Quanto Dura Una Composizione Negoziata Della Crisi?

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Introduzione

La Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa è un percorso introdotto di recente nel diritto fallimentare italiano, pensato per aiutare l’imprenditore in difficoltà a risanare la propria impresa attraverso trattative assistite da un esperto indipendente, evitando se possibile le più lunghe e costose procedure concorsuali giudiziali. Questa guida fornisce un quadro dettagliato sulla durata formale di tale procedura e sulle fasi che la compongono, così come disciplinate dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche). L’obiettivo è di offrire agli imprenditori uno strumento chiaro e pratico per comprendere quanto dura una composizione negoziata, quali sono le tappe previste, i tempi di ciascuna fase, le eventuali proroghe consentite e le ipotesi di chiusura anticipata.

Pur trattandosi di una procedura stragiudiziale (cioè che in larga parte si svolge fuori dal tribunale), la composizione negoziata segue un iter definito da norme precise. Di seguito vedremo in dettaglio:

  • l’accesso alla piattaforma telematica e la presentazione dell’istanza iniziale;
  • la nomina dell’esperto indipendente e i tempi relativi;
  • la gestione delle trattative con i creditori, con il ruolo e i doveri dell’esperto;
  • le eventuali misure protettive o cautelari a tutela dell’impresa durante le trattative (cosa sono e quanto durano);
  • la chiusura del procedimento, distinguendo tra esiti positivi o negativi, inclusi i casi di proroga della durata e di interruzione anticipata;
  • alcuni esempi pratici sulle tempistiche ricavati dalla prassi applicativa di questi primi anni;
  • una serie di indicazioni operative utili per gli imprenditori che intraprendono questo percorso, per massimizzare le chances di successo nel tempo dato.

La composizione negoziata è stata progettata dal legislatore per essere un percorso rapido rispetto alle tradizionali procedure concorsuali: basti pensare che un concordato preventivo in tribunale dura in media oltre un anno e mezzo, mentre la composizione negoziata ha una durata standard di pochi mesi. Vedremo però che, in pratica, la durata effettiva può variare a seconda delle circostanze: in alcuni casi si conclude in poche settimane, in altri richiede un’estensione e può protrarsi fino a quasi un anno. Fondamentale è dunque conoscere sin dall’inizio i termini temporali di ogni fase e pianificare le mosse di conseguenza.

Accesso alla piattaforma e avvio della procedura

Il percorso della composizione negoziata inizia con l’accesso alla piattaforma telematica nazionale dedicata, gestita da Unioncamere su incarico ministeriale. Questa piattaforma è lo strumento ufficiale attraverso cui l’imprenditore presenta la propria istanza e carica i documenti richiesti. Vediamo i passi iniziali:

  • Soggetti ammessi: possono accedere alla composizione negoziata tutti gli imprenditori iscritti al Registro delle Imprese, sia in forma individuale che societaria, di qualsiasi dimensione e settore (compresi gli imprenditori agricoli). Non ci sono preclusioni di principio legate alla forma giuridica o alla grandezza dell’impresa: l’istituto è aperto anche alle cosiddette imprese minori (o “sotto-soglia”), ossia quelle non fallibili secondo i vecchi parametri della legge fallimentare. In pratica, qualunque impresa in situazione di squilibrio finanziario può valutare questo strumento per evitare l’insolvenza.
  • Condizioni e finalità: la composizione negoziata può essere attivata dall’imprenditore che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da far presagire una crisi o insolvenza, ma che ritiene ragionevolmente perseguibile il risanamento della propria azienda. Non è necessario essere già insolventi (anzi, sarebbe tardi in quel caso): lo scopo è emersione precoce della crisi e tentativo di soluzione consensuale. Prima di presentare istanza, è previsto un test pratico di autodiagnosi (disponibile sulla piattaforma) che aiuta a valutare la ragionevole perseguibilità del risanamento. Sempre sulla piattaforma si trova una check-list dettagliata con le indicazioni operative per predisporre il piano di risanamento: questi strumenti guidano l’imprenditore a capire se ha possibilità concrete di rimettere in sesto l’impresa e quali azioni dovrà considerare.
  • Documentazione richiesta: l’istanza di accesso deve essere corredata da una serie di documenti obbligatori, elencati sia nella norma (art. 17 del Codice della Crisi) sia nella piattaforma stessa. In sintesi, l’imprenditore deve preparare:
    • Gli ultimi tre bilanci d’esercizio (o, se non disponibili perché l’azienda è nuova o i bilanci non sono stati approvati, i progetti di bilancio non approvati o una situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata a non oltre 60 giorni prima dell’istanza).
    • Un elenco dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti (scaduti e a scadere) e delle eventuali garanzie reali o personali esistenti. Questo serve a mappare l’indebitamento complessivo.
    • Un piano di risanamento o progetto di risanamento, redatto sulla base della check-list fornita, accompagnato da una relazione sull’attività aziendale (in pratica una descrizione chiara e sintetica del business) con un piano finanziario a 6 mesi e l’elenco delle iniziative che si intendono adottare per il riequilibrio. NB: Per le imprese di minori dimensioni (sotto-soglia) la legge semplifica: non è obbligatorio allegare il piano di risanamento dettagliato e la relazione aziendale con piano finanziario semestrale. Ci si potrà concentrare su documenti più essenziali.
    • Una serie di dichiarazioni sostitutive: in particolare, una dichiarazione circa l’eventuale pendenza di ricorsi per l’apertura di liquidazione giudiziale (il nuovo “fallimento”) o per l’accertamento dello stato di insolvenza, e un’attestazione di non aver già presentato altre domande di procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza. In altre parole, l’imprenditore deve dichiarare di non trovarsi già coinvolto in un fallimento pendente o di non aver chiesto altre procedure concorsuali (come concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, ecc.). Questo per evitare sovrapposizioni: la composizione negoziata è uno strumento volontario alternativo, che non può essere attivato se è già in corso (o è stato appena attivato) un diverso procedimento concorsuale.
    • Alcune certificazioni debitorie rilasciate da enti pubblici: il certificato unico dei debiti tributari (rilasciato dall’Agenzia delle Entrate), la situazione debitoria verso l’agente della riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) e il certificato dei debiti contributivi e premi assicurativi (rilasciato da INPS e INAIL). Questi documenti fotografano l’ammontare dei debiti fiscali, contributivi e verso eventuali riscossori. In alternativa, se non si riesce ad ottenerli per tempo, è ammessa un’autocertificazione in cui l’imprenditore dichiara di averli richiesti almeno 10 giorni prima della presentazione dell’istanza sulla piattaforma (questa possibilità è stata introdotta per evitare ritardi nell’avvio: l’importante è aver richiesto i certificati con un po’ di anticipo).
    • Un estratto della Centrale dei Rischi Bankitalia aggiornato (non anteriore a 3 mesi dalla presentazione dell’istanza), per attestare la posizione creditizia dell’impresa verso il sistema bancario.
    Tutti questi allegati servono a dare all’esperto che verrà nominato un quadro completo della situazione economico-finanziaria e delle prospettive di risanamento. Una preparazione accurata dei documenti è essenziale per partire con il piede giusto. Operativamente, è consigliabile utilizzare la check-list ufficiale come traccia per non dimenticare nulla e svolgere il test di autovalutazione della piattaforma: se il test dovesse dare esito molto negativo sulla perseguibilità del risanamento, potrebbe essere un segnale che la composizione negoziata rischia di fallire (in tal caso valutare con i propri consulenti se sia opportuno procedere lo stesso o considerare altre strade).
  • Presentazione dell’istanza: l’istanza e i documenti vanno caricati sulla piattaforma seguendo la procedura guidata (Compila – Allega – Paga e Invia). L’imprenditore (o il suo procuratore) deve essere munito di firma digitale per sottoscrivere il tutto. È previsto il pagamento di un diritto di segreteria (circa 252 euro) e dell’imposta di bollo (16 euro) direttamente tramite la piattaforma, prima dell’invio. Una volta completato il caricamento e l’invio, la piattaforma genera la domanda che viene protocollata presso la Camera di Commercio competente. Ai fini pratici, possiamo considerare questo il giorno zero della procedura: l’istanza è formalmente presentata.
  • Verifica e comunicazione iniziale: a questo punto interviene il Segretario Generale della Camera di Commercio (dove ha sede legale l’impresa) o un suo delegato. Egli verifica subito se la domanda è completa di tutti i documenti richiesti e se non ci sono cause ostative formali. Se la domanda fosse incompleta o carente di qualcosa, il Segretario Generale invita l’imprenditore a integrarla: normalmente viene assegnato un termine (fino a 30 giorni) per presentare i documenti mancanti. È importante rispettare questo termine, altrimenti l’istanza può essere dichiarata inadmissibile o rifiutata. Infatti, il Codice (art. 17 e art. 25-quinquies CCII) prevede che se l’imprenditore non integra la documentazione obbligatoria entro il termine dato, l’istanza venga archiviata d’ufficio dal Segretario Generale. Allo stesso modo, esistono limiti di accesso: ad esempio, l’istanza non può essere presentata se l’imprenditore ha già in corso una liquidazione giudiziale (fallimento) o se ha già attivato una precedente composizione negoziata da poco tempo senza esito (la legge impedisce abusi imponendo un intervallo prima di ripresentare una nuova istanza dopo un fallito tentativo, secondo l’art. 25-quinquies). Pertanto, il Segretario verifica anche che non ricorrano queste condizioni preclusive. Se tutto è regolare, il Segretario Generale comunica immediatamente l’istanza alla commissione preposta per la nomina dell’esperto.

Tempi di questa fase iniziale: in genere l’operazione di verifica e trasmissione è molto rapida. Non appena arriva l’istanza completa, il Segretario la gira alla commissione quasi in tempo reale attraverso la piattaforma stessa. Possiamo dire che entro 1 giorno lavorativo dall’invio, la palla passa alla commissione (salvo il caso in cui servano integrazioni: lì subentrano quei max 30 giorni di attesa). Dal punto di vista dell’imprenditore, è fondamentale preparare tutto accuratamente per evitare ritardi: ogni giorno guadagnato può essere prezioso se l’azienda è in sofferenza. Un consiglio pratico è di iniziare a raccogliere i certificati fiscali e contributivi per tempo (visto che possono richiedere qualche giorno per essere emessi dagli enti competenti), in modo da non dover ricorrere all’autocertificazione e da presentare un corredo documentale robusto fin da subito.

  • Richiesta di misure protettive (facoltativa): insieme all’istanza di nomina dell’esperto, l’imprenditore può decidere di attivare le misure protettive per tutelarsi dai creditori durante le trattative (approfondiremo le misure protettive più avanti). Se intende avvalersene, deve indicarlo espressamente nell’istanza sulla piattaforma, selezionando l’apposita opzione. Da quel momento scattano alcuni passaggi aggiuntivi: il Segretario Generale, ricevuta la richiesta di misure protettive, provvede a farla pubblicare nel Registro delle Imprese (contestualmente all’accettazione dell’esperto, di cui diremo a breve). La pubblicazione è fondamentale perché segna l’inizio dell’effetto protettivo: a partire dalla data di iscrizione al registro dell’istanza di misure protettive, i creditori sono vincolati a non iniziare o proseguire azioni esecutive e astenersi da altre iniziative pregiudizievoli (come la revoca di fidi, l’escussione di garanzie, ecc.). In pratica, se si chiedono misure protettive, già dal momento in cui l’esperto viene nominato e accetta, l’impresa è temporaneamente al riparo dalle aggressioni dei creditori (vedremo i dettagli normativi nella sezione dedicata alle misure protettive). Contestualmente, se vengono chieste misure protettive, l’imprenditore dovrà anche presentare un ricorso al tribunale entro brevissimo termine (entro il giorno successivo alla pubblicazione) per ottenerne la conferma giudiziale: ma questo lo spiegheremo più avanti.

Riassumendo questa fase di avvio:

  • Giorno 0: invio dell’istanza sulla piattaforma con relativi documenti.
  • Giorno 0-1: verifica camerale immediata e trasmissione alla commissione (se tutto è completo).
  • + eventuale 30 giorni: (solo se l’istanza era incompleta) integrazione documenti da parte dell’imprenditore.
  • Richiesta misure protettive: se presente, da subito scatta la pubblicazione e si attivano gli step per convalida in tribunale (ne parleremo nella sezione ad hoc).

Una volta superati i controlli preliminari, la procedura passa alla fase successiva: la nomina dell’esperto negoziatore.

Nomina dell’esperto indipendente e tempi di accettazione

Il fulcro della composizione negoziata è la figura dell’Esperto Indipendente, un professionista terzo incaricato di aiutare le parti (imprenditore e creditori) a condurre le trattative in modo costruttivo e a individuare soluzioni per superare la crisi. La nomina dell’esperto avviene ad opera di una commissione istituita presso la Camera di Commercio del capoluogo di regione competente. Analizziamo come avviene la nomina e in quali tempistiche.

  • Commissione di selezione: Presso ciascuna Camera di Commercio capoluogo di regione è insediata una commissione composta da tre membri (un magistrato nominato dal Presidente del Tribunale del capoluogo di regione, un membro designato dalla stessa Camera di Commercio e uno designato dal Prefetto). Questa commissione resta in carica due anni ed è l’organo deputato a scegliere un esperto adatto tra coloro che sono iscritti nell’elenco nazionale degli esperti in composizione negoziata. L’elenco è formato da commercialisti, avvocati, consulenti ed altri professionisti con requisiti di esperienza in ristrutturazioni aziendali. La commissione garantisce imparzialità e professionalità nella scelta, adottando criteri di rotazione e trasparenza (si cerca di evitare che uno stesso esperto riceva troppi incarichi consecutivi e di individuare una figura che abbia le competenze adeguate per il caso specifico).
  • Termine per la nomina: dalla ricezione della comunicazione dell’istanza (da parte del Segretario Generale), la commissione ha un termine stringente per agire: entro 5 giorni lavorativi deve individuare e nominare l’esperto. Questo termine breve è stabilito dal Codice proprio per assicurare una pronta attivazione delle trattative: evitare lunghe attese che potrebbero aggravare lo stato dell’impresa. In pratica, una volta che l’istanza arriva sul tavolo della commissione, questa in genere si riunisce o comunque procede telematicamente a esaminare la candidatura di uno o più nomi dall’elenco. Spesso le commissioni camerali riescono a nominare un esperto anche in meno di 5 giorni; tuttavia il termine massimo di legge è 5 giorni lavorativi (circa una settimana). Se per ipotesi la commissione ravvisasse la necessità di approfondimenti (ad esempio per scegliere un esperto con un profilo particolare, magari consultando un’associazione di categoria per un parere non vincolante), potrebbe utilizzare qualche giorno in più, ma resta vincolata a quel limite.
  • Comunicazione all’esperto e accettazione: una volta deliberata la nomina, la commissione comunica l’incarico al professionista designato. Da questo momento decorre il tempo per l’esperto per decidere se accettare o meno l’incarico. La legge prevede che l’esperto deve comunicare la propria accettazione entro 2 giorni lavorativi dal ricevimento della nomina. Durante questo brevissimo lasso di tempo, l’esperto nominato verifica l’assenza di cause di incompatibilità o conflitto di interessi (ad esempio se ha avuto rapporti professionali con l’azienda o con creditori che possano comprometterne l’indipendenza) e valuta in generale la propria disponibilità in termini di tempo e competenze. L’esperto infatti deve dichiarare la propria indipendenza e adeguatezza rispetto al caso: se ritiene di non poter essere imparziale o di non avere competenze sufficienti, è tenuto a non accettare. In tal caso, la commissione provvederà a nominare un altro esperto in sostituzione, sempre nel più breve tempo possibile. Se invece l’esperto ritiene di poter svolgere l’incarico, comunica formalmente l’accettazione (anch’essa tramite la piattaforma o via PEC). Dettaglio operativo: non appena l’esperto accetta, dovrà inserire sulla piattaforma una dichiarazione di accettazione dove attesta la propria indipendenza e l’assenza di conflitti, come richiesto dall’art. 17. Da questo momento, l’esperto designato è a tutti gli effetti incaricato e inizia il suo mandato.
  • Decorrenza dell’incarico: la data di accettazione da parte dell’esperto è molto importante perché segna l’inizio ufficiale della procedura di composizione negoziata e fa scattare il conteggio dei termini di durata. Infatti, da quel giorno decorrono i 180 giorni (6 mesi) previsti come durata standard dell’incarico dell’esperto. Possiamo chiamare questo giorno T0 per l’esperto. Per esempio, se la commissione nomina l’esperto il 10 del mese e questi accetta il 12, il 12 è il giorno di decorrenza della composizione negoziata (giorno in cui inizia a contare il termine di 180 giorni).
  • Pubblicità e misure protettive: contestualmente all’accettazione dell’incarico, la Camera di Commercio procede a registrare nel Registro delle Imprese sia la notizia dell’avvenuta nomina e accettazione dell’esperto, sia (se era stata richiesta) l’istanza di misure protettive. Questa pubblicazione, come accennato, ha l’effetto di dare visibilità ai terzi che l’impresa è in composizione negoziata e, nel caso, che sono attive misure protettive sul suo patrimonio. Da sottolineare che fino a questo momento tutto il procedimento è riservato e non coinvolge i creditori: questi ultimi verranno a conoscenza della situazione o tramite la pubblicazione (se la vanno a consultare, ad esempio le banche spesso monitorano) o perché saranno contattati dall’esperto nelle fasi successive.
  • Primi adempimenti dell’esperto: una volta accettato l’incarico, l’esperto riceve accesso alla piattaforma dove trova tutti i documenti caricati dall’imprenditore. Il primo compito sarà esaminarli attentamente per comprendere lo stato dell’azienda. Entro pochi giorni dall’accettazione (spesso entro una settimana o meno) l’esperto inizia a interagire con l’imprenditore: in genere lo convoca per un primo incontro preliminare. Non vi è un termine per legge per questa convocazione, ma per prassi gli esperti fissano il primo appuntamento il prima possibile, data la ristrettezza dei tempi totali. All’incontro iniziale, di solito l’esperto si confronta con l’imprenditore (e i suoi consulenti) per approfondire la situazione, chiedere eventuali chiarimenti sui documenti e valutare se esistano effettivamente concrete prospettive di risanamento. Questo momento è cruciale: l’esperto infatti deve formarsi un’opinione sulla fattibilità di un salvataggio e sull’utilità di proseguire con le trattative. Se già a questo stadio emergesse chiaramente che l’impresa è irrimediabilmente compromessa (ad esempio, debiti fuori controllo senza alcuna ipotesi realistica di rientro, o attività cessata), l’esperto potrebbe decidere di non proseguire le trattative. Su questo punto torneremo parlando delle cause di chiusura anticipata.

Tempistiche sintetiche di questa fase di nomina:

  • Entro 5 giorni lavorativi dalla domanda: nomina dell’esperto da parte della commissione.
  • Entro 2 giorni lavorativi dalla nomina: accettazione da parte dell’esperto.
  • Decorrenza incarico: giorno dell’accettazione = inizio conteggio 180 giorni.
  • Pubblicazione immediata sul Registro delle Imprese di nomina (ed eventuali misure protettive).
  • Incontri iniziali: di prassi entro 5-10 giorni dall’accettazione l’esperto incontra l’imprenditore.

Facciamo un esempio pratico: se l’impresa Alfa presenta istanza il 1° marzo e la documentazione è completa, la commissione nomina l’esperto entro il 8 marzo; l’esperto accetta il 10 marzo. Dal 10 marzo decorre il semestre di composizione negoziata (fine naturale sarebbe il 10 settembre, salvo proroghe). L’esperto convoca l’imprenditore magari per il 15 marzo per discutere il da farsi. In meno di due settimane dall’istanza, l’azienda Alfa è operativamente dentro il percorso con un esperto al lavoro.

Svolgimento delle trattative e ruolo dell’esperto

Con la nomina e l’accettazione dell’esperto inizia la fase centrale della composizione negoziata: le trattative tra l’imprenditore e i suoi creditori (ed eventualmente altri soggetti interessati, come soci o potenziali investitori), finalizzate a individuare una soluzione per superare la crisi. Questa fase è il cuore dell’intero procedimento e, se vogliamo rispondere alla domanda “quanto dura una composizione negoziata?”, dobbiamo guardare proprio ai 180 giorni di durata dell’incarico dell’esperto, nei quali devono svolgersi le negoziazioni. Vediamo come si articola questa fase, quali incontri prevede, quali doveri hanno le parti e in che circostanze può essere abbreviata o, viceversa, estesa.

  • Valutazione iniziale e piano di azione: come detto, l’esperto effettua subito un’analisi preliminare dell’azienda e del piano di risanamento proposto dall’imprenditore. Se ritiene che ci siano concrete prospettive di risanamento, procede ad avviare le trattative vere e proprie. In caso contrario (assenza di prospettive), può decidere di far terminare anticipatamente la procedura – torneremo tra poco su questa eventualità. Supponendo che vi siano chance di successo, l’esperto concorda con l’imprenditore una sorta di strategia negoziale: identifica i principali creditori o stakeholder con cui sarà necessario interloquire e individua le possibili soluzioni da prospettare (ad esempio: accordi di ristrutturazione del debito, dilazioni, aumenti di capitale, conversione di crediti in quote, cessioni di rami d’azienda, ecc., a seconda dei casi).
  • Convocazione delle parti e incontri periodici: l’esperto organizza quindi un primo incontro ufficiale con le parti interessate, in primis i creditori rilevanti. Normalmente invita al tavolo i rappresentanti dei principali creditori finanziari (es. banche), eventuali fornitori strategici, l’imprenditore stesso (che deve partecipare personalmente) e i suoi consulenti. Può essere presente anche qualche stakeholder importante come soci o garanti se utili alla discussione. In questa riunione iniziale, l’esperto si presenta e spiega il percorso, illustra sinteticamente la situazione aziendale e soprattutto ascolta le parti: prospetta le possibili strategie di intervento per il risanamento e verifica la disponibilità dei creditori a negoziare. È un momento delicato, perché spesso i creditori colgono l’occasione per chiarire le proprie posizioni e talvolta manifestano già condizioni o perplessità. L’esperto cerca di creare un clima collaborativo e di mediare tra le esigenze di tutti. Dopo il primo incontro, l’esperto redige un calendario di successivi meeting a cadenza ravvicinata. Le linee guida operative suggeriscono di tenere incontri periodici (ad esempio ogni 2-3 settimane, se non addirittura settimanali in certe situazioni) per dare continuità alle trattative. Lo scopo è rispettare il termine di 180 giorni complessivi: il tempo vola, dunque l’esperto deve tenere il ritmo alto, evitando lunghe pause. Ad ogni incontro si verifica lo stato di avanzamento: si valutano proposte, controproposte, si coinvolgono altri creditori se necessario, si negoziano possibili intese. A seconda del caso concreto, possono crearsi tavoli separati per gruppi di creditori (ad esempio le banche a parte, i fornitori in un altro incontro) oppure condurre trattative bilaterali riservate con singoli creditori chiave.
  • Ruolo e poteri dell’esperto: l’esperto non ha poteri dispositivi sugli asset dell’impresa (l’imprenditore rimane in carica e mantiene la gestione ordinaria e straordinaria) ma ha un ruolo di facilitatore e vigile super partes. I suoi compiti includono:
    • Mediazione e impulso: agevola la comunicazione tra l’imprenditore e i creditori, cercando punti di incontro. Può formulare egli stesso proposte o soluzioni alternative, forte della sua esperienza neutrale. Spesso l’esperto individua scenari di accordo che le parti, da sole, non avevano considerato. Il suo fine è condurre a un esito vantaggioso per l’impresa (risanamento) senza ledere i diritti dei creditori oltre quanto questi possano accettare consensualmente.
    • Verifica della condotta delle parti: l’esperto deve assicurarsi che sia l’imprenditore sia i creditori si comportino in maniera corretta e in buona fede. Ad esempio, deve vigilare che l’imprenditore non compia atti pregiudizievoli per i creditori durante le trattative (come distrarre beni, preferire arbitrariamente qualche creditore a discapito di altri, aggravare il dissesto). Parimenti, osserva la condotta dei creditori – in particolare delle banche – affinché non attuino ritorsioni o ostruzionismi ingiustificati (la normativa, infatti, impone ai creditori finanziari di collaborare lealmente alle trattative e addirittura scoraggia le banche dal revocare fidi solo per il fatto che l’impresa ha attivato la composizione negoziata).
    • Richiesta di informazioni: l’esperto ha facoltà di chiedere all’imprenditore tutte le informazioni utili e di accedere alla contabilità e ai dati aziendali per comprendere a fondo la situazione. Può anche interpellare i creditori stessi per chiarimenti sui crediti vantati o su eventuali proposte.
    • Ausiliari specializzati: se necessario, l’esperto può avvalersi di figure specializzate per coadiuvarlo, con il consenso dell’imprenditore. Ad esempio, potrebbe coinvolgere un tecnico del settore dell’impresa per valutazioni specifiche, oppure un professionista con competenze attuariali, o un revisore legale che lo aiuti a vagliare i dati finanziari. Tutto questo per assicurare che la trattativa e le soluzioni proposte siano realistiche. Inoltre, in alcuni casi, se lo ritiene opportuno, l’esperto può suggerire alle parti di nominare un CRO (Chief Restructuring Officer), figura indipendente che, d’accordo tra le parti e suddividendone i costi, assista l’impresa nella fase di esecuzione del piano di risanamento. È un’opzione utile soprattutto se si raggiunge un accordo complesso da implementare: il CRO monitorerà che le azioni previste si realizzino come stabilito.
    • Obblighi di segnalazione: qualora l’esperto rilevi comportamenti anomali, ha dei compiti di segnalazione. Verso l’imprenditore: se quest’ultimo compie (o sta per compiere) un atto potenzialmente pregiudizievole per i creditori, l’esperto deve segnalarlo immediatamente sia all’imprenditore stesso che agli organi di controllo interni dell’impresa (es. collegio sindacale). Se l’imprenditore persiste nell’intenzione di fare quell’atto, l’esperto ha un potere incisivo: può iscrivere il proprio dissenso nel Registro delle Imprese entro 10 giorni. Questa pubblica annotazione serve a tutelare i creditori informandoli che quell’atto non è condiviso dall’esperto e potrebbe essere lesivo. Inoltre, se erano state ottenute misure protettive dal tribunale, l’esperto segnala la circostanza al giudice, il quale potrebbe decidere di revocare o abbreviare tali misure (una sorta di sanzione per l’imprenditore che si muove scorrettamente).
    D’altro canto, anche i creditori finanziari hanno obblighi: ad esempio, come accennato, la legge (art. 18 Codice della Crisi) vieta alle banche di revocare o ridurre ad capriccio gli affidamenti concessi al solo motivo dell’avvio della composizione negoziata o di pregresse tensioni finanziarie. In sostanza si vuole evitare che l’accesso alla procedura – che dovrebbe aiutare l’impresa – si traduca paradossalmente in un aggravamento della crisi (per es. banche che chiudono i rubinetti del credito appena sanno del tentativo di risanamento). Nella prassi, i tribunali hanno avuto modo di intervenire su questo punto: ad esempio, il Tribunale di Modena (decreto del 22 giugno 2024) ha confermato che le misure protettive impediscono alle banche di revocare affidamenti per vecchi inadempimenti e, in un caso di specie, ha persino ordinato la riattivazione di linee di credito sospese da una banca, ritenendo che tale provvedimento cautelare fosse necessario per assicurare il buon esito delle trattative in corso, visto che il piano dell’impresa non appariva manifestamente implausibile. Questo esempio conferma come l’esperto e il tribunale possano lavorare in tandem per garantire che tutti giochino pulito durante la negoziazione.
  • Svolgimento delle trattative: durante i 180 giorni l’esperto conduce dunque una serie di incontri e negoziazioni. L’obiettivo concreto è di far convergere le parti su una soluzione di risanamento. A seconda dei casi, le possibili soluzioni possono essere:
    • Un contratto con uno o più creditori (ad esempio un accordo stragiudiziale in cui una banca concede una moratoria o una dilazione, oppure un fornitore accetta un piano di rientro del credito).
    • Un accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dallo stesso esperto (previsto dall’art. 23, comma 1, lettera c) del Codice) che ha un valore particolare: è una sorta di attestazione congiunta che il risanamento è possibile, utile poi se si vuole ottenere agevolazioni o efficacia esecutiva.
    • Un piano di risanamento attestato (ai sensi dell’art. 56 CCII) cioè un piano asseverato da un professionista indipendente che resta però privato.
    • Una convenzione di moratoria ex art. 62 CCII (accordo con determinate categorie di creditori per sospendere temporaneamente le azioni).
    • Una domanda di omologazione di accordo di ristrutturazione dei debiti (ex art. 23, comma 2, lett. b, richiamando l’art. 57 CCII e seguenti), se durante la composizione si raggiunge l’intesa per un accordo di ristrutturazione ex art.182-bis legge fall. (oggi nel Codice della Crisi) e si vuole farlo omologare dal tribunale.
    In sostanza, la composizione negoziata è un contenitore in cui le parti hanno ampia autonomia negoziale per cucirsi addosso la soluzione più idonea, con l’aiuto dell’esperto. Non ci sono schemi rigidi: l’importante è l’obiettivo del risanamento. Durante queste trattative, la gestione dell’impresa resta nelle mani dell’imprenditore: egli può continuare la gestione ordinaria e straordinaria senza necessità di autorizzazioni (salvo quelle che vedremo in tema di atti straordinari sotto misure protettive). L’imprenditore può anche compiere pagamenti spontanei ai creditori durante la procedura, se lo ritiene opportuno e utile per il risanamento (pagare fornitori strategici, versare rate di mutui in corso, ecc.); ciò è consentito e anzi spesso auspicabile purché avvenga in modo da non pregiudicare ingiustamente gli interessi degli altri creditori. Pagare alcuni fornitori e lasciare indietro altri potrebbe essere problematico: serve equilibrio e trasparenza. L’esperto supervisiona anche questo, segnalando eventuali pagamenti incoerenti con il piano o lesivi per taluni creditori.
  • Aggiornamento continuo sulla funzionalità del piano: l’esperto deve costantemente valutare lo stato delle trattative rispetto all’obiettivo finale: il risanamento dell’impresa. Se a un certo punto rileva che le trattative stanno diventando inutili – ad esempio perché le posizioni sono inconciliabili, o perché emergono nuovi problemi (magari un grosso debito imprevisto) – deve prendere atto della situazione e trarne le conseguenze. Viceversa, se il negoziato procede, l’esperto favorisce ulteriormente l’avvicinamento delle parti.
  • Durata standard della fase negoziale: come più volte menzionato, l’incarico dell’esperto (e quindi il tempo a disposizione per completare le trattative) è di 180 giorni dall’accettazione. Questo è il termine iniziale stabilito dall’art. 17 del Codice. Dunque circa 6 mesi di tempo. Non si tratta però necessariamente di un periodo che verrà sempre utilizzato per intero: se la soluzione si trova prima, non c’è obbligo di “consumare” tutti i giorni disponibili. Al contrario, se appare necessario più tempo, la legge – in presenza di certe condizioni – consente una proroga oltre i 180 giorni, come vedremo in dettaglio nel prossimo capitolo.
  • Casi di chiusura anticipata: è importante notare che non è affatto detto che la composizione negoziata duri effettivamente 180 giorni. Vi sono situazioni in cui la procedura può chiudersi prima del termine naturale:
    • Assenza di prospettive di risanamento: se sin dai primi incontri l’esperto valuta e constata che non esistono concrete possibilità di risanare l’impresa, egli può porre fine anticipatamente alla composizione. Il Codice prevede espressamente questa eventualità (art. 17, comma 5 CCII): l’esperto redige una breve relazione conclusiva in cui dichiara l’assenza di prospettive e archivia la procedura. Ciò può avvenire anche dopo solo uno o due incontri. In pratica, entro le prime settimane, l’esperto tira il freno se capisce che l’impresa è destinata all’insolvenza senza rimedi (ad esempio, se la situazione è così grave che nessun creditore sarebbe disposto a trattare se non in una procedura concorsuale, o se nel frattempo emergono fatti tali da rendere inutile proseguire). Dalla prassi finora, risulta che una percentuale significativa di composizioni negoziate si chiude anticipatamente per questo motivo: secondo dati Unioncamere, circa il 36% dei casi con esito negativo della composizione sono dovuti proprio a mancanza di prospettive di risanamento rilevata dall’esperto sin dall’inizio. Quindi non è una circostanza rara.
    • Ritirata dell’imprenditore o mancata collaborazione: un altro caso di chiusura anticipata è quando l’imprenditore stesso rinuncia a proseguire o non partecipa attivamente. Può capitare, ad esempio, che l’imprenditore cambi idea e decida di interrompere il tentativo (magari perché nel frattempo opta per un’altra soluzione, oppure perché si rende conto di non poter soddisfare le richieste dei creditori). Oppure può succedere che non si presenti agli incontri convocati dall’esperto, vanificando il processo. In queste ipotesi, l’esperto ne prende atto e dichiara concluso anzitempo l’incarico, segnalando la rinuncia o la non collaborazione dell’imprenditore. Anche questi casi sono emersi: sempre dai dati statistici, circa il 13% degli esiti negativi è dovuto alla rinuncia o mancata comparizione dell’imprenditore. Dunque è fondamentale che chi avvia la composizione negoziata sia realmente motivato a seguirla, altrimenti il percorso si chiuderà in un nulla di fatto in poco tempo.
    • Accordo raggiunto anticipatamente: vi è anche il lato positivo della medaglia: la composizione potrebbe concludersi con successo prima dei 180 giorni se le parti trovano rapidamente un accordo. Ad esempio, se l’impresa ha pochi creditori e di buon senso, è possibile che in uno-due mesi si arrivi a sottoscrivere un contratto di ristrutturazione del debito o un accordo con tutti i creditori. In tal caso, una volta formalizzata la soluzione (accordo firmato, piano attuabile avviato), l’esperto redige la relazione finale e si chiude la procedura senza attendere oltre. Non è necessario occupare tutto il semestre se l’obiettivo è stato centrato prima.
  • Monitoraggio continuo delle tempistiche: l’esperto deve tenere presente il calendario: quei 180 giorni passano in fretta. Una buona prassi è che all’incirca a metà percorso (dopo 2-3 mesi) l’esperto faccia un punto di situazione con l’imprenditore: valutare quanto si è vicini a un accordo, cosa manca e se i tempi saranno sufficienti. Se verso il quarto-quinto mese si intravede la possibilità concreta di chiudere un accordo ma occorre più tempo, allora si inizierà a pensare alla proroga del termine (argomento che trattiamo nella sezione seguente). Se invece ci si rende conto che non si arriverà a nulla, si preparerà la chiusura alla scadenza naturale (o prima, se tutto stagnasse).

In sintesi, lo svolgimento delle trattative è un periodo fino a 6 mesi di intensa attività negoziale sotto la guida di un esperto. La durata effettiva dipende molto dalla situazione dell’impresa e dalla volontà delle parti: in situazioni relativamente semplici, o quando c’è buona predisposizione dei creditori, la soluzione può emergere in tempi brevi; in situazioni complesse con molti attori in gioco, può volerci tutto il tempo disponibile e magari anche non bastare senza una proroga.

Nei prossimi paragrafi vedremo più in dettaglio due aspetti fondamentali legati al fattore tempo in questa fase: le misure protettive (che accompagnano la procedura e hanno proprie scadenze) e le proroghe dell’incarico oltre i 180 giorni.

Misure protettive e cautelari: funzione e durata

Durante la composizione negoziata l’impresa può operare protetta da una sorta di “scudo” temporaneo nei confronti dei creditori, grazie alle misure protettive previste dagli articoli 18 e 19 del Codice della Crisi. Si tratta di un elemento procedurale importante, benché eventuale (le misure protettive sono attivate solo se l’imprenditore ne fa richiesta, altrimenti la procedura resta interamente stragiudiziale e i creditori possono teoricamente agire liberamente). Approfondiamo di cosa si tratta, quanto durano queste misure e come si coordinano con la durata della composizione negoziata.

  • Cosa sono le misure protettive: in sostanza, sono un insieme di divieti posti a carico dei creditori allo scopo di congelare la situazione debitoria dell’impresa mentre si svolgono le trattative. In particolare, dalla data di pubblicazione dell’istanza di composizione e misure protettive nel Registro delle Imprese:
    • I creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio dell’imprenditore. Ciò significa, ad esempio, che non possono pignorare beni, né portare avanti pignoramenti già in corso (vengono sospesi), e non possono iscrivere sequestri o altre misure cautelari.
    • I creditori non possono acquisire privilegi o ipoteche su beni dell’imprenditore, se non sono stati concordati con lui. Questo impedisce il cosiddetto assalto alla diligenza: tipicamente, quando si diffonde la notizia della difficoltà di un debitore, i creditori più rapaci cercano di tutelarsi magari iscrivendo ipoteca giudiziale dopo un decreto ingiuntivo o facendo azioni simili. Le misure protettive bloccano queste iniziative.
    • Sono inibite le azioni di revoca degli affidamenti bancari per fidi già concessi, nonché altre forme di autotutela contrattuale motivate dall’inadempimento dell’imprenditore. In pratica, una banca non può revocare immediatamente gli affidamenti solo perché l’azienda ha attivato la composizione negoziata o è in ritardo su pagamenti pregressi. Questo specifico divieto, introdotto nella normativa, mira a mantenere le linee di credito vitali attive durante il negoziato (come visto anche grazie all’interpretazione data da alcuni tribunali, che in casi estremi hanno ordinato la riattivazione di fidi sospesi).
    Va precisato che le misure protettive non impediscono all’imprenditore di pagare spontaneamente i creditori, né di proseguire i rapporti contrattuali in essere. Servono solo a impedire ai creditori di agire unilateralmente per migliorare la propria posizione a scapito degli altri o per aggredire il patrimonio aziendale mentre è in corso il tentativo di risanamento.
  • Come si attivano e ruolo del tribunale: le misure protettive non scattano automaticamente con la composizione negoziata, ma su richiesta. L’imprenditore deve richiederle esplicitamente nell’istanza iniziale (o anche successivamente, se cambia idea: il Codice consente di presentare l’istanza di misure protettive anche in un secondo momento, tramite la piattaforma). Appena l’esperto accetta l’incarico, l’istanza di misure protettive viene pubblicata nel Registro delle Imprese: da quel momento i divieti verso i creditori hanno effetto (tecnicamente siamo in una sorta di protezione provvisoria). Tuttavia, perché tali misure restino in vigore oltre i primi giorni, serve la conferma da parte del Tribunale competente. La procedura è la seguente:
    • L’imprenditore, entro il giorno successivo alla pubblicazione dell’istanza (quindi sostanzialmente immediatamente dopo la nomina dell’esperto), deve depositare un ricorso al Tribunale del luogo dove ha sede l’impresa, chiedendo la conferma delle misure protettive (e l’eventuale adozione di specifici provvedimenti cautelari necessari).
    • Il Tribunale, ricevuto il ricorso, fissa subito un’udienza (il Codice dice entro 10 giorni dal deposito del ricorso) da tenersi preferibilmente in videoconferenza, per ascoltare l’imprenditore e valutare la situazione. I creditori maggiori vengono informati e possono costituirsi per eventualmente contestare la concessione delle misure se ne hanno motivo.
    • All’udienza, o subito dopo, il Tribunale decide con decreto se confermare, modificare o revocare le misure protettive inizialmente ottenute. In pratica, nella gran parte dei casi se il piano appare serio e le trattative sono in corso, il giudice conferma la protezione ai creditori, magari circoscrivendola meglio.
    Nel decidere, il Tribunale verifica alcuni requisiti: ad esempio che l’impresa non sia manifestamente insolvente (se fosse già chiaramente fallita, non avrebbe senso proteggerla oltre), che ci sia la prospettiva di un risanamento non implausibile, e che le misure chieste siano effettivamente funzionali al buon esito delle trattative. Se queste condizioni ci sono, le misure vengono confermate.
  • Durata delle misure protettive: il Tribunale nel decreto di conferma stabilisce la durata delle misure protettive concesse. La legge fissa dei limiti precisi:
    • Le misure protettive possono durare inizialmente non meno di 30 giorni e non più di 120 giorni. Quindi il giudice solitamente concede da 1 a 4 mesi di protezione.
    • È prevista la possibilità di proroga oltre i 120 giorni, ma attenzione: la durata complessiva delle misure non può superare i 240 giorni (circa 8 mesi) in totale, tenendo conto anche del periodo iniziale. Dunque si può ottenere un’estensione, ma comunque massimo fino a 8 mesi dal giorno in cui sono partite.
    • La proroga delle misure protettive (entro il limite dei 240 giorni) deve essere richiesta con un nuovo ricorso, sentite le parti, ed è concessa dal Tribunale se risulta necessaria ad assicurare il buon esito delle trattative. In altre parole, se a due-tre mesi dall’inizio delle trattative queste sono ancora in corso e promettenti, e servono altre protezioni perché l’impresa non venga aggredita nel frattempo, il giudice può estendere la validità delle misure per il tempo ritenuto necessario (fino al tetto massimo). Qui spesso viene acquisito anche il parere dell’esperto: se l’esperto riferisce che le trattative sono a buon punto ma occorre ancora un po’ di tempo, il tribunale è portato a prolungare la protezione. Viceversa, se l’esperto segnalasse che in realtà non c’è più molto da fare, difficilmente si prorogherebbero le misure.
    • Interazione con la durata della composizione: notiamo un aspetto: la composizione negoziata dura 6 mesi (180 gg) estensibili a 12 mesi, mentre le misure protettive al massimo 8 mesi. Ci può quindi essere un certo disallineamento. In particolare, se la composizione viene prorogata oltre gli 8 mesi iniziali, le misure protettive non potranno coprire l’intera durata dell’incarico dell’esperto (a meno che il risanamento non si chiuda prima). Questo significa che, qualora si arrivi a protrarre la composizione per un anno, dopo il 240° giorno l’impresa non avrà più quello scudo: i creditori potrebbero, in teoria, riprendere le azioni esecutive. È una circostanza che sinora è stata rara, anche perché la maggior parte delle composizioni negoziate si conclude (positivamente o negativamente) entro 8-10 mesi; ma è bene tenerla presente. In ogni caso, la legge (come modificata dal correttivo del 2024) ha previsto che se la composizione negoziata è prorogata perché pendono misure protettive o cautelari, l’incarico dell’esperto può continuare finché queste misure sono attive: quindi la presenza di misure protettive giustifica la proroga dell’incarico, ma non l’ulteriore estensione delle misure oltre i 240 giorni.
  • Provvedimenti cautelari del tribunale: insieme alle misure protettive (che hanno portata generale), l’imprenditore può chiedere al Tribunale l’emissione di specifici provvedimenti cautelari ritenuti necessari per condurre a termine le trattative. Qualche esempio:
    • Autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili (ossia che verranno rimborsati con precedenza in caso di fallimento): se l’impresa ha bisogno di liquidità urgente durante le trattative, può chiedere al giudice di autorizzare un nuovo finanziamento, garantendo al finanziatore che sarà rimborsato in prededuzione (questo serve a incentivare finanziamenti ponte).
    • Autorizzazione a trasferire l’azienda o rami d’azienda senza dover passare da procedure competitive: se parte del piano di risanamento prevede la cessione dell’azienda (o di un ramo) a un certo acquirente, il tribunale può autorizzarla già durante la composizione negoziata, assicurando che ciò avvenga a condizioni eque e senza pregiudicare i creditori.
    • Sospensione di determinati contratti o operazioni che potrebbero far fallire le trattative (ad esempio, il tribunale può ordinare di sospendere la risoluzione di un contratto essenziale da parte di una controparte).
    • Come visto nell’esempio del Tribunale di Modena, un provvedimento cautelare atipico potrebbe essere ordinare a una banca di mantenere operativa una linea di credito che altrimenti verrebbe revocata, quando ciò è cruciale per tenere in vita l’impresa durante le negoziazioni.
    Questi provvedimenti sono “tagliati su misura” a seconda delle esigenze del caso. La loro efficacia e durata sono generalmente correlate a quelle delle misure protettive: spesso vengono concessi per lo stesso periodo, estendibili in parallelo se le misure protettive vengono prorogate. Se l’imprenditore abusa di tali autorizzazioni o la situazione degenera, il tribunale può revocarli in qualsiasi momento.
  • Revoca delle misure protettive: le misure protettive non sono irrevocabili: il tribunale può disporne la revoca anticipata se emergono circostanze che ne avrebbero impedito la concessione o se l’imprenditore ne abusa. Un tipico caso, menzionato prima, è quando l’esperto segnala che l’imprenditore ha compiuto atti in frode (ad esempio, ha sottratto beni, o ha favorito un creditore violando la par condicio). In tal caso, il giudice può revocare subito le misure, togliendo all’imprenditore il beneficio della protezione. Inoltre, se l’imprenditore rinuncia alla composizione negoziata o se questa viene comunque chiusa, le misure protettive decadono immediatamente (il tribunale ne dichiara la cessazione).

Rapporto con la durata complessiva: per rispondere alla domanda iniziale sul “quanto dura” la composizione negoziata, dobbiamo includere anche la durata delle misure protettive nel quadro temporale:

  • Se l’imprenditore non richiede misure protettive, la procedura rimane interamente stragiudiziale e non vi sono termini di tribunale da considerare: i 180 giorni decorrono “puliti” e l’esperto e l’imprenditore gestiscono la trattativa liberamente (benché, ovviamente, senza protezione i creditori potrebbero agire, il che potrebbe di fatto mettere fine prematuramente al tentativo se qualcuno dovesse, ad esempio, pignorare i conti aziendali).
  • Se invece le misure protettive sono attivate, allora si creano due binari temporali paralleli:
    1. Il binario negoziale (180 giorni rinnovabili dell’esperto).
    2. Il binario protettivo (30-120 giorni rinnovabili fino a 240 della protezione).
    Di solito il tribunale, se conferma le misure, tende a dare un termine coerente con la prima fase delle trattative (es. 60 o 90 giorni). Se entro quel termine si raggiunge un accordo, bene; altrimenti l’imprenditore chiederà un prolungamento sia dell’incarico (se servisse oltre 180 gg) sia delle misure (fino al max). Nella prassi, la maggior parte delle composizioni negoziate che arrivano a buon fine hanno goduto delle misure protettive per quasi tutta la durata: ad esempio, molte imprese ottengono 3-4 mesi di protezione iniziale e poi una proroga di altri 2-3 mesi, arrivando a 6-7 mesi di scudo su 10-12 mesi di trattative.

Riassumendo i tempi sulle misure protettive:

  • Attivazione immediata alla pubblicazione (giorno dell’accettazione dell’esperto).
  • Conferma tribunale: entro ~10 giorni dall’istanza (udienza e decreto).
  • Durata iniziale: decisa dal giudice, es. 60-90 giorni tipicamente (min 30, max 120).
  • Proroga: possibile per ulteriore periodo, fino a un totale cumulo di 240 giorni (8 mesi) dall’inizio.
  • Cessazione: al raggiungimento del termine fissato (se non prorogato), o anticipata se revocata, o al momento della chiusura della composizione (se avviene prima).
  • Impatto sul termine di 180 giorni dell’esperto: se sono in corso misure protettive o autorizzazioni quando si arriva vicino alla scadenza dei 180 giorni, ciò costituisce uno dei motivi per cui si può chiedere la proroga dell’incarico dell’esperto (come esplicitato dal D.Lgs. 136/2024: la pendenza di misure protettive/cautelari giustifica la prosecuzione oltre i 180 giorni, previo consenso dell’esperto).

In definitiva, le misure protettive offrono un periodo di “sospensione” delle aggressioni dei creditori che può coprire buona parte della composizione negoziata, ma non oltrepassa comunque gli 8 mesi. L’imprenditore deve sfruttare questo intervallo per lavorare al risanamento; finita la protezione, se non ha risolto, i creditori potranno inevitabilmente farsi avanti (salvo che nel frattempo non si attivi un’altra procedura come vedremo, ad esempio un concordato preventivo o semplificato).

È cruciale dunque sincronizzare bene i due orologi: quello negoziale e quello delle misure protettive. Proprio per questo esaminiamo ora come funziona la proroga della durata della composizione negoziata e in quali casi è ammessa.

Durata della composizione negoziata: proroga oltre 180 giorni

Il termine di 180 giorni (sei mesi) per la composizione negoziata non è insuperabile: la legge consente, in casi tassativi, di prorogare la durata dell’incarico dell’esperto, estendendo così il tempo a disposizione per le trattative. Questa proroga è stata pensata per situazioni in cui un accordo è a portata di mano ma servono alcune settimane o mesi in più, oppure quando vi sono ragioni oggettive che impediscono di concludere entro il semestre. È importante conoscere quando e come può scattare la proroga, anche perché ciò incide direttamente sulla durata massima della composizione negoziata, che in caso di proroga può arrivare complessivamente a 360 giorni (circa dodici mesi).

  • Durata massima iniziale e conclusione standard: ricordiamo anzitutto la regola base: se trascorsi 180 giorni dall’accettazione della nomina le parti non hanno individuato una soluzione per il superamento della crisi, l’incarico si considera concluso. L’esperto, decorso quel termine, dovrebbe chiudere la procedura, redigendo la sua relazione finale. Questo è il punto di default se nulla interviene.
  • Condizioni per la proroga: il Codice della Crisi (art. 17, comma 7 CCII, come modificato dal D.Lgs. 83/2022 e da ultimo dal D.Lgs. 136/2024) prevede però che l’incarico può proseguire oltre i 180 giorni, per non oltre ulteriori 180 giorni, al ricorrere di determinate condizioni. Vediamole nel dettaglio, aggiornate alle modifiche più recenti:
    1. Richiesta delle parti in trattativa o dell’imprenditore: la proroga può essere concessa su richiesta dell’imprenditore oppure delle parti con le quali sono in corso le trattative, con il consenso dell’esperto. In pratica, se vicino alla scadenza tutte (o anche solo alcune) delle parti coinvolte concordano che serve più tempo – ad esempio perché si è in attesa di un via libera creditizio, o perché i dettagli di un accordo sono stati definiti ma serve l’approvazione formale degli organi di credito – allora si può chiedere di prorogare. Questa previsione è stata resa più flessibile nel 2024: prima si richiedeva l’accordo di tutte le parti, ora è sufficiente che lo chieda l’imprenditore o alcuni creditori interessati, purché l’esperto sia d’accordo. Ciò evita che un singolo soggetto dissenziente possa bloccare la proroga.
    2. Pendenza di un ricorso per misure protettive o autorizzazioni ex art. 19 e 22: se al sopraggiungere del 180° giorno è ancora pendente un procedimento davanti al Tribunale relativo alle misure protettive (ad esempio, si è in attesa della decisione su una proroga delle misure) o relativo a un’autorizzazione ex art. 22 (per es., l’autorizzazione a un finanziamento non è stata ancora deliberata dal giudice), allora l’incarico dell’esperto può proseguire finché quel procedimento non si conclude.Continuazione di: Durata della composizione negoziata: proroga oltre 180 giorni

… (continua)

  1. Misure protettive o autorizzazioni pendenti: se sono ancora in corso misure protettive o cautelari concesse dal Tribunale, oppure c’è necessità di attuare un provvedimento autorizzativo già concesso (per esempio, è stata autorizzata la vendita di un ramo d’azienda e l’operazione è in via di esecuzione), l’esperto può proseguire l’incarico oltre i 180 giorni. Questa ipotesi è stata esplicitamente confermata dal correttivo del 2024: riconosce che, finché c’è una protezione giudiziale in atto o un’operazione autorizzata in corso, ha senso che la composizione negoziata rimanga aperta, in attesa che se ne completino gli effetti ai fini del risanamento.
  • Consenso dell’esperto e prospettive di risanamento: qualunque sia la causa invocata per la proroga (richiesta delle parti, misure pendenti, etc.), in ogni caso servono due ulteriori presupposti: (a) il consenso dell’esperto alla prosecuzione e (b) la sussistenza di concrete prospettive di risanamento. Queste condizioni sono cumulative e rappresentano una garanzia: la proroga non è automatica né obbligatoria; viene concessa solo se l’esperto, che ha il polso della situazione, ritiene sensato proseguire perché davvero si intravede una soluzione. Se l’esperto non fosse d’accordo (ad esempio perché giudica che le trattative siano inutili malgrado la richiesta dell’imprenditore) oppure se, oggettivamente, le prospettive di risanamento fossero venute meno nel frattempo, la proroga non può essere accordata. In pratica, l’esperto funge da gatekeeper: deve confermare che vale la pena allungare i tempi.
  • Formalizzazione della proroga: la decisione di proroga viene formalizzata inserendo sulla piattaforma telematica un’apposita comunicazione a cura dell’esperto. L’esperto inoltre dà notizia alle parti della prosecuzione dell’incarico e comunica la proroga al giudice che ha adottato eventuali misure protettive/cautelari. Non è necessario un provvedimento del Tribunale per prorogare l’incarico dell’esperto (è diverso dalle misure protettive, dove serve il giudice): la proroga dell’incarico è sostanzialmente un accordo procedurale tra le parti interessate e l’esperto, che viene reso pubblico tramite la piattaforma per trasparenza (in modo che anche terzi, consultando il Registro delle Imprese, vedano che la composizione è ancora in corso oltre i 6 mesi iniziali).
  • Durata della proroga: la legge parla di proroga per non oltre altri 180 giorni. Non significa però che debba essere automaticamente di 180 giorni: la proroga può essere concessa per un periodo fino a 180 giorni aggiuntivi, quindi anche un tempo inferiore, commisurato alle esigenze. Ad esempio, se le parti stimano che occorreranno altri 90 giorni per finalizzare l’accordo, nulla vieta che si decida una proroga di 3 mesi anziché 6. In molti casi, tuttavia, tendendo per eccesso di prudenza, viene utilizzata l’intera proroga massima (portando così la scadenza esattamente ad un anno dall’inizio): se poi si chiude prima, nessun problema, l’importante è non sforare il nuovo termine.
  • Durata massima totale: sommando i 180 giorni iniziali e gli ulteriori 180 giorni prorogabili, la durata massima teorica di una composizione negoziata diventa 360 giorni (circa 12 mesi). Oltre un anno non si può andare: scaduto anche il periodo prorogato, l’incarico cessa tassativamente. A quel punto l’esperto dovrà chiudere la procedura, indipendentemente dal fatto che si sia raggiunto oppure no un accordo (se non lo si è raggiunto, si avrà un esito negativo; se lo si è raggiunto, si formalizzerà l’esito positivo). Non sono previste ulteriori proroghe oltre questa (non esiste, per così dire, una “seconda proroga”).
  • Prassi applicativa sulle proroghe: da quando la composizione negoziata è operativa (fine 2021) fino ad oggi, la maggioranza dei casi significativi si è avvalsa di proroga. I dati mostrano che:
    • Quasi il 64% delle imprese che hanno concluso la procedura (positivamente o negativamente) ha richiesto e ottenuto la proroga oltre i 180 giorni iniziali.
    • In particolare, circa il 90% dei casi con esito favorevole (cioè dove si è trovato un accordo di risanamento) hanno utilizzato la proroga, segno che praticamente tutte le procedure che giungono a buon fine hanno avuto bisogno di più di 6 mesi – in media attorno a 10-11 mesi.
    • Anche una buona parte (circa 59%) dei casi con esito negativo è andata oltre i 180 giorni, magari sperando fino all’ultimo in un accordo che poi non è arrivato.
    • La durata media delle procedure che hanno concluso con successo è risultata di circa 325 giorni (quasi 11 mesi), mentre quelle con esito sfavorevole hanno avuto una durata media di circa 200 giorni (poco più di 6 mesi). Questo evidenzia un fatto intuitivo: quando si va verso il successo, si tende a mantenere aperta la composizione il più possibile per concludere l’accordo, mentre quando l’esito è negativo spesso ci si ferma prima oppure allo scadere del primo termine.
    Va sottolineato che questi dati riflettono la fase di prima applicazione dell’istituto. Col tempo, gli operatori stanno acquisendo esperienza e non è escluso che in futuro si riesca a concludere più composizioni negoziate già nei primi 180 giorni, riducendo la necessità di proroghe. Tuttavia, la natura complessa di molte ristrutturazioni (specialmente se coinvolgono banche, rinegoziazione di mutui, vendite di asset, ecc.) rende realistico aspettarsi che il percorso completo occupi gran parte dell’anno disponibile.
  • Procedura di proroga in pratica: immaginiamo un caso concreto per capire come si innesta la proroga:
    • La società Beta avvia la composizione negoziata il 1° gennaio 2024. Il 1° luglio 2024 sarebbero 180 giorni.
    • A fine giugno 2024, grazie alle trattative condotte, Beta ha praticamente definito un accordo con tutti i principali creditori, però manca ancora il benestare finale di una banca che attende l’approvazione del proprio comitato crediti, previsto ad agosto.
    • L’imprenditore Beta, d’intesa con l’esperto e con l’assenso informale dei creditori coinvolti, richiede la proroga dell’incarico. L’esperto verifica: le condizioni ci sono (accordo quasi fatto, buona fede di tutti, prospettive di risanamento concretissime).
    • L’esperto quindi registra sulla piattaforma la prosecuzione dell’incarico fino, poniamo, al 30 novembre 2024 (ulteriori 5 mesi) e avvisa il Tribunale che aveva concesso misure protettive (così il giudice potrà estendere le misure se necessario fino a tale data).
    • A metà settembre 2024 arriva il via libera della banca e si firma l’accordo definitivo. A quel punto, pur avendo la proroga fino a fine novembre, l’esperto non aspetta oltre: chiude anticipatamente l’incarico scrivendo la relazione finale positiva. La composizione negoziata di Beta si conclude quindi in circa 8,5 mesi totali.
    Questo esempio mostra che la proroga è uno strumento flessibile: estende il termine finale ma non obbliga ad usarlo tutto. Serve da cuscinetto per sicurezza.
  • Mancata proroga: se, al contrario, non vengono richieste proroghe o mancano le condizioni, l’esperto dichiara concluso l’incarico allo spirare dei 180 giorni. È importante essere consapevoli di questa scadenza: se l’imprenditore non sollecita in tempo la proroga o se l’esperto non la ritiene giustificata, il termine cadrà e con esso la procedura. Pertanto, gli imprenditori devono confrontarsi per tempo con l’esperto man mano che ci si avvicina alla scadenza semestrale, per capire se fare istanza di proroga oppure no.

Riassumendo, la durata massima di una composizione negoziata, con proroga, arriva a 12 mesi circa. Questa estensione viene concessa solo se c’è una ragione valida (trattative in fase avanzata ma non ancora concluse, misure protettive ancora in essere, ecc.) e con l’ok dell’esperto. In mancanza, la durata resta confinata a 6 mesi.

In ogni caso, l’imprenditore deve considerare sin dall’inizio che anche il percorso più lungo (12 mesi) non è infinito: occorre sfruttare al meglio il tempo a disposizione.

Passiamo ora a vedere come si chiude la composizione negoziata e quali possono essere gli esiti finali, sia in caso di successo che di insuccesso, con qualche esempio pratico di tempistiche effettive riscontrate.

Chiusura del procedimento e fasi finali: esiti positivi o negativi

La composizione negoziata può concludersi in diversi modi, a seconda di ciò che accade durante le trattative. La chiusura del procedimento coincide con il momento in cui l’esperto termina il suo incarico e redige la relazione finale. In quella relazione l’esperto descrive sinteticamente l’andamento delle trattative ed evidenzia l’esito: se è stato individuato uno strumento di risanamento oppure no. Esaminiamo separatamente gli esiti positivi (quando si trova una soluzione) e gli esiti negativi (quando invece il tentativo non porta a un accordo), nonché gli adempimenti conclusivi legati alla chiusura.

Esito positivo: soluzione trovata e accordi di risanamento

Si ha un esito favorevole della composizione negoziata quando, grazie alle trattative condotte con l’ausilio dell’esperto, l’imprenditore e i suoi creditori riescono a individuare e formalizzare una o più soluzioni che consentono il superamento della crisi dell’impresa. In pratica significa che l’impresa ha evitato il fallimento (liquidazione giudiziale) imboccando un percorso di risanamento concordato. Le possibili forme che questo risultato può assumere, come accennato in precedenza, sono varie. Ecco le principali:

  • Contratto con i creditori (Art. 23, comma 1, lett. a, CCII): è la soluzione più “snella”. L’imprenditore conclude uno o più contratti con uno o più creditori, aventi ad oggetto la ristrutturazione dei debiti o il soddisfacimento dei crediti. Ad esempio, può consistere in un accordo bilaterale con la banca per la moratoria di un mutuo, o un accordo trilaterale con due fornitori importanti per dilazionare i pagamenti dovuti. Non coinvolge necessariamente tutti i creditori, ma è sufficiente a rimuovere gli ostacoli principali al risanamento. In tal caso, una volta firmati questi contratti, l’esperto chiude la procedura. Sarà poi l’imprenditore a eseguire quanto pattuito. Questi contratti, se conclusi nell’ambito della composizione negoziata, beneficiano di alcune agevolazioni (ad esempio fiscali, in certi casi) e soprattutto possono essere pubblicati nel Registro delle Imprese per dare pubblicità all’avvenuto accordo.
  • Accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto (Art. 23, comma 1, lett. c): è un tipo di accordo più formale in cui anche l’esperto appone la sua sottoscrizione. Significa che l’esperto certifica di aver partecipato alle trattative e che quell’accordo è stato il risultato del percorso negoziato. Questo tipo di accordo – spesso denominato “accordo ex art. 23 lettera c” – può dare accesso a dei benefici: ad esempio, se l’accordo riguarda la ristrutturazione dei debiti, le eventuali sopravvenienze attive derivanti da stralci di debito non vengono tassate (agevolazione fiscale prevista dal TUIR) e le perdite per i creditori sono deducibili, a condizione che l’accordo sia appunto sottoscritto dall’esperto e pubblicato. Nell’accordo si dettagliano le misure concordate: piani di pagamento, eventuali sacrifici (stralci) accettati dai creditori, garanzie, e così via.
  • Piano attestato di risanamento (Art. 23, comma 2, lett. a): durante la composizione negoziata l’imprenditore può aver elaborato, con l’ausilio dell’esperto, un piano di risanamento che viene attestato da un professionista indipendente (diverso dall’esperto) secondo l’art. 56 del Codice. In parole semplici, è un piano industriale-finanziario con cui l’imprenditore dimostra che, attuando certe operazioni, l’impresa tornerà in equilibrio, e un esperto attestatore ne conferma la ragionevolezza e fattibilità. Se i creditori principali aderiscono a questo piano (anche senza accordo formale), la composizione negoziata può chiudersi con questa soluzione. Il piano attestato è un accordo privato (non passa da omologazione del Tribunale) ma ha efficacia liberatoria per l’imprenditore dalle possibili azioni revocatorie fallimentari in futuro, se eseguito correttamente. È una soluzione utilizzabile quando magari non serve un accordo vero e proprio con tutti i creditori, ma bastano le azioni unilaterali dell’impresa (e il supporto implicito dei creditori nel rispettare il piano).
  • Accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (Art. 23, comma 2, lett. b): in alcuni casi, le trattative condotte nella composizione negoziata sfociano nella stesura di un accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis L.F. (oggi art. 60 e seguenti CCII) – in sostanza un accordo con una maggioranza qualificata di creditori che poi viene sottoposto all’omologazione del Tribunale. In tal caso, la composizione negoziata si chiude perché l’imprenditore deposita questo accordo in Tribunale per l’omologazione. Siamo di fronte ad un passaggio ad una procedura giudiziale successiva: l’accordo dovrà essere valutato dal giudice ed eventualmente reso efficace erga omnes con il decreto di omologa. La composizione negoziata è servita come incubatore per mettere insieme i termini dell’accordo con i creditori. Dal punto di vista dell’esito, se l’accordo viene poi omologato, il risanamento entra in una fase esecutiva monitorata dal Tribunale.
  • Convenzione di moratoria (Art. 62 CCII): questo è uno strumento particolare previsto dal Codice della Crisi che può emergere in composizione: si tratta di un accordo con determinate categorie di creditori (ad esempio le banche) per moratorie temporanee sui crediti, che diventa vincolante anche per le minoranze dissenzienti se aderisce una maggioranza qualificata di quella categoria. È stato utilizzato raramente nella prassi (i dati segnalano pochissimi casi), ma resta una possibile soluzione: l’impresa ottiene una moratoria concordata per guadagnare tempo e migliorare i conti.
  • Altre procedure di regolazione della crisi intraprese tempestivamente: in qualche caso, può darsi che l’esito “positivo” consista nel rendersi conto che il risanamento extra-giudiziale non è fattibile, ma l’imprenditore, grazie al lavoro svolto con l’esperto, riesce a prepararsi per attivare un’altra procedura formale in modo ordinato. Ad esempio, l’impresa può decidere di presentare un concordato preventivo “tradizionale” oppure – come vedremo dopo – un concordato semplificato per la liquidazione (strumento previsto proprio come possibile sbocco post-composizione negoziata). Se questa scelta viene fatta entro la chiusura della composizione negoziata, e magari con il sostegno di alcuni creditori, si può considerare un esito “positivo” in senso lato: non si è risanato l’azienda fuori dal tribunale, ma si è instradata verso la soluzione concorsuale meno traumatica possibile. Nei dati Unioncamere queste fattispecie vengono talvolta incluse negli esiti positivi come “accesso ad altri strumenti di regolazione della crisi”.

Quando si raggiunge uno degli esiti sopra descritti, l’esperto conclude il suo incarico redigendo la relazione finale positiva. In questa relazione (che viene caricata sulla piattaforma e comunicata all’imprenditore e alle parti trattanti, nonché eventualmente al giudice se c’erano misure protettive) l’esperto attesta l’accordo o la soluzione individuata, ne descrive i punti salienti e dichiara concluso il percorso con esito favorevole. Se l’accordo richiede pubblicità (es. accordo ex art. 23 lett. c o contratto), l’esperto provvede a farlo pubblicare nel Registro delle Imprese. Da quel momento la composizione negoziata è formalmente chiusa.

Cosa accade dopo un esito positivo? Dipende dal tipo di soluzione:

  • Se si tratta di contratti privati o accordi stragiudiziali, l’imprenditore dovrà semplicemente dare esecuzione a tali accordi. Non ci sarà una vigilanza esterna ufficiale (a meno che le parti non si siano date un monitor, tipo il CRO come detto). L’impresa proseguirà l’attività attuando le ristrutturazioni pattuite. Se poi non dovesse rispettare gli accordi, i creditori tornerebbero liberi di agire individualmente, ma questo esula dalla composizione (che a quel punto è finita).
  • Se si tratta di un accordo di ristrutturazione da omologare, la palla passa al Tribunale per la fase di omologazione. In genere in questi casi l’esperto viene sentito dal giudice e la sua relazione finale è allegata all’istanza di omologa, come supporto per dimostrare che l’accordo è frutto di genuine trattative e che l’imprenditore ha valutato tutte le opzioni.
  • Se si tratta di un concordato preventivo (eventualmente semplificato), allora l’imprenditore depositerà il ricorso di concordato e la procedura concorsuale seguirà il suo corso con le regole proprie (l’esperto negoziatore in quel caso ha terminato il suo compito, anche se magari potrà essere chiamato come testimone delle trattative svolte).
  • Va menzionato in particolare il caso del Concordato Semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII), introdotto in origine dal DL 118/2021 e oggi parte integrante del Codice: questo strumento può essere attivato solo in seguito ad una composizione negoziata fallita (cioè senza soluzioni di continuità aziendale). Lo approfondiremo tra poco parlando degli esiti negativi, ma lo citiamo qui perché, curiosamente, nei dati statistici viene talvolta considerato come prosecuzione “virtuosa” di un tentativo, benché l’azienda poi venga liquidata. In sostanza, se la composizione negoziata non ha portato a risanamento, l’imprenditore può comunque salvare il valore dell’azienda proponendo entro 60 giorni un concordato semplificato per cedere l’azienda o i suoi beni ai migliori offerenti, evitando il fallimento tradizionale. È un rimedio estremo, ma fa parte del ventaglio di opzioni.

In conclusione sull’esito positivo: la composizione negoziata ha centrato il suo scopo se l’impresa esce dalla procedura con un percorso di salvezza definito. L’arco temporale in cui ciò avviene, come visto, è tipicamente compreso tra pochi mesi (nei rari casi di accordo veloce) fino a quasi un anno (nei casi più complessi con proroga). L’importante è che, alla chiusura, l’azienda abbia evitato lo scenario peggiore (insolvenza non gestita) e abbia un accordo condiviso.

Esito negativo: mancato accordo e archiviazione

Purtroppo non tutte le composizioni negoziate vanno a buon fine. È possibile (ed è accaduto in molti casi finora) che il tentativo di trovare un accordo si concluda senza soluzione. Parliamo di esito negativo o sfavorevole della composizione negoziata. Anche qui possiamo distinguere vari sottocasi, alcuni già anticipati:

  • Mancanza di prospettive di risanamento (archiviazione iniziale): se l’esperto, in fase molto precoce (spesso al primo incontro o subito dopo aver esaminato i documenti), conclude che non vi sono concrete prospettive di risanamento, egli procede all’archiviazione della composizione negoziata ai sensi dell’art. 17, comma 5 CCII. Redige una relazione in cui lo dichiara e chiude la procedura. Questa situazione tipicamente si verifica entro il primo mese o comunque entro i primi 60 giorni dall’inizio. Dal punto di vista temporale, è una composizione negoziata breve: diciamo tra 30 e 60 giorni. Come esempio, un’impresa Gamma presenta istanza, viene nominato l’esperto, il quale dopo aver analizzato i dati e parlato con l’imprenditore realizza che i debiti superano di gran lunga le possibilità di ristrutturazione e che nessun soggetto sano investirebbe nell’azienda – insomma, l’impresa è insolvente senza rimedio. In tal caso, invece di portarla avanti artificialmente per 6 mesi, l’esperto in 1 mese chiude tutto. L’impresa Gamma a quel punto dovrà affrontare la realtà: probabilmente un’istanza di liquidazione giudiziale (fallimento) da parte di qualche creditore o dall’imprenditore stesso, oppure utilizzare i pochi margini rimasti per un concordato (ma se l’esperto ha detto che non c’è prospettiva, di solito vuol dire che il concordato sarebbe liquidatorio, percorribile eventualmente col semplificato). Nei dati di prassi, come detto, questa fattispecie pesa per il 36% circa degli esiti negativi: dunque più di un terzo dei fallimenti del negoziato è perché l’esperto ha dichiarato subito che non c’era nulla da fare. Questa onestà intellettuale dell’esperto evita di perdere tempo e accumulare ulteriori debiti.
  • Esito negativo delle trattative (mancato accordo finale): altra situazione è quella in cui le trattative sono state portate avanti, magari per tutti i 180 giorni (o anche oltre con proroga), ma non si è riusciti a trovare un accordo soddisfacente per tutti. In questi casi l’esperto, al termine del periodo (o prima se le parti rinunciano a trattare ulteriormente), redige la relazione finale in cui prende atto che le trattative si sono concluse con esito negativo. Spesso ciò accade perché magari uno o più creditori chiave hanno rifiutato ogni proposta e non si è potuto fare di meglio; oppure perché l’imprenditore stesso non è riuscito a presentare soluzioni convincenti. Può anche succedere che inizialmente c’era accordo di massima ma poi sia saltato qualcosa. Formalmente il Codice individua questa ipotesi all’art. 17, comma 8: decorso il termine senza soluzione, l’esperto chiude e riferisce l’esito negativo. Tempisticamente, qui parliamo di composizioni negoziate che di solito arrivano a scadenza naturale (6 mesi) o anche dopo una proroga (8-12 mesi). Nei numeri di Unioncamere, circa il 51% degli esiti negativi è dovuto proprio a trattative fallite (cioè non a mancanza iniziale di prospettiva, ma a negoziato tentato e non riuscito). Significa che più della metà di chi avvia la CNC e non ce la fa, comunque ci ha provato per un periodo significativo prima di alzare bandiera bianca.
  • Rinuncia o assenza dell’imprenditore: abbiamo già detto di quell’ulteriore 13% circa di casi negativi dovuti alla rinuncia unilaterale dell’imprenditore o al fatto che non si presenta ai tavoli. Questo può avvenire in qualunque momento: c’è chi ha rinunciato all’inizio, chi a metà, chi verso la fine. In queste situazioni, l’esperto di solito attende un minimo (per non agire precipitato), ma se l’imprenditore conferma la volontà di interrompere, lo fa mettere a verbale e chiude la procedura per iniziativa del debitore. Formalmente, la norma non lo indicava espressamente nella versione originaria, ma nella prassi si è consolidato che l’imprenditore può sempre decidere di interrompere il percorso (non essendo una procedura coattiva). Il D.Lgs. 136/2024 ha riconosciuto implicitamente questa eventualità, prevedendo ad esempio che se l’imprenditore non si fa vedere al primo incontro, l’esperto possa chiudere e il compenso dell’esperto in tal caso è limitato (per evitare abusi).

In tutti i casi di esito negativo, l’esperto chiude con una relazione finale negativa. In questa relazione (anch’essa caricata in piattaforma e comunicata all’imprenditore, ai creditori coinvolti e al giudice se c’erano misure protettive) si spiegano le ragioni: ad esempio “non sono state ravvisate prospettive di risanamento sin dall’avvio” oppure “le trattative non hanno condotto a una soluzione per il dissenso di alcuni creditori” o ancora “l’imprenditore ha deciso di interrompere il percorso”. Questa relazione finale negativa ha comunque un ruolo: costituisce una sorta di fotografia finale della situazione e può essere utile successivamente se l’impresa entra in procedura concorsuale (il curatore o il commissario potranno leggerla per capire cosa è successo).

Cosa succede dopo un esito negativo? L’impresa si ritrova, di fatto, ancora in stato di crisi o insolvenza, con la differenza che ha tentato senza successo la via negoziale. A questo punto ci sono alcuni possibili sviluppi:

  • L’imprenditore può decidere di attivare un procedimento di regolazione della crisi formale. Dai dati, risulta che su 892 imprese con esito negativo fino al 2024, circa 421 (quasi la metà) hanno poi intrapreso nei mesi seguenti un’altra procedura: ad esempio 189 hanno subito la liquidazione giudiziale (fallimento), 26 hanno fatto un concordato preventivo “classico”, 3 hanno presentato un accordo di ristrutturazione da omologare, e ben 109 hanno depositato un concordato semplificato ex art. 25-sexies. Quest’ultimo merita attenzione: il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, introdotto proprio come valvola di sfogo post-composizione negoziata, consente all’imprenditore di chiedere al Tribunale l’omologazione di un piano di liquidazione dei beni (anche con continuità indiretta, cioè vendendo l’azienda a qualcuno) senza bisogno di approvazione dei creditori. È “semplificato” perché evita la fase di voto, essendo riservato ai casi in cui la CNC non ha prodotto accordi. Ha ovviamente dei requisiti: deve essere proposto entro 60 giorni dalla relazione finale dell’esperto, e in pratica l’esperto deve aver certificato il fallimento delle trattative. Se omologato, consente di liquidare l’attivo sotto la supervisione del Tribunale, distribuendo il ricavato ai creditori secondo le regole concorsuali, ma risparmiando tempo (non c’è il voto) ed evitando alcune soglie (ad esempio, nel concordato preventivo liquidatorio ordinario servirebbe garantire almeno il 20% ai chirografari; nel semplificato no, ma il tribunale valuterà l’equità del piano caso per caso). In sostanza è un “paracadute” per chi non è riuscito a risanare ma vuole evitare il fallimento puro e semplice, sfruttando gli elementi raccolti durante la composizione (ad esempio, se c’era un’offerta di acquisto per l’azienda, nel concordato semplificato la si può concretizzare).
  • Non tutti però intraprendono subito un’altra strada: una parte di imprese, finito il tentativo negoziale, rimane in uno stato di inazione (471 su 892, stando alle rilevazioni Unioncamere, non avevano avviato ulteriori procedure entro qualche mese dalla chiusura negativa). Queste sono situazioni potenzialmente pericolose, perché l’impresa rimane in crisi e senza protezioni: i creditori potranno riprendere o avviare azioni esecutive, chiedere il fallimento, ecc. Se l’imprenditore non fa nulla, rischia di subire iniziative eterogenee. Quindi, un consiglio forte: dopo un esito negativo, muoversi subito per la soluzione alternativa (che sia liquidazione volontaria, istanza di fallimento in proprio, concordato, ecc.), piuttosto che aspettare passivamente.

In sintesi, la chiusura con esito negativo segna la fine del “tavolo negoziale” e il ritorno dell’impresa alla realtà in cui i creditori possono agire liberamente. Formalmente, la composizione negoziata finisce con l’archiviazione e comunicazione della relazione finale negativa.

Adempimenti conclusivi dell’esperto

Sia in caso di esito positivo che negativo, l’esperto una volta cessato il proprio incarico deve assolvere ad alcuni adempimenti conclusivi:

  • Relazione finale: come detto, deve essere caricata sulla piattaforma telematica. Dal 2024 è stato precisato normativamente che il contenuto di questa relazione deve essere conforme a quanto già previsto dal decreto dirigenziale (ossia deve indicare: le attività svolte, le proposte formulate, le ragioni dell’esito, ecc.). La relazione finale va comunicata oltre che all’imprenditore, anche a tutte le parti che hanno partecipato alle trattative. Questo assicura trasparenza: chi ha preso parte al percorso conosce l’esito formalmente dichiarato.
  • Comunicazioni al Tribunale: se erano state ottenute misure protettive dal Tribunale, l’esperto deve inviare la relazione finale anche a quel Tribunale. Il giudice, ricevuta la comunicazione che la composizione è cessata, dichiara con decreto la cessazione delle misure protettive (così da informare i creditori che da quel momento possono riprendere le azioni). Inoltre, nel caso di esito negativo, spesso l’esperto trasmette una copia della relazione al Pubblico Ministero presso il Tribunale, specialmente se emerge che la situazione è di insolvenza grave: il PM potrebbe valutarla per un’eventuale iniziativa d’ufficio (richiesta di liquidazione giudiziale). Non è obbligatorio previsto dalla legge, ma come buona prassi gli esperti lo fanno in casi estremi.
  • Pubblicazione nel Registro delle Imprese: altra novità introdotta nel correttivo 2024: se durante la composizione erano state chieste misure protettive o cautelari, la relazione finale deve essere pubblicata nel Registro delle Imprese. Questo perché l’archiviazione della composizione comporta la cessazione delle misure protettive, e quindi è giusto che tale fatto sia reso pubblico ai terzi. Con la pubblicazione della relazione finale, i creditori potranno verificare ufficialmente che la procedura è terminata e le protezioni non sono più in essere.
  • Compenso dell’esperto: un aspetto pratico post-chiusura è la questione del compenso. L’esperto ha diritto a un compenso pagato dall’imprenditore (salvo diverso accordo) secondo parametri stabiliti. Questo compenso è modulato in base all’esito: in caso di successo, c’è un raddoppio del compenso base; in caso di esito negativo, prende solo il base. Il pagamento del compenso avviene di norma a chiusura procedura (a volte in parte anticipato). È interesse dell’esperto chiudere formalmente anche per poter ricevere il dovuto. Da notare che il correttivo 2024 ha voluto evitare comportamenti opportunistici: ha stabilito che l’eventuale accordo sul compenso tra imprenditore ed esperto non può avvenire prima di 120 giorni dall’inizio (per evitare che l’esperto si accordi subito su un premio a prescindere da come va la trattativa) e che il raddoppio spetta solo se l’accordo o contratto si conclude grazie all’opera effettiva dell’esperto (quindi se l’esperto è stato proattivo e decisivo).
  • Restituzione documenti: l’esperto di solito restituisce (o lascia sulla piattaforma) tutti i documenti che erano stati caricati, per la consultazione futura se serve.

Con ciò, possiamo dire che la composizione negoziata è giunta al termine. L’impresa si trova ora o su un binario di risanamento (se esito positivo) o a dover affrontare altre soluzioni (se esito negativo).

Esempi pratici di tempistiche nella prassi

Per dare un’idea concreta di quanto effettivamente dura una composizione negoziata nella realtà, esaminiamo alcuni esempi e dati statistici tratti dall’esperienza di questi anni (aggiornati ad aprile 2025).

Esempio 1: Composizione negoziata “lampo” con accordo rapido.
La ditta individuale XYZ, piccola impresa artigiana con 5 dipendenti, presenta istanza di composizione negoziata a gennaio 2023 a causa di difficoltà nel ripagare un finanziamento e alcuni debiti tributari. Ha pochi creditori: la banca locale e l’Agenzia delle Entrate. Viene nominato un esperto entro 5 giorni e accetta. Durante il primo incontro con l’esperto, l’imprenditore spiega che avrebbe la liquidità per pagare il 50% del debito subito se i creditori rinunciano al restante 50%, altrimenti fallirebbe. L’esperto vede margini per una transazione semplice: convoca la banca e l’Agenzia. Sorprendentemente, entro 60 giorni (due mesi) dall’inizio, sia la banca che il Fisco accettano un accordo transattivo: la banca allunga il piano di rientro riducendo il tasso, l’Agenzia accorda una definizione agevolata con sanzioni ridotte. A marzo 2023 si sottoscrivono i contratti e l’esperto chiude la procedura con esito positivo dopo soli 70 giorni circa. XYZ salva l’attività e continua a lavorare pagando le rate concordate. In questo caso, la composizione negoziata è durata poco più di due mesi: un tempo molto breve, reso possibile dalla semplicità del caso e dalla buona volontà dei due creditori coinvolti. Non c’è stata necessità di misure protettive (nessuno aveva avviato esecuzioni) né di proroga. Questo è un esempio ideale, non frequentissimo ma nemmeno unico.

Esempio 2: Composizione negoziata con proroga e accordo complesso.
La società Alfa Srl (settore commercio) avvia la composizione a gennaio 2024. Ha circa 20 creditori significativi (banche, fornitori, leasing) e l’imprenditore punta a trovare un investitore disposto a ricapitalizzare l’azienda, oltre a chiedere sacrifici ai creditori. Vengono chieste misure protettive, concesse dal tribunale per 3 mesi iniziali. Le trattative partono lentamente perché coinvolgono molti soggetti. Dopo 4 mesi, viene individuato un investitore interessato ma servono accordi di contorno: le banche devono convertire parte del credito in quote, i fornitori accettare un taglio del 20% sul dovuto. Al 180° giorno (fine giugno 2024) gli accordi sono delineati ma non ancora firmati (alcune banche attendono l’approvazione dei rispettivi direttori generali). L’esperto concorda con l’imprenditore e le parti una proroga di 120 giorni. Le misure protettive vengono anche prorogate fino a coprire 8 mesi totali. A metà settembre 2024, quindi dopo circa 8 mesi e mezzo, si raggiunge il closing: viene sottoscritto l’accordo quadro con l’investitore (che immette nuovi capitali), le banche firmano la conversione del debito residuo in strumenti partecipativi e i fornitori sottoscrivono un accordo ex art. 23 lett. c con la decurtazione del 20% del credito (che verrà pagato dall’investitore stesso). L’esperto chiude con relazione positiva a fine settembre 2024. Durata totale: circa 270 giorni (9 mesi). In questo periodo l’azienda è rimasta protetta dai creditori, ha continuato l’attività (grazie anche a un finanziamento ponte autorizzato dal tribunale) e alla fine ha evitato il fallimento grazie a un piano strutturato. Senza la proroga di 3 mesi probabilmente non si sarebbe fatto in tempo.

Esempio 3: Composizione negoziata infruttuosa e passaggio a concordato semplificato.
La società Beta Spa (settore manifatturiero) avvia la CNC a metà 2022 con debiti elevati e bilanci in perdita, sperando di trovare un acquirente per l’azienda. Le trattative però non decollano: alcuni creditori (banche estere) non partecipano attivamente e un potenziale investitore ritira l’interesse. L’esperto, rilevando comunque qualche chance, porta avanti fino alla scadenza dei 180 giorni, ma alla fine di quel periodo non c’è accordo. Beta decide di non chiedere proroga perché nel frattempo è emersa una grave sofferenza di cassa. La composizione negoziata si chiude con esito negativo dopo i 6 mesi standard (fine 2022). L’imprenditore, su suggerimento dell’esperto stesso, entro un mese deposita un ricorso per concordato semplificato liquidatorio: propone di vendere l’intero complesso aziendale ad un soggetto che aveva manifestato un interesse condizionato (pronto a rilevare solo in contesto concorsuale, per evitare responsabilità). Il Tribunale dichiara l’apertura del concordato semplificato (strumento all’epoca nuovo) e nomina un commissario. Nel 2023 l’azienda viene venduta e Beta Spa viene liquidata, con i creditori che ottengono un riparto modesto ma in tempi rapidi. In questo scenario, la composizione negoziata è durata il minimo necessario (6 mesi) e, pur non avendo risanato l’azienda, ha consentito comunque di preparare il terreno per una liquidazione ordinata tramite concordato semplificato. Dalla prospettiva dell’imprenditore e dei creditori, è stato utile aver tentato la composizione negoziata perché ha chiarito che non c’erano alternative al sacrificio e ha permesso di guadagnare qualche mese di tempo protetto per trovare un acquirente degli asset.

Esempio 4: Composizione negoziata interrotta subito per mancanza di prospettive.
La ditta Delta, attiva nel retail, presenta istanza di composizione negoziata nell’ottobre 2024, quando ormai i negozi sono vuoti e i debiti superano di gran lunga gli attivi. L’esperto nominato, dopo aver esaminato la situazione e constatato che l’impresa è già praticamente insolvente (fornitori da mesi non pagati, dipendenti licenziati, nessun piano di rilancio credibile), convoca l’imprenditore in un primo incontro in cui emerge che non ci sono idee né risorse per salvarla. Di conseguenza, dopo appena 40 giorni dall’avvio, l’esperto archivia la procedura per assenza di prospettive. Tempo speso: poco più di un mese, giusto per prendere atto della realtà. L’imprenditore, a quel punto, sceglie di mettersi in liquidazione volontaria e alcuni creditori chiederanno la liquidazione giudiziale nel giro di qualche mese. Questo triste epilogo però illustra che la composizione negoziata, quando usata magari troppo tardi, può chiudersi subito: se la crisi è ormai irreversibile, l’istituto non fa miracoli. In termini di durata, è il caso più rapido: meno di due mesi e tutto finisce.

Questi esempi mostrano una gamma di durate:

  • Minimo: 1-2 mesi (casi di accordo veloce o archiviazione immediata).
  • Medio: 6-7 mesi (casi di trattative tentate ma fallite o accordi parziali).
  • Massimo: 10-12 mesi (casi di successo complesso con proroga oppure di ritardo prima di arrendersi con proroga inutile).

La media generale come indicato dai dati Unioncamere è attorno ai 7,5 mesi (224 giorni). Questo conferma che in molti casi si va oltre i 6 mesi base, ma non sempre si arriva al limite massimo di 12 mesi.

Un elemento importante che la prassi ha evidenziato è la tempestività dell’accesso: imprese che hanno attivato la composizione negoziata in una fase ancora recuperabile della crisi hanno avuto maggiori probabilità di chiuderla in minor tempo con esito positivo. Viceversa, imprese arrivate troppo tardi (già in pre-insolvenza conclamata) spesso hanno chiuso presto con esito negativo o hanno trascinato la procedura senza risultati concreti. Quindi, prima si interviene, meno dovrebbe durare il percorso e maggiori le chance di successo.

Indicazioni operative per gli imprenditori (come ottimizzare i tempi)

Dall’analisi svolta emergono alcune indicazioni pratiche che ogni imprenditore dovrebbe tenere a mente quando approccia la composizione negoziata della crisi, soprattutto in relazione alla gestione del tempo:

  • Preparazione accurata e tempestiva: i giorni iniziali sono fondamentali. Preparate con cura l’istanza e i documenti richiesti, utilizzando la check-list ufficiale. In questo modo eviterete richieste di integrazione che possono far perdere fino a un mese. Assicuratevi di avere bilanci aggiornati, elenco debiti completo, certificati dai vari enti (o almeno di averli richiesti con anticipo). Un dossier completo dà anche una buona impressione di serietà all’esperto e ai creditori sin dal primo incontro.
  • Valutate subito la perseguibilità del risanamento: sfruttate il test pratico messo a disposizione sulla piattaforma per farvi un’idea se l’azienda ha chance di recupero. Se il test e il vostro consulente vi dicono che la situazione è disperata, riflettete bene: la composizione negoziata ha senso se c’è margine, altrimenti è tempo sprecato. Entrare in composizione negoziata senza prospettive concrete significa probabilmente vedersela archiviare in poche settimane. In tal caso, meglio impiegare quel tempo per preparare direttamente un’altra procedura (es. un concordato).
  • Rapporto con l’esperto: quando viene nominato l’esperto, stabilite da subito una comunicazione aperta e costante. L’esperto è lì per aiutarvi, ma anche per vigilare: instaurare un clima di fiducia e collaborazione vi aiuterà a svolgere le trattative in modo più spedito. Fornitegli tutte le informazioni richieste prontamente, non nascondete problemi (tanto verrebbero fuori e perdere tempo in omissioni genera solo diffidenza). Se dovete compiere un atto di gestione straordinaria durante la procedura, concordatelo con lui per evitare annotazioni di dissenso o rotture della fiducia. Un imprenditore trasparente e collaborativo facilita il lavoro e spesso l’esperto sarà più motivato a spendersi attivamente.
  • Partecipazione attiva alle trattative: non delegate tutto all’esperto o ai consulenti: la presenza e l’impegno personale dell’imprenditore nelle riunioni con i creditori è determinante anche psicologicamente. Fate percepire ai creditori la vostra volontà di risolvere e la buona fede. Questo può rendere le trattative più rapide, perché i creditori hanno bisogno di fiducia nell’imprenditore, oltre che nell’esperto.
  • Realismo nelle proposte: dal primo incontro con i creditori, cercate – insieme all’esperto – di mettere sul tavolo proposte credibili e sostenibili. Evitate di avanzare soluzioni irrealistiche che richiederebbero troppo tempo o che i creditori sicuramente rifiuteranno: ogni proposta fuori misura allunga le discussioni inutilmente. Meglio puntare a soluzioni magari modeste ma raggiungibili nel tempo dato. Ad esempio, se sapete di poter pagare al massimo il 30%, non proponete inizialmente il 10% sperando poi di salire: rischiate solo di perdere settimane in contrattazioni superflue. Mostrate subito il massimo sforzo che potete fare, compatibilmente con la sostenibilità dell’impresa.
  • Gestione finanziaria durante la procedura: fate di tutto per mantenere l’impresa in attività regolare durante i mesi della composizione. Grazie alle misure protettive, avete un po’ di respiro: usatelo per migliorare i flussi di cassa, recuperare crediti verso clienti, ridurre costi non essenziali. Più l’impresa regge, più tempo avrete per negoziare e più confidenza darà ai creditori circa il fatto che valga la pena accordarsi. Se invece durante la procedura l’impresa cessa le attività o peggiora drasticamente i conti, i creditori perderanno motivazione e si irrigidiranno (oltre al rischio di non poter prorogare perché mancano prospettive).
  • Richiedere le misure protettive solo se necessario: le misure protettive sono un ottimo scudo, ma comportano di passare dal Tribunale e hanno un tempo limitato. Valutate con i consulenti se vi servono davvero. Se l’azienda ha pochi creditori che per il momento non minacciano azioni, potreste anche procedere senza chiederle, riservandole solo nel caso la situazione precipitasse. Questo perché attivarle mette l’orologio dei 240 giorni in moto e vi lega ai tempi di rinnovo giudiziale. D’altro canto, se c’è il rischio concreto che uno o più creditori avviino subito pignoramenti o istanze di fallimento, allora chiedetele senza dubbio: partire protetti vi dà quel minimo di tranquillità per lavorare. In ogni caso, se le ottenete, rispettate le condizioni: tenete informato l’esperto su ogni atto di rilievo, non aggravate le posizioni dei creditori protetti, altrimenti rischiate la revoca delle misure (che di solito segna anche la fine anticipata della composizione).
  • Monitorare la scadenza dei 180 giorni: tenete bene a mente la data di scadenza dei sei mesi dall’accettazione dell’esperto. Già qualche settimana prima, insieme all’esperto, fate il punto: abbiamo un accordo quasi pronto? Ci serve più tempo? Ci sono le condizioni per prorogare? Non ridursi all’ultimo giorno per pensare alla proroga: la richiesta va condivisa in anticipo con l’esperto e i creditori interessati, così da non far scadere il termine in silenzio. Se sapete già di aver bisogno di altri 2-3 mesi, coinvolgete chi di dovere (ad esempio, fate scrivere alle principali banche che sono disponibili a proseguire le trattative, o presentate voi istanza motivata) in modo che l’esperto abbia elementi per accordare la proroga. Se, al contrario, appare inutile continuare, preparatevi a chiudere e a passare ad altro (es. predisponete già un piano B come un concordato).
  • Non abusare della proroga: la proroga serve se c’è concretezza di chiudere l’accordo. Se arrivate a 5-6 mesi e la situazione è in stallo, prolungare di altri 6 senza idee nuove potrebbe solo accumulare ritardi e aumentare l’esposizione (perché magari nel frattempo maturano altri debiti). Siate onesti con voi stessi e con l’esperto: se il piano A non ha funzionato in 6 mesi, esiste un piano B realistico per i successivi mesi? Se sì, illustrate all’esperto cosa cambierete nella strategia; se no, probabilmente conviene prendere atto del fallimento e non far perdere altro tempo (ogni proroga inutile consuma anche risorse dell’impresa e pazienza dei creditori).
  • Utilizzare la composizione per preparare alternative: anche se puntate al successo, tenete in considerazione gli scenari alternativi. Parallelamente alle trattative, predisponete documentazione e analisi che potrebbero servire in un eventuale concordato o procedura liquidatoria. Questo per due motivi: (a) se riuscite nell’accordo, avrete comunque fatto un esercizio utile di pianificazione; (b) se non riuscite, sarete pronti a partire subito con il “piano B” senza perdere mesi a raccogliere i pezzi. Molti imprenditori di successo nella composizione avevano già in tasca un’idea di concordato semmai fosse fallita – e paradossalmente, proprio questa preparazione dava anche più credibilità alle trattative (i creditori percepiscono che c’è un’alternativa e sono più incentivati a trovare un accordo negoziale piuttosto che rischiare la procedura).
  • Attenzione agli obblighi fiscali durante la procedura: anche se siete in crisi, cercate per quanto possibile di onorare gli obblighi correnti (IVA corrente, contributi su stipendi se li pagate, etc.) durante la composizione negoziata. Questo sia per motivi di sostanza (evitare di aggravare la posizione debitoria), sia di forma: arrivare a un accordo ma nel frattempo avere accumulato altri debiti fiscali potrebbe far saltare tutto in sede di formalizzazione (perché ad esempio l’Agenzia Entrate non transige su debiti accumulati durante le trattative). Mantenere un minimo di correntezza dà un segnale positivo e vi evita sorprese.
  • Coinvolgete tutti i creditori necessari: per evitare di perdere tempo, identificate fin da subito i creditori la cui adesione è indispensabile per risolvere la crisi e concentratevi su di essi. Non è necessario coinvolgere attivamente tutti i piccoli creditori se la loro posizione non incide sul piano (potranno essere soddisfatti integralmente magari, quindi non serve negoziare con ognuno). Focus sugli attori chiave: ad es., se avete 10 banche creditrici che coprono il 80% del debito e 50 piccoli fornitori che coprono il 20%, è prioritario trovare un’intesa con le banche, definendo una proposta tipo da estendere poi ai fornitori. Inutile fare 10 tavoli separati per i 50 fornitori: spesso con loro basta comunicare la proposta una volta che i grandi hanno accettato, e aderiranno a ruota. Ottimizzare chi coinvolgere e quando vi farà risparmiare settimane di negoziato.
  • Tenete traccia formale degli incontri: l’esperto di norma redige verbali degli incontri. Assicuratevi di leggerli e firmarli, e che contengano le posizioni emerse. Questo per evitare fraintendimenti in seguito e per avere un calendario preciso degli step svolti. Può sembrare burocratico, ma è utile perché se poi il giudice o qualcuno controllerà l’operato (ad esempio in caso di successivo concordato), i verbali testimonieranno che avete agito diligentemente. Inoltre, rileggendo i verbali, potete monitorare i progressi oppure rendervi conto se si è fermi sempre sugli stessi punti (se così fosse, forse va cambiato approccio, e l’esperto può aiutarvi a individuarlo).

In definitiva, l’imprenditore che vuole massimizzare le chance di riuscita della composizione negoziata e magari accorciarne i tempi deve essere proattivo, sincero, ben organizzato e flessibile. La durata del procedimento non è un dato fisso: dipende in gran parte dalle azioni e decisioni che vengono prese. Ci sono margini per stringere i tempi (ad esempio evitando pause inutili, preparando documenti e decisioni in parallelo), così come rischi di sforare (attendismo, conflittualità).

Conclusione

La Composizione Negoziata della crisi d’impresa rappresenta un cambio di paradigma nella gestione delle situazioni di difficoltà aziendale in Italia. Non è facile dire in assoluto “quanto dura” una composizione negoziata, perché la durata varia caso per caso: è un percorso ritagliato sulle esigenze dell’impresa, entro però confini temporali ben precisi. Possiamo riassumere così:

  • Durata minima: poche settimane (nei casi estremi di archiviazione immediata o accordo rapidissimo).
  • Durata standard: 6 mesi circa (180 giorni), che è il tempo ordinario messo a disposizione dal legislatore.
  • Durata estesa: fino a 12 mesi circa (con la proroga, in presenza di condizioni giustificate).
  • Durata massima legale: 360 giorni (un anno), che non può essere superata.

Dal punto di vista dell’imprenditore, 6-12 mesi sono un orizzonte temporale molto più breve di quello di una procedura concorsuale tradizionale, e questo è un bene: significa risposte più rapide, meno incertezza e la possibilità di contenere i danni della crisi. Allo stesso tempo, però, comporta la necessità di essere veloci ed efficaci nelle azioni: non si può rimandare, temporeggiare o sperare che il tempo risolva le cose. La composizione negoziata è un percorso intensivo e concentrato.

Aggiornata ad aprile 2025, questa guida ha evidenziato come le ultime modifiche normative abbiano reso lo strumento più flessibile (ad esempio nella proroga) e come la prassi stia confermando la sua utilità (oltre 1.800 imprese l’hanno già sperimentata, con quasi 20% di successi dichiarati – un tasso che ci si augura cresca col tempo e l’esperienza). Agli imprenditori va il compito di saper cogliere questa opportunità al momento giusto e di gestirla con determinazione: se ben condotta, la composizione negoziata può rappresentare la differenza tra la rinascita di un’azienda in pochi mesi o il suo tracollo.

Integrazione: OCRI e interazione con creditori pubblici (Agenzia Entrate, INPS, Agenzia Riscossione)

Sebbene la guida abbia finora analizzato esclusivamente la durata formale della Composizione Negoziata della Crisi (CNC) e le sue fasi procedurali, è utile, per completezza, integrare alcune considerazioni operative riguardanti la prassi dell’OCRI (Organismo di Composizione della Crisi d’Impresa) e il comportamento dei creditori pubblici (Agenzia delle Entrate, INPS e Agenzia Entrate-Riscossione), in quanto questi elementi, pur non incidendo direttamente sui termini legali, possono influenzare in concreto la durata effettiva delle trattative.

1. L’evoluzione dell’OCRI e la sua funzione nel 2025

L’OCRI, istituito inizialmente dal D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi) per gestire le segnalazioni e guidare gli imprenditori nella scelta di strumenti di composizione della crisi, ha subito un forte ridimensionamento con le riforme del 2021–2022. Con l’entrata in vigore della composizione negoziata, le principali funzioni propositive e di nomina sono state trasferite alle Camere di Commercio e alla piattaforma telematica nazionale.

Nel 2025, l’OCRI non interviene più direttamente nella composizione negoziata, che si svolge interamente all’esterno di esso. Tuttavia:

  • può essere ancora coinvolto nei procedimenti di allerta interna per le imprese più strutturate che hanno organi di controllo, i quali segnalano situazioni di squilibrio;
  • può fornire supporto informativo o orientativo (su base volontaria) agli imprenditori che si rivolgano preventivamente alle Camere di Commercio per valutare i percorsi disponibili;
  • in alcune regioni o province, permangono residui di prassi locali dove l’OCRI, di fatto, coadiuva la segreteria camerale nel controllo delle domande iniziali (ma senza compiti decisionali).

Impatto sulla durata della CNC: in termini pratici, l’OCRI non incide più sui tempi della composizione negoziata. Ogni valutazione, nomina e gestione della procedura è interamente svolta dalla Commissione presso la Camera di Commercio e dall’esperto nominato. La presenza di un OCRI eventualmente attivo può tutt’al più facilitare l’accesso preliminare agli strumenti di risanamento, ma non modifica la scansione temporale né introduce nuovi adempimenti.

2. Interazione con l’Agenzia delle Entrate e altri creditori pubblici

Durante la composizione negoziata, uno degli ostacoli più rilevanti nelle trattative riguarda il comportamento dei creditori pubblici, in particolare:

  • Agenzia delle Entrate (AE),
  • INPS,
  • Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER).

Questi enti, pur non avendo uno statuto giuridico diverso dagli altri creditori, operano secondo regole e vincoli interni (soprattutto sulla transazione fiscale e contributiva) che possono ritardare o irrigidire le trattative, influenzando la durata effettiva della composizione negoziata.

a) Tempi di risposta e modalità operative

  • Agenzia delle Entrate: nella prassi, risponde entro 30–60 giorni dalla convocazione ufficiale alle trattative. Tuttavia, le risposte sono spesso condizionate alla presentazione di documentazione dettagliata (piano attestato, attestazione di convenienza, ecc.). Laddove si richieda una transazione fiscale (ai sensi dell’art. 63 CCII), è necessario il coinvolgimento della Direzione Provinciale e, nei casi più rilevanti, del Comitato dei crediti erariali.
  • INPS: fornisce riscontro su posizioni debitorie e su ipotesi di transazione contributiva con tempi medi di 45–90 giorni, ma i tempi variano notevolmente tra sedi locali. L’INPS partecipa meno attivamente alle trattative se non formalmente sollecitato. Alcune Direzioni Provinciali sono più collaborative, altre più formali.
  • AER (Agenzia Entrate-Riscossione): può partecipare alle trattative se l’impresa ha debiti iscritti a ruolo. I tempi di risposta sono generalmente più lenti (fino a 90 giorni), e l’AER può subordinare la trattativa all’ottenimento di garanzie reali o alla verifica di altre condizioni interne.

In tutte e tre le situazioni, l’esperto può avere difficoltà a ottenere risposte rapide, e ciò può spingere verso la richiesta di proroga della composizione negoziata. La prassi conferma che, nei casi in cui il debito verso creditori pubblici è elevato, l’interazione con AE/INPS/AER è spesso il fattore critico che prolunga il negoziato.

b) Difficoltà operative riscontrate

  • Assenza di interlocutori strutturati: a differenza delle banche, i creditori pubblici non hanno team negoziali dedicati alla composizione negoziata, per cui l’esperto si confronta con funzionari locali non sempre formati sullo strumento.
  • Vincoli normativi interni: Agenzia Entrate e INPS sono vincolate a norme che impongono l’applicazione di criteri oggettivi per accettare sconti, rateizzazioni o decurtazioni. Questo limita la discrezionalità negoziale.
  • Difficoltà di coordinamento con le misure protettive: alcuni enti, non essendo adeguatamente informati, hanno in passato avviato azioni esecutive nonostante la pendenza di misure protettive. Questo ha richiesto l’intervento dell’esperto o del Tribunale.

c) Raccomandazioni operative

  • L’imprenditore dovrebbe richiedere subito i certificati (AE, INPS, AER) per allegarli all’istanza, ma anche prenotare un incontro operativo con le sedi competenti per presentare il piano di risanamento.
  • L’esperto può favorire il dialogo con questi enti attraverso riunioni dedicate, convocandoli separatamente.
  • È consigliabile predisporre in anticipo una bozza di transazione fiscale/contributiva con attestazione del professionista, per velocizzare la valutazione da parte degli enti.
  • Se i tempi di risposta sono incompatibili con la scadenza dei 180 giorni, è opportuno motivare la proroga dell’incarico dell’esperto anche con riferimento all’attesa dei pareri o delle autorizzazioni dai creditori pubblici.

Conclusione dell’integrazione

Sebbene non incidano direttamente sui termini perentori della composizione negoziata, l’OCRI (oggi con ruolo marginale) e i creditori pubblici (con un peso pratico crescente) sono fattori rilevanti per valutare la durata effettiva della procedura. Il mancato coordinamento o la lentezza di questi soggetti può allungare le trattative e rendere necessaria una proroga dell’incarico dell’esperto, senza la quale la composizione potrebbe chiudersi prematuramente.

Un imprenditore informato e ben assistito deve pertanto considerare anche questi aspetti “collaterali” nella pianificazione del percorso e nella gestione strategica del tempo durante la procedura.

Fonti normative, giurisprudenziali e di prassi

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n.14): artt. 12–25-sexies, in particolare art. 17 (nomina esperto e durata incarico), art. 18–19 (misure protettive e provvedimenti cautelari), art. 22 (atti autorizzabili dal tribunale), art. 23 (soluzioni negoziali e possibili esiti), art. 25-quinquies (limiti di accesso alla composizione negoziata), art. 25-sexies (concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio). Testo vigente con le modifiche apportate dal D.L. 118/2021 (conv. L. 147/2021) e dai decreti correttivi: D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 e D.Lgs. 28 settembre 2024, n. 136.
  • Decreto-Legge 24 agosto 2021, n. 118 (convertito con modificazioni dalla Legge 21 ottobre 2021, n. 147): normativa istitutiva della composizione negoziata (poi confluita nel Codice della Crisi). Ha introdotto inizialmente la durata di 180 giorni prorogabili di 180, le misure protettive, il concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII.
  • Decreto Dirigenziale Ministero della Giustizia 28 settembre 2021: istitutivo della piattaforma telematica nazionale e definizione delle modalità operative per l’iscrizione degli esperti nell’elenco.
  • Decreto Dirigenziale Ministero della Giustizia 21 marzo 2023: aggiornamento delle Linee guida per la composizione negoziata, con particolare riguardo al test pratico e alla check-list obbligatoria (indicazioni operative che l’imprenditore deve seguire nella redazione del piano).
  • Circolare Unioncamere e Manuale operativo della piattaforma (2021-2022): documentazione tecnica pubblicata da Unioncamere per guidare l’utilizzo della piattaforma online (procedura “Compila-Allega-Paga-Invia”, pagamento diritti, firma digitale, ecc.).
  • Osservatorio Unioncamere sulla Composizione Negoziata – VI edizione, novembre 2024: rapporto semestrale con dati statistici aggiornati al 16 novembre 2023 sulle istanze di composizione negoziata. Contiene analisi su numero di procedure avviate, percentuali di successo (19% favorevoli, 81% sfavorevoli), motivi di chiusura negative (36% mancate prospettive, 51% trattative fallite, 13% rinunce), durata media delle procedure (224 giorni), utilizzo delle proroghe (nel 64% dei casi; 90% dei successi e 59% dei fallimenti), nonché il seguito delle imprese dopo esito negativo (numero di concordati semplificati presentati – 109 – e altre procedure).
  • Tribunale di Modena, decreto 22 giugno 2024 (Giudice Delegato Bianconi): decisione in tema di misure protettive nella composizione negoziata, con conferma delle misure e disposizione della riattivazione di linee di fido bancarie sospese. Evidenzia i criteri per la concessione delle protezioni (trattative in corso, piano non manifestamente implausibile) e l’interpretazione dell’art. 18 CCII sul divieto di revoca degli affidamenti bancari.
  • Tribunale di Roma, sezione fallimentare – Ordinanza 25 febbraio 2025 (proc. n. 2/2025): provvedimento relativo a misure protettive e cautelari in una composizione negoziata, con indicazione della documentazione prodotta, conferma delle misure e autorizzazioni concesse (esempio pratico recente di applicazione delle norme).
  • Protocollo di conduzione della Composizione Negoziata – Tribunale di Milano (2022): linee guida adottate da alcuni tribunali per coordinare l’attività del giudice in sede di misure protettive con l’operato dell’esperto (prassi locale, non vincolante a livello nazionale, ma utile riferimento operativo).
  • Giurisprudenza di merito in tema di limiti di accesso (art. 25-quinquies): ad es. Corte d’Appello di Roma, decreto 2023, sul divieto di accedere alla composizione negoziata in pendenza di istanza di fallimento presentata dal debitore stesso (chiarisce l’applicazione del limite in caso di procedura concorsuale già avviata).
  • Articoli dottrinali e di prassi specialistica: Massimo Fabiani e Ilaria Pagni, “La transizione dal Codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa)” (2021); Rinaldo D’Alonzo, “Le modifiche all’istituto della composizione negoziata apportate dal D.Lgs. 136/2024” (2024); analisi e commenti pubblicati su Dirittodellacrisi.it e altre riviste, che hanno contribuito a interpretare operativamente le norme (ad esempio in tema di doveri delle parti, ruolo dell’esperto, ecc.).
  • Linee guida CNDCEC – Ordine dei Dottori Commercialisti (2022): indicazioni emanate dal Consiglio Nazionale dei Commercialisti per i propri iscritti che svolgono il ruolo di esperto, contenenti best practice sulla conduzione delle trattative, redazione della relazione finale, calcolo del compenso, ecc., rifacendosi alle norme e ai decreti ministeriali.

Composizione Negoziata della Crisi: Perché Affidarsi a Studio Monardo Per Salvare La Tua Impresa

La tua impresa è in difficoltà? Hai problemi di liquidità, debiti in aumento, rapporti tesi con banche e fornitori, ma vuoi evitare il fallimento?

La Composizione Negoziata della Crisi è una procedura introdotta dal Decreto Legge 118/2021 e ora integrata nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza. Serve a gestire e superare la crisi aziendale prima che sia troppo tardi, con l’aiuto di un esperto terzo e con il supporto del Tribunale, se necessario.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo ti permette di affrontare questo percorso con la massima competenza legale e tecnica, senza improvvisazioni.

Cosa fa per te l’Avvocato Monardo

L’Avvocato Giuseppe Monardo ti assiste fin dalla prima fase:

  • verifica se esistono i requisiti per attivare la procedura
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  • assume il ruolo di Esperto Negoziatore, se richiesto e abilitato
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Con un approccio strategico e multidisciplinare, Monardo ti accompagna fino al superamento della crisi o all’attuazione ordinata della soluzione migliore.

Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

L’Avvocato Monardo è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto al Ministero della Giustizia
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  • Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
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È uno dei pochi professionisti in Italia autorizzati ad attivare e gestire direttamente le procedure di Composizione Negoziata, con piena legittimazione.

Perché agire subito

Nel nuovo scenario normativo, l’imprenditore è obbligato a intervenire tempestivamente. Ignorare i segnali della crisi può esporre a:

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Conclusione

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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