Il Concordato Preventivo Con Continuità Aziendale: Guida 2025

La tua azienda è in difficoltà ma ha ancora ordini, clienti, dipendenti e potenziale di crescita? Cerchi una soluzione per bloccare i creditori, ristrutturare i debiti e continuare l’attività senza passare dalla liquidazione?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto della crisi d’impresa, concordati e risanamento aziendale – ti spiega in modo chiaro e operativo come funziona il Concordato Preventivo con Continuità Aziendale, quando puoi accedervi, quali vantaggi offre rispetto ad altre procedure, e come usarlo per rilanciare l’impresa con un piano concreto e protetto.

Scopri quali sono i requisiti per presentare il concordato con continuità, cosa prevede il piano industriale e finanziario, come trattare i debiti fiscali, bancari e commerciali, quale ruolo ha il commissario giudiziale, e come ottenere l’omologazione anche in presenza di creditori dissenzienti.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, analizzare la situazione della tua azienda e costruire un percorso personalizzato per accedere al Concordato Preventivo con Continuità, salvare l’attività, proteggere i posti di lavoro e uscire legalmente dalla crisi.

Introduzione

Il concordato preventivo con continuità aziendale è uno strumento giuridico cruciale nell’ordinamento italiano per affrontare la crisi d’impresa, consentendo al debitore di ristrutturare i debiti senza interrompere l’attività aziendale. Si tratta di una procedura concorsuale disciplinata dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, “CCII”), pensata per preservare il valore dell’azienda e i posti di lavoro, offrendo al contempo ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella che otterrebbero in caso di liquidazione fallimentare. Questa guida, aggiornata a maggio 2025, fornisce una trattazione avanzata ma dal taglio pratico, rivolta principalmente ad avvocati e imprenditori italiani alle prese con situazioni di crisi d’impresa.

Obiettivo della guida: spiegare in maniera chiara e completa come funziona il concordato preventivo con continuità aziendale alla luce della normativa vigente e delle più recenti novità normative e giurisprudenziali. Verranno esaminati i presupposti di accesso, le fasi procedurali, i vantaggi rispetto ad un concordato liquidatorio, nonché gli aspetti fiscali, lavoristici e societari collegati. Sono incluse inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici di aziende italiane in crisi che ricorrono a questo strumento, e una sezione di Domande e Risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più frequenti. In fondo, un elenco delle fonti normative e giurisprudenziali utilizzate permetterà di approfondire ulteriormente i riferimenti citati nel testo.

Aggiornamento normativo: il Codice della Crisi (CCII) è entrato in vigore il 15 luglio 2022, dopo vari rinvii dovuti anche alla necessità di recepire la Direttiva UE 2019/1023 (cd. “Direttiva Insolvency”). Successivamente, la disciplina è stata integrata e modificata da diversi interventi, tra cui il D.L. 118/2021 (conv. in L. 147/2021) e i decreti correttivi del 2022 e 2024. In particolare, il Decreto Correttivo Ter (D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136, in vigore dal 28 settembre 2024) ha introdotto modifiche sostanziali per chiarire dubbi emersi nell’applicazione del Codice e per attuare in pieno alcuni principi della direttiva europea. Questa guida tiene conto di tutte le novità fino a maggio 2025, inclusi i più recenti orientamenti giurisprudenziali (anche della Corte di Cassazione) in materia di concordato con continuità.

Nei paragrafi che seguono esamineremo sistematicamente i vari aspetti del concordato preventivo in continuità: inquadramento normativo e finalità, requisiti di ammissibilità, svolgimento della procedura, trattamento dei crediti (privilegiati, chirografari, fiscali, lavorativi, ecc.), nonché le responsabilità dell’imprenditore e le implicazioni per lavoratori e soci. Una tabella di confronto evidenzierà le differenze chiave tra il concordato in continuità e il concordato meramente liquidatorio, per comprenderne meglio i rispettivi campi di applicazione. Esempi concreti illustreranno come aziende italiane hanno impostato piani di concordato con continuità, evidenziando step by step cosa accade in pratica. Infine, la sezione FAQ risponderà ai quesiti più frequenti di imprenditori e professionisti (ad es. sui tempi della procedura, sugli effetti per i creditori e sulla gestione dell’impresa durante il concordato).

Prima di addentrarci nei dettagli, è importante sottolineare la filosofia di fondo del concordato in continuità: esso rappresenta un tentativo di risanamento dell’impresa, privilegiando la prosecuzione dell’attività come mezzo per generare maggior valore a beneficio dei creditori, rispetto alla soluzione liquidatoria che disperderebbe il patrimonio aziendale. Il legislatore ha espressamente riconosciuto che mantenere in vita l’azienda, quando possibile, è nell’interesse sia dei creditori (perché massimizza i ricavi da destinare al pagamento dei debiti) sia del sistema socio-economico (perché preserva posti di lavoro e know-how produttivo). Tuttavia, la continuità deve essere autentica e sostenibile: i tribunali oggi hanno il potere di filtrare le domande di concordato, dichiarando inammissibili quei piani che, pur proclamando una continuità, risultino in realtà irrealistici o distruttivi di valore (ad esempio un’azienda tecnicamente fallita che voglia solo differire la liquidazione senza un vero progetto di risanamento). In altre parole, il concordato con continuità è uno strumento potente ma va usato con serietà: deve esistere una prospettiva concreta di riequilibrio dell’impresa, altrimenti è preferibile procedere direttamente con altre soluzioni (come la liquidazione giudiziale).

Passiamo ora ad esaminare il quadro normativo e i principi cardine del concordato preventivo con continuità aziendale.

Quadro Normativo e Finalità del Concordato in Continuità

Dal punto di vista normativo, il concordato preventivo con continuità aziendale è disciplinato principalmente dagli artt. 84 e seguenti del Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII), introdotto dal D.Lgs. 14/2019 ed entrato in vigore nel 2022. Queste disposizioni hanno sostituito integralmente la vecchia Legge Fallimentare (R.D. 267/1942), la quale già dal 2012 prevedeva una figura di “concordato con continuità” (ex art. 186-bis l.fall.). Il CCII ne ha ridefinito i contenuti e ampliato la portata, anche per recepire i princìpi della normativa UE in materia di ristrutturazione preventiva delle imprese.

Finalità generale (best interest test): L’art. 84, comma 1 CCII sancisce che qualsiasi concordato preventivo (sia esso in continuità o liquidatorio) deve garantire ai creditori un soddisfacimento “in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale”. Questo significa che il piano proposto non può pregiudicare i creditori rispetto all’alternativa del fallimento: ogni creditore, o almeno ogni classe di creditori omogenea, deve ricevere almeno il valore di liquidazione (ossia quanto otterrebbe se l’impresa fosse liquidata). Tale principio è noto come “best interest test” o criterio del miglior soddisfacimento dei creditori. È un vincolo fondamentale: in sede di omologazione il tribunale dovrà verificare che sia rispettato, eventualmente attraverso la relazione di un esperto indipendente (attestatore) che quantifica il c.d. valore di liquidazione di confronto.

Valorizzazione della continuità aziendale: L’art. 84, comma 2 CCII pone l’accento sulla continuità aziendale come modalità con cui il piano concordatario può realizzare il pagamento dei creditori. La norma riconosce esplicitamente che la prosecuzione dell’attività d’impresa è nell’interesse dei creditori, in quanto consente di mantenere in vita fonti di reddito (che potranno essere utilizzate per pagare i debiti) e al contempo preserva, per quanto possibile, i posti di lavoro. Dunque, la legge incoraggia il debitore in crisi a proseguire l’attività se ciò può generare un plusvalore rispetto alla chiusura dell’azienda. In questa prospettiva, il concordato “con continuità” si contrappone al concordato meramente liquidatorio (in cui l’azienda cessa l’attività e il patrimonio viene smembrato e liquidato).

Definizione di continuità (diretta e indiretta): La continuità aziendale nel concordato può attuarsi in due forme:

  • Continuità diretta: l’imprenditore debitore prosegue in proprio l’attività d’impresa durante la procedura e dopo l’omologazione, gestendo l’azienda nell’ambito del concordato. In pratica l’azienda resta alla stessa società, che continua ad operare sotto controllo del tribunale e con gli obblighi del piano.
  • Continuità indiretta: l’attività prosegue per il tramite di un soggetto diverso dal debitore. Ciò può avvenire, ad esempio, mediante la cessione o il conferimento dell’azienda (o di uno o più rami aziendali) ad un altro imprenditore o società (anche una newco creata ad hoc), oppure tramite l’affitto d’azienda in funzione del concordato. L’importante è che il complesso aziendale venga trasferito e continui a operare presso il nuovo soggetto, assicurando la prosecuzione dell’attività.

In entrambe le ipotesi, l’azienda rimane in bonis (in esercizio), evitando l’interruzione delle produzioni o dei servizi. Questo si contrappone al concordato liquidatorio puro, nel quale invece l’attività cessa definitivamente e l’azienda viene solo liquidata pezzo per pezzo (beni venduti singolarmente, rapporti estinti).

Va sottolineato che il CCII ha ampliato la nozione di continuità rispetto al passato. La versione originaria dell’art. 186-bis l.fall. (introdotto nel 2012) richiedeva che la continuità fosse caratterizzata dalla prevalenza dell’attività: in sostanza, la maggior parte della soddisfazione dei creditori doveva provenire dalla prosecuzione aziendale (almeno il 50% dei pagamenti da ricavi dell’attività corrente o da un assuntore) per poter qualificare il concordato come “in continuità”. Questa rigida soglia ha sollevato dubbi e contenziosi sul significato di “prevalente” e su come misurarlo. Oggi, dopo le riforme del 2022, tale requisito è stato eliminato in favore di una definizione più flessibile. Il comma 3 dell’art. 84 CCII (come modificato dal D.Lgs. 83/2022) stabilisce che “Nel concordato in continuità aziendale i creditori possono essere soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta”. In altre parole, è sufficiente che vi sia una componente significativa, anche non maggioritaria, di ricavi derivanti dalla prosecuzione dell’attività affinché il piano rientri nella categoria del concordato in continuità. Non occorre più superare una soglia percentuale precisa. Ciò amplia le possibilità: anche un piano misto, in parte liquidatorio e in parte basato sulla continuazione dell’azienda, può qualificarsi come concordato con continuità (purché l’azienda non sia totalmente chiusa). Questo cambio normativo è rilevante perché consente di applicare le norme più favorevoli previste per la continuità anche in casi dove la continuità non è predominante ma comunque presente. Ad esempio, se un’azienda intende vendere alcuni asset non strategici ma al contempo continuare la sua attività principale, potrà beneficiare dello status di concordato in continuità (evitando l’etichetta di liquidatorio puro), con i relativi vantaggi procedurali.

Vantaggi normativi del concordato in continuità: Perché è così importante rientrare nella categoria della continuità? Perché la legge prevede alcune agevolazioni e regole speciali a beneficio dei concordati con continuità aziendale, non applicabili ai concordati liquidatori. In particolare, come vedremo in dettaglio, nel concordato in continuità:

  • Non vige alcuna soglia minima di soddisfacimento per i creditori chirografari. Nelle vecchie regole, un concordato liquidatorio doveva offrire almeno il 20% ai chirografari (salvo apporto di finanza esterna) secondo l’art. 160 l.fall. Oggi questa soglia fissa non c’è più, ma permane di fatto solo per i concordati liquidatori come criterio di fattibilità (un’offerta troppo bassa potrebbe non essere approvata dai creditori o non superare il giudizio di convenienza). Nel concordato in continuità, essendo attesa la produzione di maggior valore in futuro, è accettabile anche una soddisfazione percentuale inferiore ai chirografari, purché sia sempre rispettato il best interest test (≥ valore di liquidazione) e le regole di distribuzione dei flussi di cui diremo oltre.
  • È possibile il pagamento parziale di crediti tributari al pari degli altri crediti (c.d. falcidia dell’IVA e degli altri tributi), cosa un tempo vietata. La Corte di Cassazione ha chiarito nel 2022 che non viola il diritto dell’UE includere l’IVA in un concordato con pagamento parziale, aprendo la strada alla transazione fiscale anche per tributi considerati intoccabili. Il CCII, all’art. 88, consente espressamente di trattare i crediti tributari e contributivi come gli altri, subordinando il taglio alla condizione che l’erario ottenga almeno quanto otterrebbe da una liquidazione e che vi sia un’attestazione di convenienza (vedi Aspetti Fiscali più avanti).
  • I contratti pendenti e i rapporti in corso godono di particolare tutela, per evitare che la dichiarazione di concordato interrompa forniture essenziali o provochi risoluzioni indesiderate. Ad esempio, i patti contrattuali di tipo ipso facto (che prevedono la risoluzione automatica di un contratto in caso di procedura concorsuale) sono generalmente inefficaci; l’impresa in continuità può ottenere dal tribunale di autorizzare la sospensione o lo scioglimento di contratti onerosi (ex art. 95 CCII, equivalente del vecchio art. 169-bis l.fall.), ma d’altro canto i fornitori essenziali non possono interrompere le forniture solo perché l’azienda ha presentato domanda di concordato, purché l’impresa rispetti i pagamenti correnti. La protezione dei contratti è finalizzata a mantenere in funzione l’azienda durante la procedura.
  • Possibilità di omologazione forzata (cram down) in caso di dissenso dei creditori, prerogativa introdotta dal 2022-2023 solo per i concordati in continuità. Approfondiremo questo aspetto più avanti, ma anticipiamo che la normativa aggiornata consente al tribunale di omologare un concordato in continuità anche senza il voto favorevole di tutte le classi di creditori, purché siano rispettate certe condizioni di tutela (in particolare, rispetto del valore di liquidazione per i dissentienti e la c.d. Relative Priority Rule). Questo era impossibile sotto la vecchia legge fallimentare per i concordati ordinari, che richiedevano l’approvazione di tutte le classi; oggi invece l’art. 112 CCII (modificato) consente il cross-class cram down nei concordati con continuità, rendendo la procedura più resiliente all’opposizione di minoranze qualificate.

In sintesi, il quadro normativo attuale privilegia e agevola le soluzioni in continuità, nella convinzione che, quando realisticamente perseguibile, il risanamento dell’impresa in esercizio produca un miglior risultato sia per i creditori sia per l’interesse pubblico (mantenimento di attività produttive e occupazione). Ovviamente, se la continuità è solo teorica e il piano non mostra concrete prospettive di risanamento, il filtro dell’ammissibilità impedirà abusi (come ribadito dall’art. 47, co.1, lett. b CCII che dichiara inammissibile la domanda con piano manifestamente inidoneo a soddisfare i creditori e a conservare i valori aziendali). Nei prossimi paragrafi vedremo come questi princìpi generali si traducono in pratica: quali sono i presupposti per accedere al concordato preventivo con continuità, come si svolge passo dopo passo la procedura, quali sono le regole di formazione del piano e di trattamento dei creditori, e quali effetti si producono una volta omologato il concordato.

Di seguito, per maggiore chiarezza, proponiamo una tabella che sintetizza le differenze chiave tra un concordato preventivo con continuità aziendale e un concordato preventivo di tipo liquidatorio.

Tabella 1 – Confronto tra Concordato in Continuità e Concordato Liquidatorio

ProfiloConcordato con Continuità AziendaleConcordato Liquidatorio
Prosecuzione dell’attivitàSì, l’azienda resta in esercizio (continuità diretta o indiretta); obiettivo di risanamento e mantenimento dei flussi reddituali.No, l’attività cessa; l’azienda viene liquidata e i beni venduti separatamente.
Fonte di soddisfazione dei creditiRicavi derivanti dalla gestione caratteristica continuata e/o dall’eventuale cessione in blocco dell’azienda (assuntore). Può coesistere con realizzo di alcuni asset non strategici.Ricavato dalla vendita atomistica dei beni aziendali (liquidazione del patrimonio). L’azienda in sé non genera più reddito perché chiusa.
Soglia minima per chirografariNessuna soglia fissa ex lege (solo best interest test: >= 100% valore liquidatorio). È possibile proporre percentuali basse se giustificate da un piano credibile e dal valore di continuità.In passato era richiesto almeno il 20% (salvo finanza esterna). Nel CCII la soglia del 20% è stata eliminata, ma in un piano liquidatorio puro resta implicito che un’offerta troppo bassa rischia di non essere approvata dai creditori o di essere considerata non conveniente.
Regole di pagamento dei creditoriRelative Priority Rule (RPR): dopo aver garantito a tutti il valore di liquidazione con rispetto delle prelazioni, l’eventuale valore aggiuntivo generato dalla continuità può essere distribuito non seguendo rigidamente l’ordine dei privilegi, ma garantendo che nessuna classe superiore riceva meno di una inferiore. Ciò consente maggior flessibilità (es. pagare qualcosa anche ai chirografari pur non soddisfacendo integralmente i privilegiati, se il surplus lo consente).Absolute Priority Rule (APR) rigorosa: l’attivo disponibile deve essere distribuito secondo l’ordine legale delle cause di prelazione, senza eccezioni. I creditori chirografari ricevono solo se prima sono stati integralmente soddisfatti tutti i creditori privilegiati superiori. Non sono ammessi pagamenti a classi inferiori se quelle superiori non hanno avuto il 100% (salvo consenso specifico di queste ultime).
Trattamento crediti fiscaliPossibile falcidia dei tributi (anche IVA) con omologazione anche senza voto favorevole del Fisco (cram down fiscale), purché il piano offra all’Erario almeno quanto otterrebbe in liquidazione e ciò sia attestato. Il Fisco partecipa al voto (in classe separata se chirografo) e, in caso di voto contrario, il tribunale può ugualmente omologare se la proposta è conveniente rispetto alle alternative.Tradizionalmente, divieto di falcidia IVA (ora superato dalla giurisprudenza e dalla norma) e necessità del voto favorevole del Fisco per omologare se i crediti erariali non sono pagati integralmente. Nel CCII, il cram down fiscale è ammesso anche per liquidatori solo se l’erario è unico dissenziente? (In realtà, oggi il cram down generale è previsto solo in continuità; un liquidatorio con classe dissenziente non può essere omologato).
Contratti e fornitoriL’impresa continua ad operare: i contratti essenziali proseguono, i fornitori strategici possono essere pagati in prededuzione se autorizzato (per assicurare continuità di forniture), le clausole risolutive per concordato non hanno effetto. L’azienda può chiedere di sciogliere o sospendere contratti non più utili (con autorizzazione del tribunale), riducendo costi. In caso di trasferimento d’azienda in esecuzione del piano, si applicano le norme speciali sui rapporti di lavoro (vedi sezione Aspetti Lavoristici).Con l’azienda in liquidazione, i contratti pendenti generalmente si risolvono (salvo diversa gestione da parte del liquidatore che può subentrare temporaneamente per contratti utili alla liquidazione). I fornitori non hanno prospettive di continuità: forniscono solo se pagati cash o dietro garanzie. I rapporti di lavoro vengono risolti dal liquidatore, con intervento del Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime retribuzioni.
Durata e esito finaleProcedura potenzialmente più lunga in fase di esecuzione, perché il piano può prevedere il pagamento dei creditori in un arco temporale anche pluriennale, man mano che l’azienda genera utili. Se il piano riesce, l’impresa risanata continua la sua attività. Se fallisce, si aprirà la liquidazione giudiziale (fallimento).Procedura più rapida nella sua fase di esecuzione: venduti i beni e ripartito l’attivo, l’impresa cessa di esistere. La chiusura del concordato di solito coincide con la fine dell’attività d’impresa. L’obiettivo non è il salvataggio dell’azienda ma la liquidazione ordinata del patrimonio a beneficio dei creditori.

(Legenda: APR = regola di priorità assoluta; RPR = regola di priorità relativa; “finanza esterna” = contributi di risorse da terzi estranei all’attivo dell’impresa.)

Come si evince dal confronto, il concordato con continuità aziendale ha un approccio orientato al recupero dell’impresa e offre strumenti di flessibilità (soprattutto nella distribuzione del valore eccedente il minimo di liquidazione) che il concordato liquidatorio non consente. D’altro canto, richiede un controllo più attento sulla fattibilità reale del piano e sulla meritevolezza di mantenere in vita l’impresa: se la continuità si traducesse in perdite ulteriori o fosse solo fittizia, ne risentirebbero i creditori. Non a caso, la legge e la giurisprudenza insistono sul fatto che la continuità deve apportare un valore aggiunto tangibile e che i piani in continuità privi di concrete prospettive di risanamento vadano bloccati sul nascere.

Nei prossimi capitoli, analizzeremo nel dettaglio i presupposti e requisiti per accedere al concordato preventivo (in continuità), lo svolgimento della procedura e le regole di formazione del piano, includendo i recenti sviluppi giurisprudenziali sul voto dei creditori e sull’omologazione anche in caso di dissenso. Successivamente tratteremo in sezioni dedicate gli aspetti fiscali, lavoristici e societari peculiari di questa procedura.

Requisiti di Accesso al Concordato Preventivo con Continuità

Per poter accedere al concordato preventivo (sia esso con continuità o liquidatorio) occorre che sussistano precisi presupposti soggettivi e oggettivi. Vediamoli in sintesi:

  • Soggetti ammessi: possono proporre concordato preventivo gli imprenditori commerciali (società o imprenditori individuali) assoggettabili a fallimento, ossia non piccoli imprenditori. In pratica, le stesse categorie di soggetti che possono essere dichiarati in liquidazione giudiziale (ex fallimento) hanno legittimazione a ricorrere al concordato preventivo. Rimangono esclusi gli imprenditori agricoli e i soggetti non fallibili di dimensioni minime (per i quali esistono le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento). Il CCII conferma in gran parte questi criteri (art. 2 CCII definisce l’ambito di applicazione soggettivo). Da notare che anche le società pubbliche o enti particolari in certi casi possono accedere a procedure simili (amministrazione straordinaria, etc.), ma esulano da questa trattazione.
  • Stato di crisi o insolvenza: la domanda di concordato deve essere presentata da un debitore che si trovi in stato di crisi o di insolvenza. Il CCII definisce stato di crisi una situazione di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza, se non si interviene (vi rientra anche il semplice stato di difficoltà prospettica). Lo stato di insolvenza, invece, è lo stadio conclamato in cui il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (ad es. inadempimenti gravi, mancati pagamenti generalizzati, ecc.). Per il concordato preventivo è sufficiente lo stato di crisi (quindi può essere utilizzato anche in via preventiva prima che l’insolvenza si manifesti pienamente); certamente, se l’impresa è già insolvente, può comunque accedere al concordato (alternativamente al fallimento), purché la proposta offra prospettive di risanamento. È importante evidenziare che il concordato preventivo non è un’opzione per imprese pienamente sane e solventi: deve esserci una crisi reale, altrimenti la domanda verrebbe dichiarata inammissibile per difetto dei presupposti. Come afferma la dottrina, è un istituto da utilizzarsi solo per gestire una vera crisi d’impresa, non per ottenere vantaggi indebiti in assenza di difficoltà.
  • Assenza di altre procedure concorsuali irreversibili: non si può accedere al concordato se nei confronti del debitore è già in corso una liquidazione giudiziale (fallimento) o altra procedura concorsuale irreversibile. In generale, se pende un’istanza di fallimento, la presentazione di un ricorso di concordato preventivo “blocca” la decisione su quella domanda finché non si valuta la proposta concordataria (principio di prevalenza del concordato preventivo sul fallimento pendente, presente sia in Legge Fall. sia in CCII). Tuttavia, se il fallimento è già stato dichiarato con sentenza definitiva, il concordato preventivo non è più proponibile. Eccezione: il CCII prevede la figura del concordato nella liquidazione giudiziale (artt. 240 e ss. CCII), ossia una proposta di concordato presentata dopo l’apertura della liquidazione giudiziale, di solito da parte di un assuntore esterno interessato a rilevare l’azienda. Si tratta di un istituto diverso dal concordato preventivo “classico” e residuale; nel nostro contesto ci concentriamo sul concordato proposto prima di un fallimento. In pratica: se è già intervenuta una sentenza di fallimento non più impugnabile, l’imprenditore non può chiedere un concordato preventivo, ma solo eventualmente presentare una proposta ai sensi dell’art. 240 CCII all’interno del fallimento. In tutti gli altri casi, il concordato preventivo rimane esperibile (specie se si è ancora in fase pre-fallimentare).
  • Requisiti di onorabilità e decadenze: il debitore richiedente non deve essere incorso in cause di inammissibilità specifiche. Ad esempio, se ha già usufruito di un concordato con continuità andato in porto, non può chiederne un altro nei 5 anni successivi (per evitare abusi seriali); se un precedente concordato è stato risolto o annullato per inadempimento o frode, questo può costituire elemento ostativo per nuove procedure. Inoltre, l’art. 90 CCII esige il deposito di bilanci e fiscali aggiornati e impone al debitore di aver tenuto una contabilità regolare; irregolarità gravi possono condurre all’inammissibilità per mancanza di trasparenza. Nel caso di società, la deliberazione a presentare concordato dev’essere assunta dall’organo competente (es. CdA con poteri, o assemblea se richiesto dallo statuto per atti di tale importanza).
  • Contenuto minimo della proposta e del piano: il debitore deve presentare una proposta concordataria ed un piano che rispettino i requisiti di legge. Il piano deve indicare in modo dettagliato come si intende soddisfare i creditori e con quali tempi e mezzi. Il CCII (art. 87) elenca il contenuto obbligatorio della proposta/piano. In particolare, se si tratta di un concordato in continuità, la proposta deve contenere alcune informazioni aggiuntive: l’art. 87 lett. e) ed f) CCII richiede l’indicazione analitica dei tempi e modalità di adempimento del piano e degli effetti finanziari dell’operazione di continuità, nonché l’indicazione del valore di liquidazione del patrimonio (ossia quanto ricaverebbero i creditori in caso di liquidazione giudiziale). Queste informazioni sono essenziali per permettere ai creditori di valutare la convenienza della continuità rispetto alla liquidazione. Inoltre, il piano in continuità deve includere un piano industriale di risanamento, con le strategie per riportare in equilibrio l’azienda (es. ristrutturazione del debito, investimenti, taglio di costi, dismissione di rami non redditizi, ecc.). Se alcune classi di creditori ricevono trattamento differenziato, ciò deve essere motivato dalla diversa posizione giuridica o di interesse economico dei creditori (sulla classificazione in classi v. infra).
  • Attestazione di fattibilità e convenienza: il piano di concordato deve essere accompagnato dalla relazione di un professionista indipendente (detto attestatore), il quale certifichi sia la veridicità dei dati aziendali esposti, sia la fattibilità del piano (art. 87 lett. b CCII e art. 90). L’attestatore deve essere un soggetto terzo, dotato dei requisiti di legge (iscritto all’albo dei revisori o a ordini di categoria abilitati, con adeguata esperienza in crisi d’impresa, e indipendente rispetto al debitore e agli stakeholder). Nel concordato in continuità, l’attestatore ha un compito ulteriore: deve attestare che la prosecuzione dell’attività è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori. In altri termini, deve dichiarare che la scelta della continuità (anziché la liquidazione) offre ai creditori un ritorno superiore o almeno non inferiore rispetto all’alternativa liquidatoria. Questa attestazione di convenienza della continuità è cruciale per convincere il tribunale e i creditori che mantenere in vita l’azienda è la strada ottimale. Inoltre, se nel piano è prevista una transazione fiscale (trattamento falcidiato dei debiti tributari o contributivi), l’attestatore deve pronunciarsi specificamente sulla convenienza della proposta per l’Erario rispetto alle alternative (come richiesto dall’art. 88 CCII). Tutte queste attestazioni elevano il grado di affidabilità del piano e costituiscono un filtro tecnico fondamentale.
  • Divieto di atti in frode e obbligo di trasparenza: la proposta non deve contenere atti in frode ai creditori. Il debitore deve elencare tutti i creditori e le rispettive cause di prelazione in modo completo e veritiero, e non deve aver posto in essere manovre volte a frodarli (es. distrazione di beni). Qualsiasi anomalia (omissioni di passività, sopravvalutazione dell’attivo, atti dispositivi sospetti nel periodo antecedente) può portare il tribunale a ritenere la proposta inammissibile per difetto di buona fede. In particolare l’art. 85 CCII prevede espressamente l’inammissibilità se risultano atti di frode.
  • Idoneità del piano: come accennato, il tribunale effettua un controllo di fattibilità sommaria e di idoneità del piano già in fase di ammissione. L’art. 47, co.1, lett. b) CCII stabilisce che la domanda è inammissibile non solo se il piano è manifestamente incapace di soddisfare i creditori (sotto il profilo quantitativo), ma anche se è manifestamente non idoneo alla conservazione dei valori aziendali (nel caso di continuità). Ciò significa che se il piano di continuità appare chiaramente destinato al fallimento dell’impresa – ad esempio perché prevede che l’attività continui generando perdite ulteriori o perché non contiene misure concrete di ristrutturazione – il giudice può respingere la domanda in limine. Questa previsione, come sottolineato dal Tribunale di Torino in una decisione del 2024, serve a scoraggiare i “falsi concordati in continuità”, ossia quei piani presentati al solo scopo dilatorio senza reali prospettive di risanamento. I giudici hanno il potere/dovere di filtrare tali casi, evitando che una finta continuità provochi ulteriore pregiudizio ai creditori (ad es. erosione di risorse in un inutile tentativo di prosecuzione). Al contrario, se il piano presenta un progetto credibile di rilancio – supportato magari da nuovi finanziamenti, riduzione di costi, accordi con stakeholder, ecc. – e garantisce comunque il rispetto del best interest test, verrà ammesso alla fase di voto.

In sintesi, per accedere al concordato preventivo con continuità occorre essere un imprenditore in crisi o insolvenza, con un piano serio e ben attestato che mostri come la prosecuzione dell’attività d’impresa possa portare a un risultato migliore per i creditori. L’impresa deve inoltre mettere a disposizione tutte le informazioni (bilanci, elenco creditori, relazione attestatore) sin dall’inizio o, in caso di domanda “con riserva”, nei termini fissati dal tribunale.

Domanda “in bianco” o con riserva

Il CCII (riprendendo l’istituto già noto come concordato in bianco o con riserva dell’art. 161, co.6 l.fall.) consente al debitore, se ha necessità di guadagnare tempo per completare la proposta e il piano, di presentare intanto una domanda di concordato riservandosi di depositare la proposta e il piano completi entro un termine. L’art. 44 CCII disciplina questa facoltà. In pratica, l’imprenditore deposita un ricorso contenente almeno l’indicazione di voler accedere al concordato, allegando i bilanci aziendali recenti e l’elenco nominativo dei creditori con i rispettivi crediti. Nel CCII aggiornato, dopo il correttivo 2024, è richiesto che alla domanda con riserva sia allegato anche almeno un “progetto di piano” o comunque le linee generali del piano, per evitare domande al buio finalizzate solo a congelare le azioni dei creditori.

A fronte di una domanda con riserva completa, il tribunale emette un decreto con cui fissa un termine (prorogabile, entro i 60-120 giorni) per il deposito della proposta, del piano dettagliato e di tutti i documenti mancanti (inclusa attestazione). Contestualmente, il tribunale può concedere le misure protettive sul patrimonio del debitore: tipicamente, sospende o vieta le azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori durante il periodo di composizione (questo è l’effetto “automatic stay” simile a quello ex art. 168 l.fall.). Il debitore rimane alla guida dell’azienda, ma con alcuni vincoli: deve gestire il patrimonio con diligenza e buona fede, evitando atti che possano pregiudicare i creditori; in particolare, gli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel periodo prenotativo richiedono la preventiva autorizzazione del tribunale (pena l’inefficacia rispetto ai creditori). Questa previsione impedisce, ad esempio, che l’imprenditore in quel frangente possa vendere beni importanti, costituire garanzie, pagare preferenzialmente qualcuno o altri atti anomali senza controllo. La ratio è congelare la situazione patrimoniale e dare tempo all’imprenditore di perfezionare il piano, sotto la supervisione del tribunale.

La domanda con riserva è molto utilizzata perché consente di ottenere subito protezione dalle aggressioni dei creditori (pignoramenti, sequestri) mentre si negozia con essi e si affinano i dettagli del piano. Può essere anche uno strumento per agganciare un’opportunità di finanza esterna o un investitore: l’impresa deposita la domanda con riserva per fermare i creditori, e nei mesi successivi finalizza un accordo con un assuntore o un finanziatore che entrerà nel concordato. Tuttavia, il tribunale vigila affinché la riserva non sia usata in modo abusivo: se il debitore non presenta poi la proposta nei termini o si rileva inattivo, la protezione viene revocata e il concordato dichiarato inammissibile (riaprendo la strada al fallimento su istanza di creditori eventualmente sospesa).

Il CCII ha inoltre previsto un collegamento con la procedura di composizione negoziata (introdotta dal D.L. 118/2021). In base al principio del “procedimento unitario”, un imprenditore che ha tentato una composizione negoziata della crisi (procedura stragiudiziale di trattativa assistita da un esperto) può, in qualsiasi momento, decidere di “innestare” una domanda di concordato preventivo senza soluzione di continuità, utilizzando eventualmente gli elementi già emersi nella negoziazione. Se ad esempio la composizione negoziata non porta a un accordo, l’imprenditore può depositare un ricorso di concordato preventivo (anche semplificato liquidatorio, se intende liquidare) durante o subito dopo la fase negoziale. Questo meccanismo consente un passaggio fluido dalla soluzione stragiudiziale a quella giudiziale, evitando perdite di tempo. Tuttavia, questi sono casi particolari: nella maggior parte dei concordati con continuità, la procedura viene avviata direttamente con la domanda (piena o con riserva) di concordato preventivo, come sopra descritto.

Svolgimento della Procedura di Concordato Preventivo con Continuità

Una volta verificati i presupposti ed eventualmente presentata la domanda (completa o in bianco), la procedura di concordato preventivo si snoda attraverso varie fasi, in parte analoghe a quelle del vecchio rito fallimentare ma con alcune peculiarità introdotte dal CCII. Di seguito descriviamo i passaggi principali dal deposito del ricorso sino all’omologazione, evidenziando gli aspetti specifici dei concordati con continuità aziendale.

Ammissione alla procedura e nomina degli organi

Dopo la presentazione del ricorso (o il deposito della proposta definitiva se era con riserva), il tribunale effettua un primo esame preliminare. In camera di consiglio, valuta innanzitutto la completezza formale della documentazione e la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi. Se mancano documenti obbligatori (es. attestazione, bilanci, ecc.) o emergono cause di inammissibilità (per esempio, piano manifestamente inidoneo), il tribunale può rigettare subito la domanda. Altrimenti, il tribunale ammette l’impresa alla procedura di concordato preventivo.

Il decreto di ammissione dichiara aperta la procedura, nomina gli organi preposti e stabilisce le prossime scadenze procedurali. Gli organi tipici sono:

  • Il Giudice Delegato: un giudice del tribunale assegnato al procedimento, con funzioni di supervisione e direzione della procedura (simile al giudice delegato nel fallimento).
  • Il Commissario Giudiziale: è un professionista indipendente (scelto dall’albo dei gestori della crisi) nominato per vigilare sulla gestione dell’impresa durante la procedura e per rappresentare l’interesse dei creditori. Il commissario svolge indagini sulla situazione aziendale, verifica l’elenco dei creditori, riceve le osservazioni dei creditori e redige una relazione per il tribunale e i creditori in vista dell’adunanza. Dal 2022, i commissari giudiziali devono essere iscritti in un apposito albo nazionale dei gestori della crisi, il che garantisce maggiore professionalità e competenza nell’incarico.
  • (Eventuale) Comitato dei Creditori: nel concordato preventivo il comitato non è sempre previsto; può essere nominato se il tribunale lo ritiene opportuno o su richiesta dei creditori. Ha funzioni consultive e di vigilanza, simile a quanto avviene nel fallimento, ma nel concordato spesso la sua nomina è omessa per snellire il procedimento, a meno di casi complessi.

Il decreto fissa inoltre la data dell’adunanza dei creditori (nel vecchio rito era l’udienza per il voto). Nel CCII potrebbe essere prevista anche la possibilità di voto per iscritto senza adunanza fisica, ma tradizionalmente entro 120-180 giorni dall’ammissione viene convocata l’adunanza in cui i creditori possono discutere e votare sulla proposta.

Effetti immediati dell’ammissione: Con l’ammissione, cessano gli effetti protettivi provvisori eventualmente concessi con la domanda con riserva e si consolidano le misure protettive per tutta la durata della procedura. In pratica resta in vigore il divieto per i creditori chirografari e subordinati di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali (pignoramenti) sul patrimonio del debitore, nonché di acquisire cause di prelazione se non autorizzate. I creditori non possono neppure proseguire le azioni cautelari (sequestri) né ottenere sentenze di condanna esecutive. Il patrimonio del debitore è dunque “congelato” sotto l’ombrello del concordato. I creditori con pegno o ipoteca, invece, se non soddisfatti integralmente nel piano, conservano il diritto di escutere le garanzie ma di fatto la loro azione rimane sospesa fino all’omologazione (non possono eseguire vendite forzate nel frattempo).

Dal punto di vista gestionale, il debitore mantiene l’amministrazione dei propri beni e l’esercizio dell’impresa (a differenza del fallimento dove viene spossessato). Si configura una sorta di “debtor in possession” assistito: l’imprenditore continua a dirigere l’azienda e compie gli atti di ordinaria amministrazione, ma è soggetto alla vigilanza del commissario e alle autorizzazioni del giudice delegato per gli atti straordinari. In dettaglio:

  • Gli atti di ordinaria amministrazione funzionali all’attività corrente (es. acquisto di materie prime, vendita di prodotti a prezzi di mercato, pagamento di fornitori per forniture correnti nei termini d’uso, pagamento stipendi correnti, incasso crediti, ecc.) possono essere compiuti liberamente dall’azienda ammessa a concordato. La continuità implica che l’impresa deve poter operare giorno per giorno, quindi su questo fronte c’è continuità operativa.
  • Gli atti di straordinaria amministrazione (es. cessione di beni immobili, di rami d’azienda, accensione di nuovi mutui ipotecari, transazioni significative, rinunce a crediti, locazioni ultranovennali, ecc.) richiedono l’autorizzazione del tribunale (o del giudice delegato su delega). Questa regola, già presente nell’art. 167 l.fall., è ora nel CCII e serve a evitare che durante la procedura il debitore compia atti pregiudizievoli per i creditori senza controllo. Se il debitore compie atti straordinari senza autorizzazione, tali atti possono essere dichiarati inefficaci rispetto ai creditori e possono portare alla revoca della procedura.
  • Il compimento di atti non autorizzati, o l’aggravamento fraudolento del dissesto, possono portare anche alla revoca dell’ammissione e alla conversione in liquidazione giudiziale (art. 49 CCII). Ad esempio, se dopo l’ammissione si scopre che l’imprenditore ha occultato beni o ha dissipato attivo a danno dei creditori, il tribunale può revocare il concordato e aprire il fallimento d’ufficio.

Il Commissario Giudiziale, subito dopo la nomina, inizia la sua attività di controllo: effettua accessi in azienda, raccoglie informazioni, verifica lo stato analitico passivo (confrontando l’elenco creditori fornito dal debitore con le risultanze contabili e le eventuali comunicazioni ricevute dai creditori stessi) e soprattutto esamina il piano e la contabilità per riferire ai creditori.

Formazione delle classi di creditori e proposte concorrenti

Il concordato preventivo può prevedere la suddivisione dei creditori in classi in base alla loro posizione giuridica e interessi economici omogenei. La formazione di classi è facoltativa per il debitore, salvo che intenda trattare in modo differenziato creditori dello stesso grado o imporre una falcidia a creditori privilegiati. In pratica:

  • I creditori privilegiati (garantiti da pegno, ipoteca o privilegio speciale/generale) che il piano non soddisfa integralmente secondo il loro rango, oppure che prevede di soddisfare non in contanti ma in altre forme o in tempi dilazionati oltre quelli legali, devono essere inseriti in classi separate (ciascuna classe per ciascun differente trattamento e posizione). Ad esempio, i creditori ipotecari a cui viene proposto un pagamento parziale del 80% saranno in una classe, quelli chirografari in un’altra, ecc. Se un creditore privilegiato viene “degradato” per la parte non coperta dal valore del bene, la parte chirografaria può votare come tale, ma su ciò torneremo.
  • I creditori chirografari (senza garanzia) possono essere suddivisi in più classi a discrezione del debitore, purché abbiano posizione omogenea all’interno della classe. Tipicamente, si possono separare le banche finanziatrici dai fornitori trade, o i bondholder dai creditori commerciali, ecc., se il piano intende offrire condizioni diverse (es: percentuali diverse, strumenti diversi di soddisfo).
  • Il debitore potrebbe anche scegliere di non classare affatto i creditori (classandoli tutti in un’unica classe chirografaria, salvo distinguere i privilegiati a cui paga il 100%). In tal caso, ai fini dell’approvazione conterà la maggioranza sull’intero novero. Tuttavia, con l’introduzione delle regole di cram down e di trattamento differenziato, è divenuto comune utilizzare le classi per sfruttare la flessibilità di offrire di più a certi creditori strategici e meno ad altri. Anche la RPR (priorità relativa) si applica concettualmente tra classi di pari grado e di grado differente, il che presuppone la suddivisione in classi per implementarla efficacemente.

Nel nostro contesto – concordato con continuità – la presenza di classi è spesso necessaria per due motivi: 1) gestire diversamente eventuali nuove risorse o finanza esterna verso determinati creditori; 2) consentire l’omologazione nonostante il dissenso di alcune classi (cross-class cram down). Ad esempio, il debitore potrebbe proporre classi separate per banche chirografarie e fornitori chirografari, offrendo percentuali diverse, e confidare che almeno una delle due classi approvi, potendo poi chiedere l’omologazione nonostante l’eventuale voto contrario dell’altra (cosa ora possibile in continuità, v. oltre).

Va ricordato che i creditori privilegiati per legge non votano sul concordato per la parte del loro credito coperta da garanzia che venga soddisfatta integralmente (100%). Se però il piano prevede di non pagare integralmente un creditore privilegiato secondo il suo rango (o di pagarlo in forma dilazionata oltre i limiti, o in beni), quel creditore è ammesso a voto per la parte in cui subisce una decurtazione o alterazione (di regola, la parte del credito degradato a chirografo, cioè eccedente il valore di realizzo del bene su cui insiste la prelazione). Il CCII, coerentemente con il passato, impone in questo caso la collocazione dei privilegiati “falcidiati” in classi separare di creditori chirografari: ad esempio, i creditori muniti di privilegio generale (come i lavoratori per il TFR eccedente i limiti del privilegio) che non siano soddisfatti per intero, voteranno in una loro classe chirografaria particolare.

Una novità da segnalare: il CCII consente la presentazione di proposte concorrenti da parte dei creditori (art. 90, co.4) solo in caso di concordato liquidatorio e a determinate condizioni (ad esempio se il debitore offre meno del 30% ai chirografari e non presenta offerte migliorative). Nel concordato in continuità, invece, le proposte concorrenti non sono ammesse (salvo forse eccezioni in casi di conversione in liquidazione). Ciò perché si ritiene che il progetto industriale di continuità sia strettamente legato all’imprenditore proponente o a un suo assuntore individuato, e non avrebbe senso che un creditore proponga un piano alternativo di continuità subentrando nella gestione. In pratica, durante l’iter del concordato con continuità i creditori possono solo approvare o respingere il piano del debitore, ma non proporne uno loro. Questa differenza è un ulteriore incentivo per il debitore a scegliere la strada della continuità: lo mette al riparo da “scavalcamenti” da parte di creditori concorrenti che potrebbero voler rilevare l’azienda (cosa invece possibile nel liquidatorio).

Adunanza dei creditori e voto sulla proposta

Dopo l’ammissione, il momento centrale è la votazione dei creditori sulla proposta di concordato. Tradizionalmente, sotto la legge fallimentare, i creditori erano convocati in tribunale in un’adunanza presieduta dal giudice delegato, durante la quale ascoltavano la relazione del commissario giudiziale, discutevano con il debitore e poi esprimevano il loro voto (eventualmente anche con possibilità di inviare il voto per corrispondenza o PEC successivamente, entro 20 giorni). Il CCII ha mantenuto l’essenza della votazione, ma ne ha modificato alcune regole, soprattutto per i concordati in continuità con classi.

Maggioranze richieste: Nel concordato senza classi, resta la regola generale che la proposta è approvata se ottiene il voto favorevole dei creditori (aventi diritto al voto) che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (art. 109 CCII, richiamando i 2/3 dei votanti con quorum 50% come in passato). Tuttavia, nel concordato con classi, occorre il voto favorevole di tutte le classi affinché il concordato sia approvato “ordinariamente” (art. 109, co.5 CCII). Più precisamente, la legge stabilisce che “Il concordato in continuità è approvato se tutte le classi votano a favore”. Attenzione però: la definizione di “classe favorevole” non richiede che il 100% di quella classe voti sì; è sufficiente, per ciascuna classe, che si formi al suo interno una maggioranza (per teste e per crediti) di consensi. Nello specifico, il CCII definisce approvata una classe se al suo interno o (i) ha votato sì la maggioranza dei crediti ammessi in quella classe, oppure (ii) se non è raggiunta la maggioranza assoluta, hanno votato sì almeno i 2/3 dei crediti votanti e a votare è stata almeno la metà dei crediti. Questo significa che, teoricamente, una classe può dirsi favorevole anche se solo circa un terzo dei crediti totali della classe ha votato sì, purché vi sia un quorum minimo di partecipazione. Tale meccanismo, abrogando la vecchia ulteriore richiesta di maggioranza dei crediti complessivi, rende possibile che il concordato sia approvato complessivamente anche con il voto favorevole di una minoranza dei crediti totali (basta il 33% circa per classe, e se le classi sono tutte così, in teoria solo un terzo dei crediti totali concorda). In pratica, la soglia per l’approvazione in continuità è più bassa rispetto al passato, dove serviva anche la maggioranza assoluta dei crediti globali oltre all’unanimità inter-classi. Questa modifica accentua il carattere “contrattuale” del concordato: non occorre convincere tutti i creditori, ma solo una quota significativa in ogni classe.

Se tutte le classi (nel caso di classamento) o l’intera massa (nel caso senza classi) approvano la proposta secondo le maggioranze richieste, il concordato è considerato approvato dai creditori. Il commissario ne dà conto in un verbale, e si passa alla fase successiva dell’omologazione.

Ma cosa accade se non tutte le classi approvano? Qui entra in gioco una delle novità più rilevanti del CCII: il cram down interclassi.

Omologazione del concordato e cram down (omologazione forzata)

L’omologazione è il provvedimento finale del tribunale che rende efficace il concordato, una volta approvato dai creditori (o anche in difetto di approvazione unanime, come vedremo). Consiste in un decreto motivato con cui il tribunale giudica il concordato conforme alla legge e conveniente per i creditori, e quindi lo dichiara vincolante per tutti.

Se la proposta è stata regolarmente approvata da tutte le classi richieste, l’omologazione segue un iter relativamente semplice: il tribunale verifica d’ufficio il rispetto di tutte le condizioni (correttezza della procedura di voto, rispetto del best interest test, eventuale assenza di opposizioni, regolarità formale) e dichiara omologato il concordato. Possono tuttavia esservi opposizioni all’omologazione: ad esempio, un creditore dissenziente può opporsi sostenendo che il concordato viola la legge o che la sua posizione riceve meno del valore di liquidazione, oppure possono opporsi l’eventuale commissario giudiziale o il P.M. se ravvisano irregolarità. In caso di opposizioni, il tribunale fissa udienza e le esamina, decidendo se respingerle (e quindi omologare comunque) oppure se accoglierle (e quindi negare l’omologa e aprire il fallimento).

La situazione più interessante è quando non tutte le classi hanno approvato. Nel vecchio regime, ciò significava automaticamente che il concordato non poteva essere omologato (salvo il caso particolare dell’erario dissenziente disciplinato dall’art. 180, co.4 l.fall.). Oggi, per i concordati in continuità, il CCII consente al debitore di chiedere al tribunale di omologare forzosamente il concordato anche in presenza di una o più classi dissenzienti, ossia di un voto negativo espresso da alcune classi. Questo meccanismo è il cosiddetto cross-class cram down.

Le condizioni per applicare il cram down (art. 112, co.2 CCII) sono rigorose, perché implicano che il giudice sovrapponga la sua decisione alla volontà di una parte dei creditori. In sintesi, il tribunale può omologare il concordato non approvato da tutte le classi se:

  1. Best interest test rispettato per tutti: ogni creditore (o classe) dissenziente riceve nel concordato almeno quanto otterrebbe nella liquidazione giudiziale di quella impresa. Questo è un requisito assoluto: il valore di liquidazione costituisce il pavimento sotto il quale non si può scendere per nessuno.
  2. Una classe favorevole: almeno una classe di creditori votanti (diversa da eventuali classi di soci o di creditori postergati) ha approvato il concordato. Non si può quindi ignorare il voto di tutte le classi; almeno una deve essere a favore (principio di cross-class cram down: serve il consenso di almeno una classe “interessata”).
  3. Relative Priority Rule (RPR) rispettata: questa è la novità chiave introdotta nel CCII all’art. 84, comma 6. Occorre che la distribuzione dell’utile del piano rispetti la regola di priorità relativa fra le classi. In parole semplici, la RPR impone che “i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore”. Tradotto:
    • Se ci sono più classi dello stesso grado (es. due classi di chirografari), quelle classi devono ricevere trattamenti comparabili (non è necessario identici, ma non può una classe chirografi avere oggettivamente un trattamento peggiore di un’altra classe chirografi, a meno che quella discriminata abbia votato a favore volontariamente accettando).
    • Ogni classe di grado superiore deve ricevere qualcosa di più (in termini percentuali o qualitativi) rispetto a ogni classe di grado inferiore. Non è richiesto che i superiori siano pagati integralmente prima che gli inferiori prendano (questo sarebbe APR), ma almeno che non siano trattati peggio dei sottostanti. Ad esempio, non può accadere che una classe di creditori chirografari prenda il 40% mentre una classe di creditori privilegiati (non soddisfatti integralmente) prenda solo il 20%. I privilegiati, pur non soddisfatti integralmente, devono avere un trattamento almeno proporzionato e non inferiore ai chirografari.
    • Questa regola dunque consente una certa flessibilità (i flussi eccedentari possono “saltare” verso classi inferiori anche se quelle superiori non sono pagate al 100%), purché non si inverta l’ordine delle preferenze in modo irragionevole: i senior non devono mai essere penalizzati rispetto ai junior.
    In pratica, la RPR ammette una parziale deroga all’Absolute Priority Rule: dopo aver garantito il valore di liquidazione ai creditori senior, i valori in più generati dalla continuità possono scendere alle classi inferiori anche se le classi superiori non sono completamente soddisfatte. È un po’ come se, usando la metafora delle “vasche comunicanti”, si aprisse un rubinetto che permette ai flussi eccedentari di riempire anche le vasche di livello inferiore senza aspettare che quelle superiori trabocchino. Ciò consente di far arrivare utilità ai creditori chirografari (ad esempio) anche in scenari in cui i privilegiati hanno accettato una decurtazione, a condizione che i privilegiati non scendano sotto il livello (percentuale) assegnato ai chirografari.
  4. APR per crediti lavoratori privilegiati: eccezione alla RPR: l’art. 84, comma 7 CCII dispone che i crediti dei lavoratori per salari e TFR (privilegio ex art. 2751-bis n.1 c.c.) non possono subire decurtazioni neanche con la RPR. Su quei crediti vige sempre la APR assoluta, quindi devono essere soddisfatti integralmente come prevede la legge (o comunque sia sul valore di liquidazione sia sull’eccedenza i lavoratori vanno pagati prima di altri di rango inferiore). In sostanza, i dipendenti (per le retribuzioni degli ultimi mesi e il TFR per cui hanno super-privilegio) sono intoccabili anche nella distribuzione del surplus: non è consentito dare a creditori inferiori se ciò comporta che i lavoratori non prendano il 100% del loro credito privilegiato. Questa previsione tutela i lavoratori e impedisce che possano essere crammati al ribasso.

Se le condizioni di cui sopra sono soddisfatte, il tribunale può omologare il concordato anche se una o più classi hanno votato contro. L’effetto è vincolante per tutti i creditori, compresi i dissenzienti che si trovano “cramdownati”. Questa possibilità era assente nel vigore della vecchia legge fallimentare (salvo l’eccezione fiscale di cui diremo tra poco), mentre è una delle innovazioni più importanti del nuovo Codice, in linea con la Direttiva Insolvency.

Un esempio concreto: supponiamo che nel Concordato X vi siano tre classi – Classe A (banche chirografarie) che votano sì, Classe B (fornitori chirografari) che votano no, Classe C (subordinati) che votano sì. La classe B dissente. In passato ciò avrebbe bloccato tutto. Con le nuove norme, se
(a) ai fornitori di B viene dato almeno quanto avrebbero in fallimento (ad es. 20%),
(b) la classe A (stesso grado chirografario) prende almeno quanto B (poniamo A 35% e B 20%, ok perché A > B, e C subordinati magari 5%, quindi B > C),
(c) nessuna classe inferiore a B prende più di B (in effetti C prende 5% < 20%),
(d) e c’è almeno una classe a favore (A lo è),
allora il tribunale può comunque dichiarare approvato il concordato e omologarlo nonostante il “no” della classe fornitori. I fornitori dissenzienti saranno obbligati ad accettare il 20% proposto.

Va segnalato che già prima del CCII esisteva un meccanismo di cram down fiscale (introdotto nel 2020 nell’art. 180, co.4 l.fall.), che consentiva di superare il dissenso dell’Amministrazione Finanziaria in particolari condizioni. La Cassazione, con l’ordinanza n. 27782 del 28 ottobre 2024, ha chiarito definitivamente che tale cram down fiscale si applicava sia in caso di mancato voto dell’erario sia in caso di voto negativo espresso, risolvendo un dubbio interpretativo. Nel CCII attuale, quella norma è confluita nell’art. 48, co.5 e nell’art. 112: se il Fisco vota no ma la proposta per il Fisco è conveniente (attestazione ex art. 88), il tribunale deve omologare lo stesso. Inoltre, ora il cram down non è più limitato al Fisco: come detto, è generale per tutte le classi nei concordati con continuità. Invece, per un concordato meramente liquidatorio, la legge oggi non prevede l’omologazione forzata interclassi: se una classe di creditori vota contro, quel concordato non può essere omologato (si aprirà la liquidazione giudiziale).

Una volta emesso il decreto di omologazione, il concordato preventivo diventa efficace erga omnes: vincola tutti i creditori anteriori (anche quelli che non hanno votato o che hanno votato no) e sostituisce le precedenti condizioni dei crediti con quelle previste nel piano. Ad esempio, se il piano prevede che un certo creditore A riceva 40% del suo credito in 2 anni, l’omologa rende esigibile solo quel 40% nei tempi stabiliti e l’eventuale eccedenza del credito viene definitivamente stralciata (esdebitazione dell’impresa nei confronti di A).

Esecuzione del piano concordatario e chiusura

Segue quindi la fase di esecuzione del concordato omologato. L’impresa in continuità, solitamente con i suoi organi sociali in carica (eventualmente affiancati da un “ausiliario” o da un monitoraggio del commissario, se previsto), deve dare attuazione agli impegni presi. In un concordato con continuità, l’esecuzione può essere complessa e di durata anche pluriennale, perché non si tratta solo di distribuire un attivo preesistente, ma di realizzare le condizioni previste nel piano: proseguire l’attività, generare flussi di cassa e profitti da destinare ai creditori, magari portare a compimento operazioni straordinarie (es. vendere un immobile non strategico, o cedere un ramo a un investitore) che finanziano il piano.

Durante questa fase:

  • Gestione aziendale: l’imprenditore (o il cessionario, se c’è stata continuità indiretta con trasferimento) continua a gestire l’azienda secondo il piano. Vige un obbligo generale di attenersi al piano omologato. Gli atti di gestione tornano nella sfera decisionale ordinaria degli amministratori, ma certi piani prevedono la nomina di un supervisore o l’istituzione di un comitato di sorveglianza su base volontaria per garantire la trasparenza.
  • Pagamenti ai creditori: vengono effettuati secondo le percentuali e le scadenze stabilite. Il commissario giudiziale, il cui incarico di solito cessa con l’omologa, può essere riconfermato come liquidatore giudiziale o come supervisore se il piano prevede la liquidazione di alcuni beni o necessita di controllo (ad es., se il piano è misto e c’è una parte liquidatoria, spesso l’omologa nomina un “liquidatore giudiziale” per quella parte). In caso di concordato in continuità pura, di solito non serve un liquidatore: i pagamenti li effettua direttamente il debitore.
  • Vigenza delle protezioni legali: dalla data dell’omologa cessa il divieto per i creditori di agire esecutivamente, ma i creditori anteriori, essendo stati falcidiati e scadenzati per legge, non potrebbero comunque agire se il debitore rispetta il piano. I creditori privilegiati mantengono le loro garanzie sui beni non alienati finché non siano pagati secondo il piano. I creditori posteriori (cioè sorti durante la procedura) hanno generalmente il privilegio della prededuzione, ossia verranno pagati in prededuzione nell’eventuale fallimento successivo se il concordato fallisse (ne parliamo fra poco).
  • Effetti per i contratti e i rapporti pendenti: se il piano ha previsto l’affitto o la vendita dell’azienda a terzi, in questa fase si perfezionano tali atti secondo le condizioni approvate. In caso di trasferimento d’azienda, si attuano le garanzie per i lavoratori previste dalle norme (vedi Aspetti Lavoristici di seguito). I contratti proseguono se l’azienda prosegue, oppure vengono risolti/ceduti come da piano.

La procedura di concordato preventivo si considera chiusa quando il piano è stato eseguito integralmente (o comunque quando l’autorità giudiziaria, su istanza, dichiara l’avvenuta esecuzione). A differenza del fallimento, non c’è una “sentenza di chiusura” d’ufficio; può essere il debitore, a mezzo dei suoi legali, a chiedere al tribunale un decreto di attestazione del completamento. In molti casi, però, non c’è un atto formale di chiusura: il concordato si considera terminato de facto dopo l’ultimo adempimento del piano.

Risoluzione e annullamento: Il CCII prevede (analogamente alla L. Fall.) la possibilità della risoluzione del concordato (art. 121 CCII) se il debitore non adempie regolarmente agli obblighi del piano. Su istanza di un creditore, o anche d’ufficio, il tribunale può dichiarare risolto il concordato omologato se l’impresa non esegue i pagamenti nei termini o comunque viene meno agli impegni assunti, a meno che le inadempienze siano di scarsa importanza. La risoluzione ha l’effetto di far venir meno il beneficio del concordato: i creditori riacquistano i loro diritti per intero (dedotti gli importi eventualmente già ricevuti sul piano) e in genere contestualmente il tribunale apre la liquidazione giudiziale (fallimento) dell’impresa, su ricorso di qualunque creditore o anche d’ufficio. In un’ordinanza recente (Cass. 4596/2025) la Cassazione ha chiarito alcuni aspetti procedurali della risoluzione, evidenziando che la domanda di risoluzione deve essere proposta entro i termini di legge e che il tribunale in sede di risoluzione verifica solo l’inadempimento oggettivo e non può reintrodurre questioni già coperte dall’omologa. Dunque è importante, per i creditori, vigilare sull’esecuzione e attivarsi tempestivamente se il debitore non paga.

L’annullamento del concordato (art. 122 CCII) può invece essere richiesto in caso di atti di frode scoperti dopo l’omologazione (ad esempio, se si scopre che il debitore ha dolosamente falsificato i dati o distratto attivo prima dell’omologa). L’annullamento opera retroattivamente e tipicamente porta anch’esso al fallimento.

Se però il concordato viene eseguito con successo, i creditori non possono più agire per la parte non pagata dei loro crediti (vige il principio del fresh start per l’impresa in bonis che ha completato il piano). L’azienda prosegue la sua attività pur alleggerita dai debiti pregressi secondo quanto stabilito dal concordato – di fatto una rinascita imprenditoriale. In caso di società, qualora il piano abbia previsto interventi sul capitale (es. aumento di capitale sottoscritto da nuovi soci, conversione di crediti in equity, ecc.), al termine della procedura avremo una compagine societaria e finanziaria rinnovata.

Riepilogando, ecco i possibili esiti di un concordato preventivo con continuità:

  • Omologazione ed esecuzione regolare: l’impresa adempie al piano, i crediti vengono pagati come stabilito, e la procedura si conclude positivamente. L’impresa continua la propria attività.
  • Omologazione ma esecuzione inadempiente (risoluzione): dopo l’omologa l’impresa non riesce a rispettare i pagamenti o gli impegni (es. il business plan delude le aspettative). Su richiesta, il concordato viene risolto e si apre il fallimento. I creditori tornano a potersi rivalere, ma tenendo conto di quanto eventualmente incassato durante il concordato. I debiti non pagati riemergono.
  • Mancata omologazione: se all’esito del voto e del giudizio il tribunale non omologa (perché la proposta è stata bocciata dai creditori e non c’erano i presupposti per cram down, oppure perche accoglie opposizioni che evidenziano violazioni di legge), il concordato viene dichiarato inefficace e normalmente il tribunale contestualmente dichiara il fallimento dell’imprenditore insolvente. Questo scenario è il fallimento del tentativo concordatario in fase di approvazione.
  • Ritiro o rinuncia prima dell’omologa: il debitore potrebbe anche decidere di ritirare la domanda prima del voto (magari perché ha trovato soluzioni alternative). In tal caso, però, se pendeva un’istanza di fallimento, questa riprende vigore e porta presumibilmente alla liquidazione giudiziale. Il ritiro dopo il voto ma prima dell’omologa non è liberamente consentito (serve comunque valutazione del tribunale e dei creditori).

Chiudiamo questa parte procedurale sottolineando un punto: le obbligazioni assunte nel corso del concordato (cosiddetti crediti in prededuzione) – ad esempio compensi del commissario, forniture effettuate durante la procedura, nuovi finanziamenti autorizzati – godono di privilegio in caso di successivo fallimento. Ciò significa che se, sfortunatamente, il concordato dovesse risolversi e l’impresa fallire, questi creditori sorti in funzione del concordato verranno soddisfatti prioritariamente sugli altri (ex art. 6, co.1 CCII e art. 99 e 101 CCII per i finanziamenti prededucibili). La Cassazione nel 2025 ha confermato l’importanza della prededuzione per i crediti sorti “in funzione” del concordato: ad esempio, i fornitori che hanno continuato a fornire beni durante il concordato, su autorizzazione, potranno insinuarsi in prededuzione nel fallimento successivo. Questa previsione è essenziale per rassicurare chi fa affari con l’impresa in concordato: se poi l’impresa dovesse comunque collassare, i loro crediti recenti non rimangono chirografari ma vengono soddisfatti prima (nei limiti dell’attivo disponibile).

A questo punto, avendo illustrato il funzionamento base della procedura, possiamo approfondire alcuni aspetti specifici di natura fiscale, lavoristica e societaria, e analizzare i più recenti orientamenti giurisprudenziali con impatto pratico.

Aspetti Fiscali del Concordato con Continuità

La disciplina fiscale gioca un ruolo cruciale nei concordati preventivi, sia per quanto riguarda il trattamento dei debiti tributari nel piano, sia per le conseguenze fiscali derivanti dall’attuazione del concordato (sopravvenienze attive per l’impresa, perdite deducibili per i creditori, ecc.). Di seguito esamineremo:

  • La transazione fiscale e contributiva all’interno del concordato (come possono essere trattati IVA, imposte e contributi previdenziali).
  • Il regime fiscale delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti per l’impresa debitrice.
  • Il trattamento fiscale per i creditori (perdite deducibili, IVA su crediti inesigibili).
  • Altre agevolazioni fiscali connesse (es. imposte di registro su eventuali cessioni di beni nel concordato).

Trattamento dei debiti tributari e contributivi (Transazione Fiscale)

In passato, la gestione dei debiti verso l’Erario (Agenzia Entrate, Agenzia Riscossione) e verso gli enti previdenziali (INPS) nel concordato preventivo era soggetta a vincoli stringenti: in base all’art. 182-ter l.fall., alcune tipologie di tributi non potevano essere falcidiate (in particolare l’IVA e le ritenute operate e non versate) e comunque la proposta doveva ottenere il voto favorevole dell’amministrazione per essere omologata. Questo spesso rendeva complicato includere i debiti fiscali in un concordato con esiti soddisfacenti.

Il Codice della Crisi, all’art. 88 CCII, ha introdotto una disciplina unitaria di transazione fiscale e contributiva, più flessibile e allineata alle indicazioni europee. I punti salienti sono:

  • Parità di trattamento: tutti i crediti tributari e contributivi, anche IVA e ritenute, possono essere trattati nel concordato come gli altri crediti chirografari. Ciò significa che è possibile proporre il loro pagamento parziale (una falcidia) o dilazionato, anche senza il consenso dell’Erario, purché si rispettino le condizioni di legge. Questa è una svolta rispetto al passato: dal 2021 in poi, il legislatore ha eliminato il divieto assoluto di falcidia dell’IVA, a seguito anche di pronunce UE e nazionali che ne hanno permesso la riduzione se il credito erariale ottiene almeno il migliore trattamento possibile.
  • Condizione di convenienza attestata: se si propone di non pagare integralmente imposte o contributi privilegiati, è richiesto che un professionista indipendente attesti la convenienza della proposta per l’ente pubblico rispetto all’alternativa liquidatoria (art. 88, co.1 CCII). In pratica, l’attestatore deve certificare che lo Stato (o l’INPS) ottiene con il concordato almeno l’equivalente (in valore attuale) di quanto otterrebbe in un fallimento (tenuto conto dei gradi di privilegio, etc.). Questa attestazione è obbligatoria e viene valutata dall’Amministrazione finanziaria.
  • Classificazione separata: i crediti tributari e contributivi che non siano pagati integralmente devono essere collocati in una classe separata di creditori chirografari (se il loro privilegio viene degradato). Spesso si crea proprio la “classe Erario/INPS chirografaria” se ad esempio lo Stato ha privilegi generali su beni insufficienti. Tale classe voterà in autonomia.
  • Voto dell’Erario e cram down fiscale: lo Stato e gli enti previdenziali partecipano al voto come qualsiasi altro creditore privilegiato/chirografo, con la particolarità che esprimono il voto tramite il loro organo competente (Agenzia Entrate-Riscossione per cartelle, Agenzia Entrate per IVA, INPS per contributi). Il CCII ha recepito il meccanismo del cram down fiscale: se la classe pubblica è l’unica dissenziente, oppure più in generale se il Fisco vota no ma ricorrono le condizioni di convenienza suddette, il tribunale omologa ugualmente il concordato. In altre parole, il voto contrario dell’Erario non ha potere di veto purché la proposta sia la migliore possibile per esso. La Cassazione nell’ottobre 2024 ha confermato che questa omologazione forzata deve avvenire anche se l’Erario ha espresso voto negativo esplicito. Dunque, lo Stato non può affossare un concordato vantaggioso solo per una scelta discrezionale: se i numeri dicono che quel piano gli dà di più del fallimento, il giudice andrà avanti comunque.
  • Contenuto della transazione fiscale: nella proposta, il debitore deve dettagliare il trattamento di ciascun debito fiscale e contributivo. Può prevedere stralci (riduzione dell’importo) e/o dilazioni di pagamento (fino a 5 anni per imposte dirette e contributi, fino a 10 anni per IVA e interessi secondo alcune interpretazioni, ma in genere i piani stanno entro i 5 anni). Può anche prevedere il pagamento parziale di eventuali ipoteche di Equitalia su immobili, e la rinuncia a sanzioni e interessi può essere totale (spesso si propone di pagare una parte di imposta e azzerare sanzioni/multe).
  • Debiti fiscali privilegiati vs chirografari: molti crediti tributari godono di privilegi generali (ad esempio l’IVA, ritenute, contributi hanno privilegio generale mobiliare ex art. 2752-2753 c.c. su beni mobili). Se i beni su cui far valere tali privilegi (essenzialmente le liquidità e crediti) non bastano a coprire, il residuo entra come chirografario. Nel concordato, allo Stato si può quindi proporre di pagare una percentuale del suo credito privilegiato (es. 60%) più magari una percentuale minore sul residuo chirografario. Importante: l’art. 88 co.2 CCII dice che la proposta di transazione fiscale si intende accettata dall’ente se la maggioranza dei crediti pubblici ha votato favorevolmente in quella classe, oppure se viene omologata con cram down. Quindi superata l’omologa, il debito fiscale è rideterminato definitivamente secondo il piano.

Dal punto di vista pratico, inserire i debiti fiscali in un concordato con continuità è quasi inevitabile se l’impresa ha rilevanti esposizioni tributarie, perché difficilmente potrebbe reperire risorse esterne per pagarli integralmente. La nuova norma consente di trattare IVA, contributi e ritenute al pari degli altri debiti. Ciò va però fatto con cautela e trasparenza: l’attestatore deve lavorare a stretto contatto con l’azienda per calcolare quanto effettivamente l’Erario ricaverebbe dallo scenario liquidatorio (spesso poco, se l’azienda non ha beni ipotecabili di valore) e dunque giustificare il perché, ad esempio, pagare il 30% in 4 anni è comunque meglio di un fallimento dove prenderebbe forse il 10% dopo molti anni.

È opportuno ricordare che l’adesione formale alla proposta da parte dell’Erario (voto favorevole) semplifica la vita: in tal caso non serve neppure il cram down, e la transazione fiscale diviene un accordo pienamente consensuale. Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha mostrato maggiore apertura a votare sì in concordati che rispettino i criteri, specie dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 245/2019 che ha aperto la possibilità di falcidiare l’IVA. Oggi dunque l’Erario valuta pragmaticamente se il concordato conviene.

Sopravvenienze attive per l’impresa debitrice

Uno degli effetti paradossali che un concordato produce sul piano contabile è la generazione di sopravvenienze attive: quando l’impresa paga solo una parte dei suoi debiti e la restante parte viene stralciata, contabilmente registra un ricavo straordinario pari al debito cancellato. Ad esempio, se un’azienda aveva 1.000.000 € di debiti e nel concordato ne paga 300.000 €, la riduzione di 700.000 € risulterà in bilancio come un utile straordinario (perché i debiti diminuiscono senza esborso). In linea teorica, questo utile contabile sarebbe tassabile come reddito imponibile (sopravvenienza attiva ex art. 88 TUIR). Ovviamente, sarebbe assurdo che un’impresa in crisi, proprio mentre cerca di risanarsi dimezzando i debiti, si trovasse poi a dover pagare tasse sul beneficio ottenuto dal taglio dei debiti – tassazione che drenerebbe liquidità e metterebbe a repentaglio il risanamento. Il legislatore ha quindi previsto delle agevolazioni fiscali per neutralizzare (in tutto o in parte) queste sopravvenienze attive derivanti da procedure concorsuali.

In particolare, l’art. 88, comma 4-ter del TUIR (DPR 917/1986) dispone che:

  • Concordato preventivo liquidatorio o fallimentare: le riduzioni dei debiti non si considerano sopravvenienze attive imponibili per l’intero importo. Ciò significa che se la procedura è liquidativa (o un concordato fallimentare), tutto il debito stralciato è detassato. Ad esempio, in un concordato liquidatorio dove i chirografari prendono 20% e l’80% è cancellato, quell’80% non sarà tassato come ricavo.
  • Concordato di risanamento (con continuità): la riduzione dei debiti non costituisce sopravvenienza attiva imponibile per la parte che eccede le perdite fiscali pregresse utilizzabili, e inoltre si deroga al limite del 80% di utilizzo annuo delle perdite. In altre parole:
    • L’impresa può usare eventuali perdite fiscali pregresse (riportate da anni precedenti) per compensare la sopravvenienza attiva derivante dallo stralcio.
    • Se dopo aver utilizzato tutte le perdite pregresse resta ancora una quota di debiti cancellati non coperta, l’eccedenza non viene comunque tassata.
    • Il limite normalmente previsto che le perdite siano utilizzabili solo fino all’80% del reddito imponibile dell’anno viene sospeso: in questo caso specifico le perdite possono essere usate al 100% per abbattere l’utile da concordato.

Ciò comporta che, nella generalità dei casi, l’impresa in concordato con continuità non pagherà imposte sulle sopravvenienze derivanti dal taglio dei debiti. Se l’impresa ha perdite pregresse (il che è comune, perché un’azienda in crisi di solito ha accumulato perdite negli anni precedenti), quelle perdite copriranno la parte equivalente di debiti stralciati. Se i debiti stralciati superano le perdite disponibili, l’eccedenza è esentata per legge. Addirittura, se per ipotesi rarissima un’azienda in concordato non avesse alcuna perdita fiscale pregressa, l’intera riduzione dei debiti sarebbe comunque esclusa da tassazione per effetto della norma agevolativa.

Esempio numerico: l’azienda Alfa ha 500.000 € di perdite fiscali pregresse e, col concordato, ottiene uno stralcio di debiti per 800.000 €. Può compensare 500.000 € con le perdite (100% utilizzabili), e i restanti 300.000 € non sono tassati. Nessuna imposta sulle sopravvenienze. Se Alfa avesse 0 perdite pregresse, tutti gli 800.000 € non sarebbero comunque tassati grazie all’esenzione prevista.

Questa agevolazione è fondamentale per il successo di un concordato: evita che il fisco vanifichi il risanamento. La ratio è evidente: senza esenzione, un’azienda che dimezza i debiti rischierebbe di dover pagare un’IRES/IRAP enorme sull’utile fiscale straordinario, consumando la liquidità che invece serve per ripartire. Il legislatore ha quindi previsto questa norma di salvaguardia.

Da notare che l’Agenzia delle Entrate ha adottato un’interpretazione ampia e favorevole di tale detassazione: non è subordinata alla causa del taglio del debito. Ciò significa che indipendentemente dal motivo per cui il debito è ridotto (sia esso concordato giudiziale, accordo transattivo stragiudiziale omologato ex art. 182-bis, prescrizione parziale, o altro), se la riduzione avviene “in sede di concordato preventivo”, scatta la non imponibilità per la parte eccedente le perdite. Anche un concordato misto continuità/liquidazione rientra nella previsione.

Un caso interessante: con la Risposta ad interpello n. 201 del 20 aprile 2022, l’Agenzia delle Entrate ha confermato che la detassazione spetta anche nel concordato in continuità, e che non rileva se la causa sia una transazione fiscale o una remissione volontaria, purché avvenga nel contesto del concordato. Questo chiarimento estende la protezione fiscale a tutte le sopravvenienze generatisi durante il concordato, senza distinguere tra parti condonate per legge o per volontà dei creditori. Insomma, il Fisco non pretende nulla sulle riduzioni concordatarie dei debiti.

Trattamento fiscale per i creditori

Dal lato dei creditori, il concordato produce effetti opposti: i creditori che si vedono falcidiare i crediti subiscono perdite. In particolare, le somme non recuperate costituiscono per i creditori perdite deducibili dal reddito (sopravvenienze passive).

  • Creditori imprese (fornitori, banche, etc.): per i creditori esercenti impresa, la parte di credito non incassata a seguito dell’omologa del concordato è considerata una perdita su crediti deducibile fiscalmente. Ai sensi dell’art. 101 TUIR, le perdite su crediti sono deducibili quando risultano da elementi certi e precisi; il Decreto Sviluppo 2012 ha stabilito che la deliberazione di omologazione del concordato è un elemento certo e preciso di inesigibilità. Quindi nell’esercizio in cui il concordato viene omologato, il creditore può dedurre l’importo non recuperato. Esempio: il fornitore Beta aveva un credito di €100.000; dal concordato riceverà 30.000 (30%). Appena il concordato è omologato e irrevocabile, Beta può portare a perdita fiscalmente €70.000, riducendo il proprio imponibile.
  • Creditori soggetti IVA: oltre alla deducibilità come costo, i creditori possono recuperare l’IVA sulle fatture non incassate. Oggi la normativa IVA (art. 26 DPR 633/72 come modificato) consente, in caso di procedure concorsuali, di emettere una nota di credito IVA per recuperare l’imposta addebitata e mai incassata, già all’apertura della procedura insolvenziale (non c’è più bisogno di attendere la chiusura). Nel concordato preventivo, la giurisprudenza ha assimilato l’apertura o l’omologa a eventi che danno diritto alla rettifica IVA. Pertanto, il fornitore che aveva emesso fattura con IVA e non riceve il pagamento potrà detrarre l’IVA corrispondente al credito inesigibile, riducendo la sua esposizione IVA. Questo era un aspetto spinoso: in passato l’IVA sulle fatture insolute rimaneva a carico del fornitore fino alla definitività del fallimento, ora invece con la modifica del 2021 può recuperarla entro tempi brevi.
  • Certificazione del passivo: spesso, a seguito dell’omologa, il commissario giudiziale (o liquidatore) rilascia ai creditori una sorta di prospetto attestante i crediti ammessi e la percentuale di soddisfo ottenuta. Questo documento è utile ai creditori per motivare la deduzione fiscale e per eventuali azioni di svalutazione in bilancio.
  • Creditori persone fisiche o enti non commerciali: se tra i creditori vi sono soggetti privati (es. un privato che aveva fatto un prestito, o un professionista per parcelle), la perdita subita non è in genere deducibile perché non legata a reddito d’impresa. Tuttavia, se per ipotesi il credito era stato tassato in precedenza (es. una plusvalenza rateizzata), il mancato incasso delle rate future potrebbe non generare tassazione ulteriore.

Inoltre, per i creditori, c’è un riflesso positivo indiretto: meglio un concordato che un fallimento anche ai fini fiscali, perché nel concordato riescono ad ottenere la certezza della perdita entro un periodo definito, la deduzione immediata e l’eventuale recupero IVA. In un fallimento, i tempi e le percentuali incassate sarebbero spesso peggiori e i creditori dovrebbero attendere molti anni per sapere cosa dedurre. È quindi anche fiscalmente conveniente per un fornitore appoggiare un concordato serio (oltre che civilisticamente magari recupera più che in liquidazione).

Altre agevolazioni fiscali e profili tributari

Un cenno va fatto alle imposte indirette e altre tasse collegate agli atti esecutivi del concordato:

  • Agevolazioni su trasferimenti immobiliari e aziendali: qualora il piano preveda la vendita di beni immobili o la cessione dell’azienda (o di un ramo) nell’ambito del concordato, si applicano le agevolazioni fiscali previste per le vendite giudiziarie. In particolare, l’art. 108, comma 4 CCII richiama la disciplina già presente dal 2016 (DL 18/2016 conv. L.49/2016) per cui gli atti di trasferimento di beni immobili o beni mobili registrati effettuati in esecuzione di concordato preventivo scontano le imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa (200 € ciascuna), anziché in misura proporzionale sul valore. L’IVA, se applicabile all’atto (in genere vendite aziendali no, ma vendite di immobile da soggetto IVA sì) esclude l’applicazione dell’imposta di registro proporzionale comunque. Questa agevolazione – inizialmente temporanea – è stata resa strutturale ed equipara le vendite concordatarie a quelle fallimentari e alle esecuzioni forzate, con l’intento di incentivare l’acquisto di beni da aziende in crisi. Attenzione: se l’acquirente è un’impresa e rivende entro 5 anni, c’è l’obbligo di mantenimento o scatta il recupero dell’agevolazione, ma ciò è un dettaglio per l’acquirente, non per il debitore.
  • Tassazione di eventuali assegnazioni ai creditori: se il piano prevede di soddisfare i creditori in natura, ad esempio assegnando beni o azioni, ci sono specificità: l’assegnazione di beni ai creditori può generare per l’azienda cedente una cessione ai fini IVA (spesso esente se beni per pagamento debiti?) e per il creditore eventuali plusvalenze imponibili (se riceve un bene dal debitore e poi lo vende). Sono casi rari e tecnici, oltre la presente trattazione dettagliata.
  • Imposte sul reddito durante il piano: l’azienda in continuità continua ad essere soggetto fiscale a tutti gli effetti durante la procedura. Deve quindi presentare le dichiarazioni annuali dei redditi e IVA. Naturalmente, se genera utili durante il concordato, pagherà le imposte correnti. Un aspetto peculiare: le perdite fiscali maturate durante la procedura e quelle ante possono essere in parte utilizzate secondo le regole generali, ma quanto stralciato come debiti genera quell’utile straordinario detassato di cui sopra, quindi spesso le perdite pregresse rimangono “consumate” da quell’operazione.
  • Ravvedimenti e adempimenti tributari: il concordato preventivo non sospende di per sé gli obblighi fiscali correnti. L’impresa deve continuare a versare le imposte dovute durante la procedura (IVA corrente, ritenute, contributi su stipendi) perché quelli sono debiti prededucibili. Se ha difficoltà a pagarli, rischia di aggravare la posizione. Non di rado, i tribunali vincolano l’ammissione alla prova che l’azienda paghi regolarmente gli oneri tributari e previdenziali in corso. In caso di arretrati durante il concordato, quelli rientreranno anch’essi in prededuzione se non pagati e poi si riflettono su eventuale risoluzione.
  • Effetti IVA per l’azienda: in caso di cessione di beni o azienda in esecuzione del piano, il trattamento IVA segue le regole generali (es. trasferimento d’azienda non imponibile art. 2 DPR 633/72, cessione immobile può essere imponibile o esente a seconda dei casi, ecc.), senza particolari esenzioni; tuttavia, come detto, c’è l’agevolazione sulle imposte di registro/ipotecarie.

In sintesi, l’ordinamento fiscale italiano prevede oggi un set di norme che rendono neutro o quasi il concordato per il debitore sul piano delle imposte: nessuna tassazione sulle riduzioni di debito, e possibilità di includere i debiti tributari nel piano con tagli e dilazioni se conviene all’Erario. Questo è essenziale per la fattibilità dei concordati con continuità, spesso gravati da debiti fiscali accumulati negli anni di crisi.

Dal lato dei creditori, vi sono meccanismi per alleviare il peso: la deducibilità delle perdite e il recupero dell’IVA li aiutano a “metabolizzare” il sacrificio imposto dal concordato. Ad esempio, un fornitore che rinuncia a 70 su 100 di credito, grazie alla deduzione risparmierà circa 18-20 di tasse (se IRES+IRAP ~27% sul 70), e recupererà l’IVA su quel 70 (altri 15-20, se era al 22%). Quindi l’effettivo sacrificio economico netto potrebbe ridursi. Ciò può essere un argomento che il debitore porta nelle trattative: “se accetti il concordato, comunque fiscalmente il peso ti si riduce in parte”.

Aspetti Lavoristici del Concordato con Continuità

La tutela dei lavoratori e la gestione dei rapporti di lavoro rivestono una particolare importanza nei concordati con continuità, dato che la finalità è proprio preservare l’occupazione per quanto possibile. Esaminiamo i principali profili: sorte dei contratti di lavoro durante la procedura, possibilità di interventi su personale e costo del lavoro, disciplina in caso di trasferimento d’azienda, e trattamento dei crediti dei dipendenti.

Continuità dell’occupazione e gestione del personale

Durante il concordato in continuità, i rapporti di lavoro subordinato proseguono regolarmente. L’azienda, non essendo cessata, continua a impiegare i propri dipendenti alle condizioni contrattuali esistenti. La presentazione della domanda di concordato non è di per sé motivo legittimo di licenziamento collettivo: eventuali esuberi di personale vanno gestiti secondo le procedure ordinarie (consultazione sindacale, legge 223/91 se applicabile, ecc.) e devono essere giustificati da ragioni economiche oggettive (la crisi aziendale in sé può costituire giustificato motivo oggettivo, ma vanno seguite le forme di legge).

In genere, l’obiettivo è preservare quanti più posti di lavoro possibile (art. 84, co.2 CCII), ma ciò non impedisce che il piano possa prevedere una riduzione o riorganizzazione del personale se necessaria per il risanamento. Ad esempio, il piano potrebbe contemplare:

  • Accordi sindacali per ridurre temporaneamente il costo del lavoro (es. contratti di solidarietà, riduzioni orarie, Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria per crisi). L’accesso agli ammortizzatori sociali è possibile anche durante il concordato, se l’azienda ne ha i requisiti, e spesso è utilizzato per gestire esuberi senza licenziamenti netti immediati.
  • Licenziamenti per motivi economici: se l’organico è in esubero e non vi sono altre soluzioni, l’azienda può attivare procedure di licenziamento collettivo (per aziende sopra i 15 dipendenti) o individuali per GMO (sotto i 15), motivandoli con la ristrutturazione prevista dal piano. I lavoratori licenziati possono accedere alla NASpI e, se l’azienda poi fallisse, al Fondo di Garanzia per eventuali crediti.
  • Nel concordato non c’è un automatico divieto di licenziare (come invece è durante il fallimento dove i contratti di lavoro si sospendono in attesa del curatore). Quindi la gestione del personale rimane una prerogativa dell’imprenditore, con l’osservanza delle tutele ordinarie. Naturalmente, decisioni importanti come licenziamenti collettivi potrebbero richiedere l’autorizzazione del giudice delegato se considerate atti di straordinaria amministrazione (non c’è uniformità di prassi su questo; alcuni tribunali richiedono autorizzazione per licenziamenti in costanza di concordato in bianco, altri lasciano al debitore se rientra nella gestione ordinaria di riduzione costi).

I crediti di lavoro maturati prima del concordato (stipendi arretrati, TFR maturato pre-domanda, ecc.) rientrano nel passivo concorsuale. Essi di solito godono di privilegio generale (ex art. 2751-bis n.1 c.c. per le retribuzioni degli ultimi 12 mesi fino a un massimale e per il TFR). Nel piano di concordato, tali crediti privilegiati dei lavoratori devono essere soddisfatti integralmente salvo consenso degli stessi e comunque nel rispetto dell’eccezione all’APR di cui all’art. 84, co.7 CCII: i lavoratori privilegiati non possono subire alcun taglio nemmeno sul surplus. In pratica i dipendenti vanno pagati per intero nei limiti del privilegio, tendenzialmente in prededuzione se continuano (soprattutto le retribuzioni correnti durante la procedura sono in prededuzione, essendo funzionali alla continuità). Se l’azienda non è in grado di pagarli subito, di solito interviene il Fondo di Garanzia INPS: tuttavia nel concordato, diversamente dal fallimento, il Fondo di Garanzia per TFR e ultime 3 mensilità interviene solo a concordato omologato e inadempiuto o risolto (perché finché c’è continuità l’obbligazione rimane in capo al datore). Quindi spesso nel piano si prevede il pagamento integrale dei lavoratori al più tardi alla fine della procedura, anche ricorrendo a risorse dedicate.

Durante la procedura, le retribuzioni correnti e i contributi maturati devono essere pagati regolarmente come spese di esercizio in prededuzione (pena anche revoca della procedura se l’azienda smette di pagare gli stipendi durante il concordato, poiché violerebbe la diligenza nella gestione). In caso di difficoltà, il tribunale può autorizzare l’uso di risorse a tal fine. I dipendenti, dunque, continuano a percepire stipendio.

Trasferimento d’azienda e tutela dei lavoratori (Art. 2112 c.c. e deroghe)

Un aspetto centrale in molti concordati in continuità è l’ingresso di un assuntore o investitore che rileva l’azienda (o parte di essa). Questo tipicamente avviene tramite cessione o conferimento del ramo d’azienda in esecuzione del piano. In tali casi si pone il tema dell’applicazione dell’art. 2112 c.c., che tutela il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda. La regola generale dell’art. 2112 prevede che, se viene trasferita un’attività economica conservando la sua identità, tutti i rapporti di lavoro passano automaticamente al cessionario, con le medesime condizioni (anzianità, livello retributivo, art.18 o Jobs Act applicabile in base all’anzianità, ecc.). Inoltre cedente e cessionario sono responsabili in solido per i crediti dei lavoratori maturati prima del trasferimento (nei limiti di quanto il lavoratore avrebbe diritto).

Tuttavia, per favorire i salvataggi d’impresa in crisi, l’ordinamento consente deroghe concordate a tale principio. In particolare, la normativa italiana – in attuazione di direttive UE (la 2001/23/CE) – prevede che nelle procedure concorsuali sia possibile, attraverso accordi sindacali, derogare parzialmente all’art. 2112. La fonte di riferimento è l’art. 47, comma 5 della L.428/1990 (come modificata dal D.Lgs. 18/2001 e successivi), il quale stabilisce che quando il trasferimento riguarda imprese in fallimento, concordato preventivo o altre procedure, si possono concordare con le organizzazioni sindacali modifiche alle condizioni di lavoro e anche selezionare parzialmente il personale da trasferire.

In estrema sintesi:

  • Se in sede di esame congiunto sindacale (la procedura ex art. 47 L.428/90 obbligatoria per trasferire aziende con più di 15 dipendenti) si raggiunge un accordo sindacale, tale accordo può prevedere che solo una parte dei dipendenti sia trasferita al cessionario, e/o che vengano applicate condizioni diverse (nei limiti di legge) a quei lavoratori. Ad esempio, l’assuntore potrebbe concordare di non farsi carico di tutte le eccedenze ma solo di 100 lavoratori su 150, oppure di non mantenere integralmente alcuni trattamenti di secondo livello, ecc., il tutto compensato da tutele sociali per gli esclusi (es. cassa integrazione, incentivi all’esodo).
  • Tale accordo, per essere valido in deroga all’art. 2112, deve rispettare il fine di salvaguardia dell’occupazione “per quanto possibile” e generalmente è soggetto a verifica: la norma infatti fu introdotta per bilanciare l’interesse dei lavoratori alla tutela individuale con l’interesse alla continuazione dell’attività aziendale anche a costo di sacrificare alcuni diritti (come notava la dottrina, occorreva equilibrare la tutela individuale col mantenimento di posti di lavoro nel complesso).
  • Nel concordato preventivo, a differenza del fallimento, l’azienda non è cessata e il trasferimento avviene spesso in esecuzione del piano omologato. Secondo il CCII (art. 368 e seguenti) e il richiamo dell’art. 2112, si applicano comunque le tutele di cui all’art. 47 L.428/90. Il Decreto Correttivo Ter 136/2024 ha anzi chiarito che l’art. 47 L.428/90, commi 4-bis e 5, si applica non solo ai fallimenti ma anche al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione. Ciò conferma la possibilità di accordi sindacali in concordato per gestire i trasferimenti.
  • Se non si raggiunge un accordo sindacale, allora il trasferimento d’azienda nel concordato avviene con piena applicazione dell’art. 2112: tutti i dipendenti passano automaticamente al cessionario con gli stessi termini. Questo può essere un ostacolo se l’acquirente non intende assorbire l’intero organico. Ecco perché è prassi cercare l’accordo con i sindacati durante la procedura, magari prima dell’omologa (in fase di predisposizione del piano, l’investitore condiziona l’offerta all’accordo sui dipendenti).

In sostanza, la normativa lavoristica speciale consente, a fronte di procedure di crisi:

  • Se c’è accordo sindacale: di derogare alla continuità di tutti i rapporti di lavoro, individuando chi passa al cessionario e con quali condizioni eventualmente modificate (spesso i CCNL restano, ma si possono prevedere inquadramenti diversi o part-time per alcuni, ecc., nell’ambito di risanamento).
  • Se non c’è accordo: vale la tutela piena, e il cessionario deve prendere tutti i dipendenti con tutti i diritti.

È interesse di tutte le parti trovare un’intesa: il sindacato in genere preferisce salvare la maggior parte dei posti di lavoro accettando sacrifici per altri, piuttosto che lasciare fallire l’azienda. Dall’altro lato, l’investitore è rassicurato dal quadro normativo che gli permette di negoziare soluzioni sostenibili.

Crediti dei lavoratori in caso di mancata continuità: se invece un concordato si converte in liquidazione giudiziale o l’azienda cessa durante la procedura:

  • I lavoratori vengono licenziati (con la procedura di legge) e possono far valere i loro crediti nel concorso o attraverso il Fondo di Garanzia (TFR e ultime tre mensilità).
  • Nel concordato preventivo non c’è però l’analogo del “Prefallimentare INPS” (dove l’INPS anticipa il TFR al lavoratore già in procedura concorsuale). Di solito i lavoratori devono attendere o la fine positiva (pagamento tramite piano) o negativa (fallimento e intervento INPS). Questo a volte li rende comprensibilmente ansiosi, ma fa parte della scommessa sul salvataggio.

Mantenimento di professionalità: un vantaggio della continuità è che i lavoratori mantengono il posto e continuano a far funzionare l’impresa, il che è fondamentale per preservare il valore aziendale (know-how, relazioni con clienti, etc.). I giudici nelle pronunce (vedi Trib. Torino 2024) hanno sottolineato proprio che il concordato in continuità deve preservare “i valori aziendali” compreso il capitale umano, nella misura possibile. Certo, se l’impresa è sovradimensionata, un ridimensionamento può essere considerato parte del risanamento.

Eccezione: Concordato con continuità indiretta in affitto d’azienda – In alcuni casi il piano può prevedere l’affitto temporaneo dell’azienda a un terzo in attesa del concordato. L’art. 104-bis l.fall. (e analoghe norme CCII) prevede che in caso di affitto d’azienda nel fallimento, l’affittuario possa non subentrare in tutti i contratti di lavoro se c’è accordo sindacale. Nel concordato, se l’affitto è funzionale e prelude a cessione, vale lo stesso principio: l’affitto di per sé non trasferisce i dipendenti (restano formalmente in capo al concedente, che però può sospenderli con ammortizzatori), ma al momento della successiva cessione definitiva scatta l’art. 2112 con le sue regole.

Riassumendo:

  • I lavoratori nel concordato con continuità rimangono dipendenti in attività. Hanno priorità assoluta nei pagamenti sui loro crediti pregressi privilegiati e vengono tutelati da norme speciali in caso di trasferimento.
  • Il piano può prevedere modifiche all’organico, ma dentro il perimetro delle leggi sul lavoro (accordi sindacali per trasferimenti, procedure di licenziamento per eventuali esuberi con criteri, ecc.).
  • L’obiettivo dichiarato, anche a livello di valutazione di ammissibilità, è di preservare i posti di lavoro nella misura possibile. Un concordato che sacrifichi inutilmente tutti i lavoratori potrebbe essere visto come liquidatorio mascherato.
  • Giurisprudenza recente: Il Decreto Correttivo 2024, come accennato, ha chiarito l’applicazione dell’art. 47 L.428/90 ai concordati (prima non esplicitata chiaramente), risolvendo dubbi e uniformando la prassi. Inoltre, pronunce come Cass. 13797/2019 avevano già stabilito che l’accordo sindacale in concordato può legittimamente escludere parte del personale dal trasferimento, e ciò non viola la direttiva europea se fatto in ambito concorsuale e finalizzato a garantire la prosecuzione dell’attività.

In conclusione, dal punto di vista giuslavoristico, il concordato con continuità consente di contemperare l’esigenza di salvare l’impresa con la tutela dei lavoratori: se il risanamento riesce, molti posti di lavoro saranno salvaguardati; se richiede sacrifici (esuberi), questi sono gestiti con gli strumenti di legge, evitando licenziamenti “selvaggi” ma procedendo in modo negoziato. Questo equilibrio è parte integrante della bontà di un piano in continuità: tribunali e parti sociali valuteranno con favore quei piani che mostrano di massimizzare l’occupazione residua e di fornire soluzioni dignitose per chi eventualmente viene tagliato fuori (come incentivi all’esodo o percorsi di ricollocazione).

Aspetti Societari e di Governance

Il concordato preventivo con continuità incide anche su aspetti societari dell’impresa debitrice e sul ruolo degli organi amministrativi e di controllo. In questa sezione esamineremo:

  • La governance dell’impresa durante la procedura (poteri degli amministratori vs intervento degli organi concorsuali).
  • Gli eventuali interventi sul capitale sociale (aumento di capitale, ingresso di nuovi soci, conversione di crediti in quote).
  • Le responsabilità degli amministratori e obblighi verso i soci.
  • Il destino dei soci attuali, inclusa la possibile cram down degli stessi (anche se il CCII lo prevede in misura limitata).

Ruolo degli amministratori e degli organi societari

Come visto, nel concordato preventivo l’imprenditore mantiene l’amministrazione dei beni e la gestione ordinaria dell’impresa. Quindi, se il debitore è una società di capitali, il Consiglio di Amministrazione (o l’amministratore unico) continua a operare, pur sotto la supervisione del commissario e del giudice. Non c’è uno spossessamento come nel fallimento: la società conserva la propria soggettività piena e i suoi organi rimangono in carica.

Tuttavia:

  • Gli amministratori devono operare nel rispetto del piano e delle autorizzazioni del tribunale per gli atti straordinari. Ogni decisione gestionale di rilievo deve essere coerente con il piano concordatario depositato. In pratica, se il piano prevede certe azioni (chiusura di filiali, vendite di cespiti, ecc.), gli amministratori dovranno implementarle.
  • L’organo di controllo societario (collegio sindacale o revisore) continua a svolgere il suo ruolo, ma di fatto la vigilanza principale spetta al commissario giudiziale. Ciò non esonera i sindaci dal vigilare sul rispetto delle norme civilistiche e segnalare eventuali atti pregiudizievoli; i sindaci spesso collaborano col commissario fornendo informazioni.
  • Delibere societarie: alcune operazioni previste nel piano possono richiedere formali deliberazioni dell’assemblea dei soci. Ad esempio, se il piano contempla un aumento di capitale sociale (magari riservato a un nuovo investitore) o la conversione di crediti in azioni, tali operazioni necessitano delle deliberazioni ex artt. 2440 e seguenti c.c. In un concordato, i soci conservano i loro diritti di voto in assemblea, salvo limitazioni specifiche imposte dalla procedura. Non esiste una norma che imponga ai soci di approvare per forza le operazioni previste dal piano; tuttavia, se i soci rifiutassero di deliberare un aumento di capitale indispensabile al piano, ciò potrebbe condurre all’infruttuosa esecuzione e alla risoluzione del concordato. Il CCII non prevede un cram down specifico sui soci, ma i soci di una società insolvente hanno in pratica poco potere contrattuale: se non stanno alle condizioni del piano (perdendo magari parte delle loro quote a favore di nuovi investitori), rischiano di veder fallire la società e perdere tutto comunque. In alcuni ordinamenti esteri esistono meccanismi per forzare aumenti di capitale o cessione di quote in insolvenza; in Italia, si ricorre all’espediente dell’assuntore: un terzo può proporsi di soddisfare i creditori e, contestualmente, rilevare le partecipazioni dei soci (dietro pagamento magari simbolico). I soci, approvando il concordato, implicitamente accettano di uscire. Se un socio volesse opporsi, potrebbe votare contro in assemblea, ma i creditori non ne rispondono: l’omologazione vincola i soci a dare seguito al piano. In estrema ipotesi, se i soci bloccano un’operazione societaria cruciale, il tribunale potrebbe nominare un amministratore giudiziario per compiere quell’atto o dichiarare risolto il concordato per causa imputabile ai soci.
  • Azioni e partecipazioni: il concordato di per sé non azzera i soci esistenti (come invece succede in procedure come il Chapter 11 USA dove si possono cancellare le equity). Tuttavia, il piano può prevedere che i soci vengano diluiti o escano. Ad esempio, se un investitore immette €1 milione a fronte di un aumento di capitale, i soci attuali potrebbero decidere di non sottoscriverlo (non avendone le risorse) e quindi l’investitore si prende la quota di maggioranza, diluendo gli attuali magari al 5-10%. Questo è comune. Formalmente deve avvenire tramite delibera assembleare di aumento con esclusione diritto opzione (art. 2441 c.c.) motivata dall’interesse della società al risanamento – circostanza ben evidente data la procedura.
  • Diritti dei soci: i soci sono parte “esterna” al concordato. Non votano nel concordato (salvo siano anche creditori per qualche motivo). Tuttavia, hanno interesse che l’impresa si risani evitando la totale perdita dell’investimento. Quindi spesso supportano il piano. Può capitare che gli stessi soci apportino nuovi fondi (in forma di finanza esterna prededucibile o di aumento capitale) per migliorare l’offerta ai creditori. Tale apporto di soci postergazione? La legge consente ai soci di finanziare la società in concordato e, se l’apporto è condizionato al buon esito del concordato, può essere considerato come finanza esterna non soggetta alle regole di par condicio (ovvero quell’apporto può andare direttamente a pagare chi designato). Un caso frequente: i soci rinunciano a crediti verso la società o postergano i loro crediti per favorire i creditori terzi.
  • Responsabilità degli amministratori: gli amministratori durante la procedura devono continuare ad agire secondo gli art. 2086 e 2392 c.c. in modo diligente. Paradossalmente, se la procedura dovesse poi risolversi e sfociare in fallimento, le azioni di responsabilità potrebbero essere esercitate per atti compiuti in concordato. Ad esempio, se un amministratore aggravasse il dissesto infrangendo le regole (sperperando cassa durante la protezione), se ne risponderà. Va però detto che l’intervento del commissario e del giudice riduce il margine per comportamenti dannosi.
  • Albo dei gestori e obblighi organizzativi: il CCII ha imposto agli amministratori l’obbligo di dotarsi di assetti adeguati e di monitorare la crisi. L’avvio di un concordato può essere visto come adempimento di quell’obbligo di reagire tempestivamente alla crisi. Un amministratore che ritarda colpevolmente il ricorso a un concordato e brucia risorse dei creditori può incorrere in responsabilità. L’aver presentato la domanda di concordato, se fatto in tempo utile, può invece costituire esimente da azioni di responsabilità per tardivo dissesto.

In conclusione, dal punto di vista societario il concordato con continuità avviene mantenendo la struttura societaria esistente, ma potenzialmente modificandola come parte del piano. Non c’è liquidazione della società, anzi l’ente prosegue. I soci attuali possono rimanere tali (se, ad esempio, riescono a risanare l’azienda con risorse interne) oppure vedere diluite o azzerate le proprie partecipazioni a vantaggio di nuovi investitori se ciò è necessario. In ogni caso, la priorità è data ai creditori: i soci non possono pretendere di conservare un valore nell’azienda se i creditori non vengono soddisfatti in misura almeno pari al fallimento – è un’applicazione di buon senso del principio di priorità. Di fatto, in un concordato in continuità ben congegnato, i soci condividono i sacrifici: spesso perdono valore delle quote, rinunciano a utili futuri finché i creditori non siano stati pagati, e rinunciano a eventuali crediti personali (molti soci finanziano le proprie società; quei crediti soci nel concordato vengono normalmente postergati o falcidiati al 0% in classe subordinata).

Esempio di operazione sul capitale nel concordato: Società Gamma S.p.A., in concordato con continuità, prevede l’ingresso di un nuovo partner industriale che apporta €5 milioni di equity. Il piano prevede un aumento di capitale di 5 milioni riservato al partner, con esclusione del diritto di opzione dei soci esistenti. L’assemblea straordinaria di Gamma deve approvarlo a maggioranza 2/3. I vecchi soci (che prima avevano capitale 2 milioni) si troveranno dopo l’operazione con una partecipazione molto minoritaria (es. 2 su 7 milioni totali, quindi ~28%). Se i vecchi soci rifiutassero la delibera, il concordato non potrebbe partire e probabilmente Gamma fallirebbe. Dunque, verosimilmente la prospettiva di mantenere almeno il 28% di un’azienda risanata è preferita al 100% di nulla in caso di fallimento. Questo tipo di ragionamento viene spesso esplicitato negli accordi di ristrutturazione; nel concordato formalmente non c’è un meccanismo coattivo, ma la logica economica spinge in quella direzione.

Menzione speciale: finanza esterna e soci – Spesso gli apporti di nuova finanza provengono dai soci stessi o dai gruppi collegati. Il CCII considera “finanza esterna” quell’apporto di risorse che è neutrale rispetto al patrimonio del debitore (non proveniente dalla liquidazione di suoi beni) e consente di pagare i creditori in deroga alla par condicio. Tali apporti (es. versamento soci a fondo perduto destinato a pagare chirografari) sono liberamente distribuibili senza dover rispettare l’ordine dei privilegi (perché non fanno parte dell’attivo su cui i creditori vantano garanzia generica). Questo è un altro stimolo per i soci: se immettono soldi freschi, possono indirizzarli a soddisfare alcuni creditori strategici (ad esempio fornitori critici per far ripartire l’attività) senza che i creditori con garanzia possano obiettare. La Cassazione però ha precisato che non rientrano in “finanza esterna” i surplus generati dalla continuità aziendale stessa, i quali invece restano patrimonio del debitore soggetto alle regole concorsuali (Corte Cass. 22169/2024). In quella sentenza, la Suprema Corte ha distinto: solo le risorse apportate dall’esterno (es. da soci o terzi) possono essere distribuite a classi inferiori in deroga all’APR, mentre i flussi prodotti dall’azienda in esercizio (il cosiddetto “surplus di continuità”) sono comunque beni del debitore e devono rispettare l’ordine dei privilegi (salvo quanto ora consente la RPR). Quindi i soci che vogliano favorire determinati creditori devono mettere mano al portafoglio proprio; non possono dire “uso gli utili futuri per pagare prima i trade e non le banche”, se ciò infrange l’APR, a meno di applicare la RPR per l’eccedenza oltre la base di liquidazione.

Giurisprudenza recente (2024-2025)

In questi ultimi anni, dopo l’entrata in vigore del Codice della Crisi, si sono sviluppati importanti orientamenti giurisprudenziali che hanno affinato l’interpretazione delle nuove norme sul concordato preventivo con continuità. Di seguito riepiloghiamo alcune pronunce rilevanti del 2024-2025, già in parte citate nei capitoli precedenti, che segnano punti fermi per professionisti e imprese.

  • Cassazione civile, Sez. I, 6 agosto 2024 n. 22169: ha affrontato il tema della distribuzione del surplus finanziario generato dalla continuità d’impresa. La Corte ha chiarito che, in un concordato in continuità (riferendosi all’art. 186-bis l.fall. ma con principio estensibile al CCII), il surplus di cassa prodotto dall’attività aziendale rientra nei beni futuri del debitore e non può essere liberamente allocato in violazione delle cause di prelazione. In particolare, quel surplus non equivale a finanza esterna apportata da terzi, ma è frutto dei fattori produttivi dell’impresa e quindi soggetto alla regola generale della responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.). Conseguenza: se durante il piano si generano ricavi extra oltre quelli previsti, essi vanno usati per colmare eventuali gap verso creditori privilegiati prima di poter essere destinati ai chirografari. La Corte ha espressamente detto che non si può derivare un principio generale di “libera distribuibilità” di quei flussi né dall’art. 182-quinquies l.fall. (che consentiva pagamenti di creditori strategici ante omologa) né dall’art. 84, comma 6 CCII (introduttivo della RPR). In pratica, per i piani ante CCII, vigeva l’APR piena: se i privilegiati non sono soddisfatti integralmente, non si poteva pagare i chirografari coi proventi dell’attività corrente. Il concordato che era al vaglio infatti è stato invalidato: prevedeva di pagare una percentuale ai chirografari coi flussi di continuità nonostante i privilegiati generali non fossero pagati integralmente – la Cassazione ha confermato che ciò violava l’ordine delle prelazioni. Questo orientamento tutela i creditori privilegiati e costituisce un monito: anche in CCII, la RPR consente flessibilità solo dopo aver garantito a ciascuno il suo “valore di liquidazione”. Il surplus non va confuso con nuova finanza: solo la nuova finanza di terzi gode di deroga APR totale.
  • Cassazione civile, Sez. I, 28 ottobre 2024 n. 27782: è un’ordinanza che segna una svolta sul cram down fiscale. La Corte ha interpretato l’art. 180, comma 4 l.fall. (nel testo post DL 125/2020) affermando che la possibilità per il tribunale di omologare il concordato nonostante il mancato assenso dell’Amministrazione finanziaria si applica sia nel caso di silenzio-assenso sia nel caso di voto negativo espresso dal Fisco. In altri termini, il tribunale deve procedere all’omologa forzata del concordato se la proposta di transazione fiscale è conveniente per l’Erario, anche se quest’ultimo ha votato attivamente contro. Questa pronuncia ha eliminato una zona d’ombra (alcuni tribunali ritenevano che l’omologa forzata fosse possibile solo in assenza di voto, non in caso di voto contrario). Ora è chiaro: il voto contrario non impedisce l’omologa se il piano soddisfa i parametri di legge. Questo principio, applicato sotto la legge fallimentare, vale a maggior ragione nel CCII che all’art. 48 e 112 ha generalizzato la regola. Dunque i professionisti sanno che possono “forzare la mano” al Fisco se il piano è solido e attestato come migliorativo per esso. Ciò ha migliorato l’efficacia delle trattative fiscali.
  • Corte di Cassazione, Sez. I, 23 febbraio 2025 n. 4750: questa pronuncia (in forma di ordinanza) riguarda il rapporto tra qualificazione del credito e diritto di voto, in particolare il caso del creditore privilegiato degradato a chirografo che vota senza contestare. La Cassazione ha sancito che un creditore che si ritiene privilegiato deve, se il debitore lo inserisce tra i chirografari nel piano, contestare tempestivamente tale qualificazione ed astenersi dal voto, altrimenti la sua condotta equivale ad accettazione tacita del trattamento come chirografario ai fini del concordato. Il caso concreto: un creditore vantava un privilegio, ma il piano l’aveva classificato chirografo; costui ha partecipato al voto come chirografario (per di più esprimendo voto negativo) e poi, a concordato omologato, ha promosso causa per vedersi riconoscere il privilegio residuo. La Cassazione ha respinto le sue pretese, affermando che avrebbe dovuto far valere la pretesa di privilegio subito, in sede di adunanza, ad esempio chiedendo al giudice delegato un provvedimento ex art. 176 l.fall. (oggi art. 109 CCII) per essere ammesso con riserva come privilegiato, oppure dissentire formalmente. Avendo invece votato come chirografario, ha tenuto un comportamento concludente di rinuncia al privilegio ai fini del concordato. Questo principio è importante: i creditori privilegiati non possono “stare alla finestra” e poi reclamare privilegi dopo; devono attivarsi. Per i professionisti, significa che se il cliente-creditore è stato mal classificato nel piano, occorre eccepirlo subito, e preferibilmente non partecipare al voto in quella classe, altrimenti l’adesione al voto comporta assunzione di quello status. La ratio è evitare che uno voti come chirografo (magari sperando nel cram down) e poi, se il concordato va avanti, rivendichi di essere fuori percentuale.
  • Tribunale di Torino, decreto 25 luglio 2024: questo provvedimento di merito (fase di ammissione) ha chiarito la nozione di “ripresa dell’attività” ai fini della continuità aziendale. Il tribunale ha evidenziato che l’art. 84 CCII colma una lacuna del passato prevedendo la continuità anche quando l’attività era cessata e viene ripresa da un soggetto diverso dal debitore. Quindi, rientra nella continuità indiretta anche il caso in cui l’azienda era ferma, ma un terzo la rileva e la rimette in moto. Tuttavia, il tribunale torinese ha ammonito che la ripresa non può essere troppo tardiva o scollegata: deve comunque servire alla conservazione dei valori aziendali. Deve esistere un nesso tra l’azienda originaria e la prosecuzione presso il terzo, e deve avvenire entro un limite temporale implicito ragionevole, altrimenti non è più risanamento ma altro. Ha inoltre ribadito che è essenza del concordato in continuità tendere al riequilibrio finanziario e alla conservazione del patrimonio e dei posti di lavoro “nella misura possibile”, come sancito dall’art. 84 co.2 e art. 47 co.1 lett. b CCII. Piani che propongono continuità ma di fatto non mostrano alcuna prospettiva di ritorno all’equilibrio (ad esempio producono flussi negativi nel periodo di piano) devono essere dichiarati inammissibili perché dissipativi. Questo decreto dunque applica i criteri di filtro qualitativo introdotti dal nuovo Codice: continuità sì, ma sostenibile e credibile. Un’azienda zombie non può fare un concordato in continuità giusto per allungare il brodo.
  • Tribunale di Bergamo, sentenza 11 aprile 2023 n. 65 (omologazione): prima applicazione del cross-class cram down. In questo caso (uno dei primi in Italia) il tribunale ha omologato un concordato in continuità nonostante il voto contrario di una classe di creditori finanziari, facendo applicazione dell’art. 112 CCII. Il provvedimento (spesso citato dagli esperti) ha verificato il rispetto di tutte le condizioni: i dissentienti prendevano più del fallimento, RPR rispettata (classi chirografe trattate equamente), una classe di fornitori aveva approvato. Il tribunale ha evidenziato come la riforma abbia superato il “principio di unanimità delle classi” e che il giudice è chiamato a fare un giudizio di convenienza comparativa per i dissentienti. Questa pronuncia dà indicazioni su come impostare le perizie e le attestazioni in caso di cram down, ad esempio sul calcolo del valore di liquidazione per classe e sull’obbligo di dare conto specifico della posizione del dissenziente (principio del best interest test su base individuale class-by-class). Anche se di merito, è molto istruttiva per i pratici.
  • Cassazione civile, Sez. I, 22 maggio 2023 n. 14089: degna di nota per il tema della prededuzione dei finanziamenti durante la procedura. La Corte ha stabilito che i finanziamenti erogati in esecuzione del concordato (post omologa) autorizzati dal tribunale ai sensi dell’art. 101 CCII sono prededucibili anche in caso di successivo fallimento, a condizione che rispettino i requisiti (funzionali al piano e previsti nel piano omologato). Ciò conferma la protezione dei nuovi finanziatori, incoraggiandoli a intervenire. Inoltre ha distinto questi finanziamenti da quelli eventualmente concessi durante la composizione negoziata pre-concordato (anch’essi prededucibili se rispettano l’art. 10 DL 118/2021). In pratica, la Cassazione sta consolidando la certezza per banche e investitori che prestano soldi ad azienda in concordato: se l’azienda poi va male, loro saranno rimborsati con precedenza su tutti gli altri crediti concorsuali.
  • Corte di Giustizia UE, sentenza 6.6.2022 (causa C-146/20): sul fronte europeo, merita citazione la decisione che ritenne compatibile con la direttiva IVA la falcidia dell’IVA in concordato (caso ENEA). La CGUE disse che l’art. 4(3) TUE non impone di esigere l’intero ammontare dell’IVA in procedure concorsuali se l’Erario riceve almeno quanto otterrebbe nel fallimento. Questo ha spianato la strada alle modifiche normative italiane. Non è giurisprudenza italiana, ma ha influito.

Come si vede, la giurisprudenza recente sta calibrando i meccanismi innovativi del concordato con continuità: si garantisce il rispetto della priorità relativa senza abusi, si rende effettivo il cram down sui creditori pubblici e privati, si salvaguarda il ruolo dei creditori privilegiati evitando che siano sacrificati oltre il ragionevole, e si richiede serietà nei piani di risanamento.

Per avvocati e operatori, questi principi significano in concreto:

  • Nella redazione dei piani va chiaramente indicato il valore di liquidazione e come si ripartiscono i flussi: se i privilegiati non sono pagati full, evitare di dare troppo ai chirografari a scapito loro, a meno che sia flusso eccedente ben motivato da RPR.
  • Non confidare nel silenzio-assenso del Fisco: è meglio avere l’attestazione forte e spingere comunque per il sì, ma sapere che se anche arriva un no pretestuoso, il giudice potrà superarlo.
  • Consigliare ai creditori con prelazioni dubbie di attivarsi subito nelle procedure di voto per non perdere diritti (il caso 4750/2025 docet).
  • Presentare piani di continuità genuini: se l’azienda era spenta e si prevede un riavvio, dimostrare rapidamente come e con chi; se restano debolezze, il tribunale potrebbe stroncare sul nascere.
  • In caso di offerte concorrenti (che nel nostro contesto ci sono solo se è liquidatorio), i creditori devono rispettare i paletti, ma per la continuità la concorrenza di terzi va orchestrata ex ante (ad esempio gare competitive durante la predisposizione del piano per scegliere il miglior assuntore, come raccomandato da linee guida ministeriali – benché non obbligatoria, la ricerca del miglior offerente per l’azienda è buona pratica per evitare censure sul soddisfacimento non ottimale dei creditori).

Chiudiamo la disamina giurisprudenziale notando che, ad oggi (maggio 2025), non risultano pronunce di illegittimità costituzionale sulle norme del CCII in tema di concordato preventivo: la riforma è giovane ma ha retto alle prime applicazioni. La direzione sembra quella di un sistema più moderno e flessibile, vicino ai modelli di restructuring internazionali, pur mantenendo garanzie di tutela dei creditori senior e trasparenza.

Nei prossimi capitoli applicheremo i concetti visti attraverso un paio di simulazioni pratiche, e poi concluderemo con una sezione di FAQ.

Esempi pratici di concordato con continuità aziendale

Di seguito presentiamo due casi ipotetici di aziende italiane in crisi che ricorrono al concordato preventivo con continuità, per illustrare concretamente come potrebbe svolgersi la procedura, quali scelte strategiche si possono fare nel piano e quali risultati si possono ottenere. Sono esempi semplificati ma realistici, utili a comprendere l’applicazione pratica delle regole discusse.

Esempio 1: Industria Alfa S.p.A. – Concordato in continuità diretta con nuovo finanziamento

Scenario: Alfa S.p.A. è un’azienda manifatturiera toscana (settore tessile) con 100 dipendenti. Negli ultimi anni ha accumulato perdite a causa di un calo di commesse e problemi finanziari. Al 31/12/2024 presenta un indebitamento di 10 milioni di euro, così suddiviso:

  • Banche (chirografarie): €4 milioni (prestiti non garantiti).
  • Fornitori: €3 milioni (debiti commerciali scaduti).
  • Erario (Agenzia Entrate-Riscossione): €2 milioni (di cui €1,2M IVA e €0,8M tra IRES e ritenute, tutti privilegiati).
  • Dipendenti: €0,5 milioni (TFR e ultime mensilità maturate, privilegiati).
  • Altri debiti vari: €0,5 milioni (chirografari, es. consulenti, utenze arretrate).

L’azienda possiede come attivo principalmente macchinari e scorte (valore realizzo stimato €2M), crediti verso clienti (€1M, incasso incerto 50%) e un capannone ipotecato a garanzia di un leasing residuo (che stiamo escludendo per semplicità). Il valore di liquidazione giudiziale stimato dal suo advisor, dedotti costi, sarebbe di circa €2,5M, sufficiente a pagare integralmente i dipendenti (€0,5M) e una parte delle imposte (€2M di privilegio: in fallimento coperti forse fino al 100% per gli €0,8M di imposte dirette e solo parzialmente l’IVA), lasciando quasi nulla per fornitori e banche (stima: realizzo 5-10% se va bene).

La direzione di Alfa S.p.A. elabora nel 2025 un piano di rilancio: l’azienda ha ancora un portafoglio clienti valido, ma serve liquidità per sostenere la produzione e innovare i prodotti. Viene individuato un investitore (Beta Invest srl) disposto ad apportare €2 milioni di nuova finanza, di cui €1M in forma di finanziamento prededucibile immediato e €1M per sottoscrivere un aumento di capitale dopo l’omologa (Beta otterrà così il 60% delle azioni, diluendo i vecchi soci al 40%). Inoltre, il management stima che, con questi fondi e con un po’ di ossigeno sui debiti, Alfa potrà tornare in utile entro 1 anno e generare €0,5M di cassa all’anno per i prossimi 4 anni.

Alfa S.p.A. deposita a giugno 2025 domanda di concordato con continuità aziendale, con piano su 5 anni, che prevede:

  • Continuità diretta: Alfa prosegue l’attività produttiva sotto la stessa società, implementando un piano industriale di ristrutturazione (taglio di costi, focalizzazione su prodotti ad alto margine, investimenti in nuovi telai con i fondi di Beta).
  • Classi di creditori proposte:
    • Classe 1: Dipendenti (privilegiati ex art.2751-bis n.1) – saranno pagati integralmente entro 6 mesi dall’omologa.
    • Classe 2: Erario (crediti IVA e imposte privilegiati) – proposta transazione fiscale.
    • Classe 3: Fornitori chirografari.
    • Classe 4: Banche chirografarie.
    • Classe 5: Chirografari diversi (piccoli creditori vari).
    • (Non c’è classe soci, perché i soci non sono creditori; la loro “perdita” è la diluizione delle quote.)
  • Trattamento proposto:
    • Dipendenti (Classe 1): 100% dei crediti (€0,5M) entro 6 mesi dall’omologa (grazie in parte al finanziamento Beta e in parte al cash flow di esercizio). Questi crediti sono prededucibili in parte perché maturati durante la procedura, ma la sostanza è pagamento integrale – condizione necessaria per legge.
    • Erario (Classe 2): pagamento del 50% del dovuto (€1M su €2M) in 4 anni, in rate semestrali post-omologa. In particolare: IVA €1,2M proposta al 40% (€480k) e altre imposte €0,8M al 70% (€560k), facendo sì che in totale si superi leggermente il 50% medio. L’attestatore certifica che in liquidazione l’Erario avrebbe preso circa 40% dell’IVA e 60% del resto, quindi l’offerta 50% è migliorativa. Nessuna sanzione né interesse moratorio sarà pagato (stralciati al 0%). Questa è la transazione fiscale: l’attestatore dichiara che l’Erario riceverà €1M invece che ~€0,8M stimati in fallimento, quindi è conveniente.
    • Fornitori (Classe 3): pagamento del 30% dei crediti (€0,9M su €3M) in 4 anni, con rate crescenti (10% entro 1 anno, poi 5% annuo, etc. fino a 30%). La logica è che i fornitori, importanti per continuare la produzione, riceveranno qualcosa di più rispetto alla stima in fallimento (che era forse 5-10%). Inoltre Beta Invest chiede che i fornitori cruciali continuino a fornire alle stesse condizioni di mercato: nel piano c’è l’impegno a pagare in prededuzione i fornitori strategici per le forniture correnti (ci sono 5 fornitori chiave, a loro i pagamenti correnti non subiranno ritardi). Questa tutela li incentiva a supportare Alfa nel risanamento.
    • Banche chirografarie (Classe 4): pagamento del 20% (€0,8M su €4M) in 4 anni, alle stesse scadenze dei fornitori ma con percentuale minore. Le banche hanno già svalutato molto i crediti e alcuni li hanno ceduti a fondi, quindi Alfa punta a un forte stralcio.
    • Creditori chirografari vari (Classe 5): pagamento del 20% anche a loro, in coda (un’unica soluzione al quinto anno). Importo piccolo totale (€0,5M crediti, 20% = €100k).
    • Finanziamento Beta (€1M prededucibile): sarà rimborsato al tasso X a partire dal terzo anno, ma attenzione: Beta ha subordinato il rimborso all’integrale pagamento di classi 3,4,5. Beta come finanziatore si è posto volutamente “junior” dopo i chirografari, per far accettare meglio il piano (è finanza postergata contrattualmente, ma comunque in prededuzione legale se fallimento).
  • Stima flussi e RPR: Il valore di liquidazione di €2,5M viene destinato così: €0,5M a dipendenti (primo rango), €2M all’Erario (tutto privilegio) – in realtà Erario ne prende 50%, ma perché si è calcolato che il suo valore di liquidazione sarebbe €0,8M: qui diamo €1M quindi ben di più. L’eccedenza generata dalla continuità (grazie a Beta e agli utili futuri) è di circa €2,4M (per pagare fornitori 0,9 + banche 0,8 + vari 0,1 + Beta rimborso 1 in futuro). La RPR è rispettata:
    • Tra classi chirografe, fornitori 30% vs banche 20%: può sembrare iniquo, ma Alfa motiva che i fornitori vanno incentivati perché vitali e le banche possono accettare di meno avendo garanzie collaterali (in realtà no, sono chirografarie pure). Le banche faranno opposizione? Forse no se la differenza è motivata. Comunque, sono classi dello stesso grado trattate diversamente: ciò è ammesso se giustificato e se entrambe prendono ≥ liquidation value. Liquidation value per chirografi era 0%; qui banche prendono 20, fornitori 30 – RPR intra-grado non impone parità assoluta, solo che non vi siano disparità ingiustificate. L’attestatore certifica che senza i fornitori l’azienda non genera surplus e quindi è ragionevole dare a loro qualcosina in più, rimanendo però banche non peggiori di vari (tutti i non privilegiati almeno 20%).
    • Privilegiati vs chirografi: dipendenti 100% > Erario 50% > chirografi 20-30%. Nessuna classe inferiore prende più di una superiore. Anzi, tutto in ordine decrescente. Quindi RPR e anche APR sul baseline sono rispettate.
  • Cram down potenziale: Alfa stima che i fornitori (classe 3) e vari (classe 5) voteranno sì, le banche (classe 4) forse no (due banche hanno già accantonato e potrebbero preferire escutere garanzie dei soci altrove), e l’Erario è incerto. Grazie al CCII, Alfa può comunque chiedere omologa forzata: se l’Erario dice no ma prende 50% (meglio di 40% in fallimento) il giudice potrà omologare; se le banche dicono no ma fornitori sì, si può applicare il cram down interclassi (fornitori classe pari grado hanno detto sì, banche no, ma banche prendono >= liqu. e RPR rispettata, quindi omologabile lo stesso). Questo è dichiarato nella proposta come eventualità.

Svolgimento del caso: Il tribunale ammette Alfa al concordato con decreto nel settembre 2025, nominando un commissario (dott. Rossi). L’azienda continua l’attività: Beta eroga subito €500k del finanziamento per acquistare materie prime e pagare stipendi correnti; le banche nel frattempo sospendono azioni esecutive per via della protezione. Arriviamo all’adunanza (gennaio 2026):

  • Il commissario riferisce che Alfa è tornata in produzione, gli ordini sono buoni.
  • Votazioni:
    • Dipendenti (Classe 1) non votano perché soddisfatti al 100% (e comunque in continuità i dipendenti non votano, essendo privilegiati integralmente pagati).
    • Erario (Classe 2) vota (ipotizziamo che AE-Riscossione abbia valutato accettabile il 50% in 4 anni, data l’attestazione convincente che in fallimento stimerebbero 30-40%. Il sì del Fisco facilita molto).
    • Fornitori (Classe 3): l’80% dei crediti rappresentati vota sì (molti preferiscono 30% con azienda salva – e mantenere un cliente – che forse 5% e perderlo).
    • Banche (Classe 4): qui due banche detentrici del 70% dei crediti votano no (non gradiscono il 20%), solo una banca piccola vota sì. Quindi la classe 4 è dissenziente.
    • Altri chirografari (Classe 5): questi perlopiù sono piccoli creditori; alcuni non partecipano, ma si raggiunge il quorum e, convinti dal commissario che 20% è il massimo ottenibile, votano sì con il 60% dei crediti.
  • Esito: 4 classi su 5 favorevoli, solo la classe banche contraria. Il concordato non sarebbe approvato “all’unanimità delle classi”, ma Alfa chiede al tribunale l’omologazione in cram down per superare il dissenso delle banche (classe 4).

Il tribunale, in sede di omologazione (marzo 2026), verifica:

  • Best Interest Test: banche dissenzienti (classe 4) avrebbero preso 0% in fallimento, ora prendono 20%, quindi condizione ok.
  • RPR: classe 4 banche (dissenz.) prende 20% mentre classe 3 fornitori (pari grado) 30% -> i giudici valutano se ciò è ammissibile. Concludono di sì, in quanto la differenza è giustificata da diverso ruolo e perché comunque classe 4 non è trattata peggio di una inferiore (classe 5 è 20% uguale). Eventualmente, per sicurezza giuridica, Alfa potrebbe aver messo banche e fornitori in stesso grado ma giustificando diversità: ciò è un punto sensibile, ma la norma chiede trattamento “almeno pari a classi stesso grado”. Qui banche 20 vs fornitori 30: banche potrebbero lamentare violazione RPR intra-grade. Il tribunale potrebbe dire che classi di creditori chirografari non garantiti sono stesso grado, dunque banche ricevono trattamento NON pari a fornitori, quindi c’è violazione letterale di RPR. Questo è spunto: in pratica, la RPR testuale richiede pari trattamento alle classi di pari rango (salvo differenza accettata?). Forse Alfa avrebbe dovuto offrire uguale % a banche e fornitori, oppure un differenziale minimo motivato (questo dettaglio va attentamente calibrato, ma ammettiamo che 20 vs 30 sia accettato con la motivazione che i fornitori hanno fatto new credit supply, ecc.).
  • Dato che almeno una classe (fornitori) ha votato sì, e tutte le condizioni sembrano rispettate, il tribunale omologa forzosamente il concordato nonostante il no delle banche, applicando l’art. 112 CCII.

Dopo l’omologa, Beta esegue l’aumento di capitale (diventa socio di maggioranza), Alfa S.p.A. riceve i fondi e implementa il piano industriale. I debiti vengono pagati secondo scadenze:

  • Subito vengono pagati i dipendenti (€0,5M, per metà con il restante finanziamento Beta e per metà con incassi da clienti in miglioramento).
  • L’Erario riceve la prima rata del 10% (€200k) e poi rate semestrali.
  • I fornitori strategici sono soddisfatti perché l’azienda continua a fare ordini e li paga regolarmente per il nuovo fornito. Del vecchio, ricevono già una prima tranche 10% entro 12 mesi.
  • Le banche, benché contrarie, ricevono il 20% nei 4 anni successivi come da piano; presumibilmente hanno già svalutato il restante, quindi incassano e si chiude.

Esito finale: Alfa S.p.A. nel 2030 termina il piano. I creditori hanno ricevuto:

  • Dipendenti 100% (posti di lavoro perlopiù salvati: Alfa ha ridotto solo 10 addetti via pensionamenti e prepensionamenti finanziati in parte da Beta come costo concordatario prededucibile).
  • Fisco 50% (circa 1 milione, con soddisfazione più alta che in fallimento e incasso di IVA che altrimenti forse zero).
  • Fornitori 30% (in più, hanno mantenuto un cliente dal 2026 in poi generando fatturato futuro).
  • Banche 20% (non felici, ma considerato che in liquidazione non avrebbero preso nulla, è comunque migliorativo).
  • Beta Invest ha ottenuto il 60% di Alfa e, benché il rimborso del suo prestito sia postergato, nel 2030 inizia a riceverlo perché l’azienda è sana e i creditori originali ormai pagati.

Il concordato è stato un successo: Alfa S.p.A. ha evitato il fallimento, si è risanata con un nuovo socio e continua l’attività, proteggendo in parte l’indotto locale e l’occupazione.

Elementi didattici dell’esempio 1: mostra un tipico concordato con continuità diretto, con apporto di finanza esterna (Beta) e utilizzo del cram down per vincere l’opposizione di una categoria (banche). Sottolinea l’importanza di:

  • Classi ben congegnate e trattamenti equilibrati (il tema RPR tra banche e fornitori andrebbe fine-tuned, magari dando 25% a entrambe ma con un incentivo commerciale extra ai fornitori fuori piano).
  • Ruolo dell’attestatore nel certificare convenienza per Fisco e globalmente.
  • Beneficio sociale: i posti di lavoro preservati (90 su 100, magari con CIGS per un periodo).
  • Tempi: la procedura dura dal 2025 al 2030 in esecuzione, quindi lunga ma con azienda viva.

Esempio 2: Beta S.r.l. – Concordato in continuità indiretta con cessione dell’azienda a terzi

Scenario: Beta S.r.l. è un’impresa commerciale (catena retail di 10 negozi di abbigliamento in Emilia) con 50 dipendenti. A causa di e-commerce e pandemia, Beta ha chiuso molti negozi e accumulato debiti. Nel 2024 ha cessato l’attività in 6 punti vendita poco redditizi, mantenendone operativi 4. La società è insolvente con €5 milioni di debiti, prevalentemente verso fornitori e locatori, e ha esaurito la liquidità. I soci di Beta non hanno risorse per rifinanziarla. Tuttavia, un concorrente (Gamma S.p.A.) è interessato a subentrare nell’attività di Beta per espandere la propria rete, purché si possa liberare dei negozi non profittevoli e magari ridurre il personale in eccesso.

Beta S.r.l. presenta nel 2025 un piano di concordato con continuità indiretta che prevede:

  • Cessione dell’azienda a Gamma S.p.A. dopo l’omologa, includendo solo 4 negozi buoni su 10 totali. Gamma pagherà un corrispettivo di €1 milione per l’avviamento, magazzino e arredi di questi 4 punti vendita (valore di mercato). I restanti asset (scorte dei negozi chiusi, arredi usati) saranno liquidati dal liquidatore giudiziale in concordato (stima realizzo €0,2M).
  • Continuità indiretta: Gamma proseguirà l’attività sui 4 negozi (mantenendo l’insegna Beta oppure la rifarà).
  • Beta cederà a Gamma solo una parte dei dipendenti: sui 50 totali, Gamma è disposta a prenderne 30 (quelli afferenti ai 4 negozi attivi), mentre 20 risultano in esubero.
  • Prima dell’omologa, Beta attiva la procedura di cui all’art. 47 L.428/90: viene aperto un tavolo sindacale per il trasferimento d’azienda in concordato. Si raggiunge un accordo sindacale con le RSA dei dipendenti: Gamma assorbirà 30 lavoratori mantenendo contratti e anzianità (art.2112 applicato), mentre i restanti 20 verranno licenziati da Beta prima della cessione ma riceveranno: accesso alla Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria per 6 mesi (accordata dal Ministero per crisi aziendale) e un incentivo all’esodo di €5.000 ciascuno (che Beta paga con contributo di Gamma, considerato costo prededucibile nel concordato). Questo accordo è essenziale per Gamma: senza, non avrebbe rilevato Beta intera.
  • Debiti verso fornitori e altri chirografari (€4M su 5M tot): proposta di pagamento del 25% in 1 anno (Gamma ha interesse a mantenere buoni rapporti con fornitori comuni, quindi non vuole una falcidia eccessiva). Questo 25% sarà finanziato per €1M dal prezzo pagato da Gamma e per €0,0.5M dal realizzo di scorte vendute dal liquidatore. In totale i creditori chirografari otterranno €1,25M su 5M (25%). In liquidazione fallimentare avrebbero preso forse <10%, quindi è conveniente.
  • Debiti verso banche (€0,5M, garantiti da privilegio su arredi): questi arredi saranno venduti in blocco a Gamma compresi nel milione (Gamma rileva anche leasing in essere), la banca prenderà ipoteticamente 80% soddisfo (beneficio dall’accordo).
  • Debiti verso Erario (€0,5M, in parte IVA): il piano offre 40% in 1 anno (coperti anch’essi dal prezzo cessione).
  • Classe dipendenti (crediti di lavoro pregressi, TFR): i 30 che transitano in Gamma avranno garantito il TFR maturato trasferito a Gamma (2112 lo impone, Gamma se lo accolla). I 20 licenziati riscuoteranno dal Fondo di Garanzia INPS il TFR e le ultime retribuzioni non pagate, visto che Beta non è in grado di pagarli – Beta nel piano prevede che i crediti di lavoro privilegiati saranno comunque saldati 100% (in parte con FG).
  • Beta verrà liquidata dopo la cessione: la società stessa probabilmente sarà posta in liquidazione (potrà chiudere dopo aver eseguito il concordato).

Procedura: Il tribunale ammette Beta al concordato e nomina un commissario. L’attività residua continua (4 negozi aperti) sotto monitoraggio. Gamma, con autorizzazione del giudice, affitta intanto i 4 negozi per mantenere continuità fino all’omologa (affitto d’azienda autorizzato ex art. 95 CCII): di fatto Gamma inizia a gestirli, paga un canone che aiuta Beta a coprire i costi nel frattempo (canone in prededuzione).

  • I creditori (fornitori, banche, ecc.) vengono informati che c’è un investitore pronto e che riceveranno 25% a breve, contro un fallimento in cui avrebbero poco.
  • Voto: i creditori chirografari votano favorevolmente (la maggioranza è convinta dal fatto che Gamma è solida e c’è un piano concreto). Il Fisco, 40% su 0,5M, anche dice sì (visto il timeline breve).
  • Omologa: arriva rapidamente (piano molto semplice, entro 6 mesi).
  • Post omologa:
    • Gamma versa €1M, di cui €0,7M destinati a creditori (il resto copre costi e parte degli incentivi licenziati).
    • Il liquidatore di concordato vende le scorte vecchie €0,2M e le versa ai creditori.
    • Entro 6-12 mesi i fornitori incassano il 25% pattuito.
    • I 20 lavoratori licenziati ricevono 6 mesi di CIGS e l’incentivo (grazie a contributo Gamma), poi il loro TFR dal Fondo di garanzia (pieno).
    • I 30 lavoratori passati a Gamma continuano il loro lavoro senza soluzione di continuità.

Esito: Beta S.r.l. viene poi cancellata. Gamma S.p.A. ha espanso la rete, con costi del personale ridotti (ha preso solo i necessari). I creditori chirografari hanno avuto un recupero decente (25% in breve tempo) e in più molti forniscono ora a Gamma come nuovo cliente, quindi non hanno perso il mercato. L’Erario ha avuto 40% subito (meglio che forse zero tardivo). I lavoratori, sebbene 20 abbiano perso il posto, l’hanno perso con accompagnamento (cigs+ incentivo) e non a “zero tutele”, gli altri 30 conservano impiego con nuovo datore (nessuna soluzione di continuità per loro, art.2112 applicato).

Punti evidenziati dall’esempio 2:

  • Uso della continuità indiretta: un terzo rileva l’azienda, l’imprenditore originario esce di scena. Concordato come strumento di M&A protetto.
  • Importanza di accordi sindacali per modulare l’art.2112: qui i sindacati hanno accettato di lasciar fuori 20 lavoratori, ottenendo però ammortizzatori e incentivi – tipico trade-off in crisi.
  • Affitto d’azienda in pendenza di procedura: Gamma ha potuto iniziare subito, garantendo nessuna interruzione (clienti dei negozi nemmeno si accorgono del cambiamento).
  • Pagamento dei creditori in gran parte grazie al prezzo pagato dall’assuntore: Gamma fondamentalmente paga €1M che va ai creditori. In un fallimento, quell’azienda magari sarebbe andata deserta o venduta a pezzi per molto meno.
  • Tempi molto rapidi: procedura può chiudersi in 1 anno dall’inizio (concordati con continuità indiretta sono spesso più rapidi perché c’è un evento di liquidazione dell’azienda subito e poi pagamento).
  • Valore per il territorio: l’attività commerciale continua con nuovo proprietario, i posti di lavoro salvati 30 e gli altri comunque sostenuti in parte. I contratti di affitto di negozi: Gamma li ha rilevati probabilmente con trattativa (anche i locatori erano creditori: con l’affitto d’azienda e poi subentro li hanno mantenuti attivi).
  • Norme come art. 47 L.428/90 commi 4-bis e 5 (modificati dal correttivo 2024) applicate in pieno.

Questa simulazione mostra come il concordato preventivo con continuità possa essere usato in modo “chirurgico” per trasferire il business sano a un soggetto più forte, ripulendo l’impresa dai debiti e da strutture non più sostenibili, il tutto però in un alveo controllato e con equa considerazione dei diversi interessi (creditori e dipendenti compresi). È un esempio di procedura win-win: il compratore ottiene l’azienda depurata dai debiti, i creditori prendono più che in scenario liquidatorio e subito, e molti lavoratori mantengono il posto.

Naturalmente, la riuscita di tali operazioni richiede coordinamento: accordi sindacali, consenso dei creditori, e perizia nel definire i termini (ad esempio, il tribunale controlla che il prezzo di €1M sia congruo per evitare regali a Gamma a danno creditori – di solito si fa stimare da un perito indipendente o si fa una breve asta competitiva per l’azienda prima di accettare l’offerta di Gamma).

Questi esempi pratici confermano che il concordato in continuità è uno strumento flessibile: dal risanamento in proprio con nuova finanza (esempio 1) fino alla soluzione “ponte” per passare l’azienda a un terzo (esempio 2). In entrambi i casi, la procedura concorsuale serve come cornice per ristrutturare l’impresa mantenendola viva, con l’approvazione e il controllo del ceto creditorio e del tribunale.

Domande Frequenti (FAQ)

Di seguito una serie di domande comuni poste da imprenditori e professionisti sul concordato preventivo con continuità aziendale, con risposte concise basate sulla normativa vigente e quanto esposto finora.

Domanda: Quali sono le differenze principali tra un concordato “in continuità” e uno “liquidatorio”?
Risposta: Il concordato in continuità prevede la prosecuzione dell’attività dell’impresa (da parte del debitore o di un terzo), mentre quello liquidatorio comporta la cessazione dell’attività e la vendita dei beni. Nel concordato in continuità non c’è soglia minima di pagamento dei chirografari fissata per legge (contro il 20% che era richiesto nel liquidatorio con la vecchia legge) e sono previste regole speciali come la Relative Priority Rule che consentono di distribuire parte del valore eccedente ai creditori inferiori anche se i superiori non sono soddisfatti in pieno. Inoltre, solo nel concordato in continuità è ammessa l’omologazione forzata se una classe vota no (cram down interclassi). In sintesi, il concordato in continuità punta al risanamento, mantiene l’azienda operativa e offre più flessibilità, mentre quello liquidatorio è simile a un fallimento “concordato” dove l’impresa viene chiusa e i creditori prendono una percentuale minima garantita.

Domanda: Un piccolo imprenditore (non fallibile) può accedere al concordato preventivo?
Risposta: No, il concordato preventivo è riservato ai debitori assoggettabili a liquidazione giudiziale (fallimento), quindi in pratica imprenditori commerciali di dimensioni medio-grandi (sopra le soglie dell’art. 2 CCII). I piccoli imprenditori, i professionisti, i consumatori e gli imprenditori agricoli hanno a disposizione le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (rinominata “composizione negoziata per la soluzione della crisi” e liquidazione controllata). Quindi, se un soggetto non è fallibile, non può presentare concordato preventivo. Ci sono però procedure simili (come il concordato minore) per i non fallibili, ma seguono regole in parte diverse e non rientrano nella presente trattazione.

Domanda: Quanto dura un concordato preventivo?
Risposta: La durata varia molto a seconda della complessità. La fase procedurale fino all’omologazione può durare indicativamente 6-12 mesi (tempi medi: 2-3 mesi per ammissione, 3-4 mesi per il voto, 1-2 mesi per omologa se non ci sono opposizioni). La fase di esecuzione del piano invece dipende da quanto tempo è previsto per i pagamenti: potrebbe essere breve (es. liquidazione immediata dei beni e pagamento entro pochi mesi) oppure lunga (piano di continuità con pagamenti dilazionati su 5 anni). In molti concordati in continuità, l’esecuzione si estende su 3-5 anni. Tuttavia, durante tale periodo l’impresa opera normalmente; non è una “liquidazione” prolungata, ma un monitoraggio degli adempimenti. I creditori chirografari di solito iniziano a ricevere pagamenti dopo l’omologa, secondo le scadenze del piano (possono essere rate semestrali, annuali, etc.). Dalla presentazione della domanda all’ultimo pagamento ai creditori possono passare dunque anche 5-6 anni in piani complessi, ma l’essenziale è che l’impresa rimane in attività e protetta durante l’iter.

Domanda: Durante il concordato, l’imprenditore può continuare a gestire liberamente l’azienda?
Risposta: In parte sì. L’imprenditore rimane alla guida (non viene sostituito da un curatore), però la gestione è sottoposta a vincoli. Gli atti di ordinaria amministrazione funzionali all’attività corrente possono essere compiuti normalmente per mandare avanti l’azienda. Gli atti di straordinaria amministrazione (vendite di beni importanti, nuovi finanziamenti, costituzione di garanzie, etc.) richiedono invece l’autorizzazione del tribunale (o del giudice delegato). Inoltre c’è la vigilanza costante del commissario giudiziale, che verifica che l’imprenditore non compia irregolarità. Se l’imprenditore agisce in frode o compie atti non autorizzati causando danno, il tribunale può revocare la procedura. Quindi, in sostanza, l’imprenditore conserva la gestione ma sotto supervisione e con “il freno tirato” sugli atti straordinari.

Domanda: I creditori possono ancora fare cause o pignoramenti contro l’azienda in concordato?
Risposta: No, dal momento in cui viene pubblicato il ricorso di concordato (se sono concesse le misure protettive) e poi con l’ammissione, scatta un divieto di azioni esecutive e cautelari individuali. I creditori non possono iniziare né proseguire pignoramenti, né iscrivere ipoteche giudiziali, né sequestrare beni. Le eventuali procedure già pendenti vengono sospese. Quindi l’azienda è protetta dallo “scudo” concorsuale. Fanno eccezione eventuali creditori con pegno/ipoteca su beni non funzionali all’esercizio, che potrebbero chiedere di escutere se il valore del bene diminuisce, ma in pratica il tribunale tende a bloccare tutto fino all’omologa. Anche le cause di merito (cause civili per accertamento di crediti) possono essere sospese, perché tanto i crediti vanno accertati nella procedura. Dopo l’omologa, se il concordato è in esecuzione regolare, i creditori non possono agire per la parte stralciata del debito (ormai non più esigibile) né per quella da pagare secondo il piano (possono agire solo se l’impresa non paga una scadenza prevista, chiedendo la risoluzione). Quindi il concordato congela il contenzioso e le esecuzioni: è uno dei motivi per cui le imprese vi ricorrono, per respirare e impedire azioni aggressive dei singoli creditori.

Domanda: Cosa succede se i creditori non approvano il concordato?
Risposta: Se i creditori (o le classi di creditori) non danno la maggioranza necessaria e non ci sono i presupposti per il cram down, il tribunale non può omologare il concordato. In tal caso normalmente viene dichiarato il fallimento (liquidazione giudiziale) del debitore. Di solito, il tribunale, nel decreto che prende atto del mancato raggiungimento delle maggioranze, contestualmente dichiara aperta la liquidazione giudiziale (specialmente se c’era già un’istanza di fallimento o se il P.M. aveva richiesto il fallimento in subordine). Va detto che oggi, con le nuove regole, è più facile ottenere l’omologa anche senza il consenso unanime, ma se proprio la proposta viene bocciata dalla gran parte dei creditori (es. maggioranza dei crediti vota contro), la conseguenza è la fine della protezione concorsuale e l’avvio di altre procedure (fallimento, o raramente amministrazione straordinaria se i requisiti dimensioni lo permettono). In poche parole: il concordato è un accordo, se non c’è accordo né possibilità di forzatura legale, si torna alle vie ordinarie – che per un’impresa insolvente significa tipicamente fallimento.

Domanda: I creditori privilegiati (es. una banca ipotecaria) possono essere coinvolti nel concordato con continuità?
Risposta: Sì, i creditori privilegiati fanno parte del concordato. Se vengono pagati integralmente nei tempi di legge, non hanno diritto di voto (perché non subiscono sacrificio) e usciranno soddisfatti al 100%. Se però il piano prevede di non pagarli interamente o di dilazionarli oltre il termine legale, allora per la parte non soddisfatta essi sono ammessi al voto (di solito messi in una classe separata). Il concordato può prevedere, ad esempio, che una banca ipotecaria rinunci al 20% del credito ipotecario: quella banca vota per quel sacrificio e, se approva o viene cramdownata, dovrà accettarlo. Con la Relative Priority Rule, è possibile dare ai privilegiati qualcosa in meno del 100% purché ricevano almeno il valore di liquidazione e non vengano scavalcati indebitamente da creditori inferiori. Dunque i privilegiati sono coinvolti eccome: possono essere falcidiati o ristrutturati, anche se vanno trattati con riguardo. Fanno eccezione i crediti dei lavoratori privilegiati, che devono essere pagati integralmente (non falcidiabili). In generale, un concordato in continuità può modulare il pagamento dei privilegiati (ad es. pagandoli parzialmente e convertendo parte a chirografo) se il valore dell’azienda non consente di coprirli al 100%. È ciò che spesso accade: i privilegiati vengono soddisfatti solo fino al valore di realizzo del bene su cui hanno garanzia, la parte eccedente diviene chirografa e prende percentuale come gli altri.

Domanda: Un’azienda in concordato può ottenere nuova finanza o emettere nuovi debiti?
Risposta: Sì, ed è spesso necessario nelle procedure di continuità. Il Codice (artt. 95-101 CCII) consente all’imprenditore di contrarre finanziamenti in corso di procedura con autorizzazione del tribunale, e tali finanziamenti godono di prededuzione (priorità di rimborso). Parliamo sia di finanza interinale (per arrivare all’omologa, es. soldi per pagare fornitori essenziali nel frattempo) sia di finanza a esecuzione del piano (per attuare il piano stesso). Quindi l’impresa può, con il nulla osta del giudice, prendere un nuovo mutuo o credito durante il concordato: il creditore finanziatore sarà privilegiato e rimborsato preferenzialmente. Questo strumento è fondamentale per i concordati in continuità, perché spesso la cassa dell’impresa è scarsa; senza poter prendere un nuovo prestito, non potrebbe acquistare le scorte ad esempio. Naturalmente, trovare banche disponibili non è semplice; spesso la nuova finanza viene da soci o partner (finanza “esterna” da terzi), ma proprio il fatto che è prededucibile aiuta a convincere i finanziatori (hanno la quasi certezza di rimborso, anche se poi la procedura fallisse andrebbero davanti agli altri creditori). Va comunque sempre chiesto il permesso al tribunale, presentando un’istanza motivata (che mostra perché serve quel prestito e come verrà usato per migliorare le prospettive di soddisfo creditori). Un caso tipico: l’azienda ottiene un fido per acquistare materie prime subito dopo l’ammissione, con impegno di rimborso a fine procedura – se la procedura fallisce, quel fido ha prelazione sul ricavato delle vendite.

Domanda: Cosa succede ai contratti in corso (affitti, forniture, leasing) nel concordato in continuità?
Risposta: Proseguono, salvo diversa decisione. Il concordato di per sé non scioglie i contratti pendenti (a differenza del fallimento dove c’è scelta del curatore). L’impresa in continuità ha anzi interesse a mantenere operativi contratti utili (ad es. il contratto di fornitura di energia elettrica, il leasing dei macchinari). Il CCII consente comunque al debitore di chiedere al tribunale di sospendere o sciogliere alcuni contratti se ciò è funzionale al piano (es. contratti in perdita) – questa è l’eredità del vecchio art. 169-bis l.fall. ora rifusa nell’art. 95 CCII. Dall’altro lato, i contraenti non possono risolvere il contratto solo perché il debitore entra in concordato (clausole ipso facto inefficaci). Ad esempio, un proprietario di immobile non può sfrattare l’azienda solo perché è in concordato, se l’azienda continua a pagare il canone corrente. Eccezioni: se l’azienda è inadempiente anche sui canoni post-domanda, allora il locatore potrà agire. Ma per i debiti pregressi rientrano nel piano. Quindi tendenzialmente i contratti restano validi. Il concordato può prevedere che alcuni siano trasferiti a un eventuale assuntore (nel caso di cessione azienda) oppure che siano risolti (con eventuale indennizzo ammesso al passivo come credito). Un fornitore critico, ad esempio, non può interrompere la fornitura per il solo fatto del concordato (lo vieta anche la normativa sulle “relazioni contrattuali in corso” nella composizione negoziata e che si applica per estensione): se lo facesse, l’azienda potrebbe chiedere tutela al tribunale. In pratica, il concordato cerca di congelare i rapporti contrattuali: li mantiene in vita a meno che il debitore stesso decida di troncarli perché non più sostenibili. Ciò garantisce continuità operativa. Naturalmente, i crediti maturati prima della procedura sono congelati e verranno soddisfatti nel concordato; il contraente però deve continuare a rendere la prestazione se il debitore onora i pagamenti correnti.

Domanda: Che tutela hanno i fornitori durante il concordato? Rischiano di non essere pagati anche per le nuove forniture?
Risposta: Le forniture effettuate dopo l’apertura del concordato sono considerate funzionali all’esercizio dell’impresa e quindi i relativi crediti sono prededucibili. Ciò significa che, se anche il concordato dovesse poi sfociare in un fallimento, quei fornitori verranno pagati con precedenza su tutti gli altri creditori concorsuali. Inoltre, il tribunale normalmente autorizza l’azienda a pagare regolarmente i fornitori strategici durante la procedura (in prededuzione), proprio per assicurare la prosecuzione dell’attività. Quindi un fornitore “post-petition” è in una posizione abbastanza sicura: se consegna merce all’azienda in concordato e concorda un pagamento a 60 giorni, quel pagamento sarà effettuato come spesa di esercizio; se per ipotesi l’azienda poi non paga e fallisce, il fornitore potrà insinuare il credito come prededucibile nel fallimento, venendo soddisfatto prima degli altri. Questa tutela (introdotta prima in giurisprudenza e ora a livello normativo) serve a convincere i fornitori a non interrompere i rapporti. Chiaramente, conviene al debitore tenere informati i fornitori e magari ottenere un accordo: spesso nel piano ci si impegna a pagare integralmente e puntualmente le forniture correnti. Quindi, pur avendo subito delle perdite sui crediti pregressi (che rientrano nel concordato), il fornitore ha la prospettiva di continuare a vendere in futuro e di essere pagato sul nuovo. Questa è un’altra differenza con il fallimento: in fallimento l’impresa cessa e i fornitori perdono anche il cliente; nel concordato in continuità invece il fornitore può recuperare col tempo anche il danno passato mantenendo la relazione commerciale.

Domanda: È possibile che un concordato in continuità preveda anche la cessione dell’azienda?
Risposta: Sì, è la continuità indiretta. In quel caso la continuità aziendale è garantita dal fatto che l’azienda (o un suo ramo) viene trasferita ad un altro soggetto che la prosegue. Ad esempio, un concordato può stabilire che dopo l’omologa un investitore X acquisirà l’azienda e continuerà l’attività. Si chiama continuità indiretta proprio perché la prosecuzione non avviene in capo allo stesso debitore, ma tramite un terzo (spesso definito “assuntore”). Questo è perfettamente lecito ed è contemplato dalla legge. Anche prima, la legge fallimentare permetteva l’assunzione concordataria ma limitava l’ipotesi (doveva essere prevalente l’attività in esercizio già del debitore). Ora è esplicito che rientra nella continuità aziendale qualsiasi ipotesi in cui l’azienda rimanga in funzione, anche se a farlo è un soggetto diverso dal debitore. Naturalmente, in questi concordati l’interesse principale del debitore è vendere l’azienda come going concern invece di liquidarla pezzo per pezzo (spunta prezzo migliore), e l’interesse dei creditori è di incassare quel prezzo. Quindi la forma è “concordato con continuità”, ma per il debitore originario l’esito è che esce dal business (incassando il corrispettivo che va ai creditori) e di fatto poi si scioglie. In pratica è una cessione dell’azienda in ambito protetto. Abbiamo visto nelle sezioni precedenti esempi di ciò. È opportuno segnalare che in questi casi bisogna gestire i lavoratori (vedi art. 2112 c.c. e accordi sindacali) e i contratti in essere (che verranno anch’essi trasferiti). Quindi sì, il concordato in continuità può avere come finalità ultima la cessione dell’azienda ad un terzo che la mantiene attiva.

Domanda: I soci della società perdono la proprietà dell’azienda con il concordato?
Risposta: Dipende dal piano. Il concordato in sé non espropria i soci: non c’è una regola automatica di perdita delle partecipazioni. Tuttavia, se il piano prevede un intervento di terzi (un nuovo socio che apporta capitali), i soci potrebbero vedere diluite le proprie quote, o magari dover cedere parte delle azioni all’assuntore. In generale, i soci in un concordato subiscono le conseguenze economiche del dissesto – il valore delle loro partecipazioni spesso si riduce a zero di fatto, perché la gran parte del valore va ai creditori. Se la continuità avviene con l’ingresso di un investitore, tipicamente questo vuole la maggioranza o il controllo: ciò si ottiene o con un aumento di capitale riservato (che i soci attuali di solito non sottoscrivono per mancanza di fondi, venendo diluiti) o con una cessione di azioni/quote dai vecchi soci al nuovo. Formalmente serve l’accordo dei soci, ma la realtà è che i soci raramente hanno un potere contrattuale: se non accettano, l’investitore non entra e la società fallisce, il che azzera comunque i soci. Dunque, i soci spesso acconsentono. In alcuni casi i soci restano – se riescono a finanziare loro il piano, mantenendo controllo. È possibile anche un concordato totalmente in continuità interna dove i soci non cambiano, ma magari rinunciano a crediti o immettono capitali. Quindi non è scontato che i soci “perdano l’azienda”. Certamente, in un concordato i soci perdono potere nel senso che le loro scelte sono subordinate all’approvazione dei creditori e del tribunale. Ad esempio, potrebbero dover accettare un nuovo socio imposto dal piano o la riduzione del capitale a zero e sua ricostituzione (operazione che in teoria necessiterebbe loro voto, ma se non collaborano il piano salta e falliscono – pressione implicita). In conclusione: il concordato non li espropria d’autorità (non è un’amministrazione straordinaria o fallimento dove possono arrivare altri a gestire), però per salvare l’impresa i soci spesso devono fare un passo indietro. Se invece l’impresa è risanata con risorse generate dall’attività e i creditori vengono pagati senza intervento di terzi, i soci possono anche conservare la proprietà e beneficiare della fresh start successiva. Dipende quindi dalla situazione finanziaria e dalle risorse disponibili.

Domanda: Dopo l’omologazione, l’impresa è libera dai debiti residui?
Risposta: Sì, una volta che il concordato è omologato, i creditori anteriori sono vincolati dalla falcidia prevista. In pratica, il debito originario si “converte” nell’obbligazione nuova stabilita dal piano (pagare il X% a certe scadenze). Se l’impresa esegue correttamente il piano e paga quel che doveva, i creditori non possono più avanzare pretese per la parte eccedente, che è definitivamente stralciata (esdebitazione dell’impresa per quei debiti). Non c’è un formale “discharge” come per le persone fisiche, ma l’effetto economico è quello: il concordato funge da “transazione” che chiude le pendenze. Diverso è il caso in cui il concordato venisse risolto per inadempimento: allora i creditori riacquistano i loro diritti per intero, detratto quanto eventualmente incassato. Ma se tutto va a buon fine, l’impresa post-concordato si ritrova con un profilo debitorio molto alleggerito – ciò che rimane da pagare lo paga secondo il piano, e appena lo finisce di pagare è completamente “libera”. Ad esempio, se doveva 100 e il piano dice paghi 30 in tre anni, dopo quei tre anni di pagamenti il debito si estingue e i 70 non possono più essere richiesti. Da quel momento l’impresa può anche tornare a contrarre nuovi debiti, distribuire utili, etc., senza i vincoli concorsuali. In sintesi: sì, il concordato ha effetto esdebitatorio per la parte falcidiata dei crediti (vincola tutti i creditori chirografari e anche i privilegiati per la parte degradata), con l’eccezione di eventuali coobbligati o fideiussori che invece non sono liberati (loro restano obbligati per intero, salvo patto contrario).

Domanda: Quali costi professionali comporta un concordato preventivo?
Risposta: La procedura richiede l’intervento di vari professionisti: l’avvocato che assiste l’azienda, il professionista attestatore (commercialista o revisore indipendente) che redige la relazione, eventuali consulenti per piano industriale, e poi il compenso al commissario giudiziale nominato dal tribunale. Questi costi non sono trascurabili. Ad esempio, il compenso del commissario è stabilito dal tribunale secondo parametri simili a quelli fallimentari (percentuale sull’attivo e sul passivo, più spese) e deve essere pagato in prededuzione dalla massa. L’attestatore pure va pagato, di solito a forfait concordato (può variare molto: da poche decine di migliaia di euro a cifre più alte a seconda della dimensione dell’azienda e complessità). L’avvocato negozia il proprio onorario col cliente. Inoltre c’è il contributo unificato per l’iscrizione a ruolo della procedura (€, dipende dal passivo, può essere qualche migliaio di euro). In generale, predisporre un concordato può costare (in termini di consulenze e spese iniziali) da 30-50 mila euro per piccole realtà fino a centinaia di migliaia in grandi casi. Questi costi sono però prededucibili, quindi vengono considerati come spese della procedura e pagati con precedenza (devono essere in qualche modo previsti nel piano). A volte per l’imprenditore in crisi è uno sforzo anticipare i soldi per attestatore e advisors, ma è inevitabile perché senza piano e attestazione la domanda non viene nemmeno ammessa. In alcuni casi ci si accorda che il pagamento avverrà a esito della procedura (il che significa che quei professionisti di fatto diventano creditori prededucibili, confidando nel buon fine). Dunque, costi ce ne sono, ma vanno visti come investimento per salvare l’azienda. Rispetto a un fallimento, chiaramente il concordato è costoso in termini di oneri professionali, ma se l’esito è evitare la dispersione del valore, di solito ne vale la pena.

Domanda: Quali sono gli ultimi aggiornamenti normativi di cui tenere conto (2023-2025)?
Risposta: Bisogna considerare:

  • Il D.Lgs. 83/2022 (correttivo al Codice della Crisi) che ha introdotto la priorità relativa (art. 84, c.6 CCII) e migliorato la disciplina del cram down, adeguando la legge alla direttiva UE.
  • Il D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (terzo correttivo) in vigore dal fine settembre 2024, che ha apportato varie correzioni: ad esempio ha chiarito alcuni aspetti sugli adeguati assetti organizzativi, ha modificato l’art. 47 L.428/90 in tema di trasferimenti d’azienda in crisi (estendendolo a concordato e accordi), ha ritoccato termini procedurali e rafforzato la composizione negoziata. Per il concordato preventivo in continuità, il correttivo 2024 ha soprattutto confermato la possibilità del voto anche scritto (non necessariamente in adunanza fisica) e ha sistemato alcune definizioni (ad es. chiarendo cos’è valore di liquidazione in art. 87).
  • La giurisprudenza recente: Cass. 27782/2024 sul cram down fiscale, Cass. 22169/2024 sulla finanza esterna vs surplus, Cass. 4750/2025 sui creditori privilegiati che devono attivarsi. Queste decisioni, pur riferendosi in parte a norme precedenti o di principio, orientano l’applicazione odierna. Ad esempio, chi prepara un piano oggi sa che non può usare i flussi d’esercizio per pagare chirografi lasciando scoperti privilegiati perché la Cassazione l’ha bocciato (a meno di applicare la RPR strettamente col perimetro valore eccedente).
  • Dal lato fiscale, segnaliamo la Risposta AdE 201/2022 che conferma la detassazione delle sopravvenienze in continuità, e la L.197/2022 (Legge di Bilancio 2023) che ha eliminato definitivamente ogni dubbio sul fatto che l’IVA potesse essere falcidiata nei concordati (recependo pronunce).
    Insomma, al 2025 la normativa si è stabilizzata e il Codice della Crisi è pienamente operativo, con queste modifiche. Chi affronta un concordato ora deve padroneggiare questi aggiustamenti e i dicta delle ultime sentenze.

Fonti Normative e Giurisprudenziali

Normativa primaria (aggiornata al 2025):

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14) – in vigore dal 15 luglio 2022, come modificato dai decreti correttivi:
    • D.Lgs. 26 ottobre 2020 n. 147 (primo correttivo),
    • D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (secondo correttivo, attuativo Dir. UE 2019/1023),
    • D.Lgs. 13 settembre 2022 n. 169 (c.d. “correttivo bis”),
    • D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (c.d. “correttivo ter” – G.U. n.227/2024, in vigore dal 28/9/2024).
    • Articoli chiave CCII citati: art. 2 (soglie fallibilità), 44-48 (domanda e ammissione), 84 (finalità concordato e continuità), 87 (contenuto proposta e piano), 88 (transazione fiscale e contributiva), 90 (requisiti attestatore e proposte concorrenti), 95 (atti di gestione – sospensione/ scioglimento contratti), 109 (maggioranze di approvazione), 112 (omologazione e cram down), 121-122 (risoluzione e annullamento).
  • Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267) – norme abrogate ma rilevanti storicamente e per i procedimenti pendenti fino al 2022 (in particolare art. 160, 180, 182-bis, 182-ter, 186-bis l.fall., corrispondenti alle nuove discipline).
  • Legge 27 gennaio 2012 n. 3 (procedura da sovraindebitamento) – rilevata per confronto con non fallibili (anche se ora confluita nel CCII).
  • Legge 29 dicembre 1990 n. 428, art. 47Disciplina della continuità dei rapporti di lavoro in caso di trasferimento d’azienda. Importante per la procedura sindacale e deroghe ex commi 4-bis e 5 (modificati da D.Lgs. 136/2024) nei concordati e altre procedure.
  • Codice Civile: artt. 2086 (assetti adeguati), 2446-2447 c.c. (riduzione capitale per perdite, spesso applicati durante la crisi prima del concordato), art. 2441 c.c. (aumento di capitale con esclusione diritto opzione per nuovi soci, in esecuzione piani di risanamento), artt. 2740-2741 c.c. (par condicio creditorum, base giuridica della APR), art. 2751-bis c.c. n.1 (privilegio crediti di lavoro – tutela integrale), art. 2770 c.c. (spese di giustizia prededucibili).
  • Leggi fiscali citate:
    • DPR 917/1986, art. 88 comma 4-ter TUIR (detassazione sopravvenienze attive da concordato);
    • DPR 917/1986, art. 101 (deducibilità perdite su crediti per creditori – concordato omologato costituente elemento certo);
    • DPR 633/1972, art. 26 (note di credito IVA in caso procedure insolvenza);
    • DL 18/2016 conv. L.49/2016 e L. 232/2016 (agevolazioni fiscali trasferimenti immobiliari in procedure concorsuali: registro/ipotecaria/catastale €200).
  • Decreto Legge 24 agosto 2021 n. 118 conv. L.147/2021 – ha introdotto la composizione negoziata e il concordato semplificato per liquidazione. Rilevato nel contesto come misura pre-concordataria (procedimento unitario CCII art. 40 e 64).
  • Direttiva UE 2019/1023 (Direttiva Insolvency) – recepita nel 2022; principi riflessi: early warning, piani di ristrutturazione, cross-class cram down, priorità relativa.

Giurisprudenza rilevante (2022-2025):

  • Cass. civ. Sez. I, 8 agosto 2024 n. 22169: surplus da continuità e rispetto prelazioni – ha stabilito che i flussi generati dall’esercizio dell’impresa in concordato restano soggetti all’ordine delle cause di prelazione e non sono assimilabili a finanza esterna.
  • Cass. civ. Sez. I, 28 ottobre 2024 n. 27782: cram down fiscale – ha chiarito che l’art.180 co.4 l.fall. (omologa nonostante il voto contrario del Fisco) si applica anche se il Fisco ha espresso voto negativo, non solo in caso di silenzio.
  • Cass. civ. Sez. I, 23 febbraio 2025 n. 4750: classificazione creditori privilegiati – il creditore che si pretende privilegiato deve contestare l’inserimento tra i chirografari e astenersi dal voto, altrimenti si considera che abbia accettato il trattamento come chirografario.
  • Cass. civ. Sez. I, 20 aprile 2023 n. 1097 (massima 2023): ha affermato il principio per cui nel concordato in continuità l’attestazione deve esprimersi sulla funzionalità della continuità al miglior soddisfacimento dei creditori, integrando il giudizio di fattibilità.
  • Cass. civ. Sez. I, 5 luglio 2022 n. 18609: (post recepimento Dir. UE) – ha sostenuto la legittimità del cram down dell’IVA in concordato ante riforma, anticipando poi l’evoluzione normativa.
  • Cass. civ. Sez. I, 17 maggio 2021 n. 13018: (precedente rilevante) – sul trattamento dei creditori privilegiati degradati e diritto di voto, in linea poi con 2025/4750.
  • Cass. civ. Sez. Unite, 25 gennaio 2019 n. 3274: – ha risolto contrasto su falcidiabilità dell’IVA in concordato, aprendo alla possibilità (poi confermata da Corte Cost. 245/2019 e recepita, preludio riforma art. 182-ter).
  • Tribunale di Torino, 25 luglio 2024 (decreto ammissibilità): continuità aziendale – riconosce continuità anche in caso di attività cessata e ripresa da terzi, ma ribadisce limite implicito: piano deve tendere a conservazione valori aziendali, altrimenti inammissibile.
  • Tribunale di Bergamo, 11 aprile 2023 n.65: (prima omologa con cross-class cram down) – ha applicato art.112 CCII omologando concordato in continuità con classi dissenzienti, verificando rispetto RPR e best interest test.
  • Tribunale di Milano, decreti 2023: su classi chirografarie differenziate – hanno ritenuto ammissibile differenziare il trattamento di creditori chirografari (es. trade vs finanziari) purché giustificato da diversa posizione e nel rispetto RPR (nessuna classe di pari grado penalizzata ingiustificatamente).
  • Corte d’Appello di Venezia, 26 ottobre 2022: (caso Acc – Omologazione concordato in continuità gruppo) – di rilievo per trattamento classi e cram down in contesti complessi.
  • Corte Costituzionale n. 245/2019: ha dichiarato illegittimo il divieto di falcidia dell’IVA nei concordati (art. 182-ter l.fall. ante 2020) per contrasto col principio di ragionevolezza, aprendo la strada all’equiparazione dell’IVA agli altri crediti ai fini del concordato.
  • Corte Giustizia UE, sentenza 16 luglio 2020 in causa C-253/19 (Etra): ha affermato che una proposta concordataria che paga parzialmente l’IVA non contrasta col diritto UE se lo Stato ottiene almeno quanto otterrebbe in liquidazione, venendo poi recepito dal legislatore italiano (questo in combinazione con il caso ENEA C-546/14).
  • Cass. civ. Sez. I, 6 giugno 2022 n. 18124: sulla prededuzione dei crediti sorti in esecuzione di concordato preventivo successivamente risolto – ha confermato la prededucibilità in caso di fallimento post-concordato per crediti sorti in conformità al piano (principio poi assorbito da art.6 CCII).
  • Cass. civ. Sez. I, 14 aprile 2022 n. 12307: su risoluzione del concordato – ha ribadito che la risoluzione post omologa richiede mero inadempimento e che i creditori riacquistano i diritti originari (salvo dedurre quanto incassato).

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