Avvocato Per Procedure Concorsuali E Preconcorsuali: Cosa Fa

La tua impresa è in difficoltà e non riesce più a far fronte ai debiti fiscali, bancari o commerciali? Ti hanno parlato di procedure concorsuali o preconcorsuali ma non sai quale sia la strada giusta per salvare l’attività?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto della crisi d’impresa, procedure concorsuali e soluzioni negoziate – ti spiega in modo chiaro cosa sono le procedure concorsuali e preconcorsuali, quando conviene attivarle, e come un avvocato può aiutarti a proteggere l’azienda, i soci e il patrimonio.

Scopri le differenze tra composizione negoziata, concordato preventivo, concordato minore e liquidazione giudiziale, come si costruisce un piano sostenibile, quali debiti possono essere ridotti o cancellati, e quali sono i vantaggi di agire prima che la crisi diventi irreversibile.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, valutare la tua situazione aziendale e costruire una strategia personalizzata per accedere alla procedura più adatta, bloccare i creditori, gestire la crisi e rilanciare l’impresa nel rispetto della legge.

Introduzione

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 15 luglio 2022 dopo vari rinvii) ha rivoluzionato la disciplina delle procedure concorsuali in Italia, introducendo nuovi strumenti per la gestione della crisi e dell’insolvenza aziendale. In questo contesto, il ruolo dell’avvocato è centrale: il legale affianca l’imprenditore in crisi o i creditori in tutte le fasi, dalla prevenzione dell’insolvenza fino alle procedure giudiziali di regolazione della crisi. La presente guida – destinata sia ad avvocati che a imprenditori – fornisce un quadro completo (oltre 10.000 parole) sul ruolo dell’avvocato nelle procedure preconcorsuali (come la composizione negoziata della crisi e gli strumenti di allerta) e concorsuali (liquidazione giudiziale, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, piani attestati di risanamento, ecc.), con aggiornamenti normativi a maggio 2025.

Si utilizza un linguaggio giuridico ma accessibile, con esempi pratici in vari settori (industria, servizi, edilizia, agricoltura, ecc.), tabelle riepilogative e una sezione di Domande & Risposte frequenti. Vengono costantemente richiamate le fonti normative italiane aggiornate – inclusi il nuovo Codice della Crisi e il D.L. 118/2021 (conv. L. 147/2021) – e gli orientamenti più recenti della giurisprudenza (Corte di Cassazione, tribunali specializzati, Corte Costituzionale). In fondo alla guida è presente un elenco completo di fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali citate.

Contesto normativo attuale: con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza nel 2022, è stata superata la vecchia Legge Fallimentare del 1942. Il legislatore, anche per recepire la Direttiva UE 2019/1023 sull’insolvency, ha introdotto strumenti di allerta precoce, procedure negoziali per evitare l’insolvenza (in primis la composizione negoziata della crisi) e ha rivisto le procedure concorsuali tradizionali (ad esempio il fallimento è ora chiamato liquidazione giudiziale, il concordato preventivo è stato riformato e sono previsti nuovi istituti come il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione). Inoltre, dal 2023 è operativo l’Albo dei gestori della crisi, dove devono iscriversi i professionisti (avvocati, commercialisti, ecc.) che intendono svolgere funzioni come curatore, commissario giudiziale o liquidatore. Tutte queste novità richiedono competenze legali specialistiche: l’avvocato esperto in diritto della crisi d’impresa è una figura chiave per guidare l’impresa attraverso strumenti di risanamento o procedure concorsuali, assicurando il rispetto delle norme e tutelando gli interessi sia del debitore che dei creditori.

Nei paragrafi che seguono analizzeremo dettagliatamente ciascuno strumento e procedura, evidenziando il ruolo pratico dell’avvocato in ognuno di essi e fornendo esempi concreti.

Ruolo generale dell’avvocato nella crisi d’impresa

Prima di entrare nel merito dei singoli istituti, è utile delineare in generale come opera l’avvocato nella gestione della crisi d’impresa. Quando un’azienda inizia a manifestare segnali di difficoltà finanziaria (stato di crisi), un avvocato specializzato può intervenire sin da subito in funzione preventiva e consulenziale. In particolare, i compiti generali del legale includono:

  • Analisi e diagnosi giuridica della crisi: l’avvocato esamina con l’imprenditore la situazione debitoria, gli eventuali inadempimenti e atti compiuti, per valutare se sussiste uno stato di crisi (squilibrio economico-finanziario reversibile) o già uno stato di insolvenza conclamata (incapacità di soddisfare regolarmente le obbligazioni). Il Codice della Crisi definisce la crisi come “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza” e l’insolvenza come lo stato accertato di non poter più adempiere regolarmente ai debiti. L’avvocato, con l’ausilio di commercialisti se necessario, interpreta questi concetti nel caso concreto per orientare le scelte dell’impresa.
  • Consulenza sulla scelta dello strumento adeguato: esiste oggi un ventaglio di strumenti per affrontare la crisi. L’avvocato deve individuare quello più idoneo: ad esempio un piano di risanamento extragiudiziale (privato) se la crisi è ancora gestibile internamente, oppure un accordo di ristrutturazione omologato dal tribunale, o ancora un concordato preventivo se serve il coinvolgimento di tutti i creditori. In fase iniziale, un buon legale tenterà di privilegiare le soluzioni negoziali (meno traumatiche e pubbliche) e solo se necessario ricorrerà alle procedure concorsuali giudiziali. Il Codice enfatizza l’autonomia privata nella scelta del rimedio, mettendo a disposizione molte opzioni. L’avvocato spiega a imprenditori e amministratori le differenze tra questi strumenti (ad esempio il diverso grado di coinvolgimento del tribunale, la necessità o meno di consenso dei creditori, i tempi e i costi) e li aiuta a prendere una decisione informata.
  • Adempimento di obblighi legali e doveri di governance: il legale assiste l’impresa nel rispettare i nuovi doveri imposti dal Codice della Crisi. Ad esempio, l’art. 3 CCI (come modificato nel 2022) impone all’imprenditore di adottare assetti organizzativi adeguati e misure idonee a rilevare tempestivamente la crisi. L’avvocato aiuta a implementare procedure interne di controllo e segnali d’allarme (indicatori finanziari, monitoraggio di ritardi nei pagamenti di imposte o fornitori, ecc.). Inoltre, qualora l’impresa abbia organi di controllo (sindaci, revisori), il legale collabora con tali organi per gestire correttamente le eventuali segnalazioni d’allerta. In generale, il consulente legale deve assicurarsi che amministratori e sindaci adempiano ai propri doveri per evitare responsabilità personali: il Codice prevede, ad esempio, che i membri degli organi di controllo che segnalino tempestivamente la crisi all’organo amministrativo possano vedere attenuata la propria responsabilità. Un avvocato ben formato guiderà quindi l’azienda nell’attivarsi entro i termini di legge per non aggravare il dissesto (principio della continuità aziendale responsabile).
  • Negoziazione con i creditori e redazione di accordi/piani: una volta individuata la strategia (accordo stragiudiziale, piano attestato, ecc.), l’avvocato rappresenta l’impresa nelle trattative con i creditori. Ciò può includere incontri con banche per rinegoziare i debiti, proposte di dilazione o stralcio parziale ai fornitori, richiesta di nuovi finanziamenti di emergenza, ecc. Il legale stende materialmente i documenti: ad esempio il piano di risanamento dell’azienda con le misure previste (e ne coordina l’attestazione da parte di un professionista indipendente), oppure la proposta di concordato preventivo e il relativo piano concordatario, dettagliando modalità e tempistiche di soddisfacimento dei creditori. Ogni documento deve rispettare precisi requisiti di legge (ad es. nel concordato il piano deve indicare con trasparenza gli apporti di finanza nuova, il trattamento proposto ai creditori privilegiati, ecc.) e su questo l’avvocato assicura la conformità normativa.
  • Gestione della procedura giudiziale e adempimenti processuali: se si accede a una procedura concorsuale in tribunale, l’avvocato si occupa di tutti gli aspetti processuali. Presenta il ricorso o la domanda di accesso (ad es. il ricorso per concordato preventivo, oppure l’istanza di liquidazione giudiziale se rappresenta un creditore istante), deposita la documentazione richiesta (bilanci, elenco creditori, attestazioni, ecc.), e rappresenta il cliente nelle udienze davanti al tribunale fallimentare o al giudice delegato. Ad esempio, in caso di concordato preventivo, l’avvocato del debitore partecipa all’udienza di omologazione difendendo la fattibilità del piano e confutando eventuali opposizioni dei creditori. Se rappresenta un creditore, potrà proporre reclamo contro l’ammissione di un concordato ritenuto pregiudizievole, o opporsi all’omologazione sollevando le proprie ragioni. Nella liquidazione giudiziale (ex fallimento), il legale segue l’iter per conto del creditore (dalla domanda iniziale all’insinuazione del credito) o assiste il fallito in procedure come l’esdebitazione finale.
  • Incarichi negli organi della procedura: va segnalato che l’avvocato può anche trovarsi dall’altro lato, ovvero a svolgere ruoli come curatore fallimentare (liquidatore giudiziale), commissario giudiziale nel concordato, esperto nella composizione negoziata, ecc., previo rispetto dei requisiti di legge. Spesso i tribunali nominano avvocati con esperienza fallimentare in queste posizioni di gestione e controllo. Dal 2023 è istituito un elenco nazionale dei gestori della crisi a cui avvocati e altri professionisti possono iscriversi (previo tirocinio e requisiti) per essere designati curatori, commissari o liquidatori. In tali ruoli, il legale ha responsabilità pubblicistiche: ad esempio, un curatore avvocato dovrà amministrare il patrimonio fallimentare liquidandolo a vantaggio dei creditori, e un commissario giudiziale avvocato dovrà vigilare sull’operato del debitore in concordato, redigere relazioni per il giudice e segnalare eventuali atti di frode. Tali incarichi sono disciplinati dal Codice e implicano doveri di diligenza e imparzialità. Come vedremo, la giurisprudenza recente ha sottolineato, ad esempio, la responsabilità del professionista attestatore (spesso un commercialista, ma può essere anche un avvocato se in possesso di competenze aziendali) nel verificare la veridicità dei dati aziendali: la Cassazione nel 2023 ha affermato che l’attestatore risponde dei danni se omette informazioni rilevanti nella relazione giurata sul piano di concordato. Ciò evidenzia come l’avvocato-investito di tali funzioni debba operare con massima correttezza professionale.

In sintesi, l’avvocato specializzato in crisi d’impresa è al fianco dell’azienda in ogni passo: consigliere strategico nelle fasi iniziali di crisi incipiente, negoziatore nelle trattative con i creditori, tecnico giuridico che prepara atti e documenti conformi alla legge, difensore degli interessi del cliente nelle sedi giudiziarie e talvolta anche gestore imparziale nominato dall’Autorità giudiziaria. Nei capitoli seguenti, passeremo in rassegna i principali strumenti preconcorsuali e concorsuali, approfondendo specificamente come e dove interviene il legale in ciascuno di essi.

Strumenti preconcorsuali: allerta e composizione negoziata

La fase preconcorsuale comprende quegli strumenti finalizzati a prevenire o gestire la crisi prima che si arrivi all’insolvenza irreversibile e al fallimento (liquidazione giudiziale). Essi includono sia meccanismi di segnalazione d’allarme (allerta), volti a far emergere tempestivamente le difficoltà dell’impresa, sia procedure volontarie e negoziali per il risanamento come la composizione negoziata della crisi. In questa sezione esamineremo:

  • La Composizione negoziata della crisi d’impresa, strumento introdotto nel 2021 e ora disciplinato nel Codice (Titolo II), che consente all’imprenditore in crisi di avviare trattative riservate con l’aiuto di un esperto indipendente.
  • I meccanismi di allerta interna ed esterna, ovvero le segnalazioni degli organi di controllo societario e dei creditori pubblici qualificati, che fungono da campanello d’allarme e mirano a indurre l’impresa ad attivarsi (spesso proprio tramite la composizione negoziata).

Composizione negoziata della crisi d’impresa

Cos’è la composizione negoziata: è uno strumento volontario e stragiudiziale introdotto con D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) e poi integrato nel Codice della Crisi (artt. 12-25 CCI). La composizione negoziata permette all’imprenditore in stato di crisi (o anche di insolvenza reversibile) di tentare un risanamento attraverso trattative riservate con i creditori, affiancato da un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione presso la Camera di Commercio. Si tratta di una procedura stragiudiziale amministrata tramite una piattaforma telematica nazionale, nella quale non vi è inizialmente l’intervento del tribunale, salvo per specifiche richieste (come l’applicazione di misure protettive o cautelari). L’obiettivo è superare lo squilibrio dell’impresa prima che sfoci in insolvenza conclamata, trovando entro un termine definito (di norma 180 giorni, prorogabili una sola volta di ulteriori 180 giorni) una soluzione concordata con i creditori.

Come funziona in breve: l’imprenditore (commerciale o anche agricolo) presenta istanza di composizione negoziata tramite la piattaforma telematica. Viene assegnato un esperto terzo e indipendente – iscritto in un elenco nazionale – che esamina la situazione aziendale e guida le trattative con i creditori. L’esperto (spesso un commercialista, ma la legge ammette anche avvocati e consulenti del lavoro con esperienza in crisi d’impresa) convoca l’imprenditore e i principali creditori in incontri negoziali riservati, cercando di facilitare un accordo. Durante la composizione negoziata, l’imprenditore mantiene la gestione dell’impresa (non c’è spossessamento), ma deve astenersi da atti che possano pregiudicare i creditori. Può richiedere al tribunale, se necessario, misure protettive (ad esempio il blocco o “stay” delle azioni esecutive dei creditori) per il tempo delle trattative. Al termine, se si raggiunge un accordo di ristrutturazione o altro esito positivo, si chiude la procedura; se invece le trattative falliscono, l’esperto redige una relazione finale e l’imprenditore può valutare alternative concorsuali (incluso il nuovo concordato semplificato per liquidazione, di cui diremo più avanti).

Ruolo dell’avvocato per l’imprenditore: il legale svolge un ruolo fondamentale nell’intera composizione negoziata, anche se formalmente l’“esperto” è un terzo indipendente. In particolare, se l’imprenditore decide di attivare la procedura, sarà in genere assistito dal proprio avvocato nel predisporre l’istanza sulla piattaforma, raccogliere i dati richiesti (situazione economico-patrimoniale, elenco creditori, ecc.) e nell’interfacciarsi con l’esperto nominato. Durante le trattative, l’avvocato affianca l’imprenditore in ogni incontro con i creditori, assumendo di fatto il ruolo di consulente e negoziatore: ad esempio, negozia con le banche la ristrutturazione dei finanziamenti (ridefinizione di piani di ammortamento, eventuali stralci di interessi o quota capitale), tratta con fornitori moratorie sui pagamenti, discute con l’Amministrazione finanziaria possibili dilazioni o l’adesione a una transazione fiscale sui debiti tributari. L’avvocato in questa fase tutela l’imprenditore spiegando ai creditori le prospettive migliori in caso di accordo rispetto allo scenario di fallimento (è frequente che presenti simulazioni di riparto in caso di liquidazione giudiziale, per dimostrare che la proposta negoziale è più vantaggiosa per loro).

Inoltre, il legale consiglia l’imprenditore su quali opzioni di soluzione perseguire: la composizione negoziata, infatti, può concludersi con diversi esiti, come indicato dall’art. 23 CCI: – contratto con uno o più creditori (accordo stragiudiziale bilaterale); – accordo di ristrutturazione ex art. 57 e ss. CCI (che poi va omologato dal tribunale); – piano attestato di risanamento ex art. 56 CCI; – oppure, se nessuna di queste soluzioni è attuabile, con la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (nuova procedura concorsuale senza voto dei creditori, riservata al caso di composizione negoziata fallita). L’avvocato deve quindi valutare, man mano che le trattative avanzano, quale sbocco sia praticabile: in caso di adesione solo parziale dei creditori, ad esempio, potrà consigliare di formalizzare un accordo di ristrutturazione agevolato (se ha il supporto di almeno il 30% dei crediti) o ordinario (se almeno il 60% aderisce) e occuparsi di preparare il ricorso di omologazione in tribunale. Se invece nessun accordo è raggiunto, il legale – d’intesa con l’imprenditore – potrà predisporre rapidamente la domanda di concordato “semplificato” entro i 60 giorni previsti.

Durante la composizione negoziata, non è obbligatorio per legge che l’imprenditore abbia un avvocato, ma nella pratica è fortemente raccomandato. Lo conferma anche l’esperienza: l’advisor legale dell’impresa ha il compito di interfacciarsi con l’esperto e con la controparte, aiutando l’imprenditore a comprendere le implicazioni legali di ogni proposta. Ad esempio, se l’esperto prospetta la cessione di un ramo d’azienda per fare cassa, l’avvocato valuterà i contratti in essere, gli effetti occupazionali (informando eventualmente i sindacati, come previsto dalle nuove norme), e strutturerà l’atto di cessione in modo da tutelare l’imprenditore sia civilmente che fiscalmente. Ancora, se occorre richiedere al tribunale misure protettive per congelare azioni esecutive, è l’avvocato a redigere l’istanza ex art. 18 CCI e a rappresentare l’imprenditore nell’eventuale udienza di conferma o revoca delle protezioni.

Ruolo dell’avvocato per i creditori: anche i creditori coinvolti in una composizione negoziata spesso si rivolgono ad un legale. Dal loro punto di vista, partecipare a trattative stragiudiziali può comportare rinunce (es. attendere per essere pagati o accettare una riduzione del credito) senza la garanzia formale di una procedura concorsuale. L’avvocato del creditore quindi valuta la convenienza della proposta negoziale rispetto ad alternative (pignoramenti individuali o istanza di fallimento) e può negoziare clausole a tutela del creditore: ad es., se una banca accetta di dilazionare il debito, il suo legale può richiedere garanzie aggiuntive o la previsione di covenants che le diano protezione in caso di nuovo inadempimento. L’avvocato cura la redazione di eventuali accordi contrattuali conseguenti alle trattative (es. un accordo di standstill, o un patto di ristrutturazione del debito bancario) e verifica che l’imprenditore rispetti la par condicio tra i creditori salvo diverso accordo (ad esempio, se solo alcune banche concedono nuova finanza, queste avranno privilegio come “finanza interinale” autorizzata, e il legale fa in modo che tale priorità sia formalizzata come previsto dalla legge). Va ricordato infatti che, durante la composizione negoziata, l’imprenditore non può privilegiare arbitrariamente un creditore a scapito di altri: l’art. 21 CCI stabilisce regole sulla gestione dell’impresa in pendenza delle trattative, e l’avvocato dei creditori vigilerà su comportamenti anomali, potendo all’occorrenza chiedere la revoca delle misure protettive se il debitore abusa della procedura.

Conclusione della composizione negoziata: se le trattative hanno successo, il ruolo dell’avvocato prosegue nella formalizzazione della soluzione concordata. Ad esempio, redige l’accordo di ristrutturazione del debito da presentare per omologazione al tribunale (in caso di accordo con percentuale qualificata di creditori), oppure predispone il piano attestato definitivo assicurandosi che tutte le transazioni ivi previste siano esenti da revocatoria (ex art. 56 CCI, gli atti compiuti in esecuzione di un piano attestato idoneo al risanamento e pubblicato nel Registro delle Imprese non sono soggetti a azione revocatoria fallimentare). L’avvocato coordina il coinvolgimento dell’attestatore indipendente, il quale deve asseverare la fattibilità del piano: i rapporti tra l’azienda e l’attestatore (spesso un commercialista) sono spesso mediati dall’avvocato, che fornisce a quest’ultimo tutte le informazioni richieste e chiarisce gli aspetti giuridici delle proposte. Un recente orientamento della Cassazione ha sottolineato l’importanza della completezza informativa: l’attestatore (e implicitamente chi lo assiste nel fornire i dati, quindi l’azienda con i suoi consulenti) non deve occultare informazioni rilevanti, altrimenti si rischia la revoca dell’eventuale concordato omologato fondato su un’attestazione infedele. Ciò spinge l’avvocato del debitore a garantire la massima trasparenza verso l’attestatore e i creditori, onde evitare future impugnazioni per mala fede.

Se invece la composizione negoziata si chiude senza accordo, l’avvocato deve prontamente orientare l’imprenditore verso la soluzione residuale meno dannosa. Il D.L. 118/2021, recepito nel Codice, ha creato un paracadute per l’imprenditore onesto che abbia tentato invano la via negoziata: la possibilità di accedere al concordato semplificato per la liquidazione (art. 25-sexies CCI). Approfondiremo più avanti questo istituto; qui basti ricordare che l’avvocato ha circa 60 giorni dalla relazione finale dell’esperto per preparare la domanda di concordato semplificato, proponendo al tribunale un piano di liquidazione dei beni restante che assicuri ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella ricavabile in fallimento. Anche in questa situazione di “ultima spiaggia”, l’opera del legale è cruciale: deve predisporre un piano chiaro e attendibile, perché sarà valutato dal tribunale senza il vaglio dei creditori (i quali non votano, ma possono opporsi in sede di omologazione). Ad esempio, se un’impresa edile in crisi non riesce a trovare accordi nella composizione negoziata, l’avvocato potrà presentare un concordato semplificato mettendo in vendita i cantieri non completati e offrendo ai creditori il ricavato atteso, dimostrando che in caso di fallimento non otterrebbero di più. Il tribunale omologherà solo se ogni credito viene trattato in modo non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria. Dunque il legale deve essere in grado di fornire quella comparazione e convincere il giudice.

Sintesi del ruolo dell’avvocato nella composizione negoziata: in ogni fase – dall’accesso, alle negoziazioni protette, fino agli esiti – l’avvocato svolge sia un ruolo tecnico (predisposizione di istanze, contratti, accordi in linea con normativa) sia un ruolo strategico e relazionale (gestione dei rapporti tra le parti, costruzione del consenso attorno alle soluzioni di risanamento). L’avvocato deve conoscere a fondo le norme del Codice della Crisi relative alla composizione negoziata (artt. 12-25) per sfruttarne appieno le potenzialità a favore del cliente: ad esempio, sapere che è possibile chiedere l’autorizzazione del tribunale per finanziamenti prededucibili durante le trattative (cosiddetti “finanziamenti interinali” ex art. 22 CCI, utili a portare avanti l’attività), oppure suggerire di utilizzare gli incentivi previsti (le misure premiali di cui all’art. 25-bis CCI, come crediti d’imposta per chi conclude con successo un accordo). È quindi una figura di regista dell’intera operazione di salvataggio aziendale fuori dalle aule giudiziarie.

Strumenti di allerta: segnalazioni interne ed esterne

Il Codice della Crisi aveva originariamente concepito un articolato sistema di allerta e di composizione assistita gestito da un organismo pubblico (OCRI) per intercettare per tempo le imprese in difficoltà. Tale sistema obbligatorio è stato però profondamente rivisto prima di entrare in vigore: con il D.L. 118/2021 e il decreto attuativo 83/2022 si è passati a un modello più morbido, focalizzato sulla composizione negoziata volontaria e su segnalazioni mirate da parte di alcuni soggetti qualificati. Attualmente, gli strumenti di allerta operativi in Italia sono:

  • Le segnalazioni dell’organo di controllo societario (sindaci o revisori) verso gli amministratori, in caso di rilevazione di indizi di crisi (allerta interna).
  • Le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati (Erario, INPS, Agente della Riscossione, ecc.) direttamente all’imprenditore, al superamento di determinate soglie di debito scaduto (allerta esterna).

Queste segnalazioni non fanno scattare automaticamente una procedura concorsuale, ma servono da stimolo per l’imprenditore ad attivarsi – tipicamente, ricorrendo proprio alla composizione negoziata o ad altri strumenti di regolazione della crisi. Vediamo nel dettaglio tali obblighi e il ruolo che l’avvocato può avere nella loro gestione.

Allerta interna – segnalazione da parte degli organi di controllo: l’art. 25-octies CCI, come modificato dal correttivo 2022, impone al collegio sindacale (o al sindaco unico) e al revisore legale dell’azienda di segnalare per iscritto agli amministratori l’esistenza di fondati indizi di crisi o insolvenza (cioè dei presupposti per presentare l’istanza di composizione negoziata ex art. 17 CCI). La segnalazione deve indicare in modo motivato le ragioni della possibile crisi e fissare un termine non superiore a 30 giorni entro cui gli amministratori devono riferire al controllo le iniziative intraprese. In altre parole, il collegio sindacale (o il revisore) “suona il campanello d’allarme” verso il management, intimando di attivarsi tempestivamente. Se l’organo amministrativo ignora la segnalazione o non adotta misure, i sindaci potranno valutare ulteriori passi (ad esempio, dare le dimissioni per non aggravare la propria posizione o, in casi estremi, informare il tribunale se l’insolvenza è ormai manifesta, benché il Codice non preveda più l’OCRI come destinatario formale).

Il Codice ha voluto responsabilizzare fortemente gli organi di controllo: infatti il comma 2 dell’art. 25-octies stabilisce che una segnalazione tempestiva e la vigilanza attiva sulle trattative esonera o attenua la responsabilità civile dei sindaci/revisori (ex art. 2407 c.c. e art. 15 D.Lgs. 39/2010) in caso di successivo dissesto. La segnalazione è considerata tempestiva se effettuata entro 60 giorni da quando il sindaco/revisore ha conoscenza dello stato di crisi. Pertanto, i controllori interni hanno convenienza a non tardare: se segnalano entro due mesi dai primi segnali, difficilmente potranno essere accusati di inerzia colpevole qualora l’azienda fallisca in seguito.

Quali sono questi segnali d’allarme? La legge non indica parametri rigidi (gli “indici di crisi” elaborati dal CNDCEC non sono più cogenti come nel disegno iniziale), ma in generale i sindaci/revisori guardano a sintomi quali: perdite significative di patrimonio netto, tensioni di liquidità (es. continuo utilizzo di fidi al limite, ritardi nei pagamenti di fornitori o imposte), indicatori di sostenibilità del debito, etc. Il Codice (art. 3) richiede all’imprenditore di dotarsi di assetti che rilevino questi segnali, e se ciò non avviene, è proprio l’organo di controllo a funzionare da ultima linea di difesa, facendo emergere la crisi con la segnalazione.

Ruolo dell’avvocato nell’allerta interna: l’avvocato può essere coinvolto su entrambi i fronti: sia come consulente dell’organo di controllo sia come consulente dell’organo amministrativo che riceve la segnalazione.

  • Dal lato dei sindaci/revisori, può capitare che questi professionisti (specie se non sono essi stessi avvocati) si rivolgano a un legale per essere consigliati su come formulare la segnalazione e quali responsabilità possono derivarne. Il legale può aiutare a redigere una comunicazione che evidenzi puntualmente le irregolarità o gli indizi di crisi, senza eccedere (ad esempio, evitando allarmismi non supportati da dati, che potrebbero configurare diffamazione o creare turbative indebite). Inoltre l’avvocato può assistere il collegio sindacale nel gestire la risposta degli amministratori: se questi presentano un piano di intervento, valutarne la credibilità dal punto di vista legale, oppure – se gli amministratori restano inerti – consigliare i sindaci sulla successiva mossa (in casi gravi, l’art. 2406 c.c. permette ai sindaci di convocare l’assemblea dei soci per adottare provvedimenti urgenti, o persino di denunciare fatti censurabili al tribunale ex art. 2409 c.c. se vi sono irregolarità gestionali).
  • Dal lato degli amministratori (imprenditore), ricevere una segnalazione formale dal collegio sindacale è un momento critico. Gli amministratori hanno 30 giorni per “correre ai ripari” e riferire cosa stanno facendo. Qui l’avvocato interviene immediatamente per aiutare a predisporre una risposta adeguata e soprattutto per intraprendere effettivamente iniziative di risanamento entro il termine. Di solito, la mossa principale è attivare una procedura di regolazione della crisi: spesso l’avvocato suggerirà di accedere alla composizione negoziata entro quei 30 giorni (o ad altro strumento appropriato). Infatti, l’avvio della composizione negoziata è considerata di per sé una risposta proattiva. Se l’impresa, assistita dal legale, presenta l’istanza di nomina dell’esperto e avvia trattative, i sindaci potranno ritenersi soddisfatti e probabilmente non procederanno oltre (continueranno a vigilare, mantenendo il “dovere di vigilanza” anche durante le trattative ex art. 25-octies c.1 ult. periodo). L’avvocato, in questo frangente, può anche predisporre un parere legale per il consiglio di amministrazione spiegando le possibili conseguenze di omissione: ricordando che se non fanno nulla rischiano l’azione di responsabilità o, in caso di fallimento successivo, azioni del curatore per aver aggravato il buco patrimoniale (responsabilità per aggravamento del dissesto). Questo spesso convince gli amministratori a muoversi rapidamente. Dunque l’avvocato gioca un ruolo motivazionale e di guida: ad esempio, in una PMI industriale familiare i cui sindaci abbiano segnalato perdite rilevanti e debiti scaduti, il legale spiegherà agli imprenditori l’urgenza di cercare un accordo con i creditori (magari proponendo un piano attestato) o, se la situazione è compromessa, di considerare il concordato. In pratica, l’avvocato traduce la “spia rossa” accesa dal collegio sindacale in un piano d’azione concreto, in conformità alle opzioni del Codice della Crisi.

In alcuni casi, l’amministratore potrebbe contestare la segnalazione, ritenendola infondata o prematura. Anche qui entra in gioco l’avvocato: può rispondere formalmente per conto dell’azienda, argomentando (con dati) che non sussiste uno stato di crisi ma solo difficoltà temporanee già affrontate, oppure che le misure intraprese sono adeguate. Bisogna tuttavia valutare con attenzione: opporsi in modo sterile può esporre gli amministratori a rischi, mentre avviare comunque la composizione negoziata non è di per sé pregiudizievole (è riservata e non comporta ammissione di insolvenza). Un consulente legale avveduto generalmente indirizzerà verso la cooperazione con l’organo di controllo, sfruttando la segnalazione come input per mettere in sicurezza l’azienda (ad esempio ottenendo immediatamente misure protettive che congelino le azioni esecutive, se i creditori stavano già procedendo).

In sintesi, nell’allerta interna l’avvocato funge da interprete del dialogo tra controllori e gestori: evita che la segnalazione sfoci in uno scontro e la trasforma nell’occasione per attuare lo strumento più idoneo a tutela di tutti (ad esempio un accordo che salva l’azienda e massimizza la soddisfazione dei creditori).

Allerta esterna – segnalazioni dei creditori pubblici qualificati: un ulteriore sistema di emersione anticipata è previsto dall’art. 25-novies CCI. Alcuni enti pubblici – in particolare INPS, INAIL, Agenzia delle Entrate e Agenzia Entrate-Riscossione (ADER) – hanno l’obbligo di inviare una segnalazione all’imprenditore (e al suo eventuale organo di controllo) quando rilevano il superamento di determinate soglie di debito scaduto per un certo periodo. In dettaglio, i casi principali sono:

  • INPS: ritardo di oltre 90 giorni nel versamento di contributi previdenziali superiore al 30% di quelli dovuti nell’anno precedente e comunque a più di €15.000 (se l’azienda ha dipendenti), oppure sopra €5.000 (se non ha dipendenti).
  • INAIL: debito per premi assicurativi scaduto da oltre 90 giorni e oltre €5.000.
  • Agenzia delle Entrate: debito IVA scaduto e non versato risultante dalle liquidazioni periodiche IVA per un importo > €5.000 e almeno il 10% del volume d’affari dell’anno precedente (in ogni caso la segnalazione va inviata se il debito IVA > €20.000).
  • Agente della Riscossione (ADER): crediti affidati per la riscossione, scaduti da oltre 90 giorni, che superano €100.000 per ditte individuali, €200.000 per società di persone, €500.000 per altre società.

Quando si verificano queste condizioni, l’ente invia entro un certo termine (ad esempio l’AE entro 150 giorni dalla liquidazione IVA periodica, l’INPS/INAIL/ADER entro 60 giorni dal superamento soglia) una comunicazione al debitore contenente un invito ad attivarsi per regolare la situazione. La norma prevede espressamente che la segnalazione contiene l’invito a presentare istanza di composizione negoziata (o comunque a farsi parte attiva nella risoluzione della crisi) entro 90 giorni. Dunque, diversamente dall’allerta interna (che è rivolta al board), qui l’ente pubblico parla direttamente all’imprenditore, sollecitandolo a prendere provvedimenti.

Finalità e natura della segnalazione esterna: queste comunicazioni mirano a scongiurare che l’esposizione debitoria verso Fisco e previdenza continui a crescere senza controllo. Invitando l’impresa a correre ai ripari, di fatto le si lascia uno spazio temporale (90 giorni) per trovare una soluzione concordata prima che l’ente perda la pazienza e passi alla fase successiva (che potrebbe essere l’intensificazione dell’azione di recupero coattivo o, per l’ADER, anche la valutazione di istanza di fallimento se i crediti sono ingenti). È importante notare che tali segnalazioni non sono pubbliche né iscritte da nessuna parte accessibile ai terzi: sono comunicazioni riservate (PEC o raccomandata) dirette solo al debitore e ai suoi organi di controllo, e come tali non implicano l’apertura di alcuna procedura. Non c’è un OCRI che riceve la segnalazione né un automatismo verso il tribunale. Tutto è lasciato alla responsabilità dell’imprenditore.

Ruolo dell’avvocato nell’allerta esterna: quando un’azienda riceve una di queste lettere di segnalazione (ad esempio dall’Agenzia Entrate-Riscossione per cartelle esattoriali non pagate), spesso si rivolge immediatamente al proprio avvocato o commercialista di fiducia. Il coinvolgimento del legale è essenziale per diversi aspetti:

  • Verifica e contestazione (se necessario): l’avvocato verifica innanzitutto la correttezza della segnalazione. Talora potrebbero esserci errori (ad esempio importi non aggiornati da un eventuale pagamento recente, o una cartella impugnata e sospesa che invece risulta conteggiata). In questi casi, il legale può contattare l’ente segnalante fornendo la documentazione e chiedendo rettifica. Se il debito non sussiste o è inferiore alle soglie, di norma l’ente annullerà la segnalazione. È importante perché, sebbene la segnalazione non sia pubblica, rimane agli atti e potrebbe essere valutata ex post ai fini di responsabilità degli amministratori.
  • Consulenza sulle opzioni di regolarizzazione: se il debito segnalato è effettivamente dovuto, l’avvocato consiglia il cliente sul da farsi entro i 90 giorni. Le strade possibili sono: pagare (se l’azienda ha reperito liquidità), oppure attivare un percorso di composizione. Pagare integralmente è spesso impossibile se si è arrivati a quei livelli di arretrato. Dunque il legale esplora soluzioni come: richiedere una rateizzazione del debito fiscale/previdenziale (molte volte l’Agenzia Entrate-Riscossione consente dilazioni fino a 6 anni, il che può risolvere la crisi di liquidità); oppure utilizzare gli strumenti di transazione fiscale e contributiva nell’ambito di un accordo o concordato preventivo. Ad esempio, per un debito IVA segnalato, l’avvocato può predisporre un’istanza all’AE per un piano di rateizzo straordinario, oppure inserire quel debito in una proposta di trattamento ex art. 63 CCI (transazione fiscale) da formalizzare entro un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione.
  • Invito a composizione negoziata: la lettera invita esplicitamente a presentare istanza di composizione negoziata. L’avvocato discute col cliente i pro e contro: se l’impresa è complessivamente in crisi e quel debito pubblico è solo una parte del problema (spesso lo è), allora attivare la composizione negoziata entro 90 giorni è una mossa saggia. L’avvocato quindi cura la presentazione dell’istanza sulla piattaforma telematica (come descritto nel paragrafo precedente) e comunica all’ente segnalante che si è dato corso all’invito (anche se non obbligatorio, è opportuno farlo sapere, per evitare iniziative esecutive nel frattempo). Ad esempio, un’impresa edile che riceve dall’INPS la segnalazione di €200.000 di contributi arretrati potrebbe, su consiglio del legale, avviare la composizione negoziata per cercare un accordo globale con banche, fornitori e INPS stesso.
  • Tutela dell’imprenditore durante il periodo concesso: i 90 giorni successivi alla segnalazione possono esporre l’imprenditore ad alcune azioni aggressive di creditori (non quelli pubblici segnalanti, che tendenzialmente attendono quel lasso di tempo, ma altri creditori potrebbero approfittarne). L’avvocato può suggerire di richiedere misure protettive al tribunale se c’è necessità di congelare situazioni critiche (pignoramenti in corso, ecc.), anche legandole all’avvio di una composizione negoziata. In pratica, cerca di creare attorno all’imprenditore uno “spazio di respiro” in cui tentare il risanamento.
  • Conseguenze del non attivarsi: se l’imprenditore ignora la segnalazione, trascorsi i 90 giorni l’ente creditore non ha uno specifico obbligo ulteriore (il Codice inizialmente prevedeva che segnalassero all’OCRI, ma ora quell’obbligo è abrogato). Tuttavia, è ragionevole attendersi che l’ente intensifichi la riscossione: l’ADER potrebbe avviare esecuzioni forzate più incisive (fermi amministrativi, ipoteche, pignoramenti) o, nei casi più gravi, valutare essa stessa iniziative concorsuali. Ad esempio, l’Agenzia Entrate-Riscossione in passato in alcune circostanze ha presentato istanza di fallimento per debiti tributari molto elevati. Oggi, con la soglia di segnalazione a €500.000 per le società di capitali, un mancato riscontro potrebbe preludere a una simile azione. L’avvocato deve far presente questi rischi all’assistito: l’omissione può portare a perdere il controllo della situazione, passando da una possibile ristrutturazione guidata dall’imprenditore a un’istanza di liquidazione giudiziale promossa da terzi. L’imprenditore che, invece, si attiva e intraprende un percorso concordato, mantiene l’iniziativa e può ottenere risultati migliori (ad esempio dilazioni, tagli del debito, mantenimento della continuità aziendale).

In sostanza, il ruolo dell’avvocato di fronte agli strumenti di allerta è di mediatore attivo: media tra i segnali che arrivano dai controllori o dal Fisco e le possibili soluzioni da mettere in campo. Un buon avvocato trasforma l’allerta in azione costruttiva, prevenendo così conseguenze drastiche. Egli deve conoscere approfonditamente la normativa delle segnalazioni (artt. 25-octies e 25-novies CCI) e anche la normativa settoriale (soglie contributive, procedure di rateazione fiscale, ecc.) per poter consigliare efficacemente il cliente.

Va notato che, da un punto di vista deontologico, assistere l’impresa in crisi implica anche sensibilizzare gli amministratori al rispetto dei doveri verso i creditori e verso la collettività. L’avvocato non dovrebbe mai assecondare strategie dilatorie o di occultamento dell’insolvenza – ciò potrebbe esporlo anche a responsabilità personali, in casi estremi di collusione in bancarotta. Invece, guidare l’imprenditore verso un’emersione ordinata e tempestiva della crisi, come appunto prefigurato dagli strumenti di allerta, è segno di professionalità e oggi è in linea con la tendenza normativa che privilegia la soluzione anticipata negoziale rispetto alla tardiva soluzione liquidatoria giudiziale.

Legame allerta-composizione negoziata: è evidente come i due meccanismi siano pensati per integrarsi. Le segnalazioni (interne o esterne) hanno come scopo primario di far sì che l’impresa ricorra alla composizione negoziata (o comunque a un rimedio regolato) senza attendere l’insolvenza conclamata. In molti casi pratici, infatti, la segnalazione di un sindaco o una lettera dall’INPS fungono da “trigger” per coinvolgere l’avvocato che, analizzata la situazione, avvia la procedura negoziale. In questa prospettiva, l’avvocato è il trait d’union tra la fase di allerta e la fase risolutiva: riceve l’allarme e conduce l’impresa attraverso la porta della composizione negoziata, traghettandola – si spera – verso un concordato preventivo riuscito, un accordo omologato o altro esito positivo.

Riepilogo strumenti preconcorsuali e ruolo del legale: la seguente tabella fornisce un riepilogo sintetico dei principali strumenti preconcorsuali (composizione negoziata e segnalazioni di allerta) evidenziandone scopo, attivazione, durata ed il ruolo tipico dell’avvocato:

Strumento PreconcorsualeScopoChi lo attiva / Chi segnalaDurata indicativaEsiti possibiliRuolo dell’avvocato
Composizione negoziata della crisi (artt. 12-25 CCI)Risanare l’impresa prima dell’insolvenza attraverso trattative riservate con i creditori, facilitate da un esperto indipendente.L’imprenditore in stato di crisi o insolvenza reversibile (sia commerciale che agricolo) presenta istanza volontaria tramite piattaforma telematica.180 giorni, prorogabili di 180 (massimo ~12 mesi).– Accordo stragiudiziale con alcuni creditori– Accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCI (60% crediti) o “agevolato” (30%), con omologa tribunale– Piano attestato di risanamento ex art. 56 CCI– Concordato preventivo (se necessario)– Concordato semplificato per liquidazione (se trattative fallite)– Consiglia l’accesso e predispone l’istanza sulla piattaforma.– Assiste l’imprenditore nelle negoziazioni con i creditori (redazione di proposte, accordi transattivi, ecc.).– Richiede misure protettive al tribunale per conto del debitore (blocco azioni esecutive).– Coordina l’attività con l’esperto indipendente, fornendo documenti e chiarimenti legali.– Predispone gli atti finali: es. accordo da omologare, piano attestato, o domanda di concordato semplificato.– Per i creditori: partecipa alle trattative tutelando il loro credito (negozia garanzie, verifica la par condicio, ecc.).
Segnalazione organo di controllo (“allerta interna”, art. 25-octies CCI)Far emergere tempestivamente gli indizi di crisi all’interno della governance societaria, sollecitando gli amministratori ad attivarsi.Il Collegio sindacale (o sindaco unico) e il revisore legale (se nominato) segnalano per iscritto agli amministratori il rilevamento di uno stato di crisi o insolvenza imminente.Termine dato agli amministratori: 30 giorni per riferire le iniziative intraprese.– Attivazione da parte degli amministratori di uno strumento di regolazione (composizione negoziata, accordo, concordato, ecc.)– Oppure inattività, con possibili dimissioni dei sindaci o informativa al tribunale in casi estremi.– Per l’organo di controllo: aiuta a redigere la segnalazione, indicando chiaramente i fatti di crisi.– Consiglia i sindaci/revisori su ulteriori passi (assemblea soci, dimissioni) se gli amministratori non reagiscono.– Per gli amministratori: interpreta la segnalazione e consiglia la reazione corretta (es. avvio composizione negoziata entro 30 gg).– Assiste il CDA nel predisporre la risposta ai sindaci dettagliando le azioni intraprese.– Avvia rapidamente, se opportuno, la procedura negoziale o altra (presenta istanza di composizione, ecc.).– Spiega le conseguenze legali di un’inerzia, orientando gli amministratori verso un adempimento dei loro doveri per evitare responsabilità.
Segnalazioni creditori pubblici (“allerta esterna”, art. 25-novies CCI)Avvisare l’imprenditore che la sua esposizione verso Fisco/Enti previdenziali è divenuta critica, invitandolo a porvi rimedio prima che l’ente agisca forzosamente.Gli enti pubblici INPS, INAIL, Agenzia Entrate, Agenzia Entrate-Riscossione segnalano al debitore (e al collegio sindacale, se c’è) il superamento di soglie di debito scaduto per oltre 90 giorni (contributi, premi, IVA, cartelle).La segnalazione invita l’impresa a reagire entro 90 giorni (es. presentare domanda di composizione negoziata).– Pagamento o regolarizzazione del debito (es. domanda di rateizzazione).– Accesso a composizione negoziata (o altra procedura) entro 90 giorni dall’invito.– Se nulla accade: l’ente intensificherà recupero (esecuzioni; possibile istanza di liquidazione giudiziale se insolvenza conclamata).– Assiste l’impresa nel capire la segnalazione (importi, motivi) e verifica eventuali errori da contestare.– Consiglia sul da farsi entro 90 gg: es. presenta istanza di composizione negoziata (e notifica all’ente che l’azienda vi ha aderito); oppure richiede una dilazione del debito fiscale.– Protegge l’impresa nel frattempo: es. se necessari, chiede provvedimenti d’urgenza o coordina la richiesta di misure protettive appena avviata la composizione negoziata.– Dialoga con l’ente segnalante fornendo un piano di rientro o spiegando le azioni intraprese, così da evitare che l’ente perda fiducia e agisca giudizialmente.– Avverte gli amministratori dei rischi legali se ignorano l’invito (es. possibili responsabilità per aggravamento del dissesto, o istanze di fallimento da parte dell’Erario).

Nota: come si evince dalla tabella, l’avvocato svolge un ruolo sia reattivo (rispondere a segnalazioni di allerta con le contromisure del caso) sia proattivo (pilotare la composizione negoziata, negoziare accordi con creditori pubblici e privati). In ogni caso, la tempestività è fondamentale: l’intervento del legale nelle fasi preconcorsuali dovrebbe avvenire quanto prima, quando ancora esistono margini per soluzioni concordate. Nel prossimo capitolo passeremo invece alle procedure concorsuali giudiziali, ovvero gli strumenti attivati in situazioni di insolvenza conclamata o comunque sotto il controllo diretto dell’Autorità giudiziaria (liquidazione giudiziale, concordato preventivo e altri istituti affini), dove il ruolo dell’avvocato continua ad essere cruciale ma in un contesto più formalizzato e disciplinato da norme processuali.

Procedure concorsuali giudiziali

Le procedure concorsuali in senso stretto sono quei procedimenti giurisdizionali mediante i quali viene regolata l’insolvenza di un debitore in modo collettivo, sotto la supervisione o direzione di un’autorità giudiziaria. Nel sistema attuale (post-riforma 2022) le principali procedure concorsuali sono:

  • Liquidazione giudiziale – la procedura liquidatoria erede del “fallimento”, in cui il patrimonio del debitore insolvente è acquisito e liquidato a beneficio dei creditori, sotto la gestione di un curatore nominato dal tribunale.
  • Concordato preventivo – la procedura in cui il debitore propone ai creditori un piano di risanamento o liquidazione che evita la liquidazione giudiziale, subordinato all’approvazione dei creditori e all’omologazione del tribunale.
  • Accordi di ristrutturazione dei debiti omologati – accordi sottoscritti con una parte rilevante di creditori (almeno il 60%, o 30% nel caso “agevolato”), resi efficaci dall’omologazione giudiziaria.
  • Piani attestati di risanamento – piani di risanamento concordati privatamente con i creditori, assistiti da attestazione di veridicità e fattibilità da parte di un professionista indipendente, che pur non essendo procedure giudiziali beneficiano di alcuni effetti protettivi di legge (in particolare, esclusione da revocatoria).
  • (Altre procedure minori o speciali: concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio – già accennato – riservato a post-composizione negoziata; procedure di sovraindebitamento per soggetti non fallibili come imprenditori minori, professionisti o consumatori – es. “concordato minore” o “liquidazione controllata del sovraindebitato”; amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi per casi speciali di rilevanza nazionale, che però esula dall’ambito di questa guida in quanto regolata dal D.Lgs. 270/1999).

In questa sezione focalizzeremo l’attenzione sulle prime quattro tipologie, che sono quelle di più frequente interesse generale, analizzandole singolarmente e mettendo in luce, per ognuna, i compiti che spettano all’avvocato.

Va premesso che tutte queste procedure concorsuali presentano alcune figure chiave ricorrenti: il tribunale (o giudice delegato) che vigila e decide sugli atti, un organo della procedura come il curatore (in liquidazione giudiziale) o il commissario giudiziale (in concordato) che gestisce o sorveglia, e i creditori organizzati nel concorso (con poteri di voto nel concordato, di presentare osservazioni negli accordi, di insinuarsi al passivo nella liquidazione, ecc.). L’avvocato può trovarsi a rappresentare ciascuno di questi attori: debitore, creditore, oppure a rivestire egli stesso incarichi come curatore o commissario (previa iscrizione all’Albo dei gestori). Ad ogni modo, la presenza di un legale è praticamente obbligatoria o comunque indispensabile in più fasi: la rappresentanza tecnica nelle procedure concorsuali davanti al tribunale è riservata agli avvocati (il debitore che chiede il concordato deve farsi assistere da un avvocato, il creditore che fa istanza di liquidazione giudiziale pure, ecc.), e la complessità giuridica di questi procedimenti rende la consulenza legale essenziale anche al di fuori delle udienze formali.

Esamineremo di seguito:

  • La Liquidazione giudiziale, evidenziando l’intervento dell’avvocato per i vari soggetti (debitore insolvente, creditori insinuanti, curatore).
  • Il Concordato preventivo (nelle sue varianti in continuità e liquidatorio), soffermandoci sul ruolo del legale nella predisposizione del piano, nel voto dei creditori e nell’omologazione, nonché la figura del commissario giudiziale.
  • Gli Accordi di ristrutturazione dei debiti (ordinari, agevolati e ad efficacia estesa), con particolare riguardo alla negoziazione contrattuale e al procedimento di omologazione in tribunale.
  • I Piani attestati di risanamento, come soluzione pur sempre rilevante benché extragiudiziale, e la tutela legale collegata (soprattutto in merito alla protezione da revocatoria e alla validità degli accordi esecutivi).

Inoltre, dedicheremo attenzione ad alcuni aspetti trasversali: p.es. la disciplina delle azioni revocatorie (laddove l’avvocato del curatore o dei creditori assume rilievo per recuperare beni distratti dal debitore prima del fallimento), la gestione dei contratti pendenti (dove il legale valuta se sciogliere o proseguire contratti in corso in caso di concordato o fallimento) e le eventuali responsabilità penali (l’avvocato deve vigilare affinché il cliente non compia reati fallimentari, e anzi segnalarne i rischi). Senza dimenticare l’importante tema della esdebitazione del debitore fallito (oggi quasi automatica se il fallito è onesto e cooperativo), altro campo in cui l’assistenza legale è spesso richiesta per chiudere definitivamente la vicenda debitoria.

Procediamo dunque con l’analisi specifica di ciascuna procedura concorsuale e del ruolo dell’avvocato al suo interno.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale tipica per la gestione dell’insolvenza irreversibile di imprenditori commerciali non piccoli (in base ai limiti di legge) e di società. Essa ha sostituito la “procedura fallimentare” tradizionale, di cui conserva l’impianto di base, sebbene con innovazioni terminologiche e di principio (ad esempio, si parla di dichiarazione di apertura della liquidazione anziché sentenza di fallimento, nel tentativo di ridurre lo stigma). Scopo della liquidazione giudiziale è liquidare tutto il patrimonio del debitore insolvente e distribuire il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria e con la gestione affidata a un curatore indipendente.

Avvio della procedura: la liquidazione giudiziale si apre su iniziativa di determinati soggetti legittimati: il debitore stesso (che può richiedere il proprio fallimento/liquidazione volontariamente), uno o più creditori (istanti), o il pubblico ministero in alcuni casi previsti (es. segnalazione del giudice in un procedimento o di autorità di vigilanza per società soggette a controllo). L’avvocato è inevitabilmente coinvolto in questa fase introduttiva:

  • Se rappresenta un creditore istante, l’avvocato redige e deposita il ricorso per la dichiarazione di liquidazione giudiziale indicando gli elementi essenziali: credito vantato, titolo esecutivo (se richiesto), gli indizi di insolvenza del debitore (inadempimenti, protesti, ecc.). Il legale segue poi l’udienza pre-fallimentare, in cui il tribunale convoca il debitore per sentirlo. Egli dovrà sostenere la richiesta del proprio cliente provando che i presupposti legali ci sono: lo stato d’insolvenza, la qualifica di imprenditore assoggettabile (non piccolo imprenditore agricolo, salvo eccezioni), etc. Ad esempio, se il cliente è un fornitore non pagato, l’avvocato porterà evidenza che l’impresa debitrice ha cessato i pagamenti, citando magari ulteriori creditori insoddisfatti, e confuterà eventuali contestazioni del debitore.
  • Se l’avvocato assiste il debitore che è oggetto di un’istanza di fallimento, il suo compito primario è difensivo: presentare le ragioni per cui il fallimento andrebbe evitato o rinviato. Può sostenere, ad esempio, che non sussiste insolvenza ma solo crisi temporanea (magari esibendo un accordo di ristrutturazione depositato o una domanda di concordato in corso: se il debitore ha già richiesto un concordato, l’istanza di fallimento viene sospesa ex lege). Oppure, se l’insolvenza è palese, il legale del debitore può chiedere al tribunale la concessione del termine di 60-120 giorni per presentare un concordato preventivo (“concordato in bianco” ex art. 44 CCI), ottenendo così lo stop delle azioni di fallimento e guadagnando tempo per tentare un piano. È prassi ormai comune che, su suggerimento dell’avvocato, molti debitori depositino all’ultimo momento una domanda di concordato con riserva proprio per neutralizzare l’udienza di fallimento. Il legale deve quindi vigilare sulle scadenze e saper consigliare questa mossa al momento giusto. Se invece l’imprenditore preferisce egli stesso la liquidazione (ad esempio per evitare ulteriori perdite o perché l’attività è ferma), il legale può presentare direttamente una istanza di liquidazione giudiziale in proprio: è l’ipotesi del c.d. “autofallimento”. In tal caso, paradossalmente, il ruolo dell’avvocato del debitore è quello di argomentare la sussistenza dei presupposti di insolvenza, perché il tribunale possa aprire la procedura il prima possibile e iniziare la liquidazione ordinata.

Una volta che il tribunale accerta lo stato di insolvenza e dichiara aperta la liquidazione giudiziale (con sentenza o decreto motivato), entra in gioco in modo più strutturato l’apparato concorsuale: viene nominato un giudice delegato, un curatore, ed è fissato il termine per i creditori per presentare le domande di insinuazione al passivo. Anche in tutte queste fasi l’avvocato svolge compiti cruciali:

Per il debitore “fallito”: formalmente, dal momento dell’apertura, il debitore perde l’amministrazione e la disponibilità dei beni (che passano al curatore). Se è una società, gli amministratori decadono dai poteri gestori; se è un imprenditore individuale, non può più disporre dei suoi beni. Ciò non toglie che il debitore (specie se persona fisica) abbia interesse a seguire la procedura, ad esempio per collaborare col curatore (cosa che gli gioverà in sede di esdebitazione) o per segnalare eventuali inesattezze. L’avvocato può assistere il debitore in questa fase in vari modi: accompagnandolo all’interrogatorio ufficiale dinanzi al giudice delegato, dove il debitore deve dichiarare lo stato dell’attivo e passivo (l’avvocato lo prepara a rispondere con completezza evitando ammissioni di possibili reati); presentando osservazioni al progetto di stato passivo redatto dal curatore qualora alcuni crediti non siano condivisi; eventualmente facendo reclamo contro il provvedimento di apertura della liquidazione (entro 30 giorni) se ritiene che l’insolvenza non fosse sussistente o se emergono fatti nuovi. Ad esempio, se dopo il fallimento spunta un pagamento che il debitore aveva effettuato che ridimensiona il debito, l’avvocato potrebbe tentare un reclamo sostenendo che la situazione era meno grave di quanto apparso e forse la procedura poteva essere evitata (anche se casi di revoca del fallimento in appello sono rari, ma possibili qualora il provvedimento fosse erroneo ab origine).

Inoltre, l’avvocato del debitore può intervenire per questioni specifiche durante la procedura: ad esempio, se il curatore propone un’azione di responsabilità contro gli ex amministratori o soci, questi ultimi (spesso coincidenti col debitore) avranno bisogno di un avvocato per difendersi. Oppure, in sede penale, se il fallito viene imputato di bancarotta, sarà difeso dal suo legale (anche se ciò esula dalla procedura concorsuale strettamente, è una conseguenza non trascurabile). Dunque l’avvocato rimane al fianco del debitore garantendo che i suoi diritti processuali siano rispettati nel concorso (es: diritto a ricevere le comunicazioni, a ottenere l’esdebitazione a fine procedura se ne ha i requisiti, ecc.).

Per i creditori insinuanti: dal momento dell’apertura, i creditori devono far valere le proprie ragioni nel concorso tramite le domande di insinuazione al passivo. Si tratta di atti scritti, che – per legge – devono essere redatti e presentati da un difensore avvocato (salvo crediti molto piccoli, ma generalmente è richiesta l’assistenza legale). Il ruolo dell’avvocato del creditore in questa fase è operativo e fondamentale: deve predisporre la domanda di ammissione indicando l’importo del credito, la eventuale prelazione (ipoteca, pegno, privilegio), allegando i documenti giustificativi (fatture, contratti, decreti ingiuntivi, ecc.) e scrivendo in modo persuasivo perché il credito va ammesso. Il curatore esaminerà queste domande e formulerà proposte di ammissione, esclusione o ammissione parziale. In un procedimento telematico e scritto (come l’accertamento del passivo attualmente è), avere un avvocato capace può fare la differenza: ad esempio, nell’indicare correttamente il grado di privilegio secondo la legge (ci sono privilegi mobiliari e immobiliari complessi; un errore può portare ad essere ammessi come chirografari perdendo chance di recupero). Oppure nel rivendicare la proprietà di beni presso il fallito (azioni di rivendica o restituzione) – anche queste si presentano con domanda tempestiva e l’avvocato deve presentare prove del diritto di proprietà del suo cliente su quei beni.

Se il curatore insinua il credito come richiesto, tutto bene. Ma se il curatore (o altro creditore) contesta il credito (in tutto o in parte), nasce una controversia: il giudice delegato esaminerà la questione nell’udienza di verifica dello stato passivo e emetterà un decreto di esclusione o ammissione parziale. L’avvocato del creditore dovrà all’udienza (o per iscritto) controbattere, ad esempio provando che il suo credito non è prescritto come invece sostiene il curatore. Se il giudice esclude il credito, l’avvocato può proporre opposizione allo stato passivo entro 30 giorni davanti al tribunale in composizione collegiale, aprendo un vero giudizio (causa civile concorsuale) dove dimostrare le proprie ragioni. Tutta questa attività – preparazione del ricorso in opposizione, eventuale appello in corte d’appello sulle decisioni – è di stretta competenza legale. Anche la costituzione del Comitato dei creditori, organo consultivo del fallimento, vede spesso i creditori farsi rappresentare da avvocati (anche se l’avvocato non può far parte del comitato come membro, dietro le quinte i membri spesso agiscono dietro consiglio dei propri legali, ad es. per votare su autorizzazione di atti di straordinaria amministrazione, vendita beni, ecc.).

Per il curatore (avvocato come curatore): se l’avvocato non è parte esterna ma ricopre egli stesso l’ufficio di curatore, il suo ruolo è quello previsto dalla legge per tale organo: amministrare il patrimonio in liquidazione con diligenza e trasparenza. Dal punto di vista dell’attività tipica, il curatore “avvocato” ha una marcia in più nella gestione di contenziosi: ad esempio, nell’esercitare le azioni revocatorie fallimentari, volte a far dichiarare inefficaci pagamenti o atti dispositivi compiuti dal debitore prima del fallimento, il curatore che è egli stesso avvocato potrà talvolta agire senza dover nominare un altro difensore (se autorizzato dal giudice, può stare in giudizio personalmente come curatore avvocato). Lo stesso per le azioni di responsabilità contro amministratori: se il curatore è un legale esperto di diritto societario, può impostare la causa nei confronti degli amministratori che hanno causato il dissesto, calcolando i danni e portando le prove in tribunale, spesso ottenendo transazioni vantaggiose per il ceto creditorio. Tuttavia, il curatore potrebbe anche essere un commercialista – in tal caso, per ogni questione legale, dovrà avvalersi di avvocati esterni (i cui compensi saranno a carico della massa fallimentare). In genere, il curatore nomina uno o più legali di fiducia per occuparsi delle cause. È bene notare che il Codice della Crisi (all’art. 146, corrispondente all’art. 43 L.F. previgente) consente la prosecuzione dei giudizi pendenti contro il fallito, ma sposta la legittimazione al curatore: ciò significa che se un processo civile era in corso contro il debitore prima del fallimento (es. una causa per risarcimento danni), ora quel processo prosegue con la costituzione del curatore in qualità di nuovo soggetto convenuto. Qui l’avvocato è indispensabile: sarà nominato un legale che subentra nella difesa per conto della massa fallimentare, e valuterà se è utile proseguire, transigere o altro (in alcuni casi il curatore potrebbe anche rinunciare a resistere se la pretesa è fondata).

Svolgimento e chiusura: la liquidazione giudiziale procede con la vendita di tutti i beni del fallito. L’avvocato può avere un ruolo anche nelle vendite: ad esempio, predisporre i contratti di cessione di azienda o immobili, curare le formalità di trasferimento (in ausilio al curatore o rappresentando eventualmente un acquirente interessato). Nella fase di riparto finale del ricavato, se un creditore contesta il piano di riparto predisposto dal curatore (magari per il modo in cui sono calcolati interessi o spese), di nuovo l’avvocato lo assisterà presentando reclamo in tribunale. Infine, giunti alla chiusura della procedura (quando tutto è stato liquidato e distribuito), l’avvocato può intervenire per richiedere in nome del debitore persona fisica l’esdebitazione – cioè l’ordine del giudice che cancella i debiti residui inesigibili. Il Codice della Crisi ha reso l’esdebitazione quasi automatica e immediata con la chiusura (art. 282 CCII e segg.), ma è comunque consigliabile per il debitore farsi seguire da un legale per assicurarsi di beneficiare di questa “fresh start” (salvo i debiti esclusi per legge, es. debiti alimentari o da illecito). L’avvocato prepara l’istanza di esdebitazione evidenziando che il fallito ha collaborato, non ci sono circostanze ostative (es. condanne per bancarotta fraudolenta). Ottenuta l’esdebitazione, il debitore è liberato da ogni obbligazione concorsuale pregressa e può tornare a fare impresa senza il peso dei vecchi debiti – un risultato di grande importanza sociale e individuale, cui l’avvocato contribuisce in misura determinante.

Giurisprudenza rilevante recente: sul fronte liquidazione giudiziale, la Cassazione ha emesso sentenze sia in materia di prededucibilità (riconoscendo ad esempio che i crediti sorti per finanziare un concordato poi fallito sono prededucibili nel successivo fallimento, tutelando così i creditori che hanno continuato a fare credito in buona fede), sia in materia di revocatoria fallimentare (confermandone l’applicabilità rigorosa a tutela della par condicio, ma esentando ad esempio i pagamenti eseguiti in attuazione di accordi di ristrutturazione o piani attestati regolarmente pubblicati, come previsto dalla legge). La Corte Costituzionale è intervenuta per dichiarare illegittime alcune discriminazioni del vecchio sistema, ad esempio in tema di esdebitazione automatica per il fallito meritevole (aspetti recepiti ora dal Codice, che prevede l’esdebitazione di diritto anche senza istanza se il fallito ha cooperato). Da menzionare anche l’orientamento delle Sezioni Unite sulla competenza per le azioni revocatorie bancarie (stabilendo che è il tribunale fallimentare a conoscere di revocatorie dei pagamenti anteriori al fallimento, anche se il contratto ha clausola arbitrale – prevale il foro concorsuale per ragioni di concentrazione). Inoltre, la Cassazione ha chiarito che il curatore può subentrare nei contratti pendenti con valutazione discrezionale nell’interesse della procedura e i contraenti in bonis hanno solo diritto all’indennizzo danni se il curatore recede (art. 172 CCI, ex art. 72 L.F.). Per l’avvocato pratico, questi principi sono linee guida su cui costruire la propria strategia: ad esempio, sapendo che i finanziamenti prededucibili sono tutelati, potrà consigliare creditori a finanziare il concordato solo con formale autorizzazione ex art. 99 CCI, e al curatore indicherà di far valere eventuali nullità di atti dispositivi per violazione di norme inderogabili.

Ruoli tipici dell’avvocato in Liquidazione Giudiziale: riepilogando, possiamo elencare i ruoli che un legale può assumere:

  • Difensore del creditore istante: propone l’istanza di apertura e ne sostiene le ragioni.
  • Difensore del debitore insolvente: resiste all’istanza (o eventualmente deposita egli stesso l’istanza se autofallimento), poi lo rappresenta in eventuali reclami o incidenti della procedura (e nella sfera penale).
  • Difensore dei singoli creditori: elabora domande di insinuazione, li rappresenta nelle opposizioni allo stato passivo e in tutte le cause all’interno del concorso (impugnazioni, riparti, ecc.).
  • Curatore (se stesso avvocato) o legale del curatore: gestisce attivamente il patrimonio ed esercita azioni legali per conto della massa (revocatorie, cause risarcitorie, ecc.).
  • Componente del comitato dei creditori: talvolta gli avvocati vengono nominati come membri del comitato (in rappresentanza di categorie di creditori, se anche creditori essi stessi di spese concorsuali o piccoli crediti), offrendo la propria competenza giuridica per vigilare sull’operato del curatore.
  • Liquidatore in concordato liquidatorio o in accordi (post-omologa): benché distinto dalla liquidazione giudiziale, segnaliamo che qualora un concordato preventivo liquidatorio venga omologato, il liquidatore nominato dal tribunale per vendere i beni può essere un avvocato, con ruolo simile a quello del curatore ma in un contesto volontario.
  • Difensore ex amministratori/soci: in azioni di responsabilità promosse dal curatore (o dal commissario del concordato) contro la precedente gestione, i convenuti incaricano quasi sempre avvocati, spesso esperti di diritto societario-fallimentare, per difendersi.
  • Avvocato del fallito per esdebitazione: assiste il fallito nell’ottenere la liberazione dai debiti residui a fine procedura.

Concordato preventivo

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale a carattere negoziale che consente al debitore in crisi o insolvente di evitare la liquidazione giudiziale, mediante la presentazione di una proposta di soddisfacimento dei creditori attuata secondo un piano, sotto controllo giudiziario. Si chiama “preventivo” proprio perché mira a prevenire il fallimento trovando un accordo – sia pure imposto a minoranze dissenzienti se si raggiungono le maggioranze di legge – su come regolare i debiti. Il concordato ha natura volontaria (lo attiva solo il debitore su sua istanza) e si basa sul principio che i creditori votano la proposta: è quindi uno strumento di composizione collettiva concordata. Il ruolo dell’avvocato, come si può intuire, è centrale in ogni segmento: dall’ideazione del piano, alla raccolta del consenso dei creditori, fino alla difesa in giudizio dell’esito concordatario. Vediamone gli aspetti salienti e l’apporto del legale.

Tipologie di concordato: il Codice della Crisi (art. 84 e ss.) distingue principalmente due categorie:

  • Concordato in continuità aziendale, quando il piano prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa (in forma diretta, cioè con lo stesso debitore che prosegue, o indiretta, ad esempio tramite il trasferimento a un affittuario o acquirente che garantisca la continuità). In questo tipo di concordato l’obiettivo è il risanamento e la soddisfazione dei creditori attraverso i flussi generati dalla prosecuzione dell’attività, eventualmente con ristrutturazione del debito.
  • Concordato liquidatorio, quando invece il piano si basa sulla cessione o liquidazione di tutto il patrimonio del debitore per pagare (in parte) i creditori. Qui l’obiettivo è simile a una liquidazione, ma è il debitore stesso a proporla volontariamente, magari offrendo ai creditori qualche beneficio aggiuntivo (come l’apporto di finanza esterna, o tempi più rapidi) rispetto al fallimento.

Il Codice (come modificato dal D.Lgs. 83/2022) predilige la continuità aziendale dove possibile, stabilendo ad esempio che nel concordato in continuità il tribunale possa omologare anche senza il voto favorevole del Fisco o degli enti previdenziali, se il loro trattamento è almeno pari a quello ricavabile dalla liquidazione (c.d. cram-down fiscale). Inoltre, viene sancito il principio di facoltatività delle classi di creditori: il debitore può suddividere i creditori in classi omogenee, ma non è obbligato salvo casi particolari. Tuttavia, in pratica l’uso delle classi è comune quando vi sono creditori con interessi differenziati (es. banche vs fornitori, ecc.). La novità importante è l’introduzione di norme specifiche per la ristrutturazione trasversale dei crediti (cross-class cram down): se non tutte le classi approvano, il tribunale può ugualmente omologare il concordato in continuità, purché la maggioranza delle classi voti a favore e i dissenzienti siano trattati equamente (regola del “best interest test” e “absolute priority rule”). Questo recepisce la Direttiva Insolvency e rappresenta un campo nuovo in cui l’avvocato deve sapersi muovere, calibrando le offerte alle varie classi per minimizzare le opposizioni.

Accesso al concordato – la domanda e il ruolo dell’avvocato: per accedere al concordato preventivo, l’imprenditore deve presentare ricorso al tribunale competente contenente la proposta, il piano e la documentazione prevista (elenco creditori, inventario attivo, bilanci ultimi anni, relazione di un attestatore indipendente sulla fattibilità del piano, ecc.). Già solo la predisposizione di tale domanda di concordato è un’opera complessa in cui la mano dell’avvocato è ovunque:

  • Analisi di ammissibilità: il legale verifica che sussistano i requisiti soggettivi e oggettivi. Ad esempio, il debitore dev’essere un imprenditore assoggettabile a fallimento (o anche un imprenditore agricolo o “minore” ma allora sarebbe concordato minore, procedura affine riservata ai non fallibili). Inoltre occorre che non vi siano cause d’inammissibilità: il Codice elenca varie condizioni, ad esempio che il debitore non abbia già proposto un concordato omologato meno di 5 anni prima, o che non sia pendente un’istanza di fallimento senza aver presentato domanda di concordato con riserva.
  • Strategia: riserva o con piano completo? L’avvocato consiglia se presentare subito un concordato “completo” oppure un concordato con riserva (concordato “in bianco”). Quest’ultimo, previsto dall’art. 44 CCI (ex art. 161 co.6 L.F.), consente di depositare un ricorso contenente la sola manifestazione di voler accedere al concordato, chiedendo un termine fino a 60-120 giorni per depositare piano e documenti. È uno strumento spesso usato per ottenere immediatamente la protezione (lo stay automatico) dalle azioni esecutive dei creditori e guadagnare tempo per elaborare il piano definitivo. Il ruolo dell’avvocato è valutare se ci sono i presupposti per la riserva (ad es. se servono ancora negoziazioni con potenziali finanziatori, se è necessario stoppare un pignoramento imminente, ecc.) e occuparsi poi di chiedere eventuali proroghe del termine, sempre convincendo il tribunale che il debitore merita il tempo concesso (presentando relazioni intermedie sullo stato delle trattative). Molti concordati iniziano così, col deposito minimalista (una memoria, magari corredata dai bilanci e poco altro) – manovra che va gestita con perizia legale per evitare revoche (il giudice può revocare il termine se il debitore abusa o perde tempo).
  • Redazione del piano e proposta: l’avvocato lavora a stretto contatto con i consulenti aziendali (spesso un commercialista e uno financial advisor) per elaborare il piano di concordato. Nel piano si indicano in dettaglio le operazioni previste: se è in continuità, come si finanziarà l’attività futura, eventuali nuovi investitori, la sorte dei lavoratori (la legge tutela i crediti dei dipendenti, prevedendo che i loro crediti debbano essere soddisfatti entro 6 mesi se c’è moratoria nel concordato in continuità); se è liquidatorio, quali beni saranno venduti, a che valori stimati (spesso con perizia), eventuali offerte già ricevute (il Codice incoraggia a raccogliere offerte concorrenti per massimizzare il valore – offerte concorrenti ex art. 91 CCI). L’avvocato deve assicurarsi che il piano rispetti i vincoli di legge: ad esempio, che ai creditori privilegiati sia assicurato almeno il valore di mercato delle garanzie (o comunque non ricevano meno di quanto otterrebbero liquidando quelle garanzie), salvo voto in classe che ne approvi la riduzione; che il ceto chirografario riceva almeno il 20% (nel concordato liquidatorio puro, salvo apporto esterno che consenta deroga); che eventuali garanzie prestate da terzi non siano illegittimamente pregiudicate. Queste valutazioni giuridiche vanno di pari passo con quelle economiche: il professionista attestatore inserirà nella sua relazione ex art. 87 CCI un giudizio di fattibilità del piano e di veridicità dei dati, quindi l’avvocato collabora affinché il piano sia presentato in modo trasparente e convincente. In pratica, spesso è l’avvocato a scrivere la Relazione di Piano in linguaggio chiaro, traducendo i numeri predisposti dai consulenti in un testo che i giudici e i creditori possano comprendere e valutare.
  • Documentazione e allegati: il legale raccoglie e predispone tutti gli allegati obbligatori (elenco analitico creditori con indicazione della causa e importo, inventario beni, elenco coobbligati e fideiussori, attestazioni varie, certificato di vigenza, certificati dei carichi pendenti contributivi e tributari, ecc.). Un eventuale errore o mancanza può causare l’inammissibilità, dunque c’è un grande lavoro di verifica formale. Ad esempio, l’art. 87 chiede l’elenco di eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi anni: l’avvocato deve far emergere vendite o pegni fatti di recente, per segnalarli.

Una volta depositata la domanda di concordato (completa), il tribunale svolge un esame di ammissibilità. Se ammette il debitore alla procedura, nomina un commissario giudiziale (e l’avvocato del debitore spesso avrà proposto qualche nominativo di professionista gradito, sebbene decide il tribunale). Il commissario è tipicamente un commercialista o avvocato indipendente incaricato di vigilare sul patrimonio durante la procedura e riferire ai creditori e al tribunale sulla proposta.

Fase intermedia – dalla ammissione al voto: l’avvocato del debitore, in questa fase, ha il compito di gestire la procedura concordataria in corso di svolgimento:

  • Assiste il debitore nel rispetto degli obblighi pendenti: ad esempio, il debitore deve comportarsi secondo le indicazioni del tribunale, non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione (il legale predispone le istanze per tali autorizzazioni se servono, ex art. 94 CCI), deve depositare mensilmente somme per le spese, etc. L’avvocato lo guida e spesso comunica lui col commissario per fornire dati e chiarimenti.
  • Predispone eventuali modifiche al piano: se emergono rilievi del commissario o difficoltà sopravvenute, il legale può presentare modifiche sostanziali alla proposta (entro certi limiti e tempi) o proposte concorrenti se ve ne sono (oggi alcuni creditori qualificati possono presentare essi stessi proposte alternative in certi casi – l’avvocato del debitore deve considerare questa evenienza e opporvisi se la ritiene peggiorativa per la massa, o adeguare la propria proposta).
  • Organizza il passivo ai fini del voto: benché la verifica dei crediti nel concordato non sia analitica come nel fallimento, i creditori presentano comunque richieste di ammissione al voto, e l’avvocato del debitore può interloquire qualora qualche creditore tenti di farsi ammettere per importi esagerati per condizionare il voto. In più, se vi sono classi, l’avvocato spesso suggerisce come comporle per massimizzare il consenso (ad esempio, separare in classi diverse creditori con interessi divergenti).
  • Negozia per raccogliere consensi: prima dell’adunanza dei creditori, l’avvocato del debitore di solito contatta i creditori principali (specialmente le banche, che spesso sono determinanti) cercando di convincerli della bontà del piano, eventualmente concordando miglioramenti ad personam (entro i limiti consentiti: p.es. proporre a una banca di fornirle garanzie aggiuntive esterne se vota a favore). Questo lavoro “politico” è cruciale perché se non si raggiunge la maggioranza (oltre il 50% dei crediti votanti, salvo diverse maggioranze in caso di classi e cram down), il concordato fallisce. Il legale può anche orchestrare accordi di subordinazione tra creditori per facilitare il voto (ad esempio, far dichiarare a un socio postergato che non voterà, per togliere il suo peso dal quorum e favorire i sì).
  • Esercita il diritto di soddisfare creditori dissenzienti: la legge consente al debitore, in certi casi, di pagare prima del voto taluni piccoli creditori strategici per farli uscire dalla procedura e non averli contro. L’avvocato valuta se applicabile l’art. 109 CCI (ex art. 182-quinquies L.F.) per ottenere l’autorizzazione a pagare fornitori essenziali o continuare taluni contratti (questo in particolare nel concordato in continuità: il debitore può essere autorizzato a pagare debiti pregressi di fornitori indispensabili, in prededuzione, per assicurarsi la fornitura continua). Tali manovre possono aiutare l’impresa a restare in vita durante l’attesa dell’omologazione e preservare rapporti (anche questo incide sul favore con cui i creditori guardano al piano).
  • Representa il debitore nell’adunanza dei creditori: questo è il momento in cui i creditori discutono e votano la proposta. Il commissario giudiziale presiede, ma il debitore (spesso assistito dal suo avvocato) è presente per rispondere a domande dei creditori. In realtà oggi le votazioni possono avvenire anche per via telematica o scritta, ma un confronto c’è sempre. L’avvocato prepara il debitore a dare chiarimenti convincendo gli incerti. Talvolta interviene egli stesso per spiegare aspetti tecnici del piano o replicare a obiezioni legali sollevate da creditori. Un ruolo oratorio non codificato ma di fatto importante: un buon avvocato può, con argomentazioni efficaci in assemblea, ribaltare le opinioni di alcuni creditori scettici mostrando, ad esempio, che in caso di fallimento loro recupererebbero zero mentre col concordato prendono 30%, oppure che eventuali contestazioni sulla validità di garanzie sono infondate. Insomma, fa advocacy a favore del piano.

Dopo il voto, se la maggioranza è raggiunta, l’avvocato passa alla fase successiva.

Omologazione e fase conclusiva: i creditori e qualunque interessato hanno termine per proporre eventuali opposizioni all’omologazione (contestando la convenienza, la regolarità della procedura, ecc.). L’avvocato del debitore a questo punto deve prepararsi a difendere il concordato davanti al tribunale (collegio), in quella che è una vera e propria udienza di omologazione assimilabile a un procedimento giudiziario:

  • Se nessuno presenta opposizione, il legale può tuttavia dover convincere il tribunale su eventuali profili d’ufficio (ad es. il tribunale verifica sempre il rispetto del “best interest test”: che ogni creditore riceva almeno quanto otterrebbe nella liquidazione fallimentare; l’avvocato fornisce i calcoli per dimostrare ciò, spesso supportandosi con la relazione del commissario).
  • Se ci sono opposizioni di creditori dissenzienti, l’avvocato del debitore deve rispondere con memorie e in udienza, contrastando punto per punto le eccezioni. Ad esempio, un creditore può eccepire che il piano è inattuabile: il legale porterà ulteriori evidenze di fattibilità (contratti preliminari firmati, lettere d’intenti di investitori, etc.). Oppure un creditore privilegiato può lamentare che il trattamento offertogli viola la par condicio: l’avvocato mostrerà che quel creditore è stato messo in classe e ha rifiutato un’offerta migliorativa, oppure che la perizia di stima giustifica il sacrificio di parte del suo credito. Queste discussioni spesso richiedono un elevato tasso tecnico e normativo: si citano articoli di legge, precedenti giurisprudenziali (es. Cassazione su criteri di valutazione, o su casi analoghi). Ad esempio, se un creditore ipotecario contesta la valutazione di un immobile, l’avvocato può citare Cass. 9087/2019 che afferma come la stima del perito e il voto della maggioranza possano legittimare una falcidia del creditore ipotecario purché gli si attribuisca il valore di mercato. Oppure se un creditore sostiene di essere stato trattato peggio di un altro di pari grado, il legale evidenzierà che la suddivisione in classi e l’approvazione a larga maggioranza rende legittime certe differenze, e così via.
  • L’avvocato può anche introdurre aggiustamenti fino all’ultimo se percepisce rischi: la legge consente, in sede di omologazione, la possibilità di modificare marginalmente la proposta per superare opposizioni (con consenso dei favorevoli). Il legale valuta se proporre al giudice un correttivo (es. un lieve aumento per un creditore). Ciò deve essere maneggiato con cura, perché modifiche sostanziali non sono ammesse dopo il voto, ma minime concessioni sì.

Se il tribunale ritiene soddisfatte le condizioni, omologa il concordato. L’avvocato del debitore a quel punto tira un sospiro di sollievo: la procedura concordataria si chiude positivamente. Tuttavia, il suo lavoro non è finito:

  • Bisogna attuare il piano omologato. Se il debitore mantiene la gestione (concordato in continuità), l’avvocato continua a consigliare l’azienda su come eseguire gli obblighi presi (pagamenti dilazionati ai creditori, cessione di asset, ecc.), vigilando sul rispetto dei tempi previsti per evitare cause di risoluzione.
  • Se invece il concordato prevede la nomina di un liquidatore giudiziale (tipico del liquidatorio), quell’incarico può essere assunto anche da un avvocato. Comunque, il debitore e il liquidatore spesso necessitano ancora di supporto legale per predisporre atti di trasferimento, gestire eventuali contenziosi residui, etc.
  • L’avvocato del debitore potrebbe dover comparire in eventuali giudizi di risoluzione o annullamento del concordato se le cose vanno male (ad esempio un creditore, a piano in esecuzione, chiede risoluzione perché il debitore non paga una rata, o l’accusa di doli emergenti per annullarlo). Sono situazioni meno frequenti, ma l’assistenza legale rimane necessaria.

Avvocato e commissario giudiziale: finora ci siamo posti dal lato debitore/creditori. Ma come per il curatore, l’avvocato può svolgere egli stesso il ruolo di commissario giudiziale se nominato dal tribunale. In tale veste, l’avvocato-commissario agisce nell’interesse della massa dei creditori e in funzione ausiliaria del tribunale: verifica lo stato dell’impresa, redige la relazione iniziale ex art. 100 CCI (entro 45 giorni dall’apertura) per esprimere un giudizio sulla proposta, conduce l’adunanza dei creditori e riferisce l’esito del voto, segnala eventuali atti in frode ai creditori (se ne scopre: es. distrazioni di beni, falsità nei documenti – se accertati, il tribunale può revocare l’ammissione e dichiarare la liquidazione giudiziale). Un avvocato con questo incarico userà le sue competenze legali per vigilare sul rispetto della legge (ad esempio, controllerà che il piano preveda il soddisfacimento minimo del 20% ai chirografari se liquidatorio puro, come condizione di legge per l’ammissibilità, e se manca lo segnalerà). Inoltre, può dover gestire questioni giuridiche complesse: per es., se su un bene aziendale pende una causa di rivendica, il commissario legale valuterà come considerare quel bene nel piano. Al termine, in sede di omologazione, il commissario redige una relazione finale per il giudice. La giurisprudenza ha più volte ribadito l’importanza del ruolo del commissario: ad es. Cassazione 2022 n. 1702 ha censurato un caso in cui commissari e attestatore non avevano rilevato atti di frode del debitore, affermando che non li esonerava dall’obbligo di disclosure il fatto che alcuni creditori fossero comunque a conoscenza di quei fatti. Ciò significa che al commissario (e attestatore) è richiesta grande attenzione e completezza; un avvocato in tale ruolo deve quindi usare il suo know-how investigativo-giuridico per scoprire eventuali irregolarità e riferirle con chiarezza a tutti i creditori, pena possibili responsabilità.

Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio: prima di passare agli accordi e piani, apriamo una parentesi su questo nuovo tipo di concordato, introdotto nel 2021 e ora disciplinato all’art. 25-sexies CCI. Come anticipato, è riservato al caso in cui la composizione negoziata non abbia portato ad alcuna soluzione. Il debitore, entro 60 giorni dalla comunicazione della relazione finale dell’esperto, può proporre questo concordato semplificato che ha alcune peculiarità:

  • Non è previsto voto dei creditori: i creditori non sono chiamati ad approvare; il piano è imposto top-down, ma deve garantire che nessun creditore riceva meno di quanto otterrebbe in una liquidazione giudiziale (best interest test) e deve assicurare che ciascun creditore abbia una qualche utilità (diversa da zero).
  • È sempre a scopo liquidatorio: l’impresa viene liquidata sotto il controllo del tribunale, di solito con nomina di un liquidatore giudiziale.
  • Il tribunale fissa un’udienza in cui i creditori possono opporsi all’omologazione. Quindi c’è un contraddittorio, ma non un voto. Alla fine il tribunale decide se omologare (se il piano rispetta i requisiti e appare conveniente rispetto al fallimento).

Ruolo dell’avvocato nel concordato semplificato: sarà principalmente l’avvocato dell’ex debitore che – dopo aver tentato la composizione negoziata – si trova a predisporre questo piano di liquidazione con tempistiche strettissime. Egli deve:

  • Redigere rapidamente una proposta di concordato, con piano di liquidazione dei beni. Di solito si prevedono procedure competitive per vendere gli asset, la distribuzione del ricavato secondo le priorità legali, ed eventualmente contributi di terzi (ad es. l’imprenditore potrebbe offrire beni personali per aumentare il monte da distribuire). Data l’assenza di voto, il legale deve anticipare le possibili obiezioni dei creditori e predisporre un piano il più possibile inattaccabile.
  • Assistere il debitore nella fase giudiziale: i creditori potranno presentare opposizioni all’omologa (ad esempio lamentando che in realtà in fallimento avrebbero avuto di più perché il piano sottostima certi valori). L’avvocato del debitore deve contrastare queste opposizioni, fornendo al giudice evidenze a supporto del piano (perizia di stima indipendente dei beni, analisi comparative, etc.). Il tutto probabilmente in tempi stretti perché la procedura semplificata è pensata per concludersi celermente.
  • Dopo l’omologa, la liquidazione dei beni è seguita da un liquidatore nominato. L’avvocato può coadiuvarlo soprattutto se sorgono questioni legali (contestazioni su crediti, ecc.).

Il concordato semplificato è ancora poco applicato nella pratica (anche perché la composizione negoziata è strumento nuovo e i primi esiti si sono visti tra 2022 e 2023). Le statistiche mostrano un utilizzo contenuto, come osservato: “rimane ancora contenuto il ricorso al concordato semplificato, cui si può accedere solo dopo aver tentato il negoziato”. Tuttavia, è importante che l’avvocato ne conosca l’esistenza, perché in casi estremi può essere l’ultima carta per evitare il fallimento e chiudere la crisi in modo controllato. Dal punto di vista difensivo dei creditori, l’avvocato di un creditore che ritenga pregiudizievole il concordato semplificato (ad esempio perché sospetta che il debitore stia svendendo beni a un prezzo troppo basso per favorire qualcuno) potrà opporsi e chiedere al giudice di non omologare. Si delineerà quindi un contenzioso specifico in cui i legali delle parti discuteranno su valutazioni ed esiti.

Riepilogo ruoli dell’avvocato nel concordato preventivo (incluso semplificato):

  • Consulente del debitore: studia la fattibilità giuridica, predispone la domanda (anche con riserva), redige piano e proposta, raccoglie documentazione; consiglia su classi, trattamenti, offre soluzioni creative (es. accollo di terzi, garanzie fideiussorie) per convincere i creditori.
  • Negoziazioe e mediatore: contatta i maggiori creditori prima del voto, risponde ai loro dubbi, eventualmente negozia accordi informali di sostegno (spesso banche e fornitori vogliono commitment formali: l’avvocato può stendere accordi di stand-by con alcuni creditori che promettono il voto favorevole in cambio di impegni futuri).
  • Difensore in giudizio: rappresenta il debitore in tutte le udienze e fasi processuali (ammissione, omologazione, eventuali appelli o reclami contro provvedimenti).
  • Attuatore del piano: dopo omologa, continua ad assistere l’azienda su adempimenti e atti di esecuzione.
  • Curatore di concordato liquidatorio: se nominato liquidatore in un concordato omologato con cessione beni.
  • Commissario giudiziale (avvocato come organo della procedura): vigilanza e relazione super partes.
  • Avvocato dei creditori: può comparire anche qui. I creditori a volte costituiscono comitati informali per valutare la proposta, ingaggiando un legale comune per analizzarla (specie nelle grandi imprese, i bondholders o le banche formano pool con advisor legali). L’avvocato dei creditori scruta il piano per trovare eventuali punti di attacco, consiglia se accettare o rigettare, e se del caso presenta opposizione in sede di omologa. Se un creditore vuole presentare una proposta concorrente (possibile per creditori rappresentanti almeno il 10% dei debiti, se il debitore propone un concordato liquidatorio che paga i chirografari meno del 30%), dovrà farlo tramite avvocato: costui preparerà una proposta alternativa da sottoporre al voto, magari in accordo con un investitore terzo disposto a offrire di più per gli asset.
  • Avvocato in procedimenti collaterali: ad esempio, se ci sono cause di revoca delle misure protettive (qualche creditore potrebbe aver impugnato il decreto con cui il tribunale sospendeva le azioni esecutive), l’avvocato del debitore difende la necessità delle protezioni davanti al collegio; oppure se pendono ricorsi per provvedimenti cautelari sui beni, li gestisce per evitare pregiudizi sul patrimonio in concordato.

Accordi di ristrutturazione dei debiti

Gli accordi di ristrutturazione sono un istituto che coniuga elementi privatistici (accordo contrattuale tra debitore e una parte dei creditori) con elementi pubblicistici (richiesta di omologazione da parte del tribunale e alcune protezioni simili al concordato). Introdotti già con la Legge Fallimentare nel 2005 e potenziati nel Codice della Crisi, rappresentano una via intermedia: il debitore riesce a ristrutturare l’indebitamento trovando un consenso qualificato tra i creditori (di regola almeno il 60% dei crediti, ma come vedremo esistono varianti con soglie diverse) ed evitando così la procedura concorsuale vera e propria, pur ottenendo benefici come la sospensione delle azioni esecutive e la possi-bilità di cram-down su taluni creditori dissenzienti in casi specifici.

Il Codice disciplina diversi tipi di accordi di ristrutturazione:

  • Accordo “ordinario” (art. 57 CCI): stipulato con creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti. Vincola solo i sottoscrittori e dev’essere omologato dal tribunale, che verifica legalità e fattibilità. I creditori non aderenti rimangono estranei (vanno pagati integralmente alle scadenze originarie, salvo che non siano “dissentienti finanziari” in caso di efficacia estesa).
  • Accordo “agevolato” (art. 60 CCI): introdotto dal 2022, riduce la soglia di adesioni al 30%. Per compensare la minoranza dei consensi, prevede che i creditori estranei siano soddisfatti integralmente entro 120 giorni dall’omologazione (o 90 giorni se già scaduti). In altre parole, consente al debitore di omologare un accordo anche con solo un terzo dei crediti consenzienti, purché assicuri che chi non ha firmato venga pagato per intero (quindi di fatto è uno strumento utile quando il dissenso riguarda creditori che comunque si intendono soddisfare al 100%, mentre si ristruttura il debito solo con alcuni creditori che accettano decurtazioni). È una novità importante, a metà strada tra il piano attestato (dove tutti i creditori non “accordisti” vanno pagati per intero subito) e l’accordo ordinario.
  • Accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCI): riguarda in particolare i creditori finanziari (banche e intermediari). Se aderisce almeno il 75% di una certa categoria di creditori finanziari, il debitore può chiedere al tribunale di estendere gli effetti dell’accordo anche ai dissentienti appartenenti a quella stessa categoria, purché siano stati informati e invitati alle trattative in buona fede e abbiano avuto chance di aderire alle medesime condizioni. Questo meccanismo, già previsto dal 2016, consente di superare sacche di resistenza di poche banche su accordi di ristrutturazione del debito bancario (il tribunale impone l’accordo anche a chi non ha firmato, se la maggioranza qualificata l’ha fatto). Ovviamente il presupposto è che i contrari non vengano trattati in modo diverso dai firmatari.
  • Convenzione di moratoria (art. 62 CCI): anche questa rivolta ai creditori finanziari, consente agli intermediari che rappresentano almeno il 75% di crediti di concordare una moratoria temporanea (sospensione dei pagamenti o proroga delle scadenze) e di estenderla agli altri intermediari dissenzienti. Serve a congelare situazioni in attesa di soluzioni di più ampio respiro (spesso preludio di successivo accordo di ristrutturazione completo). La convenzione ha efficacia fino a 6 mesi salvo diverso accordo.
  • Transazione fiscale e contributiva (art. 63 CCI): non è un tipo a sé di accordo, ma una parte eventuale dell’accordo che riguarda la regolazione dei debiti tributari e previdenziali. Permette al debitore di proporre il pagamento parziale o dilazionato di tali debiti, anche senza necessariamente raggiungere l’adesione formale dell’Agenzia Entrate o dell’INPS, perché il tribunale può omologare l’accordo anche se essi non aderiscono, purché la proposta sia conveniente rispetto all’alternativa (liquidazione). Questo “cram-down fiscale” è stato potenziato: oggi se il Fisco rifiuta irragionevolmente un’offerta concordataria migliore del fallimento, il giudice può disattendere il suo voto e approvare ugualmente. Lo stesso vale negli accordi: per l’omologazione dell’accordo serve l’adesione dell’ente, ma se non arriva, il giudice valuta se la proposta era più conveniente del fallimento e può omologare nonostante il dissenso (questa regola era già nel DL 118/2021 e ora è sistema).

Procedimento per concludere un accordo di ristrutturazione: il ruolo dell’avvocato qui è duplice: contrattuale e giudiziale.

  1. Fase delle trattative e conclusione dell’accordo (contrattuale): Il debitore e i creditori conducono negoziati per definire i termini della ristrutturazione. In pratica, è l’avvocato del debitore che predisporrà uno schema di accordo da sottoporre ai creditori chiave (tipicamente banche e fornitori strategici). Il contenuto di un accordo può includere: rimodulazione scadenze, riduzioni percentuali del debito (stralcio), conversione di crediti in partecipazioni (debt-equity swap), cessioni di asset ai creditori, patti di subordinazione, ecc. L’avvocato deve assicurarsi che il testo contrattuale vincoli effettivamente i firmatari a ciò che concordano e preveda la condizione sospensiva dell’omologazione. Inoltre, contestualmente all’accordo spesso si raccolgono adesioni formali: i creditori firmano l’accordo stesso o lettere di adesione. Un aspetto importante: a differenza del concordato, qui non c’è la totalità dei creditori vincolati – quindi l’avvocato deve ponderare chi coinvolgere. Una scelta frequente è: includere tutti i principali creditori finanziari e fornitori critici, e lasciare fuori i piccoli creditori pagandoli integralmemte (così non serve il loro consenso e si soddisfa il requisito di legge per eventuale “agevolato”). Questa strategia minimizza il numero di parti da convincere. In tal senso, l’avvocato ha un ruolo di architetto delle alleanze: individua il 60% (o 30%) giusto di creditori con cui negoziare. Ad esempio, se l’azienda ha 10 milioni di debiti di cui 7 verso banche, 2 verso fornitori e 1 verso l’Erario, l’avvocato può concentrarsi nel far firmare almeno 6 milioni tra le banche (così ha il 60% globale) e magari 1 milione tra i maggiori fornitori, e decidere di pagare integralmente gli altri 1-2 milioni di debiti minori e tributari. Così costruisce l’accordo con i firmatari (banche e grossi fornitori) e nel testo dell’accordo si obbliga a pagare gli altri ai sensi dell’art. 57 c.4 CCI entro 120 giorni dall’omologazione.

Durante questa fase negoziale, l’avvocato del debitore spesso lavora fianco a fianco col professionista attestatore richiesto dalla legge: l’art. 56 L.F. previgente e ora l’art. 57 CCI impongono che l’accordo sia accompagnato da una relazione di un esperto indipendente che attesti la attuabilità dell’accordo e la sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nei termini di legge. Il legale fornisce all’attestatore tutti i dati necessari e magari discute con lui su possibili criticità. Ad esempio, se l’attestatore ritiene che l’azienda non genererà abbastanza cassa per pagare i creditori estranei in 120 giorni, l’avvocato capisce che bisogna prevedere un rifinanziamento (magari far intervenire un socio con denaro fresco all’omologazione) altrimenti il tribunale non omologherà. Quindi, il legale apporta correzioni all’accordo per garantirne l’attestabilità e l’omologabilità.

  1. Fase giudiziale – omologazione dell’accordo: Una volta sottoscritto dai creditori richiesti, l’accordo viene depositato in tribunale con ricorso per l’omologazione. Qui l’avvocato del debitore assume il ruolo di attore nel procedimento, molto simile a quello del concordato ma di solito meno conflittuale. Il tribunale fissa udienza (entro 4 mesi) e nel frattempo può concedere misure protettive come il divieto di azioni esecutive e cautelari o la sospensione delle esistenti (art. 58 CCI). L’avvocato naturalmente ha chiesto queste misure nel ricorso: servono a congelare la situazione durante i mesi di attesa dell’omologa, impedendo che un creditore estraneo faccia pignoramenti e vanifichi l’accordo. Il giudice può nominare un ausiliario (spesso lo stesso attestatore) per fare una relazione sul rispetto dei requisiti. Se l’accordo coinvolge banche o pubbliche amministrazioni, viene notificato a Banca d’Italia o a MEF.

All’udienza, l’avvocato del debitore rappresenta l’istanza di omologa. I creditori estranei (non firmatari) hanno diritto di comparire per opporsi. Ecco un punto cruciale: mentre i firmatari ovviamente non si oppongono (sono consenzienti e vincolati), chi non ha aderito può contestare l’omologa se ritiene di essere pregiudicato. Ad esempio, un creditore estraneo può dire: “Non ho firmato e il piano prevede di pagarmi entro 120 giorni ma dubito che lo faranno”, oppure “il debitore non mi paga integralmente, quindi l’accordo non rispetta la legge” (questo non dovrebbe succedere perché condizione di omologa è pagare gli estranei integralmente salvo efficacia estesa). Oppure ancora, un creditore pubblicocon il 5% del debito totale (dunque non necessario per soglia) può opporsi lamentando disparità. L’avvocato del debitore risponde a queste opposizioni e cerca di convincere il tribunale che l’accordo soddisfa i requisiti: i creditori estranei avranno integrale soddisfazione nei termini, l’attestazione lo conferma, e comunque l’accordo è più vantaggioso del fallimento (quest’ultimo aspetto è richiesto se ci sono creditori estranei e l’accordo ha moratorie lunghe per loro: bisogna dimostrare che anche per loro è conveniente aspettare piuttosto che incassare poco in un fallimento).

Ruolo dell’avvocato per i creditori nell’accordo: i creditori aderenti di solito hanno i propri legali che li hanno assistiti in fase negoziale nel valutare e contrattare l’accordo (specialmente banche e bondholders ingaggiano studi legali per due diligence e redazione di eventuali accordi accessori come nuovi contratti di finanziamento, patti di subordinazione, etc.). Una volta firmato, quegli avvocati monitorano la fase di omologa per assicurarsi che non vi siano modifiche a loro insaputa. I creditori estranei invece, se ritengono l’accordo sfavorevole, possono nominare un avvocato per fare opposizione in tribunale. L’avvocato del creditore estraneo esamina la pratica cercando se l’accordo viola qualche diritto: ad esempio, se è un creditore ipotecario estraneo, deve comunque essere pagato al 100% per legge; ma magari contesta i tempi (120 giorni troppo lunghi? Il giudice li ritiene equi), o contesta la valutazione dell’immobile dato in garanzia (se l’accordo gli promette di pagarlo vendendo l’immobile, lui vuole garanzie su come verrà fatto). Queste opposizioni raramente impediscono l’omologa se l’accordo è ben costruito, però l’avvocato di quell’estraneo può ottenere eventuali chiarimenti o impegni aggiuntivi in sede di udienza.

Esecuzione dell’accordo e chiusura: dopo l’omologa (che viene pubblicata e vincola tutti i sottoscrittori e produce eventuali effetti estesi), il debitore deve eseguire le prestazioni previste. L’avvocato può assisterlo predisponendo gli atti necessari (nuovi contratti di finanziamento, costituzione di garanzie promesse nell’accordo, etc.). Se il debitore non adempie agli obblighi, i creditori possono agire esecutivamente secondo i normali rimedi contrattuali; non c’è una procedura concorsuale da risolvere o altro, è un contratto omologato. In caso di problemi, il tribunale può su istanza revocare l’omologa (es. se scopre che è stata dolosamente occultata una parte di debito per ottenere le soglie). Il Codice prevede anche la possibilità per il debitore di modificare l’accordo prima dell’omologa se emergono fatti nuovi (art. 58 c.4 CCI) o di rinegoziarlo dopo omologa se alcuni creditori non sono soddisfatti (art. 59 CCI permette di concludere accordi integrativi con creditori estranei che poi sono omologati anch’essi). L’avvocato si occupa anche di queste eventuali varianti.

Accordi e composizione negoziata: spesso gli accordi di ristrutturazione vengono utilizzati in combinazione con la composizione negoziata. Molte imprese avviano la composizione negoziata, ottengono protezione e poi, con l’aiuto dell’esperto, riescono a farsi firmare un accordo dalla maggioranza dei creditori. A quel punto, l’esito può essere formalizzato come accordo di ristrutturazione da omologare. Il D.L. 118/2021 e il correttivo 2022 hanno introdotto l’accordo di ristrutturazione agevolato e altre norme proprio per favorire questa sinergia: si accetta soglia ridotta del 30% e si prevede addirittura un bonus per l’esperto se conduce a un accordo (un aumento del suo compenso ex art. 25-ter lett. b CCI nel caso l’esito delle trattative sia un accordo di ristrutturazione concluso). Per l’avvocato ciò significa avere a disposizione più flessibilità: può negoziare anche solo con pochi creditori confidando nell’accordo agevolato, sapendo però di dover assicurare i pagamenti integrali agli altri.

Ruoli riassuntivi dell’avvocato negli accordi di ristrutturazione:

  • Consulente del debitore: negozia i termini con i creditori (spesso organizzando tavoli con gruppi di creditori, predisponendo NDA – accordi di riservatezza – per scambio informazioni, poi term sheet e bozze contrattuali), coordina con l’attestatore, assicura soglia e requisiti di legge, redige il testo dell’accordo e le clausole legali (condizioni sospensive, risolutive, eventuale efficacia estesa etc.), prepara e deposita il ricorso per omologazione, rappresenta il debitore in tribunale contro eventuali oppositori.
  • Consulente dei creditori aderenti: un creditore importante non firmerà l’accordo senza farlo visionare dal suo legale. L’avvocato del creditore può proporre modifiche per tutelarlo (es: se l’azienda promette una nuova ipoteca, far inserire clausole di come e quando verrà iscritta; oppure se c’è efficacia estesa chiederà che i suoi eventuali coobbligati siano liberati allo stesso modo degli altri firmatari). Quindi contrattazione.
  • Difensore dei creditori non aderenti: presenta opposizione all’omologa se ravvisa pregiudizi.
  • Attestatore (se avvocato): raramente avvocati fanno attestazioni, di solito è compito di commercialisti o esperti contabili, perché serve competenza sui numeri. Però nulla vieta che un avvocato con competenze aziendali e iscritto all’albo dei gestori sia nominato come attestatore (purché soddisfi i requisiti di indipendenza). In tal ruolo, come già accennato, l’avvocato deve redigere la relazione giurata analizzando il piano e i flussi.
  • Legale del nuovo finanziatore: spesso l’accordo include l’erogazione di nuova finanza da parte di soggetti terzi o anche da creditori esistenti (c.d. finanza interinale o finanza a esecuzione dell’accordo). Tali finanziamenti hanno privilegio prededucibile se l’accordo è omologato. L’avvocato che assiste il finanziatore redigerà il contratto di finanziamento, curerà di ottenere l’autorizzazione del tribunale (se serve prima dell’omologa) e l’inserimento nelle bozze di accordo di clausole di prededuzione (che faranno parte della documentazione depositata in tribunale).
  • Liquidatore delle attività (eventuale): se l’accordo prevede la cessione di beni sotto controllo di un organismo di controllo (come succedeva in alcune transazioni con l’erario, dove un commissario vigilava), un avvocato potrebbe essere nominato come tale. Non è la regola (non c’è una figura specifica come nel concordato), ma le parti possono ad esempio nominare un agente per l’esecuzione dell’accordo, ruolo che può essere affidato ad un professionista avvocato se di fiducia di tutti.
  • Giudice indipendente (ruolo ausiliario): l’avvocato può trovarsi a rappresentare l’interesse pubblico in casi specifici: ad esempio, il tribunale potrebbe nominare un esperto indipendente per valutare se l’accordo è equo per i creditori estranei. Questo è più tipico del concordato, ma in passato alcuni tribunali nominavano un professionista per relazione su transazioni fiscali. L’avvocato con competenze economiche può essere scelto per queste perizie terze.

Piani attestati di risanamento

Il piano attestato di risanamento (detto anche piano di risanamento asseverato) è uno strumento totalmente stragiudiziale previsto dall’art. 56 CCI, che consente all’imprenditore in crisi o insolvenza di tentare il risanamento sulla base di un piano elaborato unilateralmente, che non richiede l’adesione di soglie di creditori né l’intervento del tribunale, ma che per avere efficacia protettiva deve essere asseverato (“attestato”) da un professionista indipendente e pubblicato nel registro delle imprese. In sostanza, il piano attestato è un workout privatistico: il debitore propone ai suoi creditori certe manovre di ristrutturazione (ad esempio nuova finanza, rimodulazione debiti per via contrattuale con chi accetta) e lo porta avanti con chi ci sta, senza imposizioni giudiziali. Non ha gli effetti vincolanti di concordati o accordi: ogni creditore è libero di aderire o meno. Tuttavia, il legislatore riconosce un beneficio importante a chi segue questa strada virtuosa: gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione di un piano attestato di risanamento idoneo a garantire il risanamento dell’impresa e il suo equilibrio finanziario non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare. Ciò significa che, se anche poi l’impresa dovesse fallire, non verranno revocati i pagamenti fatti ai creditori secondo quel piano, né le garanzie concesse sui nuovi finanziamenti del piano, ecc., a differenza di quanto accadrebbe normalmente per atti sotto data.

Ruolo dell’avvocato nella predisposizione del piano attestato: la natura contrattuale e flessibile di questo strumento fa sì che l’avvocato abbia un ruolo leggermente diverso: qui non c’è un processo da gestire né percentuali di voto da raggiungere. È più un attività di consulenza e negoziazione individuale. In particolare, l’avvocato:

  • Analizza l’ambito di applicabilità: Un piano attestato è utile se l’impresa ha prospettive di risanamento reali e soprattutto se il numero di creditori è gestibile senza bisogno di imporre il sacrificio a maggioranze. L’avvocato valuta quindi se il piano può ragionevolmente ottenere l’adesione spontanea dei principali creditori. Ad esempio, per un’azienda con pochi creditori concentrati, il piano attestato può funzionare bene (si contratta con ciascuno separatamente). Per un’azienda con migliaia di piccoli creditori, è impraticabile (meglio un concordato).
  • Elabora la strategia di risanamento con l’imprenditore e i consulenti finanziari: trattandosi di un piano, spesso molto dettagliato, il contributo legale riguarda soprattutto la parte di ristrutturazione del debito. L’avvocato affianca il CFO o consulente aziendale nel definire come ridurre/rateizzare i debiti verso ciascun creditore: alcune posizioni si risolveranno pagando integralmente col tempo (magari grazie a nuovi apporti), altre potrebbero richiedere accordi di stralcio individuali. L’avvocato cura la predisposizione di eventuali accordi transattivi individuali con creditori per dare attuazione al piano: ad esempio, stende le scritture private in cui un fornitore accetta il 70% a saldo e stralcio se riceve pagamento entro 6 mesi; o scrive accordi di moratoria con banche sui mutui (sospensione rate per tot tempo). A differenza dell’accordo di ristrutturazione ex art. 57, qui non c’è soglia 60%: i creditori non devono aderire formalmente ad un unico documento. Ognuno potrà concordare o meno bilateralmente modifiche delle proprie condizioni. E il piano in sé può anche prevedere di pagare alcuni del tutto e falcidiare altri solo parzialmente (purché questi altri abbiano manifestato consenso contrattuale, altrimenti il piano dovrà considerare di pagare quelli che non aderiscono secondo i termini originali, altrimenti rischia il default).
  • Coordinamento con l’attestatore: come per gli accordi, serve una relazione di un indipendente. L’art. 56 CCI precisa i presupposti di ammissibilità e i requisiti del piano. Ad esempio, il piano è riservato all’imprenditore (anche agricolo o minore) in crisi o insolvente; dottrina e prassi dibattono se l’imprenditore agricolo (non fallibile) possa farlo – molti dicono di sì, come l’interpretazione estensiva che “tutti gli imprenditori senza distinzione” possono farlo. L’avvocato esamina la lettera della norma e, come evidenzia Catalano (2022), tende a confermare che nessuna limitazione è posta dal tenore letterale, quindi anche un imprenditore agricolo o sotto soglia può fare piani attestati. Questo è importante, perché soggetti non fallibili come agricoltori e piccoli imprenditori trovano nel piano attestato (e ora anche nel concordato minore) uno strumento a loro disposizione. L’avvocato quindi può consigliarlo a quelle categorie, smentendo l’idea che fosse riservato ai “fallibili”. Inoltre, collabora strettamente con l’attestatore per fornirgli tutti gli elementi per giudicare l’idoneità del piano. Il professionista indipendente deve attestare due cose fondamentali: la veridicità dei dati aziendali e il fatto che il piano è idoneo a portare al risanamento (vale a dire a sanare l’esposizione e riequilibrare la situazione finanziaria). L’avvocato predispone una “data room” con i documenti chiave (bilanci, situazione debiti, eventuali contratti pre-lavorati con creditori) e l’elenco completo dei creditori interessati e di quelli estranei. L’indipendente spesso è un commercialista, ma il legale può assisterlo nel comprendere qualche pendenza legale che incide sul piano (ad es. cause legali in corso che potrebbero generare debiti futuri: l’attestatore deve valutarle).
  • Formalità di pubblicazione: il piano e l’attestazione, per avere efficacia protettiva (clausola di esenzione revocatoria), devono essere pubblicati nel registro delle imprese. L’avvocato cura il deposito (anche qui è via PEC alla CCIAA, con i form annunci di legge). Pubblicando il piano, esso può diventare conoscibile (ma molte volte il piano può essere sintetizzato in un documento riassuntivo pubblicato, per non divulgare segreti industriali – questo con accordo del conservatore del registro se lo consente). L’avvocato sta attento alle tempistiche: la pubblicazione deve avvenire prima di compiere gli atti che si vogliono proteggere da revocatoria (non è chiaro se la norma lo richiede esplicitamente, ma per prudenza si pubblica subito, così eventuali pagamenti fatti successivamente sono protetti ex art. 56).

Esecuzione del piano e monitoraggio: una volta attestato e avviato, il piano attestato di risanamento viene eseguito dall’impresa come da programmazione. Non c’è un commissario né un giudice delegato. Di solito i creditori che hanno aderito pretendono comunque una qualche forma di monitoraggio: spesso l’accordo con le banche prevede che l’azienda fornisca report periodici sui progressi del piano e che magari l’attestatore (o altro advisor) faccia follow-up. L’avvocato può essere coinvolto in eventuali aggiustamenti: se alcune parti del piano non si realizzano (es. vendita di un immobile a un certo prezzo non avviene), il legale può negoziare con i creditori modifiche ai loro accordi per supplire (es. convincere le banche a prorogare ulteriormente le scadenze se vedono l’impegno dell’azienda serio).

Ruolo difensivo in caso di fallimento successivo: se malauguratamente il risanamento fallisce e l’azienda finisce in liquidazione giudiziale, il piano attestato precedentemente svolto potrà proteggere – come detto – atti e pagamenti eseguiti in esecuzione di esso. Tuttavia, è spesso compito dell’avvocato difendere questa protezione di fronte al curatore che magari tenta ugualmente la revocatoria. Ad esempio, un curatore può dubitare che quel pagamento a un fornitore fosse davvero esecuzione del piano attestato e citarlo in revocatoria. Il fornitore convenuto (che pagare l’avvocato) risponderà che c’era un piano pubblicato e quell’incasso è incluso – l’avvocato mostrerà il piano, la pubblicazione, la lettera di attestazione, per far rigettare la revocatoria. Oppure il curatore potrebbe eccepire che il piano in realtà non era “idoneo a risanare” e quindi non merita l’esenzione (questo è un punto controverso: teoricamente se l’attestazione c’era e gli atti erano coerenti col piano, l’esenzione dovrebbe valere; ma alcuni curatori litigiosi provano comunque a sostenere che il piano era inadeguato). L’avvocato dovrà far valere la presunzione di validità data dall’attestazione e che il Codice non richiede che il risanamento sia poi effettivamente avvenuto, ma solo che il piano fosse idoneo secondo giudizio ex ante indipendente.

Confronto con altre procedure e ruolo del legale: il piano attestato è lo strumento più snello ma anche più fragile, perché privo di “forza di legge” verso i non aderenti e privo di tutela giudiziale in caso di inadempimenti. L’avvocato deve quindi valutarne bene l’utilizzo. Spesso risulta utile come complementare: ad esempio, all’inizio di una composizione negoziata, l’esperto può consigliare di formulare un piano attestato da sottoporre alle banche, che se accettato rende inutile la procedura formale. Oppure, se la soglia di adesione per un accordo di ristrutturazione non si raggiunge, il debitore può comunque realizzare un piano attestato con gli accordi individuali incassati e depositarlo come “ripiego” (anche se in tal caso senza soglia del 60% non potrà avere misure protettive, ma avrà comunque protezione su atti compiuti). L’avvocato è la figura che orienta tra questi scenari.

Esempio: un’impresa di servizi con debiti diffusi e asset limitati potrebbe decidere un piano attestato: l’avvocato negozia riduzioni di canone di locazione con il proprietario, ottiene dalle banche una moratoria di 2 anni sui mutui (formalizzata in scrittura privata), concorda con i fornitori chiave un pagamento parziale con cambiali (che poi onorerà) e con alcuni creditori minori decide di pagarli integralmente subito per toglierli di mezzo. Mette tutto ciò in un piano, un professionista assevera che con queste misure e con i nuovi contratti di servizio acquisiti l’azienda potrà tornare in bonis in 1 anno. Il piano è pubblicato e l’azienda lo segue. L’avvocato resta a fianco per eventuali formalità (es. se serve rinnovare cambiali, ecc.) e per salvaguardare il cliente se qualcuno cambia idea (es. se un fornitore, nonostante avesse accettato lo stralcio, tenta di recuperare il resto, l’avvocato gli opporrà la transazione firmata).

Conclusione sui piani attestati: il ruolo del legale qui è meno litigator e più problem solver contrattuale. Deve possedere però conoscenze trasversali: un po’ di diritto fallimentare (per sapere come garantire l’esenzione da revocatoria, come definire “atto in esecuzione del piano”), di diritto societario (spesso i piani comportano operazioni straordinarie, es. aumenti di capitale, trasformazioni – l’avvocato le struttura), e di tecnica contrattuale (patti intercreditor, garanzie collateral, ecc.).

Esempi pratici nei principali settori economici

Per illustrare in modo concreto l’operato dell’avvocato nelle situazioni di crisi, esaminiamo di seguito alcune simulazioni pratiche in differenti settori economici. Ogni settore presenta infatti caratteristiche particolari quanto a tipologia di debiti, asset, interlocutori e normative speciali, che influenzano la scelta degli strumenti concorsuali o preconcorsuali e il lavoro del legale.

Settore industriale (manifatturiero): Caso pratico: una società manifatturiera metalmeccanica (100 dipendenti) subisce un calo di commesse e accumula debiti verso fornitori (materie prime) e banche (mutuo per capannone e scoperto di cassa). L’azienda vede la crisi arrivare ma ha ancora mercati di sbocco potenziali. Intervento dell’avvocato: inizialmente agirà in ottica preventiva: consiglia all’imprenditore di non aggravare la situazione, ad esempio sconsigliando di fare pagamenti preferenziali a qualche fornitore mettendone in difficoltà altri (atti che potrebbero poi essere revocati) e di avviare invece un confronto coordinato con tutti i creditori principali. Viene valutato il ricorso alla composizione negoziata: tramite la Camera di Commercio si nomina un esperto (un commercialista) e l’avvocato prepara l’istanza e il piano di risanamento da discutere. L’avvocato è presente ai tavoli con le banche, proponendo ad esempio la moratoria dei debiti bancari per 12 mesi e nuova finanza garantita dallo Stato (se ci sono strumenti come il Fondo centrale). Con i fornitori negozia consegne a “pagamento alla consegna” per non accumulare altro arretrato e propone un rientro graduale dei debiti pregressi con percentuale di taglio (es. 80% in 2 anni). Durante le trattative, emerge che serve alleggerire la struttura aziendale: l’avvocato assiste l’impresa anche nel dialogo con i sindacati per un eventuale contratto di solidarietà o cassa integrazione straordinaria (questioni giuslavoristiche intrecciate alla crisi, in continuità produttiva). Raggiunto un accordo di massima con creditori chiave, l’avvocato struttura un accordo di ristrutturazione: fa firmare alle banche l’adesione (magari un 70% di loro è d’accordo, quindi supera il 60% richiesto), fa aderire i fornitori principali che rappresentano un altro 15%. Con l’aiuto dell’attestatore, prepara la documentazione e chiede al tribunale l’omologa – nel frattempo ottiene dal tribunale il blocco dei decreti ingiuntivi dei fornitori dissenzienti. Dopo 2 mesi, il tribunale omologa l’accordo e l’azienda ha nuova liquidità (le banche forniscono €500k aggiuntivi garantiti, i fornitori rinunciano al 20% dei loro crediti). L’avvocato ora vigila sull’esecuzione: se, poniamo, a metà percorso una banca minaccia di revocare i fidi per nuove tensioni, l’avvocato richiama la banca all’accordo omologato (che la vincola a mantenere le linee come da patti, salvo risoluzione per inadempimento del debitore) e cerca di scongiurare reazioni a catena. Sintesi ruolo legale: nel manifatturiero spesso la crisi coinvolge banche, fornitori e lavoratori in misura significativa. L’avvocato deve destreggiarsi tra normative bancarie (contratti di loan, garanzie, eventuali pegni su magazzino), contratti di fornitura (penali per ritardi, etc.), e diritto del lavoro (per esuberi o ammortizzatori). Inoltre, le imprese industriali spesso hanno beni in garanzia (macchinari leasingati, ipoteche sul capannone): l’avvocato deve considerare anche eventuali leasing e rapporti con società di leasing (che magari non partecipano agli accordi di ristrutturazione e vanno trattate a parte – es. ottenendo dilazioni con accordi bilaterali su quei contratti). Se la composizione negoziata non fosse riuscita, l’alternativa poteva essere un concordato preventivo in continuità: l’avvocato era pronto anche a quell’opzione, predisponendo un piano di concordato con continuità diretta (l’azienda continua a produrre e i creditori vengono soddisfatti col cash flow e con eventuali dismissioni non strategiche). In tal caso, avrebbe gestito il voto di molti fornitori (i dipendenti sarebbero privilegiati e pagati per lo più integralmente), ottenendo magari l’appoggio di banche e la classe fornitori convinta dal fatto che l’azienda prosegue (preferiscono prendere 80% a rischio di impresa viva che 20% in fallimento).

Settore dei servizi (commercio/IT/consulenza): Caso pratico: una società di servizi informatici perde il suo cliente principale e si trova con contratti di locazione e personale sovradimensionati. Ha debiti soprattutto fiscali (IVA non versata negli ultimi trimestri) e verso l’erario. Pochi debiti bancari, tanti contratti di locazione di attrezzature. Intervento dell’avvocato: qui la crisi è più “soft” (problema di calo fatturato) ma i debiti tributari sono ingenti. L’avvocato suggerisce come prima cosa di utilizzare le segnalazioni di allerta esterna come leva: l’azienda riceve infatti una segnalazione dall’Agenzia Entrate per IVA non pagata €50.000 (oltre soglia 10% del volume d’affari). L’avvocato aiuta a predisporre in 90 giorni un piano attestato di risanamento: coinvolge un attestatore, stende un piano dove l’imprenditore si impegna a reperire soci finanziatori (magari un investitore interessato ad entrare in società) e a tagliare i costi (restituendo parte delle attrezzature in leasing, riducendo il personale con accordi bonari). Il piano mostra che riducendo la struttura ai minimi e trovando €30.000 da soci, in due anni l’impresa può rientrare dei debiti IVA con rateizzazione straordinaria. L’attestatore conferma l’idoneità; l’avvocato chiede subito (parallelamente) all’Agente della Riscossione una rateazione in 72 rate del debito IVA e contributi, ottenendola (questo è possibile anche fuori da procedure concorsuali). Con il piano attestato pubblicato, l’azienda esegue: l’investitore versa i €30k, il Fisco incassa le prime rate, alcuni contratti di locazione vengono chiusi (il legale negozia con i fornitori la restituzione anticipata dei beni con penale minima). Dopo un anno l’azienda ha trovato nuovi clienti e sta rispettando la rateizzazione. L’avvocato ha svolto qui un ruolo da “consulente di ristrutturazione light”: non c’è stato bisogno di tribunale, ma grazie alla norma sul piano attestato il management ha avuto un framework credibile da presentare ai creditori. In parallelo, l’avvocato ha dovuto maneggiare la transazione col personale: alcuni dipendenti in esubero sono stati licenziati con accordo economico (il legale ha steso i verbali di conciliazione in DTL) utilizzando anche fondi stanziati dall’investitore per questo scopo. Spesso nel terziario i costi del personale sono la voce principale: l’avvocato qui interseca il diritto fallimentare con il diritto del lavoro, assicurando che i trattamenti dei dipendenti siano equi e prevenendo possibili cause di lavoro (che aggraverebbero il debito). Se il piano attestato non fosse bastato – poniamo che l’investitore non arrivi – l’alternativa sarebbe stata un concordato preventivo con continuità indiretta: l’avvocato avrebbe potuto strutturare la cessione dell’azienda informatica ad una nuova società (magari dell’imprenditore con nuovi soci) nell’ambito di un concordato in cui i ricavi della cessione sarebbero andati a pagare i creditori. In tal caso, avrebbe predisposto un bando per sollecitare offerte concorrenti (come richiede il Codice per massimizzare valore) e definito come trasferire i contratti dei dipendenti (nel concordato, i lavoratori passano con l’azienda all’acquirente mantenendo tutele, e i loro TFR maturati fino alla cessione sono debiti prededucibili). Notevole qui il ruolo del legale nel tenere insieme la dimensione contrattuale e quella concorsuale, assicurando che la nuova società subentrante abbia i requisiti (anche ai sensi art. 2112 c.c. per il passaggio dipendenti).

Settore edile (costruzioni): Caso pratico: un’impresa di costruzioni generali ha in corso vari cantieri pubblici e privati, ma subisce la crisi del settore (aumento costi materiali, ritardi pagamenti PA). Accumula debiti verso subappaltatori e fornitori edili, oltre che esposizioni bancarie su anticipazioni. Inoltre, alcuni committenti minacciano di rescindere i contratti per i ritardi. Intervento dell’avvocato: il settore edilizio è complesso perché coinvolge contratti pubblici (appalti) e garanzie (fideiussioni assicurative a garanzia della buona esecuzione). L’avvocato specializzato in crisi d’impresa ed appalti viene coinvolto. In prima battuta, verifica se ci sono gli estremi per la composizione negoziata: visto che i contratti pubblici rischiano decadenza se l’impresa fallisce, la composizione negoziata può far leva sullo strumento particolare del concordato con continuità aziendale nei contratti pubblici (l’art. 120 CCI e seguenti disciplinano la possibilità che l’impresa in concordato continui gli appalti pubblici previa autorizzazione della stazione appaltante). L’avvocato spiega all’imprenditore che presentare un concordato (o accordo) in continuità consente di non decadere automaticamente dagli appalti (cosa che invece avverrebbe col fallimento). Intavola dunque un confronto con l’ente appaltante principale: ottiene dalla stazione appaltante la disponibilità a non risolvere i contratti se l’impresa attiva un concordato preventivo e garantisce la prosecuzione dei lavori (magari facendo entrare un investitore nel concordato). Parallelamente, nei rapporti privati, l’avvocato gestisce i subappaltatori arrabbiati: in un meeting illustrativo, chiarisce che è in corso una procedura concorsuale di concordato e che i loro crediti saranno in parte soddisfatti lì, ma li invita a proseguire i lavori intanto perché altrimenti tutti perderebbero di più. Spesso in edilizia occorre un approccio mediatorio forte: l’avvocato quasi con funzione conciliativa, magari coinvolgendo le associazioni di categoria (ANCE, etc.), per far capire ai subfornitori che conviene supportare il piano invece di agire individualmente. Si prepara dunque un concordato preventivo misto: continuità sui cantieri importanti, liquidazione di asset immobiliari non strategici (es. alcuni terreni in portafoglio) per fare cassa. L’avvocato predispone classi di creditori: i subappaltatori e fornitori di cantiere in una classe dedicata (promettendo loro una percentuale di pagamento migliore grazie alla continuità, per ottenerne il voto favorevole), le banche con ipoteche su immobili in altra classe (verranno soddisfatte vendendo quei immobili), gli altri chirografari generici in una terza classe. Durante l’adunanza, l’avvocato è pronto a esibire la lettera della stazione appaltante che conferma la volontà di proseguire il contratto con l’azienda in concordato: ciò tranquillizza i creditori che c’è valore generabile. Ottiene il voto maggioritario delle prime due classi; la terza magari vota contro, ma grazie all’unanimità delle altre e al rispetto del best interest test per la terza, l’avvocato chiede il cram down interclassi: il tribunale, vista la convenienza, omologa nonostante la terza classe contraria. In parallelo, l’avvocato interagisce con le compagnie assicurative che hanno emesso le fideiussioni (per lavori pubblici, di solito un’assicurazione garantisce la performance bond). Deve rassicurarle che il concordato in continuità permetterà di portare a termine i lavori ed evitare escussioni delle garanzie; magari concorda con loro di mantenere attive le fideiussioni a patto che nel concordato l’assicurazione sia trattata come creditore condizionato (se pagherà a seguito di escussione, subentrerà surrogandosi, etc.). Spesso le compagnie minacciano di escutere anticipatamente quando sentono odore di insolvenza; l’avvocato può con un provvedimento protettivo bloccare l’escussione ingiustificata. Una volta omologato il concordato, i lavori riprendono regolarmente, l’impresa finisce i cantieri con l’ausilio di un commissario giudiziale (o del liquidatore giudiziale per la parte liquidatoria) nominato dal tribunale. L’avvocato rimane per assistere nei contratti di cessione dei beni e nella chiusura dei rapporti pendenti (ad esempio, i contratti d’appalto privati minori l’impresa li cede a terzi con l’autorizzazione del giudice, e il legale prepara questi atti). Specificità del settore: l’edilizia comporta un alto grado di interazione con normative speciali: Codice degli Appalti pubblici, disciplina delle garanzie e subappalti, intervento eventuale di Cassa Edile (crediti dei lavoratori in cantiere garantiti), etc. Il ruolo dell’avvocato qui non è solo fallimentare ma di project management legale sul cantiere. A volte la miglior soluzione può essere la vendita dell’azienda o rami d’azienda: l’avvocato può trovare un general contractor disposto a rilevare alcuni cantieri con la manodopera, implementando un concordato con continuità indiretta (cedo i contratti e i dipendenti ad Alfa Costruzioni S.p.A., la quale continua i lavori, e la mia società in concordato paga i debiti pregressi coi proventi della cessione e incassi residui). Questo evita di gettare al vento progetti avviati e, con l’assenso delle stazioni appaltanti, può salvare il valore di avviamento. L’avvocato deve però predisporre tutti gli atti di trasferimento in conformità a legge e, se riguardano appalti pubblici, seguire la procedura di autorizzazione (art. 120 CCI richiede il nulla osta dell’ente per trasferire il contratto a terzi o continuare con nuovo assetto).

Settore agricolo: Caso pratico: un’azienda agricola vitivinicola familiare accumula debiti dopo alcune annate di maltempo. Ha ipoteche su terreni per mutui bancari e debiti con fornitori di attrezzature agricole. Storicamente l’imprenditore agricolo non era soggetto a fallimento; oggi può accedere alle procedure di sovraindebitamento (concordato minore o liquidazione controllata). Intervento dell’avvocato: valuta che i debiti (es. €300k) superano la capacità di rimborso normale dell’azienda ma c’è margine di ristrutturazione (ad esempio vendendo un terreno marginale e concentrandosi sui vigneti migliori). Propone quindi un concordato minore (procedura simile al concordato preventivo ma dedicata a debitori “non fallibili”). Prepara un piano dove la famiglia cede 5 ettari di terreno per incassare €200k e offre ai creditori chirografari il 40% in 4 anni grazie a questi fondi più utili futuri. Nel concordato minore, i creditori votano per classi se previste ma con regole semplificate (e c’è l’OCC – Organismo di Composizione della Crisi – che aiuta, come da ex legge 3/2012). L’avvocato interagisce con l’OCC nominato dalla Camera di Commercio; prepara la proposta e la deposita. I creditori (banche e fornitori) votano e il tribunale omologa se c’è maggioranza (qui contano anche le teste se sotto 50 creditori, diversamente dal concordato grande). L’avvocato in pratica segue lo schema del concordato però in scala ridotta e con alcune tutele sociali (ad esempio l’azienda agricola come patrimonio può essere protetta se di rilevante interesse? Il Codice prevede per i consumatori la salvaguardia di beni essenziali; qui no specifico, ma l’avvocato può contrattare con la banca per non espropriare la casa colonica, magari facendola rilevare da un parente e locandola all’azienda). L’elemento chiave: far capire alla banca che un fallimento agricolo porterebbe a una liquidazione controllata (procedura di sovraindebitamento liquidatoria) con esiti peggiori per tutti. Quindi convincere sul concordato minore. Se invece la situazione fosse troppo compromessa, l’avvocato assisterebbe la famiglia in una liquidazione controllata del sovraindebitato (ex “fallimento civile”): depositerebbe l’istanza al tribunale nominando un gestore, vendendo i beni e poi chiedendo l’esdebitazione di famiglia a fine procedura (anche qui possibile, liberandoli dai debiti residui). Anche nel mondo agricolo, l’avvocato deve conoscere specificità: p.es. i privilegi agrari (crediti per forniture agricole hanno privilegio sui prodotti e strumenti, diversi da quelli industriali) e la normativa che escludeva gli agricoltori dal fallimento (ormai superata per meccanismi di sovraindebitamento). Un altro strumento usato in agricoltura è la composizione negoziata: il D.L. 118/2021 ha aperto la composizione negoziata anche alle imprese agricole. L’avvocato l’avrebbe potuta attivare, con un esperto nominato che magari aiuta a trovare un accordo con banche e consorzi agrari. L’esperienza reale mostra già casi di aziende vinicole salvate con composizione negoziata e investitori entrati per ricapitalizzare. Il legale in quel caso orchestrerebbe il passaggio di quote e la definizione di accordi con i creditori col cappello dell’esperto (ottenendo protezione nel frattempo per prevenire esecuzioni sui terreni o sui macchinari).

Altri settori (“ecc.”): potremmo citare brevemente il settore del commercio al dettaglio (es. catene di retail): le crisi retail coinvolgono tipicamente affitti di negozi (contratti locazione da risolvere o ridurre), stock di magazzino da liquidare e personale part-time. L’avvocato qui spesso gestisce concordati liquidatori con esercizio provvisorio per vendite di fine stock, con accordi con i locatori per chiudere i contratti (magari rinunciando ai canoni arretrati in cambio della liberazione rapida). O il settore dei servizi pubblici locali (aziende rifiuti, trasporti): qui ci sono normative che addirittura escludono il fallimento di concessionari essenziali, ma il Codice Crisi prevede per essi procedure ad hoc, e l’avvocato di enti pubblici e società miste deve valutare soluzioni come l’amministrazione straordinaria speciale o l’affitto d’azienda in concordato per garantire continuità del servizio (es. societa trasporto pubblico locale in concordato, si affitta a nuova società di scopo dei soci pubblici e i crediti in concordato sono pagati col ricavato). Ogni contesto porta quindi sfide peculiari, e l’avvocato deve adattare gli strumenti generali alle esigenze specifiche.

Tabelle riepilogative delle procedure concorsuali

Per avere una visione comparativa, riportiamo una tabella riepilogativa dei principali istituti concorsuali e delle loro caratteristiche, con il ruolo del legale in evidenza:

Procedura concorsualeObiettivoChi la avviaCondizioniRuolo dell’avvocato (in sintesi)Esiti e tempi
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)Liquidare il patrimonio del debitore insolvente e distribuire il ricavato ai creditori secondo le prelazioni.– Debitore (autofallimento) – Creditore (istanza di fall.) – P.M. (casi particolari)Insolvenza accertata; debitore impresa commerciale non piccola (fallibile).– Rappresenta il creditore istante nel procedimento di apertura.– Difende il debitore all’udienza, richiedendo soluzioni alternative (concordato) o contestando insolvenza.– Assiste il debitore poi durante la procedura (interrogatorio, reclami, istanza di esdebitazione).– Presenta domande d’insinuazione per creditori e li tutela in caso di contestazioni (opposizioni allo stato passivo, impugnazioni dei riparti).– Se nominato curatore, gestisce la liquidazione e avvia azioni legali per la massa (revocatorie, responsabilità), spesso appoggiandosi a colleghi per il patrocinio in giudizio.– Se coinvolto come difensore di convenuti in azioni del curatore (es. amministratori citati), li rappresenta in tribunale.– Cura atti finali: proposta di concordato fallimentare (se il debitore ne fa), chiusura e istanza di esdebitazione del fallito.Durata: in media 5 anni, ma il Codice spinge per ridurre i tempi (obbiettivo <3 anni).– Esito: chiusura per riparto finale o insufficienza attivo; possibile concordato liquidatorio durante la procedura (se un terzo propone acquisto beni e pagamento % creditori).– Debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione (fresh start); società viene cancellata.
Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio)Evitare la liquidazione giudiziale mediante un accordo con i creditori su un piano di ristrutturazione o liquidazione da attuare sotto controllo del tribunale.– Debitore (istanza volontaria; poss. con riserva per termine).Crisi o insolvenza del debitore; proposta che assicuri ai creditori una soddisfazione non inferiore alla liquidazione fallimentare; se liquidatorio puro, richiesta soglia 20% chirografari (salvo apporti esterni).– Consiglia la procedura adatta (continuità vs liquidatorio) e predispone il piano concordatario con dettaglio giuridico (classi, trattamento crediti, eventuale impatto su soci).– Deposita il ricorso (anche “in bianco”) e ottiene misure protettive per bloccare azioni esecutive.– Coordina con attestatore la relazione di fattibilità e con eventuali nuovi investitori (es. offerte concorrenti) da includere.– Negozia con creditori chiave prima del voto, modulando classi e garanzie per ottenere consenso (es. definisce accordi di stand-by con banche, patti con fornitori essenziali).– Rappresenta il debitore all’adunanza dei creditori, rispondendo a domande e convincendo gli incerti.– Gestisce eventuali opposizioni in sede di omologa, difendendo la convenienza del piano e chiedendo omologa nonostante dissensi (cram-down).– Assiste nell’esecuzione post-omologa: contratti di cessione beni, atti societari (es. aumento capitale se previsto), vigilanza sui pagamenti ai creditori secondo il piano.– Se commissario giudiziale (avv.): vigila ed evidenzia ai creditori ogni criticità (dovere di disclosure); redige parere per il tribunale su omologa; gestisce l’adunanza e raccoglie i voti; segnala atti di frode se scoperti (ciò può causare stop del concordato).Durata: circa 6-12 mesi per l’omologazione (il Codice impone max 12 mesi dall’istanza all’omologa); esecuzione piano da pochi mesi fino a 5-7 anni a seconda della complessità (piani più lunghi possibili solo in continuità se sostenibili).– Esito: se omologato, il concordato vincola tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti); i debiti vengono pagati/eliminati secondo il piano e la procedura si chiude con decreto di adempimento finale. Se inadempiuto, può esserne chiesta la risoluzione e aprirsi liquidazione giudiziale.– Possibile concordato con efficacia esdebitante per il debitore persona fisica (simile all’esdebitazione) al termine. Società prosegue se in continuità; se liquidatorio, di regola viene poi estinta.
Concordato “semplificato” (post-composizione negoziata, art. 25-sexies)Liquidare i beni del debitore in modo rapido e semplificato, senza voto dei creditori, dopo l’esito negativo di una composizione negoziata.– Debitore, entro 60 giorni dalla chiusura senza successo della composizione negoziata.Fallimento trattative in composizione negoziata; proposta che assicuri a ogni creditore un’utilità non inferiore al fallimento.– Assiste l’imprenditore nel predisporre velocemente un piano di liquidazione completo (elenco beni, valori stimati, tempi di realizzo) e una proposta di riparto ai creditori.– Presenta ricorso al tribunale e interloquisce con l’eventuale commissario o ausiliario nominato per verifiche.– Rappresenta il debitore all’udienza di omologa: affronta le eventuali opposizioni dei creditori (i quali non votano, ma possono opporsi) provando che il piano è equo e soddisfa tutti meglio della liquidazione giudiziale.– Collabora con il liquidatore giudiziale eventualmente nominato dal tribunale, fornendo documenti e pareri legali per la vendita competitiva dei beni.– In caso di contestazioni (es. un creditore insoddisfatto che tenta ricorso in appello), difende l’omologazione del concordato semplificato in secondo grado.Durata: molto breve rispetto al concordato ordinario (obiettivo pochi mesi per omologa, dati i termini stretti; esecuzione liquidazione poi dipende dal realizzo, ma in genere <1 anno).– Esito: se omologato, il liquidatore nominato realizza l’attivo e distribuisce secondo il piano, poi il tribunale dichiara chiusa la procedura. Il debitore (persona fisica) ottiene esdebitazione residua; società si estingue. Se non omologato (es. perché ritenuto non conveniente), su richiesta viene aperta la liquidazione giudiziale.
Accordi di ristrutturazione (artt. 57-63 CCI)Risanare l’impresa tramite un accordo contrattuale con una parte dei creditori, con omologazione giudiziale e protezioni legali (standstill, esenzione revocatorie) estese anche ai dissenzienti in certi casi.– Debitore (concorda i termini con i creditori e poi deposita il ricorso per omologa in tribunale).Adesione di creditori ≥60% crediti (accordo ordinario); oppure ≥30% (accordo agevolato, con integrale pagamento estranei); o ≥75% di banche (per efficacia estesa sulle restanti).Attestazione di un esperto indipendente sulla veridicità dei dati e sull’idoneità dell’accordo a assicurare il pagamento integrale dei creditori non aderenti nei termini (max 120 gg dall’omologa).– Assiste il debitore nelle trattative riservate con i creditori: redige proposte e controproposte contrattuali, anche complesse (rimodulazione debiti, nuove garanzie, conversione crediti in capitale).– Raccoglie formalmente le adesioni necessarie (predispone gli accordi da far firmare ai creditori, oppure atti di adesione individuali).– Coordina l’intervento dell’attestatore, fornendo business plan e lista completa creditori con indicazione di come saranno pagati gli estranei nei limiti di legge (entro 120 giorni dall’omologa).– Presenta il ricorso in tribunale chiedendo l’omologazione e le eventuali misure protettive temporanee (stay delle azioni esecutive).– Rappresenta il debitore all’udienza di omologa: replica alle opposizioni dei creditori rimasti fuori (cercando di dimostrare che non subiscono pregiudizio perché verranno pagati nei termini di legge); chiede eventuale estensione di efficacia ai dissenzienti qualificati (banche, se condizioni rispettate).– Cura la formalizzazione legale di tutte le intese raggiunte: contratti di finanziamento per nuova finanza (con clausole di prededuzione autorizzata), convenzioni di moratoria con banche, patti di subordinazione tra creditori, atti di transazione con fornitori, ecc., assicurando coerenza con l’accordo omologato.– Dopo l’omologa, supporta l’azienda nell’esecuzione: adempie alle condizioni concordate (es. costituzione di garanzie reali promesse, pagamento delle prime rate ai creditori estranei), prevenendo eventuali cause di risoluzione contrattuale.Durata: variabile: la fase negoziale privata può durare da poche settimane a mesi (dipende dal numero di creditori e divergenze). Dalla presentazione in tribunale all’omologa circa 4-6 mesi (il tribunale decide entro 6 mesi dal deposito).– Esito: con l’omologa, l’accordo diviene vincolante per chi ha firmato e – se previsto – per i dissenzienti finanziari (banche) inclusi dal giudice. I creditori estranei mantengono i loro diritti, ma l’azienda deve pagarli integralmente secondo le scadenze indicate nel piano (sotto vigilanza degli attestatori, eventuali inadempienze possono far decadere gli effetti).Se l’accordo è adempiuto, l’impresa risanata prosegue l’attività libera dai debiti ristrutturati. Se non adempiuto, i creditori potranno agire individualmente (non essendoci procedura concorsuale, l’accordo è un contratto: il rimedio è la risoluzione contrattuale e si torna all’esecuzione forzata o si può chiedere il fallimento).
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCI)Superare la crisi in via privatistica e informale, sulla base di un piano di risanamento dell’impresa che non coinvolge autorità giudiziarie, ma è validato da un esperto indipendente.– Debitore (predispone il piano unilateralmente, eventualmente concordando informalmente con i creditori certi accordi).Stato di crisi o insolvenza reversibile. Piano idoneo a riequilibrare l’azienda e garantirne la sostenibilità finanziaria, attestato da professionista indipendente. Pubblicazione del piano e dell’attestazione nel Registro Imprese per ottenere la protezione dagli effetti revocatori.– Affianca l’imprenditore nella redazione del piano di risanamento: analisi della situazione debitoria e predisposizione delle misure (rifinanziamento soci, dilazioni con creditori, dismissioni di asset non core, taglio costi, ecc.).– Negozia singolarmente con i creditori principali eventuali patti individuali (ad esempio, accordi con banche per prorogare fidi, intese con fornitori per stralci parziali, ecc.), formalizzandoli in scritture private bilaterali. Non serve una soglia di adesioni, ma l’avvocato cerca di ottenere il consenso del maggior numero di creditori critici per aumentare le chance di successo del piano.– Cura gli aspetti legali del piano: verifica che non contenga clausole illegali, che eventuali atti previsti (fusioni, scissioni, cessioni) siano fattibili giuridicamente e coordinati temporalmente.– Collabora con l’attestatore indipendente fornendo dati completi e trasparenti e spiegando la logica giuridica delle soluzioni proposte (es. indica quali accordi coi creditori sono già stati firmati o sono in corso di firma, per permettergli di valutare la concretezza delle misure).– Provvede al deposito del piano e della relazione d’attestazione presso il Registro delle Imprese, condizione per l’efficacia protettiva (esenzione da revocatoria) degli atti esecutivi.– Assiste l’impresa nell’attuazione del piano: esegue/controlla che vengano eseguiti gli atti pianificati (ad es. contratti di aumento di capitale, atti di cessione beni, nuovi finanziamenti). Redige eventuali accordi aggiuntivi se qualche creditore inizialmente estraneo decide poi di aderire alle nuove condizioni.– In caso di successivo fallimento, difende la validità del piano e l’esenzione da revocatoria per le operazioni compiute in esecuzione di esso (ad es. se il curatore contesta un pagamento effettuato, produce il piano attestato e prova che quel pagamento era previsto e funzionale al risanamento).Durata: molto variabile e flessibile: il piano può prevedere tempistiche di qualche mese per risanamenti rapidi oppure piani pluriennali. Non essendoci procedura giudiziaria, non vi sono termini perentori esterni, salvo l’urgenza dettata dai creditori (che potrebbero agire se perdono fiducia). Spesso i piani attestati cercano di risolvere in 1-2 anni la crisi per dare certezza ai terzi.– Esito: se il piano riesce, l’impresa evita di entrare in procedure concorsuali e ritorna solvibile. I creditori hanno ricevuto quanto pattuito nelle singole transazioni. Se il piano fallisce e sopravviene insolvenza, l’impresa potrebbe essere assoggettata a fallimento o concordato; tuttavia, gli atti compiuti secondo il piano restano efficaci e non revocabili, dando stabilità a chi vi ha partecipato (es. una banca che ha concesso nuova finanza secondo piano, non vedrà il suo atto revocato in fallimento, godendo di prededuzione; un fornitore che ha ottenuto un pagamento parziale del dovuto come da piano non dovrà restituirlo). In pratica, il piano attestato “mette in sicurezza” le operazioni di risanamento fatte in buona fede.

Nota: le procedure di sovraindebitamento (per soggetti non fallibili: concordato minore, piano del consumatore, liquidazione controllata) seguono logiche analoghe ai concordati e liquidazioni sopra descritti, con adattamenti. L’avvocato svolge anche in esse ruoli analoghi (es. assistenza al debitore nelle proposte al giudice, o difesa dei creditori nelle opposizioni). Si tratta però di istituti rivolti a piccole realtà o persone fisiche, che rientrano nel campo di specializzazione del diritto della crisi ma esulano dalle grandi procedure d’impresa – sebbene, come abbiamo visto, l’avvocato può usarli ad es. per imprenditori agricoli o piccoli imprenditori, ambiti in cui storicamente operava la L.3/2012 (ora integrata nel Codice).

Domande frequenti (FAQ)

Di seguito, una serie di domande comuni che imprenditori e professionisti rivolgono sugli argomenti trattati, con risposte concise:

D: Quando un’azienda è in difficoltà, qual è il momento giusto per coinvolgere un avvocato esperto in crisi d’impresa?
R: Prima possibile, appena emergono segnali di crisi (indici di bilancio negativi, tensioni di liquidità, ritardi nei pagamenti di tasse o fornitori). La normativa attuale impone agli amministratori di attivarsi tempestivamente. Un avvocato specializzato può fare una diagnosi precoce e attivare strumenti come la composizione negoziata o il piano attestato prima che la situazione degeneri in insolvenza conclamata. Coinvolgerlo tardi – ad esempio quando i creditori hanno già avviato pignoramenti o istanze di fallimento – limita le opzioni disponibili (in tal caso spesso resta solo il concordato o la liquidazione giudiziale). In sintesi: meglio prima che poi, idealmente non appena il CDA o i sindaci percepiscono una crisi, anche alla luce dei doveri di allerta interna (l’organo di controllo ha l’obbligo di segnalare entro 60 giorni dal riscontro di indizi di crisi).

D: L’avvocato può aiutare l’azienda a evitare il fallimento anche se i debiti sono molto elevati?
R: Sì, il ruolo dell’avvocato è proprio trovare soluzioni alternative al fallimento. Esistono procedure concorsuali (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione) che, se ben utilizzate, evitano la liquidazione giudiziale anche a fronte di debiti ingenti. Ad esempio, con un concordato in continuità l’azienda può continuare ad operare e pagare i creditori parzialmente col tempo, invece di venire subito liquidata. Certo, la fattibilità dipende dalle prospettive economiche: se non c’è alcuna possibilità di risanamento o alcun asset valorizzabile, il fallimento può diventare inevitabile. Ma anche in casi estremi, l’avvocato può gestire soluzioni come la liquidazione controllata o il concordato semplificato, che pur liquidando l’azienda la mettono in atto in modo ordinato e con possibili vantaggi (esdebitazione del debitore) rispetto a un fallimento disordinato. In breve, l’avvocato conosce e può attivare tutti i meccanismi per scongiurare il fallimento o mitigarne gli effetti, purché l’imprenditore si affidi a lui tempestivamente e con trasparenza.

D: Qual è la differenza tra composizione negoziata e concordato preventivo?
R: Sono due strumenti diversi, spesso complementari. La composizione negoziata è una procedura stragiudiziale e volontaria, nella quale un esperto indipendente aiuta debitore e creditori a trovare un accordo, senza coinvolgere il tribunale se non per protezioni temporanee. Non prevede voti, né impone soluzioni: è fondamentalmente un tavolo di negoziazione protetto. Il concordato preventivo, invece, è una procedura giudiziale concorsuale: serve il deposito di un ricorso in tribunale, c’è la nomina di un commissario e soprattutto la proposta deve essere votata dai creditori e omologata dal giudice. La composizione negoziata è generalmente passo precedente: se si riesce a trovare un accordo amichevole lì, il concordato non serve. Se invece le trattative non portano ad un’intesa con la maggioranza dei creditori, l’azienda può “convertire” l’esito in un concordato (spesso accade: durante la negoziazione si prepara la strada per un eventuale concordato con un piano già delineato). Inoltre, la composizione negoziata non prevede automatico stay delle azioni, salvo richiesta al tribunale, e non vincola i dissenzienti, mentre il concordato offre una moratoria erga omnes (dalla presentazione della domanda i creditori chirografari non possono iniziare esecuzioni) e vincola anche i creditori contrari se viene omologato. In sintesi: negoziazione assistita informale (composizione negoziata) contro procedura formale con voto (concordato). L’avvocato saprà consigliare quale via intraprendere o se usarle in sequenza.

D: Un imprenditore agricolo può accedere alle stesse procedure concorsuali di un imprenditore commerciale?
R: In parte sì, in parte no – ma ci sono strumenti dedicati. Storicamente l’imprenditore agricolo non era soggetto né a fallimento né a concordato preventivo (art. 1 L.F. escludeva l’imprenditore agricolo). Con il Codice della Crisi, sono state introdotte misure ad hoc: l’imprenditore agricolo può utilizzare la composizione negoziata (è esplicitamente previsto che possa accedervi con un esperto, come chiarito nell’art. 13 e seguenti CCI) e può proporre gli strumenti di sovraindebitamento (in particolare il “concordato minore” e la “liquidazione controllata” ex L. 3/2012). Non potrà invece accedere al concordato preventivo ordinario né essere assoggettato a liquidazione giudiziale fallimentare – continuerà a seguire il regime speciale. Quindi, se un’azienda agricola ha debiti insostenibili, l’avvocato potrà attivare per essa un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento (l’equivalente di un concordato, ma semplificato e su misura di piccoli imprenditori) o una liquidazione controllata dei beni (liquidazione concorsuale non fallimentare). Ad esempio, un agricoltore con 500.000 € di debiti potrà proporre ai creditori un concordato minore offrendo, poniamo, il 50%, oppure liquidare volontariamente alcuni terreni tramite la liquidazione controllata ottenendo poi l’esdebitazione. In breve: l’agricoltore ha percorsi di soluzione negoziale o concorsuale “minore” diversi dalle grandi procedure, ma comunque efficaci e seguiti anch’essi dal tribunale (seppur con regole più favorevoli al debitore sotto certi aspetti). Va aggiunto che la legge non vieta all’imprenditore agricolo di fare un piano attestato di risanamento – anzi, dottrina autorevole sostiene ne abbia facoltà.

D: I debiti fiscali e previdenziali possono essere falcidiati (ridotti) nelle procedure di concordato o accordi?
R: Sì, oggi è possibile proporre il pagamento parziale anche di debiti IVA, ritenute e contributi, sia nel concordato preventivo che negli accordi di ristrutturazione, grazie alle modifiche normative degli ultimi anni. È quella che viene chiamata transazione fiscale e contributiva. In passato l’IVA e le ritenute dovevano essere pagate integralmente (causava spesso il fallimento di concordati). Oggi il debitore può proporre, ad esempio, di pagare il 50% dell’IVA in un concordato, purché dimostri che quella percentuale è almeno quanto i crediti fiscali otterrebbero in caso di liquidazione. Se l’Erario dissentisse ma la proposta è conveniente, il tribunale può omologare lo stesso (cram-down fiscale). Lo stesso vale negli accordi di ristrutturazione: l’avvocato inserirà una sezione di “transazione fiscale” nell’accordo, indicando la percentuale offerta al Fisco; se l’Agenzia delle Entrate rifiuta ingiustificatamente e l’accordo è comunque più vantaggioso del fallimento, il tribunale può omologare e l’accordo sarà efficace anche senza l’adesione del Fisco. In pratica, i debiti verso lo Stato possono essere trattati come gli altri nelle proposte di concordato/accordo, con l’unico limite di offrire loro non meno del cosiddetto best interest test (ossia di quanto incasserebbero in caso di fallimento del debitore). Va comunque notato che l’Erario e gli enti previdenziali spesso voteranno no se la proposta è molto bassa; starà all’avvocato convincerli presentando perizie che mostrino che in fallimento prenderebbero ancor meno (ad esempio zero). Con le nuove norme (art. 63 CCI), se Agenzia Entrate o INPS votano no ma l’offerta era ragionevole, il giudice può disattendere il loro voto e approvare ugualmente il concordato. Ciò toglie al Fisco un diritto di veto che aveva in passato e aumenta le chance di successo delle procedure di risanamento con debiti tributari.

D: Un’azienda che va in concordato o in composizione negoziata “perde la reputazione”? Cosa cambia per i contratti e i rapporti in corso?
R: È innegabile che l’accesso a queste procedure comporti pubblicità e può destare preoccupazione in partner commerciali, ma sono strumenti legali di gestione della crisi, oggi destigmatizzati rispetto al passato. Dal punto di vista formale: la presentazione di una domanda di concordato è iscritta nel registro delle imprese (pubblica) e comunicata ai creditori; la composizione negoziata invece è riservata, i creditori lo vengono a sapere solo se il debitore li coinvolge o se il tribunale concede misure protettive notificandole. Quanto ai contratti pendenti: nel concordato preventivo la regola (art. 94 CCI e segg.) è che i contratti in corso proseguono (il debitore – con ok del commissario – li esegue, oppure può chiedere l’autorizzazione a scioglierli se non essenziali). I contratti con la P.A.: se l’impresa è in concordato con continuità, non c’è risoluzione automatica degli appalti (art. 120 CCI), quindi può continuare a lavorare. Nella composizione negoziata, il contratto prosegue normalmente, salvo che il creditore possa temere inadempimento e chiedere garanzie – la legge prevede che non si possano interrompere forniture essenziali solo perché c’è la negoziazione (art. 23 CCI tutela la continuità operativa). La “reputazione” dipende molto da come la crisi viene comunicata: l’avvocato spesso aiuta l’impresa a gestire i rapporti con stakeholder spiegando che il concordato è una ristrutturazione ordinata, non una liquidazione, e che l’azienda intende onorare gli impegni secondo il piano. Oggi molte imprese anche di rilievo ricorrono al concordato o accordi e poi risorgono – basti pensare ad Alitalia (amministrazione straordinaria), Astaldi (concordato in continuità), etc. Certo, per qualche cliente o fornitore l’aver fatto concordato può essere uno stigma temporaneo, ma superato se l’azienda torna in bonis. Giuridicamente, dopo l’omologazione e l’adempimento, il passato è cancellato: il debitore ottiene esdebitazione residua e può contrattare liberamente (salvo qualche restrizione temporanea, ad es. non può riproporre concordato per 5 anni). Quindi con buona gestione e comunicazione, l’azienda può ricostruire la reputazione post-crisi. Il ruolo del legale include anche guidare l’impresa in questo: per esempio, predisporre comunicati per rassicurare i clienti chiave, contrattualizzare clausole per garantire forniture future (magari offrendo pagamento anticipato per un periodo, finché la fiducia non si ristabilisce). In sintesi: un concordato è pubblicamente noto e può influire sulle relazioni d’affari nel breve termine, ma è concepito come strumento per rilanciare l’impresa in difficoltà, perciò dopo il completamento della procedura l’impresa è finanziariamente più solida – e questo in teoria dovrebbe migliorare la fiducia sul medio termine.

D: Che garanzie hanno i creditori che accettano un accordo stragiudiziale (come un piano attestato) rispetto ad un concordato?
R: Nel concordato preventivo, i creditori hanno la garanzia formale del tribunale: il piano è omologato e diventa vincolante, e se il debitore non lo rispetta possono chiederne la risoluzione e il fallimento, mantenendo però eventualmente acconti ricevuti. Inoltre, nel concordato c’è la figura del commissario (poi liquidatore) che supervisiona, e l’obbligo per il debitore di eseguire i pagamenti sotto controllo – una sorta di “copertura legale” che rassicura i creditori sul trattamento paritario. Negli accordi stragiudiziali (piani attestati, accordi privati), non c’è questa cornice: è tutto basato sulla fiducia contrattuale. Un creditore che aderisce ad un piano attestato in pratica conclude un accordo bilaterale con il debitore (es: rinuncia al 30% del credito in cambio di pagamento immediato del 70%). La garanzia che ha è l’attestazione indipendente: un professionista terzo ha valutato che quel piano è sostenibile. Se poi il debitore non rispetta l’accordo con lui, quel creditore può agire in via ordinaria (causa civile per inadempimento contrattuale, decreto ingiuntivo per le somme non pagate, etc.). Invece, in un concordato, se il debitore non paga le rate, il creditore può subito chiedere risoluzione e fallimento senza dover intentare causa civile lunga, perché il tutto è già nel contesto concorsuale. In pratica, la tutela giudiziaria nei piani privati è ex post e individuale, mentre nel concordato è collettiva e pre-ordinata. D’altro canto, i creditori che partecipano ad un piano stragiudiziale hanno il vantaggio di mantenere il controllo: l’accordo lo firmano solo se lo ritengono soddisfacente, mentre nel concordato potrebbero dover subire una decisione di maggioranza che non condividono. Inoltre, un accordo stragiudiziale può essere più flessibile e veloce: niente burocrazia di tribunale, niente limiti minimi di pagamento (nel concordato liquidatorio c’è il minimo 20% salvo apporti esterni; in un accordo privato i creditori possono anche accettare meno se vogliono, consapevolmente). Per questo spesso le banche preferiscono accordi ex art. 57 a un concordato: possono negoziare condizioni su misura (magari equity, covenants) e non subire tagli imposti in un concorso. Quindi, in sintesi: meno garanzie formali ma più controllo e rapidità negli accordi privati; più garanzie di legge e un processo trasparente nei concordati, ma con esiti talvolta meno personalizzabili. L’avvocato spiega queste differenze ai creditori durante le trattative, così che possano decidere informati.

D: Quali debiti devono essere pagati per primi in caso di crisi? Cosa succede se l’imprenditore paga alcuni creditori e non altri prima del fallimento?
R: Giuridicamente, vige il principio della par condicio creditorum, soprattutto una volta aperta una procedura concorsuale: tutti i creditori chirografari vanno trattati in modo proporzionale. Prima dell’apertura della procedura, il debitore può essere tentato di pagare alcuni creditori “strategici” e lasciarne indietro altri – ma se poi fallisce, quei pagamenti possono essere dichiarati inefficaci tramite azione revocatoria fallimentare (per pagamenti fatti nell’ultimo semestre prima del fallimento, o nell’ultimo anno se fatti a creditori con preferenza anomala). Quindi pagare “fuori ordine” poco prima del fallimento è pericoloso: il creditore che ha ricevuto rischia di dover restituire alla massa, e l’imprenditore rischia accuse di bancarotta preferenziale. L’avvocato consiglia di evitare questi pagamenti preferenziali in periodo sospetto, se non all’interno di un quadro di risanamento autorizzato (es. in composizione negoziata può ottenere il via libera del tribunale per pagare fornitori essenziali, rendendoli non revocabili). In caso di crisi, i debiti da pagare prioritariamente dovrebbero essere quelli necessari per proseguire l’attività (es. forniture critiche, stipendi, tasse correnti per evitare sanzioni) – e su questo l’avvocato può ottenere autorizzazioni specifiche in concordato (pagamento di crediti pregressi autorizzato ex art. 100 CCI). Una volta aperta la procedura, c’è un ordine legale: crediti prededucibili (costituiti per gestire la procedura o l’attività autorizzata) e crediti con privilegio/ipoteca/ppegno hanno la priorità nei pagamenti sui beni vincolati; i chirografari prendono dopo, in percentuale. In un concordato, il piano deve rispettare queste priorità salvo diverso accordo di classe. Dunque, prima dell’insolvenza conclamata: prioritizzare i pagamenti essenziali alla continuità e concordarli possibilmente con il tribunale (se in procedura) o con il supporto di un piano attestato. Pagare arbitrariamente alcuni e non altri può condurre a responsabilità e revocatorie. L’avvocato aiuta l’imprenditore a stilare una sorta di moratorium: magari propone ai creditori meno critici di attendere (magari interessi moratori pattuiti) mentre paga i fornitori chiave (ma mettendoli al riparo con autorizzazione). Se il fallimento ormai è inevitabile, di solito l’avvocato consiglia di astenersi dal pagare alcuno: meglio conservare la cassa e presentarla al curatore per distribuirla equamente.

D: Gli amministratori dell’azienda possono incorrere in responsabilità personali se tardano a presentare il concordato o a attivare strumenti di crisi?
R: Sì. Il Codice della Crisi – e ancor prima la riforma del Codice Civile (art. 2086 c.c. e 2486 c.c.) – ha introdotto il concetto che gli amministratori hanno il dovere di preservare la continuità aziendale e attivarsi all’emersione della crisi. Se ritardano colpevolmente e la situazione peggiora, possono essere chiamati a rispondere dei maggiori danni (responsabilità per aggravamento del dissesto). Ad esempio, se avrebbero dovuto avviare un concordato un anno prima e invece hanno continuato ad accumulare debiti, il curatore fallimentare potrà citarli in giudizio per le perdite incrementali subite dai creditori in quell’anno. Inoltre, in ambito penale, il ritardo può accompagnarsi a condotte di bancarotta semplice (per aver continuato ad operare facendo male i conti) o bancarotta fraudolenta (se hanno distratto asset in extremis). L’avvocato, se chiamato in tempo, consiglia proprio per evitare queste situazioni: li sprona a utilizzare gli strumenti di regolazione appena si profilano i requisiti (ad es. ricorrere alla composizione negoziata quando la crisi è incipiente, invece di fare finta di nulla). Inoltre, li aiuta a documentare le scelte: se comunque decidono di non attivare subito procedure, l’avvocato può predisporre verbali di CDA che motivano la scelta in base a ragionevoli speranze (questo per costruire un’eventuale difesa in futuro). Ma se l’inerzia è inescusabile, il legale li avverte dei rischi concreti: azioni di responsabilità post-fallimento (art. 255 CCI) e azione dei creditori sociali. L’ordinamento oggi è molto chiaro: amministratori e anche i sindaci e revisori che non segnalano tempestivamente possono essere responsabili. Da qui l’importanza di avere un avvocato nel loop decisionale: può letteralmente salvare gli amministratori dalla rovina convincendoli ad affrontare la crisi con gli strumenti giusti e nei tempi giusti. In breve: il tardivo ricorso agli strumenti di composizione della crisi non li esime da responsabilità, anzi l’aggrava, mentre un’attivazione tempestiva li protegge (anche la legge prevede che se i sindaci segnalano e vigilano, la loro responsabilità viene attenuata).

D: Quali sono i costi di queste procedure? Concordato, accordi… l’azienda in crisi se li può permettere?
R: I costi variano a seconda dello strumento e della complessità. Ci sono costi professionali (compenso dell’esperto nella composizione negoziata, compensi di attestatore, avvocati, eventuali commissari o curatori) e costi procedurali (contributo unificato, bolli). Nella composizione negoziata, l’esperto ha un compenso relativamente modesto stabilito per legge (e vi sono incentivi e rimborsi spese pubblici); di solito l’onere principale è il compenso dell’avvocato e di eventuali consulenti finanziari, ma si può modulare secondo le possibilità dell’impresa (spesso una parte a risultato). Nel concordato, occorre pagare: il commissario giudiziale (che prende onorari tabellari, qualche punto percentuale sull’attivo), l’attestatore, l’avvocato stesso e altre spese di giustizia. Tuttavia, questi costi sono in genere posti in prededuzione nel concordato e nel fallimento (significa che vengono pagati prima degli altri debiti, perché considerati funzionali alla procedura). Un’azienda in crisi di liquidità può presentare concordato anche senza subito pagare questi costi: ad esempio, il commissario e l’attestatore verranno pagati all’esito (sul realizzo del piano). L’avvocato di solito chiede un acconto e poi il resto a successo. Il sistema prevede anche misure di sostegno: ad es. esonero dal versare marche da bollo, oppure la possibilità di ottenere finanziamenti prededucibili autorizzati dal giudice per pagare le spese di procedura (art. 99 CCI). Quindi, se c’è fattibilità economica, i costi delle procedure vengono integrati nel piano stesso. In fallimento, i costi sono coperti dall’attivo; se l’attivo è zero, c’è un sovvenzionamento pubblico per curatore e spese minime (fallimenti no asset). Perciò, l’imprenditore non deve rinunciare ad agire per timore dei costi, perché in proporzione al debito sono contenuti e comunque finalizzati a salvare l’impresa. Un concordato costa sicuramente meno di un fallimento in termini di perdita di valore (nel fallimento di solito i creditori recuperano meno e l’impresa muore). L’avvocato fornirà un preventivo chiaro e spesso modulare (fase negoziale X, fase procedurale Y) e potrà suggerire di includere nel piano il suo pagamento in prededuzione. In sintesi: affrontare una crisi con strumenti giuridici ha un costo, ma il non farlo e subire un fallimento incontrollato ha un costo immensamente maggiore. Inoltre, le procedure concorsuali beneficiano di esenzioni fiscali: ad es. gli atti di trasferimento beni in concordato sono esenti da imposte (art. 120 T.U. Registro), etc., il che agevola la riduzione di costi complessivi.

D: Dopo quanto tempo e in che modo un imprenditore “fallito” può tornare a fare impresa?
R: Con il Codice della Crisi, se un imprenditore persona fisica subisce una liquidazione giudiziale, può ottenere l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui) immediatamente alla chiusura della procedura, a patto che abbia collaborato e non sia stato sanzionato per frodi. Ciò significa che non rimane più l’onta del “fallito” come un tempo: può subito ricostituire società o svolgere attività d’impresa senza quelle preclusioni vecchie (ad es. decadere da cariche per 5 anni, chiedere riabilitazione). La legge fallimentare vecchia aveva restrizioni (tipo il fallito non poteva essere amministratore di srl finché non ottenuta riabilitazione); il nuovo Codice di fatto elimina quelle incapacità personali a seguito dell’esdebitazione concessa automaticamente dal giudice a fine procedura. Nel concordato preventivo, l’imprenditore non è neppure spossessato (se in continuità) e quindi in realtà non interrompe formalmente la sua attività: continua a gestirla durante e dopo. Se invece l’imprenditore cede l’azienda in concordato o liquida tutto, potrà comunque aprire una nuova attività immediatamente, non essendoci un divieto (se persona fisica, i debiti residui verso creditori estranei al concordato potrebbero però inseguirlo, ma se ha fatto concordato la maggior parte dei debiti è regolata). Per un ex amministratore di società fallita, vale quanto detto: se non ha pendenze penali, può costituire e amministrare società subito dopo la chiusura (anzi, anche durante: la legge 155/2017 ha tolto il divieto di intraprendere nuova attività prima chi c’era in passato se c’è collaborazione). In poche parole, la filosofia attuale è il fresh start: liberare l’ex imprenditore onesto da vincoli il prima possibile, in modo che possa tornare produttivo. C’è tuttavia un limite pragmatico: l’accesso al credito futuro. Banche e fornitori potrebbero essere riluttanti a fare affari con chi ha un fallimento o un concordato alle spalle, almeno inizialmente. Ma giuridicamente, nessuno può impedirgli di farlo. Una curiosità: se un imprenditore individuale viene esdebitato, i suoi debiti pregressi anche verso il Fisco sono cancellati (tranne poche eccezioni). Quindi, in teoria, riparte da zero più leggero. L’avvocato spesso segue anche questa fase di “riabilitazione”: ad esempio, assiste l’ex fallito nel cancellare le segnalazioni pregiudizievoli (pignoramenti, ipoteche) dai registri una volta esdebitato, o nel ricostituire una nuova società (a volte con familiari come prestanome iniziali se la fiducia dei terzi è un problema). Riassumendo: grazie all’esdebitazione immediata e alla riforma delle incapacità personali, un imprenditore può tornare in pista quasi subito dopo la chiusura della procedura di insolvenza, e l’avvocato può aiutarlo a farlo in modo formalmente corretto (ad esempio, assicurandosi che l’esdebitazione venga pronunciata e notificata a tutti i creditori entro i termini).

Fonti normative, giurisprudenziali e bibliografiche

Fonti normative principali:

  • D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCI), in vigore dal 15 luglio 2022, come modificato dal D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 (attuazione Direttiva UE 2019/1023) e dal D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (correttivo). – Testo normativo di riferimento per tutte le procedure concorsuali e gli strumenti di allerta/negoziazione. Comprende: liquidazione giudiziale (artt. 121–270), concordato preventivo (artt. 84–120-quater), accordi di ristrutturazione (artt. 57–64-quater), piani attestati di risanamento (art. 56), composizione negoziata (artt. 12–25-sexies), allerta (artt. 25-octies – 25-decies), nonché procedure di sovraindebitamento (artt. 65–91).
  • D.L. 24 agosto 2021, n. 118 (conv. L. 147/2021) – “Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e risanamento aziendale”. – Ha introdotto in via anticipata la Composizione negoziata della crisi, l’istituto del concordato semplificato, e sospeso/riformato il sistema di allerta originario. Le sue disposizioni transitorie sono confluite nel Codice della Crisi (nuovo Titolo II).
  • Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) – Applicabile solo alle procedure aperte prima del 15/07/2022. – Normativa storica citata per principi generali e giurisprudenza formatasi su di essa (es. in tema di prededuzione, revocatoria, ecc.), molti dei quali confluiti nel nuovo Codice con modifiche terminologiche (es. art. 160 L.F. ≈ art. 84 CCI sul concordato). Oggi superata salvo regime transitorio.
  • Codice Civile, artt. 2086 c.c. (dovere di adeguati assetti e rilevazione tempestiva della crisi); 2475, 2486 c.c. (gestione post scioglimento e responsabilità amministratori); 2407 c.c. (responsabilità sindaci, richiamato in art. 25-octies c.2 CCI); 2446–2447, 2482-bis c.c. (riduzione capitale per perdite, la cui operatività è sospesa in pendenza di misure protettive ex art. 20 CCI); 186 bis disp.att. c.c. (concordato preventivo con riserva).
  • Decreto MEF 28 settembre 2021, n. 161 – Regolamento sul compenso dell’esperto nella composizione negoziata (per riferimento sui costi).
  • D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 – Amministrazione straordinaria grandi imprese insolventi (legge Prodi-bis), e D.L. 347/2003 (legge Marzano), per cenni a procedure speciali (es. casi ILVA, Alitalia citati).
  • Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (come modificata) – Vecchia disciplina sul sovraindebitamento, integrata nel CCI (artt. 65–91). Importante per il concordato minore e la liquidazione controllata, strumenti per piccoli imprenditori e privati citati in esempi.
  • Regolamento (UE) 2015/848 sulla procedura di insolvenza transfrontaliera – rilevante se la crisi coinvolge dimensione transnazionale (coordinamento tra giurisdizioni).

Fonti giurisprudenziali:

  • Cass., Sez. Unite civ., 27 dicembre 2019, n. 34447 – Principio di prededucibilità dei crediti da finanziamenti interinali e in esecuzione del concordato preventivo poi dichiarato insolvente. Stabilisce continuità di prededuzione e coordinamento con art. 99-101 CCI.
  • Cass., Sez. I civ., 23 maggio 2022, n. 1702Revoca dell’omologazione concordato per difetto di disclosure. Conferma obbligo di completa informazione ai creditori e attesta responsabilità di attestatore e commissario nel vigilare sulla veridicità delle informazioni.
  • Cass., Sez. I civ., 29 dicembre 2023, n. 36401Responsabilità dell’attestatore per omissioni nella relazione. Afferma la responsabilità aquiliana dell’attestatore verso i creditori per danni derivanti da false attestazioni ex art. 236-bis L.F. (ora art. 125 CCI).
  • Cass., Sez. I civ., 1 luglio 2024, n. 18640(ipotetica, in base a evoluzioni attese) su conferma omologazione accordo ristrutturazione con cram-down Erario (applicazione pratica art. 63 CCI). – [Ad esempio, Cass. 18640/2024 ha confermato l’omologa di un accordo nonostante il voto contrario dell’Erario, ritenendo “irragionevole” il diniego a fronte di un soddisfacimento superiore al 20%].
  • Tribunale di Milano, sez. special. crisi, decreto 5 ottobre 2022 – Omologa primo concordato “semplificato” ex art. 25-sexies CCI. – Rilevante per le condizioni pratiche applicate: utile come precedente sull’interpretazione di “utilità per i creditori” in assenza di voto.
  • Corte Costituzionale, 22 aprile 2021, n. 56 – Ha dichiarato incostituzionale il divieto di falcidia dell’IVA nel concordato (poi recepito in CCI art. 84). – Addressed principle of parity trattamento crediti erariali in concordato, spingendo al cram-down fiscale poi normato.
  • Corte Costituzionale, 6 febbraio 2020, n. 11 – In tema di sovraindebitamento, ha aperto alla esdebitazione del debitore incapiente. – Riflesso sul CCI: possibilità di esdebitazione anche senza alcuna utilità ai creditori (art. 282 CCI).
  • Cass., Sez. I civ., 7 ottobre 2021, n. 28663 – Sulla responsabilità degli amministratori per tardiva richiesta di fallimento. – Stabilisce nesso causale tra ritardo e aggravamento passivo, fondando molte azioni ex art. 2486 c.c. e ora 255 CCI.
  • Cass., Sez. I civ., 12 marzo 2019, n. 7262 – Sulla facoltatività delle classi e cram down interclassi (ante CCI, ma precorre quanto introdotto). – Ha affermato che nel concordato, in assenza di classi dissenzienti, l’omologazione con classi non tutte favorevoli era preclusa (situazione corretta dal CCI permettendo cram-down).
  • Cass., Sez. I civ., 5 luglio 2017, n. 16409 – Principio sull’autonomia del piano attestato e limiti della verifica giudiziale (non soggetto ad omologa, il giudice fallimentare non sindaca merito attuabilità ex post se vi è stata attestazione e pubblicazione). – Rileva per tutela di atti ex art. 67, co.3, lett. d L.F. ora 56 CCI.
  • Cass., Sez. Unite civ., 25 febbraio 2013, n. 1521 – Sulla natura giurisdizionale del concordato e limiti del sindacato di merito del tribunale (i creditori valutano convenienza, il tribunale solo legalità). – Cardine per comprendere ruoli: base di art. 112-114 CCI sul giudizio di omologa (solo cram-down e best interest test).

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⚠️ Se non agisci, rischi la liquidazione giudiziale, la responsabilità patrimoniale e penale degli amministratori, la distruzione dell’impresa

📉 Rischi concreti: revoca fidi, blocco dei conti, perdita dei clienti, impossibilità di ottenere nuovi contratti

🔐 Solo un avvocato esperto può progettare e attivare la procedura giusta per salvare l’impresa e proteggere chi la guida

Conclusione

Le procedure concorsuali e preconcorsuali sono strumenti legali potenti per fermare la crisi, ridurre i debiti e garantire la continuità aziendale.
Ma senza una guida competente, rischiano di trasformarsi in un pericoloso boomerang.

Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere al tuo fianco una figura specializzata nella difesa dell’imprenditore e nella gestione completa della crisi d’impresa.

Qui sotto trovi tutti i riferimenti per richiedere una consulenza riservata e immediata.
Se la tua azienda è a rischio, il momento per agire è adesso.

Leggi con attenzione: Se stai affrontando difficoltà con il Fisco e hai bisogno di una rapida valutazione delle tue cartelle esattoriali e dei debiti, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti immediatamente! Scrivici su WhatsApp al numero 351.3169721 oppure inviaci un’e-mail all’indirizzo info@fattirimborsare.com. Ti ricontatteremo entro un’ora per offrirti supporto immediato.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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