Azienda Di Dadi E Rondelle Industriali Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se la tua azienda produce, importa o distribuisce dadi, rondelle, rondelle speciali, dadi autobloccanti, dadi flangiati, fissaggi industriali, minuteria metallica, articoli in acciaio inox/zincato e componenti per meccanica, carpenteria, edilizia e impiantistica, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è necessario agire rapidamente per evitare il blocco delle forniture e la perdita dei clienti principali.

Nel settore della minuteria meccanica, un semplice ritardo nelle consegne può fermare cantieri, linee produttive e assemblaggi, generando penali, reclami e danni permanenti alla reputazione dell’azienda.

Perché le aziende di dadi e rondelle industriali accumulano debiti

  • aumento dei costi dell’acciaio, trattamenti superficiali, zincatura e lavorazioni
  • rincari delle materie prime importate e dei trasporti
  • pagamenti lenti da parte di officine, rivenditori tecnici e contractor
  • ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
  • magazzini complessi con molte misure, lotti, standard e certificazioni
  • difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai volumi di scorte
  • investimenti in macchinari di tornitura, stampaggio, controllo qualità

Cosa fare subito

  • far analizzare da un professionista la tua situazione debitoria
  • verificare quali debiti possono essere contestati, ridotti o rateizzati
  • evitare piani di rientro pesanti che comprimono la liquidità aziendale
  • richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
  • proteggere rapporti con fornitori strategici (acciaierie, zincatori, produttori)
  • utilizzare strumenti legali efficaci per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza rallentare le forniture

I rischi se non intervieni tempestivamente

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco delle forniture di dadi, rondelle e materie prime
  • impossibilità di servire officine, industrie e rivenditori
  • perdita di clienti ricorrenti e contratti continuativi
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Come può aiutarti l’Avvocato Monardo

Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina su scala nazionale un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
  • iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Può supportarti concretamente a:

  • bloccare pignoramenti e procedure esecutive
  • ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti legali più efficaci
  • ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
  • proteggere materiali, magazzino, forniture e continuità produttiva
  • guidare la tua azienda verso un risanamento reale, evitando la chiusura

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Introduzione

Un’azienda manifatturiera specializzata in dadi e rondelle industriali può trovarsi, per varie ragioni, in una situazione di sovraindebitamento o crisi finanziaria. Ciò significa che l’impresa accumula debiti (verso banche, fornitori, Fisco, ecc.) che non riesce più a onorare regolarmente. Dal punto di vista del debitore (l’azienda e i suoi imprenditori), è fondamentale conoscere gli strumenti giuridici disponibili per difendersi dalle azioni dei creditori e risanare la propria posizione debitoria. Questa guida avanzata – aggiornata a ottobre 2025 – illustra in modo dettagliato e divulgativo (ma con linguaggio tecnico-giuridico appropriato) cosa fare quando un’azienda è gravata dai debiti, alla luce della normativa italiana vigente (D.Lgs. 14/2019 Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – CCII – e successive modifiche) e delle più recenti sentenze rilevanti.

Perché una guida specifica? Nel nostro caso esemplificativo, un’azienda produttrice di dadi e rondelle industriali è un’impresa commerciale che potrebbe avere debiti di natura diversa: fiscali (imposte e contributi non versati), bancari (mutui, finanziamenti), verso fornitori (merci non pagate), ecc. Ognuna di queste categorie di debiti presenta peculiarità giuridiche (ad esempio, i debiti tributari hanno privilegio legale e sono oggetto di “transazione fiscale” solo in certe procedure ). Inoltre, dal 2022 in poi la disciplina italiana delle crisi d’impresa è stata profondamente riformata: il fallimento è stato sostituito dalla liquidazione giudiziale come ultima ratio , e sono stati introdotti strumenti di allerta precoce e soluzioni concordate della crisi per preservare la continuità aziendale ove possibile . Questa guida, destinata ad avvocati, professionisti e imprenditori, offre un quadro completo delle opzioni difensive e risolutive, integrando le novità normative fino al 2025 (come il Terzo Correttivo del settembre 2024 e le più recenti pronunce della Corte di Cassazione) e fornendo tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione Domande & Risposte sulle questioni più frequenti.

Struttura della guida: Inizieremo analizzando le varie tipologie di debiti aziendali e i relativi rischi, quindi esamineremo gli obblighi legali dell’imprenditore in crisi (includendo i doveri di prevenzione e le soglie oltre le quali scattano segnali d’allarme). Successivamente, tratteremo le possibili soluzioni stragiudiziali (accordi privati, piani attestati, composizione negoziata) e le procedure concorsuali giudiziali (concordato preventivo, “concordato minore” per i piccoli debitori, liquidazione giudiziale o controllata, ecc.), senza trascurare strumenti specifici come la transazione fiscale con il Fisco. Verranno approfonditi anche i profili penali (reati fallimentari) collegati alla gestione dell’impresa indebitata, evidenziando come evitare comportamenti che possano sfociare in responsabilità penali per gli amministratori. Infine, proporremo FAQ (domande e risposte) comuni e alcune simulazioni pratiche riferite al contesto italiano, per comprendere l’impatto concreto delle varie scelte.

Nota: Le fonti normative e giurisprudenziali utilizzate sono citate nel testo con riferimenti in stile “[numero†linea]” e sono elencate per esteso nella sezione finale Fonti e Riferimenti. Si raccomanda di affrontare le situazioni di crisi aziendale con l’ausilio di professionisti esperti (legali e commercialisti), data la complessità della materia e l’importanza di muoversi tempestivamente e correttamente per difendere l’azienda debitrice e massimizzare le chance di risanamento .

Tipologie di debiti aziendali e relativi rischi

Un’analisi preliminare indispensabile è distinguere i vari debiti dell’azienda per natura giuridica, poiché ciascuno comporta rischi e strumenti di gestione differenti. I tre macro-gruppi di debiti che tipicamente gravano su un’impresa industriale sono: debiti fiscali, debiti bancari/finanziari e debiti commerciali verso fornitori. Vediamoli in dettaglio.

Debiti fiscali e contributivi (verso Erario ed Enti previdenziali)

I debiti fiscali includono imposte dovute allo Stato (IVA, IRES, IRAP, ritenute fiscali, ecc.) e possono comprendere anche tributi locali. Vi rientrano inoltre i debiti contributivi verso enti come INPS e INAIL per contributi previdenziali/assistenziali dei lavoratori. Questi debiti sono particolarmente insidiosi per vari motivi:

  • Privilegi e riscossione coattiva: I crediti dello Stato e degli enti previdenziali godono di privilegi generali o speciali sui beni del debitore. Ad esempio, l’IVA e le ritenute non versate sono crediti privilegiati sul patrimonio dell’impresa. Ciò significa che, in caso di esecuzioni forzate o procedure concorsuali, tali crediti verranno soddisfatti con precedenza sugli altri creditori chirografari (non garantiti). L’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione, ex Equitalia) può attivare procedure esecutive come il pignoramento di conti correnti, macchinari, o l’iscrizione di ipoteche su immobili dell’azienda per recuperare coattivamente il dovuto. In presenza di cartelle esattoriali non pagate, inoltre, scatta la possibilità di iscrizione di fermi amministrativi su veicoli aziendali e altre misure cautelari.
  • Interessi e sanzioni: I debiti tributari aumentano nel tempo a causa di interessi di mora e sanzioni per omesso versamento. Ciò aggrava ulteriormente l’esposizione debitoria. Il Codice della crisi prevede però alcune misure premiali se l’impresa ricorre tempestivamente a strumenti di composizione della crisi: ad esempio, durante la composizione negoziata della crisi, gli interessi sulle imposte scadute sono ridotti al tasso legale e le sanzioni possono essere ridotte al minimo . In caso di esito positivo del risanamento, è possibile anche la riduzione al 50% di interessi e sanzioni pregresse . Tali benefici mirano a incentivare il debitore a intraprendere per tempo un percorso concordato, invece di lasciare incancrenire la posizione debitoria.
  • Reati tributari in caso di omesso pagamento: L’imprenditore deve essere consapevole che il mancato versamento di taluni tributi oltre soglie di legge costituisce reato. In particolare, l’omesso versamento di IVA per importi superiori a €250.000 annui, o di ritenute dovute (ad esempio ritenute IRPEF su stipendi) oltre €150.000, integra reati previsti dal D.Lgs. 74/2000 punibili con la reclusione. Tali fattispecie (omesso versamento IVA, omesso versamento di ritenute certificate) possono colpire personalmente l’amministratore o il legale rappresentante, indipendentemente da eventuali procedure concorsuali. È importante sottolineare che la regolarizzazione in extremis – ad esempio mediante il pagamento integrale del dovuto prima del giudizio – può evitare la condanna (il D.Lgs. 74/2000 prevede cause di non punibilità se il debito tributario viene estinto, magari attraverso un concordato che paghi l’IVA). In ogni caso, accumulare grossi debiti fiscali espone non solo a pretese privilegiate del Fisco, ma anche a possibili denunce penali.
  • Limiti alle transazioni extragiudiziali: A differenza dei debiti verso creditori privati, i debiti fiscali non possono essere liberamente “tagliati” o ridotti tramite accordi privati. L’Amministrazione finanziaria ha poteri vincolati: al di fuori delle procedure concorsuali o di specifiche previsioni di legge, il Fisco non può rinunciare ai crediti tributari. Ciò significa che l’azienda non può semplicemente negoziare privatamente con l’Agenzia delle Entrate uno sconto sulle tasse dovute. Le uniche vie per attenuare il carico fiscale fuori dal tribunale sono: piani di rateizzazione (dilazione di pagamento fino a 72 rate mensili ordinariamente, estensibili a 120 rate in casi di comprovata difficoltà ), oppure aderire a eventuali definizioni agevolate previste per legge (come le cosiddette “rottamazioni” delle cartelle esattoriali, ove il legislatore concede lo stralcio di sanzioni e interessi). Ad esempio, nel 2023-2024 sono state introdotte misure di “tregua fiscale” con cui alcuni debiti iscritti a ruolo potevano essere pagati senza sanzioni o con sconto. Tali opportunità, tuttavia, sono temporalmente limitate e non strutturali: dipendono da interventi legislativi straordinari e non dalla volontà negoziale del singolo funzionario. Pertanto, se l’azienda ha un monte debiti fiscali tale da non poter essere integralmente rimborsato, spesso l’unica soluzione per ridurre legalmente l’importo dovuto è ricorrere a un procedimento concorsuale che includa la cosiddetta transazione fiscale (trattata più avanti).

In sintesi, i debiti fiscali sono prioritari e rigidi: il Fisco può aggredire rapidamente il patrimonio aziendale e difficilmente accetta stralci al di fuori delle sedi previste dalla legge. Un imprenditore con forti debiti tributari deve valutare con attenzione gli strumenti offerti dal Codice della crisi (es. concordato preventivo con transazione fiscale, accordi di ristrutturazione con il Fisco, composizione negoziata con accordo transattivo) per evitare sia il tracollo dell’azienda sotto le esecuzioni, sia l’insorgere di responsabilità penali connesse.

Debiti bancari e finanziari

I debiti bancari comprendono le esposizioni verso istituti di credito e altri finanziatori professionali: mutui ipotecari su capannoni o terreni, finanziamenti per macchinari, scoperti di conto corrente e linee di credito (ad es. anticipi fatture, castelletto bancario), leasing finanziari su beni strumentali, emissioni di obbligazioni o prestiti da soci qualificati, ecc. I profili di rischio principali legati ai debiti bancari sono:

  • Presenza di garanzie reali o personali: Molto spesso i debiti bancari sono assistiti da garanzie, che possono essere reali (ipoteche su immobili aziendali; pegni su beni o su crediti) o personali (fideiussioni fornite dai soci o da terzi garanti). Se l’azienda è inadempiente, la banca può far valere la garanzia rapidamente: ad esempio, un mutuo ipotecario non pagato può portare alla escussione dell’ipoteca, con pignoramento e vendita all’asta dell’immobile ipotecato. Analogamente, il garante personale (ad esempio l’imprenditore in proprio o un socio) può essere chiamato a pagare al posto dell’azienda debitrice. Ciò comporta che la crisi dell’azienda rischia di propagarsi al patrimonio personale dei garanti, creando un “effetto domino” (si pensi all’imprenditore che ha ipotecato anche la casa di proprietà personale per ottenere un fido bancario: il mancato rimborso può condurre la banca ad agire su quell’immobile). Pertanto, la difesa del debitore in questi casi implica anche considerare la posizione dei coobbligati/fideiussori. Va segnalato che la Cassazione ha chiarito (sent. Cass. civ. 29746/2025) che un socio-fideiussore di una società non può qualificarsi come “consumatore” se la garanzia prestata è funzionale all’attività d’impresa: in altre parole, chi garantisce un debito societario è considerato parte del rischio d’impresa e non può accedere al piano del consumatore per liberarsi di quella garanzia . Questo orientamento confermato nel 2025 tutela le banche: il socio-garante deve ricorrere alle procedure concordatarie ordinarie o al concordato minore, ma non può invocare la procedura “privilegiata” riservata ai consumatori non imprenditori.
  • Facoltà di revoca degli affidamenti e accelerazione del credito: Le banche, quando l’azienda entra in crisi, tendono a revocare gli affidamenti (fidi di cassa, scoperti di c/c, castelletti per anticipo fatture) e a chiedere la restituzione immediata dei finanziamenti (clausole di decadenza dal beneficio del termine in caso di inadempimento o insolvenza conclamata). Questo può avvenire anche in modo “a cascata”: basta il mancato rispetto di un covenant finanziario o un ritardo di pagamento perché la banca classifichi l’azienda come cliente deteriorato (creditore “in sofferenza”), segnalando la posizione in Centrale Rischi di Bankitalia. Da lì scaturisce spesso la revoca di tutte le linee di credito e l’insinuazione a sofferenza. Il risultato è che l’azienda perde liquidità (linee revocate) proprio nel momento peggiore, aggravando la crisi. Il Codice della crisi 2019-2022 ha cercato di mitigare questo fenomeno prevedendo, nel contesto della composizione negoziata, alcuni vincoli per gli istituti di credito: ad esempio, dopo la conferma delle misure protettive, le banche devono riattivare le linee di credito precedentemente sospese, a meno che vi siano motivi prudenziali di vigilanza che lo impediscano . Inoltre, è stato chiarito (dal Correttivo 2024) che l’accesso di per sé alla composizione negoziata non può giustificare automaticamente una diversa classificazione del credito in peggioramento: la banca deve valutare caso per caso la situazione, e non declassare il cliente solo perché ha avviato trattative di risanamento . Queste norme cercano di evitare che il semplice tentativo di risanamento precipiti la sfiducia bancaria. Tuttavia, al di fuori di tali contesti normati, è nella facoltà della banca tutelare i propri crediti, e nella pratica molte imprese in difficoltà si vedono chiudere gli affidamenti all’improvviso. Dal punto di vista del debitore, è quindi opportuno comunicare tempestivamente con le banche in caso di tensioni finanziarie, cercando magari di concordare una moratoria o rinegoziazione, anziché subire passivamente la revoca unilaterale.
  • Azioni esecutive e titoli di credito: Se l’azienda rilasciò cambiali o effetti cambiari a garanzia di finanziamenti, il mancato pagamento di una sola rata può portare la banca a levare il protesto e ad agire esecutivamente sulla base del titolo di credito (che è esecutivo ex se). Analogamente, in caso di leasing, l’ente finanziatore può risolvere il contratto e richiedere immediatamente i canoni scaduti e quelli a scadere, oltre alla restituzione del bene. Ciò crea un cumulo di debiti immediati che l’impresa deve fronteggiare. In generale, gli istituti di credito hanno strumenti giuridici rapidi (mutui fondiari con precetto abbreviato, titoli esecutivi, privilegi sugli impianti ex art. 46 TUB, ecc.) per aggredire il patrimonio del debitore.
  • Trattativa con molteplici banche (rischio di free-riding): Se l’azienda ha più banche finanziatrici (situazione tipica: pool di banche o diversi istituti ciascuno con esposizioni minori), può essere complesso ottenere un accordo consensuale di ristrutturazione: ciascuna banca tenderà a massimizzare il proprio recupero anche a scapito delle altre (fenomeno del free riding). In mancanza di coordinamento, il rischio è che uno dei creditori finanziari agisca per primo in via esecutiva (ad esempio pignora i macchinari principali) mettendo in crisi qualunque tentativo di risanamento unitario. Per questo motivo, la legge ha introdotto istituti come gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati che, se approvati dalla maggioranza qualificata (di solito 60%) dei crediti finanziari, possono essere estesi anche alle banche dissenzienti (c.d. accordo esteso) . Questo evita che una minoranza rovini l’intesa raggiunta dalla maggioranza. Dal 2024, inoltre, si è previsto che negli accordi di ristrutturazione con omologazione forzata su crediti erariali/previdenziali, i debiti verso Erario/INPS debbano essere soddisfatti almeno al 30% (o 40% se si vuole dilazionarli fino a 10 anni) , così da garantire un minimo standard in caso di cram-down fiscale. Queste soglie indicano alle banche e altri creditori che anche il Fisco concorrerà all’accordo solo se c’è un sacrificio ragionevole e certificato da professionisti indipendenti . In pratica, il debitore con molte banche dovrà probabilmente ricorrere a una cornice formale (come un accordo omologato o un concordato preventivo) per tenere insieme tutti i finanziatori; un semplice accordo informale, se non sottoscritto all’unanimità, rischia di essere vulnerabile.

In sintesi, i debiti verso banche sono caratterizzati da elevata tutela del creditore (grazie a garanzie e strumenti esecutivi rapidi) e richiedono quindi un approccio strategico: per difendersi efficacemente, l’imprenditore deve sfruttare le moratorie possibili, negoziare eventuali piani di rientro e – se necessario – attivare procedure concorsuali che impongano un trattamento collettivo (e una moratoria legale) anche alle banche. La continuità aziendale (mantenere la produzione e i flussi finanziari) spesso dipende dalla collaborazione degli istituti di credito: ecco perché molte ristrutturazioni di successo vedono le banche accordare nuovi finanziamenti prededucibili o conversione di crediti in capitale, laddove intravedano concrete prospettive di rilancio.

Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari

L’ultima grande categoria è quella dei debiti commerciali verso fornitori di beni e servizi, nonché eventuali debiti verso altri creditori non privilegiati (ad esempio professionisti, consulenti, locatori per affitti arretrati, clienti che vantano rimborsi, ecc.). Questi crediti in genere non sono garantiti (salvo clausole di riserva di proprietà su beni forniti, o fideiussioni eventualmente date dall’azienda ai fornitori – evenienza meno comune). I fornitori presentano caratteristiche proprie:

  • Molteplicità e importi variabili: Una società industriale può avere decine o centinaia di fornitori commerciali (materie prime, componenti, servizi generali, logistica, ecc.), con importi di credito che vanno dal molto piccolo (il fornitore di cancelleria) al molto grande (il fornitore principale di acciaio, ad esempio). Questa pluralità rende complicata una trattativa unitaria: difficilmente l’azienda riuscirà a negoziare con tutti i fornitori contemporaneamente uno stesso accordo. È più probabile che si tentino accordi con i fornitori principali (quelli senza cui l’attività non può proseguire) per assicurarsi la continuità delle forniture.
  • Possibilità di azioni legali rapide (ingiunzioni): I crediti commerciali sono in genere documentati da fatture. In caso di mancato pagamento, molti fornitori ricorrono al decreto ingiuntivo – un titolo esecutivo ottenibile in tempi brevi se si ha documentazione del credito (art. 633 c.p.c.). Ottenuto il decreto (spesso provvisoriamente esecutivo in base alle fatture firmate o al riconoscimento del debito), il fornitore può procedere a pignoramenti di cassa, di beni mobili o crediti verso terzi (ad esempio, pignorare crediti che l’azienda ha presso i propri clienti, bloccando incassi futuri). Questo mette ulteriormente in difficoltà l’impresa debitrice. Dal lato difensivo, l’azienda indebitata ha poche armi processuali se il debito è certo: può proporre opposizione al decreto ingiuntivo solo se vi sono contestazioni fondate, altrimenti l’ingiunzione diverrà esecutiva. Per tale ragione, se il numero di fornitori insoddisfatti cresce, l’azienda rischia un assalto giudiziario multiplo, con procedure esecutive concorrenziali che possono portare al frazionamento del patrimonio e alla paralisi operativa.
  • Interruzione delle forniture e danno alla continuità: Il fornitore commerciale, diversamente dalla banca, reagisce spesso bloccando le forniture future in caso di mancato pagamento delle precedenti. Ciò rappresenta un rischio immediato per l’operatività: ad esempio, se l’azienda di dadi e rondelle non paga il suo fornitore di acciaio, questo potrebbe non consegnare ulteriore materia prima, impedendo la produzione e le vendite. La perdita di fiducia nel circuito dei fornitori può rapidamente isolare l’impresa dal mercato. Alcuni fornitori potrebbero richiedere pagamento anticipato (cash on delivery) per continuare, aggravando la crisi di liquidità. Dunque, il debitore deve “difendersi” anche in senso economico: mantenendo, ove possibile, i rapporti con i fornitori strategici, magari pagando almeno parzialmente le ultime forniture o offrendo garanzie (come pagherò cambiari, o il ricorso a factoring pro solvendo) per evitare l’interruzione di materiali essenziali.
  • Trattamento dei fornitori nelle procedure concorsuali: Nelle procedure formali (concordato, fallimento ecc.), i fornitori non garantiti diventano creditori chirografari. Ciò implica che verranno soddisfatti solo dopo i crediti privilegiati (Erario, banche garantite, dipendenti per TFR e stipendi, ecc.), spesso con percentuali ridotte. Ad esempio, nel concordato preventivo liquidatorio la legge richiede almeno il 20% di soddisfazione ai crediti chirografari , mentre nel concordato in continuità non vi è una soglia fissa ma occorre dimostrare che ottengono un’utilità migliore che in caso di liquidazione . In ogni caso, i fornitori sanno che in scenario concorsuale subiranno probabilmente un haircut (decurtazione del credito). Paradossalmente, alcuni fornitori potrebbero preferire agire individualmente per cercare di recuperare il 100% (ad esempio pignorando un macchinario) piuttosto che attendere una procedura collettiva che li paga al 30%. Questo li spinge all’azione giudiziale rapida appena percepiscono l’odore di crisi. Come può difendersi l’azienda? Uno strumento tipico è chiedere al Tribunale misure protettive automatiche: ad esempio, presentando una domanda di concordato “in bianco” o attivando la composizione negoziata con richiesta di stay delle azioni esecutive, in modo da bloccare i decreti ingiuntivi e pignoramenti per la durata della procedura . Infatti, l’accesso al concordato preventivo sospende di diritto le azioni esecutive individuali dei creditori (lo ha ricordato anche una notizia del 23/9/2025: l’apertura della procedura concorsuale blocca i singoli pignoramenti in corso ). Questo consente di evitare la corsa disordinata al rimborso e trattare tutti i fornitori in modo paritetico nel piano.
  • Eventuali diritti di recupero beni: Alcuni fornitori, se hanno pattuito la riserva di proprietà sui beni venduti (art. 1523 c.c. – tipicamente macchinari o merci fornite con patto che la proprietà resti al venditore fino al completo pagamento), possono rivendicare la restituzione delle cose fornite se il prezzo non è pagato. Ciò in concorso con altri strumenti come il diritto di reclamo delle merci non ancora pagate depositate presso il debitore (previsto dalla legge fallimentare in alcune circostanze). Questi rimedi, seppur di nicchia, possono sottrarre all’azienda beni necessari all’attività. Ad esempio, se il fornitore di una macchina utensile costosa non viene pagato e aveva pattuito la riserva di proprietà, potrebbe riprendersi la macchina, interrompendo la produzione.

Riassumendo, verso i fornitori l’azienda indebitata deve bilanciare due esigenze: da un lato prevenire o congelare le aggressioni giudiziarie individuali (che portano a pignoramenti e blocchi, superabili solo attraverso un intervento del tribunale che “congeli” le posizioni), dall’altro mantenere vivi i rapporti commerciali essenziali (evitando che la sfiducia dei partner provochi il collasso operativo). In pratica, in situazioni di tensione molti imprenditori cercano accordi stragiudiziali con i fornitori chiave – ad esempio, un piano di rientro dilazionato, magari garantito da effetti cambiari – per assicurarsi forniture continue. Tuttavia, se la massa di debiti commerciali è troppo ampia per essere gestita con intese private frammentarie, sarà opportuno considerare un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione che coinvolga collettivamente i fornitori, imponendo loro un soddisfacimento parziale ma equo secondo la legge. Anticipiamo che nelle procedure concordatarie è possibile trattare diversamente categorie di fornitori: ad esempio, distinguere i fornitori strategici (che magari vengono pagati per intero, con autorizzazione del tribunale, se indispensabili per la continuità) dagli altri fornitori non essenziali che concorreranno pro-quota. Il Codice della crisi consente infatti pagamenti in favore di creditori strategici anche prima dell’omologazione, purché autorizzati e funzionali alla prosecuzione dell’attività (sono i cosiddetti pagamenti di creditori anteriori in pendenza di concordato, ammessi ex art. 95 CCII previa autorizzazione del giudice, quando strettamente necessari alla gestione corrente). Questo strumento consente di “difendere” la continuità aziendale evitando che la procedura concorsuale stessa soffochi l’impresa.

Altre passività da considerare

Oltre a quelle già citate, l’azienda potrebbe avere altre categorie di debiti rilevanti: debiti verso i dipendenti (stipendi arretrati, TFR non versato), debiti verso l’erario locale (IMU, Tari, ecc.), debiti verso enti previdenziali diversi da INPS (Casse professionali se ha collaboratori iscritti a ordini), debiti per sanzioni amministrative (multe, ecc.). Molti di questi hanno anch’essi privilegi (ad esempio, i salari e il TFR dei dipendenti hanno privilegio generale mobiliare di grado elevato, ex art. 2751-bis c.c., e anche un privilegio immobiliare sui beni dell’imprenditore individuale). Nell’ambito del concordato, i dipendenti godono di un trattamento di favore: i loro crediti privilegiati vanno normalmente pagati integralmente (salvo consenso alla falcidia nelle procedure di sovraindebitamento o nel concordato minore). La presenza di debiti verso lavoratori può spingere verso soluzioni come il concordato in continuità, per salvare posti di lavoro (ben viste dai tribunali), oppure – se l’impresa cessa – far intervenire il Fondo di Garanzia INPS a tutela del TFR e ultime mensilità.

Un altro aspetto è la responsabilità personale degli amministratori o soci per certi debiti: per esempio, in società di persone (snc, sas) i soci rispondono con il proprio patrimonio dei debiti sociali; in SRL e SPA invece no, però ci sono eccezioni come le sanzioni comminate alla società (che potrebbero poi essere poste a carico degli amministratori se frutto di loro illeciti) o i finanziamenti dei soci postergati (che non sono veri debiti, ma rappresentano rischi per i soci stessi, subendo postergazione ex lege). Inoltre, in caso di insolvenza irreversibile, gli amministratori hanno l’obbligo di non aggravare il passivo: se continuano l’attività aumentando i debiti, potrebbero incorrere in responsabilità per mala gestio verso i creditori (azione di responsabilità ex art. 2486 c.c. per aggravamento del dissesto). Pertanto, la consapevolezza del tipo e della gravità dei debiti deve guidare l’imprenditore nelle scelte: ad esempio, un debito fiscale elevato non gestibile con piani di rientro spingerà verso la richiesta di una procedura concorsuale con transazione fiscale; un debito principalmente verso fornitori ma con prospettive di ripresa del fatturato potrebbe suggerire di trattare in continuità col supporto di un esperto negoziatore; debiti salariati imporranno tempestività per evitare azioni giudiziali dei dipendenti o l’attivazione del Fondo INPS in fallimento.

Ricapitolando, la mappa dei debiti e il loro status (garantiti, privilegiati, chirografari) va disegnata con precisione: su di essa si baserà la strategia di difesa (giudiziale o stragiudiziale) più opportuna, tenendo sempre presente che le priorità legali di pagamento non possono essere ignorate. Una tabella di sintesi delle principali tipologie di crediti e del loro rango può essere utile:

Categoria di creditoEsempiGrado di privilegio/rangoAzioni tipiche del creditore
Erario – TributiIVA, IRES, IRAP, ritenutePrivilegio generale mobiliare + ipotecario su beni (per alcuni tributi) . IVA e ritenute: privilegio assoluto post salari.Cartella esattoriale, ipoteca, pignoramento, fermo; transazione fiscale solo in procedure concorsuali.
Contributi previdenzialiINPS, INAIL contributi obbligatoriPrivilegio generale mobiliare (precede tributi tranne ritenute) + possibile Lien su immobili per contributi.Ingessione ruoli a Agente riscossione, azione giudiziaria diretta; no falcidia se non in concordato.
Debiti bancari garantitiMutuo ipotecario, leasing, pegnoGaranzia reale (ipoteca/pegno) → prelazione su bene specifico; eventuale residuo chirografo.Azione esecutiva sul bene (es. espropriazione immobiliare); insinuazione come privilegiato (fino a concorrenza garanzia).
Debiti bancari chirografariScoperto c/c non garantito, prestito senza garanzieChirografo puro (nessuna prelazione) – concorre proporzionalmente con altri chirografari.Decreto ingiuntivo e pignoramento su generico patrimonio; partecipazione al concorso come credito chirografo.
Fornitori strategiciFornitura materie prime essenzialiDi norma chirografo (salvo patto di riserva di proprietà o privilegio ex lege su alcuni beni, ad es. vendite a termine su beni mobili registrati)Minaccia interruzione forniture; decreto ingiuntivo; possibili accordi individuali di rientro per continuare rapporto.
Altri fornitori e tradeServizi generali, forniture secondarieChirografo; se importi modesti spesso non garantiti da nulla.Decreto ingiuntivo, pignoramento; insinuazione al passivo. Scarsa leva negoziale individuale se debitori plurimi.
Dipendenti (retribuzioni)Stipendi ultimi 12 mesi, TFRPrivilegio generale mobiliare superprivilegiato (stipendi ultimi 6 mesi) e generale (altre retribuzioni); TFR privilegio fino a certa misura su attivo.Decreto ingiuntivo per salari; intervento sindacale; prededuzione in concordato per arretrati autorizzati; Fondo di garanzia INPS post-fallimento.
Chirografari variProfessionisti, consulenti, danni, contrattiChirografo semplice (nessuna prelazione).Come fornitori: azioni individuali (ingiunzioni) oppure attendono piano/ fallimento.
Crediti con riserva proprietàBeni forniti con patto riserva (es. macchinari)Il bene non pagato può essere rivendicato se ancora identificabile e rivendicabile (patto opponibile).Azione di rivendica del bene in caso di insolvenza; in fallimento domanda di restituzione ex art. 1523 c.c.

(Legenda: privilegio generale mobiliare = diritto di prelazione su tutti i beni mobili; privilegio speciale/ipotecario = prelazione su beni specifici; chirografo = nessuna prelazione.)

Questa tabella chiarisce come alcuni creditori abbiano posizioni di forza (Erario, INPS, banche garantite, dipendenti) e altri di debolezza relativa (fornitori comuni, professionisti). Nella sezione seguente vedremo come il quadro normativo imponga all’imprenditore di attivarsi in anticipo quando la situazione di crisi si profila, proprio per evitare che i creditori “forti” agiscano isolatamente e per gestire equamente i “deboli” all’interno di una cornice di ristrutturazione.

Obblighi dell’imprenditore in crisi e rilevazione precoce

La legge italiana, specie dopo la riforma introdotta dal Codice della crisi d’impresa (CCII), pone l’accento sulla prevenzione e gestione tempestiva della crisi aziendale. Non si tratta solo di un principio generico: esistono obblighi ben precisi a carico degli amministratori e dell’imprenditore, la cui violazione può avere conseguenze sia civilistiche (responsabilità verso i creditori) che concorsuali. Ecco i punti chiave:

  • Adeguati assetti e dovere di monitoraggio: L’art. 2086 c.c., modificato nel 2019, impone all’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva di istituire “assetti organizzativi amministrativi e contabili adeguati” alla natura e dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della continuazione dell’attività. In pratica, gli amministratori devono dotarsi di strumenti di controllo di gestione, pianificazione finanziaria e monitoraggio dei flussi tali da individuare per tempo segnali di squilibrio economico o finanziario. Questo non è solo best practice, ma un dovere codificato. Se l’amministratore omette di predisporre tali assetti e la società fallisce, potrà essere chiamato a rispondere dei danni causati ai creditori per non aver colto e affrontato la crisi in tempo. Ad esempio, se un budget previsionale avrebbe evidenziato già un anno prima che l’azienda sarebbe rimasta senza liquidità, ma ciò non è stato fatto e i debiti sono raddoppiati, il curatore fallimentare potrebbe agire contro l’organo amministrativo per aver aggravato il dissesto. L’adeguatezza degli assetti è dunque il primo “scudo” difensivo del debitore: consente di attivare le misure correttive prima che sia troppo tardi.
  • Nozione di “crisi” e “insolvenza”: Il CCII definisce in modo nuovo lo stato di crisi come probabilità di futura insolvenza. In particolare, la crisi è “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza” misurata come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi . L’insolvenza, invece, rimane lo stato conclamato in cui il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni man mano che vengono a scadenza (art. 2 CCII e art. 5 l.f.) . Questa distinzione è cruciale: la crisi è una fase reversibile se affrontata per tempo, l’insolvenza è invece irreversibile o difficilmente recuperabile. La legge incoraggia gli amministratori a non aspettare l’insolvenza conclamata ma a reagire già ai primi sintomi di crisi (ad es. tensioni di liquidità prospettiche, indici di bilancio negativi, perdite rilevanti) attivando le procedure di allerta e composizione della crisi. In sintesi: il management ha l’obbligo di stare all’erta e, se dai flussi di cassa previsti a 6-12 mesi risulta che l’azienda non potrà pagare stipendi, fornitori o rate debito, deve considerare l’azienda in “crisi” e prendere provvedimenti immediati.
  • Indicatori della crisi e segnalazioni obbligatorie: Il Codice aveva originariamente previsto un sistema di allerta interno ed esterno basato su indicatori quantitativi. Gli indicatori della crisi (art. 13 CCII, versione iniziale) avrebbero dovuto essere elaborati dal CNDCEC (Consiglio dei Dottori Commercialisti) e includere indici di bilancio (come indice di liquidità, sostenibilità debito, ecc.). Inoltre, la legge prevedeva obblighi di segnalazione da parte di alcuni creditori pubblici qualificati: l’Agenzia Entrate, l’INPS e l’Agente della Riscossione erano tenuti a segnalare all’OCRI (Organismo di composizione della crisi) le imprese con debiti scaduti superiori a certe soglie (per esempio: debiti IVA oltre €5.000 e >10% del fatturato ; debiti INPS sopra un certo importo; cartelle esattoriali > €100.000 per ditte individuali, >€500.000 per società ). Queste soglie costituivano “campanelli di allarme” automatici. Tuttavia, l’entrata in vigore di tale meccanismo di allerta è stata più volte rinviata e infine sostituita in gran parte dalla composizione negoziata della crisi (introdotta nel 2021). Nel Terzo Correttivo (D.Lgs. 136/2024) si è discusso di soglie: la relazione illustrativa riconosce che soglie troppo basse avrebbero creato “segnalazioni a pioggia” coinvolgendo anche imprese sane con lievi ritardi . Si ipotizza in futuro una modulazione delle soglie in base alla dimensione d’impresa (p.es. rapporto debiti tributari/PN, ecc.) . Stato attuale: le segnalazioni automatiche dei creditori pubblici (art. 25-octies e 25-novies CCII) entreranno in vigore a regime probabilmente dal 2024/2025 con i correttivi; per ora la composizione negoziata è lo strumento volontario principale di emersione anticipata. Ciò non toglie che de facto l’Agenzia Entrate Riscossione e l’INPS inviino comunicazioni alle aziende con debiti significativi, invitandole a regolarizzare o valutare strumenti di composizione negoziale. Un amministratore diligente, alla ricezione di simili avvisi, deve attivarsi, pena il rischio di essere poi accusato di aver ignorato segnali evidenti.
  • Divieto di aggravare il dissesto (responsabilità per tardivo ricorso): Una volta che l’insolvenza è conclamata o la crisi gravissima, gli amministratori hanno il dovere di non aggravare ulteriormente il passivo e di non procrastinare indebitamente la richiesta di procedura concorsuale. Nel vecchio impianto della legge fallimentare, l’art. 217 puniva come bancarotta semplice l’aver aggravato il dissesto per tardiva richiesta di fallimento. Anche senza incorrere in reati, sul piano civile l’art. 2486 c.c. sancisce che dal momento in cui si verifica una causa di scioglimento (tipicamente: perdite oltre il capitale per le società di capitali, o insolvenza conclamata) gli amministratori rispondono dei danni se proseguono la gestione eccedendo la conservazione dell’integrità patrimoniale. Tradotto: continuare l’attività in perdita aumentando le esposizioni verso i creditori in una fase in cui l’impresa non ha più prospettive ragionevoli può far scattare, in caso di fallimento successivo, azioni di responsabilità personali. I creditori insoddisfatti (tramite il curatore) potranno chiedere conto ai gestori di quel peggioramento. Pertanto, “difendersi” dal default significa anche saper fermarsi o portare l’azienda in concordato/liguidazione tempestivamente, prima che i debiti diventino ingestibili. Un indicatore pratico è la perdita di continuità aziendale: se gli organi di controllo (revisori, sindaci) segnalano che la continuità non è più garantita e l’impresa va verso l’insolvenza entro 12 mesi, l’organo amministrativo è tenuto a prendere in considerazione l’accesso a strumenti di regolazione della crisi (composizione negoziata, accordi, concordato) piuttosto che attendere passivamente l’azione dei creditori.
  • Ruolo degli organi di controllo e attivazione d’ufficio: Nelle società dotate di organo di controllo (collegio sindacale o revisore), questi soggetti hanno l’obbligo di segnalare per iscritto agli amministratori l’esistenza di fondati indizi di crisi (early warning interno). Se gli amministratori non rispondono o non prendono provvedimenti entro 30 giorni, i sindaci possono rivolgersi all’OCRI (quando attivo) o attualmente sollecitare la composizione negoziata. Questo meccanismo, sebbene ancora in evoluzione, sottolinea che anche soggetti terzi vigilano e possono avviare la procedura in vece dell’inerzia degli amministratori. Inoltre, il Pubblico Ministero presso il Tribunale ha facoltà di presentare istanza di liquidazione giudiziale (fallimento) se viene a conoscenza dello stato di insolvenza dell’impresa (ad es. da notizia di protesti, fuga dei vertici, denunce dei creditori). Ciò è rilevante: non sempre si può attendere che siano i creditori a depositare l’istanza. Se la situazione è eclatante, il PM stesso può attivare la procedura. Questo scenario ovviamente sconsiglia ulteriormente l’attesa inerte.

In conclusione, la legislazione attuale impone un cambio di mentalità: dall’idea tradizionale di “tirare avanti finché si può” alla logica della “emersione anticipata e soluzione concordata”. Un imprenditore informato deve percepire i doveri di intervento come parte integrante della gestione. Paradossalmente, difendersi dai creditori significa, in questa prospettiva, giocare d’anticipo: attivare quelle procedure che congelano le azioni individuali e permettono di gestire globalmente il debito (come vedremo a breve) piuttosto che subire, più tardi, l’urto disordinato di cause, pignoramenti e istanze di fallimento.

Prima di passare all’esame delle soluzioni operative, occorre un ultimo chiarimento sul perimetro soggettivo: quali imprese possono accedere a quali procedure. Il Codice della crisi distingue le “imprese minori” (sotto certe soglie dimensionali) dalle “imprese non minori”. Un’impresa minore è quella che nei precedenti tre esercizi non ha superato congiuntamente tre parametri: attivo di bilancio €300.000, ricavi €200.000, debiti €500.000 . Queste imprese non sono assoggettabili a liquidazione giudiziale ordinaria (ex fallimento) e rientrano nelle procedure di sovraindebitamento (piani del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata). Invece, le imprese sopra tali soglie – come presumibilmente una società industriale di dadi e rondelle di medie dimensioni – sono soggette alle normali procedure concorsuali (concordato preventivo, liquidazione giudiziale). Questa distinzione è fondamentale: dal punto di vista del debitore, un’azienda molto piccola ha a disposizione strumenti semplificati (ma anche tutele ridotte) e non potrà essere “costretta” dai creditori al fallimento, mentre un’azienda sopra soglia può essere trascinata in tribunale dai creditori ma al contempo gode di strumenti più strutturati di risanamento. Nei paragrafi seguenti illustreremo entrambi i filoni procedurali (concorsuali “maggiori” e da sovraindebitamento “minori”), specificando di volta in volta a chi sono destinati.

Soluzioni stragiudiziali: accordi privati e composizione negoziata

Quando l’azienda si trova in difficoltà nel pagare i debiti, una prima opzione da valutare – prima di rivolgersi al tribunale – è la ricerca di soluzioni stragiudiziali, ovvero accordi volontari con i creditori senza l’attivazione immediata di una procedura concorsuale formale. I vantaggi di una soluzione stragiudiziale sono la riservatezza (si evita il clamore e la pubblicità di una procedura giudiziaria), la flessibilità (le parti hanno maggiore libertà di modellare l’accordo) e spesso tempi e costi inferiori. Tuttavia, gli accordi privati soffrono del difetto di non vincolare i dissenzienti e di non impedire azioni esecutive dei creditori non aderenti, a meno che non si combini con strumenti normativi come la mora convenzionale collettiva. Esploreremo qui: la rinegoziazione privata dei debiti (piani di rientro informali), il piano attestato di risanamento (strumento previsto dal Codice, ma senza omologazione giudiziale), e la composizione negoziata della crisi (introdotta di recente, che pur essendo stragiudiziale può implicare interventi del tribunale mirati). Vedremo anche come la transazione fiscale possa essere inserita in taluni accordi extragiudiziali assistiti.

Rinegoziazione privata e piani di rientro (accordi stragiudiziali semplici)

La prima strada, spesso tentata dagli imprenditori, è quella di negoziare direttamente con i singoli creditori soluzioni come dilazioni di pagamento, riduzioni concordate del debito (saldo e stralcio) o altri accomodamenti. Si tratta di usare gli strumenti di autonomia privata contrattuale: ad esempio, stipulare con un creditore un accordo in base al quale questi accetta di essere pagato al X% dell’importo dovuto, magari immediatamente, a titolo di transazione novativa; oppure una moratoria in cui il creditore si impegna a non agire esecutivamente per un certo periodo in cambio di pagamenti parziali periodici. Queste intese possono essere formalizzate in scritture private o anche solo svolgersi di fatto (il creditore acconsente informalmente ad aspettare).

Vantaggi: Tali accordi possono evitare l’apertura di procedure formali, mantenendo integro il rapporto con il creditore. Ad esempio, se la nostra azienda ha un debito di €100.000 con un fornitore chiave, potrebbe proporgli: “ti pago 40.000 subito (che magari ottengo da una terza fonte) e i restanti 60.000 li consideriamo estinti”, evitando così al fornitore il rischio di un eventuale fallimento dove forse recupererebbe molto meno. Oppure con la banca: “continuo a pagarti solo interessi per 6 mesi, e poi rientro gradualmente in 5 anni”. Queste soluzioni personalizzate possono essere le migliori quando il numero di creditori è limitato o quando c’è fiducia reciproca. Inoltre, si evita l’etichetta di “impresa in procedura concorsuale”, con beneficio per la reputazione commerciale.

Svantaggi e limiti: Il problema nasce se i creditori coinvolti sono tanti e non c’è unanimità. Un accordo vincola solo chi lo sottoscrive. Se anche solo un creditore rilevante non aderisce, può vanificare lo sforzo (ad es. mentre paghi in base a un piano accordato alcuni creditori, un altro ti pignora il conto in banca). C’è poi il rischio di revocatoria fallimentare: se l’accordo stragiudiziale non sfocia in un risanamento e l’azienda viene comunque dichiarata fallita entro 2 anni, i pagamenti preferenziali fatti ad alcuni creditori potrebbero essere revocati dal curatore, soprattutto se hanno ricevuto più di quanto avrebbero preso in riparto fallimentare (pagamento preferenziale in periodo sospetto) . Il curatore vedrà quell’accordo come un atto che ha favorito un creditore a scapito della par condicio. Ciò pone un freno: i creditori potrebbero essere restii ad accettare pagamenti parziali “speciali” se temono la revocatoria successiva, a meno che l’accordo non sia inquadrabile in un piano attestato (vedi sotto) che esenta da revocatoria. Un ulteriore limite è l’assenza di stay automatico: l’accordo stragiudiziale puro non blocca eventuali iniziative di creditori estranei. Anche un creditore aderente, formalmente, se non c’è un vincolo contrattuale preciso, potrebbe cambiare idea e agire.

Quando è indicato l’accordo privato? In situazioni di difficoltà temporanea o “crisi di liquidità” non strutturale, con pochi creditori chiave. Ad esempio, se l’impresa sa di avere un incasso significativo tra qualche mese che risolverà i problemi, può chiedere extra-legem ai creditori di pazientare fino ad allora (magari pagando un piccolo interesse extra). Oppure quando i debiti sono concentrati in poche mani: ad esempio, 2 banche e 3 fornitori costituiscono l’80% del debito totale – in tal caso è realistico coinvolgerli tutti attorno a un tavolo e trovare un’intesa (a differenza di decine di micro-creditori). Un caso tipico è la trattativa con il ceto bancario: spesso le imprese redigono un piano di ristrutturazione unilaterale e lo sottopongono alle banche chiedendo la rimodulazione dei prestiti (allungamento delle scadenze, taglio parziale interessi, conversione di linee a breve in mutui a lungo termine, ecc.). Se tutte (o la gran parte) delle banche approvano, si formalizza un “accordo di ristrutturazione bancario” senza passare dal tribunale. Questi accordi sono stati favoriti negli anni scorsi anche da protocolli come le “moratorie ABI” (l’Associazione Bancaria Italiana e governo hanno più volte promosso moratorie generalizzate, ad esempio durante la crisi Covid, in cui le banche aderenti concedevano sospensioni di quota capitale su mutui alle PMI).

Inoltre, l’accordo stragiudiziale può fungere da preludio a un eventuale concordato: spesso si tenta prima la via privata, e se non c’è adesione sufficiente, si “scala” alla procedura giudiziale per imporre la soluzione. Questa gradualità è logica e coerente col principio di usare la procedura concorsuale solo quando serve. In caso di accordo con la maggioranza dei creditori, il Codice prevede anche la possibilità di depositare un accordo già sottoscritto per ottenere dal tribunale l’omologazione come accordo di ristrutturazione dei debiti, rendendolo vincolante per eventuali creditori dissenzienti minori (ne parleremo più avanti).

In definitiva, la rinegoziazione privata è lo strumento più immediato e va sempre esplorata: mantenere un dialogo aperto con i creditori e spiegare la situazione può portare a soluzioni creative (come cedere ai creditori delle partecipazioni societarie, dare in garanzia beni personali in cambio di dilazioni, ecc.). Tuttavia, il suo successo richiede un clima di fiducia e la convinzione condivisa che l’azienda abbia ancora un futuro se sollevata temporaneamente dal peso dei debiti.

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 l.f.)

Il piano attestato di risanamento è un particolare tipo di accordo stragiudiziale qualificato, disciplinato dall’art. 56 del Codice della crisi (riprende la figura dell’art. 67 co.3 lett. d) della vecchia legge fallimentare). Si tratta, in sostanza, di un piano di risanamento aziendale redatto dall’imprenditore con l’ausilio di professionisti, corredato da una relazione di un esperto indipendente (attestatore) che attesta l’attuabilità del piano e la sua idoneità a risanare l’esposizione debitoria. Il piano, per essere efficace, deve perseguire il riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa e assicurare il pagamento dei creditori aderenti nei termini previsti.

Caratteristiche chiave del piano attestato:

  • Non è una procedura concorsuale vera e propria: nessun tribunale omologa o autorizza il piano. La sua efficacia dipende dalle parti che lo sottoscrivono. È un accordo privato che coinvolge alcuni o tutti i creditori, formalizzato in un documento pianificatorio asseverato da un professionista. Per dargli data certa, di solito si effettua il deposito presso il Registro delle Imprese (la legge richiede infatti la pubblicazione della dichiarazione attestante l’avvenuta elaborazione del piano: questo serve a eventuali controlli successivi e a fissarne l’inizio per calcoli temporali).
  • Esenzione da revocatoria: Il principale vantaggio di un piano attestato conforme all’art. 56 CCII è che gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del piano non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale) . Ciò è espressamente previsto (nel vecchio art.67 l.f. e confermato nel CCII). Dunque, se un creditore è pagato (integralmente o parzialmente) secondo il piano di risanamento attestato e poi l’azienda comunque fallisce entro 2 anni, quel pagamento non potrà essergli sottratto dal curatore, purché sia ben collegato all’esecuzione del piano. Questa protezione giuridica è intesa a incentivare i creditori a fidarsi del piano e ad aderirvi: senza di essa molti sarebbero riluttanti a ricevere pagamenti “anomali”. Ad esempio, un fornitore che accetta l’80% del suo credito subito come stralcio nel piano, potrà trattenerlo anche se la società fallisce dopo 1 anno, mentre se avesse ricevuto 80% fuori da un piano attestato, con ogni probabilità il curatore glielo chiederebbe indietro come pagamento preferenziale.
  • Contenuto e attestazione: Il piano deve specificare la situazione economico-patrimoniale dell’azienda, le cause della crisi, le strategie di risanamento (ad es. dismissione di cespiti, aumenti di capitale, conversione debiti in equity, nuovi finanziamenti) e i tempi di realizzo. Deve assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei (quelli che non aderiscono) nei termini di legge. L’attestatore indipendente – un professionista dotato dei requisiti di legge (iscritto a registro revisori, indipendente, con esperienza) – deve verificare la veridicità dei dati aziendali e giudicare la fattibilità del piano, in particolare che l’impresa, seguendo il piano, supererà la crisi e tornerà in equilibrio finanziario. Dal 2024, il Correttivo-ter ha aggiunto che il piano deve anche contemplare gli oneri relativi alla sicurezza sul lavoro e l’eventuale posizione dei lavoratori , a riprova che il legislatore vuole piani completi e sostenibili anche sul fronte compliance (un’azienda che per risparmiare non investe in sicurezza non è considerata risanata in modo lecito).
  • Partecipazione dei creditori: Un equivoco comune è pensare che il piano attestato obblighi tutti i creditori. In realtà vincola solo i creditori che lo abbiano accettato. Non esiste un meccanismo di imposizione ai dissenzienti (come invece nel concordato). Quindi, l’azienda dovrà ottenere l’adesione di tutti i creditori che intende coinvolgere. È possibile tuttavia eseguire un piano anche con adesione parziale: ad esempio, un imprenditore può fare un piano attestato con cui paga interamente le banche (che aderiscono accordando nuove linee) e lascia fuori alcuni vecchi debiti contestati con fornitori che contesta. Quei fornitori estranei potranno agire per vie legali, ma se il piano genera abbastanza cassa l’imprenditore potrà soddisfarli normalmente o transarli in separata sede. L’importante è che il piano preveda che i creditori estranei non subiscano un pregiudizio ingiusto. In pratica, il piano attestato funziona spesso come accordo con i creditori principali, mentre i minori vengono pagati regolarmente secondo scadenza (se possibile) o comunque non subiscono decurtazioni imposte.

Quando usarlo: Il piano attestato di risanamento è indicato quando l’impresa ha prospettive concrete di recupero della redditività e si vuole evitare la pubblicità di un concordato. Spesso è utilizzato da aziende che riescono ad ottenere nuova finanza o supporto dalle banche a condizione di non entrare in procedura concorsuale (le banche a volte preferiscono un risanamento privatistico che evita loro di dover classificare il credito come in sofferenza). È molto frequente nella prassi delle medie imprese: ad es. una società negozia con le banche la rimodulazione del debito (magari con conversione di parte del credito in un finanziamento soci o con un pegno su azioni future) e con alcuni fornitori cruciali dilazioni, e a supporto redige un piano pluriennale (3-5 anni) attestato da un professionista. Questo documento sarà la “stella polare” da seguire. Se tutto va bene, l’azienda evita la procedura concorsuale e dopo qualche anno rientra in bonis.

Caveat: Il piano attestato non offre protezione immediata dalle azioni esecutive. Non c’è un automatic stay: se durante la negoziazione del piano un creditore impaziente procede con pignoramento, l’azienda dovrà difendersi (ad esempio chiedendo una sospensione in tribunale dimostrando che è in corso un serio piano di risanamento – ma non esiste un diritto automatico a ottenerla). Per questo motivo, a volte l’imprenditore deposita comunque una domanda di concordato “con riserva” per ottenere la protezione e poi converte l’iter in omologazione del piano attestato se riesce a convincere i creditori (una strategia ibrida, non priva di rischi e costi, ma talvolta vista). Da notare che nuovi finanziamenti erogati in esecuzione di un piano attestato possono essere contrattualmente subordinati ad un privilegio in caso di fallimento? In realtà, i finanziamenti nel piano attestato non hanno di per sé prededuzione, a differenza di quelli autorizzati nel concordato. Quindi chi presta denaro all’azienda in crisi con piano attestato si espone al rischio concorsuale futuro (anche se i contratti spesso prevedono rimborso anticipato se salta il piano).

Esempio pratico: La nostra azienda “Dadi&Co” ha debiti per 2 milioni: 1 milione con le banche, 500k con fornitori, 500k vari. Ha però ordini e un business che può tornare redditizio riducendo certi costi. Redige con un advisor un piano a 5 anni dove si prevede la cessione di un ramo d’azienda non strategico per incassare liquidità, l’ingresso di un investitore che mette 200k di equity nuova, e l’utilizzo di questi fondi per pagare cash al 50% i fornitori (che così riducono i crediti da 500k a 250k). Le banche accettano di spostare le scadenze dei mutui in coda (moratoria di 18 mesi e poi ripresa amortamento) e concedono nuove linee per capitale circolante di 100k. Un professionista assevera che il piano è ragionevole e che la riduzione dei debiti combinata con le azioni industriali farà sì che l’azienda paghi tutti i creditori (banche e fornitori transati) nei nuovi termini. Si formalizza tutto e si registra il piano. Gli atti esecutivi (es. pagamento del 50% ai fornitori) saranno protetti da revocatoria. I fornitori che hanno accettato firmano quietanza a saldo e stralcio. Le banche rinegoziano i contratti di mutuo. Risultato: se il piano viene rispettato, l’azienda esce dalla crisi senza passare dal tribunale. Se qualcosa andasse storto e l’azienda fallisse nel giro di 1 anno, i pagamenti fatti (fornitori 50%) resterebbero comunque efficaci e non revocabili, il che dà certezza a chi li ha presi.

In conclusione, il piano attestato è uno strumento raffinato di difesa del debitore: consente di mettere al riparo gli accordi pattuiti e instilla fiducia nei creditori grazie alla presenza di un attestatore indipendente che garantisce sulla bontà del piano. Va però considerato che richiede un onere documentale non indifferente (bisogna predisporre un piano analitico) e soprattutto funziona se c’è già un’intesa di massima con i creditori principali. Se questi ultimi non sono collaborativi, si dovrà passare a strumenti più coercitivi (accordi omologati o concordati).

Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021; art. 23 CCII)

La composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa è una procedura introdotta in via emergenziale nel 2021 e poi integrata stabilmente nel Codice della crisi. Si tratta di un percorso volontario, stragiudiziale ma vigilato, volto ad aiutare l’imprenditore in crisi o insolvenza a trovare un accordo con i creditori con l’ausilio di un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione. È uno strumento innovativo rispetto al passato, che mira alla “prevenzione” più che alla cura tardiva. Vediamone i tratti salienti:

  • Accesso e presupposti: Può accedere alla composizione negoziata qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, di qualunque dimensione (ditta individuale o società), purché si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali che sia ragionevolmente possibile il risanamento. Inizialmente la norma parlava di imprese “in situazione di crisi o insolvenza non ancora irreversibile”; il Correttivo 2024 ha esplicitato che anche l’impresa in stato di insolvenza può accedere , purché appunto vi siano prospettive di risanamento (anche parziale). Non ci sono soglie minime di debito per richiederla, anche se in pratica l’esperienza suggerisce che per imprese microscopiche lo strumento è meno utile. Ad oggi (2025) molte PMI vi hanno fatto ricorso. L’istanza si presenta tramite una piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio.
  • Nomina dell’esperto e ruolo: All’atto dell’istanza l’imprenditore carica informazioni economico-finanziarie e proposte iniziali di risanamento. Una commissione presso la Camera di Commercio nomina un esperto indipendente (spesso un commercialista o un avvocato con competenze in crisi, scelto da un apposito albo). L’esperto analizza la situazione e convoca l’imprenditore per comprendere la situazione. Egli fungerà da facilitatore delle trattative tra l’imprenditore e i creditori: convoca incontri, suggerisce soluzioni, modera le posizioni. Non ha poteri decisori, ma la sua figura “terza” aiuta a ristabilire la fiducia. Importante: l’imprenditore mantiene la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa durante la composizione negoziata, non c’è spossessamento . L’esperto può tuttavia segnalare atti pregiudizievoli (ad es. se l’imprenditore vuole pagare preferenzialmente un creditore, l’esperto può opporsi se non funzionale al risanamento ).
  • Misure protettive e cautelari: L’imprenditore, all’avvio o durante la procedura, può chiedere al Tribunale l’applicazione di misure protettive temporanee, in particolare il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio e di acquisire titoli di prelazione senza autorizzazione (di fatto uno stay generale come nel concordato) . Tali misure protettive, se richieste, durano inizialmente fino a 4 mesi e possono essere estese fino a 12 mesi in totale, con controllo periodico del giudice. La richiesta di misure protettive dev’essere pubblicata nel registro delle imprese e il tribunale fissa un’udienza (la riforma 2024 ha specificato modalità di notifica per avvisare tutti i creditori, data la potenziale pluralità) . Durante le misure protettive, i creditori soggetti al divieto non possono procedere con pignoramenti o cautelari; eventuali termini processuali di decadenza sono sospesi. Ciò offre all’imprenditore uno “spazio di respiro” per negoziare senza il fiato sul collo delle azioni esecutive. Va notato che questa protezione non è automatica: va richiesta e concessa dal giudice, che valuta se le trattative appaiono serie e non manifestamente inidonee. Inoltre, le misure possono essere revocate se emerge che l’imprenditore agisce in mala fede o le trattative non progrediscono. Dunque, c’è un controllo giudiziale di merito sulla loro permanenza.
  • Svolgimento delle trattative: Durante la composizione negoziata, l’esperto organizza incontri con i creditori o gruppi di essi. Viene redatta una sorta di diagnosi iniziale e poi un possibile piano di risanamento. Il percorso è volontario: i creditori non sono obbligati per legge a partecipare, ma spesso partecipano perché l’alternativa potrebbe essere peggiore (fallimento). Non c’è voto o maggioranza da raggiungere come in concordato; l’obiettivo è arrivare a un consenso contrattuale. In questa fase l’esperto vigila che l’impresa operi nell’ottica del risanamento (ad es. potrebbe suggerire all’imprenditore di rinunciare a contratti troppo onerosi, o di cedere asset non essenziali). Se l’esperto valuta che non ci sono prospettive ragionevoli di risanamento, può chiudere anticipatamente la procedura, comunicandolo all’imprenditore e alla Camera di Commercio (in altre parole, se i numeri indicano che non c’è soluzione, l’esperto non protrae inutilmente il negoziato) . Se invece ci sono possibilità, si va avanti.
  • Esito: possibili soluzioni: La composizione negoziata non si conclude con un atto unico predeterminato, ma può sfociare in vari risultati . L’art. 23 CCII elenca: 1) un contratto con uno o più creditori o terze parti che consenta la continuità aziendale per almeno 2 anni (ad es. un accordo di finanziamento o ristrutturazione del debito con banche, o un nuovo investimento di un socio terzo); 2) una convenzione di moratoria ex art. 62 CCII (ossia un accordo temporale con i creditori finanziari di non escutere per un certo periodo); 3) un accordo sottoscritto da imprenditore, creditori che aderiscono e dall’esperto, avente gli effetti di cui agli artt. 166, c.3, lett. d) e 324 CCII – sostanzialmente un accordo che può essere successivamente omologato come accordo di ristrutturazione dei debiti agevolato (art. 324 CCII riguarda l’estensione degli accordi ai creditori dissenzienti di una stessa categoria); 4) un piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII (di cui abbiamo parlato sopra); 5) la domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione (ADR) con percentuale ridotta di consenso al 60% anziché 75% se risulta dalla relazione finale dell’esperto – questo è un incentivo: se le trattative con l’esperto portano almeno al 60% di accordo, l’imprenditore può chiedere l’omologazione comunque (nuova figura introdotta dal D.L. 118/2021 e confermata: accordo di ristrutturazione “agevolato” con soglia 60% ); 6) la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (ex art. 25-sexies CCII) – se le trattative falliscono e non vi sono soluzioni in continuità, l’imprenditore può proporre al tribunale di omologare un concordato liquidatorio senza voto dei creditori, su proposta unilaterale (strumento residuale di cui diremo in seguito); 7) infine, in qualunque momento, l’imprenditore può optare per uno degli altri strumenti di regolazione della crisi previsti (concordato preventivo classico, liquidazione giudiziale, amministrazione straordinaria se grande impresa, ecc.) . In pratica, la composizione negoziata è un “incubatore di soluzioni”: se produce un accordo privato, bene; se serve un sigillo del tribunale, offre un passaggio facilitato verso accordi di ristrutturazione o concordati con iter più snello.
  • Novità 2024: accordo transattivo con il Fisco durante la composizione negoziata: Una grande innovazione introdotta dal D.Lgs. 136/2024 (Correttivo-ter) è la possibilità, nel corso delle trattative, di proporre alle Agenzie fiscali un accordo transattivo sui debiti tributari . In altre parole, anche all’interno di una composizione negoziata (che originariamente era totalmente stragiudiziale), ora l’imprenditore può negoziare con Agenzia Entrate e Agenzia Riscossione un pagamento parziale o dilazionato dei debiti fiscali, similmente alla transazione fiscale del concordato. La norma (art. 23, comma 2-bis CCII aggiunto) specifica che sono esclusi i tributi UE (IVA e dazi UE non si possono ridurre qui) e richiede che alla proposta sia allegata una relazione di un professionista indipendente che attesti la convenienza per il Fisco rispetto alla liquidazione giudiziale. L’accordo, se accettato dall’Agenzia, viene formalizzato e depositato in tribunale, producendo effetti con tale deposito . Questa è una svolta significativa: consente di coinvolgere il Fisco nelle trattative stragiudiziali, superando un limite pregresso. Va però notato che non è previsto il cram-down: se l’Agenzia Entrate non accetta l’accordo transattivo proposto, l’imprenditore non può forzarla in composizione negoziata . Dovrà allora ripiegare su concordato o accordo di ristrutturazione per cercare il cram-down. Inoltre, la norma del 2024 esclude espressamente i debiti previdenziali dall’ambito di questo accordo nella composizione negoziata : quindi l’INPS non può stralciare contributi in questa sede, dovendo eventualmente farlo in concordato. Nonostante questi limiti, la possibilità di una transazione fiscale negoziata è un’importante arma in più per il debitore, che può arrivare a un tavolo con il Fisco anche prima di essere in tribunale.
  • Conclusione della procedura e relazione finale: La composizione negoziata ha una durata variabile (in genere alcuni mesi, prorogabile di comune accordo delle parti e con assenso esperto, comunque non oltre 180+180 giorni salvo misure protettive pendenti) . Al termine, l’esperto redige una relazione finale in cui dà conto delle trattative e del loro esito. Se c’è un accordo, ne descrive i contenuti. La relazione finale va depositata al registro imprese e segna la conclusione formale. Se l’esito è negativo (nessuna intesa), l’imprenditore a quel punto dovrà valutare alternative (chiedere il concordato semplificato o altri strumenti, o magari nessuna procedura se nel frattempo la situazione è migliorata da sola, ipotesi rara).

Vantaggi per il debitore: La composizione negoziata consente di confrontarsi con i creditori su un terreno meno conflittuale, sotto l’egida di un esperto che mira a far emergere soluzioni win-win. Durante la procedura, l’imprenditore mantiene il controllo dell’azienda (non c’è curatore né commissario, salvo il giudice possa nominare un ausiliario per certi atti se serve). Inoltre, il procedimento è riservato fino all’eventuale pubblicazione delle misure protettive: non c’è pubblicità automatica, il che tutela la reputazione (volendo, si può tentare di negoziare senza far trapelare all’esterno la crisi). L’assenza di formalismi giudiziari rende il percorso flessibile e rapido se tutti collaborano. Vi sono poi incentivi legali: come visto, riduzione di interessi e sanzioni fiscali durante il periodo , e anche alcune protezioni in caso di successiva procedura (ad es., i finanziamenti autorizzati dal giudice durante la composizione negoziata godono di prededuzione nelle eventuali procedure concorsuali successive ).

Svantaggi/limiti: La composizione negoziata non garantisce il risultato – è un tentativo. Non c’è garanzia che i creditori aderiscano o che una soluzione venga trovata. Se i creditori sono molti e litigiosi, l’esperto può fare poco oltre a proporre. Inoltre, se l’azienda è troppo insolvente (flussi negativi e nessuna risorsa nuova all’orizzonte), l’esperto potrebbe concludere subito che non c’è ragionevole prospettiva e chiudere la procedura . Quindi non è una panacea: è un ottimo strumento per casi in cui c’è ancora qualcosa da salvare (una continuità potenziale, degli asset vendibili, investitori interessati) ma serve tempo e coordinamento. Dal lato dei creditori, va detto che le misure protettive bloccano le azioni per un periodo relativamente breve rispetto a un concordato (massimo qualche mese, salvo estensioni), e comunque i creditori possono chiedere la revoca se intravedono pregiudizio.

Esempio: La nostra azienda “Dadi & Co” ha debiti estesi con vari fornitori e banche. Teme di non poter pagare tutti e di subire istanze di fallimento. Decide di accedere alla composizione negoziata. Viene nominato un esperto. L’azienda richiede subito le misure protettive per fermare un paio di decreti ingiuntivi in arrivo: il tribunale le concede, bloccando temporaneamente ogni azione. L’esperto analizza i conti, vede che l’azienda potrebbe risollevarsi se ottiene uno sconto sui debiti fornitori e una nuova linea di credito per le materie prime. Organizza un incontro con i 5 fornitori principali: propone loro, a nome dell’azienda, di accettare il 60% del credito pagato in 12 mesi, e spiega che in caso di fallimento prenderebbero forse 20%. I fornitori trattano e con l’aiuto dell’esperto si raggiunge un accordo al 70% in 18 mesi, firmato da tutti e dall’esperto. Nel contempo, l’esperto con l’imprenditore incontrano la banca principale e la banca si dice disposta a dare un piccolo nuovo finanziamento di liquidità se i soci apportano un aumento di capitale di importo equivalente. I soci accettano di mettere soldi freschi perché vedono che i fornitori hanno fatto lo sconto. La Agenzia delle Entrate viene coinvolta perché c’è un debito IVA di 100k: grazie alla nuova norma, l’imprenditore propone in piattaforma un accordo per pagare 50k di IVA in 5 anni, allegando relazione di un commercialista che certifica che in fallimento l’Erario prenderebbe zero. L’Agenzia, dopo analisi interna, accetta (ipotizziamo). Si formalizza così un accordo di ristrutturazione su base volontaria che coinvolge gran parte dei creditori. L’esperto conclude che c’è un contratto idoneo a garantire la continuità per almeno 2 anni (l’azienda può proseguire). Il tutto viene messo per iscritto come accordo ex art. 23 co.1 CCII e depositato in tribunale per gli effetti (nel caso del Fisco, serve deposito per efficacia). A questo punto la composizione negoziata termina con esito positivo: l’azienda ha evitato il fallimento e il concordato, ha ridotto i debiti e ottenuto nuova finanza, e continua l’attività.

Se invece nessuno sconto fosse stato accordato, l’azienda potrebbe – prima che scadano le misure protettive – presentare magari un concordato preventivo (utilizzando le informazioni raccolte durante le trattative) oppure, se proprio non c’è soluzione, optare per il concordato semplificato liquidatorio (cedendo i beni e chiudendo comunque in modo ordinato).

In ogni caso, la composizione negoziata rappresenta oggi uno strumento centrale per difendere il debitore avviato alla crisi: gli offre un periodo di relativa calma e l’assistenza di un terzo esperto per costruire una soluzione concordata. È quindi altamente consigliabile, per un imprenditore di buona volontà ma in difficoltà, valutare questo percorso appena la crisi si manifesta, anche per dimostrare di aver fatto il possibile (in un eventuale successivo fallimento, aver tentato la composizione negoziata può costituire un elemento a favore dell’esdebitazione e della non colpevolezza del fallito).

Accordi di ristrutturazione dei debiti omologati (artt. 57-64 CCII)

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) sono un ibrido tra soluzione negoziale e procedura concorsuale. Si tratta di accordi privati tra il debitore e una parte consistente dei creditori, che però vengono sottoposti all’omologazione del tribunale per acquisire efficacia verso tutti (pur non coinvolgendo forzosamente i dissenzienti, salvo eccezioni). Sono disciplinati dagli artt. 57 e seguenti CCII (eredi del vecchio art. 182-bis l.f.).

Elementi principali:

  • Soglia di adesione: Per poter chiedere l’omologazione, l’accordo deve essere sottoscritto da creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti (percentuale abbassata dal CCII rispetto al 75% della vecchia legge) . I creditori esclusi dall’accordo vanno pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologazione (se già scaduti) o dalla scadenza (se successiva), salvo che il tribunale conceda misure protettive come in concordato anche rispetto a loro. In pratica, l’accordo vincola solo i aderenti, ma se ottieni l’ok di almeno il 60%, puoi depositarlo e ottenere omologa; i non aderenti restano fuori ma devi comunque onorarli regolarmente (o integrarli in un successivo concordato in caso di difficoltà).
  • Procedimento: L’imprenditore presenta al tribunale l’accordo firmato con i creditori aderenti, accompagnato da una relazione di un esperto attestatore sull’idoneità dell’accordo ad assicurare il pagamento dei creditori estranei e sull’attuabilità. Il tribunale, verificati requisiti formali e sostanziali (equilibrio dell’accordo, assenza di frodi, ecc.), omologa l’accordo con decreto. Non c’è un voto come nel concordato, perché le adesioni sono già raccolte fuori.
  • Effetti dell’omologa: L’accordo omologato ha efficacia contrattuale tra le parti aderenti, consolidata dal decreto. I creditori aderenti non possono agire in difformità dall’accordo; l’omologa consente eventuali esecuzioni specifiche se qualcuno non rispetta (ma in genere è il debitore che doveva fare qualcosa). Un effetto importante inserito dalle riforme è la possibilità del cram-down fiscale e previdenziale: se tra i creditori aderenti vi sono Fisco o enti previdenziali che non hanno formalmente aderito, il tribunale può omologare l’accordo (rendendolo efficace anche per quei creditori pubblici) purché ricevano almeno il valore di liquidazione e abbiano avuto occasione di partecipare alle trattative . La Legge n.69/2023 ha imposto che per ottenere l’omologa forzata sui creditori pubblici dissenzienti il piano debba prevedere il pagamento di almeno il 30% dei loro crediti (40% se si chiede dilazione fino a 10 anni) . Quindi oggi l’accordo di ristrutturazione consente di includere il Fisco a certe condizioni anche senza la sua esplicita adesione.
  • Varanti speciali: Il CCII prevede alcune varianti: l’accordo ad efficacia estesa ai creditori finanziari dissenzienti (se vi aderiscono il 75% delle banche e il piano è attestato idoneo, l’omologazione lo estende anche a banche non firmatarie, cram-down settoriale). Inoltre, esiste l’accordo agevolato con soglia al 30% dei creditori (previsto dal DL 118/21, art. 61 CCII): se si raggiunge almeno il 30% e l’esperto nella composizione negoziata certifica che l’accordo conviene ai creditori, il debitore può chiedere l’omologa. Questa è una novità che facilita accordi anche con minoranze, ma solo in casi particolari e con giustificazione (praticamente mai usata finora, è stata pensata per salvare PMI con pochi creditori ma frammentati).
  • Misure protettive e gestorie: Il debitore che intende stipulare un ARD può chiedere al tribunale misure protettive analoghe a quelle del concordato (blocco delle azioni esecutive) già nella fase delle trattative, depositando una domanda prenotativa di accordo con uno schema di piano. Il Correttivo 2024 ha introdotto una flessibilità: se il debitore deposita domanda con riserva di concordato ma allega già un progetto di accordo di ristrutturazione, può chiedere di escludere gli effetti tipici negativi della domanda di concordato (come il divieto di pagare debiti anteriori), così da gestire meglio l’impresa durante la composizione dell’accordo . Ciò evita che l’accesso “prenotativo” blocchi attività ordinarie in attesa di formalizzare l’accordo.

In sintesi, per il debitore l’accordo di ristrutturazione è utile quando: – Ha già convinto una larga parte dei creditori (60%+) a un certo piano, ma vuole rendere l’accordo più “sicuro” dandogli forza di legge (ad es. per evitare che qualche creditore poi receda o un nuovo creditore pignori: infatti con l’omologa, per 60 giorni è vietato iniziare azioni esecutive anche dai non aderenti e l’accordo omologato può costituire titolo esecutivo per pretenderne l’osservanza). – Vuole includere nella ristrutturazione il Fisco/INPS senza fare un concordato: se li paga almeno al 30% e offre almeno il valore di liquidazione, può ottenere l’omologa nonostante il loro dissenso . – Ha meno impatto reputazionale di un concordato, perché formalmente non è un’insolvenza giudiziale, ma un accordo volontario (anche se pubblicato). In genere, le imprese preferiscono ARD se hanno pochi creditori consenzienti e magari qualcuno estraneo che pagheranno comunque. – Una differenza dal piano attestato: qui c’è un controllo giudiziale e un effetto di esdebitazione parziale (i creditori aderenti accettano riduzioni) sotto l’ombrello del tribunale. Questo offre più garanzie di tenuta rispetto a un piano solo attestato.

Limiti: Non vincola i non aderenti (salvo i casi di estensione su finanziari o sul Fisco se condizioni rispettate). Quindi, se rimane fuori un 40% di creditori qualunque (es. fornitori piccoli), l’impresa deve essere in grado di pagare integralmente costoro nei termini di legge, altrimenti quell’accordo non sarà sostenibile e rischierà poi un default successivo. Per questo, gli ARD spesso preludono a concordati se c’è una massa di estranei: a volte fanno accordo con banche (che hanno 70% del debito) e poi chiedono concordato minore per falcidiare i piccoli creditori. Un altro punto: durante la trattativa per l’accordo non c’è marcia forzata a tutti, quindi serve convincere la soglia qualificata – questa contrattazione può essere faticosa e soggetta a opportunismi (ad es. un creditore con 41% del debito potrebbe fare ostruzionismo per ottenere di più, sapendo che serve almeno lui più altri per arrivare al 60%…).

Esempio scenario: L’azienda Dadi&Co ha 5 banche con esposizioni per il 65% del debito totale, e 50 fornitori col 35%. Trova un’intesa con tutte le banche: convertiranno gli scoperti in un mutuo a 7 anni, tagliando gli interessi, e rinunciano a 10% del capitale. I fornitori invece l’azienda vuole pagarli integralmente ma a 120 giorni oltre il termine. Si tratta un accordo: le banche firmano formalmente, i fornitori non firmano (non serve, verranno pagati normale). L’azienda deposita l’accordo di ristrutturazione con adesione 65%. L’attestatore dichiara che l’accordo è fattibile e che i fornitori (estranei) saranno pagati regolarmente secondo i termini (120 gg). Il tribunale omologa l’accordo. Le banche da quel momento sono vincolate al nuovo piano di ammortamento; i fornitori devono essere pagati come promesso (se no potrebbero agire, ma supponiamo la liquidità c’è). La crisi si risolve senza toccare formalmente i fornitori e con l’intervento pubblico solo a convalida. Un creditore fornitore che volesse agire esecutivamente magari ha atteso e ora riceve il pagamento come da piano (entro 120 gg dall’omologa). L’azienda esce dall’accordo alleggerita (banche hanno rinunciato al 10% e abbassato interessi) e liquida i fornitori nei nuovi termini. Differenza se non avesse fatto accordo omologato: qualunque fornitore poteva prima pignorarla mentre trattava con banche; con la procedura, ha potuto ottenere misure protettive durante la trattativa e poi il decreto di omologa che per 60 giorni ha impedito azioni.

Transazione fiscale e contributiva

La transazione fiscale merita un approfondimento dedicato, in quanto strumento trasversale che può inserirsi sia in procedure concorsuali (concordato preventivo, accordo di ristrutturazione) sia, come visto, ora perfino nelle trattative stragiudiziali assistite (composizione negoziata). Consiste, in sostanza, nella possibilità per il debitore di proporre all’Erario (Agenzia Entrate, Agenzia Riscossione) e agli enti previdenziali un pagamento parziale e/o dilazionato dei tributi e contributi dovuti, in deroga al principio che tali crediti debbano essere soddisfatti integralmente. È un istituto di fondamentale importanza quando l’azienda ha forti debiti fiscali/previdenziali che renderebbero impossibile un risanamento senza un abbattimento di queste pretese.

Evoluzione normativa: In passato (L. 3/2012) le procedure di sovraindebitamento vietavano qualsiasi falcidia su IVA e ritenute, obbligando al pagamento integrale . Questo creava un ostacolo spesso insormontabile. La Corte Costituzionale, con sentenza n.245/2019, ha dichiarato illegittimo il divieto di falcidia dell’IVA per i debitori non fallibili, riconoscendo che anche l’IVA può essere ridotta se ciò offre ai creditori pubblici un vantaggio maggiore della liquidazione . Nel frattempo, per le imprese fallibili esisteva dal 2006 l’art. 182-ter l.fall. che consentiva nel concordato preventivo di proporre il pagamento parziale di tributi e contributi, ma solo se veniva garantito almeno il valore ricavabile dalla liquidazione (cosiddetto test di convenienza per il Fisco). La Legge di Bilancio 2021 (L.178/2020) ha integrato queste norme portandole poi nel CCII all’art. 88, estendendo la transazione fiscale anche al concordato in continuità e non solo liquidatorio, richiedendo comunque un trattamento non inferiore a quello che il Fisco avrebbe in caso di fallimento . Successivamente, col D.L. 118/2021 e Legge 147/2021, è stato confermato che anche nel concordato semplificato post-composizione negoziata il debitore può inserire la transazione fiscale.

Recenti norme del 2023 hanno affinato i criteri: il D.L. 69/2023 (conv. L.103/2023) ha previsto soglie minime di soddisfazione per il cram-down fiscale negli accordi di ristrutturazione, come già menzionato (30%-40%) , e la Legge di Bilancio 2024 (L.197/2023, art. 4-quinquies) ha stabilito che per sconti molto rilevanti (oltre 70% di abbattimento su debito >30 mln) l’Agenzia Entrate debba avere un parere conforme vincolante di un organo interno di tutela del credito . Ciò per assicurare che non vi siano arbitrii nel concedere forti stralci. Infine, come già spiegato, il D.Lgs. 136/2024 ha portato la transazione fiscale anche nella composizione negoziata (art. 23 c.2-bis CCII) .

Condizioni per la transazione: L’imprenditore deve presentare una proposta motivata alle Agenzie fiscali (Agenzia Entrate per imposte dirette/IVA; Agenzia Riscossione per ruoli; Agenzia Dogane per accise se del caso) e all’INPS, allegando: – Un piano con l’indicazione di quanto intende pagare (ad esempio: 100% dell’IVA, 50% delle sanzioni e interessi, oppure 30% dell’intero debito IVA dilazionato in 5 anni…). – Una relazione di un attestatore indipendente che certifichi che la proposta è più conveniente per il Fisco/INPS rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale . Questo “test di convenienza” è fondamentale: il giudice in fase di omologa lo valuterà per eventualmente forzare l’approvazione in caso di voto contrario delle Entrate. – (Nel concordato preventivo) l’indicazione nominativa dei tributi che si intendono falcidiare. Alcuni tributi non sono falcidiabili nel solo piano del consumatore (rispettando la sentenza Corte Cost. 245/2019, oggi di fatto anche IVA può essere falcidiata in concordato e accordi perché il Codice lo consente espressamente recependo l’illegittimità costituzionale).

La transazione fiscale, una volta approvata, comporta che il debito erariale viene modificato secondo i termini concordati. In caso di omologa non consensuale, il giudice “approva” il piano anche senza l’adesione formale dell’Agenzia, vincolandola comunque. Questo cram-down sul Fisco e sull’INPS è una delle innovazioni più forti del CCII, per evitare che il diniego di un creditore pubblico (magari per rigidità burocratiche) faccia naufragare piani vantaggiosi per tutti . La Cassazione in passato aveva posizioni alterne sulla possibilità di omologare il concordato con voto contrario del Fisco; ora la legge lo consente espressamente, e il Correttivo 2024 ha risolto dubbi chiarendo che nel concordato in continuità il giudice può omologare anche con classi pubbliche dissenzienti, computandole nel calcolo delle maggioranze salvo che siano l’unica classe maltrattata . Insomma, il voto negativo del Fisco non ha potere di veto se il piano è conveniente.

Cosa può essere falcidiato? Imposte come IRPEF, IRES, IRAP, contributi previdenziali e anche l’IVA (dopo l’intervento Corte Cost) possono essere ridotti nell’importo. Le sanzioni possono essere ridotte anche fino a zero (tanto che la legge 2021 diceva che nel concordato le sanzioni tributarie sono trattate come chirografe falcidiabili liberamente). Gli interessi pure, spesso vengono abbuonati o abbassati. Ciò che non si può falcidiare nemmeno nei concordati sono i debiti per risorse UE (dazi doganali, quote latte, ecc. considerati risorse proprie dell’Unione) e, nelle procedure semplificate per sovraindebitamento (concordato minore/consumatore semplificato), la normativa esclude la transazione (come vedremo, in concordato semplificato e concordato del consumatore non si può stralciare tributi: si può solo dilazionarli, volendo) .

Effetto per il debitore: La transazione fiscale è spesso l’elemento chiave del piano di risanamento. Ad esempio, se l’azienda ha €1 milione di debiti, di cui €200k di IVA e €100k di INPS, un concordato potrebbe offrire di pagare €100k di IVA (50%) e €50k di INPS (50%), liberandosi di €150k complessivi di oneri pubblici. Senza transazione, quei €300k sarebbero intoccabili, costringendo magari a liquidare l’impresa. Per i creditori privati, controintuitivamente, falcidiare il Fisco è conveniente perché libera risorse per pagare qualcosa anche a loro (il Fisco non sottrae tutto con privilegio). Non a caso, c’è stata sempre tensione su questo punto, ma la giurisprudenza ha ormai accettato che meglio incassare il 50% in concordato che lo 0% in fallimento (questo il succo del ragionamento di convenienza).

Obblighi di motivazione dell’Agenzia: Quando il Fisco vota contrario in un concordato, deve motivare le ragioni (per evitare arbitri). L’Agenzia Entrate ha adottato criteri interni (Provvedimento 29/1/2024 n.21447) stabilendo che decisioni su transazioni di importo rilevante siano prese a livello centrale con parere di un ufficio apposito, specie se lo sconto supera il 70% . Ciò serve ad uniformare la prassi ed evitare disparità territoriali.

Sovraindebitamento (piccoli debitori): Anche i piccoli debitori possono proporre la transazione fiscale nel concordato minore o nel piano del consumatore. In tali casi, dopo Corte Cost 2019, anche IVA e ritenute possono essere ridotte se il piano lo giustifica. Per il piano del consumatore la Cassazione ha recentemente ribadito che pure il fideiussore non “consumatore” non può accedervi , ma un consumatore vero può proporre falcidia di IVA se il soddisfacimento è migliore che in liquidazione .

Limiti pratici: Il debitore deve comunque offrire qualcosa di significativo al Fisco, non può pensare di azzerare i debiti pubblici senza causa. Il 30% minimo negli accordi e di fatto analoghe valutazioni nei concordati fanno sì che la transazione fiscale sia un dare-avere: il debitore fornisce evidenza di tutti i suoi asset e cash flow e mostra che sta offrendo il massimo sostenibile. Se emergesse che nasconde ricchezze, l’Agenzia negerebbe l’accordo.

Conclusione sulla transazione: È uno strumento di difesa fondamentale per l’azienda indebitata verso l’Erario. Senza di esso, molti concordati e accordi fallirebbero (perché sarebbe insostenibile pagare al 100% il Fisco mentre altri prendono percentuali minori). D’altro canto, per i creditori pubblici è un male necessario accettare riduzioni in ottica di realismo economico. La normativa attuale trova un equilibrio imponendo soglie e controlli, ma consentendo l’abbattimento del debito fiscale quando strettamente necessario e conveniente .

Nel prosieguo, quando tratteremo del concordato preventivo e delle altre procedure, vedremo in concreto come la transazione fiscale si inserisce.

Possiamo ora passare alle procedure giudiziali concorsuali, che sono l’altro grande arsenale di difesa dell’impresa indebitata – difesa non nel senso di sottrarsi ai debiti, ma di gestirli sotto controllo dell’autorità giudiziaria, ottenendo spesso una esdebitazione parziale legalmente sancita e una ripartenza o una liquidazione ordinata.

Procedure concorsuali giudiziali: concordati e liquidazioni

Quando la crisi è più grave o quando gli accordi stragiudiziali non sono attuabili, l’imprenditore (o a volte i creditori stessi) può ricorrere alle procedure concorsuali, ossia a quegli strumenti previsti dalla legge che implicano l’intervento del tribunale e che regolano in modo vincolante la posizione di tutti i creditori secondo regole di parità di trattamento. Dal punto di vista del debitore, avviare una procedura concorsuale può sembrare un passo drastico, ma spesso è il modo più efficace per proteggersi dal caos delle esecuzioni individuali e per ottenere, a certe condizioni, la definitiva liberazione da una parte dei debiti (fresh start). Di seguito esamineremo: il concordato preventivo (nelle sue varianti in continuità e liquidatorio), il concordato “minore” (per i debitori non fallibili), la liquidazione giudiziale (ex fallimento) e la liquidazione controllata (ex liquidazione del patrimonio, per sovraindebitati), nonché il concordato semplificato post-negotiation e altre peculiarità. Tratteremo inoltre brevemente l’istituto dell’esdebitazione del debitore a seguito della liquidazione.

Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII)

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale mediante la quale un debitore in crisi o insolvente propone ai creditori un piano per la ristrutturazione dei debiti e il soddisfacimento (anche parziale) delle loro ragioni, secondo tempi e modi stabiliti, al fine di evitare la liquidazione giudiziale e possibilmente consentire la continuazione dell’attività. Si chiama “preventivo” proprio perché mira a prevenire il fallimento tramite un accordo omologato con i creditori. È, per così dire, la principale via d’uscita concorsuale per le imprese medio-grandi indebitate.

Tipologie di concordato: Il CCII distingue principalmente due forme: – Il concordato in continuità aziendale (diretta o indiretta), dove l’impresa (o una sua parte) prosegue l’attività, generando flussi che andranno a beneficio dei creditori nel tempo. – Il concordato liquidatorio, in cui l’azienda cessa l’attività e l’obiettivo è liquidare il patrimonio e distribuire il ricavato ai creditori in modo ordinato (magari con qualche elemento migliorativo rispetto a una liquidazione fallimentare classica, come l’apporto di risorse esterne dei soci).

Questa distinzione è cruciale perché la legge pone requisiti diversi: – Nel concordato liquidatorio puro, per evitare abusi (dove il debitore usava il concordato solo per diluire il fallimento), il legislatore ha introdotto paletti: si richiede un soddisfacimento minimo dei chirografari del 20% e un apporto di finanza esterna (o risorse) pari ad almeno il 10% dell’attivo a beneficio dei creditori . Queste condizioni (introdotte dal D.Lgs. 83/2022) rendono il concordato liquidatorio più oneroso da proporre, spingendo i debitori a preferire concordati con elementi di continuità. – Nel concordato in continuità, invece, non c’è una percentuale minima prestabilita per i chirografari, ma si deve dimostrare che la proposta è vantaggiosa per i creditori non solo in termini meramente percentuali rispetto alla liquidazione, ma anche come valore generato dalla prosecuzione aziendale (es. mantenere rapporti contrattuali, evitare costi di dismissione) . In pratica, deve emergere che la continuità offre un plus ai creditori rispetto a chiudere baracca e vendere tutto. Questa valutazione è più qualitativa: utilità specifiche come la preservazione di posti di lavoro, contratti, avviamento, possono giustificare un concordato in continuità anche se la percentuale pagata ai chirografari non è alta, purché comunque superiore a quanto avrebbero in liquidazione e con prospettive di successo concrete.

Iter procedurale in breve: 1. Domanda di concordato: Il debitore presenta ricorso al tribunale competente contenente la proposta, il piano, la documentazione (bilanci, elenco creditori, elenco beni, ecc.) e la relazione giurata di un attestatore indipendente che assevera la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano (sia economica che giuridica). In alternativa può presentare una domanda “con riserva” (concordato in bianco) annunciando l’intenzione di proporre concordato e depositando solo documentazione di base, ottenendo un termine (120 giorni prorogabili a 180) per presentare poi il piano definitivo . Durante questo intervallo, il debitore gode già delle misure protettive (stop ai creditori) però, di regola, non può compiere atti di straordinaria amministrazione né pagare creditori anteriori senza autorizzazione del tribunale (salvo la flessibilità introdotta dal correttivo se intende poi fare un accordo o un PRO invece del concordato) . 2. Ammissibilità ed apertura: Il tribunale valuta preliminarmente la completezza e la regolarità della proposta. Se la ritiene ammissibile (non ci sono cause di inammissibilità, il piano copre almeno le soglie di legge se liquidatorio, ecc.), emette decreto di apertura del concordato preventivo, nominando un giudice delegato e un commissario giudiziale (figura di vigilanza, di solito un professionista) e convocando l’assemblea dei creditori per il voto (nel termine di 120-180 giorni). Da questo momento: a) i creditori anteriori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive né acquisire ipoteche (divieto ex lege), b) il debitore resta in possesso dell’impresa (non c’è spossessamento) ma la gestione è in sorveglianza del commissario e gli atti di straordinaria amministrazione richiedono autorizzazione del giudice, c) i contratti pendenti proseguono, salvo facoltà del debitore di scioglierli o sospenderli con autorizzazione (art. 94 CCII, è possibile se utili al piano), d) i creditori privilegiati non possono escutere le garanzie se non nei limiti della procedura. In un concordato in continuità, il debitore può continuare l’attività corrente sotto vigilanza; in uno liquidatorio, di fatto prepara la liquidazione. 3. Classi e voto dei creditori: Il debitore deve aver suddiviso i creditori in classi se vi sono posizioni giuridiche differenti (obbligatorio classare i creditori privilegiati degradati a chirografo, e i piccoli creditori fornitori secondo nuovi parametri dal 2024 ). Ogni classe vota separatamente sulla proposta. Hanno diritto di voto i creditori chirografari e i privilegiati per la parte non coperta dal privilegio (il resto è soddisfatto integralmente quindi non votano per quella parte). Anche l’Erario e INPS votano per l’ammontare falcidiato e devono motivare l’eventuale voto contrario . La maggioranza richiesta è la maggioranza dei crediti ammessi al voto (calcolata in percentuale di valore). Se ci sono classi, serve il sì della maggioranza delle classi (come numero) e, all’interno, delle maggioranze di crediti in esse. Se la maggioranza non si raggiunge ma almeno una classe ha votato a favore, è possibile chiedere l’omologazione nonostante il dissenso delle altre (il cosiddetto cram-down trasversale o omologazione forzata) purché la classe dissenziente sia trattata equamente e non riceva meno di quanto le spetterebbe per legge (principio di priorità relativa, in vigore dal 2022). Il correttivo 2024 ha esplicitato che se nessuna maggioranza di classi è raggiunta, è sufficiente il voto favorevole di una sola classe “maltrattata” (cioè non integralmente pagata) che abbia un trattamento migliore rispetto alla liquidazione secondo i privilegi, per poter omologare ugualmente . Ciò conferma l’orientamento che la golden class unica favorevole può bastare a salvare il concordato, se le altre dissentono senza pregiudizio di priority (c.d. “concordato con golden class” notizia del 17/11/2025 ). 4. Omologazione: Se i creditori approvano la proposta (o anche se non approvano formalmente ma sussistono i presupposti per forzare l’omologa), il tribunale procede all’omologazione con sentenza (o decreto). In questa fase possono esserci opposizioni di creditori dissenzienti o terzi (es. soci), ma il tribunale, valutato che il piano è conforme a legge (soddisfa il test di convenienza e priorità, eventuali contestazioni su crediti risolte), emette il provvedimento di omologa. Da quel momento il concordato diviene vincolante per tutti i creditori anteriori (anche quelli che non hanno votato o votato no, purché appartenenti a classi non illegittimamente discriminate). 5. Esecuzione del piano: Si passa quindi alla fase esecutiva: se è un concordato in continuità, l’imprenditore continua a gestire e paga i creditori secondo le scadenze previste (il commissario spesso diviene commissario/ausiliario per vigilare sull’adempimento). Se è liquidatorio, si procede alle vendite dei beni: il CCII prevede che nel concordato in continuità possano comunque esserci liquidazioni di beni, e il correttivo 2024 ha regolato che in tal caso il tribunale nomini uno o più liquidatori per vendere quei beni con criteri di trasparenza, e che a vendita avvenuta si possa cancellare le ipoteche su ordine giudice . Nel concordato invece interamente liquidatorio, di solito il piano nomina un liquidatore che, sotto la vigilanza del commissario/giudice, smantella il patrimonio e ripartisce l’attivo secondo le regole (spesso con l’ausilio di un comitato creditori nominato in omologa). 6. Chiusura ed esdebitazione: Una volta eseguito il piano (ossia effettuati i pagamenti promessi, o comunque realizzate le azioni previste), il tribunale dichiara chiuso il concordato. A quel punto, il debitore è definitivamente liberato dai debiti pregressi per la parte eccedente quanto pagato secondo il piano (fresh start per la quota stralciata). Se però il debitore non adempie al piano, i creditori potranno chiedere la risoluzione del concordato e, di solito, si aprirà la liquidazione giudiziale.

Vantaggi del concordato per il debitore:Sospensione delle azioni: come detto, appena presentata domanda (soprattutto con misure protettive o in bianco) si blocca l’aggressione dei creditori . Il patrimonio viene “cristallizzato” alla data di apertura: i creditori non possono pignorare né ottenere privilegi oltre quella data (stop alle ipoteche giudiziali). – Continuità protetta: Nel concordato in continuità, l’impresa può continuare a operare, e i contratti essenziali non possono essere risolti per il solo fatto del concordato (clausole di “ipso facto” vietate). Anzi, il debitore può ottenere autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili per sostenere l’attività in esercizio (art. 99 CCII), con privilegio di rimborso se poi le cose andassero male . – Gestione del personale: Il concordato non risolve automaticamente i contratti di lavoro. In continuità, i dipendenti restano in forza; se vi è esubero, il debitore può ricorrere a strumenti di CIGS per concordato o prevedere licenziamenti collettivi con procedure semplificate. Se vi è cessione d’azienda in concordato, vige l’art. 368 CCII che consente di trasferire i dipendenti senza l’art.2112 c.c. in caso di autorizzazione, ma in continuità di solito li mantiene. Il correttivo 2024 ha semplificato la disciplina per il curatore nella eventuale successiva liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro pendenti . – Riduzione debiti e transazioni: il debitore può tagliare (stralciare) parte dei debiti chirografari. Ad esempio, potrebbe proporre di pagare il 30% ai fornitori in 2 anni. Può altresì rinegoziare condizioni: ad esempio, convertire debiti in strumenti partecipativi, offrire ai creditori opzioni come equity in cambio del credito (nel concordato con ristrutturazione societaria, i creditori possono diventare soci, con le tutele di legge). Anche i crediti privilegiati possono essere ristrutturati: se un bene che li garantisce viene venduto, loro prendono fino a capienza e l’eventuale parte eccedente diventa chirografa e può essere ridotta. – Protezione del debitore da azioni revocatorie e penali: l’apertura del concordato segna uno spartiacque temporale: i pagamenti e atti posti in essere nel corso della procedura, se autorizzati, non saranno soggetti a revocatoria in caso di successivo fallimento (c’è il principio della consecuzione di procedure che considera unica la procedura se dal concordato si passa a liquidazione, e comunque molti atti in esecuzione del concordato sono esenti da revocatoria ex art. 166 CCII) . Sul piano penale, l’omologazione del concordato evita la dichiarazione di fallimento, quindi i reati di bancarotta non scattano (nessun fallimento, nessuna bancarotta; restano eventuali reati commessi prima – es. frode fiscale – ma non c’è bancarotta fraudolenta se l’azienda non fallisce mai). – Margini di flessibilità: L’iter concordatario consente anche modifiche in corsa: se durante la procedura il debitore migliora l’offerta può presentare modifiche alla proposta (anche su sollecitazione di creditori) con nuova attestazione e dando tempo ai creditori di opporsi . Ciò evita di dover far fallire tutto se c’è spazio per migliorare la proposta e convincere i dissenzienti. – Interventi di terzi (“assuntori”): È possibile che un terzo soggetto si proponga di assumere il concordato, cioè rilevare l’azienda o pagarne i creditori secondo proposta. Spesso investitori esterni partecipano offrendo risorse (tipicamente, un fondo propone: pago il 40% ai creditori, rilevo l’azienda pulita dai debiti). In tal caso il piano prevede il trasferimento dei beni all’assuntore. Il CCII prevede che se un piano concordatario prevede la cessione dell’azienda a un assuntore, non è obbligatorio esperire procedure competitive di vendita per l’azienda medesima (questo è stato dibattuto ma la prassi ora conferma che la cessione in concordato a terzo scelto dal debitore è lecita, senza asta, se così prevede il piano omologato) . Questo incentiva investitori a farsi avanti senza il timore di essere rilanciati in asta (anche se comunque il tribunale valuta la convenienza dell’offerta).

Svantaggi o oneri del concordato:Costi e tempi: È una procedura complessa e costosa: vi sono spese di giustizia, compensi del commissario, eventuali esperti, oltre al costo dell’attestatore (già notevole). Inoltre, dal deposito all’omologa passano in media 6-12 mesi. Non tutte le imprese reggono così a lungo se la crisi è acuta, sebbene il beneficio del blocco azioni aiuti. – Perdita di autonomia: Pur restando in possesso, l’imprenditore è sotto la lente: non può compiere atti rilevanti senza permesso. Di fatto, “amministra” insieme al commissario e sotto la supervisione del giudice delegato. Questo è uno scotto da pagare per la tutela offerta. – Stigma e pubblicità: L’apertura della procedura e l’omologazione sono iscritte al Registro Imprese e pubblicate. Fornitori, clienti e concorrenti verranno a saperlo (spesso con impatto sulla fiducia di mercato). In alcune filiere, il concordato comporta la perdita di certificazioni o contratti (es. commesse pubbliche, benché il Codice Appalti attuale consenta la prosecuzione se in continuità). Dunque, c’è un danno reputazionale inevitabile. – Rischio di esito negativo: Se i creditori non approvano o il tribunale non omologa (ad es. perché giudica il piano non fattibile o la proposta troppo bassa), l’esito è tipicamente la dichiarazione di liquidazione giudiziale (fallimento). Il CCII permette in alcuni casi di passare a liquidazione “in continuità” su proposta del tribunale stesso (come scenario alternativo), ma in generale il fallimento è dietro l’angolo se il concordato fallisce. Quindi la scelta del concordato è un po’ all-in: va preparato bene perché un errore porta al default totale. – Vincoli di legge su trattamento creditori: L’imprenditore non può discriminare arbitrariamente: deve rispettare il rango dei privilegi (non può dare ai chirografari più che ai privilegiati salvo consenso di questi a ridursi). Ad esempio, se c’è un ipotecario su immobile, a quello devi destinare il valore di perizia di quell’immobile (o se gliene dai meno, quell’eccedenza diviene chirografa che vota). Regole complicate, ma in sostanza limitano la libertà di modulare i pagamenti: i privilegiati o li paghi per intero o devi degradare la parte incapiente e farla votare. Inoltre, gli eventuali nuovi apporti dei soci devono andare a beneficio di tutti i creditori (non più possibilità di riservare valore ai soci se non in limitate condizioni con rigidi criteri – art. 120-quater CCII, modificato dal correttivo per definire come valutare il valore riservato ai soci e in quali casi è ammesso in presenza di classi dissenzienti) . Il tribunale sta molto attento a possibili profili di abuso (es. soci che tengono proprietà occultamente).

Concordato minore (per debitori sotto-soglia): Prima di passare alla liquidazione, spendiamo qualche parola sul cosiddetto concordato minore, disciplinato dagli artt. 74-83 CCII. È la versione del concordato riservata ai debitori non fallibili (imprese minori, professionisti, enti non commerciali, start-up innovative anche se sotto soglia fallimento, ecc.). Sostituisce l’“accordo di composizione” della legge 3/2012. In sostanza, il debitore sovraindebitato “non fallibile” può proporre ai creditori un accordo simil-concordatario. Differenze principali rispetto al concordato preventivo: – Non serve raggiungere le maggioranze del 51%, basta che non voti contro la maggioranza (in valore) dei creditori (quorum inverso: il concordato minore s’intende approvato se i creditori che lo respingono non superano la metà dei crediti) . Ciò perché i piccoli sovraindebitati spesso hanno molti creditori passivi che non partecipano; si è voluto agevolare l’approvazione. – È previsto un requisito di meritevolezza (specialmente per il piano del consumatore, ma anche per il concordato minore in parte): il giudice valuta se il debitore non ha colposamente determinato la situazione di sovraindebitamento. Atti in frode ai creditori determinano inammissibilità. – La procedura è gestita dall’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) nominato dal tribunale: un gestore della crisi che funge da commissario giudiziale. L’OCC assiste il debitore nel piano e redige esso stesso una relazione di fattibilità (c’è minor enfasi sull’attestatore esterno, spesso coincide con l’OCC il ruolo). – Vale la transazione fiscale (dopo Corte Cost) quindi IVA può essere falcidiata se conviene, e anche qui l’omologazione può avvenire nonostante dissensi se il giudice ritiene che i dissenzienti otterrebbero non di più dalla liquidazione (specie per creditori pubblici). – In caso di mancato raggiungimento dell’accordo o revoca/risoluzione, il tribunale può aprire la liquidazione controllata dei beni su istanza del debitore o di un creditore o del PM (simile a come nel concordato grande si finisce in liquidazione giudiziale).

Dal punto di vista del debitore sotto-soglia, il concordato minore è uno strumento prezioso perché consente di ridurre i debiti similmente al concordato grande, senza però la rigidità di quest’ultimo (quorum inverso, maggiore informalità). Ad esempio, un piccolo artigiano con debiti 200k può con un concordato minore offrire 50k in 4 anni attingendo da redditi futuri, ottenere l’approvazione se i contrari sono meno del 50%, e liberarsi del restante 150k. L’OCC controllerà l’esecuzione.

Una nota sul “concordato del consumatore”: nel CCII questa figura non è più autonoma come piano del consumatore a sé stante; di fatto c’è un Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 67-73 CCII) simile al vecchio piano del consumatore, dove il consumatore insolvente può chiedere al tribunale di omologare un piano anche senza voto creditori (i creditori non votano, decidere il giudice valutando convenienza e meritevolezza). Quindi per i consumatori privati (non imprenditori) c’è ancora la possibilità di un piano unilaterale omologato dal tribunale se “meritevole” – ad esempio una persona sovraindebitata propone di pagare 30% ai creditori in 5 anni attingendo al proprio stipendio, il giudice può approvare anche se i creditori non sono d’accordo, purché il debitore non abbia colpe. Questo è un privilegio per i consumatori rispetto agli imprenditori, e spiega il rigore nel definire chi è consumatore: come visto, la Cassazione 2025 n.29746 ha ribadito che il socio fideiussore di società non è considerato consumatore se il debito garantito è d’impresa , quindi non può usare quel piano agevolato. Deve andare in concordato minore, dove invece i creditori votano.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento) e liquidazione controllata

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale di natura liquidatoria-coattiva che ha sostituito il vecchio fallimento. Viene aperta quando il debitore è insolvente e non ricorre ad altri rimedi. Dal punto di vista del debitore, subire una liquidazione giudiziale significa perdere la disponibilità dei beni e vedere il proprio patrimonio smembrato per pagare i creditori secondo la legge. Non è certo una “strategia difensiva”, ma può diventare l’esito inevitabile se non si riesce a risanare o concordare. In alcuni casi, tuttavia, lo stesso imprenditore può optare volontariamente per la liquidazione giudiziale – ad esempio se ritiene di non poter proseguire e vuole avvalersi dell’esdebitazione (la liberazione dai debiti residui per le persone fisiche) al termine.

Caratteristiche essenziali:Inizio: su ricorso del debitore (istanza di autofallimento), di uno o più creditori, o iniziativa del PM. Il tribunale accerta lo stato d’insolvenza e dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale. Da questo momento il debitore perde l’amministrazione e la disponibilità dei suoi beni: viene nominato un curatore che gestirà l’attivo, un giudice delegato e un comitato dei creditori. – Effetti immediati: Tutte le azioni esecutive individuali cessano e confluiscono nella procedura. I debiti pregressi restano cristallizzati e i creditori devono insinuaresi nel passivo. I contratti pendenti possono essere sciolti dal curatore se non convengono o proseguiti se utili (dietro autorizzazione). L’impresa, salvo esercizio provvisorio autorizzato per vendere meglio l’azienda, cessa l’attività commerciale ordinaria. Il nome del debitore persona fisica finisce nel Registro dei falliti. Insomma, è la situazione di dissesto conclamato. – Liquidazione dell’attivo: Il curatore redige l’inventario, verifica le passività (forma lo stato passivo in cui ammette i crediti con rango) e quindi procede a vendere i beni: immobili con procedure competitive, cespiti vari, incassa crediti, ecc. Il correttivo 2024 ha ulteriormente dettagliato alcune norme: es. per preliminari di vendita non eseguiti in corso di fallimento, in cui il curatore può sciogliersi e vendere a terzi, l’acquirente può offrire differenza per tenere il bene, ecc. , e la cancellazione delle ipoteche su beni venduti in fallimento è stata resa più semplice (ora il GD ordina la cancellazione a prezzo pagato, prima bisognava passare da esecutorietà stato passivo). Le vendite in liquidazione giudiziale danno al compratore beni liberi dai gravami (ipoteche, pignoramenti) per ordine del giudice . – Riparto ai creditori: Una volta liquidato (anche parzialmente) l’attivo, il curatore effettua uno o più riparti di somme: prima soddisfa i creditori prededucibili (costi procedura, nuovi crediti sorti dopo per continuazione, ecc.), poi i privilegiati secondo l’ordine dei privilegi (per intero se possibile, altrimenti proporzionalmente in concorso tra pari grado), infine se avanza qualcosa, i chirografari in proporzione. Spesso i chirografari ricevono molto poco o nulla. – Chiusura e esdebitazione: La procedura si chiude quando o tutto è stato liquidato e ripartito, oppure – se c’è insufficienza dell’attivo – può chiudersi anticipatamente per mancanza di attivo (art. 234 CCII: chiusura per incapienza). Per le persone fisiche (imprenditore individuale, socio illimitatamente responsabile, o consumatore fallito), dopo la chiusura c’è la possibilità di chiedere l’esdebitazione: l’autorità giudiziaria cancella i debiti residui non soddisfatti in procedura, liberando il debitore, a condizione che egli abbia collaborato lealmente, non abbia ostacolato la procedura e non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei 5 anni precedenti (per le società non serve, la società si estingue con i debiti). C’è anche una particolare esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) che consente al debitore persona fisica, onesto ma sfortunato, che proprio non ha niente da dare ai creditori, di ottenere ugualmente l’esdebitazione per una sola volta, se dimostra di aver meritato tale beneficio e i creditori non ricevono nulla comunque. Questa norma vuole evitare i c.d. “fallimenti incolpevoli” perpetui. Va notato che sono esclusi dall’esdebitazione alcuni debiti: quelli alimentari, da risarcimento danni da fatti illeciti extracontrattuali, multe e sanzioni penali/amministrative, obblighi di mantenimento e così via (art. 278 CCII). Però la gran parte dei debiti finanziari e commerciali viene spazzata via, dando la famosa fresh start all’ex fallito.

Difendersi nella liquidazione giudiziale: Se l’azienda arriva a questo, dal lato dell’imprenditore l’obiettivo è limitare i danni personali. Per le società di capitali, i soci perdono la loro partecipazione (il residuo attivo va ai creditori non a loro); per gli amministratori si aprono possibili contenziosi di responsabilità se si rilevano irregolarità. Per l’imprenditore individuale, significherà perdere i propri beni, ma può puntare all’esdebitazione finale per ripartire da zero senza debiti. In chiave di prevenzione penal-responsabilità, quando ormai si va verso il fallimento, l’amministratore farebbe bene a collaborare strettamente col curatore, evitando di nascondere informazioni o beni (per non incorrere in bancarotta fraudolenta).

Spesso la miglior “difesa” è proprio chiedere il proprio fallimento prima che degeneri: l’autofallimento talora è visto come un atto di correttezza che può evitare accuse di aggravamento doloso e aprire prima la strada all’esdebitazione. Certo, lo scenario di liquidazione è l’extrema ratio, ma almeno offre una chiusura ordinata e il soddisfacimento parziale dei creditori con regole chiare.

Liquidazione controllata (sovraindebitamento): Per i soggetti non fallibili, l’equivalente è la liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII). Anche qui c’è un liquidatore nominato dal tribunale (spesso un gestore OCC), i beni vengono venduti e il ricavato distribuito. La differenza è che spesso i numeri sono più piccoli, e la procedura è semplificata. Non c’è stato passivo formale ma viene stilato un elenco crediti dal liquidatore, con possibilità di contestazioni. L’esdebitazione per il debitore persona fisica è centrale qui: il piccolo imprenditore sovraindebitato, una volta liquidato il (poco) attivo, può liberarsi dei residui. La liquidazione controllata può essere richiesta dal debitore stesso, oppure può derivare dalla conversione di un concordato minore revocato o dalla istanza di un creditore o PM se il debitore ha frodato nel concordato minore . In sostanza, è il “fallimentino” per i non fallibili.

Concordato semplificato per la liquidazione: Una breve parentesi su uno strumento peculiare introdotto nel 2021: se la composizione negoziata non produce accordo, l’imprenditore può proporre ai creditori (anzi, direttamente al tribunale) un concordato semplificato liquidatorio (art. 25-sexies CCII). È “semplificato” perché non prevede voto dei creditori: il tribunale, sentiti eventualmente i creditori in camera di consiglio, può omologarlo se ritiene che la proposta è più favorevole ai creditori rispetto alla liquidazione giudiziale. Serve la relazione finale dell’esperto che asseveri che durante la negoziazione non si poteva trovare di meglio. Questo istituto è pensato come exit strategy rapida: tipicamente, l’imprenditore individua un acquirente per l’azienda o beni (magari emerso nelle trattative) e propone di cedere tutto e dare X% ai creditori senza passare per il voto. Il tribunale valuterà e, se nessun creditore propone un’alternativa migliore, può omologare. È un istituto nuovo e raro, usato poco finora, e per di più riservato a imprese sotto certe soglie (nel 2022 era riservato a imprese minori, poi credo esteso a chiunque abbia fatto composizione negoziata). Il Correttivo 2024 ha chiarito alcuni aspetti, ad esempio rendendo non revocabili ex post gli atti compiuti in esecuzione di un concordato semplificato, analogamente al concordato preventivo . Dal lato del debitore, questo è un modo per evitare il fallimento anche quando non c’è accordo coi creditori: si consegna comunque tutto il patrimonio ma in cambio si ottiene un concordato omologato (dunque niente fallimento formale, e possibilità di esdebitazione come concordato). Tuttavia, i creditori potrebbero opporsi e il tribunale non è obbligato ad accettare se reputa la proposta iniqua. È comunque da ricordare come opzione residuale.

Abbiamo quindi coperto l’arsenale completo: concordati per ristrutturare (sia ordinari che minori), liquidazioni per chiudere e ripartire puliti, con l’ombrello della eventuale esdebitazione. Dal punto di vista penale, finché si resta in concordato omologato non c’è dichiarazione di fallimento e quindi niente reati fallimentari; se invece si va in liquidazione giudiziale e emergono irregolarità, il rischio penale diventa concreto. Affrontiamo ora più in dettaglio i profili penali e di responsabilità degli imprenditori in crisi, connessi alle scelte fatte.

Profili penali: reati fallimentari e responsabilità connesse alla crisi

La gestione della fase di crisi o insolvenza di un’azienda ha anche risvolti penali. Numerose fattispecie di reato, soprattutto previste dalla legge fallimentare (ancora in vigore in parte per la parte penale) e dal codice penale, possono venire in rilievo quando un imprenditore indebitato compie atti illeciti a danno dei creditori o del ceto bancario. È cruciale, nel “difendersi” dai debiti, non incorrere in comportamenti che sfocino in reato: oltre all’ovvia rilevanza etica, una condanna penale per reati fallimentari comporta pene detentive, interdizioni legali e l’impossibilità di ottenere l’esdebitazione. Vediamo i principali reati connessi e come evitarli dal lato del debitore.

Bancarotta fraudolenta patrimoniale

È il reato tipico del fallimento (art. 216, comma 1 n.1 R.D. 267/42). Si realizza quando, prima o durante la procedura concorsuale, l’imprenditore distrugge, occulta, distrae o dissipa parte dell’attivo, oppure simula passività inesistenti, con l’intenzione di recare pregiudizio ai creditori. In pratica: sottrarre beni ai creditori è bancarotta fraudolenta per distrazione; ad es. vendere sottocosto un immobile a un familiare, prelevare contanti dalla cassa e farli sparire, occultare merci in magazzini occulti, regalare l’auto aziendale all’amico per non farla pignorare. Oppure creare falsi debiti (simulare un prestito mai ricevuto per favorire un complice che si insinua come creditore) rientra nel reato.

  • Pena: reclusione da 3 a 10 anni. È un reato doloso, occorre la volontà di frodare. Basta anche l’evento “fallimento” eventuale per integrarlo: se uno distrae beni quando è ancora in bonis ma poi fallisce entro 1-2 anni, può esserne responsabile.
  • Difesa preventiva: Non compiere atti di spoliazione del patrimonio. Se c’è necessità di vendere beni prima della procedura, farlo a valori di mercato e con corrispettivo che rimane all’azienda (non sul conto personale occulto). Evitare di preferire indebitamente soggetti legati (vedi preferenziale). In generale, trasparenza e conservazione: tenere traccia di tutti i beni e movimenti, non far sparire nulla. In concordato, eventuali vendite nel periodo sospetto possono comunque essere autorizzate dal giudice (così si è immuni da accuse, essendo operazioni approvate).

Bancarotta fraudolenta documentale

Altro reato classico (art. 216, comma 1 n.2 l.fall.): consiste nell’aver sottratto, distrutto o falsificato in tutto o in parte i libri e le scritture contabili, oppure nell’aver tenuto la contabilità in modo così irregolare e incomprensibile da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento affari. In soldoni, se all’arrivo del curatore i libri contabili sono scomparsi, o sono tenuti con grossolani falsi, l’imprenditore risponde di bancarotta documentale fraudolenta. È punita anch’essa con reclusione 3-10 anni. Se l’irregolarità contabile non è dolosa ma frutto di negligenza grave, vi è la bancarotta semplice documentale (art. 217 l.f.) punita più lievemente (fino a 2 anni).

  • Difesa preventiva: Tenere la contabilità ordinata e veritiera. Non distruggere registri o fatture neanche nella disperazione. Anzi, in caso di pre-fallimentare, è bene predisporre subito uno stato dettagliato e consegnarlo al curatore. Se la contabilità è un disastro, meglio ricostruirla con un professionista prima che arrivi la PF. L’omissione di tenuta dei libri (tipico di piccole imprese) è pericolosissima: implica quasi automaticamente una bancarotta documentale (perché non si può capire nulla delle operazioni). Quindi, per difendersi penalmente, curare la tenuta dei libri anche in crisi, annotando tutti i movimenti. Qualunque operazione anomala (es. vendite di emergenza) va registrata e giustificata.
  • Notare: Nel 2024, Cass. pen. Sez V n.8921/2024 (massima) ha chiarito elementi soggettivi di bancarotta documentale: va provata la consapevolezza di rendere illeggibili i conti . Comunque, i tribunali sono severi: se i libri mancano, si presume il dolo di voler nascondere frodi.

Bancarotta preferenziale

Prevista dall’art. 216 comma 3 l.fall., punisce l’imprenditore che, in stato di insolvenza (anche prima del fallimento), paga o garantisce un creditore a scapito degli altri, con l’intenzione di favorirlo. È quindi una violazione della par condicio fatta con dolo. Esempio tipico: a ridosso del fallimento, l’imprenditore salda per intero il debito col fornitore amico, mentre agli altri nulla – così quell’amico si sottrae al concorso fallimentare. Oppure costituisce un’ipoteca volontaria a garanzia di un debito chirografo preesistente a favore di un soggetto, poco prima del fallimento (costituzione di garanzia per debito antecedente è atto preferenziale). Questo reato è punito con la reclusione da 1 a 5 anni.

  • Difesa preventiva: Non fare preferenze occulte tra i creditori quando si è già in dissesto. Se si vuole pagare selettivamente qualcuno (magari perché vitale per continuare l’attività), farlo solo se giustificato dalla prospettiva di risanamento (pagamento in funzione di un tentativo di concordato per es., può essere lecito se autorizzato dal tribunale). Il CCII consente come detto pagamenti di creditori strategici in fase di concordato in continuità su autorizzazione: quelli autorizzati non configurano reato. Fuori da ciò, se paghi Tizio e non Caio a insolvenza in corso, rischi molto. Quindi, paradossalmente, smettere di pagare tutti poco prima del fallimento è più prudente che pagarne solo alcuni. Ovviamente, l’amministratore sente pressioni e spesso compie preferenze (paga fornitori essenziali per avere merce, paga parenti garanti, ecc.): deve sapere che se poi c’è fallimento, quelle preferenze rilevano penalmente. Dunque l’unica via è anticipare la crisi in procedure (dove i pagamenti autorizzati non integrano reato) o assicurarsi di poter dire che non c’era volontà di favorire ma si credeva di potercela fare (difesa difficile).

Bancarotta semplice

Fattispecie meno grave (art. 217 l.f., confluita in art. 322 CCII in parte): punisce condotte di imprenditore imprudente o negligente che hanno aggravato il dissesto o portato al fallimento. Ad esempio: aver sostenuto spese personali eccessive quando l’impresa era in difficoltà; aver impiegato mezzi rovinosi per procurarsi fondi (es. ricorrere a finanziamenti usurai, o a scontare crediti inesistenti), oppure non aver tenuto la contabilità (questo di solito è fraudolenta doc., ma c’è anche come semplice se senza dolo).

  • Pena: reclusione fino a 2 anni (o 1 anno nei casi più lievi), più eventuali pene pecuniarie.
  • Difesa preventiva: Comportarsi con diligenza anche in crisi. Non “giocare d’azzardo” con il patrimonio sociale (ad esempio, contrarre nuovi debiti sapendo di essere insolventi, sperando in miracoli, configura spesso ricorso abusivo al credito o comunque aggravamento doloso). Non confondere il patrimonio aziendale col proprio (prelievi esagerati di cassa per scopi personali mentre l’azienda affonda sono tipico elemento di bancarotta semplice). Appena riconosciuta la situazione di insolvenza, non contrarre nuovi debiti se non con realistica prospettiva di restituirli. La continuità aziendale forzata a dispetto di ogni evidenza può diventare “fatto di bancarotta semplice” se peggiora i danni ai creditori.
  • Un esempio: Un amministratore che negli ultimi mesi prima del fallimento paga se stesso o i familiari e lascia indietro dipendenti e fornitori potrà essere chiamato per bancarotta semplice (spese personali non proporzionate). Altro esempio: amministratore che accetta forniture e prestazioni pur sapendo di non poterle pagare, accumulando debiti su debiti – potrebbe configurare aggravamento colposo, se non addirittura truffa se c’era dolo di non pagare.

Ricorso abusivo al credito

Non è nominato espressamente come tale nella legge, ma rientra nelle ipotesi di bancarotta semplice (art. 217 n.3 l.f.: aver aggravato il dissesto “ricorrendo a mezzi rovinosi per ottenere fondi”). Significa aver continuato a indebitare l’azienda, cercando finanziamenti disperati (magari tassi usurai, factoring di crediti inesistenti, emissione di cambiali senza copertura). Chi fa ciò e poi fallisce è punibile. Oggi questo comportamento è arginato dall’obbligo di assetti adeguati: un amministratore che continua a prendere prestiti bancari sottoscrivendo bilanci non corretti può rispondere anche di reati di false comunicazioni sociali (falso bilancio) se lo scopo era ingannare i creditori sullo stato dell’impresa. Difatti, diversi casi hanno visto imputati amministratori per truffa ai creditori o falso in bilancio aggravato se tenevano in piedi la facciata sana per incamerare altro credito.

Altri reati collegati:

  • Omesso versamento di IVA o contributi: Già trattato nei debiti fiscali, sono reati tributari (art.10-bis e 10-ter D.Lgs 74/2000) puniti con pena fino a 2 anni (contributi) o 6 anni (IVA) se superate soglie. Non sono tecnicamente reati concorsuali, ma quasi sempre l’impresa in crisi smette di pagare IVA e contributi. Il legale rappresentante rischia dunque condanne. Tuttavia, se poi nel concordato o accordo paga quel debito, la punibilità è esclusa (il D.Lgs 74 prevede che il pagamento integrale del dovuto estingue il reato). Dunque, per difendersi penalmente, è ottimo riuscire in extremis a saldare IVA e ritenute, anche se ciò può sembrare preferenza (ma in quel caso è preferenza “autorizzata dalla legge” perché estingue reato).
  • False comunicazioni sociali: se l’amministratore falsifica bilanci per occultare perdite e intanto ottiene credito, può incorrere nel reato di falso in bilancio (artt. 2621-2622 c.c.). Questo reato non dipende dal fallimento, ma spesso viene a galla col fallimento. Non è esdebitabile, è un reato penale a tutti gli effetti. La Cassazione (Sez. Unite 2021, caso Amministratori delle banche venete) ha anche affermato che il falso in bilancio che cagiona nocumento ai creditori può coesistere con la bancarotta impropria da falso bilancio (art. 223 co.2 n.1 l.f.). Dunque, non truccare i bilanci! Anche se c’è crisi, meglio esporla chiaramente e spiegarla invece che nasconderla con artifici, perché poi le conseguenze penal-giudiziarie superano di gran lunga l’“opinione negativa” di un bilancio in perdita.
  • Reati degli organi di controllo: Va menzionato che anche gli amministratori di fatto e i sindaci possono rispondere di reati fallimentari. La Cassazione 2024 n.36582 ha confermato che l’amministratore di fatto dell’azienda è equiparato all’amministratore di diritto e quindi soggetto a tutti i doveri e responsabilità penali inerenti (bancarotta compresa) . Inoltre, recenti pronunce (Cass. 1162/2024) hanno affermato la possibile responsabilità penale dei sindaci (collegio sindacale) per concorso omissivo in bancarotta patrimoniale qualora omettano totalmente di vigilare e ciò consenta agli amministratori di compiere distrazioni . Ciò significa che se l’imprenditore pianifica di distrarre beni, e i sindaci per negligenza chiudono entrambi gli occhi, potrebbero essere considerati corresponsabili. Questo naturalmente è più un monito per i sindaci, ma indirettamente per l’imprenditore: se c’è un organo di controllo, interagire e non tenerlo all’oscuro di tutto; la loro vigilanza potrebbe salvare dal commettere reati e loro stessi.

Riassumendo il punto di vista del debitore:Cosa fare per non incorrere in reati? Mantenere una condotta trasparente, non occultare o disperdere attivo, astenersi da favoritismi indebiti, tenere la contabilità in ordine, agire tempestivamente. Se la crisi è ingestibile, meglio seguire strade legali (concordato, accordi) piuttosto che far di testa propria. Un concordato con esito positivo estingue molte potenziali situazioni di reato sul nascere (niente fallimento, niente bancarotta). Anche la composizione negoziata ha riflessi: se uno segue l’esperto e agisce come suggerito, difficilmente farà atti in frode perché l’esperto stesso li impedirebbe. – Cosa succede se malgrado ciò scatta la liquidazione giudiziale? Il debitore deve collaborare col curatore: consegnare tutta la documentazione, segnalare eventuali errori contabili, indicare beni e crediti senza nascondere nulla. La legge punisce anche la mancata presentazione del fallito per rendere il conto (art. 220 l.f.: reclusione fino a 2 anni per il fallito che non si presenta o non fornisce informazioni). Quindi, sparire peggiora le cose. Presentarsi, spiegare, eventualmente ammettere errori: questo può evitare misure cautelari personali e portare, a conclusione del procedimento penale, a sanzioni minori (o addirittura non luogo a procedere se non emergono malversazioni gravi). – Profili penali nella fase concordataria: Attenzione, se durante un concordato preventivo il debitore compie atti di frode verso i creditori (es. nasconde un creditore, presenta documenti falsi) il concordato non verrà omologato. Inoltre, certe condotte durante il concordato integrano reati: ad esempio, corrompere un creditore per fargli votare sì (prima era art. 236 l.f. istigazione alla formazione di una maggioranza fraudolenta), o presentare un’attestazione falsa con collusione dell’attestatore (il professionista attestatore risponde di falso in attestazioni). Quindi anche in concordato c’è rischio penale se non ci si attiene a lealtà e verità.

In conclusione, il punto di vista del debitore di un’azienda in crisi deve essere anche un occhio alla responsabilità penale: difendersi dai debiti significa anche non peggiorare la propria posizione compiendo illeciti. Le migliori difese qui sono la tempestività (affrontare la crisi quando c’è ancora margine senza dover ricorrere a espedienti illeciti) e la legalità (usare gli strumenti offerti dalla legge come quelli descritti, che escludono di per sé condotte illecite: pagare un creditore nel contesto di un accordo omologato non è reato, mentre farlo di nascosto sì). In particolare, la collaborazione con le procedure – se e quando scattano – è la chiave per ridurre i rischi: un amministratore che in fallimento aiuta il curatore a recuperare attivo, magari fornendo informazioni per revocare pagamenti a terzi, dimostra ravvedimento e spesso evita l’arresto (in genere nei fallimenti con gravi irregolarità scattano misure interdittive o custodia; ma la collaborazione può evitarle).

Chiudiamo questa sezione ricordando che la riforma ha voluto spingere l’imprenditore onesto e sfortunato fuori dal cono d’ombra della penalizzazione sociale. La esdebitazione e la nozione di piccolo debitore incapiente sono strumenti per dare una seconda chance a chi non ha frodato. Viceversa, per chi ha malversato, ci sono sanzioni severe. Ad esempio, l’amministratore di fatto è equiparato per la punibilità , quindi non pensi un dominus occulto di farla franca lasciando prestanome.

Passiamo adesso a consolidare le conoscenze apprese con alcune domande frequenti e risposte puntuali, e successivamente presenteremo situazioni esemplificative pratiche per comprendere l’applicazione concreta di queste norme.

Domande e Risposte frequenti (FAQ)

D.1: La mia azienda è sommersa dai debiti e un creditore minaccia di portarmi in tribunale per farmi fallire. Posso evitare il fallimento?
R: Sì, hai diverse opzioni per evitare la liquidazione giudiziale forzata. Prima di tutto, puoi tentare un concordato preventivo presentando tu stesso una domanda al tribunale . L’apertura del concordato bloccherà immediatamente l’azione esecutiva dei creditori (nessuno potrà iniziare o proseguire pignoramenti ) e ti darà tempo per proporre un piano di ristrutturazione. Se il concordato viene omologato, il fallimento è scongiurato – l’azienda proseguirà secondo il piano approvato e i debiti saranno trattati lì. In alternativa, se la tua è un’impresa piccola (sotto soglie fallimento), puoi proporre un concordato minore presso l’OCC: anche questo, se omologato, evita qualsiasi fallimento (le imprese minori per definizione non subiscono liquidazione giudiziale ordinaria ). Inoltre, oggi c’è la composizione negoziata: se la attivi per tempo, puoi ottenere misure protettive e cercare un accordo prima che un creditore presenti istanza di fallimento . Un creditore che vede il debitore attivarsi seriamente in un percorso di risanamento potrebbe sospendere le ostilità. Tieni conto che se un creditore presenta istanza di fallimento e tu non hai predisposto nulla, il tribunale valuterà comunque se ci sono soluzioni alternative (ad es. se depositassi durante l’istruttoria fallimentare una proposta di concordato o di accordo, questa verrebbe considerata). In ogni caso, non restare passivo: il miglior modo per evitare il fallimento imposto dai creditori è giocare d’anticipo e offrire tu una soluzione migliore (i tribunali spesso privilegiano i concordati proposti dal debitore rispetto alla liquidazione forzata, se c’è convenienza per i creditori).

D.2: Ho molti debiti con il Fisco (IVA, tasse varie). È vero che devo pagarli per forza al 100% anche nel concordato?
R: No, non più. Oggi la normativa consente di stralciare parzialmente anche i debiti fiscali in un concordato preventivo o accordo, tramite la cosiddetta transazione fiscale . Devi però garantire al Fisco almeno quanto otterrebbe in una liquidazione fallimentare . Per esempio, se in caso di fallimento l’Erario incasserebbe 10.000 €, potrai legittimamente proporgli di pagarlo 10.000 (o qualcosa in più) anche se il debito originale era 50.000 € – quindi uno sconto dell’80% – purché un esperto attesti che quella somma è il massimo ricavabile . L’Agenzia delle Entrate deve motivare se rifiuta e, in caso di voto negativo, il giudice può comunque omologare forzosamente se le offri quel minimo (si chiama cram-down fiscale) . Adesso inoltre puoi trattare con il Fisco anche prima del concordato: durante la composizione negoziata è ammessa una proposta transattiva su tributi e cartelle . Attenzione però: su IVA e ritenute fino al 2019 vigeva il divieto di falcidia, ma è stato eliminato perché incostituzionale . Quindi anche l’IVA può essere ridotta, a patto che sia più conveniente del realizzo in caso di fallimento (che spesso è zero o poco più). Tieni infine presente che in alcune procedure “semplificate” (es. concordato semplificato post-composizione negoziata, o piano del consumatore semplificato) la legge ha escluso la transazione: lì i tributi devi al massimo dilazionarli ma non stralciarli . Ma in una normale procedura di concordato preventivo puoi assolutamente prevedere pagamenti parziali e dilazionati dei debiti fiscali, con un rilevante sollievo per la tua azienda debitrice.

D.3: Le banche mi hanno revocato i fidi e chiedono rientro immediato. Possono farlo anche se sto cercando una soluzione?
R: Purtroppo le banche hanno facoltà contrattuale di revoca degli affidamenti a vista, salvo patto contrario. Tuttavia, con l’entrata in vigore degli strumenti di allerta e composizione negoziata, sono stati posti alcuni limiti. Se tu accedi alla composizione negoziata e chiedi misure protettive, il tribunale può ordinare alle banche di riattivare le linee di credito che avevano sospeso dopo la richiesta di protezione , a meno che ciò violi norme di vigilanza prudenziale (cioè se la banca rischia di non rispettare i suoi coefficienti di capitale). Inoltre, la legge ora sancisce che l’accesso alla composizione negoziata non costituisce di per sé motivo sufficiente per declassare un credito in sofferenza . Quindi, durante le trattative assistite, le banche devono valutare caso per caso e non possono dire “siccome sei in composizione negoziata, ti chiudo i conti” senza un’altra ragione valida. Fuori da quel contesto, comunque, se la banca revoca e notifica il rientro, legalmente può farlo. Tu puoi negoziare con la banca entro i termini di rientro: chiedere un piano di rientro dilazionato, magari offrendo ulteriori garanzie (se fattibile) o coinvolgendo il Mediatore Civile. Se la tua azienda presenta domanda di concordato preventivo, sappi che in pendenza di concordato nessun creditore può riscuotere coattivamente; la banca però potrebbe compensare somme sul conto (problema della compensazione tra affidamenti e giacenze). In sostanza, la difesa migliore è coinvolgere le banche in un accordo di ristrutturazione: se ottieni il consenso di quelle principali, puoi omologarlo e imporlo anche alle eventuali banche dissenzienti (c’è la possibilità di estendere l’accordo alle banche non aderenti se quelle aderenti rappresentano 75% del credito finanziario) . Quindi sì, una banca può revocare i fidi, ma tu hai strumenti concorsuali per congelare la situazione e rinegoziarla collettivamente. Un consiglio: non usare in modo scorretto i fidi dopo la revoca (ad esempio sconfinare il conto deliberatamente), perché rischi denunce per abuso di credito. Mantieni un dialogo: molte banche preferiscono concordare un piano di rientro di 12-18 mesi piuttosto che intraprendere cause lunghe.

D.4: Ho firmato delle fideiussioni personali per i debiti della mia società. Se la società va in concordato o fallisce, quei crediti possono rivalersi su di me?
R: Sì. La regola generale è che la procedura concorsuale riguarda solo il debitore (la società). I garanti personali (fideiussori) restano obbligati e possono essere escussi a parte. Ad esempio, se la tua società va in concordato e paga il 40% ai chirografari, la banca che aveva una fideiussione tua come socio può chiedere a te il restante 60% non pagato in concordato (a meno che in sede di concordato la banca rinunci espressamente anche verso i garanti). Lo stesso in fallimento: i creditori possono agire contro i garanti senza aspettare l’esito del fallimento. Non c’è una liberazione automatica dei fideiussori. Detto ciò, come privato, potresti accedere a una procedura di sovraindebitamento a tua volta: se ti ritrovi con debiti personali (derivanti da quelle fideiussioni attivate) insostenibili, puoi ad esempio tentare un piano del consumatore (se il debito è estraneo alla tua attività professionale, ma attenzione: la Cassazione 2025/29746 ha detto che il socio-fideiussore per debito sociale non è considerato “consumatore estraneo” , quindi tu come socio forse non potrai). In alternativa, se la società fallisce e tu vieni escusso e non riesci a pagare, potresti subire tu stesso un fallimento personale se eri socio illimitatamente responsabile, oppure esecuzioni sul tuo patrimonio. Per difenderti, hai due strategie: negoziare con i creditori garantiti (magari offri loro un accordo transattivo a saldo e stralcio per non rovinarti completamente) oppure, se sei eleggibile, usare gli strumenti di sovraindebitamento (concordato minore se sei imprenditore individuale, o liquidazione controllata/esdebitazione del sovraindebitato se sei persona fisica). Ad esempio, se la banca ti chiede €100k per la fideiussione escussa, potresti – da privato – proporle di pagare €30k dilazionati usando la tua casa come leva (se vendendola potresti ricavare qualcosa) all’interno di un piano depositato in tribunale per la tua persona. È un livello di complessità in più (due procedure parallele: una per la società, una per te). In sintesi: la procedura della società non protegge i garanti, occorre che ciascun garante eventualmente attivi la propria tutela. Nota: se sei socio illimitato di una SNC, il tuo fallimento è conseguente a quello della società ex lege, quindi in tal caso finiresti comunque nella procedura (con possibilità poi di esdebitazione personale). Se sei socio di Srl e hai solo garantito, allora valuta sovraindebitamento.

D.5: Qual è la differenza tra un concordato preventivo e un accordo di ristrutturazione dei debiti?
R: Ci sono diverse differenze, sintetizziamo le principali: – Il concordato preventivo è una procedura concorsuale vera e propria: coinvolge tutti i creditori (salvo quelli eventualmente estranei pagati integralmente), prevede un voto delle categorie di creditori e l’approvazione a maggioranza, e l’intervento attivo del tribunale sin dall’ammissione. È uno strumento adatto a gestire situazioni con molti creditori e dove serve imporre una falcidia anche a chi non è d’accordo.
– L’accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD) è più vicino a un contratto omologato: devi avere il consenso qualificato di almeno il 60% dei creditori (in valore) , e l’omologazione serve principalmente a renderlo esecutivo e vincolante (ad esempio evitando revocatorie, e permettendo il cram-down su eventuali creditori pubblici dissenzienti) . Gli accordi di ristrutturazione non prevedono un voto formale di tutti i creditori: chi aderisce firma, chi non aderisce resta fuori (e va pagato integralmente salvo estensione a categorie finanziarie). In sostanza, l’ARD è più snello: non c’è commissario, non c’è spossessamento, c’è solo l’omologazione finale del giudice. Però è praticabile solo se raggiungi già un largo consenso privato.
– Altro aspetto: il concordato offre una moratoria legale generalizzata (blocco azioni esecutive dal decreto di ammissione, e anche prima se chiedi misure protettive) . Nell’accordo di ristrutturazione puoi ottenere misure protettive solo depositando una domanda prenotativa e chiedendo al giudice tutela mentre cerchi le firme, ma è meno immediato; tipicamente l’ARD si deposita quando le firme ci sono già, e nel frattempo non hai un “ombrello” se non l’eventuale composizione negoziata prima.
– In un concordato, i creditori chirografari subiscono di regola decurtazioni più forti; nell’accordo di ristrutturazione spesso si tende a coinvolgere soprattutto creditori principali (es. banche) e pagare gli altri per intero.
Dal lato dell’immagine: un ARD può essere percepito come soluzione negoziale, mentre il concordato è visto come procedura concorsuale (una sfumatura, ma ad es. alcune aziende preferiscono dire “ho ristrutturato i debiti con accordo omologato” anziché “sono stato in concordato preventivo”, specie per rapporti con PA).
In pratica, se hai pochi creditori chiave e li convinci, l’ARD è più efficiente e meno costoso, coinvolgendo il tribunale solo alla fine . Se hai molti creditori eterogenei o conti di dover imporre il piano anche ai dissenzienti, il concordato è lo strumento appropriato. Nota che l’ARD può essere usato anche come stepping stone: se convinci le banche (60%) a firmare, puoi poi chiedere l’omologa e in parallelo fare un concordato per far partecipare anche i piccoli creditori. Si parla di “concordato misto con accordo di ristrutturazione” come possibilità combinata.

D.6: La composizione negoziata della crisi è pubblica? I miei concorrenti/fornitori lo verranno a sapere?
R: La composizione negoziata nasce come strumento confidenziale. L’istanza di nomina dell’esperto e tutta la fase delle trattative non sono pubblicate legalmente da nessuna parte accessibile al pubblico (tutto avviene su piattaforma riservata). Solo se richiedi misure protettive o altri provvedimenti del tribunale, viene disposta l’annotazione nel Registro delle Imprese (perché è giusto che i terzi sappiano se un’azienda è sotto protezione dai creditori) . Anche in tal caso, ciò che appare è che l’azienda ha richiesto misure protettive ex art. 18 o 54 CCII – non i dettagli delle trattative. Dunque, c’è una soglia: se porti la negoziazione senza misure protettive, potresti evitare pubblicità formale. Ovviamente, di fatto sarà difficile tenere segrete le trattative se coinvolgi molti creditori (perché dovrai contattarli). Ma c’è un protocollo di riservatezza: i creditori convocati dall’esperto sono tenuti alla riservatezza sulle informazioni acquisite. La tua concorrenza e il mercato in generale potrebbero anche non accorgersi di nulla, specie se riesci a concludere un accordo stragiudiziale grazie alla negoziazione. Al contrario, un concordato o un fallimento sono immediatamente di pubblico dominio (iscrizione RI e probabilmente notizie sulla stampa locale). Quindi la composizione negoziata è molto più discreta. Solo ricorda: se hai bisogno dello stay (protezione giudiziale), comparirà un’informazione ufficiale sul registro imprese . Ciò detto, spesso le aziende comunicano proattivamente ad alcuni stakeholder la situazione per spiegare eventuali ritardi nei pagamenti: farlo citando la composizione negoziata può anzi rassicurare (dimostra che stai affrontando la crisi secondo la legge).

D.7: Ho una ditta individuale (o SNC) molto piccola, con debiti modesti ma che non riesco a pagare. Il fallimento non me lo fanno perché sono sotto soglia. Cosa posso fare, devo tenermi i debiti a vita?
R: No, non sei condannato a vita ai debiti. Per i piccoli imprenditori non fallibili e i privati esiste la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento. Nel tuo caso, potresti accedere al concordato minore (se hai un’attività economica) oppure al piano di ristrutturazione del consumatore (se i debiti sono personali non d’impresa, o anche se sei un ex imprenditore che ha chiuso l’attività). Queste procedure ti permettono di proporre ai creditori un pagamento parziale con esdebitazione del resto . Ad esempio, hai 100.000 € di debiti totali; potresti offrire di pagare 20.000 € in 4 anni (es. utilizzando stipendio se ne hai uno, o liquidando qualche bene), e ottenere la cancellazione degli altri 80.000 €. I creditori voterebbero nel concordato minore (serve la maggioranza dei crediti per approvare), mentre se è un piano del consumatore il giudice può omologarlo anche senza voto creditori, basandosi su convenienza e tua buona fede. Se addirittura non hai proprio nulla da offrire (capita, purtroppo: “nullatenenti” con debiti enormi accumulati), c’è la chance dell’esdebitazione del debitore incapiente: il giudice può esonerarti dai debiti residui anche se i creditori non ricevono niente, premiando però solo i debitori onesti che si sono trovati in quell’impasse senza colpa (è ammesso una volta nella vita e i creditori possono opporsi se vedono malafede) . Quindi anche il piccolo sotto soglia ha i suoi mezzi: una liquidazione controllata con esdebitazione finale se vuole chiudere e azzerare tutto, oppure un piano concordatario minore se vuole pagare qualcosa e liberarsi del resto mantenendo magari l’attività. Importante: se i tuoi debiti sono “di condotta illecita” (tipo multe, risarcimenti per danni) quelli non si cancellano con l’esdebitazione. Ma i debiti commerciali e finanziari sì. Assicurati di rivolgerti all’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) della tua provincia: è l’ente preposto ad aiutare i sovraindebitati a presentare queste procedure.

D.8: L’apertura di un concordato preventivo blocca automaticamente i decreti ingiuntivi e i pignoramenti?
R: Sì, dal momento in cui il tribunale emette il decreto di apertura del concordato preventivo (successivo alla fase di ammissione), nessuna azione esecutiva o cautelare può proseguire o iniziare sui beni del debitore . E anche prima, se presenti una domanda “in bianco” o una richiesta di misure protettive contestuale al ricorso completo, il tribunale può – e di solito fa – disporre una sospensione provvisoria delle azioni fino alla decisione di ammissione. Già la pendenza della procedura iscritta al registro imprese è motivo per l’ufficiale giudiziario di non procedere. Quindi il concordato è un potente scudo: ti protegge dal fuoco di fila dei creditori individuali, costringendoli a venire a tavolo collettivo. Tieni presente però alcuni dettagli: le azioni esecutive immobiliari già iniziate restano sospese ma non estinte fino all’omologa; se poi il concordato non viene omologato, quelle riprendono dal punto di sospensione. Inoltre, eventuali garanti e coobbligati (ad es. un fideiussore) non sono protetti: il creditore potrebbe continuare l’azione contro di loro (è vietato solo contro il debitore in concordato). E, come accennato, se su un conto bancario la banca vantava un credito verso di te, può comunque operare compensazione tra quanto ha sul conto e il suo credito (perché la compensazione non è considerata azione esecutiva, è un’estinzione automatica di doppio debito ammessa dalla legge fallimentare entro certi limiti). Ma pignoramenti di terzi, aste, ecc.: tutto sospeso. Anche eventuali termini di decadenza per ipoteche giudiziali sono congelati. Questa protezione dura fino all’omologa (o fino alla cessazione della procedura). Con l’omologa, chi è rimasto insoddisfatto verrà pagato come da piano e non potrà agire oltre per il pregresso. Quindi sì, uno scopo primario del concordato è creare una moratoria legale, mentre se trattieni stragiudizialmente non hai questa comodità.

D.9: In caso di fallimento (liquidazione giudiziale), i debiti che non vengono pagati restano in capo all’imprenditore per sempre?
R: Dipende dal tipo di debitore. Se è una società di capitali, con la chiusura del fallimento la società di solito viene cancellata dal Registro Imprese e cessa di esistere: i debiti insoddisfatti “muoiono” con la società, nel senso che i creditori non possono più pretendere nulla perché il soggetto è estinto (possono, semmai, rivalersi su garanti o amministratori se c’è un titolo di responsabilità). Se il debitore è una persona fisica (un imprenditore individuale, o i soci di SNC falliti, o un consumatore in liquidazione controllata), allora i debiti residui sopravvivono a meno che tu non ottenga l’esdebitazione. Fortunatamente, oggi è relativamente facile ottenerla: devi semplicemente agire con correttezza durante la procedura (collaborare, non nascondere attivo) e fare un’istanza al tribunale a fine procedura . Il giudice, sentiti i creditori (che raramente si oppongono se non hai commesso irregolarità gravi), emette un decreto che cancella tutti i tuoi debiti rimasti non pagati nel fallimento. L’unica eccezione, come già detto, sono certi debiti “personali” come alimenti, risarcimenti da illecito e sanzioni: quelli restano anche dopo (per es., se un ex imprenditore aveva debiti per multe stradali non pagate, quelle – essendo debiti verso Stato per sanzione – non sono esdebitabili). Ma tutti i debiti commerciali, fiscali, contributivi restanti vengono spazzati via dall’esdebitazione . Quindi un ex fallito persona fisica può tornare “pulito” e ricominciare senza l’incubo del vecchio debito. Questo è un punto cardine del “fresh start” introdotto dal legislatore europeo e recepito in Italia. A maggior ragione nel sovraindebitamento, l’esdebitazione è incorporata: ad esempio dopo liquidazione controllata del sovraindebitato, si dichiara esdebitato di default (salvo comportamenti fraudolenti). Ricordiamo anche l’esdebitazione del debitore incapiente: se sei nullatenente e sei persona fisica, puoi chiedere comunque di essere liberato dai debiti decorsi 3 anni dalla chiusura della procedura liquidatoria, a certe condizioni. In conclusione: dopo la fine di una procedura concorsuale liquidatoria, il debitore persona fisica onesto viene liberato dai debiti residui (non dovrà pagarli in futuro), mentre una società cessa di esistere e quindi non c’è più soggetto a cui imputarli.

D.10: La mia società è stata dichiarata fallita (liquidazione giudiziale). Posso incorrere in sanzioni penali?
R: L’apertura della liquidazione giudiziale “sblocca” la perseguibilità dei cosiddetti reati fallimentari commessi prima della dichiarazione. Pertanto, se durante la gestione dell’azienda hai compiuto atti distrattivi, falsificato i bilanci, favorito qualche creditore ingiustamente, o non hai tenuto i libri, ecc., verosimilmente il curatore segnalerà alla Procura tali condotte e potrebbe avviarsi un procedimento penale per bancarotta fraudolenta (o semplice). La condanna penale è un rischio concreto per l’imprenditore fallito che abbia tenuto comportamenti illeciti: ad esempio la distrazione di beni (bancarotta fraudolenta patrimoniale) è punita con reclusione fino a 10 anni . Anche aver aggravato la situazione per negligenza (bancarotta semplice) è reato (minore, ma pur sempre reato) punito fino a 2 anni. Se inoltre emergono altri illeciti (es. frodi fiscali con fatture false o omessi versamenti IVA rilevanti, reati societari come falso in bilancio, etc.), anch’essi verranno contestati. Quindi sì, esiste questo rischio. Come affrontarlo? Prima di tutto, se sai di avere compiuto atti potenzialmente rilevanti, collabora pienamente col curatore: consegna tutti i documenti, spiega ogni operazione, eventualmente cerca di rimediare (se hai beni occultati, meglio metterli a disposizione subito – potrà attenuare la posizione). La giurisprudenza tiene conto della collaborazione post-fallimento: un fallito che attivamente aiuta a recuperare attivo potrebbe evitare l’arresto in custodia cautelare e ottenere sconti di pena. Inoltre, potresti usufruire di riti alternativi (patteggiamento) in sede penale per contenere la pena entro limiti gestibili. In alcuni casi, la riorganizzazione dell’azienda e l’aver tentato strumenti come la composizione negoziata possono essere valutati come segno che non c’era volontà dolosa di frodare (non esime dal reato se l’atto è avvenuto, ma influenza l’interpretazione del tuo comportamento). Ricorda anche che eventuali amministratori di fatto o complici (es. il prestanome, il socio occulto) possono essere chiamati a rispondere insieme a te , quindi chiarire i ruoli può aiutarti a non prenderti colpe di altri. Se invece la domanda implicava: “ora che son fallito posso essere arrestato solo per il fatto di essere fallito?” – la risposta è: non automaticamente, ma se hai commesso reati fallimentari sì, altrimenti no. Il fallimento in sé non è reato (da decenni non esiste più l’istituto dell’“insolvenza fraudolenta” come reato, eccetto casi particolari): è la condotta fraudolenta o gravemente scorretta che prima o durante il fallimento viene punita. Se hai gestito onestamente ma sfortunatamente, potresti non subire alcun procedimento penale e anzi, dopo esdebitazione, ripartire pulito.

Queste domande coprono molte situazioni tipiche. Naturalmente ogni caso concreto può presentare sfumature; è quindi sempre opportuno farsi assistere da consulenti legali e aziendali nelle scelte.

Esempio pratico e simulazione di difesa del debitore

Caso di studio: “Dadi&Rondelle S.r.l.” in crisi
Scenario iniziale: Dadi&Rondelle S.r.l. è un’azienda familiare produttrice di minuteria metallica, con 20 dipendenti. Negli ultimi anni ha perso fatturato a causa della concorrenza e accumulato debiti: €300.000 verso banca Alfa (mutuo ipotecario su capannone), €150.000 scoperto conto e anticipi fatture con banca Beta, €400.000 debiti verso 50 fornitori vari, €200.000 debiti tributari (IVA non versata, IRAP e ritenute) e €50.000 INPS. Totale indebitamento circa €1,1 milioni. L’attivo: capannone del valore stimato €500.000 (ipotecato per €300k dalla banca Alfa), macchinari obsoleti valore €100.000, magazzino €50.000, crediti verso clienti €80.000 (ma alcuni incerti). L’azienda è in crisi di liquidità: fatica a pagare stipendi e fornitori. Banca Beta ha revocato gli affidamenti chiedendo rientro di €150k. Diversi fornitori hanno mandato diffide di pagamento; uno ha già ottenuto decreto ingiuntivo per €20.000. L’azienda però ha ancora ordini in portafoglio: potrebbe generare utili futuri se ristruttura e investe in nuovi macchinari più efficienti (ha un business plan credibile, ma servirebbe tagliare i debiti pregressi e ottenere credito fresco di €100k per nuovi impianti). Il titolare è preoccupato anche perché ha dato fideiussione personale alla banca Beta per €100k del fido.

  • Obiettivi del debitore: evitare la chiusura e salvare l’azienda, ridurre il peso dei debiti a un livello sostenibile, reperire nuova finanza per investire, e scongiurare sia il fallimento che la perdita della casa che è garanzia (la sua casa risponde per la fideiussione banca Beta).

Passo 1: Diagnosi e adeguati assetti. Il titolare, con l’aiuto del suo commercialista, redige una situazione di cash flow prospettico: risulta che senza interventi, l’azienda sarà insolvente entro 3 mesi (non potrà più comprare materie prime né pagare gli stipendi). Riconosce quindi lo stato di crisi avanzato. In ottemperanza all’art. 2086 c.c., convoca i soci e deliberano di attivare misure di composizione della crisi (questo è indice di buona condotta).

Passo 2: Composizione negoziata. L’azienda deposita istanza di composizione negoziata presso la Camera di Commercio. Viene nominato un esperto indipendente in 15 giorni. Nel frattempo il fornitore col decreto ingiuntivo minaccia pignoramento. L’azienda, d’accordo con l’esperto, chiede al tribunale misure protettive: il tribunale emette decreto che blocca per 3 mesi le azioni esecutive . Ciò ferma il fornitore e anche Banca Beta (che stava per congelare i conti) dal procedere.

  • L’esperto analizza i dati: ritiene che c’è prospettiva di risanamento perché l’azienda ha un mercato di nicchia valido e ordini, ma necessita di tagliare il debito. Mette in guardia: se i fornitori non collaborano, si dovrà optare per un concordato.
  • Trattative durante CNC: L’esperto convoca insieme il titolare e i rappresentanti di Banca Alfa, Banca Beta e 10 fornitori principali (che sommano €300k di credito sui €400k totali fornitori). Spiegano il piano: se i creditori accettano uno stralcio del 40% sui loro crediti e una dilazione 3 anni sul restante 60%, un investitore (un cliente storico) è disposto ad investire €100k nella società per comprare nuove macchine. Con quelle, l’azienda prevede margini per ripagare le rate. Le banche sono ascoltate:
    • Banca Alfa (mutuo ipotecario): propone di allungare il mutuo di 5 anni riducendo la rata (nessuna falcidia sul capitale di €300k, perché è coperto dall’ipoteca sul capannone che vale €500k – l’azienda non contesta, li pagherà interamente ma in più tempo). Banca Alfa inoltre darebbe un nuovo mutuo di €50k (prededucibile se si va in concordato) per liquidità, se gli altri creditori collaborano.
    • Banca Beta (fido revocato €150k): grazie alla presenza dell’esperto e alla prospettiva di piano, accetta di rientrare in 5 anni sul 80% (€120k) trasformando lo scoperto in un mutuo chirografario (falcidia 20%). Chiede però che il titolare mantenga la fideiussione per questo importo ristrutturato. L’esperto nota che Beta è favorevole perché altrimenti dalla liquidazione prenderebbe molto meno come chirografo puro (ha solo un parziale privilegio per interessi su pegno titoli 10k).
    • Fornitori: inizialmente alcuni vogliono 100%, ma l’esperto mostra loro che in fallimento prenderebbero forse 10-15%. Dopo negoziazioni, si raggiunge un accordo di massima: i fornitori accettano il 50% dei loro crediti, di cui 20% entro 6 mesi e il restante 30% in 24 mesi. In più, l’azienda garantisce di continuare ad acquistar da loro dando prelazione ordini futuri.
  • Transazione fiscale in CNC: L’azienda ha il grosso problema dell’IVA (€120k) e INPS (€50k). Con l’esperto, predispone una proposta transattiva: pagare integralmente l’IVA ma diluita in 5 anni (grazie all’investitore entrante), mentre sulle sanzioni e interessi chiede abbuono. Per INPS propone 100% contribuzione in 2 anni ma senza sanzioni. L’esperto scrive una relazione attestando che questa proposta è conveniente rispetto a un fallimento (dove IVA vedrebbe forse 5%, INPS 5% come chirografo su metà). L’Agenzia delle Entrate e l’INPS rispondono entro 60 giorni positivamente (nel 2025 grazie al D.Lgs 136/24 ciò è possibile ).
  • Esito CNC: Viene redatto un accordo quadro firmato da: l’azienda, Banca Beta, i fornitori pari al 75% dei crediti fornitori (altri piccoli non firmatari saranno comunque pagati al 100% come da piano), l’investitore che si impegna a versare €100k per aumento capitale in cambio del 30% quote, e con l’adesione scritta dell’esperto che certifica che l’accordo “assicura la continuità per almeno 2 anni” e che tutti i creditori estranei saranno soddisfatti regolarmente . Questo accordo rientra in quanto previsto dall’art. 23 co.1 CCII. Viene depositato in tribunale. Il tribunale, verificati i requisiti, omologa l’accordo transattivo con il Fisco contestualmente e prende atto dell’accordo stragiudiziale per gli altri creditori (non serve omologa formale per quelli privati, bastano le firme).
  • L’esperto chiude la composizione negoziata con esito positivo e relazione finale.

Passo 3: Esecuzione accordo stragiudiziale omologato: A questo punto, Dadi&Rondelle ha evitato il fallimento e il concordato giudiziale. Cosa resta da fare:
– L’investitore versa i €100k, con cui l’azienda compra subito due nuovi torni CNC aumentando efficienza.
– Con il flusso di cassa attuale, l’azienda paga immediatamente €20k (10%) ai fornitori come segno concreto e €10k di interessi arretrati alla Banca Beta.
– Nei successivi mesi, l’azienda onora le scadenze come da accordo: ogni trimestre versa quota ai fornitori, ogni mese paga rata a Beta e Alfa. Il Fisco inizia a ricevere le rate IVA ridotte (gli interessi sono dimezzati per legge grazie all’accordo premiato ex art.25-bis CCII ).
– I fornitori che non hanno firmato l’accordo (il restante 25% piccoli) vengono pagati al 100% a scadenza (grazie anche alla liquidità dell’investitore). Quindi non intraprendono azioni legali.

Situazione a 1 anno: L’azienda è tornata competitiva, con i nuovi macchinari il margine industriale è salito. Ha rispettato tutti i pagamenti concordati finora. I debiti totali ora residui sono: Banca Alfa €280k (mutuo in regolare ammortamento 9 anni rimanenti), Banca Beta €110k (dopo un anno di rate), Fornitori €150k rimanenti su 300k iniziali (considerando il taglio 50% e parte già pagata), Fisco €100k (dilazione in corso), INPS €30k residui. Totale ~€670k. L’attivo è: capannone (sempre lì), magazzino €80k (valore aumentato per ordini in crescita), macchinari nuovi + vecchi (valore combinato €180k ammortabile), crediti vs clienti €120k (in aumento, segno di vendite in ripresa). Il patrimonio netto da negativo è tornato positivo grazie all’aumento di capitale e a un piccolo utile dell’anno in corso.

Esdebitazione e profili penali: Non essendo stata aperta nessuna procedura concorsuale formale se non l’accordo omologato, non c’è stata dichiarazione di insolvenza pubblica né curatore. L’imprenditore ha evitato il rischio di bancarotta (perché non c’è fallimento). Inoltre, avendo transato i debiti IVA e contributi e iniziato a pagarli, evita le possibili denunce per omesso versamento (che scattano solo se entro la scadenza penalmente rilevante non paga nulla: qui invece c’è un piano approvato dallo Stato stesso). I creditori soddisfatti al 50% non possono accusarlo di nulla perché hanno consensualmente accettato la riduzione. Quindi penalmente è al sicuro. I soci iniziali mantengono il 70% della società (diluiti dall’aumento), ma preferiscono così piuttosto che zero in fallimento.

Simulazione alternativa (mancato accordo): Se le trattative fossero fallite (ad esempio, se i fornitori avessero rifiutato lo stralcio e l’investitore fosse scappato), l’azienda avrebbe avuto pronto il piano B: depositare un concordato preventivo in continuità. Avrebbe sfruttato la relazione finale negativa dell’esperto per chiedere misure protettive prolungate e presentato un piano di concordato offrendo comunque il 40% ai chirografari (in 4 anni) e il rimborso parziale ai privilegiati col valore di liquidazione (simile a quell’accordo proposto). Probabilmente i creditori, posti di fronte a un voto, l’avrebbero accettato comunque (perché conveniva loro). Avrebbe impiegato più tempo e speso di più in spese legali, ma l’esito finale sarebbe stato simile: azienda salva con debiti ridotti. Se invece anche il concordato fosse fallito (voti contrari ecc.), allora la liquidazione giudiziale sarebbe partita: curatore avrebbe venduto il capannone (€500k) per pagare Alfa e qualcosa ad altri, venduto i macchinari (€100k), incassato crediti €80k… forse i chirografari avrebbero preso un 20%. L’azienda avrebbe chiuso, i soci perso tutto. In più, il titolare magari incriminato per non aver versato IVA e per aver pagato di straforo qualche fornitore preferito. Questo scenario è stato evitato grazie alle azioni intraprese.

Lezioni apprese: La simulazione mostra come un debitore informato può usare gradualmente tutti gli strumenti: prima la negoziazione assistita (CNC) per raggiungere un accordo stragiudiziale e transare i debiti , tenendo a bada i creditori con misure protettive; poi, se serve, passare al concordato o all’accordo di ristrutturazione (non occorso qui perché CNC ha funzionato). Il punto centrale è la tempestività: Dadi&Rondelle ha agito prima di essere insolvente irreversibile, quando ancora c’era un investitore interessato e la produzione attiva. Ciò ha permesso soluzioni di continuità. Se avesse aspettato l’azione esecutiva di massa o la chiusura delle linee (Beta stava revocando) senza reagire, probabilmente sarebbe andata dritta al fallimento.

In questa guida abbiamo visto come difendersi in senso ampio: difendere la sopravvivenza dell’impresa e anche i diritti dell’imprenditore (ad esempio l’esdebitazione, la non punibilità penale) utilizzando tutti gli istituti giuridici moderni. L’Italia oggi offre un ventaglio di soluzioni modulabili secondo la gravità della crisi. La chiave di volta è che il debitore non deve vivere passivamente la crisi ma divenire attore principale della soluzione, con correttezza e trasparenza. Così facendo, anche se inevitabilmente dovrà sacrificare parte dei suoi interessi (per esempio, rinunciare a un po’ di patrimonio o accettare la perdita di controllo con un nuovo socio), potrà però evitare gli esiti peggiori (perdere tutto e avere strascichi giudiziari).

Tabelle riepilogative finali

Tabella 1 – Principali strumenti di gestione della crisi a confronto

StrumentoTipoChi può accedereCoinvolgimento giudiceEffetti principaliAdesione creditori richiestaVantaggiSvantaggi
Accordo stragiudiziale privato (piani di rientro, moratorie informali)Extra-giudiziale puro (contratto)Qualsiasi debitoreNessuno (contratto privato)Non vincola i dissenzienti; possibile revocatoria pagamenti preferenziali se fallimento successivoUnanimità dei creditori coinvolti (di fatto)Riservato, flessibile, rapido; nessuna pubblicitàNessuna protezione legale da azioni esterne; efficacia limitata ai consenzienti
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)Extra-giudiziale con attestazione professionaleImprese in crisi risanabili (fallibili o non)Nessuna omologa; deposito per data certaAtti in esecuzione esenti da revocatoria ; vincola chi aderisce, estranei vanno pagati regolareConsenso sufficiente dei creditori principali (no soglia rigida, ma dev’essere sostenibile)Protegge da revocatoria; nessuna procedura pubblica; gestione continua in capo al debitoreNessuna imposizione ai non aderenti; richiede attestatore e piano dettagliato; nessuno stay automatico (salvo misure concordatarie ancillari)
Composizione negoziata (D.L.118/2021, art. 23 CCII)Procedura volontaria stragiudiziale assistita da espertoImprese (anche insolventi) con prospettive di risanamentoLimitato: nomina esperto (camera di commercio); intervento giudice solo per misure protettive o autorizzativeMisure protettive disponibili ; gestione resta al debitore (niente spossessamento) ; esito flessibile (accordo, contratto, piano, domanda concorsuale)Totalmente volontaria: accordo finale deve essere sottoscritto dalle parti coinvolte (no voto)Riservata (pubblica solo se protezione richiesta) ; consente standstill legale temporaneo; intervento figura terza facilitatrice; incentivi fiscali (riduzione sanzioni/ interessi)Non garantisce esito; non vincola creditori non collaborativi (a meno di evolvere in concordato/ADR); durata limitata (max ~1 anno con proroghe)
Accordo di ristrutturazione omologato (artt.57-64 CCII)Procedura mista (accordo privato + omologa tribunale)Imprese sopra soglia fallimento (o anche minori per debiti che lo giustificano)Sì: omologazione da parte del tribunale; eventuali misure protettive su istanzaVincola solo i creditori aderenti (salvo estensione creditori finanziari dissenzienti se 75% aderisce) ; creditori estranei devono essere pagati integralmente entro 120 gg dall’omologaAdesione di almeno 60% dei crediti (75% se si vuole estendere a dissenzienti finanziari); per cram-down fiscale serve 30-40% pagamentoProcedura più rapida del concordato; niente voto generale (basi su consensi già ottenuti); possibile cram-down su Fisco/INPS e omologa forzata nonostante loro dissenso ; esenzione da revocatoria per atti esecutiviNecessario ampio consenso iniziale; non blocca formalmente azioni dei non aderenti durante trattativa (a meno di protective stay richiesto)
Concordato preventivo (artt.84-120 CCII) – Continuità o LiquidatorioProcedura concorsuale giudizialeImprese soggette a fallimento (non imprese minori)Sì: tribunale ammette, nomina commissario e omologaAutomatic stay per tutti i creditori ; pagamento debiti secondo piano omologato; spossessamento attenuato (debitor in possession sotto vigilanza)Approvazione a maggioranza crediti (50%+); se classi, maggioranza classi e crediti; poss. omologa anche con una classe consenzienteCoinvolge e vincola tutti i creditori (anche dissenzienti) – soluzione globale; blocco immediato delle azioni esecutive; possibilità di stralciare debiti chirografari e anche privilegiati (in parte) con transazione fiscale ; debitore mantiene gestione (in continuità)Procedura pubblica e lunga; costi elevati (commissario, esperti); requisiti stringenti (20% minimo ai chirografari se liquidatorio , apporto 10% attivo se liquidat.; piano soggetto a scrutinio severo); rischio di fallimento se non approvato o non omologato
Concordato “minore” (artt.74-83 CCII)Procedura concorsuale giudiziale (sovraindebitamento)Debitori non fallibili (imp. minori, professionisti, consumatori per debiti estranei attività)Sì: OCC + tribunale per omologaSimile al concordato, ma con OCC al posto del commissario; meritevolezza richiesta; possibilità conversione in liquidazione controllata se revocato/risoltoApprovazione se contrari <50% crediti (quorum inverso) ; per consumatore nessun voto (decide giudice)Accessibile ai piccoli; soglie formali più basse (no 20% minimo); tutela dal fallimento (non sono soggetti a liqu. giud.)Comunque pubblica; richiede buona fede del debitore (possibile rigetto se frode); vincola solo i crediti anteriori; durata procedure OCC spesso lunga per carenze strutture
Liquidazione giudiziale (ex Fallimento)Procedura concorsuale liquidatoria coattivaImprese fallibili insolventi (d’ufficio o su istanza creditori)Sì: tribunale dichiara insolvenza e nomina curatore e giudice delegatoSpossessamento totale; curatore liquida tutti i beni; creditore concorrono secondo privilegi; alla chiusura debiti residui non esigibili verso società (che si estingue) o persona fisica (con esdebitazione)Nessun consenso richiesto (procedura d’ufficio)Gestione professionale e imparziale dell’attivo; eventuale esdebitazione per persona fisica dopo chiusuraDebitore perde ogni controllo; cessazione attività (salvo esercizio provvisorio breve); implicazioni reputazionali e personali negative (possibili reati fallimentari, incapacità personali per durata procedura)
Liquidazione controllata (sovraindebitamento)Procedura concorsuale liquidatoriaDebitori non fallibili insolventiSì: nomina liquidatore (OCC) e giudiceSimile al fallimento ma in scala ridotta; patrimonio liquidato dall’OCC; crediti soddisfatti pro-quota; possibile esdebitazione finaleNessun voto (istanza deb./creditore/PM)Permette anche al piccolo debitore di liberarsi dei debiti residui (esdebitazione) pur non avendo accesso al fallimentoRealizza poco di solito (attivi esigui); debitore perde beni; procedura a volte meno efficiente (OCC con meno mezzi di un curatore fall.)
Concordato semplificato (art.25-sexies CCII)Procedura concorsuale straordinaria (post-CNC fallita)Imprese che hanno svolto composizione negoziata senza accordo (anche minori)Sì: tribunale omologa senza voto creditoriLiquidazione del patrimonio proposta dall’imprenditore; nessun voto creditori (solo eventuali opposizioni); nomina liquidatore per attuare cessione beniNessuna adesione necessaria (omologazione valutativa del giudice sulla convenienza)Evita il fallimento nonostante mancanza di consenso creditori; rapido (no adunanza, si va diretti a omologa)Residuale e utilizzabile solo in seguito a CNC; creditori insoddisfatti possano opporsi; di fatto liquidazione (impresa cessa)

Tabella 2 – Reati fallimentari comuni e consigli di prevenzione

Reato fallimentareDescrizionePena previstaEsempi di condottaCome prevenirlo
Bancarotta fraudolenta patrimoniale (art.216 co.1 n.1 l.fall.)Distrazione, occultamento, dissipazione di beni del patrimonio o simulazione di passività, in danno dei creditori, prima o durante fallimento. Richiede dolo di frode.Reclusione 3 a 10 anni (fino a 6 anni se semplice).Vendita sottocosto di asset a familiari; prelievi ingiustificati di cassa; creazione di false fatture di acquisto per gonfiare i debiti.Non sottrarre né svendere beni aziendali quando c’è rischio insolvenza; tutte le operazioni con parti correlate a valori di mercato e documentate. Non inventare debiti inesistenti. In concordato, far autorizzare dal giudice eventuali atti straordinari.
Bancarotta fraudolenta documentale (art.216 co.1 n.2 l.fall.)Sottrazione, distruzione o falsificazione dei libri e scritture contabili, oppure tenuta irregolare tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio/movimenti.Reclusione 3 a 10 anni. (Se condotta non dolosa ma negligente: bancarotta semplice doc., <=2 anni).Sparizione dei registri IVA e libro giornale; doppia contabilità segreta; contabilità tenuta “in nero” su fogli volanti illeggibili.Tenere la contabilità aggiornata e veritiera anche in crisi; conservare tutti i libri e supporti (anche digitali). Non distruggere né manipolare registri. In caso di caos contabile, farsi assistere da un professionista per riordinarla prima di eventuale fallimento.
Bancarotta preferenziale (art.216 co.3 l.fall.)Pagamento o concessione di garanzie a taluni creditori con intenzione di preferirli, in periodo di insolvenza. (Atto di favore verso un creditore a scapito par condicio).Reclusione 1 a 5 anni.Pagamento integrale di un fornitore “amico” poco prima del fallimento, mentre gli altri restano impagati; costituzione ipoteca volontaria a favore di un creditore chirografo in fase di dissesto.Astenersi dal pagare alcuni creditori escludendone altri quando l’impresa è già insolvente. Se un pagamento selettivo è indispensabile per la continuità (es. fornitore strategico), farlo autorizzare in concordato/pre-concordato . Trattare tutti i chirografari in modo uniforme nei piani.
Bancarotta semplice (art.217 l.fall.)Fatti meno gravi di imprudenza o negligenza che hanno contribuito al dissesto o al fallimento. Es: spese personali eccessive, uso di mezzi rovinosi di credito, negligenza grave.Reclusione fino a 2 anni. (Circostanze attenuanti se minima gravità).L’imprenditore ha ritardato colpevolmente il ricorso a procedure, aggravando i debiti; ha continuato a fare investimenti avventati in stato di dissesto; ha prelevato somme per fini privati poco prima del fallimento.Adottare condotta diligente: contenere le spese non essenziali in crisi (specie quelle personali dei soci/amministratori), non intraprendere operazioni azzardate (come finanziarsi a tassi usurai o vendere sottocosto crediti) per procrastinare l’insolvenza. Riconoscere il momento in cui fermarsi e cercare aiuto (concordato/allerta) invece di peggiorare il buco. Tenere informati gli organi di controllo e seguire i loro consigli.
Ricorso abusivo al credito (forma di bancarotta impropria ex art.223 co.2 l.fall.)Avere aggravato il dissesto ricorrendo a finanziamenti ingannevoli o eccessivi senza possibilità di rimborso (mezzi rovinosi per ottenere fondi). Spesso connesso a false comunicazioni sociali per ottenere credito.(Come bancarotta fraudolenta impropria: equiparata a fraudolenta, 3-10 anni, se dolo) O come semplice se per colpa, <=2 anni.Continuare a prendere merci a credito pur sapendo di non poterle pagare, fare leasing su beni superflui per avere liquidità immediata, falsificare bilanci per ottenere prestiti bancari aggiuntivi in stato disperato.Non contraffare i dati aziendali per ottenere nuovo credito. Se si è in prossimità dell’insolvenza, evitare di accumulare ulteriori debiti se non in contesto di un piano concordato di risanamento. Usare trasparenza con banche e fornitori: se il credito aggiuntivo serve, farlo rientrare in un accordo monitorato (es. finanziamenti in prededuzione autorizzati dal tribunale).

(Nota: le pene indicate sono quelle previste dalle norme fallimentari ad ottobre 2025; eventuali modifiche legislative successive potrebbero variare i range.)

Conclusioni

La gestione di un’azienda indebitata richiede un approccio strategico e multidisciplinare. Come abbiamo analizzato, esistono numerosi strumenti giuridici in Italia – aggiornati alle più recenti riforme – che consentono al debitore di difendersi dalle aggressioni dei creditori e al tempo stesso di ristrutturare la propria posizione, sia attraverso accordi negoziati che tramite procedure giudiziali. L’elemento chiave è la tempestività unita alla correttezza: un imprenditore che prende coscienza della crisi e attiva subito i percorsi di composizione (allerta interna, composizione negoziata, piani attestati, ecc.) avrà molte più chance di salvare la propria azienda (o quantomeno le parti sane di essa) e di limitare le proprie responsabilità personali, rispetto a chi si chiude in inerzia o adotta soluzioni “fai da te” potenzialmente elusive.

Abbiamo visto che il ventaglio di opzioni spazia dalle semplici dilazioni private (adatte per crisi leggere e pochi creditori, benché fragili giuridicamente) fino al concordato preventivo (strumento formale e potente, in grado di imporre tagli ai debiti con l’approvazione del tribunale). Nel mezzo si collocano innovazioni come la composizione negoziata, che riflette un nuovo paradigma di gestione assistita e confidenziale della crisi, e istituti come i piani attestati e gli accordi di ristrutturazione che offrono flessibilità con il minimo intervento giudiziario.

Dal punto di vista del debitore, ogni scelta comporta sacrifici ma anche opportunità: ad esempio, cedere parte del capitale a un investitore può essere la mossa vincente per rilanciare l’azienda (come nel caso esemplificativo), così come accettare di pagare ai creditori pubblici almeno il valore di liquidazione è necessario per ottenere lo stralcio fiscale . Allo stesso modo, aderire a procedure concorsuali implica costi e pubblicità, ma garantisce tutela legale (la moratoria delle azioni esecutive, la liberazione finale dai debiti tramite esdebitazione, ecc.). L’imprenditore deve valutare queste trade-off con lucidità, preferibilmente affiancato da consulenti esperti in crisi d’impresa.

Un altro aspetto fondamentale sottolineato è la distinzione tra le diverse categorie di debiti: ciascun tipo di credito (erario, banche, fornitori…) va affrontato con gli strumenti adeguati, e la normativa offre soluzioni ad hoc (la transazione fiscale per i tributi , la possibilità di classi separate per trattare diversamente fornitori strategici, la protezione dei nuovi finanziatori in prededuzione, ecc.).

Infine, non va mai trascurato il profilo della legalità: comportamenti scorretti del debitore possono tradursi in responsabilità civili e penali molto serie (dai reati fallimentari all’azione di responsabilità per aggravamento ex art.2486 c.c.). Ma, come abbiamo visto, seguendo il percorso normativo virtuoso – attivazione tempestiva delle procedure, trasparenza con l’esperto/commissario, rispetto della par condicio salvo autorizzazioni – il debitore può evitare tali conseguenze. La legislazione recente, con l’introduzione dell’esdebitazione ampia e l’attenzione al debitore onesto ma sfortunato, mira proprio a dare una seconda opportunità a chi affronta la crisi con correttezza .

In conclusione, un’“azienda di dadi e rondelle industriali con debiti” dispone oggi (nell’ottobre 2025) di un arsenale completo per difendersi: può negoziare con i creditori trovando accordi sostenibili, può ristrutturare formalmente i debiti attraverso il concordato o accordi omologati, oppure, se non c’è alternativa, può liquidare in modo ordinato l’attività, liberando l’imprenditore dai debiti per ripartire senza il peso del passato. La scelta del percorso va calibrata sul caso concreto e, spesso, combinata in sequenza (tentare prima l’accordo stragiudiziale, poi eventualmente il concorsuale).

Questa guida avanzata, arricchita da fonti normative e giurisprudenziali aggiornate, fornisce il quadro di riferimento per orientare tali decisioni, ma ogni singola situazione richiederà un’applicazione specifica dei principi qui enunciati. La speranza è che, con le informazioni fornite, avvocati, imprenditori e privati possano individuare con maggiore chiarezza “cosa fare per difendersi e come” fronteggiare una crisi d’impresa, trasformando un momento critico in un percorso di soluzione e – se possibile – di rinascita aziendale.

Fonti e Riferimenti (Normativa e Giurisprudenza)

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, entrato in vigore il 15 luglio 2022. (Articoli citati: artt. 2, 23, 25-bis, 25-sexies, 56, 57-64, 84-120, 74-83, 268-277, 283 CCII, etc.) . Modifiche integrative: D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 (Correttivo-bis) e D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (Correttivo-ter) – quest’ultimo ha introdotto l’art. 23 co.2-bis CCII sulla transazione fiscale nella composizione negoziata e chiarito vari aspetti (classi concordato, cram-down, ecc.) .
  • Legge 3/2012 (vecchia legge sul sovraindebitamento) – per riferimenti storici e transitori. Abrogata dal CCII ma rilevante per concetti di piano del consumatore e accordo (Corte Cost. n.245/2019 ha dichiarato incostituzionale il divieto di falcidia IVA in L.3/2012 ).
  • D.L. 118/2021 conv. L.147/2021 – Ha introdotto la Composizione Negoziata della Crisi e il Concordato semplificato, anticipando parte del CCII. (Art. 23 CCII e art. 25-sexies CCII derivano di qui) .
  • Codice Civile, artt. 2086 c.c. (dovere adeguati assetti e rilevazione crisi) e 2476-2486 c.c. (responsabilità degli amministratori per gestione oltre la soglia di scioglimento).
  • Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – Ancora vigente per la parte penale. (Articoli citati: art. 216 e 217 l.f. bancarotta fraudolenta e semplice , art. 223 l.f. bancarotta impropria, art. 236 l.f. reati concordatari, art. 2621 c.c. falso in bilancio).
  • D.Lgs. 74/2000 – Reati tributari. (Art. 10-bis: omesso versamento ritenute; 10-ter: omesso versamento IVA; art. 13: causa di non punibilità per integrale pagamento).
  • Sentenze e Giurisprudenza rilevanti:
  • Cass., Sez. I Civile, 11 novembre 2025, n. 29746: ha escluso che il socio fideiussore di società possa qualificarsi consumatore ai fini del piano del consumatore .
  • Cass., Sez. Unite Civili, 15 febbraio 2023, n. 5868: ha delineato i confini soggettivi del consumatore sovraindebitato, confermando criteri simili al Codice consumo (richiamata in Cass. 29746/2025) .
  • Cass., Sez. V Penale, 26 giugno 2024 (dep. 2/10/2024), n. 36582: ha ribadito che l’amministratore “di fatto” risponde dei reati fallimentari come l’amministratore di diritto, gravato di tutti i doveri e responsabilità .
  • Cass., Sez. I Penale, 12 settembre 2024, n. 34495: in tema di bancarotta preferenziale, ha evidenziato che il dolo richiesto è la consapevolezza dello stato di insolvenza e l’intento di favorire taluni creditori a scapito di altri .
  • Cass., Sez. I Civile, 15 gennaio 2020, n. 734: (in Fisco e Tasse) ha affermato che un concordato con parte in continuità e parte liquidatoria va considerato in continuità (no prevalenza quantitativa) .
  • Corte Costituzionale, 22 novembre 2019, n. 245: ha dichiarato illegittimo l’art. 7, co.1, L.3/2012 nella parte in cui escludeva la falcidia dell’IVA nei piani del consumatore/accordi (principio ora recepito nel CCII) .
  • Tribunale di Milano, 29 aprile 2020 (prime applicazioni transazione fiscale post L.159/2020) e Tribunale di Treviso, 27 marzo 2024 (classamento crediti garantiti SACE/MCC in concordato preventivo – richiamato da fonti) .
  • Cass., Sez. V Penale, 20 maggio 2011, n. 39593: orientamento consolidato sulla nozione di amministratore di fatto (continuità e significatività di gestione) citato in Cass. 36582/2024 .
  • Cass., Sez. VI Penale, 17 gennaio 2020, n. 742: (citata in massima Cass. 29746/2025) sull’ambito di “fideiussore consumatore”.
  • Cass., Sez. Un. Penali, 24/02/2021, n. 8555: ha affrontato il rapporto tra falso in bilancio e bancarotta impropria, affermando la configurabilità del concorso tra i reati in caso di fallimento conseguente (notata dalla dottrina).

La tua azienda che produce, importa o distribuisce dadi, rondelle, rondelle piane, rondelle grower, rondelle speciali, dadi autobloccanti, dadi flangiati, dadi inox, dadi ad alta resistenza, componentistica di fissaggio per carpenteria, meccanica, edilizia, impiantistica e rivendite tecniche, oggi è schiacciata dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

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Il settore dei dadi e delle rondelle è caratterizzato da margini ridotti, concorrenza aggressiva, costi dell’acciaio in aumento e necessità di mantenere grandi stock per garantire assortimento e tempestività.
Basta poco — un ritardo nei pagamenti dei clienti o la revoca dei fidi — per far esplodere una crisi di liquidità.

La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito con una strategia mirata.


Perché un’Azienda di Dadi e Rondelle va in Debito

  • aumento dei costi di acciaio, torniture, stampaggi e galvanizzazioni
  • pagamenti lenti da parte di carpenterie, imprese edili e rivenditori tecnici
  • magazzino immobilizzato tra dadi, rondelle, bulloni, minuteria e pallet di materia prima
  • costi elevati di trasporto, stoccaggio, logistica e lavorazioni conto terzi
  • concorrenza internazionale con prezzi molto bassi
  • riduzione o revoca delle linee di credito bancarie

Il problema reale non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.


Rischi se Non Intervieni Subito

  • pignoramento dei conti correnti
  • blocco dei fidi bancari
  • sospensione delle forniture da parte dei produttori
  • atti esecutivi, decreti ingiuntivi, precetti
  • sequestro del magazzino, pallet e attrezzature
  • impossibilità di evadere ordini e mantenere rapporti con i clienti
  • perdita di rivenditori e contractor strategici

Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato esperto può:

  • sospendere pignoramenti già avviati
  • bloccare richieste aggressive di rientro
  • proteggere conto corrente e liquidità
  • interrompere le azioni dell’Agenzia Riscossione

Prima si mette al sicuro l’azienda, poi si lavora alla ristrutturazione del debito.


2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti

Molti debiti presentano irregolarità, tra cui:

  • interessi non dovuti
  • sanzioni errate
  • addebiti duplicati
  • debiti prescritti
  • errori nelle cartelle esattoriali
  • commissioni bancarie anomale

Una parte consistente dell’esposizione può essere tagliata o completamente cancellata.


3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile

Strumenti disponibili:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi di rientro con fornitori (acciaio, galvanizzazioni, minuteria)
  • rinegoziazione dei fidi bancari
  • sospensioni temporanee dei pagamenti
  • utilizzo delle definizioni agevolate

4. Usare strumenti legali potentissimi che bloccano TUTTI i creditori

Per situazioni più serie, la legge consente:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • Accordi di Ristrutturazione dei Debiti
  • Concordato Minore
  • (nei casi estremi) Liquidazione Controllata

Questi strumenti bloccano completamente pignoramenti e atti esecutivi, permettendo all’azienda di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti.


Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo

Per salvare un’azienda del settore fissaggi e minuteria metallica servono competenze specifiche.
L’Avv. Monardo è:

  • Avvocato Cassazionista
  • Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

È il professionista ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende di dadi, rondelle e sistemi di fissaggio industriale.


Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo

  • analisi immediata della situazione debitoria
  • stop urgente a pignoramenti e decreti ingiuntivi
  • riduzione dei debiti non dovuti
  • ristrutturazione del debito con un piano personalizzato
  • protezione del magazzino, delle scorte e delle lavorazioni
  • trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • tutela completa dell’imprenditore e dell’impresa

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di dadi e rondelle industriali non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, chiara e perfettamente legale, puoi:

  • bloccare immediatamente i creditori,
  • ridurre davvero i debiti,
  • salvare ordini, forniture e clienti,
  • proteggere il futuro della tua impresa.

Agisci adesso.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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