La Nuova Transazione Fiscale Nella Composizione Negoziata: Come Funziona

Come funziona la nuova transazione fiscale nella composizione negoziata?

Scoprilo nella guida approfondita di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in crisi d’impresa e cancellazione debiti tributari.

Buona lettura ed in fondo alla guida troverai tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato per richiedere una consulenza.

Introduzione

La transazione fiscale è uno strumento che consente di definire i debiti tributari di un’impresa in crisi attraverso un accordo con il Fisco, prevedendo pagamenti parziali o dilazionati delle somme dovute. Si tratta di un istituto cruciale nel diritto della crisi d’impresa, tradizionalmente utilizzabile solo in procedure concorsuali formali (come il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione dei debiti). Recenti riforme legislative hanno esteso la possibilità di utilizzare la transazione fiscale anche nell’ambito della composizione negoziata della crisi, un percorso di risanamento stragiudiziale e volontario introdotto nel 2021.

Questa guida, aggiornata ad aprile 2025, si rivolge principalmente alle imprese e ai loro consulenti non specializzati in diritto fallimentare. L’obiettivo è spiegare in modo chiaro ma tecnicamente rigoroso come funziona la “nuova” transazione fiscale nella composizione negoziata. Analizzeremo la normativa vigente (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza e successive modifiche), le prassi applicative e la giurisprudenza più recente. Verranno illustrati i requisiti, il procedimento e i limiti dell’istituto, con riferimenti a dottrina e casi pratici. Infine, proporremo alcune simulazioni e casi pratici completi, sia in contesti semplificati che complessi, per mostrare concretamente come un’impresa può utilizzare la transazione fiscale in sede di composizione negoziata per risolvere i propri debiti tributari.

Nota: Verranno utilizzati termini tecnici (come concordato preventivo, omologazione, cram down) accompagnati da spiegazioni semplici. Le citazioni normative e dottrinali sono riportate per garantire rigore e aggiornamento, ma il linguaggio resterà il più possibile accessibile. Al termine, una sezione raccoglie tutte le fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali citate.

La Composizione Negoziata della Crisi: inquadramento generale

La composizione negoziata della crisi è uno strumento introdotto nel 2021 (prima dal D.L. 118/2021, poi confluito nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – CCII) per aiutare le aziende in difficoltà a risanarsi attraverso trattative volontarie con i creditori, prima di arrivare a procedure concorsuali formali. Si tratta di un percorso non giudiziale (cioè non è una procedura concorsuale vera e propria) in cui l’imprenditore, affiancato da un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio, cerca un accordo con i creditori per ristrutturare il debito e superare la crisi.

Caratteristiche chiave della composizione negoziata:

  • Volontarietà e riservatezza: L’adesione dei creditori è su base volontaria e le trattative avvengono in modo riservato (l’accesso è pubblicato solo se l’imprenditore richiede misure di protezione dal tribunale).
  • Assistenza di un esperto: Un professionista terzo (nominato dalla CCIAA) aiuta a facilitare le trattative e verifica la sostenibilità del piano di risanamento proposto dall’imprenditore.
  • Misure protettive: L’imprenditore può chiedere al tribunale misure protettive temporanee (sospensione di azioni esecutive, congelamento dei debiti) per condurre le trattative senza aggressioni da parte dei creditori. Tali misure, una volta concesse, valgono erga omnes (contro tutti i creditori) per un periodo iniziale fino a 4 mesi, estensibile di altri 4, e possono impedire pignoramenti, iscrizioni di ipoteche, ecc.. In particolare, le misure protettive inibiscono anche le azioni di riscossione da parte dell’Erario (Agenzia Entrate Riscossione), a condizione che l’impresa rispetti gli obblighi di informazione e pagamento dei nuovi debiti fiscali durante la composizione (es. versare regolarmente IVA e ritenute correnti).
  • Esiti flessibili: La composizione negoziata non impone una soluzione predeterminata. Se le trattative hanno successo, possono sfociare in vari esiti “fisiologici” (come un accordo stragiudiziale con i creditori, un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato o un concordato preventivo). Se invece le trattative falliscono, l’imprenditore può accedere a un particolare tipo di concordato liquidatorio semplificato (il “concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio”, introdotto anch’esso nel 2021 come via d’uscita estrema).

Prima della riforma del 2024, un limite importante della composizione negoziata era l’impossibilità di ottenere un trattamento agevolato dei debiti fiscali e contributivi nell’ambito di questa procedura. In assenza di una norma specifica, vigeva infatti il principio dell’indisponibilità del credito tributario (cioè il Fisco non può rinunciare a parte dei propri crediti senza una previsione di legge). Durante la composizione negoziata, l’impresa poteva tutt’al più beneficiare di alcune “misure premiali” previste dal D.L. 118/2021 e dal Decreto Dirigenziale del 28 settembre 2021: ad esempio, la possibilità di chiedere la dilazione ordinaria dei debiti fiscali ex art. 19 DPR 602/73 (rate fino a 72 o 120 mesi) o la sospensione di alcune cause di scioglimento della società, ma non poteva proporre al Fisco un pagamento parziale delle imposte dovute. Allo stesso modo, nessuno sconto era ammesso sui contributi previdenziali dovuti agli enti come INPS e INAIL.

In pratica, ciò significava che se l’azienda aveva un grosso debito con il Fisco o con gli enti previdenziali, la composizione negoziata rischiava di non portare a una soluzione efficace: l’impresa poteva negoziare con fornitori e banche, ma non poteva “ristrutturare” i debiti tributari (se non pagando integralmente imposte e contributi, magari solo dilazionandoli). Molte crisi d’impresa, però, presentano una componente fiscale/previdenziale importante. Senza uno strumento per gestirla, spesso l’esito era il fallimento o la necessità di ricorrere comunque a procedure concorsuali (concordato preventivo, ecc.) solo per coinvolgere il Fisco in una transazione formale.

Da fine 2024 questo scenario è cambiato. Con il D.Lgs. 13 ottobre 2022 n. 83 (secondo correttivo al CCII, in vigore dal 15 luglio 2022) era già stata recepita la possibilità di omologazione forzata della transazione fiscale nelle procedure formali, ma la composizione negoziata ne era rimasta esclusa. Finalmente, con il D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (il c.d. “Correttivo-ter” al Codice della Crisi), il legislatore ha introdotto nell’ambito della composizione negoziata la transazione sui debiti fiscali. Questo intervento legislativo ha “aperto le porte” alla ristrutturazione dei debiti tributari anche durante la composizione negoziata, colmando il vuoto normativo precedente. Come vedremo, la riforma rende la composizione negoziata molto più appetibile per le imprese indebitate col Fisco, pur mantenendo alcune limitazioni e cautele.

Nei paragrafi seguenti analizzeremo in dettaglio la nuova disciplina vigente ad aprile 2025, evidenziando cosa prevede la norma, come si svolge la procedura, quali sono i requisiti, i vantaggi e i limiti, e come la giurisprudenza e la dottrina l’hanno interpretata nei primi mesi di applicazione.

Evoluzione normativa della transazione fiscale e il “Correttivo-ter” 2024

Per contestualizzare la portata dell’innovazione, è utile riepilogare brevemente l’evoluzione normativa della transazione fiscale nel nostro ordinamento e come si è arrivati alla sua estensione alla composizione negoziata.

  • Origine nell’ambito del concordato preventivo (2005): La transazione fiscale fu introdotta per la prima volta con la riforma della legge fallimentare nel 2005 (art. 182-ter L.Fall., poi modificato più volte). Inizialmente consentiva, nel concordato preventivo, di proporre al Fisco il pagamento parziale di interessi e sanzioni sui tributi, ma non del capitale d’imposta salvo rarissime eccezioni. Era quindi uno strumento limitato: l’IVA e le altre imposte dovevano essere soddisfatte integralmente, mentre si potevano stralciare solo le sanzioni e gli interessi di mora.
  • Estensione agli accordi di ristrutturazione dei debiti (2012): Successivamente la transazione fiscale è stata ammessa anche negli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-ter applicabile in combinato con art. 182-bis L.Fall.), cioè negli accordi stragiudiziali che però ottengono l’omologazione del tribunale. Anche lì però restavano i limiti originari (imposte non falcidiabili, salvo consenso dell’Erario).
  • Riforma 2019-2020: Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII, D.Lgs. 14/2019) inizialmente riproponeva la transazione fiscale (artt. 63 e 88 CCII) in modo simile alla legge fallimentare. Una svolta importante è avvenuta con la Legge 159/2020 (conversione del D.L. 137/2020 “Ristori”): questa legge ha introdotto la possibilità di tagliare anche il capitale delle imposte in concordato preventivo e accordo di ristrutturazione, a condizione che l’attestazione del professionista indipendente dimostrasse la convenienza dell’accordo per il Fisco rispetto alla liquidazione. Inoltre, è stato previsto il meccanismo dell’omologazione forzosa (cram down) fiscale: in caso di voto contrario o mancata adesione del Fisco a un concordato o accordo di ristrutturazione, il tribunale può ugualmente omologare il piano (imponendo dunque il trattamento proposto) se ritiene soddisfatte le condizioni di legge – in particolare, che il trattamento proposto al Fisco non sia inferiore a quello che otterrebbe in caso di liquidazione. Queste novità, recepite poi nel CCII (in vigore dal luglio 2022), hanno reso la transazione fiscale uno strumento più incisivo nelle procedure concorsuali.
  • Situazione pre-2024 nella composizione negoziata: Come detto, fino al 2024 la composizione negoziata non rientrava tra gli strumenti utilizzabili per una transazione fiscale. In pratica, un’impresa in composizione negoziata che avesse voluto ottenere uno stralcio dei debiti fiscali, doveva comunque concludere le trattative informali e poi inserire la transazione fiscale in un accordo di ristrutturazione o in un concordato preventivo formale. Alcuni tribunali avevano sottolineato questa necessità. Ad esempio, il Tribunale di Bergamo (decreto 21 settembre 2022) ha affermato che il concordato semplificato post-composizione negoziata è ammissibile solo se durante la composizione si sono tentati tutti gli strumenti “ordinari” di risanamento, inclusa la transazione fiscale nell’ambito di un accordo di ristrutturazione. In assenza di un tentativo di accordo col Fisco, secondo quel tribunale non si poteva saltare direttamente al concordato semplificato (che è “extrema ratio”). Ciò evidenziava la frizione: l’ordinamento richiedeva di passare per uno strumento formale (accordo o concordato) per falcidiare i tributi, con inevitabile allungamento dei tempi e appesantimento del processo di risanamento.
  • Il “Correttivo-ter” (D.Lgs. 136/2024): Entrato in vigore il 28 settembre 2024, questo decreto legislativo – il terzo correttivo al CCII – ha introdotto il comma 2-bis all’art. 23 del Codice della Crisi, consentendo esplicitamente all’imprenditore in composizione negoziata di formulare una proposta di accordo transattivo sui debiti fiscali durante le trattative. Si tratta di una novità di grande rilievo: ora il Fisco può partecipare attivamente alle trattative nella composizione negoziata, valutando una proposta di saldo e stralcio o di dilazione dei debiti tributari dell’azienda, prima che si arrivi a una procedura concorsuale. La norma, come vedremo, stabilisce le condizioni e le modalità di questa proposta fiscale, prevedendo anche un controllo finale del tribunale. Oltre a ciò, il Correttivo-ter ha apportato modifiche coordinate in altre parti del Codice della Crisi per allineare la disciplina della transazione fiscale nei vari istituti. Ad esempio, ha integrato l’art. 63 CCII (accordi di ristrutturazione) e l’art. 88 CCII (concordato preventivo) per chiarire le procedure di trattamento dei crediti fiscali e contributivi, e ha abbassato dal 75% al 60% la percentuale di crediti chirografari richiesta per imporre il cram down fiscale negli accordi di ristrutturazione presentati subito dopo la composizione negoziata. In altre parole, se l’imprenditore chiude una composizione negoziata e entro 60 giorni deposita un accordo di ristrutturazione dei debiti, per l’omologazione forzata di eventuali transazioni fiscali basterà dimostrare che i creditori rappresentanti il 60% dei crediti chirografari sono favorevoli, anziché il 75% normalmente previsto. Questa modifica incentiva l’utilizzo della composizione negoziata come “anticamera” di accordi omologati, rendendo più agevole superare l’eventuale dissenso del Fisco in sede di omologazione successiva.
  • Ambito temporale di applicazione: Le novità introdotte dal D.Lgs. 136/2024 si applicano alle composizioni negoziate avviate (ossia con istanza di nomina dell’esperto presentata) dal 28 settembre 2024 in poi. Dunque, chi ha iniziato una composizione negoziata prima di quella data segue le vecchie regole (niente transazione fiscale interna), mentre chi l’ha iniziata dopo può beneficiare della nuova disciplina. A fine aprile 2025, si hanno i primi riscontri pratici di utilizzo di questo strumento nelle composizioni negoziate avviate nell’ultimo trimestre 2024.

Riassunto: oggi (aprile 2025) la transazione fiscale è ammessa sia nelle procedure concorsuali (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, liquidazione giudiziale con concordato etc.) sia nella composizione negoziata. La differenza è che nelle procedure formali il Fisco è coinvolto tramite un’adesione votata in sede giudiziale o può essere cramdownato (forzato) dal giudice, mentre nella composizione negoziata resta un negoziato di natura contrattuale, seppur con alcune garanzie e l’intervento finale di autorizzazione da parte del tribunale. Approfondiamo ora nel dettaglio cosa prevede il nuovo art. 23 comma 2-bis CCII, quali tributi vi rientrano, quali atti e documenti sono richiesti, come si sviluppa il procedimento e quali sono gli effetti dell’accordo.

Ambito di applicazione: quali debiti possono essere oggetto di transazione fiscale in composizione negoziata

L’art. 23, comma 2-bis, CCII (introdotto dal D.Lgs. 136/2024) definisce l’ambito della transazione fiscale nella composizione negoziata. In sintesi:

  • L’imprenditore può proporre un accordo transattivo riguardante tutti i debiti tributari verso le agenzie fiscali dello Stato (Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) e verso l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER). La proposta può prevedere il pagamento parziale o dilazionato sia dell’imposta dovuta sia dei relativi accessori (sanzioni e interessi). In altre parole, è possibile offrire al Fisco uno stralcio (riduzione) delle somme dovute, incluse le imposte in sé, oppure una rateazione a lungo termine, o una combinazione delle due cose (parte del debito cancellato e parte pagato in più rate). Questo rappresenta un deciso superamento del passato, quando solo interessi e sanzioni potevano essere falcidiati mentre l’imposta andava garantita integralmente.
  • Tributi esclusi: La legge esclude espressamente che la proposta possa riguardare i “tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea”. Questa categoria comprende principalmente i dazi doganali e una piccola quota del gettito IVA che gli Stati membri devono versare al bilancio UE. In passato vi è stata incertezza se l’IVA rientrasse o meno tra tali risorse (poiché una frazione dello 0,30% del suo gettito è destinata all’UE). Tuttavia, le norme comunitarie vigenti chiariscono che solo quello 0,30% del gettito IVA è considerato risorsa propria UE. Di conseguenza, l’IVA può essere falcidiata quasi interamente come le altre imposte nazionali, senza violare il divieto (eventualmente lo Stato dovrà comunque garantire all’UE la piccola quota di competenza comunitaria). In sintesi, l’IVA, le imposte sui redditi, l’IRAP, le ritenute, ecc., possono tutte essere incluse nella transazione fiscale, mentre i soli tributi davvero non falcidiabili sono i dazi e pochi altri prelievi destinati integralmente all’UE.
  • Contributi e premi previdenziali/assistenziali: Restano esclusi dall’accordo i debiti verso gli enti previdenziali e assicurativi (es. INPS, INAIL). Su questo punto, la legge non lascia spazio: i contributi obbligatori non possono essere oggetto di transazione fiscale nella composizione negoziata. Ciò significa che un’impresa con debiti INPS potrà certamente cercare un accordo con l’ente (ad esempio una dilazione secondo le regole proprie dell’INPS), ma fuori dallo schema della transazione fiscale prevista dall’art. 23 comma 2-bis. Non vi è una procedura “di legge” analoga per falcidiare i contributi in composizione negoziata (diversamente da quanto accade nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione, dove invece la transazione fiscale comprende anche la parte contributiva e può essere imposta dal giudice). L’esclusione dei debiti previdenziali e assistenziali nel 2024 è stata probabilmente dettata da ragioni di urgenza legislativa – mancava il tempo per negoziare con tutte le parti interessate un’estensione anche a questi crediti prima dell’approvazione del decreto correttivo. La dottrina auspica che in futuro il legislatore intervenga per ampliare l’istituto anche ai contributi, data l’importanza spesso rilevante di questi debiti nel passivo aziendale.
  • Tributi locali: Sono fuori dal perimetro della transazione fiscale in composizione negoziata anche i tributi locali (es. IMU, TARI, tributi comunali e regionali). La norma infatti parla di “agenzie fiscali”, enti che gestiscono i tributi erariali (statali), e non menziona affatto gli enti locali. Dunque, un debito verso un Comune o una Regione non rientra nell’accordo ex art. 23 co.2-bis. Ciò non toglie che l’impresa possa parallelamente chiedere ai Comuni/Regioni una transazione su quei crediti, ma sarebbe al di fuori della procedura tipizzata (magari tramite strumenti come piani di rientro approvati in giunta comunale, ove possibili, oppure includendoli successivamente in un concordato preventivo). Va notato che la Corte dei Conti ha finora assunto posizioni restrittive sulla possibilità di falcidiare tributi locali in mancanza di una norma ad hoc, richiamando gli enti al principio di indisponibilità del credito tributario locale. Anche per questo, l’estensione futura della transazione fiscale ai tributi locali sarebbe auspicabile, ma al momento non è realtà.

In sintesi, nell’accordo fiscale in composizione negoziata rientrano i debiti verso Agenzia Entrate, Agenzia Dogane e Agenzia della Riscossione, mentre rimangono esclusi: i contributi previdenziali/assistenziali, i tributi locali e i tributi UE puri. L’accordo deve riguardare tutti i debiti tributari dell’impresa verso le Agenzie fiscali (non è pensabile di “scegliere” solo alcune imposte sì e altre no), assicurando una soluzione complessiva col Fisco. Ad esempio, se un’azienda ha debiti IVA, IRES e IRAP, la proposta transattiva li prenderà tutti in considerazione, non potendo escluderne arbitrariamente qualcuno. Invece, i debiti INPS o verso il Comune dovranno trovare altra sede di sistemazione.

Requisiti e condizioni: le attestazioni necessarie a corredo della proposta

Per poter formulare validamente la proposta di transazione fiscale, l’imprenditore deve allegare obbligatoriamente due documenti di attestazione, redatti da professionisti indipendenti. Questa previsione mira a tutelare gli interessi erariali garantendo che la proposta si basi su dati attendibili e che sia vantaggiosa rispetto alle alternative. In particolare, art. 23 co. 2-bis CCII richiede:

  1. Relazione di un professionista indipendente sulla convenienza dell’accordo per il Fisco: Un esperto indipendente (ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. o) CCII – in pratica un professionista che possieda i requisiti per le attestazioni di piani di risanamento, ad esempio un commercialista o avvocato con specifiche qualifiche e indipendenza) deve attestare che la proposta di transazione è conveniente per il creditore pubblico rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale. In altri termini, deve dichiarare che, se l’azienda andasse in fallimento (liquidazione giudiziale), l’Erario recupererebbe probabilmente meno di quanto otterrebbe aderendo alla transazione fiscale proposta. Questa è la stessa logica già presente da anni nella transazione fiscale: l’attestatore deve certificare il famoso “quanto meno il miglior soddisfo” per il Fisco. Se dall’analisi risulta che, ad esempio, in caso di fallimento il Fisco incasserebbe 100, mentre con la transazione proposta incasserebbe 150 (magari in forma di 50 subito + 100 in rate), l’attestazione ne sancirà la convenienza. Senza questo “via libera” tecnico, l’Agenzia difficilmente accetterebbe di propria iniziativa uno stralcio. Inoltre la relazione funge da scudo per i funzionari pubblici, mostrando che l’accordo proposto è ragionevole e conveniente per l’erario (riducendo il timore di possibili responsabilità per danno erariale).
  2. Relazione sulla completezza e veridicità dei dati aziendali: Deve essere redatta dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti dell’impresa, se esistente (es. il revisore legale o la società di revisione che certifica il bilancio, ovvero il collegio sindacale nelle PMI con sindaco-revisore). Se l’impresa non ha un organo di controllo o un revisore legale nominato, deve procurarsi questa relazione da un revisore legale indipendente appositamente designato. In sostanza, serve un’attestazione che i dati contabili e finanziari esibiti dall’imprenditore (situazione patrimoniale, elenco debiti, etc.) sono completi e veritieri. Questo è fondamentale perché il Fisco deve potersi fidare che la base informativa su cui valuta la proposta sia corretta. Un’azienda potrebbe essere tentata di sottostimare attività o sovrastimare passività per far sembrare conveniente un’offerta al ribasso: la relazione del revisore serve a scongiurare ciò, certificando che i numeri di bilancio e la posizione debitoria sono attendibili.

Queste due relazioni devono accompagnare la proposta sin dal momento della presentazione. Se mancassero, la proposta non soddisfa i requisiti di legge e l’Agenzia probabilmente non la esaminerebbe neppure. La presenza di tre figure professionali (l’esperto indipendente per la convenienza, il revisore per i dati e l’esperto negoziatore nominato dalla CCIAA) garantisce massima trasparenza ma è stata anche criticata perché rende più oneroso il ricorso all’istituto. In effetti l’impresa deve coordinarsi con più professionisti e sostenere i relativi costi, il che può pesare soprattutto nelle piccole realtà. Alcuni commentatori hanno osservato che l’esperto nominato nella composizione spesso ha già verificato buona parte dei dati aziendali e della sostenibilità del piano durante le trattative – infatti, a conclusione delle trattative, l’esperto deve dichiarare se “il piano di risanamento appare coerente con la regolazione della crisi” – quindi la richiesta di un ulteriore revisore e un attestatore esterno può sembrare ridondante. Tuttavia, per legge l’esperto non ha un ruolo di audit sui conti aziendali né può sostituirsi all’attestatore in termini di giudizio di convenienza: i suoi compiti sono di facilitazione e valutazione ex post dell’esito, non di certificazione formale. Inoltre, spesso l’imprenditore in composizione negoziata vuole mantenere riservatezza, e l’esperto non ha poteri così penetranti come un commissario giudiziale – non può ad esempio “imporre” all’azienda di fornire informazioni a terzi o coinvolgere tutti i creditori in una verifica generalizzata, se non c’è accordo. Quindi il legislatore ha ritenuto opportuno inserire queste figure di controllo aggiuntive per dare al Fisco garanzie equivalenti a quelle di un’attestazione da concordato preventivo.

Vale la pena sottolineare che:

  • Se l’azienda ha già un proprio revisore legale o un collegio sindacale, sarà quello il soggetto tenuto a fare la relazione di veridicità dei dati. In caso contrario, andrà nominato un revisore esterno (verosimilmente scelto dall’imprenditore in accordo con l’esperto). Questo è un costo e un adempimento aggiuntivo, ma la figura del revisore interno serve proprio a evitare costi ulteriori quando già c’è un controllore dei conti in azienda.
  • Il professionista indipendente che attesta la convenienza deve avere i requisiti dell’art. 2 CCII (quindi iscrizione in appositi elenchi, indipendenza, esperienza). Nulla vieta che, in assenza di un revisore interno, si cumuli in un’unica persona il ruolo di attestatore di convenienza e di certificatore dei dati. Ad esempio, l’azienda Alfa senza organo di controllo potrebbe incaricare un unico commercialista indipendente di redigere sia la relazione sulla veridicità dei dati sia quella sulla convenienza, purché abbia i requisiti (in effetti gli attestatori di concordati/accordi sono spesso anche revisori legali iscritti al registro). Questa soluzione può semplificare e rendere più coerente il lavoro (lo stesso soggetto analizza dati e convenienza), pur non riducendo di molto i costi complessivi (perché l’impegno professionale rimane significativo, anche se concentrato in una persona). Ciò che invece non sarebbe ammesso è il contrario, ossia far redigere la relazione di convenienza al revisore legale interno: costui infatti non ha il requisito di indipendenza (essendo legato all’azienda) e la legge vuole un attestatore esterno per giudicare la convenienza. Dunque, l’eventuale accorpamento di ruoli può avvenire solo in capo a un professionista esterno che funge da entrambe le figure, se necessario.

In definitiva, queste attestazioni rappresentano un “passaporto” per la proposta di transazione fiscale: assicurano che l’impresa metta le carte in tavola in modo veritiero e che l’offerta al Fisco abbia una base economicamente giustificata. Dal punto di vista dell’azienda, preparare questi documenti richiede tempo e collaborazione con i professionisti, quindi è importante muoversi tempestivamente. Dal punto di vista del Fisco, poter contare su tali relazioni è una condizione essenziale per prendere in considerazione una falcidia del credito tributario senza violare il principio di indisponibilità: c’è un quadro normativo di garanzie che consente legalmente all’ente di accettare meno del dovuto, perché vi è evidenza che è la scelta migliore nelle circostanze date.

Procedura: come si svolge la transazione fiscale nella composizione negoziata

Vediamo ora passo dopo passo come funziona, in pratica, la transazione fiscale all’interno di una composizione negoziata, dall’inizio delle trattative fino all’accordo e ai controlli finali.

1. Preparazione e presentazione della proposta:
Durante lo svolgimento della composizione negoziata (che ricordiamo dura al massimo 180 giorni, salvo proroghe autorizzate), l’imprenditore – di concerto con l’esperto e con i propri consulenti – può decidere di formulare la proposta di transazione fiscale. Non c’è un momento “fisso” stabilito dalla legge: può avvenire in qualsiasi fase delle trattative, purché prima della chiusura della composizione. In genere conviene attivarsi il prima possibile, dato che i tempi di risposta del Fisco non sono immediati (come vedremo, servono diversi giorni).

La proposta va redatta in forma scritta e deve includere: l’elenco dei debiti tributari oggetto di transazione (con relativi importi, causali, annualità di riferimento), la percentuale di pagamento offerta o il piano di dilazione proposto, l’eventuale presenza di garanzie o impegni particolari (es. pagamento integrale se certi eventi migliorativi si verificano), e ovviamente in allegato le due relazioni (attestazione di convenienza e relazione di veridicità dati) di cui sopra. Spesso la proposta conterrà anche un piano di risanamento complessivo, ossia informazioni su come l’impresa intende recuperare redditività e pagare i creditori (ad esempio, il piano industriale, la previsione dei flussi finanziari, ecc.), per dare un contesto utile al Fisco nel valutare la fattibilità di quanto promesso.

Questa istanza di transazione fiscale va presentata ai seguenti destinatari:

  • Agenzia delle Entrate: alla Direzione Provinciale o alla Direzione Regionale competente in base all’ultimo domicilio fiscale del debitore (per i grandi contribuenti, con volume d’affari ≥100 milioni €, è competente la Direzione Regionale – Ufficio Grandi Contribuenti).
  • Agenzia delle Dogane e Monopoli: alla Direzione territoriale competente (interprovinciale) o, se il debito deriva da atti impositivi emessi da uffici centrali, alla Direzione centrale competente.
  • Agenzia Entrate-Riscossione (ADER): pur non essendo più menzionato espressamente nella norma aggiornata, è prassi inviare copia della proposta anche all’ADER competente (in base alla sede dell’impresa), poiché ADER gestisce il carico iscritto a ruolo e deve essere coinvolta per la parte di debiti in riscossione. La Relazione illustrativa al D.Lgs. 136/2024 ha confermato che, sebbene non scritto nella legge, la comunicazione all’ADER è opportuna.

Nota: la comunicazione all’esperto nominato va fatta, in parallelo, a titolo informativo – l’art. 23 comma 2-bis prevede che la proposta sia “comunicata all’esperto”. Ciò significa che l’imprenditore deve trasmettere copia della proposta e degli allegati anche al proprio esperto della composizione negoziata, affinché questi sia al corrente dell’iniziativa e possa eventualmente agevolare il dialogo con il Fisco. L’esperto potrebbe per esempio organizzare incontri con i rappresentanti dell’Agenzia per discutere la proposta, se necessario.

2. Interlocuzione con gli uffici fiscali:
Una volta ricevuta la proposta, le Agenzie fiscali attivano le procedure interne per valutarla. Entro 30 giorni dal ricevimento, gli uffici competenti dell’Agenzia delle Entrate e dell’ADER devono in primo luogo quantificare con esattezza il debito tributario del richiedente, per avere basi certe su cui ragionare. In concreto: l’Agenzia delle Entrate procede alla liquidazione di tutte le dichiarazioni fiscali presentate dall’impresa per cui non siano ancora stati emessi avvisi di irregolarità o accertamento (ad esempio, se l’ultima dichiarazione IVA non è stata ancora controllata automaticamente, l’ufficio la liquida per determinare l’eventuale debito); inoltre notifica eventuali avvisi già emersi (irregolarità formali, accertamenti in corso) e rilascia una certificazione del debito tributario complessivo non ancora a ruolo. Parallelamente, l’ADER rilascia una certificazione dei carichi a ruolo riferiti all’impresa, attestando l’entità di ogni debito iscritto a ruolo non ancora saldato o sospeso. Queste informazioni sono cruciali: mettono nero su bianco l’ammontare totale dei debiti fiscali dell’azienda, comprensivo di imposte, sanzioni e interessi, aggiornato alla data della proposta. Tale documentazione viene di solito condivisa con l’esperto e costituirà l’importo su cui calcolare le percentuali di soddisfo nella transazione.

Durante questa fase di verifica, gli uffici possono richiedere integrazioni al debitore. Ad esempio, Agenzia Entrate spesso chiede di fornire le bozze delle dichiarazioni fiscali non ancora presentate relative all’ultimo periodo d’imposta concluso (per stimare anche i debiti correnti non ancora dichiarati). Oppure possono chiedere chiarimenti sull’attività d’impresa, sul piano industriale, su eventuali garanzie offerte, ecc. In alcuni casi si instaurano veri e propri tavoli tecnici di confronto con l’impresa e l’esperto, per aggiustare il tiro della proposta affinché sia accettabile.

La valutazione dell’accordo proposto non è automatica né vincolata da soglie rigide. Le Agenzie fiscali, di norma:

  • Verificano la fattibilità del piano di pagamento proposto (es: se l’impresa offre 50% del debito in 5 anni, ha flussi finanziari credibili per sostenere quelle rate?).
  • Valutano, anche grazie alla relazione di convenienza allegata, se quanto offerto è realmente superiore a quanto il Fisco incasserebbe in caso di fallimento dell’impresa. Questo è il parametro cardine: la Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, che deve dare il nulla osta, confronterà l’esito in caso di liquidazione (stima di realizzo spesso molto bassa, specie se l’azienda è decotta) con l’esito promesso dall’accordo (tipicamente più alto grazie alla continuazione dell’attività). Se la proposta assicura un recupero migliore, in linea di principio è nell’interesse pubblico aderirvi.
  • Tengono conto della tempestività: più l’impresa ha agito per tempo (prima che la crisi eroda i beni), più il piano sarà conveniente. Imprese che arrivano quando ormai hanno poco da offrire rendono complicata una transazione vantaggiosa.
  • Considerano anche aspetti di equità e trasparenza verso altri creditori: sebbene la legge non imponga par condicio in composizione negoziata, un Fisco ragionevole potrebbe storcere il naso se l’azienda offrisse a sé stesso il 10% e invece pagasse altri creditori al 80%. Ufficialmente ciò non rientra nei criteri, ma può influire in pratica sulle valutazioni (soprattutto per evitare trattamenti troppo squilibrati).

La decisione finale, per l’Agenzia delle Entrate, viene presa dal Direttore dell’ufficio territoriale competente, previo parere conforme della Direzione Regionale. Questo significa che l’ufficio locale (ad es. la DP Milano 1) esamina e propone, ma deve avere il via libera del livello regionale (DR Lombardia, in questo caso) per assicurare uniformità e rigore. Per l’Agenzia delle Dogane, similmente, decidono i Direttori delle Direzioni territoriali (o interprovinciali) competenti, e per atti emessi da Direzioni centrali decide il Direttore centrale. L’ADER dal canto suo limiterà la valutazione alla parte di ruoli (cartelle esattoriali): di solito ADER si adegua alle determinazioni dell’Entrate per la quota imposte, mentre per gli aggi di riscossione (compenso di ADER) può anch’essa accettare una falcidia proporzionale.

Le Agenzie non hanno un termine perentorio di legge per rispondere, ma in pratica entro 90 giorni circa tendono a formulare un esito (adesione o diniego). L’art. 23 non prevede il silenzio-assenso né un silenzio-rigetto automatico, quindi se dopo vari mesi non c’è risposta formale, l’imprenditore non può dare per scontato nulla – deve sollecitare. In ogni caso, la legge riconosce alle Agenzie un tempo congruo per istruire la pratica, e anzi postula che non possano essere forzate a decidere prima di 90 giorni. Questa considerazione emergeva già prima del 2024: l’impossibilità di avere un sì/no del Fisco in tempi brevissimi (es. 60 giorni) è uno dei motivi per cui la transazione fiscale va iniziata durante la composizione e non dopo.

3. Sottoscrizione dell’accordo transattivo:
Se le trattative con il Fisco hanno esito positivo, si arriva alla formalizzazione dell’accordo transattivo vero e proprio. Tecnicamente, fino a questo punto si parlava di “proposta” dell’imprenditore; quando la controparte (Agenzia) accetta, si passa all’“accordo” bilaterale. Esso viene sottoscritto dalle parti: da un lato l’imprenditore o il legale rappresentante della società debitrice, dall’altro il funzionario delegato dell’ente fiscale competente. Come detto, la firma avverrà: per l’Agenzia Entrate, dal Direttore dell’ufficio competente (che avrà ottenuto autorizzazione dal Direttore regionale); per l’Agenzia Dogane, dal Direttore territoriale; per ADER, dal dirigente responsabile territoriale. Di solito, la formalizzazione avviene mediante uno scambio di atti negoziali (la proposta firmata dal debitore con in calce “per accettazione” firmato dal funzionario autorizzato), oppure con un contratto ad hoc sottoscritto dalle parti che richiama la proposta e le condizioni approvate.

Una volta firmato dalle parti, l’accordo transattivo contiene gli impegni definitivi: ad esempio, l’Agenzia delle Entrate accetta il pagamento del 60% del debito in 5 anni e, a fronte del corretto adempimento, rinuncia a ogni ulteriore pretesa sul restante 40% (che verrà stralciato); l’impresa si obbliga a pagare puntualmente le rate concordate e a fornire eventuali garanzie pattuite. In genere, si inseriscono clausole risolutive che ricalcano la legge (risoluzione automatica se l’impresa non paga una rata per oltre 60 giorni, ecc., come vedremo). Si specifica anche che l’efficacia dell’accordo è subordinata al controllo del tribunale ex art. 23 co. 2-bis ult. periodo.

4. Deposito in Tribunale e controllo di regolarità:
Diversamente dagli accordi con creditori privati (che nella composizione negoziata possono restare puramente contrattuali e privi di intervento giudiziale), l’accordo con il Fisco necessita di un passaggio presso il Tribunale. L’ultimo periodo dell’art. 23 co. 2-bis stabilisce che l’accordo fiscale “produce effetti con il suo deposito presso il tribunale competente ai sensi dell’articolo 27”. Dunque, l’imprenditore – una volta raccolte le firme – deve depositare il testo dell’accordo (con tutta la documentazione allegata: proposta, attestazioni, ecc.) presso il tribunale del luogo in cui ha sede l’impresa, che è il tribunale competente per le procedure concorsuali. Il richiamo all’art. 27 CCII fa riferimento al fatto che la composizione negoziata è seguita, per gli eventuali provvedimenti giudiziari, dal tribunale competente per il territorio dell’impresa.

Al tribunale viene chiesto sostanzialmente di svolgere una verifica formale e di emanare un decreto. Infatti la norma prosegue: “Il giudice, verificata la regolarità della documentazione allegata e dell’accordo, ne autorizza l’esecuzione con decreto oppure, in alternativa, dichiara che l’accordo è privo di effetti.”. Questo significa che il giudice non omologa l’accordo (non c’è un’omologazione nel senso tradizionale, con valutazioni di merito sull’equilibrio dell’accordo), ma controlla che tutto sia regolare dal punto di vista formale e procedurale. In particolare, il tribunale dovrà accertare che:

  • l’accordo sia stato sottoscritto da tutti i soggetti legittimati (debitore, Agenzia Entrate o Dogane per i tributi coinvol… (Continuing from previous section)

5. Ruolo del Tribunale e assenza di “cram down” in composizione negoziata: Una volta depositato l’accordo fiscale in Tribunale, il giudice compie un controllo di regolarità formale. In base all’art. 23 co. 2-bis, il giudice verifica che l’accordo e la documentazione siano in regola (sottoscritto da soggetti autorizzati, presenti le relazioni richieste, corretto ambito dei tributi ecc.) e quindi: se tutto è regolare, autorizza l’esecuzione dell’accordo con decreto; in caso contrario, dichiara che l’accordo è privo di effetti. Questo provvedimento del tribunale non è un’“omologazione” nel senso classico (non entra nel merito della convenienza o dell’equilibrio dell’accordo), ma un sorta di “visto” di legittimità. La Relazione illustrativa al decreto correttivo ha parlato di una verifica di “regolarità formale”, ovvero che l’accordo sia stato sottoscritto da chi di dovere (debitore, funzionario del Fisco ed esperto), che le attestazioni siano allegate, che i tributi inclusi siano quelli ammessi dalla legge, ecc. Il tribunale non rivaluta la proposta nel merito – ad esempio, non sta a lui sindacare se il piano di risanamento sottostante sia coerente con la crisi (quello è compito dell’esperto), né se il trattamento del Fisco sia equo rispetto agli altri creditori (in composizione negoziata non vige la par condicio, l’imprenditore può offrire trattamenti differenziati). L’idea è che la presenza di ben tre professionisti (esperto, attestatore indipendente e revisore) a monte esoneri il giudice da ulteriori approfondimenti sostanziali. In pratica, il decreto del giudice serve a dare efficacia giuridica piena all’accordo, superando il principio di indisponibilità del credito tributario grazie all’intervento (seppur limitato) di un’autorità giudiziaria. Questo fornisce anche un “comfort” ai funzionari del Fisco, che possono dire: un giudice ha autorizzato la transazione, quindi è tutto regolare.

È importante evidenziare che, nella composizione negoziata, non esiste il meccanismo di cram down fiscale. Il cram down è l’omologazione forzosa contro il parere del Fisco (prevista nell’art. 63 CCII per accordi di ristrutturazione e nell’art. 180 L.Fall/CCII per concordati preventivi). Nel contesto della composizione negoziata, invece, se le Agenzie fiscali non aderiscono alla proposta, l’imprenditore non può ottenere dal tribunale l’imposizione coattiva dell’accordo. Il legislatore, nel 2024, ha scelto deliberatamente di non estendere questa facoltà al giudice della composizione negoziata, per non appesantire il percorso con ulteriori fasi giurisdizionali che avrebbero rallentato lo strumento. Dunque, la transazione fiscale in sede di composizione negoziata funziona solo se c’è un accordo consensuale con il Fisco. Se questo accordo non viene raggiunto (ad esempio perché l’Agenzia delle Entrate ritiene insufficiente la proposta), l’imprenditore potrà comunque perseguire il risanamento tramite altri strumenti formali (concordato preventivo, accordo di ristrutturazione) e in quei procedimenti potrà eventualmente ottenere il cram down del debito fiscale e contributivo. In altre parole, il “no” del Fisco in composizione negoziata non è aggirabile nella composizione stessa, ma non preclude di riproporre la transazione fiscale in una sede concorsuale successiva, dove però il controllo giudiziale sarà ben più penetrante (omologazione completa) e, se ne ricorrono i presupposti, il tribunale potrà imporre la transazione anche senza il consenso del Fisco.

6. Esecuzione e risoluzione dell’accordo fiscale: Una volta autorizzato dal giudice, l’accordo transattivo fiscale diventa effettivo e vincolante. Ciò significa che l’impresa dovrà eseguire puntualmente i pagamenti concordati e le Agenzie fiscali dovranno attenersi ai termini pattuiti (ad esempio, non potranno iscrivere nuovi gravami per la parte di debito oggetto di stralcio né procedere a recuperi coattivi sui crediti transatti, a patto che l’impresa rispetti l’accordo). L’accordo fiscale è essenzialmente un contratto, ma riceve una sorta di “omologazione light” con il decreto di autorizzazione. Se l’impresa adempie correttamente, eseguendo tutti i pagamenti concordati, il debito tributario si considera definito: la quota eventualmente falcidiata (cancellata) non sarà più esigibile dal Fisco (viene condonata di fatto), e il percorso di risanamento dell’azienda può proseguire senza quei debiti. È importante notare che l’accordo transattivo non libera eventuali coobbligati o garanti (salvo diversa pattuizione): ad esempio, se un socio ha prestato fideiussione per i debiti fiscali, la transazione tra società e Fisco non impedisce all’Agenzia di escutere eventualmente il garante per l’intero – a meno che il garante stesso non sia parte dell’accordo o l’accordo preveda espressamente una liberatoria. Questo è analogo alla regola generale dei concordati (la remissione del debito vale solo per il debitore, non per i coobbligati ex art. 1239 c.c.).

La legge prevede espressamente alcune cause di risoluzione automatica (ossia scioglimento) dell’accordo fiscale nella composizione negoziata. In particolare, l’accordo si risolve di diritto (cioè senza bisogno di pronunce giudiziali) se:

  • successivamente all’accordo, viene aperta una liquidazione giudiziale o una liquidazione controllata dell’impresa, o viene accertato giudizialmente lo stato di insolvenza dell’impresa (ad esempio su istanza di un creditore). In tali casi, l’accordo fiscale decade automaticamente. Ciò è logico, perché con la liquidazione fallimentare i crediti fiscali tornano ad essere regolati secondo le regole concorsuali ordinarie (il Fisco parteciperà al riparto fallimentare per l’intero credito originario, detratti eventualmente gli acconti ricevuti in esecuzione dell’accordo prima della risoluzione).
  • l’imprenditore non esegue integralmente, entro 60 giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti secondo l’accordo. Questa clausola equivale a dire: se si accumula un ritardo di oltre 60 giorni su una rata o scadenza stabilita nell’accordo, il beneficio della transazione decade automaticamente. Ad esempio, se l’accordo prevedeva rate trimestrali e l’impresa salta una rata superando di 60 giorni la data prevista, l’intero accordo è risolto di diritto.

In caso di risoluzione, l’effetto tipico è che il Fisco riacquista pienamente i propri diritti sul debito originario, potendo riprendere o avviare azioni esecutive per l’intero importo al lordo delle riduzioni (salvo imputare in detrazione quanto eventualmente già pagato in esecuzione dell’accordo, che comunque rimane acquisito). È presumibile che nell’accordo sia contrattualmente specificato che, in caso di risoluzione, i pagamenti già effettuati vengano imputati a titolo di acconto sul debito totale. Inoltre, la risoluzione dell’accordo fiscale non travolge gli accordi eventualmente raggiunti con altri creditori privati durante la composizione negoziata, a meno che anch’essi non prevedano clausole risolutive collegate. Potrebbe però determinare il fallimento o la crisi definitiva dell’impresa se questa non ha più soluzioni, dato che i debiti fiscali (con sanzioni e interessi) tornerebbero esigibili per intero.

In definitiva, la procedura delineata dal nuovo art. 23 comma 2-bis CCII consente di integrare nel percorso di composizione negoziata uno strumento negoziale prima riservato alle sedi giudiziali. L’impresa deve muoversi con tempestività e preparazione: predisporre documentazione accurata, coinvolgere professionisti qualificati per le attestazioni e dialogare attivamente con gli uffici fiscali. Se ben gestita, la transazione fiscale in composizione negoziata può diventare il punto di svolta per il risanamento, rimuovendo il macigno del debito fiscale dal piano di rilancio dell’impresa. Bisogna però essere consapevoli dei limiti: non tutti i debiti pubblici sono trattabili (fuori contributi e tributi locali), e senza il consenso del Fisco non si può chiudere positivamente (il che in alcuni casi costringerà a percorrere le vie concorsuali ordinarie).

Giurisprudenza e orientamenti applicativi (2022-2025)

La “nuova” transazione fiscale nella composizione negoziata è uno strumento recentissimo (attivo da fine 2024), e dunque la casistica giurisprudenziale specifica è ancora in fase di sviluppo. Tuttavia, è inserita in un contesto di norme e principi su cui vi sono già stati importanti interventi giurisprudenziali negli ultimi anni, soprattutto riguardo alla transazione fiscale in generale e alla composizione negoziata. In questa sezione rivediamo alcune pronunce rilevanti (Corti superiori e tribunali di merito) e le interpretazioni dottrinali emerse, per capire come si applica o si applicherà la disciplina.

  • Indisponibilità del credito tributario e apertura alla falcidia: Tradizionalmente, il Fisco non poteva legalmente rinunciare a riscuotere parte delle imposte senza una norma specifica, per via del principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria. La Corte Costituzionale ha però progressivamente smussato questo principio quando si scontra con il diritto alla soluzione della crisi. Una sentenza chiave è la n. 245/2019 (in materia di sovraindebitamento), in cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità della preclusione totale alla falcidia dell’IVA nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. La Consulta ha riconosciuto che, in mancanza di alternative, anche l’IVA (pur essendo tributo armonizzato UE) deve poter essere stralciata parzialmente, altrimenti si violerebbe il principio di ragionevolezza e di parità di trattamento rispetto ai creditori privati. Questo orientamento ha fatto da apripista al legislatore, che di lì a poco (2020) ha ammesso la falcidia dell’IVA anche nei concordati preventivi e accordi di ristrutturazione delle imprese. Dottrina e giurisprudenza concordano oggi che l’IVA non integrale è compatibile col diritto UE, considerando che solo lo 0,30% del suo gettito è formalmente “risorsa propria” UE da non toccare.
  • Giurisdizione sulle controversie della transazione fiscale: Una domanda dibattuta era: se l’Agenzia delle Entrate nega la transazione fiscale e l’impresa vuole contestare questo diniego, chi è il giudice competente? Fino al 2021 c’era incertezza tra il giudice tributario e quello civile (fallimentare). Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con ordinanza 25 marzo 2021, n. 8504, hanno risolto la questione: le controversie sul diniego della transazione fiscale rientrano nella giurisdizione del giudice civilistico (fallimentare), in quanto la transazione fiscale si inserisce in una procedura concorsuale (concordato o accordo) e non attiene all’esercizio della potestà impositiva dello Stato. In altre parole, se il Fisco rifiuta una proposta in un concordato, l’impresa può chiedere al tribunale fallimentare di valutare il giudizio di convenienza e, ricorrendone i presupposti, omologare comunque il concordato (cram down). Non è invece possibile impugnare il diniego avanti alle Commissioni Tributarie, poiché non è un atto autoritativo di accertamento tributario, ma un comportamento nell’ambito di una procedura concorsuale. Questo principio vale, a fortiori, anche per la composizione negoziata: sebbene lì non ci sia un’omologazione, qualora sorgessero contestazioni sull’accordo fiscale (ad esempio, l’impresa ritenesse ingiustificato un diniego in extremis dell’ente) la materia sarebbe sempre di competenza del tribunale civile competente per la crisi d’impresa, non del giudice tributario.
  • Pronunce dei Tribunali sulle trattative fiscali in composizione negoziata (prima del 2024): Prima che fosse introdotta la transazione fiscale interna alla composizione negoziata, alcuni tribunali hanno sottolineato l’importanza comunque di coinvolgere il Fisco nelle trattative. Ad esempio, il Tribunale di Bergamo, decreto 21 settembre 2022 (Pres. De Simone), ha dichiarato inammissibile un concordato semplificato post-composizione negoziata in cui l’imprenditore non aveva neppure tentato una transazione fiscale, nonostante vi fossero rilevanti debiti tributari. Il tribunale ha ricordato che il concordato semplificato è una extrema ratio, ammissibile solo se durante la composizione negoziata si siano provati tutti gli strumenti ordinari, compresa la transazione fiscale nell’ambito di un accordo di ristrutturazione. Dato che una transazione fiscale richiede tempi (90 giorni minimo) incompatibili con il breve periodo di 60 giorni post-archiviazione previsto per proporre il concordato semplificato, il Tribunale ha ritenuto che non aver avviato per tempo le trattative con il Fisco rendeva impossibile dichiarare impraticabili altri strumenti e quindi precludeva l’accesso al concordato semplificato. Questa pronuncia, precedente alla riforma, evidenziava una situazione paradossale poi risolta col D.Lgs. 136/2024: grazie a quest’ultimo, infatti, è ora chiaro che l’imprenditore può e deve avviare la proposta fiscale durante la composizione negoziata, senza attendere la fine, così da non trovarsi fuori tempo massimo.
  • Prime applicazioni nel 2025: Nei mesi immediatamente successivi all’entrata in vigore della riforma (fine 2024 – inizio 2025) non risultano ancora sentenze pubblicate su casi concreti di accordo fiscale concluso in composizione negoziata, ma vi sono segnali positivi. La prassi operativa interna all’Amministrazione finanziaria si sta adeguando: come già avvenuto per i concordati, ci si attende che l’Agenzia delle Entrate emani linee guida o direttive interne per la gestione delle proposte nella composizione negoziata (analoghe alla Circolare n.34/E del 2020 che disciplinava la gestione delle proposte di transazione fiscale nelle procedure concorsuali). Sul fronte giudiziario, alcuni decreti di tribunali nel 2025 hanno già toccato aspetti collegati: ad esempio, il Tribunale di Vicenza, con provvedimento del 25 marzo 2025, ha affrontato un caso di misure protettive reiterate, confermando che la durata massima delle protezioni (12 mesi) non può essere aggirata sommandone di diverse procedure. Ciò indirettamente impone all’imprenditore di utilizzare bene il tempo della composizione negoziata per concludere anche l’eventuale transazione fiscale entro i termini previsti.
  • Tributi locali e pronunce contabili: Un tema ancora irrisolto normativamente è la gestione dei tributi locali nel contesto della crisi d’impresa. Abbiamo visto che la transazione fiscale non li include. A tal proposito, si segnala la posizione della Corte dei Conti che, in sede di controllo, ha più volte ribadito l’assenza di base giuridica per falcidiare crediti tributari di competenza di enti locali. Ad esempio, la Sezione regionale di controllo dell’Umbria, con deliberazione n. 64/2022, ha affermato che i Comuni non possono concedere transazioni sui tributi locali analoghe a quelle dell’art. 182-ter L.Fall., mancando una specifica previsione normativa. La magistratura contabile ha evidenziato il rischio, per gli amministratori locali, di incorrere in responsabilità erariale se rinunciano a parte di tributi comunali senza un fondamento legislativo. Queste prese di posizione aumentano la pressione per un intervento normativo futuro che estenda strumenti di definizione agevolata anche ai tributi locali, analogamente a quanto fatto per i tributi erariali. Dottrina specializzata ha sottolineato questa lacuna e auspicato un rapido adeguamento legislativo, specie alla luce del fatto che imposte come IMU o TARI possono rappresentare una quota significativa dell’esposizione debitoria di piccole imprese locali.

In sintesi, l’impianto giurisprudenziale attuale conferma la legittimità e la necessità dell’istituto della transazione fiscale nel contesto del risanamento d’impresa. Si è passati da un’epoca (pre-2020) in cui falcidiare le imposte era quasi tabù, ad una realtà odierna in cui tutte le giurisdizioni coinvolte – civili, costituzionali, contabili – riconoscono che, a determinate condizioni, anche il Fisco deve sedersi al tavolo delle trattative per evitare il male peggiore della perdita integrale del credito in caso di fallimento. La composizione negoziata è l’ultimo tassello di questo mosaico normativo: l’auspicio condiviso da commentatori e operatori è che le Agenzie fiscali colgano lo spirito della riforma e utilizzino con fiducia la transazione fiscale come leva di soluzione anticipata delle crisi, invece di attendere la fase giudiziale. I primi commenti dottrinali (Andreani, Capobianco, Giommoni, ecc.) sono in gran parte positivi sulla novella: pur criticando alcuni aspetti procedurali (come l’eccesso di attestazioni richieste), concordano che la possibilità di ristrutturare i debiti fiscali aumenta l’appeal e l’efficacia della composizione negoziata come strumento di risanamento.

Simulazioni e casi pratici

Passiamo ora a tre esempi pratici che illustrano come un’impresa può utilizzare la transazione fiscale nella composizione negoziata. I casi sono sviluppati con livelli di complessità crescente: dal più semplice, in cui l’accordo fiscale è praticamente l’unica soluzione necessaria, a scenari più complessi con coinvolgimento di altri creditori e possibili esiti differenti. Tutti i nomi di imprese e persone sono di fantasia; gli importi e le situazioni sono semplificati per chiarezza espositiva, ma basati su circostanze realistiche.

Caso pratico 1: Micro-impresa individuale con solo debiti fiscali

Situazione iniziale: Mario Rossi è titolare di una ditta individuale (regime di impresa familiare) nel settore del commercio al dettaglio. A causa di un calo di vendite e di alcune scelte gestionali errate, accumula debiti con il Fisco: in particolare, €100.000 tra IVA non versata e ritenute IRPEF dipendenti, oltre a sanzioni e interessi per ulteriori €20.000. Non ha altri debiti rilevanti (fornitori e banca sono stati pagati utilizzando anche liquidità che avrebbe dovuto destinare al Fisco). La ditta ha però ancora un’attività redditizia e potrebbe, con un po’ di respiro, riprendersi. Mario tenta di chiedere una rateazione ordinaria all’Agenzia Entrate-Riscossione (ex Equitalia) ex art. 19 DPR 602/73, ma con €120.000 di carico non riesce a sostenere le rate in 6 anni senza una riduzione dell’importo. Rischia l’aggressione patrimoniale (ha un negozio di proprietà su cui pende minaccia di ipoteca di Equitalia).

Accesso alla composizione negoziata: A novembre 2024 Mario presenta istanza di composizione negoziata tramite la piattaforma online. La Camera di Commercio nomina un esperto indipendente, il dott. Bianchi, che analizza la situazione. Vista la natura quasi esclusivamente fiscale della crisi, l’esperto concorda che lo strumento chiave sarà la transazione fiscale. Mario, affiancato dall’esperto, predispone una proposta di accordo fiscale: offre di pagare il 50% del debito tributario complessivo (€60.000 su €120.000) in 30 rate mensili (2 anni e mezzo), utilizzando la ritrovata liquidità generata dal miglioramento delle vendite e qualche risparmio personale. Il piano prevede che l’attività prosegua e generi cassa sufficiente a pagare circa €2.000 al mese al Fisco, senza dover chiudere il negozio.

Attestazioni e presentazione proposta: Poiché la ditta individuale non ha un revisore dei conti, Mario incarica un commercialista indipendente (il dott. Verdi) di redigere sia la relazione di veridicità dei dati, sia quella di convenienza per il Fisco. Il dott. Verdi verifica le scritture contabili, l’inventario di magazzino e i bilanci degli ultimi anni, confermando che i dati forniti (fatturato annuo €200.000, margine lordo 30%, spese fisse €50.000) sono corretti e completi. Nella relazione di convenienza, poi, evidenzia che in caso di fallimento il Fisco probabilmente recupererebbe poco o nulla: il negozio, gravato da mutuo residuo, se liquidato forzatamente pagherebbe appena il credito ipotecario della banca; il magazzino verrebbe svenduto; e l’attività cesserebbe. Si stima che l’Erario, tra qualche mobile pignorato e il 20% del ricavato del magazzino, otterrebbe forse €10-15.000 in un fallimento. Al contrario, accettando €60.000 dilazionati, l’Erario prenderebbe quattro-cinque volte tanto. Le relazioni attestano dunque la convenienza dell’accordo proposto rispetto all’alternativa liquidatoria.

A dicembre 2024, Mario invia la proposta ufficiale all’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale competente e, per conoscenza, all’ADER locale. Nella proposta dettaglia i conteggi: debito da cartelle €80.000 (IVA 2022, IRPEF dip. 2021), debito da accertamenti non ancora a ruolo €40.000 (IRPEF 2020 e 2021), per totale €120.000. Offre €60.000 (50%) in 30 rate; prima rata immediata di €2.000 a gennaio 2025. Allega le due relazioni (indipendente e revisore) e comunica il tutto anche all’esperto Bianchi.

Trattativa e accordo col Fisco: L’Agenzia, entro i 30 giorni, effettua i controlli: liquida una dichiarazione IVA 2023 presentata e non ancora verificata (confermando un piccolo credito IVA compensabile), certifica che il debito totale è proprio €120.000 e non emergono ulteriori pendenze. A gennaio 2025 l’ufficio invita Mario e l’esperto ad un incontro (oggi possibile anche da remoto) per discutere la proposta. L’ufficio manifesta apertura, ma chiede miglioramenti: in particolare propone un pagamento del 60% (anziché 50%) in 24 rate (2 anni) anziché 30, ritenendo che la ditta possa fare uno sforzo leggermente maggiore, anche considerando che in 2 anni il Fisco vuole concludere l’incasso. Mario, con l’aiuto dell’esperto, rivede i conti: accettare 60% su 24 mesi significa rate da €3.000/mese. È fattibile se riduce alcune spese non essenziali e aumenta i ricavi, magari con promozioni. Mario ritiene di potercela fare e, pur trovando l’offerta impegnativa, acconsente. Nel frattempo ADER conferma che, in linea con Entrate, accetterà di stralciare le sanzioni delle cartelle e parte degli interessi, purché il 60% offerto copra almeno interamente i tributi e una frazione dei loro oneri di riscossione.

A fine gennaio 2025 viene formalizzato l’accordo transattivo: Mario firma e il Direttore dell’Agenzia firma per accettazione, con visto favorevole della Direzione Regionale. L’accordo prevede: pagamento di €72.000 (60%) in 24 rate mensili da €3.000; il resto (€48.000) sarà stralciato; in caso di vendita del negozio entro 3 anni, Mario si impegna a destinare il 50% dell’eventuale plusvalenza al Fisco (clausola aggiunta a garanzia, dato che l’immobile ha un certo valore potenziale). L’accordo include la clausola legale risolutiva: 60 giorni di tolleranza massima su eventuali ritardi, poi risoluzione di diritto.

Intervento del Tribunale: L’esperto Bianchi redige la sua relazione finale dichiarando che grazie alla transazione fiscale l’impresa può dirsi risanabile. Deposita così l’accordo fiscale presso il Tribunale competente. Il giudice delegato esamina la documentazione: tutto regolare, sono presenti le firme di Mario, del Direttore della DP Entrate e dell’esperto; le relazioni allegate sono a posto. Entro un paio di settimane, il Tribunale emette decreto di autorizzazione all’esecuzione. Da quel momento, l’accordo diventa pienamente efficace.

Esito: Mario inizia a pagare le rate puntualmente da febbraio 2025. Grazie all’accordo, l’ipoteca esattoriale minacciata non viene più iscritta e le precedenti ganasce fiscali sull’auto vengono revocate. L’attività prosegue senza intoppi e anzi, libera dall’ansia dei debiti, rifiorisce. Dopo due anni, Mario ha pagato il dovuto €72.000; l’Agenzia delle Entrate rilascia una quietanza liberatoria: il debito fiscale è estinto, la parte residua è annullata. La composizione negoziata si è conclusa con successo già nel 2025; l’impresa ha evitato il fallimento e il Fisco ha recuperato molto più di quanto avrebbe ottenuto altrimenti (il 60% invece di un probabile 10-15%). Questo caso mostra come anche una piccola impresa, con un’unica grande esposizione verso l’Erario, possa risolvere la crisi grazie alla nuova transazione fiscale in composizione negoziata, con beneficio reciproco: l’imprenditore salva l’attività, il Fisco incassa somme significative in tempi certi (24 mesi).

Caso pratico 2: PMI manifatturiera con debiti fiscali e contributivi

Situazione iniziale: Alfa S.r.l. è una piccola azienda manifatturiera (15 dipendenti) nel settore tessile. A seguito di alcune commesse non pagate da clienti esteri e dell’aumento dei costi delle materie prime, Alfa ha accumulato debiti per circa €500.000: di questi, €300.000 verso fornitori e banche, e circa €200.000 verso Erario e enti previdenziali (IVA, ritenute e contributi INPS). In particolare, Alfa ha versato regolarmente stipendi e TFR, ma per fare ciò ha “sacrificato” IVA e contributi: negli ultimi 2 anni ha saltato versamenti IVA per €120.000 e contributi INPS per €60.000, più sanzioni e interessi di legge (€20.000). Entro metà 2025 scadono anche debiti bancari importanti. L’azienda ha ancora un buon portafoglio ordini, ma senza un accordo con i creditori rischia l’insolvenza conclamata. Il patrimonio di Alfa è costituito principalmente da macchinari e scorte (valore di realizzo forzato stimato €150.000). I soci non hanno risorse per ripianare direttamente la situazione, ma credono nella continuazione aziendale.

Accesso alla composizione negoziata: Nel febbraio 2025 Alfa S.r.l. decide di attivare la composizione negoziata per evitare il precipitare della crisi. Viene nominato come esperto l’avv. Bianchi (persona diversa dal caso precedente, coincidenza di cognome), esperto di ristrutturazioni aziendali. Dopo l’analisi iniziale, l’esperto concorda con Alfa un piano di massima: rinegoziare i debiti con fornitori (offrendo un pagamento parziale attorno al 50% in 2 anni), chiedere alla banca un allungamento del mutuo (con eventuale garanzia aggiuntiva), e soprattutto affrontare il nodo dei debiti fiscali e contributivi. Senza un taglio di questi ultimi, infatti, l’azienda non può sostenere neppure i nuovi piani con fornitori e banche.

Proposta di transazione fiscale (e non solo): A marzo 2025 Alfa prepara con l’ausilio dei consulenti una proposta complessiva ai creditori. Per i fornitori chiederà stralcio 50%; per la banca, solo dilazione (nessuna falcidia, per non rischiare revoca fido), magari con garanzia Confidi. Per il Fisco propone una transazione che copra tutti i debiti tributari: risulta che Alfa deve all’Erario €130.000 (IVA, ritenute, IRES) di cui €100.000 di imposta e €30.000 tra sanzioni/interessi; all’INPS €70.000 (contributi omessi + addizionali). Importante: la transazione fiscale non può includere l’INPS, quindi Alfa deve pensare ad una soluzione parallela per i contributi. Decide dunque di utilizzare le norme vigenti in materia previdenziale: presenterà all’INPS un’istanza di rateazione amministrativa straordinaria (fino a 72 rate mensili) per l’intero importo dei contributi dovuti. L’INPS in questi casi può rateizzare ma non stralciare il debito; Alfa prevede di ottenere 60 rate (5 anni) con un piano sostenibile per €70.000 di contributi, dimostrando la temporanea difficoltà e l’avvenuta attivazione di un percorso di risanamento. Parallelamente, la transazione fiscale verterà sul debito erariale: su €130.000, Alfa propone di pagare il 40% (€52.000) dilazionato in 4 anni (48 mesi). Percentuale così bassa? Sì, perché Alfa ha necessità di ridurre al minimo l’esborso verso il Fisco, dovendo comunque impegnare risorse per pagare anche i fornitori (50% di €300k = €150k) e la banca (che prolunga il mutuo ma mantiene capitale e interessi). L’alternativa sarebbe il fallimento, in cui il Fisco prenderebbe poco (i macchinari a vendita forzata coprirebbero giusto le spese). Viene redatto un piano finanziario che mostra come l’azienda, riducendo i costi e migliorando la marginalità con prodotti a più alto valore, possa generare un flusso di cassa annuo di circa €50.000 da destinare ai creditori: in 4 anni, €200.000 totali. Questa torta verrebbe così suddivisa: €52.000 al Fisco (transazione fiscale), circa €70.000 all’INPS (rate), €78.000 ai fornitori (il 50% di €156.000, spalmati su 4 anni), e il resto alla banca (che nel frattempo capitalizza interessi ma è protetta dall’ipoteca sui macchinari). Il piano è stretto ma fattibile.

Attestazioni e presentazione: Anche Alfa S.r.l. non aveva un revisore legale, essendo sotto le soglie di legge; l’azienda nomina quindi il dott. Neri, commercialista indipendente, per la relazione sulla veridicità dei dati e quella di convenienza per il Fisco. Il dott. Neri certifica i dati aziendali (bilanci e situazioni contabili verificate, ordini in portafoglio controllati con conferme, valutazione indipendente delle scorte) e attesta che la proposta al Fisco (40% in 4 anni) è più conveniente della liquidazione. Infatti, in caso di fallimento, stima che dall’attivo (€150k fra macchinari e scorte) il Fisco (chirografo) non otterrebbe nulla, divorato dai costi di procedura e dai creditori privilegiati (dipendenti e banca ipotecaria). Dunque anche il 40% è molto meglio di 0%. Certo, nota l’attestatore, 40% è meno di quanto in altri contesti si vedrebbe offrire al Fisco; ma considerato che i soci non hanno patrimoni aggredibili e che senza accordo l’impresa collassa, l’alternativa è che il Fisco perda tutto.

In aprile 2025 Alfa invia la proposta di transazione fiscale (con allegati) all’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale competente (trattandosi di una società con stabile organizzazione su più province, la pratica viene seguita a livello regionale) e all’ADER. Contemporaneamente, deposita istanza di rateazione all’INPS per i contributi, informando l’esperto anche di questa iniziativa (che, pur separata, fa parte del puzzle del risanamento).

Trattativa con il Fisco: L’Agenzia delle Entrate inizialmente è perplessa davanti ad una richiesta di saldo al 40%. Convoca Alfa (amministratore e consulente) e l’esperto per discutere. L’azienda spiega la situazione con trasparenza, fornendo il piano completo: mostra che tutti i creditori sono chiamati a fare sacrifici (anche i fornitori accettano 50%, i soci perdono capitale sociale per coprire perdite, ecc.), e che davvero non c’è margine per pagare di più il Fisco. Viene fatto notare che l’INPS, essendo escluso dalla transazione fiscale, otterrà comunque il 100% via rate (anche se senza interessi di mora aggiuntivi per via delle misure protettive). Le Agenzie fiscali alla fine comprendono la logica: la Direzione Regionale Entrate concorda di accettare un pagamento parziale eccezionalmente basso perché accompagnato da un serio piano industriale e da sacrifici generalizzati. Tuttavia, per motivi di equità interni e precedenti nazionali, propone un’aggiustatina: 45% in 3 anni invece di 40% in 4. Questo sia per ridurre il tempo di esposizione (preferiscono incassare prima) sia per alzare leggermente la percentuale (un domani nei report ministeriali si parlerà di transazione al 45%, che è più difendibile politicamente di un “saldo al 40%”). Dopo intense discussioni, Alfa accetta il compromesso: pagherà €58.500 (45% di 130k) in 36 mesi, con rate trimestrali (12 quarter da €4.875). L’INPS nel frattempo approva la rateazione amministrativa a 60 mesi per €70k (sono circa €1.167 al mese, compatibili col flusso di cassa). Fornitori e banca hanno dato assenso di massima alle proposte di saldo e dilazione rispettivamente.

Formalizzazione e decreto: A maggio 2025, l’accordo fiscale è sottoscritto: Alfa S.r.l. firma e la Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate pure. ADER aderisce per la parte di sua competenza (cartelle). L’accordo viene depositato in Tribunale. Il giudice, verificato che i tributi locali e i contributi non sono inclusi (corretto), che le attestazioni ci sono e l’esperto ha firmato per presa d’atto, autorizza l’esecuzione. L’accordo diventa operativo.

Esito: Grazie a questo pacchetto di accordi, la composizione negoziata si chiude con esito positivo a metà 2025. Alfa S.r.l. riesce a proseguire l’attività, rispettando man mano gli impegni. I dipendenti rimangono tutti al loro posto (anzi, l’INPS concede DURC regolare essendoci un piano in corso, quindi l’azienda può continuare a partecipare a bandi e ottenere crediti d’imposta). Dopo 3 anni, Alfa ha saldato €58.500 al Fisco (che stralcia il resto di imposte e tutti gli interessi/sanzioni), e dopo 5 anni salderà anche l’INPS. Fornitori hanno incassato la metà dei loro crediti (meglio di nulla) e proseguono i rapporti commerciali con Alfa. Questo caso evidenzia come la transazione fiscale da sola non basta se ci sono anche debiti contributivi: serve coordinare più strumenti. In particolare, la composizione negoziata ha permesso di congelare tutto il contenzioso (bloccando pignoramenti e ulteriori interessi) mentre si cuciva un accordo multi-soggetto. Il Fisco ha accettato un taglio forte perché ha visto che tutti gli stakeholder partecipavano allo sforzo e che la prospettiva alternativa era il fallimento con zero incassi. Senza la transazione fiscale, Alfa sarebbe stata costretta probabilmente a un concordato preventivo, con costi maggiori e tempi più lunghi, rischiando di perdere commesse per la perdita di reputazione; oppure sarebbe fallita con danno per tutti. Invece, con lo strumento negoziale nuovo, l’azienda è salva e dopo qualche anno tornerà in bonis, e il Fisco incasserà una quota discreta in tempi relativamente brevi.

Caso pratico 3: Media impresa con debiti elevati – transazione fiscale non riuscita e passaggio a procedura giudiziale

Situazione iniziale: Gamma S.p.A. è un’azienda edile di medie dimensioni (fatturato €10 milioni, 50 dipendenti) che ha accumulato un grave squilibrio finanziario. A causa di investimenti immobilizzati e appalti in perdita, presenta debiti totali per €8 milioni: €5M verso banche (mutui ipotecari su cantieri e scoperti di conto), €1M verso fornitori, €1M verso l’Erario (IVA non versata su vendite immobiliari e ritenute, più IRAP, interessi e sanzioni) e €0,5M verso INPS/INAIL (contributi su manodopera), oltre a altri debiti minori. Il patrimonio di Gamma consiste essenzialmente in diversi terreni e immobili in costruzione (valore di mercato volatile, in calo). La crisi è in stadio avanzato: alcune banche hanno revocato gli affidamenti, fornitori hanno iniziato decreti ingiuntivi; Equitalia ha notificato cartelle per l’IVA non versata e minaccia di iscrivere ipoteca sui terreni. Gli stipendi correnti sono pagati a fatica.

Accesso alla composizione negoziata: Nel tardo 2024 il CDA di Gamma decide di provare la composizione negoziata per evitare la catastrofe. Si insedia come esperto l’avv. Rossi, che suggerisce di cercare un investitore esterno interessato a rilevare e rilanciare l’azienda, dato che i soci attuali non possono ricapitalizzare. Dopo qualche ricerca, viene individuato un potenziale investitore (una società del settore interessata ai terreni di Gamma) disposto a immettere €2 milioni di equity per salvare Gamma, a condizione di: i) ottenere il controllo della società; ii) ristrutturare pesantemente i debiti pregressi riducendoli almeno del 70-80%. L’investitore calcola che con €2M può portare a termine i cantieri e generare ricavi, ma solo se il debito pregresso viene drasticamente ridotto (altrimenti l’azienda resterebbe soffocata dagli oneri).

Proposta di accordo e difficoltà col Fisco: Gamma, con l’esperto, elabora quindi un piano di risanamento basato sull’ingresso dell’investitore. Ai creditori viene prospettato: banche garantite sui terreni – pagamento parziale 70% dei loro crediti (ristrutturazione mutui); fornitori chirografari – pagamento 20%; Fisco (Erario) – pagamento 20% del dovuto; contributi INPS – purtroppo dovranno essere pagati almeno al 80% (qui l’investitore suggerisce di usare parte dei €2M per saldare quasi tutto l’INPS, altrimenti quest’ultimo farebbe opposizione). In sostanza, l’investitore mette €2M che verranno in gran parte utilizzati subito per pagare banche, parte di debiti fiscali e contributivi, e la minima percentuale ai fornitori; il resto del debito sarà stralciato. Il piano è ambizioso e molto severo per i creditori: giustificato dal fatto che se Gamma fallisce, il valore di realizzo forzato dei cantieri è stimato attorno al 30% dei crediti (mercato ribassista, molti beni invenduti). Il Fisco, in particolare, su €1M recupererebbe forse €100k in caso di fallimento, stima l’attestatore.

Gli advisor preparano le relazioni ex art. 23 a corredo di questa proposta: i dati sono verificati da una società di revisione (Gamma aveva il collegio sindacale, ma per sicurezza incarica anche un revisore esterno per attestare i numeri dei cantieri e delle stime immobiliari); un notaio redige perizia sui valori immobiliari. La relazione di convenienza evidenzia sì la convenienza (20% è comunque il doppio di 10% previsto in fallimento), ma sottolinea anche i rischi: il piano di rilancio dipende dalle vendite future immobiliari, quindi c’è un elemento speculativo.

La proposta viene presentata alle Agenzie fiscali a gennaio 2025. Qui iniziano i problemi: l’Agenzia delle Entrate mostra forte riluttanza ad accettare un pagamento del solo 20%. Si tratta di un haircut dell’80%, percepito come molto elevato. Inoltre, la componente IVA è consistente e, sebbene falcidiabile, tradizionalmente il Fisco è restio a trattare l’IVA sotto al 40-50% (salvo situazioni estremissime). Nonostante le spiegazioni e i conti (che razionalmente mostrano che 20% con nuova finanza è meglio di un fallimento dove il Fisco prenderebbe forse 10%), le trattative con il Fisco si arenano. L’Agenzia chiede almeno il 40% per dare l’ok, magari con dilazione breve. Ma l’investitore risponde che non intende usare più di €0,2M dei suoi €2M per i debiti fiscali: se deve pagarne €0,4M (40%), allora dovrà ridurre altri pagamenti (cosa difficile perché già banche e INPS sono al limite di accettabilità) o mettere più soldi (cosa che rifiuta di fare). Lo stallo si protrae oltre i 90 giorni senza un accordo definitivo. Nel frattempo, la composizione negoziata ha protetto l’azienda per i mesi consentiti, ma la scadenza delle misure protettive si avvicina.

Esito della composizione negoziata: Ad aprile 2025, dopo 180 giorni, Gamma non è riuscita a chiudere un accordo con tutti i creditori. Le banche avevano dato disponibilità di massima sul 70%, i fornitori pure (meglio poco che niente), l’INPS stava valutando un parziale – ma senza l’adesione del Fisco, l’investitore ha congelato l’operazione. L’esperto certifica che le trattative si sono svolte ma non hanno portato a un accordo completo, archivia la composizione negoziata senza esito positivo e redige la relazione finale.

A questo punto, Gamma S.p.A. decide comunque di provare a perseguire la strada del risanamento con l’investitore, spostando però la partita sul piano giudiziale: pochi giorni dopo l’archiviazione della comp. negoziata, deposita una domanda di concordato preventivo “in continuità” presso il Tribunale, allegando un piano concordatario molto simile a quello discusso (ingresso dell’investitore, pagamento 20% chirografo, ecc.), inclusa la transazione fiscale al 20%. La differenza è che adesso, essendo in sede di concordato, se il Fisco non dovesse aderire, Gamma può chiedere al Tribunale di omologare comunque il concordato sfruttando il cram down fiscale previsto dall’art. 180, co.4, CCII. Infatti, Gamma conta sul fatto che probabilmente il Fisco voterà no, ma gli altri creditori (banche e fornitori) voteranno sì, raggiungendo le maggioranze necessarie, e dunque il Tribunale potrà verificare la convenienza per il Fisco e forzosamente approvare il piano.

Procedura concordataria e omologazione: Come previsto, nel concordato la maggioranza dei crediti vota a favore, tranne l’Erario e l’INPS che votano contro. Il commissario giudiziale conferma ai giudici che il piano dà al Fisco (20%) più di quanto otterrebbe in liquidazione fallimentare (stimato <10%). Il Tribunale, alla luce delle risultanze e richiamando la relazione dell’esperto indipendente, omologa il concordato preventivo nonostante il voto contrario del Fisco (applicando il cram down fiscale). Contestualmente omologa anche la falcidia dei contributi INPS (per questi il taglio è minore, 80%, ma anch’esso imposto senza consenso grazie al medesimo meccanismo). L’investitore versa i €2 milioni promessi, consentendo di pagare quanto stabilito (in realtà, versa inizialmente in un escrow sotto controllo del commissario, a garanzia dell’esecuzione del piano). Nei mesi successivi Gamma S.p.A. paga il 20% al Fisco e agli altri chirografari e, con la nuova finanza, completa i cantieri, riuscendo infine a risollevarsi.

Considerazioni sul caso: Questo esempio mette in luce che la composizione negoziata, pur con la nuova transazione fiscale, non sempre potrà risolvere tutte le crisi. In situazioni molto complesse e con debiti ingenti, può accadere che il Fisco (o altro creditore) non accetti i sacrifici proposti. La composizione negoziata, per sua natura volontaria, non può costringerlo, e dunque potrebbe fallire l’obiettivo di un accordo stragiudiziale totale. Ciò non significa che l’iniziativa sia stata inutile: nel nostro caso, la comp. negoziata ha fornito tempo prezioso e un quadro negoziale entro cui delineare il piano e sondare le disponibilità. Inoltre, ha posto le basi per dimostrare al Tribunale, in sede di concordato, che tutte le strade negoziali erano state percorse (aspetto importante anche per valutare la buona fede dell’imprenditore e l’adesione al cosiddetto obbligo di trattativa). Infatti, l’art. 23 co. 2 lett. d) CCII incoraggia che dall’esito della comp. negoziata risultino esperiti i tentativi di accordo con i creditori pubblici.

Dal punto di vista dell’impresa, si potrebbe obiettare: non era meglio fare direttamente il concordato? Forse sì se l’accordo era evidentemente irraggiungibile, ma tentare la via negoziale non ha peggiorato la situazione (le misure protettive hanno congelato i procedimenti, e i termini concordatari sono stati ridotti grazie al lavoro preparatorio). Inoltre, la legge premia chi transita dalla comp. negoziata all’accordo di ristrutturazione: come visto, richiedere l’omologazione entro 60 giorni dall’archiviazione comporta soglie di consenso più basse (60% anziché 75% per il cram down). Questo può aver giovato a Gamma in eventuali conteggi di maggioranze (nel concordato preventivo puro la norma è diversa, ma nel caso di un accordo di ristrutturazione sarebbe stato un vantaggio). Dal lato del Fisco, il caso evidenzia come l’assenza di cram down nella comp. negoziata lo metta in una posizione chiave: il suo “no” può far saltare il tavolo negoziale. È quindi auspicabile che il Fisco usi questo potere con senso di responsabilità, valutando con cura le relazioni di convenienza e non opponendosi pregiudizialmente ad offerte che, pur dure da digerire, siano realmente il meglio possibile in quella crisi. In caso contrario, spingerà più imprese verso procedure giudiziali lunghe e costose, spesso con esiti peggiori per l’Erario stesso.

Conclusioni sulla nuova transazione fiscale nella composizione negoziata della crisi (art. 23 co. 2-bis CCII)

L’introduzione della transazione fiscale nella composizione negoziata della crisi (art. 23 co. 2-bis CCII) rappresenta una novità di grande importanza nel panorama del diritto della crisi d’impresa. Aggiornata ad aprile 2025, la disciplina consente finalmente alle imprese in difficoltà di affrontare in modo diretto e negoziale il problema dei debiti tributari, durante la fase precoce del risanamento, senza dover passare obbligatoriamente per un tribunale con concordati o accordi di ristrutturazione. Ciò rende la composizione negoziata un istituto molto più completo e attrattivo, perché può coinvolgere tutti i principali creditori (privati e pubblici) in un’unica sede di trattativa.

Per le imprese, specialmente PMI, questo strumento offre l’opportunità di ottenere quel sollievo sui debiti fiscali che spesso è decisivo tra il fallire e il sopravvivere. Pagare meno tasse (o pagarle diluite nel tempo) può liberare risorse cruciali per investire nel rilancio o per soddisfare altri creditori chiave. Inoltre, poter impostare un dialogo diretto con il Fisco in sede negoziale migliora la trasparenza e la fiducia reciproca: l’impresa presenta apertamente le sue carte e il Fisco può valutare con informazioni complete e aggiornate. Si abbandona la vecchia logica per cui il Fisco era un creditore “muto” che si vedeva recapitare un concordato già confezionato; ora diventa parte attiva del processo di salvataggio (se lo desidera). Ciò detto, l’impresa deve anche essere consapevole dei vincoli: servono attestazioni serie, serve probabilmente l’assistenza di professionisti esperti per predisporre la proposta, e occorre mettere sul piatto tutto quello che si può – il Fisco difficilmente accetterà transazioni se fiuta che l’imprenditore nasconde risorse o non coinvolge altri creditori in sacrifici analoghi.

Per il Fisco, questa riforma comporta una sfida e un cambio di mentalità: partecipare a negoziati informali e accettare accordi fuori dalle aule giudiziarie. Gli uffici dovranno dotarsi di procedure interne rapide (rispettare i 90 giorni, coordinarsi tra DP, DR e ADER) e valutare caso per caso convenienza e rischi. La presenza delle due relazioni asseverate è pensata proprio per aiutarli in questo compito, fornendo basi oggettive su cui fare le scelte. In prospettiva, se ben utilizzata, la transazione fiscale in comp. negoziata potrebbe portare benefici anche al Fisco: incassi maggiori e più tempestivi rispetto ai fallimenti (dove il più delle volte recupera somme esigue dopo anni), e riduzione del contenzioso (meno cause, meno interventi di cram down, meno bisogno di arrivare a ruoli inesigibili). Come sottolineato dalla dottrina, è nell’interesse dell’Erario cercare l’accordo quando l’alternativa è peggiore, evitando dinieghi “ottusi” che spingono l’azienda al fallimento con conseguenti incassi quasi nulli.

Permangono alcune criticità normative: la più rilevante è l’esclusione dei debiti contributivi dall’istituto. Ciò costringe a gestirli separatamente e potrebbe complicare alcune negoziazioni (come visto nei casi pratici). Sarebbe auspicabile un intervento correttivo futuro per includere almeno la possibilità di trattare anche i contributi INPS/NPL in modo coordinato (magari con il coinvolgimento diretto di INPS e Agenzia della Riscossione nella procedura). Altro punto migliorabile è la mancata estensione ai tributi locali: anche qui il legislatore dovrà valutare se fornire strumenti ad hoc, superando i dubbi di legittimità sollevati dalla Corte dei Conti. Infine, c’è il tema del cram down: comprensibilmente escluso per mantenere snella la comp. negoziata, ma che in casi estremi di abuso del potere di veto da parte del Fisco potrebbe frustrare i tentativi di risanamento. Su questo punto, molto dipenderà dall’atteggiamento pratico degli uffici fiscali: se la transazione in comp. negoziata verrà utilizzata con ragionevolezza, il mancato cram down non sarà un problema (perché i “no” ingiustificati saranno pochi). In caso contrario, spetterà eventualmente al legislatore rivalutare la scelta.

In conclusione, la “nuova” transazione fiscale nella composizione negoziata è uno strumento potenzialmente virtuoso, che responsabilizza sia l’imprenditore sia il Fisco in un percorso comune di risanamento. La normativa vigente (aprile 2025) fornisce un quadro sufficientemente dettagliato e garantito: vanno seguite con scrupolo le prescrizioni (coinvolgere tutti i tributi erariali, produrre le attestazioni, depositare in tribunale per il decreto) e occorre un approccio collaborativo. Se tutti gli attori – imprenditore, esperto, professionisti, Agenzie fiscali – giocano la loro parte con correttezza e competenza, la transazione fiscale può davvero fare la differenza nel salvare molte imprese dalla crisi, preservando al contempo il gettito pubblico in misura superiore a quanto avverrebbe nelle liquidazioni. Come spesso accade per le novità, i primi mesi serviranno a rodare meccanismi e prassi applicative; ma il cammino intrapreso sembra andare verso una gestione delle crisi d’impresa più moderna, flessibile e condivisa, in cui anche il “Fisco” diventa parte attiva della soluzione e non più spettatore passivo degli eventi.

Fonti

Fonti normative:

  • Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Legge Fallimentare), art. 182-ter (transazione fiscale) – [abrogato e sostituito dal CCII].
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (C.C.I.I.), D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, e successive modifiche. In particolare: art. 23 (composizione negoziata), art. 54-55 (misure protettive), art. 63 (transazione su crediti tributari e contributivi negli accordi di ristrutturazione), art. 88 (trattamento dei crediti tributari e contributivi nel concordato preventivo), art. 107 (voto nel concordato preventivo), art. 180-181 (omologazione concordato preventivo, cram down), art. 182-183 (omologazione accordi di ristrutturazione).
  • D.L. 24 agosto 2021, n. 118, conv. con modif. in L. 21 ottobre 2021, n. 147 – Introduzione della composizione negoziata e misure premiali/protettive.
  • Decreto Dirigenziale Ministero Giustizia 28 settembre 2021 (come integrato dal D.Dir. 21 marzo 2023) – Regolamento sulla piattaforma telematica e sulle modalità di conduzione della composizione negoziata (check-list, ruolo dell’esperto, etc.).
  • D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 – Secondo decreto correttivo al CCII (c.d. “Correttivo-bis”), in vigore dal 15 luglio 2022, che ha modificato tra l’altro l’art. 63 CCII (cram down fiscale negli accordi) e introdotto la percentuale del 75%→60% per accordi post-composizione.
  • D.L. 27 novembre 2020, n. 137, conv. in L. 18 dicembre 2020, n. 176 – (Decreto Ristori) – Norme che hanno introdotto l’omologazione forzosa della transazione fiscale (cram down) nelle procedure concorsuali, poi confluite nel CCII.
  • D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 – Terzo decreto correttivo al CCII (c.d. “Correttivo-ter”), in vigore dal 28 settembre 2024. Ha introdotto il comma 2-bis all’art. 23 CCII, modificato gli artt. 54, 63, 88 CCII sul trattamento dei crediti tributari e contributivi.
  • Decisione (UE, Euratom) 14 dicembre 2020, n. 2020/2053 del Consiglio UE – Identifica le risorse proprie dell’Unione Europea (incluso il prelievo dello 0,3% sul gettito IVA】.
  • D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 19 – Rateazione dei debiti tributari. (Rilevante per le soluzioni alternative come le dilazioni concesse da ADER).
  • Codice Civile, art. 1239 – Remissione del debito e coobbligati (principio applicabile ai coobbligati estranei alla transazione fiscale).

Fonti giurisprudenziali:

  • Corte Costituzionale, sent. 6 dicembre 2019, n. 245 – Ha dichiarato incostituzionale il divieto di falcidia dell’IVA nei piani del consumatore (sovraindebitamento), aprendo alla possibilità di stralciare IVA in procedure concorsuali minori.
  • Cass., Sez. Unite Civili, ord. 25 marzo 2021, n. 8504 – Ha stabilito che le controversie sul diniego di omologazione della transazione fiscale rientrano nella giurisdizione del tribunale fallimentare (giudice ordinario) e non delle commissioni tributari】.
  • Tribunale di Bergamo, decreto 21 settembre 2022 (Pres. De Simone) – Ha negato l’accesso al concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII a un debitore che non aveva tentato la transazione fiscale durante la composizione negoziata nonostante rilevanti debiti IV】.
  • Corte di Cassazione, Sez. I Civ., sent. 29 aprile 2024, n. 11039 – (es.) Ha affermato la cristallizzazione del debito tributario proposto in transazione fiscale: una volta omologato l’accordo, il Fisco non può modificare ex post l’ammontare del proprio credito (conferma della “consolidazione” del debito transatto).
  • Tribunale di Vicenza, decreto 25 marzo 2025 – Ha precisato che la durata massima delle misure protettive (12 mesi) è un limite insuperabile anche nel caso di più procedure consecutive (composizione negoziata seguita da concordato】.
  • Corte dei Conti, Sez. controllo Umbria, delib. 22 febbraio 2022 n. 64 – Parere secondo cui i comuni non possono aderire a transazioni su tributi locali in mancanza di una norma specifica, richiamando il principio di indisponibilità del gettito local】. (Rilevante per sottolineare la necessità di base legislativa per estendere l’istituto ai tributi locali.)
  • (Altre pronunce rilevanti citate nel testo: Trib. Bergamo 2022; eventuali riferimenti a provvedimenti di Cass. 2023-24 sul cram down fiscale; ord. Trib. Venezia 13/1/2025 sulle misure protettive; non riportate singolarmente per brevità.)

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Conclusione

La transazione fiscale è la chiave per salvare un’impresa indebitata col Fisco, ma richiede esperienza, preparazione e qualifiche specifiche.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere al fianco un legale riconosciuto a livello nazionale, capace di negoziare con l’Agenzia delle Entrate e l’INPS, presentare un piano serio e ottenere risultati concreti.

Qui di seguito tutti i contatti del nostro Studio Legale specializzato in transazione fiscale e crisi d’impresa:

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Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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