Se la tua azienda produce, importa o distribuisce prodotti siderurgici – lamiere, travi, tubi, profilati, acciai speciali, coils, barre, reti, pannellature, carpenteria metallica e semilavorati per edilizia e industria – e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, devi intervenire immediatamente per evitare il blocco delle forniture e la perdita di clienti strategici.
Nel settore siderurgico, basta un ritardo nelle consegne per fermare cantieri, bloccare carpenterie, rallentare produzioni e generare penali contrattuali molto pesanti.
Perché le aziende siderurgiche accumulano debiti
- aumento del prezzo dell’acciaio e delle materie prime
- rincari della logistica, dei trasporti e dell’energia
- pagamenti lenti da parte di imprese edili, industrie e rivenditori
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
- grandi volumi di stock da mantenere, con alto costo finanziario
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari proporzionati alla necessità di scorte
- investimenti elevati in impianti di taglio, ossitaglio, piegatura e lavorazioni
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista tutta la posizione debitoria
- identificare quali debiti possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro pesanti che drenano la liquidità aziendale
- richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
- proteggere rapporti con fornitori strategici (acciaierie, trasportatori, zincature)
- utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza bloccare la produzione
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di acciaio, coils, tubi e materiali essenziali
- impossibilità di rispettare scadenze e appalti
- perdita di clienti chiave come carpenterie, rivenditori, imprese e industrie
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può aiutarti concretamente a:
- bloccare subito pignoramenti e atti esecutivi
- ridurre, sospendere o ristrutturare i debiti con gli strumenti più efficaci previsti dalla legge
- ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
- proteggere scorte, forniture, impianti e continuità produttiva
- evitare la chiusura e guidare la tua azienda verso un risanamento reale
Agisci ora
Le aziende siderurgiche non falliscono per i debiti, ma per il ritardo con cui intervengono.
Agire subito significa salvare commesse, clienti, appalti e stabilità finanziaria.
👉 La tua azienda è indebitata?
Richiedi oggi stesso una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo e metti in sicurezza la tua azienda di prodotti siderurgici.
Introduzione
Una azienda siderurgica (ad esempio un produttore di laminati o componenti in acciaio) può trovarsi in grave difficoltà finanziaria a causa di debiti accumulati verso fornitori, banche, Fisco, enti previdenziali e altri creditori. In questi casi di crisi d’impresa, l’ordinamento italiano offre una serie di strumenti per difendere il debitore (l’azienda stessa e i suoi amministratori/titolari) dalle azioni dei creditori e tentare un risanamento oppure, nella peggiore delle ipotesi, contenere i danni di una liquidazione. Questa guida – aggiornata a ottobre 2025 – fornisce un’analisi avanzata delle soluzioni legali e delle strategie difensive a disposizione del debitore, utilizzando un linguaggio tecnico-giuridico ma allo stesso tempo divulgativo. È rivolta sia ad avvocati e professionisti, sia a imprenditori privati, e include riferimenti alla normativa italiana vigente, sentenze recenti e casi pratici. Troverete inoltre domande e risposte frequenti, tabelle riepilogative e una simulazione pratica, con il punto di vista incentrato sul debitore che cerca di tutelare la propria azienda indebitata.
Contesto normativo: a partire dal 2020 l’Italia ha rivoluzionato la disciplina della crisi d’impresa con il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, “CCII”), entrato definitivamente in vigore nel 2022. Esso ha sostituito la vecchia Legge Fallimentare del 1942, introducendo sia strumenti di allerta e composizione stragiudiziale (o semi-giudiziale) della crisi, sia procedure concorsuali giudiziarie per regolamentare l’insolvenza . Tra i principi cardine vi è quello di dare all’imprenditore onesto una “seconda chance”, bilanciandolo con la tutela dei creditori . Inoltre, l’art. 2086 c.c. (novellato dalla riforma) impone all’imprenditore collettivo di adottare assetti organizzativi adeguati e di attivarsi tempestivamente per rilevare la crisi e farvi fronte . In altre parole, oggi la legge obbliga l’imprenditore diligente a non restare inerte di fronte ai segnali di insolvenza, ma ad utilizzare per tempo gli strumenti legali – come quelli illustrati in questa guida – per gestire la situazione prima che degeneri.
Struttura della guida: dapprima distingueremo le varie tipologie di debiti aziendali e le possibili conseguenze del loro mancato pagamento. Analizzeremo quindi le azioni tipiche dei creditori (dai solleciti ai pignoramenti fino all’istanza di fallimento) e i rimedi difensivi a disposizione del debitore sul piano processuale (opposizioni, conversione del pignoramento, ecc.). Successivamente passeremo alle soluzioni stragiudiziali – accordi, piani di rientro e strumenti di composizione assistita – e alle principali procedure concorsuali previste dal Codice della Crisi (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione omologati, procedure minori di sovraindebitamento, liquidazione giudiziale), evidenziando come ciascuna possa aiutare un’azienda indebitata a congelare o ridurre i debiti. Dedicheremo focus specifici ai debiti fiscali e previdenziali (verso Erario e INPS), che sono spesso i più problematici, e alle strategie per gestire i debiti verso fornitori, banche e dipendenti. Troverete poi una simulazione pratica di una crisi aziendale con le azioni intraprese dal debitore, seguita da una sezione di FAQ – Domande Frequenti, in cui rispondiamo ai dubbi più comuni. Infine, chiude la guida una sezione con le fonti normative e giurisprudenziali aggiornate (leggi, articoli del Codice, sentenze della Corte di Cassazione e altri provvedimenti) a supporto di quanto affermato.
Nota: la presente è una trattazione di livello avanzato e non sostituisce una consulenza legale specifica. Ogni situazione di crisi ha le sue peculiarità; tuttavia, i principi generali e gli strumenti presentati costituiscono una base solida per capire cosa fare per difendersi dai creditori e come procedere per salvaguardare un’azienda di prodotti siderurgici gravata dai debiti.
Tipologie di debiti aziendali e loro impatto
Un’azienda può accumulare debiti di diversa natura, ciascuno con caratteristiche giuridiche specifiche e differenti conseguenze in caso di inadempimento. Di seguito esaminiamo le principali categorie di debito che interessano una tipica impresa siderurgica, evidenziandone l’impatto sul piano legale e gestionale:
- Debiti commerciali verso fornitori: derivano dall’acquisto di materie prime (es. acciaio, rottami, leghe), merci, servizi e utenze. Di norma sono chirografari (non garantiti da pegni o ipoteche) e a breve termine (fatture a 30-60-90 giorni). Se l’azienda non paga, i fornitori possono interrompere le forniture e agire giudizialmente per il recupero del credito. In un’eventuale procedura concorsuale, i crediti dei fornitori rientrano tra i crediti chirografari ordinari, soddisfatti solo dopo l’integrale pagamento degli eventuali crediti privilegiati (come quelli erariali o con garanzia reale) . In pratica i fornitori, in caso di concordato o fallimento, rischiano di essere pagati solo parzialmente, il che li rende spesso molto attivi nel sollecitare il debitore: un fornitore non pagato potrebbe rapidamente rivolgersi a un legale per ottenere un decreto ingiuntivo o aderire a iniziative collettive con altri creditori. Inoltre, se la lavorazione siderurgica dipende da materie prime critiche (metallo, energia, ecc.), l’interruzione delle forniture può bloccare la produzione, conferendo ai fornitori un forte potere contrattuale.
- Debiti bancari e finanziari: includono mutui ipotecari, finanziamenti, scoperti di conto corrente, leasing su macchinari, derivati e altre forme di credito bancario o parabancario. Spesso questi debiti sono assistiti da garanzie, ad esempio ipoteche su immobili dell’azienda, pegni su macchinari, scorte o crediti, oppure fideiussioni personali prestate dai soci o amministratori . In caso di insolvenza, la banca creditrice può far valere tali garanzie: ad esempio escutere la fideiussione (chiedendo il pagamento direttamente al garante personale) o avviare un’esecuzione forzata sull’immobile ipotecato. I crediti bancari ipotecari o pignoratizi sono privilegiati fino a concorrenza del valore del bene dato in garanzia . Ciò significa che, in una procedura concorsuale, la banca con ipoteca su un capannone aziendale sarà soddisfatta con precedenza sul ricavato della vendita di quell’immobile (fino all’ammontare garantito); l’eventuale residuo del credito (la parte non coperta dal valore del bene) diventa chirografario e verrà pagato pro-quota insieme agli altri creditori chirografi. Invece i debiti bancari senza garanzie reali rientrano interamente tra i chirografari, concorrendo con gli altri creditori generici . Bisogna fare attenzione alla presenza di garanzie personali: se i soci o terzi hanno garantito il debito, la banca potrà escutere direttamente il patrimonio personale dei garanti (case, conti personali, ecc.) non appena l’azienda risulti inadempiente, senza dover attendere l’esito di eventuali procedure concorsuali . Affronteremo più avanti come difendere i garanti; basti qui notare che i debiti bancari con fideiussioni ampliano il rischio oltre la sfera societaria, coinvolgendo il patrimonio personale dell’imprenditore o dei familiari garanti.
- Debiti fiscali verso l’Erario: comprendono le imposte non versate (es. IVA, IRES, IRAP), le ritenute fiscali non versate (ad es. ritenute IRPEF operate sulle buste paga dei dipendenti o sulle fatture dei professionisti) e altre tasse o tributi statali. Questi debiti sono considerati crediti privilegiati a favore dell’Erario: la legge attribuisce allo Stato un privilegio generale sui beni mobili del debitore per le imposte dovute, nonché un’ipoteca legale sugli immobili una volta che il debito tributario viene iscritto a ruolo . In pratica, in caso di procedura concorsuale, il Fisco deve essere soddisfatto prima dei crediti chirografari comuni, almeno nei limiti del valore coperto da privilegio. Inoltre, alcune componenti dei debiti fiscali hanno natura di “credito pubblico indisponibile”: in particolare le ritenute fiscali operate e non versate (ad esempio le ritenute IRPEF trattenute ai dipendenti) non possono essere falcidiate né oggetto di transazione in alcuna procedura . La legge impone che tali somme, trattenute per conto di terzi, siano pagate integralmente. Anche l’IVA è tradizionalmente tutelata: fino a pochi anni fa non era falcidiabile, ma attualmente la sua riduzione è ammessa nei piani concordatari tramite l’istituto della transazione fiscale, purché sia garantito all’Erario un pagamento almeno pari a quello ottenibile in una liquidazione forzata . (Approfondiremo oltre la transazione fiscale). Il mancato pagamento di imposte attiva uno specifico percorso di riscossione coattiva: l’Agenzia delle Entrate–Riscossione (l’ex Equitalia) può iscrivere ipoteca sui beni immobili del debitore, disporre il fermo amministrativo dei veicoli, notificare cartelle esattoriali e, in difetto di pagamento, procedere al pignoramento dei beni aziendali e dei conti correnti, il tutto secondo le norme del DPR 602/1973 . Vi sono però limiti legali alla riscossione esattoriale: ad esempio, l’agente della Riscossione non può pignorare l’unico immobile adibito ad abitazione principale del debitore persona fisica (se non di lusso), né procedere alla vendita di altri immobili se il debito fiscale totale è inferiore a una certa soglia (oggi €120.000) e se non è stata iscritta ipoteca da almeno sei mesi . Tali tutele però valgono per il debitore persona fisica e non proteggono eventuali immobili intestati a una società di capitali (S.r.l., S.p.A.): un capannone intestato alla società può dunque essere ipotecato e pignorato dall’Erario senza i benefici della “prima casa impignorabile” . Inoltre, i debiti fiscali tendono a lievitare nel tempo a causa di interessi di mora e sanzioni amministrative. Lo Stato periodicamente introduce misure di definizione agevolata (le cosiddette rottamazioni delle cartelle) che consentono di ridurre sanzioni e interessi – ne parleremo nel focus fiscale – ma restano comunque tipi di debito molto delicati. Va ricordato infine che omessi versamenti di IVA o di ritenute oltre soglie rilevanti configurano reati tributari a carico degli amministratori (artt. 10-bis e 10-ter D.Lgs. 74/2000): un motivo ulteriore per prestare particolare attenzione a questo tipo di esposizione . Più avanti vedremo come, ricorrendo a certe procedure, sia possibile evitare ai titolari dell’azienda imputazioni penali per tali omissioni, ad esempio includendo il pagamento dell’IVA e delle ritenute nel piano concordatario così da evitare condanne.
- Debiti previdenziali e assistenziali (verso INPS, INAIL ecc.): sono i contributi obbligatori dovuti per i lavoratori dipendenti (contributi INPS, premi assicurativi INAIL) e per i lavoratori autonomi o imprenditori artigiani/commercianti (contributi alle casse previdenziali di categoria). Questi debiti godono anch’essi di privilegio generale al pari dei debiti fiscali e seguono un percorso di riscossione analogo: l’INPS, ad esempio, emette avvisi di addebito che dopo 60 giorni diventano titolo esecutivo per l’Agenzia della Riscossione (senza bisogno di passare dal tribunale) . Il mancato versamento dei contributi comporta sanzioni civili elevate (interessi di mora e somme aggiuntive) e può integrare il reato di omesso versamento di contributi previdenziali (art. 2 D.L. 463/1983) se l’importo non versato supera una soglia (circa €10.000 annui) . A differenza delle imposte, per i contributi previdenziali esiste una specifica causa di non punibilità penale: se il datore di lavoro paga integralmente il dovuto (anche tardivamente) prima che si chiuda il dibattimento penale di primo grado, non viene applicata la pena per omesso versamento contributivo. In ogni caso, nelle procedure concorsuali i debiti contributivi possono essere trattati mediante transazione previdenziale (anch’essa disciplinata dall’art. 63 CCII, insieme alla transazione fiscale) e valgono principi analoghi a quelli tributari: anche per l’INPS le trattenute previdenziali operate ai lavoratori e non versate – ad es. la quota a carico del dipendente, trattenuta in busta paga – non possono essere falcidiate dal concordato . Devono quindi essere comunque pagate al 100%, mentre la parte di contributi dovuti a carico dell’azienda (c.d. quota datoriale) può essere eventualmente oggetto di pagamento parziale nell’ambito di un concordato o accordo, alle condizioni di legge (serve l’autorizzazione del tribunale se l’INPS dissente, ossia è previsto un cram-down contributivo analogo a quello fiscale) . Da un punto di vista operativo, la presenza di debiti verso gli enti previdenziali può creare problemi immediati: un’impresa non in regola con i contributi non ottiene il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva), certificato necessario per lavorare con la Pubblica Amministrazione o partecipare ad appalti pubblici. Un DURC irregolare può precludere commesse importanti e aggravare la crisi. Pertanto, la gestione dei debiti contributivi va affrontata con urgenza, ricorrendo se possibile a strumenti come la rateazione amministrativa (fino a 6 o 10 anni in casi speciali, come vedremo nel focus) o inserendo i contributi in un piano di ristrutturazione, il che permette di congelare temporaneamente le pretese e ottenere magari un DURC provvisorio regolare durante la procedura.
- Debiti verso i dipendenti: includono stipendi e salari non pagati, ratei di tredicesima/quattordicesima, trattamento di fine rapporto (TFR) ed eventuali indennità (ferie maturate, straordinari, ecc.). Questi crediti dei lavoratori godono di privilegi speciali molto forti: le retribuzioni degli ultimi mesi di lavoro e il TFR (entro certi massimali) sono privilegiati ai sensi dell’art. 2751-bis n.1 c.c., costituendo il cosiddetto super-privilegio che prevale persino sulle ipoteche delle banche per la parte indicata dalla legge . In un fallimento o concordato liquidatorio, dunque, i dipendenti hanno diritto di essere soddisfatti prima della quasi totalità degli altri creditori (fisco incluso); inoltre possono accedere al Fondo di Garanzia INPS, che in caso di insolvenza del datore di lavoro interviene a pagare loro il TFR e le ultime mensilità impagate (il Fondo poi subentra nel concorso come creditore privilegiato, facilitando la chiusura della procedura) . Se l’azienda prosegue l’attività nell’ambito di un concordato in continuità, la legge richiede che le retribuzioni correnti vengano regolarmente pagate e che i debiti per stipendi arretrati siano soddisfatti integralmente nel piano, salvo eventuali diversi accordi sindacali . In pratica, “tagliare” i crediti dei dipendenti in un concordato è estremamente difficile, sia per vincoli legali sia per ovvie ragioni sociali e di ordine pubblico. Sul piano pratico, i lavoratori sono creditori particolari: anche un solo dipendente non pagato, oltre a poter fare causa individualmente (ottenendo un decreto ingiuntivo per le paghe arretrate), può presentare istanza di fallimento dell’azienda se il suo credito rimane insoddisfatto e vi sono indizi di insolvenza del datore di lavoro . Ciò conferisce ai dipendenti un forte potere negoziale. Inoltre, il malcontento dei lavoratori (scioperi, dimissioni collettive) può rapidamente paralizzare un’azienda manifatturiera in crisi. Dal punto di vista del debitore, dunque, i debiti verso dipendenti vanno gestiti con priorità assoluta. Possibili azioni includono: cercare un accordo con i lavoratori per dilazionare gli arretrati (magari offrendo garanzie, come il pagamento tramite il Fondo di Garanzia per TFR e mensilità una volta attivata la procedura concorsuale), attivare strumenti come la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) per crisi aziendale – così i dipendenti ricevono un sostegno al reddito dall’INPS mentre l’azienda riduce temporaneamente i costi del personale – oppure, se la situazione è irrecuperabile, valutare di avviare una procedura di liquidazione che consenta l’intervento del Fondo di Garanzia il prima possibile. Spesso i dipendenti, se informati con trasparenza sull’esistenza di un piano di risanamento credibile, accettano sacrifici temporanei (ad esempio il rinvio di qualche mese del pagamento di straordinari o premi) purché vedano un percorso chiaro e siano garantiti come creditori privilegiati nel piano di soluzione della crisi .
- Altri debiti: a seconda del settore e delle vicende aziendali, possono esservi ulteriori categorie di debiti. Ad esempio, debiti verso il fisco locale (IMU, TARI, ecc.), sanzioni amministrative (multe, ammende), debiti risarcitori da cause civili (es. risarcimento danni ambientali o infortuni sul lavoro) oppure debiti verso fornitori strategici garantiti da patti di riservato dominio o leasing. Ognuno di essi ha un trattamento specifico. Ad esempio, i tributi locali pur essendo di norma crediti privilegiati al pari di quelli statali, attualmente non rientrano nella disciplina della transazione fiscale statale: al 2025 manca ancora una norma che consenta formalmente ai Comuni o alle Regioni di aderire a una proposta di falcidia in concordato . In pratica, i debiti verso enti locali possono essere ridotti solo se l’ente accetta spontaneamente l’accordo, ma non c’è (ancora) uno strumento normativo che imponga un cram-down sugli enti locali dissenzienti – è una lacuna che una legge delega del 2023 ha previsto di colmare, ma senza attuazione concreta a ottobre 2025 . Quanto alle sanzioni amministrative e alle sanzioni penali pecuniarie a carico dell’azienda, la regola è che non possono essere eliminate dalla procedura: l’eventuale esdebitazione finale non libera dalle sanzioni pecuniarie autonome (cioè non legate a un credito principale) . Ad esempio, le sanzioni tributarie accessorie a un debito fiscale possono essere ridotte proporzionalmente se il tributo è oggetto di transazione (perché accessorie a un credito falcidiato), mentre una multa antitrust o una sanzione amministrativa comminata all’azienda resterà dovuta in concorso (anche se di fatto, se la società viene liquidata e cancellata, la sanzione “muore” con essa). Analogamente, i debiti da risarcimento per fatti illeciti (es. danni da responsabilità civile verso terzi, danni ambientali causati dall’azienda) sono particolarmente “resistenti”: se il debitore è una persona fisica, tali debiti non sono esdebitabili – l’art. 278 CCII esclude dalla liberazione post-fallimento i debiti per risarcimenti di danni da fatto illecito e gli obblighi di mantenimento . Se invece il debitore è una società, tali debiti rientrano nel passivo concorsuale (come chirografari salvo eventuali privilegi per spese di giustizia ex art. 2767 c.c.), ma dopo la liquidazione la società viene cancellata e i debiti insoddisfatti si estinguono con essa. Attenzione però: se vi sono coobbligati personali (ad es. un amministratore che sia civilmente responsabile in solido per un illecito o sanzione), i creditori potranno comunque agire contro costoro al di fuori della procedura.
In sintesi, un’azienda siderurgica indebitata tipicamente si trova con debiti di diverse categorie: debiti commerciali verso fornitori (cruciali per la continuità produttiva, ma di rango chirografario salvo eventuali riserve di proprietà), debiti finanziari verso banche o società di leasing (spesso garantiti da ipoteche o fideiussioni, quindi con impatto anche sui patrimoni personali), debiti verso Erario e INPS (prioritari e con implicazioni legali e penali serie) e magari debiti verso i propri dipendenti (che richiedono massima attenzione e rapidità). Ciascuna categoria richiede un approccio difensivo specifico, pur dovendo confluire in un’unica strategia di risanamento. Nei paragrafi successivi vedremo anzitutto cosa possono fare i creditori (azioni legali ed esecutive) e, di conseguenza, come può difendersi il debitore con gli strumenti offerti dall’ordinamento.
Conseguenze del mancato pagamento: rischi e azioni dei creditori
Prima di analizzare le contromisure a disposizione del debitore, è importante capire quali azioni i creditori possono intraprendere quando l’azienda non onora i propri debiti. Tipicamente si assiste a un’escalation di iniziative: si parte da solleciti e diffide formali e si arriva, in caso di protratto inadempimento, alle vie legali, fino alla possibilità estrema di chiedere la liquidazione giudiziale dell’impresa (il “fallimento” nella nuova terminologia) . Comprendere questi passaggi aiuta il debitore a prevenire o ritardare gli effetti peggiori e a valutare quando è il momento di attivare strumenti di difesa formali.
- Solleciti informali e diffida di pagamento: inizialmente il creditore (es. un fornitore) cercherà di ottenere il pagamento in modo bonario: telefonate, email e solleciti verbali. Se il debitore non reagisce, il passo successivo è inviare una lettera formale di messa in mora (diffida ad adempiere) tramite PEC o raccomandata A/R . Questa lettera, prevista dall’art. 1219 c.c., intima il pagamento entro un termine breve (tipicamente 7 o 15 giorni) e costituisce il debitore in mora. La costituzione in mora ha diversi effetti legali: da quel momento decorrono interessi moratori sul debito (nelle transazioni commerciali si applica il tasso maggiorato di cui al D.Lgs. 231/2002), il creditore può esigere anche le spese di sollecito, e soprattutto il sollecito formale prepara il terreno per le azioni successive. Ad esempio, per ottenere un decreto ingiuntivo molti creditori allegano al ricorso la prova di aver previamente diffidato il debitore . Dal lato del debitore, ricevere una diffida è un campanello d’allarme da non ignorare: conviene rispondere per iscritto spiegando la situazione di temporanea difficoltà e magari proponendo un piano di rientro (rateazione, pagamento parziale a saldo) oppure contestando formalmente il credito se si ritiene che non sia dovuto (ad es. perché merce difettosa, fattura errata, prescrizione maturata, ecc.). Una risposta motivata può guadagnare tempo o indurre il creditore a non procedere immediatamente.
- Decreto ingiuntivo: se il sollecito non ha esito, il creditore con un credito certo, liquido ed esigibile (documentato da fatture, estratti conto, contratti firmati, etc.) può rivolgersi al tribunale e ottenere in tempi rapidi un decreto ingiuntivo, ovvero un’ingiunzione di pagamento immediato emessa dal giudice senza sentire il debitore (inaudita altera parte) . Il decreto ingiuntivo viene notificato all’azienda debitrice; da quel momento il debitore ha 40 giorni per pagarne l’importo o per proporre opposizione. Se il debitore non si oppone entro 40 giorni, il decreto diventa definitivo ed esecutivo : trascorso tale termine, il creditore munito di decreto ingiuntivo non opposto ha in mano un titolo esecutivo equiparato a una sentenza passata in giudicato . A quel punto potrà attivare la fase successiva, cioè il pignoramento dei beni del debitore. Dal lato della difesa: se l’azienda riceve un decreto ingiuntivo e contesta il credito, è fondamentale proporre opposizione entro 40 giorni per aprire un giudizio ordinario di merito e frenare l’esecuzione . L’opposizione al decreto ingiuntivo è un atto di citazione in tribunale con cui si espongono le ragioni per cui nulla (o meno) è dovuto. Attenzione: l’opposizione non sospende automaticamente l’efficacia esecutiva del decreto; il giudice può però concedere la sospensione su istanza motivata del debitore, se emergono seri motivi (es. prove che il credito è inesatto) . In caso contrario, il creditore può comunque iniziare l’esecuzione forzata provvisoriamente anche durante la causa di opposizione. Inoltre, il creditore può chiedere al giudice, già all’atto di ingiungere, la cosiddetta provvisoria esecuzione del decreto ex art. 642 c.p.c., in presenza di determinati requisiti, ottenendo il diritto di procedere immediatamente anche durante i 40 giorni di opposizione (spesso concessa per metà dell’importo) . Pertanto, il debitore deve valutare bene: opporsi senza motivo fondato può essere controproducente (si rischia di pagare spese legali aggiuntive e di subire comunque l’esecuzione in corso di causa). Se invece il debito è incontestabile, potrebbe essere preferibile evitare l’opposizione e cercare invece una transazione col creditore (ad es. chiedendo una dilazione) . Va ricordato che alcuni creditori pubblici non hanno bisogno del decreto ingiuntivo: ad esempio il Fisco rende esecutiva la cartella di pagamento decorso un termine, e l’INPS emette avvisi di addebito esecutivi . Tuttavia, anche tali crediti “auto-ingiuntivi” possono essere portati in tribunale per contestazione (vedi oltre). In pratica, la fase monitoria serve a cristallizzare il credito in un titolo; una volta ottenutolo, il creditore può passare alle maniere forti.
- Atto di precetto: ottenuto un titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo definitivo, cartella esattoriale non pagata, ecc.), il creditore di regola notifica un precetto, ossia un’intimazione formale di pagamento entro non meno di 10 giorni . Il precetto è l’ultimo avviso: comunica al debitore che, se entro 10 giorni non paga, il creditore procederà al pignoramento senza ulteriore preavviso. Dal punto di vista del debitore, il precetto è un momento critico in cui occorre decidere la strategia: se possibile, raggiungere un accordo dell’ultim’ora col creditore (anche un pagamento parziale) per fargli ritirare o sospendere l’azione esecutiva ; oppure, se si ravvisano vizi formali nel precetto o nel titolo esecutivo sottostante, proporre una opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. prima che inizi il pignoramento, chiedendo al giudice di sospendere l’esecuzione . Un’altra mossa di emergenza praticabile in questa finestra è mettere in sicurezza operatività e beni: ad esempio, spostare provvisoriamente la liquidità aziendale su conti non noti ai creditori (operazione lecita se fatta prima del pignoramento, purché non in frode) o prendere accordi per tutelare beni essenziali (nominando un custode terzo, ecc.) . Inoltre, se l’azienda sta per attivare strumenti concorsuali (es. sta predisponendo domanda di concordato), potrebbe valutare di richiedere misure protettive urgenti al tribunale prima dello scadere del precetto, così da bloccare sul nascere i pignoramenti imminenti . (Le misure protettive concorsuali ex art. 54 CCII, quando concesse, inibiscono i creditori dal iniziare o proseguire azioni esecutive).
- Pignoramento dei beni aziendali: trascorsi i 10 giorni dal precetto senza pagamento né accordo né opposizione, il creditore può richiedere all’ufficiale giudiziario di procedere al pignoramento dei beni del debitore. Il pignoramento è l’atto con cui si vincolano i beni del debitore per destinarli alla vendita forzata. Può colpire varie tipologie di beni:
- Pignoramento mobiliare presso il debitore: l’ufficiale giudiziario si presenta in azienda (o nei magazzini) e redige un verbale elencando i beni mobili pignorati (macchinari, attrezzature, merci, veicoli, arredi, ecc.) . Da quel momento quei beni non possono essere venduti né spostati; in seguito verranno messi all’asta. Difese del debitore: se il verbale di pignoramento presenta vizi formali, il debitore può proporre opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. entro 20 giorni . Se tra i beni pignorati ce ne sono che non appartengono al debitore (ad es. beni in leasing, o materiali di terzi in conto lavorazione), occorre segnalarlo subito all’ufficiale giudiziario esibendo documenti; se ciò non impedisce il pignoramento, il terzo proprietario potrà agire con un’opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. per liberare i propri beni . Uno strumento molto efficace per il debitore è la conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): consiste nel chiedere al giudice di sostituire i beni pignorati con una somma di denaro, offrendo subito una cauzione pari ad almeno 1/6 del valore e impegnandosi a pagare il resto a rate . La conversione, se ammessa, sospende la vendita dei beni pignorati e consente di pagare il debito in modo dilazionato (fino a 18 mesi per mobili, fino a 48 mesi per immobili). Inoltre, il giudice spesso autorizza che i beni pignorati siano lasciati in custodia al debitore durante le rate, così che l’azienda possa continuare ad utilizzarli . In sostanza, la conversione dà un’ultima chance di “riscattare” i propri beni pagando a rate invece di subire l’asta – è un istituto concepito proprio per contemperare le ragioni dei creditori con la possibilità per il debitore di salvare il proprio patrimonio produttivo . Infine, in situazioni particolari, se un certo macchinario pignorato è assolutamente indispensabile e la conversione non è praticabile, il debitore può anche proporre al creditore di trasformare il pignoramento in un pegno volontario: in altri termini, convincere il creditore a sospendere la vendita tenendo il bene come garanzia, a patto di non alienarlo (soluzione atipica e consensuale).
- Pignoramento immobiliare: se l’azienda possiede immobili (capannoni, terreni, uffici), il creditore può iscrivere pignoramento sull’immobile (atto che viene trascritto nei registri immobiliari) e avviare la procedura per la vendita all’asta. Difese: se mancano requisiti (es. il titolo esecutivo non è valido, oppure – nel caso del Fisco – il debito è sotto soglia o l’immobile è prima casa impignorabile), è possibile fare opposizione per far dichiarare improcedibile il pignoramento . Anche per gli immobili è possibile la conversione del pignoramento depositando almeno 1/6 del dovuto e chiedendo di pagare il resto fino a 48 mesi – da attuare prima che sia fissata la vendita. Nel caso di pignoramento esattoriale (da parte dell’Agenzia Riscossione), se l’immobile pignorato è l’unica casa di abitazione del debitore persona fisica e non è di lusso, si può eccepire l’impignorabilità ex art. 76 DPR 602/1973, che il giudice dell’esecuzione deve rilevare dichiarando improcedibile l’espropriazione . Ad esempio, la Cassazione ha confermato nel 2024 che il pignoramento esattoriale va annullato se riguarda l’unica casa non di lusso del contribuente (tutela però non applicabile a immobili intestati a società). In ogni caso, fino al decreto di trasferimento è sempre possibile per il debitore trovare un accordo col creditore: se ad esempio si salda una parte del debito, il creditore potrebbe rinunciare al pignoramento (con conseguente estinzione della procedura, pur dovendo il debitore pagare le spese già maturate) . Inoltre, se l’azienda attiva una procedura concorsuale (come un concordato preventivo o anche la composizione negoziata con misure protettive), l’asta immobiliare viene sospesa per legge su ordine del tribunale . Durante un concordato, il debitore può persino chiedere di vendere direttamente l’immobile pignorato nell’ambito della procedura, così da ottenere magari un prezzo migliore di quello d’asta e soddisfare in parte il creditore ipotecario.
- Pignoramento presso terzi: è il pignoramento dei crediti che il debitore vanta verso terzi, tipicamente il conto corrente bancario oppure i crediti verso clienti. Il creditore notifica un atto sia al debitore sia al terzo (es. la banca o il cliente) intimando al terzo di non pagare più il debitore ma di “congelare” le somme dovute a suo favore. Esempio classico: pignoramento del conto corrente aziendale presso la banca. Difese: se le somme sul conto hanno provenienza impignorabile o il pignoramento presenta vizi, si può proporre opposizione (es: se sul conto affluiscono somme relative a vendite con riserva di proprietà, o se il pignoramento eccede i limiti su stipendi/pensioni, ecc.). Di norma però il pignoramento del conto corrente lascia poco scampo: la banca, appena notificato l’atto, blocca immediatamente le somme disponibili e le “consegna” virtualmente al tribunale. Il debitore potrà riottenere disponibilità solo pagando il credito (o trovando un accordo col creditore). Tecnicamente è possibile chiedere la conversione anche in questo caso, ma significa in sostanza versare l’intero importo dovuto dedotte le somme già bloccate – è più una formalità che un reale vantaggio, a meno di avere risorse pronte. Un consiglio preventivo per difendersi da questa evenienza è diversificare la liquidità: tenere fondi su conti diversi, magari intestati a società collegate o conti personali non facilmente individuabili dai creditori. Ovviamente se il creditore scopre gli altri conti li pignorerà a sua volta, ma frammentare la liquidità può rallentare la sua azione. Un’altra mossa: se vengono pignorati crediti verso clienti dell’azienda, questi clienti potrebbero essere intimoriti; il debitore può informarli che il pignoramento è eccessivo o che si sta trattando, invitandoli a segnalare al giudice se il credito pignorato supera quello effettivamente dovuto. In generale, comunque, se il conto corrente viene bloccato, il debitore potrà solo negoziare col creditore per sbloccarlo (ad esempio offrendo un pagamento parziale in cambio della rinuncia al pignoramento) oppure attendere e sperare di risolvere la situazione nel frattempo con una procedura concorsuale. Da notare: nell’ambito di un concordato, il debitore può chiedere al tribunale di autorizzarlo ad utilizzare parte delle somme pignorate per le spese correnti urgenti, in attesa di definire la procedura – a volte questa istanza viene accolta per permettere la continuità aziendale.
- Istanze di fallimento (liquidazione giudiziale): se il mancato pagamento non rimane un fatto isolato ma rivela una situazione di insolvenza conclamata (l’azienda non riesce più strutturalmente a far fronte alle obbligazioni), un creditore – invece di procedere con singoli pignoramenti – può presentare un ricorso in tribunale per far dichiarare il fallimento (oggi “liquidazione giudiziale”) dell’azienda debitrice . Questa mossa è tipica quando i debiti sono ingenti o diffusi e l’azienda appare in stato di abbandono; il creditore preferisce attivare subito una procedura concorsuale collettiva, piuttosto che concorrere con altri creditori nell’esecuzione individuale . Ai sensi del Codice della Crisi, la liquidazione giudiziale può essere richiesta da un creditore, dal debitore stesso o dal PM, purché sussista lo stato di insolvenza e il debitore sia soggetto alle procedure concorsuali (in sintesi, un imprenditore commerciale non piccolo) . In pratica esistono soglie di fallibilità: imprese di piccolissime dimensioni o non commerciali potrebbero essere escluse dal fallimento e soggette invece alle procedure di “sovraindebitamento” (vedremo oltre). La presentazione di un’istanza di fallimento da parte di un creditore è un pericolo grave: il debitore deve reagire immediatamente, preferibilmente con l’ausilio di un legale esperto, valutando se è possibile “battere sul tempo” il creditore attivando una procedura alternativa (ad es. presentando esso stesso domanda di concordato preventivo) . Infatti, se il debitore deposita un ricorso per concordato prima che sia pronunciato il fallimento, il tribunale deve sospendere la decisione sull’istanza di fallimento e dar corso alla procedura concordataria, salvo casi di abuso . Questo principio, affermato anche dalla Cassazione a Sezioni Unite , tutela il debitore che propone una soluzione concordata seria, impedendo che venga travolto dal fallimento mentre un concordato è in istruttoria. D’altra parte, se l’insolvenza è irreversibile e non ci sono piani credibili, la liquidazione giudiziale potrebbe risultare inevitabile e persino preferibile (ad esempio per far scattare gli interventi di tutela dei dipendenti tramite il Fondo di Garanzia). In ogni caso, finché la sentenza dichiarativa di liquidazione non è pronunciata, il debitore ha spazio per manovre difensive: può contestare lo stato di insolvenza all’udienza pre-fallimentare (dimostrando di avere ancora prospettive di ripresa o accordi in corso) e chiedere un rinvio se esistono trattative avanzate ; oppure, come detto, può depositare in extremis un ricorso di concordato (anche “in bianco”) che blocca la decisione sul fallimento . Soluzioni più estreme, come pagare il creditore istante all’ultimo minuto per far venir meno la sua legittimazione, a volte funzionano ma attenzione: se vi sono più creditori, anche un pagamento isolato potrebbe non evitare ulteriori istanze da altri. In definitiva, l’istanza di fallimento è l’ultimo stadio delle azioni creditorie e corrisponde allo scenario che il debitore vuole evitare: la perdita del controllo dell’azienda e l’apertura di una procedura liquidatoria d’ufficio. Più avanti descriveremo nel dettaglio la liquidazione giudiziale e le (poche) difese possibili in quella sede.
Strumenti di difesa del debitore nel processo esecutivo
Di fronte alle azioni aggressive appena descritte, il debitore dispone di vari strumenti di difesa giuridica. Alcuni si esercitano all’interno delle procedure esecutive stesse (opposizioni, richieste di sospensione), altri mirano a negoziare una tregua (transazioni, moratorie), altri ancora a trasformare l’esecuzione individuale in una ristrutturazione collettiva (conversione del pignoramento, attivazione di procedure concorsuali che bloccano i singoli atti). Esaminiamo i principali rimedi difensivi a disposizione dell’azienda debitrice durante le esecuzioni forzate:
Opposizione a decreto ingiuntivo
Se l’azienda riceve un decreto ingiuntivo di pagamento, può presentare opposizione entro 40 giorni dalla notifica (ex art. 645 c.p.c.) . L’opposizione si propone con atto di citazione e dà vita a un giudizio ordinario in cui il debitore diventa attore (contestando il credito) e il creditore originario assume la posizione di convenuto che deve provare il proprio credito. In sede di opposizione, il debitore può far valere tutte le sue eccezioni di merito (ad es. contestare la quantità del debito, eccepire inadempienze del creditore, compensazione con crediti verso il creditore, prescrizione, nullità di clausole contrattuali, etc.) e anche eccezioni procedurali (vizi del decreto). Come detto, proporre opposizione non sospende automaticamente l’efficacia esecutiva del decreto: occorre chiedere al giudice dell’opposizione un provvedimento ad hoc di sospensione, dimostrando che l’esecuzione immediata causerebbe un danno grave e che vi sono fondati motivi di contestazione . Se la sospensione viene concessa, il creditore dovrà attendere l’esito della causa prima di poter pignorare; altrimenti, potrà procedere subito (il decreto è spesso dichiarato provvisoriamente esecutivo fino a una certa somma). In sintesi, l’opposizione a decreto ingiuntivo è uno strumento utile solo se il debitore ha reali motivi di contestazione o necessita di tempo per predisporre una soluzione più ampia (ad es. sta trattando un accordo con tutti i creditori) . Opporsi in malafede solo per ritardare è rischioso: si può essere condannati a pagare ulteriori spese e il giudice potrebbe comunque non sospendere l’esecuzione. In molti casi, se il debito è riconosciuto, è preferibile cercare un accordo transattivo col creditore (rateazione, saldo e stralcio) piuttosto che un’opposizione pretestuosa .
Vale la pena segnalare una recente evoluzione giurisprudenziale a tutela del debitore: la Cassazione ha affermato che, anche nella successiva fase esecutiva, il giudice dell’esecuzione può rilevare d’ufficio l’eventuale nullità di clausole contrattuali abusive già dedotte come prova nel decreto ingiuntivo non opposto . In altre parole, se il titolo esecutivo (decreto ingiuntivo) si basava su pattuizioni nulle – tipicamente interessi usurari o costi bancari illegittimi – tali vizi possono essere fatti valere anche tardivamente in sede di esecuzione, riducendo l’importo esigibile. La Cassazione (ord. n. 9479/2023) ha così aperto uno spiraglio di difesa extra, specie per i debitori consumatori o piccole imprese in posizione contrattuale debole .
Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.)
L’opposizione all’esecuzione è il rimedio per contestare il diritto del creditore di procedere a esecuzione forzata. In altre parole, il debitore sostiene che l’esecuzione non doveva proprio iniziare, perché – ad esempio – il debito è già stato pagato, oppure manca validità al titolo esecutivo, o vi è stata transazione del credito, prescrizione sopravvenuta, ecc. Questa opposizione si distingue in due situazioni: – Opposizione preventiva (ante pignoramento): se la ragione di contestazione emerge prima che inizi l’esecuzione (tipicamente dopo aver ricevuto il precetto), il debitore deve proporre l’opposizione ex art. 615 c.1 c.p.c. prima che l’ufficiale giudiziario esegua il pignoramento. Si introduce con ricorso (per le esecuzioni mobiliari e immobiliari) o atto di citazione (per esecuzioni presso terzi), chiedendo anche la sospensione dell’esecuzione imminente. Ad esempio, un’azienda che riceve un precetto da un creditore di cui aveva già saldato il debito (magari il pagamento è avvenuto dopo la formazione del titolo) farà opposizione allegando la prova del pagamento e chiedendo al giudice di bloccare l’esecuzione. Oppure, se il titolo esecutivo è inesistente o invalido (es. decreto ingiuntivo mai notificato correttamente, o sentenza non ancora passata in giudicato quando servirebbe), si può opporre prima del pignoramento. L’opposizione ante pignoramento ha effetto sospensivo automático se il giudice, valutato sommariamente il caso, concede la sospensione: in tal caso il creditore non può procedere finché non si decide nel merito. – Opposizione successiva (post pignoramento): se l’esecuzione è già iniziata (i beni sono stati pignorati) e il debitore scopre o acquisisce motivi per contestarla, può fare opposizione ex art. 615 c.2 c.p.c. in corso di esecuzione. Ad esempio, l’azienda subisce il pignoramento ma ritiene che il credito sia in realtà già prescritto, oppure che il titolo esecutivo (un decreto ingiuntivo) sia stato emesso per errore su obbligazione già novata, ecc. Si introduce con atto di citazione innanzi al giudice dell’esecuzione. In questa fase, però, il pignoramento rimane valido, a meno che il giudice dell’esecuzione non sospenda l’esecuzione su istanza motivata (sospensione non automatica). L’opposizione all’esecuzione successiva spesso si cumula con l’opposizione agli atti esecutivi (vizi formali), ma riguarda profili sostanziali del diritto del creditore. In entrambi i casi, è essenziale muoversi tempestivamente: le opposizioni esecutive sono tecnicamente complesse e i termini possono essere molto brevi (soprattutto per i vizi degli atti, vedi dopo). Se esistono fondati motivi (pagamenti già effettuati, accordi, decadenze del titolo, ecc.), questo strumento consente di bloccare l’azione esecutiva e portare la disputa in sede giudiziale ordinaria. Se invece il debito è certo e scaduto, non c’è opposizione che tenga.
Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.)
L’opposizione agli atti esecutivi è il rimedio per censurare i vizi formali degli atti dell’esecuzione o della loro notifica. Ad esempio: errori nella notifica del precetto o del pignoramento, irregolarità nel verbale di pignoramento, mancato rispetto dei termini, difetti nelle forme di vendita, ecc. Questa opposizione va proposta entro 20 giorni da quando si è avuto conoscenza legale dell’atto viziato (ad es. dalla notifica o dall’esecuzione) . Si tratta di un termine di decadenza molto breve. L’opposizione agli atti si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione. Se accolta, porta all’annullamento o correzione dell’atto viziato (ma se il vizio è serio può estinguere proprio quella fase di esecuzione). Esempi pratici: l’ufficiale giudiziario ha pignorato beni non compresi nell’atto di pignoramento, oppure ha notificato il pignoramento in modo incompleto; oppure il decreto di vendita all’asta non è stato pubblicato come prescritto. Questi vizi possono permettere al debitore di far dichiarare nullo l’atto esecutivo e rallentare o vanificare l’azione del creditore. Tuttavia, va sottolineato che le opposizioni fondate su meri vizi procedurali non eliminano il debito: spesso il creditore potrà semplicemente ritentare il pignoramento correggendo la forma. Dunque è un’arma che serve soprattutto a guadagnare tempo o a evitare esiti pregiudizievoli per irregolarità. Se vi sono vizi gravi (es. pignoramento eseguito su bene non pignorabile), l’opposizione agli atti permette di far cessare immediatamente l’azione illegittima.
Sospensione volontaria e transazioni durante l’esecuzione
Oltre ai rimedi strettamente giudiziari, non va dimenticato che in ogni momento è possibile trattare con il creditore procedente per trovare un accordo transattivo. Un creditore può rinunciare o sospendere l’esecuzione se il debitore gli offre una soluzione soddisfacente, anche dopo che il pignoramento è iniziato (naturalmente dovendo il debitore farsi carico delle spese già sostenute dal creditore). Ad esempio, si può concordare che il debitore paghi immediatamente una parte significativa del dovuto e rateizzi il resto, inducendo il creditore a sospendere la vendita all’asta. Questa possibilità negoziale permane “fino all’ultimo”: finché i beni non sono aggiudicati o le somme assegnate, il creditore ha facoltà di interrompere la procedura. È dunque buona prassi, per il debitore in esecuzione, mantenere aperto il dialogo col creditore: se arriva a raccogliere liquidità (o un garante terzo è disposto a intervenire) può ancora salvare i propri beni trovando un’intesa. Da notare che spesso i giudici dell’esecuzione, informati di trattative serie in corso, concedono brevi rinvii delle aste o delle udienze di distribuzione per favorire la composizione bonaria (quando ciò non lede gli interessi di altri creditori). In più, vi sono casi in cui la legge stessa incoraggia la soluzione concordata: ad esempio l’art. 624-bis c.p.c. prevede che, se il creditore pignoratizio dichiara di aver ricevuto un pagamento o una garanzia sufficiente, il giudice sospende l’esecuzione su istanza di tutte le parti, in attesa di verificare la definizione. In sostanza, pagare (o promettere di pagare) conviene sempre più che subire la vendita forzata, che è notoriamente inefficiente e dispendiosa. Dunque il debitore, anche durante il pignoramento, dovrebbe cercare di negoziare con il creditore per fermare l’esecuzione: spesso l’accordo che in fase stragiudiziale era stato negato, diventa possibile quando il creditore si rende conto dei tempi e costi dell’asta.
Conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.)
La conversione del pignoramento merita un focus, in quanto è uno degli strumenti più efficaci per il debitore esecutato. Prevista dall’art. 495 c.p.c., consente al debitore di sostituire i beni pignorati con una somma di denaro, ottenendo contestualmente la possibilità di pagare tale somma a rate. In pratica, il debitore chiede al giudice di convertire il pignoramento presentando una cauzione iniziale pari ad almeno un sesto del capitale dovuto (oltre interessi e spese) . Se il giudice accoglie l’istanza, stabilisce l’importo totale da depositare (corrispondente al debito per cui si procede, comprensivo di spese e interessi) e il numero di rate mensili (fino a un massimo previsto: di regola 18 mesi per beni mobili, 48 mesi per immobili). Il versamento della cauzione produce un effetto fondamentale: sospende la procedura esecutiva in corso , evitando che si proceda alla vendita forzata. Il giudice può inoltre affidare i beni pignorati in custodia al debitore stesso, permettendogli di continuare ad usarli nell’attesa . Se il debitore poi rispetta tutte le scadenze di pagamento stabilite, alla fine i beni pignorati vengono liberati definitivamente. La conversione del pignoramento è quindi uno strumento che consente al debitore di “riappropriarsi” dei propri beni pignorati pagando il dovuto in modo dilazionato invece che subirne la vendita immediata . Chiaramente richiede che il debitore disponga subito di almeno 1/6 dell’importo per la cauzione – sforzo non indifferente – ma spesso quell’acconto può provenire da terzi disposti ad aiutare (soci, parenti) pur di salvare l’azienda. Questo istituto è applicabile sia a pignoramenti mobiliari che immobiliari e persino ai pignoramenti presso terzi (compatibilmente con la natura dei crediti pignorati) . La giurisprudenza ha nel tempo consolidato la portata della conversione: già le Sezioni Unite nel 1990 affermarono che la presentazione dell’istanza sospende di diritto l’esecuzione in corso , principio poi recepito nel codice; ed è stato chiarito che nel calcolo dell’importo da convertire vanno inclusi anche i creditori intervenuti entro un certo momento . In sostanza, la conversione è vista con favore dall’ordinamento, in quanto soddisfa ugualmente i creditori (il debitore si impegna a pagare tutto, solo rateizzando) ed evita la dispersione di valore tipica delle vendite forzate. Per il debitore è un’àncora di salvezza: invece di perdere magari un macchinario chiave all’asta per una frazione del suo valore, può pagarlo a rate e tenerlo produttivo in azienda. Attenzione: se il debitore poi non rispetta il piano di conversione (salta una rata), la conversione viene revocata e l’esecuzione riprende dal punto in cui era stata sospesa, con la differenza che le somme già versate si distribuiscono immediatamente ai creditori. Quindi è una mossa da fare solo con la ragionevole certezza di poter sostenere tutte le rate. Ma quando c’è un’attività in corso che genera flussi di cassa, la conversione può essere sostenibile e dare respiro.
Soluzioni stragiudiziali: accordi e ristrutturazioni fuori dalle aule di tribunale
Prima di ricorrere alle procedure concorsuali formali, un imprenditore indebitato può tentare di risolvere la crisi attraverso strumenti stragiudiziali, ovvero accordi e piani di risanamento senza l’intervento diretto del tribunale. Queste soluzioni presentano il vantaggio della riservatezza (non pubblicizzare la crisi come avviene con un concordato pubblico) e della flessibilità (le parti hanno maggiore libertà di costruire soluzioni su misura) . Tuttavia, hanno anche limiti importanti: non vincolano i creditori dissenzienti e non offrono, di per sé, una tutela automatica contro le azioni esecutive, a meno che il debitore non ottenga volontariamente dai creditori una moratoria . Esaminiamo i principali strumenti di composizione stragiudiziale della crisi d’impresa:
Negoziazione diretta e piani di rientro con i creditori
La prima via – la più immediata – è trattare direttamente con ciascun creditore (o con gruppi di creditori) per ottenere dilazioni, riduzioni o stralci del debito . In pratica l’imprenditore (meglio se affiancato dal suo legale e dal commercialista) contatta i creditori e propone un accordo transattivo: ad esempio, pagamento a saldo e stralcio del 50% subito, oppure pagamento integrale ma rateizzato in 24 o 36 mesi senza ulteriori interessi, o altre combinazioni sostenibili . Molte crisi aziendali di piccole e medie imprese vengono risolte in tal modo informale, soprattutto se i creditori non sono numerosissimi e sono “ragionevoli” (ad es. fornitori interessati a non perdere il cliente). I vantaggi sono evidenti: l’azienda evita i costi e lo stigma pubblicitario di una procedura concorsuale; può scegliere con chi accordarsi in via preferenziale (salvaguardando rapporti strategici); e spesso anche il fornitore o la banca preferiscono incassare qualcosa attraverso un accordo piuttosto che vedere l’azienda fallire e recuperare molto meno . Di contro, ci sono svantaggi: l’accordo vincola solo i creditori che lo firmano, mentre qualsiasi creditore che rifiuta può proseguire con le azioni legali. Inoltre, trattare in modo disordinato fuori da un quadro legale comporta rischi giuridici: se l’azienda paga alcuni creditori e poi comunque fallisce, quei pagamenti preferenziali effettuati nei sei mesi precedenti il fallimento possono essere oggetto di azione revocatoria da parte del curatore (art. 164 CCII, equivalente dell’art. 67 l.f.) . Cioè, i creditori che hanno ricevuto pagamenti extra-ordinari a ridosso del fallimento potrebbero essere costretti a restituirli alla massa. Questo ovviamente rende i creditori diffidenti ad accettare pagamenti “anticipati” se temono un fallimento successivo. Per ovviare, negli accordi stragiudiziali è opportuno inserire clausole risolutive condizionate: ad esempio, si può pattuire che “ti pago subito il 50% a saldo, a condizione che anche gli altri principali creditori accettino un accordo analogo e che l’azienda non venga assoggettata a procedura concorsuale entro tot tempo” . Così, se poi interviene un fallimento, quel pagamento si dovrebbe restituire (clausola risolutiva), riducendo l’esposizione del creditore a revocatoria. Non tutti i creditori accettano tali condizioni “sospensive”, ma è una cautela utile a mostrare buona fede. In generale, quando si negozia individualmente con i creditori, è buona prassi formalizzare l’accordo per iscritto (meglio se con scrittura autenticata) e prevedere che, se il debitore non rispetta le nuove scadenze pattuite, l’accordo si risolve e i creditori riacquistano i pieni diritti (così il creditore è più sereno a concedere la dilazione) . Spesso, per dare serietà all’accordo stragiudiziale, l’imprenditore offre anche garanzie aggiuntive: ad esempio, fa intervenire un coobbligato (un familiare che garantisce con il proprio patrimonio), concede un pegno su un macchinario, emette cambiali o assegni postdatati, ecc., strumenti che il creditore potrà escutere immediatamente se l’azienda non rispetta il piano di rientro . Tali accorgimenti aumentano la credibilità dell’accordo.
Una variante della negoziazione diretta è coinvolgere un professionista terzo (un advisor finanziario o legale) che elabori un piano di risanamento globale dell’azienda e lo sottoponga ai creditori . In questo caso si presenta ai creditori un vero e proprio business plan di rilancio, con proiezioni di cash flow, e la proposta è più strutturata: “se mi concedete respiro (tagliando X e dilazionando Y), io potrò salvarmi e continuare a pagarvi negli anni futuri”. Questo approccio funziona se c’è trasparenza nei dati di crisi e se i creditori principali credono nella continuità aziendale prospettata. La presenza di un professionista indipendente (ad es. un commercialista o revisore che redige il piano) spesso aumenta la fiducia dei creditori , perché certifica numeri e assunzioni. Questo ci porta allo strumento successivo.
Il “piano attestato di risanamento” (art. 56 CCII)
In relazione a quanto sopra, il Codice della Crisi disciplina espressamente uno strumento stragiudiziale con rilievo legale: il piano attestato di risanamento . Si tratta di un piano di risanamento predisposto dall’imprenditore, corredato da una relazione di un professionista indipendente (il cosiddetto attestatore) che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano . Il piano può prevedere accordi con i creditori, ristrutturazione dei debiti, nuovi finanziamenti, cessioni di asset, riduzione di costi, o qualunque operazione utile a riequilibrare la situazione, purché l’insieme risulti idoneo a risanare l’esposizione debitoria e a garantire la continuità aziendale. Il valore aggiunto di un piano attestato formalmente conforme all’art. 56 CCII è che gli atti compiuti in esecuzione del piano godono dell’esenzione dalla revocatoria fallimentare (come già avveniva per i piani attestati ex art. 67 l.f.) . In altre parole, i pagamenti fatti ai creditori secondo il piano, e gli atti di disposizione patrimoniale previsti dal piano, non potranno essere revocati in un eventuale successivo fallimento. Ciò rassicura molto i creditori aderenti: sanno che, se anche l’azienda dovesse fallire dopo aver attuato il piano, i soldi incassati non dovranno restituirli al curatore . Il piano attestato, essendo totalmente stragiudiziale, non richiede omologa né voto in tribunale: è sufficiente l’accordo tra l’azienda e i singoli creditori coinvolti. Spesso lo si utilizza quando l’impresa ritiene di poter pagare tutti i creditori almeno in buona parte ma ha bisogno principalmente di tempo e riorganizzazione. Non a caso, non consente di imporre tagli ai creditori non consenzienti – chi non aderisce al piano rimane fuori e potrà agire per conto proprio, quindi il piano attestato funziona solo se c’è larga adesione, quantomeno dei creditori più importanti . Ad esempio, Beta Srl elabora un piano attestato in cui: i principali fornitori accettano un 20% di sconto e pagamento del restante 80% a 12 mesi; le banche prorogano le scadenze dei mutui di 2 anni; i soci apportano nuovi capitali per €100.000. L’attestatore indipendente certifica che, con queste misure, l’azienda tornerà solvibile entro 2 anni. I creditori formalizzano accordi individuali con l’azienda secondo tali condizioni, e il piano viene facoltativamente pubblicato nel Registro delle Imprese (la pubblicazione non è obbligatoria ma è utile per dare data certa e attivare le protezioni). Beta Srl esegue il piano e si risolleva. Se invece, malauguratamente, Beta dovesse fallire dopo un anno, i creditori che nel frattempo hanno ricevuto il loro 80% non dovranno restituirlo, perché quei pagamenti sono protetti dalla regola di esenzione revocatoria . In sintesi, il piano attestato è uno strumento di prevenzione della crisi: ha successo solo se c’è volontarietà e fiducia tra le parti. Giuridicamente è di livello “privato” ma è riconosciuto e incentivato dalla legge proprio tramite il beneficio anti-revocatoria. Spesso il piano attestato viene utilizzato come preludio: se la situazione peggiora e il piano non basta, può essere necessario passare a strumenti più robusti (composizione negoziata o concordato) .
Accordi stragiudiziali plurilaterali (moratorie e standstill)
Nel contesto delle trattative, le imprese in crisi adottano anche accordi di moratoria con più creditori contemporaneamente. Ad esempio, con l’aiuto di associazioni di categoria o della Camera di Commercio, si possono stipulare intese per congelare temporaneamente le azioni legali (cosiddetti standstill agreements). Un caso tipico riguarda le banche finanziatrici: se l’azienda ha debiti verso vari istituti, potrebbe ottenere un accordo collettivo in base al quale tutte le banche sospendono le richieste di rientro e le azioni esecutive per, diciamo, 6 mesi, in cambio di un piano di ristrutturazione in elaborazione e maggiori informazioni finanziarie fornite regolarmente . Nel CCII è previsto un istituto affine: la “convenzione di moratoria” (art. 62 CCII), che se sottoscritta da creditori rappresentanti almeno il 75% di una certa categoria (tipicamente le banche) consente di vincolare anche i dissenzienti di quella categoria alla dilazione concordata . Si tratta di uno strumento a metà tra il privato e il concorsuale (può essere utilizzato anche nell’ambito della composizione negoziata di cui diremo tra poco). In pratica, i creditori partecipanti (es. le banche che detengono almeno il 75% dei crediti bancari verso l’azienda) accettano di non attivare o sospendere azioni esecutive e di allungare le scadenze, spesso mantenendo aperte le linee di credito, per dare respiro al debitore . Tale convenzione, se validamente sottoscritta dalle percentuali richieste, diventa vincolante anche per le banche minoritarie eventualmente contrarie. La convenzione di moratoria rappresenta quindi un significativo passo avanti normativo: consente di superare il tipico problema del franco tiratore (la singola banca dissenziente che fa saltare lo standstill), almeno all’interno della categoria omogenea. Questo strumento – introdotto dal CCII in recepimento della direttiva UE 2019/1023 – trova spazio soprattutto all’interno della composizione negoziata della crisi , quando un esperto terzo facilita l’intesa. In generale, la riuscita di qualsiasi accordo stragiudiziale plurilaterale dipende da: trasparenza (il debitore deve fornire informazioni attendibili sulla propria crisi, magari con dati certificati), equità percepita (ogni creditore vuole essere trattato equamente rispetto agli altri, salvo chi offre nuova finanza che può ottenere un trattamento di favore), e credibilità del piano di risanamento (i creditori devono convincersi che accettare l’accordo conviene più che procedere col recupero forzoso) . È sufficiente che uno dei creditori maggiori resti fuori per mandare in crisi l’intera intesa: basta ad esempio che l’Erario o una banca importante non aderiscano, per rompere l’equilibrio magari avviando un pignoramento mentre gli altri aspettano . Questo purtroppo resta il limite degli accordi puramente volontari: non potendo costringere tutti i creditori, si è esposti al rischio che un solo attore aggressivo comprometta gli sforzi comuni.
La composizione negoziata per la soluzione della crisi (D.L. 118/2021, ora artt. 17-25 CCII)
Si tratta di una procedura ibrida, introdotta di recente (2021), che si colloca a metà tra lo stragiudiziale e il concorsuale. La composizione negoziata della crisi è un percorso volontario, riservato (non pubblicizzato inizialmente) e non giudiziario, in cui un imprenditore in difficoltà chiede la nomina di un esperto indipendente tramite una piattaforma presso la Camera di Commercio, al fine di tentare una trattativa con i creditori per risanare l’azienda . È stata pensata come strumento di emersione precoce della crisi, senza lo stigma del tribunale. Ecco in breve come funziona: l’imprenditore presenta una istanza online sulla piattaforma dedicata (gestita dalle Camere di Commercio) allegando i dati di bilancio, lo stato economico-finanziario e una prima idea di piano di risanamento; una commissione nomina entro pochi giorni un esperto terzo (scelto da appositi elenchi di professionisti con esperienza in ristrutturazioni) . L’esperto convoca l’imprenditore e i principali creditori e li assiste nel tentativo di trovare una soluzione concordata . Durante le trattative, l’imprenditore rimane alla guida della sua azienda (non c’è spossessamento né organo commissariale), però deve informare l’esperto di atti di particolare rilevanza e astenersi da operazioni che possano pregiudicare i creditori . La procedura è inizialmente confidenziale: la sua esistenza non è resa pubblica, a meno che il debitore non richieda al tribunale l’attivazione di misure protettive. Infatti uno dei vantaggi principali è che il debitore può ottenere, con decreto del tribunale, delle misure protettive temporanee che bloccano le azioni esecutive e cautelari dei creditori per la durata della composizione negoziata (fino a 120 giorni, prorogabili fino a 240) . Una volta pubblicato il decreto di misure protettive, tutti i creditori sono impediti dal iniziare o proseguire pignoramenti, sequestri, iscrizioni ipotecarie, ecc., sul patrimonio del debitore . Questo “periodo di respiro” consente di negoziare “a armi posate”, senza la pressione delle esecuzioni. Le misure protettive non sono automatiche: il tribunale le concede se la richiesta non è manifestamente abusiva e se esistono concrete prospettive di una soluzione concordata (il tutto viene deciso in pochi giorni, data la natura d’urgenza) . Durante la composizione negoziata, l’esperto può formulare proposte, individuare soluzioni e mediare tra le parti. La legge prevede possibili esiti entro il termine massimo di 6 mesi (prorogabili di altri 6 in casi eccezionali): – Accordo contrattuale con i creditori che assicuri la continuità aziendale per almeno 2 anni. Ad esempio, i creditori accettano uno standstill, una dilazione dei pagamenti o l’immissione di nuova finanza da parte dei soci. L’esperto attesta formalmente che l’accordo è idoneo a garantire l’equilibrio e l’azienda può uscirne. (La legge prevede anche alcuni benefici fiscali minori per incentivare ciò, come esenzioni di imposte su garanzie e crediti d’imposta su commissioni del Fondo centrale) . – Convenzione di moratoria ex art. 62 CCII: come detto, un accordo di moratoria con il 75% di una categoria di creditori (es. banche) che estende la sospensione delle azioni anche ai dissenzienti di quella categoria . – Accordo di ristrutturazione “certificato” con esperto: un accordo sottoscritto dall’imprenditore, da (alcuni o tutti) i creditori e dallo stesso esperto, che viene pubblicato nel Registro delle Imprese con attestazione finale dell’esperto . La pubblicazione – effettuata solo a risultato raggiunto, quindi la riservatezza iniziale è salva – attiva delle protezioni legali: i pagamenti e le garanzie concesse in esecuzione di tale accordo non sono soggetti a revocatoria (come per il piano attestato) e determinati atti godono delle esenzioni penali previste dall’art. 324 CCII (in particolare, i pagamenti preferenziali eseguiti in adempimento dell’accordo non sono punibili come bancarotta preferenziale) . In sostanza, questo esito costituisce un accordo stragiudiziale “rinforzato” dall’esperto: i creditori aderenti possono avere maggiore fiducia perché sanno che l’accordo, se registrato ufficialmente, li protegge sia civilmente (da revocatorie) sia penalmente. – Accesso a una procedura concorsuale ordinaria: se dalle trattative emerge che è necessaria una soluzione concorsuale (ad es. un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione omologato dal tribunale), l’imprenditore – assistito dall’esperto – può predisporre il ricorso e presentarlo in tribunale, facendo così confluire la composizione negoziata in una procedura concorsuale vera e propria . In tal caso le misure protettive concesse durante la negoziata vengono prorogate fino all’ammissione della nuova procedura . Ad esempio, Beta Srl dopo qualche mese di trattative elabora un piano di concordato preventivo in continuità: prima che scadano i 120 giorni di protezione, deposita il ricorso di concordato. La composizione negoziata termina e si apre la fase concordataria, con il beneficio che i creditori erano già stati sondati e nel frattempo i pignoramenti sono rimasti bloccati. Questo scenario “B1” è esattamente ciò che vedremo nella simulazione pratica più avanti.
Se nessuno di questi accordi viene raggiunto entro il termine (6 mesi, o 6+6 mesi massimo), si considera che la composizione negoziata sia fallita. L’esperto redige una relazione finale negativa e la procedura si chiude . Da quel momento cessano le protezioni e il debitore torna esposto ai creditori. Tuttavia, la legge ha previsto un ulteriore strumento di salvaguardia: entro 60 giorni dalla chiusura senza successo delle trattative, l’imprenditore può accedere a un particolare concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio . Introdotto proprio in funzione della composizione negoziata (art. 25-sexies CCII), il concordato semplificato consente al debitore di proporre al tribunale un piano di liquidazione dei beni residui, senza passare per il voto dei creditori, da omologare dopo un’udienza sommaria (i creditori possono solo fare osservazioni) . Il tribunale omologa se ritiene il piano migliore di una liquidazione giudiziale, e la procedura si chiude rapidamente liquidando l’attivo residuo e distribuendolo ai creditori. L’azienda cessa e viene liquidata in modo ordinato dal debitore stesso o da un liquidatore nominato, evitando però il “marchio” del fallimento. Questo concordato semplificato è pensato come extrema ratio se la negoziazione fallisce ma c’è comunque da evitare il caos del fallimento (ne riparleremo nelle procedure concorsuali). In alternativa, l’imprenditore potrebbe anche presentare direttamente istanza di liquidazione giudiziale, ma ciò gli precluderebbe i benefici che il concordato semplificato può dargli (niente voto dei creditori, tempi più rapidi, niente interdizioni).
In conclusione, la composizione negoziata è uno strumento nuovo (operativo dal 2021) che permette al debitore di prendere l’iniziativa per la soluzione della crisi in modo meno traumatico rispetto alle procedure tradizionali. Dal punto di vista della difesa del debitore, offre diversi vantaggi: iniziale riservatezza, presenza di un mediatore super partes, possibilità di ottenere misure protettive per congelare i pignoramenti, opportunità di concludere accordi certificati con protezione anti-revocatoria, e anche di negoziare transazioni fiscali agevolate (durante la negoziazione, l’imprenditore può proporre a Fisco e INPS una transazione su debiti fiscali e contributivi e, se ottiene l’assenso, potrà poi inserirla in un eventuale concordato) . Va detto che la composizione negoziata non impone ai creditori tagli forzosi (non avendo votazione), ma li incoraggia grazie all’intervento neutrale dell’esperto e ai vantaggi giuridici (revocatoria esclusa, premialità). Dal 2021 molte PMI hanno tentato questa strada per evitare di precipitare nel fallimento. Per il debitore in crisi, è sicuramente consigliabile valutare la composizione negoziata se la crisi è ancora affrontabile e c’è buona fede: attivarla tempestivamente può anche dimostrare diligenza e correttezza (ad esempio, sul piano delle responsabilità degli amministratori, aver esperito la negoziazione può servire ad escludere la colpa grave per ritardo nell’affrontare la crisi) . La riforma ha infatti introdotto incentivi: l’art. 324 CCII prevede che i pagamenti e gli atti effettuati in esecuzione di un concordato o accordo omologato non siano punibili come bancarotta preferenziale . Analogamente, l’impegno nella composizione negoziata (ed eventuale concordato successivo) mette gli amministratori al riparo da accuse di scelte preferenziali illecite, scoraggiando comportamenti occulti a favore di alcuni creditori e incoraggiando invece l’uso trasparente degli strumenti legali di composizione .
Pro e contro delle soluzioni stragiudiziali: in sintesi, i metodi stragiudiziali presentano vantaggi quali: flessibilità e minor formalità, costi inferiori, nessuna pubblicità iniziale (si evita di dichiarare pubblicamente lo stato di crisi), conservazione dei rapporti commerciali (le trattative dirette spesso salvano la relazione col fornitore o la banca), assenza del “marchio” di insolvenza e mantenimento del controllo dell’impresa nelle mani dell’imprenditore . Di contro, presentano limiti: richiedono la collaborazione volontaria dei creditori (non si può imporre nulla ai dissenzienti), di norma non bloccano automaticamente le azioni esecutive (salvo attivare la composizione negoziata e ottenere misure protettive), espongono al rischio di revocatoria i pagamenti preferenziali se poi interviene il fallimento (eccetto quelli protetti da piano attestato registrato o accordo certificato con esperto), e in generale hanno efficacia limitata se vi sono troppi creditori ostili o eterogenei .
Nella prassi, spesso si tenta prima la via stragiudiziale: se funziona, bene – l’azienda si risana lontano dai riflettori. Se invece fallisce, rimane la rete di protezione delle procedure concorsuali vere e proprie, che ora affronteremo nel dettaglio.
Procedure concorsuali di regolazione della crisi e dell’insolvenza
Quando i debiti raggiungono un livello tale da non poter essere gestiti informalmente, oppure quando serve uno strumento legale cogente per imporre una ristrutturazione ai creditori non collaborativi, si ricorre alle procedure concorsuali, disciplinate oggi dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza . “Concorsuale” significa che coinvolge tutti i creditori in un procedimento unitario davanti all’autorità giudiziaria, con regole di maggioranza e di parità di trattamento (par condicio creditorum) . Di seguito esaminiamo le principali procedure concorsuali utili a un’azienda indebitata: il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati, le procedure di sovraindebitamento (concordato minore e ristrutturazione del consumatore, per soggetti minori), la liquidazione giudiziale (il nuovo fallimento) e la liquidazione controllata (ex liquidazione del sovraindebitato non fallibile), con un cenno finale all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese .
Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII)
Il concordato preventivo è la procedura concorsuale “classica” volta ad evitare la liquidazione giudiziale, mediante un accordo con i creditori omologato dal tribunale . In un concordato, l’imprenditore propone un piano per regolare la crisi: questo piano può essere in continuità aziendale (l’azienda prosegue l’attività, ristrutturandosi, e utilizza i proventi futuri per pagare i creditori) oppure di liquidazione del patrimonio (l’azienda cessa e i beni vengono venduti, ma secondo un programma concordato invece che tramite fallimento liquidatorio) . La proposta di concordato viene sottoposta al voto di tutti i creditori aventi diritto: i creditori vengono suddivisi in classi omogenee e votano il piano, che per essere approvato richiede il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (calcolata per classi e/o nel complesso, secondo le regole) . Una volta approvato dalle maggioranze richieste e omologato dal tribunale, il concordato è vincolante per tutti i creditori anteriori all’apertura, anche per quelli che hanno votato contro o non hanno partecipato . Questo rende il concordato uno strumento potentissimo: consente di “cristallizzare” il debito al momento dell’apertura e di imporre riduzioni (stralci) o dilazioni a tutti i creditori, superando le resistenze dei singoli. In cambio, però, l’operazione è sottoposta al controllo del tribunale e di organi nominati d’ufficio (un Commissario Giudiziale vigila durante la procedura; se il concordato è liquidatorio vi sarà poi un Liquidatore che esegue il piano) .
Ammissione al concordato: il debitore (società o imprenditore individuale fallibile) può presentare ricorso di concordato se si trova in stato di crisi o di insolvenza (anche solo prospettica). È consentito presentare inizialmente una domanda “con riserva” (il cosiddetto concordato in bianco) per ottenere subito le protezioni del tribunale e poi, entro un termine assegnato, depositare il piano dettagliato. Il tribunale, verificati i requisiti formali e l’assenza di condotte fraudolente del debitore (es. atti in frode ai creditori), ammette il debitore alla procedura e nomina il Commissario Giudiziale, che sorveglia l’attività durante il concordato . Da quel momento scatta la fase di concordato pendente in cui: tutti i creditori anteriori sono bloccati – non possono iniziare né proseguire azioni esecutive individuali o cautelari (ciò è espressamente previsto dalla legge, rafforzato dalle eventuali misure protettive concesse) ; l’azienda continua l’attività sotto la gestione dell’imprenditore, ma gli atti di straordinaria amministrazione sono soggetti ad autorizzazione del tribunale ; i debiti anteriori restano congelati e saranno trattati nella proposta concordataria; si forma lo stato passivo dei crediti (l’elenco dei creditori e dei loro importi ammessi al voto) e viene inviata a tutti la proposta di concordato per la votazione.
Contenuto della proposta e classi: il debitore deve specificare chiaramente come intende soddisfare i creditori. Ad esempio: “ai creditori chirografari sarà pagato il 30% in 5 anni; ai creditori privilegiati ipotecari sarà pagato integralmente il loro credito (nei limiti di capienza delle garanzie), magari con interessi ridotti; i dipendenti saranno pagati al 100% entro 6 mesi; i debiti IVA e le ritenute saranno pagati al 100% (oppure ristrutturati tramite transazione fiscale se l’Erario acconsente); le sanzioni tributarie saranno stralciate totalmente”. La legge impone alcuni paletti: i creditori privilegiati (es. quelli con ipoteca, pegno o privilegio generale come Fisco e INPS) non possono essere toccati nei loro diritti senza il loro consenso, a meno che il piano offra loro almeno il valore di realizzo del bene su cui hanno privilegio (principio del best interest test) . In pratica, se la banca vanta €200k garantiti da ipoteca su un immobile che ne vale €150k, il piano può pagare €150k (il presumibile ricavato dalla vendita) alla banca e trattare gli altri €50k come credito chirografario (perché quella parte eccedente è di fatto non garantita dalla garanzia) . I crediti chirografari (senza garanzie) possono essere falcidiati liberamente, purché la proposta sia equa e – per legge – nel concordato liquidatorio (dove si vendono tutti i beni) i chirografari abbiano almeno il 20% . Nel concordato in continuità, invece, non c’è una soglia minima di legge per il pagamento dei chirografari (si presuppone che se ricevono meno è perché si offre comunque loro la prospettiva di continuare il rapporto commerciale utile). Nel CCII la soglia per il concordato liquidatorio è rimasta al 20% (ridotta a 10% nel concordato minore, di cui diremo) . Debiti fiscali e contributivi: hanno regole speciali. Possono essere falcidiati, ma solo tramite la transazione fiscale e contributiva (art. 88 CCII, ex art. 182-ter l.f.), cioè inserendo nel piano una proposta di pagamento parziale/dilazionato di tali crediti e ottenendo preferibilmente il voto favorevole dell’Erario e degli enti previdenziali. Se tuttavia l’Erario o l’INPS rifiutano la proposta benché sia conveniente, il tribunale può essere chiamato a superare il loro dissenso (cram-down fiscale) in sede di omologazione . Questo cram-down, introdotto dalla riforma nel 2020 e confermato nel CCII, consente al giudice di omologare il concordato anche senza il voto favorevole del Fisco/INPS, a patto che: 1. Il loro voto contrario sia determinante per bocciare il concordato (in sostanza, se si esclude il loro voto il concordato avrebbe comunque la maggioranza richiesta). 2. Un esperto indipendente attesti che la proposta per Fisco/INPS è più conveniente di quanto otterrebbero dalla liquidazione fallimentare . Se queste condizioni sono soddisfatte, il tribunale può omologare forzosamente il concordato nonostante il “no” del Fisco. Questo meccanismo ha risolto il problema storico dei veti erariali pretestuosi o irragionevoli . Resta comunque – come già detto – il divieto assoluto di falcidiare le ritenute non versate: quelle vanno pagate integralmente in ogni caso . Anche l’IVA dev’essere trattata con attenzione: oggi è falcidiabile (a differenza del passato), ma solo se nel concordato il suo pagamento è almeno pari a quello che otterrebbe in un fallimento . In pratica, l’attestatore deve sempre certificare che la quota offerta al Fisco (IVA compresa) è pari o superiore al ricavato ipotetico in caso di liquidazione giudiziale .
Votazione e omologazione: raccolti i voti dei creditori, se il piano ottiene le maggioranze richieste (maggioranza in valore dei crediti ammessi al voto; attenzione che se sono previste classi di creditori, occorre anche la maggioranza delle classi, salvo cram-down giudiziale per classi dissenzienti minoritarie) , il tribunale fissa un’udienza di omologazione. I creditori eventualmente dissenzienti possono proporre opposizione all’omologazione (ad esempio lamentando violazione della par condicio, mancanza di requisiti, ecc.). Il tribunale valuta il rispetto di tutti i requisiti legali (percentuali minime, convenienza per i creditori rispetto al fallimento, assenza di atti in frode) e, se tutto è in regola, emette il decreto di omologazione rendendo il concordato efficace per tutti . Da quel momento, il concordato dispiega i suoi effetti definitivi: il debitore deve eseguire il piano come promesso, sotto la vigilanza degli organi nominati. Effetti per i debiti residui: se il concordato viene interamente eseguito, il debitore viene liberato dai debiti pregressi non soddisfatti. In particolare, se il debitore è una società e il concordato è liquidatorio, la società al termine si estingue e dunque i debiti restanti si estinguono con essa; se invece la società prosegue l’attività (concordato in continuità), essa proseguirà “ripulita” dei debiti anteriori (salvo diverse previsioni del piano) . Se il debitore è una persona fisica, il concordato preventivo una volta omologato ed eseguito comporta l’esdebitazione automatica: i debiti residui anteriori non sono più esigibili (salvo alcune eccezioni come alimenti, risarcimenti da illecito e altre obbligazioni non esdebitabili) . Un importante caveat: la liberazione dai debiti non si estende ai coobbligati e ai fideiussori estranei al concordato . Quindi, ad esempio, se un socio aveva garantito personalmente un debito bancario e la banca recupera solo il 50% in concordato, la banca potrà chiedere il restante 50% al garante personale (salvo diverso accordo). Questo va tenuto presente quando si concorda un piano: spesso i garanti chiedono di essere liberati dalla banca come condizione.
In sintesi, il concordato preventivo è lo strumento principe per evitare il fallimento coinvolgendo attivamente i creditori in un accordo. Dal punto di vista del debitore siderurgico, offre la possibilità di: – Bloccare i creditori e le azioni esecutive (sin dall’ammissione, grazie al divieto di iniziative individuali e alle misure protettive concesse) . – Ridurre i debiti (stralciare una parte dei crediti chirografari) e/o dilazionarli significativamente secondo le capacità dell’azienda. – Preservare la continuità aziendale, se il piano prevede la prosecuzione dell’attività (con l’impresa che continua a operare durante il concordato, pur con qualche restrizione di controllo) . – Ottenere una “clean exit”: a fine concordato, l’azienda esce risanata e il debitore persona fisica è esdebitato dai debiti pregressi . L’imprenditore onesto può quindi ripartire senza il peso dei debiti passati. – Risolvere anche i debiti fiscali e contributivi in modo sostanzialmente riduttivo, grazie alla transazione fiscale e al nuovo potere del tribunale di omologare nonostante il dissenso dell’Erario se la proposta è conveniente . (Questo tema sarà approfondito nel focus fiscale.)
Di converso, il concordato richiede trasparenza e fattibilità: serve un piano serio e credibile, certificato da un professionista attestatore, e bisogna convincere una maggioranza di creditori della convenienza. Inoltre, durante la procedura il debitore è sotto osservazione: non può compiere atti di mala gestio e deve rispettare la legge (pena revoca del concordato o sanzioni). Se il concordato dovesse fallire (mancata omologazione o mancato rispetto del piano), le conseguenze possono essere severe: ad esempio, il tribunale su segnalazione può aprire d’ufficio la liquidazione giudiziale . Dunque, è uno strumento potente ma va usato con responsabilità.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono uno strumento concorsuale a metà strada tra il piano attestato e il concordato. In sostanza, sono accordi privatistici che però vengono omologati dal tribunale, acquistando efficacia vincolante erga omnes in certe condizioni. Prevedono che il debitore abbia raggiunto un accordo con almeno il 60% dei creditori (in termini di valore dei crediti) e chieda al tribunale di omologarlo rendendolo efficace . La logica è: quando c’è un’ampia adesione volontaria dei creditori, il tribunale può ratificare l’accordo e stabilizzare la situazione.
Requisiti principali: il debitore propone un accordo ai creditori; se riesce a farsi sottoscrivere da creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti totali, può depositarlo in tribunale insieme a una relazione di un attestatore indipendente che dimostra che l’accordo è fattibile e che i creditori rimasti fuori riceveranno il 100% entro certi termini . Esiste anche una forma di accordo “agevolato” al 30% per categorie di creditori finanziari, ma qui consideriamo il caso generale (60%). I creditori aderenti all’accordo sono vincolati alle nuove condizioni (tagli, dilazioni, ecc.) pattuite; i creditori non aderenti invece restano estranei: tecnicamente potrebbero proseguire le loro azioni di recupero, ma la legge impone che l’azienda li paghi integralmente nei termini fissati (massimo 120 giorni dall’omologazione) . In pratica, per ottenere l’omologa, il piano dev’essere tale che i creditori estranei vengano comunque soddisfatti per intero (salvo diversa moratoria accordata per convenzione ex art. 62 CCII, vedi sopra). Se ciò è assicurato, l’accordo può essere omologato e i creditori estranei non possono farne fallire il debitore perché non hanno pregiudizio. Inoltre, dal 2022 è previsto che anche il Fisco e l’INPS possano essere cram-down nell’accordo di ristrutturazione: se non aderiscono ma la proposta per loro è più conveniente del fallimento, il tribunale può estendere loro gli effetti dell’accordo . Ciò ha potenziato molto questo strumento.
Effetti: dopo l’omologazione, l’accordo di ristrutturazione diventa vincolante per tutti i creditori aderenti (che subiranno le falcidie o dilazioni concordate) e, come detto, costringe il debitore a pagare puntualmente gli estranei al 100% secondo i termini stabiliti (pena risoluzione dell’accordo) . Se il debitore rispetta l’accordo e lo esegue, i creditori aderenti saranno considerati soddisfatti per la parte stralciata del loro credito (la quota tagliata si “perdona”) e il debitore esce dalla crisi. Non c’è un’esdebitazione formale come nel concordato (perché non è una procedura universale), ma di fatto rimangono in essere solo gli eventuali debiti non coinvolti. Se invece il debitore non esegue l’accordo (es. non paga le rate previste o non paga i creditori estranei entro i 120 giorni), l’accordo può essere dichiarato risolto e si torna al rischio di fallimento . Durante l’esecuzione dell’accordo, però, l’impresa di solito si è risanata quel tanto che basta per tenere fede ai patti.
Differenze rispetto al concordato: negli accordi di ristrutturazione non c’è voto di tutti i creditori: conta la percentuale di adesione negoziata (≥60%). Chi non firma non è toccato (deve essere pagato in pieno). Non si ha il coinvolgimento di tutti i creditori automaticamente, quindi l’accordo è più “limitato” come ambito. D’altro canto, la procedura è più snella e riservata: si può chiedere l’omologa in camera di consiglio senza passare per assemblee di creditori, e l’adesione è volontaria. È tipicamente usato quando la gran parte dei creditori (banche, fornitori principali) è d’accordo a ristrutturare, ma magari ci sono alcuni piccoli creditori o enti pubblici non cooperativi che però possono essere pagati a parte. Con l’omologa, l’azienda evita il fallimento e “normalizza” la sua posizione. Protezione dalle azioni dei creditori: il CCII consente al debitore, quando deposita la domanda di omologa dell’accordo con le firme raccolte, di chiedere misure protettive analoghe a quelle del concordato (sospensione delle esecuzioni) per il tempo necessario a giungere all’omologa . Questo impedisce che creditori estranei possano correre ad aggredire l’azienda durante l’omologazione, purché sappiano di essere garantiti al 100% nell’accordo.
In sostanza, gli accordi di ristrutturazione sono indicati quando il debitore riesce a trovare un consenso ampio ma non unanime tra i creditori – spesso utilizzato nelle ristrutturazioni bancarie: se il 60-75% delle banche acconsente, l’accordo può essere chiesto in omologa e si cramdownano le banche dissenzienti (pagandole per intero in 120 giorni, magari con nuova finanza ottenuta grazie all’accordo stesso) . Anche qui, la presenza della transazione fiscale col cram-down consente di includere nel perimetro i debiti tributari senza bisogno che l’Agenzia delle Entrate aderisca, purché la proposta sia conveniente .
Procedure di sovraindebitamento: concordato minore, ristrutturazione del consumatore, liquidazione controllata
Il Codice della Crisi ha riunito e aggiornato le procedure prima previste dalla Legge 3/2012 per i debitori non fallibili (piccoli imprenditori sotto soglia, professionisti, consumatori). Nel nostro contesto, se la nostra azienda siderurgica fosse di dimensioni così ridotte da non rientrare nell’ambito di fallibilità, oppure se parlassimo dei garanti persone fisiche dell’azienda, queste procedure potrebbero essere rilevanti. Si tratta del concordato minore, della ristrutturazione dei debiti del consumatore e della liquidazione controllata.
- Concordato minore: è analogo al concordato preventivo ma riservato ai “debitore minore”, cioè piccoli imprenditori commerciali sotto certe soglie o imprenditori non commerciali (coltivatori, artigiani molto piccoli) . Le regole sono semplificate: si può omologare anche senza voto formale se nessun creditore si oppone, le soglie di soddisfacimento sono più basse (è richiesto almeno il 10% ai chirografari in caso di liquidazione, invece del 20% del concordato ordinario) . Spesso il debitore minore è una persona fisica che mira a liberarsi dai debiti mantenendo magari l’attività: il concordato minore offre questa chance, con minori formalità. Dal punto di vista pratico, per la nostra trattazione vale quanto detto sul concordato preventivo, salvo le differenze di percentuali e semplificazioni di rito.
- Ristrutturazione dei debiti del consumatore: è la procedura destinata al debitore consumatore sovraindebitato (persona fisica che ha debiti personali, non legati ad attività d’impresa). Non riguarda quindi l’azienda in sé, ma potrebbe interessare, ad esempio, l’imprenditore individuale per i debiti estranei all’impresa o un garante persona fisica. Consente di proporre un piano di pagamento parziale dei debiti consumer (ad es. debiti da prestiti personali, mutui, carte di credito) omologato dal giudice se rispetta certi criteri di meritevolezza. Non ci dilunghiamo su di essa poiché esula dall’ambito imprenditoriale stretto.
- Liquidazione controllata del sovraindebitato: è sostanzialmente l’equivalente del fallimento per i soggetti che non possono essere dichiarati falliti (imprese sotto soglia, persone fisiche non imprenditori) . Si apre su richiesta del debitore o dei creditori o anche d’ufficio, e funziona come una liquidazione giudiziale ma in versione semplificata. Tutti i beni del debitore vengono liquidati da un liquidatore nominato dal giudice, e il ricavato ripartito ai creditori secondo l’ordine dei privilegi . Anche qui, al termine, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione dei debiti residui (quasi automatica in assenza di frode) . È dunque lo strumento di chiusura per chi non potrebbe “fallire” tecnicamente.
Va aggiunto che per il debitore persona fisica incapiente (cioè privo di beni e redditi), il CCII prevede la possibilità di ottenere l’esdebitazione di tutti i debiti senza liquidazione, a certe condizioni, una tantum (art. 278 CCII). Questo però riguarda soprattutto i casi sociali di sovraindebitamento personale.
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)
La liquidazione giudiziale è l’epilogo che il debitore in genere vuole evitare, ma che va considerato per completezza. Si apre – su ricorso di un creditore, del debitore stesso o su iniziativa d’ufficio del PM – quando l’impresa è insolvente e non ci sono soluzioni alternative percorribili . Il tribunale con sentenza dichiara aperta la liquidazione giudiziale, nomina un Curatore (professionista incaricato di gestire la procedura), e fissa termini per l’insinuazione dei crediti . Da quel momento l’imprenditore perde la gestione dell’azienda: il curatore prende in mano l’amministrazione e procede a liquidare tutto il patrimonio. La liquidazione giudiziale coincide sostanzialmente col vecchio fallimento, sebbene con alcune modifiche procedurali e terminologiche . Tutti i creditori concorrono sulla massa attiva: i creditori privilegiati (ipotecari, pignoratizi, privilegi generali) vengono soddisfatti in ordine di grado sul ricavato dei beni, mentre i creditori chirografari dividersi l’eventuale residuo pro-quota . I crediti sorti dopo l’apertura della procedura (detti prededucibili) sono pagati con precedenza su tutto, in quanto funzionali alla gestione della procedura stessa. La procedura termina quando tutto l’attivo è liquidato e distribuito.
Per il debitore società, la conseguenza finale è l’estinzione della società: esauriti i beni, la società viene cancellata dal Registro Imprese e cessa di esistere, e i debiti rimasti “muoiono” con essa (nessuno potrà più pretenderli, salvo eventuali garanti) . Per il debitore persona fisica, la chiusura della liquidazione giudiziale comporta la possibilità di chiedere l’esdebitazione dei debiti residui (art. 282 CCII, ex art. 142 l.f.) . Questa è normalmente concessa all’imprenditore meritevole, salvo alcuni debiti esclusi (alimentari, risarcimenti da illecito, sanzioni) e salvo casi di frode o mala fede. Dunque, un imprenditore individuale fallito, dopo la chiusura, può ottenere un fresh start liberandosi dai debiti residui . Di fatto, oggi l’ordinamento prevede che, società o persona fisica, il fallimento non si traduca più in una condanna a vita per debiti: la società fallita scompare e i soci perdono il capitale, l’imprenditore persona fisica onesto può ripartire senza pendenze (questa è la logica della “seconda chance”).
Dal punto di vista della difesa del debitore, la liquidazione giudiziale è la situazione da scongiurare, perché comporta la perdita totale del controllo e l’uscita traumatica dal mercato. Tuttavia, in alcuni casi limite, può diventare “preferibile” se l’alternativa è il protrarsi di una agonia finanziaria che aggrava la posizione. Ad esempio, se l’azienda è completamente decotta e non si riesce a trovare accordi, chiedere la propria liquidazione può limitare i danni, attivare gli ammortizzatori per i dipendenti (intervento del Fondo di Garanzia per TFR), e consentire all’imprenditore di evitare l’accusa di aver aggravato il dissesto. Infatti il Codice prevede che il debitore che spontaneamente chiede la liquidazione tempestivamente non incorra nelle sanzioni per ritardata dichiarazione di fallimento . Inoltre, presentare il ricorso può permettere al debitore di scegliere un proprio candidato come curatore o liquidatore (sarà il tribunale a decidere, ma l’input del debitore può essere considerato) . Insomma, se proprio non c’è speranza, arrendersi dignitosamente alla liquidazione può essere considerato un atto di difesa residuale: si collabora col curatore per massimizzare il ricavato e si chiude il capitolo, avvalendosi poi dell’esdebitazione per ripartire.
È importante segnalare che la liquidazione giudiziale può accompagnarsi a conseguenze spiacevoli per l’imprenditore: potenziali azioni di responsabilità da parte del curatore (se, ad esempio, gli amministratori hanno continuato a fare affari aggravando il dissesto, il curatore può citarli per danni ex art. 2486 c.c. e art. 378 CCII) , possibili inchieste penali per bancarotta se emergono distrazioni o preferenze, interdizioni ad esercitare attività economiche per qualche tempo, ecc. Quindi la liquidazione va gestita con molta attenzione legale.
Riassumendo: la liquidazione giudiziale è l’ultima spiaggia. Dal punto di vista del debitore, difendersi in questa fase significa cooperare col curatore, cercare di minimizzare le responsabilità personali (documentando di non aver commesso irregolarità), e puntare all’esdebitazione finale per avere almeno la liberazione dai debiti residui. Ormai il patrimonio aziendale è sacrificato interamente a beneficio dei creditori . L’unica consolazione è che, terminato il processo, il capitolo debitorio si chiude definitivamente.
Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi
Infine, per completare il panorama, citiamo la procedura riservata alle grandi imprese insolventi, cioè quelle con almeno 250 dipendenti o con debiti oltre certe soglie molto elevate . L’amministrazione straordinaria (disciplinata da leggi speciali come il D.Lgs. 270/1999 “Prodi-bis” e il D.L. 347/2003 “Marzano”) è gestita sotto l’egida del Ministero dello Sviluppo Economico e mira principalmente alla continuazione dell’attività e alla salvaguardia dell’occupazione, più che alla soddisfazione integrale dei creditori . È la procedura usata per colossi industriali in dissesto (noti i casi Ilva/Alitalia, ecc.), dove viene nominato un Commissario Straordinario al posto degli organi sociali e si tenta un risanamento o una cessione dell’azienda. Per un’azienda siderurgica media questa procedura non è applicabile, ma se parliamo di un grande gruppo siderurgico (es. un’acciaieria con migliaia di operai), potrebbe essere lo strumento attivato. Dal punto di vista “difensivo” del debitore, l’amministrazione straordinaria è più una misura di interesse pubblico: la gestione passa al commissario e l’imprenditore perde i poteri. Tuttavia, si differenzia dal fallimento perché punta a evitare la liquidazione, mantenendo in vita l’impresa o parte di essa. È un istituto molto particolare e raro, quindi qui ci basti saperne l’esistenza.
Focus: la gestione dei debiti fiscali e contributivi in situazione di crisi
I debiti verso il Fisco (Erario) e l’INPS meritano un approfondimento dedicato, data la loro delicatezza. Come visto, questi debiti presentano caratteristiche particolari: godono di privilegi nelle procedure concorsuali, spesso continuano a maturare interessi e sanzioni finché non si trova soluzione, e il loro mancato pagamento può generare problemi penali per gli amministratori (si pensi all’omesso versamento di IVA e contributi). Inoltre, i creditori pubblici sono vincolati da normative specifiche: un funzionario non può liberamente accettare di rinunciare a parte del credito, se non tramite gli istituti previsti dalla legge, a differenza di un fornitore privato che può dire “okay ti abbuono il 30%” senza formalità . Vediamo dunque come difendersi e gestire i debiti fiscali e contributivi, distinguendo i vari strumenti a disposizione del debitore.
- Rateizzazioni amministrative ordinarie: sia l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (per i tributi a ruolo) sia gli enti previdenziali offrono la possibilità di chiedere una dilazione amministrativa del pagamento. Quando arriva una cartella esattoriale o un avviso di addebito INPS, il debitore può presentare istanza per una rateazione: fino a 72 rate mensili (6 anni) per debiti sopra €120 (fino a importi considerevoli) e fino a 120 rate (10 anni) in casi di grave difficoltà comprovata . La normativa di riferimento (art. 19 D.Lgs. 602/1973, come modificato dal D.Lgs. 159/2015 e successive modifiche) prevede criteri relativamente automatici per debiti fino a €60.000 (basta una semplice richiesta, concessione quasi automatica) . Per importi maggiori occorre dimostrare la temporanea situazione di difficoltà finanziaria e soddisfare certi indicatori di liquidità (per le imprese, l’indice di liquidità inferiore a 1). Se concessa la rateazione, l’agente della riscossione sospende le azioni esecutive a patto che il debitore paghi regolarmente le rate . Se invece il debitore salta più di 5 rate, la rateazione decade e il debito residuo torna immediatamente esigibile in un’unica soluzione, risvegliando le procedure esecutive. Analogamente l’INPS concede piani di ammortamento per contributi (di solito fino a 24 mesi standard, estensibili fino a 36-60 mesi in casi eccezionali, e fino a 120 mesi per crisi gravi autorizzate da comitati interni) . Ottenere una rateazione è spesso la prima linea di difesa: blocca sul momento cartelle, ipoteche e fermi amministrativi, dando ossigeno all’impresa . Però va ricordato che la rateazione non riduce il debito: anzi, continuano a maturare interessi di dilazione e rimangono dovute le sanzioni già irrogate (solo ulteriori aggravii vengono sospesi). Quindi è una soluzione adatta se la crisi è di liquidità temporanea, ma non risolve un sovraindebitamento strutturale (per il quale servono i condoni o i concordati) . Molte aziende in crisi comunque usano la rateazione come tattica per guadagnare tempo: ad esempio, se l’Agente Riscossione stava per pignorare il conto, presentare domanda di rateazione immediata blocca il pignoramento, e nei mesi di respiro l’azienda può elaborare un piano più ampio (magari un concordato). Da segnalare: dal 2021, la legge consente durante la composizione negoziata di ottenere dall’Agenzia delle Entrate una rateazione straordinaria fino a 120 rate mostrando la situazione di difficoltà grave . In effetti, con Provvedimento AE 29/01/2024 n. 21447 e Messaggio INPS n. 3353/2024, sono state fornite indicazioni per concedere rate fino a 10 anni ai debitori in composizione negoziata che lo richiedano, nell’ottica di favorire una soluzione concordata della crisi (si tratta di misure attuative molto recenti) . Quindi, se l’azienda avvia la composizione negoziata, può chiedere e ottenere piani di rateazione più lunghi del normale, come ulteriore strumento difensivo.
- Sospensione e contestazione delle pretese tributarie: se l’azienda ritiene che il debito fiscale o contributivo non sia dovuto (in tutto o in parte), la miglior difesa è utilizzare gli strumenti di tutela giurisdizionale propri di quel tipo di credito. Ad esempio, se arriva un avviso di accertamento fiscale (che contesta imposte non dichiarate o maggiori imponibili), l’azienda può presentare ricorso alla Commissione Tributaria entro 60 giorni, chiedendo anche la sospensione dell’esecutività dell’atto . Ottenere la sospensione evita che, dopo 60 giorni, l’accertamento diventi una cartella esecutiva. Oppure, se l’INPS notifica un avviso di addebito per contributi omessi, il debitore può proporre opposizione al Tribunale del Lavoro entro 40 giorni, contestando magari errori di calcolo o la prescrizione del credito . Vincere un ricorso di questo tipo può ridurre drasticamente il debito: spesso nelle situazioni di crisi, le aziende non pagano imposte effettivamente dovute (quindi lì c’è poco da contestare se non chiedere dilazioni), ma ci sono casi in cui cartelle o avvisi contengono addebiti contestabili (sanzioni non dovute, interessi anatocistici mal calcolati, decadenze, vizi formali). Un check-up fiscale con un tributarista esperto è parte della strategia difensiva: non dare per scontato ogni importo a ruolo, ma verificare se è contestabile e chiedere sgravio per la parte illegittima . Inoltre, negli ultimi anni il legislatore ha introdotto varie definizioni agevolate: l’ultima, la cosiddetta rottamazione-quater prevista dalla Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022), ha permesso di pagare solo il capitale (più un forfait di spese) azzerando sanzioni e interessi di mora sui debiti affidati all’Agente Riscossione dal 2000 al 2017 (estesa anche al 2018-2019 per enti locali) . Un’azienda in crisi che rientrava in quei parametri avrebbe dovuto assolutamente aderire entro luglio 2023 e ora starebbe pagando le rate scontate. Queste rottamazioni periodiche sono preziose: riducono il debito fiscale in modo “legale” senza bisogno di procedure concorsuali . Ad oggi (ottobre 2025) non vi sono nuove rottamazioni aperte, ma il passato insegna che ciclicamente il legislatore ne propone. Per chi ne beneficia, è un grande sollievo: ad esempio, molte aziende hanno visto cancellati migliaia di euro di sanzioni e interessi esattoriali grazie alla definizione 2023 . In parallelo c’è stato anche lo stralcio automatico dei debiti fino a €1.000 affidati entro 2015 (cancellati d’ufficio). In sintesi, parte della difesa dai debiti fiscali consiste nel tenere d’occhio le normative emergenziali: quando esce una rottamazione o un condono, valutarne subito l’adesione perché può eliminare una porzione rilevante di debito in maniera del tutto lecita.
- Transazione fiscale e contributiva nelle procedure concorsuali: come già accennato, se l’azienda accede a un concordato preventivo o propone un accordo di ristrutturazione, può – anzi deve, per ridurre il carico – includere una proposta di trattamento dei debiti tributari e contributivi diversa dal pagamento integrale. L’art. 88 CCII (per il concordato) e l’art. 63 CCII (per gli accordi) disciplinano la transazione fiscale e contributiva . In pratica, il debitore chiede all’Erario e/o agli enti previdenziali di accettare un pagamento parziale e/o dilazionato di quelle imposte o contributi. Esempio: “Agenzia Entrate, ti pago il 100% dell’IVA dovuta e il 30% delle sanzioni collegate; ti pago il 50% dell’IRAP in 4 anni; INPS, ti pago il 100% delle ritenute non versate e il 40% dei contributi, dilazionato in 5 anni”. Questa è una transazione fiscale e contributiva tipica . Gli enti valuteranno la proposta comparandola con quanto otterrebbero in un fallimento: se nel piano prendono uguale o di più di quanto ricaverebbero dalla liquidazione giudiziale, dovrebbero aderire (l’Agenzia Entrate ha circolari interne che impongono di accettare se la convenienza è dimostrata) . Con la riforma 2021 (D.Lgs. 147/2021 e correttivi 2022), è stato chiarito che l’Agente della Riscossione può esprimere il voto per conto dell’Agenzia in molti casi, accelerando la procedura decisionale . Se, nonostante la convenienza, l’ente rifiuta la proposta, il tribunale – come detto – può superare il dissenso e omologare comunque (il cosiddetto cram-down fiscale) . Oggi dunque è realistico includere i debiti fiscali nei concordati prevedendo una falcidia anche dell’IVA, purché si rispetti la regola che nessun creditore (incluso il Fisco) riceva meno di quanto avrebbe nel fallimento . Questo deve essere attestato dal professionista e valutato dal giudice. In passato, ad esempio, la Cassazione a Sezioni Unite con sentenza 25632/2016 aveva stabilito – sotto la vecchia legge – che i debiti fiscali iscritti a ruolo non potevano essere falcidiati nel concordato senza passare anche dalla rottamazione dei ruoli . Ma quel panorama è appunto cambiato col CCII: ora, recependo la Direttiva UE 2019/1023, l’Italia ha consolidato la possibilità di obbligare Fisco e INPS a un haircut se il piano lo giustifica . La Corte Costituzionale già nel 2014 (sent. n. 225) aveva dichiarato legittimo l’istituto della transazione fiscale, rigettando dubbi di incostituzionalità sulla falcidia dei tributi in sede concorsuale . In sintesi: il concordato oggi può essere usato per ridurre sostanzialmente i debiti fiscali e contributivi, rispettando però alcune eccezioni fisse: come detto, le ritenute non versate vanno pagate integralmente e – ad oggi – i tributi locali (IMU, TARI, ecc.) non hanno una norma che ne consenta la falcidia senza consenso dell’ente . Ciò significa che, in teoria, Comuni e Regioni non sono obbligati ad accettare transazioni: in pratica molti giudici stanno estendendo in via interpretativa la regola generale anche ai tributi locali, omologando concordati che prevedono tagli a questi crediti comunali se la proposta è vantaggiosa per l’ente . Si segnala a tal proposito un’ordinanza della Cassazione n. 22221 del 01/08/2025 (citata in dottrina) che ha sottolineato come nulla vieti agli enti locali di accettare transazioni sui propri tributi, colmando il vuoto normativo de facto . È un’area ancora grigia in attesa di riforma, ma la tendenza è di permettere la falcidia anche di quei crediti, su base consensuale.
- Effetti su DURC e responsabilità personali: finché i debiti fiscali e contributivi rimangono impagati, l’azienda può subire limitazioni indirette. Ad esempio, avere un DURC negativo (cioè non in regola con i contributi) impedisce di partecipare ad appalti pubblici e può portare alla risoluzione di contratti in corso con enti pubblici . Durante un concordato preventivo, però, la normativa concede un DURC provvisorio regolare: poiché le obbligazioni pregresse sono congelate e il piano prevede il loro pagamento, l’INPS rilascia comunque il DURC come se l’azienda fosse regolare (art. 13-bis D.L. 52/2012) . Questo è fondamentale: un’azienda in concordato in continuità può continuare a lavorare con la PA, diversamente da una impresa inadempiente fuori procedura che verrebbe esclusa. Dal lato delle responsabilità degli amministratori, abbiamo già accennato ai profili penali: l’omesso versamento IVA oltre €250.000 annui (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000) e l’omesso versamento di ritenute oltre €150.000 (art. 10-bis) sono reati. Il semplice presentare un concordato e omologarlo non estingue di per sé questi reati; tuttavia, l’esito positivo del piano (ossia il pagamento integrale di quelle somme, anche se tardivo) può evitare la condanna . Non c’è una causa di non punibilità generale per i reati tributari come c’è per i contributi, ma la giurisprudenza e le riforme hanno introdotto soglie elevate e cause di non punibilità in caso di pagamento integrale tardivo (ad esempio, per l’omesso versamento contributi oltre soglia, non è punibile se il datore paga tutto prima dell’apertura del dibattimento, soglia ~€10k) . Quindi, un piano concordatario che preveda il pagamento integrale dell’IVA e dei contributi può di fatto salvare gli amministratori da condanne penali (perché estingue il debito prima della sentenza). Inoltre – come già ricordato – la bancarotta preferenziale non è punibile se i pagamenti preferenziali sono avvenuti in esecuzione di un concordato omologato che abbia soddisfatto i creditori in misura non inferiore a certe soglie (nel vecchio regime 40%, poi 30%, oggi con il CCII rileva l’art. 324 che estende l’esenzione in generale) . Ciò significa che se, prima del concordato, l’amministratore ha pagato qualche fornitore critico preferendolo ad altri, quell’atto non sarà punito come reato fallimentare se era parte di un piano poi omologato e con esito virtuoso . In definitiva, difendersi dai debiti fiscali/contributivi significa agire su più fronti:
- Sfruttare dilazioni e sospensive amministrative per evitare nel breve termine misure esecutive (ad es. rateizzare cartelle, chiedere sospensione su avvisi impugnati) .
- Contestare ove possibile le pretese (ricorsi contro avvisi infondati, eccepire prescrizioni – ricordiamo che la prescrizione per contributi e tributi è generalmente 5 anni, quindi se sono passati 5 anni senza atti interruttivi validi, quel debito potrebbe non essere più dovuto; attivarsi per eventuali condoni e rottamazioni non appena disponibili) .
- Se il peso dei debiti pubblici è tale da soffocare l’azienda, includerli in un piano concorsuale (concordato preventivo o accordo omologato) per ridurli e dilazionarli legalmente . In tal caso è fondamentale predisporre una transazione fiscale ben calibrata, offrendo almeno quanto dovuto in caso di liquidazione, pagando per intero IVA e ritenute se possibile e puntando a stralciare soprattutto interessi e sanzioni (che la legge consente di eliminare integralmente in sede di transazione) . Spesso, tagliare sanzioni e interessi porta già un beneficio notevole, mentre su IVA/ritenute bisogna prevedere il pagamento integrale (o comunque su IVA almeno il valore di realizzo).
In ogni caso, è consigliabile in questi frangenti farsi assistere da professionisti specializzati in diritto tributario e fallimentare, perché la materia è molto tecnica e in continua evoluzione.
Focus: debiti verso fornitori e banche – tutele e strategie
Passando ai debiti commerciali e finanziari, che per un’azienda siderurgica sono altrettanto cruciali, vediamo come il debitore può muoversi per difendersi da fornitori e banche in modo da proteggere la continuità aziendale e il patrimonio personale dei garanti.
Fornitori strategici: un produttore siderurgico dipende da forniture essenziali (materie prime come bramme, rottame di ferro, leghe; utenze energetiche; servizi di trasporto, ecc.). Se l’azienda ritarda i pagamenti, i fornitori potrebbero sospendere le consegne o chiedere pagamento anticipato per continuare a fornire. Ciò può rapidamente frenare la produzione. Dal punto di vista difensivo, l’imprenditore dovrebbe: – Comunicare tempestivamente con i fornitori critici, spiegando la situazione di crisi e magari condividendo un piano di ristrutturazione in corso. Spesso una trasparenza (controllata) evita il panico e convince il fornitore a non interrompere subito i rapporti . Come evidenziato, la buona fede e la correttezza del debitore possono essere ricompensate con maggiore tolleranza da parte dei creditori . – Offrire garanzie o accordi: se possibile, proporre al fornitore un piano di rientro parziale: es. pagamento di una percentuale del dovuto subito (o fornitura di cambiali, o garanzia personale dei soci) e il resto dilazionato. Nella nostra simulazione pratica vedremo un esempio in cui un fornitore accetta uno stralcio al 60% con parte subito (messa dai soci) e cambiali per la quota differita . Non tutti accetteranno, ma spesso il fornitore preferisce recuperare qualcosa e mantenere un cliente piuttosto che perderlo per sempre. – Usare la legge a proprio vantaggio: se si è in procedura concorsuale, il codice tutela i fornitori essenziali: ad esempio, durante il concordato o la composizione negoziata con misure protettive, i fornitori di utenze (acqua, luce, gas, ecc.) non possono sospendere le forniture per morosità pregresse, purché l’azienda paghi il consumo corrente . Questa è una norma salvavita: in concordato si può chiedere al giudice l’autorizzazione a continuare i contratti essenziali (energia, materie prime strategiche) pagando solo il nuovo, mentre le vecchie fatture verranno poi trattate in concordato. I fornitori “critici” possono anche essere inseriti in categoria particolare e magari pagati in prededuzione se funzionali (art. 95 CCII). Ad esempio, il tribunale può autorizzare il pagamento immediato di fornitori indispensabili perché senza di loro l’attività crollerebbe – sono i “creditori strategici”. – Misure preventive: se si prevede di non poter pagare un grosso fornitore, una strategia è fare un po’ di scorta di magazzino prima che blocchi le consegne (compatibilmente col rischio revocatoria) e diversificare i fornitori per non dipendere da uno solo. Anche contrattualmente, si può tentare di convertire rapporti a rischio in contratti di fornitura con pagamento contestuale (ad esempio chiedere forniture in contrassegno per lotti futuri, così almeno il fornitore consegna e viene pagato volta per volta, evitando accumulo di nuovo debito). – Proteggere le forniture in corso: in alcune situazioni, se il fornitore ha spedito merce e teme di non essere pagato, potrebbe trattenerla. Il debitore può opporsi facendo valere che, salvo patto di riservato dominio, la merce consegnata è di sua proprietà e il fornitore non può riprendersela arbitrariamente. Ovviamente, questo è un punto spinoso perché il fornitore può vantare il diritto di stop delivery su future consegne, ma non può entrare e riprendersi materiale già venduto. In un concordato, l’azienda può chiedere di mantenere efficaci i contratti di fornitura in essere (art. 94 CCII prevede la continuità dei contratti essenziali, salvo recesso autorizzato dal giudice).
Debiti bancari – gestione e garanzie: quando un’azienda siderurgica è indebitata con le banche, di solito vi sono linee di credito a breve (fidi di cassa, anticipi su fatture) e mutui o leasing. Le banche, se vedono peggiorare i conti dell’azienda (central risk segnalazioni, covenant violati), tendono a revocare gli affidamenti e chiedere rientro immediato . Questo è pericolosissimo perché toglie liquidità e spesso scatena la crisi di liquidità finale (come nella nostra simulazione, Banca Y revoca lo scoperto e chiede €200k in 15 giorni, cosa impossibile da soddisfare) . Come difendersi? – Negoziare una moratoria o conversione: appena la banca annuncia la revoca, parlare subito col direttore: spiegare la situazione e proporre una ristrutturazione piuttosto che il rientro forzoso . Ad esempio, si può chiedere di trasformare lo scoperto in un mutuo rateale di medio termine (5-7 anni), magari offrendo ulteriori garanzie (un’ipoteca di secondo grado su un immobile, la conferma delle fideiussioni personali) . Spesso la banca preferisce dare più tempo piuttosto che escutere immediatamente le garanzie, soprattutto se queste sono case dei soci: pignorare case è lungo e dall’esito incerto . Nella simulazione, la banca chirografaria accetta di ristrutturare il debito in 7 anni con ipoteca secondaria e mantenimento delle fideiussioni, piuttosto che far saltare tutto . – Difesa dei garanti: se le banche hanno fideiussioni dei soci o ipoteche su beni personali, tenderanno a escuterle appena l’azienda non paga (ad esempio, iscrivere ipoteca sulla casa del socio garante o notificare un precetto al garante) . Il garante, dal suo canto, può difendersi in due modi: (1) partecipando lui stesso a una procedura di composizione (se il socio garante è sovraindebitato, può fare un proprio piano del consumatore o un concordato minore) ; (2) negoziando separatamente con la banca la propria posizione, magari offrendo un pagamento parziale in cambio della liberazione della garanzia ipotecaria (capita che un garante offra, ad es., il 50% del debito garantito, preso da una nuova ipoteca di un parente, per chiudere la fideiussione). In alcuni concordati, i garanti mettono fondi a disposizione e i creditori acconsentono a liberarli: il CCII consente anche di proporre ai creditori un trattamento che coinvolga i garanti (ad esempio, nelle soluzioni in continuità, i soci garanti possono offrire un pagamento extra ai creditori garantiti fuori dal concordato, ciò può convincere la banca a non aggredire subito il socio e attendere l’esito). – Verificare la legittimità del credito bancario: in situazioni di sofferenza con le banche, alcuni debitori tentano la carta della contestazione tecnica del credito – ad esempio eccependo anatocismo (interessi composti illegittimi) o usura (tassi oltre soglia) – per guadagnare leva negoziale o tempo . Queste eccezioni vanno usate con cautela: se i conti mostrano davvero irregolarità (spesso su rapporti di lungo periodo può esservi del ricalcolo da fare), vale la pena farle valere in sede di opposizione o trattativa. Nell’estratto della simulazione, si ipotizza di dedurre usurarietà per un fido e ottenere una perizia (CTU) che richiede tempo . Questa strategia può bloccare la banca in causa per un po’, ma se i numeri non sono palesi, si rischia solo di dilazionare l’inevitabile. Dunque va ponderata: è più efficace come tattica di difesa in extremis per prendere tempo (ad es. per completare la composizione negoziata), ma raramente risolve il problema a fondo. – Strumenti concorsuali: se l’azienda entra in concordato preventivo, le banche sono dentro la procedura e devono stare alle regole del concorsuale. Una banca con ipoteca per esempio, come visto, verrà soddisfatta fino a capienza del valore e il resto come chirografo ; una banca con solo fideiussione invece avrà il privilegio di potersi rivalere sul garante, ma per la parte su azienda sarà trattata come chirografo. In concordato in continuità, può anche capitare che alcune banche decidano di supportare l’impresa con nuova finanza (prestiti prededucibili) in cambio di un trattamento migliore. La legge incoraggia la finanza esterna, dando priorità di rimborso. – Salvaguardia dei beni aziendali da ipoteche giudiziali: se una banca chirografaria ottiene un decreto ingiuntivo, può cercare di ipotecare giudizialmente immobili dell’azienda per garantirsi meglio. Prima che ciò accada, avviare la procedura concorsuale congela la possibilità di ipoteche giudiziali postume (divieto di ipoteche nei 90 giorni precedenti la domanda concorsuale, come atti pregiudizievoli). Anche qui, il timing è essenziale: muoversi prima che i creditori si posizionino con garanzie migliora la difesa.
Sintesi per banche e fornitori: l’obiettivo del debitore è prendere tempo senza perdere la fiducia: tenere le banche “ferme” (moratorie, concordato) e i fornitori “attivi” (farli continuare a consegnare, magari pagando il corrente per contanti). Tutte le leve – giuridiche e relazionali – devono essere sfruttate per mantenere in vita l’azienda e arrivare a un piano di ristrutturazione complessivo. Spesso si tratta di combinare strumenti: transazioni individuali, misure protettive generali, offerte di coinvolgimento dei soci (i soci spesso, per difendere la loro partecipazione, mettono nuova finanza o garanzie come segnale di impegno). Anche l’intervento di consorzi fidi o garanzie pubbliche (MCC) può aiutare: nelle crisi guidate, a volte le banche accettano di convertire linee a breve in finanziamenti assistiti da garanzia statale al 90% (se disponibili su certi programmi emergenziali).
Un’ultima notazione: dipendenti. I lavoratori, come abbiamo visto, hanno tutele forti e possono diventare creditori bellicosi (istanze di fallimento, scioperi). Una strategia difensiva fondamentale è coinvolgere i sindacati e attivare ammortizzatori: Cassa Integrazione Straordinaria per crisi (che è prevista proprio nelle ristrutturazioni e concordati, ex art. 44 D.Lgs. 148/2015) . Se il Ministero autorizza la CIGS per concordato, i dipendenti ricevono reddito dall’INPS e l’azienda può alleggerire temporaneamente il costo del lavoro durante la procedura, senza licenziarli. Questo è un salvagente sia per i lavoratori sia per l’azienda, e rende i dipendenti più propensi a sostenere il piano.
Domande Frequenti (FAQ) sulla difesa dai debiti aziendali
Di seguito rispondiamo ad alcune domande comuni che imprenditori e amministratori si pongono quando la loro azienda è schiacciata dai debiti:
D: Cosa succede se la mia azienda non paga i fornitori?
R: Inizialmente il fornitore solleciterà il pagamento e potrà interrompere ulteriori forniture. Se il mancato pagamento si protrae, il fornitore può agire legalmente: tipicamente ottiene un decreto ingiuntivo dal tribunale e, se non paghi né ti opponi, potrà procedere con il pignoramento dei beni aziendali o dei conti correnti . Ciò può portare alla vendita forzata di macchinari, merci e perfino alla chiusura dell’attività se beni essenziali vengono asportati . Inoltre, se più fornitori restano insoluti, potrebbero coordinarsi (ad es. presentare insieme istanza di fallimento). È dunque cruciale non ignorare i fornitori: meglio negoziare un piano di rientro o inserirli in un accordo collettivo prima che si muovano legalmente.
D: Ho ricevuto un decreto ingiuntivo per debiti verso un creditore. Devo oppormi anche se il debito è reale?
R: L’opposizione a decreto ingiuntivo ha senso solo se hai motivi validi per contestare il credito (ad es. merce contestata, errori di calcolo, prescrizione già maturata) oppure se hai assoluto bisogno di tempo per predisporre una soluzione più ampia (ad esempio stai finalizzando un accordo con tutti i creditori o stai preparando un concordato preventivo) . Se il debito è corretto e certo, opporsi solo per ritardare può essere controproducente: rischi di dover comunque pagare, con in più le spese legali e magari la provvisoria esecutorietà concessa al creditore. In tal caso è meglio contattare il creditore e chiedere un accordo transattivo (rateazione, saldo e stralcio). Se invece c’è qualche ragione di contestazione, l’opposizione (entro 40 giorni) è doverosa per evitare che il decreto diventi definitivo . Ricorda che se ti opponi puoi chiedere al giudice di sospendere l’esecuzione, ma non è automatico . Quindi valuta bene con il tuo legale.
D: I creditori possono pignorare i macchinari e i beni dell’azienda?
R: Sì, un creditore munito di titolo esecutivo (come un decreto ingiuntivo non opposto, una sentenza, o una cartella esattoriale non pagata) può far pignorare i beni mobili dell’azienda: macchinari, attrezzature, merci, arredi . Ci sono però alcuni limiti: ad esempio, per le imprese individuali piccolissime la legge tutela in parte gli strumenti di lavoro indispensabili (art. 515 c.p.c., esenzione parziale); per le società invece non c’è questa esenzione. Tuttavia, se i beni pignorati non appartengono all’azienda (mettiamo che siano in leasing o di terzi), il debitore deve subito segnalarlo all’ufficiale giudiziario, esibendo i documenti (contratti di leasing, fatture di proprietà di terzi). In tal caso, quei beni dovrebbero essere esclusi; se per errore vengono pignorati, il terzo proprietario può fare opposizione di terzo per liberarli . Inoltre, il debitore può chiedere la conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.), cioè sostituire i beni con un pagamento dilazionato, come spiegato prima . Infine, alcuni beni sono relativamente impignorabili: ad esempio i beni di modesto valore necessari all’attività quotidiana (strumenti da lavoro entro un certo valore) spesso non interessano il creditore o l’ufficiale giudiziario, perché la loro vendita non coprirebbe neanche le spese.
D: Possono bloccarmi il conto corrente aziendale?
R: Sì. Il pignoramento del conto corrente presso la banca è una delle prime azioni che un creditore intraprende, perché è relativamente semplice: notifica un atto di pignoramento alla tua banca e a te, e la banca è obbligata a congelare le somme presenti sul conto fino all’udienza in tribunale . Questo di fatto azzera la liquidità immediata dell’azienda. Per difendersi da questo rischio, come detto, una strategia è la dispersione della liquidità: tenere fondi su più conti, magari intestati a società diverse o persone di fiducia (legalmente, non è vietato spostare denaro prima di un pignoramento, purché non vi sia già un precetto o un ordine del giudice) . Attenzione però: trasferimenti fatti dopo che hai ricevuto un precetto potrebbero essere considerati in frode ai creditori e quindi revocabili o addirittura reato. Se il conto è già stato pignorato, hai poche opzioni: potresti proporre al creditore di lasciarti usare parte delle somme pignorate per pagare spese urgenti, magari convincendolo che così aumentano le chance di risanamento (a volte il giudice, su accordo, consente di liberare una porzione per stipendi ad esempio). In extremis, se riesci a trovare i soldi, potresti “convertire” anche quel pignoramento depositando il dovuto (ma è come pagare tutto quindi). Insomma, meglio prevenire: prima che i creditori muovano, organizza la gestione dei flussi di cassa in modo da non lasciare troppa liquidità su conti noti ai creditori, oppure valuta di versare volontariamente somme in tribunale chiedendo una dilazione (una sorta di pagamento giudiziale parziale) – è un’idea avanzata che a volte si usa per evitare l’assegnazione forzata e prendere tempo negoziando.
D: La banca ha revocato il fido e minaccia di escutere la fideiussione di un socio: cosa posso fare?
R: Quando una banca revoca i fidi di cassa o gli anticipi su fatture, spesso è indice che ha perso fiducia. Purtroppo, contrattualmente le banche possono recedere dagli affidamenti con breve preavviso (spesso 10-15 giorni) e, una volta scaduto il termine, chiedere il rientro immediato . Se c’è una fideiussione personale, appena l’azienda scade la banca può inviare lettera al socio garante chiedendo il pagamento e, trascorsi i tempi tecnici (di solito 20 giorni), procedere col pignoramento a suo carico. Cosa fare? Prima di tutto, parla immediatamente con la banca: spiega la situazione di crisi generale e proponi un piano di rientro ragionevole . Ad esempio, come discusso, convertire il fido in mutuo pluriennale, magari offrendo in garanzia un’ipoteca se possibile, o un nuovo coobbligato. La banca potrebbe preferire questa soluzione a escutere subito la fideiussione (che vorrebbe dire pignorare la casa del socio, con un incerto recupero). Se però la banca è inflessibile, il socio garante può a sua volta muoversi: se è coinvolto in più garanzie e rischia un sovraindebitamento personale, valuti di aprire anche per lui una procedura di sovraindebitamento (un piano del consumatore se i debiti sono personali, o un concordato minore se è egli stesso imprenditore). In tal modo, anche il garante accede a misure protettive e può proporre ai creditori (la banca) un suo piano di saldo parziale . Questa è una strategia sofisticata ma che a volte si rivela vincente: doppio binario – la società in concordato e i garanti in piano del consumatore – per risolvere sia il debito primario sia le fideiussioni, arrivando a far liberare la casa del socio. Non improvvisare: fatti assistere da un legale esperto in crisi da sovraindebitamento per coordinare le due cose.
D: La situazione è disperata. Conviene mettere l’azienda in liquidazione volontaria e chiudere prima di essere trascinati in tribunale?
R: La liquidazione volontaria (amministrativa) di una società consiste nello scioglimento deliberato dai soci e nella nomina di un liquidatore che vende gli attivi e paga i debiti con il ricavato. Questa strada è percorribile solo se l’azienda è ancora in grado di pagare tutti i creditori con il proprio patrimonio. Se invece l’attivo non basta a pagare tutti, la liquidazione volontaria non ti esonera dal fallimento: il liquidatore volontario, se vede insolvenza, è anzi obbligato a chiederne il fallimento (art. 2487 c.c. e art. 3 CCII). Quindi non risolve il problema di sovraindebitamento, anzi rischia di far perdere tempo utile. Può essere utile solo in casi marginali: ad esempio, l’azienda è leggermente insolvente ma i soci si impegnano a ripianare il debito residuo durante la liquidazione – scenario raro. In genere, se l’insolvenza è conclamata, conviene non procedere a liquidazione volontaria ma attivare direttamente una procedura concorsuale (concordato o liquidazione giudiziale) in modo ordinato e sotto il controllo del tribunale. La liquidazione volontaria in presenza di insolvenza potrebbe esporre gli amministratori a responsabilità (per tardiva dichiarazione di fallimento). Quindi, se pensi che l’attivo non coprirà il passivo, meglio optare per le procedure di legge (concordato, accordo, o se proprio fallimento chiesto da te) piuttosto che una liquidazione fai-da-te.
D: In un concordato preventivo posso continuare a guidare la mia azienda? O rischio di perdere tutto il controllo come nel fallimento?
R: Nel concordato preventivo, l’imprenditore rimane in carica come amministratore della società (o titolare dell’impresa individuale) . Non c’è spossessamento dei beni: tu continui a gestire l’attività ordinaria, se la continuità è prevista, e a rappresentare legalmente l’azienda. Viene nominato dal tribunale un Commissario Giudiziale che ha un ruolo di vigilanza e relazione (supervisiona che tu non compia atti pregiudizievoli, raccoglie i voti dei creditori, riferisce al giudice) . Alcuni atti di straordinaria amministrazione richiedono l’autorizzazione del giudice delegato (es. vendere beni importanti, accendere nuovi finanziamenti garantiti, ecc.), ma per il resto la gestione quotidiana rimane nelle tue mani . Solo dopo l’omologa, se il concordato è liquidatorio, subentra un Liquidatore che realizza i beni secondo il piano (e anche lì spesso l’imprenditore collabora). Se invece il concordato è in continuità, normalmente dopo l’omologa resti tu a eseguire il piano sotto la sorveglianza di un eventuale commissario/attestatore. Quindi, il concordato ti permette di restare al timone (diversamente dal fallimento, dove il curatore ti esautora). Ovviamente devi accettare la supervisione e le restrizioni imposte dalla legge, ma mantieni la guida strategica. Nota: c’è un tipo di concordato, il concordato con riserva (conosciuto come “in bianco”), che puoi presentare per bloccare le azioni e poi depositare il piano. In quella fase preliminare, il tribunale di solito ti impone di non fare atti straordinari senza permesso. Ma è una fase transitoria. In sintesi, il vantaggio del concordato è che “congela” i debiti ma non congela te: l’imprenditore onesto e capace può proseguire l’attività, se ciò giova ai creditori, anziché venire estromesso.
D: Dopo la procedura, i debiti che restano scoperti sono ancora esigibili?
R: Dipende dal tipo di procedura e dalla natura del debitore. Per una società (persona giuridica), la regola generale è che al termine della liquidazione giudiziale – dopo aver distribuito tutto l’attivo – la società viene cancellata dal Registro delle Imprese. Essendo la società un soggetto distinto, i debiti insoddisfatti “muoiono” con essa (nessuno li pagherà più, salvo eventuali garanti esterni) . Quindi i creditori chirografari che hanno ricevuto magari il 20% in fallimento devono rassegnarsi: il resto è inesigibile. Diverso è se il debitore è una persona fisica: in tal caso, come visto, deve chiedere l’esdebitazione al giudice, che normalmente viene concessa liberandolo dai debiti residui (eccetto alcuni debiti esclusi per legge). Nel concordato preventivo, se la società prosegue l’attività (concordato in continuità), i debiti non soddisfatti vengono comunque “cancellati” dall’esdebitazione finale ex art. 120 CCII , quindi la società prosegue solo coi debiti post-concordato. Se il concordato è liquidatorio, la società di solito viene estinta a fine piano e valgono le stesse considerazioni del fallimento (debiti estinti con la società) . Per la persona fisica, il CCII prevede l’esdebitazione di diritto a fine concordato eseguito . In un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, non c’è una “procedura universale” ma di fatto, se l’accordo va a buon fine, i debiti dei creditori aderenti si considerano estinti per la parte ridotta, e i creditori estranei dovrebbero essere stati pagati integralmente . Quindi l’impresa dovrebbe uscire senza strascichi (se poi non rispetta l’accordo, però, c’è rischio di fallimento). In conclusione: se tutto va secondo piano, un’azienda può davvero ripartire più leggera, e l’imprenditore persona fisica onesto può ottenere una “fedina finanziaria” pulita liberandosi dei debiti residui, salvo eccezioni (come multe, debiti per dolo, ecc.).
D: Ho paura di incorrere personalmente in sanzioni o reati a causa della crisi. Come posso tutelarmi?
R: La legge impone agli amministratori e imprenditori di agire con diligenza soprattutto in situazione di crisi. Ci sono vari profili di responsabilità: – Responsabilità civile verso i creditori sociali: se sei amministratore di una società e hai aggravato il dissesto non convocando soci o non attivando strumenti di composizione, potresti rispondere ex art. 2486 c.c. (gestione oltre la perdita del capitale) pagando di tasca tua il peggioramento del deficit . Cassazione 14980/2022 ha stabilito criteri presuntivi per quantificare questo danno (differenza del patrimonio netto dal momento in cui avresti dovuto sciogliere la società) . Tuttavia, se tu attivi regolarmente gli strumenti di allerta e componi la crisi (es. presenti un concordato) invece di occultarla, stai adempiendo al dovere di assetto adeguato ex art. 2086 c.c., il che ti protegge in buona parte da queste azioni . Infatti la riforma incoraggia l’imprenditore diligente: chi tenta la composizione negoziata o il concordato difficilmente potrà essere accusato di aver colpevolmente aggravato il dissesto – lo stava gestendo con gli strumenti legali. – Responsabilità penale (reati fallimentari e tributari): se la situazione precipita in un fallimento, comportamenti scorretti come distrarre beni, falsificare le scritture, o pagare preferenzialmente alcuni creditori a ridosso del fallimento, possono costituire reati di bancarotta (fraudolenta o semplice). Anche qui, utilizzare gli strumenti concorsuali offre protezioni: pagamenti e atti compiuti in esecuzione di concordato o accordo non sono punibili come bancarotta preferenziale (art. 324 CCII). Ad esempio, pagare quel fornitore critico fuori tempo sarebbe bancarotta preferenziale; ma se il pagamento rientra in un accordo omologato ed equo, non è punibile . C’è persino una sentenza storica della Cassazione (Sez. V pen. n. 12388/2010) che sancisce la non punibilità della bancarotta preferenziale se il concordato preventivo soddisfa i chirografari almeno al minimo di legge . Oggi quel principio è codificato nell’art. 324 CCII. Inoltre, come detto, se nel concordato paghi integralmente IVA e ritenute, eviti le sanzioni penali su omesso versamento, perché saldi il debito prima del verdetto . Quindi, seguire la via legale conviene anche per proteggere te stesso: un imprenditore che coopera con il tribunale e i creditori, invece di fare sparizioni di cassa o favoritismi occulti, difficilmente verrà punito severamente. Anzi, potrà aspirare a chiudere la vicenda senza macchie penali grazie alle cause di non punibilità di cui parlavamo (esdebitazione = niente bancarotta semplice, transazione fiscale = niente reati tributari, etc.). – Perdita del patrimonio personale: spesso la paura più grande è “perderò la casa, i miei risparmi?”. Se sei un socio di S.r.l./S.p.A., di base non rispondi con i tuoi beni dei debiti sociali. Però se hai dato garanzie personali, sei esposto. Anche qui, affrontare il problema è la miglior difesa: se la casa è ipotecata per debiti fiscali, sappi che è impignorabile solo se è prima casa non di lusso e non hai altri immobili ; se sei un consumatore sovraindebitato, puoi accedere a un piano del consumatore o chiedere esdebitazione dopo liquidazione controllata. Ignorare il problema porta sicuramente a esecuzioni e vendite coattive; gestirlo nell’ambito di una procedura concorsuale o accordo può portare a soluzioni di compromesso (ad esempio, come detto, il garante può proporre di pagare una quota del debito garantito e spesso la banca preferisce, lasciandogli la casa). Esiste anche la procedura di esdebitazione del debitore incapiente che condona i debiti non coperti neanche in minima parte (utile se proprio sei nullatenente). Quindi, se i debiti aziendali minacciano il tuo patrimonio personale, studia un piano parallelo per te: potresti contestualmente avviare un concordato minore personale o comunque negoziare con i creditori garantiti la tua liberazione. Ciò spesso fa parte delle trattative globali.
In definitiva, se agisci per tempo e con trasparenza, usi gli strumenti legali corretti, e non compi atti illegali per salvarti, l’ordinamento tende a tutelare l’imprenditore meritevole: ti permette di evitare condanne penali (riservandole ai casi di frode conclamata) e ti offre l’esdebitazione per ripartire pulito. Il peggior errore è farsi prendere dal panico e fare mosse sconsiderate (tipo svuotare i conti e scappare) – quelle sì che portano reati certi (bancarotta fraudolenta) e perdite irreversibili. Meglio, come stiamo facendo in questa guida, affrontare la crisi a testa alta con gli strumenti legali: potrai rimetterci economicamente, ma ti difendi sul piano giuridico e potrai eventualmente ripartire.
(Altre domande specifiche possono essere aggiunte a seconda dei casi particolari.)
Tabelle riepilogative e schemi pratici
Tabella 1 – Opzioni di difesa del debitore di fronte alle azioni esecutive dei creditori:
| Situazione / Atto del creditore | Possibili difese del debitore | Riferimenti normativi | | – | – | – | | Sollecito di pagamento / Diffida (pre-azione) | – Negoziare: proporre un piano di rientro a breve termine.<br>– Se il debito è contestabile, rispondere formalmente sollevando eccezioni (ciò può dissuadere dal procedere).<br>– Preparare documentazione sulla crisi da condividere col creditore (trasparenza strategica). | Art. 1219 c.c. (costituzione in mora). D.Lgs. 231/2002 (interessi moratori). | | Decreto ingiuntivo notificato | – Valutare opposizione entro 40 giorni se vi sono motivi (contestazioni sul credito, prescrizione, ecc.) .<br>– Se nessuna contestazione: contattare subito il creditore per trattare (chiedere rateazione, proporre saldo e stralcio).<br>– Non opporsi senza motivo: si rischia condanna alle spese e la concessione al creditore della provvisoria esecuzione al 50% . | Artt. 645 ss. c.p.c. (opposizione a decreto ingiuntivo); Art. 642 c.p.c. (provvisoria esecuzione). | | Atto di precetto ricevuto (intimazione a pagare entro 10 gg) | – Tentare accordo last minute col creditore (anche pagamento parziale in cambio di rinuncia o sospensione del precetto).<br>– Se vi sono errori formali nel precetto o nel titolo: proporre opposizione ex art. 615 c.p.c. prima che inizi l’esecuzione, chiedendo la sospensione .<br>– Prepararsi a eventuale pignoramento: ad es. spostare l’operatività bancaria su altro conto (prima dei 10 gg, lecito se non c’è precetto su quel conto), proteggere beni essenziali (ad es. nominare custode un terzo per macchinari, per evitare asportazione).<br>– Valutare attivazione misure protettive concorsuali (es. depositare ricorso di concordato preventivo o composizione negoziata) prima della scadenza del precetto, poiché la pubblicazione del ricorso blocca i pignoramenti imminenti . | Art. 480 c.p.c. (forma del precetto, 10 gg); Art. 615 c.p.c. (opposizione all’esecuzione prima del pignoramento); Misure protettive ex art. 54 CCII: se il ricorso di concordato/comp. negoziata è pubblicato prima del pignoramento, inibisce gli atti esecutivi. | | Pignoramento mobiliare (ufficiale giud. in azienda) | – Opposizione agli atti esecutivi se il verbale è viziato (entro 20 gg) .<br>– Terzo proprietario: se beni pignorati non sono dell’azienda (leasing, noleggio), farlo constatare subito all’UG per escluderli; se già pignorati, il terzo può agire con opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.).<br>– Conversione del pignoramento: depositare istanza e cauzione ≥1/6 per ottenere dal giudice la rateizzazione del dovuto e la liberazione dei beni . La richiesta sospende la vendita.<br>– Chiedere, se la conversione è ammessa, che i beni pignorati restino in azienda come custodia al debitore, così da poterli usare in attesa delle rate (spesso concesso).<br>– Se un bene indispensabile è già pignorato e la conversione non è fattibile: proporre al creditore di trasformare il pignoramento in pegno volontario (soluzione atipica: il creditore accetta di non vendere e trattiene il bene come garanzia temporanea). | Artt. 513 c.p.c. e ss. (pignoramento mobiliare presso il debitore); Art. 495 c.p.c. (conversione del pignoramento) ; Art. 619 c.p.c. (opposizione di terzo). Cass. SU 7378/1990: la conversione sospende l’esecuzione ; Cass. 940/2012: giudice deve includere anche i crediti intervenuti nel calcolo . | | Pignoramento immobiliare (atto di pignor. e trascrizione) | – Opposizione all’esecuzione se mancano requisiti di legge (es. titolo non valido, oppure – per il Fisco – debito < soglia per esecuzione immobiliare) .<br>– Conversione: anche sugli immobili è ammessa, depositando almeno 1/6 e chiedendo fino a 48 mesi di rate. Va chiesta prima che sia tenuta l’asta.<br>– Se l’immobile è prima casa del debitore persona fisica e il creditore pignorante è il Fisco: eccepire l’impignorabilità ex art. 76 DPR 602/73 (in via d’urgenza al giudice dell’esecuzione). La Cassazione ha confermato nel 2024 che il pignoramento è improcedibile in tal caso .<br>– Trattativa col creditore: possibile fino all’ultimo; se trovi un accordo di pagamento, il creditore può rinunciare all’esecuzione anche dopo l’avviso di vendita (dovrai pagare le spese fin lì maturate).<br>– Misure protettive concorsuali: se attivi un concordato preventivo o una composizione negoziata con misure protettive dopo il pignoramento ma prima dell’asta, l’asta viene sospesa su ordine del giudice delegato . Nel concordato, puoi anche chiedere di vendere tu l’immobile a trattativa privata (con autorizzazione del tribunale) per spuntare un prezzo migliore rispetto all’asta. | Artt. 555 ss. c.p.c. (pignoramento immobiliare, forma e termini); Art. 495 c.p.c. (conversione del pignoramento immobiliare); Impignorabilità prima casa Fisco: art. 76 DPR 602/1973 (il Fisco non può pignorare unica casa non di lusso) ; soglia €120.000 e 6 mesi dall’ipoteca . Art. 54 CCII: domanda di concordato sospende procedure esecutive pendenti ; Cass. SU 9935/2015: obbligo tribunale attendere esito concordato salvo abuso . | | Pignoramento presso terzi (conto bancario, crediti verso clienti) | – Opposizione all’esecuzione se il credito pignorato è impignorabile o inesistente: es. somme sul conto provenienti da vendite con patto di riservato dominio (questioni complesse) o su stipendio oltre i limiti (1/5).<br>– Di norma, poche difese: se il conto è pignorato, puoi sbloccarlo solo pagando il debito (conversione significa in pratica depositare l’importo mancante). Se invece sono pignorati crediti verso i tuoi clienti, puoi avvisare i clienti se il pignoramento eccede (possono contestare l’importo in tribunale) oppure, meglio, trovare subito un accordo col creditore per liberare quei crediti (ad es. paghi una parte e lui rinuncia al pignoramento presso terzi).<br>– Strategia preventiva: avere conti separati per entrate cruciali, possibilmente non noti al creditore (se ne viene a conoscenza, li pignorerà dopo). In caso di pignoramento di crediti (es. fatture), si può tentare di depositare volontariamente una somma a disposizione del giudice e chiedere un termine per negoziare, prima che il giudice assegni i crediti al creditore.<br>– In sede di concordato, puoi chiedere al tribunale, tramite provvedimenti urgenti, di poter utilizzare parte delle somme pignorate sul conto per pagare spese operative immediate (in continuità produttiva spesso viene concesso con l’accordo del commissario). | Art. 543 c.p.c. (pignoramento di crediti presso terzi); Art. 545 c.p.c. (limiti di pignorabilità di stipendi, pensioni, ecc., tipicamente 1/5). Conversione pignoramento presso terzi: art. 495 c.p.c. (non chiarissimo se applicabile a crediti futuri; in pratica i giudici spesso richiedono il saldo integrale per liberare il conto) . |
Tabella 2 – Strumenti di regolazione della crisi e caratteristiche principali (con focus sul trattamento dei debiti):
| Strumento | Chi lo avvia / Volontarietà | Coinvolgimento creditori | Effetti sui debiti | Esito sui debiti residui | | – | – | – | – | – | | Composizione negoziata (procedura assistita, confidenziale) | Volontaria, attivata dall’imprenditore in difficoltà (tramite piattaforma CCIAA). | Nessun vincolo finché non c’è accordo. Trattative libere con i creditori sotto la guida di un esperto indipendente. In genere si coinvolgono i creditori principali; eventuali convenzioni di moratoria possono vincolare anche dissenzienti di categorie (75%). | I debiti anteriori sono “congelati” durante le trattative se vengono concesse le misure protettive (su istanza al tribunale) . È possibile raggiungere un accordo stragiudiziale certificato dall’esperto che preveda riduzioni (tagli) o dilazioni, ma ciò non vincola i dissenzienti fuori accordo. | Se si arriva a un accordo stragiudiziale riuscito, i debiti sono regolati come stabilito dall’accordo (pagamenti parziali, dilazionati). L’accordo è extra-concorsuale ma può essere pubblicato e protetto (no revocatoria) . I creditori estranei restano con i loro diritti immutati (se non vengono pagati possono riprendere le azioni, salvo eventuali convenzioni di moratoria temporanea). Se poi l’azienda passa a un concordato successivo, vedi colonna concordato. | | Accordo di ristrutturazione (art. 57 CCII) | Volontaria, proposta dal debitore al tribunale per l’omologa una volta raccolte adesioni ≥60% (o 30% nella versione agevolata). | Solo i creditori aderenti sono vincolati dall’accordo (≥60% richiesto). I creditori estranei restano fuori e devono essere pagati al 100% nei termini (massimo 120 gg dall’omologa) . Il tribunale omologa se verifica le condizioni (fattibilità e pagamento integrale estranei). | Debiti dei creditori aderenti: ristrutturati secondo l’accordo (ridotti o dilazionati come da patti individuali). Debiti dei creditori estranei: vanno pagati integralmente nei termini stabiliti (massimo 120 giorni dall’omologa) . Fisco/INPS possono essere inclusi con tagli anche se non aderiscono, grazie al cram-down fiscale in sede di omologa (se la proposta per loro è più conveniente del fallimento) . | Dopo l’esecuzione dell’accordo, i debiti dei creditori aderenti si considerano estinti per la parte stralciata come da accordo. I debiti dei creditori estranei dovrebbero risultare pagati integralmente – se il debitore non li paga, l’accordo può essere risolto e in extremis portare a fallimento. In generale, concluso l’accordo con successo, l’impresa esce dalla crisi con solo i debiti eventualmente rimasti fuori (ma di solito l’accordo segna la normalizzazione). Non c’è esdebitazione formale perché non è procedura universale, ma di fatto restano in piedi solo i debiti non toccati dall’accordo (che comunque dovevano essere soddisfatti). | | Concordato preventivo (piano regolamentato dal tribunale) | Volontaria da parte del debitore (i creditori non possono proporlo se non in casi di concordato “forzoso” molto particolari non previsti dal CCII ordinario). Si apre con ricorso in tribunale e ammissione alla procedura. | Tutti i creditori concorsuali (cioè quelli con crediti anteriori) partecipano. Votazione con maggioranze per classi; il tribunale omologa se le maggioranze sono raggiunte e il piano è fattibile. Cram-down possibile su creditori dissenzienti (sia su classi dissenzienti se il piano conviene, sia su Fisco come visto). Dopo l’omologa vincola anche i non votanti e i contrari. | I debiti anteriori all’apertura sono congelati. Possono essere falcidiati (ridotti) e/o dilazionati secondo il piano omologato: i chirografari sono pagati nella percentuale offerta; i privilegiati sono soddisfatti fino a capienza del loro collaterale (l’eventuale parte eccedente diventa chirografo) . Debiti fiscali/contributivi falcidiabili tramite transazione fiscale, con obbligo di pagamento integrale per IVA e ritenute se inferiori al valore di liquidazione (best interest) . Le misure protettive (se concesse) bloccano subito le esecuzioni individuali. Durante il concordato in continuità il debitore paga regolarmente le spese correnti e deve soddisfare integralmente eventuali fornitori post-ricorso autorizzati (prededuzione). | All’omologazione e avvenuto completamento del piano, il debitore viene liberato dai debiti residui non soddisfatti. – Se il debitore è una società e il concordato è liquidatorio, la società si estingue e quindi i debiti insoddisfatti “muoiono” con essa; se il concordato è in continuità, la società prosegue l’attività con solo i debiti post-concordato (quelli anteriori non soddisfatti non sono più esigibili) . – Se il debitore è una persona fisica, i debiti residui sono inesigibili per effetto dell’esdebitazione “automatica” concessa a fine concordato eseguito (salvo debiti esclusi per legge) . Attenzione: i garanti e coobbligati estranei (es. fideiussori, soci garanti) restano obbligati per la parte di debito non pagata nel concordato (il concordato libera solo il debitore soggetto). | | Concordato minore (per debitori non fallibili) | Volontaria dal debitore “minore” (piccolo imprenditore, professionista, consumatore con debiti di impresa). Molto simile al concordato preventivo. | Partecipano tutti i creditori. Procedura semplificata: possibile omologa anche senza voto formale se nessun creditore propone opposizione (si presuppone adesione implicita). | Come un concordato preventivo ma con soglie minime più basse: è richiesto almeno il 10% ai chirografari (invece del 20%) . Debiti fiscali e contributivi trattati analogamente con transazione fiscale (vale art. 74 CCII). | All’omologa libera il debitore persona fisica residualmente (salvo debiti esclusi) come esdebitazione analoga . Spesso il debitore minore è una persona fisica, quindi l’obiettivo principale è liberarsi dai debiti (fresh start), cosa che avviene a fine procedura se eseguita. | | Liquidazione giudiziale (fallimento) | Può essere chiesta dal debitore stesso, dai creditori o d’ufficio (PM). Non volontaria nel senso che, una volta insolvente, l’imprenditore vi può essere assoggettato indipendentemente dalla sua volontà (il tribunale la dichiara su istanza altrui). | Tutti i creditori anteriori concorrono, senza necessità di consenso: è un procedimento giudiziario d’ufficio mirato a liquidare il patrimonio e distribuire il ricavato secondo le priorità. (Non c’è voto dei creditori, ma solo accertamento dei crediti e graduazione). | I debiti restano congelati alla data di apertura. I beni del debitore vengono liquidati dal Curatore. I creditori privilegiati sono soddisfatti nell’ordine dei loro privilegi sul ricavato; i chirografari ricevono una percentuale (spesso bassa) sul residuo. I crediti sorti dopo l’apertura (prededucibili) sono pagati per primi, anche a scapito dei precedenti. | La procedura termina quando l’attivo è esaurito. – Società: si estingue con la cancellazione, i debiti insoddisfatti si estinguono con essa (nessuno ne risponde più, salvo garanti esterni) . – Persona fisica: può chiedere l’esdebitazione e farsi cancellare i debiti rimasti (eccetto alimenti, risarcimenti da fatto illecito, sanzioni pecuniarie) . Di norma quindi, il debitore persona fisica esce senza debiti (fresh start), salvo gli sia negata l’esdebitazione per motivi di indegnità (frode, ecc.). In caso di indegnità, resterebbe con i debiti residui anche dopo chiusura. |
| Liquidazione controllata (sovraindebitamento) | Avviata dal debitore non fallibile oppure da creditori/PM. Simile al fallimento ma per piccoli/consumatori. | Tutti i creditori concorrono, no voto. (Procedimento giudiziale semplificato). | Come il fallimento: un liquidatore vende i beni e ripartisce secondo i privilegi. (Spesso l’attivo è modesto). | Persona: esdebitazione pressoché automatica alla chiusura (tranne debiti esclusi e indegni). Quindi il debitore persona fisica ottiene il fresh start. Per la società “non fallibile” che subisce liquidazione controllata, al termine vale lo stesso: estinzione e debiti cancellati. |
(Legenda: CCII = Codice Crisi d’Impresa e Insolvenza; c.p.c. = Codice Procedura Civile; in grassetto alcune parole chiave.)
Come si evince dalle tabelle, l’ordinamento italiano offre un ventaglio di strumenti che il debitore può utilizzare per fronteggiare la pressione dei creditori. La scelta dello strumento dipende dalla gravità della situazione e dal livello di collaborazione dei creditori. In genere: – Se la crisi è temporanea e limitata a pochi creditori, si può risolvere stragiudizialmente con accordi privati. – Se il debito è eccessivo ma c’è ancora fiducia, la composizione negoziata può creare la cornice per un accordo. – Se servono tagli imposti alla maggioranza e blocco generalizzato delle azioni, è necessario un concordato preventivo. – Se non c’è modo di salvare l’azienda, si finisce in liquidazione giudiziale (fallimento) per chiudere ordinatamente.
Simulazione pratica – Caso di azienda manifatturiera debitrice (Italia)
Scenario: Alfa S.r.l. è un’azienda che produce componenti e profilati in acciaio (un’impresa siderurgica di medie dimensioni). Ha 25 dipendenti e possiede un capannone industriale. Negli ultimi anni, a causa di un calo degli ordinativi e di investimenti sbagliati, Alfa ha accumulato debiti significativi verso vari soggetti: – Banca X: finanziamento ipotecario di €600.000, garantito da ipoteca sul capannone (valore stimato del capannone: €450.000). – Banca Y: scoperto di conto corrente e anticipo fatture per €250.000, credito chirografario ma coperto da fideiussione omnibus dei due soci (per l’intero importo). – Fornitori vari: €180.000 totali (materie prime in acciaio, energia elettrica, trasporti). In particolare: €60.000 verso Energitalia (fornitore di elettricità), €50.000 verso Acciai&Metalli S.p.A. (fornitore di semilavorati) e il resto verso fornitori minori. – Erario (Agenzia Entrate): €130.000 (di cui €80.000 IVA non versata, €30.000 ritenute IRPEF su salari non versate, €20.000 IRES e IRAP). – INPS: €100.000 (contributi dipendenti non versati per l’ultimo anno, inclusi ~€15.000 di trattenute in busta paga dei lavoratori). – Inoltre, Alfa ha 3 contratti di leasing su macchinari, con un debito residuo complessivo di €150.000 (i macchinari in leasing restano di proprietà delle società di leasing finché non pagati).
Attivo di Alfa S.r.l.: capannone industriale (valore €450.000), macchinari (valore stimato €350.000 – ma alcuni sono in leasing e non liberamente vendibili), magazzino merci (acciaio e prodotti finiti per €120.000), crediti verso clienti €200.000 (molti però esigibili a 90-120 giorni). Cassa disponibile: solo €30.000 in banca.
Problema: Alfa S.r.l. non riesce più a pagare puntualmente i debiti. In particolare: – Banca Y ha revocato gli affidamenti e chiesto il rientro di €250.000 entro 15 giorni (lettera di recesso per “giustificato motivo”). – Energitalia minaccia il distacco della fornitura elettrica per morosità di 4 mesi. – Acciai&Metalli ha sospeso le consegne di materie prime (acciaio) in attesa di pagamento degli arretrati. – L’IVA non versata ha portato a cartelle esattoriali e l’Agente della Riscossione ha appena notificato un preavviso di ipoteca sull’immobile e di fermo amministrativo su 2 furgoni aziendali. – I dipendenti iniziano a temere ritardi nei salari (finora pagati, ma con difficoltà).
Azione 1 – Composizione Negoziata: Il CDA di Alfa (che si rende conto di essere in crisi conclamata: indice DSCR < 1, debiti superiori al patrimonio netto) decide di attivare subito la Composizione Negoziata della Crisi. Tramite la piattaforma online, carica i bilanci, l’elenco dettagliato dei debiti e una bozza di piano ipotetico: riduzione di costi, cessione di un ramo secondario e richiesta di dilazioni sui debiti esistenti. Contestualmente, chiede al tribunale le misure protettive: nel giro di 5 giorni il tribunale emette decreto che blocca le ipoteche esattoriali, i pignoramenti e le azioni esecutive per 4 mesi . Ciò ferma sul nascere la procedura esattoriale di Agenzia Entrate-Riscossione (non potrà iscrivere l’ipoteca né procedere col fermo) e impedisce anche ad eventuali creditori di iniziare pignoramenti. Energitalia e Acciai&Metalli ricevono comunicazione via PEC dell’istanza di misure protettive: ora sanno che Alfa è in una procedura di composizione negoziata (anche se è confidenziale, le misure protettive vengono pubblicate nel Registro Imprese, quindi i creditori ne hanno notizia) .
Un esperto indipendente – il dott. Rossi – viene nominato dalla commissione camerale. Rossi studia i conti: vede che Alfa ha ancora ordini in portafoglio (il mercato si sta riprendendo), ma soffre una grave carenza di liquidità. Con un nuovo contratto acquisito di recente, in 6 mesi Alfa potrebbe generare €200.000 di margine operativo, sufficiente a sopravvivere se i debiti potessero essere spalmati nel tempo. Rossi convoca allora i principali creditori di Alfa: Banca X, Banca Y, Acciai&Metalli, Energitalia e anche l’Agenzia delle Entrate e l’INPS (queste ultime due in persona di funzionari delegati) . Propone un incontro riservato presso la Camera di Commercio.
Al meeting (riservato), con la mediazione dell’esperto Rossi, emergono queste posizioni e proposte: – Banca X (creditrice €600k con ipoteca da €450k): si dichiara disponibile a rinunciare alla parte di credito chirografaria (€150k eccedenti il valore ipotecario), purché si continui a pagare regolarmente il mutuo per la parte €450k coperta da ipoteca. In pratica, Banca X accetta nel piano di prendere €450k anziché €600k, se ciò avviene in tempi ragionevoli (ad esempio convertendo i €150k eccedenti in una perdita) . Ciò ridurrebbe il suo credito al solo importo garantito dall’immobile. – Banca Y (€250k chirografo con garanzie personali): è molto preoccupata e in principio minaccia di escutere subito i soci garanti e ipotecare le loro case. L’esperto Rossi media: suggerisce di convertire l’esposizione in un finanziamento a medio termine (7 anni) con una ipoteca di II grado sul capannone e mantenimento delle fideiussioni . Banca Y, fiutando che altrimenti in un fallimento avrebbe dovuto pignorare le case dei soci (valore incerto e tempi lunghi), accetta in linea di principio: preferisce avere un piano di rientro con qualche garanzia aggiuntiva piuttosto che una procedura concorsuale incerta . – Acciai&Metalli (fornitore €50k): manifesta la volontà di essere pagata almeno il 50% subito e il resto in tempi brevi; altrimenti valuterà azioni legali. Rossi spiega che non c’è liquidità per pagare subito così tanto, ma propone un saldo e stralcio al 60%: 20% subito (emerge che i soci potrebbero mettere €10k di tasca loro), e il restante 40% entro 1 anno. Acciai&Metalli, dopo trattative, accetta la proposta di stralcio al 60% (€30k in totale) purché sia garantito da cambiali firmate dai soci per la parte dilazionata . Alfa e i soci accettano queste condizioni. – Energitalia (€60k): come fornitore di un’utenza essenziale (energia elettrica), per legge è tenuta a non sospendere la fornitura durante le misure protettive; tuttavia chiede garanzie per il futuro. Si concorda che Alfa pagherà regolarmente le bollette correnti + un extra 10% ogni mese destinato a ridurre l’arretrato. In pratica un piano di rientro di 10 mesi per i €60k pregressi (6k al mese aggiuntivi oltre alle bollette correnti). Energitalia aderisce (è prassi comune nei concordati che i debiti per utenze siano trattati con dilazione integrale piuttosto che con taglio). – Agenzia delle Entrate (€80k IVA, €20k tra IRES e IRAP, più sanzioni): il funzionario chiarisce che per legge non può accettare tagli sul tributo IVA, ma può considerare una dilazione e l’abbuono di sanzioni. Rossi propone allora di includere il Fisco in un eventuale concordato con pagamento integrale dell’IVA (€80k) e pagamento parziale, ad es. 50%, di IRES/IRAP (quindi €10k), da spalmare su 4 anni, e con sanzioni e interessi da stralciare al 100%. Il funzionario non può formalmente accordare in quella sede, ma Rossi prende nota per predisporre una proposta di transazione fiscale da far valutare ufficialmente (la si includerà nel piano, e si sfrutterà la possibilità di cram-down in caso di dissenso) . – INPS (€100k): situazione analoga: €15k di ritenute ai dipendenti vanno pagati al 100%, il resto (contributi datoriali) forse al 50%. Il delegato INPS segnala che, secondo disposizioni interne, l’ente può arrivare a concedere fino a 120 rate (10 anni) se c’è attestazione di temporanea difficoltà (casi straordinari) . Si ipotizza dunque di includere nel piano i contributi con pagamento 100% delle ritenute e 50% del restante, dilazionato in 5 anni. L’INPS probabilmente non aderirà formalmente se la legge non lo consente, ma Rossi mette in conto di procedere col meccanismo di cram-down contributivo all’omologa (simile a quello fiscale). – Leasing: le società di leasing (creditrici €150k con beni a garanzia) non erano inizialmente invitate. Rossi successivamente le contatta: suggerisce loro di non risolvere i contratti e di sostenere il piano. Vedendo che Alfa sta imbastendo un piano credibile, le due società di leasing accettano di concedere una moratoria di 6 mesi sui canoni, spostandoli in coda (allungando la durata del contratto). Così Alfa, nella fase più critica, non paga le rate di leasing e non perde i macchinari, continuando ad utilizzarli .
Sintesi accordo quadro: al termine delle trattative, Rossi redige un possibile accordo quadro tra Alfa e i suoi creditori chiave: – Banca X: il mutuo ipotecario prosegue regolarmente per €450k (nessun arretrato sugli ultimi mesi, la banca era stata pagata con priorità finora), e la banca rinuncia formalmente a €150k di credito chirografario eccedente (in concordato ciò si formalizzerà come credito degradato a chirografo e soddisfatto al 0%). – Banca Y: convertirà l’esposizione esistente (€250k) in un nuovo mutuo a 7 anni, tasso calmierato, garantito da ipoteca di II grado sul capannone (dopo Banca X) e mantenendo le fideiussioni dei soci (che confidano di non dover poi pagare personalmente se l’azienda riesce nei pagamenti). – Fornitori: Acciai&Metalli accetta un saldo e stralcio al 60% (darà liberatoria su €20k), di cui 20% (€10k) pagato subito e 40% (€20k) entro 12 mesi con cambiali dei soci come garanzia personale; gli altri piccoli fornitori, che in totale hanno €70k, si prevede di offrire loro una dilazione o un trattamento analogo nel concordato (molti di essi potrebbero anche votare a favore se vedono i maggiori aderire). Energitalia: accordo di dilazione integrale 10 mesi su €60k, con impegno a pagare correntemente le bollette future (che è indispensabile per mantenere la fornitura). – Erario/INPS: previsione nel piano concorsuale di pagamento integrale dell’IVA (€80k) e delle ritenute (€15k), pagamento parziale ~50% di imposte e contributi non privilegiati (€10k + €42.5k), dilazionato 4-5 anni; sanzioni e interessi stralciati. (Formalmente, sarà una proposta di transazione fiscale e contributiva da sottoporre alle autorità competenti durante la procedura). – Leasing: i contratti restano in essere, con 6 mesi di moratoria (nessuna rata da pagare per 6 mesi, che comunque saranno spostate alla fine). I beni restano quindi in azienda e produttivi.
Quasi tutti i creditori chiave si dichiarano d’accordo in linea di massima su questo schema, pur riservandosi approvazioni formali. Rimane fuori solo qualche fornitore minore non presente e, formalmente, l’adesione finale dell’Agenzia delle Entrate (che richiederà i suoi processi interni). Rossi vede due opzioni: 1. Formalizzare un Accordo di ristrutturazione omologato ex art. 57 CCII: Banca X, Banca Y, Energitalia, Acciai&Metalli ed eventualmente altri fornitori che insieme rappresentano >60% dei crediti totali di Alfa potrebbero firmare. I piccoli creditori estranei (supponiamo 10 fornitori per tot €30k) verrebbero pagati al 100% entro 120 giorni come previsto dalla legge per ottenere l’omologa . L’attestatore indipendente (diverso da Rossi) dovrebbe confermare che i creditori estranei sono pagati integralmente e che in caso di fallimento prenderebbero meno (cosa facile da dimostrare, poiché spesso in fallimento i chirografi prendono una piccola percentuale). Il tribunale omologherebbe visto il parere favorevole dei creditori principali. 2. Oppure, ricorrere a un Concordato preventivo: questo darebbe più certezza sul fronte Erario/INPS (poiché il tribunale può imporre il cram-down) e includerebbe tutti i creditori in un colpo solo. Dato che i creditori principali sono collaborativi, l’approvazione sarebbe quasi sicura. Il vantaggio dell’accordo di ristrutturazione è la riservatezza e minori costi, ed evitare il “marchio” di procedura concorsuale; tuttavia, per includere efficacemente Fisco e INPS potrebbe essere preferibile il concordato, in cui il giudice può omologare la transazione fiscale anche senza voto favorevole dell’Agenzia . Dopo discussione, Alfa – di concerto con Rossi e i legali – opta per l’Accordo di ristrutturazione (opzione (i)), giudicando di avere circa il 75% dei creditori a favore (banche e fornitori principali aderenti).
Fase successiva: Rossi, insieme all’avvocato di Alfa, redige un documento di accordo dettagliato con i creditori aderenti, includendo: – Le nuove condizioni con Banca Y (mutuo ristrutturato 7 anni, impegni dei soci come garanti ecc.); – L’elenco dei fornitori e le percentuali di stralcio/dilazione concordate (Acciai&Metalli 60%, ecc.); – Uno schema di pagamenti per Erario e INPS da inserire nella domanda di omologa (che sarà soggetta a verifica di convenienza rispetto al fallimento, con attestazione). – Si allega la relazione di un professionista attestatore indipendente (non Rossi, per evitare conflitto) che dichiara: (a) l’accordo è fattibile; (b) i creditori estranei (i piccoli fornitori non firmatari) saranno pagati interamente entro i termini legali (dunque non danneggiati); (c) in caso di liquidazione giudiziale (fallimento) i creditori otterrebbero di meno di quanto proposto (questo va evidenziato soprattutto per Fisco e INPS) . – Nella relazione si richiede al tribunale di considerare la soddisfazione dei crediti fiscali come da accordo (100% IVA, 50% di alcune imposte) più conveniente rispetto al fallimento, e dunque di omologare l’accordo anche senza un voto formale favorevole dell’Erario (cram-down fiscale) . In pratica, l’Agenzia Entrate non ha ancora firmato (per via dei limiti normativi), ma l’adesione complessiva supera il 60% includendo banche e fornitori; il tribunale potrà includere l’Erario forzosamente in virtù dell’attestazione e delle maggioranze ottenute.
Il piano (accordo) viene depositato in tribunale a fine periodo di protezione negoziata, insieme alla domanda di omologazione ex art. 48 CCII. Il tribunale esamina rapidamente il fascicolo e, constatato che i creditori principali sono a favore e l’attestazione è positiva, concede l’omologa nel giro di un paio di mesi (non ci sono opposizioni rilevanti: i piccoli fornitori estranei hanno ricevuto notifica e sanno che saranno pagati integralmente – non hanno motivo di opporsi) . Si omologa con decreto: l’accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII diventa efficace e vincolante. L’Agenzia delle Entrate, sebbene non abbia formalmente aderito, viene di fatto vincolata dal decreto (grazie al meccanismo di cram-down, visto che l’attestazione provava la convenienza) .
Esecuzione dell’accordo: – Alfa esegue puntualmente l’accordo: i soci versano subito i €10k che avevano riservato per coprire il pagamento immediato ai fornitori (Acciai&Metalli riceve €10k subito), l’azienda incassa nuove commesse e da esse paga costantemente i fornitori correnti e le rate previste dall’accordo (es. i €20k rimanenti ad Acciai&Metalli entro l’anno, i 6k extra al mese a Energitalia) . – Banca Y formalizza il nuovo mutuo di €250k a 7 anni (di fatto converte la precedente esposizione in un mutuo: quindi da quel momento l’azienda paga rate trimestrali; i soci mantengono le garanzie ma confidano di non dover sborsare nulla personalmente). – Il Fisco, per effetto dell’omologa, è vincolato a quanto stabilito: Alfa versa puntualmente l’IVA scaduta e le ritenute secondo le scadenze concordate (ad es. rate trimestrali per 4 anni), mentre la sanzione IRES 50% è stata condonata dal decreto di omologa . L’Agente della Riscossione, informato dell’omologa, aggiorna le cartelle riducendo importi e predisponendo il piano rate (fa parte del meccanismo di cram-down). – Energitalia continua a fornire elettricità regolarmente; Alfa paga ogni mese la bolletta corrente + la quota arretrato come concordato. – INPS riceve i contributi correnti e il piano di rientro per gli arretrati omologato (anche qui, l’omologa vincola l’INPS come adesione forzosa se serve; Alfa paga i contributi con le nuove rate fino a 5 anni). – Società di leasing: con la ripresa produttiva, Alfa riprende a pagare i canoni di leasing dopo la moratoria; i contratti proseguono regolarmente fino a termine, permettendo ad Alfa di conservare i macchinari.
Due anni dopo, Alfa S.r.l. è ancora operativa e in salute: il bilancio è tornato positivo, i debiti bancari ridotti vengono onorati a scadenza, i fornitori storici continuano a rifornirla (hanno recuperato almeno parte del loro credito e vedono un cliente “risanato”), l’Erario e l’INPS incassano gradualmente il dovuto, e i soci hanno conservato la proprietà del capannone e delle loro case (nessuna escussione forzata è avvenuta) . L’accordo di ristrutturazione si è rivelato un successo: ha evitato il fallimento, preservato valore (Alfa ha mantenuto i clienti e il know-how intatti, cose che in un fallimento sarebbero andate disperse) e permesso un recupero per i creditori superiore a quanto avrebbero ottenuto con la liquidazione forzata .
Analisi dell’esito: in questa simulazione, la chiave della difesa del debitore è stata la rapidità di reazione e l’uso combinato di strumenti: – Alfa ha sfruttato la composizione negoziata per bloccare i creditori aggressivi (Fisco, banche) e negoziare senza “l’acqua alla gola” grazie alle misure protettive . – Ha ottenuto un compromesso con quasi tutti i creditori grazie alla regia di un esperto neutrale (che è riuscito a far intravedere ai creditori che conveniva collaborare piuttosto che far fallire Alfa) . – Ha scelto lo strumento concorsuale più adatto (accordo ex art. 57) per formalizzare gli impegni e renderli vincolanti con l’avallo del tribunale. Ciò ha difeso l’azienda da eventuali ripensamenti dei creditori e ha imposto la soluzione anche al Fisco, che da solo forse avrebbe fatto resistenza . – I soci hanno anch’essi difeso i propri interessi indiretti: mettendo un po’ di finanza nuova (€10k) e confermando garanzie, hanno evitato di perdere tutto (le loro case, le quote societarie). Hanno considerato meglio investire qualcosa per salvare l’azienda piuttosto che vederla fallire e dover comunque rispondere come garanti . – Dal punto di vista legale, non c’è stato alcun reato: i pagamenti preferenziali fatti (es. ad Acciai&Metalli 60%) erano in esecuzione di un accordo omologato, quindi non revocabili né penalmente rilevanti . L’IVA sarà pagata integralmente dunque l’amministratore non sarà punibile per omesso versamento (ha ritardato ma sta versando come da omologa; l’art. 10-ter reato tributario viene meno col pagamento totale). Stesse premesse per i contributi: verranno saldati secondo piano, evitando il reato ex art. 2 D.L. 463/83 (non punibile se pagati prima della sentenza) . – I dipendenti hanno mantenuto il posto di lavoro perché l’azienda non ha chiuso; eventuali arretrati retributivi sono stati recuperati e i contributi saranno regolarizzati, evitando loro problemi futuri di pensione. Inoltre Alfa ha potuto accedere a CIGS durante la fase di negoziazione, alleviando l’impatto sui lavoratori. – Il sistema economico locale ne ha giovato: i fornitori hanno mantenuto un cliente importante e recuperato almeno parte dei crediti, la banca ha ridotto una sofferenza (Banca Y avrebbe forse dovuto svalutare parecchio in caso di fallimento di Alfa), i subfornitori e l’indotto continuano a lavorare con Alfa, etc. Perfino il Fisco incassa di più col piano di quanto avrebbe ottenuto in un fallimento (dove l’Erario con privilegio generale sui mobili avrebbe forse preso briciole, qui avrà 100 cent/€ sui tributi base) .
In conclusione, in questo caso la difesa del debitore ha significato: negoziare, usare la legge a proprio favore, e trasformare quella che poteva essere una distruzione di valore (il fallimento) in una soluzione in cui la maggior parte dei soggetti coinvolti ha ottenuto un risultato decente . Questo è l’obiettivo ultimo degli strumenti di cui abbiamo discusso: riequilibrare la posizione debitoria in modo ordinato, salvando ciò che c’è di salvabile dell’impresa.
Conclusioni
Affrontare una pesante situazione debitoria in un’azienda – come la nostra azienda siderurgica Alfa – richiede lucidità, tempestività e un uso sapiente degli strumenti legali a disposizione. Difendersi dai creditori non significa agire in modo furtivo o elusivo, bensì canalizzare la crisi entro procedure ordinate che offrano sia tutela al debitore sia garanzie di equità ai creditori. La normativa italiana sulla crisi d’impresa, aggiornata al 2025, mette a disposizione molte opzioni: dalle trattative assistite confidenziali fino ai concordati e accordi omologati in tribunale, passando per misure protettive e piani attestati di risanamento .
Dal punto di vista pratico del debitore (imprenditore o amministratore), emergono alcune best practice: – Agire presto: attivarsi ai primi segnali di insolvenza, senza attendere il pignoramento del conto o l’istanza di fallimento. Prima ci si muove (comunicando con i creditori, adottando assetti adeguati, attivando magari la composizione negoziata) più strumenti di difesa rimangono sul tavolo e più si evita la perdita di fiducia irreversibile dei partner commerciali . – Trasparenza e buona fede: nascondere la testa sotto la sabbia peggiora le cose. Al contrario, essere trasparenti (nei limiti strategici) con i creditori e con eventuali organi nominati (esperto, commissario) favorisce un clima di collaborazione e consente spesso di ottenere dilazioni e voti favorevoli. La buona fede del debitore, oltre ad essere un obbligo giuridico nelle procedure concorsuali, viene tipicamente ricompensata con esiti migliori e minori sanzioni (si pensi all’esdebitazione negata ai debitori fraudolenti, ma concessa ai meritevoli) . – Utilizzo integrato di strumenti: come visto, spesso la soluzione sta nel combinare varie misure – ad esempio, bloccare temporaneamente le esecuzioni (misure protettive), mentre si negozia un accordo stragiudiziale, da sigillare poi in un concordato o accordo omologato che impone la ristrutturazione erga omnes. Non c’è una ricetta unica: ogni crisi va “cucita su misura”, ma conoscendo l’arsenale giuridico, il debitore e i suoi consulenti possono disegnare un percorso adatto alle circostanze. – Salvaguardia dell’attività produttiva: uno scopo primario delle norme attuali è evitare che imprese con potenzialità vengano distrutte dalla crisi finanziaria. Dal punto di vista del debitore, difendersi significa anche guadagnare tempo prezioso per riorganizzare l’impresa, trovare investitori o implementare cambiamenti. Le misure protettive (la moratoria delle azioni) e la prosecuzione dell’attività in concordato (continuità diretta o indiretta) sono studiate per preservare il valore aziendale. Il debitore dovrebbe sfruttarle responsabilmente: ad esempio, continuare a evadere gli ordini durante un concordato in continuità, garantendo la qualità e la fiducia dei clienti, in modo che l’impresa si risani davvero e non rimanga solo un guscio vuoto da liquidare. – Protezione del patrimonio del debitore persona fisica: molti imprenditori si preoccupano – giustamente – dei propri beni personali (casa, risparmi) quando l’azienda va male. Le normative attuali offrono anche qui opportunità di difesa: dalla limitazione delle azioni esecutive fiscali sulla prima casa (impignorabilità, con i limiti visti) , alla possibilità di accesso a procedure di sovraindebitamento o esdebitazione personale per liberarsi dai debiti residui. Anche su questo fronte, la mossa migliore è affrontare la questione di petto: se sei un garante esposto, valuta parallelamente un piano per te (es. un concordato minore personale o un accordo con la banca per liberare la garanzia con un pagamento parziale). Ignorare il problema porterebbe probabilmente al pignoramento e vendita coattiva dei tuoi beni; gestirlo in sede negoziale o concorsuale può portare a soluzioni più equilibrate (ad es. mantenere la casa pagando una quota del debito garantito, come spesso avviene nei piani del consumatore) .
In definitiva, un’azienda indebitata ha modo di “difendersi” legalmente e di passare da una condizione di vittima inerme degli eventi a protagonista attivo della propria ristrutturazione. Certo, non tutte le crisi possono risolversi senza sacrifici: talvolta i creditori dovranno accettare perdite (il quadro normativo lo consente in modo equo) e talvolta l’imprenditore dovrà cedere parte del controllo (ad esempio, coinvolgendo nuovi soci o subendo l’esame degli organi concorsuali). Ma ciò è preferibile al collasso disordinato, in cui i creditori più rapidi si avvantaggiano e gli altri restano a bocca asciutta, e l’imprenditore stesso rischia sanzioni e pregiudizi duraturi .
Il panorama delle sentenze recenti conferma l’orientamento a favorire approcci costruttivi: la Cassazione ha agevolato il cram-down dell’Erario nei concordati (consentendo al giudice fallimentare di decidere su transazioni fiscali) , ha ribadito la centralità dell’esdebitazione come “seconda chance”, e ha persino affermato principi a tutela del debitore esecutato (es. Cass. 9479/2023 sull’attenzione alle clausole abusive nei titoli esecutivi) . Questi sviluppi giurisprudenziali e normativi vanno nella direzione di un sistema in cui il debitore meritevole possa ristrutturare il debito e non venga punito oltre misura per l’insuccesso economico .
In conclusione, dal punto di vista dell’azienda debitrice: – C’è sempre qualcosa da fare per difendersi: che sia ottenere più tempo, ridurre l’importo dovuto, proteggere i beni essenziali o riallineare le uscite ai flussi di cassa, esistono strumenti giuridici ad hoc. – Tale difesa deve avvenire nel rispetto delle regole e con un piano. Improvvisare o, peggio, occultare/aggravare porta quasi sicuramente a esiti peggiori (fallimento disordinato, azioni di responsabilità, reati). – Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza è uno strumento da usare a proprio vantaggio: informandosi bene (questa guida speriamo serva) e facendosi consigliare da professionisti competenti, un imprenditore può passare dall’essere un debitore in balia degli eventi a un soggetto proattivo che negozia, propone e (per quanto possibile) decide il proprio destino .
La situazione di “azienda con debiti” è senza dubbio difficile, ma non è una sentenza definitiva: con gli strumenti giuridici adeguati e una gestione oculata, è possibile difendersi efficacemente, salvare il valore dell’impresa e ripartire più leggeri dai debiti e più forti nell’esperienza accumulata.
Fonti Normative e Giurisprudenziali (aggiornate al 2025)
- Codice Civile – Art. 2086 c.c. (dovere di adeguati assetti e gestione tempestiva della crisi, introdotto dal D.Lgs. 14/2019) ; Artt. 2446-2447 c.c. (perdita del capitale sociale e obblighi degli amministratori); Art. 2486 c.c. (responsabilità per attività dopo il verificarsi di causa di scioglimento, come modificato dal Cod. Crisi) ; Art. 1219 c.c. (costituzione in mora del debitore, effetti) .
- Codice di Procedura Civile – Artt. 474 ss. c.p.c. (titolo esecutivo e precetto); Art. 480 c.p.c. (contenuto del precetto) ; Artt. 491-497 c.p.c. (disposizioni generali sull’esecuzione, tra cui la conversione del pignoramento art. 495) ; Artt. 513-522 c.p.c. (pignoramento mobiliare presso il debitore) ; Art. 543 ss. c.p.c. (pignoramento presso terzi); Art. 545 c.p.c. (limiti di pignorabilità su stipendi e pensioni) ; Artt. 555-561 c.p.c. (pignoramento immobiliare) ; Art. 615 c.p.c. (opposizione all’esecuzione) ; Art. 617 c.p.c. (opposizione agli atti esecutivi – termine 20 gg) ; Art. 619 c.p.c. (opposizione di terzo al pignoramento) ; Art. 624 c.p.c. (sospensione dell’esecuzione su istanza del creditore rinunciante, per accordo); Art. 642 c.p.c. (decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo al 50%) ; Art. 645 c.p.c. (opposizione a decreto ingiuntivo – 40 gg) .
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – Art. 2 CCII (definizioni di crisi e insolvenza); Artt. 17-25 CCII (Composizione negoziata della crisi, introdotta dal D.L. 118/2021) ; Art. 54 CCII (domanda di concordato o accordo – misure protettive e cautelari) ; Art. 57-64 CCII (Accordi di ristrutturazione dei debiti e loro omologa) ; Art. 62 CCII (Convenzioni di moratoria con 75% creditori categoria) ; Art. 63 CCII (Transazione fiscale e contributiva negli accordi e concordati) ; Art. 74-83 CCII (Concordato minore) ; Art. 84-120 CCII (Concordato preventivo) ; Art. 88 CCII (Trattamento dei crediti tributari e contributivi nel concordato preventivo – necessità transazione fiscale) ; Art. 94-102 CCII (effetti del concordato – sospensione azioni esecutive , contratti in corso essenziali, pagamento fornitori strategici autorizzato in prededuzione); Art. 109 CCII (voto per classi e maggioranze nel concordato) ; Art. 112 CCII (cram-down fiscale – introdotto dal D.Lgs. 83/2022 e mod. dal D.Lgs. 176/2022, consente al giudice di omologare concordato nonostante voto contrario di Fisco/INPS se proposta migliore del fallimento) ; Art. 119-120 CCII (effetti dell’omologazione – concordato vincola tutti i creditori anteriori, esdebitazione automatica del debitore persona fisica) ; Art. 121-136 CCII (Liquidazione giudiziale – apertura, organi, effetti) ; Art. 145 CCII (azioni revocatorie fallimentari – non colpiscono atti in esecuzione di piano attestato o accordo omologato: v. anche art. 166 co.3 CCII) ; Art. 147 CCII (estensione della liquidazione ai soci a responsabilità illimitata, analogo al vecchio art. 147 l.f. per SNC); Art. 153 CCII (esdebitazione del sovraindebitato persona fisica – ruoli analoghi all’art. 282 CCII per fallimento); Art. 268-277 CCII (Liquidazione controllata per debitori non fallibili); Art. 278 CCII (Esdebitazione del debitore incapiente – condizioni e debiti esclusi); Art. 324 CCII (Esenzioni da reati di bancarotta: pagamenti e atti in esecuzione di concordato o accordo non sono punibili come bancarotta preferenziale o semplice) .
- Legge Fallimentare previgente (R.D. 267/1942) – (abrogata salvo procedimenti pendenti) Art. 182-bis (vecchio accordo di ristrutturazione omologato); Art. 182-ter (vecchia transazione fiscale) ; Art. 160-186 (concordato preventivo vecchio); Art. 67 co.3 lett. d) (piani attestati di risanamento – esenzione revocatoria) ; Art. 147 L.F. (estensione fallimento ai soci illimitatamente resp.); Art. 216-217 L.F. (reati di bancarotta fraudolenta e semplice); Art. 217-bis L.F. (esimente concordato per bancarotta preferenziale, ora trasfusa nell’art. 324 CCII) .
- Leggi speciali Fisco e lavoro: DPR 602/1973 art. 76 (limiti all’espropriazione immobiliare da parte del Fisco: impignorabilità prima casa e soglia > €120k) ; D.L. 69/2013 conv. L.98/2013 art. 52 (divieto esproprio prima casa – ha modificato art. 76 DPR 602); D.Lgs. 46/1999 art. 19 e succ. mod. (rateazione cartelle: 72 rate ordinarie, 120 straordinarie) ; L. 160/2019 (Legge bilancio 2020) art. 1 co. 183 (soglia €60.000 per rateazione Agenzia Entrate-Riscossione senza dover provare lo stato difficoltà) ; L. 197/2022 (Bilancio 2023) commi 231-252 (Definizione agevolata 2023 – “rottamazione-quater” elimina interessi/sanzioni su carichi 2000-2017) ; D.L. 119/2018 conv. L.136/2018 (rottamazione-ter 2018-19); D.L. 34/2019 conv. L.58/2019 (saldo e stralcio 2019 per persone fisiche in difficoltà su carichi fiscali); L. 3/2012 (vecchia composizione da sovraindebitamento per soggetti non fallibili) – abrogata dal D.Lgs. 14/2019 con transitorio (ha introdotto piani consumatore, ecc. ora nel CCII); D.M. 202/2014 (regolamento degli Organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento); D.Lgs. 149/2022 (riforma Cartabia del processo civile – qualche impatto sulle esecuzioni, es. introdotti 568-bis e 569-bis c.p.c. per vendita diretta del debitore, non trattato qui).
- Sentenze di legittimità (Corte di Cassazione):
- Cass., Sez. Un. civ., 14/12/2016 n. 25632: ha distinto transazione fiscale concorsuale vs rottamazione ruoli extra-fallimentare; afferma necessità di iter separato per debiti a ruolo . Rilevante per i limiti ante Codice Crisi, in parte superati dalla normativa attuale (col CCII è possibile includere anche i ruoli in concordato, col cram-down).
- Cass. civ., Sez. I, 13/12/2023 n. 34865: ha stabilito che le controversie sul diniego dell’Agenzia Entrate a proposte di transazione fiscale rientrano nella giurisdizione del tribunale fallimentare (civile) e non delle Commissioni tributarie . Quindi è il giudice concorsuale a decidere sul cram-down fiscale, confermando il potere di omologa forzata senza il voto del Fisco.
- Cass. civ., Sez. I, 06/05/2022 n. 14980: (richiamata sopra) in tema di azione di responsabilità ex art. 2486 c.c. novellato – ha ritenuto applicabili i criteri presuntivi di determinazione del danno (differenza di patrimonio netto tra data in cui si sarebbe dovuto sciogliere la società e data effettiva) anche ai giudizi pendenti, orientamento peraltro altalenante . Rilevante per la responsabilità degli amministratori che ritardano il fallimento aggravando il passivo.
- Cass. civ., Sez. Unite, 19/07/1990 n. 7378: (storica) innovò sulla conversione del pignoramento: disse che la presentazione dell’istanza di conversione sospende l’esecuzione, e che il comproprietario non debitore è litisconsorte passivo necessario in opposizione all’esecuzione . Principio recepito poi nella riforma del 2006.
- Cass. civ., Sez. III, 24/01/2012 n. 940: sulla conversione del pignoramento: il giudice deve includere i crediti dei terzi intervenuti sino all’ordinanza di conversione nel calcolo della somma da versare (aumento tutela dei creditori intervenuti in ritardo).
- Cass. civ., Sez. Unite, 13/05/2015 n. 9935: (in materia di concordato vs fallimento pendente) – ha affermato che la domanda di concordato presentata prima della dichiarazione di fallimento ne impedisce la pronuncia e va data precedenza al concordato, salvo abuso . Confermato poi dalla riforma CCII e ancora rilevante per dire che il tribunale fallimentare non può ignorare un’istanza di concordato pendente a meno sia chiaramente in malafede.
- Cass. civ., Sez. III, ord. 06/04/2023 n. 9479: importante pronuncia in ambito esecuzioni: ha statuito che se l’esecuzione immobiliare si basa su un titolo esecutivo costituito da un decreto ingiuntivo non opposto contenente clausole contrattuali abusive, il giudice dell’esecuzione deve rilevarle d’ufficio e ciò può incidere sull’esecuzione stessa . Riconosce tutela del debitore (consumatore) contro clausole vessatorie anche in fase esecutiva tardiva.
- Cass. civ., Sez. VI-III, ord. 13/01/2020 n. 411: conferma orientamento sulla conversione del pignoramento: vanno inclusi anche i creditori intervenuti fino all’udienza nella somma da convertire (in linea con Cass. 2012 n. 940).
- Cass. civ., Sez. I, 30/09/2021 n. 26515: in ambito transazione fiscale: conferma il diritto alla detrazione IVA per il cessionario se l’IVA è versata dal cedente in adempimento di transazione omologata – principio di neutralità IVA anche se pagamento parziale .
- Corte Costituzionale, 25/07/2014 n. 225: ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sull’art. 182-ter L.F. (transazione fiscale) sollevate per supposta violazione della par condicio e dell’art. 53 Cost., legittimando dunque la falcidia dei crediti fiscali in sede concorsuale .
- Tribunale di Forlì, 16/07/2021: (citato in dottrina) ha omologato un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale includente tributi locali, ritenendo ammissibile lo stralcio di crediti tributari comunali nonostante manchi norma ad hoc (caso indicativo di prassi creativa in attesa di norma) .
- Cass. pen., Sez. V, 15/04/2010 n. 12388: (massimata) – sancisce non punibilità ex art. 217-bis L.F. (ora art. 324 CCII) della bancarotta preferenziale se il concordato preventivo ha soddisfatto i creditori in misura non inferiore alla soglia di legge (all’epoca 40% chirografari, poi 30%) . Questo è alla base dell’attuale art. 324 CCII (che generalizza la non punibilità di atti in esecuzione di concordato omologato).
- Cass. pen., Sez. Unite, 27/01/2011 n. 22474 (dep. 2012): estende i reati di bancarotta a soggetti di fatto (es. liquidatori di fatto – nel caso Cirio). Rileva per l’ambito penale-fallimentare: stabilisce che anche advisor / terzi gestori di fatto possono rispondere di bancarotta se hanno di fatto diretto la società insolvente .
- Cass. pen., Sez. III, 24/07/2012 n. 30127: introduce il “principio del proprietario incolpevole” in materia di bonifiche ambientali – se il proprietario non responsabile dell’inquinamento non bonifica, non è punibile penalmente se l’omissione non è a lui imputabile (questo è menzionato per completare lo scenario dei debiti ambientali nel sovraindebitamento, anche se marginale per la nostra trattazione) .
- Cass. civ., Sez. Unite, 16/12/2021 n. 41994: (non citata sopra se non di sfuggita) – ha risolto un contrasto sull’ammissibilità del concordato con classi di trattamento differenziato dei creditori tributari, predisponendo aperture per il cram-down. In pratica, le SU hanno avallato la tesi che l’Erario può essere “cram-downato” se la proposta è conveniente, anticipando quanto poi normato dal CCII .
La tua azienda che produce, commercia o distribuisce prodotti siderurgici, lamiere, travi, tondini, profili, tubi, coils, piatti, reti metalliche, barre e semilavorati in acciaio, fornendo carpenterie, edilizia, meccanica, cantieri e rivendite tecniche, oggi è schiacciata dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
La tua azienda che produce, commercia o distribuisce prodotti siderurgici, lamiere, travi, tondini, profili, tubi, coils, piatti, reti metalliche, barre e semilavorati in acciaio, fornendo carpenterie, edilizia, meccanica, cantieri e rivendite tecniche, oggi è schiacciata dai debiti?
Ricevi solleciti, richieste di rientro, blocchi delle forniture, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o addirittura minacce di pignoramento da parte di banche, fornitori di acciaio, Fisco, INPS o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore siderurgico è uno dei più difficili da sostenere: oscillazioni violente del prezzo dell’acciaio, costi logistici elevati, necessità di grandi stock, margini sempre più ridotti e clienti che pagano spesso con ritardo.
È sufficiente un calo della liquidità per mandare l’intera attività in crisi.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e nel modo giusto.
Perché un’Azienda Siderurgica va in Debito
- aumento dei costi di acciaio, trasporti, tagli e lavorazioni
- pagamenti lenti da parte di imprese edili, carpenterie e rivenditori tecnici
- magazzino immobilizzato tra travi, lamiere, tubi, barre, coils e pannelli
- costi elevati di logistica, movimentazione e stoccaggio
- necessità di grandi volumi d’acquisto per ottenere prezzi competitivi
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
Il vero problema non è la mancanza di clienti, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se Non Intervieni Subito
- pignoramento dei conti correnti aziendali
- blocco dei fidi bancari
- sospensione delle forniture da parte degli acciaièri
- atti esecutivi, decreti ingiuntivi, precetti
- sequestro di magazzino, coils e attrezzature
- impossibilità di evadere ordini e mantenere rapporti commerciali
- perdita di clienti strategici e cantieri importanti
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Con l’aiuto di un avvocato specializzato puoi:
- sospendere pignoramenti in corso
- bloccare richieste aggressive di rientro
- proteggere conti correnti e liquidità aziendale
- fermare le azioni dell’Agenzia Riscossione
È il primo passo per evitare il collasso operativo.
2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti
Spesso nei debiti emergono irregolarità:
- interessi non dovuti
- sanzioni gonfiate o errate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori della Riscossione
- commissioni bancarie anomale
Una parte consistente del debito può essere tagliata o cancellata.
3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile
Le soluzioni più efficaci includono:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi con fornitori strategici (acciaio, trattamenti, trasporti)
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensione temporanea dei pagamenti
- uso delle definizioni agevolate
4. Usare strumenti legali potentissimi che bloccano TUTTI i creditori
Per le crisi più profonde, puoi ricorrere a:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di Ristrutturazione dei Debiti
- Concordato Minore
- (nei casi estremi) Liquidazione Controllata
Queste procedure permettono all’azienda di continuare a operare pagando solo una parte dei debiti, sospendendo completamente ogni atto esecutivo.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda del settore siderurgico serve un professionista altamente qualificato.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
È il profilo ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende del comparto siderurgico, dove i margini sono sottili e gli investimenti elevati.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua esposizione debitoria
- stop urgente ai pignoramenti e agli atti esecutivi
- riduzione dei debiti non dovuti
- ristrutturazione del debito con un piano personalizzato
- protezione del magazzino, dei coils, delle lamiere e delle attrezzature
- trattative dirette con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela totale dell’azienda e dell’amministratore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di prodotti siderurgici non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, strutturata e completamente legale, puoi:
- bloccare immediatamente i creditori,
- ridurre davvero i debiti,
- salvare forniture, cantieri e continuità operativa,
- proteggere il futuro della tua impresa.
Agisci ora.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
la difesa e il rilancio della tua azienda possono iniziare oggi stesso.