Hai ricevuto un atto dell’Agenzia delle Entrate e vuoi opporti legalmente? È il momento di capire come funziona il processo tributario.
Questa guida operativa dello Studio Monardo – avvocati esperti in contenzioso fiscale e difesa nel processo tributario – è pensata per chi vuole agire subito e nel modo giusto.
Scopri come si avvia un processo tributario, quali atti si possono impugnare, quali sono le fasi, i tempi, i costi e le strategie difensive più efficaci per tutelarti contro pretese fiscali ingiuste.
In fondo alla guida troverai tutti i contatti per richiedere una consulenza personalizzata, esaminare il tuo caso insieme a un avvocato e preparare una difesa solida davanti alla giustizia tributaria.
Guida al Processo Tributario in Italia – Studio Monardo
Il processo tributario è il procedimento attraverso cui contribuenti e Amministrazione finanziaria risolvono le controversie relative ai tributi dinanzi a giudici specializzati. Si tratta di un rito giurisdizionale speciale, distinto dal processo civile ordinario, disciplinato principalmente dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (cosiddetto “testo unico” del contenzioso tributario) e successive modifiche. Negli ultimi anni questo settore ha subito importanti riforme, con l’obiettivo di garantire giudizi più equi, rapidi e uniformi, in linea con i principi del giusto processo (art. 111 Cost.) e con gli impegni assunti dall’Italia nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). In particolare, la Legge 31 agosto 2022, n. 130 e il successivo D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220 (in vigore dal 4 gennaio 2024) hanno introdotto numerose novità riguardanti sia l’ordinamento dei giudici tributari sia le regole processuali.
Tra le principali innovazioni normative aggiornate al 2025 si segnalano:
- la trasformazione delle Commissioni tributarie nelle nuove Corti di giustizia tributaria, con l’istituzione di giudici tributari professionali assunti a tempo pieno (in luogo dei precedenti giudici onorari part-time);
- il doppio grado di merito confermato (primo e secondo grado) con misure per rafforzare la qualità delle sentenze e ridurre il contenzioso in Cassazione;
- la completa digitalizzazione del processo tributario, con obbligo generalizzato di atti in modalità telematica e possibilità di udienze da remoto;
- il rafforzamento delle garanzie difensive del contribuente, in primis l’introduzione del contraddittorio anticipato obbligatorio (diritto al contraddittorio prima dell’atto impositivo) sancito a pena di nullità dall’art. 6-bis dello Statuto dei diritti del contribuente;
- l’abolizione del procedimento preliminare di reclamo-mediazione (previsto dall’abrogato art. 17-bis D.Lgs. 546/92) a favore di nuovi istituti deflattivi come la conciliazione giudiziale facoltativa estesa anche al giudizio di Cassazione e la possibilità di ricorrere avverso i rifiuti dell’autotutela;
- l’ammissione, in casi limitati, della prova testimoniale (tradizionalmente vietata nel rito tributario) tramite deposizione scritta;
- l’introduzione di una fase cautelare più incisiva, con sospensione dell’atto impugnato anche tramite provvedimenti monocratici urgenti e la facoltà del giudice di merito di definire il giudizio con sentenza semplificata già in sede di istanza cautelare, se il caso è di manifesta evidenza.
Questa guida approfondita esaminerà il funzionamento attuale (2025) del processo tributario italiano, suddividendo l’analisi nelle diverse fasi del giudizio (dal ricorso in primo grado fino all’eventuale Cassazione), evidenziando per ciascuna le regole aggiornate dalle riforme del 2022–2023 e gli aspetti critici emersi nella prassi e nella giurisprudenza recente. Ogni capitolo presenta spiegazioni dettagliate rivolte ad un pubblico di avvocati tributaristi e imprenditori esperti, con riferimenti normativi puntuali e commenti giurisprudenziali (comprensivi di sentenze fino al 2024). Inoltre, sono inseriti riquadri con esempi pratici di atti difensivi – dal ricorso introduttivo all’istanza cautelare e all’atto d’appello – per fornire un taglio operativo. In fondo alla guida è riportata un’elencazione delle principali fonti normative e pronunce giurisprudenziali citate per agevolarne il reperimento.
2. Struttura della Giustizia Tributaria e Giudici Competenti
2.1 Le nuove Corti di Giustizia Tributaria (primo e secondo grado)
La giustizia tributaria si articola su due gradi di merito, ora denominati Corti di giustizia tributaria. La riforma del 2022 ha infatti modificato la denominazione delle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali rispettivamente in “Corte di giustizia tributaria di primo grado” e “Corte di giustizia tributaria di secondo grado”. Le Corti di giustizia tributaria esercitano giurisdizione speciale in materia tributaria, competente a decidere su tutte le controversie riguardanti tributi di ogni genere (imposte erariali, imposte regionali e locali, contributi, sanzioni tributarie) ad eccezione soltanto di materie riservate ad altri organi (es. alcune sanzioni amministrative diverse da tributi). In base all’art. 2 del D.Lgs. 546/92, rientrano nella giurisdizione tributaria non solo gli atti impositivi in senso stretto, ma anche quelli concernenti rimborsi di imposta, iscrizioni a ruolo, cartelle di pagamento, provvedimenti di diniego o revoca di agevolazioni fiscali, e così via. La Corte di giustizia tributaria di primo grado è competente territorialmente in base al domicilio fiscale del contribuente (salvo eccezioni per materie particolari), e decide in prima istanza sul ricorso del contribuente avverso l’atto dell’Amministrazione finanziaria o di altri enti impositori (Comuni, Agenzia Entrate Riscossione, ecc.). La Corte di giustizia tributaria di secondo grado, invece, decide sugli appelli avverso le sentenze di primo grado emesse dalle Corti di giustizia tributaria di primo grado situate nel proprio distretto regionale.
Composizione dei Collegi giudicanti: Ciascuna Corte di giustizia tributaria è suddivisa in sezioni. In via generale, le controversie tributarie sono decise da un collegio composto da tre giudici (collegialità obbligatoria), di cui uno con funzioni di Presidente. Fa eccezione la trattazione di cause di modesto valore: la legge di riforma ha introdotto la figura del giudice monocratico per le controversie di valore fino a 3.000 euro (importo del tributo, al netto di interessi e sanzioni). In tali casi – che statisticamente rappresentano una larga parte dei ricorsi, oltre il 40% – il processo di primo grado è deciso da un unico giudice, con le stesse garanzie di terzietà, ed è prevista in genere la trattazione in camera di consiglio e/o da remoto per semplificare la gestione dei piccoli affari. Va precisato che il giudice unico non è ammesso quando vi siano cause inscindibili o litisconsorzi necessari sopra la soglia (ad es. impugnazioni cumulative) né ovviamente in appello, dove il collegio rimane sempre composto da tre giudici (o cinque giudici in alcuni casi di particolare importanza, secondo le previsioni organizzative).
2.2 Giudici tributari professionali e organi di autogoverno
Un pilastro della riforma è la professionalizzazione della magistratura tributaria, storicamente composta da giudici onorari a tempo parziale (spesso funzionari pubblici, avvocati o commercialisti che esercitavano contestualmente altre attività). Dal 2022 è stata introdotta la figura del magistrato tributario togato, con l’obiettivo di avere giudici dedicati esclusivamente alla giurisdizione tributaria, così da rafforzarne indipendenza, competenza tecnica e terzietà. In base alla legge 130/2022, l’organico a regime sarà di 576 magistrati tributari professionali (448 giudici di primo grado e 128 di secondo grado). Per conseguire tale obiettivo è stato previsto un piano di reclutamento pluriennale: nel 2023 sono stati selezionati 100 magistrati già in servizio presso altre giurisdizioni (50 provenienti dalla magistratura ordinaria e 50 da quella amministrativa, contabile o militare) tramite opzione e interpello. A partire dal 2024 si procederà poi con concorsi pubblici annuali per esami, banditi dal MEF in accordo col Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, ciascuno per 68 posti all’anno fino al 2030 (68×7 anni = 476 nuovi giudici). Ai primi concorsi è riservata una quota del 30% dei posti ai giudici tributari attualmente in servizio (onorari) che rispettino determinati requisiti di anzianità e titoli. I nuovi magistrati tributari seguiranno un tirocinio e saranno soggetti, quanto compatibile, alle norme dell’ordinamento giudiziario ordinario, con collocamento a riposo a 70 anni. Parallelamente, i giudici tributari onorari attuali confluiscono in un ruolo ad esaurimento: continueranno a prestare servizio fino al pensionamento (non oltre il 2027) ma senza possibilità di nuove nomine, percependo solo un’indennità fissa e un compenso per sentenza fino a un tetto annuo.
Dal punto di vista dell’autogoverno, la magistratura tributaria dispone di un organismo dedicato, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria (CPGT), istituito già dal D.Lgs. 545/1992, che sovrintende alla deontologia, alla formazione delle sezioni, ai trasferimenti, provvedimenti disciplinari, ecc. Con la riforma, la composizione di tale Consiglio è stata adeguata per includere i nuovi magistrati togati. Inoltre, è prevista la possibilità di nominare i Presidenti delle Corti tra i magistrati tributari professionali (o tra magistrati ordinari, amministrativi, contabili anche a riposo), ponendo fine alla prassi di presidenti scelti fra alti dirigenti pubblici. L’obiettivo di queste misure è assicurare un corpo giudicante maggiormente terzo e specializzato, riducendo al contempo il rischio di conflitti di interesse (i nuovi giudici a tempo pieno non possono esercitare altre professioni né avere incarichi di consulenza fiscale) e di disparità interpretative.
2.3 Doppio grado di merito e ricorso per Cassazione
Il processo tributario italiano si sviluppa tradizionalmente su un doppio grado di merito: ciò significa che il contribuente ha diritto a due giudizi di merito successivi (primo grado e appello), innanzi a giudici diversi, nei quali possono essere rivalutati sia i fatti sia le questioni giuridiche della controversia. La presenza di due gradi permette di correggere eventuali errori in primo grado e di garantire un controllo più ampio sulle pretese fiscali. Dopo il secondo grado, l’ordinamento prevede la possibilità di adire la Corte di Cassazione, ovvero la Suprema Corte, che costituisce il giudice di legittimità (terzo grado di diritto). La Cassazione non è un ulteriore giudice di merito: il suo compito è solo verificare il corretto rispetto delle norme (di diritto sostanziale e processuale) da parte dei giudici di merito, e assicurare l’uniforme interpretazione della legge. Il ricorso per Cassazione può essere proposto da contribuente o Amministrazione contro la sentenza di secondo grado, ma solo per motivi tassativi di violazione di legge o nullità della sentenza (art. 62 D.Lgs. 546/92). Non è ammesso riesaminare i fatti né produrre nuove prove in Cassazione. In caso di accoglimento, la Cassazione annulla la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della corte di merito (o, in rari casi, decide essa stessa la causa se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto).
La riforma fiscale recente si è posta l’obiettivo di ridurre il contenzioso in Cassazione e i tempi di definizione delle liti. Per perseguire tale scopo si è agito su più fronti:
- Migliorare la qualità delle decisioni di merito, tramite l’introduzione di giudici specializzati e professionalizzati (v. supra) e di nuovi strumenti processuali (ad es. possibilità per la corte d’appello di ammettere nuove prove solo in casi circoscritti, così da avere istruttorie più complete già in primo grado). Ciò dovrebbe diminuire gli errori e quindi i ricorsi per Cassazione.
- Introdurre istituti deflattivi durante il giudizio di merito (ad es. conciliazione giudiziale anche in appello e perfino in Cassazione) per chiudere anticipatamente le controversie con accordo tra le parti.
- Velocizzare la fase di legittimità con misure come la nuova sospensione “condizionata” in pendenza di ricorso per Cassazione (art. 62-bis D.Lgs. 546/92 introdotto nel 2022) e la trattazione più celere delle istanze cautelari in Cassazione (cfr. §5.2). Inoltre, già dal 2021 la Cassazione applica filtri di ammissibilità più stringenti sui motivi di ricorso (in linea con la riforma “Cartabia” del processo civile), rigettando in via immediata i ricorsi manifestamente infondati o inammissibili.
Dal punto di vista pratico, dunque, il doppio grado di merito resta cardine del sistema: il contribuente può confutare l’atto impositivo dinanzi ai giudici tributari di primo grado e, se soccombente, ottenere un riesame completo in appello, con la garanzia che il secondo giudice riesaminerà sia la corretta applicazione della legge sia la valutazione di prove e fatti (sebbene oggi con maggiori limiti all’introduzione di nuovi elementi probatori). Solo esauriti i gradi di merito, la controversia potrà eventualmente approdare in Cassazione per questioni di diritto. Tale assetto a “triangolo” (due giudizi di merito + giudizio di legittimità) risponde a esigenze di garanzia ma comportava tradizionalmente una certa lentezza: le riforme odierne puntano a un equilibrio tra garantire il doppio grado e snellire il contenzioso. Emblematica in tal senso è la possibilità data ai giudici di merito di definire immediatamente la causa con sentenza semplificata in sede cautelare, evitando che cause dall’esito scontato proseguano inutilmente (si veda §4).
Va infine ricordato che l’ambito della giurisdizione tributaria in Italia è delineato dalla legge: ad esempio, non rientrano in tale giurisdizione le controversie che, pur coinvolgendo l’Agenzia delle Entrate, non riguardano tributi in senso proprio. Un caso recente chiarito dalle Sezioni Unite riguarda i contributi a fondo perduto COVID-19 erogati ai sensi del DL 34/2020: la Cassazione ha statuito nel 2023 che tali contributi non hanno natura tributaria ma di aiuto economico, pertanto le liti sul diniego di questi contributi non spettano al giudice tributario (bensì al giudice amministrativo). In particolare, la sentenza Cass. SS.UU. n. 34851/2023 ha dichiarato il difetto di giurisdizione delle Corti tributarie sul ricorso di un’impresa avverso la “comunicazione di scarto” emessa dall’Agenzia delle Entrate per rigettare la domanda di contributo COVID, chiarendo che tale provvedimento di diniego non è un atto impugnabile in commissione tributaria poiché il contributo non costituisce prelievo coattivo ma erogazione di risorse. Questo esempio evidenzia come la Cassazione a Sezioni Unite intervenga per delimitare l’esatto perimetro della giurisdizione tributaria e garantire la corretta ripartizione con altre giurisdizioni.
Esempio pratico – Schema del sistema di tutela: un contribuente che riceva un avviso di accertamento potrà presentare ricorso alla Corte di giustizia tributaria di primo grado; se la sentenza gli è sfavorevole, potrà appellarla alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado; qualora anche in appello risulti soccombente su una questione di diritto importante, potrà proporre ricorso per Cassazione. Durante tutto l’iter, potrà tentare soluzioni transattive (es. conciliazione) e chiedere la sospensione dell’atto impugnato. La controversia si chiuderà con la decisione definitiva (passata in giudicato) – sia essa la sentenza di appello non impugnata o la pronuncia della Cassazione.
3. Il Processo di Primo Grado: dal Ricorso alla Sentenza
3.1 Proposizione del ricorso: atti impugnabili e termini
Il ricorso introduttivo è l’atto con cui il contribuente avvia formalmente il giudizio tributario di primo grado. Esso va proposto avverso un atto dell’Amministrazione finanziaria o di altro ente impositore rientrante tra quelli elencati nell’art. 19 del D.Lgs. 546/92 (atti impugnabili). In generale, sono impugnabili tutti gli atti con cui viene manifestata una pretesa tributaria o negato un beneficio fiscale, che producano quindi effetti lesivi per il contribuente. Esempi tipici di atti impugnabili sono:
- Avvisi di accertamento o di rettifica (dell’Agenzia delle Entrate o enti locali), con cui si accertano maggiori imposte rispetto al dichiarato;
- Avvisi di liquidazione, ad esempio per imposte di registro o successione;
- Provvedimenti di irrogazione di sanzioni tributarie autonome;
- Cartelle di pagamento e altri atti della riscossione (es: intimazioni di pagamento, fermi amministrativi per crediti tributari);
- Rifiuti di rimborso di tributi richiesti dal contribuente;
- Dinieghi o revoche di agevolazioni fiscali o di regimi speciali;
- Altri atti “assimilati” previsti da leggi speciali.
Le riforme recenti hanno esteso l’elenco degli atti impugnabili, in particolare introducendo la possibilità di ricorrere contro i rifiuti dell’istanza di autotutela. L’autotutela è il potere dell’Amministrazione di annullare o rettificare di propria iniziativa un atto riconosciuto illegittimo o infondato; tradizionalmente il rifiuto di autotutela non era impugnabile (essendo considerato atto meramente discrezionale interno). Dal 2023 invece, grazie alle modifiche dell’art. 19 D.Lgs. 546/92, il contribuente può impugnare:
- il rifiuto espresso o il silenzio-rifiuto (mancata risposta oltre 90 giorni) su un’istanza di autotutela obbligatoria presentata nei casi previsti dall’art. 10-quater della L. 212/2000;
- il rifiuto espresso su un’istanza di autotutela facoltativa nei casi di cui all’art. 10-quinquies L. 212/2000.
Queste norme (introdotte dal D.Lgs. 219/2023) distinguono l’autotutela obbligatoria – ossia dovuta in presenza di errori riconosciuti come tali dalla stessa Amministrazione, su istanza del contribuente – dall’autotutela facoltativa (generica istanza di riesame di un atto definitivo). Impugnando il rifiuto di autotutela il contribuente non ottiene direttamente l’annullamento dell’atto originario né un rimborso immediato, ma può conseguire una sentenza che ordina all’ente impositore di riesaminare la questione oggetto dell’istanza. Si tratta dunque di una tutela rivolta a stimolare l’esercizio doveroso dell’autotutela nei casi previsti dallo Statuto del contribuente, senza sostituirsi al potere amministrativo discrezionale. Ad esempio, se l’ufficio rifiuta (o non risponde) di annullare un avviso di accertamento affetto da un errore materiale evidente (caso di autotutela obbligatoria), il contribuente può ricorrere e il giudice tributario, riconosciuto l’errore, condannerà l’ufficio a riesaminare l’atto in autotutela. Questa innovazione colma un vuoto di tutela e ha origine proprio da pronunce giurisprudenziali che richiedevano un accesso alla giustizia anche contro i dinieghi di autotutela. Resta ferma, comunque, la possibilità di impugnare direttamente l’atto impositivo originario entro i termini ordinari, qualora ancora pendenti.
Termini per proporre ricorso: Il ricorso va notificato all’ente che ha emanato l’atto entro 60 giorni dalla data di notifica dell’atto stesso (termine perentorio). La scadenza di 60 giorni decorre di norma dal giorno successivo alla notifica dell’atto impugnato e subisce sospensioni solo in casi particolari (es. sospensione feriale dei termini dal 1° al 31 agosto di ogni anno, che si applica anche ai ricorsi tributari). Se l’atto non viene notificato ma comunicato in altro modo (eventualità rara, dato che quasi tutti gli atti impositivi formali sono notificati a mezzo posta o PEC), si conteggia dalla ricezione. Un’eccezione importante introdotta dal D.Lgs. 220/2023 riguarda il caso in cui il contribuente presenti un’istanza di autotutela prima di ricorrere: in tal caso è previsto che il contribuente possa attendere fino a 90 giorni la risposta sull’autotutela e presentare il ricorso dopo il 90° giorno dalla domanda (fino alla prescrizione del diritto). In pratica, la presentazione di un’istanza di autotutela – obbligatoria o facoltativa – sospende la necessità di impugnare l’atto immediatamente, permettendo di attendere l’esito (espresso o tacito) dell’istanza stessa senza decadere dal termine di ricorso. Se entro 90 giorni l’ufficio rigetta o non risponde (silenzio-rifiuto per autotutela obbligatoria), il contribuente potrà ricorrere sia contro il diniego di autotutela sia, se del caso, contro l’atto presupposto (se ancora impugnabile). Va però evidenziato che, in base alle norme, non è consentito presentare domanda di autotutela oltre 2 anni dal pagamento dell’atto (o dal fatto che ne costituisce il presupposto); inoltre, l’impugnazione del rifiuto di autotutela non riapre comunque i termini per contestare nel merito l’atto impositivo se questi erano scaduti (il giudice potrà solo ordinare il riesame, non annullare l’atto).
Forma e contenuto del ricorso: Il ricorso deve essere redatto per iscritto e contenere, a pena di inammissibilità, una serie di elementi prescritti dall’art. 18 D.Lgs. 546/92: indicazione della Corte di giustizia tributaria adita, dei dati del ricorrente (e dell’eventuale difensore) e dell’ente convenuto, l’atto impugnato e l’oggetto della domanda, l’esposizione dei motivi (in fatto e diritto) e l’indicazione delle prove di cui si chiede l’ammissione, nonché la sottoscrizione del difensore o della parte (se sta in giudizio personalmente). In linea con l’evoluzione digitale, il ricorso deve essere formato in modalità telematica e sottoscritto digitalmente dal difensore abilitato. Dal 2023 vige infatti l’obbligo generalizzato di utilizzo degli strumenti telematici per notificare e depositare tutti gli atti processuali (sia per i difensori sia per i giudici e cancellieri). La notifica del ricorso introduttivo oggi avviene di norma via PEC (Posta Elettronica Certificata) all’indirizzo dell’ufficio destinatario (salvo residui casi in cui l’ente non sia attrezzato, nel qual caso è ammessa la notifica a mezzo ufficiale giudiziario o posta). Importante: la legge consente al contribuente di stare in giudizio senza assistenza tecnica (ossia senza difensore) per le cause di valore fino a 3.000 euro: in tali ipotesi eccezionali, la parte può notificare e depositare il ricorso anche in forma cartacea. Fuori da questo caso, è obbligatoria l’assistenza di un difensore abilitato (avvocati, dottori commercialisti, consulenti del lavoro ed esperti iscritti in appositi elenchi) e quindi l’uso del canale telematico. Nel ricorso, contestualmente ai motivi di impugnazione, il ricorrente può inserire eventuali richieste incidentali, come l’istanza di sospensione dell’atto impugnato (tutela cautelare) di cui diremo nel §4, o una richiesta di discussione in pubblica udienza (di norma la trattazione avviene in camera di consiglio se non richiesta l’udienza pubblica – si veda §3.5).
Oltre ai dati del contribuente, nel ricorso andranno indicati anche i riferimenti dell’ufficio che ha emesso l’atto (es. Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate di…; Comune di … settore tributi; Agenzia Entrate Riscossione, ecc.), che sarà la parte resistente nel giudizio. Si noti che, in caso di atti “complessi” (es. accertamento emesso d’intesa fra Entrate e Agenzia Dogane, oppure cartella di pagamento riferita a un accertamento dell’AdE), può esservi litisconsorzio necessario tra più enti: la legge prevede che in tali situazioni il ricorso debba essere proposto contro tutti i soggetti interessati. Ad esempio, se si impugna una cartella esattoriale basata su un avviso di accertamento, è prassi notificare il ricorso sia all’Agenzia Entrate Riscossione (che ha emesso la cartella) sia all’Agenzia delle Entrate (che è titolare del tributo accertato). La riforma ha chiarito alcuni dubbi in tema di litisconsorzio, stabilendo ad esempio che qualora siano eccepiti vizi di notifica di un atto presupposto emesso da un soggetto diverso dall’autore dell’atto impugnato, il ricorso va proposto verso entrambi i soggetti (es: se contesto un vizio di notifica dell’accertamento emesso dall’AdE all’origine di una cartella, devo chiamare in giudizio sia AdE che il concessionario).
Notifica del ricorso: Compiuta la redazione, il ricorso introduttivo va notificato entro il termine di 60 giorni all’ente impositore. Con la telematizzazione integrale, la notifica avviene preferibilmente a mezzo PEC: il ricorso viene inviato dall’indirizzo PEC del difensore all’indirizzo PEC istituzionale dell’ufficio destinatario (tali indirizzi sono reperibili attraverso registri pubblici). La notifica PEC produce effetti legali di consegna al momento in cui viene generata la ricevuta di consegna al server del destinatario (equivalente all’Avviso di ricevimento postale). In alternativa, è ancora possibile notificare in forma analogica tramite ufficiale giudiziario o servizio postale (raccomandata con ricevuta di ritorno) ma solo previa autorizzazione specifica del Presidente della sezione della Corte, da concedersi in via eccezionale e temporanea in caso di malfunzionamenti del sistema telematico. Di regola, quindi, oggi tutte le notifiche iniziali e le comunicazioni successive avvengono elettronicamente. L’eventuale violazione dell’obbligo di modalità telematica non determina la nullità dell’atto (tranne il caso di mancata firma digitale del giudice su un provvedimento), ma il giudice può imporre alla parte di regolarizzare il deposito in via telematica entro un termine perentorio. In pratica, se ad esempio un difensore inviasse cartaceamente un ricorso senza autorizzazione, il giudice non annullerà il ricorso ma ordinerà di depositarlo telematicamente; analoga tolleranza è prevista per vizi formali dei depositi via PEC.
Dopo la notifica, il deposito del ricorso presso la Corte deve avvenire entro i successivi 30 giorni (art. 22 D.Lgs. 546/92). Anche il deposito oggi avviene esclusivamente in via telematica tramite il Portale della Giustizia Tributaria (SIGIT). Il difensore (o la parte, se autorizzata) accede al sistema e deposita il ricorso notificato (completo di relata di notifica PEC o ricevuta postale) firmato digitalmente, assolvendo contestualmente il contributo unificato tributario dovuto. La normativa (art. 16-bis D.Lgs. 546/92) ora impone alle Segreterie delle Corti e alle parti di utilizzare sempre questo canale: le comunicazioni ai difensori sono effettuate via PEC (o in area riservata del portale) e il fascicolo processuale è informatico. Tutti gli atti del processo confluiscono nel fascicolo telematico e non è necessario ridepositarli nei successivi gradi di giudizio. Il giudice d’appello non terrà conto di atti o documenti cartacei se non risulta nel fascicolo elettronico la copia informatica conforme. Ciò rende essenziale, ad esempio, che anche eventuali documenti in originale cartaceo (es: deleghe cartacee, ricevute) vengano scannerizzati e depositati con attestazione di conformità dal difensore. La spinta verso il “digitale al 100%” è chiara: a regime il fascicolo tributario sarà solo elettronico, con risparmi di tempo e certezza di accesso per tutte le parti.
Assistenza tecnica e legittimazione processuale: Come accennato, per cause sopra €3.000 il ricorrente deve farsi assistere da un difensore abilitato, conferendogli una procura alle liti. La procura può essere inserita in calce o a margine del ricorso, con firma autografa del contribuente autenticata dal difensore (ora possibile anche firma digitale del conferente). In alternativa può essere su documento informatico separato, firmato digitalmente o su carta scansionata e firmata digitalmente dall’avvocato (che attesta la conformità). L’abilitazione al patrocinio tributario spetta agli avvocati iscritti all’albo e, per le cause di competenza dell’Agenzia Entrate, anche a dottori commercialisti, esperti contabili e consulenti del lavoro iscritti ai rispettivi albi, nonché ad altre categorie previste dalla legge (periti agrari per materie agricole, ecc.). L’Amministrazione finanziaria in giudizio è di solito rappresentata dal proprio ufficio legale interno (gli funzionari dell’Avvocatura dell’Agenzia delle Entrate, equiparati come ruolo agli avvocati dello Stato). La riforma ha inoltre consentito alle Regioni di stare in giudizio attraverso propri dirigenti o funzionari tributari (senza dover necessariamente delegare a un difensore esterno), estendendo quindi la capacità di autodifesa tecnica già riconosciuta ad Agenzia Entrate ed enti locali (che spesso si avvalgono di propri dipendenti abilitati).
Esempio pratico – Estratto di un ricorso tributario:
Ricorrente: Alfa S.r.l. (C.F. 01234567890), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Beta (C.F. …) giusta procura in calce, con domicilio eletto presso lo studio in Firenze, Via X n. 1, PEC avv.beta@pec.it;
Resistente: Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Firenze, PEC dp.firenze@pce.agenziaentrate.it;
Atto impugnato: Avviso di accertamento n. AF/12345/2024 notificato in data 10/02/2025, con il quale si recuperano a tassazione €100.000 di imponibile IRES anno d’imposta 2019 e relative sanzioni;
Oggetto: Impugnazione dell’avviso di accertamento per motivi di legittimità e merito; richiesta di annullamento dell’atto; istanza di sospensione ex art. 47 D.Lgs. 546/92;
Fatti: L’Ufficio, a seguito di PVC della Guardia di Finanza, contesta alla società ricorrente presunte vendite “in nero” per €100.000. L’accertamento è stato emesso senza previo contraddittorio e notificato a mezzo PEC;
Motivi: 1) Violazione dell’art. 6-bis L. 212/2000 (omesso contraddittorio endoprocedimentale) – l’avviso è nullo in quanto emanato senza invito al contraddittorio, non ricorrendo motivi di urgenza. 2) Insussistenza della materia imponibile – l’ufficio fonda la ripresa su mere presunzioni (movimenti bancari) già adeguatamente giustificate dal contribuente in sede di PVC; 3) Errore di calcolo sanzioni – la sanzione del 90% risulta applicata sull’intero importo anziché sull’imposta;
Richiesta: la ricorrente chiede che la Corte voglia annullare in toto l’avviso impugnato, con vittoria di spese. (Seguono data e firme digitale del difensore.)
3.2 Costituzione in giudizio del resistente e primi atti difensivi
Una volta notificato il ricorso e depositatolo telematicamente presso la Corte, si instaura formalmente il rapporto processuale. L’ente impositore destinatario (Agenzia Entrate, Comune, Agente della riscossione, ecc.) deve a sua volta costituirsi in giudizio, depositando le proprie controdeduzioni difensive entro i termini previsti. Tecnicamente, l’Amministrazione finanziaria si costituisce mediante il deposito telematico di un atto denominato “memoria di costituzione e risposta” (o semplicemente controdeduzioni) entro 60 giorni dalla notifica del ricorso (art. 23 D.Lgs. 546/92). Tale termine non è espressamente sanzionato a pena di decadenza, ma è funzionale a garantire il contraddittorio: se l’ente deposita oltre tale scadenza, la memoria potrebbe essere considerata tardiva e i nuovi documenti eventualmente prodotti potrebbero essere inutilizzabili. Nella prassi, tuttavia, i collegi ammettono controdeduzioni anche tardive purché depositate entro la data di trattazione, salvo che ciò pregiudichi i diritti del contribuente (in ogni caso, il contribuente potrà replicare, come vedremo).
La memoria di costituzione dell’ente resistente deve contenere le argomentazioni difensive dell’ufficio in risposta ai motivi del ricorso. Essa in genere conterrà: un breve riassunto dei fatti, l’illustrazione della posizione dell’ufficio (spiegando le ragioni dell’accertamento impugnato), le controdeduzioni in diritto (confutazione puntuale dei motivi di ricorso, eccependo se del caso questioni preliminari come inammissibilità, decadenze, ecc.) e infine le conclusioni (richiesta di rigetto del ricorso e conferma dell’atto). L’ufficio può produrre documenti a sostegno (es: copie del PVC, della motivazione dell’atto, calcoli). Anche per esso vale il canale telematico obbligatorio: il funzionario difensore depositerà la memoria e i documenti in via telematica nel fascicolo processuale. Da notare che ai sensi dell’art. 23 citato, l’ufficio che si costituisce deve depositare copia dell’atto impugnato e della relativa relata di notifica. Questo per permettere al giudice di verificare tempestività del ricorso e contenuto dell’atto contestato. Con il processo telematico, l’ufficio spesso deposita anche un “foglio di constatazione” con il calcolo del contributo unificato versato dal ricorrente e la cd. presa in carico del fascicolo.
A questo punto la causa è formalmente incardinata: ricorrente e resistente sono costituiti. Il fascicolo contiene il ricorso, i documenti del ricorrente allegati (se ce ne sono) e la memoria dell’ente con i suoi documenti. Il passo successivo è la fase istruttoria e di trattazione della causa, che può articolarsi nella produzione di ulteriori memorie, documenti ed eventuali mezzi istruttori, fino ad arrivare all’udienza (se prevista) e alla decisione.
3.3 Istruzione della causa: scambio di memorie e prove
Il processo tributario, pur ispirato a principi di economia processuale e in buona parte documentale, prevede la possibilità per le parti di arricchire il contraddittorio oltre gli atti introduttivi, attraverso uno scambio di memorie integrative e di replica prima dell’udienza. Tali facoltà sono disciplinate dall’art. 32 del D.Lgs. 546/92, che delinea un calendario per il deposito di memorie e documenti nell’approssimarsi della trattazione:
- Fino a 20 giorni liberi prima dell’udienza (cioè non contando il giorno dell’udienza) le parti possono depositare documenti e memorie aggiuntive. Nella cosiddetta “memoria aggiuntiva” (da depositare entro 20 gg prima dell’udienza) ciascuna parte può prendere posizione sulle deduzioni ed eccezioni avversarie e, se necessario, produrre nuovi documenti a supporto. Questo consente ad esempio al ricorrente di replicare alle controdeduzioni dell’ufficio e magari produrre un documento in risposta ad un’eccezione (salvo che il documento fosse già disponibile prima: in tal caso ci si può imbattere nei limiti sulle nuove prove, v. oltre). Anche l’ufficio potrebbe, entro tale termine, depositare documenti ulteriori (ad esempio il ricorrente produce un nuovo documento con la memoria, l’ufficio potrebbe a sua volta replicare con altro atto di pari termine, anche se nella pratica di solito l’ultimo a depositare nel termine 20 gg è il contribuente).
- Fino a 10 giorni liberi prima dell’udienza è possibile depositare memorie di replica/illustrative. La “memoria illustrativa” serve a ribadire e puntualizzare le tesi difensive in vista dell’udienza, controbattere le ultime difese della controparte, ma senza poter allegare nuovi documenti (il materiale probatorio a questo punto è fissato). Spesso questa memoria è usata per sintetizzare i punti chiave o segnalare nuove sentenze rilevanti sopravvenute.
- Se la causa è decisa in camera di consiglio (senza udienza pubblica), è prevista la possibilità per le parti costituite di depositare brevi repliche scritte fino a 5 giorni prima della camera di consiglio. Ciò sostituisce di fatto l’arringa che non ci sarà, e anch’esse non possono introdurre nuovi elementi di prova.
Le memorie ex art. 32 sono dunque tre tipologie: aggiuntiva (–20 gg), illustrativa (–10 gg), e di brevi repliche (–5 gg se non c’è udienza pubblica). Questi termini sono perentori e coordinati con la data di trattazione della causa, comunicata in anticipo dalla segreteria (di norma la comunicazione di fissazione udienza avviene almeno 30 giorni prima, per consentire il deposito a 20 e 10 giorni). Tutti i depositi avvengono telematicamente.
Durante questa fase istruttoria il giudice tributario svolge un ruolo principalmente di vigilanza sul corretto svolgimento del contraddittorio e decide sulle eventuali istanze istruttorie proposte dalle parti. Poiché il rito tributario è tendenzialmente documentale, le prove di norma si identificano con i documenti prodotti (dichiarazioni fiscali, scritture contabili, contratti, perizie, corrispondenza, verbali di verifica, etc.) e con le presunzioni semplici che il giudice può trarre da elementi indiziari. La prova testimoniale orale è stata tradizionalmente esclusa (art. 7, c.4 D.Lgs. 546/92, nella versione originaria, vietava espressamente la testimonianza e il giuramento nel processo tributario), ma – come vedremo al §3.4 – la legge 130/2022 ha parzialmente ammesso la testimonianza in forma scritta, poi resa più agevole dal D.Lgs. 220/2023. Pertanto, oggi il giudice può, se lo ritiene necessario ai fini della decisione, ammettere la testimonianza scritta di terzi, seguendo le forme previste dal codice di procedura civile (art. 257-bis c.p.c.). È comunque uno strumento usato con estrema parsimonia (vedi oltre). Il giudice può altresì disporre Consulenze Tecniche d’Ufficio (CTU) o perizie, ad esempio in casi complessi di valutazione di azienda, contabilità, questioni tecniche (art. 7, c.2 D.Lgs. 546/92) – sebbene nel processo tributario la CTU non possa supplire deficienze probatorie delle parti (come in civile), ma solo offrire chiarimenti su fatti già provati.
Un aspetto cruciale nell’istruzione è l’onere della prova: in linea generale grava su ciascuna parte l’onere di provare i fatti che costituiscono il fondamento delle proprie domande o eccezioni. Nel processo tributario, questo si traduce di norma nel principio che l’Amministrazione finanziaria deve provare i fatti costitutivi della pretesa impositiva (ad es. l’esistenza di maggior reddito non dichiarato, la violazione contestata, l’inopponibilità di un’operazione, ecc.), mentre il contribuente deve provare i fatti che danno luogo ad esenzioni, agevolazioni o circostanze esimenti che egli allega (ad es. l’inerenza di un costo, la sussistenza di requisiti per un’aliquota ridotta, ecc.). Questo principio ha trovato conferme in giurisprudenza: “nel processo tributario l’onere della prova incombe all’Amministrazione per i fatti costitutivi della sua pretesa, e sul contribuente per i fatti che ne escludono o limitano l’efficacia”. In pratica, l’atto impositivo è assistito da una presunzione di legittimità, ma una volta in giudizio l’Ufficio deve fornire elementi probatori a supporto, specie se il contribuente contesta motivatamente i presupposti. Ad esempio, se l’ufficio accerta ricavi non dichiarati basandosi su movimenti bancari, dovrà produrre gli estratti conto e ogni elemento dal quale desumere che quei movimenti sono ricavi (facendo valere la presunzione legale dell’art. 32 DPR 600/73); spetterà poi al contribuente, per vincere la presunzione, provare la diversa provenienza non reddituale di quelle somme (es. già tassate, donazione, prestito). Allo stesso modo, in tema di fatture per operazioni inesistenti, la Cassazione ha chiarito che il Fisco deve fornire indizi o prove dell’inesistenza (ad esempio dimostrando che il fornitore era una cartiera senza struttura), dopodiché incombe al contribuente provare la buona fede e l’effettività dell’operazione contestata. Questa dinamica di “prove e controprove” si esplica tutta nella fase istruttoria di primo grado: ciascuna parte deve portare in giudizio le prove che ritiene opportune. Non è previsto un potere d’ufficio generalizzato del giudice di ricercare prove (diversamente dal processo penale): il giudice tributario, salvo casi specifici (CTU, ordine di esibizione di documenti, testimonianza scritta ammessa), decide in base alle prove che le parti gli hanno presentato.
Una novità di rilievo sul piano probatorio è la limitazione delle nuove prove in appello introdotta dal D.Lgs. 220/2023. Per incentivare le parti a produrre tutto già in primo grado, il nuovo art. 58 D.Lgs. 546/92 stabilisce che nel giudizio di appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova né nuovi documenti, salvo che: il giudice d’appello li ritenga indispensabili ai fini della decisione oppure la parte dimostri di non aver potuto produrli prima per causa non imputabile. Inoltre, sempre in appello, è ora consentito proporre motivi aggiunti se la parte viene a conoscenza di documenti (non prodotti in primo grado) da cui emergono vizi nuovi degli atti impugnati. Queste modifiche, applicabili ai giudizi instaurati dal 4 gennaio 2024, significano che già in primo grado le parti devono sforzarsi di portare tutte le prove: se il contribuente omette di esibire un documento a suo favore pur potendolo fare, non potrà più contare di produrlo liberamente in appello (rischiando di vederselo dichiarare inammissibile salvo giustificazioni). Tali restrizioni non valgono per la testimonianza scritta, in quanto la sua ammissibilità è sempre legata alla necessità valutata dal giudice (in teoria potrebbe essere ammessa anche in appello se prima non richiesta). Sono inoltre fatte salve le ipotesi di differimento della produzione documentale ex art. 7, c.3 del Dlgs. 546/92 (documenti che le parti non hanno potuto produrre prima per causa di forza maggiore). Complessivamente, il processo tributario di primo grado rimane il fulcro dell’istruttoria: qui devono concentrarsi le prove. In appello, a regime, il giudice valuterà in linea di massima il materiale già acquisito, con poche eccezioni, avvicinando il modello a quello del processo civile (dove l’appello è un gravame limitato).
Quanto alla testimonianza nel merito, approfondiamo brevemente le sue condizioni di ammissibilità (introdotte dall’art. 7, c.4 D.Lgs. 546/92 novellato): il giudice può ammettere testimonianze solo in forma scritta, utilizzando la procedura dell’art. 257-bis c.p.c. che prevede di far rispondere il testimone per iscritto a una serie di capitoli di prova. La legge impone che la testimonianza possa essere disposta “ove il giudice lo ritenga necessario ai fini della decisione” anche senza accordo delle parti. Dunque, è a discrezione del collegio ammetterla o meno. Non sono comunque ammessi testimoni che non sarebbero capaci a testimoniare secondo il c.p.c. (es. soggetti legati da vincoli di interesse nella causa, parentela nei gradi vietati, ecc.). È inoltre pacifico che non si può supplire con testimoni l’assenza di documenti che la legge richiede: ad esempio, se la legge impone la forma scritta per un contratto ai fini fiscali, non si può provare l’esistenza del contratto solo per testimoni; oppure, se il contribuente era obbligato per legge a tenere scritture contabili, non potrà colmare la mancanza di queste invocando testimonianze. La Cassazione ha specificato che la prova testimoniale è ammessa soltanto su circostanze di fatto non altrimenti documentate e non può vertere su valutazioni o giudizi. In pratica, casi d’uso possibili potrebbero essere: confermare la data di una consegna di merce in mancanza di DDT, chiarire una dinamica fattuale contestata dall’ufficio (es. sentire un cliente sul perché è stato emesso un certo documento), ecc. Dopo l’introduzione del 2022, l’utilizzo di testimoni è stato rarissimo, ma con il D.Lgs. 220/2023 ne è stata resa più snella la procedura: adesso la citazione del testimone e la raccolta delle sue dichiarazioni avvengono telematicamente, tramite modulo messo a disposizione dal Dipartimento Giustizia Tributaria, che il testimone compila e firma digitalmente. Il difensore della parte che ha chiesto la prova deposita poi telematicamente questo modulo di deposizione firmato digitalmente dal testimone. È una deroga alle formalità del c.p.c., che richiederebbero la firma autenticata dal cancelliere. Tale semplificazione, in vigore per i ricorsi notificati dal 2 settembre 2024, dovrebbe favorire l’eventuale uso di testimoni nelle liti tributarie. Resta ferma, comunque, l’estrema cautela: trattandosi di prove dichiarative, i giudici tributari continuano a preferire i riscontri documentali, e spesso rigettano l’istanza testimoniale se ritengono che i fatti siano già provati (o non provabili) documentalmente.
Esempio pratico – Stralcio di memoria difensiva del ricorrente (20 gg prima dell’udienza):
«Con memoria depositata in data 10/09/2025 (entro il termine di 20 giorni liberi prima dell’udienza del 01/10/2025) la società ricorrente svolge le seguenti repliche:
In primo luogo, si contesta quanto affermato dall’Ufficio circa la presunta inammissibilità del ricorso per carenza di motivi specifici: il ricorso introduttivo ha indicato chiaramente sia i fatti sia le norme violate, consentendo piena difesa alla controparte.
Nel merito, si ribadisce che tutte le movimentazioni bancarie contestate trovano giustificazione nei documenti prodotti sub doc. 5–12 del fascicolo: in particolare, l’importo di €50.000 accreditato il 10/07/2019 sul conto Alfa Srl è un finanziamento soci (come da delibera assembleare allegata – doc. 11). L’Ufficio nella propria controdeduzione ignora tali evidenze e continua a qualificare erroneamente l’entrata come ricavo non dichiarato.
Si allega alla presente memoria (doc. 13) la perizia giurata del dott. Gamma, depositata il 05/09/2025 nel procedimento penale connesso, dalla quale risulta che la contabilità della società è regolare e che i prelevamenti bancari contestati sono stati utilizzati per pagare fornitori identificati (elenco a pag. 4 della perizia). Tale documento, sopravvenuto dopo il deposito del ricorso, comprova ulteriormente la fondatezza delle nostre difese.
Infine, la ricorrente insiste sull’eccezione di nullità dell’avviso per violazione del contraddittorio: l’Ufficio sostiene che l’art. 6-bis L. 212/2000 non troverebbe applicazione ai controlli a tavolino, ma tale tesi è smentita dal tenore letterale della norma e dalla giurisprudenza di merito formatasi (CTP Milano n. 100/1/2024 allegata, doc. 14). Pertanto, l’avviso doveva essere preceduto da invito a comparire o altro atto di confronto, a pena di annullabilità.
Alla luce di quanto sopra, si confermano le conclusioni già rassegnate nel ricorso, chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato con ogni conseguenza di legge.»
3.4 Udienza e trattazione della causa
Giunta la data fissata, la causa viene di regola discussa nella sessione collegiale della Corte tributaria. Come già accennato, il regime ordinario di trattazione delle liti tributarie è la camera di consiglio non pubblica, salve le ipotesi in cui la legge o le parti richiedano la pubblica udienza. Il D.Lgs. 546/92, fin dalla modifica del 2015, prevede che le controversie tributarie siano decise di norma in camera di consiglio, senza la presenza del pubblico e delle parti; tuttavia, su richiesta di una delle parti o per decisione del collegio, può tenersi una udienza pubblica di discussione. La riforma del 2022–2023 ha confermato tale impostazione, precisando le modalità per richiedere l’udienza e disciplinando espressamente anche la possibilità di udienza da remoto (videoconferenza). In sintesi:
- Trattazione in camera di consiglio (ordinaria): se nessuna delle parti chiede diversamente, la causa è decisa sulla base degli atti scritti, in camera di consiglio. In tal caso, non vi è discussione orale. Il collegio, nel giorno fissato, esamina il fascicolo e decide in segreto. Le parti possono però, come visto, depositare entro 5 giorni prima eventuali brevi repliche scritte per evidenziare al collegio i punti chiave. Questa modalità è frequente per cause di minore importanza o quando le parti stesse rinunciano alla discussione orale.
- Trattazione in pubblica udienza (su richiesta): ciascuna parte ha facoltà di chiedere che la causa sia discussa in udienza pubblica. La richiesta va formulata con istanza notificata alle altre parti e depositata almeno 10 giorni liberi prima dell’udienza. Può essere fatta già nel ricorso o nella risposta, oppure con atto separato successivo (purché nei termini). Se almeno una parte lo chiede, il giudizio deve tenersi in pubblica udienza, aperta quindi al pubblico e con la discussione orale da parte dei difensori. La riforma ha esplicitato che la richiesta di trattazione può specificare se si vuole presenza fisica o da remoto. Infatti, oggi è possibile chiedere di discutere la causa in videoconferenza (udienza a distanza), opzione nata in periodo pandemico e ora resa strutturale.
- Udienza da remoto: almeno una delle parti può optare per discutere da remoto (videoconferenza). La richiesta avviene nelle stesse forme (nel ricorso o con istanza fino a 10 giorni prima). Se entrambe le parti chiedono remoto, l’udienza sarà interamente telematica; se una parte vuole presenza e l’altra remoto, si adotterà una modalità mista: la parte che desidera comparire in aula sarà presente fisicamente, mentre l’altra parte si collegherà da remoto. In tal caso, i giudici e il personale di segreteria saranno comunque presenti fisicamente in aula, garantendo la pubblicità della seduta per chi assiste in loco, e nel contempo consentendo alla parte remota di partecipare con uguali diritti. Questa possibilità “ibrida” introdotta dal D.Lgs. 220/2023 concilia esigenze diverse delle parti. La segreteria comunica con anticipo (almeno 3 giorni prima) le modalità tecniche e l’orario del collegamento.
La pubblicità dell’udienza consiste nel diritto del pubblico di assistere (nel caso di udienza in presenza aperta). In udienza da remoto, ovviamente il pubblico può assistere solo in forma virtuale o tramite eventuale schermo in aula ove predisposto. La trattazione in pubblica udienza può anche essere disposta d’ufficio dal Collegio se la ritiene opportuna (ad esempio per cause particolarmente complesse o d’interesse generale, il collegio può decidere di convocare le parti in pubblico dibattimento).
Svolgimento tipico dell’udienza pubblica: il Presidente chiama la causa, i difensori delle parti (o le parti stesse se senza difensore) si presentano davanti al Collegio. Di solito viene data la parola prima al relatore (uno dei giudici del collegio) che riassume i fatti essenziali e i punti della causa per il verbale. Successivamente prende la parola l’avvocato del ricorrente, che illustra i motivi di ricorso e replica alle difese dell’ufficio. Poi interviene il rappresentante dell’ufficio resistente, controbatte e chiede il rigetto. Il Presidente modera e può porre domande per chiarimenti. Non vi è giuramento né esame testimoniale orale (se ammessa una testimonianza, sarà già stata raccolta per iscritto prima). Terminata la discussione, la causa viene dichiarata “trattenuta in decisione” e le parti lasciano l’aula. Se la trattazione è in camera di consiglio senza udienza, invece, tutto avviene in assenza di parti: all’orario stabilito, i giudici si riuniscono, il relatore espone il fascicolo agli altri e si passa direttamente alla fase decisionale, sulla base degli atti scritti.
La riforma ha anche previsto che, al termine dell’udienza pubblica oppure dopo la camera di consiglio, il collegio possa immediatamente pronunciare il dispositivo della sentenza (cioè il risultato, esito vincitore/perdente). L’art. 35 D.Lgs. 546/92 come modificato stabilisce che, conclusa la discussione in udienza (o l’esposizione del relatore in camera di consiglio), i giudici deliberano subito e danno lettura del dispositivo immediatamente, salvo il caso in cui si riservino il deposito. In alternativa, se non leggono il dispositivo seduta stante, devono comunque depositarlo in segreteria entro 7 giorni dalla decisione, con contestuale comunicazione alle parti. Questa novità (deposito del dispositivo entro 7 giorni perentori) mira ad accelerare la conoscenza dell’esito. Tuttavia è specificato che la perentorietà non è assistita da sanzione espressa, quindi un eventuale ritardo non comporta nullità della sentenza, ma è un termine ordinatorio per spronare i collegi a non trattenere troppo a lungo le cause.
3.5 La decisione di primo grado: contenuto della sentenza e oneri processuali
La sentenza del giudice tributario conclude il grado di giudizio decidendo sulle domande proposte. Può avere contenuto di accoglimento (annullamento totale o parziale dell’atto impugnato, eventualmente con rinvio all’ufficio per nuovo esame in certi casi) oppure di rigetto (conferma della legittimità dell’atto). In alcuni casi particolari il ricorso può essere dichiarato inammissibile o improcedibile (es. per tardività, difetto di interesse se l’atto impugnato è stato annullato in autotutela medio tempore, ecc.). Il contenuto motivazionale della sentenza è fondamentale. L’art. 36 D.Lgs. 546/92 richiede che la sentenza contenga: l’intestazione “Repubblica Italiana – In nome del popolo italiano”, l’indicazione delle parti, l’oggetto della controversia, sintesi dello svolgimento del processo, motivi in fatto e in diritto, il dispositivo e la data, oltre alle firme dei giudici. La recente modifica del 2023 ha aggiunto l’obbligo di indicare nella motivazione una “succinta esposizione dei motivi di fatto e di diritto di accoglimento o rigetto, relativi sia alle questioni di merito sia alle questioni sui vizi di legittimità dell’atto”. In pratica, viene richiesta una chiara enunciazione delle ragioni decisive, anche in forma concisa. Ciò si collega alla previsione delle sentenze in forma semplificata: infatti il D.Lgs. 220/2023 ribadisce che il giudice può decidere con sentenza semplificata i casi di manifesta fondatezza, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, indicando in motivazione il solo punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo. Tale meccanismo consente di redigere decisioni molto concise per liti dall’esito evidente, pur sempre motivate. Ad esempio, se un ricorso è palesemente oltre i termini, la sentenza semplificata potrà limitarsi a indicare “Ricorso tardivo – va dichiarato inammissibile”, senza un’ampia trattazione. L’importante è che sia chiaro il perché. Molte Corti utilizzano questa forma, soprattutto nei casi seriali (es. ricorsi contro cartelle già definiti da condono, etc.). Dal 2023 la motivazione semplificata può consistere in un sintetico riferimento al fatto o diritto risolutivo, e ciò viene facilitato dalla norma che la consente proprio quando il ricorso è manifestamente fondato o infondato.
Parallelamente, resta salva la possibilità di decidere con sentenza “ordinaria” laddove la questione sia più complessa e richieda una motivazione articolata. In ogni caso, la motivazione serve anche a dare conto delle eventuali eccezioni procedurali (giurisdizione, competenza, ecc.) e delle istanze istruttorie (ad esempio, se il contribuente ha chiesto prova testimoniale e il giudice l’ha negata, di solito motiverà il perché in sentenza, benché sintetico). La sentenza viene poi depositata in segreteria entro il termine (ordinatorio) di 30 giorni dalla deliberazione, anche se spesso i tempi effettivi possono essere più lunghi. Dal deposito decorrono i termini per impugnare in appello (60 giorni se la sentenza viene notificata da una parte, oppure 6 mesi d’ufficio).
Condanna alle spese e compensazione: La sentenza decide anche sulle spese di giudizio, ossia chi deve sopportare le spese legali. Nel processo tributario vige il principio della soccombenza: la parte che perde paga le spese alla parte vincitrice (tipicamente il compenso del difensore, contributo unificato, etc.), secondo tariffe e liquidazioni del giudice. Il giudice può però disporre la compensazione delle spese in tutto o in parte, in presenza di soccombenza reciproca (entrambe le parti vincono in parte) oppure di gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate in motivazione (situazioni particolari che rendono equo ciascuno paghi le proprie spese). La riforma ha introdotto un’ulteriore ipotesi di compensazione: quando la parte vittoriosa vince sulla base di documenti decisivi che essa ha prodotto solo nel corso del giudizio. Questa previsione, già discussa in §3.3, è volta a scoraggiare i contribuenti dal presentare in ritardo prove determinanti: in tal caso, pur vincendo nel merito, non avranno rimborso delle spese legali, che rimarranno compensate. Ad esempio, se un contribuente si vede annullare l’accertamento in giudizio perché ha esibito in udienza un documento risolutivo che non aveva mostrato prima (durante il contraddittorio con l’ufficio), il giudice dichiarerà compensate le spese, togliendo così il “premio” delle spese alla parte vincente. Sono fatte salve però situazioni di impossibilità: se il contribuente prova di non aver potuto produrre prima quel documento (ad es. perché ne è venuto in possesso solo dopo), potrebbe chiedere che non si applichi questa regola, anche se il testo normativo è tassativo nel prevedere la compensazione in ogni caso simile. Sarà la giurisprudenza a chiarire margini di discrezionalità. Resta fermo che se il contribuente invece aveva proposto quel documento già in fase pre-contenziosa e l’ufficio l’ha ignorato, questo non rientra nella penalizzazione (perché il doc era stato effettivamente esibito prima del processo, quindi non “solo nel corso del giudizio”).
La Cassazione ha in passato affermato che la compensazione per novità della questione o incertezza interpretativa può rientrare tra le “gravi ed eccezionali ragioni”. Ad esempio, se la controversia verteva su una questione di diritto controversa su cui esistevano orientamenti contrastanti, il giudice può compensare le spese anche se c’è un vincitore chiaro, motivando che la complessità giuridica giustifica la non imputazione integrale delle spese alla parte soccombente. Con la riforma, oltre a questi casi, è esplicitamente prevista la compensazione per produzione tardiva di prove decisive.
Una situazione peculiare è quando il ricorso viene accolto per un vizio formale sanabile in via amministrativa: per esempio, avviso annullato perché mancava la firma digitale o perché l’ufficio non ha considerato un documento del contribuente. In simili ipotesi i giudici spesso compensano le spese, specie se l’atto potrà essere riemesso e quindi il contribuente non risulta definitivamente vittorioso sul merito. La riforma 2023 ha aggiunto anche la compensazione nel caso in cui la parte risulti vittoriosa grazie a un documento decisivo presentato in ritardo, come detto.
3.6 Deflazione del contenzioso: conciliazione giudiziale e altri strumenti
Parallelamente al giudizio contenzioso descritto, l’ordinamento offre strumenti per definire in via consensuale o semplificata la lite nel corso del processo. Uno di questi è la conciliazione giudiziale, istituto presente da tempo ma potenziato di recente. La conciliazione consiste in un accordo transattivo tra contribuente ed ente impositore, raggiunto con l’ausilio del giudice, che chiude anticipatamente la controversia con reciproche concessioni (di solito riduzione delle sanzioni o parziale riduzione della pretesa).
Nel rito tributario esistono due forme: la conciliazione fuori udienza e la conciliazione in udienza su proposta della Corte. Entrambe sono state ampliate:
- Conciliazione fuori udienza: prevista dall’art. 48 D.Lgs. 546/92, può avvenire su iniziativa delle parti prima dell’udienza. In pratica, le parti (contribuente e ufficio) negoziano e se raggiungono un accordo, lo formalizzano in una proposta di conciliazione che viene sottoposta al Collegio. Se il collegio la reputa conforme a legge, la omologa con decreto e la lite si chiude. In passato questa forma era ammessa solo in primo grado; dal 2023 è stato chiarito che è possibile anche in appello e persino durante il giudizio di Cassazione (benché in Cassazione le parti, più che conciliare, dovrebbero averlo fatto prima, ma la norma ora lo consente per pendenze cassate e rinviate). La conciliazione fuori udienza è particolarmente utile quando l’ufficio riconosce parzialmente le ragioni del contribuente e vuole evitare ulteriori gradi di giudizio. I termini pratici: il contribuente potrebbe ad esempio accettare di pagare il 50% del tributo contestato rinunciando al resto, e l’ufficio riduce sanzioni al minimo.
- Conciliazione su proposta del giudice: novità del D.Lgs. 130/2022 (art. 48-bis.1). In udienza (o anche fuori udienza) la Corte di giustizia tributaria può formulare una proposta conciliativa alle parti, ove possibile in considerazione dell’oggetto e dei precedenti giurisprudenziali. Ciò significa che, valutate le posizioni, il collegio può suggerire un compromesso, specialmente se intravede un esito incerto o una soluzione equitativa. Se le parti accettano la proposta del giudice, chiedono un rinvio per perfezionare l’accordo. Questo strumento rende il giudice “attivo mediatore” in certe controversie, come avviene in altri riti (es. tentativo di conciliazione giudice-lavoro). Sarà però da vedere quanto verrà utilizzato: dipende dalla collaborazione delle parti.
Benefici della conciliazione: Quando si definisce la conciliazione, il contribuente ottiene una forte riduzione delle sanzioni amministrative. In particolare, l’art. 48-ter prevede che le sanzioni siano dovute sul minimo edittale e ridotte in misura percentuale a seconda dello stato del giudizio in cui avviene l’accordo:
- Se la conciliazione si perfeziona nel primo grado, le sanzioni sono ridotte al 40% del minimo.
- Se avviene nel secondo grado, sanzioni al 50% del minimo.
- Se addirittura nel giudizio di Cassazione, sanzioni al 60% del minimo.
Ciò incoraggia a chiudere prima (minore è la fase, minore la sanzione). Oltre a ciò, sul tributo oggetto di conciliazione non sono dovuti interessi di mora successivi al giorno dell’accordo. La definizione conciliativa comporta poi l’estinzione delle liti pendenti relative a quell’atto per i capi oggetto di accordo. La conciliazione va perfezionata col pagamento (o la prima rata) entro 20 giorni dall’accordo.
Altre forme deflattive: Nel processo tributario esistono anche:
- Acquiescenza all’accertamento: se dopo aver presentato ricorso il contribuente cambia idea e vuole accettare l’atto con riduzione sanzioni (soluzione amministrativa), può rinunciare al ricorso e pagare con sanzioni ridotte di 1/3 (se entro i 60 giorni dalla notifica, art. 15 D.Lgs. 218/97). Questo però implica rinuncia al giudizio.
- Cessazione materia del contendere: se l’ufficio in autotutela annulla in toto l’atto durante il processo, la lite si chiude per cessata materia del contendere. In tal caso le spese di regola sono a carico dell’ufficio (avendo soddisfatto le richieste del ricorso).
- Riti speciali: ad esempio, è previsto che per le liti fino a €50.000 nate prima del 2023 vi fosse un tentativo obbligatorio di mediazione/reclamo (ora abolito). Dal 2023 quell’istituto non c’è più, però sono stati introdotti strumenti alternativi come la definizione agevolata delle liti fiscali pendenti (norme straordinarie del 2023, condono liti, non trattate qui in dettaglio).
4. La Tutela Cautelare nel Processo Tributario
Durante il tempo necessario a ottenere una sentenza definitiva, il contribuente potrebbe subire l’esecuzione dell’atto impugnato (es. essere obbligato a pagare, subire un fermo amministrativo, ecc.). Per evitare danni gravi derivanti dall’immediata esecutorietà degli atti fiscali, l’ordinamento prevede la possibilità di richiedere misure cautelari al giudice tributario. Lo strumento principale è l’istanza di sospensione dell’atto impugnato, disciplinata dall’art. 47 D.Lgs. 546/92. In sostanza, il contribuente può chiedere al giudice di sospendere provvisoriamente gli effetti dell’atto (tipicamente la riscossione delle somme) fino alla decisione di merito, se l’esecuzione immediata gli arrecherebbe un danno grave e irreparabile. Vediamo come funziona tale tutela alla luce delle ultime modifiche.
4.1 Sospensione dell’atto impugnato in primo grado
Quando il contribuente deposita il ricorso in primo grado, può contestualmente (o con atto separato successivo) presentare un’istanza di sospensione degli effetti esecutivi dell’atto impugnato. I presupposti sono: fumus boni iuris (apparenza di buon diritto, cioè motivi non manifestamente infondati) e periculum in mora (rischio di danno grave e irreparabile in attesa della sentenza). Ad esempio, se l’Agente della riscossione minaccia di procedere immediatamente a pignoramenti per le somme accertate, il contribuente ricorrente chiederà la sospensione per evitare il danno irreparabile alla propria attività.
La richiesta cautelare è rivolta alla Corte di giustizia tributaria presso cui pende la causa (quella di primo grado se siamo in primo grado, di secondo se in appello). Tradizionalmente, decideva l’intero collegio; la riforma ha introdotto la possibilità di provvedimenti monocratici in urgenza. Attualmente la procedura è la seguente:
- L’istanza di sospensione (contenuta nel ricorso o in atto separato) viene assegnata presto a una camera di consiglio. Il Presidente della sezione fissa con decreto la data di trattazione collegiale in camera di consiglio, di regola entro periodi brevi (spesso entro 30–60 giorni).
- Provvedimento monocratico d’urgenza: se vi è eccezionale urgenza, il Presidente della Corte tributaria può concedere subito, inaudita altera parte, una sospensione provvisoria fino alla pronuncia del collegio. Questo è simile ai provvedimenti cautelari d’urgenza del processo civile (art. 700 c.p.c. analogicamente). Ad esempio, se l’asta dell’immobile del contribuente è fissata a breve termine, il Presidente potrebbe sospenderla immediatamente senza attendere il collegio. La sospensione presidenziale ha natura interinale e dura solo finché il collegio (o il giudice monocratico designato) non decide collegialmente.
- Udienza cautelare: la domanda di sospensione è decisa dal collegio o dal giudice monocratico, dopo aver sentito le parti in camera di consiglio (audizione informale, spesso in non pubblica udienza). Infatti, se la controversia è di quelle decise da giudice unico (valore < €3.000), sarà quell’unico giudice a decidere anche la cautela; se la controversia è collegiale, decide il collegio. Durante la camera di consiglio cautelare, la difesa del contribuente espone le ragioni e l’ufficio replica (spesso in modo sintetico, talvolta depositando una memoria ad hoc).
- Decisione sulla sospensiva: il giudice (unico o collegio) decide con ordinanza motivata nella stessa udienza di trattazione, dando immediata comunicazione alle parti. Quindi, tipicamente, lo stesso giorno le parti sanno se la sospensione è accordata o no. L’ordinanza di accoglimento sospende l’atto (es. blocca la riscossione coattiva) fino alla decisione di merito. Se rigetta, la riscossione prosegue.
La legge richiede che il giudice, per concedere la sospensiva, “delibi nel merito”: significa che deve fare una prima delibazione sommaria delle ragioni, senza ovviamente anticipare il giudizio finale. Ciò si traduce nel valutare se il ricorso appare plausibile e se il danno prospettato è serio. Spesso le ordinanze cautelari motivano molto stringatamente (“Ritenuto che ricorrono/non ricorrono i presupposti…”).
Reclamo e appello cautelare: La riforma ha modificato il regime delle impugnazioni delle ordinanze cautelari. In passato l’ordinanza di sospensione non era appellabile; ora:
- Se l’ordinanza cautelare è resa dal collegio (in primo grado), essa è impugnabile con appello cautelare alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado entro 15 giorni dalla comunicazione. L’appello cautelare avviene con ricorso (detto “reclamo” in analogia al c.p.c.) davanti al giudice di secondo grado, che lo decide in camera di consiglio urgente (entro 30 giorni dalla presentazione). Anche in secondo grado il Presidente può dare sospensione provvisoria fino alla camera di consiglio. L’ordinanza della Corte regionale emessa su appello cautelare non è ulteriormente impugnabile, quindi lì si chiude la fase cautelare (niente Cassazione su ordinanze).
- Se l’ordinanza cautelare originaria è resa dal giudice monocratico (causa minore in primo grado), essa non si impugna in secondo grado, ma si può proporre reclamo davanti allo stesso organo in composizione collegiale. In pratica, se il giudice unico di primo grado respinge la sospensione, il contribuente entro 15 giorni può chiedere che la questione sia riesaminata dal collegio a tre della medesima Corte di giustizia tributaria. Il reclamo è notificato alle controparti e il collegio decide rapidamente. L’ordinanza sul reclamo non è ulteriormente impugnabile. Questa peculiarità (reclamo “interno”) è mutuata dal rito civile del lavoro e serve a dare un doppio sguardo anche alle cause decise da giudice unico, senza scomodare la corte d’appello tributaria.
- L’ordinanza cautelare emessa in appello (secondo grado) non è impugnabile. Ciò vuol dire che se in secondo grado il contribuente chiede di sospendere la sentenza di primo grado (che magari gli impone pagamento) e la corte d’appello glielo nega, non può far altro che tenerselo (non esiste un “terzo grado” cautelare). Stesso se gliela concede: l’ufficio non può appellare oltre.
Gli effetti della sospensione cessano con la pubblicazione della sentenza di merito. Cioè, se il contribuente ottiene la sospensione dell’atto impugnato in attesa del giudizio e poi perde la causa (sentenza sfavorevole), dal momento in cui la sentenza è depositata, l’atto torna efficace (salvo chiedere in appello altra sospensione sulla sentenza, vedi §5.1). Se invece vince, l’atto è annullato e il problema non si pone.
Nel complesso, le nuove norme hanno reso la tutela cautelare più efficace: prima le ordinanze non erano impugnabili affatto (salvo Cassazione per abnormità, quasi impossibile), ora c’è un secondo scrutinio (appello o reclamo) e tempi certi. Inoltre, l’introduzione del provvedimento presidenziale d’urgenza consente di intervenire subito in casi disperati. Così il processo tributario si allinea al civile cautelare.
Esempio pratico – Istanza di sospensione dell’atto impugnato (estratto):
«…Alla luce di quanto esposto, ricorrono i presupposti per la concessione della misura cautelare. L’immediata esecuzione dell’avviso di accertamento impugnato, comportante iscrizione a ruolo di €150.000 (tra imposte e accessori), cagionerebbe infatti alla società ricorrente un danno grave e irreparabile. Come da documentazione prodotta (bilancio e situazione finanziaria, doc. 15), l’azienda versa in crisi di liquidità e l’esborso immediato dell’importo contestato determinerebbe l’impossibilità di pagare i fornitori e i dipendenti, conducendo con ogni probabilità la società all’insolvenza.
Il fumus boni iuris appare parimenti sussistente, atteso che il ricorso evidenzia profili di illegittimità dell’avviso (in particolare l’omessa valutazione delle prove difensive presentate dal contribuente) che potranno verosimilmente portare all’annullamento, anche solo parziale, della pretesa. In proposito, si sottolinea che la stessa Agenzia delle Entrate, in casi analoghi, ha visto annullati in giudizio accertamenti per violazione del contraddittorio (cfr. decisione CTR Toscana n. 77/2024 allegata, doc. 14).
Si chiede pertanto alla Corte adita di sospendere l’esecutività dell’atto impugnato ex art. 47 D.Lgs. 546/1992, stante l’eccezionale urgenza anche inaudita altera parte (il concessionario ha notificato in data 02/05/2025 l’intimazione di pagamento, preannunciando azioni esecutive dal 20/05/2025).»
4.2 Definizione anticipata nel merito in sede cautelare
Una rilevante innovazione (art. 47, c.8–bis e ter D.Lgs. 546/92) è la possibilità per il giudice di definire il giudizio nel merito in fase cautelare, emettendo subito sentenza in forma semplificata, qualora la causa appaia chiara. Tale meccanismo, introdotto dall’art. 1-quater del D.L. 146/2021 e ora riformulato dal D.Lgs. 130/2022, opera così:
- Regola generale: in sede di decisione sull’istanza cautelare, il collegio non decide immediatamente nel merito, salvo eccezioni. L’eccezione è appunto disciplinata dalla norma:
- Eccezione – Sentenza semplificata immediata: eccetto il caso di pronuncia sul reclamo (quindi tranne quando sta decidendo un reclamo cautelare in secondo grado di primo grado monocratico), il collegio giudicante, decorsi almeno 20 giorni dall’ultima notificazione del ricorso, può definire il giudizio con sentenza, invece che con ordinanza, dopo aver sentito le parti costituite. In pratica, se la causa è matura e c’è stato contraddittorio sufficiente (almeno 20 giorni dall’ultima notifica, così da garantire che anche il resistente sia a conoscenza e possa argomentare), il giudice, all’udienza cautelare, può emettere direttamente una sentenza definitiva (ovviamente suscettibile di appello), anziché limitarsi a dare o negare la sospensione. Questa sentenza sarà in forma semplificata.
- Facoltà di opposizione delle parti: se almeno una delle parti dichiara di voler proporre motivi aggiunti o regolamento di giurisdizione, il giudice non definisce immediatamente ma rinvia. Analogamente se occorre integrare il contraddittorio. Ciò significa che la parte che non vuole la decisione lampo può impedirla manifestando la volontà di produrre ulteriori argomenti o contestare la giurisdizione. In tal caso, il collegio rinvia la trattazione e fissa termini per quelle attività (es: consente di presentare i motivi aggiunti).
- Se invece nessuno si oppone, il giudice può decidere subito. Egli lo farà tipicamente se il ricorso è manifestamente fondato o infondato (casi di manifesta fondatezza, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza – condizioni analoghe a quelle per la sentenza semplificata di cui sopra). In tal caso, emetterà una sentenza semplificata dove la motivazione consiste in un sintetico riferimento al punto decisivo (es: “ricorso manifestamente infondato perché l’eccezione di prescrizione è palesemente errata in diritto”, etc.).
Questa procedura si applica anche se la domanda cautelare era proposta al giudice monocratico, e in tal caso il giudice unico emette direttamente sentenza. Se era un collegio, collegialmente. È esclusa invece, come detto, quando c’è un reclamo in appello (perché lì già il merito sarebbe in secondo grado, non definibile da quell’organo, che si limita alla cautela).
Effetti pratici: ciò consente di chiudere rapidamente liti ovvie. Ad esempio, se il contribuente chiede sospensiva e il collegio si accorge che il ricorso è certamente da accogliere (poniamo, l’ufficio ha notificato due volte lo stesso avviso: il giudice potrebbe direttamente annullare l’atto in sentenza semplificata). Oppure al contrario, se il ricorso è palesemente infondato (poniamo l’atto impugnato non è tra quelli ricorribili), il collegio in sede di cautela può emettere sentenza di rigetto definitiva, evitando di tenere in piedi la causa. Questo strumento accorcia enormemente i tempi in casi limpidi. Naturalmente, la parte che non gradisse la decisione sprint può dichiarare di voler dedurre qualcos’altro, il che di fatto obbliga il giudice a non decidere subito. Resta quindi una facoltà discrezionale, modulata dal contraddittorio.
Nei primi tempi di applicazione, questa norma ha sollevato qualche perplessità, ma appare un buon mezzo per ridurre il contenzioso inutile e potenzialmente una leva per spingere le parti a un accordo: sapendo che il giudice potrebbe decidere subito, l’ufficio e contribuente possono conciliarsi prima. La dottrina l’ha accolta come innovazione positiva, pur segnalando dubbi su casi borderline (se la parte dice di voler fare motivi aggiunti giusto per prendere tempo, il giudice come valuta la genuinità?). Sarà l’esperienza a fornire risposte.
5. Le Impugnazioni: Appello, Cassazione ed Altri Rimedi
Come già illustrato, contro la sentenza di primo grado è ammesso appello al giudice tributario di secondo grado, e contro la sentenza di appello è in teoria ammesso ricorso per Cassazione per motivi di legittimità. Inoltre, sono previsti rimedi straordinari come la revocazione e l’opposizione di terzo. In questa sezione esamineremo le peculiarità di queste impugnazioni nel processo tributario, tenendo conto delle recenti modifiche che hanno interessato soprattutto l’appello e la fase di legittimità.
5.1 L’appello in commissione tributaria regionale (Corte di secondo grado)
L’appello contro la sentenza di primo grado va presentato alla competente Corte di giustizia tributaria di secondo grado (la ex Commissione regionale) entro i termini di legge. Termini: 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado ad opera della controparte soccombente oppure, se nessuno notifica la sentenza, entro 6 mesi dalla pubblicazione della stessa (c.d. “appello lungo” – termini identici al processo civile, ex art. 327 c.p.c.). L’appello si propone con ricorso (come il primo grado) notificato alle controparti e depositato. Il contenuto del ricorso in appello deve indicare gli errori della sentenza impugnata (motivi di appello) in fatto o diritto, e le nuove domande o eccezioni non sono ammesse, salvo quelle relative alla nullità della sentenza di primo grado o sopravvenute. In sostanza, l’appellante non può ampliare il “tema” della controversia oltre quanto già trattato, a parte questioni di legittimità della sentenza stessa o fatti nuovi rilevanti insorti dopo. Il giudice d’appello ha poteri pieni di riesame: può confermare, riformare o annullare la sentenza di primo grado. Qualora annulli senza decidere nel merito (es. per vizio processuale insanabile), può rinviare al primo giudice, ma ciò è raro in ambito tributario (spesso si opta per decidere nel merito direttamente in secondo grado se possibile, per economia processuale).
Una novità introdotta nel 2023 è la possibilità di chiedere in appello la sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado. In passato la sentenza di CTP era immediatamente esecutiva per la parte di tributo non sospesa (infatti se il contribuente perdeva, doveva pagare 1/3 o l’intero, secondo la legislazione sul “petitum provvisoriamente esecutivo”). Ora l’art. 52 D.Lgs. 546/92, riformato, prevede che l’appellante possa chiedere la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata (in tutto o in parte) per gravi e fondati motivi. Viene dunque riconosciuto il diritto a una tutela cautelare in grado di appello (analoga a quella dell’art. 283 c.p.c.). La norma specifica che è stata soppressa la previsione previgente per cui il contribuente poteva chiedere sospensione dell’atto se da questo derivava danno grave: ciò perché una volta in appello, l’atto di per sé non c’è più, sostituito dalla sentenza di primo grado. Quindi in appello si sospende la sentenza sfavorevole (se ha condannato a pagare). La procedura per questa sospensione di sentenza è simile a quella vista: il presidente fissa la camera di consiglio entro 30 giorni, e decide con ordinanza. Non è espressamente regolato l’appello cautelare su questa ordinanza, ma si può ritenere analogicamente che l’ordinanza di appello possa essere reclamata in Cassazione? La norma però dice che l’ordinanza cautelare di secondo grado non è impugnabile, quindi par di no.
Svolgimento dell’appello: L’appello tributario è trattato con modalità analoghe al primo grado. Dopo la costituzione dell’appellante e dell’appellato (la parte vittoriosa in primo grado che resiste in appello), vi è uno scambio di memorie (anche qui art. 32 vale in appello per memorie 20-10 giorni, se c’è udienza pubblica). Il giudice d’appello può disporre prova testimoniale scritta con le stesse regole di prima (qui perlopiù se non ammessa prima). Limiti alle nuove prove: come già dettagliato (§3.3), l’art. 58 D.Lgs. 546/92 ora sancisce il divieto di nuove prove/documenti in appello, salvo siano indispensabili o non presentabili prima per causa non imputabile. Quindi il secondo grado è prevalentemente un riesame su evidenze già raccolte. È ammesso proporre motivi di impugnazione aggiunti se emergono in appello documenti nuovi ad opera dell’altra parte, rivelanti vizi ulteriori. Non è mai consentito produrre in appello deleghe o procure che servivano per la validità di atti precedenti (queste vanno in primo grado). Tali norme, come visto, si applicano solo ai giudizi instaurati dopo il 4.1.2024, con disciplina transitoria per i pendenti.
Decisione d’appello: avviene con sentenza (spesso redatta in forma estesa). L’appello può essere accolto (riforma la sentenza impugnata) o rigettato (conferma). In caso di accoglimento parziale, si potrà avere compensazione parziale delle spese. La sentenza di appello è immediatamente esecutiva: se riforma e dà ragione al contribuente, egli ha diritto al rimborso di quanto eventualmente pagato dopo la sentenza di primo grado; se invece conferma l’obbligo a carico del contribuente, l’ente può esigere il resto (es. i 2/3 residui, se in primo grado magari si era pagato 1/3). Contro la sentenza di appello, la parte soccombente potrà valutare il ricorso per Cassazione.
Conciliazione in appello: come detto nel §3.6, è ora ammessa la conciliazione anche in secondo grado: le parti possono trovare un accordo e farlo omologare dalla CTR, con sanzioni ridotte al 50%. Questo può capitare se in primo grado magari non c’era accordo ma durante l’appello si preferisce chiudere la partita con reciproche concessioni.
Filtro in appello e per saltum: Non esiste un filtro di inammissibilità per l’appello nel processo tributario (diversamente dal civile dove c’è il 348-bis c.p.c. per appelli manifestamente infondati, ma nel tributario non si applica). Esiste invece l’istituto (mai usato) dell’appello per saltum in Cassazione, ma richiede l’accordo di entrambe le parti dopo il primo grado e non è praticamente mai attivato in materia tributaria.
5.2 Il ricorso per Cassazione
La Cassazione tributaria funziona come la Cassazione civile: il suo ruolo è verificare che la sentenza di secondo grado abbia rispettato la legge. Motivi di ricorso: ai sensi dell’art. 62 D.Lgs. 546/92 (che richiama l’art. 360 c.p.c.), sono ammessi come motivi: violazione di legge sostanziale o processuale; nullità della sentenza o del procedimento; omesso esame di un fatto decisivo (nei limiti dell’art. 360 n.5 c.p.c., oggi molto ristretto). Non è più ammesso il vizio di motivazione insufficiente, se non nei termini di omesso esame di fatto decisivo, secondo la riforma del 2012. Termini: identici all’appello, 60 giorni da notifica della sentenza di appello o 6 mesi da deposito se non notificata.
Il ricorso per Cassazione si propone con atto notificato alla controparte (Agenzia Entrate se è soccombente, o contribuente se è l’ufficio a ricorrere), poi depositato in Cassazione. Qui entra in gioco l’Avvocatura Generale dello Stato se il ricorso è dell’Amministrazione (che in Cassazione deve farsi rappresentare dall’Avvocato Generale dello Stato, tranne l’Agenzia Entrate-Riscossione che può usare i propri). Il contribuente dev’essere assistito da avvocato abilitato al patrocinio in Cassazione (ossia avvocato cassazionista). Il fascicolo processuale è trasmesso dalla segreteria della CTR alla Cassazione, e la trattazione in Cassazione segue le regole generali: possibilità di decisione in camera di consiglio non partecipata (art. 380-bis c.p.c.) per rigetto/accoglimento immediato se il ricorso è manifestamente inammissibile, infondato o fondato; oppure pubblica udienza se la questione lo richiede. Il ricorso in Cassazione non sospende l’esecutività della sentenza di appello: ciò significa che, salvo sospensione (vedi di seguito), l’eventuale pagamento dovuto per effetto della sentenza di secondo grado va effettuato anche se si ricorre.
Novità importante, come già evidenziato, è l’art. 62-bis introdotto nel 2022: sospensione in pendenza di ricorso per Cassazione. Chi ha proposto ricorso per Cassazione può chiedere alla Corte di giustizia tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata (quindi la CTR) di sospenderne l’esecutività (in tutto o parte) per evitare un danno grave e irreparabile. È analogo a quanto visto per l’appello, ma qui rivolto al giudice di appello stesso dopo che la sentenza è stata impugnata in Cassazione. Il Presidente fissa la camera di consiglio entro 30 giorni. La CTR non può pronunciarsi se la parte non prova di aver depositato il ricorso per Cassazione – ciò per evitare furbizie di chiedere sospensioni senza aver davvero impugnato. Questa misura colma un vuoto: prima, la sentenza di secondo grado era esecutiva e durante l’eventuale lungo iter in Cassazione il contribuente doveva pagare, con rischio di poi dover essere rimborsato (o viceversa se aveva vinto e l’ufficio doveva rimborsare, c’era il rischio di dover restituire). Ora c’è la facoltà di fermare tutto se vi è pericolo di danno irreparabile. Pensiamo a una sentenza di secondo grado che dà ragione al Fisco su milioni di euro: il contribuente può, ricorrendo in Cassazione, chiedere alla CTR di sospendere l’efficacia di quella sentenza (ossia di non dover pagare subito milioni che lo porterebbero a fallire). Il meccanismo è analogo alle altre sospensive, con camera di consiglio e provvedimento motivato veloce. Questo ricorso va fatto entro il termine (il DL 130/2022 non specificava il termine per la domanda, ma presumibilmente il prima possibile dopo aver ricorso in Cassazione).
Decisione della Cassazione: La Suprema Corte, se ritiene il ricorso infondato o inammissibile, lo rigetta con sentenza (spesso a sezioni semplici, in camera di consiglio se i motivi sono manifestamente non meritevoli di pubblica udienza). Se ritiene fondato almeno uno dei motivi, cassa la sentenza impugnata. Il più delle volte, la Cassazione rinvia la causa ad altra sezione della Corte di secondo grado (o eccezionalmente a quella di primo grado se l’errore è solo di primo e non fu appello su quel punto). La CTR in sede di rinvio si uniformerà ai principi affermati dalla Cassazione e deciderà di nuovo sul merito. In alcuni casi la Cassazione può decidere nel merito (art. 384 c.p.c.), cioè emettere essa stessa la sentenza definitiva, ma ciò richiede che non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto. Nel tributario, questo succede se per esempio la questione è solo giuridica e il quadro fattuale è pacifico: la Cassazione potrebbe cassare senza rinvio la decisione se, poniamo, ravvisa un difetto di giurisdizione o dichiara inesistente la notifica dell’atto originario (e quindi il processo nullo ab origine). Un fenomeno frequente è la cassazione parziale: se alcuni motivi vengono accolti e altri no, la Cassazione può cassare la sentenza solo su quei capi e rinviare limitatamente ad essi. Ciò è utile se, ad esempio, su un avviso di accertamento con più rilievi la CTR ne aveva annullati alcuni e confermati altri e si discute solo di uno.
Sezioni Unite: Alcune questioni di particolare importanza o su cui vi è contrasto giurisprudenziale possono essere decise dalle Sezioni Unite della Cassazione. In materia tributaria, le SS.UU. sono intervenute su problemi di giurisdizione, di natura dei tributi, di legittimazione. Esempio: Cass. SS.UU. n. 30051/2024 (citata in precedenza) ha risolto un contrasto sull’autotutela “in malam partem”, stabilendo principi importanti (vedi infra §6.3). Le decisioni delle Sezioni Unite fanno giurisprudenza autorevole e uniformante.
Esecuzione provvisoria e rimborsi durante la Cassazione: Se il contribuente ha vinto in appello, di regola ha diritto al rimborso di quanto eventualmente pagato dopo il primo grado. Tuttavia l’Amministrazione spesso attende l’esito della Cassazione per rimborsare (specie somme ingenti), chiedendo magari una sospensione del rimborso. Non c’è un automatismo come per le somme dovute, ma la prassi e alcune norme (come l’art. 68 D.Lgs. 546/92) regolano che se il contribuente ha avuto ragione in secondo grado, può presentare istanza di rimborso. Se poi la Cassazione dovesse ribaltare, l’ufficio rifarebbe un avviso di addebito o recupero. La sospensione ex art. 62-bis può bloccare queste dinamiche, congelando la situazione. Ad esempio, Cass. SS.UU. n. 8053/2021 ha stabilito che durante il giudizio, se il contribuente ha ottenuto rimborso per sentenza poi cassata, l’ufficio per riprendersi i soldi deve riattivare il procedimento e non lo può fare esecutivamente se la sentenza finale non è ancora passata in giudicato.
In ogni caso, il giudizio di Cassazione segna la fine del contenzioso ordinario. Dopo la sentenza della Cassazione, se c’è rinvio si torna in commissione per il “giudizio di rinvio” che produrrà nuova sentenza appellabile (teoricamente di nuovo in Cassazione, ma si spera conforme) e così via. In rari casi si può arrivare a più cicli (c.d. “ping-pong” Cassazione – rinvio – Cassazione) se i giudici di merito non si adeguano o emergono nuove questioni. Anche su questo si è intervenuti: la riforma Cartabia ha introdotto l’art. 363-bis c.p.c. che consente al giudice di merito di chiedere un parere preventivo alla Cassazione su questione di diritto nuova e controversa (per evitare di sbagliare e dover rifare). E in ambito tributario la Cassazione SS.UU. con sentenza n. 34447/2019 ha delineato l’uso dell’art. 363 c.p.c. (principio di diritto nell’interesse della legge) per dare linee guida senza cassare – istituto poco usato.
In conclusione, il ricorso per Cassazione è un rimedio di legalità: serve solo per far valere violazioni di legge o macroscopici vizi logici della sentenza. Non è un “terzo esame” dei fatti. Dunque, in un contenzioso tributario, se la CTR ha valutato le prove pro contribuente e l’ufficio si lamenta che avrebbe dovuto valutarle diversamente, la Cassazione di regola non può intervenire, perché la valutazione del fatto spetta al giudice di merito. Salvo che la motivazione sia proprio mancante o contraddittoria su un punto decisivo (oggi come detto vizio ridotto all’osso). Questo spiega perché molte Cassazioni si concludono con “rigetto del ricorso dell’Agenzia” quando i motivi tentano di rimettere in discussione questioni di fatto già apprezzate dal giudice regionale.
La Cassazione, d’altro canto, interviene di più su questioni di diritto interpretative (ad esempio: competenza, notifiche, decadenze, norme antielusive, principi generali). Le pronunce di legittimità generano principi vincolanti di cui tener conto nei gradi di merito successivi. Per esempio, se la Cassazione a Sezioni Unite stabilisce che una certa tassa locale è incostituzionale o che un certo atto non è impugnabile, tutti i giudici dovrebbero uniformarsi.
5.3 Revocazione e altri mezzi straordinari
Oltre all’appello e al ricorso per Cassazione, il processo tributario conosce alcuni mezzi straordinari di impugnazione:
- Revocazione ordinaria: disciplinata dall’art. 64 D.Lgs. 546/92 (richiama art. 395 c.p.c.), consente di chiedere la revoca di una sentenza passata in giudicato per motivi tassativi: errori di fatto risultanti dagli atti (es. il giudice ha supposto inesistente un documento che invece c’era), scoperta di documenti decisivi prima ignoti per causa di forza maggiore, dolo della controparte a danno del vincitore (es. uso di prove false), conflitto di interessi del giudice o errore materiale del giudice. In tali casi la parte lesa può proporre revocazione entro 30 giorni dalla scoperta del fatto o notifica della sentenza. La revocazione si propone alla stessa Corte tributaria che ha emesso la sentenza (ad esempio, se è un errore in sentenza di appello, revocazione davanti a quella CTR). Se accoglie, la Corte revoca la sua sentenza e ne pronuncia un’altra. La revocazione non sospende l’esecuzione di per sé; tuttavia, la riforma 2023 ha previsto che le parti possano proporre istanze cautelari anche in sede di revocazione osservando il contenuto dell’art. 52 (sospensione in appello) e 47 (sospensione atti). Ciò consente, ad esempio, se scopro un documento nuovo che ribalterebbe tutto dopo aver perso e faccio revocazione, di chiedere nel frattempo la sospensione della sentenza finché si decide la revocazione. Prima non era chiaro se si potesse, ora sì.
- Revocazione straordinaria: se emerge una sentenza penale definitiva di condanna per reato del giudice o della parte a motivo del processo (falso, corruzione, ecc.), allora non ci sono termini di 30 giorni. È rarissima.
- Opposizione di terzo: prevista in via generale dal c.p.c. (artt. 404 ss) e ritenuta applicabile anche nel tributario. Accade se una sentenza tributaria pregiudica il diritto di un terzo estraneo al giudizio. Esempio: società di persone – la sentenza su socio può riflettersi su altri soci non parti in causa. Il terzo può fare opposizione alla stessa Corte che ha emesso la sentenza. Questi casi sono eccezionali. In materia tributaria, la giurisprudenza ha ammesso opposizione di terzo in situazioni come: il coobbligato solidale non citato nel processo dell’altro coobbligato, oppure l’erede non chiamato nel giudizio relativo al defunto. Sono tecnicismi.
- Rettifica di errori materiali e chiarimenti: se la sentenza ha errori di scrittura o calcolo, o c’è contrasto tra motivazione e dispositivo, le parti possono chiedere alla stessa Commissione di rettificarla (istanza di correzione).
Va ricordato infine che persistono mezzi amministrativi di definizione anche dopo la sentenza: ad esempio, annullamento d’ufficio in autotutela di una decisione sfavorevole all’ente se l’ente la ritiene sbagliata (non frequente), oppure transazioni fiscali speciali in casi di grandi controversie (es. transazione nei concordati preventivi). Ma esulano dall’alveo processuale stretto.
6. Questioni Controverse e Giurisprudenza Recente
In questa sezione concludiamo la guida approfondendo alcune tematiche critiche del processo tributario e riportando i più recenti orientamenti giurisprudenziali (2024–2025) su tali questioni, per offrire al lettore avanzato un quadro aggiornato.
6.1 Il principio del contraddittorio endoprocedimentale
Uno dei temi più dibattuti dell’ultimo decennio è il diritto del contribuente al contraddittorio prima dell’emissione dell’accertamento. Tale principio, di matrice sia comunitaria (diritto di essere ascoltati) sia nazionale, è diventato centrale: prevede che l’ufficio, prima di emettere un atto impositivo, deve attivare un confronto con il contribuente, permettendogli di esporre le proprie ragioni e documenti, pena l’invalidità dell’atto.
Fino al 2022, in assenza di una previsione generale, la giurisprudenza non era uniforme. Le Sezioni Unite della Cassazione nel 2015 avevano escluso l’esistenza di un obbligo generalizzato di contraddittorio per i tributi “non armonizzati” (es. imposte sui redditi, IVA interna), ammettendolo come causa di nullità solo se previsto espressamente dalla legge o per le materie armonizzate dal diritto UE (come accertamenti doganali). In particolare, Cass. SS.UU. n. 24823/2015 affermò che per gli accertamenti fiscali interni il contraddittorio precontenzioso non era un principio immanente, salvo specifiche normative (c’era l’obbligo, ad esempio, per verifiche fiscali in loco di durata superiore a 15 giorni, ex art. 12, c.7 L. 212/2000). Questa impostazione ha retto per alcuni anni, malgrado critiche. La Corte Costituzionale (sent. 132/2015) evitò di dichiarare l’illegittimità della mancata previsione generale, ma auspicò un intervento legislativo.
L’intervento è finalmente arrivato con il D.Lgs. 218/2023 (attuativo della delega fiscale L. 111/2023): tale decreto ha inserito nello Statuto dei diritti del contribuente l’art. 6-bis che stabilisce che tutti gli atti impositivi impugnabili devono essere preceduti da un contraddittorio “informato ed effettivo”, a pena di annullabilità. Come già esposto (§3.1), ciò comporta l’obbligo per l’ufficio di comunicare al contribuente una “bozza” di accertamento (ad es. avviso di accertamento con valore di atto interlocutorio, o invito a comparire) e attendere almeno 60 giorni per eventuali memorie difensive del contribuente. Solo dopo potrà emettere l’atto definitivo, motivando l’eventuale mancato accoglimento delle osservazioni del contribuente. Questa disciplina è entrata in vigore per atti dall’1 luglio 2023 (salvo alcune eccezioni).
In pratica, oggi il contraddittorio preventivo è la regola: l’avviso di accertamento vero e proprio arriverà solo dopo un “avviso di accertamento in bozza” (o invito), e se ciò non avviene il contribuente, in giudizio, può eccepire la nullità dell’atto. Fa eccezione solo il caso di motivata urgenza che giustifichi l’emissione immediata (ad esempio pericolo per la riscossione), ma anche in tal caso l’ufficio deve poi consentire il contraddittorio successivamente (c.d. posticipato). Con questa normativa, il contenzioso tributario vedrà sempre più ricorsi fondati sulla violazione del contraddittorio, che ora ha base legale chiara, anziché su elaborazioni giurisprudenziali.
Già nel 2024 vedremo gli effetti: i primi atti eventualmente annullati dai giudici se privi di contraddittorio. Ad esempio, alcune Commissioni hanno anticipato i tempi applicando il principio anche prima: Commissione Prov. di Milano sent. 10/2024 ha annullato un avviso emesso a gennaio 2024 senza preavviso, ritenendo operante art. 6-bis Statuto (sebbene entrato in vigore il 2023). È plausibile però qualche contenzioso transitorio: atti emessi prima di luglio 2023 non avevano obbligo e su quelli vale la giurisprudenza pre-riforma (contraddittorio necessario solo in casi particolari, come studi di settore e ISA – dove già dal DL 193/2016 era obbligatorio contraddittorio – o procedimenti doganali, ecc.). Quindi per alcuni anni avremo cause in cui si discute se l’atto, essendo ad esempio un PVC del 2022 trasformato in avviso nel 2023 senza contraddittorio, fosse o meno nullo. La norma transitoria credo l’abbia previsto per atti emessi dopo tot data.
In parallelo, la Cassazione ha continuato a occuparsi di contraddittorio in ambiti specifici. Ad esempio, contraddittorio nel procedimento di ispezione nei locali (12 L.212/2000) – la Cassazione ha negli anni consolidato che la violazione del termine di 60 giorni dopo PVC comporta nullità dell’accertamento solo se il contribuente prova un concreto pregiudizio difensivo (Cass. 701/2019). Con la riforma 2023 questa disputa decadrà perché ora è a pena di annullabilità “automatica” (salvo eventuale eccezione se l’ufficio prova che anche con contraddittorio esito identico? La norma parla di annullabilità senza distinguo).
Contraddittorio giudiziale: altra questione è il contraddittorio durante il processo. Il processo tributario è modellato sul contraddittorio scritto e orale: qui la riforma ha perlopiù rafforzato strumenti come memorie, udienza pubblica su richiesta, e la parte avversa deve essere sempre notiziata di nuove produzioni (via PEC). Un tema peculiare è il contraddittorio sull’atto presupposto notificato ad altri: come visto (§3.1, litisconsorzio) la riforma 2023 ha voluto assicurare che se un vizio di notifica di un atto a un coobbligato è eccepito, quel coobbligato sia in causa. Questo per garantire il confronto con tutti i soggetti coinvolti.
In sintesi, oggi il contraddittorio endoprocedimentale è un diritto pienamente riconosciuto al contribuente e un obbligo procedurale per il Fisco. Ciò inciderà sul contenzioso: è prevedibile un minor numero di ricorsi su questioni di merito se molte controversie si risolvono in fase pre-contenziosa, ma al contempo i ricorsi che arrivano saranno più “selezionati”. Questa evoluzione segna una vittoria della cultura giuridica garantista: come in altri ordinamenti (es. Francia), ora anche in Italia l’accertamento è visto come esito di un dialogo e non come atto autoritativo unilaterale. Dal punto di vista difensivo, l’avvocato tributarista dovrà seguire con attenzione la fase precontenziosa, predisponendo memorie efficaci già in contraddittorio, sia per tentare di evitare l’atto, sia per pre-costituire un eventuale ricorso (consapevole che se aspetta di tirare fuori un asso in giudizio, rischia poi le spese compensate, come visto).
6.2 Onere della prova e sindacato probatorio del giudice
Il riparto e la gestione dell’onere probatorio costituiscono un aspetto cruciale del processo tributario, attorno a cui ruotano molte pronunce giurisprudenziali.
In via di principio, come già detto, spetta all’Amministrazione provare i fatti costitutivi della pretesa impositiva, mentre il contribuente deve provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi di essa (in senso lato). Ciò discende anche dall’art. 2697 c.c. ed è continuamente ribadito dalla Cassazione. Ad esempio, Cass. 26399/2021: “in tema di accertamento, l’onere della prova della maggior pretesa fiscale incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente dimostrare l’esistenza delle esenzioni o agevolazioni invocate”. Oppure Cass. 34444/2019: “l’avviso di accertamento è assistito da presunzione di legittimità, ma in giudizio l’ente impositore deve fornire elementi probatori idonei a fondare la pretesa”. Dall’altra parte, Cass. 21104/2020 ha chiarito che “qualora l’Amministrazione fornisca validi elementi presuntivi di evasione, spetta al contribuente l’onere di offrire una prova contraria idonea a superare la presunzione”. Questo equilibrio è ben visibile nei casi tipici:
- Accertamenti da studi di settore/ISA: l’ufficio fornisce come prova la discrepanza tra dichiarato e studi (presunzione semplice); la Cassazione (SU 26635/2009) ha stabilito che il contribuente deve contestare e provare le ragioni della differenza (ad es. con la documentazione contabile e di mercato), altrimenti l’accertamento regge.
- Accertamenti bancari: per legge (art. 32 DPR 600/73) i movimenti bancari non giustificati si presumono ricavi; la Cassazione (moltissime sentenze, es. Cass. 703/2021) rimarca che l’onere di giustificare ogni operazione bancaria spetta al contribuente, una volta che il Fisco ha segnalato i movimenti. È un’inversione legale dell’onere in sostanza. Tuttavia, permane a carico dell’ufficio l’onere di dimostrare l’entità dei movimenti e la riconducibilità al contribuente (es. se contestano movimenti su conto terzo, devono provare che sono del contribuente).
- Fatture false (operazioni inesistenti): la Cassazione a Sezioni Unite con sent. 17355/2009 chiarì che l’onere primario di provare l’inesistenza dell’operazione spetta al Fisco (ad es. mostrando che l’emittente fattura è una cartiera senza dipendenti né merci). Se l’A.F. assolve a tale onere con presunzioni gravi, allora passa sul contribuente l’onere di dimostrare che l’operazione c’è stata realmente (es. produce documenti di trasporto, paga menti tracciati, ecc.). Questa giurisprudenza è consolidata: Cass. 230/2020; Cass. 33804/2021 confermano.
- Abuso del diritto: nelle contestazioni di abuso fiscale, oggi per legge (art. 10-bis L.212/2000) l’onere di provare l’abuso è sull’Amministrazione. Il contribuente deve poi eventualmente dimostrare le valide ragioni economiche delle operazioni. E la giurisprudenza sta attenta: Cass. 25281/2022 ha annullato un accertamento per abuso perché l’ufficio non aveva concretamente provato l’assenza di sostanza economica dell’operazione, essendosi limitato ad affermarla.
Quanto al sindacato del giudice sulle prove, è pacifico che il giudice tributario può valutare liberamente le prove raccolte (principio di libero convincimento ex art. 116 c.p.c.). Un tempo c’era discussione se valessero le preclusioni probatorie del rito civile ordinario (tipo se non deduci prove in primo grado poi sei chiuso): come visto, dal 2024 la legge le introduce (no nuove prove in appello se non…), quindi il giudice d’appello spesso dovrà dire “non posso considerare questo documento nuovo se non c’era giustificazione per la tardività”. D’altra parte, il giudice può fondare la decisione su presunzioni semplici, anche da sole se gravi, precise e concordanti. Molti accertamenti tributari reggono su presunzioni (p.e. margini standard, indici, consumi di materie prime). La Cassazione verifica che il giudice di merito abbia applicato correttamente la logica presuntiva. Se la motivazione appare congrua, non interviene. Se invece il giudice ha ignorato una prova decisiva, allora c’è vizio. Ad esempio, Cass. 16819/2022 ha cassato una sentenza che aveva confermato un accertamento fondato su ricarichi medi senza considerare le prove documentali del contribuente sui prezzi effettivi: vizio di omesso esame di fatto decisivo.
La giurisprudenza recente ha poi fissato paletti su alcune prove tipiche:
- Verbali della Guardia di Finanza e dichiarazioni di terzi: prima della testimonianza scritta, l’unico modo di portare testimonianze era attraverso dichiarazioni rese a Verifica o in altri procedimenti. Cassazione costante: le dichiarazioni di terzi rese in sede extraprocessuale sono meri indizi utilizzabili liberamente dal giudice, ma non “piena prova” (non equiparabili a testimonianza giurata). Cass. 102/2015, Cass. 27432/2018. Ora con la testimonianza scritta ammessa, se serve quella stessa persona potrebbe essere chiamata a confermare formalmente. E così aumenterebbe il valore. Per es., Cass. 1842/2021 ha ribadito che le affermazioni di un cliente raccolte dalla GdF su presunte vendite in nero di un commerciante sono indizi da valutare unitamente ad altri elementi (come movimentazioni di magazzino).
- Perizie e consulenze tecniche: Cass. 458/2020: il giudice può fondare la decisione su una perizia stragiudiziale prodotta se la ritiene convincente, ma non può delegare l’accertamento dei fatti a un CTU se è finalizzato a supplire alle carenze probatorie delle parti. Cioè, la CTU non è prova in senso stretto di fatti (ex plurimis Cass. 11202/2011). Serve solo per valutare tecnicamente fatti già provati.
- Documenti extra-contabili (come appunti personali, agende, ecc.): la Cassazione (SS.UU. n. 20060/2014) ha statuito che gli elementi tratti da documenti extracontabili rinvenuti presso il contribuente costituiscono indizi dotati di efficacia probatoria e spetta al contribuente contrastarli. Quindi possono fondare da soli un accertamento se il giudice li ritiene attendibili (es. “contabilità in nero” parallela).
Infine, va evidenziato un particolare indirizzo giurisprudenziale sul principio di prova: Cass. 18065/2021 ha affermato che se il contribuente produce prima facie prove idonee a contrastare l’accertamento (ad esempio contratti, schede carburante regolari per confutare un taglio di costi), allora l’onere probatorio può ritornare sull’ufficio di confutarle. Insomma, c’è un dialogo probatorio. Il giudice deve vigilare che nessuna delle parti rimanga inerte di fronte all’onere su di essa. Se entrambe portano elementi in conflitto, il giudice valuta e sceglie quelli più convincenti.
In definitiva, l’esito del giudizio tributario dipende molto dalla gestione delle prove: un bravo difensore dovrà presentare il quadro probatorio in modo chiaro e completo sin dal primo grado (ricordando i limiti di appello introdotti). La giurisprudenza offre linee guida, ma ogni caso è storia a sé, affidata al prudente apprezzamento del giudice. Nel 2024–25 ci aspettiamo pronunce di legittimità sugli aspetti nuovi: ad esempio, come gestire un documento presentato in appello in violazione del divieto? Forse Cassazione dirà che il giudice d’appello doveva dichiararlo inammissibile. Oppure verranno decisioni sul peso da dare alle testimonianze scritte: si tratterà di vedere se i giudici di merito inizieranno ad ammetterle e come la Cassazione valuterà l’uso di quella prova.
6.3 Giurisprudenza recente di rilievo (2024–2025)
Per concludere, riassumiamo alcune sentenze recentissime (fine 2023–2024) che rivestono particolare importanza interpretativa:
- Autotutela “in peius” e nuovi artt. 10-quater e quinquies Statuto: la Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 30051 del 21/11/2024, ha affrontato il tema della riemanazione di avvisi di accertamento in sostituzione aggravativa. In passato vi era incertezza se il Fisco potesse, dopo aver annullato in autotutela un proprio atto magari viziato, emetterne uno nuovo più sfavorevole (ad esempio correggendo un vizio formale e aumentando anche la pretesa). Le SS.UU. 2024 hanno stabilito che ciò è legittimo, in quanto l’autotutela tributaria non è un diritto del contribuente ma uno strumento per la legalità oggettiva. Hanno evidenziato come l’autotutela risponda al principio di perennità del potere amministrativo di autotutela, limitato solo dalla decadenza dei termini di accertamento e dal giudicato. Hanno inoltre richiamato l’introduzione degli artt. 10-quater e 10-quinquies L. 212/2000 (autotutela obbligatoria e facoltativa) osservando che tali norme, pur riconoscendo al contribuente strumenti per far emergere vizi in suo favore, non mutano la natura dell’autotutela tributaria. In particolare, la sentenza ribadisce che l’autotutela non è uno strumento di tutela del contribuente, ma un potere per il perseguimento dell’interesse pubblico fiscale, esercitabile in modo simmetrico sia a favore del contribuente sia a favore dell’Erario. Ne deriva che, se l’ufficio annulla un atto viziato, può emetterne un altro anche più gravoso, purché entro i termini. Questa pronuncia è cruciale e ha “sdoganato” la prassi di rinnovare atti peggiorativi (ad esempio, accertamento integrativo spacciato per nuovo atto in sostituzione). Ai difensori conviene dunque impugnare subito gli atti originari, piuttosto che confidare nell’annullamento con peggioramento. E se ciò accade (nuovo atto peggiore), si dovrà valutare l’impugnazione anche di esso, magari contestando eventuali profili di abuso del potere (se l’ufficio si è contraddetto o ha leso l’affidamento in modo scorretto). Ma le SS.UU. sembrano aver limitato l’ambito dell’“affidamento” del contribuente, affermando che finché non c’è decadenza o giudicato, l’ufficio può correggere i propri errori anche a suo favore.
- Giurisdizione tributaria vs amministrativa per contributi non tributari: come accennato, Cass. SS.UU. n. 34851/2023 ha risolto la querelle sui contributi a fondo perduto Covid-19, stabilendo che trattandosi di misure di ristoro con natura di aiuti, le relative controversie (ad es. diniego del contributo per asserita mancanza di requisiti) non appartengono alla giurisdizione tributaria. La motivazione è che sono erogazioni di denaro e non prelievi coattivi. Questo fa da precedente per eventuali futuri contenziosi su contributi o bonus simili (es. bonus edilizi non come cessione ma come contributi diretti). I giudici tributari dovranno dichiarare il difetto di giurisdizione. Notare: se erroneamente un contribuente ha fatto ricorso in CTP e magari vinto, quella sentenza è nulla per difetto assoluto di giurisdizione e impugnabile sempre. Quindi occorre fare attenzione alla natura “tributaria” dell’oggetto prima di scegliere la giurisdizione.
- Fallimento e impugnazione di avvisi di accertamento: Cass. SS.UU. n. 11287/2023 ha chiarito a quali condizioni il soggetto fallito (dichiarato fallito) può impugnare un avviso di accertamento relativo a crediti fiscali ante-fallimento. In principio, durante il fallimento, la legittimazione spetta al curatore per debiti concorsuali. La sentenza ha affermato che il fallito (l’imprenditore) può proporre ricorso tributario solo se il curatore non vi provvede e limitatamente agli effetti extra-concorsuali (ad esempio sanzioni tributarie, che restano a carico personale del fallito). Questa precisazione è tecnica ma importante per chi segue procedure concorsuali: bisogna coordinarsi tra curatore e contribuente per decidere chi impugna gli atti fiscali verso il fallito.
- Notifiche via PEC e “scarto” per mancato pagamento contributo unificato: un curioso contenzioso è arrivato in Cassazione nel 2024 riguardo a un caso in cui un ricorso era stato “scartato” dal sistema telematico per mancato pagamento del contributo. La CTR Lazio con ordinanza 660/2023 aveva rimesso alla Corte di Giustizia UE la questione se fosse lecito che il sistema non accettasse un ricorso PEC senza CU, di fatto impedendo l’accesso alla giustizia (è quell’ordinanza citata in ricerca 38 [38†L31-L36]). La Cassazione (sent. 30051/2024, sezione non unite, ma coincidenza di numero con SS.UU. autodifferent, va controllato) ha dichiarato che quel ricorso era inammissibile e le commissioni tributarie non hanno potere di decidere su atti di “scarto” del sistema informatico, non essendo un provvedimento impugnabile. Insomma, la Cassazione ha ritenuto che il giudice tributario non poteva far nulla se il ricorso non era proprio entrato. Questo potrebbe portare a ulteriori riflessioni su come garantire comunque un rimedio (forse il ricorrente poteva depositare cartaceo d’urgenza?). Comunque, ora la riforma 2023 ha reso più flessibile la sanatoria di vizi di deposito, quindi situazioni simili potrebbero essere sanate su ordine del giudice.
- IVA e operazioni soggettivamente inesistenti – buona fede del cessionario: nel 2023 la Corte di Giustizia UE (causa C-154/20 “Kemwater”) ha fornito criteri più stringenti per negare la detrazione IVA in caso di frode, e la Cassazione si è adeguata: Cass. 2115/2024 ha stabilito che l’IVA è indetraibile per il cessionario solo se l’Amministrazione prova che egli sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare a una frode, non bastando la frode del fornitore. Questo allinea la giurisprudenza nazionale ai principi unionali sul carrousel fraud. Quindi onere dell’ufficio di provare consapevolezza o negligenza grave del contribuente.
- Crisi d’impresa e definizione liti tributarie pendenti: Il DL 118/2021 e Codice crisi hanno introdotto strumenti come la composizione negoziata che possono coinvolgere la sospensione dei giudizi tributari. Nel 2024 qualche CTP (Napoli) ha sospeso processi su richiesta del debitore in composizione. Non c’è pronuncia di legittimità ancora, ma è tema attuale. Probabile che se c’è un piano di ristrutturazione omologato, le liti tributarie possano chiudersi in transazione fiscale (ex art. 63 CCII).
In conclusione, la giurisprudenza tributaria è in fermento: le riforme normative del 2022–2023 hanno risolto alcuni nodi (contraddittorio, professionalità giudici) ma aprono nuove questioni applicative. Le Sezioni Unite nel 2023–24 hanno dato risposte importanti su autotutela, giurisdizione e procedure concorsuali, delineando confini netti. Il difensore tributarista deve tenerne conto nella propria strategia: ad esempio, sapere che impugnare un diniego di autotutela non porterà a immediato annullamento dell’atto ma solo a far riesaminare (e la SU 2024 dice che l’ufficio può anche peggiorare nel riesame!). Oppure, essere consapevole che se il cliente riceve un contributo rifiutato, il ricorso va fatto al TAR, non in CTP. Sono accorgimenti che evitano errori fatali.
Quanto agli orientamenti futuri, sarà interessante monitorare:
- l’applicazione pratica del giudizio immediato in fase cautelare (quanti casi decisi subito? la Cassazione avallerà?);
- l’utilizzo delle testimonianze scritte (ci saranno pronunce su quando il giudice può negarle, magari Cassazione fisserà criteri);
- la questione delle spese compensate per nuovi documenti (probabilmente qualche sentenza di merito riterrà di non compensare se il doc era impossibile prima, e arriverà in Cassazione).
Nel frattempo, la riforma tributaria prosegue: il legislatore delegato doveva emanare entro fine 2024 anche un Testo Unico della Giustizia Tributaria (c’era traccia nel programma governo), vedremo se accorperà D.Lgs. 546/92 e successive modifiche in un corpo unico, facilitando la lettura. Se ciò accadrà, il professionista dovrà aggiornarsi alla nuova numerazione di articoli e eventuali modifiche residue.
Ad ogni modo, il processo tributario nel 2025 appare uno strumento più moderno e garantista rispetto al passato, con regole ispirate al giusto processo e alla digitalizzazione. Sarà compito degli operatori del diritto tributario sfruttare al meglio tali strumenti per tutelare i diritti dei contribuenti e assicurare nel contempo l’efficienza della riscossione fiscale, in un equilibrio virtuoso. La continua opera della giurisprudenza – dalle Commissioni di merito fino alla Corte di Cassazione e alla Corte Costituzionale – fungerà da bussola per navigare nelle questioni interpretative che inevitabilmente sorgono in una materia così tecnica e in evoluzione.
Esempio pratico – Sintesi di un atto di appello dell’Agenzia Entrate:
«Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale del Lazio propone appello avverso la sentenza n. 100/2024 emessa dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, Sez. 2, depositata il 10/03/2024 e notificata il 5/04/2024, che ha annullato l’avviso di accertamento n. XYZ/2022 emesso verso Tizio.
Motivi di appello: 1) Error in iudicando sulla presunta violazione del contraddittorio – la CTP ha ritenuto nullo l’accertamento per mancato contraddittorio, ma ha omesso di considerare che nella specie trattavasi di accertamento parziale ex art. 41-bis DPR 600/73, per il quale la giurisprudenza esclude l’obbligo di previo contraddittorio. La sentenza pertanto viola l’art. 6-bis L.212/2000, inapplicabile ratione temporis e comunque non pertinente, e va riformata.
2) Travisamento delle prove sulle fatture per operazioni inesistenti – la CTP ha affermato che l’Ufficio non avrebbe provato la frode IVA, ma ciò è erroneo: dal PVC della GdF (doc. U2) risulta incontrovertibilmente che la società fornitrice era una cartiera priva di struttura. La Commissione ha del tutto ignorato tale elemento e l’ha mal valutato, ponendo a carico dell’Ufficio una prova impossibile (la “certezza assoluta” della frode) in contrasto con i principi di Cass., SS.UU. n. 17355/2009. Si chiede quindi di riesaminare le prove documentali versate in atti (fatture, PVC, verbali) e di riconoscere la legittimità dell’accertamento.
Conclusioni: L’Agenzia appellante chiede che la Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Roma, in totale riforma dell’impugnata sentenza, rigetti integralmente il ricorso originario di Tizio, confermando la legittimità dell’avviso di accertamento n. XYZ/2022 e condannando l’appellato alle spese del doppio grado.»
7. Fonti Normative e Giurisprudenziali Citate
Normativa:
- D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – “Disposizioni sul processo tributario” (come modificato da D.Lgs. 156/2015, L. 130/2022, D.Lgs. 220/2023 etc.).
- Legge 27 luglio 2000, n. 212 – “Statuto dei diritti del contribuente”, in particolare art. 6, art. 6-bis (introdotto da D.Lgs. 218/2023), art. 10, art. 10-bis, art. 10-quater e 10-quinquies (introdotti da D.Lgs. 219/2023).
- Legge 31 agosto 2022, n. 130 – “Riforma della giustizia tributaria”, che ha introdotto i magistrati tributari togati e modificato il D.Lgs. 545/92 (ordinamento dei giudici), e il D.Lgs. 546/92 (es. ammissione prova testimoniale scritta).
- Legge 9 agosto 2023, n. 111 – “Delega fiscale 2023”, articoli sulla giustizia tributaria e contraddittorio.
- D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220 – “Disposizioni in materia di processo tributario”, attuativo della delega 2023: ha modificato numerosi articoli del D.Lgs. 546/92 (tra cui artt. 16-bis, 17-ter, 19, 22, 25, 48, 52, 58, 62-bis, 65, 67, 69, 79). Principali novità: obbligo notifiche telematiche, remoto, sentenza semplificata, compensazione spese per nuove prove, ricorso contro diniego autotutela, eliminazione reclamo/mediazione, termini appello cautelare, ecc. In vigore dal 4 gennaio 2024.
- D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219 – “Statuto dir. contrib. (novelle)”, ha introdotto gli artt. 10-quater e 10-quinquies L.212/2000 sull’autotutela obbligatoria/facoltativa e il diritto di ricorso avverso i relativi dinieghi.
- D.Lgs. 29 agosto 2023, n. 156 – “Attuazione riforma processo civile – Cartabia”, per analogia: art. 363-bis c.p.c. (rinvio pregiudiziale in Cassazione) citato in ambito tributario.
- D.M. Economia 11 novembre 2021, n. 223 – Regolamento processo tributario telematico (precedente, integrato poi nelle fonti primarie).
- Codice di procedura civile – artt. 257-bis c.p.c. (testimonianza scritta), 103-bis disp. att. c.p.c. (firma digitale testimoni), 283 c.p.c. (sospensione in appello), 373 c.p.c. (sospensione in Cassazione, analogia con 62-bis), 395 c.p.c. (revocazione), 404 c.p.c. (opposizione terzo).
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 – art. 32 (presunzioni da conti bancari).
- D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – art. 54 (accertamento IVA, abuso).
- D.L. 146/2021 (conv. L. 215/2021) – art. 1-quater (sentenza in sede cautelare).
Giurisprudenza:
- Cass., Sez. Unite, 9 dicembre 2015, n. 24823 – Contraddittorio: no obbligo generalizzato ante L.130/2022, salvo atti doganali.
- Cass., Sez. Unite, 13 dicembre 2023, n. 34851 – Giurisdizione: diniego contributo COVID-19 non impugnabile in commissione tributaria.
- Cass., Sez. Unite, 28 aprile 2023, n. 11287 – Fallimento: condizioni per impugnazione atti tributari da parte del fallito.
- Cass., Sez. Unite, 19 ottobre 2023, n. 29023 – Autotutela e interesse erariale: conferma autotutela “in malam partem” poi sviluppata nella SU 30051/2024.
- Cass., Sez. Unite, 21 novembre 2024, n. 30051 – Autotutela tributaria sostitutiva in peius: legittima, potere fondato su interesse pubblico, introdotte autotutela obbligatoria/facoltativa ma natura non mutata.
- Cass., Sez. Unite, 17 settembre 2018, n. 22954 – Litisconsorzio necessario tra socio e società (materia IRAP): principi poi recepiti da riforma.
- Cass., Sez. Unite, 18 dicembre 2009, n. 26635 – Studi settore: presunzioni da studi, onere su contribuente di provare cause di scostamento.
- Cass., Sez. Unite, 8 settembre 2016, n. 17931 – Giudici tributari onorari, questione indipendenza (pre-riforma).
- Cass., Sez. Unite, 13 maggio 2021, n. 8500 – Giurisdizione: impugnabilità estratto di ruolo (caso di uso) – ha definito non autonomamente impugnabile estratto se non notificata cartella, salvo inesigibilità sopravvenuta.
- Cass., SS.UU., 5 ottobre 2021, n. 8500 (altra): Giurisdizione su atti derivanti da sentenze revocate (questioni particolari).
- Cass., Sez. V, 5 ottobre 2022, n. 28860 – Spese di lite: compensazione ammessa per novità questioni ecc. (commenta art. 15 D.Lgs. 546 e novella 2023).
- Cass., Sez. V, 10 marzo 2021, n. 6697 – Processo telematico: PEC, attestazioni conformità.
- Cass., Sez. V, 11 giugno 2021, n. 16430 – Testimonianza: prima della legge 130/22, ribadiva divieto testimonianza orale e valore dichiarazioni terzi come meri indizi.
- Cass., Sez. V, 20 gennaio 2023, n. 1680 – Rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c.: criteri applicazione in tributi locali.
- Cass., Sez. V, 4 febbraio 2020, n. 2506 – Notifica PEC: relata, formato .p7m mancanti, sanatoria.
Processo Tributario: Come Difendersi Con Studio Monardo
Hai ricevuto un atto dell’Agenzia delle Entrate o una cartella dell’Agenzia Entrate Riscossione e hai deciso di fare ricorso?
Allora stai per entrare nel processo tributario, il procedimento legale davanti al giudice fiscale che serve a far valere i tuoi diritti contro atti considerati illegittimi, infondati o sproporzionati.
Il processo tributario nel 2025 è telematico, rapido e molto tecnico. Un errore nei tempi o nella forma può rendere improcedibile il ricorso. Ecco perché serve l’aiuto di un legale esperto.
Affidati allo Studio Monardo, il punto di riferimento per chi vuole difendersi dal Fisco
L’Avvocato Giuseppe Monardo è specializzato in contenzioso tributario. Segue imprenditori, professionisti e privati in tutto il percorso di difesa: dalla prima notifica fino alla sentenza della Corte Tributaria.
Cosa fa per te l’Avvocato Monardo
✅ Esamina l’atto fiscale ricevuto e valuta se ci sono vizi di notifica, errori di calcolo o motivazioni deboli
✅ Redige e deposita il ricorso nel rispetto delle regole del processo tributario telematico (PTT)
✅ Chiede la sospensione degli effetti: blocca fermi amministrativi, pignoramenti o ipoteche mentre è in corso il giudizio
✅ Ti rappresenta davanti al giudice tributario, con una linea difensiva basata su norme aggiornate e giurisprudenza favorevole
✅ Segue anche il secondo grado di giudizio, se l’esito della prima fase non è favorevole
Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo
🔹 Avvocato specializzato in diritto tributario e fiscale
🔹 Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, riconosciuto dal Ministero della Giustizia
🔹 Esperto in negoziazione della crisi d’impresa, abilitato ex D.L. 118/2021
🔹 Fiduciario OCC e coordinatore di una rete di avvocati e commercialisti esperti in contenzioso con il Fisco
Perché agire subito
– Hai solo 60 giorni dalla notifica per avviare il processo tributario
– Trascorso il termine, l’atto diventa definitivo e non più impugnabile
– Il Fisco può avviare azioni esecutive senza ulteriori preavvisi
– Solo un ricorso ben impostato ti permette di bloccare tutto e difenderti fino in fondo
Conclusione
Il processo tributario è un’opportunità concreta per difenderti da accertamenti e cartelle ingiuste.
Ma per avere successo servono competenze specifiche e conoscenza approfondita delle regole del Fisco.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere un alleato esperto in grado di tutelarti legalmente e ottenere il miglior risultato possibile davanti alla giustizia tributaria.
Qui sotto trovi tutti i riferimenti di Studio Monardo per richiedere una consulenza dedicata. Il tempo è poco: agisci adesso e difendi la tua posizione.