Se la tua azienda produce, importa o distribuisce smerigliatrici industriali, smerigliatrici angolari, da banco, a nastro, macchine per finitura e sbavo, dischi abrasivi, motori elettrici, ricambi e componenti per officine meccaniche, carpenterie e industrie, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è indispensabile intervenire subito per evitare fermi produttivi e perdita di clienti importanti.
Nel settore della smerigliatura, anche un ritardo minimo nelle consegne o nell’assistenza tecnica può bloccare linee produttive, rallentare lavori urgenti e causare penali contrattuali, oltre a danni immediati alla reputazione.
Perché le aziende di smerigliatrici accumulano debiti
- aumento dei costi di motori, acciaio, elettronica e materiali abrasivi
- rincari nelle importazioni e shortage di componenti tecnici
- pagamenti lenti da parte di officine, rivenditori e industrie
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
- magazzini costosi con ricambi, dischi abrasivi, varianti e modelli diversi
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli di produzione
- investimenti continui in certificazioni, sicurezza, manutenzioni e controllo qualità
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista l’intera esposizione debitoria
- individuare quali debiti possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro troppo onerosi che consumano liquidità
- chiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti o azioni esecutive
- proteggere i rapporti con fornitori strategici e componenti critici
- utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza bloccare produzione e assistenza
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di motori, ricambi, dischi e materiali abrasivi
- impossibilità di completare consegne, manutenzioni e lavorazioni
- perdita di clienti storici e rivenditori tecnici
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
È inoltre:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può offrirti un aiuto concreto per:
- bloccare pignoramenti e procedure esecutive
- ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti legali più efficaci
- ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
- proteggere macchinari, ricambi, materiali abrasivi e continuità produttiva
- evitare la chiusura e guidare la tua azienda verso un risanamento vero
Agisci ora
Le aziende non falliscono per i debiti, ma per il ritardo con cui reagiscono.
Agendo tempestivamente puoi salvare clienti, ordini, commesse e stabilità finanziaria.
👉 La tua azienda è indebitata?
Richiedi subito una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo e metti in sicurezza la tua azienda di smerigliatrici.
Introduzione
Gestire un’azienda produttrice di smerigliatrici in difficoltà finanziaria pone sfide complesse. Quando i debiti iniziano ad accumularsi (verso banche, fornitori, Fisco, INPS, ecc.), è fondamentale conoscere gli strumenti giuridici per difendersi dalle azioni dei creditori e tentare il risanamento dell’impresa. Questa guida – aggiornata a ottobre 2025 – fornisce un’analisi avanzata e dettagliata (dal punto di vista del debitore) delle normative italiane rilevanti, delle sentenze più recenti e delle strategie pratiche per affrontare debiti aziendali. Il taglio è tecnico ma divulgativo, adatto sia a professionisti legali sia a imprenditori e privati, con domande e risposte frequenti, tabelle riepilogative ed esempi pratici riferiti alla realtà italiana .
Nelle sezioni seguenti esamineremo dapprima il quadro normativo generale sulla responsabilità patrimoniale di società e imprenditori, quindi analizzeremo le diverse tipologie di debiti (fiscali, previdenziali, bancari, commerciali), evidenziandone le conseguenze e i rimedi specifici. Approfondiremo poi gli strumenti di difesa e risanamento disponibili – dai piani di rientro extra-giudiziali agli strumenti di ristrutturazione del debito previsti dalla legge (come i piani attestati di risanamento ex art. 67 L.F. oggi art. 56 CCII, gli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis L.F. oggi artt. 57-64 CCII, il concordato preventivo ex artt. 160 L.F. oggi artt. 84-120 CCII, nonché la composizione negoziata introdotta nel 2021) – e vedremo in quali casi amministratori, soci o garanti possono essere chiamati a rispondere personalmente. Una sezione di FAQ (domande frequenti) chiarirà i dubbi più comuni, mentre esempi concreti illustreranno l’applicazione pratica delle soluzioni. Tutte le affermazioni sono supportate da fonti normative (articoli di legge) e giurisprudenziali aggiornate, elencate in fondo alla guida per consentire ulteriori approfondimenti .
Quadro normativo generale: autonomia patrimoniale e responsabilità d’impresa
Il diritto societario italiano si fonda sul principio dell’autonomia patrimoniale perfetta per le società di capitali (S.r.l., S.p.A. ecc.): la società è un soggetto giuridico distinto e risponde delle obbligazioni contratte solo con il proprio patrimonio. In altre parole, di regola soci e amministratori non rispondono con i propri beni personali dei debiti sociali, limitando il rischio al capitale investito . Questa regola – sancita ad esempio dagli artt. 2325 c.c. (per le S.p.A.) e 2462 c.c. (per le S.r.l.) – incoraggia l’iniziativa economica e l’imprenditorialità, poiché chi avvia un’impresa di norma rischia soltanto il denaro conferito e non l’intero patrimonio personale.
Esempio: se una S.r.l. produttrice di smerigliatrici fallisce (oggi si direbbe liquidazione giudiziale) con €100.000 di debiti verso fornitori, i fornitori potranno soddisfarsi solo sui beni intestati alla società. Se dalla liquidazione dei beni sociali si recuperano €20.000, il restante debito (€80.000) rimane insoddisfatto e i creditori dovranno rinunciarvi; amministratori e soci normalmente non sono tenuti a coprire personalmente quella differenza.
Il quadro è diverso per le società di persone (S.n.c., S.a.s.), dove almeno alcuni soci rispondono illimitatamente e solidalmente dei debiti sociali (es.: tutti i soci nelle S.n.c.; i soli soci accomandatari nelle S.a.s.) e l’autonomia patrimoniale è imperfetta. In questa guida tuttavia ci concentreremo sulle società di capitali (oltre che sulle imprese individuali), in cui la responsabilità personale per le obbligazioni dell’impresa è l’eccezione, non la regola .
Eccezioni alla responsabilità limitata. La legge e la giurisprudenza prevedono varie circostanze in cui il “velo” societario può essere “perforato”, facendo ricadere il debito sociale indirettamente o direttamente su amministratori, soci o garanti. Ecco le principali eccezioni al principio di autonomia patrimoniale (situazioni in cui il patrimonio personale dei soggetti coinvolti può essere aggredito):
- Distribuzioni ai soci in pregiudizio dei creditori: in fase di scioglimento o liquidazione della società, i soci non possono percepire attivi se vi sono debiti sociali insoddisfatti. Ad esempio, se al termine della liquidazione vengono distribuiti beni ai soci lasciando debiti verso terzi, i creditori sociali possono agire contro gli ex soci (e talvolta contro i liquidatori) per recuperare quanto i soci hanno ricevuto indebitamente . In pratica, l’attivo non può essere distratto a favore dei soci a danno dei creditori: ciò che i soci hanno ricevuto dovrà eventualmente essere restituito per pagare i creditori rimasti insoddisfatti.
- Gestione illecita o gravemente imprudente degli amministratori: se l’amministratore viola i doveri imposti dalla legge (diligenza professionale, obbligo di conservare l’integrità del patrimonio sociale, rispetto delle norme tributarie, obbligo di intervenire in caso di perdita del capitale, ecc.) causando un danno alla società o ai creditori, può essere chiamato a risponderne di persona. In altre parole, l’amministratore viene tenuto a pagare i debiti sociali quando una cattiva gestione ha aggravato il dissesto. Rientrano in questa categoria sia condotte dolose (es. distrazione di beni aziendali a fini personali, operazioni volutamente fraudolente) sia omissioni gravemente imprudenti (es. omettere di convocare i soci per ricapitalizzare o liquidare la società quando la legge lo impone per perdite rilevanti, continuare ad accumulare debiti in uno stato di conclamata insolvenza, non versare tributi pur avendone le risorse, etc.) . In tali casi i creditori sociali, o il curatore fallimentare in caso di procedura concorsuale, possono esercitare azioni di responsabilità per ottenere dagli amministratori il risarcimento del danno patrimoniale causato dalla loro mala gestio . Una novità importante in materia è l’art. 2486 c.c. (come modificato dall’art. 378 del Codice della Crisi d’Impresa): esso introduce criteri presuntivi per quantificare il danno da “continuazione abusiva” dell’attività oltre la soglia di scioglimento. In particolare, quando gli amministratori proseguono l’attività nonostante una causa di scioglimento della società (es. perdite che azzerano il capitale), il danno risarcibile ai creditori può essere determinato quantomeno nella differenza tra il patrimonio netto alla data in cui sarebbe dovuta intervenire la liquidazione e il patrimonio netto al momento dell’apertura della procedura concorsuale, oppure nell’aggravio del passivo maturato nel periodo di illegittima prosecuzione . Queste presunzioni – introdotte per legge – facilitano i creditori (o il curatore) nel dimostrare il danno da gestione ritardata dell’insolvenza. Va detto però che l’amministratore può fornire prova contraria (ad esempio dimostrando che, pur avendo continuato l’attività, non ha aumentato il passivo né ridotto l’attivo rispetto a una liquidazione tempestiva).
- Debiti tributari e previdenziali in capo a gestori o soci: normative speciali prevedono ipotesi in cui amministratori, liquidatori o persino soci rispondono personalmente di taluni debiti fiscali o contributivi della società non pagati. Un esempio di rilievo è l’art. 36 del D.P.R. 602/1973, che – in deroga al principio di separazione patrimoniale – stabilisce la responsabilità personale di liquidatori, amministratori e soci per imposte non versate in specifiche situazioni . In sintesi, il liquidatore risponde se, durante la liquidazione, paga creditori di grado inferiore preferendoli al Fisco, oppure se distribuisce attivo ai soci senza prima pagare le imposte dovute; l’amministratore risponde se, ad esempio, a fronte di una causa di scioglimento (es. perdita del capitale sociale) omette di mettere la società in liquidazione e compie operazioni che pregiudicano la garanzia patrimoniale per l’Erario nei due anni precedenti il fallimento; i soci possono rispondere, ma solo limitatamente a quanto indebitamente ricevuto nei due anni precedenti la liquidazione . Questa responsabilità ex lege scatta a prescindere dal dolo o dalla colpa grave, purché ricorrano i presupposti previsti dalla norma, ed è tipicamente fatta valere dall’Agenzia delle Entrate o dagli enti previdenziali. Da notare che l’Agenzia delle Entrate, per escutere il soggetto responsabile, deve emettere un avviso di accertamento motivato notificandolo all’amministratore o liquidatore in questione, contestando le condizioni della sua responsabilità, prima di iscrivergli a ruolo il debito tributario . Inoltre, giurisprudenza recente ha chiarito alcuni limiti di tale norma: ad esempio, la Cassazione (ord. n. 35497/2023) ha confermato che fino al 2014 l’art. 36 DPR 602/1973 non si applicava all’IVA (ma solo alle imposte sui redditi), quindi per debiti IVA anteriori al 2015 l’ex amministratore potrebbe non risponderne personalmente . In ogni caso, un amministratore o liquidatore che riceva una cartella esattoriale personale per debiti della società può difendersi – ad esempio eccependo la mancata notifica del necessario avviso di accertamento o contestando nel merito la sussistenza dei presupposti di legge – per evitare il pagamento se non dovuto. (Approfondiremo più avanti le tutele specifiche per debiti fiscali e contributivi).
- Garanzie personali e fideiussioni: spesso gli imprenditori, i soci o gli amministratori rilasciano garanzie personali a favore di banche o altri creditori per ottenere finanziamenti all’azienda (es. fideiussioni bancarie omnibus, ipoteche su beni personali a garanzia di mutui aziendali, pegni su titoli personali, ecc.). In tali casi, indipendentemente dalla disciplina societaria, il garante risponde con il proprio patrimonio secondo il contratto di fideiussione o di garanzia prestata. Si tratta di una responsabilità di natura contrattuale (volontariamente assunta) e non legale: tuttavia è una situazione molto comune, specialmente per PMI in cui le banche spesso chiedono il coinvolgimento personale dei proprietari. Quindi, se la società è insolvente, il creditore garantito (es. la banca) potrà agire anche contro il patrimonio personale del fideiussore o garante per recuperare il credito. Da segnalare che molte fideiussioni omnibus bancarie, basate su schemi predisposti dall’ABI, sono state dichiarate nulle nelle clausole anticoncorrenziali: la Cassazione a Sezioni Unite (sent. 41994/2021) ha confermato la nullità parziale di tali contratti standard illegittimi. Ciò significa che un fideiussore, in alcuni casi, può opporsi al pagamento eccependo la nullità di clausole chiave (ad es. quelle di “reviviscenza” del debito, di estensione a obbligazioni future, ecc.), ottenendo di non dover pagare – totalmente o parzialmente – in base a quella garanzia. È un aspetto molto tecnico, da valutare con un legale, ma che citiamo perché in sede di difesa personale dell’imprenditore talvolta permette di limitare le conseguenze patrimoniali (ad es. nell’ipotesi in cui la banca escuta una fideiussione nulla, il garante può far valere giudizialmente tale nullità per evitare l’esborso).
- Abuso della personalità giuridica (“piercing the corporate veil”): in casi di frode grave, quando la società di capitali è usata come schermo fittizio al solo scopo di ingannare i creditori o di sottrarre beni alla loro garanzia, la giurisprudenza ammette in via di principio che il giudice dichiari inopponibile ai creditori la distinzione tra patrimonio sociale e patrimonio personale degli amministratori/soci. In tal caso eccezionale, i soci o gli amministratori potrebbero essere chiamati a rispondere personalmente dei debiti sociali come se non ci fosse distinzione. Va detto che nel nostro ordinamento questo “piercing” del velo societario è applicato con estrema cautela: mancano norme positive specifiche e i precedenti sono rari e circoscritti (più che altro pronunciamenti di merito in fattispecie di abuso evidente della struttura societaria). È dunque una estrema ratio per colpire comportamenti di evidente frode ai creditori: finché il legislatore non introdurrà previsioni ad hoc, rimane una costruzione teorica applicabile solo in situazioni limite (es. società schermo priva di reale attività, creata e usata unicamente per contrarre debiti e spostare fondi ai soci senza pagare i creditori).
In sintesi, l’ordinamento bilancia due esigenze: da un lato tutelare l’iniziativa economica tramite la responsabilità limitata (evitando che la paura di perdere tutti i beni personali dissuada l’imprenditore dal fare impresa), dall’altro impedire abusi e mala gestio. La responsabilità personale di amministratori/soci scatta quindi solo in caso di inosservanza dei doveri legali posti a loro carico o di condotte contrarie alla legge. In particolare, gli amministratori di S.r.l. e S.p.A. hanno oggi specifici obblighi di monitorare la situazione finanziaria e agire tempestivamente in caso di crisi: l’art. 2086 c.c. impone loro di dotare la società di assetti organizzativi adeguati a rilevare gli squilibri economico-patrimoniali e finanziari, e di attivarsi senza indugio per adottare uno strumento di regolazione della crisi qualora si manifestino indizi di difficoltà. Il mancato adempimento di questi obblighi può costituire elemento di colpa grave nella successiva azione di responsabilità. Inoltre, come visto, l’art. 2486 c.c. scoraggia la prosecuzione oltre il lecito dell’attività in perdita, gravando gli amministratori delle conseguenze patrimoniali di un aggravamento del dissesto. In poche parole: finché l’imprenditore in crisi agisce con correttezza e trasparenza – attivando gli strumenti di legge per risanare o liquidare l’azienda – i suoi beni personali restano protetti; viceversa, l’inazione colpevole o le scorrettezze possono “rompere” lo schermo della società, esponendo amministratori (e talvolta soci) a responsabilità dirette.
Tabella 1 – Autonomia patrimoniale e casi di responsabilità personale
| Principio generale | Eccezioni (responsabilità personale) |
|---|---|
| Società di capitali: risponde solo la società col suo patrimonio; soci e amministratori non rispondono dei debiti sociali. (Art. 2325 c.c. S.p.A.; Art. 2462 c.c. S.r.l.) | – Violazioni gravi degli obblighi degli amministratori (mala gestio, es. gestione oltre la soglia di scioglimento senza interventi, violazione doveri di conservazione del patrimonio) → azione di responsabilità per danni .<br>– Violazioni in liquidazione (pagamenti ai soci lasciando debiti, preferenze indebite) → soci e liquidatori responsabili per quanto indebitamente distribuito .<br>– Debiti fiscali/previdenziali non pagati in presenza di determinate condizioni → responsabilità ex lege di amministratori/liquidatori/soci (art. 36 DPR 602/1973) .<br>– Garanzie personali prestate (fideiussioni, ipoteche personali): il garante risponde contrattualmente col proprio patrimonio.<br>– Frodi tramite uso abusivo della società (società-schermo) → possibile inopponibilità della distinzione patrimoniale (piercing the veil) in giudizio. |
Nota: Le società di persone (S.n.c., S.a.s.) hanno regole diverse – i soci (tutti o alcuni) rispondono illimitatamente dei debiti – e gli imprenditori individuali rispondono sempre con tutti i propri beni. Inoltre, i piccoli imprenditori “non fallibili” (sotto le soglie di cui all’art. 2 CCII) non sono soggetti a fallimento o liquidazione giudiziale, ma ai rimedi per il sovraindebitamento (vd. oltre). Questa guida tuttavia si focalizza sulle imprese commerciali fallibili (es. S.r.l., S.p.A. di qualunque dimensione, o ditte individuali sopra soglia) e sugli strumenti previsti dal diritto della crisi d’impresa. Le eventuali specificità per imprese minori e persone fisiche sovraindebitate saranno indicate separatamente.
Tipologie di debiti aziendali: rischi e tutele specifiche
Non tutti i debiti sono uguali. Un’azienda di smerigliatrici indebitata può avere esposizioni di diversa natura – ad esempio debiti con l’Erario per tasse non pagate, debiti con banche per mutui o fidi, debiti con fornitori di materiali, debiti con l’INPS per contributi – e ciascuna categoria di credito ha regole proprie quanto a tutela giuridica, poteri del creditore e strumenti di composizione. Analizziamo le principali categorie di debiti e le relative criticità dal punto di vista del debitore:
Debiti fiscali (verso il Fisco)
I debiti tributari verso l’Erario (Agenzia delle Entrate e la sua struttura di riscossione, Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) comprendono imposte non pagate (IVA, IRES/IRPEF, IRAP, ritenute fiscali su stipendi, ecc.) e relative sanzioni e interessi. Caratteristiche principali:
- Riscossione mediante ruolo e poteri dell’esattore: se l’azienda non paga spontaneamente un’imposta o non regolarizza a seguito di avviso bonario, il debito viene iscritto a ruolo e l’Agente della Riscossione emette una cartella esattoriale. Trascorsi 60 giorni dalla notifica senza pagamento né ricorso, la cartella diventa titolo esecutivo: ciò significa che il concessionario può iniziare il recupero forzoso. Il Fisco ha poteri incisivi: può iscrivere ipoteca legale sugli immobili della società (oltre una certa soglia, attualmente circa €20.000 di debito ) e disporre fermi amministrativi sui beni mobili registrati (veicoli aziendali, per debiti sopra €5.000) . Può inoltre pignorare conti correnti, crediti verso terzi (ad es. crediti commerciali del debitore), macchinari e altri beni, seguendo le norme speciali del D.P.R. 602/1973. Va ricordato che, a differenza di un creditore civile, l’Agente di Riscossione non necessita di un previo provvedimento giudiziario: la cartella stessa (o l’avviso di accertamento immediatamente esecutivo) tiene luogo del titolo esecutivo, salvo il diritto del contribuente di contestarlo in Commissione Tributaria. Ciò rende il Fisco un creditore molto rapido nell’attivarsi.
- Crediti privilegiati: molti debiti tributari, per loro natura, godono di privilegi nel concorso con altri creditori. In caso di insolvenza, l’Erario ha privilegio generale mobiliare sui beni mobili aziendali per le imposte dirette e l’IVA, e privilegi speciali su alcuni beni (es.: ipoteca per ruolo su immobili, come detto). Ciò significa che, se l’azienda fallisce o entra in liquidazione concorsuale, il Fisco sarà soddisfatto con precedenza rispetto ai creditori chirografari (non garantiti) fino a concorrenza del valore dei beni su cui insiste il privilegio. Questo condiziona anche le trattative: spesso l’Erario può esigere trattamenti migliorativi rispetto ai semplici fornitori, proprio in virtù del suo status privilegiato.
- Sanzioni e interessi: il mancato pagamento delle imposte nei termini comporta sanzioni amministrative (in genere dal 30% al 100% dell’imposta non versata, a seconda dei casi, riducibili se c’è ravvedimento operoso) e interessi di mora. Questi accessori fanno crescere rapidamente l’ammontare dovuto. Ad esempio, una liquidazione IVA non pagata vedrà aggiungersi il 30% di sanzione (ridotto a 15% se si paga entro 90 giorni, ecc.) più interessi calcolati al tasso legale annuo dal giorno di scadenza. Nelle procedure di definizione agevolata (come le cosiddette “rottamazioni delle cartelle”) spesso si abbuonano sanzioni e interessi di mora, evidenziando come questi possano costituire larga parte del debito fiscale accumulato.
- Possibili reati tributari: alcuni debiti fiscali, se di importo rilevante e dichiarati ma non versati, integrano ipotesi di reato a carico dell’amministratore. Ad esempio, l’omesso versamento IVA oltre la soglia penale (oggi €250.000 per anno d’imposta) è reato punito dall’art. 10-ter D.Lgs. 74/2000 con la reclusione fino a 6 anni . Analogamente, non versare le ritenute certificate operate sulle retribuzioni dei dipendenti per oltre €150.000 annui è reato (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000). Questi reati scattano se l’imposta è stata regolarmente dichiarata ma non pagata entro la scadenza di legge. La crisi di liquidità dell’impresa non è di per sé una giustificazione penale (anche se il pagamento integrale del dovuto prima del processo può evitare la condanna, grazie a cause di non punibilità introdotte di recente). Pertanto, l’amministratore-debitore deve essere consapevole che omettere il versamento di imposte come IVA o ritenute comporta rischi penali oltre che civili – e attivarsi di conseguenza (ad esempio, se possibile, pagando almeno parzialmente per scendere sotto soglia, o comunque consultando un legale data la gravità delle conseguenze) .
- Responsabilità personali (art. 36 DPR 602/1973): come già accennato nel paragrafo precedente, in certe ipotesi il Fisco può rivolgersi direttamente agli amministratori, liquidatori o soci per recuperare imposte non pagate dalla società. L’art. 36 citato si applica soprattutto quando la società è stata messa in liquidazione o cancellata lasciando debiti tributari. In tali casi, l’Agenzia delle Entrate può emettere avvisi di accertamento mirati contro gli ex gestori, addebitando loro le somme non versate, qualora abbiano violato le regole di correttezza nella liquidazione (pagando altri e non il Fisco, o dissipando attivo). Ad esempio, un liquidatore che paga fornitori postergando il pagamento delle imposte dovute, oppure che distribuisce utili residui ai soci prima di soddisfare l’Erario, ne risponde personalmente . Anche un amministratore, pure al di fuori della liquidazione formale, può essere chiamato in causa se ha aggravato volontariamente la posizione del Fisco (ad es. vendendo sottocosto beni gravati da privilegio fiscale, distraendo asset invece di conservare la garanzia generale, ecc.). È importante sottolineare che questa responsabilità non è automatica: richiede un atto formale dell’Agenzia delle Entrate che contesti il comportamento scorretto e che vi sia nesso causale con l’imposta rimasta impagata. Comunque, chi si trova destinatario di una simile azione può opporsi in giudizio, ma intanto il rischio di dover pagare di tasca propria certe imposte esiste e funge da deterrente per operazioni scorrette.
Come affrontare i debiti fiscali: il debitore ha a disposizione vari strumenti. In via amministrativa, è possibile chiedere una rateizzazione del debito: attualmente l’Agenzia Riscossione concede fino a 72 rate mensili (6 anni) per importi ordinari, elevabili fino a 120 rate (10 anni) in casi di comprovata e grave difficoltà . Le soglie per ottenere piani a lungo termine sono state recentemente ampliate: ad esempio, con la riforma PNRR del 2023, un’impresa che abbia avviato trattative nella composizione negoziata può accedere a piani straordinari di rateizzo in 120 rate per debiti tributari, in presenza di una “temporanea situazione di obiettiva difficoltà” attestata dall’esperto . Oltre alle dilazioni ordinarie, il legislatore negli ultimi anni ha introdotto diverse definizioni agevolate (cd. rottamazione delle cartelle, saldo e stralcio per contribuenti in grave crisi, ecc.) che permettono di estinguere i debiti fiscali pagando solo l’imposta (con stralcio di sanzioni e interessi) o addirittura solo una percentuale ridotta. Queste misure però sono straordinarie e temporanee, stabilite dalle leggi di bilancio di volta in volta: ad esempio, nel 2023 era attiva la “rottamazione-quater” per i carichi affidati al riscossore dal 2000 al 2021. Chi ha debiti fiscali farebbe bene a verificare se vi siano sanatorie in corso e valutare l’adesione quando conviene.
In ambito giudiziale concorsuale, i debiti tributari possono essere inclusi in piani di ristrutturazione o procedure concorsuali attraverso lo strumento della transazione fiscale. Introdotta nel 2005 e ora disciplinata espressamente nel Codice della Crisi (artt. 63 e 88 D.Lgs. 14/2019), la transazione fiscale consente al debitore di proporre al Fisco il pagamento parziale (falcidia) e/o dilazionato dei debiti tributari nell’ambito di un accordo di ristrutturazione o di un concordato preventivo . In pratica si “tratta” col Fisco uno stralcio: ad esempio, offrire di pagare il 50% del debito IVA in 5 anni. Prima, l’efficacia di questa proposta dipendeva dal consenso dell’Agenzia delle Entrate, la quale poteva rifiutare e – con il suo voto contrario – far fallire l’intera operazione di concordato. Oggi le cose sono cambiate in meglio per il debitore: la legge e la giurisprudenza hanno aperto alla possibilità di omologare l’accordo o il concordato anche senza il voto favorevole del Fisco, a certe condizioni (il cosiddetto cram-down fiscale). Nel caso degli accordi di ristrutturazione, il Codice prevede espressamente che il tribunale possa omologare l’accordo anche senza il consenso dell’Agenzia delle Entrate o dell’INPS se la loro adesione sarebbe determinante per il quorum e la proposta è più conveniente della liquidazione . Analogamente, nel concordato preventivo, la Cassazione con sentenza n. 27782 del 28/10/2024 (Sez. I) ha sancito che il tribunale può approvare il concordato preventivo anche in presenza del voto contrario dell’Erario, purché sia provato che il piano offre al Fisco una soddisfazione economica superiore a quella che otterrebbe da una liquidazione fallimentare . Questo è stato poi recepito dal Correttivo 2024 al Codice della Crisi (D.Lgs. 136/2024), che allineando la disciplina del concordato a quella degli accordi ha esplicitamente previsto l’omologazione forzata anche senza il voto favorevole dei creditori pubblici, se il piano è più vantaggioso del fallimento . In pratica, oggi un imprenditore indebitato col Fisco ha maggiori chance di far passare un piano di ristrutturazione dei debiti tributari anche senza l’ok dell’Erario, a patto di offrire ai crediti pubblici almeno quanto (o più) otterrebbero in caso di liquidazione giudiziale . Questo riduce il potere di veto del Fisco e incoraggia soluzioni concordate, evitando che un diniego fiscale “irragionevole” condanni l’azienda al fallimento se esiste un piano migliore per tutti.
Nota: resta ferma la necessità che il trattamento proposto al Fisco sia legittimo e proporzionato. Il tribunale potrà forzare l’omologazione contro il parere dell’Erario solo se rigorosamente dimostrato che (a) il piano rispetta la parità di trattamento tra creditori della stessa priorità e le regole di priorità assoluta/relativa (ad es. non si può dare ai creditori subordinati più di quanto si dà al Fisco privilegiato), e (b) il Fisco riceve dal piano più di quanto riceverebbe dalla liquidazione fallimentare . Resta dunque vietato “tirare troppo la corda”: se il piano appare come un abuso (es. una falcidia ingiustificata che fa recuperare al Fisco molto meno del realizzo in caso di fallimento), l’omologazione potrà essere negata o revocata (come accaduto, ad esempio, nella vicenda decisa dalla Corte d’Appello di Genova n. 48/2025, dove è stata annullata l’omologa di un concordato che concedeva un taglio fiscale eccessivo e squilibrato) . In sintesi, la recente apertura sul cram-down fiscale è una grande opportunità per salvare imprese altrimenti condannate dal “veto” erariale , ma va usata cum grano salis, formulando proposte serie e documentate.
Infine, per il debitore è cruciale non ignorare le comunicazioni del Fisco. Se si ricevono avvisi di accertamento o cartelle, vanno valutati con professionisti: se vi sono motivi validi per contestare (errori, prescrizione, mancanza di fondamento) bisogna presentare tempestivo ricorso tributario; se invece il debito è dovuto ma non si può pagare in unica soluzione, si devono tempestivamente esplorare soluzioni come la richiesta di dilazione o l’inclusione del debito in un piano di risanamento. Ignorare il problema fiscale è la scelta peggiore, perché porta rapidamente a misure esecutive (pignoramenti, ipoteche) che possono paralizzare l’attività e portare l’impresa alla chiusura forzata.
Debiti previdenziali (INPS e altri enti)
I debiti verso l’INPS riguardano i contributi previdenziali obbligatori non versati (sia quelli a carico dell’azienda sia quelli trattenuti ai dipendenti) e gli eventuali contributi dovuti ad altri enti previdenziali/assistenziali (es. Casse professionali). Molto spesso l’azienda in crisi, oltre a non pagare le imposte, sospende anche il versamento dei contributi per far fronte alla carenza di liquidità. Le caratteristiche di questi debiti sono analoghe a quelle fiscali, con alcune particolarità:
- Riscossione e tutela privilegiata: L’INPS utilizza meccanismi di riscossione simili a quelli del Fisco. In particolare, emette Avvisi di Addebito che, trascorsi i termini, costituiscono titolo esecutivo al pari delle cartelle (dal 2011 l’INPS notifica direttamente l’avviso che vale come cartella) . Dunque, un debito contributivo non pagato può condurre in tempi brevi a pignoramenti su conti o beni aziendali, eseguiti dall’Agente della Riscossione anche per conto dell’INPS. Anche i crediti contributivi godono di privilegio generale sui mobili dell’azienda (ex art. 2753 c.c.), il che dà loro priorità nel concorso con altri creditori chirografari. L’INPS può inoltre iscrivere ipoteca e disporre fermi tramite Agenzia Riscossione negli stessi termini del Fisco (spesso le soglie di importo sono identiche, es. ipoteca sopra €20.000).
- Sanzioni civili: Il mancato versamento di contributi comporta sanzioni civili piuttosto onerose: l’INPS applica sulle somme dovute sanzioni aggiuntive che fungono da interessi di mora e penalità insieme. In genere, sulle somme non versate viene applicato fino al 30% annuo (per il primo anno di ritardo) poi ridotto al tasso legale oltre il 12° mese . Questo meccanismo fa crescere molto il debito previdenziale, anche se esistono casi di riduzione: ad esempio, il cosiddetto ravvedimento operoso (versamento spontaneo tardivo) o particolari sanatorie contributive possono ridurre queste sanzioni. Da notare che nelle rottamazioni delle cartelle le sanzioni civili INPS vengono di solito assimilate alle sanzioni tributarie e quindi azzerate, ma ciò vale solo per i carichi ormai affidati all’Agente Riscossione (non per il debito “fresco” non ancora cartolarizzato).
- Reati per omesso versamento di ritenute previdenziali: La parte di contributi trattenuta dalla retribuzione del dipendente (cosiddetta quota a carico del lavoratore) è equiparata, concettualmente, alle ritenute fiscali: l’azienda la trattiene in busta paga e dovrebbe versarla all’INPS. Non versare le ritenute previdenziali oltre una soglia annuale integra reato (art. 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983 conv. in L. 638/1983): se l’omissione supera €10.000 annui, è prevista la reclusione fino a 3 anni e multa; sotto tale soglia c’è solo una sanzione amministrativa . A differenza dell’IVA, la soglia penale per contributi è bassa (€10.000) e dunque facilmente superabile anche da una piccola impresa se si accumulano alcuni mesi di mancato versamento delle ritenute dei dipendenti. È importante notare che questo reato riguarda solo la quota trattenuta (che appartiene al lavoratore); l’omesso versamento dei contributi a carico dell’azienda invece non è reato (resta un illecito civile). Anche per i contributi, comunque, la legge prevede cause di non punibilità: se l’azienda paga tutti i contributi dovuti (anche tardivamente) prima che il giudice penale accerti definitivamente il reato, l’azienda evita la condanna. Ma anche qui, confidare in un pagamento futuro può essere rischioso: l’amministratore deve essere consapevole che non versare i contributi dei dipendenti è un fatto grave, e la crisi aziendale non giustifica penalmente l’omissione.
- Azioni di responsabilità verso amministratori: come per il Fisco, anche la normativa previdenziale consente (in casi estremi) di perseguire gli amministratori personalmente. Ad esempio, se un’azienda viene liquidata lasciando contributi INPS impagati, l’ente può tentare un’azione di responsabilità civile verso gli ex amministratori per mala gestio (ai sensi dell’art. 2394 c.c., o oggi art. 378 CCII), sostenendo che la mancata allocazione di risorse per i contributi ha danneggiato i creditori previdenziali. Inoltre, articoli di legge speciali prevedono responsabilità analoghe all’art. 36 DPR 602/73: ad esempio l’art. 3, comma 3-bis, D.Lgs. 8/1994 prevede che in caso di omissione contributiva in una procedura concorsuale, l’INPS possa insinuarsi anche verso gli amministratori se il mancato pagamento è dovuto a atti di questi ultimi compiuti in violazione dei doveri legali. Si tratta però di situazioni più rare rispetto al Fisco, e comunque l’INPS tende a utilizzare soprattutto gli strumenti esattivi ordinari (ruoli, pignoramenti).
Come affrontare i debiti previdenziali: molte considerazioni fatte per il Fisco valgono anche qui. L’azienda può chiedere rateizzazioni all’INPS (di norma, piani fino a 24 mesi per i contributi correnti, o aderire a piani di rientro per gli arretrati iscritti a ruolo analoghi a quelli fiscali). In caso di crisi acuta, il debitore può includere i contributi in un accordo di ristrutturazione o in un concordato, chiedendo una transazione previdenziale: il Codice della Crisi prevede che la transazione fiscale possa comprendere anche i contributi dovuti agli enti previdenziali (e analogamente è ammesso il cram-down sull’INPS se l’offerta è più conveniente del fallimento) . Dunque, in un concordato preventivo o accordo si può proporre ad esempio di pagare solo il 40% dei contributi dovuti: se l’INPS rifiuta, ma il piano offre comunque più di quel che l’ente incasserebbe in caso di fallimento dell’azienda, il tribunale può ugualmente omologare il piano. Questa è una novità recente, frutto sia delle riforme (D.Lgs. 83/2022 e 136/2024) sia di pronunce come la già citata Cass. 27782/2024 (che riguardava Fisco ma analogo ragionamento vale per contributi).
Inoltre, in situazioni di crisi generalizzata, il legislatore a volte include i contributi in sanatorie: ad esempio in alcune “rottamazioni” delle cartelle esattoriali erano ricompresi anche i carichi INPS affidati al riscossore, permettendo di saldare contributi senza sanzioni civili. Vale quindi la pena monitorare anche la normativa emergenziale.
In ogni caso, ignorare i debiti INPS è pericoloso: l’ente può arrivare a pignorare i macchinari o i prodotti in magazzino, paralizzando la produzione. È quindi opportuno affrontare il problema di petto: valutare un piano di rientro, oppure – se il debito è insostenibile – includerlo in una procedura di regolazione della crisi (accordo, concordato), dove peraltro eventuali sanzioni possono essere stralciate e le somme dilazionate.
Debiti bancari e finanziari
Le esposizioni debitorie verso banche e altri intermediari finanziari (ad es. società di leasing, società di factoring, fornitori che hanno concesso dilazioni con titoli, ecc.) costituiscono spesso la parte più consistente dell’indebitamento di un’azienda manifatturiera. Caratteristiche e rischi:
- Crediti spesso assistiti da garanzie: le banche tendono a erogare credito assicurandosi garanzie reali o personali. Un’azienda di smerigliatrici potrebbe avere un mutuo ipotecario sull’immobile industriale, leasing su macchinari (dove il macchinario stesso è di proprietà del lessor fino a riscatto), pegno su scorte o crediti, o ancora fideiussioni personali dei soci/amministratori. Questo significa che il mancato pagamento di queste obbligazioni consente al creditore di escutere la garanzia: es. la banca può agire esecutivamente sull’immobile ipotecato se le rate del mutuo non vengono pagate. Anche senza garanzie reali, le banche hanno spesso in mano titoli di credito (cambiali, effetti) o contratti che prevedono la decadenza dal beneficio del termine: basta un ritardo per far sì che l’intero debito residuo diventi esigibile immediatamente.
- Revoca degli affidamenti e effetto a catena: se l’azienda ha linee di credito in conto corrente (scoperti, fidi di cassa) o castelletto per sconto di fatture, la banca – in presenza di segnali di crisi (insoluti, covenants non rispettati, rating peggiorato) – può revocare gli affidamenti e richiedere il rientro immediato. La revoca di linee di credito autoliquidanti (fido per anticipo fatture) può bloccare la liquidità aziendale, impedendo di incassare anticipi su crediti futuri. Inoltre, se un istituto inizia azioni legali (es. decreto ingiuntivo per saldo conto), spesso altri istituti lo seguono: è comune che una volta che una banca segnala sofferenza, il rating peggiori e tutte le banche restringano il credito. Il debitore si trova così nel cosiddetto credit crunch, una stretta creditizia proprio quando avrebbe più bisogno di finanziamenti.
- Procedimenti esecutivi rapidi: una volta revocati i fidi o scadute le rate senza pagamento, la banca può agire per via giudiziaria. Spesso dispone di titoli esecutivi: ad esempio, un mutuo fondiario prevede che il contratto di mutuo stesso costituisca titolo esecutivo per l’espropriazione immobiliare (art. 39 TUB), quindi la banca può iniziare direttamente il pignoramento dell’immobile ipotecato senza passare da un decreto ingiuntivo. Anche per gli scoperti di conto, è prassi ottenere decreti ingiuntivi immediatamente esecutivi (ex art. 642 c.p.c.), che in pochi mesi diventano pignorabili salvo opposizione. Gli istituti di leasing, in caso di inadempimento, possono riprendere possesso del bene in leasing con procedimento abbreviato. In sintesi, i creditori finanziari sono spesso tra i primi a tutelarsi appena fiutano la crisi, realizzando le garanzie.
- Accordi e moratorie possibili tra banca e impresa: dall’altro lato, le banche hanno interesse a massimizzare il recupero. Se l’azienda è in crisi temporanea ma recuperabile, le banche potrebbero essere disponibili a rinegoziare il debito (es. allungando le scadenze, congelando gli interessi per un certo periodo, o accettando un pagamento parziale a saldo e stralcio). In Italia sono state varate in passato intese quadro di categoria, come le moratorie ABI per le PMI in difficoltà (accordi promossi dall’Associazione Bancaria Italiana per sospendere rate e allungare i piani di ammortamento). Inoltre, il Codice della Crisi ha previsto la convenzione di moratoria: un accordo temporaneo di standstill che l’imprenditore può chiedere ai soli creditori finanziari per sospendere le azioni di recupero durante le trattative di ristrutturazione, accordo che può diventare vincolante anche per le banche dissenzienti se approvato da almeno il 75% degli istituti (estensione intra-categoria) . Ciò serve a evitare che una singola banca “rompa le righe” incassando tutto mentre le altre sono disponibili alla trattativa. Dunque, esistono strumenti per gestire in modo coordinato i debiti bancari, ma richiedono un’iniziativa tempestiva e professionale da parte del debitore (presentare piani finanziari credibili, coinvolgere gli istituti in un tavolo comune, magari con l’aiuto di un esperto). Approfondiremo nelle sezioni sui piani attestati e accordi come formalizzare queste intese.
Come affrontare i debiti bancari: se l’impresa prevede di non poter rispettare le prossime scadenze con le banche, comunicare per tempo è cruciale. Spesso si cerca di ottenere una rimodulazione: ad esempio trasformare gli utilizzi a breve (scoperti, anticipi) in un mutuo a medio termine, oppure ottenere un periodo di grazia (es. 6-12 mesi di solo pagamento interessi, posponendo la quota capitale). Le banche valutano piani di ristrutturazione aziendale dettagliati: è opportuno predisporre, con un advisor finanziario, un piano di rientro che mostri come e in che tempi la società potrà ripagare il debito, magari vendendo asset non strategici o con l’apporto di nuova finanza dei soci. In alcuni casi, se il debito è eccessivo rispetto alle prospettive, si può proporre una riduzione a saldo e stralcio: ad esempio, offrire subito il 20% del dovuto chiudendo la posizione, magari coinvolgendo un investitore terzo. Queste offerte vengono valutate dalle banche in base al rating e alle alternative (se l’alternativa è il fallimento e incassare molto meno, la banca potrebbe accettare lo stralcio).
Da notare che le banche tendono ad agire in modo coordinato quando l’impresa avvia una procedura formale: ad esempio, nell’ambito di una composizione negoziata della crisi, è prassi costituire un “ceto creditorio” con rappresentanti di banche, fornitori principali e Fisco, per trovare una soluzione collettiva. Il Codice della Crisi ha poi generalizzato l’accordo di ristrutturazione a efficacia estesa (art. 61 CCII): oggi non solo le banche, ma qualsiasi categoria omogenea di creditori (finanziari, fornitori, obbligazionisti, ecc.) può essere vincolata all’accordo se aderisce almeno il 75% di quella categoria e l’accordo viene omologato dal tribunale . In pratica, se il 75% delle banche per valore crediti concorda una ristrutturazione, il giudice può estenderla anche alle banche dissenzienti (purché siano state informate e coinvolte correttamente). Questo è un potente incentivo per evitare comportamenti opportunistici (holdout).
In situazioni estreme, se la trattativa privata fallisce, l’azienda può valutare di avviare un concordato preventivo con continuità aziendale: in tale procedura, l’azienda continua l’attività sotto tutela del tribunale e propone un piano vincolante per tutti i creditori finanziari (ciascuno riceverà la percentuale prevista dal concordato). Durante il concordato, i creditori finanziari non possono eseguire azioni esecutive individuali (scatta il divieto di azioni esecutive ex art. 168 L.F. ora art. 54 CCII) e dunque l’azienda ottiene respiro. Questo però è un mezzo giudiziale che approfondiremo più avanti: va ponderato perché comporta costi e controllo giudiziale, ma talvolta è l’unico modo di congelare la situazione ed evitare che le banche facciano fallire la società con le loro azioni.
Debiti verso fornitori e altri creditori non privilegiati
Le passività commerciali – debiti verso fornitori di materie prime, componenti, servizi, oppure verso il locatore dell’immobile (canoni di affitto arretrati), verso consulenti e professionisti, ecc. – costituiscono spesso il tessuto più diffuso dell’indebitamento aziendale. Questi creditori in genere non hanno garanzie specifiche (sono chirografari, ovvero senza privilegi né pegni) e quindi, in caso di insolvenza, sono gli ultimi ad essere pagati. Ciò tuttavia non significa che siano “innocui”: anzi, alcuni di essi possono attivarsi con strumenti giuridici determinanti:
- Decreti ingiuntivi e pignoramenti: il fornitore non pagato può richiedere un decreto ingiuntivo per ottenere rapidamente un titolo esecutivo, e quindi procedere a pignorare beni aziendali (conti, merci, attrezzature). Pur essendo un creditore chirografario, se agisce per primo può soddisfarsi su ciò che trova (chi primo pignora, meglio alloggia, finché non interviene una procedura concorsuale). Questo rischia di disgregare la par condicio: ad esempio, un fornitore aggressivo potrebbe pignorare il conto bancario, impedendo all’impresa di pagare altri fornitori o gli stipendi. L’azienda deve quindi monitorare attentamente eventuali decreti ingiuntivi notificati e valutare l’opposizione se vi sono contestazioni sul credito (merce contestata, vizi, ecc.), oppure tentare di concordare un piano di pagamento extragiudiziale prima che si arrivi al pignoramento.
- Soglia per istanza di fallimento (liquidazione giudiziale): un singolo creditore commerciale, se il suo credito supera una certa soglia ed esistono indizi di insolvenza, può presentare al tribunale un’istanza di liquidazione giudiziale (quella che prima era l’istanza di fallimento). Attualmente l’art. 2 del Codice della Crisi fissa a €30.000 la soglia minima di debito per cui si può dichiarare il fallimento di un’impresa . Ciò significa che anche un solo fornitore non pagato per un importo rilevante (ad esempio €50.000) può chiedere che la società sia dichiarata insolvente e posta in liquidazione giudiziale. Se l’impresa non reagisce (pagando o contestando il debito) e il tribunale accerta lo stato di insolvenza, verrà aperta la procedura concorsuale, con effetti devastanti per l’attività (nomina di un curatore, spossessamento dei beni dall’amministrazione del debitore, ecc.). In passato non esisteva una soglia esplicita: ora il legislatore ha voluto evitare fallimenti per importi bagatellari, ma €30.000 è comunque un limite basso per una società di medie dimensioni. Dunque attenzione: un fornitore “piccolo” ma deciso può innescare il fallimento se il debito supera quella soglia e riesce a provare che l’azienda non paga i propri debiti in modo generalizzato.
- Crediti privilegiati diversi: alcuni fornitori o creditori commerciali potrebbero avere privilegi particolari. Ad esempio, un legale o un commercialista vantano privilegio generale sui mobili per le loro spese e onorari dell’ultimo biennio; il locatore di immobili ha privilegio sui beni mobili esistenti nei locali in affitto per i canoni dell’ultimo biennio (privilegio speciale del locatore); il vettore ha privilegio sulle cose trasportate per i propri crediti di trasporto, ecc. Questi privilegi vengono fatti valere in un concorso formale (fallimento) ma in fase stragiudiziale possono spingere il creditore ad essere meno flessibile (sapendo che è “protetto” in caso di procedura). Inoltre, se il fornitore ha riserva di proprietà sulla merce venduta (ad esempio ha venduto un macchinario con patto di riservato dominio fino al saldo del prezzo), potrebbe rivendicare la proprietà del bene in caso di inadempimento dell’acquirente e riprenderselo, sottraendolo così all’impresa.
- Interruzione forniture e conseguenze commerciali: i fornitori non sono legati solo da vincolo creditore-debitore, ma spesso sono partner essenziali per l’operatività (pensiamo ai fornitori di materie prime, componenti, energia, ecc.). Se un fornitore cruciale non viene pagato e interrompe le forniture, l’azienda rischia il fermo produttivo. D’altro canto, se la relazione è strategica, molti fornitori preferiscono trovare un accordo piuttosto che perdere il cliente. In certi casi il fornitore può passare a pagamento anticipato (cash on delivery) sospendendo il fido commerciale finché non vede un piano di rientro credibile. Anche i fornitori possono organizzarsi in gruppi (specie se ce ne sono molti nella stessa situazione): ad esempio, in alcune crisi d’impresa i principali fornitori formano un comitato e negoziano con l’azienda condizioni comuni di rientro (è avvenuto in vari casi di distretti industriali per salvare aziende strategiche). Da notare che il Codice della Crisi, con l’introduzione della composizione negoziata, tutela la continuità delle forniture: durante le trattative con l’esperto nominato, i creditori essenziali (energia, telecomunicazioni, acqua, ecc.) non possono sospendere le forniture per morosità pregresse se il debitore ne garantisce il pagamento corrente (art. 18 CCII). Questo è importante: evita che l’azienda “salti” perché le staccano la luce o le bloccano l’account software per fatture scadute, mentre cerca di risanarsi.
Come affrontare i debiti verso fornitori: la parola chiave qui è comunicazione e negoziazione. I fornitori, a differenza delle banche, di solito non hanno strutture dedicate al recupero crediti complesse: spesso un contatto diretto con la direzione aziendale, spiegando la situazione e prospettando un piano di pagamento graduale, può evitare azioni legali. È fondamentale non sparire: ignorare i solleciti dei fornitori li induce a pensare che l’azienda sia insolvente e irreperibile, spingendoli a rivolgersi subito a un avvocato. Al contrario, coinvolgerli in un piano di ristrutturazione del debito (anche informale) – magari offrendo qualcosa in cambio della pazienza, come piccoli acconti periodici, o un riconoscimento di interessi di mora, o la garanzia che saranno inseriti tra i fornitori preferenziali a crisi superata – può tenerli a bordo. Bisogna però essere realisti: promettere e non mantenere peggiora solo la fiducia. Meglio proporre dilazioni sostenibili (es. pagare il 50% del debito in 6 mesi e il resto in altri 6 mesi, piuttosto che promettere tutto in 2 mesi sapendo di non farcela).
Se il debito verso fornitori è troppo grande per un accordo informale, lo strumento adatto è un accordo di ristrutturazione o un concordato: in queste procedure, come vedremo, i fornitori vengono raggruppati e trattati in modo uniforme (di solito come creditori chirografari) e la maggioranza di essi può imporre ai pochi dissenzienti le condizioni decise. Ad esempio, in un concordato liquidatorio si potrebbe proporre di pagare il 20% a tutti i fornitori in due anni; se la maggioranza (per importo) approva, la minoranza deve adeguarsi. Oppure in un accordo con i creditori, se il 60% dei crediti totali concorda un piano, il tribunale omologa e ai dissenzienti estranei deve comunque essere garantito il pagamento integrale alle scadenze di legge (nel caso di accordo senza efficacia estesa) oppure vengono anch’essi vincolati se appartengono a categorie di cui il 75% ha firmato (accordo ad efficacia estesa). Approfondiremo a breve queste differenze.
Infine, qualora un fornitore presenti istanza di fallimento, l’azienda ha alcune possibili difese: (i) contestare l’istanza dimostrando che il debito non è certo, liquido ed esigibile (es. esibendo reclami sulla fornitura, note di credito, ecc.), poiché il tribunale non dichiara il fallimento su un credito controverso; (ii) dimostrare di essere in grado di pagare quel debito o comunque di non versare in stato d’insolvenza (esibendo bilanci e flussi per provare che si tratta di difficoltà temporanea circoscritta); (iii) depositare un ricorso per concordato preventivo “in bianco” (concordato con riserva) prima dell’udienza pre-fallimentare: ciò blocca la dichiarazione di liquidazione giudiziale e dà tempo all’azienda di presentare un piano di concordato . Questa terza opzione è usata spesso come mossa di protezione: se un creditore aggressivo tenta di far fallire la società, il debitore può pararsi avviando una procedura concorsuale da lui controllata (il concordato) entro i termini di legge, ottenendo il blocco delle azioni esecutive e instradando la crisi verso una soluzione concordata piuttosto che liquidatoria. Bisogna tuttavia valutare bene pro e contro: il concordato in bianco va poi trasformato in un piano concreto entro tempi stringenti e sotto supervisione del tribunale, altrimenti si trasforma in fallimento esso stesso.
Tabella 2 – Creditori e azioni tipiche in caso di inadempimento
| Categoria creditore | Azioni tipiche contro il debitore inadempiente | Soglia/condizioni |
|---|---|---|
| Erario (Agenzia Entrate, Riscossione) | – Iscrizione a ruolo e notifica cartella esattoriale<br>– Misure cautelari: ipoteca legale (> €20.000) e fermo amministrativo (> €5.000) <br>– Pignoramento beni mobili, immobili, crediti (dopo 60 gg dalla cartella)<br>– Eventuale insinuazione al fallimento (credito privilegiato) | Cartella non pagata entro 60 gg dalla notifica. (Ipoteca: debito > €20k; Fermo: > €5k) |
| INPS (contributi) | – Notifica Avviso di Addebito (titolo esecutivo immediato)<br>– Misure cautelari via Agente Riscossione (ipoteche, fermi) analoghe al Fisco<br>– Pignoramento beni e crediti tramite Agente Riscossione<br>– Insinuazione al fallimento (credito privilegiato) | Avviso di addebito non pagato nei termini (90 gg). Soglie ipoteca/fermo analoghe al Fisco. |
| Banche (mutui, fidi) | – Decadenza dal termine e richiesta di rientro immediato (clausole contrattuali)<br>– Revoca fidi in conto corrente e su anticipi<br>– Azione legale: decreto ingiuntivo (per scoperti, rate impagate) o esecuzione ipotecaria (per mutui fondiari)<br>– Escussione garanzie: es. escussione fideiussione personale, escussione pegno su beni/crediti | Inadempimento contrattuale (rate scadute non pagate; sconfinamenti fido). Revoca fido ad nutum se contratto a revoca. Mutuo fondiario: esecuzione immediata ex art. 39 TUB se >6% capitale scaduto. |
| Società di leasing | – Risoluzione contratto per inadempimento<br>– Decreto ingiuntivo immediato per canoni scaduti<br>– Riappropriazione del bene in leasing (procedura art. 1 Legge 432/98) e successiva vendita<br>– Richiesta differenza canoni/utili come credito chirografario | Mancato pagamento di solito ≥ 2 canoni. Clausole risolutive espresse comuni. Procedura ex L.432/98 se il bene è ancora presso il debitore. |
| Fornitori (chirografari) | – Diffida e sospensione forniture ulteriori<br>– Decreto ingiuntivo per il credito scaduto (40 giorni se fatture, contratti)<br>– Pignoramento beni aziendali, conti, ecc. (una volta ottenuto il titolo esecutivo)<br>– Istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) se credito > €30.000 e insolvenza conclamata | Fatture scadute non pagate. Per fallimento: credito ≥ €30.000 e debitore in stato d’insolvenza (art. 2 CCII) . |
Nota: Durante una composizione negoziata o un concordato preventivo, molti di questi poteri dei creditori sono temporaneamente sospesi o limitati. Ad esempio, nel concordato scatta il divieto di azioni esecutive (stay) per tutti i creditori concorrenti, mentre nella composizione negoziata il debitore può chiedere misure protettive al tribunale per bloccare specifiche azioni esecutive dei creditori per la durata delle trattative (di regola fino a 4 mesi, prorogabili) – vedi oltre.
Strumenti di difesa e soluzioni per la ristrutturazione del debito
Dopo aver compreso i rischi legati alle diverse tipologie di crediti, affrontiamo il cuore della questione: cosa può fare un imprenditore di fronte a una situazione debitoria difficile per difendere l’azienda e cercare di superare la crisi, evitando – se possibile – la perdita dell’impresa stessa. L’ordinamento mette a disposizione vari strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, che possiamo collocare su un continuum che va dalle soluzioni volontarie e stragiudiziali (accordi privati, piani di rientro) fino alle procedure concorsuali giudiziali (concordato preventivo, liquidazione giudiziale). In mezzo stanno strumenti “ibridi” come gli accordi di ristrutturazione omologati e la composizione negoziata, che hanno natura negoziale ma si innestano in procedimenti legali.
Dal punto di vista del debitore (la nostra prospettiva), la scelta dello strumento dipende dal grado di crisi (semplice squilibrio o insolvenza conclamata), dal numero e tipologia dei creditori coinvolti, dalla necessità o meno di continuare l’attività aziendale e – non ultimo – dal tempo a disposizione. Analizziamo i principali strumenti disponibili (specifici per l’ordinamento italiano):
Soluzioni stragiudiziali informali: accordi transattivi e piani di rientro
Definizione: sono intese privatistiche tra l’azienda debitrice e uno o più creditori, raggiunte senza attivare procedure formali previste dalla legge fallimentare o dal Codice della Crisi. Esempi: un accordo bilaterale con la banca per ristrutturare il mutuo, una dilazione concordata con il fornitore per saldare in 6 mesi le fatture arretrate, un saldo e stralcio in cui si paga subito una parte del dovuto a tacitazione del credito, ecc.
Caratteristiche principali: – Volontarietà e flessibilità: non ci sono forme prescritte né autorità coinvolte. Le parti hanno massima libertà di modellare l’accordo (importante però redigerlo per iscritto e con chiarezza). La flessibilità è il vantaggio: si può trovare la soluzione più adatta al singolo rapporto di credito. – Efficacia limitata ai partecipanti: a differenza degli strumenti omologati (accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis L.F. o concordati), un accordo stragiudiziale vincola solo chi lo sottoscrive. Se riguarda un singolo creditore, non tocca gli altri (che potrebbero agire separatamente). Questo può andar bene se l’impresa ha pochi debiti isolati; ma se i creditori sono molti, il rischio è che mentre si tratta con alcuni, altri portino l’azienda in tribunale. Per questo, le soluzioni puramente volontarie funzionano meglio quando il numero di creditori è ridotto o c’è forte coesione tra loro. – Nessuna protezione legale automatica: diversamente da un concordato, qui i creditori non coinvolti non sono frenati: possono iniziare azioni esecutive. Anche i creditori coinvolti, in assenza di misure formali, possono cambiare idea e agire comunque (se l’accordo non è stato formalizzato con adeguate tutele). È essenziale quindi creare fiducia e, se possibile, ottenere un impegno scritto a non agire (una moratoria) durante la trattativa. – Nessuna pubblicità o stigma: gli accordi privati di solito rimangono riservati, evitando il danno reputazionale di un fallimento o di un concordato pubblico. Ciò può aiutare a mantenere la fiducia di clienti e fornitori, che magari non vengono nemmeno a sapere delle difficoltà. – Nessun costo procedurale rilevante: non serve nominare commissari, pagare contributi unificati elevati, ecc. (anche se è opportuno farsi assistere da un legale o advisor finanziario, quindi qualche costo professionale c’è).
Esempi tipici: – Moratoria e proroga: accordo con la banca per avere 6 mesi di sola quota interessi sul mutuo e spostare le rate di capitale in coda, oppure moratoria sui leasing. Negli anni scorsi, protocolli ABI hanno permesso a migliaia di PMI di congelare temporaneamente i debiti bancari. – Saldo e stralcio: accordo col fornitore X per pagare subito il 30% del dovuto e azzerare il restante 70% (remissione parziale del debito). Efficace se il fornitore preferisce incassare poco subito piuttosto che rischiare nulla nel lungo termine. – Accordo “di gentiluomini”: l’imprenditore convoca i 5 principali fornitori e, carte alla mano, ottiene da ciascuno l’impegno a dilazionare i pagamenti su 12 mesi, in cambio della garanzia di mantenere gli ordini futuri con loro e magari riconoscere un piccolo interesse di mora. – Accordo con soci e banche: i soci mettono liquidità fresca (equity o finanziamento soci) e la banca accetta di perdere una quota di credito, così l’azienda si risolleva. Questo a volte viene formalizzato come manleva: la banca accetta stralcio se i soci pagano una parte immediata.
Limiti: la maggior criticità è che non vincolano i dissenzienti. Se anche uno solo dei creditori chiave resta fuori e agisce esecutivamente, può far saltare tutto (ad es., un pignoramento da parte di un creditore escluso può portar via la cassa che doveva servire a pagare gli altri secondo l’accordo). Inoltre, se l’impresa poi non rispetta l’accordo (es. salta una rata del piano concordato), il creditore può immediatamente agire come prima, forse in modo ancor più aggressivo dopo la delusione. Pertanto queste soluzioni funzionano bene solo se la crisi è moderata e reversibile, e se c’è affidabilità del debitore e allineamento fra (pochi) creditori.
Quando usarle: nelle fasi iniziali di difficoltà (“crisi incipiente”), quando la direzione avverte che servirà ossigeno finanziario ma la situazione non è ancora degenerata in insolvenza conclamata. Ad esempio: un’azienda che prevede un calo di liquidità per un investimento o un calo temporaneo degli ordini potrebbe negoziare proattivamente una dilazione coi creditori per evitare stress finanziario nei mesi successivi. Anche come preludio ad accordi più strutturati: a volte si inizia con un gentlemen’s agreement informale, e poi lo si formalizza in un piano attestato o in un accordo omologato (vedi sotto).
Va detto che il Codice della Crisi incoraggia queste soluzioni precoci, imponendo agli amministratori di attivarsi tempestivamente. Non c’è nulla di male – anzi – a cercare un accordo amichevole con i creditori. L’importante è evitare manovre che potrebbero essere considerate pagamenti preferenziali revocabili: se l’insolvenza poi sfocia in fallimento, certi atti compiuti sotto pressione di singoli creditori potrebbero essere revocati (ad es. se ho pagato integralmente “sotto banco” un fornitore mentre gli altri sono rimasti a secco, il curatore potrebbe agire per riprendersi quel pagamento). Ecco perché, se il rischio di insolvenza è serio, conviene strutturare le intese in maniera più formale (piano attestato, accordo omologato) che offrono esenzioni dalle revocatorie (come vedremo).
Riassumendo: le negoziazioni stragiudiziali sono la prima linea di difesa, da tentare sempre se la situazione lo consente. Spesso dimostrano buona fede da parte del debitore e mantengono un clima collaborativo. Se però il debito è troppo grande o troppo diffuso per essere risolto con semplici intese bilaterali, occorre passare a strumenti più incisivi previsti dalla legge.
Piano attestato di risanamento (art. 67 L.F. – ora art. 56 CCII)
Il piano attestato di risanamento è il primo degli strumenti di regolazione della crisi previsti dalla legge fallimentare (ora Codice della Crisi) che meriti trattazione. Viene spesso indicato con l’acronimo PRA oppure denominato “piano ex art. 67”, dal numero dell’articolo della vecchia Legge Fallimentare che lo disciplinava (art. 67, co. 3, lett. d, R.D. 267/1942). Oggi la disciplina è trasfusa nell’art. 56 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, come modificato). Vediamo di cosa si tratta:
Cos’è: è un piano di risanamento aziendale elaborato dall’imprenditore in stato di crisi o insolvenza, avente lo scopo di riequilibrare la situazione finanziaria e patrimoniale dell’impresa e assicurare la sua continuità. È attestato – cioè accompagnato da una relazione – da parte di un professionista indipendente (ad es. commercialista o revisore), il quale certifica che il piano è veritiero nei dati e fattibile negli obiettivi. Il piano può consistere in una serie di atti e accordi (accordi con i creditori, aumenti di capitale, dismissioni di asset, rinegoziazioni di debiti, ecc.), coordinati per portare fuori l’azienda dalla crisi.
Finalità principale: evitare il fallimento attraverso un risanamento negoziato e privato, senza coinvolgere il tribunale, ma con un ombrello protettivo: le operazioni compiute in esecuzione del piano attestato beneficiano di una esenzione dalle revocatorie fallimentari (art. 67 L.F. era proprio rubricato “atti esenti da revocatoria”) . Ciò significa che, se anche il piano alla fine non riuscisse e l’azienda venisse dichiarata fallita (liquidazione giudiziale) in seguito, i pagamenti e le garanzie concessi in attuazione del piano non potranno essere dichiarati inefficaci dal curatore (sempreché il piano rispondesse ai requisiti di legge). Questa protezione è pensata per incoraggiare sia il debitore sia soprattutto i terzi (banche, nuovi investitori) a sostenere il risanamento senza il timore di vedersi poi contestare le operazioni in caso di fallimento.
Requisiti formali: – L’imprenditore dev’essere un soggetto fallibile (assoggettabile a liquidazione giudiziale), cioè un imprenditore commerciale non piccolo. Il CCII esplicitamente dice che il piano attestato è utilizzabile dall’imprenditore in stato di crisi o insolvenza , quindi anche già insolvente (purché non sia ancora stato dichiarato fallito): ciò consente di usarlo anche in situazioni gravi. Tuttavia, la Relazione illustrativa al Codice ha chiarito che l’esenzione da revocatoria (il vero beneficio) interessa solo i soggetti fallibili. Quindi, un piccolo artigiano sotto soglia potrebbe fare un piano attestato in teoria, ma se non è fallibile la protezione revocatoria ha poca rilevanza, perché non potrà mai subire una revocatoria (non essendo soggetto a fallimento). In pratica, il piano attestato è pensato per società di capitali e imprese medio-grandi. – Il piano deve essere messo per iscritto con data certa (oggi in genere si opta per depositarlo presso il Registro delle Imprese, o quantomeno farselo asseverare da un notaio, per attribuirgli data opponibile). – Deve indicare in modo dettagliato: la situazione economico-patrimoniale attuale, le cause della crisi, le strategie di intervento, i tempi e le modalità previste per superare la crisi, le risorse finanziarie disponibili, gli eventuali nuovi finanziamenti, l’elenco dei creditori estranei al piano (che saranno pagati integralmente alle scadenze originarie) e quelli che aderiscono (che magari accettano dilazioni o stralci), ecc. . Insomma, è un vero e proprio business plan di risanamento, corredato da dati finanziari prospettici (cash flow, conto economico e stato patrimoniale previsionali, di solito su 3-5 anni). – Deve esserci la relazione di un professionista indipendente (iscritto in appositi elenchi, tipicamente un commercialista o revisore che non abbia conflitti di interesse con l’azienda) che attesta due cose: 1) la veridicità dei dati aziendali (che i numeri di partenza siano corretti, es. bilanci veritieri); 2) la fattibilità del piano, cioè che le azioni previste possono ragionevolmente portare al risanamento, assicurando l’equilibrio finanziario. L’attestatore non garantisce il successo al 100%, ma deve valutare che l’impresa abbia concrete chances di risanarsi con quel piano. Dal 2024, il correttivo ter (D.Lgs. 136/2024) ha specificato che l’attestazione deve anche tener conto del rispetto di normative di settore (sicurezza sul lavoro, ambiente) nel prevedere i costi del piano – ciò per evitare piani irrealistici che taglino costi obbligatori.
Procedura: non è prevista omologazione o approvazione giudiziale. Il piano può rimanere riservato, oppure – se il debitore vuole l’esenzione revocatoria – va pubblicato in Registro delle Imprese (almeno una notizia sintetica, allegando l’attestazione). Spesso l’azienda preferisce pubblicare un estratto essenziale per non divulgare tutto il contenuto. Una volta attestato e (facoltativamente) pubblicato, il piano viene eseguito privatamente: l’azienda e i suoi creditori aderiscono attuano gli accordi previsti. Ad esempio, le banche firmatarie rinegoziano i contratti di mutuo come stabilito; i nuovi finanziatori erogano i fondi promessi; i soci effettuano l’aumento di capitale pianificato; ecc. Non c’è un commissario o un giudice che sovrintende, tutto avviene in autonomia. Se durante l’esecuzione emergono problemi (p.es. risultati peggiori del previsto), il piano può essere modificato tra le parti, ma attenzione: se le modifiche sono sostanziali, occorrerebbe una nuova attestazione.
Vantaggi dal punto di vista del debitore: – Riservatezza e controllo: non interviene il tribunale, l’imprenditore resta in pieno controllo della società (nessun commissario) e la gestione quotidiana continua normalmente. Ciò riduce il rischio di perdita di clienti/commesse dovuto allo stigma di una procedura concorsuale. – Tempestività: un piano attestato si può preparare e avviare in tempi relativamente rapidi (qualche settimana o pochi mesi, a seconda della complessità). Non serve attendere udienze o voti formali di creditori. È particolarmente utile nelle crisi incipienti dove agire in fretta fa la differenza. – Flessibilità nei contenuti: il piano può prevedere qualunque soluzione lecita: dalla ristrutturazione dei debiti (dilazioni, riduzioni concordate) alla cessione di rami d’azienda, conversione di crediti in quote societarie, conferimenti di nuovi capitali, fusione con società sane, ecc. Non ha gli stringenti requisiti di un concordato (ad es. non deve garantire una percentuale minima ai chirografari – nel concordato la legge prevedeva il 20% minimo ai chirografari nel liquidatorio, ora abolito ma c’è comunque un giudizio di fattibilità). – Protezione dalle azioni revocatorie: come detto, gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato pubblicato non potranno essere revocati in caso di successivo fallimento . Ad esempio, se nel piano pago integralmente un fornitore strategico e poi fallisco entro 6 mesi, quel pagamento non sarà revocabile come preferenziale (mentre lo sarebbe stato senza piano). Questo tutela sia il debitore che vuole compiere atti di risanamento sia i creditori che aderiscono (possono incassare senza timore di dover restituire). Allo stesso modo, se il piano prevede che la banca conceda nuova finanza con garanzia ipotecaria, tale ipoteca non sarà revocabile (mentre in assenza di piano sarebbe potuta esserlo, essendo concessa in periodo sospetto). – Possibilità di incorrere in meno reati concorsuali: il Codice della Crisi ha introdotto una sorta di “salvacondotto penale” legato al successo del piano attestato: se il piano va a buon fine e viene pubblicato uno degli accordi o contratti che ne costituiscono l’esito, l’imprenditore è esente da alcuni reati di bancarotta (in particolare, non verrà punito per pagamenti preferenziali o per operazioni sul capitale avvenute in esecuzione del piano) . Inoltre, avviare per tempo un piano può evitare di incorrere nel reato di omessa dichiarazione di insolvenza (introdotto dal Codice per gli amministratori che ritardano colposamente il ricorso a procedure di insolvenza causando danno ai creditori).
Svantaggi e limiti: – Nessun effetto protettivo automatico verso i creditori non aderenti: il piano attestato non blocca le azioni esecutive. Se ho 10 creditori e 8 aderiscono al piano, gli altri 2 possono comunque agire per conto loro (pignoramenti, istanza di fallimento, ecc.). Perciò, occorre cercare un’adesione ampia o comunque gestire separatamente i “dissenzienti” (pagandoli integralmente, oppure inglobandoli in un successivo passaggio). – Necessità del consenso individuale di (quasi) tutti i principali creditori: il piano attestato non ha meccanismi di voto a maggioranza: è basato sul consenso volontario. Quindi se un creditore importante rifiuta di aderire (es. una banca non firma la rinegoziazione), il piano rischia di non essere efficace. In genere, si può decidere di escludere quel creditore dal piano (classificandolo tra i “creditori estranei” da soddisfare per intero alle scadenze originali). Ma se non c’è liquidità per pagarlo a breve, la sua estraneità può far saltare il risanamento (potrebbe fare istanza di fallimento). In sintesi: il piano attestato funziona se c’è adesione spontanea di una parte significativa dei creditori o se i dissenzienti sono marginali (o comunque gestibili con altre risorse). – Affidabilità delle previsioni: trattandosi di un piano interno, la sua riuscita dipende molto dalla bontà delle stime e delle assunzioni fatte. Non c’è un giudice che valuta la fattibilità, salvo il check dell’attestatore. Se quest’ultimo sbaglia valutazione o l’imprenditore è troppo ottimista, il piano può rivelarsi carta straccia dopo pochi mesi. Purtroppo, statisticamente molti piani attestati non hanno avuto successo durante la grande crisi finanziaria, portando poi a fallimenti solo posticipati. Questo track record ha reso talvolta i creditori diffidenti verso piani “fai da te” non accompagnati da controllo giudiziale. – Nessuna liberazione dai debiti residui in caso di fallimento: se il piano fallisce e si finisce in liquidazione giudiziale, la società viene liquidata e cessata senza peraltro una esdebitazione (che, per le società, non è prevista: l’esdebitazione dopo fallimento vale solo per persone fisiche e soci illimitatamente responsabili). Quindi i creditori che nel piano avevano accettato riduzioni potrebbero poi rivalersi (nei limiti della legge) verso coobbligati o garanti. Insomma, il fallimento del piano equivale quasi certamente al fallimento dell’impresa (mentre in un concordato preventivo c’è almeno l’aspettativa di chiusura concordata, seppur con possibili esdebitazioni in procedure minori). – Rischio di abuso e responsabilità per false attestazioni: se un piano attestato viene fatto in modo avventato o fraudolento (es. l’imprenditore fornisce dati falsi all’attestatore, o l’attestatore è connivente e certifica cose infondate), ci possono essere conseguenze pesanti. Innanzitutto, il piano non proteggerà dalle revocatorie (perché la legge esige buona fede e veridicità). Inoltre, l’attestatore può incorrere in responsabilità civile e penale (falso in attestazioni). L’imprenditore potrebbe essere accusato di bancarotta semplice o fraudolenta se il piano era chiaramente irrealistico ed ha aggravato il dissesto (invece di chiedere tempestivamente il fallimento). Quindi il piano attestato va utilizzato con serietà, non come mero stratagemma dilatorio.
Aggiornamenti normativi recenti: il CCII del 2019 ha riformulato la disciplina del piano attestato (art. 56) confermandone la struttura di massima, ma introducendo qualche novità: – Ha formalizzato i contenuti obbligatori del piano (art. 56 co.2 CCII) includendo, ad esempio, l’indicazione analitica di costi e ricavi attesi e dei fabbisogni finanziari, tenendo conto anche dei costi per la sicurezza sul lavoro e l’ambiente (aggiunta del 2024) . – Ha previsto la pubblicazione volontaria degli atti rilevanti (accordi con creditori, attestazione) nel Registro Imprese (art. 56 co.4 CCII) se si vuole ottenere l’esenzione da revocatoria (che ora rinvia all’art. 166 CCII, parallelo dell’ex art. 67 L.F.) . – Ha chiarito che il piano può includere accordi anche con soggetti diversi dai soli creditori (“parti interessate”: potrebbero essere garanti, soci finanziatori, ecc.) , ampliando lo spettro delle intese possibili. – Ha mantenuto la non soggezione ad omologazione: dunque ancora uno strumento privatistico. – Infine, integrazioni del 2020-2021 hanno creato interazioni con la composizione negoziata: spesso oggi il piano attestato viene elaborato all’interno o a seguito di una composizione negoziata con l’ausilio dell’esperto. In tal caso, la sua efficacia può essere maggiore, avendo già coinvolto i creditori in trattative strutturate.
Quando è indicato: il piano attestato è consigliabile quando l’azienda crede di poter superare la crisi con i propri mezzi e con accordi mirati con i creditori principali, senza bisogno di coinvolgere l’intero ceto creditorio in un voto formale. Ad esempio, se ho pochi creditori cruciali (3 banche e 2 fornitori strategici) e trovo un’intesa con loro, un piano attestato può formalizzare il risanamento. Oppure se ho bisogno di un nuovo finanziamento urgente, una banca potrebbe erogarlo richiedendo l’attestazione professionale che l’azienda è risanabile (in cambio magari di un pegno o ipoteca protetti da revocatoria grazie al piano). È invece sconsigliabile se ho decine di piccoli creditori che non posso pagare integralmente: in tal caso un concordato è più appropriato perché può imporre le riduzioni di credito a tutti con un voto di maggioranza, mentre con il piano attestato ogni creditore deve accettare singolarmente lo stralcio (cosa improbabile se sono tanti). In pratica, il piano attestato è uno strumento di composizione stragiudiziale “assistita”, molto utile nelle crisi non ancora esplosive, per agire rapidamente e in modo chirurgico.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis L.F. – ora artt. 57-64 CCII)
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (spesso abbreviati in ADR, dall’inglese Agreement Debt Restructuring, da non confondere con Alternative Dispute Resolution) rappresentano uno step successivo in termini di formalità e coinvolgimento giudiziario rispetto ai piani attestati. Introdotti per la prima volta nel 2005 (riforma legge fallimentare) e poi potenziati dalle riforme 2015 e soprattutto dal Codice della Crisi 2019, essi offrono al debitore un “salvagente legislativo” per negoziare con i creditori un piano di rientro dai debiti in modo flessibile ma con certe garanzie legali . Vediamone in dettaglio caratteristiche e novità.
Cos’è: è un accordo contrattuale tra l’imprenditore in crisi e una parte significativa dei suoi creditori, avente ad oggetto la ristrutturazione dei debiti (pagamento parziale e/o dilazionato e/o altre soluzioni). L’accordo viene poi sottoposto all’omologazione del tribunale, e da quel momento acquista efficacia legale (vincola i creditori aderenti e in taluni casi anche i non aderenti). In sostanza, è una via intermedia tra il piano puramente privatistico e il concordato preventivo: c’è un intervento del giudice per convalidare l’accordo, ma non c’è voto di tutti i creditori (solo consenso di una certa percentuale di essi).
Requisiti principali (versione vigente dal 2022/2023): – L’accordo deve essere sottoscritto da creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali (accordo ordinario, art. 60 CCII) . Questa soglia era presente anche nella vecchia legge (182-bis L.F.). Ciò significa che in termini di valore creditizio, oltre la metà (60%) del debito deve essere “controllato” da creditori consenzienti. Non importa il numero di creditori, conta l’ammontare. – I creditori non aderenti all’accordo devono essere pagati integralmente alle loro scadenze originarie (o entro 120 giorni dall’omologazione, se il debito è già scaduto, o 120 giorni dalla scadenza originaria se successiva) . Questo è un elemento chiave: l’accordo di ristrutturazione tradizionale non consente di imporre tagli o dilazioni ai dissenzienti. Questi rimangono estranei e devono ricevere il 100% del loro credito nei tempi dovuti. In pratica quindi l’accordo viene usato tipicamente quando il debitore ha risorse sufficienti a garantire il pagamento integrale dei “fuori accordo”, oppure quando questi ultimi sono irrilevanti rispetto ai firmatari. – Deve esserci, come per il piano attestato, una relazione di un esperto indipendente che attesta la veridicità dei dati e l’attuabilità dell’accordo, con particolare riguardo alla capacità di adempiere regolarmente ai creditori estranei (quelli fuori dall’accordo) . – L’imprenditore può chiedere al tribunale (facoltativamente) delle misure protettive durante le trattative o in attesa dell’omologazione, simili a quelle del concordato: tipicamente la sospensione delle azioni esecutive dei creditori per un certo periodo, per evitare che mentre si omologa l’accordo qualcuno pignori beni (art. 54 CCII e art. 55 per la disciplina delle misure protettive negli accordi). – Dopo la firma, l’accordo dev’essere depositato in tribunale insieme alla documentazione (bilanci, elenco creditori, attestazione, etc.) e il tribunale – verificati requisiti formali e l’assenza di frodi – emette un decreto di omologazione. Non c’è un voto collettivo come nel concordato, ma i creditori estranei possono fare opposizione se ritengono che l’accordo li pregiudichi (ad esempio, se contestano la fattibilità del piano per pagarli integralmente). In assenza di opposizioni (o superate queste), il decreto omologa rende l’accordo efficace erga omnes tra le parti.
Effetti e vantaggi: – Vincolatività per i creditori aderenti: una volta omologato, l’accordo ha efficacia di giudicato tra le parti: i creditori che l’hanno sottoscritto non possono più pretendere oltre quanto stabilito (non possono ad es. agire esecutivamente per la parte di credito ridotta). Se un creditore aderente provasse a fare causa per l’intero credito originario, il debitore eccepirebbe l’accordo omologato come transazione novativa opponibile. – Efficacia anche per alcuni creditori non aderenti (casi speciali): Il CCII ha introdotto due importanti varianti: 1. L’accordo agevolato al 30% (art. 60 CCII): se l’imprenditore non richiede misure protettive e garantisce di pagare puntualmente gli estranei, la soglia di adesione minima scende dal 60% al 30% . Questo consente ad aziende con pochi creditori chiave di formalizzare un accordo anche se hanno la maggioranza contraria, purché possano comunque pagare i dissenzienti normalmente. È stato pensato per PMI con pochi creditori rilevanti e molti piccoli creditori che verranno comunque soddisfatti per conto loro. 2. L’accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCII): se i creditori aderenti rappresentano almeno il 75% di una certa categoria omogenea di creditori (ad es. tutte le banche, o tutti i fornitori, o tutti gli obbligazionisti), l’accordo può chiedere al tribunale di estenderne gli effetti anche ai creditori della stessa categoria che non hanno aderito . In sostanza è un cram-down per categoria, simile a quello introdotto nel 2015 limitatamente alle banche (vecchio art. 182-septies L.F.), ora generalizzato. Ad esempio, se ho 10 banche e 8 aderiscono rappresentando l’80% dei crediti bancari, posso chiedere che l’accordo valga anche per le 2 banche dissenzienti (ovviamente assicurando loro lo stesso trattamento delle altre). Il tribunale, in sede di omologa, verifica che siano state rispettate stringenti condizioni (informazione corretta ai dissenzienti, che abbiano avuto chance di partecipare alle trattative, non discriminazione nel trattamento, ecc.) e può imporre l’accordo. Ciò elimina il problema dell’holdout di minoranza: la banca che sta fuori non potrà fare la furba per incassare di più, perché verrà comunque vincolata alle condizioni concordate con la maggioranza qualificata. – Cram-down fiscale e contributivo: un’altra innovazione, già menzionata, è che negli accordi omologati il tribunale può approvare l’accordo anche senza il consenso formale dell’Agenzia Entrate o INPS se (a) il loro voto sarebbe decisivo per raggiungere la percentuale richiesta e (b) l’accordo è più conveniente del fallimento per loro . Questo cram-down fiscale – introdotto nel 2020 in via provvisoria e ora a regime nel CCII art. 63 – consente quindi di superare l’eventuale diniego ingiustificato del Fisco: se, ad esempio, ho l’80% di adesioni ma manca la firma dell’Erario che ha il 10% dei crediti, il tribunale può ugualmente omologare l’accordo e renderlo efficace anche verso il Fisco , a patto che la quota offerta all’Erario sia superiore a quanto esso prenderebbe in caso di fallimento (principio del best interest of creditors). Oltre a ciò, la legge impone agli enti pubblici di motivare il rifiuto e non rifiutare se la proposta è chiaramente più vantaggiosa del fallimento (obbligo di buona fede), pena possibile sindacato del giudice in omologa . – Moratoria delle azioni individuali (stay): depositando l’accordo e la richiesta di omologazione, il debitore può chiedere che il tribunale sospenda o vieti temporaneamente le azioni esecutive dei creditori (anche non aderenti) fino all’omologazione. Il giudice di solito, se l’accordo è firmato dalla percentuale richiesta e c’è attestazione di fattibilità, concede il divieto di iniziare o proseguire esecuzioni individuali e sospende i pignoramenti in corso. Questo dà respiro all’impresa in attesa del provvedimento finale. – Esenzione da revocatoria: come per il piano attestato, anche gli atti esecutivi dell’accordo omologato godono di esenzione da revocatoria fallimentare (art. 67 co.3 lett. e L.F., ora art. 166 c.3 CCII). Quindi, i pagamenti e le garanzie dati in attuazione dell’accordo omologato non potranno essere revocati in un successivo fallimento. Questo tranquillizza i creditori aderenti e terzi coinvolti. – Gestione dell’impresa: durante le trattative e l’esecuzione dell’accordo l’imprenditore resta alla guida. Non c’è spossessamento né intervento di commissari (a differenza del concordato dove c’è un commissario giudiziale nella fase interinale). Il tribunale in fase di omologa controlla la regolarità e può nominare eventualmente un esperto per valutare il piano, ma la gestione resta debitor in possession. Ciò garantisce continuità.
Tipologie di accordi (dopo CCII): riassumendo le varianti: – Accordo ordinario (60% crediti, nessuna estensione ai dissenzienti, estranei pagati per intero). – Accordo agevolato (30% crediti, condizioni: nessuna misura protettiva richiesta, estranei pagati regolarmente) . – Accordo ad efficacia estesa (≥75% in una categoria omogenea → estensione intra-categoria ai non aderenti) . – Transazione fiscale e contributiva inserita nell’accordo, con possibile cram-down dei pubblici dissenzienti (art. 63 CCII) . – Accordo conseguente a composizione negoziata: il CCII prevede incentivi se l’accordo nasce a valle di una composizione negoziata riuscita. In tal caso, ad es., la soglia per efficacia estesa intra-categoria può scendere dal 75% al 60% ; e in ambito concordato se prima c’è stata composizione negoziata, la soglia per proposte concorrenti di terzi sale dal 10% al 20% dei crediti (dettaglio tecnico). Queste misure servono a premiare chi prima prova la via negoziale.
Differenze rispetto al concordato preventivo: il concordato (vedi sezione successiva) è più strutturato: prevede il coinvolgimento di tutti i creditori con un voto per classi o per maggioranza del passivo, e ha un impianto più procedurale (commissario, ecc.). L’accordo di ristrutturazione invece è più “contrattuale”: non tutti i creditori devono aderire, non c’è il concetto di classi obbligatorio (anche se si ragiona per categorie omogenee ai fini di eventuale estensione), e il tribunale non entra nel merito economico (si limita a controllare percentuali, completezza dell’informazione e convenienza per eventuali oppositori estranei). In pratica, l’accordo può essere visto come un concordato semplificato: niente voto generale ma solo consensi individuali, e un’omologa meno invasiva.
Quando utilizzarlo: l’accordo di ristrutturazione è indicato quando l’impresa ha un nocciolo duro di creditori disposti a supportare il risanamento, ma preferisce evitare la lunga e incerta procedura del concordato preventivo. Ad esempio, se 5 banche detengono il 70% del debito e sono tutte d’accordo nel ristrutturare, conviene un accordo ex art. 182-bis: si porta in tribunale la firma di quelle banche (≥60% del totale crediti) e si omologa, mentre per i creditori minori estranei l’azienda garantisce il pagamento integrale (magari con le nuove risorse liberate dall’accordo con le banche). Oppure se l’azienda è in grado di trovare un investitore che ripaga parzialmente i debiti e i creditori maggiori accettano di falcidiare il resto, l’accordo consente di formalizzare e blindare questo patto.
Può essere utile anche dopo una composizione negoziata: spesso l’esperto nominato nella composizione aiuta a raggiungere un accordo con le varie categorie di creditori; quell’accordo poi viene “cristallizzato” tramite l’omologazione ex art. 182-bis CCII per dargli forza legale (in pratica, la negoziazione diventa accordo omologato con l’aiuto del tribunale, consolidando le intese).
È meno utile se manca quell’adesione qualificata: se l’impresa non riesce a far firmare almeno il 60% dei crediti, deve andare in concordato (dove può far approvare il piano anche senza consenso iniziale ma tramite voto). Anche quando ci sono tantissimi piccoli creditori e pochi grandi, l’accordo può essere inefficiente perché bisogna comunque pagare integralmente i piccoli (estranei) e trattare solo coi grandi. In questi casi spesso si preferisce il concordato dove anche i piccoli subiscono una falcidia votata dalla maggioranza.
Procedura in breve: 1. Il debitore prepara la proposta di accordo e la negozia con i creditori chiave (spesso informandone anche gli altri, per correttezza e per avere un quadro). 2. Redige un piano di ristrutturazione (simile a un piano attestato come contenuti) e raccoglie le adesioni formali (accordi firmati, che possono anche essere atti separati con ciascun creditore). 3. Ottiene la relazione di un esperto attestatore su veridicità e fattibilità, specialmente evidenziando che i creditori estranei saranno soddisfatti regolarmente in base al piano. 4. Deposita il tutto in tribunale, insieme all’eventuale richiesta di sospendere le azioni esecutive dei creditori (misure protettive). 5. Il tribunale nomina un giudice delegato e fissa un termine per eventuali opposizioni (15-30 giorni dalla pubblicazione nel Registro Imprese dell’accordo). 6. Se non ci sono opposizioni, o se le opposizioni vengono superate (il tribunale sente le parti ed eventualmente può omologare comunque se ritiene che l’accordo non pregiudica i dissenzienti estranei), viene emesso il decreto di omologazione. 7. L’accordo omologato viene eseguito: da quel momento, se il debitore adempie alle obbligazioni ristrutturate, i creditori non possono agire ulteriormente.
Inadempimento dell’accordo: se, malauguratamente, dopo l’omologazione l’imprenditore non riesce a rispettare i termini dell’accordo (ad es. non paga una rata convenuta), i creditori tornano liberi di agire per la parte residua (possono chiedere la risoluzione giudiziale dell’accordo o semplicemente considerarlo risolto e procedere). L’accordo non ha l’effetto esdebitatorio di un concordato fallimentare: è come un contratto transattivo, se non viene rispettato perde efficacia. Quindi è cruciale che il piano sottostante sia realistico, altrimenti si rischia di aver solo guadagnato tempo. In caso di risoluzione dell’accordo, spesso l’epilogo è il fallimento, salvo si riesca rapidamente a fare un nuovo accordo o un concordato di emergenza.
Esempio pratico: Azienda Smeriglio S.r.l. ha €5 milioni di debiti: €3M con 4 banche, €1M con fornitori vari, €0,5M con Erario e €0,5M altri (leasing, ecc.). Ha però buone prospettive se riduce l’indebitamento. Prepara un piano in cui un investitore immette €1M di equity e l’azienda vende un capannone per €1M, ricavando €2M per pagare i debiti. Le 4 banche (che hanno 60% del totale debiti) accettano di trasformare €3M di esposizione in un nuovo prestito di €1M a 5 anni (quindi rinunciano a €2M, falcidia circa 66%, ma incassano subito i €1M che l’azienda raccoglie). I fornitori vengono lasciati estranei e saranno pagati coi flussi futuri al 100% in 6 mesi (fattibile perché l’azienda liberata dai debiti bancari ha sufficiente cassa). Il Fisco accetta una transazione fiscale: dei €0,5M paga solo €0,2M subito (cancellando sanzioni e interessi e falcidiando il 50% del tributo). Si deposita l’accordo con firma delle banche (che sono oltre 60%), l’adesione formale dell’Agenzia Entrate, e magari qualche fornitore principale ha aderito volontariamente al piano pur essendo soddisfatto al 100%. Il tribunale omologa visto che i creditori estranei (fornitori rimanenti) vengono comunque pagati integralmente e l’attestatore conferma la fattibilità di farlo. L’accordo così omologato diventa vincolante: le banche devono accontentarsi del nuovo credito ridotto da €1M (non possono più pretendere i €2M stralciati), il Fisco non potrà iscrivere a ruolo la parte falcidiata, e l’azienda eseguirà i pagamenti come convenuto. Se per ipotesi una banca dissenziente (poniamo ne avessimo 5 e solo 4 hanno firmato ma totalizzano >75% dei crediti bancari) si era opposta, il tribunale può aver esteso l’accordo anche a quella banca dissenziente vincolandola . Risultato: l’azienda ha ridotto il debito a €1M (banca) + €1M (fornitori) + €0,2M (Fisco) + altri, per lo più sostenibile, ed è salva.
Concordato preventivo (artt. 160-186 L.F. – ora artt. 84-120 CCII)
Il concordato preventivo è probabilmente lo strumento di soluzione della crisi più noto e “tradizionale” – un procedimento concorsuale giudiziale alternativo al fallimento, che consente all’imprenditore di proporre un piano di ristrutturazione o liquidazione ai creditori e, se approvato a maggioranza e omologato dal tribunale, di evitare la liquidazione giudiziale, pagando i debiti nelle forme e misure stabilite nel piano. Si chiama “preventivo” perché mira a prevenire il fallimento attraverso un accordo. È uno strumento complesso, ma cercheremo di illustrarne i lineamenti principali con enfasi sulle novità introdotte dal Codice della Crisi (in vigore dal 15 luglio 2022) e sui diritti/doveri del debitore che lo utilizza.
Tipologie di concordato: il concordato può essere sostanzialmente di due tipi: – Concordato in continuità aziendale: quando prevede che l’azienda prosegua l’attività, in proprio o tramite cessione/affitto a terzi, e i creditori siano soddisfatti col ricavato della gestione in esercizio (oltre che eventuali dismissioni non prevalenti). Esempio: concordato con piano di risanamento e prosecuzione produzione smerigliatrici, utilizzando gli utili futuri per pagare in parte i debiti. – Concordato liquidatorio: quando prevede la cessione del patrimonio o la sua liquidazione, con cessazione (o assenza) dell’attività d’impresa, e i creditori sono soddisfatti con il ricavato della liquidazione. Esempio: concordato per vendita dell’azienda a un concorrente e distribuzione del prezzo ai creditori, dopodiché la S.r.l. sarà chiusa.
Il CCII incoraggia la continuità aziendale come valore, pur permettendo concordati liquidatori; anzi, ha abolito la vecchia regola della percentuale minima garantita ai chirografari nel concordato liquidatorio (un tempo 20%). Oggi anche un concordato puramente liquidatorio può essere omologato senza soglie di pagamento minimo, purché rispetti l’ordine delle cause di prelazione e le altre norme.
Requisiti per l’accesso: – Può chiederlo l’imprenditore commerciale in stato di crisi o insolvenza (anche già insolvente conclamato). Per le imprese minori non fallibili esiste il concordato minore (una sorta di concordato “semplificato” per sovraindebitati, ma non trattato qui). – È necessaria la delibera dell’organo competente (per le società di capitali, deliberano gli amministratori ma serve ratifica assembleare se previsto; nelle spa consiglia il CdA e delibera l’assemblea ex art. 152 CCII). – Il debitore deve depositare una proposta di concordato e un piano dettagliato, corredati da una relazione di attestazione di un professionista indipendente (analogo a quella vista per accordi, certifica veridicità dati e fattibilità piano). – In caso di emergenza, può presentare un ricorso “con riserva” (concordato in bianco) chiedendo l’ammissione al concordato e poi depositando piano e proposta entro un termine (di norma 60-120 gg prorogabile) . Questa facoltà serve per proteggere l’azienda subito (scatta lo stay delle azioni) mentre si finalizza il piano.
Effetti dell’ammissione al concordato: una volta presentato il ricorso (o l’istanza con riserva poi seguita dal piano) e verificata la completezza, il tribunale dichiara aperta la procedura di concordato preventivo. Da quel momento: – L’azienda continua la gestione sotto la supervisione di un Commissario Giudiziale nominato dal tribunale (di solito un professionista iscritto all’albo dei gestori crisi). Il debitore mantiene l’amministrazione ordinaria, ma per atti straordinari serve autorizzazione del giudice delegato. – Divieto di azioni esecutive individuali e sospensione di quelle pendenti (art. 168 L.F., ora art. 54 CCII) – i creditori non possono iniziare né proseguire pignoramenti o sequestri sui beni del debitore. Anche i giudizi di cognizione per recupero crediti restano sospesi. Ciò crea una “tregua concorsuale”. – Divieto di pagare crediti anteriori e di contrarre debiti prededucibili non autorizzati: l’imprenditore deve fermarsi dai pagamenti del passato, salvo quelli autorizzati per la continuità aziendale (es. può pagare forniture consegnate dopo l’apertura, e con permesso del giudice può pagare dipendenti e fornitori strategici anche se anteriori, se funzionali alla prosecuzione). – Spossessamento attenuato: l’imprenditore conserva la titolarità dei beni ma ogni atto rilevante è controllato. Non può ad esempio disfarsi di asset aziendali senza ok del tribunale, perché vige l’idea di congelare la situazione patrimoniale per poi attuare il piano come proposto. – Sospensione degli interessi sui debiti chirografari: dal momento dell’apertura, i crediti chirografari cessano di maturare interessi (solo i privilegiati fino a copertura del valore del bene continuano). – I contratti pendenti possono essere sciolti o sospesi su richiesta del debitore con autorizzazione del tribunale, se utile al piano (novità CCII per allinearsi alla direttiva UE). Ad esempio, si può chiedere di sciogliere un contratto di affitto d’azienda oneroso per favorire la ristrutturazione (il contraente avrà diritto a un indennizzo come credito concorsuale).
Approvazione dei creditori: il fulcro è che i creditori votano sul piano. Il debitore deve suddividerli in classi se ci sono creditori con posizione giuridica ed economica differenziata (ciò è obbligatorio se si prevede trattamento diversificato, facoltativo altrimenti, ma con il CCII è diventato di fatto la norma costituire classi omogenee). Tipiche classi: chirografari, privilegiati degradati per la parte eccedente garanzia, fornitori strategici, ecc. I creditori privilegiati (garantiti) non votano se sono pagati integralmente come da privilegio; votano solo se viene chiesta una falcidia o modifica dei loro diritti.
Si tiene un’adunanza dei creditori (di solito dopo 60-90 gg dall’ammissione, organizzata dal commissario) in cui i creditori possono discutere e poi esprimere voto (anche per corrispondenza). Quorum per l’approvazione: – Vecchia legge: serviva la maggioranza dei crediti ammessi al voto ( > 50% in valore) e, se classi, la maggioranza delle classi. – Nuova legge (post D.Lgs. 83/2022): distingue concordato consensuale (tutte le classi approvano) vs non consensuale (non tutte approvano). In breve, se tutte le classi approvano, ok. Se una o più classi votano contro, il tribunale può ugualmente omologare se ricorrono tutte le condizioni del cram-down interclassi (fairness test, una classe di creditori ha approvato, ecc.) . In pratica si recepisce la direttiva UE 2019/1023: è possibile confermare un concordato anche con il voto favorevole di una sola classe rilevante, purché la proposta rispetti rigidi criteri di tutela per le classi dissenzienti (nessuna classe dissenziente riceve meno di quelle inferiori, nessuna classe ottiene più del 100%, i dissenzienti prendono almeno quanto avrebbero in liquidazione, almeno una classe “in the money” ha detto sì, etc.) . Questo è il cross-class cram down e rappresenta un grande cambiamento: prima bastava il no di una classe importante per bloccare tutto, ora non più, se il piano è equo e sostenibile comunque. – Dunque, il concordato può essere approvato con il voto favorevole, ad esempio, anche di una sola classe (es. classe delle banche) e il no di tutte le altre, a patto di superare i test di legge e avere l’adesione di almeno una classe “senior” . Questo è stato introdotto in CCII art. 112 co.2 e ha portato il concordato italiano in linea con la direttiva.
Omologazione da parte del tribunale: dopo il voto, il tribunale tiene conto dell’esito e delle eventuali opposizioni (creditori dissenzienti possono opporsi lamentando violazioni di legge, mancanza di requisiti, ecc.). Se il concordato ha avuto le maggioranze richieste (o anche no, ma si procede al cram-down interclassi) e non ci sono motivi di rigetto, il tribunale emette sentenza di omologazione. Con l’omologazione, il piano di concordato diventa vincolante per tutti i creditori anteriori (anche quelli che hanno votato contro o non hanno votato) . Gli unici crediti esclusi sono quelli eventualmente pre-deducibili, o i creditori estranei per legge (es. creditori con garanzia reale non toccati se non hanno aderito, salvo eccezioni).
Esecuzione del concordato: il debitore (spesso sotto vigilanza di un Commissario che di solito diventa Liquidatore giudiziale se c’è parte liquidatoria) esegue gli atti previsti: paga le percentuali promesse nei tempi stabiliti, eventualmente cede beni, fa aumenti di capitale, ecc. A esecuzione completata, la procedura viene dichiarata chiusa e l’azienda prosegue la sua vita “ripulita”. Se era un concordato liquidatorio, l’azienda verrà poi cancellata dopo la liquidazione.
Vantaggi del concordato: – Vincola tutti i creditori anteriori, risolvendo globalmente la crisi. A differenza del piano attestato e accordo di ristrutturazione, qui i creditori minoritari non possono tirarsi fuori: se la maggioranza approva (o le condizioni per cram-down ci sono), anche i dissenzienti sono obbligati ad accettare le condizioni . Questo consente di ristrutturare anche i debiti frammentati. – Protezione ampia durante la procedura: blocco di pignoramenti, niente istanze di fallimento concorrenti (non si può dichiarare fallito uno che è in concordato salvo revoca), contratti essenziali mantenuti (per continuità), quindi l’azienda può operare senza l’assillo dei creditori. – Possibilità di finanziamento interinale: con autorizzazione, l’azienda in concordato può contrarre finanziamenti prededucibili (saranno pagati in prededuzione se la procedura va a buon fine o addirittura se convertita in fallimento, entro certi limiti). Questo aiuta a ottenere liquidità per portare avanti l’attività o pagare fornitori chiave. Chiaramente serve convincere qualcuno a prestare, ma la garanzia della prededuzione aiuta. – Flessibilità nelle classi: il debitore può differenziare il trattamento di creditori in base alle classi, rispettando però equità entro la classe. Ad esempio può proporre ai fornitori chirografari un 30% in 2 anni, ai fornitori strategici un 50% in 1 anno (mettendoli in classe separata motivata dall’interesse a mantenerli partner). Può anche – novità – trattare diversamente l’Erario: dal 2021 è possibile proporre falcidia di IVA e ritenute (prima era vietato), quindi nel concordato oggi si possono stralciare debiti IVA e INPS come gli altri, con l’unica accortezza del cram-down fiscale per l’omologa se il Fisco dice no . – Esdebitazione per l’imprenditore individuale: se il debitore è una persona fisica, il concordato omologato e eseguito dà diritto all’esdebitazione residua sui chirografari non soddisfatti (simile a quella post-fallimentare). – Salvataggio dell’impresa in continuità: nel concordato in continuità l’azienda può proseguire, conservando posti di lavoro e valore economico. Oggi la legge spinge per soluzioni di continuità, tanto che anche in un concordato liquidatorio si può prevedere di tenere in vita temporaneamente l’azienda se serve a massimizzare il valore (vendendola come azienda funzionante anziché spezzettare i beni). – Interventi correttivi possibili: la riforma 2022 ha introdotto (art. 118 CCII) la possibilità di modificare il piano anche dopo il deposito ma prima dell’omologa, per recepire osservazioni o miglioramenti (previa nuova attestazione e senza pregiudizio dei creditori, p.es. proroghe di termini se necessario). Questo dà un po’ di elasticità in corso di procedura, prima inesistente (bastava un errore formale per dover rifare tutto). – Cram-down fiscale e interclassi: già evidenziati, sono novità cruciali. Il concordato oggi consente di superare sia il veto dell’Erario (con omologa forzata se piano conviene) , sia il veto di intere classi dissenzienti (cross-class cram-down) . Questo allinea l’Italia a paesi avanzati come USA (Chapter 11) e consente di risolvere molte situazioni prima impossibili (es. una classe di obbligazionisti retail che dice no mentre banche e fornitori dicono sì – ora il giudice può comunque far passare il piano se equo verso di loro). – Gestione controllata e trasparente: per i creditori l’aspetto positivo è che c’è un Commissario, c’è una vigilanza del giudice: riduce il rischio di comportamenti opportunistici del debitore, c’è un controllo di legalità e di merito (limitato al best interest test). I creditori possono fare osservazioni, incontrare il Commissario, etc., quindi dovrebbero fidarsi di più di un concordato che di un piano privato.
Svantaggi del concordato: – Lentezza e complessità: è una procedura giudiziaria a tutti gli effetti, con una propria liturgia di atti, termini, udienze. Dall’idea iniziale all’omologa possono passare molti mesi (6-12 è la media), durante i quali l’azienda vive in regime concorsuale, con costi e rigidità. Questo talora logora il valore aziendale (clienti diffidenti, concorrenza aggressiva, difficoltà a ottenere credito nonostante la prededuzione, ecc.). – Costi alti: occorre pagare l’attestatore, il Commissario (che ha diritto a compenso), il legale per predisporre ricorso, eventuali consulenti. Inoltre, bisogna accantonare liquidità per i creditori nei termini di legge (ad es. versare il contributo per spese giustizia, 0,5% del passivo, e costituire cauzione 10% ai chirografari se concordato liquidatorio, e così via). Questi costi rendono il concordato proibitivo per situazioni piccole. – Perdita di autonomia: sebbene l’imprenditore resti in carica, di fatto viene affiancato dal Commissario e ogni mossa straordinaria deve essere autorizzata. In alcuni casi, soprattutto se c’è sfiducia, il tribunale può nominare un commissario-gestore con poteri sostitutivi (specie se il debitore ha commesso irregolarità o servono misure urgenti). – Incertezza dell’esito: non è affatto detto che i creditori approvino o che il giudice omologhi. Quindi l’azienda potrebbe trovarsi, dopo aver investito tempo e risorse nel concordato, a subire comunque la liquidazione giudiziale per bocciatura del piano (magari per il no di pochi creditori chiave o per contestazioni). – Vincoli legali stringenti: la legge impone di rispettare l’ordine dei privilegi (absolute priority rule salvo consenso dei privilegiati a deroghe), di assicurare che i chirografari non prendano meno di quanto otterrebbero in liquidazione (best interest test), etc. Ad esempio, non posso in concordato offrire zero ai chirografari se in fallimento stimano avrebbero il 5%. Né posso pagare un chirografario più di un privilegiato di grado superiore non soddisfatto integralmente (salvo quest’ultimo acconsenta a rinuncia). Queste regole servono a tutelare i creditori ma limitano la creatività del piano. – Coinvolgimento del tribunale anche post-omologa: l’esecuzione del concordato resta vigilata e se il debitore non adempie, il tribunale può dichiarare la risoluzione del concordato (su istanza di creditori) e aprire d’ufficio la liquidazione giudiziale. Dunque, il debitore cammina su un filo: un passo falso ed è fallimento. Ad esempio, se entro i termini previsti non paga le percentuali concordatarie ai creditori, questi possono chiedere la risoluzione (non serve dimostrare insolvenza di nuovo, basta l’inadempimento rilevante). – Emersione totale della crisi: presentare un concordato significa rendere pubblico lo stato di difficoltà (iscrizione al Registro imprese, notifica a tutti i creditori). È un atto spesso irreversibile: clienti, fornitori, dipendenti lo verranno a sapere, con possibili reazioni negative (perdita commesse, richiesta di pagamento anticipato d’ora in poi, malumori del personale). – Effetti sugli organi societari: se l’impresa è societaria, l’apertura del concordato può costituire giusta causa di revoca degli amministratori (a discrezione dei soci). Inoltre, decadono gli eventuali organi di controllo interni (collegio sindacale), sostituiti di fatto dalla vigilanza del Commissario Giudiziale. – Altre limitazioni: l’azienda in concordato non può per esempio ottenere nuovi affidamenti bancari (difficile che le banche diano ulteriore credito se non con garanzie prededotte), non può partecipare a gare pubbliche (fino al 2021 c’era un lieve allentamento per concordato in continuità con autorizzazione del giudice, ma va valutato caso per caso), e in generale subisce quell’aura di “impresa in procedura concorsuale” con tutte le restrizioni normative annesse.
Novità degne di nota nel 2022-2025: abbiamo già trattato i principali (cram-down fiscale , cross-class , abolizione soglia 20% liquidatorio, possibilità modifica piano, ecc.). Aggiungiamo: – Il “concordato semplificato” per la liquidazione del patrimonio (introdotto dal D.L. 118/2021): è una procedura speciale riservata al caso in cui fallisce la composizione negoziata. Se durante la composizione negoziata l’esperto attesta che non c’è soluzione migliore, l’imprenditore può chiedere direttamente l’omologazione di un concordato liquidatorio senza bisogno di voto dei creditori (questi possono fare osservazioni ma decide il giudice). È uno strumento a cavallo tra accordo e fallimento, pensato per accelerare la liquidazione consensuale quando la negoziazione non ha portato a salvezza. Il CCII lo ha recepito (art. 25-sexies) ma è poco usato sinora, perché condizionato a un tentativo di composizione negoziata serio e a garanzia che i creditori non riceverebbero di meno che in fallimento. Lo menzioniamo perché attualmente (2025) è una peculiarità italiana: un concordato senza voto, straordinario, solo liquidativo e successivo a composizione negoziata fallita. – Il concordato minore (ex legge 3/2012, ora art. 74 CCII): procedura analoga per debitori non fallibili (piccoli imprenditori, professionisti, consumatori). Non riguarda S.r.l. di dimensioni rilevanti, ma lo citiamo per completezza. In pratica, i “sovraindebitati” possono proporre un concordato ai creditori, con regole semplificate. Le sezioni specializzate dei tribunali ora seguono anche queste procedure. – Tutela dei finanziatori del concordato: la legge (art. 99 CCII) tutela chi fornisce nuova finanza approvata nel concordato in continuità (prededuzione) e consente, ad esempio, di pagare fornitori per prestazioni essenziali durante la procedura (finanza interinale), come accennato. Questo serve ad evitare che l’azienda collassi prima ancora di arrivare al voto.
In sintesi, il concordato preventivo è lo strumento più strutturato e garantista per affrontare la crisi, coinvolgendo tutti i creditori in un piano collettivo. Va scelto quando la situazione è troppo complessa o i creditori troppo numerosi/divergenti per trovare un accordo privatamente, oppure quando c’è già aggressione tale dei creditori che solo la protezione del tribunale può creare un spazio di manovra (ad es. se ho pignoramenti multipli in corso, il concordato è l’unico modo di bloccarli tutti insieme). Dall’altra parte, è un percorso impegnativo e delicato, che richiede competenza e rigore. Il debitore deve abbandonare la “cabina di regia” esclusiva e condividere la gestione con l’autorità giudiziaria per un periodo. Se però il concordato riesce, l’impresa può emergere risanata o quantomeno chiudere dignitosamente la propria storia pagando il possibile ed evitando il fallimento con tutti i suoi strascichi.
Composizione negoziata della crisi d’impresa
La composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa è uno strumento introdotto in Italia di recente, prima temporaneamente con il D.L. 118/2021 (conv. L. 147/2021) e poi stabilizzato nel Codice della Crisi (artt. 12-25-quinquies CCII). Si tratta di un percorso volontario e confidenziale in cui l’imprenditore, trovandosi in situazioni di squilibrio o crisi, può richiedere l’assistenza di un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione, allo scopo di favorire le trattative con i creditori e ricercare una soluzione di risanamento. È stato pensato come uno strumento di allerta e intervento precoce (recependo la spinta della direttiva UE 2019/1023) più flessibile e meno stigmatizzante delle vecchie “procedure di allerta” immaginate inizialmente.
Come funziona in sintesi: – L’imprenditore presenta un’istanza attraverso una piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio, allegando informazioni economico-finanziarie e perché ritiene di avere potenzialità di risanamento. – Una commissione (presso la Camera di Commercio) designa un Esperto negoziatore, professionista indipendente (spesso commercialista o avvocato con specifica formazione) che studia la situazione e guida il processo negoziale. – Il procedimento è riservato (non viene pubblicato – tranne se l’imprenditore chiede misure protettive, allora si annota l’istanza al Registro Imprese, rendendo noto che è in composizione negoziata). – L’esperto, entro 2 giorni dalla nomina, convoca l’imprenditore per valutare insieme le prospettive. Se emergono chance di risanamento (>0), si prosegue; se vede subito che non c’è nulla da fare (azienda decotta), lo dichiara e il percorso si chiude. – Se si prosegue, l’esperto aiuta a predisporre un piano di risanamento o varie ipotesi da sottoporre ai creditori. Convoca i principali creditori a tavoli negoziali, li sprona a trovare intese. Ha facoltà di suddividere i creditori in gruppi, sentendoli separatamente, etc. – L’imprenditore rimane in carica e non perde poteri, ma si impegna a gestire in buona fede seguendo le indicazioni dell’esperto. L’esperto a fine processo stilerà una relazione finale. – Durata: di regola 180 giorni prorogabili fino a 240 su richiesta motivata.
Strumenti di supporto durante la composizione negoziata: – L’imprenditore può chiedere al tribunale la concessione di misure protettive temporanee, ad esempio il divieto per i creditori di iniziare o proseguire esecuzioni e di acquisire titoli di prelazione (ipoteche) sul patrimonio. Queste misure (simili al automatic stay del concordato) possono coprire tutti o parte dei creditori e durano inizialmente fino a 4 mesi (prorogabili fino a 12 in casi eccezionali) . Durante tale periodo, però, l’impresa deve pagare i debiti correnti e astenersi da atti pregiudizievoli, sotto vigilanza del tribunale in caso di abusi. – Sempre tramite il tribunale, l’imprenditore può ottenere autorizzazione a finanziamenti prededucibili o a trasferimenti d’azienda non soggetti a revocatoria (questo per poter eventualmente reperire risorse o cedere asset senza timore di azioni future se poi la negoziazione fallisse e arrivasse un fallimento; il Codice prevede esenzione da revocatoria per atti autorizzati dall’autorità in composizione negoziata e seguiti dall’esperto). – Le parti (debitore e creditori) possono concordare moratorie sulle azioni esecutive, sospensioni di contratti, ecc. La legge incentiva i creditori a partecipare attivamente: se un creditore rifiuta senza motivo di trattare, l’esperto lo segnala, e quell’inerzia potrà essergli contestata in seguito (ad esempio in un successivo fallimento, il giudice potrebbe valutarla negativamente in sede di distribuzione sanzionando il creditore poco cooperativo – principio del favor verso soluzioni concordate). – Premi e incentivi: la normativa ha inserito alcuni “premi” per l’imprenditore virtuoso che usa la composizione negoziata. Ad esempio, durante la negoziazione sono sospese temporaneamente le cause di scioglimento per perdite rilevanti (art. 20 CCII), gli interessi sui debiti fiscali sono ridotti al tasso legale, e – come visto – se la trattativa produce poi un accordo o un contratto di esito positivo pubblicato, l’impresa può ottenere rateazioni fiscali straordinarie fino a 120 mesi . Inoltre, i creditori che partecipano all’accordo possono ottenere benefici (non più previsti transazione fiscale diretta dopo PNRR 2023, ma restano prededuzioni e protezioni varie per nuova finanza). – Coinvolgimento di soggetti pubblici: se la crisi rischia di degenerare, l’esperto può segnalare l’opportunità per l’impresa di ricorrere ad ammortizzatori sociali straordinari (es. cassa integrazione straordinaria per crisi, attivabile proprio tramite la composizione negoziata per 12 mesi con causale “ristrutturazione aziendale”). Inoltre, sono istituiti Piani di ristrutturazione soggetti ad omologa (PRO) e Concordati semplificati come vie d’uscita se la negoziazione fallisce con determinati presupposti.
Esiti possibili della composizione negoziata: – Accordo stragiudiziale con alcuni o tutti i creditori: es. l’imprenditore trova intese bilaterali che risolvono la crisi e quindi esce semplicemente con accordi privati. L’esperto ne prende atto, chiude la relazione finale positiva. Tali accordi possono essere vari (piani di rientro, dilazioni, rinunce parziali). – Accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis CCII: se riesce a raccogliere il consenso sufficiente, può formalizzare un accordo omologato in tribunale (spesso un esito naturale: la negoziazione fornisce la base che poi viene omologata). – Piano attestato di risanamento: l’esperto può aiutare a redigere un piano attestato e a farlo sottoscrivere da creditori chiave, e poi l’azienda lo esegue (magari pubblicandolo per protezioni revocatorie). – Concordato preventivo: se la soluzione c’è ma serve una moratoria/decurtazione anche verso dissenzienti, l’impresa può optare per un concordato preventivo (magari semplificato, vedi sotto, se i tempi stringono). – Concordato semplificato per la liquidazione: se l’esperto certifica che non si è trovato un accordo ma c’è un’offerta vantaggiosa di acquisto dell’azienda o comunque una opportunità di liquidazione ordinata meglio del fallimento, l’imprenditore può chiedere al tribunale di omologare un concordato liquidatorio senza voto dei creditori . I creditori possono opporsi, ma decide il giudice valutando la convenienza. Questo istituto è pensato per evitare il fallimento caotico quando, nonostante gli sforzi, non c’è stato accordo (lo si può vedere come exit strategy per chi tenta la composizione negoziata: o risani, o comunque liquidi in modo controllato con più efficienza). – Archiviazione e eventuale fallimento: se nulla di fatto, l’esperto chiude con esito negativo. In quel caso, se l’azienda è insolvente, sarà presumibilmente soggetta a istanze di fallimento. Il rapporto finale dell’esperto potrebbe servire da base per i creditori o il PM per valutare l’insolvenza e magari depositare ricorso di liquidazione giudiziale. Non c’è automatismo: finita la composizione, l’imprenditore è libero, ma se la situazione è insolvente, la protezione cessa e i creditori possono agire (ed anzi, l’imprenditore dovrebbe valutare di sua iniziativa se ricorrere a concordato o a liquidazione fallimentare volontaria, per evitare aggravamenti di responsabilità).
Qualche dato: la composizione negoziata è partita il 15/11/2021. Nel primo anno (fino a fine 2022) non ha avuto un uso massiccio: circa 475 istanze al 15/11/2022, poi salite a 595 al 10/02/2023 . Di queste, solo 11 con esito positivo al novembre 2022 e 404 in corso o chiuse senza accordo . Ciò evidenzia che molti vi hanno tentato ma in buona parte le imprese erano forse già compromesse (circa 45% chiuse per mancate prospettive, 34% per trattative fallite, 13% rinunce volontarie) . Il legislatore, preso atto della partenza lenta, è intervenuto con il Decreto PNRR 2023 per migliorare lo strumento, ad esempio prevedendo il maxi-rateizzo fiscale a 120 mesi per chi conclude accordi in composizione , ed altri aggiustamenti (come includere formalmente la transazione fiscale nelle trattative, che inizialmente era stata esclusa ma poi con D.Lgs. 83/2022 e 136/2024 in parte integrata).
Vantaggi dal lato debitore: – È volontaria e riservata: niente pubblicità, nessuno stigma iniziale (a meno di chiedere misure protettive che implicano un minimo di pubblicità). Ciò consente all’imprenditore di sondare la ristrutturazione senza allarmare il mercato. – È assistita da un esperto super partes: questo può facilitare il dialogo con i creditori, portare competenza e credibilità. L’imprenditore può far leva su di lui per convincere i creditori che la proposta è seria. – Offre strumenti di protezione su misura: si possono modulare le misure protettive, selezionando quali creditori bloccare. Ad esempio, posso chiedere di sospendere i pignoramenti di banche X e Y ma continuare a pagare regolarmente Z e i fornitori, se sto trattando solo con X e Y. Questa flessibilità evita di “congelare” l’intera azienda come succede nel concordato, e riduce il sacrificio dei creditori estranei. – Non è una procedura concorsuale: l’imprenditore non perde poteri di gestione, non c’è commissario, non c’è spossessamento, né vengono meno eventuali contratti pubblici (nel concordato un’impresa può essere estromessa da appalti, nella composizione negoziata no perché formalmente non è in procedura concorsuale). – Può sfociare in qualsiasi soluzione: è uno strumento aperto, può evolvere in un piano attestato, in un accordo 182-bis, in un concordato, o semplicemente in accordi stragiudiziali. Questo la rende molto duttile. È come mettere l’azienda sotto tutoring per qualche mese per vedere se si può salvare, e al contempo avere uno “scudo” temporaneo. – Premialità legali: già citate, come la dilazione tributaria straordinaria, la riduzione sanzioni su rate Inps possibili, la non punibilità di alcuni reati se risolti i debiti (c’era proposta di estendere al 2023 la non punibilità art. 217-bis per atti in trattativa ma la fattispecie di bancarotta preferenziale potrebbe essere comunque esclusa perché pagamenti autorizzati dall’esperto non sono punibili come preferenze). Inoltre, la legge prevede che se il debitore rispetta l’accordo concluso, non sarà soggetto a dichiarazione di insolvenza in seguito (importante perché evita un fallimento successivo se tutto va secondo accordi). – Per le società, nota bene, la composizione negoziata è considerata adempimento dei doveri degli amministratori: se gli amministratori la attivano tempestivamente, difficilmente saranno accusati di negligente ritardo (ex art. 2486 c.c.). Anzi, farlo è segno di buona condotta, potenzialmente esimente da responsabilità.
Svantaggi e limiti: – Non vincola i creditori che non vogliono collaborare: la composizione è volontaria, se un creditore importante non partecipa o dice no, non c’è modo di obbligarlo a tagli o dilazioni (a differenza dell’accordo omologato o del concordato). Puoi al più bloccare temporaneamente le sue azioni esecutive, ma alla fine se non lo convincerai, dovrai pagarlo integrale o trovare altra soluzione. – Ha efficacia temporanea: le misure protettive durano pochi mesi e devono essere confermate dal tribunale (che verifica che la trattativa stia progredendo). Non è uno scudo prolungato come in concordato dove il blocco dura tutta la procedura (anche qui max un anno con proroghe). Dunque è per definizione uno strumento di emergenza e transizione. – Coinvolge comunque un esperto esterno che, pur non essendo un commissario, ha una certa influenza: redige una relazione finale che può servire da base per successive azioni (ad esempio, se il debitore è stato reticente o in mala fede, l’esperto lo scriverà e questo potrà nuocere in seguito). Quindi non è uno “spazio di manovra segreto” totale: c’è un testimone qualificato. – Costi: sebbene minori di un concordato, anche qui l’imprenditore paga il compenso all’esperto (determinato secondo parametri ministeriali, spesso qualche decina di migliaia di euro a seconda della durata e complessità) più i propri consulenti. Non è gratuito, ma il legislatore ha previsto per le PMI la possibilità di un contributo statale a copertura di parte delle spese per l’esperto. – Non tutti possono accedervi: è pensata per imprese commerciali, incluse società agricole (eccezione alla regola fallimentare, qui possono accedere). Le micro-imprese sotto-soglia fallimentare possono fare composizione negoziata, ma se poi non funziona devono virare verso le procedure da sovraindebitamento (concordato minore, ecc.). Ci vuole comunque un po’ di struttura per utilizzarla proficuamente (tenuta contabilità regolare, prospetti prevedibili da dare all’esperto). – Rischio di abusi e inerzia: c’è chi teme che qualche debitore la usi solo per guadagnare tempo (le misure protettive come “moratoria legale” a costo ridotto). La normativa cerca di prevenirlo: l’esperto può segnalare abusi al tribunale, e le misure verrebbero revocate. Però il rischio c’è: se un imprenditore la attiva senza vera volontà di risanare, può ritardare un fallimento per qualche mese. Ciò però può peggiorare la situazione patrimoniale. Dal canto suo, l’imprenditore onesto deve stare attento a non perdere tempo: se la situazione peggiora durante la negoziazione e poi salta tutto, i creditori staranno peggio e ci potranno essere contestazioni (ad esempio, bancarotta per aggravamento del dissesto). – Esiti incerti: i creditori non sono obbligati a concedere tagli – se il piano non li convince, la composizione finirà con un nulla di fatto. Non c’è garanzia di successo; a volte, come hanno mostrato i primi dati, molte composizioni si chiudono senza accordo perché l’impresa era irreversibilmente decotta.
Quando conviene: la composizione negoziata è l’opzione da tentare subito appena l’impresa percepisce segnali di crisi significativi ma crede di avere prospettive di recupero (nuovi mercati, commesse all’orizzonte, riorganizzazione possibile). Anche quando la situazione è seria, è un tentativo obbligato prima di arrendersi al fallimento: consente di verificare se esiste una via di uscita concertata. La logica è “proviamole tutte” col supporto di un esperto e del quadro protettivo che la legge offre, prima di alzare bandiera bianca. Inoltre, può essere vantaggiosa per ridurre i costi rispetto a un concordato: se grazie alla negoziazione si arriva a un accordo 182-bis, si sarà speso meno tempo/costi di un concordato integrale e si è risolta la crisi in modo più snello. Per le imprese che hanno un valore intrinseco (tecnologie, marchi, avviamento) ma momentanei squilibri finanziari, la composizione negoziata offre un percorso rapido di turnaround magari con l’ingresso di investitori (si è visto in alcuni casi, come il salvataggio di gruppi con l’intervento di nuovi soci mediato dall’esperto).
Va infine evidenziato che la composizione negoziata ha sostituito le previste (ma mai entrate in vigore) procedure di allerta obbligatoria. Ora le segnalazioni di allerta (es. da parte dell’INPS o Agenzia Entrate su grosse esposizioni) fanno scattare un invito al debitore ad attivarsi, ma senza intervento coatto (i vecchi OCRI non sono stati attivati). Dunque la composizione è oggi lo strumento di elezione per l’allerta precoce, su base volontaria. E i segnali normativi sono chiari: un amministratore diligente dovrebbe attivarla se i parametri di crisi (che il CNDCEC e la legge indicano: indici di liquidità, indebitamento, DSCR < 1, etc.) denotano squilibri gravi. Farlo può anche giovare in termini di riduzione di eventuali sanzioni (in ambito fiscale, l’aver avviato la negoziazione può essere visto come elemento a favore, ad es. per evitare la punibilità di taluni reati se poi si paga il dovuto grazie all’accordo raggiunto).
Liquidazione giudiziale (fallimento) ed esdebitazione del debitore
Per completezza, va menzionato il fallimento (oggi denominato liquidazione giudiziale dal CCII) come l’ultimo stadio se tutte le misure di risanamento falliscono o non sono praticabili. Dal punto di vista del debitore, è l’evento da evitare (soprattutto per l’imprenditore onesto legato alla sua azienda), ma in alcuni casi può diventare inevitabile accettarlo per evitare ulteriori aggravamenti.
Liquidazione giudiziale in breve: – Si apre con sentenza del tribunale che dichiara lo stato di insolvenza dell’imprenditore su ricorso di un creditore, del debitore stesso o d’ufficio del PM. – Comporta la spossessione totale dei beni: la gestione passa a un Curatore nominato dal tribunale, il quale liquiderà l’attivo e distribuirà il ricavato ai creditori secondo le prelazioni. – Gli amministratori decadono, l’impresa perde la capacità d’agire, l’azienda in genere cessa l’attività (salvo esercizio provvisorio se conviene vendere l’azienda funzionante). – Tutti i crediti concorsuali (anteriori) vengono accertati tramite il passivo e soddisfatti pro rata a fine procedura. – È una procedura lunga e con forti penalizzazioni per il debitore: per le società, di solito si conclude con la loro estinzione; per gli imprenditori individuali, c’è la esdebitazione (liberazione dai debiti residui inesigibili) se hanno cooperato lealmente.
Dal punto di vista del debitore imprenditore (specie se persona fisica), se la liquidazione giudiziale interviene, egli potrà chiedere al termine l’esdebitazione (artt. 282-283 CCII) per ottenere la cancellazione dei debiti rimasti insoddisfatti, così da poter ripartire. Le società invece non beneficiano dell’esdebitazione – i loro debiti si estinguono con la cancellazione della società ma non c’è una “fresh start” perché la persona giuridica cessa di esistere. I soci di società di persone, illimitatamente responsabili, possono però chiedere esdebitazione in estensione come persone fisiche una volta chiuso il fallimento sociale.
In questa guida, la liquidazione giudiziale rappresenta ciò che si vuole scongiurare adottando i rimedi sopra descritti. Tuttavia, non va demonizzata a priori: in alcuni casi un fallimento tempestivo può essere la soluzione più razionale per liquidare i beni e fare ripartire sotto altra forma l’attività sana. Ad esempio, se l’azienda di smerigliatrici non è recuperabile ma c’è un concorrente disposto a rilevare i macchinari e assumere parte del personale, il fallimento può vendere quegli asset in trasparenza (magari con affitto d’azienda immediato per continuità), chiudere i conti e permettere al business di proseguire sotto altra proprietà. Certo, per il debitore originario ciò significa perdere l’azienda e subire le possibili azioni di responsabilità o pene (se ci sono irregolarità). Ma per il complesso economico e i creditori residui può essere l’opzione migliore quando il risanamento non è fattibile.
Il punto di vista del debitore deve comunque essere pragmatico: difendersi dai creditori non significa ostinarsi a tenere in vita un’impresa decotta a spese altrui, ma piuttosto utilizzare ogni strumento lecito per preservare il valore aziendale e onorare i debiti per quanto possibile. Se tutti gli strumenti di risanamento falliscono, la scelta onesta è collaborare col curatore nel fallimento per massimizzare il ricavato ed eventualmente beneficiare di esdebitazione (per ripartire come imprenditore in futuro, più esperto dagli errori commessi).
Tabella 3 – Strumenti di regolazione della crisi a confronto
| Strumento | Normativa | Adesione necessaria creditori | Ruolo del tribunale | Effetti su gestione | Protezione da azioni | Vincolo per dissenzienti | Esempio d’uso |
|---|---|---|---|---|---|---|---|
| Accordi stragiudiziali informali (piani di rientro, saldo e stralcio, ecc.) | Autonomia contrattuale (nessuna norma speciale, salvo art. 67 co.3 L.F. per accordi moratori con banche) | 100% dei creditori coinvolti (consenso individuale). Creditori estranei non toccati. | Nessuno (privato). | Debitore pienamente in carica. | Nessuna protezione legale automatica (a meno di accordi di moratoria volontari). | Nessun vincolo per chi non firma. | Crisi lieve con pochi creditori, possibilità di pagamento integrale a quelli fuori accordo. |
| Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 L.F.) | Art. 56 CCII. Esenzione revocatoria: art. 166 co.3 lett. d CCII . | Consenso variabile: non serve soglia fissa, ma serve accordo con creditori strategici per fattibilità. Estranei pagati al 100%. | Nessuna omologa. (Deposito facoltativo al Registro per data certa). | Debitore in carica. Attestatore certifica piano. | Nessun stay formale, ma possibile moratoria volontaria di creditori aderenti. | Non vincola formalmente i non aderenti (devono essere soddisfatti integralmente) . | Crisi iniziale o media, pochi creditori chiave disposti a supportare (es. banche) e liquidità per pagare gli altri integralmente. |
| Accordo di ristrutturazione (ordinario) | Artt. 57-60 CCII (accordo ordinario). | ≥60% del totale crediti aderente . Estranei pagati integralmente come da piano . | Omologa del tribunale (decreto). Tribunale verifica percentuale, fattibilità, best interest estranei. | Debitore in carica. Procedura semplificata (non c’è commissario). | Possibile sospensione esecuzioni su richiesta durante omologa . | Non vincola estranei (devono ricevere 100%). Vincola aderenti con omologa. | Molti creditori, ma pochi rilevanti e la maggioranza in valore è d’accordo. Debitore può pagare i dissenzienti per intero. |
| Accordo di ristrutturazione agevolato | Art. 60 CCII (comma 2). | ≥30% crediti se nessun stay richiesto e impegno a pagare estranei regolarmente . | Omologa del tribunale. | Debitore in carica (come sopra). | Di regola nessuno stay (altrimenti serve 60%). | Come accordo ordinario: estranei fuori accordo pagati integralmente. | Crisi gestibile senza misure cautelari, quando il debitore può pagare puntualmente chi non aderisce. |
| Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa | Art. 61 CCII. | ≥75% dei crediti in una categoria omogenea → esteso al 100% di quella categoria . | Omologa del tribunale con verifica condizioni (informazione, trattativa leale, omogeneità trattamento). | Debitore in carica (come sopra). | Possibile stay. | Vincola anche i creditori dissenzienti della categoria specifica omogenea . | Molti creditori in una stessa classe (es. banche) tranne piccola minoranza: possibilità di imporre accordo anche a minoranza dissenziente . |
| Transazione fiscale/contributiva in accordo | Art. 63 CCII. | Si computa nel 60%/30%. Se Fisco/INPS non aderiscono ma quorum raggiunto senza di loro, possibile cram-down: omologa anche senza consenso se proposta più vantaggiosa del fallimento . | Omologa del tribunale, che verifica convenienza per Erario vs liquidazione . | Debitore in carica. | Possibile stay. | Vincola Erario/enti dissenzienti se giudice omologa nonostante loro rifiuto (cram-down fiscale) . | Debiti fiscali/INPS rilevanti impediscono raggiungimento soglia: si può procedere comunque se c’è convenienza comparativa . |
| Concordato preventivo (continuità o liquidatorio) | Artt. 84-120 CCII (e 48-50 CCII per concordato minore). | In generale, approvazione classi o maggioranze crediti: se tutte le classi approvano, consensuale. Se no, possibile omologa con cram-down interclassi (almeno una classe votante e fairness test rispettati) . | Forte intervento tribunale: ammissione, nomina Commissario, decreto/voto creditori, omologa con sentenza. | Debitore in possesso ma sotto controllo: Commissario Giudiziale, atti gestori soggetti ad autorizzazione. | Stay automatico ex lege contro esecuzioni dall’ammissione . Contratti essenziali protetti (non recesso per insolvenza). | Vincola tutti i creditori anteriori una volta omologato (anche dissenzienti, purché rispettati loro diritti di legge). | Situazioni complesse con molti creditori eterogenei, necessità di imporre sacrifici anche a dissenzienti. Debitore vuole evitare il fallimento ma ha bisogno di taglio debiti generale e/o di cedere azienda protetto. |
| Concordato con riserva (“in bianco”) | Art. 44 CCII (ex art. 161 L.F.) | – | Si presenta domanda iniziale, poi piano. Tribunale concede termine per presentare piano se requisiti. | Come concordato (gestione in possesso con controlli). | Stay sin dal deposito ricorso se ammesso . | – (solo fase preparatoria) | Debitore sotto pressione immediata (esecuzioni, istanza fallimento) si tutela depositando ricorso e guadagnando tempo per preparare il piano. |
| Concordato semplificato post-composizione | Art. 25-sexies CCII (introdotto da D.L.118/21). | Nessun voto creditori (omologa giudice su proposta debitore). | Tribunale valuta solo best interest e assenza soluzioni migliori. | Debitore propone piano liquidatorio, nominato liquidatore giudiziale post-omologa. | Misure protettive possibili come in composizione negoziata. | Vincola tutti i creditori come un concordato omologato (senza voto). | Caso di composizione negoziata fallita: debitore non risanabile ma c’è offerta per liquidare attivo con maggior vantaggio che fallimento . Si bypassa il voto per rapidità. |
| Composizione negoziata | Artt. 12-25 quinquies CCII. | Non richiede adesioni predeterminate ex ante (è negoziazione libera). Esito ideale: accordo con la maggior parte dei creditori o per lo meno con quelli cruciali. | Il tribunale non interviene se non per misure protettive o autorizzative su atti/finanziamenti. Esperto terzo guida trattative ma non è autorità. | Debitore in piena gestione (obbligo trasparenza con esperto). Esperto solo facilitatore. | Misure protettive su richiesta: sospensione azioni esecutive, blocco interessi di mora, ecc., per 4+ mesi . Non automatiche, solo se richieste e autorizzate. | Nessun vincolo unilaterale sui dissenzienti: si punta a consenso. Dissenzienti restano liberi, salvo eventuale successivo passaggio ad accordo/concordato. | Fase iniziale/intermedia di crisi: si vuole tentare risanamento in via negoziale confidenziale. Utile per imprese con prospettive, per evitare procedure giudiziali se possibile, oppure come preludio a un accordo formalizzato. |
(Legenda: CCII = D.Lgs. 14/2019 Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza; best interest = miglior soddisfacimento dei creditori rispetto alla liquidazione; fairness test = condizioni di equità e rispetto ordine di priorità tra classi nel cram-down interclassi.)
Responsabilità e tutele per il debitore (amministratori, soci, garante) in caso di crisi
Dal punto di vista di chi amministra o possiede l’azienda indebitata, oltre agli strumenti tecnici di gestione del debito occorre tener presente le responsabilità personali che possono derivare dalla gestione della crisi. Ne abbiamo parlato nel quadro normativo generale (vedi la sezione sull’autonomia patrimoniale e le eccezioni). Ricapitoliamo i punti salienti e vediamo come un comportamento attivo nella difesa dell’azienda possa tutelare anche l’imprenditore personalmente:
- Gli amministratori di una società di capitali in crisi hanno il dovere di attivarsi tempestivamente per affrontare la situazione. Gli artt. 2086 e 2486 c.c. impongono di non aggravare il dissesto: restare inattivi mentre i debiti aumentano espone a azioni di responsabilità per mala gestio. Perciò, paradossalmente, difendersi efficacemente dai creditori (usando piani, accordi, concordati) è anche il modo per difendersi da eventuali accuse di cattiva gestione. Un tribunale valuterà con indulgenza l’amministratore che ha tentato un concordato o una composizione negoziata invece di lasciar andare l’azienda allo sbando. Viceversa, continuare a prendere tempo senza fare nulla può portare a dover rispondere dei nuovi debiti contratti in quel periodo “grigio”.
- Il Codice della Crisi ha introdotto specifiche misure di esonero da responsabilità per chi segue il percorso di composizione negoziata: ad esempio, finché è pendente la trattativa con l’esperto, non scattano le cause di scioglimento per perdite e gli amministratori non sono sanzionabili per il ritardo nell’eventuale liquidazione . Allo stesso modo, se un amministratore paga fornitori strategici durante la composizione negoziata con il consenso dell’esperto e l’autorizzazione del tribunale, quel pagamento non potrà essergli contestato come preferenziale né come dannoso. Dunque, aderire agli strumenti di legge serve anche ad ottenere una sorta di safe harbor su scelte gestionali necessarie.
- I soci di società a responsabilità limitata in genere non rispondono dei debiti sociali, ma in crisi profonde può emergere il tema del finanziamento soci: se i soci ricapitalizzano o finanziano l’azienda in crisi, devono sapere che tali apporti sono postergati (art. 2467 c.c.) nel rimborso rispetto agli altri crediti (non potranno riprendere i soldi prima che siano soddisfatti gli altri creditori). Tuttavia, questa norma serve a evitare abusi, e in un concordato il socio finanziatore potrebbe decidere di “convertire” il suo credito in capitale (abbattendo debito). Un socio che invece non supporta affatto l’azienda in crisi non ha responsabilità dirette, ma può veder azzerato il valore della sua partecipazione e, in ipotesi di socio unico, rischia di rispondere illimitatamente se non ha versato interamente il capitale o non ha adempiuto agli obblighi di pubblicità (art. 2462 c.c. sul socio unico) .
- Il garante/fideiussore (spesso l’imprenditore stesso o un socio) è particolarmente esposto: se la società non paga i debiti bancari, la banca escuterà il garante. Difendersi dai creditori in sede aziendale aiuta solo in parte: ad esempio, un concordato della società vincola anche i garanti? No, di regola no. Se non si prevede diversamente, il creditore in concordato può agire contro il fideiussore per l’intero importo, anche se in concordato accetta il 40%. Questo è un punto dolente: il garante rischia di pagare comunque. La legge però offre una soluzione: estendere gli effetti del concordato ai fideiussori con l’art. 88 CCII (transazione fiscale nel concordato può includere la liberazione di garanti se la maggioranza dei creditori la approva, però è complicato) e con normative specifiche. Inoltre, giurisprudenza ha stabilito che se l’azienda ottiene esdebitazione (nel post-fallimento o concordato minore) ciò non libera i garanti (Cass. SS.UU. 2020 n. 8450). Quindi il garante non è protetto direttamente dalle procedure dell’azienda. Come può difendersi? Contrattualmente: in sede di trattativa con la banca, può pattuire che in caso di concordato eseguito la fideiussione si estingue (serve accordo esplicito). Inoltre, come menzionato, molte fideiussioni ABI sono affette da nullità parziale : un garante potrà far valere in tribunale la nullità delle clausole per non pagare o ridurre l’importo. È un tema tecnico (spesso occorre causa a parte, sospendendo l’esecuzione se possibile). Quindi, un avvocato che difende l’imprenditore valuterà anche questa strada parallela: oltre a salvare la società, preparare l’eventuale difesa del patrimonio personale del garante (ad es. opponendosi ai decreti ingiuntivi per fideiussione con l’eccezione di nullità ABI se applicabile).
- Reati concorsuali: un imprenditore in crisi deve guardarsi dalla tentazione di compiere atti illeciti come distrarre beni, falsificare le scritture, favorire fraudolentemente alcuni creditori su altri, ecc. Tali condotte portano a reati di bancarotta se poi l’azienda fallisce, con pene gravi. Ma anche senza fallimento, certe condotte (ad es. sottrazione di beni ai creditori) possono integrare reati civili (art. 388 c.p. mancata esecuzione dolosa di obbligazioni). Difendersi in modo corretto significa anche evitare azioni penalmente rilevanti. Molti strumenti sopra descritti, se usati bene, permettono di risolvere la crisi senza dover ricorrere a espedienti illegali. La normativa, come visto, persino premia chi segue la via concordataria: ad esempio, i pagamenti effettuati in un concordato non sono punibili come bancarotta preferenziale (art. 324 CCII esime da bancarotta preferenziale gli atti compiuti in esecuzione del concordato o accordo) . Quindi l’imprenditore che sente la pressione di dover pagare magari un fornitore amico prima degli altri, farebbe meglio a canalizzare questa esigenza in un piano (dove può motivare un trattamento di favore per quel fornitore se oggettivamente strategico, facendolo approvare ai creditori o autorizzare dal giudice) piuttosto che pagarlo di nascosto fuori dalle regole: il primo modo è lecito (concordato approvato), il secondo espone a reato (bancarotta preferenziale se fallisce).
- Post-crisi: un debitore (persona fisica) che ha subito un fallimento e ottiene l’esdebitazione è “libero” dai vecchi debiti e può tornare a fare impresa. Avere agito correttamente durante la crisi è una condizione di accesso all’esdebitazione: ad esempio, non deve aver commesso reati fallimentari, né aver ritardato o ostacolato la procedura. Quindi, anche se lo scenario peggiore (fallimento) si concretizza, la via per la riabilitazione passa per la condotta virtuosa durante la gestione della crisi.
In conclusione, mettere in sicurezza l’azienda in crisi tramite gli strumenti legali di ristrutturazione è la migliore difesa anche per chi la guida o l’ha garantita personalmente. Minimizza i rischi di cause risarcitorie, di coinvolgimento del patrimonio personale e di imputazioni penali. Non esiste una bacchetta magica che azzeri i debiti senza sacrifici: qualunque strada scelta comporterà rinunce (di denaro, di controllo, di parte del business). Il ruolo del consulente del debitore (avvocato, commercialista) è di orientare verso la soluzione meno dannosa, salvaguardando ove possibile la continuità aziendale e il patrimonio personale dentro i confini della legge.
Domande frequenti (FAQ)
D.1: La mia azienda ha troppi debiti e non riesce a pagarli tutti. Posso evitare il fallimento pagando solo una parte ai creditori?
R.1: Sì, è possibile attraverso un accordo di ristrutturazione o un concordato preventivo. Nel concordato, ad esempio, si può proporre ai creditori un pagamento parziale (es. il 30% del dovuto) e dilazionato, dimostrando che questa somma è maggiore di quanto otterrebbero dalla liquidazione fallimentare. Se i creditori approvano a maggioranza (o se il tribunale omologa nonostante qualche dissenso, applicando il cram-down), il concordato viene omologato e i creditori devono accettare quella riduzione . Anche gli accordi ex art. 182-bis permettono di pagare solo una parte ai creditori aderenti, ma richiedono il consenso di una quota significativa di essi (60% o 75% a seconda dei casi) . In ogni caso, non puoi decidere unilateralmente di pagare meno senza un accordo o una procedura omologata: devi passare per uno di questi strumenti legali perché la remissione parziale del debito sia vincolante per tutti.
D.2: Qual è la differenza tra un piano attestato di risanamento e un concordato preventivo?
R.2: Entrambi sono strumenti per affrontare la crisi ma sono molto diversi per formalità e coinvolgimento dei creditori. Un piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) è un piano predisposto dal debitore, asseverato da un esperto indipendente, senza intervento del tribunale e basato sul consenso privato dei creditori chiave. Serve soprattutto a ottenere nuova finanza o rinegoziazioni in via confidenziale, e protegge gli atti compiuti sotto il piano da future revocatorie , ma non vincola i creditori che non vi aderiscono. Invece il concordato preventivo è una procedura giudiziale vera e propria in cui il debitore propone un piano e tutti i creditori votano; c’è la supervisione del tribunale e di un commissario; una volta omologato, il concordato impone il piano a tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti . In breve: il piano attestato è negoziale e flessibile, adatto se hai già accordo con molti creditori (informalmente), mentre il concordato è più rigido ma permette di risolvere la crisi in modo globale anche con opposizioni, grazie alla forza della legge (stay delle azioni e omologazione forzosa). Inoltre, nel piano attestato l’azienda resta completamente “in bonis” (non è una procedura concorsuale), nel concordato l’azienda è “in concordato” e subisce limitazioni ma ottiene protezione dalle azioni esecutive .
D.3: Ho ricevuto un’istanza di fallimento da un creditore. Cosa posso fare per evitarlo?
R.3: Se la tua impresa è effettivamente insolvente (non in grado di pagare regolarmente i debiti) e un creditore ha chiesto la liquidazione giudiziale (fallimento), le strade possibili sono: – Opporsi dimostrando che non esiste lo stato di insolvenza: ad esempio, contestando l’importo o l’esigibilità del debito (se il debito non è certo e liquido, il tribunale non dovrebbe dichiarare fallimento) o provando di essere in grado di pagarlo (mostrando disponibilità finanziarie sufficienti). – Presentare un ricorso per concordato preventivo “con riserva” prima dell’udienza di fallimento . Questo aprirà la procedura di concordato e bloccherà la dichiarazione di fallimento in pendenza del concordato. Dovrai poi presentare un piano concordatario entro il termine assegnato (di solito 60-120 giorni). Il concordato fungerà da soluzione alternativa: se poi omologato, il fallimento sarà scongiurato. Anche la sola presentazione di un concordato in bianco, se ammessa, sposta in avanti ogni decisione e sospende le azioni esecutive dei creditori immediatamente. – Trovare un accordo last-minute col creditore istante: ad esempio, pagarlo (se possibile) o transigere. Se l’istanza viene ritirata e non ci sono altri creditori istanti, la procedura si chiude. A volte i tribunali concedono un breve rinvio se c’è la prospettiva di saldo del creditore istante. – Composizione negoziata o accordo ristrutturazione in corso: se eri già in trattative avanzate con altri creditori, puoi informare il tribunale e il creditore che una soluzione negoziata è vicina (ad es. un accordo ex art. 182-bis in via di definizione) e chiedere un breve rinvio dell’udienza fallimentare. Ma il giudice non è obbligato a concederlo. Formalmente, solo il deposito di una domanda di concordato preventivo è causa di rinvio obbligatorio della pronuncia di fallimento (art. 6 CCII).
In sintesi, lo strumento più tipico è avviare un concordato preventivo per bloccare il fallimento sul filo di lana . Ovviamente dev’esserci uno scenario di risanamento plausibile dietro, altrimenti si rischia solo di rinviare il fallimento di qualche mese. Ma se hai elementi per formulare un piano concordatario serio o sei già in composizione negoziata con buone prospettive, gioca quella carta subito.
D.4: Conviene la composizione negoziata della crisi o è meglio andare direttamente in concordato?
R.4: Dipende dalla situazione. La composizione negoziata conviene se credi che la tua crisi possa essere risolta negoziando con i creditori senza dover ricorrere a soluzioni autoritative, e vuoi farlo in modo riservato e flessibile. Vantaggi: niente stigma pubblico (finché non chiedi misure protettive), costi minori, intervento di un esperto che può aiutare a trovare un accordo, e possibilità di accedere a incentivi (rateizzazioni lunghe, finanziamenti protetti) . Se la tua impresa ha ancora prospettive di risanamento e creditori ragionevoli, tentare la composizione negoziata prima è spesso consigliabile. Tieni conto però che la negoziazione è volontaria: se i creditori sono troppi o qualcuno è fortemente contrario, potresti non concludere nulla (molte composizioni negoziate infatti si chiudono senza accordo) . Il concordato preventivo invece è necessario quando ti serve la “forza” della procedura per imporre un accordo e congelare subito le azioni dei creditori. Ad esempio, se un gruppo di creditori aggressivi sta già pignorando conti e beni, la composizione negoziata potrebbe non dar loro abbastanza garanzie per fermarsi, mentre col concordato scatta il blocco legale immediato . Inoltre, se sai già che dovrai chiedere ai creditori di subire perdite significative e che molti non saranno d’accordo, il concordato consente di procedere con l’approvazione della maggioranza senza bisogno dell’assenso di tutti . In pratica: prova la composizione negoziata se c’è spazio per una soluzione amichevole, specie nelle fasi iniziali della crisi; se la situazione è precipitata o richiede comunque l’intervento del giudice (perché vuoi tagliare i debiti unilateralmente), allora prepara un concordato. Nota che le due cose non si escludono: puoi iniziare con la composizione negoziata e, se non va, ripiegare sul concordato (c’è anche il concordato semplificato se la negoziazione fallisce e serve liquidare) . In molti casi la composizione negoziata funziona da preludio al concordato: magari riduci il contenzioso con alcuni creditori in sede negoziale e poi fai un concordato per sistemare il resto in modo definitivo.
D.5: Ho debiti con l’erario (IVA, tasse) e l’INPS: è vero che prima il Fisco poteva bloccare i concordati? Come sono trattati questi debiti nelle procedure?
R.5: In passato (sotto la vecchia Legge Fallimentare) il voto contrario dell’Erario o dell’INPS era di fatto un veto: se il Fisco (che spesso aveva credito privilegiato ma non interamente coperto da garanzie) votava no, il concordato non veniva omologato, a meno che offrissi il 100% su IVA e ritenute (c’era divieto di falcidia su IVA/ritenute, salvo transazione fiscale approvata dall’Erario stesso) . Ciò rendeva difficili i concordati con forte esposizione tributaria. Oggi la situazione è cambiata: – Innanzitutto, la legge ora permette di falcidiare anche IVA e ritenute in concordato (e analogamente contributi INPS) , purché naturalmente il trattamento sia più conveniente del fallimento. Si utilizza lo strumento della transazione fiscale, che puoi inserire nel piano proponendo un certo pagamento parziale/dilazionato per quei debiti. – In secondo luogo, se Agenzia Entrate o INPS votano no ma la tua proposta è oggettivamente migliore del fallimento per loro, il tribunale può comunque omologare il concordato (cram-down fiscale) . La Cassazione nel 2024 (sent. 27782/2024) ha sancito questo principio, e la legge di riforma l’ha recepito espressamente . Quindi il Fisco non ha più un potere di veto assoluto. Devi però provare che stai offrendo al Fisco almeno quello che ricaverebbe da una liquidazione (in genere, una percentuale calcolata sul realizzo dei beni su cui ha privilegio). Se sì, il giudice può fregarsene del “no” del Fisco e approvare lo stesso . – Negli accordi di ristrutturazione analogamente: il tribunale può omologare l’accordo anche senza l’adesione formale del Fisco/INPS se la loro mancata adesione è determinante per il quorum e l’accordo è migliore del fallimento per loro (questo era già in vigore dal 2020).
In sintesi, oggi i debiti fiscali e contributivi possono essere trattati come gli altri nelle procedure: puoi proporre uno stralcio, purché dimostri che lo Stato incassa di più di quanto farebbe con il tuo fallimento. Se l’Erario rifiuta pretestuosamente e la maggioranza dei creditori è con te, hai buone chance che il tribunale ti dia ragione omologando comunque . Da notare però: devi sempre presentare il “best interest test” per il Fisco – cioè una perizia o analisi da cui risulta che, ad esempio, pagandogli il 30% stai offrendo di più di quel che otterrebbe liquidando i beni su cui vanta privilegio. Inoltre, il Fisco mantiene diritto di voto e può opporsi: semplicemente il suo no non è più insuperabile se tu hai rispettato quei criteri di convenienza.
D.6: Quali sono le percentuali di voto necessarie perché un concordato venga approvato? E se una classe di creditori vota contro?
R.6: Con la riforma attuale, il sistema di voto nel concordato preventivo è un po’ articolato: – Se non ci sono classi (perché non le hai previste e il tribunale non te le ha imposte), allora serve il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto (oltre il 50%). I crediti privilegiati che non subiscono modifiche non votano; i chirografari e i privilegiati degradati (per la parte che non si copre col bene) votano tutti. Quindi classicamente: >50% in valore di chi vota, e astenuti = dissenso (nel quorum contano come no? In realtà nel calcolo sì, se non raggiungi 50% di sì consideri come se no). – Se hai suddiviso in classi (come avviene quasi sempre nei concordati di un certo rilievo), il vecchio art. 177 L.F. richiedeva doppia maggioranza: maggioranza di crediti in ogni classe e maggioranza assoluta di crediti totali. Ora, il Codice della Crisi distingue: – Concordato “consensuale”: se tutte le classi costituite hanno votato a favore (maggioranza di valore in ciascuna), allora l’approvazione c’è ed è tutto più semplice (il tribunale verifica e omologa salvo opposizioni). – Concordato “non consensuale”: se una o più classi hanno votato contro, il tribunale può comunque omologare il concordato contro il loro volere applicando il meccanismo di cross-class cram down . Condizioni semplificate: almeno una classe di creditori che avrebbe diritto a qualcosa in caso di liquidazione (non una classe completamente fuori dai soldi) deve aver approvato; la proposta deve rispettare i fairness test (nessuna classe inferiore prende più di una superiore dissenziente; nessuna prende più del 100% del proprio credito; i dissenzienti ricevono almeno quanto avrebbero in liquidazione) . Se queste condizioni sono soddisfatte, il voto negativo di alcune classi può essere superato. In pratica, oggi basta il sì di una classe “senior” (ad esempio, i creditori garantiti da pegno/ipoteca, o comunque una classe alta) per poter forzare il no delle classi inferiori.
- In ogni caso serve anche la maggioranza assoluta in valore sul totale? Il CCII ha rimosso la necessità della maggioranza assoluta se vai in cram-down interclassi, perché puoi avere una sola classe favorevole che magari rappresenta meno del 50% dei crediti totali. Quindi la risposta è: non c’è più una percentuale di voto fissa tradizionale se si usa il cram-down. Può bastare anche il 30% di totale crediti, se costituisce una classe e le condizioni di cui sopra sono rispettate.
- Se addirittura nessuna classe approva (tutte contro): allora non c’è spiraglio, il concordato non può essere omologato (ti servirebbe almeno il sì di una classe rilevante).
In parole povere: prima dovevi ottenere >50% di sì e almeno la metà delle classi; ora ti basta convincere una classe “importante” e trattare equamente le altre per far passare il piano . Ciò è stato fatto per facilitare la ristrutturazione anche contro minoranze speculative o disorganizzate. Ad esempio, se gli istituti finanziari (classe A) approvano al 60% e i fornitori (classe B) tutti contrari, ma i fornitori in liquidazione prenderebbero zero e tu in concordato offri loro 10%, il giudice potrebbe comunque omologare perché hai la classe A consenziente e la classe B la tratti meglio del fallimento e non stai violando priorità (fornitori sono giù chirografari, li paghi 10%; banche magari privilegiate prendono percentuale maggiore, ok). È una svolta storica rispetto a prima .
D.7: Durante il concordato posso continuare ad acquistare materiali e pagare i fornitori correnti? I dipendenti continuano a essere pagati?
R.7: Sì, l’azienda in concordato deve proseguire l’attività (specie se è un concordato “in continuità”) e quindi può compiere gli atti di gestione ordinaria, incluso procurarsi materiali e servizi necessari e pagarli regolarmente. Anzi, la legge dice che i crediti sorti dopo l’apertura del concordato (debiti di gestione corrente) sono prededucibili – significa che verranno pagati con priorità assoluta. Questo per fare in modo che i fornitori continuino a lavorare con te durante la procedura, sapendo che saranno soddisfatti prima di tutti gli altri creditori concorsuali. Ovviamente devi potertelo permettere con la cassa generata. Per gli atti di ordinaria amministrazione (pagare forniture ordinarie, stipendi, bollette, incassare crediti) non serve autorizzazione del giudice, il Commissario Giudiziale vigila ma non interviene su ogni dettaglio. Per gli atti straordinari (es. vendere un macchinario importante, fare nuovi mutui) serve autorizzazione del tribunale su parere del Commissario.
I dipendenti in genere vengono pagati regolarmente durante il concordato per le retribuzioni correnti. Le mensilità maturate prima dell’apertura restano sospese e saranno trattate nel piano (spesso i dipendenti hanno privilegio sui loro arretrati fino a un certo importo, e prendono 100% di quelle spettanze nel concordato). Ma gli stipendi correnti vanno pagati (sono prededucibili anch’essi). Se l’azienda non ha liquidità, può attivare strumenti come la Cassa Integrazione (nel concordato in continuità è possibile, in quello liquidatorio di solito si ricorre alla CIGS per cessazione se prevista). La presenza del concordato di per sé non interrompe i rapporti di lavoro: l’azienda continua, salvo il piano stesso preveda riduzioni di personale (in tal caso si segue la procedura di legge: consultazioni sindacali etc., col Commissario a vigilare). In un concordato in continuità è interesse di tutti preservare le risorse umane.
Va menzionato che il tribunale può autorizzarti, con decreto, a pagare anche debiti anteriori se indispensabili per la gestione corrente – tipico caso: un fornitore strategico dice “non ti consegno più materia prima se non mi paghi i 3 mesi arretrati”. Allora tu puoi chiedere al giudice di autorizzare il pagamento di quel debito pre-concordato (in tutto o in parte) perché funzionale a proseguire l’attività . Se il giudice concede, tu paghi quel fornitore in prededuzione (cioè quel pagamento verrà considerato privilegiato) e il fornitore continuerà a fornirti. Questo è permesso per assicurare la continuità. L’importante è che tali pagamenti “in prededuzione” siano poi contemplati nel piano e non alterino la par condicio oltre il necessario.
In conclusione, sì: in concordato la vita aziendale ordinaria prosegue (è sospesa solo la pretesa dei creditori per i debiti passati). Dovrai fare un po’ di contabilità separata: distinguere i debiti sorti prima (concorsuali) da quelli sorti dopo (prededucibili da pagare a vista). Il Commissario e il giudice tengono d’occhio che tu non paghi di nascosto debiti vecchi non autorizzati (sarebbe bancarotta preferenziale). Ma pagare le forniture nuove e i dipendenti è lecito e doveroso, e se non hai soldi il concordato in continuità può anche prevedere un finanziamento ponte o l’intervento di soci per coprire i costi di esercizio.
D.8: La banca mi ha chiesto di firmare una fideiussione personale per i debiti della società. Se la società fa concordato o fallisce, io dovrò comunque pagare?
R.8: La fideiussione è un obbligo personale distinto: se la società non paga integralmente il suo debito, la banca può escutere te come garante, per l’importo residuo non pagato dalla società. Purtroppo, né il concordato preventivo né altre procedure cancellano automaticamente la fideiussione. Nel concordato, il debitore principale (la società) viene liberato dall’obbligazione oltre la percentuale concordataria, ma i creditori conservano il diritto verso i coobbligati e garanti (salvo previsione contraria). Dunque, se la società paga il 30% in concordato, la banca può chiedere a te, fideiussore, il restante 70% .
Ci sono però alcune attenuanti: – In sede di trattativa (accordo o concordato) puoi chiedere che venga inserita una clausola di esonero del fideiussore. Ad esempio, nelle transazioni fiscali è previsto che se il concordato è omologato, il fideiussore per l’IVA o le ritenute non può essere perseguito oltre la percentuale pagata (questa è materia un po’ tecnica ma in alcuni casi gli enti rinunciano pro quota). Nelle trattative bancarie, puoi far parte dell’accordo come terzo e ottenere la liberazione. – Molte fideiussioni bancarie “omnibus” predisposte su schema ABI degli anni 2000 sono state dichiarate parzialmente nulle dalla Banca d’Italia per violazione antitrust e la Cassazione (SS.UU. n. 41994/2021) ha confermato che quelle clausole “a valle di intesa illecita” sono nulle . Quindi, se la tua fideiussione rientra in quello schema standard (spesso lo è se include clausole di reviviscenza, di rinuncia ai termini ex art. 1957 cc, ecc.), potresti opporre tale nullità in caso di escussione, ottenendo di non dover pagare. Ovviamente è una difesa che va valutata caso per caso con un legale, e comporta controversia giudiziaria con la banca. – Se dopo la procedura concorsuale il tuo patrimonio personale non consente di pagare e sei anche tu sovraindebitato, potresti accedere a una procedura di esdebitazione personale (ad esempio liquidazione del patrimonio ex L.3/2012, se sei un piccolo imprenditore). Non è una soluzione lieta, ma esiste la possibilità di liberare anche le persone fisiche garanti tramite procedure dedicate se restano oberate di debiti.
In sintesi: firmare la fideiussione comporta che metti a rischio i tuoi beni personali se la società non paga. Le procedure concorsuali della società non ti proteggono automaticamente (il creditore può scegliere di rivalersi su di te per intero, al netto di quanto prende in procedura) . Quindi, se il tuo obiettivo è difendere il tuo patrimonio, l’ideale è evitare di dare garanzie personali. Se proprio necessario (spesso le banche non lasciano scelta alle PMI), allora in caso di crisi societaria ti converrà coinvolgere la banca nelle trattative e cercare di includere anche la tua posizione: ad esempio offrire alla banca un pagamento migliorativo se libera la fideiussione. Oppure, far sì che in concordato la banca, soddisfatta in una certa percentuale, rinunci a perseguire te per il residuo (questo però richiede il suo consenso esplicito, puoi inserirlo come clausola nel piano ma se la banca vota no, resta valida la fideiussione).
Ricorda anche che, se la banca escute te durante la procedura concorsuale della società, tu subentrerai come creditore surrogato nel concordato per la quota pagata (ma prenderai le stesse percentuali degli altri chirografari, per cui pur pagando 100 al creditore, magari nel concordato recuperi solo 30 come credi ore della società). Insomma, la fideiussione è fonte di rischio aggiuntivo. Va gestita con una strategia specifica, spesso parallela a quella aziendale.
D.9: La mia società è molto piccola (sotto le soglie di fallibilità). Posso comunque utilizzare questi strumenti di ristrutturazione del debito?
R.9: Dipende. Se la tua impresa non supera i parametri per essere soggetta a fallimento (attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k, per le imprese commerciali non società), allora formalmente non può accedere a concordato preventivo né subire liquidazione giudiziale. Tuttavia, la legge prevede per questi soggetti “sovraindebitati” (piccoli imprenditori, imprenditori agricoli, professionisti, consumatori) delle procedure ad hoc, che dal 2012 (L.3/2012) e ora col Codice della Crisi sono: – Il concordato minore (artt. 74-83 CCII), analogo al concordato preventivo ma semplificato e tarato su debitori minori. Richiede l’adesione del 50% dei crediti e l’omologa del giudice . Permette anche di falcidiare crediti tributari e previdenziali entro certi limiti. – L’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, simile agli accordi di ristrutturazione ma per privati o piccole imprese. – Il piano del consumatore (ora ridenominato piano di ristrutturazione per soggetti non fallibili), se il debito è soprattutto personale (non aziendale). – La liquidazione controllata (equivalente del fallimento per sovraindebitati).
In pratica, se sei “sotto soglia” puoi comunque proporre un concordato – solo che si chiama concordato minore. La procedura è simile, solo che la percentuale di approvazione richiesta è leggermente diversa e di solito c’è più flessibilità in certi aspetti. Ad esempio, nel concordato minore non c’è voto per classi, serve il 50% dei crediti totali e, se non lo raggiungi, il giudice può comunque omologare se ritiene la proposta equa e meritevole, senza necessità di quell’esatta maggioranza (questo è un particolare meccanismo di “omologazione forzata” anche qui). E nel recente Decreto Diritti 2023 si è discusso di facilitare ancora di più l’accesso dei piccoli.
Perciò: sì, esistono strumenti anche per i piccoli. Non potrai formalmente fare un 182-bis o un 160 L.F., ma c’è l’equivalente per non fallibili. Ad esempio, un artigiano sovraindebitato può presentare un concordato minore offrendo ai creditori una percentuale e durata: se approvato, lo omologano e lo libera dai debiti residui (con una sorta di esdebitazione integrata). Un caso reale: un artigiano è riuscito a far omologare un piano dove pagava solo il 20% dei suoi debiti, liberandosi dell’80% – ciò è fattibile col piano del consumatore o concordato minore, dove il tribunale valuta anche la meritevolezza.
Nel tuo caso “società di smerigliatrici”, se fosse una S.r.l. micro ma società di capitali, è comunque soggetta a fallimento (le soglie non si applicano a società di capitali – tutte possono fallire, anche con 1 euro di debito teoricamente). Se invece fossi impresa individuale sotto soglia o SNC piccola, userai la legge sovraindebitamento. Il Codice della Crisi ha integrato queste nel sistema, per cui concettualmente sono simili ai concordati, solo calibrati per dimensioni.
D.10: Dopo aver concluso una procedura di concordato o accordo, la mia azienda potrà ottenere nuovi finanziamenti? La reputazione creditizia come viene impattata?
R.10: Diciamo che una volta risanata, la società esce con un bilancio più leggero dai debiti, ma la sua storico creditizio porta i segni della crisi. In Centrale Rischi di Banca d’Italia ci sarà traccia delle sofferenze pregresse (se ce n’erano). Tuttavia, paradossalmente, un’azienda che ha superato un concordato potrebbe essere vista come meno rischiosa di una che sta in silenzio con debiti occulti: almeno ha affrontato e chiuso col passato. Molto dipende da: – La solidità post-procedura: se dal concordato emerge con un patrimonio netto positivo e flussi di cassa adeguati, le banche future guarderanno più a quelli che allo stigma. Alcune banche magari rimarranno prudenti, ma altre (magari nuove banche non coinvolte nella crisi passata) possono dare fiducia su basi oggettive. – Il comportamento durante la crisi: se il debitore ha trattato equamente i creditori e rispettato il piano, questo crea una certa fiducia. Se invece c’è stata conflittualità o stralci pesanti subìti dalle banche, può darsi che alcune non vogliano più rapporti. – Garanzie: spesso per tornare a finanziarsi, l’impresa ex concordato deve offrire garanzie solide (es. pegno su beni, factoring, ecc.) perché il rating sarà inizialmente compromesso. – Tempo: col passare degli anni, le cicatrici si attenuano. Dopo 5 anni, l’annotazione del concordato al Registro Imprese viene cancellata. E se l’impresa mantiene buoni bilanci in quei 5 anni, può riconquistare credibilità.
Inoltre, esistono iniziative pubbliche per aiutare imprese uscite da crisi: ad esempio, Fondi di Garanzia dello Stato che non escludono a priori chi ha fatto concordato (valutano caso per caso).
Attenzione: durante la procedura in corso, ottenere credito aggiuntivo è difficile, ma può succedere con autorizzazione del giudice (finanziamento prededucibile). Finita la procedura, l’azienda è di nuovo “libera” e può contrarre obbligazioni normalmente. Non ci sono restrizioni legali (se non il divieto di partecipare a gare pubbliche per un certo tempo se era concordato liquidatorio, ma con la riforma queste preclusioni sono state mitigate).
Quindi, potrai tornare a chiedere finanziamenti. All’inizio magari solo con strumenti garantiti (es. factoring delle fatture, leasing su beni – dove la garanzia è nel bene, ecc.). Col tempo, ricostruendo la fiducia, anche linee di credito ordinarie.
La reputazione inevitabilmente ha sofferto: fornitori e banche ricorderanno il taglio che hanno preso. È importante, se possibile, comunicare bene il rilancio: far sapere al mercato che la tua azienda ha voltato pagina, che è risanata, magari anche con nuovo assetto societario se c’è stato (spesso dopo un concordato in continuità entrano nuovi soci/investitori, e questo aiuta a dare un segnale positivo). In sintesi: sì, si può finanziare di nuovo, ma serve un periodo di riabilitazione.
Ci sono tanti esempi di aziende famose che dopo un concordato o ristrutturazione si sono rifinanziate e continuano (pensiamo a grandi gruppi come Seat Pagine Gialle, Parmalat post 2005, ecc.). Nel piccolo, dipende molto dalle tue relazioni e dalla dimostrazione che la crisi è stata superata, non solo tamponata.
D.11: Cosa succede ai soci in un concordato? Perdono la proprietà dell’azienda?
R.11: Nel concordato la proprietà (le quote/azioni) resta ai soci originari, a meno che il piano preveda espressamente un intervento diverso. Non c’è una regola automatica di dismissione dei soci come in amministrazione straordinaria. Tuttavia, il piano di concordato può prevedere: – Un aumento di capitale sottoscritto da nuovi investitori (diluzione o perdita per i soci se rinunciano a sottoscrivere la loro parte). – La cessione dell’azienda o di rami a terzi: in tal caso la società incassa un prezzo e poi paga i creditori, e i soci manterrebbero la società legale magari vuota o destinata a liquidazione, oppure la società stessa potrebbe essere liquidata se cede tutto. – Nel concordato liquidatorio puro, di fatto l’obiettivo è vendere tutti i beni. Se si vende anche l’intera azienda, i soci poi avranno una scatola vuota da chiudere. Di per sé, però, nessuno toglie formalmente le partecipazioni ai soci: semplicemente, dopo la liquidazione, la società viene cancellata e le quote non valgono più nulla. – Ci sono concordati dove i soci vengono chiamati a contribuire: ad es. con versamenti di capitale o rinuncia a crediti che vantavano verso la società. Questo è frequente: i soci spesso sacrificano i propri crediti o immettono risorse per migliorare la proposta ai creditori (anche perché se non lo fanno i creditori votano no). Ma i soci restano soci e anzi, se mettono capitale, magari mantengono il controllo.
Per legge, i soci non possono opporsi a decisioni necessarie per eseguire il concordato. Ad esempio, se l’assemblea dei soci rifiutasse di approvare un aumento di capitale essenziale per il piano, il tribunale può forzare l’esecuzione del piano lo stesso e quell’opposizione dei soci è inefficace (art. 120 CCII prevede provvedimenti di attuazione coattiva). In casi estremi, il tribunale può perfino disporre la cessione forzata delle partecipazioni se indispensabile (scenario raro, più tipico delle vecchie amministrazioni straordinarie). Ma nel concordato standard, i soci mantengono la titolarità salvo scelte strategiche diverse.
In molti concordati in continuità, i soci originali rimangono e portano avanti l’azienda risanata. In altri, cedono il passo a nuovi investitori. Dipende se la loro presenza è vista come un valore per il rilancio o se i creditori preferiscono “l’azzeramento” dei vecchi e subentro di nuovi soggetti (spesso banche o fondi convertendo crediti in capitale, ecc.). Legalmente, la proposta di concordato può includere modifiche dello statuto, cambi di governance, ecc. con efficacia dall’omologazione – e l’assemblea dei soci viene bypassata se necessario.
In breve: i soci non vengono espropriati automaticamente in un concordato. Però, se vogliono che il piano passi, di solito devono rinunciare alle pretese sui propri crediti e accettare eventuali riorganizzazioni della compagine. Se la continuità è diretta (stessa società prosegue), i soci di norma restano tali. Se è prevista una continuità indiretta (affitto d’azienda e cessione a una newco di un investitore), allora la società originaria incassa e poi sparisce, e l’attività passa a un’altra società (di cui magari i soci vecchi non fanno parte). Quindi in quel caso i soci “perdono l’azienda” perché venduta, ma ricevono – solo ipoteticamente – l’eventuale residuo attivo dopo pagati i creditori (cosa che in crisi di solito è zero, quindi loro economicamente escono senza nulla).
D.12: Se la mia azienda fallisce, dovrò pagare i debiti restanti come titolare?
R.12: Se la tua azienda è una società di capitali (S.r.l., S.p.A.), no: fallisce la società e i debiti sociali insoddisfatti rimangono a carico della società che però viene estinta. I soci non ne rispondono, salvo abbiano garanzie personali o salvo quei casi di responsabilità per mala gestio, distrazioni, ecc. (ma qui parliamo di obbligazioni ordinarie: il socio di S.r.l. di regola non paga i debiti della società). Quindi, dopo il fallimento, i creditori non possono rivalersi sui beni personali dei soci o degli amministratori per il fatto di essere tali. Possono però farlo in sede di azione risarcitoria se dimostrano che per colpa grave dell’amministratore la massa attiva è stata inferiore al dovuto – ma quella è una causa separata e riguarda il danno, non il debito in sé.
Se sei un imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile (S.n.c., accomandatario S.a.s.), allora il tuo fallimento personale accompagna quello dell’impresa e sì, i creditori possono attaccare il tuo patrimonio personale (casa, ecc.) nel concorso fallimentare. Tuttavia, una volta chiuso il fallimento, puoi chiedere l’esdebitazione: il tribunale ti libera dai debiti residui che non sono stati pagati . Quindi, ad esempio, fallisci come ditta individuale con 100 di debiti, la procedura realizza 30, tu vieni esdebitato degli altri 70 – non potranno più chiederteli. L’esdebitazione oggi è quasi automatica per il debitore persona fisica onesto e cooperativo (non serve aver pagato una % minima, è concessa anche se i creditori hanno preso zero, purché tu non abbia frodato e abbia consegnato tutto il possibile). Dura al massimo un anno di osservazione dopo la chiusura, ma di solito viene concessa subito o in breve.
Quindi: come persona fisica, dopo il fallimento puoi essere liberato dai debiti. Come società, la società cessa e i debiti inesigibili restano “senza soggetto” (di fatto, muoiono con la società). Tu in quanto ex socio o ex amministratore non hai debiti da pagare – a meno di appunto garanzie o condotte illecite.
Va ricordato comunque che in un fallimento il curatore scruterà se hai compiuto atti in frode o prelievi indebiti: se sì, potresti subire azioni di responsabilità e dover risarcire i creditori di quel danno (che è diverso dal debito contrattuale originario, ma economicamente è soldi che potresti dover tirar fuori). E l’esdebitazione non copre eventuali debiti derivanti da sanzioni o risarcimenti per fatti illeciti (art. 282 CCII esclude i debiti per malafede o illeciti extracontrattuali). Quindi se un amministratore viene condannato a risarcire, quel debito verso la massa non è esdebitabile.
In conclusione, se la tua preoccupazione è “dopo il fallimento avrò i creditori alla porta per sempre?”, la risposta è no, il fallimento serve proprio a chiudere la partita: o col pagamento integrale (raramente) o con la resa dei beni e la successiva liberazione del debitore onesto . Lo scopo delle procedure concorsuali moderne è dare al debitore sfortunato ma corretto una seconda chance, una fresh start. Quindi benché fallire sia doloroso, non è più la “morte civile” perpetua: c’è luce in fondo al tunnel con l’esdebitazione (per le persone) e la chiusura senza strascichi (per le società). Naturalmente, restano le possibili misure interdittive: dopo il fallimento l’imprenditore può incorrere in qualche anno di inabilitazione all’esercizio di impresa (se ci sono state irregolarità gravi o bancarotta fraudolenta, c’è interdizione dai pubblici uffici e dal gestire aziende per 10 anni). Ma se parliamo di debiti civili, quelli si cancellano.
D.13: In un concordato preventivo, i creditori privilegiati (banche con ipoteca, ecc.) possono essere pagati meno del 100%?
R.13: Sì, ma solo a certe condizioni. Per legge, un creditore con privilegio o ipoteca ha diritto di essere soddisfatto fino a concorrenza del valore del bene su cui insiste la sua garanzia. Nel concordato, se vendi quel bene, devi destinare a quel creditore l’equivalente del ricavato (detratti costi) in misura proporzionale. Se il ricavato copre tutto il suo credito (o il valore stimato del bene coprirebbe tutto), allora è interamente soddisfatto e formalmente non subisce decurtazione (prenderà 100% magari spalmato nel tempo, a meno che acconsenta volontariamente a ridursi l’importo). Se invece il valore del bene non basta a pagarlo al 100% (si dice che il credito è “in parte chirografario”), la parte eccedente confluisce tra i crediti chirografari e può subire falcidia come gli altri. Ad esempio: banca con ipoteca su capannone, credito €500k, capannone stimato €300k → €300k vengono destinati a quella banca (sperabilmente col ricavato dalla vendita), i restanti €200k diventano chirografari e la banca li prende nella percentuale dei chirografari (es. 20%). Dunque la banca in totale prenderebbe €300k + 20% di €200k = €340k (68%). Questo è lecito ed è la norma in molti concordati.
Se vuoi pagare il creditore privilegiato meno del valore del bene (cioè intaccare la parte coperta da garanzia), devi convincerlo ad accettare oppure devi offrire in qualche modo, a cascata, compensazioni. Nel concordato liquidatorio, se prevedi di soddisfare un ipotecario al 80% ma le stime direbbero che il suo bene copriva 100%, molto probabilmente quel creditore farà opposizione e il tribunale non omologa perché violi la absolute priority rule. Potresti farlo solo se quel creditore espressamente rinuncia a parte del privilegio (cosa rara a meno che tutti i privilegiati concordino per salvare l’azienda). Nelle continuità aziendale, la legge consente qualche elasticità in più: se il piano in continuità produce un “surplus” di valore rispetto alla liquidazione, quel surplus può essere distribuito anche ai chirografari prima di pagare integralmente i privilegiati, ma a condizione che ai privilegiati venga comunque assicurato almeno il valore di liquidazione dei loro beni . Quindi non li puoi scendere sotto quel “floor”.
Ad esempio, può capitare: il valore di liquidazione di un macchinario ipotecato è 100, però tenendolo in azienda e continuando l’attività il piano fa sì che quel macchinario generi flussi per 150. La legge dice: ipotecario prende 100 (suo valore base) e il surplus 50 può andare anche ad altri creditori subordinati (prima questo non era possibile, ora sì con art. 84 co.7 CCII). Ma mai che l’ipotecario prenda meno di 100 in questo scenario, se non è d’accordo.
In sintesi: – Falcidia dei privilegiati sul surplus non garantito: ammessa liberamente (parte chirografaria). – Falcidia sul valore garantito: di regola no, salvo consenso o meccanismi particolari. Nel concordato in continuità c’è qualche flessibilità ma protetta dalla regola che dicevo (se generi più valore puoi ridistribuire, ma devi dargli almeno quanto avrebbe avuto liquidando il pegno). – Con la riforma, la novità è il cram-down fiscale sui privilegiati pubblici: prima si diceva che IVA privilegiata andava pagata al 100% salvo assenso AE, ora puoi proporre falcidia e il tribunale può imporla se Fisco dissenziente ma proposta conveniente . Questo vale anche per i crediti INPS privilegiati.
In conclusione, sì, i privilegiati possono non essere pagati integralmente, a patto che la parte non pagata corrisponda alla porzione di credito non coperta dal valore dei beni su cui hanno prelazione. Non puoi far subire loro perdite ulteriori senza il loro consenso o senza offrire compensazioni equivalenti. Il concordato, insomma, deve rispettare le prelazioni: puoi comprimere i privilegi solo nei limiti in cui sarebbero comunque insoddisfatti anche vendendo i beni. Se cerchi di togliergli di più, il giudice direbbe no perché li pregiudicheresti ingiustamente .
Le risposte fornite mostrano come il punto di vista del debitore debba sempre coniugare l’uso consapevole degli strumenti legali con la salvaguardia della buona fede e della correttezza, per non incorrere in responsabilità aggiuntive. Ogni caso concreto può presentare sfumature diverse: è importante farsi assistere da professionisti esperti in crisi d’impresa per scegliere la strada migliore e negoziare con efficacia con i creditori.
Conclusioni
Affrontare una situazione di sovraindebitamento aziendale è un compito complesso che richiede lucidità, pianificazione e il supporto di consulenti qualificati. Dal percorso che abbiamo tracciato emergono alcuni principi guida per l’imprenditore-debitore: – Tempestività: prima si riconosce la crisi e si interviene, maggiori sono le opzioni disponibili. Agire quando ancora l’azienda ha mezzi e credibilità consente soluzioni negoziate e meno traumatiche. Attendere troppo può far precipitare la situazione in insolvenza irreversibile e ridurre tutto alla liquidazione forzata. – Trasparenza verso i creditori: nascondere la polvere sotto il tappeto raramente funziona. Meglio convocare i principali creditori, esporre la situazione e prospettare un piano ragionevole di rientro o ristrutturazione. Questo spesso evita azioni aggressive e costruisce un clima collaborativo. La normativa stessa premia la trasparenza (si pensi all’obbligo di attestazione della veridicità dei dati nei piani e accordi). – Utilizzo integrato degli strumenti legali: come abbiamo visto, gli strumenti non si escludono a vicenda ma possono essere complementari. Un piano attestato può preludere a un accordo omologato; una composizione negoziata può sfociare in un concordato semplificato; un concordato preventivo può essere usato per blindare un accordo già raggiunto informalmente. È importante avere una strategia flessibile: ad esempio, tentare prima la via stragiudiziale e passare a quella giudiziale se fallisce, oppure presentare un concordato con riserva per guadagnare tempo e intanto negoziare. – Salvaguardia della continuità aziendale (quando possibile): liquidare frettolosamente l’azienda porta spesso a distruggere valore a scapito di tutti. Se esistono anche modeste prospettive di rilancio, conviene esplorare soluzioni in continuità (concordato o accordo con continuità, affitto d’azienda temporaneo, ecc.), magari coinvolgendo nuovi investitori. La continuità preserva il know-how, i posti di lavoro e solitamente consente ai creditori chirografari di ottenere percentuali migliori rispetto alla pura liquidazione . – Rispetto delle regole e cooperazione con le autorità: un debitore che coopera con l’esperto nella composizione negoziata, con il Commissario nel concordato o con il Curatore nel fallimento, evita sanzioni e costruisce la propria “meritevolezza” per eventuali benefici (esdebitazione, esoneri di responsabilità). Al contrario, sottrazioni di beni, falsificazioni o semplici ostruzionismi aggravano la posizione e possono sfociare in conseguenze penali. – Valutazione dei costi-benefici: ogni procedura ha costi diretti (professionisti, tribunale) e indiretti (tempo dei dirigenti assorbito, reputazione). Bisogna valutare se l’attività che si vuole salvare ha prospettive reali tali da giustificare l’impegno. A volte, pur doloroso, è più conveniente optare per una liquidazione ordinata (anche attraverso un fallimento pilotato) invece di accanirsi in ristrutturazioni impossibili che consumano altro denaro e magari lasciano comunque macerie. Questo va ponderato con onestà: i dati oggettivi (DSCR, indici, ecc.) devono guidare la scelta. Gli strumenti come la composizione negoziata aiutano proprio a fare questa diagnosi con l’aiuto di un terzo. – Importanza della comunicazione: durante tutto il processo, comunicare adeguatamente con stakeholder interni (dipendenti) ed esterni (clienti, fornitori non direttamente colpiti) è cruciale. Un dipendente rassicurato circa il futuro dell’azienda lavorerà con impegno anche nei tempi difficili; un cliente informato continuerà a dare fiducia; viceversa, il silenzio o i rumors non gestiti possono far perdere commesse cruciali o far scappare i talenti dall’organizzazione proprio mentre più serve coesione. Pur mantenendo la necessaria riservatezza (specie nelle fasi informali), l’imprenditore dovrà gestire il profilo pubblico della crisi in maniera proattiva.
In Italia l’atteggiamento verso il fallimento e la ristrutturazione sta evolvendo: non è più (o non dovrebbe più essere) un marchio d’infamia, ma visto come parte fisiologica dell’attività d’impresa. Le normative recenti mirano a dare una seconda opportunità all’imprenditore onesto e a preservare il tessuto produttivo anche a fronte di errori o sfortune. Il debitore deve però saperla cogliere con serietà, evitando scorciatoie e affrontando il problema con gli strumenti appropriati.
In definitiva, un’“azienda di smerigliatrici indebitata” può difendersi scegliendo una combinazione di soluzioni: ad esempio, ridefinendo i debiti bancari tramite un accordo omologato, gestendo i debiti fiscali in concordato con transazione e cram-down, mantenendo le forniture essenziali grazie alla composizione negoziata, il tutto sotto la guida di professionisti attestatori e con la supervisione del tribunale per assicurare equità. Ogni passo deve essere accompagnato da adeguata base legale (delibere societarie, pareri, attestazioni) per evitare contestazioni future. Non esistono bacchette magiche, ma con un approccio metodico e informato è possibile ridurre sensibilmente l’impatto della crisi, salvare l’impresa (o le parti sane di essa) e ripartire su basi sostenibili, oppure – se questo non è attuabile – liquidare in modo controllato minimizzando i danni per tutte le parti coinvolte e permettendo al debitore di voltare pagina senza perpetuare il conflitto con i creditori.
Come recita un famoso motto giuridico: “pacta sunt servanda, sed rebus sic stantibus” – i patti vanno rispettati, ma se le circostanze cambiano in modo radicale esistono gli strumenti per adeguarli alla nuova realtà. Questa guida ha illustrato tali strumenti nel contesto del diritto italiano avanzato al 2025. Affrontare i debiti in modo proattivo, informato e collaborativo è la chiave per uscirne: difendersi significa in fondo prendersi cura del destino dell’impresa e di chi vi ruota attorno, pilotandola fuori dalla tempesta con gli strumenti che la legge mette a disposizione del bravo nocchiero.
Fonti e riferimenti normativi
- Codice Civile, artt. 2086, 2325, 2462, 2486 – Doveri organizzativi dell’imprenditore e autonomia patrimoniale delle società ; responsabilità per gestione oltre causa di scioglimento (art. 2486 c.c. novellato) .
- Regio Decreto 267/1942 (Vecchia Legge Fallimentare), artt. 160-186 – Concordato preventivo (previgente); artt. 182-bis, 182-septies – Accordi di ristrutturazione dei debiti (introdotti nel 2005 e 2015) ; art. 67, co.3, lett. d – Piani attestati di risanamento esentati da revocatoria.
- D.Lgs. 14/2019 – Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), come modificato dai correttivi D.Lgs. 147/2020, 83/2022, 136/2024:
- Artt. 12-25-quinquies: Composizione negoziata della crisi e misure premiali .
- Art. 25-sexies: Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (post composizione negoziata) .
- Art. 56: Piano attestato di risanamento e requisiti (definizione di crisi/insolvenza, contenuti obbligatori, attestazione) .
- Artt. 57-64: Accordi di ristrutturazione (ordinari, agevolati al 30% , ad efficacia estesa ) e art. 63: transazione fiscale e cram-down fiscale negli accordi .
- Art. 84-120: Concordato preventivo (continuità e liquidazione). In particolare: art. 84 co.6-8 – regole di trattamento dei creditori privilegiati in continuità ; art. 88 – transazione fiscale nel concordato e condizioni per cram-down fiscale ; art. 112 – omologazione anche senza unanimità delle classi (recepimento direttiva insolvenza) ; art. 112-bis – modifica della proposta e del piano in corso di procedura (introdotto da D.Lgs. 136/2024) .
- Art. 120: esecuzione del concordato e vincolo per soci/terzi (attuazione coattiva del piano omologato).
- Art. 166: Atti esenti da revocatoria fallimentare in procedure negoziate (include atti in esecuzione di piani attestati e accordi omologati) .
- Art. 182: criteri di giudizio di convenienza comparativa (best interest of creditors).
- Art. 208, 209: misure protettive e cautelari nella composizione negoziata.
- Art. 324: esenzione da reati di bancarotta per pagamenti e operazioni autorizzate in concordato o accordi (c.d. esenzione da bancarotta preferenziale) .
- Art. 378: inserimento del comma 3 in art. 2486 c.c. (presunzioni di danno per amministratori tardivi) .
- Decreto-Legge 118/2021, convertito L. 147/2021 – Istituzione della composizione negoziata, disposizioni transitorie sull’allerta, introduzione accordo agevolato 30% e concordato semplificato .
- Cass., Sezioni Unite Civili, 29 gennaio 2024 n. 2607 – Concordato preventivo in continuità: legittimità del cram-down interclassi ante D.Lgs. 136/2024 (pronuncia anticipatoria del recepimento).
- Cass., Sez. I, 28 ottobre 2024 n. 27782 – Concordato preventivo: apertura al cram-down fiscale. Conferma che il tribunale può omologare nonostante il voto contrario dell’Erario se la proposta garantisce al Fisco una utilità maggiore che in caso di fallimento . Rilevanza storica: supera il previgente “favor Fisci” assoluto .
- Cass., Sez. I, 24 dicembre 2024 n. 34372 – Concordato preventivo: disciplina del voto dei crediti contestati e implicazioni procedurali (aspetti tecnici sull’ammissione provvisoria al voto).
- Cass., Sez. Un., 30 dicembre 2021 n. 41994 – Fideiussioni omnibus ABI: nullità parziale per violazione concorrenza (clausole standard invalide) . Conseguenze: il fideiussore può eccepire nullità di clausole “reviviscenza”, “pagamento a prima richiesta” ecc., per evitare l’escussione.
- Cass., Sez. Un., 13 maggio 2020 n. 7877 – Azione di responsabilità vs amministratori per esercizio abusivo oltre soglia scioglimento: natura delle presunzioni di danno ex art. 2486 c.c. (norma sostanziale applicabile retroattivamente) .
- Cass., Sez. I, 23 novembre 2020 n. 26568 – Concordato preventivo: effetti limitati del decreto di ammissione al voto di crediti contestati (competenza del giudice ordinario sul merito post concordato) .
- Cass., Sez. I, 30 giugno 2022 n. 20934 – Transazione fiscale: conferma che l’adesione del Fisco va valutata con buona fede e che il diniego immotivato può essere superato dal giudice (precorrendo i correttivi CCII).
- Tribunale di Napoli, 24 aprile 2024 – Concordato in continuità: applicazione del cram-down interclassi, criteri di fairness e rispetto APR in continuità (prima applicazione pratica, cit. in dottrina) .
- Corte d’Appello di Genova, sent. n. 48/2025 – Revoca di omologa concordato minore per abuso: piano troppo sbilanciato a favore del debitore, ricordando limiti legali (no “regalo” unilaterale ai debitori) .
- Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 – Direttiva Insolvency: principi recepiti (early warning, piani di ristrutturazione, cross-class cram-down) . Consid. 2 ricorda l’obiettivo di salvare imprese sane in difficoltà e massimizzare valore rispetto alla liquidazione .
- Relazione Illustrativa al D.Lgs. 83/2022 – Spiega ratio del cram-down fiscale e interclassi introdotti: esigenza di superare veti ingiustificati del Fisco e facilitare ristrutturazioni .
La tua azienda che produce, importa, distribuisce o ripara smerigliatrici, mole abrasive, smerigliatrici da banco, smerigliatrici angolari, macchine per sbavatura, macchine per finitura e lucidatura, smerigliatrici CNC, abrasivi tecnici, componenti elettrici e meccanici, sta attraversando una fase critica a causa dei debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
La tua azienda che produce, importa, distribuisce o ripara smerigliatrici, mole abrasive, smerigliatrici da banco, smerigliatrici angolari, macchine per sbavatura, macchine per finitura e lucidatura, smerigliatrici CNC, abrasivi tecnici, componenti elettrici e meccanici, sta attraversando una fase critica a causa dei debiti?
Ricevi solleciti, richieste di rientro, blocchi delle forniture, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o addirittura minacce di pignoramento da parte di banche, fornitori, Fisco, INPS o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore delle smerigliatrici è impegnativo: componenti costosi, elettroniche delicate, magazzini ricchi di ricambi, assistenza tecnica continua e clienti che spesso pagano in ritardo. Basta un mese difficile per bloccare la liquidità.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con il metodo giusto.
Perché un’Azienda di Smerigliatrici va in Debito
- aumento dei costi di motori, inverter, elettroniche, abrasivi, cuscinetti e ricambi
- pagamenti lenti da parte di officine, carpenterie e industrie meccaniche
- magazzino immobilizzato tra macchine finite, semilavorati e ricambi
- costi elevati di assistenza, manutenzioni e collaudi
- investimenti continui in aggiornamenti, sicurezza e normative CE
- riduzione o revoca dei fidi bancari
Il vero problema quasi sempre non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se non intervieni subito
- pignoramento del conto corrente
- blocco dei fidi
- sospensione delle forniture tecniche
- atti esecutivi, decreti ingiuntivi, precetti
- sequestro di macchinari, ricambi e attrezzature
- impossibilità di completare ordini, collaudi o assistenze
- perdita di clienti strategici e commesse ricorrenti
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può:
- sospendere pignoramenti già avviati
- bloccare richieste di rientro aggressive
- proteggere conti correnti e liquidità
- fermare le azioni dell’Agenzia Riscossione
Prima si mette in sicurezza l’azienda, poi si agisce sui debiti.
2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti
Molti debiti presentano errori che possono essere corretti:
- interessi non dovuti
- sanzioni sbagliate o gonfiate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori nelle cartelle esattoriali
- commissioni bancarie illegittime
Una parte consistente del debito può essere tagliata o cancellata.
3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile
Strumenti disponibili:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi con fornitori strategici (abrasivi, ricambi, elettriche)
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensione temporanea dei pagamenti
- accesso alle definizioni agevolate
4. Attivare strumenti legali potenti che bloccano TUTTI i creditori
Per le situazioni più complesse è possibile ricorrere a:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di Ristrutturazione
- Concordato Minore
- (in casi estremi) Liquidazione Controllata
Queste procedure permettono all’azienda di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti, sospendendo totalmente ogni azione esecutiva.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda del settore meccanico servono competenze profonde e specifiche.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Il professionista ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende di smerigliatrici e macchine per finitura industriale.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della posizione debitoria
- stop urgente ai pignoramenti
- riduzione significativa dei debiti non dovuti
- ristrutturazione del debito con un piano sostenibile
- protezione di macchinari, semilavorati, ricambi e magazzino
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela completa dell’imprenditore e dell’azienda
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di smerigliatrici non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia rapida, mirata e completamente legale, puoi:
- bloccare subito i creditori,
- ridurre davvero i debiti,
- salvare produzione, consegne e rapporti commerciali,
- proteggere il futuro della tua attività.
Agisci oggi stesso.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
il percorso di salvataggio può iniziare ora.