Azienda di Deumidificatori Industriali con Debiti: Cosa fare per difendersi e come

Se la tua azienda produce, installa o distribuisce deumidificatori industriali, sistemi di controllo umidità, gruppi frigoriferi per essiccazione, pompe di calore, scambiatori, filtri, componenti HVAC e soluzioni per magazzini, impianti produttivi, industrie alimentari, farmaceutiche e logistiche, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale intervenire subito per evitare blocchi operativi e danni ai rapporti commerciali.

Nel settore della deumidificazione industriale, un fermo o un ritardo nelle consegne può bloccare interi processi, danneggiare merci sensibili, rallentare linee produttive e generare penali contrattuali importanti.

Perché le aziende di deumidificatori industriali accumulano debiti

  • aumento dei costi di compressori, scambiatori, elettronica, pompe e refrigeranti
  • rincari delle materie prime e dei componenti importati
  • pagamenti lenti da parte di industrie, magazzini, contractor HVAC e integratori
  • ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
  • magazzini complessi con ricambi, moduli elettronici e componentistica tecnica
  • difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli produttivi
  • investimenti elevati in collaudi, test prestazionali, certificazioni e assistenza tecnica

Cosa fare subito

  • far analizzare da un professionista la tua situazione debitoria completa
  • individuare debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
  • evitare piani di rientro troppo onerosi che drenano liquidità
  • richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
  • proteggere rapporti con fornitori strategici e componenti critici (compressori, scambiatori, elettronica)
  • utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza bloccare produzione e assistenza

I rischi se non intervieni tempestivamente

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco delle forniture di componenti e ricambi critici
  • impossibilità di completare installazioni, assistenze e interventi urgenti
  • perdita di clienti industriali, contractor e integratori HVAC
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Come può aiutarti l’Avvocato Monardo

Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
  • iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Può aiutarti concretamente a:

  • bloccare pignoramenti e atti esecutivi
  • ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti legali più efficaci
  • ottenere rateizzazioni davvero sostenibili
  • proteggere ricambi, componenti HVAC, contratti e continuità produttiva
  • evitare la chiusura e guidare la tua azienda verso un risanamento reale

Agisci ora

Le aziende non falliscono per i debiti, ma per il ritardo con cui intervengono.
Agire oggi significa salvare commesse, clienti, impianti e stabilità operativa.

👉 La tua azienda è indebitata?
Richiedi subito una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo e proteggi la tua azienda di deumidificatori industriali.

Introduzione

Un’azienda produttrice di deumidificatori industriali che accumula debiti rilevanti si trova a fronteggiare una crisi d’impresa potenzialmente grave. I debiti possono provenire dal Fisco (imposte non versate), dagli enti previdenziali (contributi INPS), dalle banche (mutui, finanziamenti) e dai fornitori. Queste passività, se non gestite in modo efficace e tempestivo, possono mettere a repentaglio la continuità aziendale e persino esporre l’imprenditore a conseguenze legali personali. In questa guida approfondita – aggiornata a ottobre 2025 – esamineremo cosa può fare un’impresa indebitata per difendersi dalle azioni dei creditori e quali strumenti giuridici utilizzare per ristrutturare il debito e risanare l’attività.

Affronteremo le varie tipologie di debiti e i relativi rischi, forniremo indicazioni sulle strategie difensive e sugli strumenti di ristrutturazione del debito previsti dall’ordinamento italiano, compresi gli strumenti introdotti dal nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche). Il taglio sarà avanzato, adatto sia ai professionisti legali sia agli imprenditori e ai privati coinvolti, usando un linguaggio giuridico ma al contempo divulgativo. Troverete inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici (simulazioni) riferiti al contesto italiano, e una sezione di domande e risposte frequenti dal punto di vista del debitore (ossia dell’azienda indebitata).

Importante: La guida pone l’accento sulle soluzioni legali di difesa e ristrutturazione del debito, adottando il punto di vista del debitore che vuole salvare la propria impresa. Verranno citate le norme italiane più recenti e le sentenze più aggiornate delle autorità giudiziarie (Corte di Cassazione, Tribunali) rilevanti al tema, per fornire una prospettiva autorevole e fondata. Tutte le fonti normative e giurisprudenziali utilizzate sono elencate in fondo alla guida, nella sezione Fonti e Riferimenti.

Crisi d’impresa e obblighi dell’imprenditore: comprendere la situazione

Prima di tutto, è fondamentale capire quando un’azienda è in crisi e quali obblighi ha chi la dirige. La legge distingue tra stato di crisi (una situazione in cui l’insolvenza non si è ancora manifestata ma è probabile) e stato di insolvenza conclamata (incapacità non transitoria di pagare i debiti alle scadenze) . Un’azienda di deumidificatori industriali può entrare in crisi per calo di commesse, ritardi negli incassi, spese impreviste, o oneri finanziari e fiscali accumulati.

Dal marzo 2019, l’art. 2086 c.c. impone all’imprenditore che opera in forma societaria di dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati e di attivarsi senza indugio per adottare strumenti di superamento della crisi e recupero della continuità aziendale . In altre parole, gli amministratori hanno il dovere di monitorare costantemente la situazione finanziaria della società e, ai primi segnali di difficoltà, devono adottare misure idonee (piani di risanamento, accordi con creditori, procedure concorsuali minori, ecc.) per evitare il tracollo. La tempestività è cruciale: intervenire presto spesso permette soluzioni meno drastiche, mentre l’inerzia può aggravare il dissesto e aumentare i rischi di azioni esecutive dei creditori o di una dichiarazione di fallimento (oggi liquidazione giudiziale).

Società di capitali vs società di persone: differenze di responsabilità

È importante considerare la forma giuridica dell’impresa indebitata, perché da essa dipendono le conseguenze patrimoniali per gli imprenditori. Nel caso di una società di capitali (come una S.r.l. o S.p.A.), vige il principio della responsabilità limitata: la società risponde dei debiti soltanto con il proprio patrimonio, mentre i soci non rischiano in genere i loro beni personali. Fa eccezione l’eventuale presenza di garanzie personali (es. fideiussioni) date dai soci o dagli amministratori a favore di specifici creditori, tipicamente le banche: tali garanzie li espongono a pretese dirette sul patrimonio personale se la società non paga. Inoltre, i soci o amministratori potrebbero incorrere in responsabilità personali solo in casi di condotte illecite gravi (ad esempio mala gestio, distrazione di beni, pagamenti preferenziali vietati, omissione di versamenti dovuti per legge oltre soglie penalmente rilevanti, ecc.).

Per le società di persone (S.n.c., S.a.s. in cui almeno i soci accomandatari rispondono illimitatamente), la situazione è diversa: i soci hanno responsabilità illimitata e solidale per i debiti sociali. Ciò significa che, se il patrimonio sociale non basta a soddisfare i creditori, questi ultimi possono rivalersi anche sui beni personali dei soci. In caso di insolvenza di una società di persone, è prassi che venga dichiarato il fallimento (liquidazione giudiziale) sia della società sia dei soci illimitatamente responsabili, in estensione. I soci poi potranno eventualmente beneficiare dell’esdebitazione personale (la liberazione dai debiti residui non soddisfatti) a fine procedura, se ne ricorrono i presupposti di legge, ma intanto i loro beni possono essere aggrediti dai creditori .

Infine, se l’attività fosse esercitata come ditta individuale (imprenditore persona fisica), non c’è separazione tra patrimonio dell’impresa e personale: tutti i debiti d’impresa ricadono direttamente sull’imprenditore. Tuttavia l’imprenditore individuale “minore” (piccolo imprenditore sotto certe soglie dimensionali: attivo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000 nei tre esercizi precedenti ) non è soggetto a fallimento ordinario, ma alle procedure di sovraindebitamento del Codice della Crisi, come vedremo oltre (es. concordato minore, liquidazione controllata). Questa distinzione rileva nel nostro contesto: un’azienda di deumidificatori industriali strutturata come società di capitali di medie dimensioni probabilmente supera le soglie di fallibilità e rientra nel regime ordinario; se fosse invece una piccola impresa artigiana individuale o società molto piccola, potrebbe rientrare nelle procedure “minori”.

Conseguenze dell’inazione: perché agire subito

Dal punto di vista del debitore, “difendersi” significa anzitutto non restare inerti di fronte ai debiti. Ignorare la situazione o continuare l’attività accumulando perdite può avere conseguenze gravi e irreversibili. In particolare:

  • I creditori possono attivare azioni legali individuali: ad esempio, un fornitore insoddisfatto può ottenere un decreto ingiuntivo e pignorare i conti aziendali o i macchinari; la banca può escutere i beni dati in garanzia (es. ipoteca su un capannone) o agire contro i garanti; l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) può iscrivere ipoteca sui beni immobili dell’azienda o fermo amministrativo sui veicoli e avviare esecuzioni forzate (pignoramenti) senza passare dal tribunale (con le procedure speciali di riscossione). Queste azioni possono paralizzare l’attività d’impresa. Ad esempio, l’iscrizione di ipoteca da parte del Fisco su un capannone può impedire di venderlo o finanziarlo; il pignoramento del conto corrente blocca i pagamenti correnti, ecc.
  • Se i debiti scaduti sono ingenti e l’impresa manifesta insolvenza (ad esempio, non paga stipendi, fornitori multipli, rate di mutuo), i creditori possono chiedere il fallimento (liquidazione giudiziale) dell’azienda. In Italia basta un creditore con crediti certi, liquidi ed esigibili e una situazione conclamata di insolvenza perché il Tribunale possa aprire una procedura concorsuale d’ufficio. Una volta aperta la liquidazione giudiziale, gli amministratori vengono esautorati e un curatore prende il controllo, liquidando i beni per pagare i creditori secondo la legge. In genere questa è la peggiore delle ipotesi per l’imprenditore, poiché l’impresa viene spogliata dei suoi asset e cessa l’attività (salvo eventuale esercizio provvisorio se conveniente). Inoltre possono emergere profili di responsabilità degli amministratori per aggravamento del dissesto: continuare ad operare in perdita o indebitar(si) ulteriormente quando la società era già insolvente può configurare una gestione colpevole. Il Codice della Crisi ha introdotto criteri presuntivi per quantificare i danni causati da amministratori che hanno compiuto atti non conservativi dopo che si era verificata una causa di scioglimento (es. perdita di capitale): il risarcimento viene determinato equitativamente anche in base alla differenza tra patrimonio netto alla data in cui dovevano attivarsi e quello al fallimento, o all’incremento del deficit . In sostanza, chi tarda ingiustificatamente a “staccare la spina” o a intervenire rischia di dover rispondere dei maggiori debiti accumulati.
  • Vi sono profili penali da non sottovalutare: ad esempio, l’omesso versamento di IVA per importi oltre €250.000 annui configura reato (art. 10-ter D.lgs. 74/2000); analogamente l’omesso versamento di ritenute previdenziali oltre €10.000 annui è reato (art. 2, c.1-bis D.lgs. 276/2000). Se l’imprenditore non affronta i debiti fiscali e contributivi, col passare del tempo potrebbe superare tali soglie e incorrere in denunce penali. Attenzione: molte di queste fattispecie penali si “estinguono” se il debitore paga integralmente il dovuto prima dell’apertura del dibattimento in tribunale. Ma se l’azienda è in grave crisi, pagare tutto subito può essere impossibile. Ecco perché è preferibile muoversi per tempo e magari sfruttare strumenti come la rateizzazione o la definizione agevolata (rottamazione) per ridurre il debito fiscale, evitando di oltrepassare i limiti penalmente rilevanti. Anche la giurisprudenza penale riconosce l’efficacia degli strumenti di ristrutturazione: la Cassazione ha affermato, ad esempio, che un accordo di ristrutturazione del debito fiscale riduce la pretesa tributaria e quindi incide sul “profitto” del reato di omesso versamento IVA – di conseguenza un sequestro/confisca per equivalente deve essere ridimensionato se l’accordo ha abbattuto il debito IVA originario . Ciò dimostra come un piano concordatario o un accordo approvato non solo aiutino civilmente l’impresa, ma possano mitigare anche gli effetti penali della crisi.

In sintesi, non fare nulla non è mai una buona strategia. Al contrario, attivarsi presto per affrontare la crisi offre molti vantaggi al debitore: consente di scegliere lo strumento più adatto (piano di rientro, accordo, concordato, ecc.) con calma, di trattare da una posizione ancora controllata (anziché subire passivamente i pignoramenti o un fallimento improvviso) e spesso di ridurre l’esposizione complessiva grazie a transazioni con i creditori. Inoltre, l’ordinamento oggi premia il debitore onesto che si muove per tempo: ad esempio, chi ricorre agli strumenti negoziali di soluzione della crisi può ottenere protezioni (come lo stand-still delle azioni esecutive) e in certi casi beneficia di attenuanti sulle sanzioni. Si tenga presente che la stessa modifica all’art. 2086 c.c. è pensata per imporre la tempestiva rilevazione della crisi e l’adozione di rimedi per evitare soluzioni esclusivamente liquidatorie .

Nei capitoli che seguono esamineremo dapprima le specifiche tipologie di debito che un’azienda può avere e le opzioni di difesa legate a ciascuna, per poi passare alle varie soluzioni di ristrutturazione del debito (sia stragiudiziali che giudiziali) a disposizione dell’impresa debitrice.

Tipologie di debiti e relativi rischi: fiscali, contributivi, bancari, commerciali

Un’azienda manifatturiera indebitata si trova tipicamente esposta verso diversi tipi di creditori, ognuno dei quali segue regole e procedure in parte diverse. Distinguiamo in particolare: i debiti fiscali verso l’erario (Agenzia delle Entrate), i debiti previdenziali verso enti come INPS o INAIL, i debiti bancari verso istituti di credito, e i debiti verso fornitori o altri creditori commerciali. Analizziamo ciascuna categoria, sia in termini di pericoli in caso di mancato pagamento, sia di strumenti specifici per gestirli.

Debiti fiscali (Erario)

I debiti tributari comprendono imposte come IVA, IRES, IRAP, ritenute fiscali operate su stipendi e compensi, oltre a eventuali accertamenti tributari. Questi debiti sono spesso particolarmente gravosi perché al capitale si sommano sanzioni e interessi di mora. In Italia, il mancato pagamento di imposte viene accertato dall’Agenzia delle Entrate e i relativi importi vengono iscritti a ruolo: ciò dà origine alle famigerate cartelle esattoriali emesse dall’Agenzia delle Entrate–Riscossione (AER), l’ente preposto alla riscossione coattiva. Ecco i principali rischi e rimedi per i debiti fiscali:

  • Poteri speciali di riscossione: L’Agenzia Entrate–Riscossione ha strumenti di esecuzione rapidi. Ad esempio, può iscrivere ipoteca sui beni immobili del debitore se il debito supera certe soglie (in genere €20.000 per ipoteca legale), può disporre il fermo amministrativo su veicoli aziendali (impedendone la circolazione) e soprattutto può avviare pignoramenti senza bisogno di un giudice (utilizzando la cartella come titolo esecutivo). Può pignorare conti correnti, crediti verso terzi (es. chiedere ai clienti dell’azienda di pagare direttamente il fisco fino a concorrenza del debito), nonché pignorare beni mobili o immobili. Di solito, invia prima un preavviso (intimazione) e poi procede. Un’azienda con debiti fiscali elevati rischia di vedersi congelare il conto bancario o bloccati i macchinari in magazzino tramite queste procedure.
  • Privilegi e trattamento preferenziale: Molti debiti fiscali godono di privilegio generale sui beni mobili del debitore (ad es. l’IVA, le ritenute fiscali) o di privilegio speciale (l’IVA ha privilegio sui beni del soggetto, le imposte immobiliari su immobili, ecc.). Ciò significa che, in caso di concorsualità (fallimento o concordato), il Fisco viene soddisfatto con precedenza rispetto ai creditori chirografari (non privilegiati). Questo status privilegiato rende a volte più difficile ottenere dal fisco uno sconto sul capitale dovuto: l’Amministrazione finanziaria è tendenzialmente restia a rinunciare ai propri crediti, se non nei limiti previsti dalla legge.
  • Strumenti di difesa e gestione del debito fiscale:
    Rateizzazione – Il primo strumento da valutare è chiedere una dilazione di pagamento. La legge consente di rateizzare i debiti iscritti a ruolo (cartelle) fino a un massimo ordinario di 72 rate mensili (6 anni) se si dimostra una temporanea difficoltà finanziaria. Per debiti molto alti o per importi oltre certi limiti, si può chiedere un piano straordinario fino a 120 rate (10 anni) in presenza di gravi e comprovate ragioni (ad esempio crisi con calo fatturato ≥ 30%). Durante la rateizzazione, l’Agenzia della Riscossione sospende le azioni esecutive, a patto che le rate vengano pagate regolarmente. Attenzione: la rateazione non riduce l’importo dovuto, ma può evitare il collasso di cassa diluendo l’esborso. Inoltre, dal 2023 sono state semplificate le condizioni di accesso: per debiti sotto €120.000 non serve dimostrare nulla, basta chiedere e si ottiene fino a 72 rate.

Definizioni agevolate (Rottamazione delle cartelle) – Il legislatore negli ultimi anni ha più volte introdotto sanatorie fiscali. La cosiddetta “rottamazione” consente di pagare i debiti iscritti a ruolo senza sanzioni né interessi di mora, versando solo il tributo (e un minimale di interessi legali) in forma rateale. Siamo ormai alla quinta edizione di questa misura: la “Rottamazione-quater” avviata con la Legge di Bilancio 2023 (riguardante cartelle 2000-2017) è in corso di pagamento in questi mesi, e la manovra 2025 prevede una “Rottamazione-quinquies” per i carichi affidati fino al 31/12/2023 . In pratica, l’azienda può presentare istanza entro le scadenze previste dalla legge di bilancio di riferimento, impegnandosi a pagare il dovuto (senza sanzioni) in un massimo di 18 rate spalmate su 5 anni circa. Se l’impresa di deumidificatori ha cartelle esattoriali pendenti, è opportuno verificare se rientrano nella definizione agevolata vigente e valutare l’adesione: la rottamazione abbatte notevolmente l’importo da pagare (azzerando le multe amministrative e riducendo gli interessi). Nota: la rottamazione non è un diritto sempre aperto, ma un’opportunità limitata a finestre temporali stabilite per legge. Ad ottobre 2025, ad esempio, sono rottamabili i debiti relativi a cartelle 2000-2023 (se confermata la quinquies in legge di bilancio 2026), con pagamento che potrà estendersi addirittura su nove anni . Se l’azienda non ha potuto aderire in passato, tenga d’occhio le normative attuali per non perdere la prossima finestra utile.

Transazione fiscale – Questo strumento opera all’interno di procedure concorsuali (concordato preventivo o accordo di ristrutturazione omologato). Consiste in una proposta formale al Fisco di pagare in parte e/o in forma dilazionata i debiti tributari, anche in deroga alle percentuali di legge. Con la riforma del Codice della Crisi, la transazione fiscale e contributiva ha regole più flessibili (art. 63 CCII riscritto dal D.Lgs. 136/2024): l’imprenditore può proporre il pagamento parziale o dilazionato di imposte, contributi e relativi accessori durante le trattative dell’accordo . Un professionista indipendente dovrà attestare che la proposta è almeno equivalente (o migliorativa) rispetto alla liquidazione giudiziale, per poter avere l’adesione degli enti . Se l’ente (Agenzia Entrate o INPS) rifiuta irragionevolmente e il suo voto sarebbe determinante per raggiungere le maggioranze, oggi il tribunale può ugualmente omologare l’accordo e cramdown (forzare) il Fisco ad accettare la falcidia . Ciò rappresenta una svolta importante: in passato il diniego dell’Erario poteva bloccare tutto, ora la legge consente di superarlo se il piano è conveniente. L’accordo omologato vincola l’Amministrazione finanziaria al nuovo importo concordato: come detto, ciò incide anche sul piano penale riducendo il profitto del reato tributario . Tuttavia, è fondamentale eseguire fedelmente la transazione: se il debitore poi non paga le rate concordate col Fisco, la legge prevede la risoluzione della transazione e la ripresa della piena esigibilità del debito originario (salvo quanto già eventualmente incassato) . Dunque la transazione fiscale è efficace ma va onorata rigorosamente, altrimenti si torna al punto di partenza.

Contenzioso e autotutela – Se i debiti fiscali derivano da accertamenti contestati (avvisi di accertamento non definitivi, liti pendenti in Commissione Tributaria), una strategia difensiva è il contenzioso: proporre ricorso e cercare di ottenere l’annullamento totale o parziale della pretesa fiscale. In parallelo, si può chiedere la sospensione giudiziale della riscossione al giudice tributario se ci sono fondati motivi e rischio di grave danno. Alternativamente, si può tentare un accordo transattivo con l’Agenzia delle Entrate tramite l’istituto dell’accertamento con adesione (che può ridurre sanzioni) o sfruttare eventuali definizioni agevolate delle liti pendenti (come quelle varate con la “tregua fiscale” 2023, che consentivano di chiudere i ricorsi pagando un forfait sull’imposta). Queste opzioni esulano dalla ristrutturazione dei debiti in senso stretto, ma sono vie da percorrere se si ritiene che la pretesa fiscale sia illegittima o eccessiva.

Infine, un aspetto cruciale: la regolarità fiscale e contributiva è spesso necessaria per proseguire l’attività (pensiamo al DURC – Documento Unico Regolarità Contributiva – richiesto per partecipare ad appalti o accedere a incentivi). Un’azienda con debiti fiscali/INPS non regolarizzati perde occasioni di lavoro e facilitazioni. Pertanto, risolvere o congelare (legalmente) questi debiti tramite rateazioni, rottamazioni o procedure concorsuali significa anche recuperare agibilità (es. ottenere un DURC provvisorio se c’è un concordato in corso con contributi inclusi in transazione, ai sensi dell’art. 95 CCII).

Debiti previdenziali (INPS e altri enti)

I debiti verso l’INPS (contributi previdenziali per i dipendenti o i titolari) e verso altri enti assicurativi (INAIL per premi assicurativi obbligatori) presentano tratti simili a quelli fiscali, tanto che spesso confluiscono anch’essi nelle cartelle esattoriali e seguono la stessa disciplina di riscossione coattiva tramite l’Agenzia Entrate–Riscossione. Anche i contributi non pagati generano interessi e sanzioni civili per ritardato pagamento, a seconda che si tratti di semplice omissione o di evasione contributiva (dichiarazioni omesse o falsificate).

Rischi specifici: Oltre ai pignoramenti e alle ipoteche analoghi a quelli fiscali, il mancato versamento dei contributi previdenziali trattenuti ai lavoratori è sanzionato penalmente (art. 2 D.L. 463/1983 conv. in L. 638/1983): se l’omissione supera €10.000 annui, scatta un reato punibile con la reclusione fino a 3 anni e multa . Sotto tale soglia è previsto solo un illecito amministrativo con sanzione pecuniaria. Come per l’IVA, la regolarizzazione entro certi termini evita la punibilità: la legge concede 3 mesi di tempo per versare i contributi omessi (o per accordarsi per rateizzarli) prima che la condotta diventi reato . È dunque fondamentale, se l’azienda non riesce a pagare i contributi correnti, attivarsi immediatamente: chiedere una dilazione all’INPS o all’agente della riscossione può prevenire la denuncia (l’INPS stessa prevede che il reato è escluso se entro 3 mesi si paga quanto dovuto). Le sanzioni civili per omissione, in aggiunta, crescono col tempo fino a un massimo del 40% dell’importo dovuto , oltre interessi di mora.

Strumenti di soluzione: Per i contributi valgono le stesse leve dei debiti fiscali: – Rateazione: L’INPS consente piani di dilazione simili a quelli dell’Agenzia Entrate Riscossione (fino a 72 o 120 rate in casi eccezionali). Inoltre, grazie a un protocollo con l’Agenzia della Riscossione, una domanda di rateazione può riguardare congiuntamente imposte e contributi nelle cartelle. La concessione della dilazione (o il pagamento entro 3 mesi) evita sanzioni penali e consente di ottenere il DURC regolare durante la dilazione (fino a quando si pagano le rate). – Definizioni agevolate: Le cartelle INPS rientrano nelle rottamazioni esattoriali esattamente come quelle fiscali. Ad esempio, contributi degli anni passati inclusi in cartelle 2000-2017 hanno potuto essere rottamati nelle varie edizioni (con condono delle sanzioni civili eccetto interessi da ritardata iscrizione a ruolo). L’eventuale rottamazione quinquies comprenderà i contributi affidati entro il 2023. Dunque, l’azienda valuti la sanatoria anche per i contributi, per ridurre il debito complessivo. – Transazione contributiva: Analogamente alla transazione fiscale, nel contesto di un accordo o concordato si può proporre all’INPS (e altri enti previdenziali) un pagamento parziale dei contributi. Le regole sono le stesse illustrate per il Fisco (art. 63 CCII): è richiesta l’attestazione di convenienza e si può ottenere l’omologazione anche senza l’adesione dell’ente, nelle condizioni di legge . – Sospensione delle misure esecutive: se l’azienda accede a una procedura concorsuale (composizione negoziata con misure protettive, concordato, accordo omologando), anche le azioni di recupero contributi vengono sospese. Ad esempio, durante un concordato preventivo o un accordo in omologazione, l’INPS non può iscrivere nuovi fermi o ipoteche, né procedere a pignoramenti.

Da notare che l’assenza di un DURC regolare per debiti contributivi impedisce di contrattare con la Pubblica Amministrazione e in certi settori (edilizia, appalti) può portare alla sospensione dei lavori. Tuttavia, la legge prevede che in pendenza di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione già depositato, l’INPS rilasci un DURC “provvisorio” con validità condizionata (art. 8, c.3 D.M. 30 gennaio 2015): ciò per non penalizzare ulteriormente l’azienda che sta cercando di risanarsi. Questo è un altro esempio di come utilizzare uno strumento di crisi tuteli il debitore, permettendogli di proseguire l’attività almeno temporaneamente.

Debiti bancari e finanziari

Le esposizioni verso banche possono derivare da mutui ipotecari, finanziamenti chirografari, scoperti di conto corrente (affidamenti), leasing finanziari su macchinari, ecc. Le banche sono creditoriin genere garantiti (spesso da ipoteche su immobili, pegni su macchinari, riserve di proprietà su beni in leasing, oppure da garanzie personali dei soci). Per il debitore, i debiti bancari pongono sfide specifiche:

  • Decadenza dal beneficio del termine e richiesta di rientro: se l’azienda ritarda o salta le rate di un mutuo, la banca può (in base al contratto e all’art. 40 TUB) accelerare il credito, ossia considerare il cliente decaduto dal piano rateale e chiedere l’immediato pagamento di tutto il capitale residuo. Questa mossa, comune in caso di insolvenza, trasforma un debito a lungo termine in un debito immediatamente esigibile, spesso di importo ingente, mettendo in grave difficoltà l’impresa.
  • Garanzie reali – rischio di esecuzione: Se c’è un’ipoteca su un immobile (es. capannone, uffici) a garanzia di un mutuo, la banca inadempiuta avvierà una procedura esecutiva immobiliare. Ciò comporta il pignoramento e la vendita all’asta dell’immobile. Analogamente, un leasing non pagato porta il lessor a risolvere il contratto e riprendere il bene (con eventuale azione per canoni residui). Se il bene ipotecato o dato in leasing è essenziale per l’attività (es. l’unico stabilimento produttivo o un macchinario chiave), l’esecuzione forzata può paralizzare l’impresa.
  • Garanzie personali: Molto spesso, specie per società a responsabilità limitata di piccole-medie dimensioni, le banche hanno ottenuto fideiussioni personali dagli imprenditori o dai soci, oppure avalli su cambiali o garanzie di società collegate. In caso di insolvenza, la banca agirà contestualmente sia contro la società sia contro i garanti personali, mirando ad escutere chiunque sia solvibile. Ciò moltiplica la pressione: l’imprenditore rischia il pignoramento di case, stipendi, conti personali per debiti originati dall’azienda. Anche eventuali garanzie statali (es. Fondo PMI, SACE) verranno attivate: la banca incasserà dal garante e poi lo Stato si surrogherà rivalendosi sull’azienda.

Come difendersi e gestire i debiti bancari? Ecco alcune strategie:

  • Rinegoziazione e moratoria: Spesso il primo passo è parlare con la banca (o le banche) esponendo la situazione e chiedendo una rinegoziazione del debito. Questa può assumere forme diverse: un piano di rientro informale (ad esempio: per uno scoperto di c/c, concordare il rientro scaglionato dell’esposizione invece di un pagamento immediato), una rimodulazione delle rate di mutuo (allungamento della durata, periodo di pre-ammortamento solo interessi per ridurre le uscite nel breve termine), o anche un consolidamento (un nuovo finanziamento che accorpa e rifinanzia i debiti precedenti su durata maggiore). Negli anni passati, anche su stimolo governativo, l’ABI ha promosso moratorie per le PMI in crisi (sospensione per 6-12 mesi del pagamento della quota capitale dei mutui). Verificate se esistono iniziative simili al momento (ad esempio, in situazioni post-pandemiche o di crisi settoriale). La banca potrebbe accettare una rinegoziazione se intravede prospettive di recupero e preferisce evitare di agire giudizialmente (procedure lunghe e costose anche per il creditore). È fondamentale, in tali trattative, presentare un piano credibile e magari supportato da un advisor finanziario.
  • Accordo stragiudiziale multi-banca: Se l’azienda ha più banche finanziatrici, può tentare un accordo di ristrutturazione “collettivo” fuori dal tribunale. Ciò implica mettere attorno a un tavolo tutte le banche e proporre un piano comune (ad esempio: ciascuna accetta di allungare i prestiti, tagliare i tassi, e forse una parte di credito chirografario viene stralciata). Un tale accordo richiede la convergenza di tutte le banche coinvolte (o almeno delle principali), il che non è semplice. Spesso le banche si dotano di unità speciali per crediti deteriorati (uffici workout) con cui negoziare. È utile preparare un piano industriale e finanziario dettagliato per convincere i creditori finanziari che l’azienda, se alleggerita o aiutata, può risollevarsi. A volte gli istituti possono chiedere garanzie aggiuntive (es: pegno su magazzino, o conversione di parte del credito in equity della società – operazione quest’ultima non comune ma teoricamente possibile). In ogni caso, un accordo stragiudiziale con le banche può ricalcare nei contenuti un piano attestato di risanamento, di cui diremo nel prossimo capitolo, per usufruire della protezione dalle revocatorie.
  • Opposizioni e dilazioni giudiziali: Se la banca ha già avviato un pignoramento o un’esecuzione ipotecaria, il debitore può verificare con un legale se vi siano motivi di opposizione (vizi formali, contestazioni sul credito, usura o interessi non dovuti, ecc.). Spesso nei contratti bancari complessi può annidarsi qualche irregolarità (ad esempio interessi moratori oltre soglie d’usura, anatocismo, errata applicazione di clausole) che, se provata, può quantomeno ritardare l’azione esecutiva e indurre la banca a transigere. Inoltre, l’art. 41 TUB consente in alcune circostanze al giudice di sospendere temporaneamente l’esecuzione su istanza del debitore, se ritiene che il creditore sia sufficientemente garantito e la sospensione non arrechi pregiudizio (misura rara, ma tentabile per guadagnare tempo). Tuttavia, queste difese tecniche non risolvono il problema del debito, servono solo a prendere fiato o a eliminare addebiti illegittimi.
  • Interventi di terzi e refinancing: Un’altra opzione è cercare un nuovo finanziatore che subentri ai debiti verso la banca. Ad esempio, coinvolgere un investitore, oppure accedere a strumenti come il Fondo di Garanzia PMI per ottenere liquidità da una banca diversa e chiudere l’esposizione con quella attuale (spesso con sconto). Questo è un percorso difficile in piena crisi (nuove banche difficilmente prestano a chi è già esposto), ma non impossibile se ci sono garanzie pubbliche o private. Talvolta, se la banca originale ha classificato il credito come deteriorato, può essere interessata a cederlo a società di recupero crediti a un valore scontato: l’azienda può tentare di farsi riacquistare il proprio debito da un soggetto terzo (es. un socio o investitore) a prezzo di saldo, estinguendo la posizione originaria. È una sorta di “saldo e stralcio” bancario: alcune banche accettano accordi transattivi se percepiscono che altrimenti recupererebbero ben poco. Conviene quindi sempre sondare la disponibilità della banca a un accordo a saldo e stralcio, offrendo un pagamento immediato di una percentuale del dovuto in cambio della liberazione dal debito (i fondi potrebbero provenire magari dalla vendita di un asset non strategico o da terzi finanziatori).
  • Strumenti concorsuali: Se il debito bancario è troppo elevato e le banche non collaborano spontaneamente, restano gli strumenti legali di ristrutturazione (accordo di ristrutturazione o concordato preventivo). Nel concordato preventivo, le banche (come tutti i creditori) verranno suddivise in classi e potranno essere trattate diversamente a seconda delle garanzie: ad esempio, la banca con ipoteca su un immobile verrà soddisfatta fino al valore di stima dell’immobile (credito privilegiato) e per l’eventuale parte eccedente come chirografo, secondo le percentuali proposte. Le banche chirografarie potranno dover accettare una percentuale ridotta del loro credito, se il concordato lo prevede, subendo un cram down se la maggioranza approva la proposta. Negli accordi di ristrutturazione omologati, invece, è necessario che ciascuna banca significativa aderisca all’accordo (almeno il 60% del totale crediti finanziari, salvo accordo agevolato al 30% se applicabile) . In pratica, se la maggior parte delle banche è d’accordo, l’accordo può essere omologato dal tribunale e diventare vincolante anche per eventuali banche dissenzienti solo se si applica il meccanismo ad efficacia estesa con classi omogenee . Approfondiremo meglio più avanti, ma basti qui anticipare che le procedure concorsuali offrono modi per superare l’opposizione di singoli creditori finanziari: non occorre ottenere il sì di tutti come invece in un accordo privato. D’altro canto, aprire una procedura comporta i suoi oneri (trasparenza, tempi, costi).

In generale, per i debiti bancari il piano di difesa del debitore dovrebbe combinare: dialogo attivo con le banche per soluzioni bonarie, tutela del patrimonio (evitando di perdere asset chiave a causa di esecuzioni non controllate) magari ricorrendo a misure protettive giudiziali, e predisposizione di un serio piano di ristrutturazione del debito che convinca anche i creditori finanziari della convenienza di accettare condizioni migliorative rispetto alla liquidazione forzata.

Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari

Infine, l’azienda potrebbe avere consistenti debiti commerciali: fatture non pagate a fornitori di materie prime, subappaltatori, servizi (utenze, logistica), consulenti, etc. Questi creditori chirografari (senza garanzie) in molti casi sono anch’essi in difficoltà per il mancato pagamento e potrebbero assumere un atteggiamento aggressivo. I fornitori, oltre all’azione legale, dispongono di una leva immediata: sospendere le forniture all’azienda debitrice. Un produttore di deumidificatori, ad esempio, se non paga il fornitore di componenti elettroniche chiave, rischia di non ricevere più materiali e fermare la produzione. Ciò conferisce loro un potere contrattuale immediato.

Azioni tipiche dei fornitori creditori: – Molti fornitori agiscono tramite decreto ingiuntivo: è una procedura rapida, basata su fatture e DDT, che consente di ottenere un titolo esecutivo in 1-2 mesi. Se l’azienda non fa opposizione (o l’opposizione viene rigettata), il decreto diventa definitivo e il fornitore può pignorare beni o conti. – Alcuni creditori possono iscrivere ipoteca giudiziale (se muniti di titolo) o chiedere il fallimento dell’azienda se il credito supera determinate soglie e vi sono indizi di insolvenza. Sebbene la legge fallimentare non prevedesse soglie minime di debito per presentare istanza, nella prassi importi molto bassi difficilmente portano a un fallimento per ragioni di economia processuale. Ma importi un po’ più elevati (es. decine di migliaia di euro) sì. Quindi più fornitori potrebbero coalizzarsi o singolarmente avviare la procedura concorsuale.

Difendersi dai creditori chirografari: – Negoziare piani di rientro o saldo e stralcio: Spesso, i fornitori (soprattutto se di piccole dimensioni) preferiscono incassare qualcosa piuttosto che portare il cliente al fallimento con il rischio di non vedere nulla. Il debitore può proporre a ciascun fornitore un accordo: ad esempio pagare il 50% del dovuto subito (se reperisce liquidità) o il 70% in 6 mesi, ottenendo quietanza a saldo e stralcio del debito. Oppure rateizzare l’intero importo su 12 mesi senza interessi, offrendo magari una cambiale o effetti come garanzia (attenzione però: le cambiali non pagate facilitano poi l’azione esecutiva del creditore, quindi vanno emesse solo se si è certi di rispettarle). La credibilità è importante: presentare un piano di pagamenti realistico e rispettarlo sulle prime scadenze può convincere il fornitore a non agire giudizialmente. L’azienda può anche giocare la carta commerciale: promettere future commesse o la continuità del rapporto se il fornitore “tiene duro” accettando il piano di rientro. Dopotutto, se l’impresa chiude, il fornitore perde un cliente; se si risana, il fornitore potrà continuare a fornire. Questo argomento è spesso persuasivo, specie se il rapporto era di lunga data.

  • Verificare le forniture contestabili: Non di rado, tra i debiti verso fornitori ce ne possono essere alcuni contestabili (merce difettosa, ritardi di consegna, addebiti non dovuti). Il debitore può sfruttare eventuali eccezioni contrattuali per prendere tempo o ridurre l’importo da pagare. Ad esempio, opporsi a un decreto ingiuntivo allegando contestazioni sulla qualità del prodotto fornito può rinviare un’eventuale esecuzione e aprire lo spazio per transigere a una somma inferiore. Ovviamente, tali contestazioni devono essere genuine per non configurare un abuso del diritto. Ma è buona pratica che l’azienda in crisi riesamini ogni posizione debitoria per verificare se vi siano note di credito non emesse, addebiti erronei, prescrizioni maturate, ecc., da utilizzare come leva negoziale o difensiva.
  • Coordinare i creditori chirografari: Se i debiti verso fornitori sono diffusi, l’azienda potrebbe convocare una riunione con i principali creditori commerciali per spiegare la situazione e proporre un accordo collettivo (ad esempio: pagamento del 40% a tutti entro tot mesi, magari finanziato dalla vendita di un bene, oppure conversione di parte dei crediti in una partecipazione nella società se i fornitori fossero interessati a “entrare” per salvare l’azienda). Questo approccio è più complesso da gestire (ci vuole trasparenza di bilanci e un piano chiaro) ma a volte produce soluzioni globali evitando disparità di trattamento. Tuttavia, dal punto di vista giuridico un accordo plurilaterale con tutti i fornitori è difficile da ottenere (basta uno dissenziente per poter agire per conto suo). Se serve legare tutti i creditori chirografari a un trattamento uguale e vincolante, la via maestra è utilizzare gli strumenti concorsuali (concordato preventivo o accordo ex art. 182-bis omologato).
  • Misure protettive: Anche contro i fornitori, il debitore può attivare strumenti per congelare le azioni esecutive: l’avvio di una composizione negoziata della crisi con richiesta di misure protettive, ad esempio, inibisce ai creditori (fornitori inclusi) di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali per il periodo autorizzato dal tribunale . Similmente, il deposito di un ricorso per concordato preventivo (concordato “in bianco”) produce lo stay automatico delle azioni esecutive e cautelari sino al termine concesso per presentare il piano (in genere 120 giorni prorogabili) ex art. 54 CCII. Quindi, se la pressione dei fornitori sta diventando ingestibile (pignoramenti multipli in arrivo), può essere opportuno imboccare formalmente una procedura concorsuale per beneficiare della moratoria generale e guadagnare tempo per strutturare una proposta.

Riassumendo, i debiti chirografari possono spesso essere ristrutturati in modo consistente, in quanto i fornitori sanno che in caso di fallimento otterrebbero solo una parte esigua (spesso nulla) del loro credito. Una proposta di pagamento parziale ma in continuità aziendale può risultare attrattiva. È però essenziale assicurare parità di trattamento o comunque evitare che un fornitore si senta discriminato rispetto ad altri: ciò richiede abilità negoziale o, meglio ancora, formalizzare il tutto in un unico piano (come un concordato) dove gli chirografari vengono soddisfatti in percentuale equa. Più avanti vedremo come un concordato preventivo liquidatorio richieda per legge di garantire ai chirografari una % minima (tipicamente il 20%) salvo apporti esterni , mentre in uno in continuità la % dipende dal valore generabile dalla prosecuzione dell’attività ma deve comunque essere non inferiore al ricavabile in caso di liquidazione fallimentare (principio del “miglior soddisfacimento” ex art. 84 CCII).

Tabella riepilogativa – Tipologie di debito e strumenti di gestione

Tipo di debitoChi può agire / PrivilegiRischi per l’aziendaStrumenti di difesa
Debiti fiscali (IVA, IRES, ritenute)Riscossione a cura di Agenzia Entrate–Riscossione. Molti crediti con privilegio generale o speciale.– Ipoteca su immobili<br>– Fermo amministrativo su veicoli<br>– Pignoramento conti e beni mobili senza giudice<br>– Blocco rimborsi fiscali dovuti all’azienda<br>– Divieto di compensazione crediti se iscritti a ruolo > €5.000<br>– Possibile denuncia penale (omesso IVA > €250k annuo)– Rateizzazione fino 6-10 anni (72-120 rate) <br>– Rottamazione cartelle (no sanzioni, interessi ridotti) <br>– Transazione fiscale nel concordato/accordo (possibile stralcio parziale con omologazione anche senza adesione Fisco) <br>– Sospensione giudiziale se ricorso su avviso accertamento (cautelare tributaria)<br>– Certificazione dei crediti P.A. (per compensare debiti fiscali con crediti verso lo Stato, se normativamente ammesso)
Debiti contributivi (INPS, INAIL)Riscossione tramite Agenzia Entrate–Riscossione. Crediti privilegiati (come fiscali).– Sospensione DURC (no appalti/pubblici)<br>– Ipoteca/pignoramenti simil-fisco<br>– Denuncia penale omesse ritenute > €10k <br>– Sanzioni civili elevate (fino 40-60% del dovuto)– Rateizzazione cartelle (come per imposte)<br>– Definizione agevolata cartelle (rottamazione) per sanzioni civili<br>– Transazione contributiva nel concordato/accordo (stralcio/dilazione contributi) <br>– Pagamento entro 3 mesi per evitare reato (ravvedimento operoso) <br>– DURC regolare in pendenza di procedura concorsuale (sospensione sanzioni)
Debiti bancari (mutui, finanziamenti, leasing)Banche, leasing, factor. Spesso garantiti (ipoteche, pegni, riserva proprietà) = crediti privilegiati o assistiti da cause legittime di prelazione.– Revoca fidi e prestiti (richiesta rientro immediato)<br>– Esecuzione immobiliare su capannoni/ipoteche<br>– Ritiro beni in leasing (risoluzione contratto)<br>– Escussione di fideiussioni personali (patrimonio personale soci a rischio)<br>– Segnalazione a Centrale Rischi (difficoltà ottenere nuovo credito)– Moratoria/standstill accordato dalla banca (temporanea sospensione rate)<br>– Rinegoziazione: allungamento piani di ammortamento, abbassamento tassi<br>– Accordo stragiudiziale con banche (piano attestato)<br>– Ricorso a garanzie statali (Fondo PMI) per rifinanziare il debito<br>– Opposizione in giudizio se vizi (contestazione interessi usurari, anatocismo) per guadagnare tempo<br>– Procedura concorsuale (concordato/accordo): blocco azioni esecutive e possibilità di imposizione di un trattamento ai dissenzienti (cram down in concordato)
Debiti fornitori (trade)Fornitori, professionisti, locatori, etc. Chirografari (nessuna garanzia, salvo eventuali riserve proprietà su beni forniti).– Sospensione forniture essenziali (fermo produzione)<br>– Azioni legali rapide (decreto ingiuntivo, pignoramenti su conto, presso terzi)<br>– Istanza di fallimento se insolvenza<br>– Deterioramento reputazione commerciale (fornitori richiedono pagamenti anticipati)– Accordi individuali saldo e stralcio (pagamento parziale immediato)<br>– Piani di rientro dilazionati (meglio se garantiti da pagherò cambiari per dare fiducia, pur con cautela)<br>– Coordinamento creditori in accordo comune (difficile senza procedura)<br>– Opposizioni con eccezioni su fornitura (per rinviare esecuzioni)<br>– Misure protettive attraverso composizione negoziata o domanda di concordato (stay delle azioni) <br>– Concordato preventivo: pagamento parziale secondo percentuale, vincolante per tutti gli chirografari (es. 20% minimo se liquidatorio, salvo risorse esterne)

(Legenda: privilegiato = con diritto di prelazione sul ricavato dei beni; chirografo = creditore senza prelazione; stay = sospensione delle azioni esecutive individuali da parte dei creditori.)

Strumenti di ristrutturazione del debito e risanamento: soluzioni stragiudiziali e concorsuali

Passiamo ora in rassegna gli strumenti concreti che l’ordinamento mette a disposizione di un imprenditore in difficoltà per ristrutturare i debiti della propria azienda di deumidificatori industriali. Si va da soluzioni stragiudiziali (private, fuori dal tribunale) a procedure concorsuali (che coinvolgono l’autorità giudiziaria). La scelta dipende dal grado di crisi, dalla disponibilità dei creditori a collaborare e dagli obiettivi dell’imprenditore (continuare l’attività, salvare solo parte dell’azienda, liquidare tutto evitando implicazioni personali, ecc.). Di seguito esamineremo i vari strumenti in ordine crescente di complessità e coinvolgimento giudiziario:

  • Accordi stragiudiziali informali (piani di rientro, saldo e stralcio one-to-one)
  • Piano attestato di risanamento (art. 56 Codice Crisi, già art. 67 L.Fall)
  • Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 Codice Crisi, ex art. 182-bis L.Fall), con le varianti agevolati e ad efficacia estesa
  • Concordato preventivo (artt. 84-120 Codice Crisi), nelle forme in continuità aziendale o liquidatorio (incluso il concordato semplificato post composizione negoziata)
  • Procedure per imprenditori minori (concordato minore e liquidazione controllata, ex Legge sovraindebitamento ora nel Codice)
  • Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021, ora art. 12-25 quinquies CCII): un percorso negoziale assistito dall’esperto, recentemente introdotto.

Vediamo ciascuno in dettaglio, evidenziando come funzionano, i requisiti, vantaggi e svantaggi dal punto di vista del debitore.

Soluzioni stragiudiziali informali

Queste sono le soluzioni più semplici sul piano formale: consistono in accordi privati tra l’azienda debitrice e uno o più creditori, senza il coinvolgimento di tribunali o omologazioni. Ne abbiamo già parlato in parte a proposito dei debiti verso fornitori e banche: rientrano qui tutti i piani di rientro e transazioni che il debitore negozia direttamente.

Caratteristiche: Sono estremamente flessibili (possono prevedere qualsiasi cosa su cui le parti concordino: nuove scadenze, rinuncia a interessi, riduzioni di importo, conversione debito in equity, ecc.) e riservati (non diventano pubblici, a differenza di un concordato che è iscritto al registro imprese). L’imprenditore mantiene il pieno controllo e può evitare lo stigma di una procedura concorsuale. Tuttavia, tali accordi vincolano solo i creditori che li sottoscrivono. Se anche un solo creditore importante resta fuori e decide di agire in via esecutiva o chiedere il fallimento, l’accordo parziale non lo fermerà. Inoltre, l’accordo stragiudiziale non beneficia di protezioni legali automatiche: ad esempio, le azioni esecutive dei creditori non firmatari non sono sospese, non c’è una moratoria generale. In più, se poi la società fallisce, i pagamenti fatti in esecuzione di un accordo stragiudiziale potrebbero essere soggetti a revocatoria fallimentare (come atti a favore di un creditore in pregiudizio degli altri), a meno che l’accordo rientri in uno schema tutelato come il piano attestato.

Quando usarle: Tipicamente gli accordi informali funzionano se il numero di creditori è limitato, o se comunque si riesce a coinvolgere tutti i principali. Ad esempio, se la crisi riguarda soprattutto debiti verso due banche e tre fornitori principali, è possibile provare a fare un accordo con questi cinque soggetti, risolvendo l’80-90% dell’esposizione. I piccoli creditori residui potranno essere pagati normalmente o trattati a parte. Se invece i creditori sono decine o centinaia (come nel caso di un’azienda con molti fornitori), diventa quasi impossibile ottenerne il consenso unanime fuori dalle procedure concorsuali.

Vantaggi: massima semplicità e rapidità (basta la firma delle parti, non serve omologa), costi ridotti (non ci sono spese di procedura, solo eventualmente consulenze professionali per stendere gli accordi). Inoltre, l’azienda evita di apparire “in concordato”, circostanza che spesso fa scattare ad esempio la revoca di affidamenti bancari e la diffidenza dei partner commerciali. Un accordo privato, se resta riservato, può consentire di superare la crisi sotto traccia e salvaguardare la reputazione.

Svantaggi: nessuna certezza di bloccare i creditori non aderenti; rischio di revocatoria (se si pagano creditori prima del fallimento, quei pagamenti preferenziali entro 6 mesi-1 anno possono essere revocati dal curatore, salvo rientrino in esenzioni di legge). Inoltre manca un controllo di legittimità: se in un accordo stragiudiziale si decide di pagare al 100% certi creditori e zero altri, chi resta a zero potrebbe impugnare l’accordo (anche se non firmatario, può comunque tentare un’azione ordinaria se ritiene che quell’accordo integri atti in frode). Non c’è la “forza di legge” di un concordato omologato.

Esempio pratico: la nostra azienda di deumidificatori potrebbe siglare con la banca Alfa un accordo di moratoria (niente azioni legali per 12 mesi e intanto paga solo interessi), con la banca Beta un rifinanziamento decennale del debito, con 5 fornitori principali un saldo al 50%. Mettendo insieme i pezzi, l’azienda alleggerisce e diluisce il debito totale. Questi accordi potrebbero essere formalizzati separatamente. Per dare un minimo di coerenza, l’impresa può predisporre un piano di risanamento interno da presentare ai creditori per convincerli della sostenibilità delle nuove condizioni.

È sempre consigliabile, nell’ambito stragiudiziale, farsi assistere da un professionista esperto in crisi d’impresa, sia per la negoziazione sia per la redazione di accordi chiari, evitando clausole che possano generare equivoci o contenziosi futuri.

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)

Il piano attestato di risanamento è un particolare tipo di accordo stragiudiziale qualificato, previsto dalla legge, che offre un beneficio importante: se correttamente eseguito, protegge da azioni revocatorie fallimentari i pagamenti e le garanzie concesse in sua esecuzione . In pratica, è uno scudo a posteriori: se poi l’azienda fallisse, il curatore non potrebbe far annullare (revocare) i pagamenti fatti ai creditori in attuazione del piano, purché questo fosse conforme all’art. 56 CCII (già art. 67, co.3, lett. d) L.Fall). Inoltre, il piano attestato è uno strumento citato nell’art. 2086 c.c.: farne uso dimostra di essersi attivati per il risanamento.

Come funziona: L’impresa elabora un piano di risanamento dettagliato, contenente le misure da intraprendere (ristrutturazione del debito, ma anche riorganizzazione aziendale, dismissione di asset, aumento di capitale, nuovi finanziamenti, ecc.) e i flussi economico-finanziari previsti per almeno i prossimi 2-3 anni, che mostrino il ritorno all’equilibrio. Questo piano deve avere una data certa (tipicamente si procede a farlo asseverare e pubblicare, vedi sotto). Un professionista indipendente (iscritto al registro revisori o con requisiti di crisi d’impresa) viene incaricato di esaminare il piano e rilasciare un’attestazione formale in cui dichiara che: (a) la situazione aziendale e debitoria è stata rappresentata correttamente e completamente, (b) l’insieme delle misure previste è idoneo a garantire il risanamento dell’impresa e l’integrale pagamento dei creditori entro il termine del piano. L’attestatore quindi deve validare che il piano porta al salvataggio e che i creditori saranno soddisfatti secondo quanto promesso.

Natura dell’accordo: Il piano attestato non richiede approvazione dei creditori né omologazione. Non è una procedura concorsuale. Di fatto, è un documento unilaterale (dell’azienda, attestato dal professionista) che può essere affiancato da accordi bilaterali con i singoli creditori (ad esempio, scritture private di remissione parziale di debito, nuovi patti di pagamento, ecc.). Non c’è un voto dei creditori: ciascuno decide se aderire o meno alle proposte del piano. I creditori “critici” di solito firmano accordi individuali aderendo al piano (ad es., la banca firma un accordo di moratoria conforme al piano di risanamento presentato).

Formalità: Il piano attestato, con la relazione dell’esperto, viene pubblicato nel registro delle imprese per dare pubblicità (se l’imprenditore lo desidera, non è obbligatorio per la validità, ma fortemente consigliato per dare data certa e opponibilità ai terzi). Dal momento della pubblicazione, i terzi (incluso un futuro curatore) sono informati che l’azienda ha posto in essere un piano di risanamento attestato.

Vantaggi: Come detto, l’enorme vantaggio è la protezione delle operazioni compiute in esecuzione del piano contro eventuali revocatorie. In caso di successivo fallimento, di regola il curatore può chiedere la revoca di pagamenti preferenziali fatti nei 6 mesi precedenti e di garanzie concesse nell’anno precedente. Se però quei pagamenti/garanzie erano previsti dal piano attestato e servivano ad attuarlo, non sono revocabili (art. 166, co.3, lett. e CCII ). Ciò dà sicurezza ai creditori che partecipano: ad esempio, un fornitore che accetta un pagamento parziale subito a saldo, può incassare sapendo che quel pagamento non verrà poi reclamato dal curatore come preferenziale a suo danno. Tale sicurezza incentiva i creditori ad aderire. Un altro vantaggio è che il piano attestato è confidenziale e flessibile come un accordo stragiudiziale, ma con una sorta di bollino di qualità dato dall’attestatore professionale. Alcune banche, ad esempio, preferiscono vedere un piano attestato (anziché un generico piano non asseverato) prima di approvare rinegoziazioni, per avere una valutazione indipendente della fattibilità.

Svantaggi: Non c’è un effetto impositivo sui dissenzienti: se un creditore non vuole aderire al piano, nulla lo obbliga e potrà agire per conto suo (il piano attestato non blocca le azioni esecutive). Inoltre, l’attestazione deve concludere che i creditori saranno pagati integralmente. Questo strumento infatti non consente di imporre perdite ai creditori non consenzienti: se il piano prevede falcidie, occorre che ciascun creditore coinvolto le accetti contrattualmente. Il piano attestato è dunque utile se c’è ragionevole consenso e se si mira a pagare tutti i creditori (magari in forma dilazionata). Se invece serve imporre tagli unilaterali ai crediti o includere creditori non cooperativi, il piano attestato non basta, servirà un concordato o accordo omologato.

Attenzione: l’attestatore indipendente si assume una responsabilità importante e la sua opinione sarà rigorosa. Non è un mero timbro: se la situazione è compromessa al punto che l’attestatore non vede come garantire il pagamento integrale dei debiti, egli non potrà attestare positivamente. In tal caso l’azienda dovrà passare a strumenti concorsuali che ammettono il pagamento parziale dei creditori (accordi o concordato).

In sintesi, il piano attestato di risanamento è lo strumento ideale quando l’impresa ha una crisi sì seria ma ancora gestibile con misure autonome, e vuole evitare procedure pubbliche. Ad esempio, se grazie a nuovi investimenti dei soci e a qualche dilazione concordata, l’azienda può ragionevolmente pagare tutti nell’arco di un paio d’anni, un piano attestato formalizza e consolida questo impegno con garanzie per i creditori.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)

Gli accordi di ristrutturazione sono una via di mezzo tra il piano privato e il concordato giudiziale. Prevedono infatti un accordo negoziato con i creditori, ma con l’intervento finale del tribunale che lo omologa rendendolo efficace erga omnes rispetto ai creditori aderenti e con taluni effetti sui non aderenti. La normativa originaria (art. 182-bis Legge Fall.) è stata recepita nel Codice della Crisi (art. 57 e seguenti) e aggiornata con i correttivi 2022-2024 . Ecco i punti chiave:

Requisiti e maggioranze: Il debitore (anche non fallibile, purché imprenditore – sono esclusi i soli consumatori e debitori civili) deve trovarsi in stato di crisi o insolvenza e raggiungere un accordo con creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti complessivi . Questa è la versione di base, detta accordo ordinario. Se raggiunge tale soglia di consenso, può chiedere al tribunale l’omologazione dell’accordo. I creditori che hanno aderito (firmato l’accordo) saranno vincolati ai nuovi termini (riduzioni, dilazioni ecc. pattuite). I creditori che non aderiscono restano creditori per intero, ma ovviamente l’impresa potrà averli pagati nel frattempo o potrà lasciarli estranei all’accordo pagando loro integralmente quanto dovuto a scadenza ordinaria (questa è spesso la strategia: tenere fuori dall’accordo i piccoli creditori che si decide di pagare normalmente, e includere solo quelli rilevanti da ristrutturare). Importante: esistono due varianti introdotte dal Codice della Crisi : – Accordo agevolato (art. 60 CCII): se l’imprenditore non chiede misure protettive e non intende dilazionare o postergare il pagamento dei creditori estranei all’accordo, la soglia di consenso richiesta scende al 30% . In pratica, rinunciando ad alcuni “vantaggi” (niente stay automatico e niente toccare i creditori fuori accordo), si può fare un accordo anche con solo il 30% di crediti consenzienti. Questo strumento è pensato per crisi più circoscritte o per incoraggiare il debitore a non abusare del congelamento verso chi non è coinvolto. – Accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCII): se i creditori vengono suddivisi in categorie omogenee per posizione giuridica e interessi economici, ed almeno il 75% di una data categoria aderisce, il debitore può chiedere che gli effetti dell’accordo si estendano anche ai creditori non aderenti di quella stessa categoria . Questo meccanismo consente di superare l’ostacolo di poche teste dure: ad esempio, se su 10 fornitori (categoria chirografi commerciali) 8 aderenti coprono l’80% dei crediti di quella classe e 2 non vogliono firmare, il tribunale può comunque estendere l’accordo anche a quei 2, legandoli alle condizioni concordate dagli altri. È un piccolo “cram down” settoriale. Non si applica però ai creditori muniti di garanzie reali che non rinunciano (quelli vanno soddisfatti al 100% se non aderiscono).

Procedura: Il debitore elabora un piano di ristrutturazione molto simile a quello di un concordato (indicando come intende soddisfare i creditori, eventualmente in percentuale e con quali tempi). In parallelo conduce trattative con i principali creditori. Può avvalersi di advisor finanziari e legali per convincerli e strutturare le proposte. Quando ottiene le firme necessarie (60% o 30% a seconda del caso), presenta domanda di omologazione al tribunale competente, allegando l’accordo, il piano e una relazione di un professionista indipendente che attesta la veridicità dei dati e l’attuabilità dell’accordo (e che i creditori estranei saranno pagati regolarmente, nonché che i creditori in caso di liquidazione non otterrebbero di meglio – il requisito del “miglior soddisfacimento”). Questa relazione è fondamentale per dare garanzie al giudice e ai creditori sull’equità del piano.

Il tribunale fissa un termine (entro 30 giorni) per l’eventuale opposizione da parte di creditori rimasti estranei che si ritengano pregiudicati. Se non ci sono opposizioni (o se vengono superate), il tribunale omologa l’accordo. Con l’omologazione, l’accordo diviene efficace e vincolante secondo i suoi termini. Effetti: – I creditori aderenti non possono più agire per vie legali individuali, devono rispettare le nuove scadenze e riduzioni pattuite. – I creditori non aderenti restano liberi, salvo l’efficacia estesa di cui sopra. Tuttavia, spesso il debitore durante le trattative con l’80% dei creditori ottiene un decreto del tribunale che sospende temporaneamente le azioni esecutive per condurre in porto l’accordo (art. 54 CCII prevede misure protettive anche per chi tratta un accordo). Con l’omologa, queste misure cessano e dunque i creditori estranei potrebbero riprendere le azioni se non sono stati soddisfatti a parte. – L’accordo omologato è pubblicato nel registro imprese; da quel giorno decorrono gli effetti e iniziano le esecuzioni del piano. Non c’è una fase di voto come nel concordato, perciò non c’è un commissario giudiziale nominato durante la procedura, di norma. La gestione rimane in mano all’imprenditore (nessuno spossessamento).

Trattamento di Fisco e INPS: merita attenzione. Spesso una buona fetta del debito da ristrutturare riguarda l’erario o gli enti previdenziali. L’adesione di questi enti è regolata dalla transazione fiscale (art. 63 CCII). Il debitore presenta loro una proposta di pagamento parziale/dilazionato. Con le novità del 2024, l’attestatore deve valutare che la proposta al fisco non sia inferiore a quanto otterrebbe in caso di liquidazione, se c’è continuità, o che sia migliorativa se è liquidatoria . Se Agenzia Entrate o INPS non aderiscono e il loro voto sarebbe determinante per raggiungere il 60% (o il 30%) necessario, il debitore può chiedere ugualmente l’omologazione sfruttando il cram-down pubblico: il giudice verifica che la loro pretesa sia trattata nel piano in modo conveniente e, se la mancata adesione risulta ingiustificata, omologa l’accordo anche senza il loro consenso vincolandoli comunque . Questa possibilità (introdotta e rafforzata nel 2022-24) tutela il debitore da comportamenti arbitrari della PA creditori e ha lo scopo di favorire soluzioni concordate invece di fallimenti.

Esecuzione e risoluzione: Una volta omologato, l’accordo deve essere eseguito dall’imprenditore secondo il piano. La legge non prevede uno specifico organismo di controllo dell’esecuzione (a differenza del concordato preventivo che ha il commissario e poi il liquidatore). Questo è un punto critico: l’accordo si basa sulla fiducia e sulla responsabilità del debitore. Non c’è nemmeno una norma specifica sulla risoluzione per inadempimento (non è previsto un meccanismo giudiziale automatico) . In teoria, se il debitore non rispetta il piano, i singoli creditori torneranno liberi di agire (e potenzialmente di chiedere il fallimento). Di fatto, la Cassazione ha chiarito che se dopo l’omologazione l’impresa non supera la crisi e viene comunque dichiarata fallita, l’accordo omologato cessa automaticamente e i creditori tornano ai loro diritti originari per la parte non eseguita, senza bisogno di ulteriori cause di risoluzione . Quindi un eventuale fallimento successivo rende privo di effetti residui l’accordo, per impossibilità sopravvenuta, e i creditori aderenti non devono neppure agire in giudizio per sciogliersene – si ritengono già liberi di insinuarsi per l’intero residuo .

Vantaggi: L’accordo di ristrutturazione è molto utile quando il debitore riesce a ottenere il supporto della maggioranza qualificata dei creditori ma vuole evitare la complessità di un concordato pieno. Ha costi inferiori e tempi più rapidi di un concordato (non c’è votazione né la procedura si trascina con commissari; teoricamente, si può depositare l’accordo già firmato e ottenere omologa in pochi mesi). L’impresa mantiene la gestione ordinaria e straordinaria (nessuna autorizzazione giudice salvo, forse, per atti straordinari chiesti come misure protettive). C’è maggiore riservatezza verso l’esterno: benché l’accordo sia pubblicato, spesso passa più inosservato di un concordato. Inoltre, l’accordo può essere più flessibile nei contenuti: ad esempio, a differenza del concordato liquidatorio, non c’è la regola fissa del pagamento minimo 20% ai chirografari – decide il piano caso per caso con i creditori concordi. Anche la suddivisione in classi è opzionale, non obbligatoria, se non si vuole l’efficacia estesa.

Svantaggi: L’ostacolo principale è che bisogna comunque convincere una larga parte di creditori a firmare. I creditori piccoli o dissenzienti restano fuori e l’azienda deve essere in grado di pagare integralmente questi estranei (specie se vuole l’accordo agevolato al 30%: condizione è non moratoria per estranei). Dunque, l’accordo funziona bene se la massa dei crediti da sacrificare è in mano a pochi soggetti negoziabili (es. banche, leasing, fisco), mentre i creditori minori vengono pagati fuori accordo. Se invece la struttura debitoria è molto frammentata e includere tutti al 60% è complicato, di solito si opta direttamente per un concordato (dove i non consenzienti possono essere crammati con il voto della maggioranza).

Per il nostro caso, si potrebbe ipotizzare un accordo di ristrutturazione così composto: banche (70% del debito) aderenti accettano rimborso al 80% del loro credito su 5 anni; Agenzia Entrate e INPS (15% del debito) aderiscono o vengono crammate per pagamento 50% dilazionato; fornitori piccoli (15% del debito totale) restano estranei ma saranno pagati man mano alle scadenze originali grazie al sollievo di cassa ottenuto dagli altri tagli. Se questo è fattibile, l’accordo coinvolgerà già l’85% dei crediti, quindi sopra soglia, e verrà omologato.

Concordato preventivo (artt. 84 e ss. CCII)

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale più nota e strutturata, destinata all’imprenditore commerciale insolvente o in crisi che voglia evitare la liquidazione giudiziale, proponendo un concordato ai creditori sotto controllo del tribunale. A differenza dell’accordo di cui sopra, qui tutti i creditori (salvo eventualmente quelli privilegiati soddisfatti integralmente) sono coinvolti nella procedura e vincolati dall’esito, senza necessità di consenso individuale. È uno strumento potente ma impegnativo, da riservare alle situazioni in cui un risanamento o una liquidazione concordata richiedono di gestire collettivamente la crisi.

Tipologie: Il Codice della Crisi distingue principalmente: – Concordato in continuità aziendale (art. 84 co.2 CCII): quando il piano prevede che l’attività d’impresa prosegua, direttamente da parte del debitore o tramite cessione/affitto a un altro soggetto, in modo da generare valore e soddisfare i creditori col ricavato della gestione in continuità. Esempio: l’azienda continua a produrre deumidificatori durante e dopo il concordato, paga i creditori con gli utili futuri e magari con l’apporto di un investitore, mantenendo i posti di lavoro. La continuità può essere diretta (la stessa società prosegue) o indiretta (il piano prevede che un terzo rilevi l’azienda in esercizio, garantendo la continuità presso un nuovo soggetto). Il concordato in continuità è incentivato dalla legge come opzione preferibile, perché salva l’impresa come entità funzionante. – Concordato liquidatorio (art. 84 co.3 CCII): quando il piano si limita a liquidare il patrimonio del debitore per distribuire il ricavato ai creditori, senza continuare l’attività (se non per stretta necessità di vendita). È di fatto una liquidazione controllata, eventualmente resa più efficiente dalla proposta di un assuntore (un soggetto che versa una somma in cambio di rilevare i beni). Il Codice pone condizioni più rigide per ammettere concordati meramente liquidatori: storicamente c’era la regola del pagamento minimo del 20% ai chirografari , e l’obbligo di apportare risorse esterne almeno del 10% dell’attivo se si offriva meno del 20%. Con le riforme potrebbe esserci stata qualche modifica (alcune fonti indicano soglia 10% se ci sono risorse esterne altrimenti 20%) . In ogni caso, l’idea è di evitare concordati liquidatori che diano percentuali irrisorie: se l’imprenditore non aggiunge niente e offre ai chirografari meno del 20%, il tribunale può non ammettere il concordato perché tanto varrebbe la liquidazione giudiziale. – Concordato misto o con assuntore: spesso i piani prevedono sia una parte di continuità sia la liquidazione di alcuni beni non strategici. Oppure prevedono che un investitore (assuntore) prenda in carico l’azienda e paghi un certo corrispettivo da destinare ai creditori. L’assuntore può anche impegnarsi a pagare direttamente i creditori in certe percentuali, diventando parte proponente del concordato.

Una menzione va al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) introdotto nel 2021 e confermato: esso è riservato ai casi in cui fallisce la composizione negoziata e l’imprenditore non ha altre soluzioni. In quella situazione, senza passare per il voto dei creditori, può proporre al tribunale un concordato liquidatorio semplificato: il tribunale, valutato che la proposta non è manifestamente peggiorativa rispetto a una normale liquidazione, può omologarla direttamente . Non serve maggioranza dei creditori, infatti la legge lo chiama semplificato proprio perché manca la votazione. I creditori possono solo opporsi in sede di omologa. Questo strumento serve a chiudere rapidamente una crisi quando la negoziazione è fallita e non si vuole (o non c’è tempo per) aprire un fallimento tradizionale. Tuttavia, come visto in precedenza, i tribunali applicano un rigoroso controllo di fattibilità: se il piano di liquidazione appare aleatorio o poco garantito (attivi incerti, valori dubbi, passivo non chiaro), possono rigettare l’omologa del concordato semplificato . Ad esempio, nel caso del Tribunale di Lecce 2025, un concordato semplificato è stato respinto perché l’attivo prospettato (crediti da Superbonus, affitti futuri) era troppo incerto e senza adeguate garanzie, e mancava chiarezza sul passivo . Ciò a tutela dei creditori: non li si può vincolare a una proposta fumosa solo perché non votano. Quindi “semplificato” non significa “in automatico”: il giudice valuta attentamente la convenienza e la serietà della proposta.

Procedura del concordato preventivo ordinario: L’imprenditore presenta ricorso al tribunale allegando il piano concordatario, i documenti contabili, uno stato analitico delle passività e l’elenco dei creditori, la relazione di un attestatore indipendente sulla veridicità dei dati e fattibilità del piano (o più precisamente, sul fatto che i creditori riceveranno in concordato non meno di quanto otterrebbero in liquidazione giudiziale, c.d. test di convenienza ). Il tribunale verifica i requisiti di ammissibilità (presenza di documenti, rispetto soglie se liquidatorio, ecc.) e, se positivo, ammette la società alla procedura di concordato. Con il decreto di ammissione: – Nomina un Commissario Giudiziale, figura terza che sorveglia la gestione dell’impresa durante il concordato e riferisce ai creditori e al giudice. – Ordina pubblicità e notifica ai creditori dell’avvenuta apertura del concordato. – Fissa il termine per i creditori per presentare eventuali osservazioni sulla proposta e il giorno per l’adunanza dei creditori (o comunica modalità di voto se non in adunanza fisica, come previsto dal CCII). – Dispone l’eventuale continuazione provvisoria dell’attività se non era già nel piano (nel concordato in continuità, l’attività prosegue normalmente sotto la gestione del debitore, sotto vigilanza).

Effetti: Dal deposito del ricorso per concordato, e ancor più dopo l’ammissione, scatta una moratoria generale: i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali né cautelari (pignoramenti, sequestri) sul patrimonio del debitore. Eventuali procedure pendenti restano sospese. I crediti anteriori alla domanda non possono essere pagati al di fuori del piano (salvo autorizzazioni specifiche del tribunale per pagamenti urgenti di fornitori strategici, ecc., in concordato in continuità – art. 100 CCII). Gli interessi sui debiti chirografari restano congelati.

Gli organi del concordato sono: il giudice delegato (nominato dal tribunale per sovraintendere alla procedura), il Commissario Giudiziale (che è spesso un commercialista o esperto nominato dall’autorità) e il Comitato dei creditori (che però non sempre viene formato, solo se utile).

Il Commissario raccoglie le prove dei crediti (i creditori inviano le loro domande di ammissione), verifica l’elenco predisposto dal debitore, redige una relazione per i creditori sulla causa della crisi e sulla valutazione della proposta, esprimendo un parere sulla convenienza del concordato. Nella sua relazione, confronta ciò che i creditori otterrebbero nel concordato proposto con quanto ricaverebbero in caso di liquidazione giudiziale, e può suggerire il voto favorevole o meno.

Classi e votazione: Nel concordato, se ci sono creditori con posizioni giuridiche differenti, la legge impone di suddividerli in classi. In particolare, i creditori privilegiati (es. ipotecari, pignoratizi) costituiscono classi a sé se il piano ne prevede l’alterazione (cioè se non verranno pagati integralmente o nei tempi contrattuali). I creditori chirografari spesso sono raggruppati in classi omogenee (es. fornitori chirografi in una, banche chirografarie in un’altra, etc.) se hanno interessi economici diversi. Ad esempio, si può porre in classi differenti i fornitori strategici ai quali si offre il 50% e i fornitori generici ai quali si offre il 30%. La formazione di classi serve a rendere più equa la votazione.

La proposta concordataria viene sottoposta a voto dei creditori ammessi al voto (i privilegiati totalmente soddisfatti di regola non votano, perché non toccati; se un privilegiato viene parzialmente degradato a chirografo, vota per la parte non soddisfatta). Per l’approvazione occorre la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza semplice >50% del totale del debito votante) calcolata per classi. In pratica, se i creditori sono senza classi, basta il sì del 50%+1 del totale crediti. Se ci sono classi, la maggioranza si calcola in ogni classe e serve che la proposta sia approvata da la maggioranza delle classi votanti. Inoltre, almeno una classe di creditori non titolati (chirografi) deve aver votato sì, se no il concordato non è approvabile. Il meccanismo dettagliato è complesso (il CCII potrebbe aver introdotto qualche variazione come la riduzione di quorum in taluni casi), ma semplificando: serve grosso modo che i creditori per valore siano favorevoli. I creditori dissenzienti però possono essere cram-down in presenza di certe condizioni: il tribunale può omologare il concordato anche se una o più classi hanno detto no, a patto che (a) il concordato sia stato approvato da almeno una classe di creditori non privilegiati, (b) i creditori dissenzienti non ricevano meno di quanto otterrebbero in liquidazione e non siano discriminati ingiustamente . Questo consente di superare l’eventuale veto di minoranze.

Omologazione: Se i creditori approvano (o il tribunale ritiene di poter superare il dissenso con cram-down), si passa all’udienza di omologazione. I creditori contrari possono proporre opposizione se ritengono che il piano violi la legge o sia fraudolento o la votazione sia irregolare. Il tribunale (collegiale) decide sulle opposizioni ed emette il decreto di omologazione del concordato se tutto è in regola. Da quel momento, la procedura concordataria entra nella fase esecutiva.

Esecuzione del piano: In un concordato in continuità, il debitore stesso continua la gestione e paga i creditori secondo le scadenze del piano sotto la sorveglianza del Commissario Giudiziale (che di solito rimane in funzione di vigilanza) o eventualmente di un “attestatore monitoraggio” nei casi complessi. In un concordato liquidatorio, spesso il tribunale nomina un Liquidatore giudiziale, che si occupa di vendere i beni (immobili, macchinari, ecc.) secondo il piano e distribuire i proventi ai creditori nelle percentuali previste. Il liquidatore agisce sotto controllo del giudice delegato e secondo le regole di liquidazione concordataria (simili a quelle fallimentari per vendite competitive).

Il concordato si chiude una volta eseguite le obbligazioni del piano (o comunque eseguite almeno in misura tale da assicurare ai creditori quanto promesso). Il debitore ne esce in bonis, con i debiti pregressi sistemati (pagati in parte e stralciati per la restante parte).

Inadempimento e risoluzione: Se il debitore non adempie il concordato (es.: non paga le percentuali promesse entro i tempi stabiliti), ciascun creditore insoddisfatto può chiedere al tribunale la risoluzione del concordato per inadempimento. La risoluzione è dichiarata se l’inadempimento è di non scarsa importanza (cioè significativo). Con la risoluzione, si apre di solito la liquidazione giudiziale (fallimento) su istanza di un creditore o d’ufficio. A differenza dell’accordo, qui la legge ha meccanismi espliciti di risoluzione e anche di annullamento in caso di frodi o dolose omissioni del debitore nella proposta.

Vantaggi: Il concordato è lo strumento più completo: consente di imporre ai creditori una ristrutturazione anche senza il loro consenso individuale, basta la maggioranza. Permette di gestire masse ampie di creditori con ordine e trasparenza, congelando le azioni individuali e prevenendo l’aggressione disordinata del patrimonio. Il concordato in continuità consente all’imprenditore di salvare l’azienda, magari alleggerita dai debiti insostenibili, perseguendo quell’obiettivo sociale di conservazione dei valori produttivi che la legge incoraggia. Dal lato dell’imprenditore-debitore, il concordato offre il beneficio finale dell’esdebitazione: la società (se persona giuridica) in realtà non ha bisogno di esdebitazione perché i debiti rimasti insoddisfatti all’esecuzione del concordato vengono estinti dall’omologa stessa; se imprenditore individuale, l’esdebitazione è comunque prevista a fine liquidazione giudiziale, ma con un concordato non serve perché la percentuale non pagata è già stralciata di diritto. Inoltre, l’apertura del concordato sospende eventuali istanze di fallimento presentate dai creditori: è un modo per prendere l’iniziativa e evitare di subire un fallimento giudiziale chiedendo invece un concordato.

Svantaggi: Dal punto di vista del debitore, il concordato significa perdita di controllo parziale: le scelte straordinarie necessitano autorizzazione del giudice (art. 94 CCII), c’è un commissario che vigila, e comunque la reputazione dell’azienda soffre (pubblicità al registro imprese, notizia sul mercato). I contratti di fornitura spesso contengono clausole di risoluzione in caso di concordato (anche se considerate inefficaci ex lege, i rapporti di fatto possono deteriorarsi). Ottenere credito durante il concordato è difficile, benché la legge consenta finanziamenti prededucibili autorizzati dal tribunale (art. 99 CCII) ma non è semplice trovare banche disponibili. I costi procedurali non sono trascurabili: vanno pagati il commissario, eventuali coadiutori, il liquidatore, l’attestatore, oltre alle spese legali. La procedura richiede diversi mesi, talora anni, per giungere a omologa e completare l’esecuzione.

In sintesi, il concordato è l’ultima spiaggia operativa per risanare o liquidare con ordine quando le vie negoziali leggere non sono percorribili. Ad esempio, se l’azienda di deumidificatori ha 100 creditori e deve ridurre i debiti del 70% per sopravvivere, invece di cercare 100 accordi individuali impossibili, farà un concordato preventivo proponendo di pagare il 30% in 5 anni (in continuità tenendo l’azienda aperta). Se la maggioranza dei crediti approva, anche la minoranza dissenziente dovrà accontentarsi di quel 30%. L’impresa continua a operare e con i flussi di cassa pagherà man mano la percentuale concordataria.

Va ricordato che per imprenditori minori (non fallibili) esiste uno strumento analogo chiamato concordato minore (artt. 74-83 CCII): la logica è simile ma la procedura è semplificata e gestita dall’OCC (Organismo di Composizione della Crisi). È l’evoluzione del vecchio concordato per sovraindebitati. Nel concordato minore non serve percentuale minima ai chirografari ma bisogna garantire ai creditori il miglior soddisfacimento possibile rispetto alle alternative (specie liquidazione controllata). Non approfondiamo qui, ma è rilevante solo se la nostra azienda rientra nelle soglie di piccola impresa.

Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021 e art. 12 CCII)

Un capitolo a sé merita la Composizione negoziata – uno strumento introdotto nel 2021 per incentivare la gestione precoce della crisi fuori dalle aule giudiziarie, ma con un supporto istituzionale. È stato confermato e integrato nel Codice della Crisi come uno degli “strumenti di regolazione assistita” della crisi. Non è una procedura concorsuale, bensì un percorso volontario di negoziazione tra il debitore e i creditori, facilitato da un Esperto indipendente nominato da un’apposita commissione presso la Camera di Commercio.

Accesso: L’imprenditore in situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario (anche prima dell’insolvenza conclamata) può presentare istanza tramite la piattaforma telematica dedicata . Dev’essere allegata una serie di informazioni: ultimi bilanci, situazione debitoria dettagliata, un piano finanziario semplificato e le cause della crisi. Non serve essere insolventi, basta trovarsi in difficoltà prospettica (ad esempio calo di liquidità che potrebbe portare a insolvenza se non si interviene). Anzi, lo scopo è proprio anticipare per tempo la cura della crisi. Da notare che anche le imprese minori e agricole possono accedere, non essendo una procedura concorsuale.

Nomina dell’Esperto: Entro pochi giorni, una commissione nomina un professionista terzo, esperto di risanamenti (di norma un commercialista, avvocato o consulente con almeno 5 anni di esperienza, formato ad hoc), che avrà il compito di agevolare le trattative. L’esperto svolge il ruolo di mediatore/consulente super partes: analizza la situazione d’impresa e convoca i creditori per discutere possibili soluzioni.

Svolgimento: La composizione negoziata è riservata (non viene pubblicata, salvo la richiesta di misure protettive, che viene iscritta al registro imprese per trasparenza verso terzi). L’esperto incontra l’imprenditore e insieme elaborano un piano di risanamento orientativo. Poi l’esperto contatta i principali creditori e organizza incontri (anche da remoto) tra le parti, cercando di trovare un accordo. Il suo compito è individuare possibili soluzioni e indurre le parti alla ragionevolezza: farà presente ai creditori che se non si accordano rischiano un fallimento con incassi minori; farà presente al debitore se è necessario cedere parti d’azienda o introdurre nuova finanza. L’esperto non ha poteri autoritativi, non può imporre nulla, ma ha accesso ai dati e formula proposte neutrali. Può ascoltare anche terzi, come potenziali investitori o fornitori cruciali.

Durata: La fase negoziata dura inizialmente 180 giorni (6 mesi), estendibile su richiesta motivata fino a 12 mesi. Durante questo periodo l’imprenditore rimane in carica e gestisce ordinariamente l’impresa. Può compiere atti di straordinaria amministrazione con il consenso dell’esperto (o, in caso di disaccordo con l’esperto, con autorizzazione del tribunale). Ciò serve ad evitare che il debitore peggiori la situazione durante le trattative.

Misure protettive e cautelari: Su richiesta dell’imprenditore, il tribunale può emanare un decreto che impedisce ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e sospende temporaneamente le istanze di fallimento. Queste misure protettive possono coprire tutti o alcuni creditori indicati e durano inizialmente fino a 4 mesi, rinnovabili fino a 12 . Durante tale periodo, nessun creditore (tra quelli soggetti al provvedimento) può pignorare o ipotecare beni del debitore. Questo dà la calma necessaria per negoziare senza l’acqua alla gola di esecuzioni imminenti. Le misure protettive non sono automatiche: vanno chieste e il tribunale le concede se ritiene che ci siano concrete possibilità di successo delle trattative e se misure del genere non danneggiano indebitamente i creditori. Ad esempio, potrebbe escludere dalla protezione un creditore particolare se la sua tutela appare indispensabile.

Oltre a ciò, su istanza, il tribunale può adottare misure cautelari (es. nominare un custode per evitare che il debitore compia atti pregiudizievoli, ecc.) se emergesse il rischio di comportamenti lesivi da parte del debitore. Però l’idea di base è che l’imprenditore operi collaborativamente e in buona fede, altrimenti l’esperto può interrompere la composizione.

Esito: La composizione negoziata può portare a diversi risultati: – Accordo stragiudiziale: debitore e alcuni o tutti i creditori raggiungono un accordo di ristrutturazione del debito privato. L’esperto formalizza la chiusura positiva. Questo accordo può assumere la forma di un contratto multi-partito, o più contratti bilaterali, a seconda. Ad esempio, la banca acconsente a estendere il mutuo, i fornitori accettano il 50% a saldo, ecc., e l’insieme rende l’azienda solvibile nuovamente. In tal caso la composizione negoziata termina e l’accordo resta nell’ambito privatistico (ma l’imprenditore potrebbe comunque depositarlo al registro imprese per pubblicità, se opportuno). – Accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII: se i creditori principali concordano, si può decidere di trasfondere la soluzione in un accordo omologato dal tribunale, ovvero un accordo di ristrutturazione dei debiti (magari agevolato al 30% se non sono state chieste misure protettive, rispettando la condizione di legge). L’esperto indirizza verso questa scelta se serve vincolare eventuali dissenzienti residui con l’omologa. In pratica, la negoziazione produce le intese, dopodiché l’azienda presenta l’accordo formale al tribunale per l’omologa come visto prima. La composizione negoziata funge da preludio di un successivo accordo ex art.57. – Piano attestato: analogamente, se emergono le condizioni, il lavoro dell’esperto può concludersi con la redazione di un piano attestato di risanamento. Magari l’esperto stesso potrebbe diventare l’attestatore (se ne ha i requisiti) o suggerirne uno. Quindi la crisi si risolve con quell’atto. – Concordato preventivo: se durante le trattative appare chiaro che serve il voto dei creditori o che comunque non tutti sono d’accordo ma l’azienda è salvabile tramite ristrutturazione forzata, l’imprenditore può optare per depositare un ricorso di concordato preventivo (o concordato in bianco). La composizione negoziata può evolvere così in procedura concorsuale ordinaria. Anzi, spesso la negoziazione serve a preparare un concordato, concordando preventivamente con i maggiori creditori il contenuto del piano, in modo da avere la sicurezza del voto favorevole. – Concordato semplificato (liquidatorio): se invece le trattative falliscono e non c’è ripresa possibile, l’imprenditore può – entro 60 giorni dalla comunicazione di esito negativo delle trattative – proporre al tribunale un concordato semplificato per liquidazione dei beni . È quell’istituto eccezionale di cui sopra: senza voto dei creditori, il tribunale può omologare un piano di liquidazione pure se i creditori non sono d’accordo, perché si presume che in composizione negoziata abbiano già avuta la chance di una soluzione condivisa e non l’hanno colta. Il concordato semplificato, come visto, consente di chiudere la partita distribuendo il ricavato ai creditori (non c’è percentuale minima per legge, ma il giudice valuta la convenienza). Questo strumento appare come l’ultima risorsa per evitare il fallimento puro quando ogni negoziato è fallito. Non salva l’azienda (viene liquidata) ma almeno canalizza la liquidazione sotto controllo giudiziario e con una possibile esdebitazione più rapida del debitore. – Archiviazione: se la situazione migliora da sé (raro) o se l’imprenditore rinuncia (può abbandonare la composizione in qualsiasi momento), la procedura semplicemente si chiude senza esito. Attenzione però: l’esperto se rileva che il debitore è insolvente e non coopera, può segnalare la situazione al tribunale, il quale potrebbe aprire d’ufficio la liquidazione giudiziale. Ma se c’è correttezza, la chiusura della comp.neg. senza accordo semplicemente riporta tutti allo status quo ante, sebbene nel frattempo i creditori possano essersi “allertati” della situazione.

Vantaggi: Per il debitore, la composizione negoziata è un ambiente protetto per cercare soluzioni senza immediata pubblicità negativa (solo la richiesta di misure protettive viene resa nota ufficialmente, ma spesso quell’evento coincide col fatto che i creditori sono già stati informati dall’esperto). Offre tempo e l’assistenza di un professionista qualificato che analizza l’azienda e suggerisce come risanarla. L’esperto può anche consigliare l’imprenditore su come ristrutturare internamente (taglio costi, business plan). Il contesto è volontario e poco burocratizzato: le parti siedono attorno a un tavolo invece di scontrarsi in tribunale. Inoltre, finché è in corso, l’imprenditore beneficia (se richiesto) di uno scudo temporaneo dalle azioni esecutive, simile a quello del concordato ma ottenuto in modo più rapido e mirato. Ulteriore aspetto: la legge prevede incentivi e tutele per chi accede a comp.neg.: ad esempio, le nuove finanze immesse in azienda durante la negoziazione (c.d. finanziamenti ponte) possono ottenere privilegio generale in caso di successivo fallimento (prededucibilità) ; gli atti compiuti in esecuzione del piano concordato con l’esperto sono esenti da revocatoria (vengono equiparati a quelli di un accordo omologato) ; sono previste anche attenuanti di responsabilità per l’imprenditore (ad esempio, se durante la comp.neg. paga fornitori strategici senza autorizzazione, non scatta automaticamente un’azione di responsabilità, etc.). Per gli amministratori c’è un beneficio di non incorrere in responsabilità da ritardata richiesta di fallimento se hanno avviato la comp.neg. in tempo. Addirittura, il D.Lgs. 83/2022 ha introdotto “premi” come una riduzione degli interessi moratori fiscali per chi avvia presto la procedura negoziata. Anche gli organi di controllo (collegio sindacale) sono incentivati: se segnalano tempestivamente al CdA lo stato di crisi (entro 60 giorni dalla loro scoperta dei segnali), adempiono al loro dovere e ciò li esonera da possibili colpe successive, e facilita l’attivazione rapida dello strumento.

In sintesi, la composizione negoziata funziona come una sorta di “mediazione assistita”, dove il debitore può esplorare tutte le opzioni in un quadro ordinato, prima di arrendersi al fallimento. I dati aggiornati indicano che questo strumento sta prendendo piede: Unioncamere nel 2025 ha evidenziato un aumento costante delle imprese che vi ricorrono e un raddoppio degli esiti positivi rispetto all’anno precedente . Ciò testimonia che, sempre più, le aziende in difficoltà trovano nella comp.neg. un vero aiuto per evitare la chiusura e salvare posti di lavoro, soprattutto le imprese medio-grandi (mentre quelle piccole faticano di più ad usarla, spesso per scarsa consapevolezza o difficoltà organizzative, motivo per cui si ipotizzano semplificazioni) .

Svantaggi: Essendo volontaria, la comp.neg. non garantisce l’accordo: se un creditore chiave rifiuta qualunque proposta, l’esperto non ha armi per costringerlo (se non il buon senso e la prospettiva di un male peggiore). Quindi non sempre produce un esito concreto, in particolare con creditori disorganizzati o ostili. Inoltre, per imprese molto piccole, può essere onerosa in termini di impegno (bisogna caricare dati sulla piattaforma, pagare i professionisti propri, e c’è timore di “scoprirsi” di fronte ai creditori). Alcuni imprenditori infatti la guardano con diffidenza, temendo che chiamare i creditori a discutere della crisi possa precipitare la sfiducia (ad esempio, fornitori che poi pretendono solo pagamento anticipato). Va però detto che l’alternativa – tacere finché esplode il fallimento – è spesso peggiore per tutti. Quindi è più un problema culturale da superare. Per ridurre queste paure, la legge garantisce riservatezza (i creditori partecipanti non possono divulgare informazioni apprese durante la procedura) e punisce eventuali abusi (ad esempio, se un creditore rifiuta irragionevolmente proposte vantaggiose e poi causa il fallimento, ciò potrà essere valutato in sede di eventuale azione di responsabilità, anche se non c’è una norma esplicita di sanzione).

In definitiva, la composizione negoziata è consigliabile per la nostra azienda di deumidificatori se la situazione non è ancora compromessa al punto di richiedere subito un concordato o se si vuole tentare un salvataggio coinvolgendo stakeholder importanti (banche, fornitori maggiori) in modo cooperativo. È un passaggio quasi obbligato prima di un eventuale concordato, tanto che l’art. 25-ter CCII prevede che nella domanda di concordato si indichi se c’è stata una comp.neg. e con che esito (non è obbligatorio farla prima, ma fortemente suggerito dalla filosofia della legge).

Simulazione pratica: piano di salvataggio per “Industrial Deumidificatori S.r.l.”

Scenario: Industrial Deumidificatori S.r.l. è un’azienda manifatturiera toscana con 50 dipendenti, produttrice di deumidificatori industriali. Negli ultimi anni ha accumulato debiti per circa €2 milioni, così ripartiti: – €500.000 verso banche (un mutuo ipotecario residuo di €300k su capannone + €200k di scoperto di conto). – €300.000 verso il Fisco (IVA non versata dell’ultimo biennio e ritenute IRPEF dipendenti arretrate, già in parte iscritte a ruolo). – €150.000 verso INPS (contributi dipendenti di un anno non versati, di cui €120k in cartelle esattoriali). – €1.000.000 verso fornitori vari (componenti elettronici, carpenterie, servizi vari), di cui €600k scaduti da oltre 6 mesi. – €50.000 di altre passività (utenze, canoni leasing auto, ecc.).

L’azienda ha subito un calo di fatturato per difficoltà di approvvigionamento materie prime e per la crisi di un importante cliente. Ha però un portafoglio ordini potenziale in ripresa e un know-how di prodotto riconosciuto. Il suo patrimonio attivo consiste in: il capannone (valore stimato €400k, ipotecato per il mutuo residuo €300k), impianti e macchinari (valore realizzo €200k, leasing di alcune macchine minori in corso), un magazzino di prodotti finiti e componenti (€150k), crediti commerciali esigibili €100k. Liquidità di cassa quasi zero. I soci (famiglia fondatrice) non hanno molta disponibilità di capitali freschi, ma potrebbero apportare al massimo €100k. L’azienda è tecnicamente insolvente da qualche mese (non paga fornitori né fisco regolarmente), ma i creditori non hanno ancora fatto istanza di fallimento confidando in promesse di pagamento.

Obiettivo: La direzione vuole salvare l’azienda e i posti di lavoro, ritenendo che con una ristrutturazione del debito e qualche cambiamento l’impresa possa tornare profittevole (c’è un nuovo contratto importante in vista). Vediamo come potrebbe svolgersi il percorso di risanamento dal punto di vista legale.

Fase 1: Valutazione iniziale e attivazione della Composizione Negoziata

Gli amministratori, consapevoli della crisi, decidono di consultare un esperto in crisi d’impresa. Effettuano un’analisi di fattibilità: calcolano che l’azienda, riducendo alcuni costi e con il nuovo contratto in arrivo, può generare un margine annuo di €200k da destinare ai creditori. Se riuscissero ad ottenere una dilazione del debito complessivo a 5 anni e magari uno stralcio parziale, potrebbero farcela. Concludono che la via migliore è tentare la composizione negoziata.

Presentano istanza sulla piattaforma nazionale, caricando i bilanci, l’elenco dettagliato di creditori e debiti, e una bozza di piano di risanamento. Nella bozza ipotizzano di poter pagare il 50% dei debiti chirografari in 5 anni e integralmente i debiti privilegiati (mutuo ipotecario e parte dei contributi/IVA privilegiati) in 5 anni con interessi legali. Richiedono sin da subito misure protettive per evitare che qualche fornitore impaziente pignori il conto in banca.

Dopo pochi giorni, la Camera di Commercio nomina l’Esperto, il dott. Bianchi, un commercialista con esperienza di concordati. Il tribunale, valutata l’istanza, emette un decreto di misure protettive: sospende eventuali azioni esecutive dei creditori per 4 mesi (nessun creditore aveva ancora agito, ma ora è formalizzato lo stop). Il decreto viene iscritto al Registro Imprese, quindi i creditori e terzi ne vengono a conoscenza.

L’esperto Bianchi studia i dati: conferma che l’azienda ha prospettive di mercato, ma anche che con €2 milioni di debiti difficilmente potrà ripagarli interamente. Egli stima che, se si liquidasse tutto forzosamente, i creditori forse recupererebbero solo il 20% (per via dei costi di liquidazione e del depauperamento del valore industriale). Pertanto, un concordato che offrisse ad esempio il 30% sarebbe già migliorativo.

Convoca quindi un incontro con i creditori principali: la banca maggiore, un rappresentante dell’Agenzia Entrate Riscossione per il debito fiscale, alcuni fornitori chiave (che da soli hanno €400k di credito). Nel frattempo, suggerisce all’azienda di iniziare a cercare un piccolo finanziamento ponte per riprendere produzione sulle commesse nuove – eventualmente garantito dallo Stato (Fondo PMI) – e di predisporre un piano industriale triennale credibile.

Al primo incontro, l’esperto Bianchi illustra ai creditori la situazione con trasparenza (ovviamente con il permesso dell’azienda, rispettando riservatezza): “Industrial Deumidificatori ha €2M di debiti e asset limitati; se la costringete al fallimento ora, realizzerete circa 20 cent per euro. Se invece collaborate a una ristrutturazione, l’azienda può continuare e potreste ottenere magari 40-50 cent in 5 anni, conservando inoltre un rapporto commerciale futuro.”.

La banca appare disponibile a ragionare, purché mantenga l’ipoteca e magari ottenga un miglior tasso sulle nuove scadenze. L’Agenzia delle Entrate Riscossione, tramite i suoi funzionari, ricorda che c’è in corso la Rottamazione-quater per parte delle cartelle: suggeriscono all’azienda di aderirvi per i ruoli 2017 (€100k di quel debito fiscale), così automaticamente si tolgono sanzioni e interessi. Per il restante debito IVA più recente, si potrebbe valutare una transazione fiscale nel contesto di un accordo o concordato. I fornitori inizialmente sono diffidenti (“abbiamo già atteso 6 mesi!”), ma l’esperto fa leva sul loro interesse: se l’azienda chiude, perdono sia il credito passato sia un cliente futuro; se l’azienda si salva, accettando magari il 50% di saldo, potranno almeno incassare metà e continuare a venderle componenti.

Dopo vari incontri bilaterali e collegiali, con aggiustamenti: – La banca si dice disposta ad allungare il mutuo residuo (€300k) da 5 a 10 anni e a rinunciare agli interessi di mora maturati, mantenendo però ipoteca e applicando tasso fisso 2%. Inoltre sullo scoperto €200k, propone di convertirlo in un mutuo chirografario 5 anni, tasso 3%, ma chiede in cambio una fideiussione personale dei soci a garanzia di questo nuovo prestito (per essere tranquilla in caso di default futuro). I soci accettano, sapendo che è l’unico modo per diluire il pagamento. – L’Agenzia EntrateRiscossione accetta di inserire i €200k di IVA e ritenute in una proposta di transazione fiscale: verranno pagati al 60% in 5 anni senza sanzioni (allineandosi in pratica alla rottamazione). Vogliono però vedere un’attestazione che questo 60% è meglio di quanto prenderebbero da fallimento – l’esperto conferma che lo è. Per procedura, tale transazione dovrà essere omologata in un eventuale accordo o concordato perché l’ADER da sola non firma stralci; però manifestano un assenso di massima condizionato alle regole (ovvero, se il giudice cramerà, loro si atterranno). – L’INPS, per i contributi €150k, segnala che €100k sono trattenute dipendenti (dunque penali oltre 10k). L’azienda, anche su suggerimento dell’esperto, decide di pagare subito (grazie a un piccolo prestito soci) €12k di contributi trattenuti per portarsi sotto la soglia penalmente rilevante, ed eventualmente chiederà rateazione sul resto. L’INPS concorda su un piano di pagamento in 4 anni per i contributi residui, sapendo che se entra in un concordato dovrà accettare pari trattamento del Fisco (ad es. 60%). Comunque, con l’incasso immediato di €12k l’INPS non procederà a denunce. – I fornitori, vedendo che anche banche e Stato “fanno sacrifici”, e dopo aver valutato col commercialista che in fallimento incasserebbero forse 10-20%, accettano una proposta di saldo al 50%: la metà del loro credito verrà pagata in rate trimestrali su 4 anni, l’altra metà stralciata. Chiedono in cambio – e ottengono – di ricevere pagamenti correnti per le nuove forniture (cash on delivery per i primi 6 mesi, poi a 60 giorni se tutto procede). Inoltre, due fornitori strategici chiedono una garanzia: la società rilascerà cambiali per le somme dilazionate, una sorta di impegno formale (che comunque se non onorate li metterebbe in grado di agire subito, ma confidano di non doverlo fare).

A questo punto, dopo circa 3 mesi di lavoro, l’esperto Bianchi è riuscito a far convergere tutti su un Piano di ristrutturazione con questi punti: – I debiti bancari (€500k): saranno rifinanziati come detto; nessun stralcio nominale, ma allungamento e remissione interessi di mora (quindi un beneficio indiretto di ~€20k). – I debiti fiscali (€300k): grazie a rottamazione e transazione fiscale, l’azienda pagherà circa €180k (60%). Verrà chiesta l’omologa di un accordo per questo. – I debiti INPS (€150k): l’azienda paga subito €12k (ritenute cruciali), i restanti €138k saranno trattati come il Fisco al 60% = €83k, dilazionati. – I debiti fornitori (€1M): i fornitori firmatari (che rappresentano €800k su 1M) accettano il 50%, quindi pagamenti per €400k diluiti. I fornitori minori (€200k) l’azienda conta di pagarli integralmente man mano, anche perché servono per il futuro o per evitare cause (sono tanti piccoli: cercheranno di saldarne uno al mese circa, e forse potrebbero beneficiare di qualche stralcio spontaneo da parte loro quando vedono la serietà del piano). – Totale uscite previste dal piano = €180k (Fisco) + €83k (INPS) + €400k (fornitori principali) + €200k (fornitori minori) + €500k (banche, ma spalmati su 5-10 anni) = circa €1.363k da pagare in 5 anni, rispetto ai €2.000k iniziali. Significa che in media i creditori accettano circa il 68% di soddisfazione (alcuni 100% ma tardivo, altri 50%, ecc.). L’azienda riduce il debito del 32%. L’esperto calcola che con la marginalità recuperata (circa €200k/anno disponibile per debiti) e un piccolo apporto soci (€100k una tantum magari ricavabile vendendo un terreno non strumentale), il piano è sostenibile.

Strumento legale da adottare: Ora, come formalizzare tutto ciò? Ci sono due strade: fare un accordo di ristrutturazione omologato con queste maggioranze, oppure un concordato preventivo in continuità. Dato che praticamente tutti i creditori principali sono d’accordo e i pochi dissenzienti (fornitori non coinvolti) saranno pagati per intero comunque, l’esperto consiglia di procedere con un Accordo di ristrutturazione dei debiti. L’accordo verrà firmato dall’azienda, dalla banca, dall’Agenzia Entrate (che formalmente aderisce tramite transazione) e dai fornitori maggiori (che rappresentano oltre 60% dei crediti). Si depositano la relazione dell’esperto (ora in veste di attestatore) che assevera che l’accordo è vantaggioso e fattibile, e si chiede al tribunale l’omologa.

Nel frattempo, la composizione negoziata viene dichiarata conclusa positivamente: l’esperto redige una relazione finale positiva che viene pubblicata. Dunque, la palla passa al tribunale per omologare l’accordo. Non essendoci opposizioni (la minoranza di creditori estranei viene comunque soddisfatta integralmente, quindi non ha motivo di opporsi), il tribunale omologa in tempi brevi. Viene anche confermato il cram-down sull’erario per l’IVA: l’Agenzia Entrate aveva aderito condizionatamente, il tribunale accerta che il 60% proposto è equo e omologa anche senza formale assenso (comunque in realtà il Fisco ha cooperato). L’accordo omologato viene iscritto al registro imprese e acquista efficacia legale.

Fase 2: Esecuzione del piano e monitoraggio

Una volta omologato l’accordo di ristrutturazione: – L’azienda inizia a pagare le prime rate secondo il calendario: i fornitori ricevono la prima tranche (es. 10% subito), il Fisco incassa le prime rate rottamazione e transazione, la banca firma i nuovi contratti di mutuo ridefinito. – La protezione delle misure protettive cessa , ma non importa perché tutti sono vincolati dall’accordo o comunque soddisfatti come da piano. I fornitori estranei ricevono anch’essi pagamenti integrali come promesso (utilizzando magari parte del nuovo fido bancario ottenuto grazie al Fondo PMI, su cui la banca ha acconsentito in virtù dell’accordo). – L’azienda ottiene il DURC regolare presentando copia dell’accordo omologato e delle transazioni fiscali, potendo così continuare a lavorare con enti pubblici e partecipare a bandi (ad esempio, aveva in ballo una commessa per una scuola pubblica da deumidificare). – Un aspetto importante: durante l’esecuzione non c’è un commissario, ma i creditori comunque vigilano. L’accordo prevede una clausola: se l’azienda salta 2 rate consecutive a fornitori, l’intero accordo si considera risolto per quella parte e i fornitori potranno agire. Tuttavia, confidano che non accadrà. La banca mantiene un occhio sui conti trimestralmente (covenant informativo). – La legge prevede comunque che se l’azienda dovesse fallire successivamente, l’accordo salta e i crediti tornano pieni salvo detrarre quanto incassato . Ma qui c’è ottimismo di successo.

Risultato dopo 2 anni: Industrial Deumidificatori S.r.l. ha rispettato il piano per i primi 24 mesi. I debiti verso fornitori principali sono scesi del 20% (hanno pagato due delle dieci rate previste, ad esempio). L’IVA transatta è quasi a metà, e l’azienda sta pagando regolarmente anche le nuove imposte correnti (una clausola dell’accordo era che se non avessero pagato le imposte correnti decadrebbe la transazione fiscale). I rapporti commerciali sono migliorati: i fornitori, vedendo la serietà nei pagamenti correnti e la parziale soddisfazione del pregresso, hanno ripreso a fornire a condizioni normali. I dipendenti sono stati mantenuti e motivati (l’azienda ha spiegato loro il piano e l’importanza di raggiungere certi obiettivi di produttività per onorare gli impegni).

Fine del piano: Al quinto anno, l’azienda paga l’ultima rata ai creditori da accordo. Il bilancio è tornato in utile, anche grazie al fatto che il peso dei debiti si è ridotto. A questo punto, tutti i crediti stralciati residui vengono formalmente eliminati: l’accordo funge anche da quietanza generale. I creditori che hanno ricevuto il 50% non possono più avanzare pretese per il restante 50%, è cancellato dall’omologa dell’accordo. L’azienda esce dal periodo di crisi definitivamente risanata. I soci, pur diluendo la loro posizione per i debiti (es. la banca li aveva garantiti per il nuovo mutuo, ma lo stanno pagando regolarmente quindi senza escussione), hanno salvato la proprietà e il valore dell’impresa.

Alternativa scenario negativo: Se invece la composizione negoziata fosse fallita (poniamo che un paio di creditori chiave non avessero accettato la proposta), l’azienda avrebbe potuto ripiegare su un concordato preventivo. Avrebbe presentato un piano di concordato con continuità offrendo comunque il 50% ai chirografari in 5 anni. Con i voti favorevoli di banca e alcuni fornitori, forse sarebbe passato lo stesso (magari con cram down sui pochi dissenzienti). Il costo sarebbe stato maggiore (commissario, tempi di 1-2 anni per omologa), ma ancora meglio che il fallimento. Se pure quello fosse stato bocciato, come ultima spiaggia avrebbero potuto chiedere un concordato semplificato liquidatorio: vendere il capannone e macchinari, incassare €600k e darli proporzionalmente ai creditori (30% c.a.), chiudendo l’attività ma evitando il fallimento traumatico. I soci magari avrebbero potuto avviare una nuova società più leggera ripartendo da zero senza i debiti (grazie all’esdebitazione), anche se molti posti di lavoro sarebbero andati persi.

Come vediamo, però, attraverso un percorso ben guidato e l’uso combinato degli strumenti (negoziazione assistita, accordo transattivo e un tocco di procedura concorsuale per l’omologa), il debitore è riuscito a difendersi efficacemente dai creditori e a ristrutturare il debito della società di deumidificatori, preservando la continuità aziendale.

Domande Frequenti (FAQ) sul debito d’impresa e le soluzioni di risanamento

  • D: La mia azienda è in crisi ma ho paura ad affrontare apertamente i creditori. Non rischio di peggiorare le cose rivelando le difficoltà?
    R: Comprensibilmente c’è timore che i creditori reagiscano male, ma nascondere la crisi li porterà comunque a scoprirla (quando inizieranno i mancati pagamenti) e forse ad agire in modo caotico. Coinvolgerli tempestivamente in un dialogo strutturato (ad es. tramite la composizione negoziata con un esperto terzo) spesso li rende più disponibili a trovare soluzioni, perché mostra serietà e volontà di pagarli, sia pure in forma attenuata. La legge tutela queste trattative riservate e ferma temporaneamente le azioni esecutive, proprio per dare respiro. Quindi, paradossalmente, rivelare la crisi nel contesto giusto può salvarvi, mentre ignorarla porta quasi certamente al fallimento. In ogni caso, il nuovo art. 2086 c.c. impone di attivarsi: non farlo potrebbe esporre gli amministratori a responsabilità. L’esperienza mostra che i fornitori preferiscono un cliente che li coinvolge onestamente proponendo un piano, piuttosto che un cliente che sparisce e finisce fallito .
  • D: Qual è la differenza tra un accordo stragiudiziale e un concordato preventivo?
    R: Un accordo stragiudiziale è un patto volontario tra debitore e uno o più creditori, senza intervento del tribunale. È flessibile ma vincola solo chi lo sottoscrive e non ha effetto sui dissenzienti. Non sospende automaticamente le azioni esecutive dei creditori esterni e può essere vulnerabile (es. soggetto a revocatoria se l’azienda fallisce entro 2 anni dai pagamenti fatti, salvo sia un piano attestato) . Il concordato preventivo invece è una procedura giudiziaria: coinvolge tutti i creditori e, se approvato/omologato, li vincola erga omnes secondo le percentuali stabilite, anche chi ha votato contro. Offre protezione legale (stay delle esecuzioni durante la procedura) e una definizione definitiva (i debiti sono legalmente ridotti). Di contro, richiede il rispetto di regole formali, maggioranze di voto e l’intervento di organi come il commissario e il giudice. In breve: l’accordo è rapido e confidenziale ma fragile, il concordato è più lento e pubblico ma potente e definitivo. Spesso si tenta prima la via stragiudiziale e, se non funziona, si ricorre al concordato.
  • D: Se la mia società di persone (S.n.c.) fallisce, i creditori potranno rivalersi su di me personalmente?
    R: Sì. Nei soci illimitatamente responsabili di società di persone, l’insolvenza della società comporta anche il coinvolgimento del patrimonio personale. In pratica, dichiarato il fallimento (liquidazione giudiziale) della S.n.c., il tribunale dichiara di diritto anche il fallimento di tutti i soci illimitatamente responsabili. Il curatore gestirà due masse (società e soci) ma i creditori potranno insinuarsi anche sul fallimento dei soci per essere pagati con i beni personali di questi ultimi. Se però al termine della procedura i beni personali non bastano a pagare tutti, i soci fisiche persone oneste potranno chiedere l’esdebitazione e liberarsi dei debiti residui. Tenga presente che se invece adotta un concordato preventivo (che è possibile anche per società di persone), questo può prevedere la liberazione dei soci dalle obbligazioni se i creditori lo accettano espressamente (principio della relatività: di regola il concordato della società non copre i soci, salvo consenso). Dunque bisogna valutare caso per caso. In una S.n.c., ristrutturare il debito della società giova comunque ai soci perché evita che i creditori escutano il loro patrimonio, ma formalmente la liberazione dei soci occorre contrattarla (ad esempio includendo nel piano che i creditori rinunciano ad azioni verso i soci in cambio del soddisfacimento concordatario).
  • D: La mia S.r.l. ha debiti elevati ma io, come amministratore e socio, ho sempre agito correttamente. Posso essere chiamato a pagare i debiti sociali?
    R: In una S.r.l. (società di capitali), per definizione i soci non rispondono con i beni personali dei debiti della società. Quindi i creditori non possono chiederLe di ripianare i debiti societari salvo che Lei abbia prestato garanzie personali (es. fideiussione a una banca: quella è una obbligazione a parte che la vincola direttamente verso la banca). Oppure salvo che emergano condotte di mala gestione da parte Sua: ad esempio, distrazione di beni sociali, continuazione abusiva dell’attività aggravando il dissesto, omesso versamento di imposte con dolo. In taluni casi di gravi irregolarità, i creditori o il curatore fallimentare possono promuovere azioni di responsabilità contro gli amministratori per ottenere risarcimenti (artt. 2476 c.c. e 2486 c.c.). Il nuovo art. 2486 c.c. prevede criteri presuntivi di danno commisurati al peggioramento del patrimonio netto dal momento in cui avrebbero dovuto attivarsi cause di scioglimento . Quindi, se Lei ha proseguito l’attività a capitale azzerato senza adottare adeguati assetti o chiedere un concordato, potrebbe essere chiamato a rispondere dei maggiori debiti creati nel periodo di “abuso”. Al contrario, se ha rispettato l’obbligo di attivarsi subito (ad esempio avviando una composizione negoziata appena rilevata la crisi) , difficilmente potranno imputarLe colpe. In sintesi, la regola è: niente responsabilità personale per i debiti societari, tranne nei casi di garanzie volontarie o gestione colposa/dolosa che abbia leso i creditori.
  • D: Se attivo una composizione negoziata della crisi, i creditori possono comunque portarmi via i beni nel frattempo?
    R: No, se Lei richiede le misure protettive e queste vengono concesse, i creditori non potranno iniziare né proseguire azioni esecutive durante la composizione negoziata (di solito 4 mesi iniziali rinnovabili). Inoltre non potranno acquisire titoli di prelazione (ipoteche giudiziali) su Suoi beni, né potranno interrompere forniture essenziali per mere morosità pregresse (ex art. 18 DL 118/21, i fornitori essenziali devono continuare a fornire se garantite le forniture correnti). Quindi c’è uno scudo, simile a quello del concordato. Va detto però che le misure protettive non si attivano automaticamente: deve chiederle al tribunale e convincerlo che servono e che sta conducendo le trattative in buona fede. Se ottenute, il loro mancato rispetto da parte di un creditore sarebbe nullo e perseguibile (il tribunale può anche annullare atti compiuti in violazione). Tenga presente che le misure protettive sono temporanee: se poi non si raggiunge un accordo o non si passa a concordato, scaduto il termine i creditori potranno riprendere le azioni. Dunque usi quel tempo per concludere un accordo o predisporre un’istanza di concordato “prenotativo” prima che decada la protezione.
  • D: La composizione negoziata è obbligatoria prima di chiedere un concordato?
    R: Non formalmente obbligatoria, ma fortemente incentivata. Può depositare un concordato preventivo anche senza aver tentato la composizione negoziata (e il tribunale non può dichiarare inammissibile un concordato solo perché non ha fatto la comp.neg.). Tuttavia, la legge e i giudici vedono di buon occhio chi almeno prova la via negoziale: l’art. 47 CCII dice che nella domanda di concordato va indicato se ha esperito tentativi di soluzione stragiudiziale e per quali motivi non hanno funzionato. Inoltre, la composizione negoziata offre vantaggi preliminari (es. misure protettive immediate, mentre nel concordato prenotativo c’è l’automatic stay ma entro certi limiti). Quindi, in pratica, la maggior parte dei concordati oggi nasce dopo aver passato per la composizione negoziata. Addirittura, nei concordati semplificati post-comp.neg., la legge li consente solo se c’è stato un tentativo fallito di comp.neg. (non posso fare concordato semplificato se prima non ho fatto la negoziata). Quindi, anche se non obbligatoria per legge nella generalità dei casi, è altamente consigliato percorrere la negoziazione assistita prima, se il tempo lo consente e se non è già in fase di precipitazione di insolvenza conclamata.
  • D: Che differenza c’è tra accordo di ristrutturazione e piano attestato di risanamento?
    R: Entrambi sono strumenti diversi dal concordato e più “leggeri”. La differenza principale: l’accordo di ristrutturazione (art. 57 CCII) necessita di un consenso qualificato dei creditori (60% o 30% se agevolato) e viene omologato dal tribunale, acquisendo efficacia vincolante e protezioni simili a un concordato . Il piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) invece non richiede percentuali di adesione fissate per legge né omologa: è un piano unilaterale del debitore, asseverato da un esperto indipendente, e tendenzialmente mira a pagare integralmente i creditori (seppur in forme e tempi rinegoziati) . Il suo scopo è evitare il fallimento e proteggere da revocatorie i pagamenti eseguiti secondo piano . Diciamo che il piano attestato è indicato quando la crisi è affrontabile senza tagliare i crediti, ma solo dilazionandoli e riorganizzando l’impresa, ottenendo la fiducia dei creditori chiave (che spesso verranno comunque consultati). L’accordo di ristrutturazione è preferibile quando serve imporre riduzioni o dilazioni con efficacia legale anche su minoranze dissenzienti, e quando i creditori più rilevanti sono d’accordo a farsi omologare l’accordo in tribunale. Riassumendo: piano attestato = procedura privata con attestatore, niente tribunale e 100% pagamenti (salvo stralci concordati individualmente); accordo ristrutturazione = procedura semi-privata con omologazione, percentuale di soddisfo ai creditori secondo l’accordo (anche <100%) e efficacia legale generalizzata.
  • D: Durante un concordato preventivo in continuità, posso continuare a gestire l’azienda? I clienti e fornitori come lo sapranno?
    R: Nel concordato preventivo, l’imprenditore rimane in possesso dei beni e continua la gestione ordinaria dell’impresa sotto la supervisione del Commissario Giudiziale. Per gli atti di straordinaria amministrazione (vendite straordinarie di beni, nuovi mutui, ecc.) deve chiedere autorizzazione al tribunale (art. 94 CCII). Quindi, Lei continuerà a dirigere l’azienda giorno per giorno. I clienti e fornitori potrebbero venire a saperlo perché l’apertura del concordato è iscritta nel Registro Imprese pubblico, e a volte è oggetto di notizie (se l’azienda è nota). Inoltre i fornitori saranno avvisati dal Commissario quando li inviterà a presentare le loro domande di credito. Il concordato è una procedura pubblica, non si può evitare una certa notorietà. Però esistono norme anti-discriminazione: i fornitori non possono risolvere i contratti in essere solo perché l’azienda è in concordato (clausole di rescissione automatica sono nulle) e devono continuare a rispettare i contratti pendenti, salvo eccezioni, durante la procedura. Molte aziende riescono a proseguire l’attività anche in concordato, spiegando ai partner che è una soluzione transitoria per risanarsi. Spesso i principali committenti restano, specie se convinti che l’azienda consegnerà comunque (a volte il tribunale può autorizzare pagamenti integrali di forniture strategiche post-petition per garantirne la prosecuzione). In ogni caso, la gestione rimane nelle Sue mani quotidianamente (a differenza del fallimento dove subentra il curatore). Ci sarà interazione con il Commissario (che chiederà periodicamente resoconti e vigilerà che non si pregiudichi la par condicio creditorum).
  • D: Posso proporre ai creditori di trasformare i loro crediti in partecipazioni (quote) della mia società, così da ridurre i debiti?
    R: Sì, è possibile ed è uno strumento di ristrutturazione finanziaria noto come conversione del debito in equity. In pratica, i creditori (tipicamente banche o fornitori maggiori) rinunciano a farsi rimborsare i crediti e in cambio diventano soci della società per un valore equivalente (o inferiore) del credito. Questo può avvenire tramite un aumento di capitale con compensazione dei crediti. I vantaggi: l’azienda riduce l’indebitamento e rafforza il patrimonio netto; i creditori assumono una prospettiva di lungo termine sul rilancio (partecipando ad eventuali utili futuri ma rischiando come soci). Negli strumenti concorsuali, questa conversione può essere parte del piano: ad es. un concordato può prevedere che i creditori ricevano, al posto di soldi, azioni o quote di nuova emissione. Ci sono alcuni paletti: bisogna spesso avere il consenso individuale di ogni creditore per farlo (non puoi “forzare” qualcuno a diventare socio senza volontà). In un concordato, se la maggioranza approva un piano con conversione crediti-capitale, i dissenzienti possono essere crammati ma solo se la natura della prestazione rimane pecuniaria (dare azioni invece di denaro è una novazione soggettiva particolare, occorre cautela legale). In un accordo stragiudiziale, è più lineare: si stipula col creditore che X euro di debito vengono convertiti in una partecipazione Y%. Questo strumento è più comune con le banche (spesso preferiscono però rimanere creditori; raramente diventano azioniste se non in grandi ristrutturazioni con accordi di debt to equity swap). Con fornitori talvolta funziona: il fornitore strategico può dire “invece di €100k che mi devi, prendo il 10% della tua società e fornirò più attivamente per risollevarla”. Bisogna considerare le implicazioni di governance (ti troverai ex creditore ora socio, con voce nelle decisioni). Nelle PMI italiane la conversione crediti/quote non è diffusissima, perché i creditori preferiscono incassare qualcosa e uscire; ma è fattibile. Legalmente va deliberata dall’assemblea dei soci l’aumento di capitale con conferimento del credito (art. 2481 c.c.). Un eventuale socio di maggioranza attuale che rifiuti di approvarlo potrebbe ostacolare l’operazione – tuttavia, nei concordati, il tribunale può anche imporre modifiche statutarie necessarie al piano (i soci attuali, se l’azienda è insolvente, non possono bloccare un piano concordatario vantaggioso per creditori). In sintesi, , offrire equity ai creditori è un’opzione possibile e a volte prevista nei piani di risanamento, ma serve il loro accordo e una valutazione attenta del valore reale delle quote offerte.
  • D: La procedura di sovraindebitamento (concordato minore) può aiutare le società?
    R: Le procedure di sovraindebitamento (Legge 3/2012, ora integrate nel CCII) includono: il concordato minore, il piano del consumatore e la liquidazione controllata. Il concordato minore è destinato a imprenditori “minori” non fallibili (piccole imprese sotto le soglie, imprenditori agricoli) e ai professionisti, startup innovative, ecc. Quindi può aiutare solo società o ditte di piccole dimensioni che non superano i limiti di cui parlavamo . Nel concordato minore, come nel maggiore, si propone un piano ai creditori con eventuale falcidia. C’è un referente chiamato OCC (Organismo Composizione Crisi) che aiuta a predisporre la proposta e funge da commissario. La differenza è che la procedura è più snella e orientata a chi ha poche risorse: non c’è obbligo di percentuale minima, basta offrire tutto il merito disponibile. I tempi sono più brevi e le formalità ridotte. Questa può essere la via giusta per, ad esempio, un’impresa artigiana individuale indebitata: potrà presentare un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore/professionista. Anche i soci persone fisiche di una società fallita possono usare la liquidazione controllata del sovraindebitato per liberarsi dei debiti residuali personali. Ma attenzione: se la Sua società è fallibile (supera anche uno solo dei parametri attivi €300k, ricavi €200k, debiti €500k), non può accedere al concordato minore ma deve usare il concordato preventivo ordinario. Quindi, il sovraindebitamento è una rete di protezione per i piccoli; per i medio-grandi c’è la strada più complessa del concordato classico. Nel nostro caso (azienda di deumidificatori industriali con debiti €2M, attivo >€300k e ricavi probabilmente >€200k), è soggetta a concordato preventivo normale, non al minore.
  • D: Ho sentito parlare di esdebitazione: dopo il concordato o fallimento i debiti residui spariscono?
    R: Dipende dalla procedura e dalla natura del debitore. – Nel concordato preventivo, i debiti sono regolati dalla proposta omologata: ciò che il debitore ha promesso di pagare, deve pagarlo; la parte eccedente (falcidiata) viene cancellata dall’omologazione stessa, salvo obblighi verso eventuali coobbligati o garanti. Quindi, per la società debitore, il concordato funge da “esdebitazione concorsuale”: una volta eseguito, i creditori chirografari non possono avanzare pretese ulteriori (anche se hanno ricevuto solo il 30%, il resto è legalmente estinto). Dunque , a fine concordato i debiti residui vengono stralciati come da piano. – Nel fallimento (liquidazione giudiziale), invece, la legge prevede l’esdebitazione del fallito (artt. 278 CCII e seguenti): il debitore persona fisica, dopo la chiusura del fallimento e a certe condizioni (avere collaborato, non aver frodato, ecc.), può chiedere al tribunale di essere liberato dai debiti non soddisfatti nella procedura . Questa esdebitazione era già nella vecchia legge fallimentare dal 2006. Quindi l’imprenditore individuale o i soci falliti possono ottenere la “fresh start” personale (restano però esclusi alcuni debiti come alimenti, risarcimenti da illecito, debiti tributari per sanzioni). Invece, se il debitore è una società, la società dopo il fallimento viene cancellata e cessa di esistere – non c’è un’esdebitazione in senso tecnico perché non ha più soggettività; i crediti insoddisfatti restano inesigibili perché il soggetto giuridico è estinto. I soci di capitale non rispondono, quelli di persone invece li copre l’esdebitazione se ammessa. – Nelle procedure di sovraindebitamento, esistono meccanismi di esdebitazione similari estesi anche a chi non è fallibile: ad esempio la esdebitazione del debitore incapiente (il famoso articolo che permette di cancellare debiti residui per chi proprio non ha nulla da dare, una volta nella vita) . In pratica, l’ordinamento oggi mira sempre a dare una chance di liberarsi dai debiti residui al debitore onesto e meritevole, dopo aver liquidato tutto il possibile ai creditori. Nel concordato l’esdebitazione è “in re ipsa” nell’omologa (perché i creditori stessi approvano di rinunciare a una quota di credito); nel fallimento occorre una specifica istanza post-chiusura. Nel contesto di un accordo di ristrutturazione, essendo un contratto, l’esdebitazione è data dai patti: i creditori aderenti si impegnano a rinunciare a una parte di credito e quello stralcio è definitivo (per i non aderenti, se estranei e non pagati per intero, l’accordo non li vincola: ecco perché di solito li si paga al 100% fuori accordo o li si include tramite efficacia estesa). Riassumendo: , esdebitazione c’è in varie forme. Per la nostra azienda, se rispetta il piano concordatario, i debiti restanti saranno giuridicamente cancellati. Se invece fallisse, i soci personali potrebbero liberarsi tramite esdebitazione individuale dopo la liquidazione.

Conclusione: Difendersi dai debiti e risanare un’azienda industriale indebitata è possibile attraverso un uso sapiente degli strumenti giuridici ora disponibili. Ogni caso richiede di combinare le soluzioni (fiscali, negoziali, concorsuali) più adatte. Il punto di vista del debitore dev’essere pragmatico: agire presto, agire con trasparenza controllata e affidarsi alle procedure di legge per evitare scelte impulsive o favoritismi illegali che porterebbero solo a responsabilità aggiuntive. Con un buon piano e l’assistenza di professionisti, anche una situazione debitoria molto critica può trovare soluzione, consentendo all’impresa di superare la tempesta e tornare solvibile.

Fonti e Riferimenti Normativi e Giurisprudenziali

  • Codice Civile, art. 2086, comma 2 (dovere di adeguati assetti e attivazione strumenti anti-crisi) .
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14, in vigore dal 15/07/2022): artt. 56-64 (accordi di ristrutturazione dei debiti) , art. 84 e ss. (concordato preventivo), art. 25-sexies (concordato semplificato), art. 74 e ss. (concordato minore), art. 268 e ss. (esdebitazione). Modifiche introdotte dal D.Lgs. 83/2022 e dal D.Lgs. 136/2024 (terzo correttivo) in materia di transazione fiscale e accordi agevolati .
  • Decreto Legge 118/2021 (conv. L. 147/2021) – Istituzione della Composizione Negoziata della crisi d’impresa; artt. 2-17 D.L. 118/21 e corrispondenti artt. 12-25-quinquies CCII sulla procedura negoziata .
  • Corte di Cassazione, Sez. I civ., 17 dicembre 2024 n. 32996Accordo di ristrutturazione e successivo fallimento: la dichiarazione di fallimento (liquidazione giudiziale) successiva all’omologa rende impossibile l’esecuzione dell’accordo e causa la sua automatica caducazione, con riespansione integrale dei crediti originari senza necessità di azione risolutiva .
  • Cassazione, Sez. I civ., 25 marzo 2024 n. 8069Responsabilità degli amministratori ex art. 2486 c.c.: in caso di atti gestori non conservativi dopo emersione di causa di scioglimento, il danno risarcibile si liquida equitativamente secondo i criteri presuntivi del comma 3 dell’art. 2486 c.c. (differenza dei netti patrimoniali o incremento del deficit), salvo prova di un diverso criterio più aderente .
  • Cassazione pen., Sez. III, 21 dicembre 2024 n. 44519Reato di omesso versamento IVA e accordo di ristrutturazione: l’accordo ex art. 182-bis L.Fall (oggi art. 57 CCII) incide sulla quantificazione del debito IVA che costituisce profitto del reato ex art. 10-ter D.Lgs.74/2000, imponendo una rideterminazione della confisca per equivalente sul nuovo debito ridotto . L’accordo di ristrutturazione non è equiparabile a mera rateazione (che non intacca il quantum dovuto), ma riduce sostanzialmente l’obbligo tributario grazie alla rinuncia parziale del Fisco .
  • Tribunale di Lecce, Sez. III, 18 febbraio 2025Concordato semplificato rigettato: esempio di mancata omologazione di un concordato semplificato per liquidazione post-composizione negoziata a causa di eccessiva incertezza sull’attivo prospettato, garanzie inadeguate e poca chiarezza sul passivo. Il tribunale ha ritenuto il piano non sufficientemente tutelante per i creditori rispetto alla liquidazione ordinaria .
  • Consiglio Nazionale del Notariato – Studio 71-2024/PC (maggio 2025) – Analisi degli accordi di ristrutturazione dei debiti dopo il D.Lgs. 136/2024 (terzo correttivo). Evidenzia tra l’altro: soglie del 60% ordinario e 30% accordo agevolato , possibilità di estensione degli effetti ai creditori dissenzienti intra-categoria , necessità dell’attestazione di convenienza della transazione fiscale (trattamento non deteriore rispetto a liquidazione) , introduzione del cram-down sui creditori pubblici dissenzienti determinanti , e irrinunciabilità dell’autentica notarile delle sottoscrizioni per pubblicare l’accordo nel registro imprese (dibattito su necessità di autentica) .
  • Unioncamere – Osservatorio sulla composizione negoziata (8ª ed., ottobre 2025) – Dati sulle composizioni negoziate: aumento significativo delle adesioni e raddoppio degli esiti positivi nel 2025 rispetto al 2024, con strumento che evita la chiusura di molte aziende e salva migliaia di posti di lavoro; prevalentemente utilizzato da imprese medio-grandi, mentre per le più piccole si auspicano procedure ancor più semplificate .
  • Art. 23 bozza Legge Finanziaria 2026 – “Rottamazione-quater/quinquies”: Estensione della definizione agevolata dei carichi affidati fino al 31/12/2023; pagamenti in 9 anni con stralcio sanzioni e interessi . Confirma scadenze e riaperture termini per la Rottamazione-quater nel 2025 . (Fonti: Fisco e Tasse, Confcommercio).
  • INPS – Circolare n. 32/2022: regime sanzionatorio per omessi versamenti contributivi. Soglia penalità €10.000 annui per far scattare il reato ; sotto soglia sanzione amministrativa; possibilità di ravvedimento entro 3 mesi. Corte Cost. sent. 67/2021 e 72/2022 sulla legittimità di sanzioni civili ridotte e depenalizzazione entro soglia.
  • Cass. civ. Sez. Un. 6 maggio 2015 n. 9100 – (richiamata in Unijuris) sul criterio equitativo di liquidazione del danno da mala gestio tramite differenza attivo realizzo/passivo accertato nel fallimento .

La tua azienda che produce, importa, distribuisce o manutiene deumidificatori industriali, asciugatori d’aria, unità di trattamento aria, deumidificatori per capannoni, magazzini, piscine e ambienti produttivi, impianti per controllo dell’umidità, sistemi HVAC industriali, ricambi e assistenza tecnica, oggi è schiacciata dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua azienda che produce, importa, distribuisce o manutiene deumidificatori industriali, asciugatori d’aria, unità di trattamento aria, deumidificatori per capannoni, magazzini, piscine e ambienti produttivi, impianti per controllo dell’umidità, sistemi HVAC industriali, ricambi e assistenza tecnica, oggi è schiacciata dai debiti?
Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, blocchi delle forniture, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o persino minacce di pignoramento da parte di banche, fornitori, Fisco, INPS o Agenzia Entrate-Riscossione?

Il settore dei deumidificatori industriali richiede investimenti elevati: componenti elettronici e meccanici costosi, compressori, scambiatori, carpenterie, ventilatori, gas refrigeranti, installazioni tecniche e clienti che spesso pagano a 60–120 giorni.
Se la liquidità rallenta, la crisi arriva in fretta.

La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se agisci subito e con la strategia corretta.


Perché un’Azienda di Deumidificatori Industriali va in Debito

  • aumento dei costi di compressori, scambiatori, elettroniche, ventilatori, carpenterie
  • pagamenti tardivi da parte di industrie, magazzini, piscine e impiantisti
  • magazzino immobilizzato tra macchine finite, ricambi, unità in riparazione e componenti tecnici
  • costi elevati di installazione, collaudo, manutenzione e assistenze in campo
  • investimenti in normative, certificazioni, attrezzature e software
  • riduzione o revoca dei fidi bancari

Il problema non è la mancanza di clienti, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi se Non Intervieni Subito

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco dei fidi bancari
  • sospensione delle forniture di ricambi e componenti critici
  • atti esecutivi, decreti ingiuntivi, precetti
  • sequestro di macchine, unità, ricambi e attrezzature
  • impossibilità di completare installazioni e assistenze
  • perdita di clienti strategici e contratti continuativi

Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Con il supporto di un avvocato specializzato è possibile:

  • sospendere pignoramenti in corso
  • bloccare richieste urgenti di rientro
  • proteggere conti correnti e flussi di cassa
  • stoppare le azioni dell’Agenzia Riscossione

Prima si mette al sicuro l’azienda, poi si interviene sui debiti.


2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti

In moltissimi casi emergono irregolarità:

  • interessi non dovuti
  • sanzioni sbagliate o gonfiate
  • importi duplicati
  • posizioni prescritte
  • errori nelle cartelle esattoriali
  • commissioni bancarie anomale/illegittime

Una parte importante del debito può essere tagliata o cancellata.


3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile

Soluzioni reali e praticabili:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi con fornitori tecnici e strategici
  • rinegoziazione dei fidi bancari
  • sospensione momentanea dei pagamenti
  • accesso alle definizioni agevolate quando disponibili

4. Attivare strumenti legali che bloccano TUTTI i creditori

Nei casi più seri puoi ricorrere a:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • Accordi di Ristrutturazione dei Debiti
  • Concordato Minore
  • (nei casi estremi) Liquidazione Controllata

Questi strumenti permettono all’azienda di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti, mentre ogni pignoramento viene sospeso.


Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo

Per salvare un’azienda del settore HVAC industriale servono competenze avanzate e specifiche.
L’Avv. Monardo è:

  • Avvocato Cassazionista
  • Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Un profilo altamente qualificato per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende che producono e mantengono deumidificatori industriali.


Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo

  • analisi immediata della tua esposizione debitoria
  • stop urgente ai pignoramenti e ai decreti ingiuntivi
  • riduzione dei debiti non dovuti
  • ristrutturazione con piani sostenibili
  • protezione di macchinari, ricambi, componenti e attività tecniche
  • trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • tutela totale dell’azienda e dell’amministratore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di deumidificatori industriali non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, tecnica e completamente legale, puoi:

  • fermare immediatamente i creditori,
  • ridurre concretamente i debiti,
  • salvare installazioni, commesse e continuità operativa,
  • proteggere il futuro della tua impresa.

Agisci ora.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
il percorso di salvataggio può iniziare oggi stesso.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!