Controllo Agenzia Delle Entrate In Azienda: Come Difendersi

Hai ricevuto un avviso di verifica o un accesso diretto da parte dell’Agenzia delle Entrate nella tua azienda?

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in difesa legale durante accertamenti fiscali e verifiche ispettive – è pensata per aiutarti a gestire la situazione con lucidità e competenza.

Scopri come funziona un controllo fiscale in azienda, quali sono i poteri effettivi dei funzionari, cosa puoi – e cosa non devi – fare durante l’ispezione, e quali strumenti legali puoi usare per tutelare te stesso e la tua impresa.

Alla fine della guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza riservata, chiarire ogni dubbio sul tuo caso specifico e farti assistere da professionisti esperti fin dal primo accesso del Fisco.

Controllo Agenzia delle Entrate in Azienda: Come Difendersi – La Guida di Studio Monardo

Introduzione

Un controllo fiscale in azienda da parte dell’Agenzia delle Entrate (o della Guardia di Finanza, che spesso opera per conto dell’Amministrazione finanziaria) rappresenta un momento delicato per ogni imprenditore. Per le PMI italiane, che spesso non dispongono di strutture amministrative imponenti, un’ispezione fiscale può generare comprensibili timori. Tuttavia, conoscere cosa aspettarsi e quali sono i propri diritti e doveri durante le verifiche è il primo passo per affrontarle con serenità e per difendersi in modo corretto e documentato.

In questa guida aggiornata a maggio 2025 esamineremo tutti i tipi di controlli condotti dall’Agenzia delle Entrate – dai controlli automatizzati sulle dichiarazioni, alle ispezioni documentali, fino agli accessi in azienda e ai controlli antiriciclaggio – fornendo consigli pratici su come prepararsi preventivamente e su come comportarsi durante e dopo la verifica. Affronteremo anche gli strumenti di difesa e contenzioso a disposizione del contribuente, con cenni a giurisprudenza recente (sentenze aggiornate al 2025) e riferimenti normativi chiave (dallo Statuto del Contribuente alle ultime riforme fiscali).

Il tono della guida sarà tecnico-legale ma accessibile: l’obiettivo è offrire un vademecum operativo utile a imprenditori, consulenti e professionisti, per gestire al meglio un controllo fiscale senza farsi trovare impreparati. Troverete inoltre tabelle riepilogative dei principali diritti e obblighi del contribuente durante i controlli, una sezione FAQ con risposte alle domande più comuni, e un elenco finale di Fonti e Riferimenti (normative e prassi ufficiali) per approfondire ulteriormente.

Perché questa guida: “È già durante i controlli che si gioca la partita!” – come osservato dagli esperti, l’esito di un eventuale contenzioso tributario dipende spesso da come si è gestita la verifica in azienda fin dal primo giorno. Essere informati e consapevoli è fondamentale per evitare errori banali dettati dallo stress e per far valere sin da subito le proprie ragioni.

Cominciamo quindi col vedere cosa succede quando scatta un controllo e quali scenari un’azienda può aspettarsi.

Cosa aspettarsi da un controllo

Un controllo fiscale può presentarsi sotto diverse forme, dai semplici riscontri documentali inviati per lettera, fino alla visita in azienda degli ispettori. È importante sapere che l’Agenzia delle Entrate adotta oggi un approccio graduale: spesso si parte da una fase di interlocuzione col contribuente per favorire la compliance spontanea, rinviando i controlli più invasivi solo ai casi necessari. Ad esempio, il Piano dell’Agenzia 2024-2026 prevede l’invio di circa 3 milioni di lettere di compliance all’anno per segnalare possibili anomalie e invitare i contribuenti a regolarizzare prima di avviare accertamenti formali.

Quando scatta un controllo? In generale, un controllo fiscale può essere avviato per varie ragioni: sorteggio casuale, segnalazioni di anomalie nei dati dichiarativi, incongruenze emerse da incroci di banche dati, indicatori di rischio di evasione (ad esempio un indice di affidabilità fiscale molto basso o discrepanze reddito-spese evidenziate dall’“evasometro”), oppure nell’ambito di piani mirati per settore. Ad esempio, l’Agenzia pianifica ogni anno controlli sostanziali su determinati tributi (Irpef, IRES, IVA, IRAP) e categorie, utilizzando analisi di rischio e strumenti induttivi per individuare posizioni anomale.

Chi esegue il controllo? I controlli “in azienda” sul campo sono spesso svolti dalla Guardia di Finanza, in quanto polizia tributaria, eventualmente con la partecipazione di funzionari dell’Agenzia delle Entrate. I funzionari GdF operano con poteri di polizia giudiziaria e tributaria: nel caso di controlli antiriciclaggio, ad esempio, è sempre il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della GdF a intervenire. In altri casi, soprattutto per controlli formali o inviti a comparire, l’attività viene svolta direttamente dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate negli uffici. In ogni caso, gli ispettori – siano essi finanzieri in borghese o funzionari AE – devono qualificarsi e mostrare un tesserino di riconoscimento e l’ordine di accesso/autorizzazione all’inizio della verifica.

Preavviso e tempistiche: Gli accessi in azienda non vengono in genere annunciati con preavviso (proprio per evitare che un avviso anticipato vanifichi il controllo). Gli ispettori possono presentarsi a sorpresa presso la sede aziendale durante il normale orario di esercizio. Fanno eccezione alcuni controlli meno invasivi: ad esempio, un questionario fiscale inviato via PEC o una convocazione presso l’ufficio dell’Agenzia sono forme di controllo preliminari, dove il contribuente ha qualche giorno di tempo per preparare la documentazione richiesta. Invece, per una verifica sostanziale in loco, è normale aspettarsi l’arrivo improvviso degli agenti.

Quando gli ispettori arrivano in azienda, cosa succede praticamente? Di solito, al loro arrivo essi:

  • Si qualificano e consegnano copia dell’ordine di accesso (in cui è indicato l’ufficio di provenienza e l’oggetto della verifica).
  • Chiedono di parlare con il legale rappresentante o con un responsabile (es. il titolare o l’amministratore, oppure un delegato come il direttore amministrativo).
  • Forniscono brevemente informazioni su ragioni e oggetto del controllo, come richiesto dallo Statuto del Contribuente. Ad esempio, informeranno se si tratta di una verifica generale, di un accertamento parziale su specifici periodi d’imposta, o di un controllo mirato (es. sull’IVA).
  • Ricordano al contribuente che ha diritto di farsi assistere da un professionista di fiducia (es. il commercialista o un avvocato tributarista). È un diritto poter consultare e far intervenire il proprio consulente, anche se la verifica può iniziare anche in sua assenza (il consulente potrà raggiungere l’azienda nel corso delle operazioni).

Dopodiché, la verifica entra nel vivo: gli operatori potrebbero iniziare chiedendo di esibire le scritture contabili (registri IVA, libro giornale, bilanci) e altri documenti fiscali rilevanti, ispezionare eventuali documenti extracontabili, controllare il magazzino o la cassa, e in generale raccogliere elementi utili a verificare la correttezza delle dichiarazioni e dei versamenti effettuati dall’azienda.

Durata e portata della verifica: Le verifiche fiscali in azienda sono normate anche nei tempi: salvo casi particolari, la permanenza degli operatori non può superare 30 giorni lavorativi (prorogabili di altri 30 in casi complessi). Questo periodo si riferisce ai giorni di effettiva presenza degli ispettori in sede, non al periodo di calendario complessivo. Ad esempio, se i verificatori vengono in azienda solo due giorni a settimana, ai fini del conteggio se ne considerano solo due per settimana. In pratica, il controllo potrà diluirsi su più settimane o mesi, ma il sommatorio delle giornate di presenza non deve eccedere il limite di legge. Importante: la legge consente agli ispettori di proseguire le analisi presso i loro uffici (quindi fuori sede) senza limiti stringenti di tempo. Dunque, dopo aver raccolto documenti e informazioni in azienda, è possibile che la GdF o l’AE continuino le verifiche nei loro uffici e, se necessario, tornino periodicamente per ulteriori riscontri, restando però nei limiti di presenza previsti.

Va detto che non sempre il superamento del limite di 30 giorni comporta conseguenze sul risultato del controllo: la Cassazione ha chiarito che una verifica protrattasi oltre i 30 giorni non rende nullo per ciò solo l’accertamento fiscale risultante (lo Statuto del Contribuente non prevede espressamente questa nullità). Tuttavia, il mancato rispetto di tale regola può configurare un illecito disciplinare a carico dei funzionari e il contribuente potrà lamentarlo in sede di contenzioso come elemento a suo favore, specie se ha subìto un evidente pregiudizio.

Coordinamento con altri enti: Per evitare accanimenti e duplicazioni, la normativa prevede che i vari enti di controllo (Agenzia Entrate, GdF, INPS, Ispettorato del Lavoro, Dogane, ecc.) coordinino le ispezioni. In particolare, secondo il Decreto Sviluppo 2011, non dovrebbero avvenire accessi ripetuti da parte di autorità diverse sullo stesso contribuente a breve distanza di tempo: vige un principio di non ripetizione entro sei mesi, salvo casi eccezionali (esigenze di repressione reati, tutela sicurezza sul lavoro, ordine pubblico). Inoltre, il contribuente non è tenuto a fornire dati o documenti che siano già in possesso del Fisco o di altri enti pubblici o che le amministrazioni possono reperire agevolmente tramite banche dati condivise. Ciò per ridurre oneri inutili: ad esempio, non dovrebbe esservi richiesto un certificato camerale che il verificatore può ottenere da solo dalle banche dati istituzionali. In pratica, durante un controllo il contribuente può legittimamente opporre che una certa informazione richiesta è già nota al Fisco (ad esempio, i versamenti F24 già risultano nelle banche dati).

Esito del controllo: A seconda della tipologia di verifica, l’esito potrà essere diverso: per controlli di tipo “formale” (es. controllo documentale su una dichiarazione) l’Agenzia comunicherà eventuali irregolarità con una comunicazione di esito o un avviso bonario da regolarizzare. In caso di verifica sostanziale in azienda, invece, al termine verrà redatto un Processo Verbale di Constatazione (PVC), ossia un verbale finale riepilogativo di tutte le operazioni svolte e dei rilievi contestati. Il PVC costituisce la base per eventuali successivi avvisi di accertamento, ovvero gli atti impositivi formali con cui l’Agenzia delle Entrate richiederà le maggiori imposte e sanzioni emerse. Più avanti nella guida vedremo nel dettaglio cosa succede dopo il controllo (dalla consegna del PVC agli strumenti deflattivi come l’adesione, fino al contenzioso).

In sintesi, quando scatta un controllo fiscale ci si deve aspettare: una fase iniziale di esibizione documenti e accertamenti, la possibile presenza prolungata (a giorni alterni o consecutivi) degli ispettori in azienda entro i limiti di legge, e infine la chiusura delle operazioni con un verbale. Il tutto richiede collaborazione ma anche consapevolezza. Nella sezione successiva esamineremo le diverse tipologie di controlli fiscali esistenti, dal meno invasivo al più approfondito, così da distinguere le procedure e sapere come affrontarle di volta in volta.

Tipologie di controlli dell’Agenzia delle Entrate

Non tutti i controlli del Fisco sono uguali. L’Amministrazione finanziaria dispone di diversi strumenti di verifica, che possiamo distinguere in due macro-categorie: controlli “a distanza” o automatizzati (svolti dagli uffici senza accesso in azienda, basati su controlli incrociati di dati e su richieste di documenti) e controlli “sul campo” (accessi, ispezioni e verifiche presso la sede del contribuente). In aggiunta, vi sono controlli specifici come quelli in materia di antiriciclaggio. Di seguito elenchiamo le principali tipologie:

Controlli automatizzati sulle dichiarazioni (36-bis DPR 600/73)

Si tratta dei controlli di base che l’Agenzia delle Entrate effettua su tutte le dichiarazioni fiscali presentate. In pratica, il sistema informatico dell’Agenzia verifica aritmeticamente e logicamente i dati dichiarati e li incrocia con le informazioni già note al Fisco. Questo è previsto dall’art. 36-bis del DPR 600/1973 per le imposte sui redditi e dall’art. 54-bis del DPR 633/1972 per l’IVA.

Cosa controlla l’Agenzia automaticamente? Per esempio, che non vi siano errori di calcolo nelle imposte, che i versamenti in F24 coincidano con l’importo dichiarato, che eventuali crediti d’imposta siano correttamente riportati, e che i dati di certificazioni (CU, 770) corrispondano a quanto dichiarato dal percipiente, ecc. Se dal controllo automatizzato emergono incongruenze o omissioni, il contribuente riceve una “comunicazione di irregolarità” (anche detta avviso bonario) con l’indicazione delle somme dovute (imposta, sanzioni ridotte e interessi). Questa comunicazione non è un atto impositivo formale, ma un invito a sistemare la posizione: il contribuente ha la facoltà di pagare le somme (beneficiando in genere di sanzioni ridotte a 1/3) oppure di segnalare all’Agenzia eventuali errori contenuti nella comunicazione, fornendo elementi per annullarla o rettificarla. Solo se il contribuente ignora l’avviso bonario, dopo 30 giorni l’Agenzia procede a iscrivere a ruolo le somme dovute, emettendo la cartella di pagamento.

Esempio: un errore nel compilare la dichiarazione dei redditi che comporta un minor versamento verrà quasi certamente rilevato dal controllo automatizzato, e il contribuente riceverà un avviso bonario con sanzione del 10% (sanzione ridotta per adesione spontanea).

Controllo formale delle dichiarazioni (36-ter DPR 600/73)

Un gradino più approfondito è il controllo formale, disciplinato dall’art. 36-ter del DPR 600/1973. A differenza del controllo automatico (che avviene su tutti i dichiarativi in modo sistematico), il controllo formale è svolto su una percentuale di dichiarazioni selezionate e consiste nella verifica della coerenza dei dati dichiarati con la documentazione in possesso del contribuente e con le informazioni di terzi. In pratica l’Agenzia:

  • Confronta i dati esposti in dichiarazione con quelli risultanti dalle dichiarazioni di altri soggetti o enti (per esempio, controlla che gli oneri dedotti dal contribuente coincidano con quelli comunicati da banche, assicurazioni, enti previdenziali, ecc.).
  • Verifica che quanto dichiarato trovi riscontro nelle pezze giustificative che il contribuente è tenuto a conservare (ricevute, fatture, scontrini per oneri detraibili, quietanze di bonifici per bonus edilizi, documentazione di spese sanitarie, ecc.).

Per effettuare il controllo formale, l’ufficio può invitare il contribuente a esibire o trasmettere la documentazione necessaria e a fornire chiarimenti in merito a eventuali difformità riscontrate. Ad esempio, se in dichiarazione risultano detratte spese mediche per un certo importo, l’Agenzia potrebbe chiedere di inviare copia delle relative ricevute/fatture. Oppure, se risultano crediti d’imposta riportati, potrebbe chiedere evidenza del calcolo.

Esito del controllo formale: Se tutto è giustificato, la procedura si chiude senza rilievi. Se invece emergono difformità non chiarite, l’Agenzia emetterà anche in questo caso una comunicazione con l’esito del controllo formale, richiedendo le somme dovute (imposta e sanzioni). Il contribuente può pagare con sanzioni ridotte (di solito al 20% invece del 30% pieno, se paga entro 30 giorni) oppure può far pervenire all’ufficio ulteriori chiarimenti o documenti integrativi. In mancanza, si passerà alla cartella esattoriale.

Da notare che il controllo formale ha un ambito limitato: non si spinge ad analizzare la veridicità economica delle operazioni (cosa che avviene invece nei controlli sostanziali). Si limita a verificare la correttezza formale e documentale di quanto dichiarato.

Liquidazioni periodiche e altri controlli documentali

Oltre ai controlli ex 36-bis e 36-ter, l’Agenzia effettua anche verifiche specifiche su alcuni adempimenti, ad esempio:

  • Liquidazioni delle imposte a tassazione separata: ad esempio il calcolo definitivo dell’Irpef su TFR, arretrati di lavoro dipendente, ecc. In questi casi l’Agenzia invia comunicazioni per richiedere o rimborsare differenze, senza sanzioni (trattandosi di ricalcoli tecnici).
  • Controlli sulle compensazioni di crediti d’imposta: ad esempio, se un’azienda utilizza in F24 un credito IVA o bonus fiscale, l’Agenzia può controllarne la legittimità (spesso tramite comunicazioni o bloccando i rimborsi in attesa di documentazione).
  • Lettere di compliance: come accennato, sono inviti bonari a controllare e regolarizzare situazioni anomale (es. redditi esteri non dichiarati, discrepanze tra fatture emesse e dichiarato IVA, ecc.). Non sono accertamenti formali, ma se ignorati possono preludere ad accertamenti veri e propri.
  • Inviti a comparire e questionari: l’Agenzia può inviare un invito al contribuente a presentarsi presso l’ufficio per fornire informazioni o esibire documenti, oppure inviare un questionario scritto da restituire compilato. Questi strumenti (previsti dall’art. 32 DPR 600/73) fanno parte dell’istruttoria: servono a raccogliere elementi senza andare subito in verifica. Non rispondere adeguatamente a un questionario o a un invito può comportare una sanzione amministrativa (fino a 2.065€ ai sensi dell’art. 11 D.Lgs. 471/97) e soprattutto legittima l’Ufficio a emettere accertamento basandosi anche su presunzioni, essendo venuta meno la collaborazione. È dunque fondamentale rispondere nei tempi richiesti (generalmente 15 giorni o il termine indicato) e in modo veritiero.

Accessi, ispezioni e verifiche in azienda (controlli sostanziali)

Quando si parla di verifica fiscale in azienda, si entra nell’ambito dei controlli sostanziali. La legge (art. 52 DPR 633/72 per IVA, art. 33 DPR 600/73 per imposte dirette, e soprattutto l’art. 12 dello Statuto del Contribuente) disciplina in dettaglio poteri e limiti degli ispettori durante accessi, ispezioni e verifiche presso i locali del contribuente. Spesso questi termini si usano in modo interscambiabile, ma hanno significati specifici:

  • Accesso: è l’atto iniziale con cui i verificatori entrano nei locali del contribuente per dare avvio all’attività accertativa. L’accesso è un atto autoritativo: non richiede il consenso del contribuente (di fatto può avvenire anche se non gradito, in forza di legge). Deve però rispettare alcune condizioni di legittimità: ad esempio, avvenire durante l’orario ordinario di attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile all’azienda e alle sue relazioni commerciali (come stabilito dall’art. 12, c.1, Statuto Contribuente). Inoltre, se l’accesso riguarda locali adibiti anche ad uso abitativo (il cosiddetto domicilio del contribuente, protetto dall’art. 14 Cost.), è necessario un decreto di autorizzazione del Procuratore della Repubblica che certifichi la presenza di gravi indizi di violazioni tributarie. La Cassazione ha ritenuto che in assenza di tali gravi indizi l’autorizzazione non sia valida e i risultati dell’accesso (quindi l’accertamento conseguente) possano essere nulli. In sintesi: gli ispettori possono accedere liberamente a uffici, negozi, magazzini aziendali; per entrare in abitazioni private (o nella parte abitativa di locali misti) serve l’ok della magistratura.
  • Ispezione: consiste nelle attività di ricerca e controllo materiale che i verificatori compiono per acquisire prove di violazioni. Durante l’ispezione, ad esempio, possono aprire armadi, casseforti, esaminare computer, e così via. Per le ispezioni più invasive è richiesta un’ulteriore autorizzazione specifica: ad esempio per perquisizioni personali, per l’apertura coattiva di cassetti, borse o casseforti chiuse, o per accedere a server, email e computer protetti, è obbligatoria l’autorizzazione del Pubblico Ministero. Ciò a tutela della privacy e dei diritti costituzionali: i verificatori non possono, di propria iniziativa, forzare serrature o accedere a contenuti digitali protetti senza aver ottenuto uno specifico decreto (spesso richiesto in corso d’opera se durante la verifica si ritiene necessario). Nella pratica, le ispezioni si svolgono con la presenza del contribuente (o di un suo delegato) e spesso, se ci sono dati digitali da esaminare, si procede a clonare dischi o acquisire file, redigendo verbali di tali operazioni.
  • Verifica (in senso stretto): è il termine generale che indica l’esame complessivo della posizione fiscale del contribuente sul posto. Comprende l’analisi dei libri e registri contabili, delle fatture e documenti, la verifica della corrispondenza tra scritture contabili ed effettiva realtà aziendale (ad esempio, verifica di magazzino con conteggio fisico delle rimanenze, verifica del fondo cassa, etc.). La verifica fiscale in loco deve essere giustificata da “esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo”, le quali devono essere indicate nel verbale di inizio verifica. In altre parole, la legge richiede che vi sia una motivazione per cui sia necessario controllare sul posto: ad esempio, la necessità di riscontri diretti non ottenibili a distanza. Se queste esigenze effettive mancassero, gli atti acquisiti potrebbero essere contestati come invalidi, poiché l’accesso sarebbe stato indebito. Inoltre, all’inizio di ogni verifica gli ispettori devono informare il contribuente delle ragioni e dell’oggetto del controllo e della facoltà di farsi assistere da un professionista (come già accennato prima).

Durante un accesso/verifica in azienda, l’attività tipicamente comprende: l’esame della contabilità, riscontri fisici (cassa, magazzino), eventuali interviste al contribuente o ai dipendenti per chiarimenti, e la redazione di verbali giornalieri. Infatti, per ogni giornata (o comunque ad intervalli regolari) i verificatori redigono un Processo Verbale di Verificazione dove annotano tutto ciò che hanno fatto e trovato quel giorno. Al termine della verifica, verrà redatto il Processo Verbale di Constatazione (PVC) finale che riepiloga i rilievi complessivi. Il contribuente (o chi lo rappresenta) è invitato a sottoscrivere questi verbali – la firma attesta la presenza e la ricezione, ma può accompagnarsi a eventuali osservazioni o contestazioni di parte.

Nota: Secondo lo Statuto del Contribuente, la permanenza massima di 30 giorni si riferisce solo ai giorni in azienda; i verificatori possono proseguire l’esame dei documenti presso i loro uffici. È facoltà del contribuente, se lo desidera, chiedere che parte della verifica si svolga altrove (ad esempio presso lo studio del proprio commercialista o presso l’ufficio dei verificatori), ad esempio per ridurre l’intralcio all’attività aziendale. In tal caso però è una scelta del contribuente – i verificatori non possono imporre loro di portare registri e documenti nei loro uffici per eludere il limite temporale. Ogni invito del genere andrebbe valutato attentamente con il proprio consulente.

Accertamenti mirati e metodi induttivi

Oltre alle verifiche generali, l’Amministrazione finanziaria conduce controlli mirati utilizzando specifiche metodologie di accertamento:

  • Accertamento sintetico (redditometro/evasometro): è il controllo basato sulla ricostruzione del reddito in base alle spese sostenute e al tenore di vita del contribuente. Riguarda più le persone fisiche (soci amministratori inclusi) che l’azienda in sé, ma può coinvolgere l’imprenditore. Il vecchio redditometro è stato aggiornato dalla riforma fiscale 2024: il D.Lgs. 108/2024 ha abolito il redditometro tradizionale, introducendo un nuovo strumento soprannominato “evasometro”, che potenzia l’accertamento sintetico con analisi di rischio e intelligenza artificiale. Questo metodo sfrutta presunzioni semplici, ovvero deduce l’esistenza di redditi non dichiarati a partire da elementi noti di capacità di spesa. Ad esempio, l’acquisto di beni di lusso, immobili, auto costose, spese elevate per viaggi, ecc., viene confrontato col reddito dichiarato. Quando scatta: se c’è uno scostamento significativo tra il reddito “sintetico” calcolato dalle spese e quello dichiarato. La normativa attuale prevede una doppia soglia: il Fisco può procedere solo se il reddito sintetico eccede di almeno il 20% quello dichiarato e la differenza assoluta è superiore a 10 volte l’ammontare dell’assegno sociale annuo (circa 7.000 € x 10 = 70.000 € di scostamento). Se entrambe le soglie sono superate, l’ufficio invia al contribuente un questionario o un invito a fornire chiarimenti sulle fonti che hanno finanziato quelle spese anomale. Il contribuente potrà difendersi con la prova contraria, dimostrando ad esempio che le spese sono state sostenute grazie a redditi esenti o già tassati (donazioni di familiari, utilizzo di risparmi accumulati in anni precedenti, vendita di beni propri, risarcimenti, vincite, ecc.). È fondamentale documentare queste spiegazioni: in mancanza di giustificazioni adeguate, le spese non coperte verranno considerate come reddito evaso, con emissione di avviso di accertamento e relative imposte e sanzioni. Questo tipo di controllo, pur non riguardando direttamente l’azienda, può interessare l’imprenditore individuale o i prelievi dei soci dall’azienda (utili extrabilancio impiegati in spese personali).
  • Studi di settore e ISA (Indicatori Sintetici di Affidabilità): fino a pochi anni fa l’Agenzia utilizzava gli Studi di Settore, parametri statistici per stimare i ricavi attesi di un’impresa in base a caratteristiche economiche. Dal 2019 sono stati sostituiti dagli ISA, indicatori di compliance che producono un punteggio da 1 a 10. Se un’azienda mostra punteggi ISA molto bassi per più anni o gravi incoerenze negli indicatori, aumenta la probabilità di controlli. Va sottolineato che oggi un accertamento non può basarsi esclusivamente sugli ISA: servono altri elementi. Già da tempo la giurisprudenza richiede il contraddittorio anticipato: ad esempio, la Cassazione ha stabilito che un accertamento fondato solo sugli esiti degli studi di settore è nullo se l’ufficio non ha preventivamente attivato un contraddittorio col contribuente per valutare le specificità del caso. In pratica, se i dati parametrici indicano ricavi non dichiarati, l’Agenzia deve invitare l’azienda a spiegare l’eventuale scostamento (motivi di crisi, eventi straordinari, etc.) prima di emettere un accertamento. Lo stesso principio di collaborazione preventiva vale con i nuovi ISA: un punteggio basso da solo non è prova di evasione, ma un campanello d’allarme che può far scattare verifiche più approfondite.
  • Accertamento induttivo extracontabile: se nel corso del controllo l’azienda dovesse risultare priva di contabilità affidabile – ad esempio perché non ha tenuto le scritture obbligatorie oppure perché la documentazione è in gran parte inattendibile o manca (contabilità “in nero”) – l’ufficio può procedere con metodi induttivi “puri”. Significa che ricaverà il reddito d’impresa sulla base di presunzioni semplici, anche senza partire dalle scritture contabili. Tipicamente si usano elementi come consumi di materie prime, movimenti bancari, ricarichi medi di settore: ad esempio, se in un ristorante mancano i registri, si potrà stimare il fatturato in base agli acquisti di cibo e bevande applicando un ricarico standard. L’accertamento induttivo è ammesso in presenza delle gravi irregolarità elencate nell’art. 39 DPR 600/73 (omessa dichiarazione, contabilità inattendibile, ecc.). È molto importante per l’azienda evitare di trovarsi in questa situazione, perché le ricostruzioni induttive spesso sovrastimano il reddito e rendono più ardua la difesa (il contribuente deve dimostrare che la ricostruzione è palesemente irragionevole).
  • Indagini finanziarie: uno strumento trasversale, utilizzabile nell’ambito di accertamenti sia analitici che induttivi, è l’accesso ai rapporti bancari. L’Agenzia o la GdF, con autorizzazione del Direttore Regionale, possono richiedere alle banche l’estratto conto e i movimenti dei conti correnti aziendali e personali (art. 32 DPR 600/73). Eventuali versamenti non giustificati sui conti dell’imprenditore o dell’azienda vengono presunti come ricavi non dichiarati (salvo prova contraria), e prelievi ingenti non giustificati come possibili acquisti “in nero”. In un controllo in azienda, quindi, ci si può aspettare che i verificatori acquisiscano anche i dati bancari: il contribuente verrà invitato a fornire spiegazioni per ogni transazione anomala (ad esempio, versamenti di contante non coerenti con gli incassi contabilizzati). È bene prepararsi in anticipo tenendo traccia dei movimenti finanziari e collegandoli ai fatti gestionali (es.: quel versamento era un apporto soci, quel prelievo serviva per pagare un fornitore in contanti, ecc.).

Controlli antiriciclaggio

Un capitolo a parte sono i controlli mirati al rispetto della normativa antiriciclaggio (D.Lgs. 231/2007 e successive modifiche). Questi controlli non mirano direttamente a contestare imposte evase, ma a verificare che determinati soggetti (detti “soggetti obbligati” – es. professionisti, intermediari finanziari, revisori, commercianti di oro e preziosi, agenzie immobiliari, case da gioco, ecc.) rispettino gli obblighi di adeguata verifica della clientela, registrazione e segnalazione di operazioni sospette previsti per prevenire il riciclaggio di denaro.

Chi effettua questi controlli? Prevalentemente la Guardia di Finanza, tramite il Nucleo Speciale Polizia Valutaria o i reparti territoriali, che agisce per conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze. In caso di violazioni, le sanzioni amministrative antiriciclaggio vengono poi irrogate dal Ministero dell’Economia (UIF e MEF). L’Agenzia delle Entrate in sé non esegue ispezioni antiriciclaggio, ma può cooperare e scambiare informazioni. Ad esempio, durante un controllo fiscale, se emergono operazioni sospette o uso anomalo di contante, i verificatori possono segnalarlo all’UIF; viceversa, dagli esiti di ispezioni antiriciclaggio potrebbero scaturire segnalazioni al Fisco se si sospetta evasione.

Come avviene un controllo antiriciclaggio? Di solito con un accesso presso lo studio professionale o la sede del soggetto obbligato, simile a una verifica fiscale. La GdF, in borghese, verifica l’organizzazione interna ai fini AML: ad esempio, controllerà che lo studio abbia adottato procedure di valutazione del rischio, nominato un responsabile antiriciclaggio, svolto la formazione al personale. Poi passa alla verifica documentale su un campione di pratiche per controllare se sono stati eseguiti l’identificazione del cliente, l’adeguata verifica (acquisizione di documenti di identità, informazioni sull’operazione, ecc.), la registrazione nell’archivio antiriciclaggio e la conservazione dei dati. Inoltre, verificano se sono state effettuate le previste segnalazioni di operazioni sospette quando ne ricorrevano i presupposti. Essendo un controllo settoriale, spesso è di durata più breve rispetto a una verifica fiscale generale.

Le imprese non finanziarie (es. normali PMI) non ricadono di solito tra i “soggetti obbligati” antiriciclaggio, tranne alcuni casi particolari (es. una s.r.l. che commercia oggetti d’arte o preziosi oltre certe soglie, che di fatto deve adeguarsi alla normativa AML). Tuttavia, anche un’azienda non obbligata può essere oggetto di verifiche su utilizzo di contante: ad esempio, la normativa antiriciclaggio pone un limite all’uso di denaro contante (attualmente €5.000 come soglia dal 2023) e richiede la segnalazione di trasferimenti superiori. Le Dogane e la GdF effettuano controlli sui movimenti di contante anche alle frontiere e sul territorio (Circolare ADM 12/2024). Dunque, un’impresa che effettuasse pagamenti in contanti sopra soglia o frazionati artatamente potrebbe incorrere in sanzioni (anche al di fuori di un normale controllo fiscale).

Sanzioni antiriciclaggio: Sono generalmente salate e di natura amministrativa (possono andare da migliaia a decine di migliaia di euro a seconda dell’obbligo violato). Ad esempio, l’omessa adeguata verifica del cliente da parte di un professionista è punita con sanzione pecuniaria e, nei casi gravi, può scattare addirittura la sospensione dall’albo. È quindi fondamentale – per chi soggetto alla normativa – prepararsi a eventuali controlli antiriciclaggio predisponendo procedure, manuali interni e tenendo pronti i Fascicoli della clientela e il registro (Registro della Conservazione) aggiornati. Un controllo antiriciclaggio ben fatto dall’azienda stessa (magari con l’ausilio di società specializzate) può evitare pesanti conseguenze in caso di ispezione ufficiale.


Abbiamo visto le principali tipologie di controlli: automatici e formali (a distanza), sostanziali sul campo (accessi e verifiche in azienda), e controlli speciali come quelli antiriciclaggio. Nel prossimo capitolo ci concentreremo su come prepararsi preventivamente ad affrontare eventuali controlli, con pratiche di buona gestione che possono ridurre il rischio di accertamenti e facilitare la difesa in caso di ispezione.

Come prepararsi preventivamente

La migliore difesa in caso di controlli fiscali è una buona prevenzione. Un’azienda che mantiene ordinata la contabilità, rispetta le scadenze fiscali e conosce le regole del gioco sarà meno esposta a contestazioni e affronterà più serenamente qualsiasi verifica. Ecco alcune azioni concrete che le PMI possono intraprendere in via preventiva:

  • Tenuta contabile impeccabile: Assicuratevi che la contabilità sia aggiornata e regolare. Registrare tempestivamente tutte le fatture emesse e ricevute, conservare le pezze giustificative (anche in formato digitale se a norma), riconciliare i conti bancari con le scritture. La presenza di errori o disordine contabile spesso insospettisce i verificatori e allunga i tempi del controllo. Inoltre, lacune gravi potrebbero dare luogo a un accertamento induttivo. È utile effettuare periodicamente (es. ogni trimestre) un check interno con l’aiuto del commercialista per verificare che non manchi nulla: ad esempio controllare che i registri IVA siano stampati (se tenuti in forma cartacea) o conservati digitalmente come richiesto, che i libri sociali siano compilati, che eventuali dichiarazioni integrative per errori siano state presentate.
  • Adempimenti fiscali puntuali: Ritardi e omissioni (dichiarazioni non presentate, versamenti saltati) sono il modo più rapido per finire sotto i riflettori del Fisco. Rispettare le scadenze fiscali è fondamentale. Se dovesse capitare un errore o un’omissione, utilizzare subito il ravvedimento operoso per regolarizzare prima che l’Agenzia se ne accorga. Il ravvedimento comporta sanzioni ridotte e dimostra buona fede; inoltre, se un controllo trova l’irregolarità già sanata dal contribuente, in genere non vi sono ulteriori conseguenze (salvo interessi o differenze ancora dovute). Prevenire è meglio che curare: un contribuente che spontaneamente aggiusta un’infrazione difficilmente verrà sanzionato in misura piena successivamente.
  • Autovalutazione del rischio fiscale: È utile, almeno annualmente, fare un’analisi critica dei propri dati fiscali così come li vedrebbe l’Agenzia. Ad esempio: il margine di profitto dichiarato è drasticamente più basso della media di settore? Il socio preleva somme ingenti dall’azienda mentre la società è in perdita? Ci sono anni con volume d’affari inspiegabilmente inferiori rispetto ai precedenti? – Queste situazioni possono alzare red flag. Confrontate i vostri indici economici con benchmark del settore (le associazioni di categoria spesso forniscono parametri). Se utilizzate gli ISA, esaminate il punteggio: un ISA cronicamente basso significa potenziale non affidabilità. In tal caso, valutate interventi per migliorarlo (es. aumentando la trasparenza dei ricavi). Se emergono anomalie spiegabili, documentatele per tempo: ad esempio, se un anno il fatturato è calato perché un macchinario si è rotto fermando la produzione per mesi, archiviate le prove (fatture di riparazione, etc.) che lo attestano, così da averle pronte in caso di domande del Fisco.
  • Organizzare l’archivio dei documenti: In vista di un possibile controllo, l’azienda dovrebbe essere in grado di recuperare rapidamente qualsiasi documento fiscale richiesto. Ciò significa avere un sistema di archiviazione ordinato. Conservate insieme, per ogni anno, le dichiarazioni dei redditi, bilanci, registri IVA, LUL (libri paga), fatture attive e passive, schede cespiti, estratti conto bancari e così via. Oggi molti documenti sono digitali: adottate un buon sistema di gestione documentale, con backup, in modo da poter esibire agli ispettori anche file elettronici (ad esempio i file delle fatture elettroniche XML conservate). Ricordiamo che i documenti fiscali vanno conservati fino al termine di decadenza degli accertamenti (di regola 5 anni successivi all’anno di presentazione della dichiarazione, ma suggeribile 8-10 anni in caso di possibile raddoppio termini o omessa dichiarazione). Un documento introvabile durante la verifica equivale a un documento inesistente ai fini probatori. Se avete consegnato documenti a consulenti esterni (es. al CAF per il 730 dei dipendenti) assicuratevi di averne copia.
  • Predisporre procedure in caso di verifica: Ogni PMI, per quanto piccola, dovrebbe avere un mini-protocollo interno su cosa fare se si presentano ispettori. Ad esempio, istruire la reception o il personale di segreteria a: chiedere sempre il tesserino di riconoscimento, avvisare immediatamente la direzione e il consulente contabile, far accomodare i verificatori in una sala riunioni invece che lasciarli girare liberamente in azienda senza accompagnamento. Identificare in anticipo chi seguirà i verificatori (tipicamente il direttore amministrativo o il titolare stesso) e chi sarà di supporto per recuperare i documenti richiesti. Questa preparazione logistica farà risparmiare tempo e darà un’impressione di efficienza e collaborazione.
  • Formazione del personale chiave: Oltre ai titolari, anche i dipendenti coinvolti (responsabile amministrativo, impiegati contabilità, magazzinieri per l’inventario, ecc.) dovrebbero avere nozioni base su come comportarsi durante un controllo. Evitare panico, evitare dichiarazioni avventate. Se ad esempio il verificatore chiede al magazziniere “Quanti pezzi di questa merce avete in giacenza?”, il magazziniere dovrebbe sapere che è importante dare risposte accurate e coerenti con le scritture (facendo magari riferimento all’inventario ufficiale, anziché a stime a memoria). Simili accorgimenti si apprendono con briefing interni. Alcune aziende organizzano simulazioni o corsi brevi con i propri consulenti per preparare lo staff.
  • Verifica della compliance antiriciclaggio (se applicabile): Se la vostra azienda rientra tra i soggetti obbligati (p.es. studio professionale associato, agenzia immobiliare, compro oro), investite tempo per predisporre tutto secondo le norme AML: risk assessment, registri della clientela aggiornati, policy scritte, deleghe, verifica periodica del rispetto delle soglie di uso del contante, ecc. In caso di controllo antiriciclaggio, presentarvi già in regola farà un’enorme differenza. Potete anche far svolgere audit antiriciclaggio interni o da consulenti esterni per individuare criticità prima che lo faccia la GdF.
  • Controllare l’utilizzo del contante e movimenti finanziari: Anche se non obbligata a norme AML, ogni impresa dovrebbe limitare il più possibile l’uso di contante nei pagamenti e tenere traccia rigorosa di prelievi e versamenti. Prelevare somme ingenti dal conto aziendale “per spese” senza giustificarne l’impiego può destare sospetti (possono presumere acquisti in nero). Allo stesso modo, versamenti di contante sul conto societario dovrebbero avere una chiara provenienza (es. incassi documentati). Regola pratica: per ogni operazione di rilievo che non transita su circuiti tracciati, annotatevi una spiegazione e raccogliete prove (ricevute, ecc.). Ad esempio, se il titolare preleva €10.000 dalla cassa per un’emergenza, fate firmare una distinta che attesti la causale. Questi memo saranno preziosi se mesi o anni dopo qualcuno chiederà “che fine hanno fatto quei 10mila euro?”.
  • Simulare il proprio controllo fiscale: In alcune situazioni, può valere la pena chiedere al proprio consulente fiscale di effettuare una sorta di “verifica simulata”. Il professionista, con occhio critico, esaminerà la contabilità e la documentazione proprio come farebbero gli ispettori, evidenziando eventuali punti deboli. Ad esempio: “Vedo che nel 2022 i ricavi sono crollati del 40%: come giustifichiamo ciò in caso di domanda?” – “Questa fattura di acquisto rilevante è registrata ma manca il contratto, procuriamolo.” – “Hai diversi forfettari tra i clienti: l’Agenzia potrebbe chiedere la documentazione di questi costi, teniamola pronta.” Queste verifiche preventive aiutano a correggere il tiro prima che arrivi un controllo vero.

In sintesi, prepararsi a un controllo significa adottare una cultura aziendale orientata alla compliance e alla trasparenza, senza ovviamente rinunciare ai legittimi vantaggi fiscali previsti dalla legge. Un contribuente ben organizzato dimostra immediatamente ai verificatori di essere collaborativo e difficilmente nasconde qualcosa. Ciò spesso rende il controllo più spedito e magari meno approfondito, perché la controparte percepisce minori rischi di evasione. Al contrario, disordine e reticenza sono calamite per ispezioni meticolose.

Nel prossimo capitolo, entreremo nel vivo di cosa fare durante il controllo: come comportarsi il giorno (o i giorni) in cui i verificatori sono in azienda, per gestire al meglio la situazione e non compromettere i propri diritti.

Cosa fare durante il controllo

Il momento del controllo in azienda è senz’altro il più delicato. È fondamentale mantenere la calma, collaborare senza però rinunciare alle proprie garanzie. In questa sezione vediamo passo passo come comportarsi dall’arrivo degli ispettori fino alla chiusura delle operazioni quotidiane, con un occhio a diritti e doveri del contribuente durante la verifica.

1. Accoglienza degli ispettori – identificazione: Quando gli ispettori si presentano, fatevi mostrare i documenti di identità professionale. Solitamente esibiscono un tesserino (per la GdF, placca e documento matricolare; per AE, tesserino di funzionario) e consegnano copia dell’ordine di accesso firmato dal capo ufficio competente. Prendete nota dei nomi dei verificatori e dell’ufficio che rappresentano. È buona norma dimostrarsi cortesi e disponibili fin da subito: accoglieteli in un’area adatta (es. sala riunioni) offrendo eventualmente un caffè o acqua, e fate in modo che l’incontro iniziale avvenga con la presenza del titolare o del responsabile amministrativo. Mostrare collaborazione sin dal principio crea un clima più disteso.

2. Verificare l’orario e le condizioni di accesso: Gli accessi devono avvenire, per legge, durante l’orario di esercizio o di apertura al pubblico dell’attività. Se, ipotesi rara, gli ispettori si presentassero fuori orario (ad es. di sera tardi in azienda chiusa), avreste titolo per eccepirlo. In pratica, ciò avviene solo in casi eccezionali e con provvedimenti particolari (per es. se temono fughe di documenti). Normalmente, orario e luogo saranno rispettati. Se la vostra azienda ha stabilimenti diversi, l’accesso sarà limitato alla sede indicata nell’ordine (salvo estensioni concordate in seguito).

3. Diritto di essere informato e assistito: All’avvio delle operazioni, i verificatori devono comunicarvi le ragioni e l’oggetto della verifica. Prestate attenzione a quanto spiegano: ad esempio potrebbe trattarsi di “verifica generale per anni d’imposta 2021-2022 su IVA e imposte dirette” oppure di “accesso mirato per riscontro documentazione credito IVA trimestrale chiesto a rimborso”. Sapere l’ambito vi aiuta a circoscrivere le richieste. In questa fase vi ricorderanno anche che potete farvi assistere da un professionista di fiducia (se non lo menzionano loro, potete voi dichiarare che chiamerete subito il commercialista perché vi raggiunga). Non esitate a coinvolgere il consulente: la sua presenza può essere molto utile per dialogare da tecnico a tecnico con gli ispettori. Nel frattempo, il controllo può iniziare anche mentre il consulente è in arrivo.

4. Mantenere un atteggiamento collaborativo ma vigile: Durante tutta la verifica, tenete un comportamento cordiale, rispettoso e cooperativo. Ciò significa: rispondere alle domande (per quanto possibile) in modo veritiero, fornire i documenti richiesti in tempi ragionevoli, mettere a disposizione spazi e attrezzature (es. una scrivania, una presa elettrica per i laptop della GdF, l’accesso alla fotocopiatrice, Wi-Fi se serve per connettersi ai registri elettronici). Allo stesso tempo, evitate l’eccesso di confidenza o di condiscendenza: è un contesto formale, ogni cosa detta o fatta può finire a verbale. Meglio parlare quando interrogati o quando necessario per chiarire, piuttosto che chiacchierare a ruota libera: non è il momento di sfogarsi su questioni personali col Fisco o lamentarsi del sistema. Ogni osservazione rilevante conviene farla mettere a verbale piuttosto che lasciarla come conversazione informale.

5. Limitare l’ambito dell’ispezione all’oggetto dichiarato: Sebbene i verificatori abbiano poteri ampi, non possono “andare a pesca” ovunque senza motivo. Se l’oggetto del controllo dichiarato era, ad esempio, l’IVA del 2021, la verifica dovrebbe incentrarsi su quell’aspetto; ovviamente, se emergono indizi di altre irregolarità, possono estendere il campo, ma devono motivarlo. Inutile (e spesso controproducente) cercare di impedire loro di guardare qualcosa – hanno facoltà di farlo – ma se notate che stanno chiedendo documenti totalmente avulsi dall’oggetto, potete cortesemente chiedere spiegazioni: “Questa è una verifica IVA 2021, come mai vi interessa il contratto di affitto del 2018?” Spesso c’è una ragione (es. confronto storico); qualora fosse un evidente eccesso, la cosa migliore è farlo presente nelle osservazioni a verbale, senza per ora opporsi in modo plateale.

6. Esibizione dei documenti richiesti: Uno dei doveri principali durante la verifica è esibire tutta la documentazione richiesta attinente al controllo. Ciò include registri contabili, fatture, contratti, documenti amministrativi, anche corrispondenza se rilevante. Tenete a mente che è obbligatorio esibire i documenti esistenti: non potete rifiutarvi di mostrare registri o fatture che avete, altrimenti incorrereste in violazioni (occultare o distruggere documenti durante una verifica è un illecito grave, anche penale in certi casi). Se un documento richiesto non è immediatamente disponibile (magari è presso il consulente esterno, o archiviato altrove), non andate nel panico: informate i verificatori e concordate le modalità per recuperarlo (es. farlo recapitare dal commercialista in giornata, oppure trasmetterlo via email/Pec entro breve). Spesso gli ispettori sono ragionevoli su questo, purché non sembri una scusa per prendere tempo indefinitamente. Se il documento proprio manca perché non esiste (ad es. vi chiedono un contratto e non ne avete mai fatto uno scritto), ditelo chiaramente. Sarà una mancanza a vostro sfavore forse, ma mentire dicendo “lo cerco” per poi non consegnare nulla peggiora solo la situazione.

7. Presenziare alle ispezioni fisiche: Se i verificatori girano per l’azienda – ad esempio per controllare il magazzino o osservare il ciclo produttivo – accompagnateli sempre. Non lasciate che vadano in giro da soli. Non tanto perché non siano fidati, ma per poter fornire sul momento spiegazioni su ciò che vedono (es. “questo locale non è nostro ma affittato a terzi”, oppure “questo macchinario è fermo da mesi per guasto, ecco perché è dismesso”). Inoltre, la vostra presenza evita possibili fraintendimenti. Se dividete i compiti (es. un verificatore controlla la contabilità e un altro fa un giro in magazzino), fate in modo che un vostro rappresentante sia con ognuno dei gruppi.

8. Verbali giornalieri e firma: Come detto, ogni giornata di verifica (o ogni fase) termina con la redazione di un Processo Verbale di Constatazione giornaliero. Questo documento elenca i documenti esibiti, le attività svolte e può riportare eventuali dichiarazioni rese dal contribuente o dai dipendenti in quella giornata. Leggete con attenzione il verbale prima di firmarlo. È vostro diritto far inserire le vostre osservazioni o dichiarazioni integrative. Ad esempio, se nel verbale è annotato “Non viene esibito il registro dei corrispettivi di giugno”, e sapete che esiste ma non l’avete trovato in quel momento, potreste far mettere a verbale: “Il contribuente dichiara che il registro è esistente e sarà esibito domattina previa ricerca in archivio”. Oppure, se dal verbale sembra emergere un’anomalia che avete una spiegazione per chiarire, chiedete che sia riportata la vostra spiegazione. Non abbiate fretta o timore nel firmare: avete il diritto di prendervi il tempo necessario per leggere e consultare il vostro consulente prima di sottoscrivere. In genere è sconsigliabile rifiutare la firma: la mancata firma non invalida affatto il verbale, e vi priva solo della possibilità di inserire contestualmente le vostre rimostranze. Meglio firmare “con riserva” o aggiungendo note che evidenziano i punti di dissenso. La guida ufficiale dice: “il verbale può rappresentare un utile strumento di difesa: è già durante i controlli che si gioca la partita”, ciò significa che ogni vostra obiezione sollevata subito (e messa a verbale) potrebbe tornare a vostro favore in seguito, mentre contestazioni fatte dopo rischiano di suonare come pensate a posteriori.

9. Dichiarazioni dei dipendenti: Talvolta i verificatori possono rivolgere domande direttamente a dipendenti o collaboratori presenti, ad esempio per capire il funzionamento di un macchinario o chiedere conferma di orari di lavoro. In generale, conviene che le comunicazioni con gli ispettori avvengano tramite il rappresentante dell’azienda presente (titolare o delegato); però se un dipendente è interrogato direttamente, che questi risponda onestamente ma concisamente. I dipendenti non sono tenuti a rilasciare dichiarazioni formali (non hanno responsabilità diretta sulle tasse dell’azienda), ma spesso i loro commenti vengono annotati come informazioni. Se siete presenti e un dipendente rischia di dare informazioni errate, potete intervenire per chiarire (senza zittirlo bruscamente, magari completando la risposta: “Aggiungo io che….”). Evitate però di sembrare che vogliate pilotare le risposte: i verificatori devono poter fare domande liberamente. Informalmente, potete istruire i vostri collaboratori in anticipo: “Se vi chiedono qualcosa rispondete solo a quello che chiedono, senza divagare, e se non sapete dite pure che vi rivolgete al responsabile”. È un approccio prudente.

10. Utilizzo di computer e email: Durante la verifica, gli ispettori potrebbero voler controllare i dati sul gestionale aziendale o scaricare in digitale dei documenti. Ad esempio, potrebbero chiedere un backup del database contabile, o l’accesso al sistema di fatturazione elettronica. Oppure potrebbero voler visionare alcune email (in caso di ipotesi di operazioni fittizie, alle volte cercano conferme nella corrispondenza commerciale). Qui bisogna distinguere: il poter acquisire copie di file rientra nei poteri dell’ispezione (sempre che pertinente all’indagine); l’accesso indiscriminato alle email invece sconfina nella privacy e richiede tipicamente decreti specifici (specialmente se email personali). In pratica, se vi mostrano autorizzazione a controllare il server di posta aziendale per cercare, ad es., prove di false fatture, dovrete consentirlo. Se invece informalmente chiedono “ci farebbe vedere qualche scambio di mail con questo fornitore?”, valutate con il legale se acconsentire o richiedere un provvedimento formale. Un approccio bilanciato: mostrate disponibilità a fornire dati digitali utili (anche per evitare la percezione che nascondiate qualcosa), ma tutelate dati irrilevanti e sensibili. Potete concordare, ad esempio, di filtrare insieme a loro le email per parola chiave, invece di consegnare intere caselle di posta.

11. Tutela dell’attività aziendale in corso: Avete diritto che la verifica rechi la minore turbativa possibile allo svolgimento dell’attività. Ciò significa che, compatibilmente con le esigenze di indagine, i verificatori dovrebbero evitare di bloccare l’operatività. Se ad esempio avete un negozio con clienti, i verificatori si accomoderanno in un ufficio sul retro e non interagiranno coi clienti. Nel caso improbabile di atteggiamenti che danneggino la vostra immagine (verificatori che interrogano clienti in sala mostra, o controlli rumorosi), potete richiamare l’attenzione sul principio di “turbativa minima” e chiedere di spostare altrove certe operazioni. Anche il vestiario: la GdF in abiti civili, non in divisa, durante accessi in azienda privata, proprio per non allarmare terzi e mantenere riservatezza. Se ciò non fosse (es. arrivassero in divisa e arma in vista in un negozio affollato senza necessità), potreste farlo presente come scorretto.

12. Divieto di autodifesa “esagerata”: Durante il controllo, per quanto possiate sentirvi sotto accusa, evitate comportamenti ostili o, peggio, tentativi di corruzione od ostacolo. Offrire denaro o regali ai verificatori per “ammorbidirli” costituisce reato di corruzione. Ostacolare fisicamente un’ispezione (impedire l’accesso a un locale, sottrarre documenti sotto sequestro) può portare a conseguenze penali (intralcio alla giustizia, ecc.). Anche simulare furti o incendi improvvisi per giustificare la mancanza di documenti è un boomerang (queste scuse sono tristemente note al Fisco e quasi mai credibili se non supportate da denunce autentiche pregresse). Insomma, mantenete sempre una condotta rispettosa della legge: qualsiasi eccesso potrebbe aggravare la vostra posizione. Se qualcosa nel controllo vi sembra illegittimo, la strada giusta è contestarlo per via legale successivamente, non impedire il controllo.

In generale, ogni parola e gesto durante la verifica può avere rilievo. È come un esame: siate trasparenti ma attenti, collaborativi ma consapevoli dei vostri diritti. Nel dubbio su come reagire a una richiesta, consultatevi col vostro professionista: ad esempio, se la GdF chiede di portar via alcuni documenti originali, saprà il vostro legale consigliarvi se opporvi (hanno in genere diritto di sequestrare o trattenere atti solo con autorizzazioni particolari; normalmente fanno fotocopie in loco).

Riassumiamo ora in una tabella i principali diritti e doveri del contribuente durante un controllo fiscale in azienda, come promemoria rapido:

Diritti del Contribuente (Statuto e norme)Doveri del Contribuente durante la verifica
Essere trattato con rispetto e minima turbativa dell’attività aziendale.Consentire l’accesso ai locali aziendali ai verificatori autorizzati.
Essere informato su motivi e oggetto della verifica sin dal primo accesso.Esibire tutta la documentazione contabile e fiscale richiesta.
Farsi assistere da un professionista di fiducia (es. commercialista).Fornire risposte veritiere a questionari e richieste di informazioni (evitando reticenze ingiustificate).
Far verbalizzare osservazioni e richieste a propria difesa durante le operazioni.Agevolare le operazioni di controllo (fornire spazi, strumenti, collaborazione pratica).
Richiedere, se opportuno, che la verifica prosegua presso l’ufficio dei verificatori o del proprio consulente (per ridurre giorni in azienda).Firmare i verbali di verifica (eventualmente con riserva o annotazioni) a conferma dell’avvenuta ricezione.
Diritto alla riservatezza su aspetti non rilevanti (non divulgazione a terzi dei dati aziendali raccolti).Non ostacolare l’ispezione: divieto di occultare, alterare o distruggere documenti rilevanti.
Inviolabilità del domicilio privato: accessi in locali abitativi solo con mandato P.M..Rispetto dei termini: se richiesto di produrre documenti entro una certa data, adempiere tempestivamente.
Diritto al contraddittorio endoprocedimentale: possibilità di far valere le proprie ragioni prima dell’atto finale (vedi dopo).Pagare le imposte accertate e sanzioni se dovute, salvo attivare strumenti di difesa (adesione, ricorso, ecc.).
Possibilità di rivolgersi al Garante del Contribuente per segnalare condotte scorrette dei verificatori.Osservare le norme antiriciclaggio (se soggetto obbligato) e collaborare anche in tali controlli speciali.

(Tabella: principali diritti garantiti al contribuente dallo Statuto del Contribuente e normative correlate, e corrispondenti doveri e comportamenti richiesti durante un controllo fiscale.)

Come si vede, molti diritti del contribuente corrispondono specularmente a suoi obblighi: ad esempio, il contribuente ha diritto a essere informato sulle ragioni del controllo, e in parallelo ha il dovere di fornire informazioni veritiere; ha diritto a non essere vessato con controlli duplicati, e ha il dovere di non intralciare i controlli legittimamente in corso. Conoscere questi diritti aiuta a farli valere in modo appropriato: se ritenete che una garanzia sia violata (ad es. verificatori che eccedono i giorni consentiti senza motivo, o che ignorano le vostre richieste di mettere a verbale osservazioni), prendetene nota e fatelo presente nelle conclusioni o successivamente, ma mantenendo sempre un atteggiamento collaborativo nell’immediato.

Dopo aver affrontato il controllo in sé, resta una fase altrettanto importante: cosa fare al termine del controllo, ovvero come gestire i risultati della verifica, le eventuali contestazioni emerse nel PVC e quali strategie adottare dopo che gli ispettori hanno lasciato l’azienda. Questo è l’oggetto della prossima sezione.

Cosa fare dopo il controllo

Terminata la verifica sul campo – con la consegna del Processo Verbale di Constatazione (PVC) finale – inizia per il contribuente una nuova fase, altrettanto cruciale, che possiamo dividere in due momenti: immediato post-verifica (nei 30-60 giorni successivi al PVC) e fase di eventuale accertamento e contenzioso. Vediamo come procedere:

1. Analizzare a fondo il PVC: Il processo verbale di constatazione riepiloga tutte le irregolarità contestate dai verificatori. Può essere un documento corposo, suddiviso per argomenti (es. IVA, Imposte dirette, IRAP, lavoro, ecc.) con indicazione dei rilievi (maggiori imponibili accertati, costi indeducibili, violazioni formali, ecc.) e riferimenti normativi. È fondamentale, appena ricevuto, leggerlo attentamente insieme al proprio consulente. Identificate chiaramente ogni contestazione e valutate:

  • Ci sono errori di fatto nel PVC? (es. hanno calcolato male un importo, o attribuito all’azienda un reddito di un soggetto terzo, ecc.)
  • Ci sono interpretazioni discutibili? (es. un costo ritenuto indebito ma che secondo voi è lecito, magari supportato da documentazione non considerata)
  • Quali contestazioni sono oggettivamente fondate e difficilmente confutabili? (es. omessa fattura per una vendita effettivamente rinvenuta in nero)
  • Quali elementi di prova a discarico potete raccogliere per contrastare ciascun rilievo?

Fare una checklist dei punti contestati, con accanto l’azione correttiva o difensiva per ognuno. Questa analisi serve sia in vista di un eventuale contenzioso sia per decidere se aderire alle richieste del Fisco con gli strumenti deflattivi disponibili.

2. Osservazioni post-verifica (contraddittorio): Fino al 2023, il contribuente aveva per legge 60 giorni di tempo dopo il PVC per presentare all’Ufficio delle memorie e osservazioni (art. 12, c.7 L.212/2000). Durante questo periodo l’Agenzia doveva attendere prima di emettere l’avviso di accertamento, salvo casi di particolare urgenza. Questa previsione – che costituiva un “contraddittorio endoprocedimentale” garantito – è stata abrogata dalla riforma fiscale (D.Lgs. 219/2023). Dunque, oggi non c’è più un termine generale di 60 giorni garantito per legge prima dell’emissione dell’atto. In pratica, l’ufficio potrebbe procedere abbastanza celermente a notificare l’avviso di accertamento dopo la chiusura della verifica.

Tuttavia, presentare delle osservazioni scritte al termine della verifica rimane un diritto (anche se non più con obbligo di attesa da parte dell’ufficio). È comunque buona prassi inviare entro 60 giorni un documento all’Agenzia delle Entrate in cui si contestano in modo articolato i rilievi del PVC, fornendo eventuali elementi aggiuntivi non considerati. Questo potrà essere utile più avanti in sede di ricorso per dimostrare che tali argomentazioni erano già state portate all’attenzione dell’ufficio. Inoltre, in casi fortunati, l’ufficio potrebbe in autotutela rivedere o annullare alcuni addebiti se le osservazioni evidenziano errori palesi. In sintesi: anche se la norma è abrogata, inviare le osservazioni post-verifica conviene ancora, preferibilmente tramite PEC o raccomandata, protocollandole all’ufficio accertatore.

3. Valutare l’“adesione al PVC”: La novità introdotta a fine 2023 – operativa per i PVC emessi dal 1° gennaio 2024 – è la possibilità per il contribuente di aderire immediatamente ai contenuti del PVC, evitando la fase di accertamento formale. Il *Decreto Legislativo *13/2024 (attuativo della delega fiscale) ha inserito l’art. 5-quater nel D.Lgs. 218/1997, ripristinando l’adesione ai verbali di constatazione. In pratica, entro 30 giorni dalla consegna del PVC, il contribuente può presentare una comunicazione all’ufficio con cui dichiara di voler aderire integralmente a quanto constatato.

Cosa comporta l’adesione? In sostanza, l’ufficio non emetterà un avviso di accertamento tradizionale, ma direttamente un atto di definizione (equiparabile a un accertamento parziale) che recepisce i rilievi del PVC. In cambio, il contribuente ottiene un forte sconto sulle sanzioni: queste infatti sono ridotte alla metà del minimo edittale, che equivale a pagare solo 1/6 (un sesto) delle sanzioni normalmente previste. Si tratta di una riduzione molto vantaggiosa (più conveniente dell’accertamento con adesione o dell’acquiescenza, che prevedono 1/3). Inoltre si evitano le penalità del contenzioso e si può chiudere rapidamente la partita.

Attenzione: l’adesione al PVC deve essere totale. Non è possibile aderire solo ad alcuni rilievi e contestarne altri. È un pacchetto “prendere o lasciare”. L’unica eccezione è data dalla cosiddetta adesione condizionata per errori manifesti: se ritenete che nel PVC vi siano errori evidenti (ad esempio errori di calcolo, duplicazioni, scambi di persona, insomma cose oggettive e immediatamente riscontrabili), potete comunicare un’adesione subordinata alla correzione di tali errori. I verbalizzanti avranno 10 giorni per valutare e, se concordano, emendare il PVC. In caso di correzione, l’adesione diventa efficace sul PVC aggiornato. Se invece i verificatori (o l’ufficio) respingono la richiesta di correzione, l’adesione condizionata si intende non perfezionata e si potrà allora decidere se aderire comunque (accettando i rilievi originali) oppure procedere con il normale iter (attendere l’accertamento e poi difendersi). La norma non esplicita cosa accade se c’è dissenso sugli errori: presumibilmente il contribuente potrà rinunciare e andare in contenzioso, oppure, secondo alcuni, impugnare il diniego di correzione come atto autonomo (questioni interpretative ancora aperte).

Pro e contro dell’adesione al PVC: Il vantaggio principale sono le sanzioni ridotte a un sesto e la chiusura immediata della vicenda (si paga e non se ne parla più, salve future verifiche su altri periodi). Di contro, aderire significa rinunciare a qualunque contestazione anche legittima: se il PVC contiene rilievi dubbi o ingiusti, accettandoli chiudete la porta a possibili annullamenti in giudizio. Dunque, valutate l’adesione se: i rilievi sono fondati e/o di entità limitata; l’azienda preferisce certezza e pace fiscale immediata; oppure se l’ufficio ha concesso qualche correzione migliorativa (es. eliminazione di un rilievo minore). Al contrario, se nel PVC vi sono contestazioni pesanti e secondo voi erronee, può convenire non aderire e predisporre la difesa.

Modalità pratica: per aderire, inviate entro 30 giorni dal PVC la comunicazione all’ufficio accertatore e al reparto che ha redatto il verbale. L’ufficio, entro 60 giorni dalla vostra comunicazione, emetterà l’atto di definizione dell’accertamento con il calcolo di imposte e sanzioni (ridotte). Dovrete poi pagare entro 20 giorni dall’atto (o rateizzare fino a 8 rate trimestrali, 16 se importo > €50.000). Il pagamento perfeziona l’adesione.

4. Accertamento con adesione (post-avviso): Se non si è aderito al PVC o per i PVC ante 2024, la procedura “classica” di accertamento con adesione resta utilizzabile, ma si attiva dopo la notifica dell’avviso di accertamento. Quando ricevete l’avviso di accertamento (ne parleremo nel prossimo paragrafo), avete 30 giorni per presentare istanza di adesione all’ufficio (art. 6 D.Lgs. 218/97). Questo sospende i termini per ricorrere e avvia un confronto con l’ufficio per trovare un accordo sulle somme dovute. Spesso l’accertamento con adesione viene concesso dall’ufficio soprattutto se ci sono margini di trattativa (es. su quantificazione di ricavi non dichiarati, su qualificazione fiscale di operazioni, ecc.). Se si raggiunge un accordo, si redige un atto di adesione con le nuove somme concordate e il contribuente paga con sanzioni ridotte a 1/3 del minimo (o 1/6 se il rilievo era definibile con PVC ma ormai si è oltre… in generale post-avviso è 1/3). L’adesione evita il ricorso in Commissione e rende definitive (immodificabili) le pretese per quell’anno.

Va detto che con l’introduzione dell’adesione al PVC, il legislatore punta a spostare la fase di confronto prima dell’avviso, quindi l’adesione “classica” potrebbe divenire meno frequente. In ogni caso, rimane uno strumento utile se non si è definito il PVC e si vuole evitare il contenzioso, accettando un compromesso eventualmente al ribasso rispetto all’accertato.

5. Ricezione dell’Avviso di Accertamento: Se non si è definito in via amministrativa (né con PVC né con adesione dopo avviso), o se l’ufficio decide comunque di emettere l’atto, verrà notificato un Avviso di Accertamento. Questo è l’atto impositivo formale, contro cui eventualmente proporre ricorso. Normalmente, l’accertamento deve essere motivato in relazione alle risultanze del PVC e alle eventuali vostre difese presentate (se avete inviato osservazioni o partecipato a adesione). Ad esempio, se avevate fornito chiarimenti su un punto, l’avviso di accertamento dovrà confutarli per giustificare la pretesa.

Quando ricevete l’avviso, non ignoratelo: la notifica (via PEC o raccomandata) fa decorrere termini perentori. A questo punto avete alcune opzioni:

  • Acquiescenza (pagamento agevolato): Se ritenete di non voler contestare l’accertamento (magari perché conveniente grazie a sconti, o perché le chance di vittoria in giudizio le valutate scarse), potete optare per l’acquiescenza. Consiste nel pagare integralmente le somme dovute entro il termine per il ricorso (60 giorni dalla notifica) beneficiando di una riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo (in pratica la stessa riduzione dell’accertamento con adesione). L’acquiescenza esclude qualsiasi impugnazione: pagando, accettate l’atto. Talvolta gli uffici, insieme all’accertamento, inviano una sorta di “invito alla definizione agevolata” evidenziando l’importo ridotto da pagare in acquiescenza entro 60 giorni. Valutate questa opzione se l’importo non è eccessivo e preferite chiudere subito evitando ulteriori spese legali.
  • Istanza di accertamento con adesione: Come detto, entro 30 giorni dall’avviso potete presentare istanza di adesione. Se non l’avevate già tentata prima, è la sede per negoziare. L’istanza sospende i termini per ricorrere per 90 giorni. Se si avvia il dialogo con l’ufficio, potrebbe portare a uno sgravio parziale e a sanzioni 1/3. Se la trattativa non va a buon fine, l’ufficio vi comunicherà esito negativo o semplicemente non concluderà entro 90 giorni; a quel punto avrete ulteriori 60 giorni per presentare ricorso (i 60 originari sospesi più 60 nuovi). L’adesione post-avviso è utile se vedete apertura dall’ufficio: in molti casi però, se c’è un PVC dettagliato alle spalle, lo spazio di manovra è ridotto. Ma tentar non nuoce, soprattutto se l’importo in gioco è alto e andare in contenzioso comporterebbe rischio di dover pagare subito una parte (vedi dopo).
  • Ricorso alla Commissione Tributaria (ora Corte di Giustizia Tributaria): Se non si chiude in via amministrativa, l’unico modo per contestare l’accertamento è presentare entro 60 giorni un ricorso tributario presso la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale). Il ricorso va predisposto con motivazioni giuridiche e fattuali, eventualmente corredato da documenti e, a seconda del valore, firmato da un difensore abilitato (dottore commercialista, consulente del lavoro o avvocato tributarista). Nel prossimo capitolo “Difesa e contenzioso” tratteremo in dettaglio come funziona il processo. Qui anticipiamo che, una volta presentato ricorso, l’esigibilità delle somme contestate è sospesa solo parzialmente: l’Agenzia non può riscuotere coattivamente tutto, ma può comunque iscrivere a ruolo un terzo delle imposte accertate (oltre interessi) in pendenza di giudizio. Dunque, il contribuente potrebbe ricevere una cartella per il 1/3 dell’importo anche se ha fatto ricorso. Per evitare di pagare anche quel terzo subito, si può chiedere al giudice una sospensione cautelare dell’atto, dimostrando sia la fondatezza del ricorso (fumus) sia il rischio di danno grave dall’esecuzione (periculum in mora). Le Corti spesso concedono la sospensione per importi molto elevati o contribuenti in difficoltà, ma non è scontato. Bisogna ponderare questo aspetto nelle scelte: se l’accertamento vi addebita, poniamo, 300.000 € di imposte, sappiate che circa 100.000 € potrebbero essere esigibili presto (dopo 30 giorni dalla notifica, scaduto il termine per acquiescenza, l’Agente della Riscossione può emettere cartella su 1/3). La sospensione, se ottenuta, ferma la riscossione fino alla sentenza di primo grado.

6. Preparare la strategia difensiva: Dopo il PVC e prima (o in concomitanza) dell’avviso, conviene consultare un esperto per mettere a punto la strategia di difesa. Si tratta di decidere quali argomentazioni utilizzare e che prove presentare. Alcuni punti chiave:

  • Se durante la verifica avete fatto mettere a verbale certe circostanze a vostro favore, utilizzatele a supporto ora (es. nel PVC risulta già dichiarato che un’operazione contestata in realtà era un errore poi corretto, ecc.).
  • Raccogliete documenti e testimonianze a supporto. Ad esempio, se viene contestata l’inesistenza di una operazione con un fornitore, potreste raccogliere dichiarazioni di quel fornitore o ulteriori documenti (bolle, email, DDT) che confermano la realtà dell’operazione, da produrre eventualmente in giudizio.
  • Giurisprudenza e normativa: verificate se ci sono precedenti di Cassazione o CTR su casi simili. Spesso nei ricorsi tributari si fa leva su pronunce favorevoli su questioni identiche (ad esempio: Cassazione che annulla accertamento perché violato contraddittorio, oppure che definisce deducibile un certo costo). Nella nostra guida abbiamo citato alcune sentenze utili: ad esempio, Cass. Ottobre 2024 n.27745 ha ribadito l’obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale e l’invalidità dell’atto se il contribuente prova che avrebbe potuto chiarire. Questo principio può essere invocato se, ad esempio, non vi hanno dato modo di spiegare qualcosa prima di emettere l’avviso. Un’altra: Cass. 2012 ha affermato la nullità di accertamento scaturito da accesso senza gravi indizi in domicilio privato. Se fosse il vostro caso (accesso inabitazione senza autorizzazione appropriata), quella sentenza sarebbe un pilastro della difesa. Un buon legale tributarista saprà individuare le sentenze di riferimento più aggiornate al 2025 pertinenti ai vostri rilievi.
  • Aspetti formali dell’atto: Controllate sempre se l’avviso di accertamento presenta vizi formali: ad esempio, è stato notificato oltre i termini decadenziali? (di regola il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione). Oppure: ha indicato i riferimenti al PVC e considerato le vostre memorie? È firmato dal funzionario competente? Spesso cavilli formali non bastano da soli, ma insieme ad altri motivi formano un quadro difensivo completo.
  • Calcoli delle sanzioni e interessi: Verificate che l’ufficio abbia applicato correttamente le aliquote sanzionatorie e calcolato gli interessi dal giorno giusto. Anche qui, piccoli errori non annullano l’atto, ma vanno corretti ed eventualmente contestati per ridurre l’importo.

7. Pagamenti e rateazioni: Dopo il controllo, può capitare di dover comunque pagare qualcosa (magari scegliete l’adesione per alcuni rilievi minori, o l’acquiescenza su parte). Sfruttate tutte le possibilità di rateazione previste: l’atto di accertamento definitivo consente fino a 8 rate trimestrali (o 16 se > 50k €). Se siete in difficoltà di liquidità, non abbiate timore a chiedere piani di dilazione; meglio pagare dilazionato che finire nei ruoli esattoriali con aggravio di aggi e interessi di mora.

8. Reati tributari: Un aspetto spesso parallelo: se nel corso della verifica sono emerse violazioni penal-tributarie (ad esempio omessa dichiarazione sopra soglia, utilizzo di false fatture, occultamento di imponibile rilevante), la Guardia di Finanza avrà presumibilmente informato la Procura. In tal caso, vi potreste trovare a dover affrontare anche un procedimento penale (ai sensi del D.Lgs. 74/2000). È fondamentale coordinare la difesa amministrativa con quella penale: ad esempio, valutare che effetti potrebbe avere una definizione in adesione sul procedimento penale (in alcuni casi il pagamento del debito tributario prima del dibattimento estingue il reato, come per il reato di omesso versamento IVA). Oppure, se si va in giudizio tributario, le risultanze potrebbero influenzare il penale e viceversa. Questo esula dalla guida, ma è un promemoria: informate immediatamente il vostro legale se sospettate profili penali, e seguite i suoi consigli su come muovervi (ad es. potrebbe suggerirvi di non fornire certe dichiarazioni in sede amministrativa che potrebbero nuocere nel penale, dove vige il diritto al silenzio). Fortunatamente, per la maggior parte delle PMI i controlli si risolvono in ambito amministrativo, ma è bene esserne consapevoli per i casi più gravi.

9. Rapporti con il Garante del Contribuente: Se ritenete di aver subìto comportamenti scorretti o lesivi dei vostri diritti da parte dei verificatori o dell’ufficio (ad esempio: verifica durata ben oltre i limiti senza motivi, mancata considerazione delle memorie difensive, ecc.), potete presentare un’istanza al Garante del Contribuente regionale. Il Garante è una figura prevista dallo Statuto (art. 13 L.212/2000) con compiti di vigilare sul rispetto dei diritti del contribuente. Può intervenire con raccomandazioni o richiami agli uffici, e in teoria segnalare abusi. Non ha potere di annullare atti, ma il suo intervento talvolta induce l’ufficio a maggiore cautela. Ad esempio, se lamentate al Garante che l’accertamento è stato emesso prima dei 60 giorni dal PVC senza urgenza, egli potrebbe richiamare l’ufficio ai principi di collaborazione e buona fede. Nel vostro ricorso, poi, potrete allegare tale segnalazione come ulteriore elemento a supporto della vostra posizione.

Riassumendo la fase post-controllo: riesaminate tutto, valutate se definire bonariamente pagando con sconti (adesione/acquiescenza) oppure se combattere (adesione parziale, ricorso). Ogni scelta va ponderata in base all’importo in gioco, alla solidità delle vostre argomentazioni e anche all’interesse a mettere fine rapidamente alla vicenda o meno. Nel prossimo capitolo entreremo più nel dettaglio delle opzioni di difesa e contenzioso, ossia cosa aspettarsi dal processo tributario e come far valere al meglio le proprie ragioni legalmente.

Difesa e contenzioso

Non sempre il rapporto con il Fisco si chiude in sede amministrativa. Se il contribuente ritiene ingiuste le pretese dell’Agenzia delle Entrate e non si è raggiunto un accordo tramite adesione, l’ultima linea di difesa è il ricorso alla giustizia tributaria. In questa sezione esaminiamo gli strumenti di difesa formale e il funzionamento del contenzioso tributario, aggiornato alle ultime riforme (2022-2023) che hanno riorganizzato la materia.

Il ricorso tributario: quando e dove presentarlo

L’atto dell’Agenzia che contiene la pretesa fiscale (tipicamente l’Avviso di Accertamento) può essere impugnato davanti agli organi di giustizia tributaria. Dal 2023, le Commissioni Tributarie sono state ridenominate Corti di Giustizia Tributaria (di primo e secondo grado) a seguito della riforma della giustizia tributaria. La competenza territoriale è perlopiù invariata: fa fede il domicilio fiscale del contribuente o la sede dell’ufficio che ha emesso l’atto. Il ricorso va proposto alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (CGT) competente per territorio, entro 60 giorni dalla notifica dell’atto impugnato (accertamento, cartella, provvedimento fiscale, etc.).

Chi può predisporre il ricorso: Per controversie di valore fino a €3.000 (solo imposta, senza interessi e sanzioni) il contribuente può stare in giudizio da solo, senza assistenza tecnica. Oltre tale soglia, è obbligatoria l’assistenza di un difensore abilitato. Sono abilitati alla difesa tecnica in ambito tributario gli avvocati, i dottori commercialisti ed esperti contabili, i consulenti del lavoro, nonché (per cause relative a materie di loro competenza) i periti agrari, agrotecnici, ingegneri, etc. Nella pratica delle PMI, di solito è il commercialista o un avvocato tributarista a redigere il ricorso. Scegliete un professionista esperto in contenzioso tributario, dato che le regole processuali hanno specificità proprie.

Contenuto del ricorso: Deve indicare l’atto impugnato, i motivi di ricorso (in fatto e in diritto), le prove che si intendono offrire (documenti, testimonianze se ammesse, CTU se del caso), l’eventuale istanza di sospensione dell’atto, e la richiesta finale (annullamento/riforma dell’atto impugnato). Va sottoscritto dal difensore e dal contribuente, e notificato all’ufficio dell’Agenzia competente (di solito via PEC, visto che ormai il processo è telematico). Dopo la notifica, il ricorrente deve costituirsi in giudizio depositando il ricorso notificato presso la segreteria della CGT, sempre via modalità telematica, entro 30 giorni.

Il contributo unificato: Va pagato un contributo unificato per l’iscrizione a ruolo del ricorso, il cui importo varia in base al valore della controversia (ad es. €30 per cause fino a €3.000, €90 fino a €26.000, €180 fino a €52.000, e così via salendo fino a €1.500 per cause sopra €1.000.000). Assicuratevi di pagarlo, pena l’improcedibilità.

Fase di mediazione/reclamo obbligatoria

Per le controversie di valore non elevato, la legge prevede un tentativo obbligatorio di mediazione prima che il ricorso diventi effettivo (art. 17-bis D.Lgs. 546/92). Attualmente, per gli atti di valore fino a €50.000, il ricorso produce automaticamente anche un reclamo: esso viene presentato all’ufficio che ha emanato l’atto, e la causa resta sospesa per 90 giorni durante i quali l’Agenzia può accogliere, modificare o respingere il reclamo. Se l’ufficio ritiene di poter accordare una riduzione, può formulare una proposta di mediazione: spesso coincide con un abbattimento delle sanzioni a 1/3 o 1/4. Se il contribuente accetta la mediazione, la lite si chiude con un atto di mediazione e pagamento di quanto concordato (simile a un’adesione tardiva). Se trascorrono i 90 giorni senza intesa, il ricorso procede automaticamente in giudizio.

Questa fase è obbligatoria (a pena di inammissibilità del ricorso) per le liti fino a 50.000 € di valore. L’eventuale esito positivo comporta sanzioni ridotte al 35% (in mediazione le sanzioni sono scontate del 5% in più rispetto all’adesione) e definisce la questione. Nella pratica, l’Agenzia spesso in sede di reclamo rivede parzialmente l’atto se ci sono evidenti margini di errore o se capisce che la controparte potrebbe vincere su certi punti.

Svolgimento del processo tributario

Se il ricorso approda dinanzi al giudice, e non si concilia prima, si seguiranno queste fasi:

  • Costituzione in giudizio dell’Agenzia: l’Ufficio deve depositare entro 60 giorni (30 in caso di urgenza per sospensione) il proprio atto di controdeduzioni (memoria difensiva), in cui replica ai motivi di ricorso e chiede il rigetto, eventualmente depositando documenti (tra cui obbligatoriamente il PVC e ogni atto istruttorio relativo).
  • Istruttoria: di regola il processo tributario è documentale. Non è ammessa la prova testimoniale (art. 7 d.lgs. 546/92 la esclude espressamente), e le perizie sono ammesse raramente, solo su questioni tecniche complesse. Pertanto è cruciale aver prodotto tutta la documentazione probatoria. In certi casi si può chiedere al giudice di ordinare esibizioni all’Amministrazione o a terzi, ma è poco frequente. Le parti possono depositare memorie aggiuntive (fino a 20 giorni prima dell’udienza per repliche, 10 giorni prima per note brevi).
  • Pubblica udienza o decisione in camera di consiglio: su richiesta di parte o se il giudice lo ritiene, vi sarà un’udienza pubblica in cui il difensore può svolgere una discussione orale. In alternativa, il ricorso può essere deciso in camera di consiglio (senza discussione orale) sulla base degli atti scritti. Dopo la discussione (o allo scadere dei termini se deciso senza udienza), i giudici si riuniscono e deliberano la sentenza.
  • Sentenza di primo grado: viene emessa (teoricamente entro 30 giorni dall’udienza, ma spesso molto più tardi, anche diversi mesi). La sentenza può accogliere integralmente il ricorso (annullando l’atto impugnato), accoglierlo parzialmente (annullando in parte o riducendo l’imposta), oppure respingerlo. In caso di accoglimento parziale o totale, il giudice di primo grado può compensare le spese o condannare l’Agenzia a rifonderle (di solito succede se il contribuente vince su tutto o se l’ufficio ha mostrato malafede). Se il ricorso viene respinto, normalmente le spese sono a carico del contribuente soccombente (salvo occasionali compensazioni per particolarità).
  • Appello: entrambe le parti, se perdono in tutto o in parte, possono appellare la sentenza di primo grado alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex Commissione Regionale) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza (o 6 mesi dalla pubblicazione se non notificata). L’appello segue regole simili al primo grado, con depositi telematici e possibile udienza. In secondo grado è ammessa anche la prova testimoniale solo se tutte le parti sono d’accordo (cosa che l’Agenzia di solito nega, per cui raramente si ha).
  • Sentenza di appello: conferma, riforma o annulla la sentenza di primo grado. Se in appello la vittoria del contribuente è totale, finisce lì salvo casi eccezionali; se invece il contribuente perde (o l’Agenzia perde e vuole proseguire), rimane il ricorso per Cassazione.
  • Ricorso in Cassazione: è possibile solo per motivi di diritto (violazione di legge o vizi di motivazione della sentenza di secondo grado). I termini sono 60 giorni dalla notifica della sentenza di appello. In Cassazione è obbligatorio l’avvocato iscritto in apposito albo speciale (quindi il commercialista non può patrocinare in Cassazione). La Cassazione può confermare la decisione di appello oppure annullarla (eventualmente con rinvio a nuovo giudizio di merito presso altra CGT). I tempi per la Cassazione possono essere lunghi (anche 2-3 anni). Spesso per importi minori non conviene arrivare fino a lì per una questione di costi/benefici.

Effetti della pendenza del ricorso sulla riscossione

Come accennato, la presentazione del ricorso non sospende automaticamente la riscossione dell’atto impugnato. L’Agenzia delle Entrate Riscossione (ex Equitalia) può iniziare a riscuotere una parte durante il contenzioso:

  • Dopo la notifica dell’accertamento, trascorsi 60 giorni senza pagamento, si forma un ruolo provvisorio per il 50% delle imposte contestate (se avete fatto ricorso, altrimenti 100%). In realtà, per gli atti emessi negli ultimi anni, la legge prevede che sia iscritta a ruolo immediatamente solo 1/3 delle imposte accertate + interessi, e le sanzioni per intero ma ridotte a 1/3 (essendo come una sanzione provvisoria). Se in primo grado il contribuente perde, l’AdER può riscuotere un ulteriore 2/3 (portando al 100% imposta e sanzioni 2/3) dopo 30 giorni dalla sentenza di primo grado. Se poi il contribuente vince in appello, ciò che è stato pagato gli andrà restituito con interessi.
  • Per evitare esecuzioni (fermi amministrativi, pignoramenti) sul provvisorio, come detto bisogna chiedere la sospensione al giudice. Il giudice tributario può sospendere l’atto se ricorrono gravi motivi (grave danno e fondatezza del ricorso). Se concessa, la riscossione è bloccata fino alla sentenza di primo grado.
  • In alternativa o in aggiunta, è possibile chiedere all’Agente della riscossione una rateizzazione del debito iscritto a ruolo provvisoriamente (oggi fino a 72 rate mensili senza dover dimostrare decadenze, oppure piani straordinari 120 rate se in grave difficoltà). Questo non ferma il processo ma diluisce l’esborso.
  • Se il contribuente risulta vittorioso nel merito (sentenza definitiva a favore), ha diritto al rimborso di quanto eventualmente pagato in eccedenza, oltre interessi legali.

Strategie difensive e alternative nel contenzioso

Nella difesa in giudizio, oltre a contestare nel merito i rilievi, si possono percorrere alcune strategie deflattive durante il processo:

  • Conciliazione giudiziale: In ogni stato e grado di giudizio le parti possono accordarsi per conciliare la controversia (art. 48 D.Lgs. 546/92). In primo grado, prima della sentenza, si può proporre una conciliazione: tipicamente l’ufficio offre una riduzione della pretesa (sia su imposte che sanzioni). Se il contribuente accetta, il giudice emette un decreto che sancisce la conciliazione. Le sanzioni, in caso di conciliazione entro la prima udienza, sono ridotte a 1/3 del minimo (pari trattamento dell’adesione) o a 1/2 se conciliazione dopo la prima udienza. La conciliazione può essere proposta dal contribuente (istanza in ricorso o successiva) o dall’ufficio. Nelle liti minori è spesso l’occasione per “venirsi incontro” – ad esempio l’Agenzia rinuncia a una parte delle sanzioni e il contribuente paga il tributo – evitando di proseguire. In appello è meno vantaggiosa (sanzioni minime ridotte al 50%). Ma la finanziaria 2023 ha previsto possibilità di conciliazioni agevolate anche per appello con sanzioni ridotte al 1/18 in alcune definizioni straordinarie (questo era parte della “tregua fiscale 2023”).
  • Ravvedimento operoso in extremis: Caso particolare: se durante il controllo non era stato contestato, il contribuente può ancora ravvedersi su aspetti non toccati dall’accertamento? In genere no, perché una volta emesso l’avviso, per quell’imposta/anno il ravvedimento non è ammesso. Tuttavia, se la controversia riguarda sanzioni per violazioni formali o simili, a volte mostrare di aver successivamente adempiuto può portare a una richiesta di sgravio di sanzioni per obiettiva inesigibilità, ecc. È una strategia marginale.
  • Prescrizione e decadenza: Insistere su eventuali termini di decadenza scaduti è sempre prioritario: se l’accertamento è tardivo, i giudici spesso accolgono senza entrare nel merito.
  • Nullità per difetto di contraddittorio: Dopo l’abrogazione dell’art. 12 c.7 Statuto, resta tuttavia la tutela generale del contraddittorio endoprocedimentale per alcune materie e per i tributi armonizzati (IVA) in virtù di principi UE. Le Sezioni Unite (sent. 24823/2015) hanno sancito l’obbligo del contraddittorio per i tributi UE (IVA) e, per gli altri, un obbligo generalizzato solo se previsto espressamente o in presenza di accertamenti da studi settore. Ora, con l’adesione al PVC, il legislatore ha voluto “compensare” la soppressione del termine a difesa con un’altra chance. Ma nulla vieta di sollevare eccezioni di nullità dell’atto se l’ufficio ha violato il diritto al contraddittorio in casi specifici (es. accertamento da redditometro emesso senza invito a chiarimenti, in violazione anche di norme specifiche). Cassazione e Corte UE hanno affermato più volte che se la mancanza di contraddittorio ha privato il contribuente di far valere elementi che potevano portare a un risultato diverso, allora l’atto è viziato. Bisogna però concretamente indicare quali elementi non considerati avreste apportato. Questa linea difensiva va valutata caso per caso con l’avvocato.

Giurisprudenza rilevante (2024-2025)

Per completare, segnaliamo alcune pronunce recenti che possono costituire riferimenti importanti nel contenzioso:

  • Cass. Sez. Unite n. 8500/2021: ha confermato che la violazione di norme procedurali (come l’art. 12 Statuto) non comporta nullità dell’atto impositivo se non espressamente prevista, salvo ledere diritti di difesa in maniera concreta. Questo consolidamento giurisprudenziale va tenuto presente: molte eccezioni formali oggi vengono respinte se non si dimostra un pregiudizio effettivo.
  • Cass. ord. n. 27745 del 25/10/2024: (citata sopra) ribadisce l’obbligo generale di contraddittorio e l’invalidità dell’atto impositivo in caso di sua violazione, purché il contribuente indichi quali argomenti avrebbe portato. Questo è utile come principio di tutela sostanziale dei diritti difensivi.
  • Cass. sent. n. 16293 del 12/06/2024: ha chiarito che le garanzie procedurali introdotte da normative recenti (come il D.Lgs. 217/2017) valgono solo per l’attività di controllo e non si estendono automaticamente all’atto finale se la legge non lo prevede. Quindi le eccezioni vanno calibrate.
  • Cass. sent. n. 34549 del 27/12/2024: ha sancito che gli avvisi di accertamento notificati a società cessate sono nulli. Questo per ricordare: sempre verificare la legittimazione passiva (se l’azienda era cessata o confluita altrove).
  • Corte Costituzionale n. 39/2021: (non recentissima ma significativa) ha dichiarato illegittimo il criterio di calcolo forfettario del reddito nei controlli da redditometro ante 2011, rafforzando la necessità di doppio scostamento e contraddittorio. Oggi col nuovo evasometro, resta centrale il doppio scostamento come visto.

Dopo il contenzioso: definizioni e “tregue fiscali”

Il legislatore, negli ultimi anni, ha frequentemente introdotto misure di definizione agevolata delle liti pendenti (la cosiddetta “pace fiscale”). Ad esempio, con la Legge di Bilancio 2023, era possibile definire le liti tributarie pendenti al 1° gennaio 2023 pagando un importo ridotto in base all’esito (100% se perso primo grado, 40% se vinto primo grado e pendente appello, 15% se vinto anche in appello, 5% se in Cassazione vinta contribuente nei gradi precedenti). Queste misure straordinarie si ripresentano ciclicamente. Pertanto, se vi trovate in contenzioso, tenete d’occhio eventuali nuove norme di definizione agevolata: potreste chiudere la lite pagando meno, in qualunque stato si trovi, evitando i rischi dell’ulteriore giudizio. Nel 2023 molti contribuenti hanno ad esempio aderito a queste definizioni speciali.

Considerazioni finali sul contenzioso

Affrontare un processo tributario richiede valutazioni di costo-opportunità: i tempi possono essere lunghi (specie oltre il primo grado), i costi di difesa non trascurabili, e l’esito sempre incerto. È bene intraprendere la via giudiziaria quando si hanno buone basi (fatti documentati e/o solidi motivi giuridici) oppure quando la pretesa è sproporzionata e mettere in gioco la chance del giudizio è l’unica via per evitare un esborso rovinoso.

Per le PMI, spesso la scelta ricade su soluzioni intermedie: accordi con l’ufficio, conciliazioni, o definizioni agevolate. Il contenzioso può però portare giustizia dove l’ufficio è stato rigido: non sono pochi i casi di accertamenti annullati perché il Fisco aveva interpretato male le norme o fatto calcoli errati.

In definitiva, la migliore difesa rimane come sempre prevenire le controversie (con comportamento fiscale corretto e dialogo nelle fasi pre-contenziose). Ma quando ciò non basta, è importante conoscere gli strumenti a disposizione per far valere le proprie ragioni, dall’adesione in sede amministrativa fino alla Cassazione.

Passiamo ora a una sezione di FAQ – domande frequenti – per chiarire ulteriormente dubbi pratici ricorrenti su controlli fiscali e come difendersi.

FAQ – Domande e Risposte Comuni

  • D: Che cos’è esattamente un controllo fiscale in azienda?
    R: È l’insieme delle attività di verifica che l’Amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate o Guardia di Finanza) svolge presso la sede del contribuente per accertare la corretta applicazione delle norme tributarie. In pratica, degli ispettori si recano in azienda, esaminano la contabilità, i documenti e l’operatività, per riscontrare eventuali violazioni (omessa fatturazione, costi indebiti, ecc.). Il controllo “in azienda” si distingue dalle verifiche da remoto perché comporta un accesso fisico nei locali dell’impresa. Si conclude con un verbale (PVC) che, se ci sono irregolarità, darà luogo a un avviso di accertamento.
  • D: Quanto può durare al massimo un controllo fiscale in azienda?
    R: La legge stabilisce che la permanenza degli ispettori non può eccedere 30 giorni lavorativi (anche non consecutivi) presso la sede del contribuente, prorogabili eccezionalmente di altri 30. Per aziende di grandi dimensioni (fatturato oltre 100 mln) il limite è di 60 giorni prorogabili di altri 60. Attenzione: i “giorni” conteggiano solo quelli di effettiva presenza, non l’intero periodo dal primo accesso. Quindi una verifica potrebbe svolgersi ad intermittenza su vari mesi, purché la somma dei giorni in cui i verificatori sono stati in azienda non superi il tetto. Se il limite viene sforato, l’accertamento rimane valido (la Cassazione ha escluso la nullità automatica), ma costituisce comportamento scorretto sanzionabile disciplinarmente per i funzionari.
  • D: Devo essere avvisato prima che inizi un controllo?
    R: In genere no per i controlli sostanziali in loco: l’effetto sorpresa è parte dello strumento di verifica. Non esiste un obbligo di preavviso per un accesso (salvo per particolari ispezioni come quelle del lavoro, dove c’è un preavviso nel DURC interno). Dunque gli ispettori possono arrivare senza annuncio. Fanno eccezione i casi in cui l’Agenzia invita formalmente a comparire o a esibire documenti: lì riceverai una lettera/PEC qualche giorno prima, trattandosi però di controlli “a tavolino”. Per accessi domiciliari (abitazioni private) invece di fatto l’avviso coincide con l’esibizione del decreto di perquisizione del PM al momento dell’accesso.
  • D: Posso rifiutarmi di far entrare gli ispettori in azienda o di mostrare documenti?
    R: No, non è consigliabile. Se l’accesso è legittimo (hanno l’ordine di servizio, sono in orario di apertura, etc.), opporsi fisicamente o negare documenti costituisce violazione. L’azienda ha il dovere di esibire libri e documenti fiscali. Un rifiuto esplicito potrebbe portare a sanzioni (e se si configura come occultamento di scritture contabili, può essere reato). L’unico caso di legittimo diniego è se pretendessero di entrare in una porzione di locali che è domicilio privato senza avere il decreto del magistrato: in tal caso potete invocare il diritto alla privacy domiciliare. Ma per locali commerciali e documenti contabili non c’è segreto opponibile. Una strategia meno conflittuale, se si hanno riserve, è di verbalizzare che l’esibizione avviene “sotto riserva di eccepirne l’inutilizzabilità” per qualche motivo, ma intanto consegnare.
  • D: Cosa succede se non trovo un documento che mi viene richiesto durante il controllo?
    R: Se al momento non lo trovi, dichiaralo e chiedi tempo per recuperarlo. Se poi non salta fuori affatto (perduto o mai esistito), le conseguenze dipendono dalla sua importanza: un documento mancante può far presumere irregolarità. Ad esempio, se non trovi una fattura di acquisto registrata, l’ufficio potrebbe disconoscere quel costo (sanzionando per infedele dichiarazione). Se non esibisci i registri contabili, possono presumere ricavi non dichiarati. In generale la mancata esibizione di documenti obbligatori ne preclude poi l’utilizzo a difesa: significa che non potrai poi tirarlo fuori magicamente in contenzioso se non lo hai dato al Fisco. Dunque, fai di tutto per reperire i documenti chiave (puoi chiederne copia al fornitore, alla banca, al tuo commercialista). Se proprio manca, metti a verbale il perché (es. “smarrito a causa di trasloco, tenterò di recuperarne copia da controparte”). In alcuni casi la legge prevede una sanzione amministrativa fissa per mancata tenuta/esibizione di scritture (circa €1.000-4.000).
  • D: Durante la verifica possono sequestrare beni o conti?
    R: Gli ispettori fiscali in quanto tali non sequestrano beni patrimoniali (quello avviene eventualmente nella fase di riscossione coattiva, con pignoramenti, ma non durante la verifica amministrativa). Possono però, se autorizzati, sequestrare documenti rilevanti per prova di reati tributari: ad esempio, la GdF con delega della Procura può sequestrare hard disk, documentazione extracontabile (tipo “doppi bilanci” trovati), ecc. In sede solo amministrativa, spesso parlano di “sequestro amministrativo” dei documenti non fiscali: in realtà trattengono copie e lasciano gli originali oppure viceversa. Se volessero sigillare un locale o un bene come corpo di reato, significherebbe che c’è già un procedimento penale in atto. Per i conti correnti: durante la verifica possono al massimo congelare rimborsi in corso (se c’è un rimborso IVA, l’AE può sospenderlo). Il blocco di conti aziendali avviene solo a seguito di un provvedimento della magistratura (se riciclaggio, per esempio) o di pignoramento della riscossione. Insomma, nella verifica ordinaria non vi troverete i macchinari sequestrati; potreste però vedervi ritirare in copia documenti aziendali per approfondimenti.
  • D: Se dal controllo emerge evasione, rischio la denuncia penale?
    R: Sì, se vengono superate le soglie di rilevanza penale previste dal D.Lgs. 74/2000. Ad esempio: imposta evasa > €150.000 per dichiarazione infedele; > €250.000 di IVA evasa per omesso versamento; utilizzo di fatture false > €1000.000, ecc. In tali casi la Guardia di Finanza redige anche un verbale di notizia di reato per la Procura. La conseguenza è l’apertura di un procedimento penale parallelo. Spesso l’azienda lo scopre quando arriva la convocazione per interrogatorio o una perquisizione separata. Va detto che l’adesione o il pagamento integrale dei debiti tributari prima del dibattimento può estinguere alcuni reati (omesso versamento, dichiarazione infedele ora è circostanza attenuante). Quindi, se vi trovate in questa situazione, coordinatevi con un avvocato penalista tributario: la scelta di pagare subito il dovuto (magari aderendo al PVC) può essere motivata anche dall’intento di evitare guai penali. Se invece le soglie non sono superate, resterà tutto in ambito amministrativo (sanzioni pecuniarie).
  • D: Quali sanzioni amministrative si rischiano in caso di accertamento fiscale?
    R: Dipende dal tipo di violazione accertata. In linea generale:
    • Per imposte evase (redditi non dichiarati, ricavi in nero, IVA non versata) la sanzione base è dal 90% al 180% dell’imposta evasa (art. 1 D.Lgs. 471/97). Spesso l’ufficio irroga il 100% (il minimo raddoppiato se ci sono aggravanti).
    • Per inadempimenti formali (registri non tenuti, comunicazioni omesse che non incidono su imposta) ci sono sanzioni fisse o da €250 a €2.000, spesso definibili con €250 grazie a sanatorie o ravvedimento.
    • IVA detratta indebitamente: sanzione del 90% dell’IVA non spettante.
    • Costi indeducibili: generano imposta evasa con sanzione 90-180% come sopra.
    • Omessa fatturazione/scontrino: sanzione pari al 100% dell’IVA non documentata, con minimo €500.
    • Violazioni ripetute gravi: in casi estremi (es. mancata emissione scontrini reiterata) può scattare chiusura temporanea dell’esercizio.
    • Tutte queste sanzioni possono essere ridotte se si definisce prima del contenzioso: 1/3 col ravvedimento o adesione, 1/6 col PVC, ecc. Se si va in giudizio e si perde, si pagano per intero (salvo appunto riduzioni da conciliazione).
    • Interessi: su ogni somma evasa si applicano interessi moratori dal giorno in cui andava pagata (al tasso legale o specifico).
    Ogni caso comunque ha sanzioni specifiche. Nel PVC o atto finale l’ufficio le elenca articolo per articolo. In fase di difesa, oltre a contestare il merito, talvolta si contestano anche i calcoli sanzionatori (es. se hanno cumulato sanzioni in violazione del principio del concorso materiale o continuazione).
  • D: Se ricevo un questionario o una lettera di compliance dall’Agenzia Entrate, è il preludio di un accertamento?
    R: Non necessariamente, anzi, lo scopo è spesso di evitare un accertamento formale, dando al contribuente la chance di sistemare spontaneamente. Se ricevi un questionario (ex art. 32 DPR 600/73) è obbligatorio rispondere: se non rispondi, quello sì che quasi sicuramente porterà a un accertamento e con presunzioni sfavorevoli. Quindi rispondi sempre, in modo completo e veritiero, entro il termine indicato.
    Le lettere di compliance, invece, segnalano anomalie (dati non coerenti, discrepanze con l’anagrafe tributaria). Sono inviti bonari: se riconosci l’errore, puoi correggerlo (ad esempio presentando una dichiarazione integrativa) e pagare il dovuto con sanzioni ridotte da ravvedimento. Se invece ritieni che i dati del Fisco siano sbagliati, puoi comunicarlo (spesso la lettera stessa indica come rispondere online o via PEC). In entrambi i casi, la collaborazione di solito chiude lì la faccenda. Se ignori la lettera di compliance, c’è un’alta probabilità che, dopo un po’, l’ufficio apra un procedimento di controllo più formale su quella questione. Quindi conviene sempre reagire alle comunicazioni: sono opportunità per sistemare a basso costo. Il piano dell’Agenzia 2024 enfatizza proprio queste lettere come fase iniziale dei controlli.
  • D: Durante la verifica, i funzionari mi hanno contestato una violazione e io l’ho riconosciuta subito. Posso pagarla subito per chiudere la questione?
    R: In sede di verifica, formalmente non si paga nulla perché non c’è ancora un atto definito. Però esiste la possibilità di definire con adesione ai processi verbali parziali eventuali rilievi immediatamente contestati. Ad esempio, se scoprono 10mila euro di imponibile non dichiarato e tu sei d’accordo, quel rilievo finisce nel PVC. Una volta emesso l’accertamento su di esso, potrai aderire con sanzione ridotta. In alcuni casi (soprattutto con la GdF) propongono al contribuente di sottoscrivere un verbale di accertamento immediato per alcune violazioni, ma legalmente la cassazione ha detto che il contribuente non è vincolato a quelle ammissioni se non attraverso gli strumenti previsti (adesione, etc.). Comunque, nulla vieta di iniziare ad accantonare o persino versare in anticipo alcune somme: ad esempio, se sai di dover pagare IVA evasa, potresti versarla spontaneamente prima dell’accertamento (utilizzando magari il ravvedimento operoso se applicabile). Ciò potrebbe ridurre interessi e farti fare miglior figura. Ma per “chiudere” la questione serve sempre l’atto dell’ufficio (avviso e relativa definizione). In sintesi: pagare subito volontariamente è possibile (F24 con codice tributo specifico, come ravvedimento), ma assicurati di coordinarlo con i consulenti per non pregiudicare difese su altri punti. Spesso, comunque, l’ufficio aspetta l’esito completo e poi invita a definire con adesione tutto insieme.
  • D: Conviene portare il commercialista o l’avvocato durante il controllo oppure è meglio di no per non insospettire i verificatori?
    R: Conviene assolutamente avvalersi dell’assistenza di un professionista di fiducia. Il timore che la presenza del difensore “irriti” gli ispettori è infondato: è un tuo diritto espressamente previsto. Un consulente esperto saprà gestire tecnicamente le richieste (magari capisce al volo dove vogliono arrivare e predispone i documenti giusti) e impedirti passi falsi. Ovviamente scegli una persona con approccio collaborativo e non conflittuale: il professionista giusto mostrerà rispetto verso i funzionari e cercherà di dialogare, non di ostacolare. Ciò spesso facilita il lavoro di tutti. Se l’azienda ha un commercialista che l’ha assistita nelle dichiarazioni, la sua presenza è utile anche per chiarire scelte contabili o fiscali fatte (meglio di come potresti spiegarle tu). Quindi, chiama pure il consulente: i verificatori sono abituati a interfacciarsi con essi. Semmai, se si tratta di un penalista e la verifica non verte su reati, può stare un passo indietro e lasciare più spazio al commercialista. Ma l’importante è non essere da soli se non si è esperti: rischieresti di concedere cose non dovute o di non far valere un diritto per ignoranza.

Abbiamo dunque coperto molte delle domande frequenti. Ricorda: ogni controllo fiscale ha la sua storia, ma preparazione e sangue freddo aiutano sempre. Nella prossima sezione troverai un elenco di Fonti e Riferimenti utilizzati in questa guida – leggi e documenti ufficiali, circolari e articoli di approfondimento – che potrai consultare per ulteriori dettagli o per verificare i concetti esposti.

Fonti e Riferimenti

  • Statuto dei Diritti del Contribuente – Legge 27 luglio 2000, n.212: Articoli 12 (diritti e garanzie durante le verifiche fiscali) e 10 (principio di buona fede). (Disponibile su Normattiva e sito MEF Finanze)
  • D.P.R. 29 settembre 1973, n.600: Disposizioni in materia di accertamento delle imposte sui redditi. In particolare art. 32 (poteri degli uffici: questionari, inviti, indagini finanziarie), art. 33 (accessi, ispezioni e verifiche delle imposte dirette), art. 36-bis (controllo automatizzato dichiarazioni), art. 36-ter (controllo formale dichiarazioni), art. 41-bis (accertamento parziale).
  • D.P.R. 26 ottobre 1972, n.633: Istituzione e disciplina dell’IVA. Art. 52 (accessi, ispezioni e verifiche IVA, analoghi all’art.33 DPR 600/73), art.54-bis (controlli automatizzati IVA).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n.471: Sanzioni tributarie non penali. Ad esempio art.1 (infedele dichiarazione, sanzione 90-180%), art.6 (mancata emissione scontrino/fattura), art.11 (violazioni varie tra cui mancata risposta a questionario).
  • D.Lgs. 19 giugno 1997, n.218: Definizione agevolata accertamenti. Contiene la disciplina dell’adesione all’accertamento e dal 2023 l’art.5-quater sull’adesione ai PVC.
  • D.Lgs. 24 settembre 2015, n.158: Riforma dei reati tributari e sanzioni amministrative (ha modificato soglie e percentuali di molte sanzioni). Utile per aggiornare importi.
  • D.Lgs. 21 novembre 2007, n.231: Normativa Antiriciclaggio. Elenca soggetti obbligati e obblighi (adeguata verifica, registrazione, segnalazione). Importante per capire i controlli antiriciclaggio trattati.
  • Circolare Agenzia Entrate n.19/E del 2015: (o altre circolari sulla cooperazione e compliance) – Fornisce istruzioni su lettere di compliance e gestione del nuovo approccio collaborativo.
  • Circolare Agenzia Entrate n.1/2018: Linee guida operative per verifiche fiscali (indirizzi interni su come condurre gli accessi, tutela dei diritti del contribuente ecc.).
  • Circolare Guardia di Finanza n.109153/2017 (“Manuale Operativo verifiche”): Non pubblica integralmente, ma nota tra professionisti: dà indicazioni ai verificatori GdF, ad es. su coordinamento dei controlli (principio di non ripetizione entro 6 mesi).
  • Decreto Legge 13 agosto 2011, n.138 (conv. L.148/2011) – art.7, c.2: Introduce limite 30 giorni per verifiche (poi trasfuso nell’art.12 Statuto) e coordinamento controlli.
  • Decreto “Sviluppo” – D.L. 70/2011 (conv. L. 106/2011): Ha introdotto semplificazioni come il divieto di chiedere info già possedute da PA, obbligo funzionari in borghese, coordinamento controlli diversi enti. Riferimenti in PMI.it.
  • Sentenza Corte di Cassazione n. 18448/2015 (Sez.Unite): Principio sul contraddittorio (obbligo generalizzato per IVA, condizionato per altre imposte).
  • Sentenza Cassazione n. 17957/2012: Accesso domiciliare senza gravi indizi => nullità accertamento.
  • Ordinanza Cassazione n.27745/2024: Obbligo contraddittorio endoprocedimentale e invalidità atto se contribuente indica ragioni non valutate.

Controllo Agenzia delle Entrate in Azienda: Perché Affidarti a Studio Monardo

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Il controllo fiscale in azienda è uno degli eventi più delicati per un imprenditore. Gli ispettori possono accedere ai locali, acquisire documentazione, interrogare dipendenti e verificare ogni aspetto della tua attività.
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Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

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Conclusione

Un controllo dell’Agenzia delle Entrate in azienda non va mai sottovalutato. Anche un controllo in apparenza semplice può trasformarsi in una procedura dolorosa se non affrontato con il giusto supporto legale.

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