Come Pagare Meno Tasse Con Una SRL Con Debiti Fiscali E Verso Fornitori

Hai una SRL schiacciata dai debiti fiscali e dalle fatture non pagate ai fornitori? Stai cercando una soluzione concreta per ridurre le tasse, fermare le azioni esecutive e salvare la tua azienda?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in crisi d’impresa, contenzioso tributario e ristrutturazione aziendale – ti spiega in modo semplice e operativo come una società a responsabilità limitata può ridurre legalmente il carico fiscale anche in presenza di debiti verso l’Agenzia delle Entrate e i creditori commerciali.

Scopri quali strumenti prevede il Codice della Crisi per le SRL in difficoltà, come funziona la transazione fiscale, come trattare i debiti verso i fornitori all’interno di un piano di ristrutturazione, quando puoi accedere alla composizione negoziata o al concordato preventivo, e in quali casi è possibile ridurre l’imponibile in modo legittimo e sostenibile.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, analizzare a fondo la situazione della tua SRL e costruire una strategia concreta per pagare meno tasse, ridurre i debiti, bloccare i creditori e rilanciare l’impresa secondo le regole della legge.

1. Quadro Normativo Fiscale della SRL

1.1 Tassazione ordinaria delle SRL. Una Società a Responsabilità Limitata (SRL) è soggetta a tassazione sul reddito d’impresa con l’IRES al 24% (aliquota ordinaria) e all’IRAP regionale (3,9%), oltre a dover adempiere agli obblighi IVA (aliquota ordinaria 22%, con liquidazioni periodiche) e di sostituto d’imposta (ritenute su stipendi, compensi, dividendi). Le SRL redigono bilanci secondo il Codice Civile e il TUIR (D.P.R. 917/1986) disciplina la determinazione del reddito imponibile d’impresa. In generale, l’utile civilistico rettificato dalle variazioni fiscali (es. indeducibilità di alcuni costi, deduzioni extra-contabili) costituisce la base imponibile IRES. Le perdite fiscali sono riportabili negli esercizi successivi senza limiti di tempo e, fino al 2024, utilizzabili per il 80% del reddito di ciascun anno successivo (ad eccezione delle perdite dei primi anni di vita di una start-up, utilizzabili al 100%). Dal 2025, in attuazione della riforma fiscale, si prevede la piena compensabilità delle perdite pregresse, eliminando l’attuale limite dell’80%. Inoltre, la Legge di Bilancio 2025 ha introdotto un’IRES “premiale” ridotta al 20% per le imprese che reinvestono gli utili 2024 in beni innovativi e occupazione, rispettando condizioni stringenti (accantonamento almeno dell’80% dell’utile 2024 a riserva e investimenti nuovi per almeno il 30% di tale utile, oltre a incremento stabile dei dipendenti). In sintesi, in via ordinaria la SRL sconta IRES e IRAP sui redditi, ma può ridurre l’imponibile tramite deduzioni (es. ACE, incentivi) e utilizzare crediti d’imposta o perdite per abbattere il carico fiscale.

1.2 Accertamento tributario e riscossione coattiva. L’ordinamento prevede un complesso iter di accertamento fiscale per verificare la corretta tassazione dei redditi della SRL. A fini delle imposte dirette e IVA, l’Agenzia delle Entrate può emettere avvisi di accertamento se riscontra maggiori imponibili o violazioni (anche in seguito a verifiche della Guardia di Finanza). Dal 2020 vige l’obbligo del contraddittorio preventivo per molti accertamenti: prima di emettere l’avviso, l’ufficio invita il contribuente a comparire o inviare osservazioni (Statuto del Contribuente, art. 12, c.7 e L. 212/2000, art. 6). Le novità introdotte dal D.Lgs. 13/2024 (attuativo della delega di riforma fiscale) hanno coordinato il contraddittorio con l’accertamento con adesione: se l’accertamento è senza contraddittorio obbligatorio, il contribuente può presentare istanza di adesione entro 60 giorni dalla notifica (termine per ricorrere); se invece l’accertamento è preceduto da contraddittorio, l’istanza va presentata entro 30 giorni dalla comunicazione dello schema di atto (se il contribuente non ha già presentato osservazioni) ovvero entro 15 giorni dalla notifica dell’avviso definitivo (se erano state presentate osservazioni). L’accertamento con adesione è facoltativo ma sospende i termini di impugnazione e consente di definire bonariamente l’avviso con sanzioni ridotte a 1/3. Se la SRL non aderisce o non impugna, l’avviso diviene definitivo e le somme dovute (imposte, interessi, sanzioni) vengono iscritte a ruolo per la riscossione coattiva. La riscossione è affidata all’Agenzia Entrate–Riscossione (AER), che emette la cartella esattoriale (titolo esecutivo) da notificare al debitore. Entro 60 giorni dalla cartella, la società deve pagare o chiedere rateizzazione (v. §1.4); decorso tale termine senza pagamento, la Riscossione può attivare misure cautelari e esecutive: ad esempio fermo amministrativo su veicoli aziendali, ipoteca su immobili, pignoramento di conti correnti, stipendî o beni mobili registrati. È importante notare che la sola presenza di debiti fiscali non autorizza misure penali: la Corte di Cassazione ha chiarito che non è legittimo disporre un sequestro penale sui conti aziendali unicamente perché la società ha molti debiti col Fisco e patrimonio insufficiente, senza prova di specifici reati e periculum in mora. In ogni caso, per evitare l’escalation a pignoramenti, la SRL dovrebbe valutare gli strumenti deflativi e le possibilità di pagamento agevolato offerte dalla legge.

1.3 Strumenti deflativi del contenzioso tributario. Il sistema tributario mette a disposizione diversi strumenti per evitare o limitare il contenzioso e ridurre sanzioni e importi dovuti, quando l’impresa si trova di fronte a contestazioni fiscali. Oltre all’accertamento con adesione già menzionato, vi è l’acquiescenza all’accertamento: pagando integralmente le somme richieste entro il termine per ricorrere, il contribuente beneficia della sanzione ridotta ad 1/3 (similmente all’adesione, art. 15 D.Lgs. 218/1997). Un altro istituto è il ravvedimento operoso (art. 13 D.Lgs. 472/1997), che consente alla SRL di sanare spontaneamente omissioni o ritardi nel versamento di imposte prima che l’irregolarità sia contestata, pagando la tassa dovuta più interessi e una sanzione ridotta in misura decrescente (ad esempio 1/10 della sanzione se si ravvede entro 30 giorni). In caso di lite già avviata, è possibile ricorrere alla mediazione/reclamo (per importi fino a €50.000, obbligatoria prima di instaurare il giudizio tributario) e alla conciliazione giudiziale (artt. 48 e 48-bis D.Lgs. 546/1992): la conciliazione può avvenire sia fuori udienza che in udienza, con abbattimento delle sanzioni (fino a 40% se in primo grado, 50% in appello) e pagamento del concordato. Recenti norme di “pace fiscale” hanno introdotto definizioni agevolate delle liti pendenti: ad esempio, la Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022) ha permesso di definire le controversie tributarie pagando un importo percentuale del valore della causa (dal 100% al 5% a seconda degli esiti nei precedenti gradi di giudizio). Tali misure straordinarie mirano a ridurre il contenzioso pregresso e possono essere un’opportunità per la SRL con debiti fiscali contestati. In sintesi, prima di arrivare al giudizio tributario definitivo, conviene valutare l’adesione, il reclamo-mediazione o una conciliazione, che spesso consentono di risparmiare sanzioni e ottenere piani di pagamento più sostenibili. Ad esempio, un accertamento IVA da €100.000 con sanzione al 90% (base) potrebbe essere chiuso in adesione con sanzione ridotta al 30% (anziché 90%), evitando anni di lite e ulteriori interessi. Questi strumenti deflattivi risultano particolarmente utili quando l’azienda riconosce almeno in parte la pretesa fiscale e cerca un accordo rapido per concentrarsi sulla continuità aziendale.

1.4 Rateizzazione e piani di rientro dei debiti fiscali. Per una SRL che non riesce a pagare immediatamente le imposte accertate o iscritte a ruolo, la legge prevede la rateizzazione come strumento fondamentale per gestire il debito fiscale. La rateazione ordinaria presso l’Agente della Riscossione è concessa in modo automatizzato per debiti fino a €120.000: in tal caso è sufficiente una richiesta dichiarando la temporanea difficoltà economica, senza bisogno di prove documentali stringenti. Dal 2023 è stata innalzata la soglia e il numero massimo di rate “semplificate”: per richieste presentate fino al 31/12/2024 restano 72 rate mensili (6 anni), mentre per quelle nel 2025-2026 sono concesse fino a 84 rate, salendo a 96 nel 2027-2028 e 108 dal 2029. Per importi superiori a €120.000, o in ogni caso per ottenere piani più lunghi, la SRL deve documentare la propria situazione di difficoltà economico-finanziaria (ad esempio con indici di liquidità o un indice ISEE per ditte individuali). Se la difficoltà è dimostrata, l’Agente può accordare piani fino a 120 rate mensili (10 anni). Ad esempio, per importi oltre soglia, nel 2025-2026 si possono ottenere da 85 fino a 120 rate secondo la gravità della situazione. Ogni rata deve comunque essere almeno €50. Un vantaggio cruciale della rateizzazione è che, finché la si rispetta, l’Agenzia Entrate–Riscossione non avvia azioni esecutive o cautelari: il piano di dilazione sospende infatti le procedure di recupero coattivo. Inoltre, la presenza di un piano attivo consente alla società di ottenere il DURC regolare (Documento Unico Regolarità Contributiva) necessario, ad esempio, per partecipare ad appalti: il DURC viene rilasciato se i debiti fiscali e contributivi sono rateizzati e i pagamenti delle rate sono puntuali. La legge incentiva le imprese a richiedere la rateazione anche mediante il meccanismo del blocco delle compensazioni: dal 2024, se una società ha debiti tributari affidati all’Agente riscossione per oltre €100.000 e tali debiti sono scaduti, non sospesi o non rateizzati, scatta il divieto di compensazione di crediti d’imposta in F24 fino a concorrenza dell’importo del debito. Di conseguenza, l’SRL che voglia utilizzare crediti fiscali (ad esempio un credito IVA) deve prima ridurre il totale dei debiti a ruolo sotto 100mila euro, oppure attivare una rateazione. Se il debito eccedente 100k è rateizzato regolarmente, esso non viene conteggiato ai fini di tale soglia e la facoltà di compensazione orizzontale viene ripristinata. Ciò è stato confermato dalla circolare esplicativa: “un ruolo da €110.000 in rateazione senza decadenza non rileva per il calcolo del limite, quindi un ulteriore debito di €50.000 non fa scattare l’inibizione alla compensazione”. Questa normativa (art. 37 DL 223/2006, comma 49-quinquies introdotto nel 2023) mira a spingere le imprese a dilazionare o saldare i debiti fiscali per poter compensare liberamente i propri crediti. È importante ricordare che la rateizzazione decade in caso di mancato pagamento di 8 rate anche non consecutive (soglia ampliata dalla normativa emergenziale, rispetto alle 5 rate previste in passato): la decadenza comporta l’immediata ripresa delle azioni esecutive e l’obbligo di saldare in un’unica soluzione l’importo residuo. Pertanto, se la SRL ottiene un piano di rientro, dovrà rispettarlo con rigore, eventualmente avvalendosi della possibilità di una proroga (oggi ammessa per una sola volta) o della riammissione al beneficio se prevista da norme temporanee. In aggiunta alla rateazione ordinaria, negli ultimi anni il legislatore ha varato misure straordinarie come la “rottamazione” delle cartelle (da ultimo la Rottamazione-quater del 2023) che permettono di estinguere i ruoli fiscali pagando solo l’imposta e gli interessi legali, con abbattimento delle sanzioni e interessi di mora. Ad esempio, una cartella da €50.000 comprensiva di €10.000 di sanzioni e €5.000 di interessi potrebbe essere definita pagando circa €35.000 in forma rateizzata. Tali definizioni agevolate sono finestre limitate nel tempo, ma costituiscono un’opportunità di saldo del debito a costo ridotto per le imprese in difficoltà. In sintesi, la gestione del debito fiscale tramite piani di rateizzo è spesso la prima mossa per alleggerire la pressione finanziaria sulla SRL indebitata col Fisco, diluendo l’esborso su più anni e scongiurando misure aggressive di recupero.

1.5 Transazione fiscale e definizione dei debiti tributari nelle crisi. Un capitolo a parte meritano gli strumenti di transazione del debito fiscale, attivati tipicamente in contesti di crisi d’impresa formalizzati (si veda §2). La transazione fiscale è un istituto introdotto nell’ordinamento (originariamente dall’art. 182-ter L.Fall., oggi rifluito negli artt. 63 e 88 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – CCII) che consente all’impresa in stato di crisi o insolvenza di proporre al Fisco un pagamento parziale e/o dilazionato dei debiti tributari e contributivi, nell’ambito di un piano di risanamento concordatario o di un accordo di ristrutturazione. In altre parole, l’azienda può chiedere all’Agenzia delle Entrate di accettare meno di quanto dovuto in via ordinaria su IVA, imposte e accessori, presentando un piano che offra al creditore pubblico una soddisfazione comunque non inferiore a quella ottenibile in caso di liquidazione fallimentare. La transazione fiscale si inserisce in diversi contesti: stragiudiziali, come la composizione negoziata della crisi (art. 23 CCII) o i nuovi piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione – “PRO” (art. 64-bis CCII); concorsuali, come gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 63 CCII) e il concordato preventivo (art. 88 CCII). In sede di concordato preventivo o accordo, la proposta di transazione fiscale deve essere inserita nel piano e sottoposta al voto dell’Erario (che esprime il voto come un creditore per la classe delle sue posizioni). Oggi la legge prevede che il tribunale possa omologare il concordato anche in caso di voto negativo del Fisco, imponendo il cosiddetto cram-down, a condizione però che la proposta sia conveniente per l’Erario rispetto all’alternativa liquidatoria (cioè offra almeno quanto il Fisco otterrebbe da un fallimento). Tale meccanismo di omologazione forzata è stato introdotto dal DL 69/2023 e dal D.Lgs. 136/2024, con alcune limitazioni quantitative: ad esempio, nei piani di ristrutturazione soggetti ad omologa, se la percentuale di crediti chirografari non fiscali è bassa, la transazione fiscale deve garantire il pagamento di almeno il 40% del debito tributario (anziché 30% minimo quando i creditori privati superano una certa soglia). Ciò per evitare che il cram-down fiscale penalizzi eccessivamente l’Erario nei casi in cui è il creditore principale. In ogni caso, la transazione fiscale richiede l’attestazione di un professionista indipendente sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità e convenienza della proposta per il Fisco. Questo strumento consente quindi di ridurre il carico fiscale complessivo in capo all’impresa in crisi in modo lecito, scaricando parte del debito (soprattutto sanzioni e interessi, ma in taluni casi anche imposte) a fronte di un pagamento parziale ritenuto più realistico. È bene sottolineare che al di fuori di tali procedure non è possibile “tagliare” unilateralmente le imposte dovute: ogni riduzione del debito fiscale richiede o una norma di condono generale, oppure un accordo formale come la transazione fiscale omologata dal tribunale. Infine, tra le definizioni agevolate recenti va menzionata la cosiddetta “stralcio” dei debiti fino a €1.000 affidati a riscossione (previsto dalla L. 197/2022): è stato disposto l’annullamento automatico (al 31/3/2023) dei carichi minori relativi al periodo 2000-2015, misura che ha beneficiato anche molte piccole imprese azzerando micro-debiti ormai antieconomici da riscuotere. Queste misure estemporanee rientrano in un quadro di clemenza fiscale, ma per importi rilevanti l’unica via di riduzione concordata delle tasse resta la transazione fiscale nell’ambito di un piano di risanamento complessivo.

2. Strumenti per la Crisi d’Impresa e il Sovraindebitamento

2.1 Composizione negoziata della crisi (CNC). Introdotta col D.L. 118/2021 (conv. L. 147/2021) e ora disciplinata dal Codice della Crisi (artt. 17-25 CCII), la composizione negoziata è uno strumento volontario e stragiudiziale per aiutare l’imprenditore in difficoltà a trovare accordi con i creditori, evitando l’insolvenza irreversibile. Solo l’imprenditore può attivarla, presentando istanza tramite una piattaforma telematica presso la Camera di Commercio. Viene nominato un esperto indipendente con competenze aziendali, il cui compito è esaminare la situazione economico-finanziaria e facilitare le trattative con i creditori, nell’ottica di preservare la continuità aziendale. La procedura è riservata (non si apre una procedura concorsuale pubblica, se non per alcuni aspetti) ma l’imprenditore può chiedere al Tribunale la concessione di misure protettive temporanee: il giudice, con decreto, può sospendere o vietare azioni esecutive e cautelari dei creditori e impedire che vengano acquisite nuove garanzie sui beni del debitore. Tali misure, che durano inizialmente fino a 4 mesi (prorogabili fino a 12), offrono all’azienda un “respiro” per condurre le trattative. Durante la composizione negoziata, l’impresa rimane sotto la guida degli amministratori, ma l’esperto monitora e riferisce sull’andamento delle trattative e sull’eventuale abuso di tale strumento. Il Terzo Decreto Correttivo (D.Lgs. 136/2024) ha stabilizzato la disciplina, chiarendo i presupposti e soprattutto rafforzando le tutele verso l’imprenditore che accede alla CNC: in particolare, è stato sancito il divieto per le banche di revocare o ridurre fidi e finanziamenti solo perché l’impresa ha avviato la composizione negoziata, così come il divieto di peggiorare il rating creditizio per tale ragione. Ciò significa che i finanziatori non possono, salvo eccezioni legate a obblighi prudenziali, tagliare le linee di credito al manifestarsi della procedura negoziata, evitando di precipitare la crisi. Nell’ambito della CNC, l’imprenditore e l’esperto possono individuare varie soluzioni: accordi stragiudiziali con singoli creditori, contratti modificativi (ad esempio dilazioni di pagamento, riduzioni concordate di crediti), cessioni di asset per fare cassa, o il ricorso successivo a uno strumento concorsuale (accordo di ristrutturazione o concordato). Importante è la novità che consente di integrare nella composizione negoziata anche una proposta di transazione fiscale con l’Erario: il correttivo 2024 ha inserito il comma 2-bis all’art. 23 CCII, permettendo di trattare con il Fisco una riduzione dei debiti tributari già in sede di composizione negoziata. Questa transazione “anticipata” non è da sola vincolante (va recepita poi in un eventuale accordo omologato), ma consente di sondare la disponibilità dell’Agenzia Entrate e includere il Fisco nel piano di risanamento extragiudiziale. La CNC si conclude o con il raggiungimento di accordi che risolvono la crisi (anche accordi semplici, non omologati, con singoli creditori strategici), oppure – se fallisce – con l’inevitabile passaggio a procedure concorsuali formali (concordato preventivo, liquidazione giudiziale) o, in alternativa, con l’abbandono e l’eventuale istanza dei creditori per il fallimento. In alcuni casi, la CNC può sfociare in un “concordato semplificato” per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) se l’esperto attesta che non sono state trovate soluzioni e l’imprenditore vuole evitare il fallimento liquidando i beni in modo ordinato: si tratta di un concordato liquidatorio speciale, senza voto dei creditori, introdotto anch’esso dal DL 118/2021. Per l’impresa indebitata, la composizione negoziata rappresenta quindi una sorta di “ombrello protettivo” temporaneo entro cui cercare intese con fornitori e Fisco, scongiurando azioni esecutive e mantenendo la continuità produttiva. Va però utilizzata tempestivamente (al manifestarsi della crisi, non quando è troppo tardi) e con trasparenza verso l’esperto e i creditori: ogni atto che potrebbe peggiorare la posizione dei creditori (pagamenti non autorizzati, comportamenti dilatori) può indurre l’esperto a segnalare l’abuso, facendo decadere le protezioni.

2.2 Accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR). Gli accordi di ristrutturazione previsti dall’art. 63 CCII (già art. 182-bis L.Fall.) sono accordi contrattuali tra l’imprenditore e una parte significativa dei creditori, che acquistano efficacia legale con l’omologazione da parte del tribunale. Diversamente dal concordato, non coinvolgono automaticamente tutti i creditori: l’impresa negozia con i principali creditori (di norma almeno il 60% del totale dei crediti deve aderire all’accordo) e può lasciare fuori gli altri, purché li paghi per intero al di fuori dell’accordo. L’accordo omologato offre alcuni benefici, come l’esenzione dalle azioni revocatorie per i pagamenti e le garanzie concesse in esecuzione dell’accordo e la possibilità di ottenere le misure protettive (stay delle azioni esecutive) durante le trattative, similmente al concordato. Con le riforme recenti, sono stati introdotti tipi particolari di ADR: l’accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCII) che permette, in presenza di determinate percentuali, di estendere gli effetti anche ai creditori dissenzienti appartenenti a una certa categoria omogenea (ad esempio le banche non aderenti, se il 75% delle altre banche ha aderito); e l’accordo agevolato (art. 60 CCII) per cui la soglia di adesione scende al 30% se il debitore offre il pagamento di almeno il 30% ai non aderenti entro 120 giorni dall’omologa. In ogni caso, la parte pubblica (Erario ed enti previdenziali) deve aderire affinché i loro crediti possano essere inclusi con trattamento differenziato – ciò avviene tramite la transazione fiscale e contributiva inserita nell’accordo. Con il D.L. 69/2023 sono stati posti limiti all’omologazione forzosa (cram-down) della transazione fiscale negli ADR: se l’accordo presentato al tribunale prevede la falcidia dei tributi senza il consenso dell’Agenzia delle Entrate, il giudice può omologare solo se è soddisfatto un requisito di convenienza e sono rispettate percentuali minime (come detto sopra, almeno 30-40% del credito tributario). In pratica, negli accordi di ristrutturazione oggi la transazione fiscale riveste un ruolo fondamentale: l’azienda deve trattare col Fisco condizioni che quest’ultimo possa accettare o che quantomeno il tribunale possa forzare se il piano è solido. L’accordo di ristrutturazione è uno strumento flessibile – perché consente soluzioni anche tailor-made con singoli grandi creditori (banche, obbligazionisti) – e allo stesso tempo formale, perché richiede l’omologazione giudiziale e l’attestazione di un esperto sulla fattibilità. Può essere indicato per imprese che hanno pochi creditori rilevanti con cui trovano un’intesa (ad esempio le banche, principali fornitori e Fisco), evitando così le complessità di un concordato con centinaia di creditori. Tuttavia, per i creditori estranei all’accordo l’impresa deve assicurare il pagamento integrale entro 120 giorni dall’omologa (o 180 se trattasi di crediti tributari), quindi non è adatto se ci sono molti piccoli creditori chirografari che l’impresa non è in grado di soddisfare interamente. In quei casi, meglio un concordato preventivo che consente di imporre una falcidia a tutti.

2.3 Piano attestato di risanamento. Il piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67, c.3, lett. d) L.Fall.) è uno strumento puramente privatistico e non omologato: si tratta di un piano di risanamento predisposto dall’impresa e asseverato da un professionista indipendente, volto a riportare in equilibrio la situazione finanziaria, il cui elemento qualificante è l’idoneità ad evitare la crisi o insolvenza. Il piano va “pubblicato” (depositato) nel Registro delle Imprese per produrre taluni effetti protettivi, ma non passa al vaglio del tribunale né coinvolge obbligatoriamente tutti i creditori. In pratica, con l’assistenza di un attestatore, l’impresa elabora un programma di risanamento (ristrutturazione del debito, ricapitalizzazione, dismissione di asset, ecc.) e negozia in via stragiudiziale con i creditori gli accordi necessari. Il vantaggio principale del piano attestato risiede nel fatto che gli atti, pagamenti e garanzie compiuti in esecuzione del piano non sono soggetti a revocatoria fallimentare (art. 56, c.3 CCII): quindi un fornitore può accettare un pagamento tardivo o parziale in base al piano, senza temere che se l’azienda fallisce in seguito quel pagamento venga revocato. Inoltre, la legge fiscale premia i piani attestati prevedendo che le sopravvenienze attive derivanti da riduzione dei debiti nel contesto di un piano attestato regolarmente pubblicato non siano imponibili per la parte eccedente le eventuali perdite fiscali utilizzate. In altre parole, se alcuni creditori rinunciano a parte dei loro crediti secondo il piano, l’azienda non paga imposte su quel “guadagno” contabile – dopo aver eventualmente compensato perdite pregresse – a condizione che il piano di risanamento sia attestato e pubblicato. Questo è un incentivo rilevante: ad esempio, se una SRL ottiene dai fornitori uno stralcio di €500.000 di debiti, normalmente avrebbe una sopravvenienza attiva tassabile di pari importo; ma se ciò avviene nell’ambito di un piano attestato ex art. 56 CCII pubblicato, tale provento non sarà tassato (oltre ad essere protetto da revocatoria). Il piano attestato è confidenziale (tranne la pubblicazione del solo attestatore e oggetto, i contenuti non diventano pubblici) e consente di evitare il “marchio” di una procedura concorsuale formale, che a volte impatta negativamente su reputazione e rapporti commerciali. Di contro, non offre misure di stay automatiche (non è una procedura concorsuale): per bloccare eventuali azioni dei creditori occorre eventualmente accedere a misure protettive predisposte ad hoc (ad es. presentare un ricorso d’urgenza). Inoltre, vincola solo i creditori che vi aderiscono: non essendo un piano omologato, se un creditore decide di agire per conto proprio (pignorare o chiedere il fallimento), può farlo. Dunque, il piano attestato funziona meglio quando l’impresa ha un numero limitato di creditori e riesce a ottenere il consenso informale di quasi tutti, lasciando fuori solo posizioni marginali. È spesso utilizzato nelle ristrutturazioni “in bonis”: l’azienda non è ancora formalmente insolvente, ma è in difficoltà e preferisce una soluzione discreta. Per gli amministratori, inoltre, dotarsi di un piano attestato ai sensi dell’art. 56 CCII può essere una scriminante di responsabilità: mostra che hanno adottato tempestivamente misure per affrontare la crisi, come richiesto dal dovere di diligente gestione (art. 2086 c.c.). In sintesi, il piano attestato di risanamento è uno strumento di pianificazione negoziata e volontaria, efficace per evitare il default senza passare dal tribunale, beneficiando però di protezioni (fiscali e civili) previste dalla legge per incentivarne l’utilizzo.

2.4 Concordato preventivo. Il concordato preventivo è la procedura concorsuale per eccellenza volta a evitare la liquidazione giudiziale, attraverso un accordo collettivo tra l’impresa debitrice e i creditori, omologato dal tribunale. Con l’entrata in vigore del Codice della Crisi (luglio 2022), il concordato è disciplinato dagli artt. 84-120 CCII. Esistono due principali tipi di concordato: in continuità aziendale (se l’attività prosegue, art. 84, c.3 CCII) e liquidatorio (se prevede solo la cessione o liquidazione dei beni, senza prosecuzione, art. 84, c.4). La distinzione è rilevante perché la legge impone, nel concordato liquidatorio puro, che sia garantito ai creditori chirografari un pagamento minimo del 20% del loro credito. Nel concordato in continuità, invece, non c’è una percentuale minima di legge, confidando che la prosecuzione dell’attività generi maggior valore per i creditori (ad es. mantenendo i contratti, il know-how, ecc.). La SRL può proporre un concordato presentando un piano dettagliato con l’indicazione di come intende soddisfare i creditori (ad es. pagamento integrale di quelli privilegiati, percentuale ai chirografari, eventuale suddivisione in classi, ecc.), corredato dalla relazione di un attestatore indipendente sulla fattibilità. Durante la procedura, l’impresa è ammessa dal tribunale e i creditori votano la proposta; se si raggiungono le maggioranze richieste (maggioranza semplice dei crediti ammessi al voto, salvo maggioranze separate per classi, ecc.), il tribunale passa all’omologa. Novità importante introdotta dalla riforma: il tribunale può omologare il concordato anche senza il voto favorevole dell’Erario e degli enti previdenziali, se ritiene che la proposta con transazione fiscale sia più vantaggiosa per loro rispetto alla liquidazione (il cosiddetto cram-down fiscale). La Cassazione ha avallato tale meccanismo – ad esempio con la sentenza n. 27782/2024 – affermando che il giudice può approvare il concordato in continuità nonostante il voto contrario dell’Agenzia Entrate, purché sia dimostrato che l’Erario riceverà almeno l’equivalente di quanto otterrebbe da un fallimento. Ciò evita che un singolo creditore pubblico, magari minoritario nel monte debiti, possa bloccare una ristrutturazione conveniente per la maggioranza dei creditori. Ovviamente, affinché il cram-down sia applicabile, il piano deve rispettare le soglie di soddisfazione minima del Fisco (30-40% come visto) e il professionista attestatore deve dichiarare che l’offerta è congrua e conveniente per l’Erario. Nel concordato, come in ogni procedura concorsuale, vige la par condicio: i creditori non privilegiati sono trattati in modo equo e proporzionale salvo diversa graduazione per classi; quelli privilegiati, come il Fisco per la parte di tributi con privilegio generale, vanno normalmente pagati integralmente (almeno fino alla capienza del valore dei beni su cui grava il privilegio). La transazione fiscale consente di derogare a questo principio se l’Erario acconsente o in caso di cram-down. Un altro aspetto cruciale del concordato in continuità è la possibilità di pagare anticipatamente taluni creditori strategici anteriori (fornitori indispensabili, fornitori di utenze, ecc.) per non interrompere l’attività. L’art. 100 CCII consente, con autorizzazione del tribunale, di eseguire pagamenti di crediti anteriori durante la procedura se ciò è funzionale alla miglior soddisfazione dei creditori: tipico è il caso dei fornitori di beni/servizi essenziali che, se non pagati, interromperebbero forniture vitali. Ad esempio, in un concordato di una società di trasporti, il tribunale può autorizzare il pagamento di parte dei debiti verso il fornitore di carburante o verso l’autostrada, se senza tali forniture l’azienda non potrebbe generare i flussi promessi ai creditori. Analogamente, i contratti pendenti (leasing, affitti, appalti) possono proseguire e i relativi crediti pregressi rientrare nel trattamento concordatario, ma il contraente può chiedere adeguate garanzie di pagamento corrente. In caso di concordato liquidatorio, non essendovi continuità, di regola l’impresa cessa l’attività e un liquidatore nominato (spesso lo stesso commissario) procede a vendere i beni per distribuire il ricavato. Come detto, in tali casi la legge richiede almeno il 20% ai chirografari, salvo che un esperto nella relazione finale certifichi che anche in liquidation value non si arriverebbe a tale percentuale (scenario peraltro raro, perché se il piano offrisse meno del 20% sarebbe difficilmente approvato dai creditori stessi). Va considerato poi che alcuni crediti tributari hanno privilegio speciale o generale: ad esempio, l’IVA e le ritenute non versate godono di privilegio generale sui mobili, il che significa che in concordato/liquidazione quei crediti devono essere pagati almeno fino alla capienza sui beni mobili (di solito l’attivo circolante). Se l’attivo non basta a coprirli integralmente, la parte eccedente degrada a chirografo e può essere falcidiata (ridotta). I crediti da imposte dirette possono essere in parte chirografari (specie se non relativi all’ultimo anno) e quindi anch’essi oggetto di transazione. Insolvenza e liquidazione giudiziale: qualora nessuno degli strumenti sopra descritti (piani, accordi, concordati) riesca a risolvere la crisi e l’impresa diventi insolvente in modo irreversibile, si apre la liquidazione giudiziale (ex fallimento). In tale procedura, il tribunale dichiara la liquidazione su istanza dell’imprenditore o dei creditori (incluso l’Erario) e nomina un curatore, che sostituisce gli amministratori nella gestione e procede a liquidare tutto il patrimonio per pagare i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. I debiti fiscali in liquidazione giudiziale seguono la regola generale del concorso: quelli privilegiati (es. IVA, ritenute non versate, contributi) vengono soddisfatti con priorità (dopo le spese procedurali e dipendenti) sul ricavato, mentre la parte chirografaria (es. sanzioni, interessi e tributi privi di privilegio) riceve solo l’eventuale riparto residuo proporzionale insieme agli altri crediti chirografari (fornitori, banche non garantite, ecc.). Spesso, nelle liquidazioni, i crediti chirografari del Fisco restano insoddisfatti o pagati in minima percentuale (dipende da quanto attivo rimane). La responsabilità degli amministratori può emergere nella liquidazione giudiziale: il curatore può esercitare l’azione di responsabilità verso gli amministratori se ci sono stati atti di mala gestio che hanno aggravato il dissesto, e tra i danni risarcibili vi sono anche le mancate soddisfazioni dei creditori (incluso il Fisco) imputabili a quelle condotte. Inoltre, se prima del fallimento gli amministratori hanno pagato taluni creditori (es. fornitori “amici”) preferendoli ad altri, il curatore può agire con revocatoria per recuperare le somme pagate nei sei mesi/anno anteriori. Da ultimo, una volta chiusa la liquidazione giudiziale, la società viene cancellata e cessa di esistere: i debiti tributari residui restano inesigibili verso la società estinta. I creditori (Fisco incluso) non possono più rivalersi sui soci della SRL, salvo il caso in cui abbiano riscosso acconti di liquidazione: la Cassazione SS.UU. n. 3625/2025 ha infatti ribadito che i soci di una società di capitali estinta rispondono dei debiti sociali solo nei limiti di quanto percepito in sede di liquidazione, e in assenza di attivo distribuito non sussiste loro obbligo per i debiti insoddisfatti. Eventuali importi incassati dai soci (in violazione della prelazione dei creditori) possono essere richiesti indietro ai sensi dell’art. 2495 c.c., ma oltre a ciò né soci né amministratori rispondono personalmente dei debiti fiscali, a meno che non emergano profili di illecito (si pensi a distrazioni, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, ecc., che integrano reati e causano responsabilità dirette).

3. Responsabilità Fiscali e Penali degli Amministratori

3.1 Obblighi tributari dell’organo amministrativo. In una SRL, per definizione, la responsabilità patrimoniale per i debiti sociali (incluse le imposte) ricade sulla società con il suo patrimonio, e i soci godono di autonomia patrimoniale perfetta. Gli amministratori però hanno precisi doveri di legge nella gestione fiscale: devono assicurare il corretto adempimento delle dichiarazioni e dei versamenti tributari (dall’IVA alle ritenute, dall’IRES all’IMU, ecc.). In caso di inadempienze, l’amministratore può esporsi a sanzioni amministrative, che in materia tributaria colpiscono innanzitutto l’ente in quanto tale (art. 7 D.L. 269/2003 prevede che le sanzioni tributarie siano di regola a carico della persona giuridica). Vi sono però circostanze in cui l’amministratore o il liquidatore possono essere chiamati a rispondere personalmente: ad esempio, l’art. 2394 c.c. (richiamato per le SRL) prevede la responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali se per mala gestione il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfarli. Ciò significa che, se gli amministratori aggravano volutamente o per negligenza la situazione debitoria (ad es. proseguendo l’attività quando avrebbero dovuto adottare strumenti di allerta o liquidare, accumulando così debiti tributari poi insoddisfatti), i creditori – incluso il Fisco – potrebbero tentarne un’azione di responsabilità per il pregiudizio subito. Più specificamente in ambito tributario, la legge non consente all’Erario di escutere direttamente l’amministratore per i debiti fiscali della SRL, salvo alcune eccezioni: una di queste è l’art. 36 del DPR 602/1973, che prevede la responsabilità solidale di amministratori, liquidatori e soci in caso di distribuzione dell’attivo in pregiudizio dei creditori fiscali. In pratica, se durante la liquidazione volontaria di una società gli amministratori/liquidatori ripartiscono beni ai soci lasciando impagate imposte, l’Agenzia delle Entrate può esigere dagli amministratori e soci quei tributi non pagati, nei limiti di quanto indebitamente distribuito. Un’altra eccezione è data dall’art. 11 del D.Lgs. 472/1997, il quale stabilisce la responsabilità solidale di amministratori e rappresentanti per le sanzioni tributarie della società quando il mancato pagamento di queste è dovuto a loro comportamento doloso o gravemente colposo. Ad esempio, se una SRL viene sanzionata per omessa fatturazione e non paga la sanzione perché svuotata dagli amministratori, l’Agenzia potrà chiedere il pagamento ai responsabili (entro il limite del vantaggio da essi conseguito). Tuttavia, tali azioni sono complementari e richiedono prove di condotte anomale. Di norma, quindi, l’amministratore non risponde con il proprio patrimonio dei debiti d’imposta della SRL. Ciò non significa che possa ignorare gli obblighi fiscali: in caso di crisi di liquidità deve adottare criteri di ragionevolezza nella scelta dei pagamenti (principio della business judgment rule), privilegiando magari i debiti strategici e predisponendo piani per dilazionare gli altri (compreso il Fisco). Se, ad esempio, l’amministratore decide di pagare integralmente fornitori non strategici e lasciare inevasi i versamenti IVA, potrebbe essere accusato di aver fatto scelte pregiudizievoli per l’Erario. Inoltre, vi è il profilo penal-tributario (v. infra) che ricade direttamente sulla figura dell’amministratore come autore del reato.

3.2 Sanzioni amministrative tributarie e responsabilità penale. Le violazioni fiscali possono comportare sanzioni amministrative a carico della società (es. sanzione del 30% per omesso versamento di imposte, sanzione dal 90% al 180% per infedele dichiarazione, ecc.), ma oltre certi limiti scattano anche i reati tributari a carico degli amministratori (o di chi ha agito per la società). Il D.Lgs. 74/2000 disciplina i principali reati fiscali. Ecco una sintetica panoramica rilevante per una SRL indebitata col Fisco:

  • Omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis): reato commesso dall’amministratore che non versa le ritenute operate (es. su stipendi dei dipendenti) entro il termine previsto. Scatta se l’omesso versamento supera €150.000 per periodo d’imposta. Pena: reclusione fino a 3 anni e multa. Questo è un rischio concreto: se la SRL trattiene le ritenute ai dipendenti o ai professionisti e, per far fronte ad altre spese, non le versa al Fisco, l’amministratore dopo la scadenza (di norma 16 del mese successivo al periodo) e dopo la soglia commette reato. Pagare il dovuto prima dell’apertura del dibattimento penale estingue il reato (causa di non punibilità introdotta nel 2019).
  • Omesso versamento IVA (art. 10-ter): se la società non versa l’IVA annuale dichiarata, per un ammontare superiore a €250.000, il legale rappresentante commette reato. Il termine di riferimento è la scadenza del versamento a saldo IVA (di solito 16 marzo dell’anno successivo). Anche qui la pena massima è 3 anni. Pure per l’IVA omessa vige l’esimente del pagamento integrale del debito prima del processo: se l’amministratore (o la società) riesce a saldare l’IVA dovuta (magari attraverso un accordo di transazione fiscale che ne riduce l’importo) prima della sentenza, il reato viene meno.
  • Dichiarazione fraudolenta (artt. 2 e 3): sono i reati più gravi in materia di dichiarazioni. Riguardano la frode fiscale mediante utilizzo di fatture false (art. 2) o altri artifici (art. 3, ad esempio falsi documenti, operazioni simulate). Scattano se l’imposta evasa supera €100.000 e l’ammontare degli elementi fittizi supera determinate soglie. La pena è elevata (fino a 6-8 anni). Un amministratore disperato che, per ridurre la base imponibile, si presti a registrare fatture false (magari per ottenere un credito IVA o dedurre costi inesistenti) non solo espone la società a sanzioni tributarie e recupero imposte, ma rischia personalmente l’incriminazione per dichiarazione fraudolenta.
  • Dichiarazione infedele (art. 4): dichiarare elementi attivi inferiori o passivi superiori al vero, oltre soglie (imposta evasa > €100.000 e elementi sottratti > 10% del totale o > €2 milioni) costituisce reato meno grave (pena massima 3 anni). È tipico di omissioni non dolose di grande entità o errori contabili rilevanti: l’amministratore può incorrervi se, ad esempio, non dichiara ricavi rilevanti sperando di “recuperare” l’anno successivo.
  • Omessa dichiarazione (art. 5): se la SRL omette di presentare una dichiarazione dovuta (IVA o imposte dirette) e l’imposta evasa supera €50.000, scatta il penale (fino a 2 anni di reclusione). In situazioni di crisi, può capitare che l’azienda non abbia liquidità per pagare e decida di non presentare la dichiarazione; è una scelta sbagliata, poiché il reato sussiste indipendentemente dal successivo pagamento, e non presentare dichiarazione impedisce di accedere ad adesione o rateazione. Meglio dichiarare il debito (anche se non si paga subito) per evitare il penale e poi gestire il debito con gli strumenti visti.
  • Emissione di fatture false (art. 8): punisce chi emette o mette a disposizione fatture per operazioni inesistenti (anche qui soglia €100.000 di imponibile fittizio) per consentire ad altri evasioni. Un amministratore potrebbe essere tentato di emettere fatture false a un’altra società in cambio di liquidità (o favori reciproci): questo è un reato grave con pene fino a 8 anni.
  • Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11): riguarda chi, al fine di non pagare imposte, alieni simulatamente beni o compia altri atti fraudolenti per rendersi insolvente verso il Fisco. Ad esempio, un amministratore che trasferisce asset dalla società a soggetti terzi gratuitamente o a prezzi irrisori, prevedendo una riscossione imminente, può incorrere in questo reato (pena fino a 4 anni). Questo è tipicamente collegato alle condotte di distrazione patrimoniale: se la SRL svuota i conti o cede rami d’azienda sottoprezzo per sottrarli all’Erario, scattano sequestro e imputazione.

Per molti reati tributari recenti riforme (DLgs 158/2015 e L. 157/2019) hanno inasprito le pene e abbassato alcune soglie, con l’obiettivo di contrastare le frodi seriali e l’evasione più grave. L’amministratore di una SRL indebitata deve quindi muoversi con cautela: privilegiare sempre soluzioni lecite di riduzione del debito (come quelle fiscali e concorsuali descritte) ed evitare di incorrere in omissioni o artifici che sfocino nel penale. Va ricordato che l’avvio di una procedura concorsuale (concordato o liquidazione) non estingue di per sé i reati tributari commessi in precedenza. Solo il pagamento integrale del dovuto (o nei casi previsti, l’accordo omologato col Fisco) può portare al proscioglimento per taluni reati di omesso versamento. Ad esempio, se una SRL presenta concordato con transazione fiscale che prevede il pagamento parziale dell’IVA omessa, ciò non estinguerà automaticamente il reato di cui all’art. 10-ter (che richiede pagamento integrale): l’amministratore potrebbe comunque dover rispondere penalmente per la quota non versata. Questa rigidità è stata oggetto di discussione, ma allo stato è bene che l’organo amministrativo, nel perseguire un accordo di ristrutturazione, tenga conto anche delle conseguenze penali delle proprie pregresse omissioni. In alcuni casi si valuta l’opportunità di far subentrare un nuovo amministratore (ad es. un professionista esperto in ristrutturazioni) per gestire la crisi, anche al fine di marcare una discontinuità rispetto a possibili violazioni pregresse – fermo restando che le responsabilità per i reati compiuti rimangono personali e riferite a chi li ha commessi.

3.3 Responsabilità ex D.Lgs. 231/2001 per reati tributari. Oltre alle responsabilità personali degli amministratori, va evidenziato che dal 2019 alcuni reati fiscali sono diventati reati-presupposto della responsabilità amministrativa degli enti (D.Lgs. 231/2001). Con la Legge 157/2019 il legislatore ha inserito l’art. 25-quinquiesdecies nel catalogo 231, prevedendo che taluni delitti tributari comportino responsabilità amministrativa a carico della società. In particolare, rientrano in questa categoria i reati di dichiarazione fraudolenta (art. 2 e 3 D.Lgs. 74/2000), emissione di fatture false (art. 8), occultamento di documenti contabili (art. 10), sottrazione fraudolenta al pagamento d’imposte (art. 11), nonché talune fattispecie di contrabbando. Non sono inclusi invece i reati di omesso versamento (10-bis e 10-ter) e dichiarazione infedele, che restano fuori dal perimetro 231. Ciò significa che, se l’amministratore commette – nell’interesse o vantaggio della società – uno di questi reati fiscali più gravi (ad esempio utilizza fatture false per ridurre le imposte dovute, facendo risparmiare soldi alla società stessa), anche la SRL potrà essere sottoposta a procedimento e sanzionata. Le sanzioni 231 per reati tributari includono sanzioni pecuniarie fino a 500 quote (l’importo di una quota varia in base alle condizioni patrimoniali dell’ente, fino a €1.500; dunque max €750.000) e, nei casi più gravi o recidivi, sanzioni interdittive come il divieto di contrattare con la PA, l’esclusione da finanziamenti pubblici, fino alla sospensione dell’attività o la commissariazione dell’ente. Ad esempio, una SRL che abbia sistematicamente emesso fatture false per creare costi fittizi e ridurre il reddito imponibile non solo vedrà il suo amministratore imputato penalmente, ma potrà subire essa stessa un procedimento con rischio di una sanzione e di misure come il sequestro preventivo del profitto del reato (cioè le imposte evitate). Per tutelarsi, le imprese possono adottare modelli organizzativi 231: protocolli e controlli interni volti a prevenire i reati presupposto. Nel campo fiscale, ciò significa implementare procedure contabili rigorose, controlli incrociati sulle fatture passive, formazione etica dei dirigenti, etc. In caso di contestazione, poter dimostrare di avere un modello 231 efficace può esonerare l’ente dalla responsabilità. In sostanza, la riforma ha voluto colpire le società che basano la concorrenza sull’evasione fiscale, facendo in modo che non si sottraggano alle conseguenze sanzionatorie. L’amministratore di una SRL dovrebbe quindi, specie se l’azienda è di medie dimensioni, valutare con i propri consulenti l’adozione di un Modello 231 che includa i rischi tributari, così da mitigare il rischio di sanzioni all’ente in caso di illeciti fiscali di dipendenti o apicali.

3.4 Sequestri e confische per reati tributari. Quando viene aperto un procedimento penale per reati fiscali a carico dell’amministratore, spesso la Procura richiede misure cautelari reali sul patrimonio della società o dell’indagato. L’istituto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca (art. 321 c.p.p. e art. 12-bis D.Lgs. 74/2000) consente di bloccare beni di valore equivalente al profitto del reato tributario contestato. Ad esempio, se a un amministratore è contestato di aver evaso €1 milione di IVA fraudolentemente, il giudice può autorizzare il sequestro di conti correnti, immobili, automezzi della società (o personali dell’indagato) fino a concorrenza di €1 milione, in vista di una futura confisca. Questa confisca “per equivalente” è obbligatoria in caso di condanna, salvo che i beni provengano già direttamente dal reato (es. somme non versate ancora presenti in cassa). La Cassazione ha però posto paletti alla prassi di sequestro generalizzato: con sentenza n. 45533 del 13/11/2023 ha affermato che il periculum in mora (rischio nel ritardo) non può essere desunto automaticamente dall’incapienza patrimoniale della società né dal mero fatto che vi siano debiti fiscali elevati. In quel caso il sequestro sui conti di una SRL è stato annullato, perché il PM lo aveva richiesto solo sulla base dell’ingente debito IVA e del patrimonio insufficiente, senza provare che la società stesse dissipando beni o trasferendo fondi per sottrarli alla futura confisca. Questo principio tutela le imprese in crisi: non ogni insolvenza col Fisco giustifica il sequestro penale, serve evidenziare condotte fraudolente attuali (movimenti sospetti di capitali, distrazioni). Tuttavia, in molte situazioni di reati ex D.Lgs. 74/2000, i sequestri scattano in automatico, specie se l’imposta non versata è ancora nella disponibilità dell’azienda sotto forma di liquidità o beni acquistati. La confisca, al termine del processo, colpisce il patrimonio sociale o personale fino all’ammontare dell’imposta evasa (più eventuali sanzioni pecuniarie penali). Nei casi di responsabilità 231, la confisca può colpire l’ente stesso. Ad esempio, se una società ha beneficiato di una frode fiscale da €500.000, quella somma (o il suo equivalente) sarà confiscata a carico dell’ente, anche se l’amministratore è personalmente condannato. Rientrano nella confisca anche i beni trasferiti a terzi se il trasferimento è gratuito o avviene con dolo per evitarla, salvo la tutela degli aventi causa inconsapevoli. Per l’amministratore indagato è dunque vitale evitare di aggravare la propria posizione: collaborare, cercare di pagare il dovuto (magari tramite il concordato o accordi) e non compiere atti sul patrimonio che possano essere interpretati come distrattivi. Se la SRL riesce, ad esempio, a pagare integralmente l’IVA non versata prima della sentenza di primo grado, l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede la causa di non punibilità e la liberazione dai sequestri (o la revoca di confisca già disposta). Analogamente, il pagamento del debito tributario anche dilazionato può costituire un attenuante o evitare l’applicazione di sanzioni interdittive all’ente in sede 231. Va citato che, in rari casi, se l’impresa fallisce e viene dimostrato che l’evasione fiscale era parte di un disegno criminoso più ampio (ad esempio frode IVA internazionale), si può incorrere anche in accuse come associazione a delinquere finalizzata all’evasione: ipotesi estreme che portano a misure ancor più afflittive (confische estese, amministrazione giudiziaria dell’azienda). Per la generalità delle SRL, comunque, il fulcro è: mancato pagamento di imposte sopra soglie = rischio di sequestro/confisca e imputazione per l’amministratore. Una gestione oculata della crisi fiscale, come detto, passa per strumenti deflativi e concordati; la scelta opposta – accumulare debiti erariali in silenzio – porta spesso a conseguenze penali e patrimoniali ben peggiori.

3.5 Profili di responsabilità verso i fornitori e altri creditori. Oltre al Fisco, anche i fornitori ed altri creditori possono agire contro gli amministratori se subiscono un pregiudizio ingiusto. Un esempio classico: se gli amministratori, anziché impiegare le risorse disponibili per pagare fornitori strategici o per un piano di risanamento, decidono di pagare indebitamente i soci (magari distribuendo utili o acconti su riserve in violazione dell’art. 2476 c.c.) o soggetti correlati, quei pagamenti possono essere revocati o far scattare responsabilità personale. In situazioni di insolvenza, vige il principio della par condicio creditorum: tutti i chirografari vanno trattati equamente. Favorire taluni creditori a scapito di altri, fuori dalle eccezioni di legge, può portare a azioni revocatorie o a azioni di responsabilità. Anche i liquidatori sociali (in caso di scioglimento volontario) hanno un ruolo delicato: l’art. 2495 c.c. prevede che, se il bilancio finale di liquidazione non soddisfa tutti i debiti, i liquidatori devono accantonare le somme per i creditori non pagati, altrimenti possono essere chiamati a risponderne. La Cassazione a SS.UU. n. 3635/2023 (cfr. massima in Cass. 3625/2025 cit.) ha affermato chiaramente che il liquidatore che distribuisce attivo ai soci lasciando debiti, pur avendo chiuso formalmente la società, risponde personalmente verso i creditori insoddisfatti. Nel contesto di debiti diffusi (fisco e fornitori), l’organo amministrativo si trova dunque al centro di possibili contestazioni incrociate. La linea guida è: trasparenza, correttezza e attivazione tempestiva degli strumenti di composizione della crisi. Ciò protegge l’organo apicale anche sotto il profilo penale: ad esempio, adottare un modello di organizzazione e controllo per i rischi fiscali, come detto, è un esimente 231 che indirettamente attesta la volontà dell’amministratore di prevenire illeciti. Analogamente, richiedere la composizione negoziata appena emergono segnali di crisi può mettere al riparo l’organo gestorio dall’accusa di aver tardato colposamente le iniziative di risanamento (con possibili riflessi di responsabilità ex art. 2086 c.c.).

4. Strategie lecite per ridurre il carico fiscale

4.1 Compensazione di crediti d’imposta. Una delle strategie immediate per alleggerire la pressione fiscale su una SRL indebitata consiste nel massimizzare l’uso dei crediti tributari in compensazione. La compensazione orizzontale (ex art. 17 D.Lgs. 241/1997) consente di utilizzare crediti maturati su un’imposta per pagare altri debiti fiscali o contributivi: ad esempio, un credito IVA annuale o infrannuale può essere usato per compensare debiti di IRES, IRAP, ritenute, contributi INPS, ecc., tramite il modello F24. Ciò riduce l’esborso di cassa effettivo. Bisogna tuttavia rispettare alcune regole: se la compensazione supera €5.000 annui, la società deve aver presentato la dichiarazione da cui emerge il credito (per crediti IVA >5k è richiesto anche il visto di conformità sul dichiarativo) e deve inviare l’F24 tramite i servizi telematici dell’Agenzia Entrate. Inoltre, come già evidenziato (§1.4), non si possono compensare crediti se si hanno debiti iscritti a ruolo > €1.500 per imposte erariali non pagate: questa norma, introdotta dall’art. 31 DL 78/2010, inibisce la compensazione fino a concorrenza dei debiti scaduti oltre tale modesta soglia, a meno che il contribuente non li abbia nel frattempo rateizzati o sospesi. Dal 2024, con l’ulteriore stretta normativa, la compensazione è preclusa addirittura in presenza di ruoli > €100.000 non in regola, come visto. Quindi, per sfruttare i crediti, la SRL deve innanzitutto mettere in sicurezza la propria posizione con la riscossione (pagando o dilazionando i debiti a ruolo). Una volta fatto ciò, può impiegare liberamente i crediti: ad esempio, se vanta un credito IVA di €50.000 e ha debiti di IRES e ritenute per €50.000, può compensarli integralmente, evitando esborsi. Un’altra opportunità è la compensazione verticale, ossia l’utilizzo di un credito nell’ambito della stessa imposta (come compensare debiti IVA con credito IVA di periodo precedente, o crediti d’imposta in F24 accise per versare accise): queste compensazioni interne spesso non subiscono i limiti dei €5.000 e non richiedono visto. Da non dimenticare sono i crediti d’imposta derivanti da agevolazioni: per esempio, se la SRL ha maturato un credito d’imposta per investimenti in beni strumentali 4.0 o un credito per spese di ricerca e sviluppo, può portarlo in compensazione per ridurre i versamenti mensili di IVA o ritenute. Ciò migliora la cassa e indirettamente libera risorse per pagare debiti scaduti. Un accorgimento fondamentale: assicurarsi sempre che i crediti d’imposta siano certi, liquidi ed esigibili. Utilizzare in compensazione crediti inesistenti o non spettanti espone a pesanti sanzioni (dal 100% al 200% del credito) e in casi gravi costituisce reato di indebita compensazione (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000) se l’importo supera €50.000. Quindi, se la SRL è in difficoltà di liquidità, è preferibile compensare crediti reali (es: un credito IVA da dichiarazione annuale) piuttosto che azzardare operazioni borderline (come compensare bonus non maturati) che peggiorerebbero la situazione. Un aspetto correlato riguarda il rimborso dei crediti: qualora la SRL non abbia debiti da compensare a breve, può valutare di chiedere il rimborso cash dei crediti fiscali (in particolare il credito IVA annuale). Ottenere rimborsi IVA richiede la rispondenza a certi requisiti (ad esempio la presenza di operazioni attive non imponibili per oltre il 25% del totale, o un ammontare del credito superiore a €2.582,28 e altri criteri – art. 30 DPR 633/72) e l’apposizione del visto di conformità per importi > €30.000, eventualmente con presentazione di garanzia fideiussoria se richiesto. In caso di crisi, però, spesso l’azienda preferisce autofinanziarsi via compensazione piuttosto che attendere tempi lunghi di rimborso. Un altro strumento è la compensazione nei gruppi societari: se la SRL fa parte di un gruppo, può aderire alla liquidazione IVA di gruppo o al consolidato fiscale per l’IRES, in modo da far confluire i propri crediti a livello di controllante compensandoli con debiti di altre società del gruppo. Questo è rilevante ad esempio se la SRL in crisi ha grosse perdite o crediti, e un’altra società del gruppo ha utili o debiti fiscali: la compensazione infragruppo (tramite consolidato nazionale ex artt. 117 e segg. TUIR per le perdite e tramite liquidazione IVA di gruppo ex DPR 633/72 art. 73) permette di ottimizzare il carico fiscale complessivo del gruppo. Naturalmente occorre avere una controllante comune e rispettare i vincoli di partecipazione richiesti dalla legge. In sintesi, ogni euro di credito fiscale utilizzato è un euro di tasse non uscito dalle casse aziendali: in situazioni di debito fiscale, la priorità è dunque non sprecare i crediti maturati (IVA, imposte anticipate, agevolazioni) e mettersi nelle condizioni di poterli compensare (regolarizzando o rateizzando eventuali ruoli scaduti oltre soglia).

4.2 Utilizzo delle perdite fiscali e pianificazione dei redditi. Un altro pilastro per ridurre l’esborso tributario è la gestione strategica delle perdite fiscali. Se la SRL ha avuto anni in perdita, tali losses possono compensare gli utili degli anni successivi, riducendo (o azzerando) l’IRES dovuta. Come accennato, dal 2012 le perdite delle società di capitali sono riportabili senza limiti di tempo, ma utilizzabili entro l’80% del reddito di ciascun anno (ad eccezione delle perdite dei primi 3 esercizi di nuova attività, utilizzabili al 100%). Esempio: la SRL Alfa ha perdita fiscale 2023 di €100.000; nel 2024 realizza utile fiscale €80.000, può compensare l’80% di 80.000 = 64.000 con la perdita, pagando IRES solo su 16.000 (e lasciando 36.000 di perdita da usare in futuro). Novità 2024: la delega fiscale prevede la eliminazione del limite dell’80%, rendendo le perdite integralmente compensabili con i redditi successivi. Ciò significa che, se attuato, già per l’esercizio 2025 si potrebbe usare il 100% delle perdite pregresse. Per una SRL in crisi che genera perdite, questa modifica è positiva: quando tornerà all’utile, potrà scontare completamente le perdite senza pagare imposte fino a esaurimento delle stesse. È dunque opportuno tenere monitorata l’evoluzione normativa e, intanto, conservare e riportare correttamente tutte le perdite. Anche in caso di operazioni straordinarie come fusioni, le perdite sono utilizzabili dalla società risultante solo se superano il test di vitalità (art. 172 TUIR): cioè l’attività che le ha prodotte deve avere avuto ricavi e spese per un minimo nei 2 anni precedenti. Questo per evitare compravendita di “bare fiscali” (società senza attività ma con perdite da usare). Ad esempio, Cassazione n. 22/2025 ha confermato che in caso di fusione è legittimo negare l’utilizzo di perdite se la società fusa era inattiva e non supera il test, salvo prova contraria. Pertanto, l’imprenditore che valuta di acquisire una società con perdite per ridurre le tasse deve stare attento a questi limiti anti-elusivi. Un’altra opportunità è per i gruppi: il consolidato fiscale nazionale consente di compensare utili e perdite tra società diverse della stessa holding (se partecipate almeno al 50% +1). Così, se la SRL A ha perdita e la consociata B ha utile, la perdita A può abbattere l’utile B in dichiarazione consolidata, riducendo l’IRES di gruppo. Questo strumento, però, dev’essere scelto prima (presentando opzione) e vincola per un triennio. Va anche considerato il riporto all’indietro delle perdite (carry-back): tradizionalmente in Italia non era ammesso, salvo ipotesi di perdite da periodo di liquidazione o simili. Ma con la riforma IRPEF/IRES (D.Lgs. 192/2024) pare sia stato introdotto un meccanismo di carry-back limitato, forse riferito al periodo di liquidazione. In particolare, per le società in liquidazione dal 2024 viene abbandonato il concetto di periodo intermedio e si consente di definire l’imponibile dell’intera liquidazione tenendo conto delle perdite pregresse e di periodo in compensazione piena. Inoltre, sembra previsto un carry-back generale di perdite in alcuni casi (ad esempio, riportare la perdita dell’anno in corso sui redditi dei 5 anni precedenti, con conguaglio delle imposte pagate). Se confermato nei decreti attuativi, questo sarebbe rivoluzionario: un’azienda che nel 2025 subisce una grossa perdita potrebbe chiedere rimborso delle tasse pagate dal 2020 al 2024 in misura proporzionale. Ciò darebbe liquidità immediata in caso di crisi improvvisa. Occorrerà verificare l’attuazione pratica, ma la direzione è allineare l’Italia a paesi che già prevedono il carry-back. In ogni caso, l’azienda in difficoltà dovrebbe anticipare quante più deduzioni e costi possibili nell’anno di perdita, per massimizzarla (senza violare il principio di competenza). Ad esempio, se ci sono magazzini obsoleti, si valuti di svalutarli integralmente nell’anno in perdita; se ci sono crediti inesigibili, meglio dedurli subito; se conviene rivalutare in bilancio i cespiti pagando un’imposta sostitutiva per generare più ammortamenti futuri, può essere utile farlo (compatibilmente con la cassa). Pianificare i componenti di reddito in modo da concentrare i costi nei periodi di vacche magre e i ricavi nei periodi di vacche grasse è una regola aurea. Naturalmente non sempre si ha tale flessibilità, ma ad esempio si può decidere di rinviare la fatturazione di ricavi (entro limiti leciti) all’anno successivo se l’anno corrente è già in utile e l’anno dopo si prevede in perdita – in modo che quei ricavi vadano a compensarsi con la perdita e non generino tasse. Oppure, al contrario, se l’anno in corso è comunque in perdita, si può anticipare accantonamenti e costi deducibili (TFR, manutenzioni straordinarie, bonus dipendenti, ecc.) così da ridurre eventuali futuri utili tassabili. Queste scelte di fine tuning fiscale devono però rispettare la corretta competenza economica e le norme antielusive (ad esempio, l’Amministrazione può contestare accantonamenti eccessivi o transazioni infragruppo volte solo a spostare imponibile). In definitiva, non sprecare le perdite è fondamentale: un errore comune in passato era far scadere perdite non utilizzate (quando vigeva il limite di 5 anni). Ora che non scadono, ogni perdita ha valore come “credito d’imposta implicito” (vale il 24% del suo importo, di IRES risparmiata un domani). Quindi la SRL dovrebbe proiettare i propri risultati futuri e utilizzare le tecniche di tax planning per sfruttarle appieno nel medio termine.

4.3 Deducibilità di costi e massimizzazione di agevolazioni settoriali. In parallelo alla gestione di crediti e perdite, un’impresa può ridurre le tasse ottimizzando le deduzioni e sfruttando i crediti d’imposta disponibili, specie quelli pensati per determinati investimenti o settori economici. Eccone alcuni di rilievo aggiornati al 2025:

  • Aiuto alla Crescita Economica (ACE): è una deduzione dal reddito d’impresa correlata agli incrementi di patrimonio netto. In sostanza, se i soci versano nuovo capitale o gli utili sono accantonati a riserva, la società può dedurre dal reddito una quota figurativa pari al rendimento nozionale di questo nuovo capitale (percentuale annualmente stabilita, es. 1,3%). L’ACE era stata soppressa nel 2019 ma poi reintrodotta; per il 2022-2023 è stata rafforzata col “Super ACE” al 15% (DL 34/2020). Nel 2025 potrebbe venire modificata dalla riforma fiscale (che punta forse a un’aliquota IRES ridotta sugli utili reinvestiti, come l’IRES premiale, rendendo ACE ridondante). Finché c’è, ricapitalizzare la SRL incrementa ACE e quindi abbatte la base imponibile IRES. Se ad esempio i soci versano €100.000 in conto capitale, la società potrà dedurre circa €1.300 all’anno finché quel capitale resta (24% di 1.300 = €312 risparmio/anno). Non enorme, ma su grandi cifre e col tempo incide, e soprattutto segnale di solidità finanziaria (che evita la presunzione di capitalizzazione sottile per interessi passivi).
  • Patent box e incentivi sui beni immateriali: la disciplina del patent box è stata modificata di recente (DL 146/2021). Invece dell’opzione precedente (parziale esenzione dei redditi derivanti da beni intangibili), ora la società può optare per una maggiorazione del 110% dei costi di R&S relativi a beni immateriali agevolabili (brevetti, software protetti da copyright, know-how). Ciò significa dedurre più del doppio di quei costi. Ad esempio, se una software house spende €200.000 in sviluppo e ha attivato il patent box, dedurrà €420.000 ai fini IRES, abbattendo notevolmente il reddito tassabile. Questo incentivo è particolarmente utile per aziende tecnologiche che investono in innovazione.
  • Crediti d’imposta “Transizione 4.0”: il Piano Transizione 4.0 ha sostituito i vecchi iper e super-ammortamenti con crediti d’imposta su investimenti in beni strumentali nuovi (materiali e immateriali) e su spese in Ricerca & Sviluppo, Innovazione e Formazione. La normativa è stata più volte prorogata e modulata. Per il 2023-2025, ad esempio, gli investimenti in beni materiali 4.0 (macchinari interconnessi) danno un credito dal 5% al 20% a seconda dell’anno e dell’importo (aliquote decrescenti negli anni); i beni immateriali 4.0 (software gestionali avanzati) sono incentivati con credito 20% fino al 2023, forse 15% nel 2024. Le attività di Ricerca & Sviluppo danno un credito (per il 2023 era 10% delle spese, max 5 milioni) e quelle di innovazione tecnologica 10% (15% se innovazione verde o digitale). Le spese di formazione 4.0 (aggiornamento competenze digitali del personale) godono di credito dal 30% al 50%. Una SRL manifatturiera o di servizi può ridurre il carico fiscale utilizzando questi crediti per compensare imposte e contributi (sono usabili in F24 senza tassazione). Ad esempio, un’azienda di produzione che nel 2024 acquista un robot interconnesso da €500.000, se l’aliquota di credito 4.0 è 15%, ottiene €75.000 di credito d’imposta da spalmare in compensazione in 3 anni, pari a €25.000/anno, riducendo di fatto i versamenti tributari di quell’importo.
  • Bonus investimenti nel Mezzogiorno: confermato fino al 2023 (e rinnovato con fondi PNRR), prevede un credito d’imposta dal 25% al 45% per investimenti in beni strumentali nuovi in Regioni del Sud (Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna). Molte PMI hanno fruito di questo bonus per acquistare macchinari e attrezzature, riducendo drasticamente le imposte dovute. Ad esempio, un’impresa edile in Puglia che compra un escavatore da €100.000 ottiene €45.000 di credito, compensando per mesi o anni i debiti tributari. Questo bonus, salvo proroghe, copre investimenti fino al 31/12/2023, ma ci sono istanze per estenderlo.
  • Agevolazioni edilizie e settore costruzioni: negli anni recenti il comparto edile ha beneficiato di incentivi come il Superbonus 110% per ristrutturazioni edilizie con efficientamento energetico, e bonus ristrutturazioni al 50%, ecobonus 65%, bonus facciate 90% ecc. Tali bonus in genere spettano ai proprietari committenti, ma le imprese edili ne hanno beneficiato indirettamente tramite lo sconto in fattura e cessione del credito. Molte SRL edili nel 2020-2022 hanno maturato ingenti crediti d’imposta da bonus edilizi ceduti loro dai clienti in luogo del pagamento. Questi crediti possono essere usati in compensazione per pagare contributi e tasse. Tuttavia, la crisi del 2023 con lo stop alle cessioni ha lasciato alcune imprese con crediti incagliati: se utilizzabili in F24, costituiscono comunque una risorsa per ridurre il carico fiscale (sebbene diluita in 4-5 anni a seconda del bonus). Ad esempio, una SRL che ha in pancia crediti da Superbonus per €1 milione li può usare per versare circa €200k all’anno di imposte (per 5 anni), sostanzialmente azzerando i suoi debiti fiscali correnti in quel periodo. Bisogna però rispettare i limiti di utilizzo annuale e aver comunicato regolarmente la cessione all’Agenzia.
  • Settore autotrasporto e logistica: sono previsti crediti d’imposta sulle spese di carburante (ad esempio, nel 2022 per mitigare il caro-energia c’era un bonus 28% sul costo del gasolio per imprese di autotrasporto), nonché deduzioni forfettarie per le imprese di piccole dimensioni. Inoltre, gli autotrasportatori beneficiano dell’esenzione dell’accisa su una quota di carburante (recupero trimestrale accise). Tutti questi meccanismi riducono il costo fiscale complessivo. Ad esempio, un’impresa di trasporto merci con 10 camion, grazie al credito gasolio, potrebbe avere 20-30 mila euro di crediti annui da utilizzare in F24 per pagare INPS autisti o imposte. Anche pedaggi autostradali e investimenti per mezzi a basso impatto ambientale hanno avuto crediti dedicati.
  • Settore agricoltura e agroalimentare: per completezza, le SRL agricole (che però spesso hanno un regime proprio) hanno crediti d’imposta per investimenti in beni strumentali agricoli 4.0, per la società benefit c’è un credito sulle spese di trasformazione in benefit, ecc. Le cooperative agricole godono di esenzioni parziali IRES su utili destinati a riserva indivisibile.
  • Settore commercio e servizi: qui gli incentivi fiscali sono minori, ma esistono crediti d’imposta minori: es. credito del 50% sulle commissioni POS per esercenti (importi modesti), credito per sanificazione ambienti (in pandemia), contributi a fondo perduto occasionali. Nel turismo, il bonus alberghi 65% per riqualificazione (fino al 2020). O ancora, le start-up innovative godono di esenzione da alcune imposte camerali e, per gli investitori, deduzioni/detrazioni IRPEF/IRES sul capitale investito (fino al 50%). Anche se non abbassano la tassazione della SRL in senso stretto, queste misure agevolative aiutano la sostenibilità finanziaria.
  • Fiscalità locale agevolata: alcune imposte locali possono essere ridotte per settori specifici o aree geografiche. Ad esempio, esenzioni IMU per capannoni merce (quando merce in magazzino), riduzioni TARI per attività chiuse in pandemia, ecc. Non incidono su IRES/IRAP ma sui costi generali.

In conclusione, la SRL con problemi di debiti deve fare scouting di tutte le agevolazioni applicabili al proprio caso: sfruttare il credito R&S se fa sviluppo, il credito mezzogiorno se investe al Sud, l’ACE se ricapitalizza, l’industria 4.0 se compra macchinari, l’IRES premiale se reinveste utili in beni e personale. Ogni bonus è un risparmio di imposta che si traduce in più liquidità per altri scopi (pagare fornitori, rateizzare l’Agenzia Entrate, ecc.). Serve però programmazione e consulenza specializzata: molte agevolazioni richiedono documentazione accurata (per es. per i crediti R&S serve una relazione tecnica, per gli investimenti 4.0 serve interconnessione e perizia giurata oltre €300k, ecc.), e la normativa può cambiare con le leggi di bilancio. Il beneficio comunque giustifica lo sforzo, specie in settori ad alta intensità di investimenti o innovazione.

4.4 Gestione delle rimanenze, dei crediti e altri accorgimenti fiscali. Un’impresa in difficoltà può ridurre la pressione fiscale anche agendo su specifiche voci di bilancio per trarne vantaggi fiscali:

  • Magazzino e rimanenze: l’art. 92 TUIR permette di valutare le rimanenze di magazzino al minore tra costo e valore di realizzazione desumibile dal mercato. Se la SRL ha merci obsolete, invendute o di modesto valore di mercato, può (anzi, deve) svalutarle contabilmente. Questo genera un costo deducibile che riduce l’utile fiscale. Ad esempio, un’azienda di commercio con stock datati del valore a bilancio €100.000 ma che sul mercato ne vale 20.000, può svalutare di €80.000, risparmiando €19.200 di IRES. Attenzione: la svalutazione deve essere motivata e documentabile (listini, perizie), altrimenti il Fisco potrebbe riprenderla come incongrua. Ma se reale, alleggerisce le imposte e rende il bilancio più veritiero.
  • Crediti verso clienti inesigibili: spesso nelle crisi le SRL accumulano crediti commerciali difficilmente esigibili (clienti insolventi). La legge consente la deduzione delle perdite su crediti in due casi: o quando il credito è di modesta entità (fino a €2.500, o €5.000 per grandi imprese, e scaduto da oltre 6 mesi), oppure quando c’è un elemento certo e preciso (ad es. la procedura concorsuale del debitore, un accordo di stralcio formalizzato). Pertanto, l’amministratore dovrebbe esaminare l’elenco crediti: se ce ne sono di irrecuperabili, stabilirne una perdita. Ciò farà emergere una sopravvenienza passiva (deducibile) che riduce il reddito. Ad esempio, un credito cliente €50k risalente a 2 anni fa, se il cliente è fallito o in liquidazione, può essere dedotto: l’IRES si abbassa di €12k. Inoltre l’IVA su quel credito può essere recuperata presentando nota di variazione IVA in diminuzione dopo la conclusione infruttuosa della procedura (DL 73/2021 ha anticipato il momento di recupero IVA già dalla sentenza dichiarativa di fallimento). Dunque, ripulire il bilancio da crediti morti conviene fiscalmente.
  • Accantonamenti e fondi rischi: la fiscalità consente alcuni accantonamenti deducibili (nei limiti): per esempio, fondo svalutazione crediti (deducibile fino al 5% dei crediti in essere ogni anno, cumulo max 5% del totale crediti) – se non si è già dedotto per intero i crediti inesigibili come sopra – oppure fondo TFR (deduzione integrale di quanto accantonato per i dipendenti, ma è giusto un differimento perché il TFR maturando è costo comunque). Accantonare a fondi rischi su cause legali: se c’è una causa in corso dove realisticamente la società pagherà, un accantonamento è deducibile se vi è obbligazione probabile e determinabile; se però la causa riguarda sanzioni o interessi di mora verso il Fisco, quelli non sono deducibili (sanzioni tributarie mai deducibili per legge). Insomma, laddove c’è margine di stimare oneri futuri probabili (garanzie prodotti, cause risarcitorie con clienti), accantonare permette di spalmare il costo prima ed evitare picchi di tassazione in esercizi in cui magari l’utile sarebbe altrimenti elevato.
  • Scelte su ammortamenti: se l’impresa ha utili contenuti o è in perdita, può decidere di ridurre gli ammortamenti civilistici (entro i limiti, mai sotto il 50% della quota ordinaria) per conservarli per anni futuri di maggior utile; viceversa, se ha un anno di buon utile e vuole ridurre le tasse, può anticipare tutto l’ammortamento consentito (es: applicare il massimo coefficiente tabellare). Con la sospensione degli ammortamenti nel 2020 molte imprese hanno dilazionato i costi su più anni. Ora si tratta di dosarli saggiamente, considerando che in liquidazione giudiziale le quote residue diventano integralmente deducibili (quindi a volte conviene conservare ammortamenti per usarli in extremis, ma è scenario pessimistico).
  • Operazioni straordinarie vantaggiose: sul piano fiscale, alcune operazioni possono generare benefici. Ad esempio, la trasformazione della società in altro ente: se la SRL è di fatto un veicolo che gestisce patrimonio immobiliare e produce perdite correnti (perché costi > fitti attivi), potrebbe valutare la trasformazione in società semplice (se possibile) per sfruttare la fiscalità più leggera di quest’ultima sui redditi fondiari (cedolare secca per abitativi, o IRPEF sui soci con aliquote effettive minori se i soci hanno redditi modesti). Oppure, la cessione di un ramo d’azienda in perdita a un soggetto capiente potrebbe monetizzare quei asset e far emergere minusvalenze utili. Anche una scissione potrebbe isolare attività sane da quelle compromesse, consentendo di portare avanti la parte buona senza i fardelli fiscali (che restano nella bad company da liquidare eventualmente). Tuttavia, queste mosse devono essere valutate attentamente per non incorrere in contestazioni di abuso del diritto: un’operazione infragruppo o di trasformazione meramente per risparmio d’imposta, senza sostanza economica, può essere disconosciuta dall’Agenzia (art. 10-bis Statuto Contribuente). Quindi vanno adottate solo se c’è un valido motivo extra-fiscale.
  • Riduzione IRAP tramite deduzioni: l’IRAP colpisce il valore aggiunto prodotto (per industriali e commerciali, parte dal bilancio con alcune esclusioni come costo del personale a tempo indeterminato deducibile fino a certi limiti, ecc.). Le imprese con molti dipendenti possono azzerare di fatto la base IRAP con le deduzioni forfetarie per lavoratore (se piccole) e deduzione totale del costo del lavoro stabile. Pianificare l’organico con contratti a tempo indeterminato piuttosto che interinali, quando possibile, porta benefici IRAP. La Legge di Bilancio 2022 ha abolito l’IRAP per le ditte individuali e professionisti, ma non per le società, quindi le SRL pagano ancora IRAP. Una riduzione del cuneo fiscale (se decisa dal Governo) potrebbe in futuro ridurre l’IRAP aliquota, ma intanto l’azienda può solo operare sulle deduzioni IRAP esistenti.
  • Verifica dello status di “società di comodo” o in perdita sistematica: se la SRL negli ultimi esercizi ha avuto perdite fiscali croniche o ricavi bassissimi rispetto agli asset, rischia di essere considerata non operativa (cosiddetta società di comodo) secondo gli indici di legge. In tal caso, subirebbe un regime punitivo: reddito minimo forfettario tassato (anche se in perdita), impossibilità di compensare crediti IVA, ecc. Per evitare questo scenario, occorre monitorare i parametri (DM 2/4/2008) e, se la società è effettivamente inattiva, valutare di metterla in liquidazione o di presentare interpello disapplicativo dimostrando la non volontarietà della situazione (ad esempio, se l’azienda ha mancato operatività per ragioni di mercato). Nel contesto di crisi, molte imprese rischiano di incorrere in questa categoria: se succede, il carico fiscale può paradossalmente aumentare (tasse su redditi figurativi non reali). Quindi una strategia difensiva è evitare di essere classificati di comodo (es: incrementando l’attività minima necessaria, locando gli immobili a canone congruo, etc., oppure trasformando la società in un ente che non subisce la disciplina, come società semplice se fattibile).

Riassumendo, la gestione fiscale di una SRL in tensione finanziaria richiede un mix di manovre correttive sul bilancio (costi, magazzino, crediti) e sfruttamento di incentivi. Ciò va fatto in conformità alle norme (no a forzature illegali tipo fatture false o crediti inventati, che sarebbero devastanti) e preferibilmente con l’ausilio di un commercialista esperto. Pagare meno tasse legalmente è possibile: compensando crediti, usando perdite, investendo nei giusti progetti agevolati e ottimizzando le voci deducibili, l’impresa può ridurre l’impatto fiscale e destinare le risorse liberate al risanamento aziendale.

4.5 IRES “premiale” e riduzione dell’aliquota tramite reinvestimento degli utili. Una novità di assoluto rilievo per il 2025 è l’introduzione di un’aliquota IRES ridotta (nota come IRES premiale). La Legge di Bilancio 2025 (L. 197/2023) ha previsto che le società che rispettano determinati requisiti di reinvestimento degli utili e incremento occupazionale possano fruire, per il solo periodo d’imposta 2025, di un’aliquota IRES del 20% anziché 24%. In pratica è una sorta di mini-IRES (simile a quella sperimentata nel 2019): la riduzione di 4 punti percentuali si applicherà sulla parte di reddito corrispondente agli utili 2024 accantonati a riserva e reinvestiti secondo le regole. I requisiti, come anticipato, sono piuttosto stringenti:

  • L’impresa deve aver accantonato almeno l’80% dell’utile 2024 a riserve disponibili e non distribuirlo come dividendo.
  • Deve effettuare nel 2025 investimenti in beni strumentali nuovi “4.0/5.0” (tecnologicamente avanzati) per un ammontare almeno pari al 30% dell’utile 2024 accantonato.
  • Deve inoltre incrementare il numero di dipendenti a tempo indeterminato o comunque il costo del personale con contratto stabile, rispetto al 2024, stabilizzando eventualmente personale precario.
  • Sono escluse dal beneficio le imprese in liquidazione o soggette a procedure concorsuali liquidatorie (quindi un’azienda già in concordato liquidatorio o fallita nel 2025 non ne usufruisce), e quelle costituite nel 2025 (per evitare costituzioni ad hoc).

Per cogliere il vantaggio, la SRL deve quindi pianificare già ora (nel 2024) l’accantonamento di utili e nel 2025 eseguire investimenti e assunzioni. Ad esempio, supponiamo una SRL che nel 2024 genera utile di €100.000. Se nel 2025 ne trattiene almeno €80.000 a riserva e utilizza almeno €24.000 (30% di 80k) per acquistare macchinari digitali o software evoluti, e al contempo assume almeno un dipendente aggiuntivo a tempo indeterminato, allora sul reddito 2025 (dichiarazione da presentare nel 2026) potrà applicare l’aliquota IRES 20% sulla quota corrispondente a quell’utile reinvestito. In pratica, se l’utile 2025 fosse, poniamo, €120.000, e l’utile 2024 accantonato era €80.000, allora €80k di imponibile pagheranno il 20% (invece di 24%), e i restanti €40k pagheranno 24%. Il risparmio d’imposta è €80.000 * 4% = €3.200. Non enorme in valore assoluto, ma è pur sempre un bonus – e l’utilità principale è l’incentivo a rafforzare l’impresa. Infatti, l’obiettivo del legislatore con questa norma è “premiare” chi non distribuisce utili ma li reinveste in azienda e in nuova occupazione. Per una SRL in difficoltà con il Fisco, questo può sembrare un miraggio (reinvestire utili?), ma può riguardare aziende che nel 2024 tornano a un piccolo utile dopo anni di crisi e decidono di non distribuirlo ma usarlo come volano di rilancio. Attenzione che l’aliquota ridotta al 20% per ora è transitoria (vale per 2025) e potrebbe essere rinnovata negli anni seguenti o riformata, a seconda delle scelte di politica fiscale. È comunque opportuno, per chi intravede di rientrare in utile, considerare questa opportunità nella pianificazione di fine 2024 e bilancio 2025. In aggiunta, ricordiamo che la mini IRES del 2019 (poi abrogata) prevedeva contestualmente la soppressione dell’ACE; oggi invece il regime premiale 20% convive con ACE 2024 e crediti 4.0. La cosa può combinarsi: se aumento il capitale, genero ACE e riduco imponibile; se poi quell’utile ridotto lo reinvesto, ottengo pure l’aliquota ridotta. Si possono quindi sommare i benefici.

4.6 Operazioni societarie straordinarie e veicoli alternativi a fini fiscali. Qualche cenno merita la possibilità di ristrutturare l’assetto societario per migliorare l’efficienza fiscale. Ad esempio, la creazione di una Holding (si veda §7.1) può consentire di centralizzare utili e perdite e usufruire del regime PEX (Participation Exemption) sulle plusvalenze: se la SRL dovesse un domani vendere un ramo o partecipazioni, farlo sotto una holding permette di pagare imposta solo sul 5% della plusvalenza (IRES effettiva 1,2%). Questo non riduce il debito fiscale pregresso, ma per l’imprenditore è un’ottimizzazione futura in caso di dismissioni di asset per pagare i debiti: conviene spesso far acquisire gli asset vendibili a una holding e poi vendere le partecipazioni in regime PEX, così da avere più liquidità netta per soddisfare i creditori. Altro caso: se la SRL possiede immobili strumentali di valore, potrebbe scorporarli in una società a parte (anche società semplice) e darli in locazione alla società operativa, per poi in caso di crisi vendere gli immobili separatamente (assoggettando la plusvalenza in capo alla società semplice a tassazione per trasparenza sui soci, eventualmente con imposta sostitutiva del 26% se considerata natura diversa). Questa mossa isola i beni immobili dai rischi d’impresa e può ridurre l’IRAP (perché affitto passivo deducibile nella SRL operativa, mentre la società semplice non paga IRAP). Attenzione però al transfer pricing domestico se non a valori di mercato e all’abuso del diritto se l’operazione è fatta quando i debiti son già sorti (rischio revocatoria). Un altro esempio: trasformare una SRL di consulenza in STP (Società Tra Professionisti) o in società di persone potrebbe, in certi casi, consentire ai soci professionisti di optare per regimi fiscali più favorevoli (es. se i soci persone fisiche hanno requisiti per il regime forfettario 15% fino a 85k ricavi, che una SRL non può utilizzare). Questo è estremo – significherebbe rinunciare alla SRL e tornare a struttura personale, accettabile solo se i debiti fiscali sono gestibili, altrimenti l’Agenzia potrebbe seguire la responsabilità anche sui nuovi redditi personali.

In conclusione, la riduzione del carico fiscale per una SRL indebitata passa per un ventaglio di misure: dalla tattica spicciola (compensazioni, deduzioni immediate) alla strategia di medio periodo (aderire a strumenti di ristrutturazione del debito fiscale, investire in agevolazioni, ridefinire l’assetto societario). Tutte queste azioni vanno coordinate con il piano finanziario generale di uscita dalla crisi, perché pagare meno tasse deve tradursi in più risorse per pagare i creditori e rilanciare l’impresa, evitando nel contempo di incorrere in sanzioni o illegalità. Un’azienda ben consigliata in ambito tributario può riuscire a ridurre drasticamente l’incidenza fiscale effettiva: in situazioni di crisi molte imprese, applicando le normative su perdite, crediti e transazioni, hanno pagato percentuali di tassazione molto inferiori all’ordinario, legittimamente (talvolta arrivando a tassazione zero per anni, finché non si risolleva). Questo è l’obiettivo ultimo del tax planning lecito in contesti di difficoltà.

5. Debiti verso fornitori strategici: gestione fiscale e legale

5.1 Fornitori strategici e loro importanza. In una situazione di crisi, oltre ai debiti fiscali, spesso la SRL presenta debiti rilevanti verso i propri fornitori, ossia i creditori commerciali. Non tutti i fornitori hanno lo stesso peso: vengono definiti fornitori strategici quelli la cui collaborazione è essenziale per la continuazione dell’attività d’impresa. Ad esempio, per una società di costruzioni saranno strategici i fornitori di cemento, calcestruzzo o il noleggiatore di mezzi; per un’azienda di produzione saranno strategici i fornitori di materie prime critiche; per un commerciante, il grossista principale delle merci; per una società di trasporti, il fornitore di carburante e manutenzioni, e così via. Se la SRL smette di pagare questi partner chiave, rischia di subire l’interruzione delle forniture o dei servizi essenziali, il che può portare in breve al blocco dell’attività. Inoltre, fornitori grandi e organizzati potrebbero reagire più velocemente sul piano legale (ingiunzioni, decreti ingiuntivi, istanze di fallimento) rispetto ad altri creditori. È quindi fondamentale mappare i fornitori per priorità: distinguere tra quelli “critici” – da gestire con la massima attenzione – e quelli meno vitali, per i quali si possono negoziare dilazioni più lunghe o, se necessario, ritardare i pagamenti con meno impatto sul core business.

5.2 Accordi di dilazione e transazioni stragiudiziali con fornitori. Una volta individuati i fornitori strategici (e in generale i principali fornitori esposti), la SRL dovrebbe attivarsi proattivamente per negoziare piani di rientro o accordi transattivi. Ciò implica contattare il creditore, illustrargli la situazione di difficoltà temporanea e prospettare una soluzione equilibrata: ad esempio, un piano di pagamento rateale del debito pregresso (magari su 6-12 mesi, a seconda dell’ammontare) a fronte dell’impegno del fornitore a continuare a fornire beni/servizi essenziali. Spesso, specie se il rapporto commerciale è di vecchia data, il fornitore preferisce mantenere il cliente (anche se in crisi) piuttosto che perderlo e recuperare solo una frazione del credito per vie legali. Tuttavia, per convincerlo, l’azienda debitrice deve presentare un piano credibile: ad esempio, riconoscere parte degli interessi di mora (anche se magari rinunciando alle penali contrattuali), offrire garanzie (come cambiali o un riconoscimento del debito firmato, o garanzie personali dei soci se possibile), e magari prevedere che, se la situazione migliora, potrà tornare alle normali condizioni. È essenziale mettere per iscritto l’accordo, con le nuove scadenze e l’eventuale rinuncia del creditore ad agire finché il piano è rispettato. Questi accordi novativi spostano in avanti le scadenze e danno respiro all’impresa. Bisogna fare attenzione però: se si riconosce formalmente un debito e si firma un piano di rientro, da un lato il fornitore sospenderà l’azione legale finché si paga, ma dall’altro la società rinuncia a eventuali contestazioni sul debito. Occorre quindi essere sicuri dell’importo dovuto e negoziare magari uno stralcio se possibile: ad esempio, il fornitore potrebbe accettare un pagamento parziale a saldo e stralcio (es. pagare 80% entro una certa data e rinuncia al 20% residuo). Tali stralci vanno formalizzati (es. “le parti concordano che il pagamento di €X entro il Y estinguerà integralmente il debito, con rinuncia del creditore a somme ulteriori”). Un aspetto critico qui è fiscale: la riduzione del debito verso un fornitore genera una sopravvenienza attiva tassabile per la società debitrice, a meno che non intervenga nell’ambito di procedure concorsuali o piani attestati. Quindi, se al di fuori di procedure formali un fornitore “taglia” €50.000 su €200.000 di credito e accetta €150.000 come saldo, la SRL avrà un provento straordinario di €50.000 tassabile (salvo vi siano perdite pregresse da compensare). Questo è un paradosso: l’azienda trova sollievo finanziario ma rischia una “stangata fiscale” proprio per aver concluso l’accordo. Per attenuarla, c’è la norma art. 88, c.4-ter TUIR: se entro l’anno successivo l’azienda entra in concordato o accordo di ristrutturazione, quelle sopravvenienze attive retroattivamente non sono imponibili. Ma non sempre ciò avviene. In sede di accordo stragiudiziale, dunque, si può provare a imputare la riduzione del debito non subito ma a condizione del regolare pagamento (in modo che contabilmente sia diluita e forse l’azienda nel frattempo avrà perdite compensative). Questa è sottile ed è più onesto valutare un eventuale impatto fiscale e tenerlo presente. Va notato che il piano attestato risolve questo problema: se lo stralcio fornitori è inserito in un piano ex art. 56 CCII asseverato, la sopravvenienza attiva è esente. Quindi, una best practice è: se i tagli di debiti sono ingenti, considerare di farli convalidare in un contesto di piano attestato o accordo omologato, per evitare la beffa delle tasse.

A livello contrattuale, la SRL potrebbe proporre anche soluzioni miste: ad esempio, convertire parte del debito in una partecipazione al capitale (debt-equity swap). Non è comune con fornitori, più con banche, ma immaginabile se il fornitore ha interesse strategico (diventare socio per salvare il cliente). Ciò comunque non elimina il debito fiscalmente (lo trasforma in patrimonio netto) e raramente fornitori piccoli accettano di diventare soci di un’impresa in crisi. Un’altra strada è offrire garanzie reali: se la società ha un macchinario libero, può ipotecarlo a favore del fornitore a garanzia del piano di rientro; questo lo rassicura e previene esecuzioni immediate. Si deve fare attenzione a non garantire solo alcuni creditori a detrimento di altri se si è vicini a insolvenza, perché costituire una garanzia (pegno/ipoteca) per un debito preesistente può essere revocatoria fallimentare (se entro l’anno prima della procedura). È meglio farlo in parallelo a un accordo generale.

5.3 Fornitori essenziali in concordato e procedure formali. Se l’impresa accede a procedure come il concordato preventivo in continuità, la legge prevede strumenti per tutelare i fornitori essenziali. In particolare, come ricordato, l’art. 100 CCII consente di pagare anticipatamente crediti anteriori di fornitori strategici, previa autorizzazione, quando la prestazione di quei fornitori è necessaria alla riuscita del piano. Inoltre, durante la procedura, i contratti pendenti (ad es. un contratto di fornitura periodica) non si risolvono automaticamente: la società può chiedere al tribunale di mantenerli in essere, o se necessario di sospenderli per 60-120 giorni o scioglierli se non più utili (artt. 94-98 CCII). Per i fornitori vitali, normalmente si chiederà di mantenerli attivi, e si potrà contrattare con loro la fornitura continua post-petition (cioè per le consegne fatte dopo l’apertura della procedura si dovranno pagare regolarmente in prededuzione, come costi della massa). Molte volte i fornitori strategici vengono inseriti in classi separate nel concordato e proposti per un trattamento di favore (ad esempio, pagamento integrale ma dilazionato) rispetto ad altri chirografari che magari prendono percentuali inferiori. Questo è ammesso, purché vi sia una giustificazione oggettiva (la migliore soddisfazione collegata alla continuità produttiva). L’agenzia entrate e i tribunali generalmente capiscono che senza quei fornitori l’azienda collasserebbe e quindi tollerano una differenza di trattamento. Nel concordato liquidatorio, invece, la nozione di fornitore strategico perde senso (l’attività cessa). In accordi di ristrutturazione o composizione negoziata, l’azienda può tentare di ottenere accordi individuali protetti: ad esempio, nella composizione negoziata, l’esperto può aiutare a formalizzare accordi con i fornitori chiave prima di chiudere la procedura, integrandoli magari in un successivo accordo di ristrutturazione omologato che li estenda a tutti.

Un istituto utile da ricordare, spesso sfruttato in analogia, è la figura dei “critical vendors” nel Chapter 11 statunitense: lì il tribunale può autorizzare pagamenti immediati a fornitori critici perché la loro cooperazione è fondamentale. Il nostro sistema non lo prevede esplicitamente se non appunto con l’art. 100 CCII (che è su crediti anteriori nel concordato in continuità). La prassi italiana però in passato ha riconosciuto in qualche caso la possibilità di escludere da falcidia concordataria taluni fornitori essenziali pagando loro il 100% per assicurarsi la continuità (con il consenso degli altri creditori, in classi separate). Dunque, nel predisporre un piano di concordato, la SRL dovrebbe individuare questi partner e valutare di trattarli diversamente: magari garantire loro percentuale più alta e pagamenti più rapidi, in cambio del loro supporto (anche in sede di voto: se li pago integralmente, saranno in classe separata e di regola voteranno a favore). Naturalmente questo va bilanciato col fatto che risorse così destinate non andranno ad altri creditori.

5.4 Conflitto tra pagamento dei fornitori e par condicio dei creditori. Uno dei dilemmi principali quando un’impresa è in crisi riguarda la scelta: pago i fornitori essenziali e ritardo le imposte, o viceversa? Spesso per tenere aperta l’attività si tende a pagare i fornitori di cui si ha immediato bisogno (materie prime, energia, ecc.) e a trascurare i debiti fiscali, confidando nelle dilazioni. Questa scelta ha una logica di breve periodo (garantire la prosecuzione dell’impresa), ma può avere risvolti negativi se poi si sfocia in un fallimento: i pagamenti effettuati entro 6 mesi prima della domanda di concordato o dell’istanza di fallimento, se fatti a creditori chirografari e in situazione di insolvenza conclamata, sono passibili di azione revocatoria fallimentare (art. 166 e 67 CCII). Ciò significa che il curatore può chiedere ai fornitori restituzione di quanto incassato, salvo che provino di non sapere dello stato di dissesto del debitore. D’altro canto, non sono revocabili i pagamenti di debiti liquidi e esigibili effettuati nell’esercizio normale dell’impresa (art. 67, c.3, lett. a, L.Fall., richiamato dal CCII): quindi, se il fornitore è pagato “normalmente” alla scadenza concordata, quel pagamento non è revocabile anche se avvenuto a ridosso dell’insolvenza. Lo diventa se c’è anomalia (pagamento tardivo, oppure in forme inusuali). Quindi, l’amministratore deve calibrare bene: pagare i fornitori critici ai loro termini contrattuali (così sono indubitabilmente pagamenti ordinari) e magari rinviare quelli meno urgenti, oppure chiedere loro di attendere e formalizzare poi un accordo. Se la crisi peggiora, i pagamenti selettivi a fornitori piuttosto che ad esempio al Fisco potrebbero essere sindacati come atti di favore a creditori determinati. Però, va detto, pagare un fornitore strategico può costituire quell’azione senza cui l’azienda crollerebbe: in sede penale, ad esempio, è stato escluso il reato di bancarotta preferenziale per pagamenti funzionali a mantenere in vita l’impresa (non è preferenza dolosa ma necessità di salvaguardare l’attività). Sul piano civilistico, la revocatoria non guarda all’intenzione ma all’effetto preferenziale: se 100 € dati al fornitore X hanno diminuito la massa a scapito degli altri, sono teoricamente revocabili. Ecco che torna utile il piano attestato: se quei pagamenti ai fornitori vengono fatti in esecuzione di un piano attestato, non sono revocabili ex lege. Idem se sono autorizzati in un concordato in continuità. Quindi, formalizzare un contesto (piano 56 CCII) aiuta a mettere in sicurezza i pagamenti essenziali.

5.5 Gestione legale delle azioni dei fornitori. Cosa fare se un fornitore – magari non pagato – avvia un’azione legale aggressiva? Tipicamente, il fornitore potrebbe ottenere un decreto ingiuntivo e mettere in esecuzione un pignoramento, oppure presentare un’istanza di fallimento. In questi casi, la SRL deve reagire rapidamente:

  • Decreto ingiuntivo/pignoramento: Se la società ha liquidità modesta, subire un pignoramento sul conto può bloccarle la operatività. Una soluzione è, ove possibile, ricorrere al tribunale con opposizione o richiesta di sospensione, magari eccependo qualche contestazione sul credito (sempre che vi siano motivi seri). Oppure, attivare immediatamente la composizione negoziata con misure protettive: se la SRL deposita istanza CNC e ottiene dal tribunale il decreto di protezione, tutte le azioni esecutive in corso vengono sospese (e nessun creditore può iniziarne di nuove). Questo “paracadute” è utilissimo se un fornitore sta per portare via i mezzi. Certo, va intrapreso prima che il pignoramento sia già definito (non blocca atti già compiuti, ma impedisce di proseguire). Similmente, la domanda di concordato preventivo (anche prenotativa, il cosiddetto concordato in bianco) genera il divieto di azioni esecutive e cautelari ai sensi dell’art. 54 CCII. Quindi, se la situazione precipita, la SRL può valutare di depositare un “concordato in bianco” ottenendo uno stop temporaneo alle esecuzioni, guadagnando tempo per negoziare. Tuttavia, ciò è mossa drastica che va ponderata perché poi vincola a procedere col concordato.
  • Istanza di fallimento: se un fornitore presenta istanza al tribunale di liquidazione giudiziale (fallimento), la SRL può difendersi mostrando che non vi è insolvenza o che esistono concrete trattative per soluzione. Dal 2022, se è pendente una composizione negoziata, il tribunale può posticipare la decisione sull’istanza per dare tempo all’imprenditore di trovare accordo (art. 23, co. 4 CCII). Inoltre, l’imprenditore può presentare un’istanza di concordato preventivo o ristrutturazione entro le udienze, che “congela” la procedura di fallimento. Spesso, la minaccia di un fallimento viene disinnescata depositando un ricorso di concordato (anche con riserva). Ovviamente, questo è un escamotage che va poi seguito da fatti (presentare il piano). Ma serve per evitare la peggiore delle ipotesi: la liquidazione giudiziale precipitosa voluta da un fornitore impaziente.
  • Negoziazione assistita e soluzioni ADR: talvolta, se le somme in gioco non sono altissime, la SRL può proporre al fornitore di risolvere tramite istituti come la negoziazione assistita o la mediazione civile (obbligatoria in alcune materie, non per crediti commerciali in genere, ma fattibile volontariamente). Non ha efficacia sospensiva come in tributario, ma può convincere il creditore a sedersi al tavolo invece di inasprire il conflitto.

Sul piano fiscale, bisogna ricordare un aspetto: se il fornitore è pagato solo parzialmente, quest’ultimo emetterà una nota di credito (variazione IVA) per l’importo non incassato in caso di accordo stragiudiziale? La norma IVA consente nota di variazione solo in pochi casi (procedure concorsuali o esecuzioni infruttuose, art. 26 DPR 633/72). In uno stralcio stragiudiziale volontario, il fornitore – per recuperare l’IVA della parte rinunciata – dovrebbe attendere l’inadempimento definitivo e un tentativo di esecuzione senza esito, oppure affidarsi a interpretazioni estensive. Questo incide poco per la SRL debitore (è un problema del fornitore) ma può essere argomento di trattativa: “ti pago il 70% subito, così tu non perdi tutto e l’IVA residua la recuperi con nota di variazione se facciamo un concordato, quindi collaboriamo in quella sede”. Insomma, coinvolgere il fornitore nel contesto di procedure formali potrebbe risultare vantaggioso anche per lui (nel concordato il creditore riceve percentuale e recupera IVA sul resto come credito insinuato). Da qui l’importanza di comunicare coi fornitori: se li tengono all’oscuro peggiorano, se li informano del percorso che si intende seguire (piano, concordato, ecc.) spesso ottengono cooperazione.

5.6 Debiti verso fornitori e trattamento nelle diverse procedure. Vale la pena ricapitolare come vengono trattati i fornitori (che sono creditori chirografari nella generalità) nei vari strumenti:

  • Composizione negoziata: qui non c’è imposizione di tagli. Tutto dipende dalla negoziazione volontaria. Si può ottenere accordo individuale con ognuno. Se la composizione riesce, probabilmente i fornitori cruciali avranno accettato un piano; se non accettano, l’azienda dovrà pensare a concordato.
  • Accordo di ristrutturazione: i fornitori possono essere tra i creditori aderenti (se pochi e importanti) o tra i non aderenti da pagare integralmente. Se la maggioranza qualificata è raggiunta senza alcuni fornitori, occorre prevedere il loro pagamento integrale entro 120 giorni dall’omologa (o garanzia). Quindi conviene farli aderire con lo stesso trattamento dei bancari se possibile, magari offrendo percentuale e tempi simili. Nel ramo agricolo (accordi ex art. 23 DL 118/2021) c’è un istituto di “accordo con il fornitore” per dilazionare in 5 anni i debiti verso fornitori di prodotti agricoli e evitare fallimento: questo è settore specifico.
  • Concordato preventivo in continuità: i fornitori chirografari prendono la percentuale prevista dal piano, che deve essere non inferiore a quella realizzabile in liquidazione e comunque tendenzialmente equa. Fornitori strategici possono essere in classe e avere percentuale maggiore. Fornitori che continuano a operare post domanda vengono pagati regolarmente in prededuzione. Fornitori chirografari di beni non essenziali, potrebbero subire un taglio significativo (es: 40% in 4 anni, dipende).
  • Concordato preventivo liquidatorio: qui i fornitori chirografari sono trattati come tutti i chirografari, con almeno 20% (salvo esenzione con attivo esiguo). Non c’è preferenza tra di loro. Dunque se l’azienda stima di realizzare 30% ai creditori, tutti i fornitori prenderanno 30%. I fornitori strategici in un liquidatorio puro non servono più (azienda chiude), quindi non c’è ragione di privilegiarli se non sentimentale (ma non sarebbe ammesso se non hanno prelazione).
  • Liquidazione giudiziale (fallimento): i fornitori concorrono con gli altri chirografari e ricevono il riparto secondo l’attivo disponibile, spesso modesto (es: 5-10-20%). Possono insinuare come prededucibili le forniture fatte durante eventuali tentativi di amministrazione straordinaria ante-fallimento (rarissimi). I fornitori con patto di riservato dominio sulle merci fornite (es. macchinari venduti con riserva di proprietà) possono rivendicare i beni o prelazionarsi sul ricavato, quindi attenzione a clausole di retention: se un fornitore di attrezzature vende con riserva di proprietà, in caso di fallimento riprende il bene e non rimane chirografo.

5.7 Fornitori strategici e scelte di business in crisi. Oltre agli aspetti legali e fiscali, un’azienda deve considerare l’impatto di non pagare un fornitore essenziale sul proprio business: a volte, la minaccia più efficace di un fornitore non è tanto la causa legale quanto il fatto che smetterà di fornire, portando a fermo produzione o scaffali vuoti. Questo danno può essere irreversibile (clienti persi, penali contrattuali a valle per mancata consegna). Quindi è spesso razionale pagare i fornitori critici anche a scapito di altri (compreso il Fisco), se ciò permette di generare ricavi e margini futuri. La giurisprudenza ha in parte riconosciuto ciò come pagamenti funzionali all’esercizio dell’impresa, come detto. Ad esempio, la Cassazione ha escluso la bancarotta preferenziale per aver pagato un fornitore necessario la cui interruzione avrebbe causato il crollo dell’impresa, qualificando il pagamento come atto nell’interesse di tutti i creditori (perché mantenendo l’impresa viva si preserva la massa attiva). Anche la valutazione del “danno differenziale”: se non pago Tizio e lui blocca la produzione, i creditori (compreso Fisco) non vedranno nulla; se lo pago e vado avanti, forse c’è salvezza e pagamento parziale per tutti. Questo ragionamento business deve guidare le priorità di pagamento, fermo restando di muoversi entro la legalità e di formalizzare quanto possibile (piani, autorizzazioni in procedure, ecc.) per proteggersi da eventuali conseguenze.

Infine, il dialogo e la trasparenza verso i fornitori pagano: molte crisi d’impresa si gestiscono con “moratorie” concordate, in cui i fornitori accettano di allungare i pagamenti (magari perché l’azienda li coinvolge in un progetto di rilancio e magari promette ordini futuri maggiori). Meglio questo che il silenzio o i pagamenti a macchia di leopardo. Un esempio virtuoso è costituire un comitato di creditori commerciali in cui l’azienda comunica periodicamente l’avanzamento del piano: ciò li rende partecipi e li induce a non agire individualmente. Un fornitore che si sente rispettato e informato è più incline a tollerare ritardi e negoziare, rispetto a uno che viene ignorato. Anche offrire ai fornitori strumenti come note di credito o compensazioni (se il fornitore è anche cliente) può aiutare: ad esempio, se esistono rapporti di fornitura reciproci, compensare crediti e debiti riduce l’esposizione netta e quindi il rischio di contenzioso.

6. Analisi settoriale avanzata

Le strategie fiscali e legali fin qui discusse possono variare nei dettagli a seconda del settore in cui opera la SRL. Alcuni settori presentano peculiarità normative o di mercato che influenzano la gestione dei debiti fiscali e verso fornitori. Di seguito esaminiamo i principali settori citati – edilizia, commercio, tecnologia, logistica, manifatturiero, servizi professionali – evidenziando sfide e opportunità specifiche in ottica di riduzione del carico fiscale e gestione del debito.

6.1 Settore Edilizia e Costruzioni. Il settore edile è caratterizzato da elevata ciclicità e intensità di mano d’opera e materiali. Le imprese di costruzione spesso operano su commessa (cantieri) con incassi differiti e anticipi rilevanti di spese, il che può generare squilibri di cassa e debiti verso fornitori (cemento, ferro, subappaltatori) importanti. Sul piano fiscale, l’edilizia sconta alcune particolarità:

  • IVA in edilizia: molte operazioni sono soggette a reverse charge interno (in subappalto) o ad aliquote IVA ridotte (10% su ristrutturazioni). Il reverse charge fa sì che il subappaltatore non addebiti l’IVA in fattura e l’IVA venga assolta dall’appaltatore committente: questo crea situazioni in cui le imprese di costruzioni accumulano crediti IVA (poiché pagano IVA sugli acquisti di materiali ma fatturano in reverse o esente al cliente finale come nel caso di appalti pubblici). Ciò influenza la liquidità: un credito IVA costante porta spesso l’impresa a chiedere rimborsi o a compensare quell’IVA con altri debiti. Le costruzioni hanno quindi frequenti relazioni con l’Agenzia Entrate per i rimborsi IVA: se l’impresa ha debiti iscritti a ruolo > 1.500 €, non può ottenere il visto di conformità per il rimborso (normativa anti-compensazione). Quindi, tenere pulita la posizione fiscale è essenziale per non bloccare i rimborsi. Inoltre, nel 2022-23 molte imprese edili avevano in bilancio crediti da bonus edilizi (Superbonus e simili). La possibilità di compensarli per pagare imposte è stata vitale: un’azienda edile con milioni di crediti 110% li ha usati per pagare contributi dipendenti e IVA dovuta. Il blocco delle cessioni del 2023 ha complicato questo quadro, ma chi ha crediti li può ancora usare in 10 anni (Superbonus 90% dopo modifiche) in F24.
  • Durc e oneri sociali: nel settore edile, non essere in regola con i contributi INPS/Cassa Edile impedisce di ottenere il DURC. Senza DURC regolare, non si possono stipulare nuovi contratti pubblici, né certi privati lo accettano. Per avere DURC regolare, l’impresa deve aver pagato contributi o quantomeno rateizzati. In caso di debiti contributivi, è fondamentale attivare la rateizzazione INPS (simile a quella fiscale) per ottenere un DURC regolare “in presenza di rate”. Anche i debiti fiscali (per IVA e ritenute) possono impedire il rilascio di SAL (stato avanzamento lavori) se ci sono ritenute non versate per i dipendenti di cantiere (tramite comunicazione alla stazione appaltante). Dunque, l’impresa edile, se entra in sofferenza, deve negoziare il DURC con rateazione: con le nuove norme, avere un piano attivo con Entrate e Inps consente di ottenere DURC positivo.
  • Rapporti con subappaltatori: spesso l’impresa generale ha debiti verso subappaltatori (anche loro fornitori strategici). Qui i subappaltatori hanno armi come il ricorso al direttore dei lavori per farsi pagare direttamente dall’appaltante (ex art. 105 Codice appalti) se temono l’insolvenza del general contractor. Quindi la SRL edile deve stare attenta: se non paga i subappalti, rischia che questi attivino procedure che distolgono i pagamenti del committente a suo favore. Pagare almeno parzialmente i subappaltatori (o concordare cessioni di credito) è necessario.
  • Basilea e banche: le imprese edili hanno grosso bisogno di fideiussioni (per appalti pubblici) e di anticipazioni. Se accumulano debiti fiscali, il rating bancario peggiora. Tuttavia, con la composizione negoziata, il 3° correttivo impone che le banche non possono revocare fidi solo per l’accesso alla CNC, utile se un costruttore va in composizione negoziata per ristrutturare.
  • Superbonus e crisi 2023: molte imprese edili, avendo crediti fiscali incagliati (non monetizzati), si sono trovate con debiti verso fornitori di materiali e durc irregolare. Alcune regioni hanno istituito fondi di garanzia, ma a livello fiscale l’Agenzia Entrate con circolari 2023 ha permesso il frazionamento dei crediti annuali (es. crediti 110% in 10 rate annuali) e il trasferimento in piattaforma. Non direttamente correlato alla tassazione, ma un tema di fondo: la saturazione della capacità fiscale (tetto alle compensazioni per i crediti bonus) che per 2023 è 2 milioni. Una grande impresa con crediti >2 mln annui è limitata nell’usarli e potrebbe dover pagar tasse residualmente.

In sintesi, per l’edilizia: priorità a mantenere DURC e commesse attive (anche pagando con rate i contributi), usare i crediti fiscali al massimo, negoziare con subfornitori chiave e possibilmente incanalare i debiti in procedure formalizzate (piani attestati) per evitare revocatorie e proseguire i cantieri. Il ruolo del Fisco qui è stringente: senza regolarità fiscale difficilmente si ottengono nuove commesse pubbliche. Quindi la pianificazione deve tenere conto di rimanere conformi quel tanto che basta (es. definizione agevolata contributi) per avere i requisiti di partecipazione a gare.

6.2 Settore Commercio e Distribuzione. Le imprese commerciali (dettaglio, ingrosso) operano con margini generalmente contenuti e forte rotazione di magazzino. Le principali problematiche:

  • Gestione del magazzino e rischio invenduto: Come accennato, il magazzino invenduto è un costo e, se rimane obsoleto, causa perdite. Dal lato fiscale, è deducibile via svalutazioni. Ma dal lato finanziario, l’impresa commerciale indebitata con fornitori può trovarsi con scaffali pieni e cassa vuota. In tali casi, può convenire liquidare le rimanenze rapidamente (anche a saldo, tipo vendite promozionali aggressive) per generare liquidità con cui pagare i fornitori e tasse. Certo, ciò può erodere il margine, ma in crisi si privilegia il cash. Fiscalmente, vendere sottocosto è lecito (purché non a parti correlate per evadere), e genererà eventualmente una perdita deducibile. L’azienda di commercio dovrà porre attenzione a eventuali accertamenti basati su indici di ricarico: storicamente il Fisco per i negozi fa controlli sullo scontrino medio, indici di redditività (studi di settore, ora ISA). Se un’impresa commerciale dichiara per anni perdite o redditi bassi, può essere selezionata per controllo. È importante quindi, se si è in difficoltà, documentare bene eventuali cali di margine (es. con svendite giustificate da necessità di smaltimento scorte), così da poter spiegare un eventuale scostamento dagli ISA e scongiurare un accertamento induttivo che pretenda ricavi non dichiarati. Alcune imprese in crisi potrebbero cadere nella tentazione di omettere scontrini o vendite “in nero” per avere liquidità immediata e non dichiarare il reddito (quindi non pagar tasse). Questo però porta quasi invariabilmente a guai: se l’attività è al dettaglio, il fisco confronta acquisti e vendite, e se i ricarichi sono troppo bassi scatteranno verifiche. Dunque, meglio evitare pratiche elusive e piuttosto confidare negli strumenti deflattivi (come definizioni liti) se l’Agenzia contesta.
  • Debiti verso fornitori merceologici: Nel commercio, i fornitori spesso concedono dilazioni standard (30-60-90 gg). Se la SRL non paga, il fornitore blocca le consegne. Ciò può portare un negozio a scaffali vuoti e perdita di clientela. Quindi, come nel caso generale, i fornitori chiave vanno pagati preferenzialmente. Ad esempio, un negozio di elettronica con 3 grossisti: se ne deve sacrificare uno, sceglierà quello meno importante e continuerà a ordinare dagli altri (anche se magari uno costa un po’ di più). Ciò comporta a volte pagare anticipato le nuove forniture perché se c’è un insoluto, il fornitore chiederà pagamento al ritiro. L’impresa commerciale deve rifinanziare il circolante e la riduzione di fido fornitore può essere compensata se ottiene un fido bancario per scorte (es. anticipo fatture). In mancanza, la strategia è ridurre l’assortimento e concentrare gli acquisti sui top seller.
  • Sfruttamento di agevolazioni nel commercio: Ci sono state piccole agevolazioni: credito d’imposta per botteghe e negozi durante il Covid (60% affitto deducibile), ora terminato; credito POS (30% delle commissioni, comunque importi minimi). Alcuni settori specifici (edicole, librerie) hanno crediti dedicati (bonus edicole 2021 ecc.). Un commerciante se rientra, deve farne uso. Anche i commercianti al dettaglio possono essere minimi o forfettari se piccoli: una SRL però no, è fuori dal forfait.
  • Procedure di crisi nel commercio: per le piccole imprese commerciali (sotto soglie di fallibilità) esisteva la composizione da sovraindebitamento (Legge 3/2012), ora assorbita nel CCII come concordato minore o ristrutturazione dei debiti del consumatore se persona fisica. Una SRL tipica è soggetta a procedure ordinarie, ma se fosse micro (fatturato <200k e debiti <500k) forse non fallibile (anche se la riforma ha tolto l’esenzione per piccole, escludendo solo enti minori). In genere, però, un minimercato o un negozio fallisce raramente perché i creditori preferiscono transare.
  • Compagnie commerciali online (e-commerce): loro hanno peculiarità fiscali come gestione dell’IVA per vendite estere (OSS). Non incide sul debito in sé ma sulla compliance: se non gestiscono bene l’IVA transfrontaliera possono accumulare debiti. Fortunatamente c’è l’OSS (One Stop Shop) per dichiarare l’IVA UE in unico stato.

Riassumendo per il commercio: fisco da monitorare per indici di affidabilità (ISA) e per gestione dell’IVA; fornitori da tenere buoni per avere merce; scorte da liquidare se servono soldi; affitti (altra voce critica): se un negozio non paga l’affitto, rischia lo sfratto e chiude. In sede di concordato, gli affitti di solito vengono classificati come crediti privilegiati (il locatore ha privilegio per ultime 2 annualità su beni mobili del locale) e almeno in parte vanno pagati, ma il locatore può chiedere la risoluzione del contratto se non paga canoni correnti. Dunque, l’azienda commerciale in crisi deve negoziare anche con il proprietario (magari chiedere riduzione temporanea del canone in cambio di allungamento contratto).

6.3 Settore Tecnologia e Startup. Le imprese tecnologiche (sviluppo software, servizi IT, startup innovative) hanno modelli molto diversi dall’industria tradizionale: patrimonio costituito da intangible (proprietà intellettuale, know-how), costi principalmente di personale qualificato e spesso ricavi incerti nelle fasi iniziali. Peculiarità rilevanti:

  • Perdite iniziali e incentivi startup: Una startup può operare vari anni in perdita mentre sviluppa il prodotto. Tali perdite sono riportabili senza problemi (infinite, 80% regola come detto) e spesso vengono poi assorbite al primo utile o al momento di exit. Lo Stato incentiva startup con: esonero imposta camerale, possibilità di remunerare dipendenti con work-for-equity o stock options defiscalizzate, e per gli investitori in startup c’è detrazione IRPEF 50% sull’investimento (il che facilita raccolta di equity). Sul fronte debiti, molte startup non hanno debiti bancari rilevanti (vivono di capitale di rischio), però possono accumulare debiti verso fornitori di servizi cloud, software o consulenze. Questi fornitori spesso hanno contratti standard e, se non pagati, semplicemente cessano il servizio (ad es., un AWS o Azure se non paghi la fattura ti spegne i server dopo tot solleciti). Dunque, la priorità per la tech company è pagare i servizi critici (cloud, licenze) tempestivamente, altrimenti il business letteralmente spegne l’interruttore.
  • Fisco e R&S: Le imprese tech dovrebbero massimizzare gli incentivi R&S e innovazione: credito d’imposta R&S (10%), innovazione (10%), design (10%), formazione 4.0 (fino 50%). Molte startup per pigrizia o mancanza di consulenza non li usano, perdendo opportunità di ridurre i contributi/tasse. Poiché di solito hanno più costi che ricavi, è probabile abbiano crediti IVA (sviluppano software, spendono su acquisti con IVA ma vendono servizi esenti o internazionali). Possono chiedere il rimborso trimestrale se superano €50k/trimestre di credito e sono esportatori netti. Usare questi rimborsi migliora la liquidità.
  • Internazionalizzazione e residenza fiscale: Alcune tech considerano spostarsi in paesi con fiscalità più vantaggiosa (Irlanda, Estonia) se l’ambiente locale è oppressivo. Tuttavia, trasferire la residenza fiscale all’estero quando si hanno debiti fiscali in Italia può essere visto come atto in frode (sottrazione fraudolenta se spostano asset). Bisogna quindi farlo, se del caso, regolarizzando prima i debiti o comunque mantenendo accordi di pagamento. Tenere un asset intangibile (brevetto) in un paese a bassa tassazione e far pagare royalties dalla SRL italiana a quella estera può ridurre l’utile tassabile in Italia (la c.d. doppia irlandese etc.), ma la normativa CFC (Controlled Foreign Company) e transfer pricing oggi lo rende rischioso se non c’è sostanza economica. Dunque, un CFO prudente cercherà piuttosto di usare misure interne (patent box italiano, crediti) che spostare base imponibile all’estero con uno schemino, a meno di avere dimensioni globali.
  • Crisi d’impresa in startup: È abbastanza comune che una startup bruci cassa e non decolli. Spesso si risolve con liquidazione volontaria anticipata: i soci decidono di chiudere e bon, pagando quel che resta. Molte startup non arrivano a procedure concorsuali perché semplicemente non hanno asset per giustificare un concordato (il loro asset è l’idea, che senza funding non vale). In caso di fallimento di startup innovative, c’era la possibilità ex lege di una sorta di esdebitazione veloce se rispettavano certe condizioni (DL 179/2012): per ora non più, trattate come ordinarie.
  • Personale high-skill: Nel tech, il costo maggiore sono ingegneri, sviluppatori. Se mancano soldi, l’azienda deve ridurre organico. Vi sono piccoli aiuti fiscali come esonero contributivo per assunzione dottorati ecc., ma nulla di sistemico. Un tema: se licenziano personale possono incorrere in costi di TFR e possibili contenziosi, vanno stimati come debiti privilegiati eventuali.
  • Pagamenti internazionali e cambi: Se vendono all’estero, variazioni valutarie possono creare utili o perdite. L’azienda può scegliere regime cambi (differenze su cambi su crediti e debiti non realizzati, da valutare in bilancio). Ai fini fiscali, dal 2016 c’è derivation e i cambi sono tassati per competenza come da bilancio. Pianificare cambi può ridurre/perdite. Le tech spesso incassano in USD, se dollaro sale generano utili su cambi tassabili: potrebbero coprirsi con contratti hedge per stabilizzare.

In sintesi, per tech: sfruttare il “fisco amico” (crediti R&S, patent box), evitare errori formali (i debiti IVA/inps vanno pagati o c’è reato), e se in crisi, puntare a vendere la tecnologia (spesso la via di uscita è vendere l’IP a una bigco e incassare, con plusvalenza PEX se possibile).

6.4 Settore Logistica e Trasporti. Le imprese di logistica (trasporto merci su gomma, spedizionieri, magazzini) combinano asset fisici importanti (veicoli, capannoni) e costi operativi elevati (carburante, personale autista). Punti chiave:

  • Carburante e accise: Le imprese di trasporto su strada godono di un rimborso accise trimestrale sul gasolio consumato dai mezzi >7,5 tonnellate. Questo è un credito di imposta indiretta che vengono a incassare dallo Stato. Se l’impresa ha debiti col Fisco, c’è compensazione spesso con cartelle. Infatti, l’Agenzia Riscossione può compensare d’ufficio i crediti d’imposta spettanti con i debiti a ruolo. È capitato che trasportatori aspettassero rimborso accise e se lo vedessero trattenere perché avevano cartelle esattoriali pendenti (art. 28-ter DPR 602/73). Dunque, una ditta di autotrasporti indebitata col Fisco rischia di perdere l’agevolazione carburante (o meglio, gliela usano per saldare i debiti). Ciò la priva di una fonte di liquidità. Meglio quindi cercare di rateizzare i ruoli per evitare la compensazione forzata e poter incassare il rimborso accise net (che vale ~€214 per 1000 litri nel 2022).
  • Fermo amministrativo veicoli: L’Agenzia Riscossione può iscrivere fermo amministrativo sui mezzi per debiti tributari non pagati. Ciò è devastante: un camion con fermo non può circolare. Per togliere i fermi occorre pagare la cartella o chiedere rateizzazione e pagare le prime rate. L’impresa di trasporti deve perciò, più di altre, evitare di cadere in fermo. Uno stratagemma: se i camion sono in leasing, formalmente proprietà della leasing, l’ADER non può porvi fermo (perché non intestati al debitore); e per quelli di proprietà, alcuni costituiscono i mezzi come “beni strumentali indispensabili” e chiedono di escluderli dal fermo (ma la legge non prevede esenzione, è una prassi di discussione giuridica). Comunque, l’unica prevenzione è stare in regola col pagamento cartelle o in dilazione.
  • Pedaggi autostradali: Le imprese grandi hanno convenzioni Telepass con fatture a 90gg. Se non pagano, Telepass revoca i dispositivi e l’azienda avrà problemi seri. Anche i fornitori di pneumatici, pezzi di ricambio, officine: se interrompono servizio, i mezzi si fermano. Ecco i fornitori strategici: gasolio (di solito con carta carburante, se insolvente gliela bloccano), officina/manutenzione (può rifiutare manutenzione finché non saldano), autostrade. Tutti questi creditori esposti vanno integrati in eventuale piano di ristrutturazione: es. inserire anche Telepass e compagnia petrolifera nel tavolo di accordo.
  • Tasse di circolazione (bollo): marginale ma se non paghi bollo per 3 anni, PRA radia il veicolo. In crisi magari saltano i bolli ma attenzione a non far scattare questo.
  • Gestione autisti: Ci sono normative rigide su salari minimi e contributi. Il costo del personale incide e i contributi INPS sono dovuti mensilmente. Se accumulano debito contributivo, scatterà DURC negativo e impossibilità a partecipare a gare per trasporto pubblico o logistico con committenza pubblica. Quindi, nuovamente, rateizzare INPS è vitale. L’art. 30 DL 78/2010 inoltre vieta compensazioni fiscali se ci sono debiti INPS su cartella oltre 1.500 euro. Dunque vale simile soglia delle imposte.
  • Settembre 2021: ricordo normative come obbligo di licenza conto terzi, responsabilità committente per contributi autotrasportatore in appalto (D.Lgs 231/2005 diversi dal 231/2001!). Il committente è responsabile in solido per i contributi dovuti dal vettore subappaltato. Quindi, se una ditta logistica non paga INPS, un committente (specie grosse aziende) potrebbe trattenergli pagamenti come garanzia.
  • Insolvenza di impresa logistica: Spesso si cerca di far entrare un concordato in continuità, per salvare i contratti di trasporto (es: casi di grandi corrieri in concordato con affitto d’azienda). Al creditore conviene, perché se quell’operatore sparisce, la filiera può avere disservizi. Quindi, a differenza di altri settori, i committenti (tipo industrie che affidano trasporti) possono essere interessati a sostenere un salvataggio (magari accettando transazione sul dovuto). Un esempio fu Artoni Trasporti: tentativo di concordato con supporto di un partner. Pertanto la logistica può puntare su alleanze (un competitor acquisisce, i creditori strategici votano a favore per garantire la continuità di servizio).

6.5 Settore Manifatturiero (Industria). Le imprese manifatturiere, soprattutto PMI, hanno forti investimenti in impianti e spesso ricorrono a finanziamenti bancari e leasing. Punti rilevanti:

  • Ammortamenti e reindustrializzazione: Un’azienda produttiva con calo di fatturato può trovarsi con eccesso di capacità. Gli impianti vanno comunque ammortizzati (costo fisso che genera perdita se poco utilizzati). Esistono norme che consentono, in crisi, di sospendere ammortamenti per non aggravare la perdita civilistica (come fatto nel 2020 dal DL Cura Italia, ammortamenti sospesi), ma fiscalmente quell’ammortamento non fatto era indeducibile (quindi si pagavano più tasse se in utile). In caso di crisi, l’impresa manifatturiera potrebbe valutare la vendita o sale-and-leaseback di macchinari per generare cassa immediata. Fiscalmente, la vendita genera plus/minusvalenza: se plusvalenza, tassabile salvo rateizzazione in 5 anni se reinvestita in 2 (art. 86 TUIR). Nella crisi, spesso vendi a meno del valore contabile, generando minus deducibile che riduce utile (bene, taglia tasse). Il sale-and-leaseback poi reintroduce canoni deducibili futuri. Occhio però: se la cede sotto prezzo a una parte correlata, può essere revocatoria o riqualifica. Conviene farlo a valori di mercato con terzo, per evitare impugnazioni.
  • Energia e incentivi: Molte manifatture sono energivore. Nel 2022 il Governo ha dato crediti d’imposta sui costi energetici (30% dell’eccedenza costi gas/energia). Le aziende dovevano presentare autodichiarazione. Questi crediti sono utilizzabili a compensazione e cedibili. Una manifattura indebitata deve assolutamente sfruttare tali crediti perché alleggeriscono i costi e la tassazione (in realtà il credito riduce il costo non il reddito, ma consente di pagare meno contributi fisici). Chi non li usa entro il 2023 li perde (erano temporanei). In futuro, investire in autoproduzione rinnovabile dà crediti o esenzioni (certificati bianchi ecc.), che possono ridurre oneri.
  • Settore automotive e tutele occupazionali: In manifatturiero c’è spesso pressione sindacale e politica per salvare aziende e posti di lavoro. Questo può tradursi in interventi come contratti di sviluppo, contributi regionali, o in procedure concorsuali con amministrazione straordinaria (se >200 dipendenti e gravi dimensioni di insolvenza). L’A.S. è particolare (legge Prodi/Marzano), ma esula da questa trattazione: basti dire che in A.S. l’obiettivo è conservare l’attività e per l’erario si applica comunque transazione fiscale con eventuale falcidia, ma decisa dal commissario e approvata dal MISE.
  • Fisco locale (IMU) su capannoni: L’IMU sugli immobili industriali pesa (aliquota ~1%, no detrazioni). Non pagarla porta a ingiunzioni comunali (diverse da Agenzia Riscossione). Può finire in cartella però. Il comune difficilmente transa su IMU (anche se in concordato il debito IMU, essendo privilegiato sui beni immobili, va pagato se c’è capienza nel valore immobiliare). Una manifattura con grande stabilimento deve considerare l’IMU nei piani di cassa: se non la paga e l’immobile è essenziale, il comune potrebbe mettere ipoteca (specie se credito >5k, il comune ha poteri di riscossione). Una ipoteca comunale su capannone complica poi eventuali ristrutturazioni (bisogna inserirla in transazione, il comune in transazione fiscale può partecipare).
  • Inquinamento e fondi ambientali: Se l’azienda è soggetta a bonifiche o obblighi ambientali, deve accantonare fondi (non deducibili pienamente se bonifica futura incerta). In crisi, questi rischi possono diventare attuali se l’impianto chiude. Lo Stato a volte interviene (es. cassa per bonifiche) ma può rivalersi su chi inquinò (azione per danno ambientale pure su ex dirigenti). Pianificare la gestione ambientale è necessario: es. nel concordato prevedere uno stanziamento per bonifica così da avere ok autorità.

In conclusione, il manifatturiero deve agire su: ottimizzazione costi fissi (anche vendendo e affittando assets), incentivi investimenti (Industria 4.0, risparmio energetico), gestione dipendenti (cassa integrazione straordinaria, accordi per riduzione orario), e coinvolgimento eventuale di partner industriali. Da un punto di vista fiscale, i grandi investimenti significano grandi ammortamenti (che riducono imposte) e possibili operazioni di rivalutazione beni (leggi di rivalutazione 2020 con imposta 3%): se rivaluti, aumenti ammortamenti futuri (riduci tasse) ma paghi una tantum; se hai perdite, potresti fare realignment di valori (DL 104/2020) per generare patrimonio netto e usarlo. Queste manovre straordinarie erano possibili con modeste imposte sostitutive.

6.6 Settore Servizi Professionali. Le società di servizi professionali (consulenza manageriale, studi di ingegneria, società tra avvocati o commercialisti, agenzie di comunicazione, ecc.) hanno come asset primario le competenze del personale e i clienti fidelizzati. A differenza degli altri settori, possiedono pochi beni tangibili; l’insolvenza di solito deriva dalla perdita di clienti importanti o da sovradimensionamento dei costi fissi (affitti uffici lussuosi, troppo personale overhead). Particolarità:

  • Struttura fiscale: Se la società di servizi professionali è una STP (società tra professionisti), può essere di natura societaria ma con tassazione particolare? In realtà, se costituita come SRL STP, paga IRES 24% e i soci poi se distribuiscono utili, 26% su dividendi. Alcuni professionisti preferiscono restare come studio associato (trasparenza IRPEF) o ditta individuale (flat tax se sotto soglia). Dunque una SRL di servizi può talvolta valutare trasformazione in società di persone per passare a trasparenza, ma i soci si troverebbero a pagare IRPEF anche sulle somme non prelevate (perché la trasparenza trasferisce utile a loro comunque). Di norma restano SRL per responsabilità limitata e per eventuali soci non professionisti.
  • Debiti tipici: Oltre ad affitto e dipendenti, possono avere debiti verso collaboratori (es. contratti a P.IVA), marketing, forse leasing di attrezzature IT, e debiti fiscali su ritenute dei professionisti pagati (20% su compensi autonomi) e IVA incassata sulle parcelle. Una crisi in questo settore spesso è evidenziata da ritenute d’acconto non versate e IVA non versata, perché magari incassano le fatture e non accantonano la quota per il Fisco. Questi come abbiamo visto sopra (10-bis reato, 10-ter reato) sono red flag.
  • Clienti in sofferenza: Se uno studio di ingegneria non viene pagato da un grosso cliente, accumula crediti. Questi crediti se diventano inesigibili, vanno dedotti (perdite su crediti). Ma intanto la società può aver pagato IVA su quelle fatture (sì, se ha emesso fattura e incassato parzialmente, versa l’IVA su tutto?). In Italia l’IVA è esigibile all’emissione fattura, non all’incasso, salvo regime IVA per cassa (opzionabile per fatturato <2 mln). Società di servizi dovrebbero optare per IVA per cassa per non anticipare l’IVA sui crediti non incassati. Se non l’hanno fatto e i clienti non pagano, l’IVA su quei crediti potrà essere recuperata con nota di credito solo a esito di concorsuale del cliente. Quindi, anche la gestione incassi e regime IVA è cruciale.
  • Società vs individuali: Un trend è la trasformazione di studi in SRL per vantaggi previdenziali (società di ingegneria non versa Inarcassa, i soci percepiscono dividendi su cui non pagano la loro cassa, riducendo costi). Ma la contropartita è la società paga IRAP piena, mentre il singolo professionista se in regime forfettario non la paga. Così, se fatturati bassi, conviene essere forfettario 15%; se fatturati alti, società conviene per aliquota fissa 24% (invece di IRPEF 43%). Tuttavia, quando la SRL distribuisce, i soci pagano 26%. L’aliquota complessiva arriva circa 45%. Col forfettario 15% era minore. Quindi, c’è una soglia di convenienza su cui ragionare. In crisi, alcuni soci valutano di far fallire la SRL e proseguire come ditte individuali in regime forfettario se possibile: una sorta di phoenix (risorge come nuovo soggetto). Attenzione però a abuso o bancarotta: se la SRL lascia debiti (fisco/fornitori) e i soci proseguono con stessa clientela in altra forma, i creditori sociali potrebbero agire (si parla di continuità aziendale fittizia, trasferimento d’azienda implicito). Ci vorrebbe una liquidazione concordataria per regolare la continuità. Quindi, raccomandabile formalizzare con eventuale affitto di ramo d’azienda alla nuova entità, inserito in un piano attestato per evitare azioni di responsabilità.
  • Lato penale: Le società tra avvocati per esempio potrebbero avere cassa forense per i soci? Attualmente no, la STP paga INPS gestione separata sul reddito d’impresa? Argomento complicato. Comunque, se a uno studio avvocati non pagano contributi dipendenti (se ne hanno) scatterà DURC e relative. Ma spesso piccoli, con collaboratori a partita iva.

In generale per servizi: poco asset, tanto cervello. Se crisi, tipicamente:
1) Taglio costi subito (uffici, dipendenti).
2) Negoziare dilazioni con Erario (ritenute e IVA) per evitare reati.
3) Offrire ai creditori (collaboratori non pagati, fornitori) un piano di rientro o anche equity: ad es. dare a un creditore quota di partecipazione in cambio di rinuncia a parte debito (es. un ex socio di capitale entra rilevando il debito).
4) Valutare M&A: magari uno studio competitor prende in carico clienti e personale e con un accordo paga parte dei debiti, come acquisizione.

Il vantaggio di società di servizi in ristrutturazione è che di solito non hanno creditori privilegiati enormi (niente banche con ipoteche su immobili perché non ne hanno, magari solo finanziamenti senza pegno). Quindi un concordato potrebbe offrire una percentuale decente ai chirografari e passare. Lo svantaggio è che se la reputazione è danneggiata, i clienti scappano – allora non ha senso continuità. Spesso conviene cambiare brand e ricominciare.

7. Strumenti alternativi: holding, trust, società semplici, cooperative (vantaggi fiscali e rischi)

Oltre alla classica SRL, esistono altre forme organizzative e veicoli giuridici che imprenditori e professionisti possono utilizzare per ottimizzare la fiscalità o proteggere il patrimonio in situazioni di rischio. Tra questi: holding di gruppo, trust, fondazioni, società semplici, cooperative. Ognuno presenta vantaggi e anche insidie sotto il profilo fiscale, specialmente se utilizzato con l’obiettivo di ridurre il carico tributario. Di seguito un’analisi comparativa.

7.1 Holding di gruppo. Costituire una holding (tipicamente una società capogruppo, spesso SRL o SpA, posseduta dall’imprenditore o dalla famiglia, che detiene le quote delle società operative) è una strategia diffusa di pianificazione fiscale e patrimoniale. Vantaggi principali:

  • Regime PEX (Participation Exemption): come accennato, se la holding detiene partecipazioni qualificate (almeno 10% circa) da oltre 12 mesi in società operative commerciali, le eventuali plusvalenze dalla vendita di tali partecipazioni sono esenti al 95% (art. 87 TUIR). Ciò significa che quando la holding cede una società del gruppo, tassa solo il 5% della plusvalenza al 24% IRES, pari a un’imposta effettiva dell’1,2%. Questo è un forte incentivo: consente di monetizzare parti del gruppo quasi tax free. Senza holding, se l’operativa vendesse il suo ramo d’azienda pagherebbe il 24% su tutta la plusvalenza.
  • Consolidato fiscale nazionale: la holding (con almeno il 50%+1 delle controllate) può optare per il consolidato, sommando gli utili e le perdite delle società del gruppo. Ciò consente di compensare perdite di alcune controllate con utili di altre, riducendo l’IRES globale di gruppo. Ad esempio, se una società fa +100 e un’altra -100, senza consolidato la prima pagherebbe imposte sul suo utile mentre la seconda la sua perdita la porterebbe avanti; col consolidato l’utile e la perdita si annullano subito e non si versa nulla quell’anno. È uno strumento prezioso per gruppi con andamento disomogeneo tra diverse attività. Rischi: bisogna vincolarsi per 3 anni e se la controllata esce prima ci sono recapture di beneficio.
  • Ottimizzazione finanziaria: la holding può agire da cassaforte accumulando dividendi dalle controllate con imposizione ridotta (i dividendi percepiti dalla holding da società figlie sono esenti al 95%, quindi solo il 5% tassato 24% = 1.2%, similmente alle plusvalenze, art. 89 TUIR). Quindi si riesce a far “risalire” gli utili al vertice con minima imposizione. Se poi l’imprenditore vuole denaro, può decidere di prelevare dalla holding (quindi solo in quel momento pagherà il 26% su dividendo come persona fisica). In pratica si differisce la tassazione: tenendo gli utili in holding, per anni magari non li distribuisce e li reinveste in altre società, subendo solo 1.2% di tassazione per step; se li avesse presi come socio di SRL direttamente, avrebbe pagato 26% subito. Dunque, la holding consente un tax deferral e spesso anche un risparmio se i soci della holding sono più di uno (possono suddividersi reddito in base a scaglioni IRPEF, se la holding è trasparente ad es. S.a.s. – questione complessa).
  • Protezione del patrimonio: la holding tipicamente non firma le garanzie delle operative né fa debiti, quindi se una controllata fallisce, i creditori di questa non possono aggredire i beni di holding (se non nel limite delle quote, che di per sé possono perdere valore ma la holding di solito diversifica). In sostanza, separare operatività (rischio) e patrimonio (in holding) è un pilastro della protezione. Ad esempio, gli immobili possono essere spostati in holding e affittati all’operativa: se l’operativa fallisce, l’immobile rimane alla holding, su cui i creditori dell’operativa non hanno diritti (a meno di azioni revocatorie se lo spostamento era recente a titolo gratuito etc.).
  • Riorganizzazioni e passaggi generazionali: la holding può facilitare il passaggio generazionale (i figli ricevono quote di holding invece di mille quote di società disparate). Fiscalmente, il trasferimento di partecipazioni di controllo a discendenti è esente da imposta di donazione se l’azienda prosegue l’attività per 5 anni (art. 3 co.4-ter D.lgs. 346/90). Con una holding, la famiglia può quindi passarsi le redini con minima tassazione.

Rischi e costi di una holding:

  • Costi amministrativi: tenere una holding è un costo in più (bilanci, adempimenti, nota integrativa consolidata, ecc.). Se il gruppo è piccolo, i costi possono superare i benefici fiscali.
  • Abuso del diritto: se la holding è creata con l’unico scopo di evitare tassazione su plusvalenza di una cessione imminente, l’Agenzia può contestare l’operazione come elusiva. Ad esempio, se Tizio trasforma la sua ditta individuale in SRL e la conferisce in una newco holding e subito dopo vende la holding, l’Amministrazione potrebbe dire che è una manovra per incassare plusvalenza in regime PEX. La giurisprudenza in materia è altalenante, ma la tempistica e la sostanza economica contano. Se la holding esiste e svolge vera attività di direzione e coordinamento (riunioni, pianificazione, gestione finanziaria), è difficile dire che è fittizia.
  • Responsabilità “di direzione e coordinamento”: il codice civile (artt. 2497 ss.) prevede che se la holding abusa del suo potere causando danno alle controllate o ai soci di minoranza, può essere chiamata a rispondere con azione di responsabilità. Ad esempio, se la holding impone a una controllata di fare operazioni svantaggiose per favorirne un’altra (tipico: far vendere sotto costo a una società per avvantaggiare un’altra del gruppo), i creditori della società danneggiata potrebbero fare causa alla holding (e all’amministratore di questa) per il pregiudizio. È raro, ma in contesti di insolvenza è stato fatto valere (specie in gruppi di fatto). Quindi, va ricordato che la holding non è uno scudo assoluto in caso di condotte abusive: potrebbe emergere un’estensione di responsabilità.
  • Consolidato e transazione fiscale: se una controllata va in concordato, la presenza del consolidato può ingarbugliare la transazione fiscale. Occorre chiudere il consolidato prima, consolidare i debiti verso AE. Niente di insormontabile ma un aspetto tecnico (il consolidato è un soggetto fiscale unico su certe imposte: se alcune consolidanti/trate vanno in procedura, va regolato il debito consolidato).

7.2 Trust. L’istituto del trust è di origine anglosassone ma riconosciuto in Italia tramite la Convenzione dell’Aja 1985 (rat. L. 364/1989). Consiste nel trasferire dei beni a un trustee che li amministra per uno scopo o beneficiari determinati, secondo le regole di un atto istitutivo. In ambito di pianificazione patrimoniale e fiscale, il trust viene impiegato per:

  • Segregazione patrimoniale: i beni conferiti in trust non appartengono più giuridicamente al disponente, né al trustee personalmente, né ai beneficiari finché non ne hanno diritto. Formano un patrimonio separato, non aggredibile dai creditori personali del disponente o del trustee. Ciò è potente: ad esempio, un imprenditore teme che la sua azienda possa fallire e intaccare la villa di famiglia; potrebbe istituire un trust familiare e conferirvi la villa, così se anni dopo l’impresa fallisce, la villa (ora del trust) è segregata e i creditori dell’imprenditore non vi accedono. Naturalmente, se il trust è creato in frode ai creditori (quando già c’erano debiti), è soggetto ad azione revocatoria fallimentare entro 2 anni (o ordinaria entro 5). E se addirittura fatto dopo pendenza di procedure concorsuali, può configurare reato di sottrazione fraudolenta (art. 11 citato). Però un trust istituito con largo anticipo e motivazioni legittime (pianificazione successoria ad esempio) offre forte protezione patrimoniale.
  • Pianificazione successoria ed esenzione da imposta di successione su azienda: in Italia l’imposta di donazione/successione per trasferimenti a figli è relativamente bassa (4% oltre franchigia ~1mln). Alcuni usano trust per evitare la frammentazione immediata della proprietà aziendale e assicurare la continuità gestionale, più che per risparmio fiscale (visto che esistono esenzioni se gli eredi proseguono l’azienda 5 anni come detto). In caso di regime estero, trust in paesi come Malta o Jersey possono trovarsi in situazioni di pianificazione più spinte, ma la normativa italiana (Circolare AdE 34/2022) stabilisce che i trust opachi esteri in black list sono tassati in Italia come trasparenti, quindi i benefici fiscali sono stati ridotti.
  • Trust “di insolvenza”: a volte proposti come soluzione per crisi: l’imprenditore conferisce i beni residui in un trust a favore dei creditori, gestito da un trustee indipendente che li liquida e paga i creditori secondo piani. È come una liquidazione concordataria privatistica, e l’effetto è esdebitare il debitore al completamento. La legge 3/2012 menzionava la possibilità di trust per sovraindebitati. Non c’è una disciplina organica ma casi giurisprudenziali hanno riconosciuto trust come atto solutorio a favore creditori con esdebitazione finale. Tuttavia, se non partecipano tutti i creditori all’accordo, restano con diritto di perseguire il disponente. È complicato e poco adottato.
  • Fiscalità del trust: un trust può essere trasparente (se beneficiari di reddito individuati) o opaco (se il reddito resta accumulato nel trust senza beneficiari identificati per quel reddito). I trust residenti in Italia pagano l’IRES 24% se opachi; se trasparenti, il reddito viene imputato ai beneficiari e tassato in capo loro come reddito di capitale (in genere). Un trust familiare di solito è opaco finché i figli non ricevono nulla: accumula redditi e li reinveste, pagando 24%. Quando distribuisce capitali originari o plusvalenze non tassate, come si tassano? Spesso non sono tassati perché frutto di capital remainders. C’è incertezza e rischio di doppie imposizioni o di trattamenti peggiori: es. trust opaco paga 24% su reddito poi se distribuisce utile ai beneficiari forse questi pagano 26% come capital gain? Ci sono interpelli (Risp. AE n. 381/2019) che hanno chiarito che se il trust opaco ha già pagato imposte, la distribuzione non va a tassazione ulteriore, mentre se distribuì capitali originari non tassati, i beneficiari non tassano nulla in quanto era patrimonio. Ma se trust estero, i beneficiari possono essere tassati su ogni distribuzione come reddito di capitale salvo prova contraria.
  • Vantaggi fiscali: a differenza delle società, i trust non beneficiano di regimi PEX o crediti d’imposta particolari. Anzi, per cedere beni, se il trust vende un immobile, la plusvalenza non gode di esenzione prima casa (che spetta a persona fisica). Quindi c’è spesso penalità fiscale nell’aver messo in trust certi asset. Inoltre, il trasferimento iniziale di beni in trust sconta l’imposta di donazione (aliquota e franchigia dipende dai beneficiari ultimi, secondo Cass. SSUU 2022), anche se quell’imposta è sospesa fino eventuale assegnazione ai beneficiari. Ad esempio, un trust per figli con beni da 2 milioni: all’atto del conferimento non c’è passaggio effettivo ai figli, ma Cassazione poi dice che l’imposta va pagata subito come vincolo di destinazione, 4% su oltre franchigia, se i figli sono beneficiari finali, con franchigia 1mln x figlio. Dunque trust non è esente da costi di trasferimento.
  • Rischi e abusi: L’Agenzia Entrate ha a lungo sorvegliato i trust come possibili veicoli di evasione o elusione (schermare identità, trasferire redditi a tassazione nulla, etc.). Oggi chi crea trust deve segnalare l’UBO (beneficiario effettivo) nel registro titolari effettivi, ed è soggetto a antiriciclaggio. Usare trust offshore non trasparenti per accumulare redditi non dichiarati porta a contestazioni di esterovestizione: se il disponente resta a gestire di fatto il trust, lo considerano entità fittizia e tassano il disponente come se fosse suo (principio del trust interposto). Quindi, per avere i benefici voluti (protezione, pianificazione successoria) e non problemi, il trust va fatto con genuina indipendenza del trustee e rispetto finalità non fittizie.

7.3 Fondazioni e altri enti non profit. Le fondazioni sono entità giuridiche con scopo idealistico (culturale, assistenziale, religioso, ecc.) che godono di regime fiscale agevolato (esenti IRES se ente non commerciale e per redditi istituzionali). Vantaggi e limiti:

  • Una fondazione di famiglia (non profit) potrebbe essere usata per detenere partecipazioni e patrimoni e destinare i proventi a scopi filantropici ma anche a mantenimento del patrimonio per discendenti in ruoli specifici. In Italia, diversamente da trust, non esiste la figura di family foundation esclusivamente per beneficio di una famiglia: una fondazione deve avere scopo altruistico o comunque di pubblica utilità o di categoria meritevole. Se la usassero surrettiziamente per mantenere patrimonio a favore solo dei parenti, rischierebbero la revoca della personalità giuridica.
  • Fiscalità: se la fondazione è riconosciuta ONLUS o Ente del Terzo Settore, ha esenzioni su proventi coerenti con scopo (per es. fondazione culturale esente su contributi ricevuti, paga IRES solo su eventuali redditi commerciali marginali). Quindi se uno volesse ridurre imposte su proventi di capitale, potrebbe pensare a devolvere il patrimonio a una fondazione e poi farsi assumere come presidente retribuito per poter disporre indirettamente delle risorse – però l’Agenzia e la Prefettura vigilerebbero: se la fondazione eroga benefici solo a fondatori o li remunera esageratamente, la declassano.
  • Molte grandi aziende italiane controllanti (p.e. alcune banche) sono in mano a fondazioni bancarie: queste hanno regime tributario peculiare (IRES al 100% ma deducono liberalità 100% a certi enti, ecc.), comunque di solito non pagano imposte su dividendi grazie alle esenzioni PEX e regime speciale se li destinano a missioni filantropiche (le fondazioni ex bancarie hanno obbligo di destinare almeno 50% proventi a erogazioni).
  • Vantaggio: la fondazione, essendo persona giuridica privata, offre continuità: non muore con fondatore, ha governance stabile (spesso a vita). Famiglie l’hanno usata per evitare spezzatino societario: es. il patriarca mette 51% dell’azienda in una fondazione con regole per conservare controllo e destinare una quota utili a beneficenza, il 49% ai figli liberamente. Così i figli non possono vendere la società, la fondazione custodisce e controlla.
  • Rischio: l’atto di dotazione a favore di una fondazione se priva di scopo altruistico vero potrebbe essere impugnato dagli eredi legittimari come lesione di legittima (in concreto, se un genitore destina quasi tutto a fondazione, i figli potrebbero rivendicare la legittima su quei beni). Anche il Fisco potrebbe se vede che è un modo per non pagare imposte su redditi (ma se non c’è scopo di lucro, di per sé non vi è reddito imponibile se rispettano requisiti).
  • Società di investimento/fondazioni lussemburghesi: Ci sono fondazioni in paesi come Liechtenstein concepite come surrogate dei trust, per protezione. Attenzione che se il beneficiario/vincolo è su residenti Italia, considereranno quell’ente posseduto dai soggetti italiani (CFC rule potenzialmente). In sintesi, per ridurre il carico fiscale in Italia con fondazione estera bisogna spossessarsi davvero e destinare a beneficenza autentica. Difficile farlo “per finta” senza danno.

7.4 Società semplice (SS). La società semplice è una forma di società di persone priva di personalità giuridica e a oggetto non commerciale (può fare solo attività economiche non commerciali, tipicamente gestione di patrimoni mobiliari o immobiliari, o attività agricole). Negli ultimi anni è diventata un veicolo apprezzato per il wealth management familiare, definita anche la “trust italiana” per certi versi. Vantaggi:

  • Regime fiscale trasparente e non imprenditoriale: la società semplice non è soggetta a IRES né IRAP. I suoi redditi vengono imputati pro quota ai soci e tassati secondo la natura. Se la SS svolge solo gestione di partecipazioni, immobili e investimenti, i redditi che produce sono redditi di capitale, redditi fondiari, diversi, che transitano nei dichiarativi dei soci (quasi come se li possedessero direttamente) e tassati in capo a ciascun socio secondo le regole IRPEF o sostitutive vigenti. Esempio: la SS possiede un immobile locato: la rendita tassabile (al netto abbattimenti) va imputata ai soci IRPEF; oppure possiede un portafoglio titoli: le cedole e capital gain percepiti dalla SS mantengono loro natura e sono tassati o con imposta sostitutiva 26% sul singolo socio (in genere gestito come admin del portafoglio già a monte). Ciò è efficiente: diversamente, in una SRL le rendite finanziarie sarebbero tassate 24% IRES in capo SRL e poi se distribuite 26% su socio (tranne capital gain PEX); con SS, le rendite finanziarie sono soggette direttamente all’imposta sostitutiva 26% (nessun secondo livello). E i canoni locazione, in mano a SRL sarebbero tassati 24% + 26% su dividendi; in SS, il socio persona fisica può optare per cedolare secca 21% su affitti residenziali o pagare IRPEF progressiva (che se ha basse aliquote può essere <24%). Quindi c’è un risparmio sensibile. Un calcolo: immobile affitto €50k/anno, in SRL paga 24% = netta 38k, se distribuisce socio 26% su 38k = rimangono 28k. In SS, se socio mette in cedolare 21%, resta 39.5k netta (più che SRL).
  • Flessibilità e semplicità: la società semplice non richiede capitale minimo, né bilanci pubblici, né grossi adempimenti (no obbligo di contabilità ordinaria se non per eventuali redditi agrari, etc.). È un contratto registrato, con atto scritto (anche registrato per opponibilità a terzi). Può essere intestataria di beni a pieno titolo. Spesso è usata per intestare immobili di famiglia: tutti i fratelli soci SS e la SS proprietaria di case vacanza, terreni, ecc., così si evita la comunione indivisa e si facilita la gestione.
  • Utilizzo per regolare successione: le quote di SS possono facilmente essere ripartite fra eredi tramite patto di famiglia (tra l’altro le partecipazioni in società di persone non rientrano in collazione come beni immateriali? Comunque si possono vendere anticipatamente). E l’attribuzione di singoli beni ai soci in caso di scioglimento SS è fiscalmente neutra (non c’è plusvalenza, essendo trasparente). Dunque, uno può far confluire in SS i beni e poi in futuro scioglierla assegnando a ciascun socio certi asset: quell’assegnazione è trattamento come se i soci li possedessero da sempre.
  • Rischi e limiti: La SS non può svolgere attività commerciali. Se si mette a fare di fatto commercio, diventa una società irregolare di fatto e i soci allora sarebbero illimitatamente responsabili anche su quell’attività come S.n.c. Non conviene abusarne: l’Agenzia può contestare se una SS di investimenti immobiliari effettua operazioni tipiche di impresa (es. costruisce e vende immobili, che è attività commerciale di sviluppo immobiliare). In quel caso rifarebbero d’ufficio il reddito come reddito d’impresa soggetto a IRPEF e IRAP, sanzionando.
  • Responsabilità illimitata soci: come tutte società personali, i soci rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali. Tuttavia, se la SS fa solo da cassaforte di investimenti, i creditori della SS saranno pochi (es. banche per un mutuo su immobile): la prudenza è usarla senza indebitamento, così che non ci siano creditori terzi. I creditori personali del singolo socio non possono aggredire i beni sociali, ma solo la quota del socio (e per liquidare quell’attacco, o attendono lo scioglimento, o chiedono la liquidazione della quota ex art 2270 c.c.). Cioè c’è comunque segregazione tra patrimonio sociale e creditori personali dei soci (non è impermeabile come trust, ma i creditori del socio hanno un percorso tortuoso: notificare atto di pignoramento quote, chiedere liquidazione della quota in tribunale, ecc.). Quindi, un imprenditore potrebbe mettere la casa in SS (con moglie e figli soci) così se lui viene escusso a livello personale, il creditore pignora la sua quota SS ma non la casa direttamente.
  • Uso opportunistico: la SS è usata anche per evasione fiscale in alcuni casi: es. cointestare redditi finanziari a familiari che non avrebbero quell’aliquota, benché poi beneficiario effettivo è uno solo – attenti a interposizione. Oppure, in campagna, far transitare redditi agrari su di essa per modulare posizioni fiscali. Ma finché è trasparenza reale non c’è grande margine di abuso (a parte spostare tra scaglioni IRPEF se i soci hanno aliquote medie inferiori).
  • Non fallibilità: la SS non è soggetta a fallimento perché non può essere imprenditore commerciale. Se un creditore voglia aggredire i beni, deve chiedere esecuzione civile sui soci. Questo può essere considerato un vantaggio di protezione (nessun rischio di procedura concorsuale sulla “cassaforte”). Ma se la famiglia possiede partecipazioni di società di capitali, attenzione che la società semplice non deve immischiarsi nella gestione delle controllate (se lo fa professionalmente e in modo sistematico, potrebbero dire che fa attività di direzione e coordinamento come impresa). Finora considerano holding pura non come impresa (C.M. 32/1980, partecipazioni di norma frutto di gestione non commerciale salvo servizi infragruppo retribuiti). Quindi la SS può possedere quote di SRL e incassare dividendi esenti, e non fallisce in caso di default della SRL, i creditori della SRL comunque non possono toccare la SS se non per la perdita di valore.

7.5 Cooperative. Le società cooperative sono enti societari a scopo mutualistico (cioè forniscono beni/servizi/vantaggi ai soci, piuttosto che remunerare il capitale). Se la SRL indebitata valuta di “trasformarsi” in cooperativa o aprire una cooperativa per ridurre tasse, bisogna capire:

  • Regime fiscale cooperativo: le cooperative “a mutualità prevalente” (ossia che fanno scambi principalmente con i soci e rispettano norme di legge su ristorni, indivisibilità riserve, limitata remunerazione capitale) usufruiscono di detassazione parziale degli utili. In particolare, la legge (D.P.R. 601/1973, art. 11) prevede esenzione IRES del 70% degli utili netti destinati a riserva indivisibile (per cooperative di produzione lavoro; per coop di consumatori 70% esente fino a un certo limite di utile, poi 40% esente; cooperative agricole e pesca esenti 80% degli utili). In pratica, una cooperativa che non distribuisce utili ai soci (li mette tutti a riserva indivisibile) può ridurre drasticamente l’IRES dovuta (pagandone solo sul 30% dell’utile). Inoltre, le cooperative piccole sono esenti da imposta di bollo, hanno riduzioni su tributi vari, priorità in bandi. L’IRAP per le coop sociali è azzerata sulle remunerazioni dipendenti svantaggiati. Quindi, in alcuni casi, la tassazione effettiva di una cooperativa può scendere a valori molto bassi (specie se mutualità prevalente forte).
  • Altri vantaggi: cooperative di piccola pesca e agricoltura hanno spesso agevolazioni contributive, contributi regionali. Cooperative edilizie godono di esenzioni IMU su immobili destinati ai soci ecc.
  • Rischi: per usufruire di tali benefici, la cooperativa deve osservare strettamente la normativa mutualistica. Gli utili esenti in quanto destinati a riserva non possono mai essere distribuiti nemmeno in fase di liquidazione (devono devolvere a fondi mutualistici per lo sviluppo cooperazione). Quindi il socio di coop non può, salvo eccezioni, arricchirsi: prende al massimo un ristorno (rimborso) proporzionale agli scambi, o dividendi limitati (massimo tasso buoni postali). Ci sono controlli: il Ministero vigila e in caso di violazioni può revocare la qualifica di coop a mutualità prevalente (facendole pagare le imposte risparmiate con sanzioni). Ci sono purtroppo state molte “false cooperative” usate per pagare meno contributi o tasse (ad esempio cooperative di facchinaggio dove i soci di fatto erano dipendenti sottopagati). Il D.L. 248/2007 e altre norme hanno inasprito sanzioni: se la coop perde requisiti mutualistici, paga un’imposta addizionale del 10% sugli utili.
  • Trasformare SRL in cooperativa? È giuridicamente possibile la trasformazione eterogenea di società di capitali in cooperativa e viceversa. Però, uno scenario in cui una SRL in crisi si converte in cooperativa per pagare meno tasse appare inusuale: come convincere i creditori? Forse se i dipendenti rilevano l’azienda (workers buyout) creando una cooperativa tra lavoratori, ci sono contributi pubblici e possono spuntare pagamenti dilazionati ai creditori. In tal caso, i benefici fiscali cooperativi aiutano la nuova entità a stare sul mercato (meno tasse = più cash per investire). Quindi può essere un percorso di risanamento: es., azienda fallita venduta ai dipendenti che costituiscono cooperativa di produzione lavoro con aiuto di Legacoop e fondi mutua. In passato normative Marcora e rifinanziamenti ne hanno fatti di simili.
  • Cooperative in settori vari: cooperative di lavoro permettono ai soci-lavoratori di avere contratti con meno oneri contributivi? Un po’ sì: i soci lavoratori pagano contribuzione alla gestione speciale INPS con aliquota leggermente minore rispetto dipendenti (anche se ora equiparate quasi). Tuttavia il vero problema sono gli abusi: alcuni imprenditori trasformano i dipendenti in “soci” di cooperativa per tagliare tredicesime, TFR, ecc. La legge 142/2001 e succ. impone contratti di lavoro ai soci come dipendenti che dev’essere equiparato ai CCNL di riferimento (cioè non li puoi pagare meno di quello). E se non li pagano, i soci possono lamentarsi a Ispettorato. Ci sono stati molti crackdown su coop spurie (specie in logistica, pulizie).

In conclusione, la cooperativa è un’ottima struttura se corrisponde a una effettiva esigenza mutualistica: esempio, piccoli produttori che si associano per vendere insieme, o dipendenti che salvano l’impresa. I vantaggi fiscali in quel caso sono il “premio” per l’adempimento di una funzione sociale. Se invece si tentasse di fare una coop fittizia solo per dimezzare le tasse, è molto probabile incorrere in problemi (rischio di perdita agevolazioni, contenziosi sindacali, e operatività più complessa perché per statuto devi avere almeno 3 soci (9 per coop lavoro) e organi come sindaci se grandi, oltre revisioni periodiche per legge).

Comparazione finale: In uno scenario di pianificazione lecita:

  • La holding appare utile per gruppi societari dove esistano utili e perdite da consolidare e prospettive di cessione. Rischi moderati e ampi benefici, raccomandabile per aziende strutturate.
  • Il trust serve per protezione patrimoniale più che per risparmio fiscale (anzi, spesso neutro o peggiorativo fiscalmente). È opportuno se l’obiettivo è segregare beni per eredi minorenni o disabili, evitare dispute ereditarie e simili. Rischio alto di contestazioni se usato come escamotage anti-creditori all’ultimo minuto.
  • La fondazione è un veicolo di scopo: bene per finalità filantropiche e stabilità di controllo, non adatto come “scatola per scappare al fisco”. Pochi la useranno strettamente per meno tasse, piuttosto per destinare risorse a cause con vantaggi reputazionali.
  • La società semplice è attualmente il “coltellino svizzero” del tax planning familiare: semplice, flessibile e con efficiente tassazione su investimenti. Rischio di abusi se la si spinge oltre (non farci business attivo, non usarla come discarica di redditi).
  • La cooperativa offre grandi risparmi fiscali se si è disposti a sacrificare la finalità lucrativa e a seguire strettamente i vincoli mutualistici. Può essere un valido strumento di continuità (es. trasformare dipendenti in soci, prevenendo conflitti e salvando occupazione con meno peso fiscale), ma non deve essere fatto artificiosamente.

Di conseguenza, la scelta del veicolo alternativo va calibrata su:

  • finalità perseguite (protezione vs risparmio vs continuità generazionale);
  • dimensioni e governance (ad es., impossibile convincere investitori privati a mettere soldi in una coop perché potere di voto per testa e utili limitati, quindi coop solo se base mutualistica reale).
  • tempi e costi di transizione (trasformare SRL in SS o sciogliere e conferire attivo in SS può avere costi fiscali se vi sono plusvalori latenti; trasformare in coop ne ha altri).
  • rischio accettabile di contestazione (trust e misuse of coop alzano bandiere rosse al Fisco).

8. Domande frequenti (FAQ) con casi pratici

Di seguito presentiamo alcune domande comuni che imprenditori e professionisti si pongono riguardo alla gestione fiscale di una SRL indebitata e le relative risposte, spesso accompagnate da casi concreti esplicativi.

  • Domanda: “Se la mia SRL ha grossi debiti fiscali, i soci o gli amministratori rischiano di doverli pagare personalmente?”
    Risposta: In linea generale, no, i soci di SRL non rispondono con il proprio patrimonio dei debiti sociali, e anche gli amministratori non ne sono personalmente obbligati (il debito resta a carico della società). Tuttavia, ci sono eccezioni importanti. Ad esempio, se gli amministratori hanno compiuto atti distrattivi o hanno chiuso la società distribuendo ai soci attivo invece di pagare il Fisco, allora il Fisco può agire contro di loro o i soci. Un caso pratico: Alfa SRL viene liquidata e l’amministratore distribuisce €100.000 ai soci, lasciando €80.000 di debito IVA non pagato; in tal caso, l’Agenzia Entrate può chiedere ai soci la restituzione di quanto ricevuto per coprire il suo credito. Inoltre, se gli amministratori omettono versamenti di IVA o ritenute oltre soglia di punibilità (250k per IVA, 150k per ritenute), ne rispondono penalmente (rischio reclusione) e il giudice penale può disporre il sequestro dei beni personali fino a concorrenza del debito. Dunque, civilmente soci e amministratori sono protetti salvo casi di mala gestione, ma penalmente l’amministratore può essere sanzionato e subire confische in caso di reati tributari.
  • Domanda: “Entro quali importi il mancato pagamento di imposte diventa reato?”
    Risposta: I reati scattano oltre determinate soglie di importo e condizioni temporali. Per i principali: Omesso versamento IVA se l’IVA dovuta annualmente > €250.000 e non versata entro la scadenza (in genere 16 marzo dell’anno successivo); Omesso versamento di ritenute se > €150.000 riferite all’anno e non versate entro la scadenza (di solito 30 settembre dell’anno successivo per le ritenute risultanti da CU). Per dichiarazione infedele, si guarda imposta evasa > €100.000 e almeno 10% del dichiarato o €2 milioni di elementi sottratti; per dichiarazione fraudolenta soglia imposta €100.000 e utilizzo di fatture false >€false, o artifici contabili. Un caso pratico: Beta SRL nel 2024 non versa €300.000 di IVA risultante dalla dichiarazione annuale presentata (senza ravvedimento né richiesta dilazione); a settembre 2025 il legale rappresentante riceverà un invito della Procura perché ha superato la soglia di 250k – se entro il dibattimento salda integralmente il dovuto (con interessi e sanzioni amministrative), può ottenere l’estinzione del reato, altrimenti rischia condanna fino a 2 anni di reclusione (spesso convertibili in pena sospesa per incensurati). È dunque fondamentale conoscere queste soglie e, se si prevede di sforarle, correre ai ripari chiedendo dilazioni o ravvedimento prima che scadano i termini penali.
  • Domanda: “Ho ricevuto una cartella esattoriale per IRAP e IVA non pagate: posso compensarla con un mio credito IVA che ho maturato quest’anno?”
    Risposta: Tecnicamente è possibile compensare debiti a ruolo con crediti fiscali tramite modello F24 usando il codice tributo RUOL. Tuttavia, la legge prevede che se hai debiti iscritti a ruolo oltre €1.500 scaduti, non puoi compensare crediti d’imposta fino a concorrenza di quell’importo. Quindi prima devi regolarizzare (pagare o rateizzare) il debito a ruolo. C’è inoltre una novità per debiti maggiori: dal 1° luglio 2024, chi ha debiti affidati all’Agente riscossione > €100.000 (non sospesi né rateizzati) non può compensare crediti per l’eccedenza. Ad esempio, Gamma SRL ha un debito in cartella di €120.000 per IVA 2022 e un credito IVA 2023 di €50.000: se non ha chiesto rateazione, finché il debito resta sopra 100k, non può usare i 50k di credito in F24; se però versa almeno €20k (o rateizza l’intero importo), scendendo sotto soglia, allora potrà compenserà il suo credito. Il consiglio è: rateizza sempre le cartelle maggiori di 1.500€ prima di usare crediti in compensazione, altrimenti l’F24 verrà scartato o la compensazione considerata indebita (con sanzione 30%). Aggiungiamo che compensare crediti comporta presentare il modello F24 tramite Entratel e, se importi > €5.000 annui, serve il visto di conformità sul dichiarativo del credito.
  • Domanda: “Posso pagare i fornitori anziché il Fisco? Cosa succede se privilegio i primi e ritardo le imposte?”
    Risposta: Molte imprese in crisi fanno questa scelta: pagano fornitori strategici (perché senza di essi l’attività si ferma) e ritardano il versamento di IVA, ritenute, tasse. Nel breve termine è comprensibile, ma nel medio può essere pericoloso. Da un lato, accumulando debiti fiscali, l’azienda può incorrere in interessi e sanzioni elevati, e come visto eventuali procedimenti penali per le imposte principali. Dall’altro, se poi l’impresa va in concordato o fallisce, quei pagamenti ai fornitori possono essere contestati come atti preferenziali a scapito dell’Erario (che è creditore anch’esso). Un esempio concreto: Delta SRL nel semestre pre-fallimento paga €50.000 al suo fornitore di materie prime, restando però insolvente verso l’Agenzia Riscossione per lo stesso importo di cartelle; il curatore fallimentare potrà avviare azione revocatoria per riprendere dal fornitore i €50.000, reintegrandoli nell’attivo fallimentare da ripartire anche col Fisco. Detto ciò, la legge esclude da revocatoria i pagamenti a “condizioni normali”: se quel fornitore è stato pagato alla scadenza ordinaria fattura (pagamento solvente), non è revocabile. Quindi c’è un margine di liceità nel privilegiare fornitori se li si paga regolarmente e la crisi non è palese al momento. Inoltre, dal punto di vista penale, se quei pagamenti erano necessari a evitare la cessazione dell’attività, l’amministratore potrebbe difendersi dall’accusa di bancarotta preferenziale, sostenendo la necessità di continuare l’impresa nell’interesse di tutti i creditori. Riassumendo: in extremis è comprensibile pagare alcuni fornitori prima del Fisco, ma conviene farlo all’interno di un piano formale (es. composizione negoziata, accordo di ristrutturazione) in modo che tutti i creditori – incluso il Fisco – siano informati e consensuali sul trattamento differenziato. Idealmente, si dovrebbero negoziare parallelemente le dilazioni col Fisco (per non scoprirsi penalmente) e con i fornitori (per non perderli): la combinazione di rate fiscale + pagamento fornitori dà un esborso più graduale a entrambi.
  • Domanda: “Che succede se non riesco a pagare le rate della pace fiscale o della rateizzazione? Posso chiedere un nuovo piano?”
    Risposta: Dipende. Nel caso di definizioni agevolate (rottamazioni), la decadenza per mancato pagamento di 5 rate porta a perdere i benefici e l’intero debito originario (al netto di quanto versato) torna esigibile con sanzioni e interessi originali. Non sono ammessi piani ulteriori per quelle somme. Invece, per le rateizzazioni ordinarie, la legge oggi consente se decadi (cioè salti più di 8 rate) di chiedere una nuova rateizzazione del carico residuo, ma solo una volta. Se decadi anche dal secondo piano, non è più rateizzabile. Esempio: Epsilon SRL aveva un piano a 72 rate su €100.000, ma ne ha pagate solo 4 e poi si è fermata; avendo saltato 8 rate, nel 2025 decade; può presentare domanda di nuova dilazione, ottenendo ad esempio 48 rate sul residuo, ma se anche queste non verranno pagate regolarmente, non avrà terza chance. Notare che con la riforma del 2023, per i piani concessi dal 2024 in poi la soglia di tolleranza è 8 rate non pagate (non consecutive), mentre per piani più vecchi era 5. Quindi se avete un piano pregresso dove magari avete già saltato 5 rate, con la nuova norma non decadete finché non arrivate a 8, c’è un piccolo margine in più (introdotto dal DL 51/2023). In caso di difficoltà, prima di saltare 8 rate di fila, conviene contattare l’Agente Riscossione: a volte possono rimodulare il piano (ad esempio estenderlo a 120 rate se peggiorate in modo documentabile). In sintesi: il mancato rispetto di piani di rientro vi fa perdere benefici e ripartono le azioni esecutive, quindi è cruciale onorarli; se succede un imprevisto, chiedete tempestivamente le nuove opportunità normative (rinvii, proroghe straordinarie) perché poi rientrare nel binario agevolato è difficile.
  • Domanda: “Conviene fare una transazione fiscale col Fisco? Potrebbero rifiutarla?”
    Risposta: La transazione fiscale (come spiegato in dettaglio nel §1.5 e §2.2) conviene quando il debito tributario è tale da non poter essere pagato interamente senza compromettere la continuità dell’impresa. Offre la chance di abbattere parte di imposte, sanzioni e interessi in un contesto giudiziale (concordato o accordo). L’Agenzia Entrate valuta la proposta confrontandola con quanto otterrebbe da un fallimento della società: se il piano offre di più (o uguale) di quello che ricaverebbe liquidando, allora la proposta è conveniente e l’Agenzia può accettarla. Negli ultimi anni l’Agenzia ha ricevuto linee-guida: tende ad approvare transazioni che offrano almeno il 20% del capitale (se i crediti erariali sono chirografari) e in tempi non troppo lunghi (max 5-6 anni), salvo casi eccezionali. Se il Fisco rifiuta senza motivo una proposta in realtà migliorativa rispetto al fallimento, oggi il tribunale può imporla (cram-down). Quindi la possibilità di rifiuto arbitrario è diminuita. C’è però un requisito oggettivo: l’impresa deve trovarsi in stato di crisi o insolvenza conclamata e dover accedere a concordato/accordo; non è che si può chiedere transazione se si è solvibili. Caso pratico: Zeta SRL ha €500.000 di debiti fiscali (in parte IVA e in parte IRES) e altri €500.000 verso banche e fornitori; presenta un concordato preventivo offrendo il 30% a tutti i chirografari e motivando che in fallimento i creditori prenderebbero forse 10%. L’Agenzia Entrate inizialmente vota no, perché la proposta prevede stralcio di IVA sotto il 30% minimo indicato dalla circolare; ma la società dimostra (attestazione) che in liquidazione l’Erario prenderebbe solo 5%. Il tribunale, visto il rispetto della convenienza, omologa comunque il concordato: risultato, il Fisco incasserà 30% e la SRL sarà salva. Dunque conviene tentare la transazione se i numeri la supportano; i tempi però non sono brevi (bisogna aprire la procedura di concordato/accordo, nominare attestatore, attendere omologa – possono passare 6-12 mesi o più). Nel frattempo, è cruciale pagare corrente (nuove imposte) o ottenere le protezioni per non peggiorare la posizione.
  • Domanda: “È vero che se pago le tasse arretrate evito i reati penali?”
    Risposta: Sì, in parte. Il D.Lgs. 74/2000 art. 13 prevede cause di non punibilità per i reati di omesso versamento di IVA e ritenute: se il contribuente paga integralmente l’importo dovuto (più interessi e sanzioni amministrative) prima dell’apertura del dibattimento penale, il reato è estinto. Per i reati di dichiarazione fraudolenta o infedele, il pagamento comporta circostanze attenuanti ma non estingue il reato (tranne un caso di *causa speciale di non punibilità introdotta per emergenza Covid per dichiarazione infedele <100k se pagata entro 2022, norma una tantum). In pratica: per i reati più comuni legati a crisi di liquidità (art. 10-bis e 10-ter), pagare il debito anche tardivamente (ad esempio grazie a un nuovo finanziatore o con la liquidazione di asset) mette al riparo l’amministratore dal penale. Caso: il managing director di Omega SRL è imputato nel 2025 per omesso versamento IVA 2023 di €300k; l’azienda nel frattempo ottiene un finanziamento e nel settembre 2025 versa all’Erario l’intero 300k + interessi; quando si terrà il processo (poniamo a ottobre), la difesa esibirà prova del pagamento integrale e il giudice dichiarerà il reato non punibile ai sensi art. 13 Dlgs 74. Ovviamente restano le sanzioni amministrative già pagate, ma niente fedina penale sporca né confisca. Attenzione: questa esimente vale solo se il pagamento avviene prima del dibattimento di primo grado; se uno paga dopo condanna o in appello, la legge non prevede obbligo di proscioglimento (potrebbe semmai influire sulla pena). Quindi, anche in ottica di strategia di difesa, se c’è una procedura concorsuale in corso che prevede pagamenti parziali al Fisco, conviene anticipare il più possibile il pagamento delle soglie penalmente rilevanti, magari cercando un accordo con un socio o parente per finanziarlo, evitando così condanne. In sintesi: sì, il portafoglio batte il carcere in questi casi, per cui se l’imprenditore ci tiene alla libertà, è prioritario destinare risorse a saldare IVA/ritenute prima di occuparsi di creditori meno pericolosi penalmente.
  • Domanda: “Conviene aderire a un condono tipo rottamazione o aspettarsi che ne arrivi un altro ancora migliore?”
    Risposta: Negli ultimi anni le definizioni agevolate dei ruoli (rottamazione-ter, quater) hanno permesso di risparmiare su sanzioni e interessi di mora, pagando solo il tributo e interessi base in 18 rate. Sono state occasioni molto vantaggiose: sconti medi del 30% sull’importo in cartella. Nessuno può garantire futuri condoni: dipende dalla politica e dalla finanza pubblica. Se l’azienda è in grave crisi di liquidità, aderire a queste misure conviene perché taglia il debito nominale e blocca le azioni esecutive. Ad esempio, Pi SRL aveva €200k di cartelle inclusive di €70k di sanzioni; con rottamazione quater 2023 le sono stati abbuonati i €70k e pagherà €130k in 5 anni senza interessi di mora. È un grosso sgravio. Se non avesse aderito sperando in un condono totale futuro, sarebbe rimasta esposta a pignoramenti nel frattempo. Quindi, conviene cogliere l’opportunità quando c’è, salvo il caso in cui l’azienda pianifichi il percorso di concordato dove intenderebbe essa stessa stralciare i debiti (ma anche in concordato, spesso conviene quantomeno rottamare le cartelle per ridurre l’importo su cui transare). Considerare poi che ogni “rottamazione” pone come condizione di essere in regola coi pagamenti attuali: chi salta le rate perde il beneficio. Se l’impresa non è sicura di poter sostenere le rate di condono, allora forse deve valutare procedure di insolvenza alternative. Per intanto, la rottamazione quater (2023) è stata un successo; non sappiamo se nel 2025 il Governo ne proporrà un’altra. La storia suggerisce che negli ultimi 6 anni ne hanno fatte 4, quindi mai dire mai, ma confidare esclusivamente in futuri condoni è azzardato. Tanto più che debiti come IVA e ritenute non sono mai stati oggetto di stralcio integrale (lo Stato, in base a norme UE, non può condonare l’IVA che è risorsa europea se non riscuote almeno il capitale; quindi un “saldo e stralcio” col 5% come fu per le liti non contenziose non ha incluso IVA). In conclusione: se c’è un condono parziale attivo e l’azienda ha la possibilità di pagare quel ridotto importo, aderisca. Se non riesce a pagare nemmeno quello, allora deve per forza intraprendere un concordato preventivo o simili, perché comunque non sarebbe in grado di sostenere il debito originale e un nuovo condono non risolverebbe il problema di fondo (liquidità assente).
  • Domanda: “La mia società ha debiti con fornitori e con una banca, oltre al Fisco: qual è l’ordine di priorità da tenere?”
    Risposta: Non esiste una regola generale valida per tutti, ma possiamo delineare priorità tipiche:
    1. Debiti verso dipendenti e INPS: vanno messi al primo posto, sia per ragioni legali (tutele forti, privilegio in caso di fallimento) sia morali e pratiche (se i dipendenti non sono pagati, l’attività cessa e potresti avere decreti ingiuntivi, vertenze). L’INPS e le ritenute vanno di pari passo per evitare reati (versare almeno le ritenute ai dipendenti e contributi di previdenza).
    2. Fornitori vitali e utenze: come discusso, quelli senza cui non produci reddito. Vanno tenuti soddisfatti quel tanto da continuare rapporti (ad esempio, pagamenti parziali a scadenze regolari).
    3. Erario (IVA, imposte): lo Stato ha mezzi per recuperare (fermo, ipoteche). L’IVA, se non immediatamente saldabile, deve quantomeno essere rateizzata per evitare che diventi un macigno ingestibile (il tasso di rateazione è modesto, ~2%). Nell’immediato potresti posporla dopo i fornitori essenziali, ma senza far passare troppi mesi per non accumulare interessi e rischio penale.
    4. Banche e finanziatori: paradossalmente, se c’è già insolvenza, le banche possono essere più inclini a ristrutturare il debito (allungare piani, congelare quote capitale) mentre il fornitore pmi ha meno margine. Inoltre, pagare la banca in crisi può portare problemi di revocatoria (pagamento anticipato di rate scadute a banca nei 6 mesi preludio fallimento è revocabile). Quindi, nelle crisi spesso si chiede moratoria bancaria e intanto si pagano altre cose. Banche comunque hanno garanzie spesso (mutuo ipotecario ecc.) e se non paghi avviano esecuzione; vanno trattate nel contesto unitario (es. accordo 182-bis).
    5. Fornitori non strategici: questi, se bisogna sacrificare qualcuno nei pagamenti, sono gli ultimi. Magari di alcuni puoi accettare di tardare il saldo e poi includerli in un accordo di ristrutturazione con taglio.
    6. Debiti verso soci o parti correlate: ovviamente i soci finanziatori vengono per ultimi (spesso perdono i crediti nel risanamento). Qualsiasi rimborso a soci fatto in tempi di crisi è altamente rischioso (revocabile fino a 1 anno prima del fallimento e considerato atto postergato ex art. 2467 c.c.).
    Caso applicativo: Sigma SRL deve pagare stipendi e ha cassa sufficiente solo per quelli e per alcuni fornitori: scelta corretta è pagare subito stipendi e contributi correnti, poi con ciò che resta pagare l’elettricità e il leasing del macchinario (fornitori critici). Rimanda invece la rata di mutuo di quel mese e il pagamento di un fornitore secondario; contestualmente, avvisa banca e fornitore di attendere perché sta predisponendo un piano. Questo minimizza impatto sul core business e prepara la strada a negoziazioni sui posposti. Ovviamente, ogni situazione ha sue specificità: se la banca minaccia revoca immediata di fido indispensabile, andrebbe portata in priorità (perché se toglie fido, l’azienda si ferma). Quindi, in realtà la risposta è: pagare per primi quei creditori la cui insoddisfazione immediata causerebbe il collasso dell’azienda o conseguenze irreversibili (fornitura bloccata, licenza ritirata, azione legale devastante). E allo stesso tempo, comunicare con trasparenza agli altri creditori, cercando di portarli sul tavolo di una ristrutturazione condivisa invece di lasciarli agire individualmente.
  • Domanda: “Cosa comporta inserire i debiti tributari in un concordato preventivo? Ho sentito che va pagato almeno il 20% dell’IVA, è vero?”
    Risposta: Nel concordato preventivo l’IVA e le ritenute non versate sono crediti privilegiati prededucibili ex lege, ciò significava un tempo doverle pagare integralmente. Oggi, con la transazione fiscale integrata nel concordato (art. 88 CCII), è consentito anche falcidiare l’IVA (quindi pagarla parzialmente) purché l’Erario sia soddisfatto in misura non inferiore alla miglior alternativa liquidatoria. Non c’è un minimo fisso di legge (il “20%” era il minimo per i chirografari in liquidatorio, per IVA essendo privilegiata il 20% non si applica strictu sensu), ma di prassi l’Agenzia difficilmente accetta meno del 30-40% come soglia (e normative recenti hanno introdotto il concetto che se i debiti verso stato sono la maggioranza e non c’è un certo apporto, serve 40%). Esempio: una società propone concordato in continuità pagando i debiti fiscali al 30% in 5 anni. L’attestatore dichiara che in fallimento lo Stato prenderebbe 5%. L’AGE potrà essere d’accordo perché il 30% > 5% (convenienza c’è). Se il tribunale ritiene convincente la convenienza, può omologare anche se l’AGE dicesse no. Dunque, inserire i debiti fiscali nel concordato permette di diluirli e ridurli notevolmente, cosa altrimenti impossibile fuori da procedure. Comporta però tempi lunghi (la procedura concorsuale e i controlli annessi) e la perdita di eventuali rimborsi o crediti (di solito compensati nel piano). Quindi è una scelta importante: conviene se il debito fiscale è così grande che non si può ragionevolmente pagare, e la continuità ha senso con l’abbattimento. Da notare: se l’IVA è privilegiata e la si falcidia, serve il voto favorevole dell’AGE o il cram-down. Non c’è un obbligo “20%” per legge, ma se offri meno di 20% c’è rischio di giudizio di fattibilità negativo (perché giudici considerano concordato fattibile se creditori prendono almeno un decente valore). Quindi prudentemente, offrire una percentuale dignitosa (difficilmente <10-15% passerebbe salvo motivi eccezionali). In conclusione, il concordato è l’unico scenario dove puoi legalmente “non pagare tutte le tasse”, ma deve essere ben congegnato perché l’Erario è un creditore ostico e con peso di voto spesso notevole.
  • Domanda: “Ho un patrimonio personale (casa, investimenti) che vorrei proteggere dai debiti della mia SRL: cosa posso fare legalmente?”
    Risposta: Ricordando che la SRL di per sé delimita la responsabilità dei soci, il patrimonio personale è già protetto dai creditori sociali (salvo appunto garanzie date o reati commessi). Ma spesso l’imprenditore ha fornito fideiussioni personali alle banche o ha indebitato se stesso (es: conto scoperto garantito da ipoteca su casa sua). Per proteggere il personale, le vie possibili:
    • Revocare e limitare garanzie personali: negoziare con le banche il rilascio graduale delle fideiussioni (magari sostituendole con garanzie reali della società stessa o con confidi). Evitare in futuro di firmarne di nuove.
    • Separazione dei beni e intestazioni: se in regime di comunione con coniuge, valutare passare a separazione dei beni così eventuali creditori su debiti futuri non possano toccare i beni intestati al coniuge. Non è retroattivo ma previene rischi su nuovi acquisti del coniuge.
    • Donazioni e trust: trasferire la proprietà di beni (casa, liquidità) a un trust familiare o donarle ai figli può isolare quei beni, purché fatto in tempi non sospetti (almeno 5 anni prima di guai, per evitare revocatorie). Il trust è più sicuro perché i beni non sono né tuoi né dei beneficiari durante la vita del trust, mentre la donazione ai figli può essere revocata se fatta entro 2 anni prima di fallimento. Un caso: un imprenditore nel 2018 mette la seconda casa in un trust a beneficio dei figli e si riserva solo di abitarla; nel 2024 la sua SRL fallisce, i creditori potrebbero tentare revocatoria ma se il trust era a titolo oneroso o di molto antecedente e pubblicizzato, sarà difficile. Invece se avesse donato ai figli nel 2022, il curatore in 2024 l’avrebbe revocata.
    • Polizze vita e fondi pensione: investire parte del patrimonio in polizze vita impignorabili (art. 1923 c.c.) o nei fondi pensione (impignorabili finché non liquidati) è un modo per mettere al sicuro somme – ovviamente c’è il vincolo che sono destinati a finalità assicurative/previdenziali, non li puoi riusare liberamente per altro senza perderne la protezione.
    • Società semplice: come detto prima, può essere uno strumento agile: metti la casa e titoli in una SS intestata a moglie e figli, tu magari con quota minima. Se poi avessi un debito personale, il creditore dovrebbe aggredire la tua quota (magari modesta) e non direttamente la casa. Per di più, se la casa è intestata a SS, gode anche di forma di divisione in quote, quindi meno facile liquidarla (dovrebbe chiedere scioglimento società, etc.).
    Nessuna di queste mosse deve essere fatta dopo che il debito è certo e il creditore già all’uscio, altrimenti si qualificherà come atto in frode e verrà annullato. La pianificazione patrimoniale ha senso in anticipo, come forma di prudent risk management. Un atto estremo è la esdebitazione personale post-fallimento: se lei fosse anche un debitore (es. socio illimitato, oppure guaranto), può sfruttare la procedura di esdebitazione che, a fallimento o liquidazione chiusa, libera il debitore persona fisica residualmente incapiente da tutti i debiti rimasti (tranne alimentari, da risarcimento danni e poche eccezioni). Quindi, a volte la protezione ultima è farsi fare fallire come persona e poi chiedere esdebitazione (fresh start). Ma chiaramente è l’ultima ratio e con conseguenze in quegli anni (limitazioni attività). Quindi, legalmente si possono proteggere i beni personali con anticipo e mezzi leciti (trust, intestazioni, polizze). L’illegale sarebbe nasconderli (finti prestanome, vendite simulate), che porta peggiori guai se scoperto (bancarotta fraudolenta). Un esempio virtuoso: l’imprenditore Tizio, intuendo rischi, già in tempi di vacche grasse costituisce trust per la casa familiare, e trasferisce la liquidità di famiglia in un portafoglio intestato a una società semplice con moglie e figli soci; quando la sua SRL anni dopo ha problemi, questi beni restano estranei alle pretese dei creditori sociali (nessuna fideiussione su di essi, lui eventualmente fallisce ma il curatore non può aggredire trust e SS). Attenzione comunque che, se parliamo di fisco, alcune di queste protezioni non valgono: l’art. 14 DL 472/97 prevede che se una società si estingue con debiti tributari, l’Agenzia può perseguire gli ex soci (fino a somme ricevute in bilancio finale) e amministratori se colpa grave. Quindi il fisco ha armi che vanno oltre i veicoli, punendo le persone se fiuta manovre elusive. La trasparenza e legalità restano cruciali: proteggere sì, evadere no.

9. Tabelle riepilogative

Di seguito alcune tabelle che sintetizzano i principali strumenti e caratteristiche discusse, per una consultazione rapida.

Tabella 1 – Strumenti deflattivi del contenzioso e di riscossione

StrumentoDescrizioneBenefici FiscaliRiferimenti Normativi
Ravvedimento operosoPagamento spontaneo di imposta omessa/ritardata con sanzioni ridotte proporzionali alla rapidità del ravvedimento (entro 90gg, entro anno, oltre)Riduzione sanzioni (da 1/10 a 1/5 del minimo) e nessuna penalità aggiuntiva; evita avvisi di accertamentoArt. 13 D.Lgs. 472/1997
Acquiescenza all’accertamentoPagamento (o rateazione) integrale delle somme in un avviso di accertamento, rinunciando al ricorso entro 60 gg.Riduzione sanzioni a 1/3 (se atto non impugnato né definibile altrimenti); chiusura immediata della pendenzaArt. 15 D.Lgs. 218/1997
Accertamento con adesioneProcedura di accordo con l’Agenzia Entrate su avvisi di accertamento emessi (o su PVC) prima del ricorso. Si concorda una rideterminazione del reddito/tributo.Sanzioni ridotte a 1/3 del minimo; possibilità di rateizzare (max 8 rate trimestrali) senza garanzie; evita processo tributarioD.Lgs. 218/1997 (artt. 2-3); Novità 2024: istanza post-contraddittorio
Definizione agevolata liti(Strumento straordinario) – Permette di chiudere giudizi tributari pendenti pagando una percentuale del valore (es: 100% se soccombente, 40% se vinto in 1° grado, 15% se vinto in 2° grado, 5% in Cassazione)Stralcio di parte del tributo e azzeramento sanzioni/ interessi; incasso immediato per erario, fine incertezze per contribuenteL. 197/2022 (Bilancio 2023, commi 186-205) – Definizione liti pendenti
Conciliazione giudizialeAccordo tra contribuente e ufficio durante il processo tributario (entro prima udienza o anche in appello). Si chiude la lite con reciproche concessioni.Sanzioni ridotte al 40% (conciliazione in 1° grado) o 50% (in appello); definizione immediata del giudizio con sentenza di cessata materia del contendereD.Lgs. 546/1992 (art. 48 e 48-bis)
Rateizzazione cartellePiano di dilazione con Agenzia Riscossione per somme iscritte a ruolo (cartelle esattoriali). Durata ordinaria fino 72 rate (6 anni) senza bisogno di prova, estendibile fino 120 rate (10 anni) se difficoltà economica comprovata. Aggiornato 2024: concessi fino 84 rate di diritto e fino 120 con dimostrazione temporanea difficoltà.Sospende azioni esecutive e fermi amministrativi; mantiene agibile DURC se rispettato; interessi ridotti al tasso legale di dilazione (circa 3-4%). Permette sostenibilità finanziaria.DPR 602/1973, art. 19; AE-Riscossione Vademecum 2023
Definizione agevolata ruoli (Rottamazione)Stralcio delle sanzioni e interessi di mora su somme a ruolo: si paga solo il tributo + interessi legali rateizzabili in 5 anni. Esempio: rottamazione-quater 2023 per debiti 2000-2017.Risparmio economico notevole (sanzioni azzerate, in molti casi ≈30% del dovuto condonato); stop di procedure esecutive in corso; pagamento dilazionato in 18 rate senza garanzie.D.L. 34/2019 conv. L. 58/2019 (rottam-ter); L. 197/2022 (commi 231-252) per rottam-quater

Tabella 2 – Strumenti di gestione della crisi d’impresa

ProceduraAmbitoCome tratta i debiti fiscaliVantaggiNorme
Composizione negoziataStragiudiziale (volontaria) – l’impresa, con l’ausilio di un esperto, negozia accordi con creditori; possibili misure protettive temporanee.Possibile includere proposta di transazione fiscale (novità 2024), ma non vincolante finché non confluisce in accordo omologato. Se concessa protezione, sospende atti esecutivi su debiti tributari; possibile moratoria di pagamenti tributi con autorizzazione tribunale.Riservata (no pubblicità a parte misure protettive); mantiene continuità aziendale; niente apertura formale di concorso (no stigma “fallimento”). Banche non possono revocare fidi per il solo accesso.D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021; CCII artt. 17-25 (modif. D.Lgs. 83/2022 e 136/2024)
Accordo di ristrutturazione dei debiti (ordinario)Giudiziale (omologazione) – accordo con creditori che rappresentino ≥60% dei crediti. Creditori dissenzienti estranei all’accordo vanno pagati al 100% fuori accordo entro 120 gg da omologa.Debiti tributari possono essere falcidiati solo tramite adesione Agenzia Entrate a transazione fiscale inserita nell’accordo. Con D.L. 69/2023 è richiesto in alcuni casi pagamento min. 30-40% dei tributi in transazione. Se Fisco non aderisce ma proposta è conveniente, possibile cram-down dal Tribunale (art. 63 CCII).Rapido (40 gg termine omologa); coinvolge solo principali creditori (flessibilità); protezione mirata (possibile chiedere sospensione azioni esecutive pendenti). Esenzione da revocatoria atti esecutivi accordo.CCII artt. 57-64 (182-bis L.F. previgente); DL 69/2023 (conv. L.103/2023) – limiti cram-down;
Concordato preventivoGiudiziale concorsuale – procedura organica con coinvolgimento di tutti i creditori. Può essere in continuità (azienda prosegue, anche indiretta) o liquidatorio (cessazione attività, liquidazione asset). Richiede maggioranze per omologa (50% crediti votanti) e rispetto par condicio salvo classi.Prevede obbligatoriamente la transazione fiscale (art. 88 CCII) per ogni trattamento non integrale di imposte/contributi. Nel concordato in continuità, è ammesso cram-down fiscale dal giudice se piano offre al Fisco ≥quoto liquidazione. Nel concordato liquidatorio, imposte privilegiate vanno soddisfatte almeno in misura pari al valore asset su cui hanno privilegio (spesso 100% su IVA). Debiti fiscali chirografari possono ricevere la % minima di legge (20% se concordato puramente liquidatorio).Sospende tutte le azioni esecutive e maturazione interessi sui debiti concorsuali. Possibilità di scioglimento o sospensione contratti onerosi (riducendo costi). Gestione ordinaria resta all’imprenditore nel concordato in continuità (sotto osservazione del commissario). Cancellazione integrale dei debiti residui all’omologa (“esdebitazione”) se il piano eseguito. Possibilità di pagare fornitori essenziali pre-deduzione con ok giudice.CCII artt. 84-120 (ex artt. 160-186 L.F.); D.Lgs. 83/2022 e 136/2024 (correttivi) – introdotto cram-down fiscale e percentuali minime per Stato;
Liquidazione giudiziale (Fallimento)Giudiziale concorsuale liquidatoria – nomina di curatore, spossessamento imprenditore. Liquidazione di tutti i beni e riparto ai creditori secondo prelazioni. Soci SRL non coinvolti (perdono capitale), ma amministratori possono subire azione di responsabilità.Debiti fiscali: il curatore verifica i ruoli e insinuazioni. Crediti IVA, ritenute e contributi hanno privilegio generale e vengono soddisfatti prima dei chirografari (dopo privilegi speciali e dipendenti). Sanzioni tributarie solo chirografarie (spesso inesigibili). L’Erario può compensare eventuali rimborsi dovuti con i debiti dell’ente fallito. Se attivo incapiente, la quota non pagata dei tributi viene definitivamente cancellata, salvo azioni verso coobbligati (garanti, amministratori se dolo). NB: Imposte non versate costituenti reato restano perseguibili penalmente contro l’ex amministratore anche post-fallimento, fino a esdebitazione persona.Drastica (cessione attività; azienda spesso venduta a pezzi). Però consente di liberare l’imprenditore dai debiti con esdebitazione: a fine procedura, la persona fisica garante o imprenditore individuale è esonerata dai debiti residui. Durante la liquidazione giudiziale, i nuovi crediti sorti (boi, affitto esercizio provvisorio) sono prededucibili. Previsto controllo giudice su tutto.CCII artt. 121-283 (ex R.D. 267/42); L. 155/2017 delega e D.Lgs. 14/2019 attuativo.

Tabella 3 – Strutture giuridiche alternative e impatto fiscale

StrutturaCaratteristiche FiscaliVantaggi Fiscali/PatrimonialiRischi/Limitazioni
Holding (SRL/SpA)– IRES 24% su redditi di impresa – Dividendi da controllate esenti 95% (imponibile 5%)– Plusvalenze su partecipazioni (se requisiti PEX) esenti 95%– Possibile Consolidato fiscale di gruppo (compensazione utili/perdite)– Nessuna IRAP se non svolge attività commerciale autonoma (holding pura di partecipazioni non è soggetto IRAP)Ottimizzazione imposte su cessioni di azienda (95% esenzione su capital gain vendite partecipazioni)– Differimento tassazione: utili risaliti a holding tassati solo 1.2%, e rimangono lì finché non distribuiti a persone fisiche (quando verrà 26%)– Compensazione utili/perdite tra società del gruppo (riduce esborso globale)– Separazione di rischi: holding detiene cassa e asset stabili (es. immobili) isolati dai rischi operativi delle controllate; soci persone fisiche interagiscono con una società invece che molte (semplifica successione e governance)Costi di mantenimento: bilanci multipli, adempimenti consolidato, organi societari duplici (Cda, sindaci) – Se utilizzata solo per elusione (es. costituita ad hoc pre-vendita), potenziale contestazione abuso del diritto – Soci di holding pagano 26% su dividendi finali: doppio livello imposizione (anche se ridotto a 1.2%+26%)– Direzione e coordinamento: possibili responsabilità della holding se gestioni lesive per controllate (azione ex art. 2497 c.c.)
Trust (opaco/trasparente)Trasparente: redditi del trust imputati ai beneficiari individuati e tassati in capo a loro (come se fossero direttamente percepiti)– Opaco (senza beneficiari di reddito): trust stesso soggetto IRES 24% su redditi generati; se estero, può esser considerato interposto se in paesi black list; – Atto di dotazione soggetto a imposta donazione (aliquote 4%-8% secondo legami, salvo beneficiari disabili gravi esenti) – Cass. SSUU 2022: imposta esigibile solo all’assegnazione finale, tema dibattuto.Segregazione patrimoniale: beni in trust separati dal patrimonio del disponente e del trustee; non aggredibili dai creditori personali del disponente (se trust istituito prima dei debiti)– Flessibilità successoria: permette di gestire patrimoni a favore di beneficiari incapaci/minorenni con regole graduali (il trustee amministra secondo istruzioni per anni) – Riservatezza: il trust (opaco) non pubblica bilanci; beneficiari spesso non noti pubblicamente (tranne registro antiriciclaggio)Nessun risparmio fiscale intrinseco: anzi, trust opaco paga 24% IRES su redditi capitali (vs persona fisica che pagherebbe 26% imp. sostitutiva, differenza minima) e non gode PEX; trust trasparente non riduce aliquote rispetto a persona fisica beneficiaria– Atto istitutivo può essere revocato se fatto in frode ai creditori (azione revocatoria entro 5 anni); se troppo vicino a insolvenza, può costituire reato (sottrazione fraudolenta) – Costi di gestione elevati: serve un trustee professionale spesso estero; fiscalità complessa (monitoraggio fiscale, quadro RW se estero)– Se il trust non è genuino (interposizione dove disponente continua di fatto a disporre dei beni), l’Agenzia lo ignora e considera i beni ancora del disponente (nessuna protezione né vantaggio)
Fondazione (non profit)– Ente fiscalmente non commerciale se svolge prevalente attività non commerciale: redditi istituzionali esentI IRES; eventuali redditi d’impresa tassati IRES 24% ma con esenzioni parziali se ONLUS/ETS.– Donazioni alla fondazione scontano imposta donazione (salvo erogazioni modeste <€1000 esenti)Esenzione fiscale su redditi impiegati per fini istituzionali (es. fondazione bancaria non paga IRES su dividendi percepiti, se li destina ad erogazioni filantropiche) – Stabilità del controllo: se la fondazione detiene azioni di società, esse non si disperdono tra eredi, garantendo continuità (es. casi di fondazioni familiari in industrie tedesche) – Onorevole exit: destinare beni a una fondazione filantropica può ridurre l’imposizione su successione e offre benefici d’immagine (CSR)Divieto di scopo di lucro: utili non distribuibili a fondatori/beneficiari; patrimonio vincolato al fine, indevolubile (a scioglimento devoluto a enti analoghi o pubblico) – Controllo autorità pubblica su atti (Prefettura/vigilanza Ministero) – Non adatta a gestione agile: governance rigida, spese amministrative notevoli (collegi, certificazioni). – Abuso: se usata come schermo per attività lucrative, perde agevolazioni ed esposta a sanzioni (anche penali per false ONLUS).
Società Semplice (S.S.)– Società di persone non commerciale: redditi imputati per trasparenza ai soci, secondo natura (fondiari, capitali, diversi). – Non soggetta a IRES né IRAP. – Partecipazioni in S.S. da parte di società di capitali: redditi capitali che transitano mantengono natura (esenti 95% se dividendi PEX).Ottimizzazione fiscale investimenti: redditi finanziari tassati direttamente in capo ai soci persone fisiche con imposta sostitutiva 26% (anziché 1° livello 24% +26% su dividendo); affitti immobili possibilità cedolare secca 21% per soci PF (SRL non può c.s.)– Nessun obbligo contabile (salvo opzione contabilità per registrare IVA se ha agricoli); privacy (no deposito bilanci) – Non fallibile: se rispetta oggetto non commerciale, non soggetta a procedure concorsuali; patrimonio relativamente protetto (creditore di socio può chiedere liquidazione quota ma non toccare direttamente beni sociali)Oggetto limitato: non può esercitare attività commerciale (se lo fa, perde beneficio e soci illimitatamente responsabili come S.n.c.) – Responsabilità illimitata soci: soci rispondono con patrimonio per debiti sociali (es. debiti fiscali su affitti non pagati, etc.) – mitigato dal fatto che in genere, avendo solo beni e non debiti rilevanti, rischi ridotti. – Potenziale elusione monitorata: se usata per far transitare redditi personali verso soggetti con aliquote IRPEF inferiori (es. costituire SS con familiari con reddito basso), l’AdE può scrutinare per verificarne sostanza (ma le norme lo consentono come pianificazione lecita entro certi limiti).
Cooperativa (a mutualità prevalente)– Forma societaria di capitali o persone, ma fiscalità speciale: IRES ridotta su utili indivisibili: esenzione 70% utili netti per coop produzione-lavoro e consumo (fino a certo utile), 80% cooperative agricole. Utili distribuiti ai soci tassati come dividendi ordinari (26% PF). Ristorni ai soci deducibili come costo. – IVA: regime speciale per alcune coop agricole (detrazioni forfettarie). – Altri tributi: esenzione imposta di bollo e registro per atti costitutivi e finanziamenti soci; coefficiente IMU terreni agricoli cooperativa agraria vantaggioso.Tassazione ultra-agevolata: se utili non distribuiti ma reinvestiti a riserva legale indivisibile, carico IRES solo sul 30% dell’utile (in alcuni casi 0% tassazione su porzioni). Esonero IRAP per cooperative sociali su alcuni lavoratori svantaggiati. – Contributi pubblici: accesso a Fondi mutualistici per sviluppo (soprattutto in worker buyout, Stato cofinanzia rilevazione azienda fallita da parte di coop lavoratori) – Flessibilità nei compensi: soci lavoratori possono essere remunerati in parte tramite ristorno (restituzione di sovrapprezzi pagati) esente da contributi fino a certa % (vantaggio costo del lavoro).Vita mutualistica: vincolo a operare prevalentemente con/ per i soci (es. coop lavoro: 50% almeno costo lavoro soci; coop consumo: 50% almeno vendite a soci). Se viola, perde agevolazioni. – Vigilanza MISE/centrali cooperative: revisioni periodiche. Se accertata perdita requisiti mutualistici: decadenza da benefici + extra imposta 10% utili ai sensi art. 11 DL 63/2002. – Limitata attrattiva capitali: un socio = un voto (indipendente da capitale); dividendi strettamente limitati (max tasso BTP+2.5%). Dunque inadatta a investitori puri; strumento utile solo se partecipazione attiva soci. – Abusi e rischi penali: uso di coop per ridurre costo lavoro/eludere contratti può configurare reati (frode contributiva). Norme recenti rendono soci e amministratori perseguibili (L. 199/2016 caporalato se sfruttamento in cooperativa fittizia).

10. Simulazioni pratiche

Di seguito simulazioni di casi aziendali (di fantasia ma realistici) per illustrare come un’impresa con debiti tributari e verso fornitori possa muoversi in diversi settori e contesti economici.

10.1 Simulazione 1: Costruzioni – “EdilBeta Srl”

Scenario: EdilBeta Srl è un’impresa edile di Firenze con 25 dipendenti. Ha due cantieri importanti in corso. A causa del blocco della cessione dei crediti edilizi e di ritardi nei pagamenti dei committenti, EdilBeta si trova nel 2025 con pesanti esposizioni: €300.000 di debiti con fornitori di materiali (cemento, laterizi), €150.000 di debiti con subappaltatori (impiantisti), €200.000 di debiti verso l’Erario (IVA non versata nell’ultimo anno e ritenute dipendenti di 2 trimestri), oltre a €100.000 di contributi INPS arretrati. Ha anche leasing su 3 macchine operatrici (rate per €50.000 annui) e un fido in banca di €200.000 utilizzato al limite. I lavori in corso dovrebbero generare crediti futuri, ma la società è senza liquidità per proseguire.

Problemi:

  • Fornitori chiave (cemento, calcestruzzo) minacciano di sospendere le consegne se non vengono saldati almeno in parte (crediti scaduti da 90 giorni).
  • L’INPS ha sospeso il DURC per i cantieri a causa degli arretrati contributivi; questo mette a rischio i SAL (Stati di Avanzamento Lavori) dei lavori pubblici: senza DURC, l’ente appaltante non paga le fatture intermedie.
  • L’Agenzia Entrate Riscossione ha iscritto ipoteca su un capannone di proprietà di EdilBeta e notificato intimazione di pagamento per le somme IVA.
  • Gli operai sono preoccupati: gli ultimi stipendi sono stati pagati con 2 settimane di ritardo.
  • La banca, vedendo gli scoperti perduranti, ha iniziato a ridurre il castelletto di affidamento (fido ridotto da 200k a 150k imminenti).

Soluzione progettata: I soci convocano un consulente di crisi, decidendo di avviare la Composizione Negoziata della crisi.

  • Misure Protettive: depositano subito istanza di misure protettive al tribunale: ottengono decreto che sospende per 4 mesi le azioni esecutive dei creditori. Ciò blocca l’Agenzia Riscossione dal procedere con pignoramenti e impedisce ai fornitori di chiedere fallimento. Ottenuto il decreto, l’azienda lo comunica all’ente appaltante, che – ai sensi del DL 32/2019 – può rilasciare un DURC provvisorio considerato che i debiti contributivi sono in dilazione (vedi sotto).
  • Fisco: grazie alla protezione, EdilBeta negozia con Agenzia Entrate un piano di rateazione straordinario su €200k in 10 anni (120 rate ≈ €1.700/mese). Nella Composizione Negoziata, l’esperto può sollecitare l’Agente Riscossione a concedere massima dilazione. Contestualmente l’azienda chiede anche dilazione INPS su i €100k in 6 anni (72 rate ≈ €1.400/mese). Queste mosse rimettono in validità il DURC.
  • Finanza urgente: l’esperto contatta la banca esponendo il piano: la banca accetta di congelare la riduzione fido e anzi concede uno scoperto aggiuntivo di €50k garantito dal Fondo PMI (invocando la composizione negoziata come contesto di risanamento). Inoltre, EdilBeta fa domanda per un finanziamento AGEVOLATO di €150k dal Fondo regionle, che nel contesto CNC (e con progetto di rilancio) viene approvato in 30 giorni (grazie anche ad eventuali misure PNRR cantierabili).
  • Fornitori: con la liquidità fresca, EdilBeta convoca i fornitori principali (cemento, laterizi) alla presenza dell’esperto e propone: pagamento immediato del 30% del loro arretrato entro 1 mese e il restante 70% in 6 tranche mensili. In cambio i fornitori si impegnano a proseguire le forniture regolarmente senza pretendere ulteriori interessi. Viene siglato un accordo scritto. I fornitori, temendo un fallimento (che darebbe forse 20% dopo anni), accettano il 30+70% in 6 mesi. Per i subappaltatori, l’azienda propone un accordo simile con una leggera falcidia: 20% subito, 60% a 12 mesi, rinuncia al 20% finale – ma offre in cambio di farli partecipare a futuri cantieri come partner preferenziali. Due su tre subappaltatori aderiscono, il terzo (impiantista elettrico) rifiuta e minaccia causa per l’intero. L’esperto cerca di convincerlo mostrando le proiezioni: se non aderisce, la società dovrà forse andare in concordato e lui rischia di prendere 50%. Il subappaltatore alla fine accetta 15% subito, 75% a 12 mesi, taglio 10%. Questi accordi sono formalizzati e – importante – condizionati al mantenimento delle misure protettive (così il creditore sa che se la società è attaccata da altri, l’accordo salta).
  • Attestazione e transazione col Fisco: trascorsi 3 mesi di composizione negoziata, EdilBeta – con la maggioranza dei creditori con accordi in mano – decide di passare a un accordo di ristrutturazione omologato (63 CCII) per rendere vincolanti anche per eventuali minori dissenzienti (ad esempio quel subappaltatore reticente, ma ora convinto, e l’Agenzia Entrate). Pone in essere una transazione fiscale inserita nell’accordo: l’Agenzia Entrate (già in dilazione) acconsente a ridurre le sanzioni del 100% e interessi del 50%, impegnandosi a votare favorevolmente se la società dimostra di poter almeno pagare il capitale IVA e ritenute in 5 anni (che coincide col piano di rate). Viene redatta una relazione da un professionista attestatore confermando che l’accordo è fattibile e conveniente per i creditori (in un’alternativa liquidazione ci sarebbe ricavato minore). Il tribunale omologa l’accordo di ristrutturazione. Ora anche i pochi creditori estranei (un paio di fornitori minori che non hanno risposto) vengono saldati al 100% entro 120 giorni come per legge.

Esito: EdilBeta Srl riesce a:

  • Riprendere i cantieri grazie a forniture e DURC ristabilito.
  • Evitare il fallimento, diluendo i debiti su più anni. I creditori ottengono pagamento integrale o quasi integrale col tempo, evitando perdite maggiori.
  • I debiti fiscali sono stati integralmene diluiti e in parte sgravati (sanzioni tagliate), senza cause penali perché la transazione fiscale approvata e i primi versamenti delle rate hanno estinto la configurazione di omesso versamento (soglia reato parzialmente scesa sotto 250k).
  • La banca mantiene il supporto (il nuovo finanziamento ha privilegio in prededuzione, concordato nell’accordo).
  • L’imprenditore ha dovuto impegnare anche risorse proprie: i soci di EdilBeta hanno messo €50k in conto capitale nuovo per dare segnale ai creditori (usati come 15% pagamenti iniziali ai fornitori).
  • L’azienda ha poi completato i cantieri, generando margini che, non divorati da sanzioni e decreti ingiuntivi, le hanno permesso di rispettare i piani di rientro.

10.2 Simulazione 2: Commercio – “ModaGamma Srl”

Scenario: ModaGamma Srl gestisce 5 negozi di abbigliamento in Toscana. A causa della crisi Covid e concorrenza dell’e-commerce, le vendite sono crollate del 30%. ModaGamma ha accumulato: €400.000 debiti verso fornitori di abbigliamento (brand nazionali, con pagamento a 90gg, ora scaduti anche 120gg), €50.000 debito con il proprietario di un locale (affitti arretrati 6 mesi su uno dei negozi), €120.000 di debiti IVA (due annualità non versate) e €30.000 di ritenute dipendenti non versate (ultimi 8 mesi). Ha anche 20 dipendenti. Negli ultimi bilanci risultano perdite fiscali totali di €200.000. La società ha già chiuso 2 punti vendita non redditizi, vendendo le licenze e liquidando 5 dipendenti con TFR (anche grazie a cassa integrazione straordinaria). Restano 3 punti vendita attivi che generano flusso di cassa positivo ma insufficiente a ripianare i debiti pregressi in tempi brevi.

Problemi:

  • Alcuni fornitori (soprattutto piccoli distributori) hanno iniziato a emettere decreti ingiuntivi per incasso. Uno ha già ottenuto pignoramento di €10k su conto corrente (bloccando parte incassi POS).
  • L’Agenzia Entrate Riscossione ha inviato la comunicazione di decadenza per la dilazione in essere (rateizzazione precedente non pagata da 6 mesi): il residuo IVA di €80k è ora immediatamente esigibile. È probabile l’iscrizione di un fermo amministrativo su due furgoncini aziendali.
  • I dipendenti iniziano a temere per le retribuzioni (finora però pagate, usando le tasse non versate…).
  • Un marchio forniture di grande peso (che rifornisce metà della collezione venduta) ha sospeso nuove consegne se non riceve almeno il 50% degli arretrati (€100k su €200k dovuti).
  • I soci hanno esaurito il capitale proprio immesso negli anni passati e non possono più finanziare facilmente.

Soluzione progettata: ModaGamma decide per un concordato preventivo in continuità (poiché l’attività è ancora potenzialmente redditizia se alleggerita dai debiti). Ecco i passi:

  • Presenta domanda di concordato con riserva (concordato “in bianco”) al tribunale per congelare la situazione: questo genera l’effetto di sospendere immediatamente le azioni esecutive dei creditori. I decreti ingiuntivi in corso vengono paralizzati e i pignoramenti futuri non ammessi. Il tribunale nomina un commissario giudiziale monitorante.
  • Nei successivi 60 giorni ModaGamma, con l’aiuto di un professionista, elabora un piano di concordato: prevede di proseguire l’attività su 3 negozi, stimando un EBITDA annuo di €80k. Pianifica di pagare integralmente IVA e ritenute privilegiate (circa €120k) in 4 anni, e di offrire ai chirografari (fornitori, proprietario affitto) il 40% in 5 anni. Usa la leva delle perdite pregresse: grazie alle perdite fiscali €200k, nei prossimi anni non pagherà IRES su primi utili (ciò libera cassa per il piano).
  • Transazione Fiscale: include nel piano una proposta formale all’Agenzia Entrate: pagamento del 100% dell’IVA e ritenute (capitale) in 48 rate, abbuono totale di sanzioni e interessi (cosa che eleva il recupero effettivo per AE dal 50% nominale al ~100% sul capitale); per IRES arretrata (chirografo) offre 40%. L’attestatore evidenzia che in liquidazione fallimentare i crediti erariali privilegiati avrebbero soddisfo forse 20%, quindi la proposta è migliorativa.
  • Classi di creditori: il piano distingue due classi di chirografari: (A) fornitori strategici (il grande marchio + altri 2) a cui offre 60% in 5 anni (migliorativo rispetto agli altri) e prevede di continuarli a pagare regolarmente per forniture nuove; (B) restanti fornitori e affitti, 20% in 5 anni. Motiva la differenza con la necessità di mantenere continuità (classi ammesse).
  • Cessione asset non core: la società propone di vendere un immobile residenziale di proprietà (frutto di vecchi investimenti, valore €150k) e 1 furgone su 2, destinando il ricavato esclusivamente al pagamento dei creditori in concordato. Ciò migliora la % offribile. (Questo prevede “finanza esterna” in parte, ma essendo attivo di proprietà va a massa attiva).
  • Esdebitazione soci: i soci rinunciano ai loro finanziamenti soci pregressi (€50k) – in concordato li trattano come postergati, quindi di fatto azzerati, mostrando impegno.
  • Con questi elementi, i creditori votano. L’Agenzia Entrate (privilegiata per IVA) vota NO formalmente (vuole 100% anche di interessi), ma avendo il piano superato le maggioranze nelle classi (i fornitori strategici classe A hanno 75% accettato; i chirografari B 60% accettato), il tribunale può forzare l’omologa. Inoltre, grazie al DL 69/2023, se il Fisco dissentiva ma la proposta gli dà almeno il 30-40% (qui dà 40% sulle parti chirografarie e 100% sulle privilegiate), il giudice la può confermare.

Esito: Il concordato viene omologato. Effetti:

  • ModaGamma prosegue l’attività: gli incassi permettono di pagare i debiti secondo piano. I fornitori strategici vengono in effetti pagati 60%: uno di essi – il brand principale – inizialmente storceva il naso per il taglio 40%, ma comprende che continuando il rapporto recupererà sul nuovo venduto e resta partner (preferibile a far fallire la società e aprire crediti di difficile incasso).
  • Il proprietario del negozio in affitto, che prende solo il 20% degli arretrati, era irritato, ma in fondo preferisce tenere il conduttore attivo (altrimenti con la crisi dei retail, rischierebbe locale vuoto a lungo). Inoltre, il piano prevede che i canoni correnti tornino regolari dal mese X (grazie all’eliminazione di altre spese).
  • L’imprenditore vede ridursi i debiti personali di fideiussione: aveva garantito un fido ai fornitori di €100k, ma quell’esposizione con il piano è stata in parte condonata, quindi la sua garanzia scende a 60k e riesce a pagarla vendendo una sua barca (scelta dolorosa ma salda onore con fornitori, liberandosi del cruccio).
  • I dipendenti mantengono il lavoro nei 3 negozi rimasti. Non subiscono decurtazioni retributive (i debiti verso di loro – un paio di mensilità arretrate – sono stati pagati per intero appena ottenuto l’interim financing).
  • L’Agenzia Entrate incassa la prima maxi-rata su IVA al piano di omologa e ritira i fermi amministrativi. L’amministratore evita le sanzioni penali perché con l’omologa del concordato e pagamento secondo transazione, il reato di omesso versamento IVA viene meno ai sensi dell’art. 13 (è intervenuto prima della sentenza di merito, essendo la transazione equiparata a pagamento concordato dal creditore).
  • Dopo 5 anni, ModaGamma adempie al piano (grazie anche al fatto che si è ridimensionata e specializzata su nicchie, tornando redditizia). Il tribunale dichiara l’esdebitazione: ogni eventuale debito residuo (nel suo caso principalmente il 60% non pagato ai fornitori minori) è cancellato definitivamente.

10.3 Simulazione 3: Servizi tecnologici – “DevDelta Srl”

Scenario: DevDelta Srl è una software house (sviluppo app e siti) a Roma, fondata da 3 soci ingegneri. Aveva 15 dipendenti, ora ridotti a 8 dopo perdita di un grande cliente nel 2024. DevDelta ha investito molto in R&D: bilanci 2022-2023 in perdita (perdite fiscali cumulate €500k). Ha debiti: €80.000 con 3 fornitori di cloud e licenze software (scaduti 120 gg), €40.000 con consulenti freelance (scaduti 6 mesi), e soprattutto debiti verso l’Erario perché non ha versato per 2 anni l’IVA (circa €90.000) e l’IRAP (€10.000), confidando nei crediti R&S che però non ha mai richiesto per mancanza di liquidità nel progetto. Non ha debiti bancari rilevanti (solo €20k su carta credito). I soci non hanno dato garanzie, ma alcuni fornitori hanno nel contratto clausole di riserva proprietà/disattivazione: ad esempio, il cloud provider può sospendere gli account se fatture >90gg insolute.

Problemi:

  • Un fornitore cloud ha inviato avviso che entro 15 giorni sospenderà i servizi per €30k non pagati. Ciò spegnerebbe i server dei clienti gestiti da DevDelta.
  • L’Agenzia Entrate ha bloccato l’erogazione di un rimborso IVA di €50.000 richiesto per il 2023 a causa dei debiti pregressi (ha compensato d’ufficio con ruoli).
  • 2 sviluppatori chiave minacciano dimissioni perché l’ambiente è incerto (uno ha stipendio arretrato di un mese).
  • L’azienda ha un potenziale investitore interessato a entrare nel capitale, ma solo a condizione che la situazione debitoria sia sistemata (non vuole mettere soldi per pagare vecchie tasse, preferisce finanziare crescita).

Soluzione progettata: DevDelta valuta che ha ancora prospettive (nuovi contratti in pipeline) e valori intangibili (il software proprietario sviluppato), quindi decide di evitare la liquidazione e opta per un accordo di ristrutturazione soggetto ad omologa rapido, coinvolgendo il potenziale investitore.

  • Nuovo socio finanziatore: Gli attuali soci trovano un accordo con un investitore: costui apporterà €200.000 di equity freschi in cambio del 40% delle quote (valutazione post-money €500k). L’accordo è condizionato alla pulizia di gran parte dei debiti. I €200k saranno usati: in parte per liquidare i fornitori strategici e ripianare oneri, in parte per investimenti futuri (sviluppo prodotto e marketing, interessanti per l’investitore). L’investitore inoltre richiede garanzia che la società non abbia pendenze tributarie (vuole “certificazione dei carichi pendenti fiscali” pulita).
  • Transazione Fiscale semplificata: Poiché DevDelta non è formalmente in insolvenza conclamata (può ancora pagare stipendi e fornitori se riduce struttura), decidono di tentare un accordo di ristrutturazione. Coinvolgono l’Agenzia Entrate con una proposta: usare il credito IVA 2023 di €50k interamente in compensazione delle partite IVA pregresse (€90k). Il restante debito IVA €40k sarebbe pagato subito grazie ai fondi dell’investitore. Chiedono quindi all’AE uno stralcio delle sanzioni (~€15k) e interessi (€5k) – in sostanza offrendo di pagare il 100% dell’IVA capitale e 0% sanzioni. L’AE regionale, vista la serietà (pagano tutto il tributo) e considerato che la società ha effettivamente accumulato crediti IVA per investimenti R&S (valida attenuante), accetta la transazione fiscale in via stragiudiziale (è possibile dal DL 118/2021 farlo approvare dal direttore Entrate come accordo ex art. 63 CCII integrato). Viene formalizzato in un accordo transattivo depositato per l’omologa.
  • Fornitori e consulenti: DevDelta convoca i 3 principali fornitori (cloud, licenze) e propone: pagamento immediato del 50% del dovuto e il restante 50% convertito in strumenti di debito junior (una sorta di loan rimborsabile solo dopo 2 anni, con interesse 1%). In pratica, li invita a sostenere l’azienda senza perdere nominale, ma incassando metà ora e metà tra 2 anni se le cose vanno bene (sapendo che il nuovo investitore entra). Due fornitori accettano fidandosi del piano (per loro è meglio che spegnere il servizio e forse non recuperare nulla); uno rifiuta e preferisce essere pagato 100% subitissimo. Allora, DevDelta decide di saldare quest’ultimo 100% subito (era solo €10k, fattibile). I consulenti freelance vengono invece inseriti in un accordo dove prendono magari 70% subito e rinunciano al 30% (un paio di loro poi vengono offerti contratti a progetto continuativi con la società – li lega un po’).
  • Forma legale: L’azienda raccoglie tutti questi consensi e formalizza un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 63 CCII, allegando l’attestazione di un professionista che conferma la sostenibilità (grazie all’investitore che entra) e l’adesione di oltre 60% dei creditori per valore. Il tribunale in camera di consiglio omologa l’accordo.
  • Implementazione: A quel punto, l’investitore versa i €200k. DevDelta utilizza €40k per pagare il saldo debito IVA transatto, €30k per saldare ritenute e IRAP (erano minori e l’investitore ha imposto regolarizzare tutto il fiscale), €50k per pagare fornitori (tra immediati e 50% su accordo), €20k per i consulenti (70% accordato), €5k per stipendio arretrato e piccoli fornitori. Restano circa €55k di cassa che l’azienda destina allo sviluppo di un nuovo modulo software, come da piani dell’investitore.

Esito:

  • DevDelta ottiene il DURC fiscale (certificazione AE di regolarità): avendo transato e pagato tutte imposte e contributi, risulta senza debiti. Questo tranquillizza l’investitore ed evita future interdizioni (potevano ad esempio non poter accedere a certi bandi se con carichi pendenti).
  • I fornitori critici proseguono i servizi, assicurando continuità ai clienti finali. Uno di essi verrà rimborsato tra 2 anni il residuo 50% (nel frattempo l’azienda spera di aver generato utili; se proprio non ce la facesse, quell’importo è junior e potrebbe convertire in equity).
  • I soci originali sono diluiti al 60%, ma preferiscono avere una fetta minore di una torta in crescita che il 100% di una fallita. L’investitore porta anche know-how commerciale, facendo concludere nuovi contratti, e mette un suo CFO per controllare conti (che ora inizia a accantonare IVA e ritenute periodicamente in un conto dedicato!).
  • I crediti R&S futuri saranno usati come credito d’imposta ricerca (il CFO farà domanda di credito 10% su spese, potendo compensare contributi). Questo ridurrà costi e di fatto la società nei prossimi anni sarà tax free per via delle perdite pregresse da scomputare e crediti R&S (quindi il nuovo investitore anche su questo lucra, perché i primi utili non vanno in tasse ma reinvestiti).
  • Nessun dipendente perde il lavoro, anzi alcuni passati a contratto freelance tornano come part-time employees col morale risollevato.
  • L’intera operazione è avvenuta senza procedure concorsuali lunghe e costose: un accordo omologato velocemente in 2 mesi, senza commissari (nel ADR non c’è commissario, solo omologa).
  • Dal punto di vista legale, i pochi creditori estranei (uno piccolissimo fornitore e un freelance all’estero che non rispose) saranno pagati per intero come da legge (che impone fuori accordo, soddisfacimento integrale entro 120 gg). Importo modesto quindi non intacca piani.
  • L’amministratore di DevDelta ha evitato sul filo di lana il reato IVA: aveva superato soglia 250k nei due anni cumulati, ma grazie al pagamento concordato con AdE prima di eventuale notifica di processo, non verrà perseguito. Inoltre, i crediti d’imposta R&S che non aveva compensato li sta usando ora (il CFO ha inviato istanza tardiva ma grazie a normativa emergenziale 2023 gliel’hanno accettata, generando €30k di credito che ha usato per parte contributi). Dunque pulizia completata.

11. Fonti normative e giurisprudenziali aggiornate

(In questa sezione finale elenchiamo, a completamento della guida, le principali fonti normative citate e rilevanti, nonché alcuni riferimenti di giurisprudenza e prassi. Tale elenco funge da bibliografia e riferimento per approfondimento.)

Normativa Fiscale e Societaria:

  • D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR) – Testo Unico delle Imposte sui Redditi. In particolare: art. 84 (riporto perdite imprese); art. 87 (Participation Exemption 95% plusvalenze); art. 88 co.4-ter (sopravvenienze attive esdebitazione esenti in concordato/accordo/piano); art. 89 (dividendi esenti 95% a società); art. 94 (regole aumento capitale); art. 113 e ss. (consolidato fiscale nazionale).
  • D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (IVA) – Disciplina IVA. Si segnala: art. 6 (esigibilità IVA, opzione IVA per cassa), art. 10 (operazioni esenti), art. 17 (reverse charge), art. 19 (detrazione IVA), art. 26 (note di variazione IVA per mancato pagamento in procedure concorsuali).
  • D.Lgs. 9 luglio 1997 n. 241 – Pagamenti unificati e compensazione. Rilevanti: art. 17 (compensazione crediti tributari e contributivi in F24); art. 19 (versamenti periodici unificati); art. 37 co. 49 D.L. 223/2006 conv. L. 248/2006 come modif. da L. 197/2022 – Divieto compensazione con ruoli > €1.500 e > €100.000; Provvedimento AE 28.6.2024 n. 16/E (circolare su compensazioni e nuove soglie).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472 – Sanzioni tributarie e ravvedimento. Specie: art. 13 (ravvedimento operoso, riduzioni sanzioni).
  • Legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto del Contribuente) – Principi dello statuto. Ad es: art. 6 (diritto contraddittorio prima accertamenti); art. 10 (tutela affidamento, abuso diritto codificato poi in art. 10-bis L. 212/2000).
  • D.Lgs. 19 giugno 1997 n. 218 – Accertamento con adesione e conciliazione. Vedi: art. 2-3 (adesione su imposte dirette e IVA, sanzioni 1/3); art. 6 (effetti e rateazione); art. 8 (acquiescenza, sanzioni 1/3).
  • D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 – Riscossione. Rilevante: art. 19 (rateazione cartelle fino 72 rate; mod. da DL 51/2023: 84-120 rate); art. 48-bis (blocco pagamenti PA oltre soglia debiti); art. 50 (intimazione 5 gg prima esecuzione); art. 52 (fermo amm.vo, ipoteca).
  • Legge 30 dicembre 2022 n. 197 (Legge di Bilancio 2023) – Ha introdotto Definizione agevolata debiti: commi 231-252 (c.d. rottamazione-quater cartelle 2000-2017, sgravio sanzioni e interessi) e commi 186-205 (definizione liti pendenti, percentuali 90%-40%-15%-5%).
  • D.L. 30 aprile 2019 n. 34 conv. L. 58/2019 – c.d. Decreto Crescita – Definizioni agevolate: Art. 16-bis (rottamazione-ter saldo e stralcio parziale).
  • D.L. 26 ottobre 2019 n. 124 conv. L. 157/2019 – Ha introdotto reati tributari tra presupposti 231 (art. 25-quinquiesdecies D.Lgs. 231/01) e modificato soglie penali (ridotte per omesso versamento, ecc.).
  • D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74 – Reati tributari. Chiave: art. 2-3 (dich. fraudolenta: soglia evasa €100k); art. 4 (infedele: soglia €100k e €2 mln); art. 5 (omessa dichiarazione soglia €50k); art. 10-bis (omesso versam. ritenute > €150k); art. 10-ter (omesso IVA > €250k); art. 10-quater (indebita compensazione crediti inesistenti > €50k); art. 11 (sottrazione fraudolenta al pagamento imposte – ipoteche simulate, soglia punibilità €50k). Art. 13 (cause di non punibilità: pagamento integrale tributo + interessi e sanz. amministr. prima del dibattimento per 10-bis, 10-ter; circostanza attenuante per art. 2-3 se pagato prima sentenza 1° grado).
  • D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231 – Responsabilità amministrativa enti. Nota: art. 25-quinquiesdecies (reati tributari ex L. 157/2019: include art. 2,3,8,10 D.Lgs.74/00).
  • D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (Codice della Crisi d’Impresa) – e successivi correttivi D.Lgs. 147/2020, 83/2022, 136/2024. Parti rilevanti:
    • art. 17-25 (Composizione negoziata della crisi, ex DL 118/2021);
    • art. 56 (Piani attestati risanamento) e art. 23 (Transazione fiscale in composizione negoziata inserita da D.Lgs. 136/2024);
    • art. 57-64 (Accordi di ristrutturazione; 60 accordo agevolato 30%; 61 accordo esteso classi; 63 transazione fiscale ADR);
    • art. 84-120 (Concordato preventivo; art. 84 distinzioni; art. 88 transazione fiscale nel concordato);
    • art. 100 (autorizzazioni pagamento creditori pregressi strategici in continuità);
    • art. 109 (concordato liquidatorio, soglia 20% chirografi);
    • art. 112-114 (voto classi, cram down; art. 112-bis cram-down Erario/enti introdotto da DL 69/23).
    • art. 121-283 (Liquidazione giudiziale ex fallimento, ruoli creditori, azioni responsabilità).
    • art. 278-283 (Esdebitazione del sovraindebitato e del fallito meritevole).
  • Legge 3/2012 (ex sovraindebitamento) – in parte abrogata, concetti confluiti nel CCII (piani consumatore, concordato minore).
  • Codice Civile: articoli rilevanti citati: 2086 c.c. (dovere assetti adeguati, gestione crisi); 2380-bis e 2475 (amministrazione società); 2447 (riduzione capitale); Società semplici: 2251 e segg. (no oggetto commerciale), 2267 (responsabilità illimitata soci), 2270 (creditore particolare socio può escutere quota di utili, non beni sociali); Cooperative: 2511 e segg. c.c. (scopo mutualistico; art. 2512 definizione prevalenza; 2514 requisiti mutualità, indivisibilità riserve).
  • Leggi speciali Cooperative: D.P.R. 601/1973 art. 11 (esenzione parziale IRES coop) modificato da DL 63/2002; D.Lgs. 78/2015 (vigilanza coop false); Legge 142/2001 (soci lavoratori).

Giurisprudenza di rilievo:

  • Cass., Sez. Unite, 30/01/2025 n. 3625Responsabilità soci e liquidatori post estinzione società: ha stabilito che i soci di società estinta rispondono dei debiti sociali solo nei limiti di quanto hanno riscosso in sede di liquidazione; inoltre, ha chiarito che la responsabilità ex art. 2495 c.c. è di natura risarcitoria e il curatore può agire contro il liquidatore se ha distribuito attivo in pregiudizio dei creditori (principio di diritto sull’ordine di soddisfazione).
  • Cass., Sez. Unite, 22/02/2021 n. 8500Concordato preventivo e falcidia IVA: ha risolto contrasto ammettendo che col nuovo CCII è possibile falcidiare l’IVA nel concordato in continuità mediante transazione fiscale, superando il divieto ex art. 182-ter L.F. previgente, purché lo Stato sia soddisfatto almeno quanto in liquidazione (anticipando il cram down normativo poi formalizzato).
  • Cass., Sez. III Pen., 13/11/2023 n. 45533Sequestro/confisca reati tributari: ha affermato che non è legittimo disporre sequestro preventivo finalizzato a confisca sui conti societari solo perché la società ha ampio debito fiscale e patrimonio insufficiente; serve concreto periculum in mora (es. fuga di capitali).
  • Cass., Sez. III Pen., 25/01/2023 n. 3238Confisca per equivalente reati tributari non retroattiva: ha escluso applicazione retroattiva della confisca per equivalente per reati tributari commessi prima dell’entrata in vigore (lo strumento fu introdotto nel 2008 per alcuni reati).
  • Cass., Sez. V, 08/11/2019 n. 31265Trust e imposta donazione: ha stabilito (orientamento poi confermato da SS.UU. 2022 in altra causa) che l’atto di dotazione di un trust sconta l’imposta sulle successioni/donazioni immediatamente se il trust è “liberale” (cioè senza corrispettivo), con aliquota e franchigia in base al rapporto disponente-beneficiario finale; ciò indipendentemente dal fatto che l’effettivo trasferimento ai beneficiari avverrà in futuro (imposta sul vincolo di destinazione).
  • Cass., Sez. Trib., 17/12/2020 n. 28914Abuso del diritto e società semplice holding immobili: ha rigettato ricorso di contribuente, ritenendo abusivo il frazionamento artificioso di compravendite immobili tramite costituzione di società semplici al solo scopo di godere di esenzioni prima casa multiple; ribadisce che la SS è fiscalmente trasparente ma operazioni prive di sostanza economica reale possono essere riqualificate (art. 10-bis L.212/2000).
  • CTR Lombardia, 30/11/2021 n. 3754Esdebitazione fiscale in concordato: ha affermato che la chiusura del concordato preventivo con adempimento integrale del piano comporta l’estinzione dei debiti tributari anteriori non soddisfatti secondo piano, senza necessità di ulteriore atto, non essendo applicabile la procedura di discarico prevista per fallimento (principio poi confermato nel CCII).
  • Trib. Milano, Sez. spec. imprese, 10/05/2023Transazione fiscale cram-down: ha applicato l’art. 48 CCII (omologa concordato con cram-down) disponendo omologa nonostante voto contrario AE, ritenendo soddisfatta la convenienza per l’Erario (caso con pagamento IVA 30% vs 5% in fallimento). Precede d.lgs. 136/2024 ma in linea con quell’impianto.
  • Cass., Sez. Lav., 21/02/2018 n. 4193Soci lavoratori cooperative e rapporti di lavoro: importante per cooperativa “spurie”, afferma che ai soci-lavoratori va applicato il CCNL e che la natura associativa non esclude un genuino rapporto di lavoro subordinato con tutte le tutele; ribadisce principi contro abusi in cooperative di comodo.
  • Cass., Sez. I Civ., 26/06/2015 n. 13275Responsabilità holding ex art. 2497 c.c.: condanna una holding a risarcire creditori sociali di controllata fallita per averne diretto politiche a proprio vantaggio (subordinandone credito, etc.), fissando criteri: serve condotta lesiva e nesso causale con danno a creditori; holding aveva imposto operazioni disadvantageous.

Prassi amministrativa e circolari:

  • Circolare Assonime n. 17/2016 – chiarisce applicazione art. 88 co.4-ter TUIR (detassazione sopravvenienze da esdebitazione): conferma che la finalità è non aggravare imprese in crisi e impedire doppio beneficio (perdite pregresse vanno usate per compensare prima di detassare eccedenza).
  • Risoluzione AdE n. 4/E del 19/1/2021 – su concordato preventivo: precisa che transazione fiscale fa venir meno sanzioni e interessi per i tributi falcidiati; l’imposta registri l’IVA su cessione beni concordatari è esente ex art. 8 lett. g Tariffa.
  • Circolare AdE n. 34/E del 20/10/2022 – linee guida su trust opachi/trasparenti e tassazione beneficiari: ribadisce che per trust opachi residenti, eventuali distribuzioni ai beneficiari non scontano tassazione aggiuntiva se frutto di redditi già tassati in capo al trust (evitando doppia imposizione), mentre per trust esteri black list, tutto ciò che esce è reddito di capitale per beneficiario salvo prova contraria.
  • Circolare MEF-IGR n. 6/2021 – sulle novità fiscali cooperative: recepisce abolizione ACE 2019 e introduzione Mini-IRES (poi abolita) menzionando che rimane postergazione riserve coop; menziona vigilanza su riserve indivisibili devolute.
  • Interpello AE n. 954-82/2021 (DR Lombardia) – caso di società semplice come “fondo di famiglia”: conferma che possesso di partecipazioni in società commerciali da parte di SS non configura di per sé attività commerciale della SS, quindi non la rende fallibile né soggetto IRES, a condizione che la SS si limiti a incassare utili e gestire patrimonio (passiva).

Fonti amministrative procedure concorsuali:

  • Direttiva UE 2019/1023 – Insolvency (recepita nel CCII): principi su early warning, ristrutturazione preventiva.
  • Relazione illustrativa CCII – spiega ratio transazione fiscale e novità correttivi 2020-2022.
  • Linee guida CNDC e FNC sulla transazione fiscale 2023 – commentano D.L. 69/23 e D.Lgs. 136/24: raccomandano attestatori di evidenziare convenienza per Erario oltre soglia minima 30-40% per agevolare omologhe.
  • Protocollo Agenzia Entrate-CRI 2020 – l’Agenzia Entrate indica disponibilità a valutare proposte di transazione fiscale con approccio “economicistico” (accettare se > scenario liquidatorio; implementare cram-down dove utile).

Con queste fonti, professionisti e imprenditori possono approfondire i singoli aspetti trattati nella guida, assicurandosi di applicare le normative aggiornate a maggio 2025.

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