Se la tua azienda produce, importa o distribuisce profilati metallici, profili in acciaio, alluminio, inox, tubolari, angolari, piatti, UPN, HEA/HEB, profili per carpenteria, serramenti, edilizia e industria, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, devi intervenire subito per evitare fermi nelle forniture e la perdita di clienti strategici.
Nel settore dei profilati metallici, basta un ritardo nelle consegne per bloccare cantieri, fermare carpenterie, paralizzare impianti e generare penali contrattuali pesanti.
Perché le aziende di profilati metallici accumulano debiti
- aumento continuo del costo dell’acciaio, dell’alluminio e dei materiali importati
- rincari di trasporti, energia e lavorazioni meccaniche
- pagamenti lenti da parte di carpenterie, imprese edili, serramentisti e rivenditori
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
- magazzini costosi con molti formati, spessori, leghe e standard
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai volumi di stock
- investimenti elevati in segatrici, piegatrici, lavorazioni CNC e logistica
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista l’intera situazione debitoria
- individuare quali debiti possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro troppo pesanti che drenano liquidità
- chiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
- proteggere rapporti con fornitori di acciaio, leghe e lavorazioni esterne
- utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza bloccare produzione e consegne
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di profili, tubolari, alluminio e materiali essenziali
- impossibilità di rispettare consegne e appalti in corso
- perdita di clienti chiave (carpenterie, imprese edili, industrie)
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina un team nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può aiutarti concretamente a:
- bloccare pignoramenti e atti esecutivi
- ridurre o ristrutturare i debiti utilizzando gli strumenti legali più efficaci
- ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
- proteggere materiali, scorte, impianti e continuità produttiva
- evitare la chiusura e accompagnare la tua azienda verso un vero risanamento
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Introduzione
Le aziende metalmeccaniche specializzate in profilati metallici – ad esempio nella produzione di travi, tubolari, staffe e altri profili in acciaio o alluminio – possono trovarsi gravate da debiti significativi verso banche, fornitori, Fisco e altri creditori. Nel contesto economico attuale, caratterizzato da forti oscillazioni nel costo delle materie prime (acciaio, leghe metalliche) e aumenti dei costi energetici, molte imprese di questo settore affrontano tensioni finanziarie che ne minacciano la continuità operativa. Cosa può fare l’imprenditore o l’amministratore di una azienda di profilati metallici indebitata per difendersi dalle azioni dei creditori e salvare l’impresa? In questa guida esamineremo in dettaglio le strategie difensive e gli strumenti giuridici a disposizione del debitore, aggiornati alla normativa italiana di ottobre 2025, includendo i più recenti interventi legislativi e orientamenti giurisprudenziali. L’approccio sarà dal punto di vista del debitore (imprenditore o legale rappresentante), con un linguaggio tecnico-giuridico ma accessibile, adatto sia a professionisti (avvocati, commercialisti) sia a imprenditori e privati interessati. Faremo riferimento al nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019) e successive modifiche, che hanno introdotto strumenti innovativi per la gestione della crisi .
Obiettivo della guida: fornire un quadro avanzato e completo su come gestire i debiti aziendali verso banche, fornitori e anche enti pubblici (Erario, INPS) o dipendenti, illustrando le possibili soluzioni – dalle trattative stragiudiziali alle procedure concorsuali – per evitare il fallimento (oggi chiamato liquidazione giudiziale) o almeno minimizzarne gli effetti negativi . Saranno incluse le ultime novità normative – come la composizione negoziata della crisi e le riforme del 2022–2024 – nonché sentenze aggiornate che delineano principi chiave. Troverete inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici, e una sezione di domande e risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più frequenti.
Vale la pena sottolineare che agire tempestivamente è spesso la chiave per difendersi con successo: il nuovo quadro normativo incoraggia l’emersione precoce della crisi e premia l’imprenditore che affronta i problemi prima che diventino irreversibili . Aspettare passivamente le mosse dei creditori può portare a pignoramenti, istanze di fallimento e alla perdita di controllo sulla situazione. Al contrario, conoscere i propri diritti e gli strumenti previsti dalla legge consente al debitore di negoziare da una posizione più forte e, in molti casi, salvare l’azienda oppure ridurre drasticamente l’impatto dei debiti. Nelle sezioni che seguono esamineremo dapprima le diverse tipologie di debiti e le relative conseguenze; passeremo poi in rassegna le strategie di difesa – dai piani di rientro informali alle procedure concorsuali (accordi di ristrutturazione, concordato preventivo, ecc.) – per concludere con simulazioni pratiche e risposte ai quesiti frequenti .
Nota: Tutte le informazioni normative e giurisprudenziali citate sono aggiornate a ottobre 2025; in fondo alla guida è presente una sezione con l’elenco delle fonti normative e delle sentenze più autorevoli utilizzate, così che il lettore possa approfondire ulteriormente ogni aspetto in totale trasparenza e attendibilità.
I debiti dell’azienda: tipologie di creditori e implicazioni
Un’azienda può contrarre debiti di diversa natura, e capire a chi si deve cosa è fondamentale per decidere la strategia di difesa. Non tutti i creditori, infatti, hanno gli stessi poteri o la stessa priorità, e la legge riserva trattamenti differenziati a seconda della categoria di credito. Di seguito analizziamo le principali tipologie di debiti che tipicamente gravano su un’azienda di profilati metallici, evidenziando per ciascuna le implicazioni legali e i potenziali rischi.
Debiti verso le banche e istituti finanziari
I debiti bancari includono mutui, finanziamenti, scoperti di conto corrente, leasing o anticipazioni su fatture. Tali crediti sono spesso assistiti da garanzie: ad esempio, la banca può aver iscritto un’ipoteca su immobili aziendali o un pegno su macchinari. In presenza di garanzie reali, la banca assume lo status di creditore privilegiato o garantito, e in caso di insolvenza ha diritto di prelazione sul ricavato dei beni dati in garanzia. Un elemento cruciale in questo ambito è il cosiddetto privilegio processuale del credito fondiario previsto dall’art. 41 del Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993): esso attribuisce alle banche titolari di ipoteca fondiaria un peculiare vantaggio processuale, ossia la facoltà di iniziare o proseguire l’esecuzione forzata sull’immobile ipotecato anche se l’azienda entra in procedura concorsuale . La Corte di Cassazione ha confermato con sentenza n. 22914/2024 che questo privilegio opera tanto nella liquidazione giudiziale (il “nuovo fallimento”) quanto nella liquidazione controllata prevista per i debitori minori . In pratica, il vincolo ipotecario consente alla banca di agire sul bene dato in garanzia senza doversi fermare per la procedura concorsuale, rendendo la posizione della banca molto forte rispetto ad altri creditori. Ciò significa, ad esempio, che se la vostra società di profilati metallici presenta un concordato preventivo o viene dichiarata insolvente, la banca con ipoteca su un capannone o terreno può comunque proseguire la sua esecuzione su quel bene, nonostante il “freeze” generale delle azioni esecutive.
Oltre alle garanzie reali, spesso i finanziamenti bancari sono assistiti da fideiussioni personali degli imprenditori o da garanzie fornite da soci/terzi. Ciò significa che, se l’azienda non paga, la banca può agire direttamente anche contro i garanti (es. l’imprenditore titolare o i soci che hanno garantito), aggredendo il patrimonio personale di questi ultimi . È evidente quindi che i debiti bancari, se non gestiti, possono rapidamente tradursi in azioni legali aggressive: una banca insoddisfatta può revocare gli affidamenti e gli scoperti di conto, dichiarare la decadenza dal beneficio del termine (richiedendo la restituzione immediata di tutto il capitale residuo) e attivare procedure giudiziali (ottenere un decreto ingiuntivo e procedere al pignoramento di beni aziendali o crediti verso terzi) .
Implicazioni: La presenza di ingenti debiti bancari richiede un’attenzione prioritaria. Le banche dispongono di risorse e consulenti legali per muoversi con tempestività e decisione. Tuttavia, va ricordato che in presenza di una procedura di composizione della crisi o concorsuale le banche subiscono alcune limitazioni: ad esempio, durante una procedura di composizione negoziata della crisi o un concordato preventivo, la banca non può liberamente revocare i fidi o compensare i saldi di conto senza autorizzazione, come vedremo (esistono misure protettive che congelano lo status quo). Anche l’esercizio di garanzie come il pegno o l’escussione di fideiussioni può essere influenzato dai provvedimenti del tribunale durante queste procedure. In generale, con i debiti bancari è spesso necessario negoziare rapidamente una soluzione (ad esempio un accordo di ristrutturazione o una moratoria) prima che la banca chiuda i rubinetti e avvii il recupero forzoso, che può portare al collasso della liquidità aziendale.
Nota: In alcuni casi l’azienda potrebbe valutare di contestare il debito bancario su basi tecnico-legali, ad esempio facendo verificare da un esperto se il tasso d’interesse applicato ha superato i limiti di usura o se vi sono stati addebiti anatocistici illegittimi. Sentenze negli ultimi anni hanno talora riconosciuto alle imprese la riduzione del debito verso la banca in presenza di interessi ultra-legali non dovuti. Questo tipo di difesa va però affrontato con perizie specifiche e spesso in sede giudiziale, e va ponderato caso per caso.
Debiti verso fornitori (debiti commerciali)
I debiti commerciali verso fornitori derivano da acquisti di materie prime, semilavorati, servizi o altri beni utilizzati dall’azienda. In un’azienda di profilati metallici, fornitori chiave potrebbero essere le acciaierie (per barre e lamiere), i distributori di metalli, aziende di zincatura o trattamenti superficiali, trasportatori, fornitori di energia, etc. Questi creditori in genere non godono di garanzie reali (salvo eventuali riserve di proprietà su beni forniti, se pattuite) né di cause di prelazione particolari, per cui sono classificati come creditori chirografari (non privilegiati). Tuttavia, il loro comportamento può incidere molto sull’operatività aziendale: se i fornitori smettono di consegnare materiale per via dei pagamenti arretrati, la produzione si blocca e la crisi si aggrava in un circolo vizioso.
Dal punto di vista giuridico, i fornitori non hanno poteri speciali come le banche, ma possono presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) se il debito è rilevante e vi è insolvenza conclamata . Spesso la minaccia dell’azione concorsuale viene usata come leva per ottenere un pagamento: un singolo fornitore strategico, con un credito magari significativo, potrebbe depositare un ricorso per liquidazione giudiziale al tribunale per indurre l’azienda debitrice a saldare (va ricordato che attualmente la legge richiede un importo minimo di debito e altre condizioni per aprire la procedura; ad esempio, per i creditori pubblici come il Fisco serve un debito minimo di 50.000 € e la preventiva notifica di solleciti, mentre per creditori privati in generale occorre dimostrare lo stato di insolvenza, non c’è una soglia fissa di legge) . In ogni caso, il solo atto di citare l’azienda in tribunale per insolvenza può provocare un danno reputazionale grave e accelerare la crisi (clienti e altri fornitori potrebbero venirne a conoscenza e perdere fiducia).
Implicazioni: Nella strategia difensiva, i debiti verso fornitori vanno mappati distinguendo quelli critici (il cui venir meno bloccherebbe l’attività produttiva) da quelli più “sacrificabili”. Spesso occorre negoziare accordi individuali con alcuni fornitori essenziali – ad esempio promettendo pagamenti parziali immediati (a pronta cassa) per ottenere la continuazione delle consegne – mentre con altri creditori commerciali meno vitali si può tentare un differimento più lungo. Bisogna però fare attenzione a non favorire indebitamente un fornitore a scapito di altri: pagare solo alcuni creditori “amici” lasciando indietro tutti gli altri, se poi si arriva al fallimento, può configurare atti contestabili (azioni revocatorie fallimentari per pagamenti preferenziali o addirittura reati di bancarotta preferenziale) . Pertanto qualunque accordo parziale andrebbe inserito in un contesto di risanamento globale o comunque giustificato da esigenze di continuità aziendale (pagare chi serve per andare avanti). In definitiva, i debiti commerciali richiedono un delicato equilibrio tra esigenze operative e rispetto della par condicio creditorum. A livello normativo, infatti, vige il principio per cui i creditori dello stesso grado vanno trattati in modo paritario, salvo le eccezioni concordate in un piano o autorizzate dalla legge . Quindi, pagamenti preferenziali fatti quando l’impresa è già insolvente possono essere annullati successivamente dal curatore fallimentare (azione revocatoria) . Anche su questo fronte la tempestività è fondamentale: meglio cercare soluzioni condivise con tutti o con la maggioranza dei fornitori, magari all’interno di un piano, piuttosto che pagare qualcuno oggi rischiando di esporre l’azienda e gli amministratori a contestazioni domani.
Debiti verso il Fisco (Erario)
Un capitolo fondamentale riguarda i debiti verso il Fisco, ossia nei confronti dell’Erario (Agenzia delle Entrate per la fase di accertamento e Agenzia Entrate-Riscossione per la riscossione coattiva) . Le posizioni debitorie fiscali per una società includono imposte non versate – ad esempio IVA, IRES (imposta sul reddito delle società), IRAP (imposta regionale sulle attività produttive) – nonché ritenute fiscali operate sulle retribuzioni dei dipendenti o sui compensi a collaboratori e professionisti ma non versate al fisco. A queste si aggiungono eventuali debiti per tasse locali (IMU su immobili, TARI, etc.) e le sanzioni o interessi dovuti per i ritardi nei pagamenti .
Questi crediti pubblici godono di un trattamento privilegiato sia in fase esecutiva individuale, sia in caso di concorso tra creditori. In primo luogo, quando il debitore non paga volontariamente, l’Agenzia Entrate-Riscossione (AER) (ex Equitalia) può iscrivere a ruolo le somme dovute ed emettere le cartelle esattoriali (o “avvisi di pagamento” nel caso di contributi INPS) senza dover ricorrere al giudice, rendendo il debito immediatamente esecutivo trascorsi 60 giorni dalla notifica. Se la cartella non è pagata entro 60 giorni, si attivano le procedure esecutive amministrative: l’Agente della Riscossione può ad esempio disporre il fermo amministrativo sui veicoli aziendali, l’ipoteca sui beni immobili di proprietà della società (è sufficiente un debito iscritto a ruolo di 20.000 € per ipotecare un immobile) e infine il pignoramento dei conti correnti o di altri beni mobili registrati. Tali azioni di riscossione non richiedono un previo titolo giudiziale (sentenza o decreto): l’ente di riscossione agisce in via amministrativa in virtù della cartella/avviso non pagato.
Inoltre, il perdurare di debiti fiscali o contributivi genera conseguenze indirette: ad esempio, un’azienda con contributi INPS non pagati perde il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva), e senza DURC non può partecipare ad appalti pubblici e rischia di vedersi sospendere pagamenti in lavori in corso (specie nell’edilizia o nei contratti con la Pubblica Amministrazione) . Analogamente, debiti IVA significativi e non regolarizzati possono impedire il rilascio del certificato di regolarità fiscale, necessario in molti casi (ad es. per ottenere finanziamenti pubblici o partecipare a gare).
Dal punto di vista concorsuale, i crediti dello Stato sono in parte privilegiati: l’ordinamento riserva ai crediti per IVA e ritenute non versate un privilegio generale mobiliare sui beni mobili del debitore (ex art. 2752 c.c., entro certi limiti di annualità), e ai contributi INPS un privilegio di pari grado (art. 2753 c.c.) . Ciò significa che, in caso di procedura liquidatoria, Erario e INPS verranno soddisfatti prima dei creditori chirografari (sebbene dopo eventuali crediti con privilegio speciale o di grado superiore, come ad esempio gli stipendi dei dipendenti che hanno privilegio di prim’ordine ex art. 2751-bis c.c.). Invece, le sanzioni tributarie e le sanzioni civili per omesso versamento di contributi non godono di privilegio e sono trattate come crediti chirografari: questo comporta che in un concordato preventivo tali sanzioni possono essere falcidiate (ridotte o non pagate integralmente) più liberamente, mentre imposte e contributi per legge possono essere ridotti solo nei limiti e con le forme previste (vedremo in tema di transazione fiscale).
Va evidenziato che l’accumulo di debiti verso il Fisco espone gli amministratori a possibili responsabilità personali e penali. In particolare, il nostro ordinamento punisce con sanzioni penali alcune omissioni di versamento quando superano determinate soglie:
- Omesso versamento di ritenute certificate (es. ritenute IRPEF sui salari): se la società ha trattenuto dalle buste paga dei dipendenti le ritenute fiscali e non le versa all’Erario per un importo superiore alla soglia di 150.000 € annui, ciò costituisce reato tributario (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000) . Analogamente, non versare le ritenute previdenziali operate (quote INPS trattenute al dipendente) oltre circa €10.000 annui costituisce reato ai sensi dell’art. 2, co. 1-bis, D.L. 463/1983 . (Nota: la parte di contributi a carico del datore di lavoro – quota “datoriale” – è invece depenalizzata e punita solo con sanzione amministrativa).
- Omesso versamento IVA oltre la soglia di 250.000 € per ciascun periodo d’imposta costituisce reato (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000) punibile con la reclusione .
Superare queste soglie in un anno fiscale significa che l’amministratore potrà essere chiamato a risponderne penalmente in qualità di legale rappresentante della società . Occorre precisare che la legge prevede una causa di non punibilità se il debitore provvede a pagare integralmente il dovuto (imposta/contributo, interessi e sanzioni amministrative) prima della dichiarazione dei redditi dell’anno successivo: in tal caso scatta il ravvedimento operoso speciale ex art. 13 D.Lgs. 74/2000, che evita la sanzione penale . Ad esempio, se una S.r.l. non ha versato l’IVA 2024 per 300.000 €, ha tempo fino al termine di presentazione della dichiarazione IVA 2025 per mettersi in regola ed evitare il processo penale . Tuttavia, in situazioni di crisi, reperire tali risorse è spesso impossibile, e non di rado gli amministratori si trovano esposti al rischio penale. Più avanti, quando tratteremo le soluzioni concorsuali, vedremo che la legge offre comunque ulteriori “via d’uscita” sul piano penale: ad esempio, se l’amministratore riesce a far omologare ed eseguire un concordato preventivo in cui paga almeno il 10% dell’IVA dovuta e il 30% delle ritenute non versate (condizioni introdotte per i concordati dal correttivo 2022), il reato di omesso versamento IVA viene dichiarato estinto . Ciò rappresenta un incentivo al risanamento: la completa esecuzione di un concordato con un minimo pagamento parziale delle imposte dovute può evitare la condanna penale per quei reati tributari .
In sintesi, i debiti fiscali comportano non solo azioni esecutive veloci e privilegi di legge, ma anche possibili conseguenze penali per gli amministratori. Dunque vanno affrontati con la massima serietà, valutando strumenti come la rateizzazione o le procedure concorsuali per gestirli.
Di seguito una tabella riepilogativa per i debiti fiscali verso l’Erario, con caratteristiche e possibili soluzioni:
Tabella riepilogativa – Debiti fiscali verso Erario (Agenzia Entrate e Riscossione) e gestione
| Aspetto | Descrizione |
|---|---|
| Creditori coinvolti | Stato (Erario) tramite Agenzia delle Entrate (accertamento) e Agenzia Entrate-Riscossione (riscossione coattiva). Include debiti per IVA, IRES, IRAP, ritenute, altre imposte dirette e indirette, oltre a eventuali tasse locali iscritte a ruolo . |
| Ranghi e garanzie | Privilegio generale mobiliare su beni mobili per taluni tributi (IVA, ritenute) ex artt. 2752–2753 c.c. (entro determinati limiti temporali); possibilità di iscrivere ipoteca su immobili aziendali se il debito a ruolo ≥ €20.000 . Interessi di mora e sanzioni sono crediti chirografari (nessun privilegio). |
| Conseguenze del mancato pagamento | Notifica di cartella esattoriale (o avviso di addebito per INPS); decorso 60 giorni scatta l’esecuzione forzata amministrativa: fermi amministrativi su veicoli, ipoteche su immobili, pignoramenti su conti correnti . Aumento del debito per interessi e sanzioni; impossibilità di ottenere certificati di regolarità fiscale; perdita di benefici (es. DURC regolare, se coinvolge contributi) . Superamento di soglie di legge per IVA/ritenute configura reati tributari (omesso versamento) con possibili sanzioni penali . |
| Strumenti di soluzione | Rateizzazioni amministrative (fino a 72–120 rate se approvate; condizioni più stringenti per debiti > €60.000 e > €120.000, art. 19 D.P.R. 602/1973) ; rottamazione delle cartelle (quando prevista dal legislatore) con abbattimento di sanzioni/interessi; in sede concorsuale: transazione fiscale (accordo col Fisco dentro concordato o accordo di ristrutturazione) per ridurre e/o dilazionare imposte, sanzioni e interessi; attivazione di procedure concorsuali o di composizione negoziata per congelare le azioni esecutive (automatic stay) e trattare i debiti erariali secondo un piano sostenibile . |
(Nella sezione sulle procedure concorsuali approfondiremo la transazione fiscale e le possibilità di stralciare/rateizzare i tributi in un piano omologato.)
Debiti verso enti previdenziali (INPS, INAIL)
Parallelamente ai tributi, un’impresa può accumulare debiti verso gli enti previdenziali e assistenziali, in primis l’INPS (contributi pensionistici obbligatori per i lavoratori dipendenti, per il titolare se artigiano o commerciante, e contributi della gestione separata per collaboratori) e l’INAIL (premi assicurativi obbligatori contro gli infortuni sul lavoro) . Si tratta di somme dovute per legge, la cui omissione incide direttamente sui diritti dei lavoratori e sulla legalità dell’attività aziendale: la regolarità contributiva, attestata dal DURC, è infatti requisito essenziale per operare in molti settori.
I debiti previdenziali godono anch’essi di privilegi nelle procedure concorsuali (come visto, privilegio generale ex art. 2753 c.c. per i contributi dovuti ai lavoratori, di grado equivalente ai tributi erariali) . Inoltre, i contributi maturati dopo l’apertura di una procedura concorsuale in continuità aziendale sono considerati prededucibili (da soddisfare prima degli altri crediti): ad esempio, le retribuzioni e i contributi correnti durante un concordato preventivo in continuità vanno pagati regolarmente, e se il concordato prosegue diventano debiti prededucibili, ossia con precedenza assoluta nel pagamento . Le sanzioni civili INPS per tardato o mancato versamento, invece, in caso di procedura vengono degradate a chirografarie (spesso, di fatto, non vengono recuperate integralmente) .
Se l’azienda non versa i contributi dovuti, l’INPS procede in modo analogo al Fisco: emette un avviso di addebito che ha già efficacia di titolo esecutivo (notificato via PEC), trascorsi i termini passa all’esecuzione coattiva tramite l’Agente della Riscossione (AER). Le azioni possibili sono le stesse: pignoramenti, fermi, ipoteche . L’impatto concreto di un debito contributivo però si vede anche sulla gestione quotidiana: come accennato, scatta l’irregolarità del DURC, impedendo all’azienda di partecipare a gare pubbliche e potenzialmente causando la sospensione di pagamenti in corso in appalti. Anche molti committenti privati (specie nell’edilizia o nei settori regolamentati) esigono un DURC regolare: accumulare debiti INPS/INAIL può quindi bloccare operativamente l’impresa, a prescindere dalle azioni legali.
Sul fronte penale, abbiamo già ricordato la distinzione: l’omesso versamento delle quote trattenute al lavoratore configura appropriazione indebita di contributi oltre soglie modeste (~€10.000 annui) ed è perseguibile penalmente, mentre la parte a carico dell’azienda è soggetta solo a sanzione amministrativa . Anche in questo caso, il legislatore ha previsto la non punibilità se l’azienda paga tutto il dovuto prima del dibattimento (analoga alla causa di non punibilità per l’IVA): ciò incoraggia la regolarizzazione spontanea .
Un ulteriore aspetto introdotto dal Codice della crisi è il sistema di allerta: l’INPS rientra tra i c.d. “creditori pubblici qualificati” ai fini delle segnalazioni di allerta (obbligo di segnalazione dello stato di crisi). In pratica, se i contributi non versati superano determinate soglie e restano insoluti per oltre 3 mesi, l’ente invia una segnalazione formale invitando l’azienda a rivolgersi all’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o a intraprendere iniziative per il risanamento . All’ottobre 2025, tali soglie esterne di allerta – più volte modificate e posticipate – prevedono, ad esempio, che un’azienda con dipendenti venga segnalata da INPS se ha oltre €15.000 di contributi arretrati (per aziende senza dipendenti la soglia è più bassa, ~5.000 €) e dall’Agenzia Entrate se ha IVA non versata oltre €5.000 . Queste segnalazioni non sono di per sé azioni esecutive, ma mettono ufficialmente l’imprenditore sull’avviso che si trova in situazione di crisi e lo “spingono” ad attivare strumenti come la composizione negoziata (di cui diremo). Ignorare tali richiami potrebbe in futuro penalizzare l’imprenditore (ad esempio, in sede di valutazione di una successiva richiesta di esdebitazione, potrebbe rilevare la condotta non collaborativa).
Implicazioni: I debiti verso enti previdenziali, al pari di quelli fiscali, richiedono un piano di rientro credibile. Una delle prime mosse difensive dovrebbe essere verificare la possibilità di chiedere una rateazione all’INPS per i debiti contributivi (lo strumento è simile a quello fiscale, con piani fino a 6 anni in casi ordinari), perché un DURC irregolare paralizza l’operatività. In mancanza di accordi amministrativi, diventa cruciale includere i contributi nelle strategie concorsuali (transazione fiscale/contributiva nel concordato o accordo di ristrutturazione) per ridurre e diluire anche questi debiti, salvaguardando i diritti dei lavoratori in maniera equilibrata. È anche importante evitare comportamenti che possano aggravare la posizione penale: ad esempio, continuare a trattenere i contributi dalle buste paga sapendo di non poterli versare può configurare reato; meglio valutare strumenti come la cassa integrazione o la riduzione del personale per non accumulare ulteriori contributi non pagati.
Debiti verso i dipendenti (retribuzioni e TFR)
Un altro tipo di debito critico riguarda gli arretrati verso il personale: stipendi non pagati, tredicesime non corrisposte, indennità di ferie non godute, e il TFR (Trattamento di Fine Rapporto) maturato dai dipendenti al termine del rapporto di lavoro. In un’azienda manifatturiera di profilati metallici, i costi del personale (operai specializzati per macchine di taglio e profilatura, saldatori, tecnici) sono spesso rilevanti. Se l’impresa attraversa difficoltà di liquidità, può ritardare il pagamento delle retribuzioni; tuttavia, ciò apre fronti di rischio importanti. I lavoratori dipendenti godono infatti della protezione massima in caso di insolvenza: i crediti di lavoro (stipendi degli ultimi mesi, TFR, indennità) sono assistiti da privilegio generale mobiliare di primo grado ex art. 2751-bis c.c., e persino da privilegio speciale sugli eventuali beni prodotti dal loro lavoro. Inoltre, in caso di fallimento, gli stessi lavoratori possono accedere al Fondo di garanzia INPS che anticipa il TFR e le ultime mensilità impagate, sostituendosi in parte al datore insolvente – il che però non solleva l’impresa dal debito, che viene surrogato dall’INPS (diventando credito INPS privilegiato).
Se gli stipendi non vengono pagati, i dipendenti (individualmente o tramite i sindacati) possono agire in giudizio ottenendo decreti ingiuntivi e pignoramenti abbastanza rapidi, oppure possono presentare istanza di fallimento come creditori (anche se la prassi vede più spesso l’intervento del Pubblico Ministero in caso di gravi violazioni retributive, per sollecitare una verifica giudiziaria dello stato d’insolvenza). Inoltre, il mancato pagamento sistematico delle retribuzioni costituisce una grave inadempienza contrattuale: il lavoratore può dare le dimissioni per giusta causa (con diritto all’indennità sostitutiva del preavviso a carico del datore) e richiedere anche il risarcimento di eventuali danni.
Implicazioni: I debiti verso i dipendenti hanno priorità assoluta e un impatto sociale rilevante. Dal punto di vista del debitore, sono tra i più difficili da “falcidiare”: nelle procedure concorsuali i crediti da lavoro per salari e TFR sono solitamente pagati integralmente (almeno entro i massimali di privilegio). Solo le parti eccedenti (ad esempio TFR maturato oltre il limite privilegiato) possono eventualmente subire riduzioni, ma spesso vi sono limiti anche su questo (la legge fallimentare prevedeva che almeno il 20% dei crediti chirografari fosse garantito nel concordato liquidatorio, e sebbene il nuovo Codice della crisi non riproduca espressamente quella percentuale, in pratica i crediti di lavoro difficilmente vengono compromessi nei piani, anche per ragioni di equità e di approvazione da parte del tribunale). Dunque, è nell’interesse dell’imprenditore mettere in sicurezza i lavoratori essenziali: possibilmente pagando loro gli arretrati appena si trova liquidità o comunque assicurando il pagamento delle retribuzioni correnti se si vuole mantenere la continuità aziendale. Gli strumenti normativi aiutano: ad esempio, in una composizione negoziata o un concordato preventivo in continuità, il tribunale può autorizzare il pagamento dei salari arretrati in prededuzione (cioè come spese da soddisfare subito, fuori dalla moratoria) se ciò è necessario per evitare l’abbandono dei dipendenti chiave.
Da notare che se l’impresa poi dovesse fallire (liquidazione giudiziale), i lavoratori potranno recuperare gran parte dei loro crediti tramite il Fondo INPS come accennato – ma questo fondo poi si rivarrà sull’attivo dell’azienda come creditore privilegiato. L’imprenditore potrebbe essere chiamato a rispondere personalmente solo in casi di irregolarità particolari (ad esempio se risultassero pagati compensi ad amministratori o soci lasciando insoluti i dipendenti, il curatore potrebbe agire in responsabilità). Sul piano penale, il mancato pagamento dello stipendio in sé non è specificamente sanzionato penalmente (a differenza delle ritenute non versate, di cui si è detto), ma se il comportamento è particolarmente grave potrebbe configurare l’ipotesi di estorsione contrattuale (art. 603-bis c.p.) in situazioni di sfruttamento lavorativo, ipotesi rara nel contesto industriale “ordinario” ma da tenere a mente.
In sintesi: i debiti verso il personale vanno trattati con la massima priorità. Una strategia di risanamento credibile deve prevedere il pagamento dei dipendenti almeno entro i limiti privilegiati. In uno scenario di concordato, ai crediti da lavoro spetta il pagamento integrale prima di altri; in uno scenario extra-giudiziale, l’imprenditore farà bene a tutelare il capitale umano dell’azienda, mantenendo la fiducia dei dipendenti (anche perché la fuga di personale qualificato – es. operatori di macchinari CNC – può compromettere definitivamente le capacità produttive di un’azienda di profilati).
Strategie di difesa e soluzioni alla crisi debitoria dell’azienda
Passiamo ora al cuore della guida: quali soluzioni ha a disposizione un’azienda di profilati metallici (o qualsiasi impresa in difficoltà finanziaria) per far fronte ai debiti e scongiurare la perdita del business? Le strategie si articolano su più livelli, da quelle informali e stragiudiziali fino agli strumenti concorsuali previsti dalla legge. L’obiettivo è scegliere lo strumento giusto al momento giusto, calibrando l’intervento in base alla gravità della situazione.
In generale, possiamo distinguere tre fasi di approccio:
- Interventi stragiudiziali (informali): negoziazioni private con i creditori, piani di rientro volontari, accordi amichevoli.
- Strumenti di allerta e composizione assistita della crisi: procedure come la composizione negoziata che aiutano a trovare un accordo con i creditori sotto l’egida di un esperto, prima di dover ricorrere a tribunali.
- Procedure concorsuali giudiziali: soluzioni formalizzate davanti al tribunale, come gli accordi di ristrutturazione omologati o il concordato preventivo, che offrono protezione legale e possono imporre ai creditori dissenzienti le condizioni approvate.
Esamineremo di seguito ciascuna categoria, con i relativi pro e contro, e come applicarle efficacemente. È bene notare che queste strategie non si escludono a vicenda ma spesso si concatenano: ad esempio, si può iniziare con trattative informali, poi attivare la composizione negoziata, e infine – se serve – approdare a un concordato. L’importante è pianificare e non improvvisare: muoversi senza strategia può peggiorare la crisi (ad esempio, fare accordi bilaterali con qualche creditore e trascurarne altri potrebbe spingere questi ultimi ad azioni aggressive).
Negoziazione stragiudiziale e piani di rientro informali
Il primo livello di difesa consiste nel tentare di trovare soluzioni negoziali direttamente con i creditori, senza coinvolgere (almeno inizialmente) l’autorità giudiziaria. Questo approccio ha il vantaggio della riservatezza (non diventa di pubblico dominio che l’azienda è in crisi) e della flessibilità (si può concordare qualsiasi piano di pagamento che le parti ritengono accettabile). Tuttavia, presenta anche limiti importanti: gli accordi stragiudiziali vincolano solo i creditori che vi aderiscono volontariamente e non offrono protezione formale contro azioni esecutive di eventuali creditori estranei o dissenzienti.
Tra gli strumenti informali abbiamo:
- Moratorie e dilazioni bilaterali: l’azienda chiede al singolo creditore più tempo per pagare, magari concordando un piano rateale. Molte banche, ad esempio, concedono piani di rientro su scoperti di conto o su rate scadute di mutuo (a volte formalizzati con atti di ricognizione di debito). Anche i fornitori possono accettare pagamenti dilazionati su fatture scadute, soprattutto se intravedono la possibilità di conservare il rapporto commerciale. È fondamentale formalizzare per iscritto tali accordi, indicando le nuove scadenze ed eventualmente rinunce del creditore (es. rinuncia ad interessi di mora o a iniziative legali fintanto che il debitore rispetta il piano). Un accordo ben scritto può guadagnare tempo prezioso.
- Accordi transattivi a saldo e stralcio: in alcuni casi si può negoziare una riduzione dell’importo dovuto (“stralcio”) se il creditore teme di non recuperare nulla in caso di fallimento. Ad esempio, un fornitore potrebbe accettare il 50% del suo credito subito, rinunciando al resto, pur di evitare di perdere tutto. Questi accordi devono essere valutati attentamente (hanno implicazioni fiscali, perché la parte di debito che il creditore abbuona può costituire sopravvenienza attiva tassabile, salvo si rientri in procedure concorsuali esimenti ) e possono essere successivamente sindacati dal tribunale se l’azienda poi fallisce in breve tempo (il curatore potrebbe considerare lo stralcio un “atto anomalo”, ma in genere le transazioni con un vantaggio per l’azienda in crisi sono difendibili se fatte in buona fede).
- Consolidamento del debito bancario: l’impresa può rivolgersi alle banche esponendo la situazione di crisi e cercando di rinegoziare le condizioni: ad esempio trasformare gli affidamenti a breve termine (scoperti, fidi autoliquidanti) in finanziamenti a medio termine, unificando varie esposizioni in un unico mutuo più sostenibile. Le banche potrebbero richiedere garanzie aggiuntive o intervento dei soci (ad esempio con finanziamenti soci postergati) per accettare. Nel 2020–2021 sono state introdotte moratorie di legge per i finanziamenti bancari causa pandemia, ma al 2025 non vi sono moratorie generali attive: si può solo negoziare caso per caso. Un supporto può venire dai consorzi di garanzia fidi (Confidi) o da garanzie statali come il Fondo PMI, che se attivate possono convincere la banca a ristrutturare il debito invece di agire.
- Nuova finanza dai soci o investitori: una via spesso necessaria è l’immissione di liquidità fresca nell’azienda, per pagare i debiti più urgenti. I soci esistenti possono apportare capitale (magari come finanziamento soci postergato, cioè che verrà rimborsato solo dopo aver soddisfatto gli altri creditori) o l’azienda può cercare un investitore esterno disposto a rilevare una quota societaria in cambio di liquidità per il risanamento. Questo può risolvere la crisi solo se il buco non è troppo grande e se vi è fiducia nel rilancio. Dal punto di vista giuridico, nuovi apporti di denaro in fase di crisi possono essere protetti dalla prededuzione se inseriti correttamente in un piano attestato o concordato (ne parleremo): ciò incentiva terzi a finanziare l’impresa in crisi sapendo di avere un privilegio sul rimborso .
Limiti degli accordi stragiudiziali: come anticipato, restano volontari. Se l’impresa ha pochi creditori e riesce a coinvolgerli tutti, una ristrutturazione informale può funzionare. Ma se anche uno solo non collabora, potrebbe iniziare un pignoramento e far saltare l’equilibrio. Inoltre, manca un ombrello legale: i termini concordati non impediscono ad un creditore, formalmente, di cambiare idea e agire (salvo stipulare atti di transazione con rinuncia ad agire fino a una certa data, comunque revocabili in parte). Per questo, se i debiti sono diffusi e la situazione è grave, spesso conviene passare a strumenti “semi-formali” che danno qualche tutela.
È importante notare che eventuali pagamenti isolati fatti in questa fase potrebbero essere soggetti ad azione revocatoria in caso di successivo fallimento: pagare un creditore e non altri a ridosso dell’insolvenza è considerato atto preferenziale. La legge fallimentare (ancora applicabile alle revocatorie) consente al curatore di chiedere la restituzione di pagamenti fatti nei 6 mesi precedenti il fallimento a creditori chirografari (a meno che non rientrino nelle esenzioni di legge). Dunque, è preferibile che i pagamenti ai creditori avvengano in esecuzione di un piano di risanamento pubblicato o di una procedura concorsuale, perché così sono protetti dalla revocatoria .
In conclusione, negoziare privatamente è spesso il primo passo, e va tentato: “parlate con i creditori”, spiegate la situazione e la prospettiva di recupero se collaborano. Molti creditori, di fronte alla prospettiva di un concordato o fallimento, preferiranno un accordo che garantisca almeno una parte del credito. Tuttavia, preparatevi al passo successivo se qualcuno non ci sta: è qui che entra in gioco la composizione negoziata.
La composizione negoziata della crisi (CNC)
La composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa è uno strumento innovativo introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021, convertito in L. 147/2021) e ora disciplinato dagli artt. 12-25 quinquies del Codice della crisi. Si tratta di una procedura volontaria e non giudiziale (almeno nella fase iniziale), in cui l’imprenditore in situazione di crisi può richiedere l’assistenza di un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione (presso le Camere di Commercio) per condurre trattative con i creditori al fine di risanare l’impresa . L’idea di fondo è creare un “tavolo di negoziazione” neutrale in cui le parti, con la guida dell’esperto, possano raggiungere un accordo senza dover ricorrere subito a procedure concorsuali più invasive.
Caratteristiche principali della CNC:
- Accesso: può accedere alla composizione negoziata qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, di qualsiasi dimensione (anche le piccolissime imprese “non fallibili”) , purché si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza (non serve essere già insolventi conclamati). La domanda si presenta tramite una piattaforma telematica nazionale, allegando informazioni contabili, un piano sulla situazione e dichiarando che esistono prospettive di risanamento. La commissione nomina un esperto (spesso un commercialista o avvocato con competenze in ristrutturazioni) che dopo un primo esame accetta l’incarico.
- Svolgimento: l’esperto esamina la situazione aziendale e convoca i principali creditori per avviare trattative. Il tutto avviene in modo riservato: inizialmente non c’è pubblicità legale della procedura (non viene iscritta nel Registro Imprese, salvo si richiedano misure protettive di cui diremo). L’esperto redige periodicamente delle relazioni sullo stato delle trattative. Ha il compito di facilitare il dialogo: può proporre soluzioni di ristrutturazione, piani di pagamento, rinegoziazione di contratti, e anche suggerire l’eventuale ricorso a strumenti concorsuali se capisce che l’accordo stragiudiziale non è percorribile .
- Obiettivo: raggiungere un accordo stragiudiziale con i creditori per ristrutturare il debito, evitando di default la liquidazione giudiziale e possibilmente preservando la continuità aziendale . L’accordo finale potrebbe assumere varie forme: un semplice piano di rientro sottoscritto dai creditori principali, un accordo di ristrutturazione dei debiti da portare poi in omologa, o anche la predisposizione di un concordato preventivo. La composizione negoziata, quindi, non è un punto di arrivo in sé, ma un percorso di trattativa: può concludersi con un accordo privato o sfociare in una procedura concorsuale semplificata (come il concordato preventivo “semplificato” introdotto per il caso di esito negativo delle trattative – art. 25-sexies CCII).
- Misure protettive: uno dei vantaggi più rilevanti, su richiesta del debitore l’imprenditore può ottenere dal tribunale un decreto che sospende o vieta temporaneamente le azioni esecutive individuali e cautelari dei creditori (pignoramenti, sequestri) e blocca le istanze di fallimento . Questo “ombrello” può durare inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili di altri 4 (in totale max 8, eccezionalmente 12 mesi in caso di presenza di creditori pubblici con tempi di adesione più lunghi) . Durante le misure protettive, i creditori non possono iniziare o proseguire esecuzioni senza autorizzazione del giudice. Questo è cruciale: consente di congelare la situazione e guadagnare tempo per le trattative. Va però richiesto formalmente appena necessario, perché se un creditore fa partire un pignoramento prima che le misure siano in atto, quel procedimento esecutivo non viene automaticamente bloccato (a meno di successivo concordato). In altri termini, la CNC di per sé non ferma i creditori, occorre richiedere le misure al tribunale per avere la protezione .
- Effetti gestionali durante la CNC: l’imprenditore rimane al timone dell’azienda (non c’è spossessamento né nomina di amministratori giudiziari). Sono però previste alcune tutele: ad esempio, gli obblighi civilistici di ricapitalizzazione per perdite sono attenuati durante la procedura (si evita che scatti l’obbligo di scioglimento ex art. 2482-ter c.c. se il capitale è eroso dalle perdite, fino al termine delle trattative) ; inoltre, gli organi di controllo societari (collegio sindacale) non sono tenuti a denunciare immediatamente lo stato di crisi in tribunale, come farebbero altrimenti, visto che la crisi è già gestita nell’ambito CNC. Le banche, dal canto loro, non possono revocare o ridurre le linee di credito durante le misure protettive, né peggiorare le condizioni (salvo giusta causa) , il che è un’importante salvaguardia per la liquidità aziendale.
- Incentivi fiscali e normativi: la legge prevede alcuni incentivi per favorire l’adesione dei creditori: durante la composizione negoziata, gli interessi sui debiti tributari sono ridotti al tasso legale e le sanzioni fiscali possono essere ridotte o annullate se si perfeziona un accordo . Inoltre, dal 2024 è stata introdotta la possibilità di inserire una transazione fiscale all’interno della CNC stessa, con omologazione giudiziale limitata a quell’accordo . In pratica, l’imprenditore può chiedere al tribunale di omologare un accordo parziale col Fisco concluso in sede di composizione negoziata, rendendolo vincolante anche per l’Erario: questo è un significativo passo avanti, frutto del recepimento della direttiva UE 2019/1023, che mira a consentire il cram-down del Fisco in fase pre-concorsuale. Ad esempio, se durante la CNC l’azienda concorda col Fisco di pagare il 50% di IVA e contributi, quel patto può essere omologato e diventare efficace anche senza un concordato, vincolando l’Agenzia Entrate .
- Esiti possibili: la composizione negoziata può concludersi in vari modi : (1) con un accordo contrattuale privato con alcuni o tutti i creditori (piano di rientro, moratoria, ecc.), eventualmente avvalorato da un piano attestato di risanamento (che si può pubblicare al registro imprese per ottenere taluni effetti protettivi sui pagamenti, come vedremo); (2) con il passaggio a una procedura concorsuale: l’imprenditore può, se serve vincolare i creditori dissenzienti, presentare un ricorso per concordato preventivo oppure per omologazione di un accordo di ristrutturazione (gli istituti formali che attuano quanto negoziato); (3) con la richiesta di concordato semplificato per la liquidazione (art. 25-sexies CCII) se le trattative falliscono ma l’azienda è decotta e si vuole evitare il fallimento tradizionale; (4) con l’archiviazione della procedura se la situazione si risolve (ad esempio l’azienda ritrova equilibrio) oppure se, pur non trovandosi un accordo, l’insolvenza non è ancora conclamata (l’imprenditore potrebbe attendere sviluppi).
Quando e perché usare la CNC: la composizione negoziata è pensata come strumento precoce di salvataggio. Un’azienda di profilati metallici con buone prospettive di mercato ma soffocata dai debiti dovrebbe considerare la CNC non appena percepisce che la crisi sta sfuggendo di mano. È un tavolo di pace intorno al quale sedersi con banche e fornitori per concordare sacrifici reciproci pur di evitare il crollo . Il vantaggio è poterlo fare con la supervisione di un esperto super partes e, se serve, con la protezione temporanea del tribunale. Va però utilizzato con un piano credibile e con la consapevolezza che, se non funziona, si dovrà passare a misure più decise (concordato, ecc.) . In pratica, la CNC è uno strumento di allerta gestionale: se usato per tempo, può salvare l’impresa senza bisogno di “andare in tribunale” in senso pieno. Se invece la si attiva troppo tardi, rischia di essere solo un preludio al fallimento (ad esempio, creditori ormai esasperati potrebbero non fidarsi più).
La nostra tabella seguente riassume i punti salienti della composizione negoziata:
Tabella riepilogativa – Composizione negoziata (CNC)
| Caratteristiche | Dettagli |
|---|---|
| Accesso | Volontario, su istanza dell’imprenditore (società o ditta individuale, anche sotto soglia di fallibilità) . Richiesta via piattaforma telematica con documentazione aziendale e indicazione di prospettive di risanamento. Un esperto indipendente viene nominato dalla Camera di Commercio. |
| Obiettivo | Raggiungere un accordo stragiudiziale con i creditori (banche, fornitori, Fisco ecc.) per ristrutturare il debito, con l’assistenza di un esperto indipendente . Salvare l’impresa prima di dover ricorrere a procedure concorsuali più drastiche, favorendo la continuità aziendale se possibile. |
| Esperto indipendente | Professionista nominato da commissione pubblica, con esperienza in risanamenti . Facilita le trattative, propone soluzioni ma non può imporre accordi. Redige relazioni periodiche sullo stato delle trattative. |
| Protezione giuridica | Non automatica: su richiesta dell’imprenditore, il tribunale può concedere misure protettive che bloccano azioni esecutive e cautelari e sospendono le istanze di fallimento, per max 4 mesi prorogabili di altri 4 (fino a 12 in totale in casi particolari) . Senza misure, i creditori possono agire liberamente (anche se la riservatezza iniziale riduce il rischio di reazioni immediate). Durante la CNC, attenuazione degli obblighi di ricapitalizzazione per perdite e sospensione di denunce di crisi da parte degli organi di controllo . |
| Incentivi e novità | Riduzione degli interessi al tasso legale sui debiti fiscali durante le trattative; possibile esonero o riduzione sanzioni se si raggiunge accordo col Fisco . Dal 2024 è ammessa la transazione fiscale nell’ambito della CNC con omologazione giudiziale, permettendo di vincolare il Fisco a un accordo anche senza un concordato (novità introdotta dal D.Lgs. 83/2023 e 136/2024) . Inoltre, i nuovi finanziamenti ottenuti in CNC e autorizzati possono essere prededucibili (quindi rimborsati con priorità). |
| Esiti possibili | 1) Accordo privato con i creditori (es. piano di rientro o moratoria) – magari supportato da un piano attestato di risanamento – senza passaggio giudiziario; 2) Accesso a procedura concorsuale: deposito di un accordo di ristrutturazione per omologa, o ricorso per concordato preventivo (per vincolare tutti i creditori); 3) Concordato semplificato liquidatorio (senza voto dei creditori) se le trattative falliscono ma l’impresa è insolvente ; 4) Archiviazione se la crisi rientra o se, pur senza accordo, non c’è insolvenza immediata. |
| Durata | Variabile: la legge raccomanda di concludere entro 6 mesi (prorogabili). In pratica molte CNC durano 3-6 mesi: o si trova un accordo, o si passa ad altro (accordo omologato, concordato). In ogni caso, tutta la procedura, inclusi eventuale concordato conseguente, dovrebbe svilupparsi entro circa 6-12 mesi complessivi. |
| Vantaggi | Riservatezza iniziale (nessuna pubblicità se non si chiedono misure); costi ridotti (compenso dell’esperto fissato per legge in base all’esito e alle dimensioni aziendali); grande flessibilità di soluzioni (qualsiasi intesa che i creditori accettano è valida); tutela dell’imprenditore diligente (non scatta subito il “fallimento”, e se la CNC si conclude con successo si evitano sanzioni per tardiva emersione della crisi) . Inoltre, strumenti come il blocco delle revoche di fidi bancari e la protezione dei contratti essenziali (art. 19 CCII) aiutano a stabilizzare l’attività durante le trattative . |
| Limiti | Nessun effetto impositivo sui creditori: richiede collaborazione attiva, altrimenti un creditore può sabotare l’esito (mitigabile chiedendo misure protettive tempestive) . Non garantisce esito positivo se mancano reali prospettive di rilancio – può solo ritardare l’inevitabile se l’impresa è decotta. Necessità di trasparenza totale: l’imprenditore deve condividere tutte le informazioni con l’esperto e con i creditori al tavolo, il che può essere scomodo ma è indispensabile per creare fiducia . |
Il piano attestato di risanamento
Uno strumento peculiare, a cavallo tra il puramente stragiudiziale e il formale, è il piano attestato di risanamento (disciplinato dall’art. 56 CCII, che ha sostituito l’art. 67 lett. d) della vecchia Legge Fallimentare). Si tratta di un piano di risanamento aziendale redatto dall’impresa, con contenuto dettagliato (analisi della situazione economico-patrimoniale, cause della crisi, misure previste per il riequilibrio finanziario, proiezioni di cash flow, ecc.), il quale viene poi attestato da un professionista indipendente che ne certifica la fattibilità. Il piano attestato viene pubblicato nel Registro delle Imprese, dando così pubblicità all’operazione.
Cosa fa il piano attestato? In sostanza è un accordo volontario che però gode di alcuni effetti protettivi ex lege una volta pubblicato: in particolare, i pagamenti e gli atti compiuti in esecuzione di un piano attestato regolarmente pubblicato non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento . Ciò rassicura i creditori aderenti che i pagamenti incassati secondo il piano non verranno poi richiesti indietro dal curatore se l’azienda dovesse comunque fallire . Inoltre, in base al TUIR, le eventuali rinunce ai crediti fatte dai creditori in esecuzione del piano attestato non generano sopravvenienze attive tassabili per l’azienda debitrice (se il piano è idoneo al risanamento), e le perdite subite dai creditori sono deducibili fiscalmente . Insomma, il piano attestato è concepito per dare un quadro di legalità e credibilità a un risanamento concordato su base privata.
Da notare che il piano attestato non vincola automaticamente i creditori: non è una procedura concorsuale, per cui ogni creditore dovrà comunque aderire volontariamente alle proposte in esso contenute (ad esempio accettando dilazioni o stralci). Tuttavia, la pubblicazione e l’attestazione conferiscono un sigillo di attendibilità e attivano i benefici di legge appena citati. Il piano attestato è utile quando l’azienda non è ancora insolvente conclamata ma in stato di crisi e vuole a tutti i costi evitare procedure concorsuali giudiziali, pur avendo bisogno di ridefinire le proprie esposizioni con accordi volontari protetti. Va detto che, se i creditori non collaborano, il piano attestato rischia di non risolvere la situazione (poiché, ribadiamo, non li obbliga). Rimane comunque un’opzione apprezzata per ridare fiducia ai creditori disponibili, soprattutto le banche, le quali sanno che le operazioni compiute in base a quel piano non saranno messe in discussione più tardi .
Esempio: l’azienda di profilati metallici elabora un piano attestato in cui i soci apportano 100.000 € freschi, la banca principale accetta di prorogare di 3 anni il rimborso del mutuo e rinuncia a 1/3 degli interessi futuri, e due fornitori critici accettano uno stralcio del 20% sui crediti in cambio di pagamenti immediati per il restante 80%. Un professionista (attestatore) verifica i dati, conferma che con queste misure l’azienda può tornare solvibile e attesta che il piano è idoneo a garantire il risanamento e il regolare pagamento dei creditori estranei entro i termini di legge. Il piano viene pubblicato. A quel punto l’azienda esegue il pagamento dell’80% ai fornitori e riprende a pagarli regolarmente per le nuove forniture; la banca ridefinisce il piano di ammortamento. Se malauguratamente l’azienda dovesse fallire due anni dopo, quei pagamenti dell’80% ai fornitori non sarebbero revocabili perché effettuati in esecuzione del piano attestato pubblicato . Questo toglie ai fornitori il timore che, incassando ora, poi un curatore possa chiedergli indietro i soldi. Si tratta di un forte incentivo a collaborare.
In pratica, il piano attestato conviene quando l’impresa ha una crisi gestibile e riesce a trovare l’accordo con una fetta rilevante di creditori, ma vuole blindare tali accordi. Se però già si prevede di dover imporre sacrifici a creditori non consenzienti, il piano attestato non basta: va usato uno strumento concorsuale (accordo omologato o concordato). Spesso il piano attestato è utilizzato come prima mossa in contesti in cui la crisi è ancora borderline: consente di operare il risanamento in sordina, senza entrare ufficialmente in procedura concorsuale, e se funziona bene così, l’azienda si salva “senza passare dal tribunale”. Se invece la situazione degenera, allora si passa al concorsuale.
Vale la pena ricordare che l’attestatore ha un ruolo di garanzia fondamentale: deve essere indipendente e viene scelto dall’azienda (spesso un commercialista esperto in crisi). Egli deve verificare la veridicità dei dati aziendali e la realizzabilità del piano. La Cassazione ha chiarito, con sentenza Cass. civ. Sez. I, 15 maggio 2023 n. 13154, che la relazione dell’attestatore deve verificare specificamente l’idoneità del piano a garantire il pagamento integrale dei creditori estranei contrattualizzati entro i termini di legge , non potendosi limitare a valutazioni generiche di convenienza. In altre parole, l’attestatore deve fare un check puntuale anche su eventuali accordi “laterali” con creditori non formalmente aderenti ma contrattualizzati a parte, per essere sicuro che l’azienda potrà pagarli come previsto. Se la relazione è carente su questo, il piano rischia di perdere efficacia (non a caso, nel caso deciso dalla Cassazione 13154/2023, un accordo di ristrutturazione omologato fu negato perché l’attestazione non dimostrava che tutti i creditori estranei sarebbero stati pagati) .
In sintesi, il piano attestato di risanamento è uno strumento volontario e flessibile che offre protezione limitata (essenzialmente contro revocatorie) ma può essere sufficiente per aziende con pochi creditori chiave e con la fiducia delle banche. Non risolve situazioni di conflitto con molti creditori, ma può evitare di aprire concorsuali se c’è collaborazione.
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) ex art. 57 CCII
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (spesso abbreviati in ARD) sono strumenti concorsuali introdotti nel 2005 (art. 182-bis L.F.) e ora disciplinati dagli artt. 57-64 del Codice della crisi . Si tratta di una via intermedia tra il piano privato e il concordato preventivo: in sostanza, l’imprenditore propone un piano di ristrutturazione ai creditori, ottiene l’adesione di una parte di essi (una maggioranza qualificata), e poi chiede al tribunale di omologare l’accordo, rendendolo efficace e vincolante erga omnes (seppur con taluni limiti) .
Tipologie di accordo: il CCII ha introdotto varianti rispetto alla formulazione originaria, distinguendo tre tipi principali di accordi di ristrutturazione :
- Accordo “ordinario” (art. 57 CCII): richiede il consenso di creditori rappresentanti almeno il 60% del totale dei crediti . La soglia è calcolata sull’ammontare dei crediti (non sul numero di creditori) e va documentata. I creditori che non aderiscono all’accordo (il rimanente ≤40%) devono essere pagati integralmente alle scadenze previste dall’accordo stesso . In pratica, l’accordo ordinario vincola solo i consenzienti, mentre i dissenzienti restano estranei (ma vanno comunque soddisfatti fuori accordo secondo i termini originali, salvo che accettino spontaneamente modifiche). Non è prevista una sospensione automatica delle azioni esecutive durante le trattative, anche se il debitore può chiedere misure protettive al tribunale dopo aver raggiunto la soglia del 60% e depositato la domanda di omologa .
- Accordo “agevolato” (art. 60 CCII): introdotto dal 2020 per facilitare l’accesso allo strumento. Basta il consenso di creditori pari ad almeno il 30% dei crediti totali . Il rovescio della medaglia è che il debitore deve impegnarsi a pagare integralmente e tempestivamente i creditori non aderenti. Di fatto è pensato per situazioni in cui l’impresa ha pochi creditori principali (ad esempio banche) che coprono gran parte del debito e sono disposti a ristrutturare, mentre i piccoli creditori possono essere pagati regolarmente . Questa forma consente un’omologa con una maggioranza ridotta, ma non tocca i diritti dei dissenzienti (che verranno soddisfatti per intero al di fuori dell’accordo). È utile quando i creditori critici sono pochi e di peso, e conviene evitare i costi e lo stigma di un concordato.
- Accordo ad efficacia estesa (art. 61 CCII): meccanismo innovativo (“cram-down” settoriale) che permette di forzare la minoranza dissenziente all’interno di una categoria omogenea di creditori . Se l’accordo di ristrutturazione è sottoscritto da almeno il 75% dei crediti in una determinata categoria (ad esempio tutte le banche, oppure tutti i fornitori), e i creditori dissenzienti di quella categoria sono stati informati e messi in condizione di partecipare alle trattative, il tribunale può estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori di quella categoria che non hanno aderito . Questo istituto generalizza ciò che già esisteva per le banche (il vecchio accordo con intermediari finanziari ex art. 182-septies L.F.): ora può applicarsi a qualunque categoria – ad esempio, se l’80% dei fornitori (in valore) accetta una riduzione del 30% del credito, il giudice può omologare l’accordo e renderlo vincolante anche per il 20% di fornitori che era contrario, purché siano stati rispettati i criteri di correttezza informativa e la loro posizione non sia peggiore di quella che avrebbero in un’alternativa liquidatoria . L’accordo ad efficacia estesa, dunque, evita il problema degli holdout (creditori opportunisti che rifiutano nella speranza di essere pagati al 100% mentre gli altri accettano tagli): se c’è un’adesione molto ampia in una classe, la minoranza viene trascinata. Questa opzione rafforza enormemente l’utilità degli ARD, perché supera uno dei limiti storici (il dover pagare interamente i non aderenti): ora, se usata, consente di obbligare anche i dissenzienti di una categoria ad accettare la stessa percentuale degli aderenti . Naturalmente il tribunale verifica che nessuno di quei dissenzienti riceva meno di quanto prenderebbe in un fallimento (principio di trattamento migliore individuale).
Indipendentemente dal tipo, l’accordo di ristrutturazione richiede una attestazione di fattibilità da parte di un esperto indipendente (di norma un commercialista) . Il professionista deve asseverare che l’accordo è idoneo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nei termini previsti (quelli fuori accordo) e, in generale, che l’azienda potrà reggere all’attuazione del piano . Inoltre deve attestare la veridicità dei dati aziendali. Questa relazione è fondamentale sia per convincere il tribunale ad omologare, sia come eventuale scudo per gli amministratori in caso di controlli successivi: una attestazione seria protegge da accuse di aver fatto piani irrealistici.
Effetti dell’omologa: a differenza del concordato, l’accordo di ristrutturazione non coinvolge automaticamente tutti i creditori. Come detto, i non aderenti (salvo efficacia estesa) restano fuori: vanno pagati per intero. Il vantaggio principale per il debitore è negoziare con la maggioranza dei creditori un taglio del debito, e ottenere poi una sorta di cristallizzazione del piano tramite l’omologa giudiziaria . Non c’è un voto assembleare di tutti i creditori, ma solo firme individuali. Una volta depositata la richiesta di omologazione, il tribunale può sospendere le azioni esecutive su istanza del debitore (misure protettive analoghe a quelle del concordato) per evitare che durante l’attesa dell’omologa qualche estraneo pignori beni compromettendo il piano .
L’accordo omologato consente al debitore di beneficiare di alcune esenzioni di legge: ad esempio, non si applicano le revocatorie fallimentari agli atti compiuti in esecuzione dell’accordo (pagamenti, garanzie, transazioni fatti in funzione del piano) . In più, vi sono agevolazioni fiscali: le remissioni di debito concordate nell’accordo non sono tassate come sopravvenienze attive per il debitore (ex art. 88 co. 4-ter TUIR) , e i creditori possono dedurre le perdite su crediti in caso di accordo omologato (art. 101 co. 5 TUIR) . Di conseguenza, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento conveniente anche fiscalmente per “pulire” i debiti.
Quando conviene l’ARD? In genere quando si riesce a ottenere l’adesione dei creditori principali e i non aderenti sono pochi o marginali (e comunque verranno pagati). È uno strumento spesso usato per ristrutturare debiti finanziari: ad esempio, con le banche si trova un accordo (taglio del debito o allungamento con rinuncia a interessi) e i fornitori vengono lasciati fuori ma pagati regolarmente; oppure se c’è un sindacato di obbligazionisti che rappresenta gran parte del debito finanziario, etc. L’accordo consente di evitare il concordato (più complesso e stigmatizzante) mantenendo maggiore riservatezza e continuità contrattuale. Spesso, infatti, un’azienda che formalizza un ARD non perde certificazioni o contratti come invece potrebbe succedere con un concordato, perché tecnicamente non è “insolvente dichiarata”.
Limiti: se il numero di creditori è elevato e frammentato, può essere arduo raccogliere il 60% delle adesioni in tempi brevi; inoltre, un piccolo creditore escluso con una piccola quota può comunque far danno agendo per conto suo (non è bloccato definitivamente, salvo la parentesi protettiva concessa dal giudice fino all’omologa) . Nel complesso, l’ARD è più efficace in situazioni con pochi creditori rilevanti e dove c’è già una base di consenso. Se invece molti creditori sono tra loro indipendenti e nessuno ha un peso preponderante, allora è preferibile il concordato, dove c’è un meccanismo di voto maggioritario che può vincolare tutti.
Aggiornamenti giurisprudenziali: si segnala la pronuncia Cass., Sez. V trib., 29 novembre 2023, n. 33303, in cui la Cassazione ha dichiarato cessata la materia del contendere in un giudizio tributario quando, nelle more del ricorso, è intervenuta l’omologazione di un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale ex art. 182-ter L.Fall. . In pratica, l’omologa dell’accordo ha definito il debito oggetto di lite con l’Erario, comportando l’estinzione del contenzioso pendente (cessata materia del contendere). Questo conferma l’efficacia risolutiva degli accordi omologati anche sui contenziosi tributari: se il debito fiscale litigioso viene ricompreso e rideterminato nell’accordo, il processo tributario viene chiuso perché il debito viene “transato” . Un altro rilevante precedente è Cass., Sez. I civ., 17 dicembre 2024, n. 32996: ha affermato che l’apertura del fallimento (liquidazione giudiziale) successiva all’omologazione di un accordo di ristrutturazione risolve di diritto l’accordo stesso per impossibilità sopravvenuta e fa “espandere” di nuovo l’obbligazione originaria non soddisfatta . I creditori aderenti potranno insinuarsi al passivo solo per la parte di credito residua secondo l’accordo omologato, senza poter reclamare l’intero originario . In altre parole, se dopo un accordo eseguito parzialmente l’azienda fallisce, i creditori che avevano accettato uno stralcio non tornano a essere creditori per il 100% (salvo l’accordo sia stato totalmente inadempiuto): potranno chiedere solo ciò che rimaneva da pagare secondo l’accordo, mentre per la parte tagliata l’obbligazione si considera estinta (principio di cristallizzazione degli effetti dell’accordo) . Questo per evitare che i creditori “furbi” approfittino del fallimento per rimangiarsi lo stralcio concordato.
Il concordato preventivo
Il concordato preventivo è la più nota e ampia procedura concorsuale di ristrutturazione aziendale prevista dal nostro ordinamento, ora disciplinata dagli artt. 84 e ss. del Codice della crisi. Si tratta di una procedura giudiziale vera e propria, con intervento del tribunale e voto di tutti i creditori, finalizzata a evitare la liquidazione giudiziale (fallimento) tramite un accordo collettivo di ristrutturazione o di liquidazione dei debiti. In parole semplici, nel concordato l’impresa propone ai creditori un piano – che può prevedere la continuità aziendale (prosecuzione dell’attività) oppure la cessazione e liquidazione dei beni – offrendo di pagare i crediti in una certa percentuale e/o forma, e questa proposta, se approvata dalle maggioranze di legge e omologata dal tribunale, diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, anche dissenzienti.
Due grandi categorie di concordato preventivo sono infatti:
- il concordato in continuità aziendale (diretta o indiretta), in cui l’impresa continua l’attività (magari ristrutturata) e il piano prevede che i creditori vengano soddisfatti col ricavato della gestione corrente e di eventuali apporti di terzi;
- il concordato liquidatorio, in cui invece si prevede di vendere tutto o parte del patrimonio dell’azienda e distribuire il ricavato ai creditori, cessando l’attività (salvo atti di liquidazione finali).
La distinzione è importante perché la legge (specialmente dopo le riforme del 2022-2023) tende a favorire la continuità: ad esempio, nel concordato in continuità è ora permesso fare il cram-down anche sui crediti fiscali e contributivi (grazie al D.Lgs. 136/2024), mentre in passato se Fisco o INPS votavano contro si rischiava di non poter omologare concordati in continuità. La Corte d’Appello di Milano con provvedimento 25 maggio 2025 ha addirittura applicato retroattivamente questo principio a concordati in continuità aperti prima della riforma, ritenendo che il tribunale possa omologare forzosamente il concordato nonostante il voto contrario del Fisco/INPS se il piano è in continuità e soddisfa i requisiti di legge . In pratica, si è affermato che l’intento del legislatore (recependo la direttiva UE) è permettere di superare i dinieghi ingiustificati degli enti pubblici se la proposta è conveniente rispetto alla liquidazione, anche per concordati avviati prima (interpretazione evolutiva pro debitor).
Come funziona in breve il concordato preventivo: l’azienda presenta ricorso al tribunale, che può essere “con riserva” (il cosiddetto concordato in bianco, art. 44 CCII) per ottenere misure protettive e poi depositare il piano dettagliato entro un termine . Depositato il piano e la proposta, il tribunale verifica i presupposti (stato di crisi o insolvenza, fattibilità del piano, presenza delle classi se necessario ecc.) e ammette l’azienda al concordato, nominando un commissario giudiziale che vigila durante la procedura. Viene convocata l’adunanza dei creditori dove i creditori votano il piano (il voto è per classi se queste sono state costituite, o per maggioranza semplice se non ci sono classi). Serve il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza per teste se non vi sono classi, o maggioranza per classi con ulteriori requisiti se classi) . Se il voto è positivo, il tribunale procede all’omologa; se alcuni creditori o classi si oppongono, ci sono possibili cram-down se le condizioni lo consentono (ad esempio, come detto, oggi è possibile cram-down del Fisco anche se dissenziente, se è assicurato che non prende meno che in liquidazione e l’impresa continua). Una volta omologato, il concordato viene eseguito sotto la sorveglianza di un liquidatore giudiziale (nelle parti liquidatorie) o del commissario (se in continuità). A esecuzione completata, l’azienda torna libera dai debiti residui secondo l’effetto esdebitatorio proprio del concordato .
I dettagli sul funzionamento sono molto articolati (classi obbligatorie se trattamenti differenti, trattamento dei privilegiati con eventuali transazioni fiscali per IVA/INPS, formazione dello stay protettivo ex art. 54 CCII all’ammissione, ecc.), ma qui ci concentriamo sugli aspetti utili al debitore:
Protezione offerta dal concordato: dal momento del deposito della domanda di concordato (se completa o, se in bianco, dal decreto che concede termini per il piano), scattano delle protezioni potenti. L’art. 54 CCII (già art. 168 L.F.) stabilisce che dalla data di pubblicazione del ricorso i creditori per titolo o causa anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive né cautelari sul patrimonio del debitore . Inoltre, non possono acquisire diritti di prelazione se non concordati (divieto di ipoteche giudiziali). Questa sospensione dura per tutta la procedura, fino all’omologa. Anche eventuali procedimenti di esecuzione già iniziati restano sospesi. Ciò permette all’impresa di respirare, concentrandosi sul piano senza la spada di Damocle dei pignoramenti (ad es., se la banca ha già avviato un’esecuzione ipotecaria, presentando subito domanda di concordato si può ottenerne la sospensione) . La Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito che da quel momento il debitore è in regime di protezione e non può pagare isolatamente debiti scaduti senza autorizzazione, nemmeno rate di piani col Fisco, senza perdere benefici . Dunque, il concordato offre un ombrello simile a quello delle misure protettive della CNC ma di portata più ampia e automatica.
Effetto esdebitatorio: se il concordato va a buon fine (cioè il piano viene omologato e poi eseguito rispettando almeno le percentuali offerte), l’azienda esce dalla procedura liberata dai debiti residui anteriori . Ciò significa che i creditori non possono più pretendere la parte di credito che non hanno ricevuto. Il concordato preventivo ha effetto liberatorio e novativo: i creditori accettano il nuovo trattamento (es. il 40% in 2 anni) e, una volta ricevuto quello, nulla più è dovuto . A differenza di alcune giurisdizioni anglosassoni, non serve un atto separato di discharge: l’omologa e la successiva esecuzione del piano sono sufficienti a stralciare i debiti eccedenti. L’azienda continua quindi ad esistere senza quei debiti pregressi. Dal punto di vista legale, il concordato è un accordo collettivo omologato che sostituisce le obbligazioni originarie con quelle risultanti dal piano. Se poi l’impresa non esegue il concordato, allora c’è la risoluzione e si torna allo stato precedente (e tipicamente si finisce in liquidazione giudiziale). Ma se viene eseguito correttamente, i debiti tagliati restano cancellati. La differenza con il fallimento è notevole: nel fallimento, se i creditori recuperano il 20%, il restante 80% rimane formalmente dovuto – solo che la società viene estinta e quindi nessuno potrà più riscuoterlo perché il debitore giuridico sparisce . Per le persone fisiche fallite, quell’80% residuo rimane a loro carico finché non ottengono l’esdebitazione (che è un beneficio concesso a fine procedura ai falliti meritevoli) . Con il concordato, invece, l’esdebitazione è intrinseca all’omologa (non c’è bisogno di un provvedimento successivo).
Requisiti: per accedere al concordato, l’impresa deve trovarsi almeno in stato di crisi (che include l’insolvenza) . Non è necessario essere già insolventi conclamati; si può accedere anche in previsione di insolvenza (anzi il nuovo codice incentiva a farlo prima). Ad esempio, un’azienda che vede arrivare grosse scadenze che non riuscirà a pagare nei prossimi mesi, può proporre un concordato preventivo per tempo. C’è inoltre un requisito di meritevolezza: se l’imprenditore ha commesso atti di frode verso i creditori (occultamento di beni o scritture contabili, distrazione di attivo), il concordato viene dichiarato inammissibile. Servono poi le soglie di soddisfacimento minime: nella prassi antecedente, per i concordati liquidatori si richiedeva almeno il 20% ai chirografari (ora l’art. 84 CCII non lo prevede espressamente se c’è l’apporto di risorse esterne almeno del 10%, sennò chiede almeno il 10% ai chirografari; il correttivo ha rimodulato queste soglie). Per i concordati in continuità non c’è soglia percentuale fissa, ma va garantito che i chirografari prendano non meno del 20% di quanto avrebbero in liquidazione (principio di convenienza).
Vantaggi per il debitore: oltre all’effetto liberatorio, il concordato consente all’impresa di mantenere la gestione (nel concordato con continuità, l’imprenditore rimane a capo sotto vigilanza del commissario; in quello liquidatorio spesso l’azienda propone di vendere beni ma sempre lui amministrerà fino alle vendite). L’impresa può continuare ad operare (pagando regolarmente i fornitori per forniture correnti, che infatti sono prededucibili). Si possono anche ottenere finanziamenti prededucibili durante il concordato per sostenere l’attività (previa autorizzazione ex art. 99 CCII). In sostanza, il concordato crea uno spazio protetto entro cui riorganizzarsi: i creditori sono congelati, l’azienda può tentare di massimizzare il valore (p.es. vendendo rami d’azienda in esercizio, cosa che in fallimento avverrebbe invece a attività ferma) e alla fine uscirne risanata. Un aspetto importante: dopo l’esecuzione di un concordato o accordo, l’azienda può ottenere attestazioni di avvenuto risanamento utili per partecipare a gare pubbliche, superando lo stigma del passato . Il Codice degli appalti infatti consente alle imprese che hanno concluso procedure di crisi di essere riabilitate se dimostrano di aver attuato misure di risanamento.
Svantaggi: il concordato è una procedura pubblica (viene iscritta e tutti i creditori vengono a saperlo, e anche i terzi; ad es. verrà annotato nella visura camerale). Questo può destabilizzare i rapporti commerciali e la reputazione dell’azienda, almeno nel breve termine. Inoltre è una procedura lunga e costosa: mediamente 8-12 mesi per arrivare all’omologa , con spese di giustizia (commissario, ausiliari, compensi) da sostenere. Se l’azienda è molto piccola, il concordato rischia di essere sproporzionato (per questo esiste il “concordato minore” per i non fallibili, di cui diremo). È comunque l’ultima spiaggia prima del fallimento, e spesso l’unica percorribile se mancano adesioni volontarie alle soluzioni meno invasive.
Variante: il concordato semplificato (art. 25-sexies CCII). Questo istituto è stato introdotto nel 2021 e confermato dal CCII: se le trattative nella composizione negoziata falliscono e l’esperto ne dà atto, l’imprenditore insolvente può chiedere direttamente l’omologa di un concordato liquidatorio senza dover passare per il voto dei creditori. È “semplificato” perché non c’è fase di ammissione né voto: il tribunale valuta il piano (che deve comunque garantire ai creditori una soddisfazione non inferiore alla liquidazione giudiziale) e, sentiti i creditori in camera di consiglio, può omologarlo d’ufficio . È una via d’emergenza per liquidare l’impresa quando il concordato normale non è fattibile per mancanza di consenso. La Corte d’Appello di Lecce (26 marzo 2025) ha chiarito che in tale procedura semplificata è ammissibile la falcidia dei debiti tributari anche in assenza di transazione fiscale, purché sia rispettato l’ordine delle cause di prelazione e la convenienza per l’Erario rispetto alla liquidazione . Ciò colma un vuoto normativo: significa che anche in un concordato semplificato si possono tagliare IVA e tributi (che di norma richiederebbero una transazione), se il piano lo giustifica e rispetta le graduatorie dei crediti. Dunque il tribunale può omologare anche se Agenzia Entrate non è d’accordo, valutando lui la convenienza.
In conclusione, il concordato preventivo è lo strumento più potente e garantito per ristrutturare, ma va affrontato con preparazione. Spesso è preceduto dalla composizione negoziata o dall’accordo di ristrutturazione: solo se questi falliscono o non sono sufficienti, si passa al concordato. Per il debitore, comporta la perdita (temporanea) di parte del controllo e la pubblicità della crisi, ma offre in cambio l’opportunità di un fresh start aziendale: un’azienda in concordato che adempie il piano rinasce senza debiti.
Procedure per imprese minori e sovraindebitamento
Non tutte le imprese possono accedere al concordato preventivo ordinario. Le cosiddette piccole imprese non fallibili (che non superano determinati parametri dimensionali: attivo di bilancio €300.000, ricavi €200.000, debiti €500.000, secondo l’art. 2 lett. c CCII) sono escluse dalla liquidazione giudiziale . Ciò non significa che siano esenti dai debiti, ma semplicemente che non può essere dichiarato il loro fallimento secondo la procedura classica. Per queste micro-imprese (o imprenditori individuali sotto soglia), il Codice della crisi prevede le procedure di sovraindebitamento, oggi integrate nel sistema: in particolare la liquidazione controllata del sovraindebitato (che è analoga al fallimento, ma con un liquidatore nominato e qualche formalità in meno) e il concordato minore (art. 74 CCII), versione semplificata del concordato preventivo pensata per i debitori “minori” . Inoltre esiste il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (art. 67 CCII) riservato alle persone fisiche consumatrici, cioè non imprenditori.
Nel caso di una nostra azienda di profilati metallici, se fosse ad esempio una ditta individuale molto piccola o una S.n.c. sotto soglia, non rischierebbe la dichiarazione di fallimento da parte dei creditori, ma questo non significa che i creditori non possano agire: possono comunque fare pignoramenti individuali. Per evitare il caos di esecuzioni multiple, anche questi soggetti hanno a disposizione procedure concursuali “ridotte”.
Dunque, se la vostra impresa non supera i limiti di fallibilità e ha troppi debiti per pagarli, potete comunque:
- accedere alla composizione negoziata (vale per tutte le imprese, anche le minime; anzi il correttivo 2024 ha allineato le regole per imprese sotto-soglia, permettendo poi anche a queste di fare concordato minore o liquidazione controllata come esito della composizione) ;
- proporre un concordato minore (art. 74 CCII), simile al vecchio “piano del consumatore” ma per l’imprenditore minore: ha regole semplificate, si svolge davanti al giudice con l’ausilio di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e prevede normalmente almeno il 20% di pagamento ai chirografari se liquidatorio . Si basa sul principio della meritevolezza e fattibilità, ma senza le complessità del concordato maggiore;
- oppure, se non volete o potete fare un piano di concordato minore, subire (o chiedere voi stessi) la liquidazione controllata dei beni. In tal caso, un liquidatore nominato venderà i beni e distribuirà il ricavato ai creditori . Voi come persona fisica potrete ottenere l’esdebitazione anche se i creditori non vengono pagati per intero, purché l’insolvenza non sia dovuta a frodi o colpa grave . Inoltre, per il sovraindebitato il Codice ha previsto un istituto speciale di esdebitazione del debitore incapiente (art. 282 CCII): se il debitore persona fisica non ha alcun patrimonio né reddito liquidabile, può essere liberato dai debiti immediatamente, impegnandosi a pagare solo se e quanto potrà nei 4 anni successivi . Questo è un fresh start potentissimo, concesso una volta sola nella vita, per casi di estrema indigenza (es. un piccolo imprenditore che ha chiuso, non possiede immobili, potrà chiedere di cancellare tutti i debiti residui subito, dimostrando di essere meritevole e restituendo solo eventuali piccole somme se la sua condizione migliora nei 4 anni) .
Insomma, “non fallibile” non significa “invulnerabile ai creditori”: significa che seguirà percorsi diversi. I creditori non possono forzare un fallimento, ma possono comunque pignorare beni. Per gestire la situazione in modo ordinato, l’imprenditore sotto soglia può rivolgersi all’OCC (presso la Camera di Commercio o ordini professionali) e attivare un concordato minore o liquidazione controllata . Queste procedure, una volta aperte, bloccano le azioni esecutive individuali analogamente al concordato preventivo, e offrono l’opportunità di esdebitazione finale . Ad esempio, l’OCC potrebbe aiutarvi a presentare un piano di rientro del 30% ai creditori chirografari, e il giudice lo omologherà se è fattibile e più conveniente del fallimento per loro . In sintesi, anche il piccolo imprenditore può liberarsi dai debiti – attraverso procedure meno formali ma comunque efficaci.
Aspetti penali e responsabilità dell’imprenditore in crisi
Un tema trasversale a tutte le strategie di difesa dai debiti è la necessità di evitare comportamenti che possano sfociare in responsabilità penali o personali per l’imprenditore e gli amministratori. Abbiamo già toccato i punti dei reati tributari (omesso versamento IVA, ritenute) e contributivi, nonché la bancarotta preferenziale nel caso di pagamenti discriminatori. Qui riassumiamo brevemente gli alert principali dal punto di vista del debitore in crisi:
- Reati tributari (D.Lgs. 74/2000): come detto, attenzione a IVA e ritenute. Se ci si avvicina alle soglie di punibilità (250k IVA, 150k ritenute), bisogna valutare contromisure. Ad esempio, a volte può convenire utilizzare risorse disponibili per versare parzialmente l’IVA e scendere sotto soglia, piuttosto che destinarle integralmente altrove lasciando un debito IVA enorme. Inoltre, è bene sapere che inserire il debito IVA in un concordato con pagamento ≥10% ed eseguirlo dà luogo a non punibilità . Dunque, strategicamente, se avete un grande debito IVA scoperto, il concordato preventivo (o accordo di ristrutturazione con transazione fiscale) può essere doppiamente vantaggioso: risolve il debito e vi salva dal penale. Nel frattempo, non cercate di pagare di nascosto l’IVA durante un concordato senza autorizzazione: come chiarito dalla Cassazione, tali pagamenti isolati non autorizzati non sono consentiti e non evitano la decadenza di piani di rateizzo .
- Reati di bancarotta (artt. 322-323 CCII, ex art. 216 L.F. per la bancarotta fraudolenta): questi entrano in gioco se l’impresa poi viene dichiarata in liquidazione giudiziale (fallimento). L’amministratore può essere perseguito per bancarotta fraudolenta se ha distratto beni aziendali, sottratto o falsificato le scritture contabili, o comunque tenuto comportamenti dolosi a danno dei creditori; per bancarotta semplice se, ad esempio, ha aggravato per colpa la situazione (spese personali eccessive, operazioni imprudenti). Inoltre la concessione di garanzie a nuovi creditori a detrimento dei precedenti o il pagamento preferenziale di taluni creditori a ridosso del fallimento può configurare bancarotta preferenziale (reato). Pertanto, durante la crisi, è fondamentale: mantenere la contabilità in ordine, non “sparire” beni aziendali, non svendere a parenti sotto costo, non pagare solo chi vi sta simpatico lasciando altri a bocca asciutta – a meno che ciò avvenga, come detto, all’interno di un piano giustificato (es. pagare fornitori essenziali in continuità può essere lecito, ma deve essere documentato lo scopo di salvaguardare l’attività) . Se poi siete in composizione negoziata o concordato, rispettate le regole: ad esempio, non occultate informazioni all’esperto o al commissario, perché eventuali false comunicazioni potrebbero integrare reati (tipo depistaggio o false attestazioni).
- Responsabilità civile degli amministratori: al di là del penale, gli amministratori di società di capitali hanno il dovere di non aggravare indebitamente il dissesto (art. 2486 c.c.). Se continuano ad operare in perdita erodendo il patrimonio sociale, i creditori insoddisfatti potrebbero poi agire contro di loro per mala gestio. Un classico esempio: continuare a fare acquisti a credito sapendo dell’insolvenza conclamata può costituire ricorso abusivo al credito (ex art. 236 L.F., ora art. 324 CCII) e comportare responsabilità. Il nuovo Codice incoraggia gli amministratori a attivarsi subito (con allerta e composizione): se lo fanno, sono esonerati da responsabilità per tardiva richiesta di liquidazione (art. 24 CCII). Dunque, dal punto di vista difensivo, l’imprenditore dovrebbe poter dimostrare di aver agito tempestivamente e in buona fede per risolvere la crisi. Questo non solo lo tutela legalmente, ma aumenta anche le chance di successo del risanamento.
In sintesi: condotta onesta e trasparente durante la crisi è la migliore difesa. La legge premia chi affronta la crisi diligentemente (si pensi all’esdebitazione concessa ai falliti meritevoli, o alle attenuanti per chi collabora). Al contrario, sotterfugi, occultamenti o favoritismi potrebbero risolversi in guai penali per l’imprenditore e minare irreparabilmente la fiducia dei creditori nelle trattative.
Salvaguardare la continuità operativa durante la crisi
Oltre agli aspetti legali strettamente legati ai debiti e alle procedure, un’azienda in crisi deve preoccuparsi di mantenere la continuità aziendale quel tanto che basta per attuare il risanamento. Ciò significa, in pratica, convincere fornitori essenziali a non interrompere le forniture, banche a non chiudere i rubinetti di fido, clienti a restare e magari anticipare pagamenti, dipendenti a non scappare. Gli strumenti legali offrono qualche appiglio:
- In composizione negoziata, l’art. 19 CCII prevede che, se ci sono misure protettive attive, i creditori non possono sospendere o sciogliere unilateralmente i contratti pendenti per inadempienze pregresse . Ciò significa che fornitori e locatori, ad es., non possono interrompere forniture o servizi essenziali invocando il fatto che avete fatture arretrate non pagate, durante la vigenza della protezione . Potete far valere questa norma per tenere in piedi contratti vitali (ad esempio, il fornitore di acciaio non può rifiutare di consegnare ulteriore materiale solo perché avete arretrati, se siete in composizione con misure protettive). Ovviamente dovrete però pagare regolarmente il nuovo fornito (le forniture correnti autorizzate sono prededucibili, quindi vanno onorate altrimenti il giudice può autorizzare la risoluzione) . Similmente, in un concordato con continuità, l’art. 108 CCII consente di mantenere in essere i contratti necessari e impedisce ai fornitori di rifiutare la loro esecuzione per debiti pregressi non pagati .
- È possibile chiedere al tribunale di autorizzare il pagamento in prededuzione di fornitori strategici anche per le forniture future. Ad esempio, in composizione negoziata potete individuare i fornitori essenziali (es. il fornitore di travi d’acciaio senza cui la produzione si ferma) e ottenere un decreto del giudice che vi autorizza a pagarli regolarmente anche del pregresso, in cambio della prosecuzione del contratto . Nel concordato ordinario, i crediti dei fornitori per beni/servizi forniti durante la procedura godono automaticamente di prededuzione , come detto, quindi potete rassicurarli: “Se continui a fornirmi durante il concordato, quei nuovi crediti saranno pagati prima degli altri in caso di fallimento”. Questa è una forte garanzia: significa che, se malauguratamente il concordato fallisse e diventaste falliti, i fornitori che hanno consegnato beni durante il concordato sarebbero tra i primi a essere pagati col ricavato (dopo i costi procedurali), quindi hanno più chance di recuperare.
- Dal punto di vista relazionale, oltre alle leve giuridiche, è cruciale la comunicazione onesta. Spiegate ai fornitori la vostra situazione e che state predisponendo un piano di ristrutturazione con l’aiuto di professionisti (magari mostrando evidenze come la nomina di un esperto o l’ammissione al concordato) . Spesso i fornitori, se vedono serietà e una prospettiva di recuperare almeno parte dei loro crediti, preferiscono mantenere un cliente in crisi piuttosto che perderlo e incassare poco/nulla. Potete proporre loro: “continuate a fornirmi, vi pago il nuovo puntualmente, e per il vecchio vi includo nel piano di rientro offrendo es. il 30% entro 2 anni” . Se fate questa proposta dopo aver depositato un concordato, i fornitori sanno che non potete deviare da quel piano (c’è il tribunale di mezzo), quindi la credibilità aumenta . In estrema sintesi: la legge tutela la continuità prevedendo che i fornitori essenziali non possano interrompere i rapporti durante la fase protetta solo a causa di debiti pregressi . Usate questa norma a vostro favore: comunicatela formalmente, magari con l’aiuto di un avvocato, ai fornitori reticenti. Contestualmente, offrite loro garanzie per il futuro (pagamenti cash on delivery, piccoli incentivi) e trattateli equamente nel piano di ristrutturazione per il pregresso. Combinando aspetti legali e goodwill, spesso si riesce a evitare il collasso delle forniture: dopotutto anche al fornitore conviene continuare a vendere (magari perde qualcosa sul vecchio credito ma salva un cliente per il futuro) .
Domande frequenti (FAQ)
D: Cosa si intende esattamente per “stato di crisi” e “stato di insolvenza”?
R: Il Codice della crisi fornisce una definizione normativa. Per crisi si intende lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza (in prospettiva) . È una situazione di squilibrio patrimoniale o di liquidità che, se non affrontata, può degenerare. L’insolvenza, invece, è lo stato del debitore che non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, manifestandosi con inadempimenti o altri fattori esteriori indicativi di carenza strutturale di liquidità (art. 2, co.1 lett. b CCII) . In parole semplici: la crisi è la fase in cui l’azienda inizia a barcollare (ma può ancora salvarsi con interventi correttivi), l’insolvenza è la caduta a terra, quando da sola non riesce più a rialzarsi senza interventi straordinari. La composizione negoziata si può attivare già nello stato di crisi (anche prima dell’insolvenza conclamata), mentre il concordato preventivo richiede almeno lo stato di crisi o l’insolvenza imminente/attuale. La liquidazione giudiziale (fallimento) viene dichiarata solo in caso di insolvenza conclamata .
D: L’azienda ha ricevuto un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo da una banca e alcuni pignoramenti dai fornitori: come posso fermarli?
R: Se la tua azienda è già oggetto di esecuzioni forzate in corso (pignoramenti) o di minacce concrete di azioni esecutive, l’unico modo legale per sospendere tutte le azioni esecutive contemporaneamente è ottenere delle misure protettive previste dalla legge . In pratica, hai due strade: o presentare un ricorso per concordato preventivo (anche con riserva, cioè “in bianco”) al tribunale, oppure attivare la composizione negoziata della crisi e contestualmente chiedere al giudice le misure protettive. In entrambi i casi, una volta che il tribunale concede la protezione, nessun creditore può proseguire o iniziare pignoramenti per tutta la durata dell’“ombrello” protettivo . Nel concordato preventivo, il divieto opera dalla data di ammissione (o anche dalla data di presentazione se viene chiesta la sospensione delle esecuzioni pendenti); nella composizione negoziata, opera dalla pubblicazione del decreto che concede le misure protettive e per il periodo stabilito (massimo inizialmente 4 mesi, prorogabili fino a 12) . Nel tuo caso concreto, se la banca ha già avviato un pignoramento (es. sul conto corrente aziendale o su un immobile), presentando subito domanda di concordato o di misure protettive in composizione negoziata potresti ottenere la sospensione di quell’esecuzione prima che arrivi alla fase di vendita . Tieni presente che queste misure hanno durata temporanea: ad esempio, nella composizione negoziata durano inizialmente fino a 4 mesi (prorogabili al massimo fino a 12), nel concordato durano fino all’omologa (in media 8-12 mesi). Allo scadere, se non si è raggiunto un accordo o aperta un’altra procedura, le azioni riprendono automaticamente. Quindi è fondamentale utilizzare quella finestra temporale per concludere un accordo o presentare un piano credibile . Ma nell’immediato, le procedure concorsuali sono il solo freno generale alle esecuzioni individuali.
D: Posso essere costretto a vendere la casa o i miei beni personali per pagare i debiti della mia azienda?
R: Dipende molto dalla forma giuridica dell’azienda e dalle eventuali garanzie personali che potresti aver prestato. Se operi tramite una società di capitali (es. una S.r.l. che produce profilati metallici), la regola generale è che i debiti della società restano a carico della società: tu, come socio o amministratore, non rispondi con il tuo patrimonio personale, salvo casi particolari . Quindi i tuoi beni (casa, conto personale) sono al sicuro dai creditori sociali, a meno che tu abbia firmato delle fideiussioni personali verso qualche creditore (evento molto comune con le banche, che spesso chiedono la garanzia personale dei soci o amministratori) . In tal caso, per quei debiti garantiti, la banca o il creditore potrebbe aggredire anche la tua casa o i tuoi beni se la società non paga, in base al contratto di garanzia. Un altro caso in cui potresti essere coinvolto personalmente è se hai commesso illeciti nella gestione: ad esempio, distrazione di beni aziendali a tuo favore, confusione tra patrimonio aziendale e personale, oppure prosecuzione abusiva dell’attività nonostante perdite gravi con aumento del buco – situazioni che possono portare a una tua responsabilità patrimoniale diretta (azione di responsabilità per mala gestio, o addirittura in casi estremi la “revisione” della limitazione di responsabilità, ad esempio con l’azione per abuso di personalità giuridica, sebbene quest’ultima sia rara in Italia) . Ma in generale, finché ti attieni alla legge, la S.r.l. fa da “schermo”: i creditori attaccano la società, non te.
Se invece l’azienda è una ditta individuale o una società di persone (S.n.c., S.a.s.), tu (titolare o socio illimitatamente responsabile) rispondi personalmente dei debiti d’impresa: significa che, in mancanza di beni aziendali sufficienti, i creditori possono pignorare i tuoi beni personali . Dunque, in quel caso, la tua casa e altro patrimonio privato sono effettivamente a rischio per soddisfare i debiti aziendali. Anche qui però esiste la possibilità dell’esdebitazione: se, ad esempio, la tua ditta individuale viene sottoposta a liquidazione controllata (il “fallimento” delle imprese minori) o a liquidazione giudiziale, dopo la chiusura della procedura potresti ottenere la cancellazione dei debiti residui e ripartire, senza che i creditori possano più toccare i beni futuri (ovviamente quelli già pignorati/venduti nella procedura sono andati) . In sintesi: con una società di capitali, di norma i creditori non possono costringerti a vendere casa per i debiti sociali (salvo tue garanzie personali o gravi irregolarità gestionali); con una ditta individuale o società di persone, sì: il tuo patrimonio è confuso con quello aziendale e quindi direttamente aggredibile. Ricorda infine che, se hai prestato fideiussione personale per un debito sociale (ad es. un mutuo bancario della S.r.l.), quella garanzia è efficace a prescindere dal tipo di società: il creditore potrà rivalersi su di te come garante secondo i termini del contratto di fideiussione, pur se la società è una S.r.l. (la quale di per sé proteggerebbe il socio, ma la fideiussione è un’obbligazione autonoma) .
D: L’azienda non riesce a pagare le imposte e soprattutto l’IVA: rischio conseguenze penali?
R: Alcuni omessi pagamenti di imposte possono avere rilevanza penale se superano determinate soglie previste dal D.Lgs. 74/2000 (la legge sui reati tributari) . In particolare, come detto: l’omesso versamento di IVA per un importo superiore a €250.000 per ciascun periodo d’imposta è un reato; analogamente, l’omesso versamento delle ritenute fiscali operate (es. trattenute IRPEF su stipendi) oltre €150.000 annui è reato . Quindi, se la tua azienda – per mancanza di liquidità – non versa l’IVA dichiarata o le ritenute, e gli importi accumulati superano quelle soglie in un anno d’imposta, puoi essere chiamato a risponderne penalmente in qualità di legale rappresentante . Da notare: il mancato versamento dei contributi INPS trattenuti ai dipendenti oltre ~€10.000 annui è anch’esso reato (legge 1994 n. 676, art. 2 co.1-bis D.L. 463/1983), pur se punito più lievemente.
Va detto che c’è la possibilità di evitare la punibilità se paghi integralmente il dovuto (imposta + interessi + sanzioni) entro una certa data. Precisamente, la legge prevede (art. 13 D.Lgs. 74/2000) che se versi tutto entro la scadenza della presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo, scatta una causa di non punibilità . Ad esempio, se non hai versato l’IVA 2024 per 300.000 €, hai tempo fino al termine per presentare la dichiarazione IVA 2025 per metterti in regola ed evitare il processo penale . Chiaramente, però, questo richiede risorse che potresti non avere.
All’interno di un concordato preventivo, una volta presentata domanda, i pagamenti di debiti fiscali richiedono autorizzazione del tribunale, quindi difficilmente potresti colmare quell’omissione durante la procedura (non puoi decidere di pagare l’IVA arretrata fuori piano) . In compenso, come accennato, la legge fallimentare e il CCII prevedono che se esegui il concordato preventivo integralmente, pagando anche almeno il 10% dei debiti IVA e il 30% delle ritenute (soglie richieste se la maggior parte del tuo fatturato non è verso consumatori privati), il reato di omesso versamento IVA si estingue . È un meccanismo introdotto per incentivare il risanamento: se attraverso la procedura concorsuale riesci comunque a pagare una parte significativa dell’imposta evasa e completi il concordato con successo, non sarai punito penalmente per quell’omissione .
In sintesi, il rischio penale c’è per IVA e ritenute non versate oltre soglia, ma hai strumenti per mitigarlo: puoi tentare il pagamento tardivo integrale (se trovi le risorse) oppure inserire il debito in un concordato assicurando le percentuali necessarie di soddisfo. Al di fuori di questi casi (es. IRES o IRAP non versate) non c’è reato penale, ma solo sanzioni amministrative. Attenzione però anche ai reati di bancarotta: se si arriva alla liquidazione giudiziale, comportamenti come la distrazione di beni aziendali, i pagamenti preferenziali a taluni creditori prima del fallimento, l’occultamento delle scritture contabili, possono configurare reati fallimentari a carico degli amministratori . Il consiglio è di mantenere una condotta trasparente e documentare tutto: la legge premia l’imprenditore che affronta la crisi onestamente (persino con l’esdebitazione di cui abbiamo parlato) .
D: La banca ha revocato i fidi e vuole rientrare subito, causando il collasso della liquidità. Posso obbligarla a ripristinare il credito?
R: Purtroppo no, non esiste un modo per costringere contrattualmente una banca a mantenere aperte linee di fido “revocabili a discrezione” se ha deciso di revocarle (purché lo faccia nel rispetto delle condizioni contrattuali di preavviso, ecc.). Però, grazie alle nuove norme, durante una procedura di composizione negoziata o un concordato preventivo si può ottenere una tutela specifica. In composizione negoziata, come detto, le banche non possono revocare o ridurre le linee di credito durante le misure protettive concesse . Quindi, per esempio, se la banca ha inviato la revoca dell’affidamento ma tu riesci ad attivare subito la composizione negoziata e ottenere le misure protettive, la banca dovrebbe sospendere la revoca per il periodo protetto (salvo giustificazioni di vigilanza) . Nel concordato preventivo, già con il solo deposito della domanda “in bianco” la banca deve astenersi da azioni esecutive e non può compensare forzatamente i saldi di conto (oltre certi limiti), perché si entra in fase protetta e vige il divieto ex art. 54 CCII. Detto ciò, non puoi obbligarla a ridarti il fido tolto: puoi però cercare di ottenere nuova finanza altrove con la garanzia della prededuzione. Ad esempio, durante la composizione negoziata, potresti trattare con un’altra banca o con soci per un finanziamento ponte che, se autorizzato dall’esperto, sarà prededucibile (viene prima di tutto negli eventuali rimborsi) . Anche nel concordato, puoi prevedere nuovi finanziamenti in prededuzione (art. 99 CCII) per sostituire quelli revocati.
In pratica, quello che puoi fare è: appena vedi la banca ostile, anticiparla attivando uno strumento di crisi che la vincoli a congelare la situazione. Durante la composizione negoziata, potresti negoziare con la banca un mantenimento temporaneo delle linee presentando un piano credibile (e l’esperto spesso aiuta a convincere la banca, proponendo ad es. di rendere prededucibili le nuove esposizioni) . Ma un obbligo legale di rifinanziarti non c’è. Quindi, ricapitolando: puoi fermare la richiesta immediata di rientro della banca entrando sotto il cappello protettivo di una procedura; però non puoi pretendere che la banca ripristini un affidamento se lo ha revocato. Dovrai cercare fonti alternative di liquidità (altre banche, l’imprenditore stesso con mezzi propri, nuovi soci, ecc.) oppure ridurre il fabbisogno modulando i pagamenti su fornitori e Fisco (sempre però muovendoti dentro un quadro legale – come un concordato – per evitare atti pregiudizievoli) .
D: Qual è la differenza tra concordato preventivo e fallimento (liquidazione giudiziale) per quanto riguarda i debiti residui?
R: Come accennato, nel concordato preventivo, se la procedura va a buon fine (viene omologata e poi completamente eseguita) l’azienda esce dalla procedura avendo pagato quanto stabilito e i creditori non possono più avanzare pretese per la parte di credito che è stata tagliata . In altre parole, il concordato preventivo ha effetto liberatorio: ciò che non è stato pagato perché falcidiato dal piano è definitivamente perdonato . Diversamente da alcune giurisdizioni anglosassoni, qui non c’è bisogno di un atto separato di discharge: è l’omologa e l’esecuzione del piano stesso che liberano il debitore dalle obbligazioni eccedenti. L’azienda quindi continua ad esistere senza quei debiti (si dice che “stralcia” i debiti in eccedenza). Dal punto di vista legale, si può dire che il concordato è un accordo novativo: i creditori accettano di sostituire ai vecchi crediti le nuove condizioni del piano e, una volta adempiute queste, null’altro è dovuto loro.
Nel fallimento (liquidazione giudiziale), invece, non c’è un accordo di remissione volontaria da parte dei creditori. Quindi, tecnicamente, se dopo aver liquidato tutto il patrimonio del fallito i creditori ricevono ad esempio il 20%, il restante 80% del credito rimane insoddisfatto e teoricamente dovuto . La società fallita, però, viene cancellata dal Registro Imprese e cessa di esistere – quindi quei debiti rimangono solo “sulla carta” senza un soggetto giuridico da perseguire . Tuttavia, per un imprenditore individuale o un socio illimitatamente responsabile, quei debiti residui (nell’esempio l’80%) restano debiti personali suoi finché non ottiene l’esdebitazione . L’esdebitazione nel fallimento è l’atto del tribunale che cancella i debiti residui del fallito meritevole: va chiesta dopo la chiusura della procedura e generalmente viene concessa se il fallito ha cooperato e non ha commesso irregolarità gravi . Se concessa, quei debiti si estinguono e il fallito riacquista la capacità patrimoniale libera. Se negata (casi rari di frode, dolo, ecc.), quei debiti formalmente restano e potrebbero essere azionati su eventuali beni futuri dell’ex imprenditore (anche se di fatto è raro, perché i creditori ormai hanno chiuso la procedura e difficilmente tornano alla carica) .
In conclusione: nel concordato l’azienda sopravvissuta è libera dai vecchi debiti (questo è proprio lo scopo: “pulire” l’azienda indebitata e rilanciarla); nel fallimento la procedura liquida tutto e chiude la vita dell’impresa, i debiti per la parte non pagata si estinguono di fatto con la fine del soggetto giuridico (o vengono cancellati con l’esdebitazione del fallito persona fisica) . Da aggiungere che, dopo un concordato eseguito, l’azienda di solito può anche ottenere certificazioni di avvenuto risanamento (ad esempio per gare pubbliche), superando lo stigma del passato: la legge riconosce che dopo l’omologazione e l’esecuzione il debitore è risanato . Invece, un fallimento concluso con esdebitazione chiude la partita ma l’impresa è cessata.
D: Quanto tempo ci vuole per risolvere la situazione debitoria con queste procedure?
R: I tempi variano molto a seconda dello strumento scelto e della complessità del caso. Indicativamente:
- Una composizione negoziata dura al massimo 6 mesi prorogabili di altri 6 (quindi fino a 1 anno) . Molte composizioni, se la situazione è gestibile, si chiudono in 3-4 mesi con un accordo privato o con l’accesso ad altra procedura. Se poi sfocia in un accordo omologato o in un concordato, vanno aggiunti i tempi di quelle fasi successive. Quindi la CNC è veloce (pochi mesi) ma potrebbe essere solo l’inizio di un percorso.
- Un accordo di ristrutturazione standard richiede il tempo per raccogliere le adesioni (poche settimane fino a qualche mese, a seconda del numero di creditori da convincere) e poi l’omologazione giudiziale. La legge prevede che il tribunale decida sull’omologa entro 4 mesi dal deposito (salvo proroghe se ci sono opposizioni). Quindi in totale, diciamo, 6-8 mesi si può chiudere, a volte meno se c’è urgenza e consenso alto.
- Un concordato preventivo è più lungo: dalla presentazione alla sentenza di omologa spesso passano tra 6 e 12 mesi . Ci sono vari passaggi: fino a 120-180 giorni se presenti prima il “concordato in bianco” per poi depositare il piano; poi l’istruttoria, l’adunanza dei creditori (di solito fissata 60-90 giorni dopo l’ammissione); il voto dei creditori, eventuali adesioni tardive (entro 20 giorni), eventuali opposizioni, e infine l’omologa. In pratica, la media nazionale per un concordato preventivo è attorno a 8-10 mesi dall’inizio all’omologa . Per aziende molto grandi e piani complessi si può sforare oltre un anno; per piccole imprese con concordati semplificati si può anche chiudere in 5-6 mesi . Durante questo tempo, comunque, l’impresa può operare (se in continuità) e i creditori sono congelati, quindi l’importante è sopravvivere fino all’omologa.
- Una liquidazione giudiziale (fallimento) è notoriamente la più lunga e aleatoria: dipende dall’attivo da liquidare e dalle cause legali eventualmente da affrontare (revocatorie, cause di responsabilità, ecc.). Può durare da 1-2 anni per casi semplici con pochi beni, fino a 5-6 anni o oltre per casi complessi . La media dei fallimenti in Italia storicamente è intorno a 5-7 anni . Ci possono essere riparti parziali a favore dei creditori nel frattempo, ma la chiusura completa richiede tempo. Dal punto di vista del creditore, il fallimento è spesso la via più lenta; dal punto di vista del debitore, questi perde subito l’azienda (nel senso che il curatore prende in mano la gestione, quindi per lui l’incubo finisce in un certo senso presto) ma la definizione finale (esdebitazione) arriva solo a procedura conclusa, quindi anni dopo .
Riassumendo: se vuoi risolvere rapidamente e mantenere il controllo, le strade migliori sono la trattativa stragiudiziale o la composizione negoziata (pochi mesi). Il concordato è intermedio (quasi un anno, ma nel frattempo i creditori sono bloccati e l’azienda è protetta). Il fallimento è il più lungo ma tu personalmente non dovrai gestirlo (gestirà il curatore, però dovrai aspettare per l’esdebitazione) . Agire in anticipo comunque aiuta: predisporre un piano di risanamento richiede qualche mese di analisi e negoziato, quindi prima inizi (ad es. consultando esperti, attivando la composizione negoziata) prima potrai concludere .
D: La mia azienda è molto piccola, con meno di 5 dipendenti e 200k € di fatturato; so che prima non era “fallibile”. Cosa cambia per me?
R: Le piccolissime imprese (che non superano i parametri di cui sopra: attivo €300k, ricavi €200k, debiti €500k) restano escluse dalla liquidazione giudiziale classica . Questo però non significa che siano immuni dalle azioni dei creditori, ma solo che non può essere aperta la procedura di fallimento in tribunale. In caso di insolvenza di queste micro-imprese, il Codice della crisi prevede comunque procedure dedicate di sovraindebitamento (ora chiamate “strumenti di regolazione della crisi per debitori minori”) . In particolare: la liquidazione controllata del sovraindebitato e il concordato minore. Inoltre c’è il piano del consumatore se il debitore è persona fisica estranea all’attività d’impresa.
Nel tuo caso, se la tua ditta individuale o piccola società “non fallibile” ha troppi debiti e non riesce a pagarli, puoi comunque:
- accedere alla composizione negoziata (è aperta a tutte le imprese, senza limiti dimensionali; ed è anzi fortemente consigliata anche ai piccoli, come strumento di allerta precoce) . Il correttivo 2024 ha eliminato alcune incertezze: oggi anche un imprenditore sotto soglia che avvia la composizione negoziata può poi, se serve, concluderla con un concordato minore o una liquidazione controllata, evitando un vuoto di tutela;
- proporre un concordato minore (art. 74 CCII), che è simile concettualmente a un concordato preventivo ma su scala ridotta: opera tramite l’OCC, davanti al tribunale, con meno formalità e vincoli (ad es. di regola deve offrire almeno il 20% ai chirografari se liquidatorio) . Non c’è voto dei creditori ma solo un giudizio di omologazione (i creditori possono fare osservazioni). Serve che tu sia meritevole (non devi aver provocato la crisi con colpa grave o frode). È uno strumento ideale per piccoli imprenditori onesti sopraffatti dai debiti;
- oppure avviare (o subire su istanza di creditori o OCC) la liquidazione controllata: la tua attività cesserebbe, un liquidatore vende i beni e paga i creditori secondo l’ordine dei privilegi . Tu come persona fisica puoi chiedere l’esdebitazione a fine procedura (anche se i creditori non sono stati pagati per intero, tipicamente saranno pagati poco). Finché hai cooperato e non hai frodato, l’esdebitazione viene data liberamente ai sovraindebitati. Esiste anche, come dicevamo, la possibilità dell’esdebitazione del debitore incapiente (art. 282 CCII) per essere liberato subito se non hai nulla da liquidare . Quindi, in un certo senso, le persone fisiche piccole hanno oggi tutele maggiori rispetto a prima (prima rischiavano pignoramenti a vita; ora c’è la liberazione dai debiti in tempi relativamente brevi).
In pratica, i creditori non possono costringerti a un fallimento, ma possono comunque farti male con esecuzioni individuali (pignoramenti). Le procedure minori servono a coordinare la crisi evitando una macelleria tra creditori e dando a te la chance di ripartire pulito. Se non fai nulla, resti esposto ai pignoramenti su stipendio, casa, ecc. Se invece entri in una procedura con l’OCC, ottieni la sospensione delle azioni esecutive e alla fine l’esdebitazione . Quindi, direi: non fallibile non vuol dire invulnerabile, vuol dire che seguirai percorsi diversi per uscire dalla crisi. Ad esempio, l’OCC potrebbe aiutarti a stendere un piano che offre un pagamento parziale ai creditori (es. 30% in 4 anni) e il giudice può omologarlo anche senza il consenso formale di tutti, purché sia conveniente per loro rispetto alla tua eventuale liquidazione personale . Così metti la parola fine ai debiti in modo ordinato.
D: I fornitori non mi consegnano più materiale a causa di fatture arretrate. Come posso convincerli a continuare a rifornirmi mentre risolvo la crisi?
R: Questa è una situazione comune nelle crisi: la mancanza di liquidità porta ritardi nei pagamenti, i fornitori perdono fiducia e minacciano di interrompere le forniture essenziali, mettendo ancora più a rischio la continuità aziendale . Ci sono alcuni strumenti utili per fronteggiarla:
- Nel contesto di una composizione negoziata, come già accennato, puoi individuare i contratti di fornitura essenziali e chiedere al tribunale di autorizzarti a pagarli regolarmente in prededuzione (ossia con precedenza su tutti gli altri crediti) oppure di escludere la loro risoluzione per i debiti pregressi . L’art. 19 CCII infatti prevede che, se hai ottenuto misure protettive, i creditori non possono sospendere o sciogliere unilateralmente i contratti pendenti per inadempienze pregresse . Ciò significa che, se esiste un contratto di fornitura continuativa (per esempio un accordo quadro di consegna mensile di billette d’acciaio necessarie alla tua produzione) e tu sei in composizione negoziata con le misure protettive attive, il fornitore non può risolvere il contratto adducendo che non hai pagato le fatture precedenti . Puoi quindi informarlo di questa tutela legale e chiedergli di continuare a fornire. Naturalmente dovrai però pagare regolarmente le forniture correnti (quelle durante la procedura) perché quelle sono coperte da prededuzione ma vanno onorate, altrimenti il giudice può autorizzare la risoluzione del contratto .
- Analogamente, in un concordato preventivo con continuità, puoi chiedere al tribunale un provvedimento che obblighi i contraenti a rispettare i contratti pendenti: l’art. 108 CCII consente, nei concordati in continuità, di mantenere in essere i contratti necessari e i fornitori non possono rifiutarsi di eseguire la loro parte contrattuale solo perché vantano crediti pregressi non pagati (anche qui, salvo che tu non paghi le forniture correnti autorizzate in prededuzione). Quindi se hai, ad esempio, un contratto di fornitura di materie prime strategiche, puoi ottenere che il giudice ordini che quel contratto prosegua.
- Puoi anche offrire ai fornitori delle garanzie migliorative per le forniture nuove: ad esempio, proporre pagamenti anticipati all’ordine per le prossime consegne (se hai un minimo di liquidità per il corrente) oppure pagamenti contestuali alla consegna (cash on delivery), o ancora far sì che i pagamenti correnti siano autorizzati dal tribunale come prededucibili (cosa che avviene automaticamente se forniture rese durante il concordato o CNC) . In pratica devi far capire al fornitore: “d’ora in poi sarai pagato puntualmente e prima degli altri”. Nel concordato o accordo, i crediti dei fornitori per beni/servizi forniti durante la procedura sono prededucibili di legge – comunica loro questo fatto, perché può rassicurarli: significa che se anche tu fallissi poi, quei crediti sarebbero tra i primi a essere pagati, avanti rispetto ai vecchi creditori .
- Dal punto di vista relazionale, come sottolineato, è fondamentale una comunicazione onesta e propositiva: spiega ai fornitori la tua situazione ma anche le mosse in corso per risolverla (ad esempio che hai attivato la composizione negoziata o presentato un concordato, e quindi hai un piano sotto controllo del tribunale) . I fornitori spesso, se vedono serietà e una prospettiva di recuperare almeno una parte dei loro crediti pregressi, preferiscono mantenere il cliente in crisi piuttosto che perderlo e incassare poco o nulla dal fallimento . Potresti proporre loro: “continuate a fornirmi, vi pago il nuovo materiale puntualmente, e per il vecchio vi includo nel piano di rientro che sto preparando, offrendovi ad esempio il 30% in 2 anni” . Se fai questa proposta dopo aver depositato un concordato, i fornitori hanno la certezza che non puoi deviare da quel piano (perché sarà vigilato dal tribunale), il che li rassicura ulteriormente .
– In estrema sintesi: la legge tutela la continuità aziendale prevedendo che i fornitori essenziali non possano interrompere le forniture solo per i debiti pregressi durante la fase protetta . Usa questa norma a tuo favore: comunica per iscritto al fornitore, magari tramite l’avvocato, che hai avviato la procedura X, che il contratto in essere è protetto e che sei disponibile a onorare regolarmente le forniture correnti se lui rispetta il contratto . Contemporaneamente, rassicuralo offrendo condizioni sicure per il nuovo (pagamento alla consegna, piccoli bonus) e includendolo equamente nel piano per il pregresso (stessa percentuale degli altri). Spesso, combinando aspetti legali e di fiducia, si riesce a mantenere i flussi di forniture: dopotutto anche al fornitore conviene continuare a vendere – magari perde qualcosa sul passato, ma salva il cliente per il futuro .
D: Se riesco a far approvare un concordato o un accordo, la mia azienda sarà “pulita” dai debiti? Potrò ottenere nuovi fidi in futuro o rimarrò marchiato?
R: Una volta eseguito con successo un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione omologato, l’azienda risulta liberata dai debiti residui anteriori (a meno che tu non abbia volutamente escluso qualche credito dalla procedura, cosa rara) . Legalmente, quei creditori non possono più avanzare pretese oltre quanto hanno ricevuto. La società può quindi ripartire con una struttura patrimoniale risanata. Dal punto di vista pratico, però, la reputazione creditizia può restare temporaneamente compromessa.
– Le banche e le centrali rischi avranno segnalato la precedente sofferenza o ristrutturazione. Tuttavia, se il risanamento riesce, col tempo (diciamo qualche anno di bilanci positivi e storico di pagamenti regolari) l’azienda può riconquistare la fiducia . In genere, molte banche considerano un concordato eseguito come un fatto negativo storico ma superato: dopo, ad esempio, 2-3 anni di buona gestione e rispetto dei nuovi impegni, possono tornare a concedere credito, specie se magari c’è stato un cambiamento nella compagine sociale o nel management (cosa che indica discontinuità in meglio) .
– I fornitori potrebbero, inizialmente, pretendere pagamenti anticipati o a vista per riprendere a dare fiducia, oppure chiedere garanzie (come un’assicurazione del credito) . Sta a te ricostruire la credibilità: onorando scrupolosamente tutti i nuovi impegni e mostrando bilanci in attivo post-risanamento, pian piano i partner allenteranno le cautele. Spesso, dopo un concordato, le imprese operano per un po’ solo su basi di cassa (pagano tutto anticipato o alla consegna) finché i fornitori non tornano a offrire fidi .
– Dal punto di vista legale, sì: l’effetto esdebitatorio dell’omologa (e soprattutto dell’adempimento) del concordato è che i creditori chirografari perdono definitivamente la parte falcidiata e i privilegiati anche per l’eventuale parte non coperta . Quindi l’azienda è pulita dai debiti anteriori. Nel caso di accordo di ristrutturazione, è simile: l’accordo omologato ha forza di legge tra le parti e se prevedeva stralci, quelli sono definitivi . Ovviamente c’è la condizione che tu esegua effettivamente l’accordo o il concordato secondo i patti: se non lo fai e la procedura si risolve o viene annullata, allora si torna al punto di partenza (anzi peggio, finendo probabilmente in fallimento come dicevamo). Ma supponendo che tutto vada bene, l’ordinamento ti riconosce una seconda chance. Ad esempio, un’azienda che ha subito un concordato non è per sempre esclusa dagli appalti pubblici; può certificare l’avvenuto risanamento e tornare a concorrere (il Codice Appalti richiede di provare di aver superato la crisi per rimuovere le cause ostative) . Anche il casellario informatico dei protesti, se c’erano assegni o cambiali non pagate, si “pulisce” dopo un certo periodo. Insomma, ordinamento e prassi permettono di tornare affidabili.
In conclusione, sì: dopo l’omologa e soprattutto dopo l’esecuzione completa del piano di risanamento, la tua azienda potrà considerarsi liberata dai vecchi debiti ed essere nuovamente affidabile. Non sarai marchiato a vita (non esiste un casellario giudiziario per le società; e comunque l’importante è dimostrare il cambiamento). Sarà compito tuo, con risultati concreti, dimostrare al mercato che la crisi è alle spalle. Coinvolgere un nuovo investitore o socio di capitale dopo il concordato aiuta molto, perché segnala discontinuità e rafforza il patrimonio . Anche dotarsi di bilanci certificati da un revisore indipendente, rispettare pienamente tutti i nuovi obblighi fiscali/contributivi, e magari migliorare la governance, sono segnali che rassicurano banche e partner . In altre parole, il passato inciderà per un po’, ma non sarà un marchio indelebile: se l’azienda torna a performare bene e a gestire oculatamente la finanza, la fiducia verrà gradualmente ripristinata.
Conclusioni: difendersi dai debiti è possibile, con strategia e tempestività
Affrontare una situazione di indebitamento grave può sembrare un compito schiacciante per l’imprenditore, ma la legislazione attuale offre una serie di strumenti sofisticati per farlo in modo ordinato e persino incentivato. La chiave del successo sta nella tempestività: prima si agisce, più opzioni sono sul tavolo . Un’azienda di profilati metallici in difficoltà dovrebbe anzitutto analizzare – con l’aiuto di professionisti – la propria situazione finanziaria, quindi scegliere la strada più adatta: iniziando magari con negoziazioni assistite (composizione negoziata) e tenendo in riserva l’opzione del concordato se serve un intervento più deciso .
Dal punto di vista pratico: – Non isolarsi: comunicare con i creditori, mostrando un atteggiamento collaborativo e trasparente. Spesso i creditori preferiscono trovare un accordo (anche se comporta rinunce) piuttosto che spingere un’impresa alla rovina e recuperare poco o nulla. Il nuovo codice incoraggia anche i creditori finanziari ad avere un comportamento corretto in trattativa, e sanziona l’inerzia col rischio di preclusioni (ad esempio, nel cram-down fiscale se il Fisco rifiuta senza motivo viene bypassato dal giudice) . – Farsi assistere da esperti: la materia è complessa (lo dimostra la lunghezza di questa guida!). Commercialisti, avvocati d’affari, advisor finanziari sono figure cruciali per valutare la fattibilità di un piano di rientro e per condurre efficacemente le trattative . Inoltre, alcune procedure richiedono obbligatoriamente il loro coinvolgimento (l’attestatore nel concordato o nell’accordo; l’esperto indipendente nella composizione negoziata; l’OCC nel sovraindebitamento). Anche interfacciarsi con il sistema bancario per ristrutturare i debiti è più efficiente se si hanno advisor che parlano la stessa lingua delle banche . – Considerare l’impatto di ogni scelta: ad esempio, preferire un accordo extragiudiziale “discreto” rispetto a un concordato potrebbe ritorcersi contro se poi pochi creditori lo rispettano e la situazione degenera; all’opposto, lanciare subito un concordato senza aver sondato i creditori potrebbe portare a un voto negativo. Quindi la strategia spesso è progressiva: sondaggio informale dei principali creditori → se c’è apertura, magari composizione negoziata assistita → se c’è sufficiente consenso, accordo omologato; se non c’è ma l’azienda è salvabile, concordato preventivo; se l’azienda non è salvabile, allora concordato liquidatorio o liquidazione . Ogni passo ha il suo momento opportuno.
In definitiva, difendersi dai debiti è possibile purché si agisca con lungimiranza e tempestività. La legge italiana, aggiornata agli standard europei, mette a disposizione dell’imprenditore strumenti per negoziare, ristrutturare e persino cancellare i debiti, preservando quando possibile la continuità aziendale. Il debitore deve però fare la sua parte: essere proattivo, onesto e farsi affiancare da professionisti competenti. In questo modo, un’azienda di profilati metallici oppressa dai debiti oggi può diventare, domani, un’azienda risanata e pronta a ripartire sul mercato senza l’ombra del passato.
Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate a ottobre 2025)
Normativa di riferimento:
– Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), come modificato dai successivi decreti correttivi (D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 83/2023 e D.Lgs. 136/2024).
– Decreto Legge 24 agosto 2021, n. 118, conv. in L. 147/2021 – Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e risanamento aziendale (ha introdotto la composizione negoziata).
– Direttiva (UE) 2019/1023 sulla ristrutturazione e insolvenza, recepita nel CCII (principi generali recepiti: es. cram-down cross-class e protezione dei nuovi finanziamenti).
– Codice Civile – artt. 2446-2447, 2482-bis, 2486 c.c. (obblighi e responsabilità in caso di perdita del capitale sociale e in caso di gestione durante la crisi); artt. 2740-2741 c.c. (responsabilità patrimoniale dell’imprenditore e par condicio creditorum); principali privilegi mobiliari e immobiliari: es. art. 2751-bis c.c. (crediti di lavoro), art. 2752 c.c. (crediti tributari), art. 2753 c.c. (contributi previdenziali), art. 2777 c.c. (ordine dei privilegi sui beni immobili).
– Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993) – art. 41, comma 2 (credito fondiario e privilegio processuale per le banche su beni ipotecati) .
– Legge Fallimentare R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (abrogata dal CCII dal 15 luglio 2022, ma rilevante per principi generali e per procedimenti pendenti iniziati prima di tale data).
– D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – art. 19 (rateizzazione delle cartelle esattoriali fino a 72 o 120 rate; condizioni per debiti > €60.000 e > €120.000) .
– D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) – art. 88, comma 4-ter e art. 101, comma 5 (le rinunce ai crediti conseguenti ad accordi di ristrutturazione o concordati preventivi omologati non sono imponibili per il debitore; le perdite dei creditori su crediti in procedure concorsuali sono deducibili fiscalmente) .
– D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Decreto IVA) – art. 26 (note di variazione IVA in caso di procedure concorsuali: consente ai fornitori di emettere note di credito per l’IVA su crediti non riscossi a seguito di concordato, fallimento e – dal 2021 – anche composizione negoziata, grazie alle modifiche del D.L. 73/2021 convertito) .
– D.Lgs. 74/2000 – art. 10-bis e 10-ter (omesso versamento di ritenute e di IVA come reati oltre soglie di €150k e €250k rispettivamente); art. 13 (cause di non punibilità per integrale pagamento del debito tributario prima del dibattimento) .
– Codice Penale (richiamato dal CCII per i reati concorsuali) – artt. 216-217 R.D. 267/42 (reati di bancarotta fraudolenta e semplice, ora trasfusi negli artt. 322-323 CCII); art. 236 L.F. (ricorso abusivo al credito, ora art. 324 CCII); art. 218 L.F. (causa di non punibilità per concordato preventivo eseguito con pagamento minimo 10% IVA e 30% ritenute, introdotta dal D.Lgs. 83/2022, ora principio accolto nell’art. 322 CCII) .
Principali sentenze giurisprudenziali citate:
– Cass., Sez. I civ., 15 maggio 2023, n. 13154: in tema di accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis L.Fall., ha stabilito che la relazione dell’attestatore deve verificare specificamente l’idoneità del piano a garantire il pagamento integrale dei creditori estranei contrattualizzati entro i termini di legge . (Attestazione puntuale richiesta su creditori estranei con accordi bilaterali; in caso contrario l’omologazione va negata).
– Cass., Sez. V trib., 29 novembre 2023, n. 33303: ha dichiarato cessata la materia del contendere in un giudizio tributario quando, nelle more del ricorso in Cassazione, è intervenuta l’omologazione di un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale ex art. 182-ter L.Fall., che di fatto ha definito il debito oggetto di lite . (Effetto dell’accordo omologato sui debiti fiscali litigiosi: estinzione del contenzioso per sopravvenuta definizione dell’obbligazione in sede concorsuale).
– Cass., Sez. I civ., 19 agosto 2024, n. 22914: ha confermato che il privilegio processuale del credito fondiario ex art. 41 TUB si applica anche alle nuove procedure introdotte dal CCII: sia nella liquidazione giudiziale (ex fallimento) sia nella liquidazione controllata del sovraindebitato . La pronuncia richiama l’art. 150 CCII e l’art. 270 co. 5 CCII (che hanno sostituito i termini “fallimento” con “liquidazione giudiziale” in tutte le norme vigenti, incluso l’art. 41 TUB) . (Il creditore fondiario può proseguire l’esecuzione immobiliare anche se il debitore è ammesso a liquidazione giudiziale o controllata; la riforma non ha abrogato tale privilegio).
– Cass., Sez. I civ., 17 dicembre 2024, n. 32996: (richiamata in dottrina, v. Diritto Bancario, 3/2/2025) sul destino degli accordi di ristrutturazione omologati in caso di successivo fallimento: ha affermato che l’apertura della liquidazione giudiziale risolve l’accordo e i creditori aderenti possono insinuarsi al passivo solo per la parte di credito residua secondo l’accordo omologato, senza poter reclamare l’intero originario . (Principio di cristallizzazione degli effetti dell’accordo fino alla risoluzione per fallimento: lo stralcio pattuito rimane valido, i creditori non riacquistano automaticamente il diritto al 100%).
– Cass., Sez. Un. civ., 9 febbraio 2023, n. 4081: (Ordinanza) ha ribadito che dal momento della presentazione di una domanda di concordato preventivo il debitore è in regime di protezione: gli atti di pagamento di debiti fiscali scaduti senza autorizzazione del tribunale non sono consentiti, e perciò il debitore non decade da un piano di rateizzazione fiscale per il solo fatto di aver sospeso i pagamenti dopo il deposito della domanda di concordato . Conseguentemente, sono illegittime le sanzioni e la decadenza comminate dal Fisco per il mancato pagamento in pendenza di concordato . (Tutela del debitore che sospende i pagamenti al Fisco durante il concordato: non perde i benefici delle dilazioni e non va sanzionato).
– Corte d’Appello di Lecce, 26 marzo 2025: ha statuito che nel concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) è ammissibile la falcidia dei debiti tributari anche in assenza di una specifica transazione fiscale, purché sia garantito il rispetto della causa di prelazione e della convenienza rispetto alla liquidazione . Ciò colma un vuoto normativo del concordato semplificato, chiarendo che anche IVA e tributi possono essere stralciati se il piano lo giustifica e rispetta l’ordine dei crediti.
– Corte d’Appello di Milano, 25 maggio 2025: (menzionata da Unijuris) ha applicato retroattivamente il principio del cram-down fiscale introdotto dal D.Lgs. 136/2024 anche a concordati in continuità aperti prima della riforma, ritenendo che il tribunale possa omologare forzosamente il concordato nonostante il voto contrario di Fisco/INPS, se il piano è in continuità e soddisfa le condizioni di legge . (Interpretazione evolutiva pro-debitore: subito applicabile il cram-down sui crediti pubblici nei concordati in continuità, anche per procedure pre-riforma, stante la finalità di favorire soluzioni di risanamento).
– Tribunale di Forlì, 14 agosto 2025: (segnalata da Unijuris) ha ritenuto ammissibile, in un accordo di ristrutturazione ex art. 63 CCII, una transazione fiscale che preveda lo stralcio anche di crediti tributari locali (es. IMU), purché l’ente locale interessato abbia stipulato separato accordo col debitore . Ciò conferma la possibilità di inserire nel perimetro dell’accordo anche tributi locali di competenza comunale, coordinando più tavoli negoziali (lo Stato col 182-ter/63 CCII e il Comune con un proprio accordo ai sensi dell’art. 57 CCII richiamato) . (Flessibilità nell’accordo: il debitore può ristrutturare contestualmente debiti verso Agenzia Entrate e verso il Comune, se quest’ultimo aderisce separatamente, rendendo l’accordo “onnicomprensivo”).
– Cass., Sez. I civ., 11 novembre 2025, n. 29746: ha precisato i confini della definizione di “consumatore” nel Codice della crisi. In particolare, ha escluso che possa qualificarsi consumatore la persona fisica che abbia garantito, come fideiussore, i debiti di un’impresa altrui con cui ha un coinvolgimento funzionale: prestare fideiussione per un’attività d’impresa è un atto strumentale all’attività economica del debitore principale, quindi il garante non agisce per scopi personali esclusivamente estranei all’attività imprenditoriale . Ne consegue che tali garanti non possono accedere al piano del consumatore ex art. 67 CCII, dovendo semmai ricorrere ad altri strumenti (es. concordato minore) . (In sostanza: se eri socio/amministratore e hai firmato fideiussioni per la società, non sei considerato “consumatore” nemmeno se ora sei uscito dall’impresa; dunque niente procedura da consumatore, devi usare le procedure da imprenditore). (Dal testo: “La prestazione di fideiussione costituisce vero e proprio atto strumentale all’attività del debitore principale ove il garante sia coinvolto… La definizione di consumatore nel CCII non estende automaticamente la qualifica ai soci o garanti di debiti d’impresa”) .
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Perché un’Azienda di Profilati Metallici va in Debito
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I Rischi se Non Intervieni Subito
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- impossibilità di evadere ordini e mantenere rapporti con i clienti
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Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Con il supporto di un avvocato specializzato è possibile:
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- proteggere conti correnti e liquidità aziendale
- stoppare le iniziative dell’Agenzia Riscossione
Questo è il primo passo per evitare danni irreversibili.
2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti
Molti debiti contengono irregolarità:
- interessi non dovuti
- sanzioni gonfiate o errate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori nelle cartelle esattoriali
- commissioni bancarie anomale
Una parte significativa dell’esposizione può essere ridotta o cancellata legalmente.
3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile
Le soluzioni più efficaci includono:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi con fornitori di acciaio e lavorazioni
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensione temporanea dei pagamenti
- utilizzo delle definizioni agevolate disponibili
4. Usare strumenti legali potentissimi per bloccare TUTTI i creditori
Per crisi più profonde puoi ricorrere a:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di Ristrutturazione dei Debiti
- Concordato Minore
- (nei casi estremi) Liquidazione Controllata
Queste procedure permettono di continuare ad operare pagando solo una parte dei debiti e sospendendo totalmente ogni pignoramento.
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Per salvare un’azienda del comparto siderurgico/metalmeccanico serve un professionista esperto.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Un profilo ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende del settore profilati metallici, dove i margini sono sottili e gli investimenti elevati.
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- trattative con banche, acciaierie, fornitori e Agenzia Riscossione
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