Se la tua azienda produce, importa, taglia o distribuisce lamiere in acciaio, nastri in acciaio, coils, fogli, bandelle, lamiere zincate, decapate, inox, laminate a caldo/freddo, e serve carpenterie, officine, imprese edili, metalmeccaniche o industrie, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, devi intervenire immediatamente per evitare blocchi nelle forniture e perdita di clienti strategici.
Nel mercato dell’acciaio, basta un breve ritardo nelle consegne per fermare cantieri, linee produttive, saldature e lavorazioni conto terzi, con penali e danni economici significativi.
Perché le aziende di lamiere e nastri in acciaio accumulano debiti
- aumento del prezzo dell’acciaio e delle materie prime importate
- rincari dei trasporti, dell’energia e dei trattamenti superficiali
- pagamenti lenti da parte di carpenterie, rivenditori e imprese edili
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
- magazzini costosi con molti formati, spessori, coils e lotti
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai volumi di stock
- investimenti elevati in taglio, cesoiatura, presse, macchine CNC e logistica
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista l’intera situazione debitoria
- individuare quali debiti possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro troppo pesanti che drenano la liquidità aziendale
- richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
- proteggere rapporti con fornitori strategici (acciaierie, zincature, trattamenti)
- utilizzare strumenti legali efficaci per ristrutturare o rinegoziare i debiti, senza bloccare taglio e consegne
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di coils, lamiere, nastri e materiali critici
- impossibilità di rispettare scadenze, appalti e ordini programmati
- perdita di clienti chiave come carpenterie, officine e industrie
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina un team nazionale di avvocati e commercialisti specializzati in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può aiutarti concretamente a:
- bloccare pignoramenti e atti esecutivi
- ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti di legge più efficaci
- ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
- proteggere scorte, macchinari, coils, impianti di taglio e continuità produttiva
- evitare la chiusura e accompagnare la tua azienda verso un vero risanamento
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Introduzione
Un’azienda operante nel settore delle lamiere e nastri in acciaio che accumula debiti significativi si trova in una situazione di potenziale crisi d’impresa. Questo scenario, purtroppo non raro nel contesto economico attuale, impone all’imprenditore e ai suoi consulenti legali di attivarsi rapidamente per difendere l’azienda e individuare soluzioni volte al risanamento o quantomeno a contenere i danni. La presente guida, aggiornata ad ottobre 2025, offre un’analisi approfondita e aggiornata degli strumenti giuridici a disposizione di un’azienda debitrice in Italia, con un taglio avanzato ma dal taglio divulgativo. Verranno esaminate le diverse tipologie di debiti (verso banche, fornitori, Fisco, enti previdenziali, ecc.) e i relativi rischi, per poi passare alle strategie difensive disponibili dal punto di vista del debitore: dalle soluzioni stragiudiziali volontarie (come i piani di risanamento attestati) alle procedure concorsuali (accordi di ristrutturazione, concordato preventivo, composizione negoziata della crisi, ecc.), senza tralasciare le responsabilità legali che possono gravare sugli amministratori dell’azienda in difficoltà.
Affronteremo inoltre domande frequenti in formato domanda-risposta, proporremo esempi pratici (simulazioni) per illustrare l’applicazione concreta di tali strumenti, e forniremo tabelle riepilogative che confrontano le varie soluzioni e riassumono i punti chiave. L’obiettivo è fornire a imprenditori, professionisti legali (avvocati, consulenti) e anche privati interessati una panoramica completa su cosa fare per difendersi quando un’azienda è schiacciata dai debiti, tenendo conto della normativa italiana vigente e delle più recenti novità legislative e giurisprudenziali (incluse sentenze aggiornate delle Corti italiane).
Nota: Questa guida adotta un linguaggio giuridico accurato ma accessibile. Tutti i riferimenti normativi sono relativi all’ordinamento italiano; in particolare si farà riferimento al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, e successive modifiche) e ad altre leggi collegate. Le fonti normative e giurisprudenziali più autorevoli utilizzate sono elencate in fondo alla guida, per consentire ulteriori approfondimenti e verifiche. I contenuti sono originali e rielaborati, al fine di evitare problemi di sovrapposizione testuale con altre pubblicazioni. Tutto il materiale è aggiornato allo stato della normativa e della prassi applicativa ad ottobre 2025.
Tipologie di debiti aziendali e relativi rischi
Una corretta strategia difensiva parte dall’analisi dei debiti che gravano sull’azienda, perché la natura del credito e del creditore influenza sia i rischi immediati sia le soluzioni percorribili. Di seguito esaminiamo le principali categorie di debiti che un’azienda metalmeccanica (come una società produttrice di lamiere e nastri d’acciaio) può aver accumulato, evidenziando per ciascuna tipologia i potenziali rischi e le problematiche specifiche.
- Debiti bancari (verso istituti di credito): Molte aziende manifatturiere dipendono da linee di credito bancarie, mutui per l’acquisto di macchinari o immobili, aperture di credito in conto corrente (fidi), anticipazioni su fatture, leasing finanziari, ecc. I debiti verso banche sono spesso garantiti da ipoteche su immobili aziendali o da fideiussioni personali dei soci/amministratori. I principali rischi in caso di insolvenza verso la banca includono la revoca dei fidi (che può prosciugare immediatamente la liquidità disponibile), l’avvio di azioni legali per il recupero (ad esempio un decreto ingiuntivo seguito da pignoramenti di beni aziendali) e l’escussione delle garanzie. Se un immobile aziendale è ipotecato, la banca potrà agire tramite esecuzione forzata sull’immobile; se vi sono fideiussori, il credito potrà essere richiesto anche a loro sul patrimonio personale. Inoltre, l’esposizione debitoria bancaria viene segnalata nelle banche dati finanziarie (come la Centrale Rischi di Banca d’Italia), il che può compromettere la reputazione creditizia dell’azienda e rendere impossibile ottenere nuovo credito. In situazioni del genere, una difesa efficace può consistere nel cercare una rinegoziazione o una moratoria con la banca, oppure nel ricorrere a strumenti di ristrutturazione del debito (che vedremo in seguito) per bloccare azioni esecutive e riorganizzare il debito bancario. È importante verificare anche la legittimità delle pretese bancarie: ad esempio, controllare se gli interessi applicati non siano usurari o se vi siano commissioni indebite, poiché in tal caso si possono sollevare eccezioni in sede giudiziale (oppure in via stragiudiziale, per ottenere condizioni migliori).
- Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali: Una situazione di tensione finanziaria spesso porta l’azienda a dilazionare i pagamenti ai fornitori di materie prime, ai trasportatori, ai fornitori di energia e servizi, ecc. Questi creditori commerciali, se non pagati, possono reagire interrompendo le forniture (mettendo a rischio la continuità produttiva) e avviando azioni legali per il recupero dei crediti. In genere i fornitori utilizzano strumenti come il decreto ingiuntivo (un’ingiunzione di pagamento emessa dal tribunale in tempi rapidi sulla base di fatture non pagate) che, se non opposta dall’azienda entro 40 giorni, diventa esecutiva consentendo il pignoramento di beni o crediti (ad esempio il pignoramento dei conti correnti aziendali). Un altro rischio concreto è la segnalazione a banche dati commerciali (tipo Centrale Rischi commerciale o società di informazioni commerciali), che può danneggiare la reputazione dell’azienda presso altri partner. Per difendersi, l’azienda debitrice può tentare un accordo transattivo con i fornitori, ad esempio offrendo un pagamento parziale a saldo (il cosiddetto “saldo e stralcio”) oppure un piano di rientro rateale, magari rafforzato da garanzie (cambiali, riconoscimento di debito) per convincere i fornitori a non agire in giudizio. È spesso utile fare un’analisi dei fornitori strategici (quelli senza i quali l’attività si ferma) e accordare priorità di pagamento a questi rispetto ad altri meno critici, sempre tenendo però presente che pagamenti preferenziali effettuati in situazioni di insolvenza potrebbero poi essere contestati (ad esempio dal curatore fallimentare in caso di fallimento, tramite azione revocatoria). In tal senso, è essenziale muoversi nell’ambito di strumenti legali di risanamento che offrano protezioni ad hoc, come vedremo (ad esempio l’esenzione da azione revocatoria per i pagamenti eseguiti in certe procedure) .
- Debiti tributari (verso l’Agenzia delle Entrate) e debiti verso l’Agenzia Entrate–Riscossione: I debiti fiscali includono imposte non versate quali IVA, IRPEF trattenuta ai dipendenti (ritenute), IRES/IRAP, oltre a eventuali accertamenti fiscali definiti e non pagati. Quando le cartelle esattoriali o gli avvisi di addebito non vengono saldati, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER) – l’ente incaricato del recupero coattivo – può attivare procedure esecutive amministrative senza bisogno di passare dal giudice: ad esempio l’iscrizione di ipoteca sugli immobili dell’azienda, il fermo amministrativo sui veicoli aziendali, il pignoramento di conti correnti o di beni mobili registrati, fino ad arrivare alla possibile vendita all’asta dei beni pignorati. Inoltre, i debiti fiscali hanno spesso natura privilegiata o addirittura prededucibile in caso di procedure concorsuali: ciò significa che, se l’azienda dovesse accedere a una procedura di concordato o fallire, il Fisco sarebbe soddisfatto con priorità rispetto ai creditori chirografari (senza garanzie). Dal punto di vista penale, occorre prestare estrema attenzione a due fattispecie: l’omesso versamento di IVA e l’omesso versamento di ritenute certificate (le imposte trattenute sulle buste paga dei dipendenti). In base al D.Lgs. 74/2000, se l’omissione supera determinate soglie (attualmente €250.000 annui per l’IVA e €150.000 per le ritenute, al di là delle quali scatta il reato), gli amministratori rischiano accuse penali. Anche sotto tali soglie rimangono sanzioni amministrative e interessi pesanti. Tra i rischi indiretti vi è la perdita del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva e fiscale) se i debiti verso Erario e previdenza non sono regolarizzati: il DURC irregolare può impedire all’azienda di partecipare ad appalti pubblici o ottenere pagamenti per lavori eseguiti. Come può difendersi l’azienda con debiti fiscali? Una strada è richiedere la rateizzazione amministrativa del debito fiscale: l’Agenzia Riscossione consente piani fino a 72 rate mensili (6 anni) automaticamente per debiti sotto una certa soglia, e piani straordinari fino a 120 rate (10 anni) in casi di comprovata difficoltà . Inoltre, periodicamente il legislatore vara misure di sollievo come la rottamazione delle cartelle (da ultimo la “rottamazione-quater” nel 2023) che permettono di estinguere i ruoli pagando solo imposte e interessi ridotti, con stralcio di sanzioni e aggi. Se tali soluzioni amministrative non bastano (ad esempio perché il debito è troppo elevato per essere sostenibile anche a rate, o perché l’azienda ha bisogno di una riduzione del carico tributario), si dovrà valutare un intervento concorsuale: oggi è possibile proporre una transazione fiscale all’interno di un accordo di ristrutturazione o di un concordato preventivo, offrendo di pagare parzialmente le imposte dovute. Grazie alle riforme introdotte a partire dal 2020, è ammesso anche il taglio del capitale dell’IVA e delle ritenute (prima intoccabili) purché un professionista indipendente attesti che l’erario riceverà almeno quanto otterrebbe in caso di liquidazione fallimentare . In caso di rifiuto irragionevole da parte del Fisco, il tribunale può perfino omologare d’ufficio l’accordo (cosiddetto cram down fiscale) . Approfondiremo queste importanti opportunità più avanti, nella sezione dedicata alla transazione fiscale.
- Debiti verso enti previdenziali (INPS, INAIL): Simili ai debiti fiscali, i debiti verso l’INPS riguardano in primo luogo i contributi previdenziali dei dipendenti e del titolare (nel caso di ditte individuali o soci lavoratori). Il mancato versamento dei contributi genera cartelle esattoriali che seguono lo stesso iter dell’Agenzia Riscossione. Vi sono però particolarità: ad esempio, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali (cioè la quota di contributi trattenuti al dipendente) oltre una soglia modesta (circa €10.000) costituisce reato ai sensi dell’art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983, a meno che il datore di lavoro non vi provveda entro il termine di legge (di solito entro il 30 ottobre dell’anno successivo). Dunque l’amministratore rischia conseguenze penali se non versa le ritenute pensionistiche dei lavoratori. Inoltre, un’impresa non in regola con i contributi non ottiene il DURC regolare, con effetti analoghi a quelli detti sopra. Le difese possibili includono anche qui la rateizzazione (l’INPS consente piani di dilazione analoghi a quelli fiscali, spesso gestiti sempre da Agenzia Riscossione) o l’inclusione del debito contributivo in una transazione all’interno di un piano concordatario (la legge consente dal 2017 di transigere anche i contributi previdenziali insieme ai tributi erariali ). In sede di concordato, peraltro, il trattamento dei crediti contributivi deve rispettare anch’esso la regola che non siano soddisfatti in misura inferiore a quella ricavabile dalla liquidazione, salvo consenso dell’ente o cram-down giudiziale.
- Debiti verso dipendenti (retribuzioni non pagate, TFR): Quando un’azienda è in crisi di liquidità, può purtroppo trovarsi nell’impossibilità di pagare puntualmente gli stipendi e i trattamenti di fine rapporto (TFR) ai propri dipendenti. Ciò provoca immediatamente tensioni sociali e può portare i lavoratori a dimettersi o ad agire legalmente. I dipendenti, in caso di mancato pagamento, possono ottenere decreti ingiuntivi molto rapidamente (vista la natura alimentare delle retribuzioni) e anche chiedere il pignoramento dei conti aziendali. In aggiunta, i lavoratori hanno dei privilegi sui loro crediti: in caso di procedura concorsuale, i salari e il TFR vantano un privilegio generale sui beni mobili dell’azienda (entro certi massimali per le ultime mensilità) e un privilegio speciale sugli immobili per il TFR, posizionandosi molto in alto nel grado di pagamento. Inoltre, se l’azienda venisse dichiarata insolvente, i dipendenti potrebbero accedere al Fondo di Garanzia INPS che interviene a coprire TFR e ultime tre mensilità non pagate, surrogandosi poi nelle pretese verso l’azienda. Dal punto di vista del management, il continuo mancato pagamento delle retribuzioni può integrare il reato contravvenzionale di omissione di corresponsione di retribuzioni (art. 2 Legge 5/2009, punito con ammenda) e certamente costituisce una grave inadempienza contrattuale verso il lavoratore. Per difendersi dal rischio di azioni dei dipendenti, l’azienda deve valutare misure come la richiesta di cassa integrazione guadagni (se ne ricorrono i presupposti), che consente di alleggerire temporaneamente il costo del personale a carico dell’impresa trasferendolo in parte sugli enti previdenziali. Oppure inserire nel piano di ristrutturazione modalità di pagamento dilazionato dei crediti di lavoro, eventualmente prevedendo che i lavoratori ottengano comunque le somme garantite dal Fondo di Garanzia (nei limiti di legge) qualora la procedura concorsuale fosse aperta.
- Debiti verso soci o parti correlate: Se l’azienda ha ricevuto finanziamenti dai soci o da altre società collegate, questi costituiscono debiti da rimborsare. Tuttavia, la legge (art. 2467 c.c. per le s.r.l., applicabile anche alle spa in certi casi analoghi) prevede che i finanziamenti dei soci effettuati in momento di sottocapitalizzazione “anomalo” dell’azienda siano postergati – cioè rimborsati dopo tutti gli altri creditori non subordinati. In pratica, i soci finanziatori vengono in coda: non possono esigere il rimborso dei propri crediti se ciò lede gli altri creditori. In caso di crisi grave, quindi, tali debiti verso soci non rappresentano una priorità di pagamento e anzi rimborsarli anticipatamente potrebbe esporre a azioni revocatorie e responsabilità (in quanto pagamenti preferenziali). Dal punto di vista difensivo, spesso si convertono i debiti verso soci in capitale (rinunce dei soci ai crediti) per rinforzare il patrimonio netto, oppure li si lasciano volutamente impagati nelle trattative di ristrutturazione (congelandoli fino a che tutti gli altri non siano soddisfatti).
Rischio di insolvenza e iniziative dei creditori: Se la situazione debitoria diventa insostenibile, l’azienda entra di fatto nello stato di insolvenza (incapacità di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni). In tale stato, i creditori possono anche prendere l’iniziativa estrema: presentare un’istanza di fallimento (oggi ricorso per la liquidazione giudiziale ai sensi del Codice della Crisi) presso il tribunale competente. Basta un creditore non soddisfatto che dimostri il credito scaduto e l’insolvenza dell’azienda perché il tribunale avvii la procedura di verifica e, se accerta la sussistenza dei presupposti, dichiari la liquidazione giudiziale (il fallimento). Per l’imprenditore ciò rappresenta la perdita del controllo sull’azienda (subentra il curatore nominato dal giudice) e l’inizio di una procedura che porta alla liquidazione dell’attivo per pagare i creditori secondo le regole concorsuali. Inoltre, l’apertura di una procedura concorsuale può far scattare la responsabilità personale degli amministratori per aggravamento del dissesto se hanno tardato indebitamente a fermare l’attività (come vedremo nella sezione sulle responsabilità degli amministratori). Difendersi da un’istanza di fallimento è possibile presentando opposizione, ma soprattutto prevenendo la situazione: se l’azienda sa di essere insolvente e intende evitare il fallimento “subìto”, dovrebbe attivarsi essa stessa proponendo una procedura alternativa (es. un concordato preventivo) o cercando di rientrare nei debiti tramite accordi. Da notare che, qualora l’azienda presenti una domanda di concordato preventivo o acceda ad una composizione negoziata prima che sia dichiarato il fallimento, il tribunale non può dichiarare la liquidazione sino a che la procedura scelta dal debitore non sia esaminata . In altri termini, muoversi per tempo scegliendo uno strumento di risanamento protegge l’azienda dalla “aggressione finale” dei creditori in tribunale.
Strumenti di allerta precoce e monitoraggio interno
Dal 2022 in poi, con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), l’ordinamento incoraggia fortemente gli imprenditori a monitorare costantemente la propria situazione economico-finanziaria e ad attivarsi prima che la crisi diventi irreversibile. Pur essendo stato abolito l’obbligo di segnalazione esterna degli organi di controllo (le cosiddette “procedure di allerta” previste inizialmente dal Codice e poi sostanzialmente sostituite da strumenti volontari), restano in capo agli amministratori doveri precisi di attivarsi tempestivamente.
Gli amministratori devono dotare la società di assetti organizzativi adeguati (art. 2086 c.c., riformato) proprio per rilevare segnali di crisi. Indicatori come perdite ripetute, flussi di cassa negativi, indice di liquidità insufficiente, continui ritardi nei pagamenti di fornitori o fisco sono campanelli d’allarme che non vanno ignorati. L’art. 3 CCII definisce la crisi come lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza, e impone di attivarsi per prevenire il peggio. In particolare, se emergono segnali di crisi, l’organo amministrativo dovrebbe:
- Analizzare la situazione con l’aiuto di professionisti (commercialisti, legali, consulenti aziendali) per stimare la gravità del disequilibrio.
- Redigere immediatamente piani di tesoreria e verificare se l’azienda sarà in grado di far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi (come richiesto dagli indicatori di allerta definiti dal CNDCEC).
- Valutare l’accesso a strumenti di composizione della crisi (di cui diremo a breve) prima che sia troppo tardi.
- Nel caso di perdite rilevanti che erodono il capitale, convocare senza indugio l’assemblea per gli opportuni provvedimenti (riduzione capitale e ricapitalizzazione, trasformazione, messa in liquidazione) ex artt. 2447 o 2482-ter c.c., onde evitare la prosecuzione dell’attività in violazione della legge.
Agire presto è una forma di “difesa” fondamentale: consente di avere a disposizione più strumenti (alcune procedure sono efficaci solo se attivate prima dell’insolvenza conclamata) e soprattutto evita agli amministratori di incorrere in responsabilità per omessa attivazione. Come vedremo, la giurisprudenza anche recentissima insiste sul fatto che ignorare i segnali di crisi e continuare ad operare normalmente costituisce colpa grave degli amministratori, inclusi quelli non esecutivi . Pertanto, la prima linea di difesa per l’impresa debitrice è la consapevolezza: non nascondere “la polvere sotto il tappeto” ma affrontare i problemi di solvibilità appena emergono, mettendo in atto gli strumenti correttivi o protettivi appropriati.
Nei paragrafi che seguono, passeremo in rassegna i vari strumenti offerti dall’ordinamento italiano per gestire e risolvere la crisi debitoria di un’azienda. Tali strumenti vanno da soluzioni totalmente stragiudiziali (negoziate privatamente) fino a veri e propri procedimenti concorsuali dinanzi all’autorità giudiziaria. Ciascuno di essi ha presupposti, vantaggi e limiti. La scelta va calibrata caso per caso, tenendo conto della dimensione dell’impresa, della composizione del debito, dell’urgenza (ad esempio presenza di azioni esecutive in corso) e delle prospettive di rilancio dell’attività.
Soluzioni stragiudiziali volontarie per il risanamento del debito
Iniziamo dalle opzioni stragiudiziali, ossia quelle che non richiedono l’apertura di una procedura formale in tribunale. Queste soluzioni puntano su accordi privati tra l’azienda debitrice e i creditori, con vari gradi di formalizzazione. Il vantaggio principale è la riservatezza (evitando la pubblicità negativa di un procedimento concorsuale) e la maggiore flessibilità negoziale. Di contro, l’assenza di un ombrello protettivo giudiziario espone al rischio che i creditori non cooperativi possano rompere le trattative avviando comunque azioni esecutive individuali. Vediamo gli strumenti principali in questa categoria:
Accordi stragiudiziali semplici e moratorie bilaterali
Spesso, la via più immediata è cercare accordi diretti con i singoli creditori o gruppi di creditori, senza attivare nessuna procedura formalizzata. Ciò può assumere forme diverse:
- Piani di rientro bilaterali: l’azienda può proporre al singolo creditore un piano di pagamento dilazionato del proprio debito. Ad esempio, verso un fornitore con €100.000 scaduti si può offrire il pagamento in 12 tranche mensili, magari riconoscendo un interesse di dilazione o fornendo garanzie accessorie. Questi accordi, se formalizzati per iscritto (meglio se con atto avente data certa), vincolano solo le parti firmatarie e non coinvolgono gli altri creditori. Sono di facile adozione se c’è fiducia reciproca e volontà di evitare il default dell’azienda cliente. Tuttavia, presentano il rischio che altri creditori non coinvolti, vedendo che l’azienda prende tempo, si precipitino a fare azioni legali (il cosiddetto effetto domino). È dunque fondamentale, quando possibile, coinvolgere il maggior numero di creditori rilevanti e muoversi con trasparenza, spiegando la situazione e il piano di risanamento generale, in modo che tutti siano incentivati ad attendere piuttosto che agire individualmente.
- Moratorie e standstill agreements con le banche: nel caso in cui i debiti bancari siano preponderanti, è prassi richiedere alle banche una moratoria sul rientro. Ad esempio, se l’azienda ha utilizzato interamente i fidi di cassa e non riesce a rientrare, può chiedere di congelare la revoca degli affidamenti e mantenere lo status quo per un certo periodo (6-12 mesi) mentre cerca di ristrutturare. Dal 2009 in poi, anche tramite accordi promossi dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana), sono state offerte moratorie standard per le PMI in crisi (ad esempio, la sospensione della quota capitale delle rate di mutuo per 12 mesi). Attualmente, in assenza di un protocollo emergenziale come quello Covid, le moratorie sono lasciate alla contrattazione caso per caso. Un standstill agreement è un patto con cui le banche finanziatrici principali accettano di non revocare i fidi e di non escutere le garanzie per un periodo concordato, durante il quale l’azienda magari fornisce maggiori informazioni finanziarie e prepara un piano di ristrutturazione formale. Questi accordi possono essere plurilaterali (coinvolgendo più banche in pool) e spesso precedono l’adozione di strumenti più strutturati (come un accordo di ristrutturazione o un piano attestato). Dal punto di vista giuridico, la moratoria può essere formalizzata con un atto aggiuntivo alle linee di credito esistenti, approvato dagli organi deliberanti delle banche, dove si pattuisce ad esempio che fino a una certa data la banca non chieda il rientro e/o sia tollerato lo sconfinamento entro un certo limite. È chiaro che la banca lo concederà solo se intravede la possibilità di recuperare meglio il credito supportando l’azienda, piuttosto che mandarla in default immediato.
- Accordi transattivi a saldo e stralcio: in alcuni casi, l’azienda può proporre al creditore una decurtazione del debito (“stralcio”) a fronte di un pagamento immediato parziale. Questa soluzione è percorribile tipicamente con creditori chirografari (fornitori, piccoli istituti finanziari) che, temendo di perdere tutto in caso di fallimento del debitore, preferiscano accontentarsi di una percentuale subito. Ad esempio, un fornitore potrebbe accettare €30.000 a saldo di un credito da €50.000, se ritiene che l’alternativa sia inseguire l’azienda in crisi con rischio di non ottenere nulla. È fondamentale che tali accordi risultino da atto scritto con quietanza finale, per evitare che il creditore, incassato l’importo ridotto, pretenda in seguito il resto. Lo svantaggio del saldo e stralcio, per l’azienda, è che richiede di reperire liquidità immediata (o finanziatori terzi) per pagare subito la percentuale concordata. Spesso viene utilizzato come parte di un più ampio progetto: ad esempio, l’imprenditore convince alcuni investitori o utilizza risorse personali per raccogliere una somma e liberare l’azienda dai debiti con accordi tombali al ribasso. Attenzione: tali pagamenti parziali non hanno protezione legale se l’azienda poi fallisce entro 2 anni – potrebbero essere soggetti ad azione revocatoria fallimentare da parte del curatore (essendo pagamenti parziali di crediti antecedenti). Questo rischio viene meno se l’accordo è inquadrato in un piano attestato o altra procedura protetta come vedremo, altrimenti rimane un’incertezza notevole.
In generale, gli accordi stragiudiziali semplici funzionano bene se l’indebitamento non è eccessivamente frammentato e se c’è un numero limitato di creditori chiave con cui trattare. Diventano invece inadatti quando i debiti sono diffusi tra tanti soggetti o quando qualcuno “rompe le righe”. Se uno solo tra i principali creditori non collabora e decide di procedere per vie legali (pignoramenti, istanza di fallimento), l’intera trattativa privata rischia di saltare. Per questo motivo, superata una certa soglia di complessità del debito, conviene valutare strumenti più strutturati e con effetti protettivi legali generalizzati.
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)
Il piano attestato di risanamento è uno strumento previsto dalla legge per conferire maggiore efficacia e tutele a un accordo stragiudiziale di ristrutturazione. Introdotto originariamente nell’ordinamento con l’art. 67, co. 3, lett. d) della vecchia Legge Fallimentare, oggi è disciplinato dall’art. 56 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII). Si tratta di un piano elaborato dall’imprenditore per il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e il riequilibrio della situazione finanziaria, il quale viene asseverato (attestato) da un professionista indipendente riguardo alla veridicità dei dati aziendali e alla fattibilità del piano stesso .
In sostanza, il piano attestato è un progetto di risanamento privatistico – non richiede l’intervento del tribunale per essere valido – ma con alcuni requisiti formali e controlli di qualità tali da meritare, per legge, certe protezioni. Vediamone le caratteristiche principali:
- Contenuto del piano: Il piano deve descrivere in modo dettagliato la situazione di partenza dell’impresa (assetti patrimoniali, elenco dei debiti e crediti, cause della crisi), le strategie di intervento proposte (ad esempio dismissione di rami d’azienda, aumento di capitale, rinegoziazione dei debiti, nuovi finanziamenti, taglio dei costi, ecc.), i tempi e modi di attuazione e gli effetti attesi sul piano economico-finanziario. L’art. 56 CCII elenca un contenuto minimo obbligatorio, che ricorda molto quello di un piano di concordato preventivo: bisogna indicare gli atti e le operazioni da compiere, le risorse finanziarie previste, le modalità di soddisfacimento dei creditori e così via . Tuttavia, a differenza del concordato, nel piano attestato non c’è un giudice che lo approva né un voto dei creditori: la credibilità del piano sta tutta nella sua qualità intrinseca e nell’attestazione indipendente. È prassi che il piano, oltre ai punti minimi di legge, includa anche analisi aggiuntive (es. analisi SWOT dell’azienda, perizie di stima sugli asset da vendere, stress test sulle proiezioni finanziarie) per convincere i creditori ad aderire spontaneamente .
- Professionista attestatore indipendente: Un elemento cardine è la figura dell’attestatore, un professionista (tipicamente un dottore commercialista esperto in crisi d’impresa, iscritto all’albo dei curatori o con esperienza in attestazioni) che deve essere terzo e indipendente rispetto all’azienda e ai creditori . L’indipendenza implica assenza di conflitti di interesse: ad esempio, non può essere stato consulente dell’azienda negli ultimi anni, né avere relazioni di parentela con gli amministratori, né essere creditore della società . Il professionista viene scelto e incaricato dall’imprenditore, ma spesso i principali creditori vogliono poter valutare o approvare il nominativo (per evitare attestatori “compiacenti”) . Il ruolo dell’attestatore è di certificare (attestare, appunto) sia che i dati di partenza forniti dall’azienda siano veritieri, sia che le ipotesi e le strategie contenute nel piano siano fattibili dal punto di vista economico-finanziario . Attenzione: l’attestatore non garantisce al 100% il successo del piano (che dipende anche da fattori futuri e incerti), ma deve esprimere un giudizio professionale motivato sul fatto che, ragionevolmente, il piano abbia concrete prospettive di riuscita . Ciò comporta analisi approfondite dei numeri aziendali, delle ipotesi di ricavi/costi future, del mercato in cui l’impresa opera, e anche delle eventuali offerte o accordi già in preparazione con investitori e creditori . L’attestatore deve essere molto scrupoloso: la sua relazione, da allegare al piano, deve spiegare in modo trasparente perché ritiene che il piano sia idoneo a risanare l’impresa. Se l’attestazione è fatta con negligenza o dolo (ad esempio omettendo criticità evidenti), l’attestatore può andare incontro a gravi responsabilità, anche penali.
- Formalizzazione e pubblicazione (data certa): Affinché il piano attestato produca gli effetti protettivi previsti dalla legge, è necessario che abbia data certa anteriore agli atti esecutivi posti in essere in sua attuazione. In pratica, una volta redatto e attestato, il piano deve essere formalizzato con data certa: ciò può avvenire tramite sottoscrizione autenticata da notaio, oppure tramite registrazione presso l’Agenzia delle Entrate, o anche tramite pubblicazione nel Registro delle Imprese (opzione espressamente prevista). La data certa serve a delimitare il periodo durante il quale gli atti compiuti “in esecuzione del piano” godranno della protezione. Normalmente, l’imprenditore pubblica un breve estratto del piano o una comunicazione della sua avvenuta adozione nel Registro delle Imprese, allegando l’attestazione. Ciò conferisce pubblicità al piano (i creditori verranno a saperlo) ma è funzionale a dare efficacia alla protezione legale (e anche a dimostrare la trasparenza dell’operazione).
- Accordi con i creditori nell’ambito del piano: Il piano attestato di per sé non impone nulla ai creditori (non essendo una procedura concorsuale, non c’è il cram-down). Per funzionare, deve basarsi su accordi consensuali con i principali creditori. Quindi, tipicamente, l’imprenditore predispone il piano, lo fa attestare, e poi lo sottopone ai creditori chiedendo loro di aderire alle proposte in esso contenute (es: la banca accetta di prorogare le scadenze, i fornitori accettano un pagamento parziale, ecc.). Ciascun creditore formalizzerà la propria adesione con un accordo bilaterale (ad esempio una scrittura privata di remissione parziale del debito, o un accordo di dilazione). Non è necessario che tutti i creditori aderiscano: alcuni possono restare “estranei” al piano, purché l’azienda sia in grado di continuare a rispettare le scadenze originarie verso questi estranei (altrimenti, se anche solo uno importante resta fuori e agisce, il piano rischia di saltare) . In assenza di una percentuale legale minima di adesioni, la condizione pratica è che aderiscano volontariamente i creditori più rilevanti (ad es. tutte le banche principali e i fornitori strategici). La flessibilità è totale: si possono trattare diversamente creditori diversi, perché non c’è il vincolo paritetico di un concorso formale – ciò però può creare problemi se un non aderente si ritiene danneggiato dal fatto che altri abbiano avuto condizioni di favore.
Effetti protettivi legali del piano attestato: Perché un imprenditore dovrebbe attivare tutta questa procedura, anziché limitarsi a fare accordi privati come visto prima? La risposta è nelle tutele che la legge riconosce ai piani attestati validamente formati. In particolare, il CCII (agli artt. 166 e 324) ricalca e amplia le vecchie previsioni dell’art. 67 L.Fall., stabilendo che:
- Gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione di un piano attestato di risanamento non sono soggetti ad azione revocatoria, né fallimentare né ordinaria . Significa che, se malauguratamente l’azienda dovesse fallire dopo aver eseguito il piano, il curatore non potrà chiedere la revoca di quei pagamenti fatti ai creditori nell’ambito del piano, né delle garanzie concesse (ad esempio un’ipoteca data a un nuovo finanziatore). Parimenti, i creditori terzi estranei non potranno esercitare la revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. su quegli atti . Questa è una protezione fondamentale: normalmente, in caso di fallimento, i pagamenti fatti nell’ultimo anno a creditori preesistenti sono revocabili se preferenziali; con un piano attestato conforme alla legge, ciò non accade. I creditori che hanno aderito e ricevuto pagamenti possono tenerli, i nuovi finanziatori che hanno ottenuto garanzie non le perdono. Eccezione: l’esenzione da revocatoria non opera in caso di dolo o colpa grave del debitore o dell’attestatore, conoscibili dal creditore che ha beneficiato dell’atto . In altre parole, se il piano era fraudolento (fatto con l’intento di favorire taluni e danneggiare altri) e ciò era noto, allora l’atto torna revocabile. Ma si tratta di casi estremi (es. un amministratore corrotto che simula un piano per pagare solo l’azienda “amica”) .
- Le persone che hanno compiuto quegli atti in esecuzione del piano (l’imprenditore, i finanziatori) sono esenti da responsabilità penale per i reati di bancarotta semplice e bancarotta preferenziale relativi a tali atti . Questo significa che se l’azienda in seguito fallisce, l’amministratore non potrà essere accusato di bancarotta preferenziale per aver pagato alcuni creditori a scapito di altri, né di bancarotta semplice per aver aggravato il dissesto, limitatamente alle operazioni previste dal piano. Si tratta di una sorta di safe harbor normativo per chi tenta il risanamento in buona fede: la legge vuole incoraggiare i pagamenti finalizzati a evitare il fallimento, senza punirli ex post se il tentativo fallisce . Attenzione che l’esenzione penale riguarda solo questi specifici reati “fallimentari” e non eventuali altri illeciti (ad esempio rimangono punibili frodi, false comunicazioni sociali, ecc. se commessi).
- Vantaggi fiscali: un ulteriore effetto positivo è la neutralità fiscale delle operazioni di stralcio dei debiti attuate nel piano. In base all’art. 88 TUIR e relative norme (modificate già da anni per favorire le ristrutturazioni), le sopravvenienze attive da riduzione dei debiti nell’ambito di un piano attestato non concorrono a formare il reddito imponibile dell’impresa . Ad esempio, se un fornitore aderendo al piano rinuncia a €50.000 di credito (accettando 50 su 100), quei €50.000 di “guadagno” per l’azienda normalmente sarebbero un ricavo tassabile; grazie alla norma, non lo sono in quanto derivanti da accordo di ristrutturazione dei debiti. Ciò evita che un’azienda appena risanata sia gravata da tasse sulle somme non pagate ai creditori.
- Mantenimento del controllo dell’azienda: durante e dopo l’attuazione del piano attestato l’imprenditore rimane al comando dell’impresa. Non vi è alcun organo commissariale esterno, né si apre una procedura concorsuale formale. Questo consente maggiore flessibilità gestionale: l’azienda può proseguire l’attività ordinaria senza autorizzazioni del giudice, può scegliere liberamente come condurre le trattative. Naturalmente, ciò impone anche una grande responsabilità all’imprenditore, che non ha la “protezione” del tribunale e deve gestire oculatamente ogni mossa per non far naufragare il piano . In ogni caso, l’assenza di pubblicità negativa e la continuità nella gestione sono aspetti apprezzati da molti imprenditori che preferiscono il piano attestato ad un concordato.
In sintesi, il piano attestato di risanamento è uno strumento negoziale privatistico che cerca di coniugare i vantaggi di una soluzione stragiudiziale (rapidità, riservatezza, flessibilità, niente maggioranze di legge) con alcuni effetti protettivi tipici delle procedure concorsuali (esenzione da revocatorie e da responsabilità penali) . Proprio per questo, è spesso utilizzato come prima opzione per evitare il fallimento quando si ha la collaborazione di banche e principali creditori.
Va però sottolineato che, poiché non vi è una forzosa inclusione di tutti i creditori, il piano attestato non vincola i dissenzienti. Se un creditore importante rifiuta di aderire e magari agisce in via individuale (pignorando, ad esempio), il piano potrebbe saltare. Non essendoci una cram-down, il debitore non può imporre il taglio del credito a chi non sia d’accordo . Pertanto, la fattibilità concreta del piano dipende in larga misura dalla fede e collaborazione dei creditori coinvolti: occorre costruire un consenso intorno al progetto di risanamento. Spesso, prima di finalizzare un piano attestato, l’azienda sonda informalmente le disponibilità dei creditori principali, oppure ottiene manifestazioni di supporto (lettere d’intenti) da banche, nuovi investitori, fornitori strategici.
Un ultimo avvertimento: utilizzare un piano attestato quando l’impresa è ormai irrimediabilmente insolvente e senza realistiche chance di risanamento può essere considerato un uso abusivo dello strumento. La dottrina e la giurisprudenza avvertono che se un’azienda in stato di insolvenza conclamata adotta un piano attestato solo per guadagnare tempo, senza reali prospettive di salvataggio, gli amministratori rischiano poi accuse di mala gestio e azioni di responsabilità per aver aggravato il dissesto . In pratica, il piano attestato va usato quando c’è ancora una luce in fondo al tunnel: se invece è evidente che l’impresa non potrà evitare il fallimento, meglio optare subito per procedure concorsuali appropriate. Un tribunale (e poi un eventuale curatore) potrebbe giudicare negativamente il tentativo maldestro di procrastinare l’inevitabile. Dunque, è strumento prezioso ma da maneggiare con consapevolezza.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)
Quando la situazione richiede un intervento più “robusto” di un semplice piano attestato – ad esempio perché si vuole ottenere una moratoria generale verso tutti i creditori durante le trattative, o perché occorre vincolare anche i creditori dissenzienti appartenenti a una certa categoria – si può ricorrere agli accordi di ristrutturazione dei debiti disciplinati dagli artt. 57 e seguenti del Codice della Crisi. Si tratta di un istituto evolutosi dall’art. 182-bis della vecchia legge fallimentare: in sostanza è un accordo negoziato con i creditori, ma con omologazione da parte del tribunale, che gli conferisce efficacia legale generale.
Caratteristiche principali:
- L’accordo di ristrutturazione è fondamentalmente un contratto tra l’imprenditore e una parte (qualificata) dei suoi creditori, avente ad oggetto una ristrutturazione delle passività. Può prevedere di tutto: riduzioni (stralci) di crediti, dilazioni di pagamento, modifiche dei termini contrattuali, cessione di beni ai creditori, conversione di crediti in quote di capitale, ecc. È richiesto però che l’accordo sia idoneo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei (ossia di quelli che non aderiscono) entro 120 giorni dalla scadenza originaria o dall’omologazione . Questo vincolo serve a tutelare chi resta fuori: in pratica, non posso usare l’accordo per danneggiare chi non firma.
- Soglia di adesione: La legge richiede che all’accordo aderisca una maggioranza qualificata di creditori pari ad almeno il 60% dei crediti totali (in valore) . Dunque, diversamente dal piano attestato (che non fissava soglie), qui c’è un quorum: il debitore deve convincere un numero sufficiente di creditori che rappresentino almeno il 60% dell’esposizione debitoria complessiva. Raggiunta tale percentuale, si può chiedere l’omologazione al tribunale. I creditori che hanno aderito (firmato l’accordo) saranno vincolati nei termini pattuiti; i creditori non aderenti, invece, rimangono estranei: il loro credito non subisce modifiche coattive (devono essere pagati regolarmente come da contratto originale, oppure per essi il piano deve prevedere comunque il pagamento integrale entro 120 giorni come detto). Va da sé che per riuscire a pagare integralmente i non aderenti, spesso questi devono essere una minoranza non troppo “pesante”. L’efficacia dell’accordo sta nel vincolare collettivamente almeno i principali creditori, evitando l’azione scoordinata di ognuno.
- Omologazione giudiziale: Una volta raggiunte le adesioni necessarie, l’accordo viene sottoposto al tribunale per l’omologazione (approvazione). Il giudice verifica che ci siano i presupposti di legge: percentuale di consensi, idoneità dell’accordo a soddisfare i non aderenti nei termini dovuti, e – elemento cruciale – che il piano sia fattibile e utile a superare la crisi. A tal fine, anche negli accordi è richiesta una relazione di un professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati e l’attuabilità dell’accordo con particolare riferimento ai creditori estranei (art. 56, comma 3, rinviato dall’art. 57 CCII). Se tutto è in regola e non vi sono opposizioni fondate da parte di creditori estranei, il tribunale omologa l’accordo con decreto. L’accordo omologato viene pubblicato nel Registro delle Imprese e acquista efficacia erga omnes limitatamente a quanto stabilito dalla legge: non è una procedura concorsuale piena, ma produce alcuni effetti protettivi.
- Protezione durante le trattative: Uno dei motivi per cui si sceglie l’accordo ex art. 57 CCII è la possibilità di ottenere misure protettive dal tribunale già nella fase delle trattative. Il debitore può infatti depositare un ricorso in tribunale per richiedere la sospensione delle azioni esecutive e cautelari da parte di tutti i creditori mentre cerca di concludere l’accordo (art. 54 CCII) . Il giudice, se concede le misure protettive, le pubblica nel Registro delle Imprese; da quel momento scatta lo stay generale: i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti sui beni del debitore, le prescrizioni rimangono sospese, e (novità del CCII) i creditori non possono neppure interrompere unilateralmente forniture essenziali o revocare contratti in corso solo perché il debitore è in trattativa . Questa tutela è analoga a quella del concordato preventivo. Le misure protettive di solito durano inizialmente fino a 4 mesi (120 giorni) e possono essere prorogate fino a un massimo di 8 mesi totali (240 giorni) , dando al debitore una finestra temporale per negoziare senza il fiato sul collo dei creditori. Ovviamente, il tribunale concede e proroga queste misure solo se il debitore mostra che la trattativa è seria e vi sono chance di accordo; in caso di comportamenti dilatori o abuso, le misure possono essere revocate (ad esempio se emergono atti di frode verso i creditori, art. 55 co. 5 CCII) .
- Effetti sugli estranei dopo l’omologazione: Diversamente dal concordato, l’accordo di ristrutturazione non impone modifiche ai creditori estranei. Tuttavia, l’omologazione comporta alcuni effetti indiretti: ad esempio, grazie all’omologa, i creditori estranei non possono più avviare azioni revocatorie ordinarie contro gli atti eseguiti in attuazione dell’accordo (analogamente a quanto visto per il piano attestato), e i pagamenti/garanzie previsti dall’accordo omologato sono esentati da revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento (art. 166 CCII li equipara ai piani attestati a tal fine). Inoltre, come per i piani attestati, l’accordo omologato porta con sé l’esonero fiscale dalle tasse sulle sopravvenienze attive derivanti dai tagli di debito . Dal punto di vista penale, l’art. 324 CCII estende l’esenzione da bancarotta semplice e preferenziale anche agli atti compiuti in esecuzione di accordi di ristrutturazione omologati, analogamente ai piani attestati.
In sostanza, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento ibrido, a metà tra il piano stragiudiziale e il concordato: c’è una forte componente negoziale (serve l’accordo dei creditori, sebbene non di tutti) e c’è un intervento giudiziale di omologa che offre un “sigillo” e alcune protezioni.
Novità recenti (accordi agevolati ed estesi): Il CCII, anche recependo la Direttiva UE 2019/1023, ha introdotto varianti innovative:
- L’accordo di ristrutturazione “agevolato” (art. 60 CCII) consente di abbassare la soglia di consenso al 30% dei crediti . Questa modalità è ammessa a due condizioni: (a) l’imprenditore non abbia già depositato un ricorso per concordato preventivo (menzionato come “concordato preventivo semplificato in bianco” nel testo) né richiesto misure protettive; (b) che i creditori non aderenti vengano integralmente soddisfatti entro 120 giorni dall’omologazione (o dalla scadenza se successiva) . In pratica, l’accordo agevolato è pensato come strumento veloce e riservato: se l’imprenditore tratta con almeno il 30% dei crediti e promette di pagare subito gli altri, può ottenere l’omologa senza dover coinvolgere il 60%. Il beneficio è di poter chiudere accordi con una minoranza qualificata (ad esempio le banche principali) e poi, magari grazie a nuova finanza, pagare fuori gli altri. È però precluso se si sono attivate protezioni legali: quindi o lo si fa di nascosto, o se si deve andare in tribunale tanto vale seguire la via ordinaria.
- L’accordo di ristrutturazione “ad efficacia estesa” (art. 61 CCII) permette, in certi casi, di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori dissenzienti appartenenti a determinate categorie omogenee. Questo è particolarmente utile per gestire situazioni con molti creditori finanziari o bondholders. Ad esempio, se l’accordo è approvato da una larga maggioranza (almeno il 75% dei crediti di una certa categoria, tipicamente finanziaria) e l’adesione è stata offerta a tutti i membri di quella categoria su base paritaria, il tribunale può decidere che anche i pochi dissenzienti siano vincolati alle stesse condizioni accordate dai loro colleghi aderenti. In tal modo si evita che holdout creditors (creditori di minoranza che rifiutano per puntare a essere pagati integralmente) sabotino l’operazione. L’efficacia estesa richiede requisiti stringenti e vale solo per categorie specifiche (in primis banche e obbligazionisti, anche per favorire ristrutturazioni di debito finanziario diffuso). La disciplina dettagliata impone, tra l’altro, che i dissenzienti siano comunque soddisfatti non meno degli altri della medesima categoria e che l’accordo sia approvato da almeno il 50% delle categorie di creditori . Questa novità recepisce le indicazioni della Direttiva UE in tema di cross-class cram down, pur con differenze rispetto al concordato.
- Un’ulteriore evoluzione recente è l’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari (art. 61-bis CCII, introdotto nel 2022), che consente di estendere l’accordo a tutti gli intermediari finanziari anche se non aderenti, purché aderiscano quelli rappresentanti il 75% dei crediti finanziari. Ciò per evitare che una banca su quattro possa bloccare un’intesa sostenuta dalle altre.
In termini pratici, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento indicato se l’azienda riesce a ottenere l’impegno di una consistente parte dei creditori (specie finanziari) ma vuole comunque proteggersi da iniziative degli altri e consolidare l’accordo con una validità legale. È meno dirompente di un concordato preventivo (che è concorsuale e coinvolge tutti i creditori con voto), ma più incisivo di un piano attestato puro. Una situazione tipica in cui si usa l’accordo è quando le banche sono d’accordo a ristrutturare il debito (magari convertendo parte a lungo termine, abbattendo tassi, ecc.) e insieme rappresentano >60% dell’esposizione: con l’accordo omologato, l’azienda ottiene una “ombrellatura” generale, le banche sono vincolate alle nuove intese e i pochi creditori minori rimasti fuori vengono comunque pagati (spesso proprio grazie al respiro ottenuto dalle banche).
Va evidenziato che la giurisprudenza considera l’accordo di ristrutturazione un instrumentum concorsuale a tutti gli effetti, sebbene atipico: per esempio, con l’apertura delle trattative e la pubblicazione delle misure protettive, scatta l’inibitoria delle istanze di fallimento. Se poi, malgrado l’accordo, l’azienda fallisce, c’è consecuzione di procedure (continuità) se l’accordo era omologato, con effetti sui termini sospetti ecc., esattamente come per un concordato non andato a buon fine.
La transazione fiscale e contributiva (nei piani, accordi o concordati)
Un capitolo fondamentale, soprattutto per le aziende come la nostra ipotetica società di laminati, riguarda i debiti verso il Fisco e gli enti previdenziali. Come già accennato, trattandosi di crediti privilegiati e spesso assistiti da un principio di indisponibilità (lo Stato tradizionalmente non “remit” i suoi crediti se non autorizzato da una norma), la loro presenza consistente può rendere vano qualsiasi sforzo di ristrutturazione se non si trova un modo di gestirli. Qui entra in gioco l’istituto della transazione fiscale, introdotto inizialmente nel 2006 e poi via via ampliato .
Cos’è la transazione fiscale: è la possibilità, offerta al debitore in crisi, di proporre all’Agenzia delle Entrate (per le imposte erariali come IVA, imposte dirette) e all’INPS (per i contributi) un trattamento agevolato dei loro crediti nell’ambito di un piano di risanamento. In pratica, si negozia con il Fisco un accordo in cui – a fronte della garanzia di ottenere almeno un certo pagamento – l’Erario accetta una falcidia (riduzione) o una dilazione del credito tributario. Questo strumento non è autonomamente attivabile fuori da una cornice generale: va inserito all’interno di una procedura di concordato preventivo oppure di un accordo di ristrutturazione omologato. Recentissime modifiche normative (D.Lgs. 136/2024 in attuazione della delega sulla riforma fiscale) hanno previsto la possibilità di transazione fiscale anche nell’ambito dei piani di risanamento soggetti ad attestazione o della composizione negoziata, per agevolare soluzioni stragiudiziali . Su questo torneremo a breve.
Evoluzione normativa: In passato la transazione fiscale era fortemente limitata: ad esempio, fino al 2020 non era possibile falcidiare l’IVA o le ritenute – al massimo si potevano rateizzare – per via del principio comunitario di neutralità dell’IVA (che lo Stato non può rinunciare ad imposta riscossa per conto UE). Questa rigidità spesso rendeva impossibili i concordati, perché se l’azienda aveva grosso debito IVA non c’era modo di tagliarlo. Nel 2020 però, con l’art. 3 del DL 125/2020 (conv. L. 159/2020, detto DL Ristori), si è fatto un passo storico: ammessa la falcidia anche dell’IVA e delle ritenute, a condizione che un esperto indipendente attesti che la proposta è più conveniente per il Fisco rispetto alla liquidazione fallimentare . Contestualmente, è stata prevista l’omologazione forzosa (il cosiddetto cram down fiscale): se il Fisco (o gli enti previdenziali) rifiutano la proposta senza motivo ragionevole, il tribunale può ugualmente omologare il concordato o l’accordo di ristrutturazione anche senza il loro consenso, purché dal piano risulti che ad Agenzia Entrate e INPS viene riconosciuto almeno ciò che otterrebbero in caso di liquidazione . Questa è una svolta epocale: prima, un voto contrario del Fisco era insuperabile (e molte aziende fallivano per questo); ora la legge consente di bypassare il diniego se il piano è equo. Il CCII ha recepito integralmente queste novità (art. 63 per gli accordi e art. 88 per i concordati, più art. 112 per i casi di concordato minore) .
Come funziona in pratica nel concordato preventivo: L’imprenditore predispone una proposta di transazione indicando quali debiti tributari e contributivi intende stralciare o dilazionare e in che misura. Ad esempio, potrebbe offrire di pagare il 50% dell’IVA e il 30% di IRES in 5 anni, più il 100% delle ritenute (perché magari ritiene strategico pagare interamente quelle) in 2 anni. La proposta deve garantire che quei pagamenti sono almeno pari a quanto quei crediti privilegiati prenderebbero in caso di fallimento. Se i crediti fiscali sono assistiti da pegno/ipoteca, almeno quello va riconosciuto. La proposta viene sottoposta all’Agenzia delle Entrate (e/o all’INPS) perché esprimano il loro consenso. Le Agenzie hanno commissioni interne per valutare tali proposte, basandosi su circolari che le invitano a confrontare l’offerta con il presumibile incasso da liquidazione forzata. Se la proposta è conveniente, dovrebbero accettare. Se accettano, i crediti pubblici si considerano aderenti al concordato (votano sì). Se rifiutano, il debitore può chiedere al tribunale il cram-down: il giudice valuta se effettivamente in fallimento l’Erario avrebbe preso meno o uguale, e se sì può omologare comunque il concordato nonostante il loro voto contrario. La legge (post correttivo 2024) precisa che per fare ciò occorre che la maggioranza di legge dei creditori sia comunque raggiunta escludendo dal computo i crediti pubblici dissenzienti (cioè il concordato deve essere approvato dagli altri creditori, non può passare con solo il giudice contro tutti).
Transazione fiscale nell’accordo di ristrutturazione: Negli accordi ex art. 57 CCII, analogamente, si può includere la transazione fiscale. In questo caso serve l’adesione formale di Agenzia Entrate e INPS all’accordo (quindi concorrono al quorum del 60%). Se uno dei due rifiuta, è prevista una procedura di omologazione forzata specifica (il cosiddetto cram-down fiscale nell’accordo, regolato dall’art. 63 CCII) con caratteristiche simili: il tribunale, su richiesta del debitore, convoca Agenzia Entrate/INPS in camera di consiglio e se accerta che il loro rifiuto è ingiustificato (piano più conveniente del fallimento), può omologare l’accordo estendendone gli effetti all’Erario anche senza il suo consenso. In passato c’era dibattito se il giudice civile potesse sostituirsi al Fisco (alcune sentenze erano contrarie) , ma la nuova normativa lo consente espressamente, superando le obiezioni precedenti.
Transazione fiscale nei piani attestati e composizione negoziata: La grande novità del 2024 (attuazione delega fiscale) è l’apertura alla transazione fiscale anche fuori dalle procedure concorsuali tradizionali. Precisamente, il D.Lgs. 136/2024 ha modificato l’art. 23 CCII prevedendo che l’imprenditore possa proporre il pagamento parziale o dilazionato dei tributi e contributi anche quando percorre la strada di un piano attestato di risanamento o di una composizione negoziata . Questo per colmare un vuoto: prima, se uno faceva un piano attestato, il Fisco non aveva base legale per accettare uno stralcio (al massimo stava a guardare sperando di essere pagato integralmente). Ora invece, se l’impresa presenta un serio piano attestato, potrà chiedere formalmente all’Agenzia delle Entrate di aderire accettando una certa percentuale sul dovuto. Sarà comunque necessaria un’attestazione di convenienza e l’accordo andrà pubblicato (diventerà conoscibile). In caso di accettazione, però, la garanzia per l’Erario è di potersi rivalere se il piano fallisce: infatti la norma prevede che, se entro 2 anni l’impresa va in liquidazione giudiziale, la transazione fiscale omologata in via stragiudiziale si risolve e il Fisco torna ad avere il credito originario, meno quanto eventualmente incassato. Si tratta dunque di un terreno nuovo e in evoluzione, che andrà rodato nella prassi.
Conclusioni sulla transazione fiscale: Dal punto di vista del debitore, la transazione fiscale è uno strumento potentissimo di difesa e rilancio: consente di ridurre sensibilmente il monte debiti tributari e contributivi, spesso condizione sine qua non per la sopravvivenza (si pensi ad aziende con milioni di cartelle esattoriali). Negli ultimi anni il legislatore italiano, spinto anche dall’Europa, ha reso questo strumento più accessibile, rimuovendo tabù come l’IVA e prevedendo che il Fisco non possa fare l’irriducibile se ciò porta a un esito peggiore (fallimento e minor incasso) . Dall’altra parte, va considerato che la procedura è complessa: bisogna dotarsi di un piano attestato da un professionista, interloquire con l’Agenzia delle Entrate in modo formalizzato, e spesso i tempi burocratici possono essere un ostacolo (le commissioni del Fisco non sempre decidono in fretta, anche se ora la legge impone di farlo entro 90 giorni, pena silenzio-assenso in alcuni casi ). Inoltre, il Fisco potrebbe subordinare il suo assenso a condizioni stringenti (per esempio clausole di maggior pagamento se arrivano nuovi fondi, ecc.).
Va ricordato anche che la transazione fiscale non copre i tributi locali (IMU, TARI, ecc., che formalmente sarebbero anch’essi crediti pubblici ma restano fuori dall’art. 63 CCII) , e non riguarda sanzioni penali: se l’imprenditore ha commesso reati tributari (es. dichiarazione fraudolenta), la transazione non estingue l’azione penale, anche se ovviamente pagare il debito riduce la punibilità in alcune fattispecie (per alcuni reati tributari, estingue il reato il pagamento integrale del dovuto prima del dibattimento). In ogni caso, chiudere un occhio su parte del debito fiscale in un piano concordato può avere riflessi virtuosi anche sul piano penale: evitare il fallimento fa decadere le accuse di bancarotta; l’accordo transattivo esclude il reato di bancarotta preferenziale per quei pagamenti. Tuttavia rimane, ad esempio, il reato di omesso versamento IVA se i €250.000 non vengono comunque versati neanche parzialmente entro la soglia di non punibilità (a riguardo, l’unica soluzione è includere nel piano almeno il pagamento sopra soglia dell’IVA o sfruttare cause di non punibilità sopravvenute, come la crisi di liquidità documentata, che però è difficile da far valere).
In sintesi, per difendere l’azienda indebitata verso il Fisco, la transazione fiscale è uno strumento da considerare seriamente: permette di sedersi al tavolo con l’Erario e trovare un compromesso sostenibile, evitando che l’Erario agisca in modo esecutivo o che rifiuti concordati precipitando l’impresa nel fallimento. Nella sezione Domande e Risposte affronteremo qualche quesito pratico, ad esempio su come comportarsi se il Fisco nega l’accordo o se si può ottenere lo sblocco del DURC con una transazione approvata.
Le procedure concorsuali giudiziali: concordato preventivo e liquidazione
Se le misure stragiudiziali o “semi-stragiudiziali” non bastano, l’ordinamento mette a disposizione del debitore una gamma di procedure concorsuali, ossia procedure governate dall’Autorità giudiziaria che coinvolgono la generalità dei creditori secondo regole predefinite. Lo scopo di queste procedure è di regolare la crisi o insolvenza in modo ordinato ed equo tra i creditori, possibilmente consentendo la continuazione dell’attività quando vi siano margini (concordato in continuità) oppure liquidando il patrimonio sotto controllo del tribunale (concordato liquidatorio o liquidazione giudiziale).
Per un’azienda in crisi che vuole difendersi dall’aggressione disordinata dei creditori, il ricorso a una procedura concorsuale può spesso essere la mossa giusta: blocca immediatamente le azioni esecutive individuali, crea uno spazio temporale per riorganizzarsi e consente, se ben gestito, di evitare la chiusura traumatica imposta dai creditori, sostituendola con una soluzione concordata. La procedura principale a disposizione su istanza dello stesso debitore è il concordato preventivo.
Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII)
Il concordato preventivo è la procedura regolata dalla legge in cui l’imprenditore in crisi o insolvente propone ai creditori un piano di soddisfacimento (tipicamente parziale) delle loro ragioni, che viene votato dai creditori stessi e, se approvato a maggioranza e ritenuto conforme alla legge, omologato dal tribunale. È uno strumento di composizione collettiva della crisi, alternativo alla liquidazione giudiziale (fallimento), con finalità di evitare la cessazione dell’attività e massimizzare la soddisfazione dei creditori rispetto all’ipotesi liquidatoria.
Tipologie di concordato: Il CCII distingue essenzialmente due categorie: – Il concordato in continuità aziendale, ove è prevista la prosecuzione, totale o parziale, dell’attività d’impresa (può essere in continuità diretta, con la stessa società, o indiretta, tramite il trasferimento a un assuntore che la prosegue). L’idea è che mantenendo in vita l’azienda (o parti di essa) si ottenga un valore maggiore a beneficio dei creditori e si salvaguardino posti di lavoro. – Il concordato liquidatorio, ove l’obiettivo prevalente è liquidare il patrimonio dell’azienda e distribuire il ricavato ai creditori, senza prevedere un vero proseguimento dell’attività. È più simile a un fallimento pilotato, ma col vantaggio per il debitore di alcune esenzioni (ad esempio, scelta del liquidatore, esclusione dell’interdizione dagli uffici societari che invece segue al fallimento, ecc.).
La legge incentiva il concordato in continuità, considerato socialmente più utile, mentre pone paletti più rigidi sul concordato liquidatorio per evitare che diventi un mero espediente dilatorio (“quasi per renderlo meno appetibile la norma prevede […] due paletti obbligatori” ). I “paletti” cui si allude sono: (a) nel concordato liquidatorio i creditori chirografari devono ricevere almeno il 20% del loro credito (soglia minima di soddisfazione); (b) tale soglia può scendere a 10% solo se il debitore apporta risorse esterne aggiuntive pari ad almeno il 10% dell’attivo – insomma, il legislatore impone al debitore uno sforzo in caso di concordato liquidatorio puro. Ad esempio, se ho 100 di debiti chirografari e decido di liquidare tutto, devo far sì che dal mio piano emerga un pagamento di almeno 20; se riesco a mettere risorse nuove (tipo un finanziamento da soci) pari a 10, potrei anche offrire un 10% ai creditori. Queste soglie servono a evitare concordati liquidatori “troppo poveri” che sarebbero peggiori di un fallimento.
Procedura in sintesi: Il concordato preventivo si svolge così: – L’imprenditore deposita un ricorso al tribunale contenente la proposta, il piano e la documentazione richiesta (elenco creditori, inventario beni, bilanci, attestazione di un professionista sulla fattibilità del piano, ecc.). Può anche depositare un ricorso “in bianco” (concordato con riserva, art. 44 CCII) con la sola domanda, riservandosi di presentare il piano entro max 120 giorni, per bloccare subito le azioni dei creditori. – Il tribunale, valutati i requisiti, ammette l’azienda al concordato e nomina un commissario giudiziale (un professionista terzo che vigila durante la procedura). Viene fissata la data per l’adunanza dei creditori (l’assemblea in cui i creditori votano la proposta) di solito entro 4-6 mesi. – Da quando è presentata la domanda, scattano gli effetti protettivi: i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive né ipotecarie sul patrimonio del debitore, ai sensi dell’art. 54 CCII (analogo a quanto visto per gli accordi) . Inoltre, dopo l’ammissione, gli interessi sui debiti chirografari sono sospesi. – Il debitore, se è in continuità, resta in possesso (debtor in possession): continua a gestire l’impresa, ma sotto la supervisione del commissario e con alcuni atti soggetti ad autorizzazione del giudice delegato (es: vendite straordinarie di beni). In caso di abusi o atti in frode, può essergli revocata l’autorizzazione a gestire e nominato un amministratore giudiziario. – Nella fase interinale il commissario raccoglie informazioni, deposita una relazione sulla causa della crisi e sulle prospettive di soddisfacimento. – All’adunanza, i creditori votano. Hanno diritto di voto tutti i creditori ammessi (tranne privilegiati se pagati al 100% salvo rinuncia). Il concordato è approvato se ottiene il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Se sono previste diverse classi di creditori, serve anche la maggioranza per classi (almeno la metà +1 delle classi votanti sì, con comunque la maggioranza del totale crediti favorevoli). Se una classe vota no, il tribunale può lo stesso approvare col cram-down interclassi se ritiene che i dissenzienti non riceverebbero di più nella liquidazione e la proposta non li discrimina ingiustamente. – Dopo l’approvazione dei creditori, il tribunale fissa l’udienza di omologazione. In questa fase eventuali creditori dissenzienti o terzi possono proporre opposizione all’omologa (es: sostenendo che la proposta viola norme di legge). Il tribunale valuta il tutto e se la proposta è conforme (rispetta priorità dei crediti, soglie minime, eventuali opposizioni infondate) emette decreto di omologazione. – Con l’omologazione, il concordato diviene vincolante per tutti i creditori anteriori, anche per quelli che hanno votato contro o non hanno partecipato. Gli effetti sono vari: i crediti vengono “tagliati” o modificati come da proposta (es: un creditore chirografario aveva 100€, concordato prevede paga 30% in 2 anni, allora quel creditore avrà diritto a 30€ dilazionati e il resto è inesigibile); i privilegiati ricevono il trattamento indicato (se non integralmente, avranno magari parziale pagamento come chirografo per la parte falcidiata, ma solo se hanno votato a favore perché se avessero votato contro e non prendevano 100% sarebbero state violate le loro prerogative – insomma, nei concordati occorre stare attenti ai privilegiati dissenzienti: o li paghi integralmente, o li soddisfi col loro bene in continuità, o li fai aderire via transazione fiscale se pubblici, altrimenti non puoi imporgli un sacrificio).
Vantaggi difensivi del concordato: Dal punto di vista del debitore, attivare un concordato preventivo offre subito un beneficio chiave: il blocco delle azioni esecutive e delle istanze di fallimento. È come un ombrello protettivo generale che permette di congelare la posizione debitoria al momento della domanda e trattare la ristrutturazione in un forum ordinato. Durante la procedura, l’azienda respira (nessun pignoramento, fornitori e banche non possono recedere da contratti in essere solo per il concordato, art. 94 CCII) e può concentrarsi sul risanamento. Inoltre, il concordato può prevedere finanziamenti prededucibili autorizzati dal giudice: ad esempio, se servono liquidi per continuare l’attività, il tribunale può autorizzare un finanziamento che verrà rimborsato in prededuzione (prima di tutti gli altri debiti) eventualmente anche in caso di fallimento successivo, incoraggiando i finanziatori a dare fiducia.
Dal punto di vista degli amministratori, la scelta del concordato, se condotta correttamente, li mette al riparo da responsabilità per aggravamento del dissesto posticipando il fallimento: non è un comportamento dilatorio illegittimo, ma anzi un esercizio di un diritto previsto dalla legge per evitare il fallimento. Naturalmente, i gestori devono rispettare le regole (ad esempio, non dissipare asset durante la procedura senza autorizzazione, non favorire alcuni creditori di nascosto, etc.). Se il concordato va a buon fine (cioè omologato e adempiuto), l’azienda avrà superato la crisi con soddisfazione dei creditori secondo le percentuali concordate, e i vecchi debiti saranno considerati estinti per novazione o comunque non più azionabili oltre quanto previsto.
Limiti e svantaggi: Il concordato è una procedura pubblica (l’iscrizione al registro delle imprese, la nomina del commissario sono pubbliche) quindi comporta uno stigma e può creare problemi di fiducia in clienti/fornitori (anche se oggi è percepito meglio di un fallimento). Inoltre, è una procedura lunga e costosa: ci sono spese di giustizia, compensi per commissario e attestatore, costi per l’ausilio di consulenti legali e finanziari; richiede molta documentazione e formalità, il che la rende più onerosa di soluzioni stragiudiziali. Durante il concordato, l’impresa è soggetta a vincoli: ogni atto di straordinaria amministrazione deve essere autorizzato, e se in liquidazione è il liquidatore giudiziale a compiere le vendite. C’è poi l’alea del voto dei creditori: non è scontato che la maggioranza approvi la proposta, specie se non è appetibile. Se la proposta viene bocciata e l’azienda è insolvente, il tribunale dichiara il fallimento (liquidazione giudiziale). Quindi c’è un rischio: fallire comunque ma dopo aver perso tempo. Per questo la proposta deve essere calibrata in modo da ottenere il consenso (a volte conviene offrire qualcosa in più a classi strategiche di creditori per assicurarne il voto).
Infine, va segnalato che presentare un concordato con una proposta non genuina o irrealistica può configurare un abuso del processo. La legge punisce con la revoca della procedura se l’azienda compie atti di frode verso i creditori (es. distrae beni prima del deposito, nasconde informazioni, ecc.). Anche qui, correttezza e trasparenza sono fondamentali.
Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa
Oltre al concordato e agli accordi di ristrutturazione, un importante strumento introdotto di recente (dal 2021, reso strutturale col CCII) è la composizione negoziata della crisi. È un istituto innovativo, non concorsuale, finalizzato ad assistere l’imprenditore nell’adozione di un percorso di risanamento tramite l’ausilio di un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione presso la Camera di Commercio. La composizione negoziata è volutamente una procedura volontaria e confidenziale, pensata per affrontare per tempo la crisi senza le formalità di tribunale, ma con la possibilità di ottenere alcuni benefici legali di contorno.
Come funziona: L’imprenditore in situazione di crisi o insolvenza reversibile può presentare istanza tramite una piattaforma telematica nazionale, indicando la propria situazione, allegando un piano d’azione (anche preliminare) e i principali dati contabili. Una commissione (composta da un magistrato, un membro CCIAA e uno della Prefettura) designa entro 5 giorni un Esperto indipendente con competenze in risanamenti . L’esperto, che deve accettare l’incarico entro 2 giorni , diventa il mediatore tra l’impresa e i creditori. Da quando l’esperto accetta, decorre il termine di 180 giorni (6 mesi) per condurre le trattative . Questo termine può essere prorogato, su richiesta motivata e con l’accordo dell’esperto, fino ad un massimo di ulteriori 180 giorni (quindi 12 mesi totali) in casi particolari . La procedura è in larga parte extragiudiziale: l’esperto convoca le parti, propone soluzioni, cerca di farle convergere verso un accordo (che può assumere la forma di un contratto di ristrutturazione, di un piano attestato, di un aumento di capitale, di una vendita dell’azienda, o anche la proposta di un concordato se necessario).
Durante la composizione negoziata, l’imprenditore rimane alla guida della sua azienda. L’esperto non ha poteri sostitutivi, ma solo consultivi e di facilitazione. Egli deve tuttavia operare con diligenza e terzietà, segnalando se vede atti pregiudizievoli o manovre ostruzionistiche. Può anche, se ritiene che non vi siano prospettive di risanamento, porre fine anticipatamente alla procedura con una relazione che potrebbe portare l’imprenditore a dover considerare altre vie (concordato o liquidazione).
Un elemento cruciale: la composizione negoziata può essere condotta in modo riservato, ossia senza che i creditori o il pubblico ne abbiano notizia, se l’imprenditore non richiede misure protettive. In tal caso, le convocazioni dell’esperto avvengono in via riservata, e i creditori partecipano spontaneamente sapendo che la procedura è volontaria.
Misure protettive e autorizzazioni del tribunale: Se però la situazione lo richiede (ad esempio perché alcuni creditori minacciano azioni esecutive imminenti), l’imprenditore può richiedere all’avvio della composizione negoziata l’attivazione di misure protettive nei confronti del patrimonio. In tal caso, la richiesta viene pubblicata nel Registro delle Imprese contestualmente alla nomina dell’esperto , e produce immediatamente gli effetti del divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari per la durata indicata (inizialmente max 120 giorni, prorogabili su istanza fino a 240 giorni) . Inoltre, i creditori non possono, per il solo fatto della pendenza della composizione, interrompere forniture essenziali o modificare rapporti contrattuali in danno del debitore (simile a quanto visto per accordi e concordato). Le misure protettive devono essere poi convalidate dal tribunale entro 30 giorni dall’istanza, altrimenti cessano . Il giudice effettua un’udienza (di solito in camera di consiglio) e, sentito l’esperto e valutato che la prosecuzione delle trattative è utile e che non arreca grave pregiudizio ai creditori, conferma le misure fino al termine necessario.
In parallelo, l’imprenditore in composizione negoziata può chiedere al tribunale autorizzazioni speciali: – Ad esempio, autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili (che verranno rimborsati con precedenza in caso di fallimento successivo) se sono necessari per le trattative o per evitare il tracollo. L’esperto dà il suo assenso e il giudice può autorizzare, garantendo così chi presta denaro durante la negoziazione. – Oppure, autorizzazione a trasferire l’azienda o rami di essa, o affittarla, senza gli ordinari vincoli (in sostanza come farebbe un tribunale in concordato), se funzionale a ottenere investimenti o salvare il valore aziendale. – Ancora, autorizzazione a cedere beni liberi da ipoteche e pegni, con effetti di soddisfare i creditori garantiti sul ricavato, se ciò è utile al risanamento (ad esempio vendere un immobile non strategico per pagare debiti e riequilibrare la situazione).
Tutte queste misure rendono più solida la posizione del debitore che tratta. I creditori sanno che c’è un giudice coinvolto (seppur marginalmente) e che eventuali atti autorizzati sono protetti (ad esempio un nuovo finanziatore può confidare di essere prededucibile). Importante sottolineare: durante la composizione negoziata, se sono attive misure protettive, i creditori possono comunque chiedere la dichiarazione di insolvenza (liquidazione giudiziale) dell’impresa, ma il tribunale non può pronunciarla fino a che la composizione è in corso . Può prenderne atto solo dopo, se l’esito è negativo.
Esito della composizione negoziata: Se le trattative hanno successo, possono portare a diversi risultati: – La conclusione di contratti o accordi stragiudiziali con cui si risolve la crisi (ad es. accordi con banche, nuovi apporti di capitale dei soci, accordi con fornitori per riduzioni debiti, ecc.). In tal caso, semplicemente l’esperto redige una relazione finale positiva e la procedura si chiude; l’azienda esce dalla composizione e prosegue l’attività secondo gli accordi raggiunti. – L’adozione di uno degli strumenti di regolazione previsti dal CCII: ad esempio, se durante la negoziazione ci si rende conto che serve un intervento concorsuale, l’imprenditore può depositare un ricorso per un concordato preventivo (anche semplificato, vedi oltre) o per un accordo di ristrutturazione. In tal caso, la composizione si chiude e subentra la nuova procedura, ma con il vantaggio che la fase di trattativa ha preparato il terreno (spesso i creditori sono già d’accordo, quindi il concordato o l’accordo formalizzato fileranno lisci). – Se le trattative invece falliscono e non c’è soluzione (ad esempio i creditori chiedono più di quanto l’azienda possa offrire, o l’esperto valuta che l’impresa non è risanabile), l’esperto lo comunica in una relazione. A quel punto l’imprenditore dovrà valutare alternative residuali: potrebbe presentare istanza di liquidazione giudiziale lui stesso (per evitare guai peggiori), oppure se ha individuato acquirenti per liquidare l’azienda in un contesto concorsuale può percorrere la strada del concordato semplificato per la liquidazione.
Concordato semplificato (post composizione negoziata): Introdotto dal D.L. 118/2021 e ora confermato (art. 25-sexies CCII), è una particolare procedura di concordato senza voto dei creditori, riservata ai casi in cui la composizione negoziata si sia conclusa senza accordo e l’imprenditore intenda comunque evitare il fallimento liquidando i beni. In pratica, entro 60 giorni dalla chiusura infruttuosa della composizione, l’imprenditore può depositare un piano di concordato liquidatorio che prevede la cessione dei beni e la distribuzione del ricavato ai creditori, eventualmente con l’individuazione di un assuntore (un soggetto che si accolla il compito di liquidare). I creditori non votano su questo piano; il tribunale, dopo aver sentito i creditori in camera di consiglio (possono fare osservazioni), decide se omologarlo verificando che non siano pregiudicati ingiustamente. È “semplificato” perché taglia la fase del voto, ritenendo che essendo già fallita la negoziazione non avrebbe senso sottoporre di nuovo ai creditori la decisione. Va però usato con cautela: è un’uscita di emergenza per evitare il fallimento giudiziale puro, in situazioni dove magari c’è un acquirente per l’azienda (così i creditori potrebbero prendere di più che da un fallimento). Per il debitore, può essere vantaggioso perché mantiene qualche leva di controllo (propone lui come vendere i beni). Comunque, se omologato, questo concordato semplificato vincola tutti i creditori e li soddisfa con quel che c’è, dopodiché l’azienda viene estinta.
Vantaggi difensivi della composizione negoziata: Dal punto di vista dell’imprenditore in difficoltà, la composizione negoziata rappresenta un tentativo di gestire consensualmente la crisi con l’aiuto di un esperto e di strumenti di protezione modulabili. Ha il pregio di essere riservata (se non si attivano protezioni, nessuno sa formalmente che l’azienda è in procedura, il che può preservare la reputazione mentre si tratta). Anche se si attivano le misure protettive, l’azienda non viene etichettata come “fallita” ma anzi appare come in ristrutturazione, il che è concettualmente più rassicurante per molti stakeholder. L’intervento dell’esperto spesso aiuta a ristabilire la fiducia: i creditori vedono che c’è un arbitro imparziale che verifica numeri e impegni.
Rispetto al concordato, la composizione negoziata è meno rigida: l’imprenditore non perde la gestione, non c’è un commissario che lo sovrasta (l’esperto non ha poteri d’imperio, può solo consigliare e redarguire). Ciò rende lo strumento gradito a molti imprenditori che hanno timore di consegnarsi mani e piedi al tribunale. Anche i costi sono inferiori: non ci sono spese di giustizia rilevanti (l’esperto va compensato, ma molto meno di una procedura completa; non ci sono i costi di un commissario e di un giudice delegato per tutta la durata).
In termini di difesa da azioni ostili: se necessario si ottengono comunque protezioni analoghe a quelle del concordato (stay delle azioni esecutive, divieto ai creditori di interrompere forniture essenziali). Questo consente di neutralizzare sul nascere eventuali iniziative aggressive mentre si cerca un accordo. Inoltre, abbiamo visto innovazioni normative come l’esonero di responsabilità solidale per i debiti tributari in caso di cessione d’azienda durante la composizione negoziata (introdotto dal D.Lgs. 87/2024): di recente, infatti, è stato stabilito che se l’azienda viene ceduta nel contesto di un percorso di composizione negoziata, l’acquirente non risponde dei debiti fiscali pregressi del cedente . Questo toglie un grosso ostacolo alla vendita di aziende in crisi (prima, un compratore avrebbe ereditato in parte i debiti fiscali ex art. 14 D.Lgs. 472/97, ora non più se la vendita avviene come parte del piano di risanamento). Il provvedimento è recente (valido per violazioni dal 1° settembre 2024 in poi) ed equipara la composizione negoziata alle procedure concorsuali tradizionali, dove già l’esonero esisteva, eliminando una discriminazione .
Limiti: Di contro, la composizione negoziata non garantisce il successo: se i creditori non vogliono aderire, non c’è modo di costringerli a un accordo (non essendoci voto come nel concordato, a meno di virare verso un accordo ex art. 57 o concordato preventivo successivamente). Inoltre, se l’impresa è troppo indebitata e insolvente, i creditori potrebbero preferire chiedere subito il fallimento anziché negoziare; anche se la legge impedisce la dichiarazione finché le trattative sono in corso, un creditore può comunque depositare l’istanza e farla pendere per essere trattata subito dopo (creando pressione). L’esito incerto può portare alcuni creditori a defilarsi. Per questo la composizione negoziata funziona soprattutto in situazioni di crisi iniziale o di insolvenza gestibile, dove c’è ancora margine di manovra e convenienza reciproca a trovare una soluzione.
In conclusione, la composizione negoziata rappresenta oggi la frontiera avanzata degli strumenti di difesa aziendale contro la crisi: flessibile, moderna, in linea con l’approccio europeo di favorire il risanamento precoce. Va intrapresa con l’ausilio di consulenti esperti, dati contabili trasparenti e preparazione – il tutto per convincere i creditori che collaborare è nel loro migliore interesse.
Responsabilità degli amministratori e tutela del patrimonio personale
Dal punto di vista di chi gestisce l’azienda indebitata (amministratori, direttori, eventualmente soci di controllo), un aspetto cruciale del “difendersi” è proteggere sé stessi da possibili azioni di responsabilità e sanzioni che possono scaturire dallo stato di insolvenza. In altre parole: se l’azienda accumula debiti e finisce in default, gli amministratori rischiano di dover rispondere personalmente di certi danni? Possono essere chiamati a pagare con il proprio patrimonio i debiti aziendali? E incorreranno in sanzioni penali? Conoscere queste potenziali responsabilità è fondamentale sia per evitarle (adottando i comportamenti corretti in tempo utile) sia per capire quali difese approntare in caso di contestazioni.
Responsabilità civile verso la società e i creditori
Il Codice Civile prevede che gli amministratori di società di capitali (S.p.A. e S.r.l.) debbano adempiere ai doveri imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e sono personalmente responsabili dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri (artt. 2392 e 2476 c.c.). In situazioni di crisi d’impresa, entrano in gioco in particolare gli obblighi di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale e, in caso di perdite, gli obblighi di intervento sulla capitale.
Un caso tipico di responsabilità è la prosecuzione illegale dell’attività: se gli amministratori continuano a fare operazioni quando la società ha perso il capitale sociale (ossia si è verificata una causa di scioglimento ex art. 2484 c.c., come la perdita oltre il terzo del capitale senza ripianamento entro l’esercizio successivo, oppure perdita integrale) e non provvedono immediatamente a convocare l’assemblea per ricapitalizzare o liquidare, essi rispondono dei danni causati da tale indebita continuazione. Questo principio, da tempo affermato dalla giurisprudenza, è ora sancito anche dall’art. 2486 c.c., comma 2 e 3, come modificato dal Codice della Crisi: la norma stabilisce che, al verificarsi di una causa di scioglimento (es: capitale azzerato), gli amministratori devono astenersi da nuove operazioni e limitarsi alla gestione conservativa; in caso contrario, sono responsabili per i danni arrecati al patrimonio sociale. La quantificazione di tali danni è stata a lungo problematica: oggi il comma 3 dell’art. 2486 c.c. (inserito dall’art. 378 CCII) introduce criteri presuntivi per il calcolo, in particolare il criterio della differenza dei netti patrimoniali . Si confronta cioè il patrimonio netto alla data in cui si doveva cessare l’attività (ad esempio quando il capitale è azzerato) con il patrimonio netto (o la differenza tra attivo e passivo) alla data di cessazione effettiva della gestione o dell’apertura del fallimento; la diminuzione rappresenta il danno di cui gli amministratori sono chiamati a rispondere . Questo criterio è stato applicato in recenti pronunce: ad esempio, la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15054/2024 ha confermato la condanna di amministratori non esecutivi che non si erano attivati di fronte a perdite rilevanti, calcolando il danno proprio come aggravamento del deficit patrimoniale tra il momento della perdita capitale e il fallimento . La Corte ha ribadito che anche i consiglieri privi di deleghe hanno il dovere di vigilare attivamente e informarsi, e la loro inerzia di fronte a segnali di crisi costituisce colpa grave che li rende responsabili in solido verso società e creditori .
Pertanto, primo consiglio difensivo per gli amministratori: non ignorare mai situazioni di perdita del capitale o insolvenza. Se le perdite superano il capitale, convocare immediatamente i soci (se S.r.l., ai sensi art. 2482-bis/ter c.c.; se S.p.A., art. 2447 c.c.) per prendere provvedimenti. Continuare come nulla fosse espone a gravissime responsabilità. Qualora i soci non ricapitalizzino e non vi siano prospettive concrete di risanamento tramite strumenti come concordato, l’amministratore dovrebbe astenersi da nuove operazioni e avviare la liquidazione o l’istanza di fallimento autoprodotta. Questo è un paracadute per evitare l’accusa di aggravamento del dissesto.
Oltre alla responsabilità verso la società (che in caso di fallimento è esercitata dal curatore ex art. 146 L.Fall., oggi art. 255 CCII), c’è la responsabilità diretta verso i creditori sociali. L’art. 2394 c.c. (applicabile alle Spa e per analogia alle Srl) prevede che se per inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale questo risulta insufficiente a soddisfare i creditori, gli amministratori ne rispondono verso i creditori stessi. In pratica, quando la società fallisce ed emerge un passivo eccedente l’attivo (ossia i creditori non saranno pagati integralmente), i creditori possono agire contro gli amministratori per la parte di danno loro causata dalla mala gestio. In realtà, oggi questa azione del singolo creditore confluisce anch’essa nell’azione esercitata dal curatore (che cumula l’interesse di tutti i creditori). Il fondamento rimane: se gli amministratori hanno con colpa o dolo peggiorato la situazione, rispondono del deficit creato. Ad esempio, se avessero chiesto il concordato un anno prima, i creditori avrebbero avuto un 40%; avendo tirato avanti ancora un anno, prendono 20% in fallimento – quel 20% di differenza può essere chiesto come danno.
Un’altra ipotesi è la violazione di obblighi relativi ad amministrazione e controllo: ad es., gli amministratori che non predispongono il bilancio o occultano perdite, impedendo ai soci di conoscere lo stato, possono aggravare la situazione e incorrere in responsabilità.
Responsabilità dei soci e di terzi: I soci di società di capitali in genere godono di responsabilità limitata, ma ci sono eccezioni. Ad esempio, i soci amministratori di fatto (chi, pur senza carica formale, esercita il controllo di gestione) possono essere ritenuti responsabili al pari degli amministratori ufficiali. Oppure i direttori generali nominati in alcune Spa possono rispondere se la crisi è frutto di loro atti gestionali errati. I sindaci e revisori rispondono se non hanno vigilato e segnalato per tempo irregolarità gravi che hanno favorito il dissesto (art. 2407 c.c.). Una pronuncia recente ha per esempio condannato sindaci e società di revisione per non aver evidenziato tempestivamente la crisi di un’impresa poi fallita, contribuendo così a ritardare gli interventi dovuti.
In caso di procedure concorsuali, il curatore/fallimento può promuovere azioni di responsabilità sia verso amministratori che eventuali soci di controllo o componenti degli organi di controllo, chiedendo risarcimenti. Tali cause spesso mirano a recuperare risorse aggiuntive per la massa dei creditori. Va notato che il CCII ha introdotto incentivi alla definizione transattiva di queste azioni: un amministratore potrebbe trovare conveniente trattare un accordo con il curatore (pagare una somma a chiusura della vertenza) per evitare condanne peggiori. Anche questa è una forma di “difesa” in senso lato: se parte un’azione di responsabilità, valutare se ci sono margini per un accordo (il CCII incoraggia tali accordi prevedendo ad esempio che l’assicurazione dei D&O possa pagare direttamente al fallimento per chiudere).
Attenzione ai reati fallimentari: Dal punto di vista penale, gli amministratori di un’azienda che finisce in fallimento devono considerare il rischio di incriminazione per reati di bancarotta. I reati fallimentari scattano dopo la dichiarazione di liquidazione giudiziale (fallimento) e colpiscono gli amministratori (o liquidatori) che prima del fallimento hanno compiuto atti illeciti come: – Bancarotta fraudolenta patrimoniale: aver distratto o occultato beni della società, averli dissipati, o aver esposto passività insussistenti, il tutto con dolo di recare pregiudizio ai creditori. – Bancarotta fraudolenta documentale: aver tenuto i libri e le scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento d’affari, con intenzione fraudolenta. – Bancarotta preferenziale: aver pagato alcuni creditori a scapito di altri in stato di insolvenza (favorendo volutamente taluni prima del fallimento).
Vi sono poi le forme di bancarotta semplice (meno gravi, colpose): ad esempio aver aggravato il dissesto con spese personali eccessive, aver omesso di chiedere il fallimento tempestivamente, ecc.
È evidente come la gestione della fase di crisi incida anche su questi profili: se l’amministratore segue percorsi legali (concordato, accordi omologati, piano attestato), molti atti altrimenti rischiosi diventano leciti e protetti. Per esempio, se l’azienda in crisi paga un fornitore preferendolo ad altri, questo di solito integrerebbe bancarotta preferenziale; ma se quel pagamento è eseguito come parte di un piano attestato di risanamento esonerato, l’amministratore non è punibile . Allo stesso modo, se in concordato autorizzato dal giudice paga un creditore per continuare una fornitura essenziale, non sarà bancarotta preferenziale. Anche la bancarotta semplice per aver ritardato il fallimento può essere evitata dimostrando di aver tentato una procedura di concordato: la legge infatti esclude la punibilità per l’imprenditore che ha presentato tempestivamente domanda di concordato poi non ammessa, se almeno ha agito in buona fede.
In sintesi, difendersi dai rischi penali significa: – Non compiere operazioni distrattive o occultamenti di beni: tutto deve essere fatto alla luce del sole, preferibilmente col vaglio di un professionista (attenersi a un piano attestato, chiedere autorizzazioni in composizione negoziata per vendere beni, ecc.). – Tenere la contabilità in ordine: mai distruggere o falsificare libri (sarebbe rovinoso in caso di fallimento). – Evitare di fare pagamenti preferenziali “sospetti” fuori dalle tutele legali. Se avete bisogno di pagare qualcuno per salvare l’azienda, inquadrare quel pagamento in un accordo o piano che offra l’esenzione penale. – Non confondere il patrimonio aziendale con quello personale: prelevare fondi sociali per scopi non aziendali durante la crisi è una pessima idea (facilmente bancarotta fraudolenta). – Se capite che il fallimento è inevitabile, non peggiorare la situazione: niente nuove obbligazioni nella speranza disperata che “andrà meglio” (potrebbe essere considerato dolo eventuale), niente vendite sottocosto per favorire amici, niente rientri selettivi.
Un ulteriore fronte sono le responsabilità tributarie personali degli amministratori. Qui vanno distinte: – Le sanzioni amministrative tributarie: in linea generale, per le violazioni fiscali commesse dalla società risponde solo la società col suo patrimonio. Tuttavia, se la società non paga le sanzioni, l’Agenzia Entrate potrebbe iscriverle a ruolo e se la società sparisce, di fatto resta poco da fare (non c’è responsabilità solidale amministrativa diretta degli amministratori, salvo abbiano firmato dichiarazioni infedeli – in alcuni casi l’ADR prova a escutere gli amministratori, ma la giurisprudenza di solito li esclude). – La responsabilità del liquidatore per i debiti tributari ai sensi dell’art. 36 DPR 602/1973: se l’amministratore o liquidatore, nel liquidare la società, paga altri creditori e lascia impagate imposte dovute, può essere chiamato personalmente a pagare il fisco entro il limite di quanto ha distratto ai creditori diversi dal fisco . Questo spesso succede: l’amministratore, sapendo di chiudere, paga magari fornitori e banche e non paga IVA e ritenute; il Fisco può dire: caro liquidatore, hai violato l’obbligo legale di soddisfare proporzionalmente i tributi, ora ce li metti di tasca tua per la parte che hai preferito dare ad altri. La Cassazione ha chiarito che questa è una responsabilità ex lege diretta e non richiede la prova di dolo, basta l’inadempimento dell’obbligo . Quindi, mai distribuire attivi ai soci o pagare creditori di rango inferiore lasciando a secco Erario/INPS in fase di scioglimento, perché si rischia grosso personalmente. – Le responsabilità penali tributarie: come già detto, reati come l’omesso versamento IVA, omesso versamento contributi, emissione di fatture false, ecc., ricadono sul legale rappresentante. Difendersi significa cercare di rientrare nei termini (la legge concede cause di non punibilità se si paga il dovuto entro specifiche scadenze anche dopo la contestazione) oppure sfruttare istituti come il patteggiamento e la recente causa di non punibilità per particolare tenuità o crisi di liquidità non imputabile (introdotta nel 2019 per l’omesso versamento IVA oltre soglia, ma di applicazione molto rigorosa).
Polizze D&O e altri strumenti di tutela personale: Molti amministratori attivano assicurazioni di responsabilità civile verso terzi (cd. Directors & Officers). Queste polizze, se ben congegnate, possono coprire parte dei danni civili da azioni di responsabilità (non coprono mai il penale per ovvie ragioni). In caso di crisi acuta, è opportuno verificare che la polizza sia in vigore e tutte le condizioni rispettate, perché se dovesse arrivare un curatore a far causa, ci sarebbe almeno un paracadute finanziario. Il CCII ha anche innovato prevedendo che eventuali transazioni col curatore possano essere pagate dall’assicurazione.
Conclusione su responsabilità: Dal punto di vista del debitore-amministratore, “difendersi” in una situazione di azienda indebitata significa anche agire proattivamente e correttamente per evitare di essere poi accusato di aver aggravato i debiti. Ciò implica: – Attivare per tempo le procedure di composizione della crisi (la Cassazione evidenzia la necessità di intervento proattivo anche per i consiglieri non delegati ). – Documentare ogni scelta e motivarla nell’interesse della massa dei creditori, non del singolo. – Rispettare rigorosamente le norme civilistiche (2486 c.c. e simili) e quelle tributarie in liquidazione. – Se la situazione è compromessa, considerare di dimettersi e lasciare eventualmente a un liquidatore il compito di gestire la chiusura (questo può limitare la propria esposizione, benché se i danni sono già fatti la responsabilità resta). – Collaborare con l’eventuale curatore fallimentare se la procedura concorsuale liquidatoria si apre: la piena collaborazione può valere come circostanza attenuante in sede penale (e condizione per ottenere l’esdebitazione personale se si tratta di fallimento personale). – Ricordare che, se la società fallisce, l’esdebitazione liberatoria prevista dal CCII (art. 278 e segg.) riguarda solo persone fisiche debitrici fallite, non gli amministratori. L’amministratore non fallisce personalmente (a meno che sia socio illimitatamente responsabile), dunque non gode di esdebitazione, ma può comunque tirare un sospiro di sollievo se non vengono ravvisate colpe gravi nella gestione.
Domande Frequenti (FAQ)
D1: La banca ha revocato i fidi e chiede il rientro immediato del mio scoperto. Cosa posso fare per difendere l’azienda da questa azione?
R1: La revoca degli affidamenti bancari può mettere in ginocchio la liquidità aziendale. Innanzitutto, verifica se la banca ha rispettato il preavviso contrattuale di revoca (spesso 10-15 giorni) e se il suo comportamento può essere negoziato. Puoi contattare subito la banca chiedendo una moratoria o un piano di rientro concordato: presentale un mini-piano finanziario che illustri come intendi ridurre l’esposizione e in quali tempi. Spesso le banche, invece di avviare subito un decreto ingiuntivo, preferiscono trovare un accordo se intravedono buona fede e un piano credibile. Se la banca ha segnalato il credito a sofferenza in Centrale Rischi, prova a ottenere un impegno a declassare il meno possibile (ad esempio trasformando la sofferenza in credito ristrutturato dopo un accordo). Nel frattempo, valuta misure interne: ridurre temporaneamente uscite di cassa non essenziali per accantonare più liquidità possibile da offrire alla banca come acconto. Dal punto di vista legale, se la banca agisce con decreto ingiuntivo, puoi presentare opposizione solo se hai motivi fondati (es. conti errati, interessi usurari, anatocismo, mancato preavviso): queste eccezioni possono rallentare la banca e darti tempo . In parallelo, considera di mettere la banca a tavolo con eventuali altri creditori finanziari in un contesto di accordo di ristrutturazione: se la banca vede che stai intraprendendo un percorso di ristrutturazione più ampio (magari nominando un professionista attestatore o accedendo alla composizione negoziata), potrebbe sospendere le azioni in attesa dell’esito. Ricorda anche che, se la situazione degenera, un ricorso al concordato preventivo o alla composizione negoziata attiverebbe la protezione automatica che impedisce alla banca di proseguire l’azione esecutiva . Quindi, hai strumenti per prenderti il tempo necessario, ma il dialogo tempestivo con la banca è il primo passo.
D2: Ho ricevuto diverse cartelle esattoriali da Agenzia Entrate-Riscossione per IVA e ritenute non pagate. Come posso fermare pignoramenti o ipoteche sui beni aziendali?
R2: Le cartelle esattoriali, se scadute, permettono ad Agenzia Riscossione di attivare misure come fermi amministrativi, ipoteche o pignoramenti senza passare dal giudice. Per bloccare immediatamente queste azioni, la strada più rapida è chiedere una rateizzazione delle cartelle. Presentando istanza di dilazione (sul sito AER o via PEC, a seconda dell’importo), ottieni la sospensione automatica di procedure esecutive già a partire dalla data di richiesta (purché poi il piano sia accolto). Debiti fino a €120.000 (soglia attuale) possono essere rateizzati praticamente in automatico fino a 6 anni (72 rate); per importi maggiori occorre dimostrare una temporanea difficoltà e si può arrivare a 10 anni . Mentre prepari la domanda di dilazione, puoi valutare anche se rientri in qualche misura agevolativa vigente (ad ottobre 2025, ad esempio, verifica se c’è stata proroga della “Definizione agevolata” o se qualche cartella è annullabile perché molto vecchia e sotto €1.000 per via di stralci automatici legislativi). Se temi ipoteche su immobili aziendali, sappi che AER deve preavvisarti con una comunicazione almeno 30 giorni prima: quel preavviso è l’ultimo campanello per rateizzare ed evitare l’ipoteca. Un altro elemento di difesa è controllare la legittimità delle cartelle: se alcune riguardano accertamenti che hai impugnato o che non ti sono stati notificati regolarmente, potresti presentare una istanza di sospensione o fare ricorso (in Commissione Tributaria, ora Corte di Giustizia Tributaria) per contestarle. Ciò sospenderebbe l’esecutività di quelle specifiche cartelle (ma serve base solida per il ricorso). In casi di importi molto elevati che mettono a rischio la sopravvivenza dell’azienda, considera l’inserimento del debito fiscale in un piano di risanamento più ampio: ad esempio, avviare una composizione negoziata e contestualmente proporre all’Agenzia Entrate una transazione fiscale (ora possibile anche fuori dal concordato) . Questo segnala all’ente che vuoi pagare il più possibile e potrebbe indurlo a congelare le azioni esecutive in vista di un accordo. Infine, se un pignoramento è già avviato (es: pignoramento del conto corrente), puoi usare lo strumento della conversione del pignoramento ex art. 495 c.p.c., offrendo al posto dei beni pignorati un piano di pagamento (depositando in tribunale una cauzione iniziale). È complesso ma un avvocato può assisterti per guadagnare tempo. Riassumendo: la rateizzazione amministrativa è la difesa più rapida; in parallelo, muoviti su un tavolo di ristrutturazione globale per eventualmente transare il debito fiscale (pagandone una parte e sterilizzando sanzioni) con gli strumenti giusti.
D3: I fornitori minacciano azioni legali perché abbiamo arretrati da mesi. Possiamo fare qualcosa per evitarle pur non avendo liquidità sufficiente per pagarli tutti subito?
R3: Sì, la parola chiave è comunicazione e negoziazione proattiva. Non aspettare di ricevere decreti ingiuntivi: contatta tu i fornitori, specie quelli più critici, spiegando la situazione di difficoltà e prospettando un piano di rientro. Molti fornitori preferiscono ricevere pagamenti dilazionati piuttosto che affrontare cause lunghe e incerte (rischiando magari di trovare l’azienda fallita e non vedere nulla). Prepara un piano realistico: ad esempio, proponi di pagare il 20% del dovuto subito e il resto in 6 rate mensili, magari riconoscendo un piccolo interesse per il ritardo. Se alcuni fornitori hanno un rapporto continuativo con te (es. forniscono materiali essenziali per il tuo ciclo produttivo), saranno incentivati ad accettare per non perdere il cliente. È utile formalizzare gli accordi con una scrittura transattiva in cui magari il fornitore si impegna a non agire legalmente se rispetti le scadenze concordate. Qualora qualche fornitore fosse restio, potresti offrire garanzie aggiuntive: ad esempio, delle cambiali mensili (che danno al fornitore uno strumento esecutivo se salti una rata) oppure un pegno su magazzino se giuridicamente fattibile, o la firma di un socio come coobbligato. Queste mosse possono rassicurare il fornitore. Un altro strumento: se hai crediti verso clienti solidi, valuta la cessione di crediti (factoring): potresti ottenere liquidità da destinare ai fornitori urgenti. Se il numero di fornitori insoddisfatti è grande e non riesci a trattare individualmente con tutti in tempi brevi, prendi in considerazione un piano attestato di risanamento che includa tutti i principali fornitori: li convochi, presenti un piano comune in cui ciascuno accetta un certo stralcio o dilazione. Se viene attestato da un professionista e aderisce la maggior parte, puoi poi eseguirlo avendo anche protezioni legali (nessuno potrà fare revocatoria sui pagamenti fatti secondo piano, ecc.). Se invece qualche fornitore è già passato alle vie legali e ti ha ingiunto il pagamento, hai 40 giorni per proporre opposizione: in quella sede potrai prendere tempo e magari nel frattempo includere quel credito in un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione, bloccando di fatto la procedura individuale. Sappi infatti che se presenti un concordato preventivo, tutti i decreti ingiuntivi in corso vengono sospesi e confluiscono nella procedura collettiva. In conclusione: gioca d’anticipo. Offri ai fornitori una soluzione migliore di quella che otterrebbero portandoti in tribunale. Molti preferiranno mantenere vivo un cliente e recuperare magari l’80% a rate, piuttosto che spingerlo al fallimento e recuperare forse il 20% dopo anni.
D4: Ho personalmente garantito con fideiussione alcuni debiti bancari della società. Se l’azienda non paga, rischio l’escussione sul mio patrimonio personale. Posso proteggermi in qualche modo in sede di ristrutturazione aziendale?
R4: Questo è un punto dolente: la presenza di garanzie personali (fideiussioni dei soci o degli amministratori) complica le cose, perché il piano di ristrutturazione dell’azienda di per sé non libera il garante salvo accordo specifico con il creditore. Infatti, la banca potrà legalmente rivalersi su di te come garante anche se l’azienda sta trattando un concordato o un accordo. E se la banca aderisce a un concordato accettando una falcidia (es. 50%), in assenza di patto liberatorio, mantiene il diritto di chiedere a te garante il restante 50% . Come difendersi allora? In fase negoziale, devi cercare di coinvolgere la tua posizione di garante nell’accordo. Ad esempio, quando tratti con la banca una ristrutturazione del debito aziendale, metti sul tavolo la questione fideiussione: potresti offrire qualche asset privato (se ne hai la possibilità) in cambio di una liberazione parziale o totale della garanzia. Oppure proporre un pagamento extra alla banca da parte tua per chiudere completamente la tua esposizione (un saldo e stralcio personale). In alcuni casi, i piani di ristrutturazione prevedono che i soci garanti contribuiscano con nuove risorse per pagare i creditori, ottenendo in cambio la liberazione dalla garanzia. Se l’accordo è collettivo, cerca di inserire una clausola espressa che preveda la rinuncia del creditore a escutere le fideiussioni a fronte dell’adempimento del piano da parte della debitrice principale. Dal lato giudiziale, sappi che il concordato preventivo della società non impedisce alla banca di agire contro il fideiussore (il divieto di azioni esecutive riguarda il patrimonio del debitore, non dei terzi garanti). Quindi durante il concordato la banca potrebbe – teoricamente – escuterti. In pratica, molte banche attendono l’esito del concordato prima di agire su garanti, ma non è garantito. Puoi valutare strumenti di difesa come: se l’esposizione è rilevante, anche tu come persona fisica (se ne hai i requisiti, es. piccolo imprenditore) potresti accedere alle procedure di sovraindebitamento per ristrutturare i debiti personali, includendo quella fideiussione. Ad esempio, oggi esiste il “concordato minore” o l’“accordo del debitore” per le persone sovraindebitate: tu, come fideiussore escusso, potresti proporre ai creditori personali (tra cui la banca) un pagamento parziale. Questo però scatta se l’escussione è già avvenuta e non riesci a pagare. In ottica preventiva, la miglior strategia è negoziare contestualmente la posizione azienda-creditore e garante-creditore: magari offrendo alla banca di trasformare la linea garantita in una linea a rimborso più lungo, con l’impegno tuo di coprire eventuali rate scoperte (un approccio più morbido). Se la banca resta inflessibile, tieni presente un aspetto: se l’azienda va in liquidazione giudiziale (fallimento), e la banca escute te, tu avrai diritto di insinuarti al passivo come creditore di regresso, e potresti chiedere l’esdebitazione (se persona fisica non imprenditore). Ma questo è l’ultimo stadio, meglio evitarlo. In sintesi: purtroppo la fideiussione è uno strumento molto forte in mano alla banca; la tua difesa sta nel far sì che la banca abbia convenienza a rinegoziare il debito primario senza rivalersi su di te. Ciò può includere il tuo impegno volontario a mettere nuove risorse (es. ipotecare un tuo immobile a garanzia aggiuntiva per ottenere un allungamento del piano), oppure trovare un accordo di liberazione pagando una percentuale. Ogni banca è un caso a sé: conviene farsi assistere da un legale per esplorare margini di trattativa sul punto specifico delle garanzie personali.
D5: La mia società è di piccole dimensioni, posso comunque accedere a queste procedure (concordato, accordi) o ce ne sono di specifiche?
R5: Sì, il Codice della Crisi ha previsto procedure semi-semplificate anche per le piccole imprese sotto-soglia (quelle che non superano i parametri di fallibilità: attivo 300k, ricavi 200k, debiti 500k). In passato queste imprese non fallivano e usavano la legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012). Oggi quelle procedure sono confluite in: – il concordato minore (artt. 74-83 CCII), simile al concordato preventivo ma con alcune facilitazioni e pensato per debitori non fallibili o piccoli. Ad esempio, non ha la soglia fissa del 20% per i chirografari (può offrire anche meno, ma comunque deve garantire che sia meglio della liquidazione), e può essere utilizzato anche dalle persone fisiche imprenditori minori. – L’accordo di ristrutturazione dei debiti del consumatore o dell’imprenditore minore, che è l’equivalente della vecchia procedura di composizione del sovraindebitamento. Si tratta di presentare un accordo ai creditori che rappresentino il 60% dei crediti, con omologa del tribunale, anche qui con alcune tutele per i dissenzienti (specie creditori fiscali). – E per chi proprio è senza alcuna capacità di soddisfare i creditori, c’è l’esdebitazione del sovraindebitato incapiente (art. 283 CCII), una specie di “fresh start” dove il debitore persona fisica ottiene la cancellazione dei debiti residui dimostrando di non avere beni né redditi aggredibili e di aver tenuto un comportamento onesto.
Nel tuo caso, se la società è di piccole dimensioni ma è comunque una società di capitali, può accedere al concordato preventivo ordinario se supera i parametri, altrimenti al concordato minore se è sotto. La differenza pratica non è enorme (il concordato minore semplifica un po’ la fase di voto e ammette percentuali anche inferiori al 20% se giustificate). La composizione negoziata, invece, è accessibile a tutti gli imprenditori commerciali iscritti in Camera di Commercio, indipendentemente da dimensioni (anche le micro imprese vi possono accedere, e anzi è pensata per aiutarle prima che sia tardi) . Anche le imprese agricole, prima escluse da fallimento, ora possono accedere alla composizione negoziata. Quindi, la risposta è: sì, puoi usare questi strumenti anche se sei piccolo. Se però la tua realtà è davvero minima (tipo ditta individuale artigiana con due dipendenti), forse è più indicato un percorso di accordo di ristrutturazione dei debiti (sul modello sovraindebitamento) o la composizione negoziata stessa, piuttosto che un concordato che ha costi fissi elevati. Valuta con un esperto in crisi d’impresa la tua dimensione e la procedura calibrata.
D6: Se la mia azienda non riesce a evitare il fallimento e viene aperta la liquidazione giudiziale, i debiti residui verso i creditori rimangono? Posso essere perseguitato per sempre come amministratore o socio?
R6: Quando viene aperta la liquidazione giudiziale (ex fallimento) di una società di capitali, la società viene spossessata dei beni, che saranno liquidati per pagare i creditori secondo l’ordine di privilegi. Alla fine della procedura, la società viene cancellata dal registro delle imprese e cessa di esistere. I debiti non soddisfatti in sede fallimentare restano inesigibili per il semplice fatto che il soggetto debitore (la società) non esiste più. Dunque, non ci sarà “per sempre” qualcuno da perseguire per quei debiti: i creditori perdono la parte non pagata. Attenzione però a due cose: 1. Se qualche socio aveva responsabilità illimitata (tipico delle società di persone come SNC o SAS accomandatari), allora quel socio risponde coi propri beni anche dopo la chiusura per le eventuali eccedenze di debito. Nel caso di SRL e SPA, i soci non hanno questa responsabilità, a meno che non abbiano garanzie personali come fideiussioni (già trattate sopra). Quindi per i soci di SRL/SPA, di base, finisce con la società. 2. Gli amministratori possono essere perseguiti non per il debito in sé, ma per le responsabilità di cui abbiamo parlato: il curatore può agire contro di loro per danni, oppure in sede penale possono subire condanne. Ma se parliamo strettamente dei “debiti verso fornitori, banche, fisco”, no: dopo la chiusura del fallimento quei creditori non potranno venire dagli amministratori a chiedere soldi, a meno che l’amministratore non fosse garante personale o abbia commesso un illecito specifico contro quel creditore (es. truffa). Per le persone fisiche fallite (es. imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile), esiste l’istituto dell’esdebitazione: a certe condizioni (aver cooperato, non aver frodato, etc.), dopo la chiusura della procedura il tribunale può dichiarare esdebitato il fallito, liberandolo dai debiti residui non soddisfatti. Questo è pensato per dare una seconda chance. Nel caso delle società di capitali, l’esdebitazione in sé non serve perché la società si estingue; tuttavia, va segnalato che la recente riforma fiscale (DLgs 83/2022) ha chiarito che le eventuali sopravvenienze attive derivanti ai soci dal fatto che i debiti sociali non vengono più richiesti non sono tassate. Mi spiego: se tu eri socio e magari avevi prestato soldi alla società, dopo il fallimento quel tuo credito è perso e i debiti verso terzi sono cancellati – nessuno ti imputerà redditi tassabili per questo. In pratica, dal punto di vista dei creditori rimasti insoddisfatti nel fallimento, essi non possono più agire né contro la società (che non c’è più) né contro amministratori o soci (salvo, ripeto, garanti e casi speciali). Quindi i debiti rimasti diventano irrecuperabili per i creditori e tu non ne sei personalmente debitore (a meno di garanzie personali). Tieni presente però che se in futuro tu, come ex amministratore, avessi un’altra azienda o fossi in un ruolo, alcuni creditori potrebbero guardarti con sospetto o chiedere pagamenti anticipati – ma legalmente non possono trascinare i vecchi debiti. In sintesi: se l’azienda finisce in liquidazione giudiziale, i creditori sociali non potranno perseguitarti a vita per quei debiti aziendali, salvo tu abbia firmato obblighi personali. Il “fallimento” chiude il capitolo dal punto di vista delle pretese patrimoniali (ma apre quello delle eventuali azioni di responsabilità e penali). Per il socio o amministratore onesto, è una magra consolazione, ma almeno non c’è una “ergastolo dei debiti”.
D7: In caso di crisi, è meglio cercare di vendere l’azienda a terzi per salvare il valore, oppure avviare un concordato e poi vendere?
R7: Dipende dalle circostanze, ma la seconda opzione di solito è più sicura giuridicamente se l’azienda è molto indebitata. Mi spiego: se vendi l’azienda (o un ramo) prima di una procedura, devi farlo a condizioni tali che nessun creditore possa lamentarsi di essere stato pregiudicato. Un rischio serio è l’azione revocatoria: se vendi a un prezzo inferiore al giusto o a un soggetto vicino, e poi fallisci entro i 2 anni successivi, il curatore potrebbe chiedere di annullare quella vendita come atto a titolo oneroso pregiudizievole . Anche i creditori individuali potrebbero fare revocatoria ordinaria entro 5 anni se ritengono la vendita lesiva. Invece, se inserisci la cessione all’interno di una procedura concorsuale (concordato, accordo omologato, o almeno piano attestato pubblicato), ottieni protezione: ad esempio, nel concordato puoi chiedere al tribunale di autorizzare la vendita d’azienda senza incognite e i proventi andranno ai creditori secondo il piano. In un piano attestato/accordo omologato, la vendita effettuata in esecuzione del piano è esente da revocatoria e il compratore dorme tranquillo sapendo che non gliela faranno annullare. Inoltre, vendere attraverso concordato permette di trasferire l’azienda “ripulita” dai debiti”: ad esempio col concordato con assuntore, il terzo compra l’azienda e in cambio si accolla di pagare la percentuale ai creditori concordatari . Il compratore così non prende pendenze occulte (perché i debiti restano nella procedura e vengono falcidiati). Se invece vendi fuori da procedura, il compratore deve preoccuparsi di possibili debiti occulti (specie col Fisco o lavoro) che potrebbero attaccare lui (ad esempio, nella vendita d’azienda extra procedura, l’art. 2560 c.c. dice che l’acquirente risponde dei debiti risultanti dai libri contabili: e il DPR 602/73 impone al compratore di un’azienda di rispondere di alcune imposte del triennio precedente, salvo liberatoria – ma come notato, quest’ultima responsabilità è stata esclusa se la vendita avviene in composizione negoziata dal 2024 ). Dunque, vendere dentro una procedura concorsuale o negoziale ti consente di massimizzare il prezzo (il compratore sarà disposto a pagare di più perché prende asset senza debiti né rischi futuri) e di farlo in modo sicuro per te (nessuno ti accuserà di aver svenduto per favorire qualcuno se tutto è approvato dai creditori o attestato da un esperto). Se però hai un compratore serio subito e la tua azienda è ancora in bonis (solo con qualche difficoltà), potresti farlo prima: magari tramite composizione negoziata, concordando con i creditori come distribuire il ricavato. Riassumendo: la vendita dell’azienda “in crisi” è un’operazione delicata. La soluzione migliore è integrarla in un piano di risanamento omologato o concordato, così da avere ok dei creditori e protezioni legali (niente revocatoria, niente responsabilità per l’acquirente sui tuoi debiti tributari ecc.). Se vendi al di fuori, assicurati di farlo a valori di mercato e di pagare con quei proventi il più possibile i creditori, altrimenti i guai sono dietro l’angolo.
D8: Quanto costa e quanto tempo ci vuole per fare un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione?
R8: I costi e i tempi variano a seconda della complessità, ma possiamo dare degli ordini di grandezza. Un concordato preventivo medio può richiedere circa 6 mesi per arrivare al voto dei creditori e altri 2-3 per l’omologazione, quindi diciamo 8-10 mesi complessivi (se non ci sono intoppi né opposizioni pesanti). La fase di esecuzione poi può durare anni, ma dal punto di vista “difensivo”, già all’ammissione (dopo 1-2 mesi dal deposito) hai la protezione. I costi includono: compenso per il professionista attestatore (può essere qualche decina di migliaia di euro a seconda della dimensione azienda), spese legali per predisporre ricorso e documenti, il fondo spese procedura da versare al tribunale (di solito qualche migliaio di euro anticipati per atti di procedura), e poi i compensi del commissario e del liquidatore (stabiliti a fine procedura in percentuale sull’attivo e passivo, possono essere anche significativi, ma si pagano dentro la procedura). In un concordato piccolo, potresti comunque mettere in budget almeno €20-30k di costi tra professionisti e spese vive. In uno grande, si sale proporzionalmente. Un accordo di ristrutturazione può essere più veloce se i creditori sono già allineati: potresti depositarlo e ottenere omologa in 4-5 mesi magari. I costi: serve sempre l’attestatore (come per il concordato) e legali per negoziare con i creditori e per l’omologa. Non hai il costo del commissario perché non c’è, ma pagherai i tuoi consulenti negoziali. Diciamo che un accordo potrebbe costare un po’ meno del concordato, ma non di tantissimo, perché comunque devi predisporre un piano e tutta la trafila di omologa (pur se semplificata). La composizione negoziata, invece, per 6 mesi di lavoro dell’esperto ha un costo molto minore: l’esperto è pagato secondo parametri ministeriali abbastanza contenuti (esempio: qualche centinaio di euro per ogni incontro ufficiale, e una percentuale su valore se la composizione riesce). Spesso questi costi in prima fase sono inferiori ai 10k. Poi hai i costi dei tuoi consulenti, ma l’assenza del tribunale nella maggior parte delle fasi riduce oneri. Quindi, la composizione è la più economica e rapida (può concludersi anche in 3 mesi se trovi presto l’accordo). Va comunque visto come investimento: il costo di una procedura concorsuale ben fatta si ripaga con i benefici (taglio dei debiti, continuità azienda, ecc.). Se l’alternativa è fallire e perdere tutto, spendere anche 50k tra vari professionisti per salvare l’impresa è giustificato. Di certo, però, un micro-imprenditore con 100k di debiti difficilmente sceglierà un concordato perché i costi fissi inciderebbero troppo: opterà per la composizione negoziata o le procedure minori dove i costi sono proporzionati.
D9: Ho sentito parlare di “piani di risanamento soggetti a omologazione” e di “ristrutturazione preventiva europea”. Sono diversi dai piani attestati e accordi di cui si è parlato?
R9: Questi termini si riferiscono soprattutto al recepimento della normativa europea (Direttiva UE 2019/1023). L’Italia con D.Lgs. 83/2022 ha introdotto alcune sfumature nuove: in pratica, al di là dei nomi, le categorie rimangono quelle. Il piano di risanamento soggetto a omologazione è concettualmente vicino a un accordo di ristrutturazione o a un concordato “semplificato” – è un meccanismo che consente, quando tutti i creditori sono d’accordo (o non si oppongono), di omologare un piano senza passare per il voto, dandogli efficacia erga omnes. In realtà, il nostro CCII consente già qualcosa di simile con l’accordo agevolato al 30% (se nessuno si oppone e li paghi tutti, l’omologa è quasi automatica) . L’UE voleva strumenti più flessibili, ma l’Italia li ha integrati piuttosto nelle varianti di accordo di ristrutturazione. La ristrutturazione preventiva europea è un concetto generale che indica procedure come il concordato in continuità: l’idea europea è di privilegiare soluzioni prima dell’insolvenza conclamata. L’Italia ritiene di averlo fatto con la composizione negoziata e gli accordi. Quindi, senza confondersi: – Il piano attestato resta fuori dal tribunale, solo con attestatore. – Gli accordi di ristrutturazione hanno diverse “taglie” (normale 60%, agevolato 30%, esteso 75% finanziari). – Il concordato preventivo è la procedura di voto. – Il concordato semplificato post-composizione è quell’eccezione senza voto per liquidare. Se senti parlare di piano di ristrutturazione omologato (PRO) o altre sigle, spesso è terminologia proposta ma che nei fatti corrisponde a uno di questi. Ad esempio, c’è il piano consortile di gruppo (per gruppi d’impresa) che è un concordato di gruppo in pratica. Insomma, terminologie nuove a volte confondono, ma i fondamentali restano quelli descritti.
Tabelle riepilogative
Di seguito proponiamo alcune tabelle riassuntive per confrontare rapidamente gli strumenti e le situazioni trattate nella guida.
Tabella 1: Confronto tra principali strumenti di gestione della crisi d’impresa
| Caratteristica | Piano Attestato di Risanamento | Accordo di Ristrutturazione | Concordato Preventivo | Composizione Negoziata |
|---|---|---|---|---|
| Norma di riferimento (CCII) | Art. 56 (piano attestato) | Art. 57-64 (accordi) | Art. 84-120 (concordato) | Art. 17-25 (composizione negoz.) |
| Natura della procedura | Stragiudiziale privata (atto unilaterale + accordi bilaterali) | Ibrida: negoziale con omologa tribunale | Concorsuale giudiziale (collettiva) | Stragiudiziale assistita (volontaria) |
| Soglia di adesione creditori | Nessuna soglia legale; serve consenso di fatto dei principali creditori | 60% dei crediti (ordinario) <br>30% se “agevolato” (condizioni) | Maggioranza > 50% crediti votanti (classi se previste) | Nessuna soglia; partecipazione volontaria dei creditori |
| Organi coinvolti | Attestatore indipendente (scelto dal debitore) ; nessun organo pubblico | Attestatore indip. (per relazione piano) <br> Tribunale per omologa; nessun commissario | Tribunale, Commissario Giudiziale, (eventuale) Liquidatore Giud. post-omologa | Esperto indipendente nominato da Commissione CCIAA ; Tribunale solo se misure protettive/autorizzazioni |
| Protezione da azioni dei creditori | No stay automatico (creditori possono agire, salvo accordi individuali). <br>Possibile pubblicazione piano nel Registro imprese (facoltativa, per data certa) | Misure protettive disponibili su richiesta ex art. 54 CCII (blocco azioni esecutive dopo ricorso in tribunale) | Automatic stay dalla data ricorso (se in bianco) o dal decreto di ammissione: sospese azioni esecutive e istanze di fallimento | Misure protettive opzionali su richiesta all’avvio (blocco azioni esecutive max 120+120gg) . Senza richiesta, procedura riservata e nessun stay. |
| Vincolatività per creditori dissenzienti | Non vincola i non aderenti (devono essere pagati alle scadenze originarie) | Non aderenti: devono essere pagati integrali entro 120 gg da scadenza/or omologa, salvo cram-down fiscale . <br>Possibile estensione accordo a dissenzienti in categorie omogenee (75% adesione) . | Vincola tutti i creditori anteriori all’omologa (dissentienti compresi), secondo quanto previsto nel piano omologato. <br> (Eccezione: fideiussori e coobbligati del debitore non sono liberati salvo previsione). | Vincola solo chi sottoscrive accordi durante la procedura. <br>Se fallisce, nessun effetto su dissenzienti. <br>Se sfocia in concordato/accordo, allora subentrano quelle regole. |
| Esenzioni da revocatoria | Sì: atti, pagamenti e garanzie in esecuzione piano non revocabili (né fall. né ord.) ; salvo dolo noto . | Sì: atti, pagamenti, garanzie eseguiti in esecuzione dell’accordo omologato non revocabili (art. 166 CCII li equipara ai piani) . <br>Durante trattative protette, atti autorizzati dal giudice non revocabili. | Sì: pagamenti e atti autorizzati dal tribunale in concordato sono prededucibili e non revocabili; inoltre l’omologa “sanatoria” preclude revocatorie salvo eccezioni di legge. | No revocatoria fallimentare di per sé perché non è procedura concorsuale. Tuttavia, atti autorizzati dal giudice (es. finanziamenti prededucibili, vendite beni) sono protetti. <br>Vendita azienda in composizione negoziata: acquirente esente da responsabilità debiti tributari cedente . |
| Esenzioni penali (bancarotta) | Sì: esenzione da bancarotta semplice e preferenziale per atti compiuti secondo il piano . | Sì: equiparato a piani – atti esonerati da banca. preferenziale e semplice . | Sì: atti compiuti nel concordato con autorizzazione o previsti dal piano omologato non configurano bancarotta preferenziale; la prosecuzione attività autorizzata non è bancarotta semplice. | Non formalizzata in legge, ma buona fede negoziale dovrebbe escludere dolo. <br>Se si passa a concordato semplificato, analoghe esenzioni sui pagamenti ai creditori come nel concordato. (In generale, ancora da testare in giurisprudenza). |
| Durata tipica | N/A – non c’è durata fissa: dipende da trattative. <br>Può essere preparato in 1-2 mesi e attuato in 6-12 mesi. | Variabile: trattative informali (mesi); dal deposito accordo all’omologa ~4-6 mesi. <br>Durata misure protettive: iniziali max 4 mesi + proroga fino 12 mesi . | Procedura dall’ammissione all’omologa ~8-12 mesi. <br>Possibile pre-concordato (“in bianco”) che dà +3-4 mesi per presentare piano. <br>Esecuzione concordato: dipende da piano (può durare anni per pagamenti). | Durata massima 6 mesi dall’accettazione esperto , prorogabile fino a 12 mesi in casi particolari . <br>Puo’ chiudersi prima se si raggiunge accordo o se esperto constata impossibilità. |
| Vantaggi principali per debitore | Riservatezza (nessun tribunale), mantiene controllo totale gestione . <br>Protezione atti da revocatoria e azioni future . <br>Nessuna pubblicità negativa salvo registro imprese. | Meno pubblicità e formalità di un concordato; scegli quali creditori coinvolgere. <br>Possibilità di stay generale temporaneo. <br>Omologa rapida se non ci sono opposizioni. <br>Falcidiabile il Fisco con cram-down . | Blocco completo delle azioni esecutive dei creditori durante la procedura. <br>Cram-down anche sui dissenzienti (tutti vincolati a esito). <br>Possibilità di continuare attività (in continuità) con protezione. <br>Taglio dei debiti strutturale e definitiva esdebitazione della società a fine procedura. | Confidenzialità (se no misure protettive). <br>Flessibilità massima nelle soluzioni (nessun vincolo di percentuali o classi fino a che non passi a concorsuale). <br>Coinvolgimento di un esperto che può trovare soluzioni creative. <br>Costi contenuti e rapida attivazione. <br>Possibilità di accesso a finanziamenti prededucibili e atti urgenti autorizzati. |
| Svantaggi / Limiti | Non vincola i creditori dissenzienti (rischio di “free riders”). <br>Nessun blocco automatico di azioni legali pendenti. <br>Richiede alta fiducia tra parti. <br>Se usato in insolvenza grave può essere considerato abuso . | Necessita soglia 60% consensi (non banale da ottenere). <br>Creditori non aderenti vanno comunque soddisfatti per intero (richiede risorse). <br>Se un creditore importante si oppone, può fare opposizione in omologa e rallentare. <br>Non c’è voto, ma l’omologa può saltare se requisiti non rispettati. | Procedura complessa e costosa. <br>Pubblicità negativa (Registro imprese, comunicazioni a clienti-fornitori). <br>Richiede maggioranza voti creditori: rischio di bocciatura. <br>Tempi medio-lunghi per omologa. <br>Rigidi vincoli di legge (es. 20% minimo ai chirografi in liquidatorio) . <br>Se non omologato, probabile fallimento immediato. | Non impone accordi: possibile fallimento delle trattative senza esito vincolante. <br>Se situazione precipita, serve convertire in concordato per proteggersi del tutto. <br>Misure protettive durano max 240 giorni, poi creditor può agire se non c’è accordo. <br>Richiede notevole abilità negoziale dell’imprenditore e esperto. |
Tabella 2: Tipologie di debito e possibili soluzioni di “difesa”
| Categoria di debito | Rischi principali | Strumenti di tutela e difesa |
|---|---|---|
| Banche (mutui, fidi) | – Revoca fidi e rientro immediato<br>- Azioni legali (decreto ingiuntivo, pignoramento beni/ipoteche)<br>- Escussione di fideiussioni personali<br>- Segnalazione Centrale Rischi (impedisce nuovo credito) | – Moratoria/Stundstill: negoziare standstill sugli affidamenti (ABI accordi, o accordo ad hoc con banche) <br>- Rinegoziazione mutui: chiedere allungamento piani di ammortamento, periodi di pre-ammortamento<br>- Verifica contrattuale: controllare se tassi usura o anatocismo per opposizione legale (leva per trattativa) <br>- Garanzie aggiuntive: offrire collateral (pegno, ipoteca) su beni non dati per ottenere tempo <br>- Procedura concorsuale: presentazione concordato preventivo o accordo ex art.57 blocca azioni esecutive e congela rate scadute <br>- Composizione negoziata: coinvolgere banche con supervisione esperto, possibili nuovi finanziamenti prededucibili autorizzati (per rassicurare banche a continuare) <br>- Transazione su fideiussioni: se socio garante, includere liberatoria garanzie nelle trattative (magari con contributo personale) |
| Fornitori commerciali | – Azioni monitorie (ingiunzioni) e pignoramenti su conto o merci<br>- Interruzione forniture essenziali (rischio blocco attività)<br>- Segnalazione a società recupero crediti (pressione) | – Accordi a saldo e stralcio: proporre pagamento parziale immediato con rinuncia saldo (quietanza a saldo) <br>- Piani di rientro rateali: concordare scadenziario con riconoscimento di debito e eventuale garanzia (es. cambiali) per impegno pagamento<br>- Coinvolgimento nel piano: inserire i fornitori chiave in un piano attestato o accordo, offrendo ad es. percentuale su credito in x mesi (attestazione rende credibile) <br>- Pagamenti protetti: se in concordato, pagare fornitori strategici può essere autorizzato dal tribunale come atto in continuità (li protegge da revocatoria) <br>- DURC negoziale: se fornitori sono subappaltatori pubblici che temono per il loro DURC a causa tua, assicurare che stai definendo transazione fiscale per riavere DURC regolare (li rassicura sulla prosecuzione contratti) <br>- Composizione negoziata: esperto può far capire ai fornitori che agire individualmente porta meno (pressione “morale” a cooperare) |
| Erario (Fisco) | – Cartelle esattoriali -> fermi amministrativi, ipoteche, pignoramenti senza giudice<br>- Aggio e sanzioni che gonfiano importo<br>- Rischio reati penali (omesso versamento IVA > soglia, ecc.)<br>- Niente DURC → esclusione gare/appalti<br>- Blocco compensazioni crediti d’imposta (se ruoli affidati > soglie) | – Rateizzazione ordinaria: fino 72 rate (6 anni) per debiti fino a soglia (automatico), chiedibile online ; pagamento prima rata sospende azioni esecutive <br>- Rateizzazione straordinaria: 120 rate (10 anni) se grave difficoltà, con piano da approvare da Agenzia <br>- Rottamazioni/Stralci: aderire a eventuali definizioni agevolate di legge (condono sanzioni, etc.) se aperte <br>- Sospensione legale: impugnare cartelle/avvisi in Commissione Tributaria se vi sono motivi (sospensione giudiziale) <br>- Transazione fiscale: proporre in concordato/accordo il pagamento parziale/dilazionato di tributi, incluse IVA e ritenute ; se Fisco rifiuta ma proposta offre >= liquidazione, tribunale può omologare comunque (cram-down) <br>- Composizione negoziata con Fisco: dal 2024 possibile includere proposta di transazione anche fuori da concordato ; oppure chiedere intanto sospensione cartelle ex art. 19 DL 118/2021 durante negoziazione <br>- Certificati fiscali: ottenere certificato carichi pendenti e discuterne con Agenzia nell’ambito di piano, mostrando perché conviene loro accettare transazione <br>- Protezione penale: pagando almeno in parte entro certi termini o avviando piano concordatario, benefici su omesso versamento (cause non punibilità, attenuanti) |
| INPS e previdenza | – Cartelle INPS -> azioni esecutive come sopra (AER)<br>- Mancato DURC → sospensione lavori (edilizia ecc.)<br>- Rischio reato omesso versamento ritenute > €10k<br>- Sanzioni civili (interessi) elevate su ritardi contributivi | – Dilazione contributiva: similmente al Fisco, chiedere rateazione a INPS (o aderire a rottamazioni se equiparate) <br>- Transazione contributiva: inserire debiti INPS in transazione fiscale nel concordato/accordo (dopo L.232/2016 è possibile) ; convincere INPS mostrando convenienza rispetto fallimento <br>- DURC provvisorio: durante concordato con continuità, si ottiene DURC regolare provvisorio (DL 69/2013) se si rispettano pagamenti correnti e piano per pregressi; usare questo per non perdere appalti <br>- Sgravio sanzioni civili: in transazione, chiedere almeno l’abbattimento delle sanzioni (che spesso INPS concede in parte) <br>- Prevenire reato: se superi soglia €10k per ritenute non versate, paga almeno parzialmente entro 3 mesi da diffida (soglia ex art. 2 comma 1-bis D.L. 463/83) o documenta crisi per esimente (difesa penale) <br>- Fondo di Garanzia INPS: se prospetti concordato liquidatorio, segnala ai dipendenti che il Fondo garantirà TFR e ultime 3 mensilità – potenziale leva per ottenere loro cooperazione e non avere istanze fallimento da loro (che INPS spesso presenta subentrando nei crediti) |
| Dipendenti (retribuzioni, TFR) | – Cause di lavoro (ingiunzioni rapide) con pignoramenti su c/c aziendale<br>- Scioperi o dimissioni in massa se non pagati (blocco operatività)<br>- Denunce ITL per mancato pagamento retribuzioni (illecito amministrativo e sospensione attività in casi gravi)<br>- Degrado clima interno e calo produttività | – Cassa integrazione: attivare ammortizzatori sociali per alleggerire temporaneamente costo del personale, in attesa di ripresa o accordo (es. CIGO, CIGS per crisi) <br>- Accordi transattivi individuali: proporre ai dipendenti piani di pagamento dilazionato di arretrati, magari offrendo qualcosa in più (es: bonus futuri) per chi accetta di restare <br>- Coinvolgimento sindacale: condividere piano di risanamento con sindacati, ottenendo patti di stabilità in cambio di garanzie (es: se concordato, prevedere che dipendenti riceveranno almeno X% loro crediti subito grazie a Fondo di Garanzia) <br>- Priorità legale: in concordato, stipendi e TFR hanno privilegio alto; far capire ai dipendenti che nel piano saranno comunque soddisfatti meglio che in fallimento (dove interverrebbe il Fondo, ma con tetti). Questo li dissuade dall’azioni precipitose. <br>- Fondo di Garanzia INPS: informare che, se anche l’azienda non paga tutto, tramite procedura concorsuale potranno ottenere TFR e stipendi arretrati dal Fondo in tempi relativamente brevi. <br>- Comunicazione: mantenere trasparenza con i lavoratori su sforzi per trovare investitore o seguire composizione negoziata; evitare sorpresa di scoprire da terzi situazione (riduce conflittualità e vertenze) |
| Soci finanziatori | – Postergazione dei loro crediti (non possono esigerli prima degli altri) ex art. 2467 c.c.<br>- Possibile azione restituzione somme se ricevute in tempi sospetti (revocatoria pagamenti a soci)<br>- Conflitti di interesse nelle decisioni (soci vogliono indietro soldi vs interesse creditori) | – Conversione debito in capitale: soci possono rinunciare ai crediti trasformandoli in capitale sociale (forte segnale a creditori e migliora patrimonio netto) <br>- Garanzie subordinate: se soci chiedono garanzie, ricordare loro che sarebbero inefficaci verso creditori chirografari; suggerire piuttosto di attendere rilancio. <br>- Transazione interna: in un piano concordatario, prevedere che i soci vengano pagati solo dopo integralmente soddisfatti tutti gli altri (di solito è obbligatorio per legge, ma ribadire impegno) -> tranquillizza creditori su allineamento interessi. <br>- Liquidazione soci: se azienda prosegue in altra forma, valutare eventuale liquidazione quote soci uscenti solo dopo stabilizzazione (per evitare esborsi che aggravano situazione; legalmente, durante crisi la liquidazione della quota di un socio receduto è postergata ai creditori sociali). |
Tabella 3: Simulazione di esito per diverse strategie in uno scenario semplificato
Immaginiamo una società Alfa S.r.l. (settore metallurgico) con situazione debitoria: €500.000 verso banche (ipotecari e chirografari), €300.000 verso fornitori, €200.000 debiti fiscali (IVA, ritenute) e €50.000 verso dipendenti (arretrati). Patrimonio netto negativo (-€100.000) e immobilizzazioni per €400.000. Si valutano tre percorsi possibili e il loro impatto:
| Scenario | Azione intrapresa | Esito per l’azienda e i creditori (stime) |
|---|---|---|
| 1. Nessuna azione (inerzia) | L’azienda continua l’attività sperando in ripresa, ma non attiva procedure né accordi. I creditori agiscono individualmente (fornitori ottengono ingiunzioni, banca revoca fido e pignora magazzino, AER iscrive ipoteca). Alla fine uno dei creditori ottiene sentenza di fallimento. | – Fallimento dichiarato dal tribunale su istanza di un creditore.<br>- Curatore vende macchinari (€300k) e incassa crediti residui (€50k); realizzo totale €350k.<br>- Distribuzione: Banca ipotecaria prende €300k (ipoteca su capannone venduto), rimangono €50k per privilegiati: dipendenti (€50k) soddisfatti in parte (coperti da Fondo per saldo); Fisco privilegio per debiti IVA/ritenute rimasti in parte scoperti (recupera magari €0 dai €200k, tranne quota da realizzo residuo se qualche privilegio inferiore); fornitori (chirografari) ottengono zero.<br>- Amministratori: citati dal curatore per aver aggravato il dissesto (azione responsabilità) e rischiano condanna a risarcire ~€100k ; inoltre indagati per bancarotta semplice/preferenziale (hanno pagato qualcuno prima?).<br>- Post-fallimento: azienda cessata, dipendenti licenziati, creditori insoddisfatti avviano eventuali azioni su garanti. |
| 2. Concordato in continuità | L’azienda deposita concordato preventivo prima che i creditori agiscano.<br>Proposta: continuità aziendale, nuovi investitori soci immettono €100k fresh money, pagamento 100% dipendenti e 40% fornitori in 2 anni, pagamento 100% debiti IVA-ritenute e 30% altri debiti fiscali in 4 anni, banche: ipotecaria 80% (garanzia) e chirografaria 40%. Attestatore conferma che creditori prendono più del liquidation value (stimato 20%).<br>Fisco e INPS aderiscono alla transazione (accettano 30% dilazionato perché >0% stimato in fallimento) . Concordato approvato da >50% crediti e omologato (tribunale cram-down INPS dissenziente perché trattato equamente). | – Procedura approvata: azienda prosegue attività, mantenendo commesse.<br>- Azioni esecutive bloccate subito al ricorso (nessun pignoramento subito) .<br>- Dipendenti: ricevono arretrati integralmente in 6 mesi (grazie anche a nuova finanza €100k destinata in parte a loro). Conservano il posto con nuovo investitore, eventuale CIG per ristrutturazione.<br>- Fornitori: ottengono 40% credito (es. €120k su 300k) in 2 anni rate, e rinunciano al resto. Sopravvenienza attiva per Alfa su €180k stralciati esentasse . Forniture riprendono.<br>- Banche: ipotecaria incassa 80% (meglio che in fallimento stimato 60% su valore), chirografaria 40% uguale ai chirografi. Accettano piano; fideiussori soci liberati su quelle percentuali soddisfatte.<br>- Fisco/INPS: prendono 100% IVA e ritenute (come richiesto da L. 159/2020) e 30% su resto tributi/contributi in 4 anni. La convenienza è attestata e l’omologa forzosa li vincola . L’Erario incassa qualcosa invece di nulla e mantiene contribuente in vita (futuri versamenti ok).<br>- Azienda dopo 2 anni risanata: debiti ridotti, investitore entra con aumento capitale. Uscita da crisi con reputazione in parte recuperata (clienti informati del concordato come rilancio).<br>- Amministratori: niente azioni di responsabilità (non c’è fallimento); nessuna bancarotta (procedura concorsuale evitata illeciti). Rimangono al timone se graditi a investitore. |
| 3. Composizione negoziata → vendita azienda | L’imprenditore avvia composizione negoziata appena percepisce crisi. Nominato esperto; nel frattempo si individua un possibile acquirente Beta S.p.A. interessato all’azienda Alfa come going concern (senza debiti). <br>L’esperto aiuta a negoziare con Beta: Beta offre €400k per rilevare impianti, marchio e commesse, a patto di non farsi carico dei debiti pregressi. <br>Si chiede al tribunale autorizzazione a cedere l’azienda ad Beta libero da debiti. Creditori protetti da prezzo equo (perizia esperto) e clausola che €400k vadano a loro. <br>Dopo 3 mesi di trattative, nessun accordo di ristrutturazione è raggiunto con creditori (alcuni volevano percentuale maggiore); la società allora, conclusa la vendita, utilizza il ricavato per proporre un concordato semplificato liquidatorio con il cash ricavato. | – Durante composizione: misure protettive concesse, niente azioni creditori nel frattempo . Fornitori e banca partecipano incontri ma non trovano intesa spontanea su percentuali (alcuni volevano 50%, altri 30%).<br>- Vendita azienda autorizzata dal giudice su conforme parere esperto: Beta S.p.A. acquisisce impianti, contratti e assume gran parte dei dipendenti di Alfa. Importante: Beta non risponde dei debiti tributari Alfa grazie all’art. 14, c.5-bis DLgs 472/97 modificato (esonero se vendita in comp.neg.) . <br>- Alfa S.r.l. incassa €400k. Con l’aiuto esperto, redige proposta concordato semplificato: distribuire quei €400k ai creditori:<br> • Banca ipotecaria: €250k (pari a valore immobile ipotecato trasferito) <br> • Dipendenti: €50k (100% arretrati) <br> • Fornitori: riparto pro-quota su €100k residui -> circa 33% dei loro crediti <br> • Fisco/INPS: nulla (nel concordato semplificato possono non essere soddisfatti integralmente se non ci sono fondi, ma si motiva che Beta non avrebbe comprato assumendo debiti fiscali). <br>- Tribunale omologa concordato semplificato (creditori sentiti in camera consiglio; banca e dipendenti favorevoli perché prendono quasi tutto, fornitori e Fisco protestano ma il giudice valuta che in fallimento avrebbero preso meno comunque).<br>- Esito: Alfa S.r.l. viene liquidata e cessata. I creditori ricevono i pagamenti indicati (banca e dipendenti quasi tutto, fornitori ~33%, Erario 0). Fornitori insoddisfatti non possono agire oltre.<br>- I dipendenti conservano il posto perché Beta li riassorbe (tranne pochi che vanno in NASpI ma ricevono TFR dal Fondo).<br>- Beta S.p.A. prosegue l’attività senza i debiti di Alfa; paga all’Erario imposte correnti regolari (quindi per Fisco meglio di niente).<br>- Amministratori Alfa evitano fallimento, Beta potrebbe anche coinvolgerli se utili. Nessuna azione di responsabilità rilevante perché la vendita è avvenuta al fair value supervisionato (nessun danno per creditori rispetto alternativa). Possibili strascichi: Agenzia Entrate forse contesta che 0% a sé non equo, ma la legge consente se giudice valuta che nessun attivo disponibile oltre i privilegi. |
(Le cifre sopra sono semplificate per illustrazione; nella realtà costi procedurali e altri fattori incidono sul riparto)
Come si evince dalle simulazioni, agire per tempo scegliendo lo strumento adatto può fare una grande differenza: nel caso 1 (inerzia) l’esito è disastroso per tutti tranne forse il creditore ipotecario; nei casi 2 e 3 i risultati sono più equilibrati e l’attività economica viene in parte salvaguardata, riducendo le perdite per creditori e salvando posti di lavoro.
Conclusioni
Dal punto di vista di un’azienda debitrice – quale potrebbe essere una ditta di lamiere e nastri d’acciaio in difficoltà finanziarie – “difendersi” dai debiti significa adottare un approccio proattivo e informato, sfruttando tutti gli strumenti legali disponibili per gestire la crisi. Questa guida ha evidenziato come, nel sistema giuridico italiano aggiornato al 2025, esistano molteplici vie per evitare che i debiti segnino la fine dell’impresa: dai piani di risanamento privati, passando per le trattative assistite della composizione negoziata, fino alle procedure concorsuali vere e proprie come il concordato preventivo. Ciascuna opzione ha vantaggi e limiti, ma tutte condividono un presupposto essenziale: muoversi tempestivamente e con professionalità.
Per l’imprenditore debitore i consigli fondamentali che emergono sono: – Monitorare i segnali di crisi e non nasconderli: attivarsi presto aumenta le chance di successo e tutela da responsabilità. – Coinvolgere consulenti esperti (commercialisti, legali specializzati in crisi d’impresa) per scegliere la strategia adatta e redigere piani credibili. – Comunicare con i creditori in modo trasparente: spesso la fiducia e la collaborazione si ottengono dimostrando serietà e presentando piani concreti attestati da terzi indipendenti. – Proteggere la continuità aziendale ove possibile: un’azienda in funzionamento ha più valore (anche per i creditori) di una ferma; strumenti come il concordato in continuità o la composizione negoziata mirano proprio a conciliare risanamento e prosecuzione dell’attività. – Conoscere i propri diritti: sapere che un ricorso per concordato blocca i pignoramenti, o che un piano attestato rende immuni certi pagamenti, permette di non subire passivamente iniziative aggressive dei creditori. – Valutare l’impatto fiscale e penale delle decisioni: ogni mossa (o omissione) può avere riflessi su imposte e su potenziali reati. Ad esempio, decidere se pagare prima un fornitore o l’IVA non è solo una scelta economica ma anche legale. È cruciale evitare azioni che possano trasformarsi in responsabilità personali o sanzioni. – Considerare l’interesse dei creditori come faro: contro-intuitivamente, immedesimarsi nei creditori aiuta a elaborare proposte che possano essere accettate. Un concordato o un accordo “win-win” deve offrire ai creditori una soddisfazione migliore rispetto alla liquidazione fallimentare . Se questo criterio è rispettato e dimostrato, la legge fornisce mezzi per superare anche eventuali dissensi irragionevoli (come visto col cram-down fiscale). – Non aver timore dello stigma: L’uso di procedure di regolazione della crisi oggi è considerato indice di buona gestione responsabile, non più una vergogna. Molte imprese sane attuali sono passate attraverso concordati preventivi o accordi di ristrutturazione. Meglio affrontare un concordato preventivo (magari in continuità) e salvare l’azienda e i posti di lavoro, che ostinarsi in una clandestinità debitoria che porta al fallimento disordinato.
In definitiva, difendersi dai debiti per un’azienda significa governare la crisi anziché subirla: conoscere la normativa (in continuo aggiornamento), farsi affiancare da professionisti, dialogare con le controparti e utilizzare intelligentemente gli strumenti giuridici può trasformare una situazione potenzialmente fatale in un percorso di risanamento o quantomeno di liquidazione ordinata e senza strascichi.
L’Italia, tramite il nuovo Codice della Crisi, ha messo a disposizione un arsenale completo di soluzioni, ispirate anche alle migliori prassi internazionali. Spetta all’imprenditore scegliere l’arma giusta al momento giusto. Questa guida, corredata di riferimenti normativi e giurisprudenziali aggiornati, auspica di aver fornito una mappa chiara per orientarsi in decisioni così delicate. Il messaggio finale è che c’è sempre qualcosa che il debitore può fare: anche di fronte a montagne di debiti, l’ordinamento prevede scappatoie e percorsi di uscita. La passività e l’improvvisazione sono le vere nemiche; pianificazione e conoscenza, i veri alleati.
Fonti e riferimenti
- Codice Civile italiano – articoli rilevanti: 2086 c.c. (dovere assetti adeguati), 2446-2447 c.c. (perdite SPA), 2482-bis/ter c.c. (perdite SRL), 2484-2485 c.c. (cause scioglimento e obblighi amministratori), 2486 c.c. (obblighi dopo scioglimento, responsabilità e criteri danno) .
- D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 – Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), aggiornato con D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 83/2023 (c.d. “correttivo bis” e “ter”). In particolare: artt. 2 (definizioni di crisi e insolvenza), 13 (indicatori della crisi), 17-25 (composizione negoziata) , 23 (transazione fiscale nei piani attestati e composizione negoziata) , 25-sexies (concordato semplificato per liquidazione), 54-64 (misure protettive e cautelari) , 56 (piani attestati di risanamento) , 57-64 (accordi di ristrutturazione dei debiti) , 63 (accordi e transazione fiscale) , 88 (concordato e transazione fiscale, cram-down) , 84-120 (concordato preventivo, requisiti e svolgimento) , 120-terdecies (esdebitazione del sovraindebitato incapiente), 278-279 (esdebitazione fallito).
- Cassazione Civile, Sez. I, ord. 29/05/2024 n. 15054 – Responsabilità degli amministratori non esecutivi per omessa reazione a segnali di crisi e prosecuzione attività dopo perdita capitale: conferma condanna, dovere di agire informati, criterio differenza patrimoni per quantificazione del danno .
- Cassazione Civile, Sez. Unite, 15/05/2020 n. 7877 – Ammissibilità del cram-down fiscale nel concordato: inizialmente controversa; le SS.UU. nel 2020 (precedentemente alla riforma normativa) aprono alla giurisdizione del giudice fallimentare sulla transazione fiscale, anticipando il legislatore .
- Tribunale di Roma, 9 maggio 2023 – Decreto di omologazione con cram-down: afferma che l’interesse concorsuale prevale su quello erariale, autorizzando l’omologa di un concordato nonostante il voto contrario dell’Erario in presenza di convenienza attestata .
- Legge 159/2020 (conversione DL 125/2020) – c.d. DL “Ristori”: ha modificato l’art. 182-ter L.F. (ora art. 63 CCII) eliminando il divieto di falcidia IVA e ritenute, introducendo omologazione forzata transazione fiscale .
- D.Lgs. 83/2022 – Ha recepito Direttiva UE 2019/1023: introdotte novità su accordi di ristrutturazione agevolati (quorum 30%) ed estesi (estensione ai dissenzienti finanziari 75%), misure protettive flessibili, e migliorata disciplina classi e voti nel concordato.
- D.Lgs. 147/2020 (correttivo al CCII pre-entrata in vigore): Sostituzione originaria dell’art. 56 CCII – ha strutturato requisiti formali del piano attestato (contenuto analitico, attestazione indipendente) .
- Circolare Agenzia Entrate 34/E 2020 – Istruzioni operative post DL Ristori sul voto dell’Erario nelle transazioni fiscali: impone valutazione convenienza rispetto a liquidazione e indica che, se proposta ≥ valore di realizzo in fallimento, l’adesione è doverosa (anticipazione del cram-down di fatto).
- Art. 14 D.Lgs. 472/1997 – Responsabilità solidale acquirente d’azienda per debiti tributari del cedente: modificato dal D.Lgs. 87/2024 che esclude tale responsabilità per cessioni effettuate da imprese in composizione negoziata . Vedi commento Giulio Andreani, “Composizione negoziata al test dell’esenzione dalle responsabilità”, 21 maggio 2025 .
- Cassazione Civ., Sez. Trib., 22/12/2022 n. 37382 – in tema di art. 36 DPR 602/73: conferma natura di responsabilità del liquidatore per debiti fiscali rimasti impagati per mal riparto, sottolineando che è oggettiva entro limiti dell’attivo distribuito (Osservatorio Giustizia Trib. note) .
- Cassazione Penale, Sez. V, 03/03/2021 n. 10083 – Bancarotta preferenziale: chiarisce che il pagamento di debiti in esecuzione di un piano attestato o accordo omologato, in quanto esonerato ex lege da revocatoria, non integra reato (perché scriminato dalla causa di non punibilità di legge). Riferimento a nuova formulazione art. 324 CCII che estende esenzioni penali .
- Rapporto Cerved PMI 2023 – Dati statistici: aumento utilizzo composizione negoziata nel 2023, tassi di successo e principali cause di insuccesso (es. mancato accordo banche). Indica che molte imprese vi ricorrono prima di default formale, con esiti migliori rispetto a concordati tardivi.
- Tedesco, C.P.A., “Responsabilità amministratori non esecutivi: la Cassazione”, articolo di commento 20/11/2025 – analisi ordinanza Cass. 15054/2024, ribadisce dovere vigilanza attiva anche senza deleghe e applicazione netti patrimoniali per danno.
- Monardo A. (Studio) – Guide pratiche online: “Piano attestato di risanamento 2025: come funziona” e “Transazione fiscale durante il concordato preventivo”, aggiornate a maggio 2025 . Offrono spiegazioni operative su novità CCII (cram-down, ruolo attestatore, ecc.) con simulazioni.
- ABI – Linee guida per moratorie PMI (ultimi Accordi per il Credito 2019-2020): sebbene scaduti, forniscono schema di come richiedere sospensione rate mutui/leasing e allungamento fidi; diverse banche nel 2025 offrono ancora soluzioni analoghe su base volontaria caso per caso.
- CNDCEC – Principi di attestazione dei piani di risanamento (2019, aggiorn. 2022) – standard professionali per l’attestatore: definiscono verifiche su veridicità dati e fattibilità piani, inclusi stress test e analisi scenario . Utili per capire l’aspettativa su qualità piano e relazione.
- Assonime – Circolare 4/2023 – “La composizione negoziata: prime esperienze applicative”: analisi di casi concreti del 2022, evidenzia punti di forza (rapidità nomina esperto in 5 giorni ) e criticità (scarsa adesione creditori finanziari senza misure protettive forti). Consiglia possibili modifiche normative poi in parte attuate (es. proroga termini fino 12 mesi ).
- Giurisprudenza di merito concordataria: Trib. Milano decreto 28/09/2022 (concordato con continuità indiretta: applicazione art. 84 CCII, ok soddisfacimento parziale Erario con cram-down), Trib. di Parma 30/07/2024 (acquirente azienda da composizione negoziata esonerato ex lege da responsabilità tributaria pregressa – conferma immediata di applicazione norma 2024) .
La tua azienda che produce, taglia, trasforma o distribuisce lamiere in acciaio, nastri in acciaio, coils, lamiere zincate, lamiere inox, nastri laminati a caldo/freddo, lamiere decapate, semilavorati e bandelle per carpenteria, meccanica, edilizia e industria, oggi è schiacciata dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
La tua azienda che produce, taglia, trasforma o distribuisce lamiere in acciaio, nastri in acciaio, coils, lamiere zincate, lamiere inox, nastri laminati a caldo/freddo, lamiere decapate, semilavorati e bandelle per carpenteria, meccanica, edilizia e industria, oggi è schiacciata dai debiti?
Ricevi solleciti, richieste di rientro, sospensioni delle forniture, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o addirittura minacce di pignoramento da parte di banche, fornitori di acciaio, Fisco, INPS o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il comparto lamiere e nastri in acciaio è tra i più difficili: il prezzo dell’acciaio oscilla continuamente, gli stock sono costosi, la logistica è pesante, le lavorazioni energivore, i margini bassi e i clienti pagano spesso tardi.
Basta un rallentamento della liquidità per far esplodere una crisi.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e nel modo giusto.
Perché un’Azienda di Lamiere e Nastri va in Debito
- aumento dei costi di acciaio, zincature, taglio, trasporto e lavorazioni
- pagamenti lenti da parte di carpenterie, officine, rivenditori tecnici e imprese edili
- magazzino immobilizzato tra coils, nastri, lamiere, bandelle e semilavorati
- costi elevati di movimentazione, stoccaggio e attrezzature
- necessità di acquistare grandi lotti per ottenere prezzi competitivi
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
Il problema reale non è la mancanza di clienti, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se Non Intervieni Subito
- pignoramento dei conti correnti aziendali
- blocco dei fidi bancari
- sospensione delle forniture da parte delle acciaierie
- atti esecutivi, decreti ingiuntivi, precetti
- sequestro di lotti, coils, magazzino e attrezzature
- impossibilità di evadere ordini e mantenere rapporti commerciali
- perdita di clienti strategici e interi appalti
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può:
- sospendere pignoramenti e atti esecutivi
- fermare richieste aggressive di rientro
- proteggere conti correnti e liquidità aziendale
- stoppare le azioni dell’Agenzia Riscossione
Prima si mette al sicuro l’azienda, poi si interviene sui debiti.
2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti
In moltissimi casi si trovano irregolarità che permettono una riduzione immediata dell’esposizione:
- interessi non dovuti
- sanzioni gonfiate o errate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori della Riscossione
- commissioni bancarie anomale e illegittime
Una parte importante del debito può essere tagliata o cancellata legalmente.
3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile
Strumenti validi:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi con fornitori strategici (acciaierie, zincatori, trasportatori)
- rinegoziazione delle linee di credito bancarie
- sospensione temporanea dei pagamenti
- accesso alle definizioni agevolate quando disponibili
4. Usare strumenti legali potenti che bloccano TUTTI i creditori
Se la situazione è seria, puoi ricorrere a:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di Ristrutturazione dei Debiti
- Concordato Minore
- (nei casi più critici) Liquidazione Controllata
Queste procedure consentono di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti, mentre tutte le azioni esecutive vengono sospese.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare aziende del settore siderurgico serve esperienza specifica e comprovata.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi ufficiali del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
È il professionista ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende che operano con lamiere, nastri e semilavorati in acciaio, dove i margini sono strettissimi e le esposizioni elevate.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua esposizione debitoria
- stop urgente ai pignoramenti e ai decreti ingiuntivi
- riduzione dei debiti non dovuti
- costruzione di un piano di rientro realmente sostenibile
- protezione di coils, nastri, lamiere e attrezzature
- trattative con banche, acciaierie, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela totale dell’imprenditore e dell’impresa
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di lamiere e nastri in acciaio non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, efficace e completamente legale, puoi:
- bloccare immediatamente i creditori,
- ridurre davvero i debiti,
- salvare forniture, consegne e continuità produttiva,
- proteggere il futuro della tua azienda.
Agisci oggi stesso.
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la difesa e il rilancio della tua azienda possono iniziare ora.