per potersi avvalere di essa, il piano deve essere sostanzialmente idoneo e genuino. In particolare la Cassazione (sent. n. 9743/2022) ha affermato che l’esenzione opera “solo nel momento in cui il giudice abbia preventivamente effettuato una valutazione circa l’idoneità del piano stesso a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa”, verificando la veridicità dei dati e l’attendibilità complessiva del piano. Ciò significa che, in sede di fallimento, il curatore che si vede opporre l’esenzione dovrà dimostrare l’eventuale manifesta inettitudine del piano a risanare: se riesce a provarla (ad esempio mostrando che il piano era una mera finzione, priva di reale copertura finanziaria, oppure basata su dati falsi), allora l’esenzione potrebbe essere disconosciuta e l’atto tornerebbe revocabile. Ma se il piano era serio e l’attestazione corretta, l’atto rimane protetto. In termini giuridici, si richiede che il piano “appaia idoneo” (concetto normativo) e il giudice, con giudizio ex ante, verificherà almeno che non fosse “assolutamente, evidentemente inetto” allo scopo.
  • Dolo o colpa grave e conoscenza del terzo: Il CCII, recependo orientamenti formatisi, ha previsto un importante limite soggettivo all’esenzione: “L’esenzione da revocatoria non opera in caso di dolo o colpa grave del debitore o dell’attestatore quando il creditore (controparte dell’atto) ne era a conoscenza al momento dell’atto/pagamento/costituzione della garanzia”. In pratica, se l’operazione di risanamento è stata posta in essere con mala fede o colpa grave (ad esempio dati falsificati intenzionalmente, collusione tra debitore e attestatore) e il terzo che ha beneficiato dell’atto (es. il creditore pagato) era consapevole di tale falsità o irregolarità, allora egli perde la protezione e quell’atto potrà essere revocato. Questa clausola mira a evitare che l’esenzione diventi scudo per operazioni dolose: se un creditore viene preferito e sapeva che il piano era truccato solo per favorirlo, giustamente potrà subire l’azione revocatoria come atto in frode. È una situazione estrema, ma non impossibile: pensiamo a un amministratore che accorda pagamenti a un’impresa “amica” spacciandoli come piano di risanamento con attestatore compiacente. In tal caso, se fallisce, quel pagamento non sarà protetto perché fraudolento. Per i creditori in buona fede invece l’esenzione resta piena.
  • Decorrenza e portata temporale: L’esenzione copre gli atti compiuti in esecuzione del piano. Generalmente, si ritiene siano coperti gli atti successivi alla formazione del piano e inclusi nelle sue previsioni. Ad esempio, se un mese prima del piano l’imprenditore paga un creditore anticipatamente “in vista” del piano ma senza ancora un piano formalizzato, quell’atto potrebbe non essere coperto. Diverso se il piano viene formalmente datato e poi eseguito. Di conseguenza, conviene inserire nel piano anche eventuali atti già compiuti in prossimità che ne facciano parte integrante, per ancorarli all’esenzione. Inoltre, l’esenzione si applica, come detto, sia in caso di fallimento (revocatoria fallimentare, ex art. 164 CCII e seguenti) sia in caso di revocatoria ordinaria (azione individuale). La legge specifica che l’esenzione degli atti “esercitata dentro o fuori dal fallimento”. Questa formulazione recepisce quell’evoluzione giurisprudenziale per cui la distinzione tra revocatoria fallimentare (collettiva) e ordinaria (individuale) non deve frustrare la ratio delle esenzioni. In passato vi è stato dibattito interpretativo (alcuni tribunali, come nel caso di Perugia 2021, hanno inizialmente ammesso revocatorie ordinarie, poi la Cassazione ha chiarito). Oggi non ci sono dubbi: un atto conforme al piano attestato non può essere revocato né dal curatore né dai singoli creditori, a meno delle eccezioni di malafede illustrate.
  • Atti protetti: Sono protetti tutti gli atti unilaterali (pagamenti) e i contratti posti in essere in esecuzione del piano attestato. Ad esempio: concessione di nuove garanzie ai finanziatori (pegno, ipoteca) – queste sarebbero di norma revocabili se concesse in periodo sospetto, ma se sono previste dal piano e funzionali al risanamento non lo saranno; pagamenti di debiti scaduti – non revocabili; vendite di beni per pagare i creditori – non revocabili purché a condizioni di mercato e inserite nel piano; remissioni di debito da parte dei creditori – queste in realtà non sarebbero atti del debitore, ma è opportuno menzionare che anche i creditori aderiscono con atti propri (transazioni) che poi non potranno essere toccati. Un caveat: se il piano prevedesse un pagamento preferenziale non funzionale al risanamento (es. paga un creditore estraneo e non gli altri), quell’atto potrebbe essere fuori dall’esenzione perché il giudice potrebbe dire “non era funzionale al risanamento ma ha danneggiato gli altri”. Tuttavia se il piano è genuino i creditori estranei dovevano comunque essere soddisfatti per definizione quindi questo rischio è minimizzato.

Esenzione da reati di bancarotta semplice e preferenziale

Un secondo complesso di effetti correlato al piano attiene, come detto, alla sfera penale. L’art. 324 CCII prevede infatti che non si applichino le disposizioni relative ai reati di bancarotta preferenziale e bancarotta semplice (artt. 322 co.3 e 323 CCII) per i pagamenti e le operazioni compiute in esecuzione degli accordi di un piano attestato. In parole povere:

  • Se l’imprenditore, poi fallito, durante il piano ha effettuato pagamenti preferenziali ad alcuni creditori a danno di altri, tali pagamenti – se compiuti in attuazione del piano attestato – non costituiscono reato di bancarotta preferenziale. Normalmente, pagare scientemente un creditore invece di altri prima del fallimento integra il reato di bancarotta preferenziale; qui invece il legislatore crea una “zona franca” penale: chi è pagato in un contesto di risanamento non viene considerato colpevole di aver ricevuto una indebita preferenza criminale, e l’imprenditore stesso non è perseguibile per ciò.
  • Analogamente, certe condotte che configurerebbero bancarotta semplice (art. 323 CCII, erede del vecchio art. 217 L.F.) come l’aver aggravato il dissesto con imprudenze o violazioni di legge, non si applicano se tali atti rientravano in operazioni compiute sotto l’ombrello del piano. Ad esempio, il reato di bancarotta semplice punisce l’imprenditore che ha fatto spese personali eccessive o che ha ritardato la richiesta di fallimento aggravando il passivo; con l’esenzione, se il ritardo nel fallimento era dovuto al tentativo di attuare un piano attestato ragionevole, quell’imprenditore non verrà punito per bancarotta semplice.
  • Limiti: Attenzione però, l’art. 324 CCII non offre immunità per i reati più gravi di bancarotta fraudolenta. Non copre ad esempio l’aver distratto beni, l’aver falsificato le scritture contabili, ecc. (art. 322 commi 1 e 2 CCII, ex art. 216 L.F.). Quindi se l’imprenditore compie atti dolosi di depauperamento, non può certo giustificarli col piano. L’esenzione penale riguarda solo i due reati “concorsuali minori” (preferenziale e semplice) e serve a rassicurare chi compie atti di pagamento o concede garanzie durante il risanamento: queste condotte, benché preferiscano taluni creditori e possano peggiorare il patrimonio netto nell’immediato, sono esentate perché fatte con finalità salvifica dell’impresa. In altre parole, il legislatore riconosce che per salvare l’azienda a volte bisogna pagare subito qualcuno (preferire) o assumere rischi, e non vuole punire l’imprenditore che ci prova in buona fede.
  • Per fare un esempio concreto, se una banca concede un nuovo fido perché previsto dal piano e ottiene un’ipoteca, e poi la società fallisce, senza l’esenzione quell’ipoteca potrebbe portare a incriminare l’amministratore per bancarotta preferenziale (avendo costituito una garanzia a un creditore a scapito di altri). Con l’art.324 CCII, quell’amministratore non risponderà penalmente di ciò, né la banca sarà considerata correo. Questo elimina la “paura” penalistica che spesso frenava gli operatori nell’aiutare imprese in bilico.
  • Anche in ambito penale vale la condizione di genuinità: se emergesse che il piano era fittizio e serviva solo a mascherare favori, potrebbero comunque contestarsi reati più gravi (ad esempio, sotto la veste del piano si è compiuta una distrazione di beni – allora si configura bancarotta fraudolenta distrattiva comunque). Ma finché il piano è rispettato nella sua forma lecita, chi agisce al suo interno ha una protezione di legge.

Agevolazioni fiscali (detassazione delle sopravvenienze attive)

Un ulteriore effetto positivo, di natura tributaria, è la possibilità di usufruire della non tassazione delle cosiddette sopravvenienze attive da risanamento. Cosa sono? Quando un’impresa ottiene dai creditori un’abbuono di una parte dei debiti (ad esempio un fornitore accetta di essere pagato al 70% rinunciando al 30%), contabilmente quella riduzione di debito si traduce in una sopravvenienza attiva, ossia un “ricavo straordinario” per l’impresa debitrice (ha meno debito da pagare quindi si arricchisce per la quota condonata). In linea di principio, tali sopravvenienze sarebbero tassabili come reddito imponibile ai fini IRES e IRAP. Tuttavia, l’ordinamento prevede una agevolazione: l’art. 88, comma 4-ter del TUIR (Italiano) dispone che le sopravvenienze attive derivanti da accordi di ristrutturazione dei debiti omologati e da piani attestati di risanamento non concorrono a formare il reddito imponibile, alle condizioni ivi previste.

In origine (fino a qualche anno fa) questa detassazione era riconosciuta per concordati preventivi e accordi ex art. 182-bis L.F., mentre vi era incertezza per i piani attestati. La norma infatti parlava di piani attestati ex art. 67 L.F., ma alcuni ritenevano applicabile solo se il piano era pubblicato. La Agenzia delle Entrate ha chiarito definitivamente (Risoluzione n. 222/E del 13/11/2024) che anche i piani attestati disciplinati dal CCII rientrano nell’agevolazione, a patto che il piano sia pubblicato nel Registro delle Imprese. Questo allineamento è stato logico: si vuole favorire parimenti tutti gli strumenti di risanamento regolati.

Dunque, se la nostra azienda nel piano ottiene, ad esempio, uno stralcio di €100.000 di debiti, quell’importo non verrà tassato come ricavo (cosa che altrimenti sarebbe una beffa: l’impresa esce dalla crisi ma si trova tassata sui debiti condonati!). Il beneficio è notevole perché evita esborsi fiscali su entità di per sé solo virtuali (nessun incasso effettivo corrisponde alla sopravvenienza da riduzione debito).

Condizione vincolante: la norma fiscale esige la pubblicazione del piano attestato (e presumibilmente dell’attestazione) nel registro imprese. Questo per dare certezza all’Erario che il piano esiste formalmente ed è datato. Inoltre, l’agevolazione vale per la quota eccedente l’eventuale perdita su crediti già dedotta dal creditore (dettaglio tecnico: se il creditore aveva già dedotto fiscalmente la perdita, la stessa somma non genera sopravvenienza imponibile per il debitore e viceversa). In ogni caso, per l’imprenditore è un argomento in più per depositare il piano in Camera di Commercio.

In pratica, l’azienda dovrà indicare nella dichiarazione dei redditi l’esistenza di un piano attestato pubblicato e quantificare le sopravvenienze attive non tassabili. L’Agenzia potrà verificarne la corrispondenza col piano registrato.

Altri effetti: durata, consecuzione e rapporti con procedure

Oltre ai principali effetti di esenzione e agevolazione, vi sono alcune considerazioni ulteriori:

  • Nessuna automatic stay: a differenza della presentazione di un concordato o di una domanda di omologazione di accordo, la predisposizione di un piano attestato non attiva alcuna moratoria legale. I creditori, se non diversamente pattuito, restano liberi di agire individualmente (decreti ingiuntivi, pignoramenti, istanze di fallimento). Ciò è un notevole rischio: la riuscita del piano dipende dalla volontà dei creditori di astenersi dalle azioni aggressive. Per mitigare questo rischio, come detto, spesso si fa ricorso a accordi standstill volontari o, se necessario, si può combinare il piano con la richiesta al tribunale di misure protettive temporanee. In particolare, nell’ambito di una composizione negoziata della crisi, l’imprenditore può chiedere al tribunale misure cautelari e protettive (ad esempio il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive per alcuni mesi). Il piano attestato può emergere come esito di tale composizione, beneficiando di quello “scudo” temporaneo. Una volta che il piano è definito e i creditori chiave aderiscono, di norma le azioni esecutive si fermano da sé perché i creditori attendono l’esecuzione del piano (o ne fanno parte).
  • Rapporti con procedure concorsuali alternative: La predisposizione di un piano attestato non preclude di per sé la possibilità di accedere a una procedura concorsuale, qualora si renda necessario. Ad esempio, un imprenditore potrebbe iniziare a lavorare su un piano attestato ma, se alcuni creditori importanti rifiutano, decidere poi di depositare un concordato preventivo. La legge non lo vieta: tuttavia, l’aver tentato un piano attestato e poi passare a concordato può creare sovrapposizioni (ad esempio i creditori che hanno firmato accordi potrebbero trovarsi a votare un concordato). In alcuni casi si è avuta la situazione inversa: imprese che avevano presentato una domanda di concordato “in bianco” hanno poi virato su un piano attestato (celebre un caso al Tribunale di Venezia 2021 in cui un imprenditore ha ritirato il concordato per eseguire invece un piano attestato con nuovi finanziamenti, e il tribunale ha valutato come considerare la consecuzione temporale). La regola generale è che non c’è consecuzione con procedure concorsuali, in quanto il piano non è procedura; pertanto, se un concordato segue il piano (o viceversa) i due eventi restano autonomi e ciascuno avrà il suo periodo sospetto per le revocatorie. Ovviamente, se dal piano si passa a fallimento, i creditori pagati nel piano (in buona fede) conservano ciò che hanno ricevuto grazie all’esenzione, e gli altri concorsuali subiscono la falcidia come da regole del fallimento.
  • Durata massima: Non esistono vincoli di durata del piano attestato in sé (a differenza del concordato preventivo in continuità dove la legge anti-long-term ha previsto un limite di 5 anni per i pagamenti dilazionati dei creditori chirografari, qui non c’è norma simile). Tuttavia, realisticamente, i piani attestati raramente eccedono i 5 anni di orizzonte, perché altrimenti molti creditori preferirebbero la certezza di un concorsuale. Se sono previste dilazioni più lunghe (ad es. mutui decennali), in genere si struttura l’accordo in modo che la finanza nuova rifinanzia il debito a lungo termine, lasciando ai vecchi creditori l’incasso immediato della finanza stessa.
  • Pubblicità verso terzi: Oltre all’aspetto fiscale, la pubblicazione nel Registro Imprese rende opponibile ai terzi il contenuto del piano e dell’attestazione. Ciò significa che, se un terzo (non creditore originario) entra in rapporti con l’azienda dopo, non può dire di ignorare che l’azienda aveva un piano di risanamento in corso. Questo è rilevante ad esempio per eventuali nuovi fornitori: sapere che un’impresa ha registrato un piano attestato li mette in guardia su una situazione di pregresso. Non c’è però una disciplina su come i contratti in corso sono toccati dal piano – essendo stragiudiziale, non c’è la possibilità di sciogliere o sospendere unilateralmente contratti pendenti (come invece può il concordato). Ogni modifica contrattuale deve essere negoziata con la controparte.

Riassumendo, gli effetti legali del piano attestato si manifestano essenzialmente a posteriori, in caso di insolvenza sopravvenuta, garantendo tutele a chi ha partecipato allo sforzo di risanamento (niente azioni revocatorie, niente incriminazioni per preferenze, niente tasse sui debiti ridotti). Durante la vita dell’azienda, invece, il piano non “imbriglia” i creditori dissenzienti: questa è la maggiore differenza rispetto agli strumenti giudiziali, e comporta che la riuscita dipende dalla lealtà e pazienza di tutte le parti coinvolte.

Vantaggi e Svantaggi del Piano Attestato di Risanamento

Come ogni strumento, anche il piano attestato presenta una serie di vantaggi e criticità rispetto ad altre soluzioni. È importante per imprenditori e consulenti valutare pro e contro prima di intraprendere questa strada. Di seguito, una panoramica dei principali vantaggi e svantaggi:

Vantaggi:

  • Assenza di procedura concorsuale formale: Il piano attestato non richiede l’apertura di un procedimento giudiziale né l’intervento del tribunale, con conseguente risparmio di tempo e costi procedurali (niente spese di giustizia, compensi per organi concorsuali, ecc.). La gestione resta interamente in mano all’imprenditore.
  • Riservatezza e minore impatto reputazionale: Se non viene pubblicato (o anche se pubblicato, l’atto è meno evidente di un fallimento o concordato), il piano può essere negoziato e attuato in modo relativamente discreto, evitando il clamore e la stigmatizzazione spesso associati a procedure concorsuali pubbliche. Questo aiuta a mantenere la fiducia di clienti, fornitori e dipendenti durante la fase di risanamento. Anche il marchio dell’azienda rimane meno colpito: si evita quella situazione di “azienda in concordato” che talora allontana le controparti.
  • Flessibilità negoziale: Non essendoci rigidi vincoli di legge su percentuali di soddisfacimento o su classi di creditori, il piano attestato consente soluzioni creative e personalizzate: ad esempio, si può decidere di pagare integralmente un fornitore strategico e stralciare di più un credito meno critico, senza dover sottostare a regole di par condicio interna come in concordato. Ovviamente questo va concordato con i creditori coinvolti, ma offre margine di manovra individuale che in tribunale non sarebbe ammesso (p.e. trattamenti diversificati tra creditori della stessa causa del credito se tutti acconsentono).
  • Tempestività: Un piano attestato ben preparato può essere implementato in tempi relativamente brevi rispetto a un concordato che deve passare per il voto e l’omologa. In situazioni in cui il fattore tempo è cruciale (per evitare la perdita di mercato o per intercettare un finanziamento urgente), questa rapidità d’azione può fare la differenza. Abbiamo esempi di piani attestati chiusi nel giro di 2-3 mesi, mentre un concordato raramente dura meno di 6-9 mesi.
  • Mantenimento della continuità gestionale: L’imprenditore e il management restano al timone senza affiancamento di commissari. Questo garantisce continuità operativa e possibilità di reagire più rapidamente alle dinamiche di mercato, senza dover attendere autorizzazioni del giudice per atti di gestione straordinaria (come avverrebbe in concordato in certi casi).
  • Benefici legali mirati: Come visto, il piano attestato garantisce protezione da revocatorie (tutela retroattiva) e esenzioni penali per scelte di pagamento operate nel piano. Inoltre, offre agevolazioni fiscali di rilievo (detassazione sopravvenienze attive). Questi vantaggi mirati migliorano l’attrattiva dello strumento: ad esempio, una banca può essere più propensa a concedere nuova finanza sapendo di poter ottenere ipoteca senza paura di revocatoria e che, se le cose andassero male, non subirà conseguenze penali.
  • Nessuna maggioranza richiesta: Non c’è bisogno di aggregare formalmente una maggioranza qualificata di crediti come negli accordi o concordati. Ciò significa che anche con pochi creditori essenziali si può costruire il piano, senza doversi preoccupare di raccogliere adesioni del 60% etc. In contesti con pochi creditori principali (es. due banche e qualche fornitore grande) questa semplicità contrattuale è un plus notevole.
  • Possibilità di cumulare con altri strumenti: Il piano attestato può essere inserito in un percorso più ampio di gestione della crisi: ad esempio, può seguire o precedere una composizione negoziata, può preludere ad un accordo di ristrutturazione (se poi si decide di omologarlo per efficacia verso dissenzienti specifici), oppure può venire dopo una transazione fiscale (se l’erario esige un concordato minore ad hoc). Questa flessibilità di impiego lo rende un tassello modulare nel panorama delle soluzioni alla crisi.

Svantaggi (Criticità):

  • Nessun vincolo per i creditori estranei: Il rovescio della medaglia della volontarietà è che i creditori che non aderiscono al piano non sono in alcun modo vincolati. Ciò significa che un singolo creditore “estraneo” potrebbe, ad esempio, ottenere un decreto ingiuntivo e pignorare beni vitali dell’azienda mentre il piano è in corso, facendolo saltare. Se anche la maggior parte dei creditori è a favore, basta un free-rider opportunista per creare grossi problemi. Questa vulnerabilità può essere gestita solo persuadendo tutti i creditori rilevanti o appunto usando escamotage (composizione negoziata con misure protettive) per tenerli buoni.
  • Assenza di moratoria automatica: Come già detto, il piano attestato di per sé non blocca le azioni esecutive né le azioni cautelari dei creditori. L’azienda rimane esposta al rischio che qualcuno “rompa il patto” e proceda legalmente. Questo a volte costringe l’imprenditore a considerare un concordato preventivo in bianco come scudo temporaneo se uno o due creditori iniziano pignoramenti. Quindi, rispetto a un concordato che congela tutto dal giorno 1 (art. 54 CCII) o ad un accordo ex 57 dove ottenuta l’omologa c’è efficacia erga omnes, il piano attestato è fragile finché non completamente attuato.
  • Impossibilità di imporre sacrifici senza consenso: Nel piano attestato ogni sacrificio (taglio credito, attesa su pagamento, rinuncia interessi, ecc.) deve essere frutto di un accordo individuale. Non c’è cram-down sui dissenzienti. Quindi se anche il 90% dei creditori è d’accordo a una certa ristrutturazione, ma il 10% rifiuta, quel 10% va pagato integralmente. Questo può rendere l’operazione onerosa, perché bisogna reperire risorse per soddisfare i recalcitranti. In un concordato o accordo omologato li si sarebbe potuti forzare entro certi limiti. Ciò implica anche che alcuni creditori “piccoli ma ostici” possano tenere in scacco il debitore, costringendolo a condizioni migliori per loro (sapendo appunto di avere potere di veto di fatto).
  • Nessuna esdebitazione finale ufficiale: Al termine del piano attestato, se tutto va bene i debiti concordati saranno stati pagati e quelli stralciati si estinguono per transazione. Tuttavia, non c’è un provvedimento giudiziario di esdebitazione come nel fallimento (dove il debitore persona fisica può ottenerla) o come nel concordato (dove il decreto di omologa cristallizza le rinunce dei creditori). Qui la liberazione dai debiti avviene per via negoziale. In linea teorica, un creditore estraneo potrebbe anche dopo anni riapparire e chiedere saldo (ma se era estraneo ed è stato pagato a scadenza, non avrebbe motivo). Comunque manca la “clean exit” formale che altre procedure danno. Tutto si basa sulla correttezza contrattuale.
  • Maggiore rischio di abuso o incertezza giuridica: Proprio perché manca il filtro del tribunale, c’è il rischio che un piano attestato mal fatto o abusivo sfugga a controlli preventivi e poi esploda successivamente. Ad esempio, un piano redatto con eccessivo ottimismo potrebbe rassicurare i creditori per un po’, ma se salta fuori che era infondato, i creditori possono trovarsi in guai peggiori (aver perso tempo e magari garanzie scadute, ecc.). Il giudice interviene solo ex post e a quel punto il danno può essere fatto. Questo fa sì che i creditori vadano con i piedi di piombo e richiedano magari più garanzie nel piano (ad es. pegni, impegni personali degli amministratori, ecc.) rispetto a quelle che richiederebbero in un accordo sotto l’egida del tribunale, proprio per tutelarsi dall’incertezza.
  • Costo dell’attestazione e consulenze: Anche se non ci sono i costi “ufficiali” di procedura, il piano attestato comporta comunque costi professionali di rilievo: bisogna pagare l’attestatore (i cui compensi per un lavoro approfondito non sono trascurabili), eventualmente advisor finanziari e legali che assistono nella redazione e negoziazione. Quindi non è affatto uno strumento “gratuito” solo perché fuori dal tribunale. Certo, spesso questi costi risultano comunque inferiori a quelli di una lunga procedura concorsuale, ma vanno considerati e anticipati dall’impresa in crisi (non sempre facile).
  • Vincoli per ottenere benefici fiscali: Per sfruttare l’agevolazione fiscale occorre pubblicare il piano, come visto, il che sacrifica un po’ di riservatezza. Alcune imprese vorrebbero non pubblicare nulla, ma se c’è in ballo uno stralcio rilevante, rinunciare al beneficio fiscale sarebbe autolesionistico. Questo vantaggio fiscale condizionato può quindi forzare la mano sulla pubblicità.
  • Meno “forza” contrattuale verso alcuni creditori istituzionali: Esperienza insegna che creditori come il Fisco e gli Enti previdenziali raramente aderiscono a piani attestati con stralci significativi, perché la loro normativa interna li vincola (Agenzia Entrate Riscossione può fare rateazioni standard ma non facilmente accetta tagli fuori dalle procedure ex legge 3/2012 o concordato). Pertanto, se l’impresa ha molti debiti fiscali, il piano attestato potrebbe non essere sufficiente a trattarli: si rischia che lo Stato non partecipi o pretenda integrale pagamento. In un concordato invece è possibile imporre stralci ai chirografari pubblici (entro certi limiti, previa transazione fiscale su IVA e ritenute). Questa rigidità del creditore pubblico può rendere il piano attestato meno efficace se il debito fiscale è elevato.
  • Efficacia limitata in crisi sistemiche: Se la crisi non è specifica dell’azienda ma di tutto un settore (si pensi a shock macroeconomici), può darsi che i creditori (banche in primis) siano poco propensi a fare concessioni caso per caso, preferendo aspettare misure di sistema. Oppure potrebbero essere saturi di ristrutturazioni e spingere per soluzioni più drastiche (aggregazioni, interventi del Fondo di garanzia o AMCO per crediti deteriorati). In tali casi, un piano attestato isolato rischia di essere poco persuasivo. Ad esempio, durante la crisi pandemica molte imprese hanno dovuto ricorrere a misure emergenziali statali (finanziamenti garantiti) piuttosto che a meri piani negoziali, data la portata generale dello shock.

Possiamo riassumere i punti chiave in una tabella riepilogativa:

AspettoPiano Attestato di RisanamentoProcedura Concorsuale (es. Concordato)
Formalità e controlloStrumento stragiudiziale: nessun controllo preventivo del tribunale; atti depositabili su sceltaProcedura giudiziale: richiesta al tribunale, commissario/giudice delegato, omologazione necessaria
Coinvolgimento creditoriVolontario, basato su accordi individuali. Nessuna votazione collettiva né obbligo di maggioranzeCollettivo, con votazione o adesione a maggioranza che vincola anche i dissenzienti a certe condizioni
Vincolo su creditori estraneiNessun vincolo: i non aderenti vanno pagati integralmente alle scadenze originarie (pena fallimento)Se omologata, la procedura vincola anche i non consenzienti entro i limiti di legge (es. cram-down nel concordato omologato)
Automatic stay (moratoria legale)Non prevista: i creditori possono agire salvo accordi di moratoria privati o misure protettive richieste ad hocPrevista: dall’ammissione (o dal deposito ricorso) scattano divieti di azioni esecutive e cautelari ex lege
Gestione aziendaleRimane all’imprenditore (nessun commissario); attestatore verifica dati ma non gestisceL’imprenditore può mantenere gestione in continuità ma sotto osservazione del commissario (in alcuni casi limitato nei poteri)
Durata tipicaVariabile, nessun limite normativo; in pratica orizzonte 2-5 anni max per completare risanamentoProcedura con tempistiche minime (6-12 mesi per omologa) + esecuzione piano (fino a 5 anni in continuità per pagamenti)
CostiCosti consulenti e attestatore; no contributi unificati o spese giustizia; minore impatto su attivoCosti procedura: compenso commissario/curatore, legali, spese di tribunale; potenziale maggior consumo di attivo per spese
PubblicitàFacoltativa (obbligatoria se si vuole beneficio fiscale). Se non pubblicato, resta riservato tra le partiPubblico registro fallimentare, comunicazioni ai creditori, potenziale pubblicità negativa su stampa settoriale
Protezione revocatoriaSì, per atti esecutivi del piano (anche vs revocatoria ordinaria)Sì per pagamenti e garanzie autorizzati dal giudice (prededucibili), comunque l’omologa “blinda” il piano salvo revoche legge
Esenzioni penaliSì, per bancarotta preferenziale e semplice (art.324 CCII)Non applicabile (atti compiuti durante la procedura potrebbero comunque rilevare per bancarotta se fraudolenti o preferenziali non autorizzati)
Flessibilità soluzioniElevata: trattative personalizzate con ciascun creditore, diverse classi di fatto possibili senza vincoli rigidiVincolata dalle norme: es. in concordato tutti chirografari pari grado salvo classi e relative maggioranze, par condicio attenuata ma non eliminabile del tutto
Transazione fiscale/contributivaDifficile: enti pubblici di solito non aderiscono a riduzioni salvo pagamento integrale o strumenti legislativi esterniPossibile: via transazione fiscale nel concordato (IVA/ritenute integrale, altre imposte falcidiabili con voto MEF)
EsdebitazioneNon applicabile formalmente (se imprenditore persona fisica fallisce dopo, dovrà chiedere esdebitazione fallimentare)Prevista per sovraindebitati e falliti a certe condizioni; nel concordato liquidatorio esdebitazione residui ex art.280 CCII per persona fisica

Questa tabella aiuta a mettere a fuoco perché e quando un piano attestato può essere preferibile o meno rispetto ad altri percorsi.

In generale, il piano attestato funziona meglio se: pochi creditori rilevanti coinvolti, volontà collaborativa alta, necessità di velocità e riservatezza, situazione reversibile con interventi mirati. Viceversa, se ci sono molti creditori frammentati, o serve imporre sacrifici ai recalcitranti, o la crisi è troppo avanzata per confidare solo nella buona volontà, allora strumenti concorsuali (concordato, accordo omologato) diventano più efficaci e sicuri.

Confronto con altri Strumenti di Risanamento

È utile a questo punto confrontare il Piano Attestato di Risanamento con gli altri strumenti previsti dall’ordinamento italiano per la gestione della crisi d’impresa, per evidenziarne differenze, punti di contatto e possibili utilizi complementari. Ci concentreremo in particolare su:

  • Accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII, ex art. 182-bis L.F.)
  • Concordato preventivo (artt. 84 e ss. CCII, varie forme)
  • Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021 conv. L.147/2021, ora integrata nel CCII agli artt. 12-25)
  • (Cenni anche a nuovi strumenti come piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione – PRO se del caso)

Piano Attestato vs Accordo di Ristrutturazione dei Debiti

L’Accordo di Ristrutturazione dei Debiti (ARD) è uno strumento introdotto nel 2005 e confermato nel CCII (art. 57 e seguenti) che prevede la conclusione di un accordo fra il debitore e una percentuale qualificata di creditori (almeno il 60% dei crediti) e l’omologazione di tale accordo da parte del tribunale. Vediamo le differenze principali:

  • Natura: L’ARD è un ibrido tra negoziale e giudiziale: nasce come accordo privato con almeno il 60% dei creditori (per valore), ma per avere efficacia viene presentato al tribunale che, dopo aver verificato alcune condizioni (inclusa l’attestazione di un professionista sulla fattibilità e l’idoneità dell’accordo a pagare i creditori estranei), lo omologa con decreto, rendendolo vincolante per i sottoscrittori e attivando alcuni effetti verso i terzi (es. moratoria su azioni esecutive su richiesta durante omologa).
    Il piano attestato è totalmente extra-giudiziale, nessuna omologazione.
  • Coinvolgimento creditori: L’ARD richiede per legge l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali. Quindi serve un ampio consenso quantitativo (che spesso implica anche il coinvolgimento del sistema bancario con la maggior parte dei crediti). Il vantaggio dell’ARD è che se hai il 60%, puoi omologare l’accordo e ottenere una moratoria fino a 120 giorni per pagare i creditori estranei (cioè quelli che non hanno firmato) purché siano pagati integralmente. Il piano attestato non ha soglie: può essere fatto con percentuali qualsiasi, anche una sola banca e nessun altro ad esempio. Ma non ha quell’effetto di moratoria legale sui non aderenti.
  • Attestazione: Entrambi richiedono attestazione di un professionista indipendente. Nell’ARD l’attestazione è richiesta dall’art. 57 CCII sulla veridicità dei dati e sull’attuabilità dell’accordo con soddisfazione integrale dei creditori estranei nei 120 gg (chirografari) o 180 gg (privilegiati) dall’omologa. Nel piano attestato l’attestazione è più ampia (come visto copre l’intero piano di risanamento), ma la figura professionale è analoga. Quindi in termini di impegno professionale, entrambi necessitano di un attestatore.
  • Tribunale: L’ARD prevede un deposito di ricorso e un controllo del tribunale, sebbene limitato (nessun voto dei creditori, solo controllo formale e rispetto soglie). Il tribunale può rifiutare omologa se ritiene i creditori estranei pregiudicati o se l’accordo è in frode. Nel piano attestato, tribunale assente inizialmente, ma potrà pronunciarsi solo dopo se c’è fallimento, ecc.
  • Ambito soggettivo: ARD riservato a imprenditori commerciali soggetti a fallimento (così come il piano attestato).
  • Pubblicità: Il ricorso per omologa accordo va iscritto nel registro delle imprese e nel registro delle procedure (quindi è pubblico). Il piano attestato pubblicazione facoltativa.
  • Vantaggi specifici: L’ARD consente anche alcune varianti come l’estensione degli effetti agli estranei in casi particolari (accordi di ristrutturazione estesi – art. 61 CCII: se ottieni 75% di adesione da banche, puoi chiedere estensione a banche dissenzienti minoritarie, etc.). Il piano attestato non ha meccanismi di questo tipo: è puramente contrattuale.
  • Durata: Un accordo di ristrutturazione, pur più snello di un concordato, comunque impiega qualche mese per ottenere l’omologa (specie se ci sono opposizioni). È più rapido di un concordato, spesso, ma meno immediato di un piano attestato che scatta non appena firmato l’ultimo accordo e attestato.

Quando scegliere l’uno o l’altro? Spesso un piano attestato si trasforma in accordo di ristrutturazione se c’è la volontà di blindarlo con omologa e magari includere qualche creditore dissenziente. Ad esempio, se ho il 70% di banche d’accordo e il 30% no, invece di fare un piano attestato che lascia quel 30% fuori rischio, faccio un accordo ex art. 61 e includo anche il 30% dissenziente con l’omologazione (purché do loro almeno quello che prenderebbero in fallimento).
Se invece ho pochi creditori e posso convincerli tutti, il piano attestato è più agile e sufficiente, senza passare dal tribunale.
Spesso la discriminante è: c’è bisogno di efficacia legale erga omnes? Se sì (perché non tutti firmano, o servono effetti protettivi), allora ARD. Se no (tutti rilevanti firmano e cooperano), meglio piano attestato.

Piano Attestato vs Concordato Preventivo

Il Concordato Preventivo è la classica procedura concorsuale di regolazione della crisi, giudiziale, con coinvolgimento di tutti i creditori e omologazione del tribunale, che può essere liquidatorio o in continuità. Il confronto col piano attestato presenta contrasti netti:

  • Formalità e tempi: Il concordato richiede un deposito di domanda (anche preconcordato), la predisposizione di un piano e proposta, la votazione dei creditori (tranne nel semplificato liquidatorio ex art. 25-sexies per micro imprese) e un decreto di omologa. I tempi sono più lunghi e l’esito incerto (i creditori possono bocciare). Il piano attestato evita tutto ciò e consente tempi ridotti ma a scapito di avere un risultato fragile se non tutti collaborano.
  • Ambito di applicazione: Il concordato è idoneo anche a situazioni di insolvenza grave, compresa la liquidazione ordinata dell’impresa. Un concordato liquidatorio può essere usato quando l’azienda non è più salvabile ma si vuole evitare il fallimento, pagando qualcosa ai creditori. Un piano attestato in una situazione di insolvenza irreversibile non avrebbe senso, perché non avrebbe credibilità e non rispetterebbe la finalità di risanamento. Quindi se l’impresa è decotta, l’unica via è concordato o fallimento, non piano attestato.
  • Coinvolgimento creditori: Nel concordato tutti i creditori concorrono e subiscono le eventuali decurtazioni secondo il piano omologato, anche se non d’accordo, salvo classi privilegiate che vengono pagate o devono aderire se falcidiate (insomma, c’è regolamentazione dettagliata). Nel piano attestato nessun creditore può essere obbligato a perdere qualcosa senza consenso.
  • Garanzie di attuazione: Il concordato una volta omologato ha forza di sentenza: i creditori hanno diritto ai dividendi concordatari e se il debitore non li paga possono chiederne la risoluzione o azioni esecutive sui beni vincolati al piano. C’è anche controllo del tribunale nel post-omologa (il commissario giudiziale verifica lo stato di attuazione, ecc.). Nel piano attestato non ci sono tali meccanismi: se il debitore non rispetta un accordo, il singolo creditore potrà risolvere il proprio contratto e agire esecutivamente (magari chiedendo fallimento). Non c’è un controllo centralizzato né un effetto vincolante per tutti, quindi la tenuta dipende solo dalla buona volontà e convenienza reciproca in corso d’opera.
  • Costi e sacrifici: Il concordato consente all’imprenditore di scaricare definitivamente parte dei debiti (quelli falcidiati) senza doverli ripagare integralmente, in cambio però di aprire la compagine sociale a eventuali nuovi investitori (se concordato in continuità può prevedere aumento capitale), o di liquidare l’attivo per soddisfare i creditori in percentuale. Il piano attestato, sebbene possa includere stralci, di fatto se riesce l’imprenditore resta con l’azienda e ha pagato tutti i creditori secondo accordi (qualcuno meno del 100%, ma con accordo transattivo che chiude la partita). In concordato liquidatorio l’imprenditore di solito perde l’azienda (va venduta) ma ottiene esdebitazione personale se è persona fisica; in piano attestato l’imprenditore tiene l’azienda se salva, ma se poi fallisce può dover rispondere ancora per eventuali debiti residui se non esdebitabile.
  • Ambito soggettivo: Concordato è aperto a imprenditori in crisi o insolvenza (anche non fallibili c’è il concordato minore per i piccoli), il piano attestato per fallibili. Quindi per microimprese sotto soglia, oggi, l’alternativa è il “concordato minore” nel sovraindebitamento, non un piano attestato (sebbene potrebbero tentare piani stragiudiziali lo stesso, ma senza gli effetti di legge).
  • Utilizzabilità combinata: Spesso il concordato è il “piano B” se un piano attestato fallisce. Si tenta prima la via negoziale, e se salta (perché un creditore chiave non ci sta, o perché emergono nuove difficoltà) si ripiega su un concordato. A volte viceversa: presentare un concordato in bianco per congelare la situazione, poi convertirlo in un piano attestato depositando la rinuncia e chiedendo l’improcedibilità del concordato se nel frattempo si è trovato accordo stragiudiziale (ci sono precedenti di Tribunali che hanno permesso questa transizione).
  • Pregi e difetti: In sintesi, concordato offre più certezza giuridica (vincola tutti, ha un giudice che vigila, consente stralci anche se minoranza dissente, etc.) ma è lungo e oneroso; il piano attestato offre rapidità e confidenzialità ma è fragile.
  • Impatto su management: In concordato non c’è spossessamento come nel fallimento, ma l’operato dell’organo amministrativo è vigilato e limitato per atti straordinari (serve autorizzazione del GD, ecc.), e i creditori tramite il commissario conoscono i dettagli. Nel piano attestato l’imprenditore può continuare a gestire con flessibilità, condividendo info solo con chi ha aderito.

La scelta tra piano attestato e concordato dipende spesso dalla valutazione: posso fidarmi di ottenere un consenso quasi unanime in tempi brevi? Se sì, piano; se no, concordato. Ad esempio, se la crisi è tale che devo chiedere un sacrificio a decine di fornitori piccoli, è quasi impossibile farlo extragiudiziale con ciascuno -> concordato. Se invece ho 4 banche e 2 bondholder da convincere, magari conviene il piano extragiudiziale.

Piano Attestato vs Composizione Negoziata della Crisi

La Composizione Negoziata (CN) introdotta nel 2021 è un percorso volontario e riservato in cui l’imprenditore, affiancato da un esperto nominato dalla CCIAA, cerca di trovare un accordo con i creditori per superare la crisi. Di per sé la composizione negoziata non è una soluzione definitiva, ma un iter per agevolare accordi (che possono sfociare in diversi esiti: accordo di ristrutturazione, concordato semplificato, aumento di capitale, cessione azienda, o anche un piano attestato).

  • Natura complementare: Più che alternativa secca, la composizione negoziata può preludere o includere un piano attestato. L’esperto facilita le trattative e potrebbe portare a far sottoscrivere un piano attestato tra l’imprenditore e i creditori.
  • Differenze: La CN non richiede uno stato di crisi conclamata (basta anche solo squilibrio patrimoniale o economico che rende probabile la crisi). L’esperto nominato analizza la situazione e aiuta a predisporre un piano di risanamento, ma non ha poteri di imporre soluzioni. In CN, l’imprenditore può richiedere misure protettive dal tribunale (quindi innescare uno stay temporaneo mentre negozia). Il piano attestato può emergere come risultato finale firmato durante/per conclusione della CN.
  • Utilità: Per molte PMI, l’ingresso in composizione negoziata serve a ottenere un “ombrello” temporaneo (blocco azioni esecutive) e un supporto tecnico (l’esperto) per strutturare la proposta. Il piano attestato poi fornirà l’attestazione e gli effetti legali se concluso.
  • Costi: La CN ha costi ridotti (esperto pagato in parte dalla CCIAA con fondo pubblico per PMI). Potrebbe quindi essere un modo più economico per arrivare a un piano attestato, specie per aziende che non possono permettersi costosi advisor. L’attestatore potrà essere nominato alla fine per certificare il piano, ma il grosso del lavoro magari è stato fatto con l’aiuto dell’esperto negoziatore.
  • Differenze con vecchi piani di risanamento ex art.67 L.F.: prima del 2021 non c’era un meccanismo simile di assistenza pubblica alla negoziazione; perciò il piano attestato era totalmente lasciato alle parti. Ora c’è questo “pre” che può accompagnare.
  • Esiti: Se la composizione negoziata fallisce (cioè le trattative non portano accordo), l’impresa può comunque ricorrere ai soliti strumenti (concordato ecc.). Se riesce, spesso l’esito è formalizzato o in un accordo di ristrutturazione o in un piano attestato (a seconda di quanti creditori e che tipo di vincolo serve).
  • Misure premiali: La legge ha previsto alcune misure premiali fiscali e previdenziali per chi aderisce o conclude positivamente la CN (ad esempio riduzione sanzioni tributarie, nessuna sanzione penale per pagamenti anticipati di creditori strategici autorizzati dal tribunale in CN). Queste possono sommarsi agli effetti del piano attestato.

In sostanza, Piano Attestato e Composizione Negoziata non si escludono, anzi la CN è spesso una cornice procedurale entro cui negoziare un piano attestato. Potremmo dire: la CN è il processo (con l’esperto facilitatore), il piano attestato è uno dei possibili prodotti finali.

Per completezza, menzioniamo:

  • Piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione (PRO): introdotti con il correttivo 2022 per recepire la direttiva UE, sono in pratica dei piani proposti dal debitore che possono essere omologati dal tribunale anche senza il consenso di tutte le classi di creditori, se rispettano certe condizioni. Sono simili a un concordato ma più flessibili, e possono condurre a cram-down di classi dissenzienti. Si collocano quindi su un livello di formalità intermedio (sempre procedura concorsuale soggetta a omologa, però con possibilità di evitare il voto se si soddisfano alcuni requisiti di meritevolezza e convenienza comparativa per i creditori). Il piano attestato rimane invece su base contrattuale pura.
    Al 2025 i PRO non hanno ancora vasta applicazione pratica, ma qualora il debitore volesse imporre il piano a creditori suddivisi per classi senza accordo unanime, potrebbe valutare di passare ad un PRO in tribunale (accettando maggiore pubblicità).
  • Concordato semplificato per liquidazione: strumento nato col DL 118/2021 per casi di composizione negoziata fallita, consente un concordato senza voto solo liquidatorio. Ha ambito circoscritto e comunque prevede nomina di liquidatore nominato dal giudice. Il piano attestato invece non potrebbe realizzare solo liquidazione integrale, perché non persegue la continuità (salvo vendere asset per ripagare e proseguire come azienda alleggerita, ma se proprio si liquida tutto e si chiude, non avrebbe senso attestare un “risanamento”).

In conclusione su questo confronto:
Piano attestato – massima flessibilità e rapidità, minima interferenza giudiziale, ma efficacia limitata al consenso raggiunto.
Accordo di ristrutturazione – un passo più formale, richiede soglia 60% e offre omologa e stay, utile quando serve vincolare anche minoranza dissenziente.
Concordato – procedura formale completa, utile se la crisi è troppo diffusa o se servono tagli drastici e non negoziabili col singolo, offre stay immediato e riduzione debiti anche forzosa, ma più lento e costoso e pubblico.
Composizione negoziata – processo di assistenza, non risolve da sé ma aiuta a costruire soluzioni come un piano attestato (o decide per concordato se non c’è via negoziale).

Una scelta corretta dipende dallo stadio della crisi, dalla struttura dei creditori, e dalla fattibilità industriale:

  • PMI con pochi istituti di credito: spesso preferibile piano attestato.
  • Grande azienda multi-banche e con obbligazionisti: magari accordo di ristrutturazione (specie se vuole escludere piccola parte di creditori).
  • Crisi irreversibile con necessità di vendere asset: concordato per vendere in modo ordinato.
  • Incertezza su percorribilità e necessità di protezione immediata: composizione negoziata per sondare e intanto bloccare aggressioni.

Simulazioni Pratiche e Ipotesi Applicative per PMI

Per rendere più concreti i concetti esposti, presentiamo ora alcune simulazioni pratiche su come un Piano Attestato di Risanamento potrebbe essere applicato in casi tipici di PMI italiane in crisi. Le simulazioni sono ovviamente semplificate, ma mirano a illustrare i passaggi operativi e le soluzioni che possono emergere.

Esempio 1: PMI manifatturiera in crisi di liquidità

Scenario: Alfa S.r.l. è un’azienda manifatturiera di medie dimensioni (fatturato €10 milioni) che produce componenti meccanici per il settore automotive. Negli ultimi due anni ha subito un calo di ordini (causa crisi settore auto e pandemia) e forti rincari delle materie prime. Ha accumulato perdite e l’indebitamento finanziario è salito a €5 milioni con le banche. In particolare ha:

  • Mutuo chirografario con Banca1: residuo €2 milioni, scadenza 2026, rata trimestrale €100k.
  • Linea autoliquidante con Banca2: utilizzi €1,5 milioni su €2M fido.
  • Debiti verso fornitori arretrati: €1,2 milioni (media ritardo 120 giorni, molti solleciti).
  • Debiti verso Erario: €0,5 milioni (IVA non versata e contributi).
  • 50 dipendenti in organico (ha usato cassa integrazione ma ora esaurita).

Il capitale sociale è eroso dalle perdite (PN < 0). I soci però confidano in nuove commesse in arrivo e sono disposti a ricapitalizzare se le banche danno respiro.

Crisi: Alfa è tecnicamente insolvente (ha saltato le ultime due rate mutuo e l’Agenzia Riscossione ha inviato intimazioni). I fornitori minacciano stop consegne.

Soluzione prospettata: Con l’aiuto di un consulente, Alfa predispone un piano su 5 anni per risanare:

  • I soci immettono €1 milione di equity fresco (o finanziamento subordinato) per ricostituire capitale e pagare debiti urgenti.
  • Banca1: si propone di rimodulare il mutuo: allungamento 3 anni extra con rate minori, interessi in parte ridotti. Banca1 in cambio chiede pegno su macchinario e garanzia Confidi.
  • Banca2: si propone di convertire metà dell’esposizione autoliquidante (€750k) in un finanziamento a medio termine 5 anni garantito dallo Stato (Fondo centrale), e di ripristinare la parte restante come fido operativo. Banca2 chiede impegno dei soci a non prelevare utili fino a rimborso.
  • Fornitori strategici (circa €800k su €1,2M totale fornitori): si propone il pagamento del 50% del pregresso in 12 mesi e la remissione del restante 50%. Per convincerli, si offre di mantenere i loro contratti in essere per future forniture e forse una partecipazione al riassetto societario (es. warrant o quota minoritaria).
  • Fornitori minori (€400k): saranno pagati integralmente entro 6 mesi (usando parte dell’aumento capitale).
  • Erario: si utilizza la normatíva di dilazione standard: Alfa ha già chiesto una rateazione in 72 rate per €300k di cartelle. Il resto (IVA non ancora a ruolo) sarà compensato con crediti o pagato con la nuova finanza.
  • Efficientamento: il piano prevede la vendita di un capannone non strategico (valore stimato €700k) entro 1 anno per reperire liquidità da reinvestire. Prevede anche il licenziamento di 5 addetti (con accordo sindacale) per ridurre costo lavoro del 10%.
  • Previsioni: con le nuove commesse attese dal settore EV (già in trattativa con un nuovo cliente), Alfa stima di tornare a un EBITDA positivo di €1M l’anno dal secondo anno e crescere del 5% annuo poi.

Attestazione: Viene coinvolto il dott. Rossi, commercialista indipendente, che verifica i dati (situazione debitoria, valore capannone con perizia, ecc.). Egli attesta che:

  • I dati contabili erano veritieri (ha visto bilanci e li ha corretti per piccole inesattezze).
  • Il piano è fattibile: l’immissione soci c’è (i soci hanno depositato su escrow €1M in attesa), le banche hanno dato lettere di disponibilità condizionate, i fornitori principali hanno firmato accordi preliminari (hanno convenienza a mantenere Alfa come cliente).
  • Sensibilità: la nuova commessa è cruciale, se tardasse di 6 mesi l’azienda regge comunque grazie alla liquidità soci e taglio costi, ma se non arrivasse del tutto, bisognerebbe valutare un ridimensionamento maggiore (che però esula dal piano).
  • Egli nota i costi sicurezza: Alfa aveva posticipato alcune manutenzioni; il piano assegna €100k del nuovo capitale proprio a rimettere a norma un impianto e togliere una sanzione ASL pendente. Bene, l’attestatore vede che è incluso.

Svolgimento:

  • Alfa firma accordi con fornitori (transazione: pagherà 50% entro 12 mesi, il resto stralciato) – questi accordi sono condizionati all’attuazione del piano complessivo.
  • Banca1 firma addendum mutuo con nuovo piano di ammortamento e acquisisce pegno su macchina CNC del valore di €300k.
  • Banca2 predispone nuovo contratto finanziamento con garanzia statale (ex L.662/96), condizionato all’attestazione, e tiene aperto fido su altra metà.
  • I soci firmano aumento capitale sottoscritto, che sarà eseguito al momento di efficacia del piano.
  • Tutti questi documenti vengono allegati al piano.

Atti esecutivi:

  • Non appena il piano è attestato (e pubblicato nel registro imprese per sicurezza), i soci versano €1M sul conto della società.
  • Con questi soldi Alfa paga immediatamente: €200k a fornitori minori (portandoli a 0), €300k al fisco per mettere in regola l’IVA scaduta in modo da ottenere DURC (documento regolarità contributiva), e €100k per manutenzione straordinaria macchinari (sicurezza).
  • Le banche erogano la nuova finanza (Banca2) e incassano eventuali commissioni per la ristrutturazione.
  • Nel giro di 3 mesi la posizione di Alfa si normalizza: i fornitori tornano a rifornirla regolarmente (fiduciosi per il piano), i dipendenti vedono che l’azienda ha un futuro e accettano il piccolo ridimensionamento senza conflitti, le banche sbloccano linee per il circolante.
  • Un anno dopo, Alfa vende il capannone e con il ricavato paga i fornitori strategici quel 50% pattuito (dando magari qualcosa upfront già con i soldi soci, e il resto col ricavato vendita).
  • A due anni, entra la commessa nuova: Alfa produce per il nuovo cliente, aumentando i ricavi di 20%. L’EBITDA sale, e permette di iniziare a ripagare anche il debito verso banche secondo i nuovi piani.

Esito:

  • Dopo 5 anni, Alfa ha debiti finanziari ridotti a €2M (ha ripagato gran parte, restano solo i leasing su macchinari attivi).
  • I fornitori che hanno stralciato il 50% hanno comunque continuato il rapporto e guadagnato su nuove forniture, recuperando valore col business.
  • I soci hanno mantenuto la proprietà e ora l’azienda è risanata e di nuovo profittevole.
  • Nessun creditore ha agito legalmente nel frattempo; una piccola ditta estranea che aveva €20k di credito aveva fatto decreto ingiuntivo, ma è stata pagata in prededucibile (fuori piano) con le prime iniezioni di liquidità – quell’azione si è quindi risolta senza danni.
  • Alfa evita il fallimento e oggi è ancora attiva nel mercato.

Benefici legali colti:

  • Tutti i pagamenti e le garanzie dati (es. il pegno a Banca1) in esecuzione del piano sono esenti da revocatoria. Se ipoteticamente Alfa fosse comunque fallita due anni dopo (nonostante la commessa nuova, supponiamo un altro shock), quelle operazioni (pagamenti a fornitori e pegno a banca) non sarebbero revocabili grazie all’art. 166 CCII.
  • I fornitori che hanno preso il 50% e rinunciato al 50% hanno generato per Alfa una sopravvenienza attiva di €400k, che essendo il piano pubblicato non verrà tassata in capo ad Alfa. Ciò ha permesso di usare tutte le risorse effettivamente per il risanamento e non doverne girare una fetta al fisco in imposte.
  • L’amministratore di Alfa, avendo preferito certi fornitori nel pagarli subito e avendo creato pegno pro banche, se fosse poi fallito non avrebbe rischi penali di bancarotta preferenziale, perché erano atti in piano attestato.
  • I soci hanno evitato potenziali azioni di responsabilità (che sarebbero state quasi certe in caso di fallimento per aver tardato il deposito in tribunale), dimostrando anzi di aver diligentemente attivato un risanamento tempestivo e plausibile.

Questo esempio mostra una riorganizzazione tipica: combinazione di dilazioni, nuovi capitali, parziali remissioni di debito, dismissioni di asset, con sacrifici condivisi ma non totali per i creditori. Il piano attestato ha funzionato perché i creditori fondamentali (banche e fornitori principali) hanno collaborato, preferendo recuperare in parte il credito mantenendo un cliente in vita, invece che mandarlo in default e magari realizzare meno.

Esempio 2: Piccola impresa commerciale con un solo istituto finanziatore

Scenario: Beta S.n.c. gestisce 5 negozi di abbigliamento in Toscana. Aveva preso un finanziamento di €500.000 da una banca per espandersi, ma poi le vendite sono calate per la concorrenza dell’e-commerce. Si trova con:

  • Debito residuo verso Banca X: €400k (mutuo + scoperto di c/c).
  • Debiti verso fornitori moda: €200k (alcuni decreti ingiuntivi già emessi).
  • Canoni di affitto arretrati: €50k.
  • I due soci non hanno molte risorse proprie ma posseggono un appartamentino dato in garanzia ipotecaria alla banca.

Crisi: Beta è in crisi di liquidità, ha chiuso 1 punto vendita e licenziato 3 commessi, ma ancora fatica a pagare i fornitori. Banca X ha segnalato past due e minaccia di escutere l’ipoteca sull’immobile dei soci.

Idea di soluzione:

  • Beta ritiene di poter risollevarsi ridimensionando l’attività a 3 negozi invece di 5 (chiuderne altri 1 o 2, con accordo coi locatori e vendendo avviamento se possibile).
  • I fornitori sarebbero disposti a continuare a rifornirla solo se vedono un piano credibile di rientro del loro arretrato.
  • Banca X… è dubbiosa, ma potrebbe accettare di non procedere immediatamente con azioni se i soci presentano un piano e magari vendono l’immobile per rimborsarla in parte.

Piano:

  • I soci decidono di mettere sul mercato l’appartamento ipotecato (valore stimato €200k) e destinare il ricavato interamente a ridurre il debito con Banca X.
  • Chiedono a Banca X contestualmente di trasformare il residuo (dopo vendita immobile) in un mutuo dilazionato 5 anni, e di concedere per 6 mesi una moratoria (niente rate) per dare fiato alla cassa.
  • Ai fornitori viene proposto: verranno pagati del 50% del pregresso in 12 mesi (rate mensili), a patto che continuino a fornire merce a condizioni normali (altrimenti l’azienda non ha merce da vendere). Il restante 50% lo stralceranno ma recupereranno su future vendite.
  • Locatori: per i negozi che chiudono, Beta propone di trovare un nuovo inquilino (passando il contratto) così che il locatore non perda reddito; per i negozi che restano aperti, chiede uno sconto del 20% sul canone per 1 anno (quasi tutti i locatori han detto sì pur di non perdere l’inquilino).
  • Con queste misure, Beta confida di tornare a break-even in 1 anno, concentrandosi sui negozi redditizi e riducendo spese generali.

Attuazione:

  • Viene incaricato un piccolo studio professionale per attestare. Qui l’azienda è piccola, il professionista costa relativamente poco (anche perché la situazione è semplice).
  • Banca X inizialmente preferiva agire, ma di fronte alla prospettiva di incassare €200k in pochi mesi dalla vendita immobile senza aste e poi avere un mutuo garantito dall’immobile stesso finché non venduto (garanzia rimane finché non venduto), accetta il piano di massima.
  • I fornitori, sapendo che altrimenti Beta fallirebbe e prenderebbero zero (perché beni pochi, ipoteca banca li sovrasta), preferiscono prendere il 50% sicuro.
  • Locatori uguale, meglio uno sconto che negozio vuoto.

Attestazione:

  • Il professionista certifica che i numeri tornano: vendendo 2 negozi su 5 e riducendo costi, Beta può sostenere le rate mutuo ridotto e pagare fornitori. L’evento critico è vendere l’appartamento velocemente a quel valore: viene messo a bilancio prudenziale a €180k per essere più conservativi e comunque il piano regge.
  • Dichiara fattibile il piano (anche perché semplice e con margini di sicurezza, essendo i creditori principali protetti: la banca con ipoteca e i fornitori tanto in fallimento non avrebbero recuperato di più del 50% comunque).
  • Dati semplici e veritieri (Beta aveva contabilità ordinata).

Esecuzione:

  • Si firma il piano, lo si deposita in Camera Commercio (Beta non teme pubblicità locale).
  • Banca X sospende azioni esecutive, Beta mette annuncio e in 4 mesi vende l’immobile dei soci. Dà €180k netti ricavati alla banca, la quale rinegozia il mutuo residuo di €220k a 5 anni (Beta paga rate più piccole).
  • Beta chiude i 2 negozi meno profittevoli, liquida 4 dipendenti (accordo transazione fine rapporto). Con i depositi cauzionali restituiti dai locatori e un piccolo prestito soci copre il TFR e indennità.
  • I fornitori ricevono i pagamenti mensili pattuiti e continuano a spedire la merce per i 3 negozi rimasti.
  • Un anno dopo Beta è più piccola ma stabile, i fornitori completano l’incasso del 50% e formalizzano con quietanza la rinuncia al resto (che contano di recuperare con margini futuri).
  • Beta prosegue l’attività con i 3 negozi, generando utili modesti ma sufficienti a ripagare la banca e onorare i nuovi debiti correnti.

Considerazioni:

  • Beta ha evitato una probabile liquidazione (concordato o fallimento) che avrebbe visto la banca escutere l’ipoteca e i fornitori prendere quasi nulla.
  • Con il piano attestato, la banca ha comunque recuperato gran parte e ha un piano certo per il resto, i fornitori hanno mantenuto un cliente attivo e recuperato metà crediti (in fallimento forse 10% avrebbero preso).
  • Nessun procedimento concorsuale è stato aperto, quindi Beta ha mantenuto la fiducia minima dei clienti (in un settore retail, se trapela che stai fallendo, i clienti scappano e i fornitori anche).
  • I soci hanno perso la casa ma hanno salvato la loro azienda e i posti di lavoro rimanenti (forse preferibile per loro eticamente e nel lungo termine).
  • Anche qui benefici legali: il pagamento parziale ai fornitori è protetto (non revocabile), la banca non teme revoche su ipoteca, Beta detasserà la parte di debito fornitori stralciata (piano pubblicato) evitando una tassazione su quell’importo.

Questi esempi fanno emergere come il piano attestato sia un vestito su misura che può adattarsi dal caso medio-grande al caso piccolo, modulando soluzioni e sacrifici. Ovviamente richiede realismo: se Beta non trovava compratore per l’immobile, il piano saltava; se Alfa non trovava la commessa nuova, avrebbe faticato. Quindi, come sempre, un piano funziona se c’è effettivamente un’azienda risanabile sotto.

Nota: Nelle PMI spesso il confine tra patrimonio azienda e personale dei soci è labile. Il piano attestato consente talvolta di coinvolgere i soci con il loro patrimonio privato (come Beta ha fatto) volontariamente per salvare la società, in modo più flessibile di un concordato. Un concordato non può forzare i soci a mettere soldi (può incentivare con esdebitazione, ma i soci di società di capitali non ne beneficiano direttamente). Invece nel piano attestato i soci possono giocare la carta “metto casa mia sul piatto” per convincere i creditori. Questo a volte è decisivo su scala PMI, dove il fattore fiduciario è molto legato alle persone e non solo ai numeri.

Domande Frequenti (FAQ)

Di seguito riportiamo alcune delle domande più frequenti relative ai Piani Attestati di Risanamento, con risposte concise per chiarire i dubbi pratici più comuni:

  • D: Chi può predisporre un Piano Attestato di Risanamento?
    R: Può farlo l’imprenditore commerciale (società o ditta individuale) che si trovi in stato di crisi o insolvenza, purché assoggettabile a fallimento (liquidazione giudiziale). In pratica, PMI, grandi imprese e società possono farlo, mentre i soggetti non fallibili (es. consumatori, piccolissime imprese sotto soglia) usano invece gli strumenti di sovraindebitamento. È sempre consigliabile avvalersi di consulenti esperti per la redazione.
  • D: Serve l’apertura di una procedura in tribunale per fare un piano attestato?
    R: No, il piano attestato è uno strumento stragiudiziale. Non si deposita alcun ricorso in tribunale né serve l’omologazione di un giudice per validarlo. L’unico elemento “pubblico” può essere, su scelta del debitore, la pubblicazione del piano e dell’attestazione nel Registro delle Imprese (che dà data certa e utilità fiscali). Ma non c’è un procedimento giudiziario attivo.
  • D: Il piano attestato è pubblico? I concorrenti o altre persone ne verranno a conoscenza?
    R: Di regola il piano rimane riservato tra azienda e creditori coinvolti. Solo se lo si pubblica in CCIAA diventa accessibile a chi consulta la visura dell’impresa. La pubblicazione è obbligatoria solo se si vuole la detassazione delle sopravvenienze attive derivanti da riduzione del debito. Quindi l’imprenditore può scegliere: massima riservatezza (non pubblicare, pagando però le tasse sull’eventuale stralcio debiti) oppure pubblicare per sicurezza giuridica e fiscale. Va detto che anche senza pubblicazione, se l’azienda poi fallisse il curatore verrebbe a conoscere del piano dagli atti interni, ma i terzi estranei (es. concorrenti, clienti) difficilmente lo saprebbero.
  • D: Il piano attestato blocca le azioni dei creditori (pignoramenti, decreti ingiuntivi)?
    R: No, non automaticamente. Il piano di per sé non crea un divieto legale di agire per i creditori. Per questo è fondamentale ottenere accordi di moratoria dai creditori durante le trattative. Se qualche creditore minore agisse comunque, l’azienda potrebbe chiedere un provvedimento d’urgenza o attivare la composizione negoziata con misure protettive. Ma diversamente dal concordato, non c’è una “automatic stay” generale. Insomma, la “pace” dei creditori è frutto di patti privati o di fiducia, non di legge.
  • D: Tutti i creditori devono aderire al piano? E se qualcuno rifiuta?
    R: Non è necessario che tutti aderiscano, ma è necessario gestire quelli che non aderiscono. I creditori estranei devono essere indicati e normalmente pagati a scadenza originaria. Se uno o pochi creditori rifiutano accordi, l’azienda dovrà comunque onorarli per intero (magari coi fondi procurati dal piano) per evitare che aggrediscano. Se invece sono troppi i creditori contrari o non si hanno risorse per pagarli integralmente, probabilmente il piano attestato non è lo strumento adatto e serve un concordato (che può imporre tagli anche ai dissenzienti). Dunque, la fattibilità del piano attestato dipende dal riuscire ad isolare pochi creditori estranei gestibili.
  • D: Cosa succede se il piano attestato non funziona?
    R: Se malauguratamente il piano fallisce e l’impresa precipita in insolvenza, bisognerà ricorrere ad una procedura formale (concordato o liquidazione giudiziale). In tal caso, però, gli atti compiuti in esecuzione del piano restano tendenzialmente validi e non revocabili (salvo frodi). L’imprenditore potrebbe subire un fallimento, ma ad esempio i creditori pagati nel piano non devono restituire quanto incassato, e chi ha concesso finanziamenti o garanzie non verrà punito penalmente. Certo, per l’impresa significherà comunque l’uscita dal mercato (o un concordato tardivo). Inoltre, se il piano è fallito per imprudenza o eccessivo ottimismo dell’imprenditore, questi potrebbe risponderne (in sede di azione di responsabilità o valutazioni su ritardo del fallimento). Perciò è importante che il piano attestato venga tentato solo se vi sono reali chance: altrimenti è preferibile andare direttamente a soluzioni liquidatorie per non aggravare il dissesto.
  • D: Che differenza c’è tra piano attestato e accordo di ristrutturazione dei debiti?
    R: In breve: il piano attestato non richiede soglie di adesione né omologa del tribunale, mentre l’accordo di ristrutturazione (art.57 CCII) richiede il sì di almeno il 60% dei crediti e viene omologato dal giudice diventando vincolante. Un accordo ex art.57 offre la possibilità di bloccare azioni esecutive e di estendere l’accordo a certe categorie dissenzienti, ma è più formale. Molte misure interne possono essere simili (anche nell’accordo serve attestatore). Spesso se c’è alta adesione si preferisce l’accordo omologato per maggior certezza. Il piano attestato è più snello ma si basa sul consenso effettivo e volontario di ciascuno.
  • D: Il piano attestato può prevedere anche la ristrutturazione dei debiti fiscali e contributivi?
    R: Può includerli, ma con delle avvertenze: l’Agenzia Entrate e gli Enti previdenziali in sede extragiudiziale di solito non concedono stralci sulle imposte e contributi dovuti, se non quelli previsti da norme specifiche (es. rottamazione cartelle). Nel piano attestato, il fisco tende a pretendere il pagamento integrale, magari rateizzato secondo le regole ordinarie (max 6 anni, o 10 anni in casi speciali). Quindi difficilmente si otterrà dall’Erario uno sconto come si potrebbe in concordato con transazione fiscale. Perciò, se l’impresa ha un elevato debito IVA/tasse che non riesce a pagare integralmente, il piano attestato non è sufficiente. Diverso è il caso di contributi previdenziali: qui zero stralcio extragiudiziale, solo dilazioni INPS standard. In sintesi: nel piano attestato si possono includere debiti fiscali con piani di rateazione, ma non aspettarsi falcidie a tavolino.
  • D: Chi sceglie l’attestatore? Posso nominarlo tra i miei consulenti?
    R: Formalmente lo sceglie l’imprenditore, ma deve essere un soggetto indipendente. Non dovrebbe essere un consulente abituale dell’azienda. È opportuno sceglierlo in accordo con i creditori maggiori, perché poi loro dovranno fidarsi della sua relazione. In pratica spesso si chiede alle banche “volete un attestatore di vostra fiducia?” e si concorda un nominativo. L’importante è che rispetti i requisiti di legge (no conflitti ultimi 5 anni, competenza, iscritto albo). Meglio evitare il “mio commercialista che fa il bilancio da 10 anni”, perché per quanto onesto non appare indipendente agli occhi dei creditori. Meglio un professionista esterno, terzo, magari con un certo nome nel settore, così la sua attestazione avrà più peso.
  • D: Quali documenti servono e quanto tempo ci vuole per fare un piano attestato?
    R: Occorre predisporre un dossier completo: ultimi bilanci, situazione finanziaria aggiornata, elenco dettagliato di tutti i debiti e crediti, un piano industriale e finanziario di almeno 2-3 anni, le bozze di accordo con i creditori. Serve anche raccogliere eventuale documentazione di supporto (perizie di stima se vendi immobili, lettere di impegno per nuova finanza, ecc.). Il tempo dipende dalla complessità: una PMI relativamente semplice può stendere un piano in 1-2 mesi, una grande azienda complessa può impiegare 6 mesi. Molto dipende anche dalle trattative con i creditori: se sono rapidi a rispondere, in poche settimane si trova l’intesa; se tergiversano, tutto si allunga. La fase di attestazione poi può richiedere qualche settimana di lavoro al professionista. Quindi realisticamente direi 2-4 mesi per un piano attestato medio. In casi di emergenza si è fatto anche in un mese (ma lavorando giorno e notte con tutte le parti molto collaborative).
  • D: Il nuovo finanziatore che interviene nel piano (es. una banca che dà liquidità aggiuntiva) è tutelato in caso di fallimento?
    R: Non c’è una norma che garantisca esplicitamente la prededucibilità (pagamento prioritario) di chi finanzia nell’ambito di un piano attestato, a differenza di concordato/accordi dove il giudice può autorizzare nuovo credito prededucibile. Tuttavia, i nuovi finanziatori nel piano attestato possono tutelarsi in altri modi: ad esempio prendendo garanzie (che saranno esenti da revocatoria), oppure ottenendo dai soci cambiali o impegni personali. Inoltre, se la finanza serve per attuare il piano, in un successivo fallimento il finanziatore può provare a farla riconoscere come credito in prededuzione per “finanziamento effettuato in esecuzione di piano attestato” ai sensi dell’art. 99 CCII, ma non è automatico senza omologa. Quindi è un po’ un punto debole: un finanziatore estraneo deve avere fiducia. Per questo spesso chi finanzia nel piano attestato è un socio o una banca già esposta che rifinanzia sé stessa (quindi è comunque preferibile a fallire). Diciamo che il sistema protegge più sul lato revocatorie/penale che sul privilegio di rimborso. In molti casi comunque i nuovi finanziamenti vengono erogati contestualmente a garanzie (es. pegno su beni, factoring su crediti futuri) per ridurre il rischio.
  • D: Cosa rischia l’attestatore se sbaglia o trucca le carte?
    R: L’attestatore può rischiare molto. Civilmente, può essere citato per danni da creditori o dal curatore se con negligenza grave o dolo ha attestato il falso e ciò ha causato pregiudizio (creditori indotti ad aderire indebitamente). Penalmente, c’è il reato di falso in attestazioni, che prevede la reclusione se l’attestatore nasconde informazioni o dichiara il falso sapendo di farlo. Inoltre, potrebbe rispondere di concorso in bancarotta fraudolenta se ha collaborato a eventuali atti distrattivi mascherandoli nel piano. In sintesi, un attestatore disonesto o incompetente può andare incontro a condanne e al discredito professionale. Per questo chi fa seriamente l’attestatore è molto prudente e documenta tutto. Dal punto di vista dell’imprenditore, ciò significa che l’attestatore non “regalerà” mai un’attestazione: se i numeri non convincono, rifiuterà di attestare o chiederà modifiche al piano. Ed è giusto così, perché quell’attestazione deve proteggere tutti, non essere un pro-forma.
  • D: Un piano attestato può prevedere la liquidazione di parte dell’azienda o deve salvare per forza tutto?
    R: Può certamente prevedere la cessione o chiusura di rami non strategici. Ciò che lo differenzia da un concordato liquidatorio è che c’è comunque un’azienda che prosegue, anche se ridimensionata. Ad esempio, vendere una filiale o un immobile per pagare debiti va benissimo ed è spesso fatto nel piano. Quello che non sarebbe coerente è un piano che liquida completamente tutta l’attività e chiude baracca: in tal caso si tratterebbe di un concordato mascherato senza le tutele concorsuali, quindi sarebbe improprio. Ma vendere il superfluo per alleggerire il debito e concentrare il core business è una strategia di risanamento comune e del tutto compatibile.
  • D: Quali sono le principali fonti normative e di prassi da consultare per i piani attestati?
    R: La norma base è l’art. 56 del Codice della Crisi (D.Lgs.14/2019) per il piano attestato, più gli artt. 166 (esenzione revocatorie) e 324 (esenzioni penali) CCII. Per la parte fiscale, l’art. 88, comma 4-ter del TUIR. Utili anche i documenti di prassi: ad esempio la Risoluzione Ag. Entrate 222/2024 sulla tassazione e i Principi di attestazione dei piani di risanamento (CNDCEC 2017) per gli aspetti tecnici dell’attestazione. Inoltre, ci sono varie linee guida e massime di tribunali: ad esempio la massima del Comitato Crisi di Impresa di Milano che incoraggia la pubblicazione del piano. In fondo a questa guida trovi un elenco di fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali autorevoli che possono essere approfondite.

Fonti e Riferimenti Autorevoli

Di seguito si riportano le principali fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali utilizzate e citate nella presente guida, utili per eventuali approfondimenti:

Normativa:

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e s.m.i.): art. 56 (Piani attestati di risanamento), art. 166 (Esenzioni da azioni revocatorie), art. 324 (Esenzioni da reati di bancarotta), nonché artt. 57-64 (Accordi di ristrutturazione) e artt. 84-120 (Concordato preventivo) per confronto.
  • Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – art. 67, co.3, lett. d) (previgente disciplina dei piani attestati ai fini delle revocatorie) e art. 217-bis (esenzione penale, introdotto nel 2015) – per riferimento storico.
  • Testo Unico Imposte sui Redditi (DPR 917/1986) – art. 88, comma 4-ter, che prevede la non imponibilità delle sopravvenienze attive derivanti, tra l’altro, dai piani attestati di risanamento disciplinati dall’articolo 67, terzo comma, lettera d) della legge fallimentare, ora trasfusi nell’articolo 56 del D.Lgs. n. 14/2019.
  • D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021 – Introduzione della Composizione Negoziata della crisi e del Concordato semplificato.
  • D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 136/2024 – Decreti correttivi del CCII, che hanno modificato in parte la disciplina dei piani attestati (in particolare il D.Lgs. 136/2024 ha integrato l’art. 56 comma 2 lettere g-bis e modifiche di coordinamento).

Giurisprudenza:

  • Cassazione Civile, Sez. I, 5 luglio 2016, n. 13719 – Principio di diritto: obbligo del giudice (anche in epoca pre-2012) di valutare ex ante la ragionevole attuabilità del piano attestato ai fini dell’esenzione da revocatoria. Conferma la necessità di un piano non “manifestamente inetto”.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 24 gennaio 2023, n. 2176 – Ha statuito che gli atti esecutivi di un piano attestato ex art.67 L.F. sono esenti anche da azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., oltre che da quella fallimentare, risolvendo un contrasto interpretativo.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 25 marzo 2022, n. 9743 – Ha ribadito che la semplice presenza di un piano attestato non basta per l’esenzione da revocatoria: il giudice deve verificare la idoneità concreta del piano al risanamento, nei limiti della manifesta inettitudine. Caso di revocatoria accolto perché il piano era inadeguato nonostante l’attestazione.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 3 marzo 2023, n. 6508 – Conferma i principi di Cass. 3018/2020 e 9743/2022 sulla necessaria valutazione giudiziale ex ante del piano in caso di revocatoria (richiamando espressamente il precedente). Inoltre, affronta temi di consecuzione tra procedure e ammissione al passivo di crediti derivanti da piano attestato (coordinando con la disciplina dell’esenzione).
  • Cassazione Civile, Sez. I, 7 febbraio 2020, n. 3018 (ord.) – Ha sottolineato il parametro della “condizione professionale del terzo contraente” nella valutazione dell’affidamento su piano attestato e i limiti dell’indagine del giudice alla evidente inettitudine del piano.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 25 marzo 2022, n. 9745 (ord.) – Analoga a n.9743/2022, enfatizza controllo veridicità dati e attendibilità piano ai fini esenzione revocatoria; ha cassato una decisione favorevole al creditore privilegiato in base a tali principi.
  • Tribunale di Roma, decreto 25 marzo 2021 – In sede di opposizione a stato passivo, ammette con privilegio un credito bancario su pagamento in piano attestato, ritenendo ex ante il piano idoneo e quindi l’atto non revocabile, poi cassato dalla Cassazione 9743/2022 con diverso principio.
  • Tribunale di Venezia, decreto 28 ottobre 2021 – Caso di rinuncia al “concordato in bianco” (ex art.9, co.5-bis DL 118/21) a favore di un piano attestato: il tribunale ha dichiarato improcedibile il concordato considerando depositato un piano attestato pubblicato e confermando misure protettive fino a fine attuazione piano (fattispecie di coordinamento CN-piano).

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