Azienda Di Cesoiatrici Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se la tua azienda produce, importa o distribuisce cesoie industriali, cesoie a ghigliottina, cesoie idrauliche, cesoie meccaniche, lame industriali, ricambi, componenti elettronici e idraulici per carpenterie, officine meccaniche e industrie metalmeccaniche, e oggi si trova con debiti verso il Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è essenziale intervenire subito per evitare fermi produttivi e la perdita dei clienti.

Nel settore delle cesoiatrici, anche un ritardo minimo nella consegna o nell’assistenza può bloccare la lavorazione della lamiera, rallentare intere linee produttive e generare penali contrattuali molto pesanti.

Perché le aziende di cesoiatrici accumulano debiti

  • aumento dei costi di acciaio, idraulica, motori, PLC e componentistica di precisione
  • rincari delle importazioni e carenza di componenti elettronici
  • pagamenti lenti da parte di carpenterie, metalmeccaniche e integratori di automazione
  • ritardi nei versamenti IVA, contributi e imposte
  • magazzini complessi con numerosi ricambi, utensili e lame di ricambio
  • difficoltà ad ottenere fidi bancari adeguati ai cicli produttivi
  • investimenti elevati in collaudi, normative CE, software e manutenzioni tecniche

Cosa fare subito

  • far analizzare da un professionista tutta la tua esposizione debitoria
  • individuare debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
  • evitare piani di rientro insostenibili che soffocano la liquidità
  • chiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
  • proteggere rapporti con fornitori strategici e componenti chiave
  • usare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza bloccare produzione e assistenza

I rischi se non intervieni tempestivamente

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco delle forniture di idraulica, elettronica, lame e ricambi critici
  • impossibilità di consegnare cesoie o completare collaudi/installazioni
  • perdita di clienti industriali e rivenditori
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Come può aiutarti l’Avvocato Monardo

Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
  • iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Può aiutarti concretamente a:

  • bloccare pignoramenti e procedure esecutive
  • ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti normativi più efficaci
  • ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
  • proteggere materiali, ricambi, macchinari e continuità produttiva
  • evitare la chiusura e guidare la tua azienda verso un risanamento concreto

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Introduzione

Un’azienda manifatturiera specializzata in cesoiatrici (strumenti industriali per il taglio di lamiere) può trovarsi in gravi difficoltà finanziarie a causa di debiti elevati accumulati verso banche, fornitori e Fisco. Quando una società è indebitata oltre la capacità di rimborso, occorre intervenire subito per difendersi dai creditori e cercare soluzioni, evitando di aggravare la situazione. In Italia, dal 2022 è in vigore un nuovo quadro normativo – il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. 14/2019, più volte modificato) – che ha introdotto strumenti innovativi per gestire la crisi aziendale e offrire al debitore (sia esso imprenditore, amministratore o privato) opportunità di risanamento . Questa guida, aggiornata a ottobre 2025, illustra in chiave avanzata e pratica cosa fare per difendersi se un’azienda (come la nostra ipotetica “Cesoiatrici S.r.l.”) è sommersa dai debiti, dal punto di vista del debitore.

Approcceremo il tema con linguaggio giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti legali sia a imprenditori e privati. Saranno spiegati gli strumenti offerti dalla normativa italiana per ristrutturare o liquidare il debito, le mosse da compiere per proteggere l’impresa e il patrimonio, le responsabilità degli amministratori, nonché i possibili profili penali e tributari correlati. Troverete inoltre tabelle riepilogative dei procedimenti, esempi pratici di applicazione e una sezione di Domande & Risposte per chiarire i dubbi più comuni. L’obiettivo è fornire una guida completa su come un’azienda indebitata può difendersi legalmente dai creditori, evitare il fallimento disordinato e, dove possibile, salvare l’attività produttiva.

Esempio iniziale: La “TaglioPerfetto S.r.l.”, produttrice di cesoiatrici industriali, ha debiti scaduti per 300.000 € verso fornitori, un’esposizione bancaria di 500.000 € e 100.000 € di tasse non pagate. Il fatturato è calato e l’attivo patrimoniale non copre le passività. Gli amministratori vedono il rischio di azioni legali dei creditori (pignoramenti, istanze di fallimento) e di non poter più acquistare materie prime per produrre. In questa situazione, come possono difendersi dai debiti e tentare di salvare l’azienda? La risposta passa attraverso gli strumenti giuridici di composizione della crisi e le corrette decisioni da prendere tempestivamente.

Nei paragrafi seguenti esamineremo dapprima il quadro normativo vigente sulla crisi d’impresa, distinguendo i diversi tipi di debitori (imprese maggiori o “fallibili” vs debitori minori) e i doveri degli amministratori quando la società è in difficoltà. Illustreremo poi i vari strumenti di ristrutturazione del debito (dalla composizione negoziata ai piani attestati, dagli accordi di ristrutturazione al concordato preventivo) e le procedure di sovraindebitamento per le piccole imprese. Non mancherà uno sguardo alla liquidazione giudiziale (il nuovo termine per il fallimento) con le sue conseguenze e tutele, così come un focus sui profili fiscali (es. trattamento dei debiti tributari, “transazione fiscale”) e profili penali (ad es. reati di bancarotta) che possono coinvolgere l’imprenditore indebitato. Infine, sarà dedicata attenzione al punto di vista del legale rappresentante e degli amministratori: quali sono le loro responsabilità civili e penali, e come possono agire per tutelarsi e tutelare l’azienda.

In sintesi: un’azienda gravata dai debiti non è senza speranza, ma deve muoversi con decisione e cognizione di causa. La legge oggi mette a disposizione del debitore onesto una serie di soluzioni ordinate per regolare la crisi – anche con significativi tagli ai debiti e una possibile esdebitazione finale – purché si agisca per tempo e nel rispetto delle regole. Come vedremo, tempestività, trasparenza e scelta dello strumento giusto sono le chiavi per difendersi efficacemente dai debiti aziendali.

Crisi d’impresa: quadro normativo aggiornato al 2025

Negli ultimi anni la disciplina italiana della crisi d’impresa è stata rivoluzionata al fine di facilitare la ristrutturazione preventiva delle aziende e garantire una gestione più efficiente delle insolvenze. Il pilastro è il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII, D.lgs. 12 gennaio 2019 n.14), entrato in vigore definitivamente dal 15 luglio 2022 , in attuazione di una direttiva UE del 2019. Questo codice, più volte modificato (da ultimo con D.lgs. 83/2022 e D.lgs. 136/2024 per recepire la Direttiva (UE) 2019/1023 ), ha integrato in un sistema unitario sia le procedure concorsuali tradizionali (come il concordato preventivo e il fallimento, ora rinominato liquidazione giudiziale), sia le procedure “minori” di sovraindebitamento destinate ai debitori non fallibili (introdotte dalla Legge 3/2012).

Le novità chiave del Codice della Crisi possono essere così riassunte:

  • Obbligo di prevenzione interna: ogni imprenditore (specie società) deve dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e ad attuare senza indugio le necessarie iniziative . È un dovere sancito sia dal Codice (art. 3 CCII) sia dal Codice civile (art. 2086, comma 2 c.c., introdotto nel 2019). In pratica, l’azienda deve monitorare costantemente la propria sostenibilità finanziaria con indicatori di allerta, così da affrontare per tempo i segnali di difficoltà (es.: calo di liquidità, perdite di bilancio rilevanti, esposizioni scadute) .
  • Nuovo concetto di “crisi” distinto dall’insolvenza: il Codice definisce lo stato di crisi come il probabile futuro insolvenza, cioè uno squilibrio che rende non sostenibili i debiti per i successivi 12 mesi (art. 2 CCII). L’insolvenza resta invece la situazione più grave in cui il debitore non è più in grado di pagare regolarmente i propri debiti esigibili . Questa distinzione incentiva ad agire già in fase di “pre-crisi” prima di precipitare nell’insolvenza conclamata.
  • Strumenti di regolazione della crisi vs liquidazione: la legge incoraggia soluzioni che preservino la continuità aziendale e risanino l’impresa, ponendole in via prioritaria rispetto alla liquidazione finale. È espressamente previsto (art. 7, co.2, CCII) che, se sono presentate più domande, il tribunale esamini prima quella volta a evitare la liquidazione giudiziale . Ciò riflette un principio di fondo: salvare l’azienda (se possibile) conviene a tutti, perché il fallimento distrugge valore economico e posti di lavoro. Solo quando il risanamento non è praticabile si procede alla liquidazione dell’attività.
  • Nuovi istituti di allerta e composizione assistita: inizialmente il Codice 2019 prevedeva meccanismi di allerta esterna (segnalazioni obbligatorie da parte di creditori pubblici e Organi di controllo a un OCRI – Organismo di composizione della crisi). Tali meccanismi però non sono mai entrati in vigore e sono stati sostituiti nel 2021 da un approccio più confidenziale: la Composizione Negoziata per la soluzione della crisi d’impresa. Questo è un percorso stragiudiziale volontario, attivabile dall’imprenditore presso la Camera di Commercio, con l’affiancamento di un esperto indipendente nominato da una commissione regionale . Ne parleremo dettagliatamente più avanti; basti dire che la composizione negoziata consente all’imprenditore in difficoltà di negoziare con i creditori sotto tutela (grazie a misure protettive concesse dal tribunale) per trovare un accordo o preparare un piano di risanamento . Questo strumento mira a far emergere la crisi prima che diventi insolvenza irreversibile e può prevenire il fallimento se utilizzato con successo.
  • Riforma delle procedure concorsuali: le vecchie procedure sono state riviste in ottica più efficiente e aderente alla direttiva UE. Ad esempio, il concordato preventivo ora è declinato principalmente in due forme: concordato in continuità aziendale (se l’impresa prosegue l’attività, direttamente o tramite cessione/affitto d’azienda) e concordato liquidatorio (se mira solo a liquidare il patrimonio) . Per il concordato liquidatorio sono stati introdotti requisiti più stringenti (come l’obbligo di offrire almeno il 20% ai creditori chirografari, salvo apporto di risorse esterne) , così da evitare proposte di concordato meramente dilatorie o poco soddisfacenti. Nel concordato in continuità, invece, si favorisce la prosecuzione dell’impresa e la tutela dei lavoratori, limitando la dilazione dei debiti verso dipendenti a max 6 mesi . Inoltre, è stata introdotta la possibilità di omologare il concordato anche senza il voto favorevole dell’Erario o degli enti previdenziali, se la proposta è comunque più vantaggiosa per loro rispetto alla liquidazione (c.d. cram-down fiscale, di cui diremo in seguito).
  • Nuovi strumenti di ristrutturazione: accanto al concordato, il Codice aggiornato dal D.lgs. 83/2022 ha previsto un nuovo istituto denominato “Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione” (PRO) . Si tratta di uno strumento intermedio in cui il debitore, in stato di crisi o insolvenza, può proporre al tribunale un piano suddividendo i creditori in classi e chiedendone l’omologazione senza passare per il voto formale dei creditori (o con forme semplificate di approvazione). È una sorta di concordato semplificato e flessibile ispirato ai quadri di ristrutturazione preventiva della direttiva UE . Il piano soggetto a omologazione può essere convertito in un concordato preventivo (e viceversa) in base all’andamento delle trattative . Lo scopo è ampliare la gamma di soluzioni: di fatto, l’imprenditore può tentare un accordo in via negoziale con una larga parte di creditori e poi chiedere al giudice di renderlo vincolante anche sui dissenzienti, il tutto con iter più snello rispetto al concordato classico.
  • Semplificazioni e digitalizzazione: le procedure concorsuali sono state rese più snelle e digitali. Ad esempio, molte comunicazioni avvengono via PEC, è stata istituita una piattaforma telematica nazionale per le composizioni negoziate , e vengono incentivati tempi più rapidi (il giudizio di omologazione di un concordato deve concludersi entro 12 mesi dalla domanda ; la liquidazione controllata degli over-indebitati deve chiudersi in 4 anni al massimo ). L’obiettivo dichiarato è ridurre la durata media delle procedure concorsuali, storicamente lunga in Italia , così da migliorare le chance di soddisfare i creditori e di ripartenza per il debitore.
  • Nuove disposizioni penali: il Titolo IX del Codice ha riordinato i reati concorsuali (bancarotta fraudolenta, semplice ecc.), mantenendone la sostanza ma aggiornando i riferimenti (es: oggi si parla di reati commessi nell’ambito della liquidazione giudiziale anziché del fallimento). È stato soppresso il reato di false comunicazioni all’OCRI (dato che l’OCRI non esiste più) , mentre restano puniti con severità gli atti distrattivi, l’aggravamento doloso del dissesto e le altre condotte fraudolente verso i creditori (come dettagliato più avanti). È inoltre previsto un nuovo reato di bancarotta impropria da mancata tempestiva richiesta di procedura: gli amministratori che, pur potendo accedere a uno strumento di regolazione della crisi, si astengono colpevolmente dal farlo e aggravano il dissesto, ne rispondono anche penalmente in caso di successivo fallimento (si tratta di una forma di bancarotta semplice impropria, ex art. 330 CCII). In sintesi, la riforma enfatizza che non agire di fronte alla crisi può costare caro anche sotto il profilo sanzionatorio.

In conclusione, il quadro normativo attuale (aggiornato al 2025) fornisce un sistema integrato di procedure per affrontare i debiti aziendali in modo ordinato, equilibrando gli interessi del debitore e quelli dei creditori . Il legislatore, con queste riforme, tende a premiare il debitore onesto e cooperativo (definito meritevole) permettendogli di ristrutturare i debiti e perfino ottenere la liberazione dai debiti residui (esdebitazione) a fine procedura, mentre sanziona e scoraggia i comportamenti ostruzionistici o fraudolenti. Ciò rappresenta un cambio di prospettiva importante: la crisi d’impresa non è più vista solo come preludio punitivo al fallimento, ma come un percorso da gestire responsabilmente con gli strumenti giuridici adeguati, nell’interesse di tutte le parti coinvolte (impresa, creditori, dipendenti, Fisco, sistema economico).

Imprenditori “fallibili” vs “non fallibili”: chi accede alle diverse procedure

Un aspetto preliminare fondamentale è capire che tipo di debitore è l’azienda in crisi, poiché da ciò dipende quali procedure siano applicabili. La legge italiana infatti distingue tra:

  • Debitori “fallibili” (soggetti alle normali procedure concorsuali come fallimento/liquidazione giudiziale, concordato preventivo, ecc.), tipicamente gli imprenditori commerciali che superano certe soglie dimensionali.
  • Debitori “non fallibili” (soggetti esclusi dalla dichiarazione di fallimento, che possono però accedere alle procedure di sovraindebitamento), tra cui i piccoli imprenditori sotto soglia, gli imprenditori agricoli, i professionisti e i privati consumatori.

Questa distinzione, già presente nella vecchia legge fallimentare, è stata mantenuta nel Codice della Crisi . In breve, non è assoggettabile a fallimento (oggi liquidazione giudiziale) l’imprenditore commerciale che nei tre esercizi antecedenti la domanda insolvenza non ha superato congiuntamente determinati parametri:

  • Totale dell’attivo di bilancio annuo ≤ 300.000 € (per ciascuno degli ultimi 3 anni) ;
  • Ricavi lordi annuali200.000 € (media degli ultimi 3 anni) ;
  • Debiti totali (anche non scaduti) ≤ 500.000 € .

Se anche uno solo di questi limiti è superato, l’imprenditore è considerato sopra soglia e dunque “fallibile” (cioè soggetto alle normali procedure concorsuali) . Al contrario, chi rimane al di sotto di tutti e tre i parametri è un “imprenditore minore” non fallibile e ricade nel perimetro delle procedure di sovraindebitamento .

Nota: queste soglie valgono solo per imprenditori commerciali. Restano comunque esclusi dal fallimento per legge alcune categorie a prescindere dalle dimensioni: in particolare l’imprenditore agricolo (coltivatore diretto, azienda agricola), che non fallisce mai per definizione normativa (art. 1 LF e oggi art. 2, c.1 lett. a) CCII) , e gli enti pubblici. Inoltre i consumatori e in generale le persone fisiche non imprenditori non possono essere dichiarati falliti (il fallimento riguarda solo attività d’impresa): costoro in caso d’insolvenza accedono alle procedure di sovraindebitamento a loro riservate (piano del consumatore, ecc.).

Possiamo dunque elencare i principali soggetti “non fallibili” ammessi alle procedure di sovraindebitamento :

  • Consumatori: persone fisiche indebitate per scopi estranei all’attività d’impresa (es. debiti da finanziamenti personali, spese familiari, ecc.).
  • Imprenditori commerciali sotto-soglia: piccoli imprenditori individuali o società di persone/capitali di dimensioni minime, che rispettano tutte le soglie di cui sopra. Esempio: un artigiano, un negoziante al dettaglio molto piccolo o una SRL che nei 3 anni precedenti non ha mai superato 200k di ricavi e 300k di attivo, può essere considerata “non fallibile” e dunque accedere ad es. al concordato minore (la nuova versione del vecchio accordo di composizione) .
  • Professionisti e lavoratori autonomi (non organizzati in forma d’impresa): ad es. un avvocato, un architetto con partita IVA individuale, possono essere sovraindebitati (anche se avessero debiti alti) perché non “falliscono” civilisticamente. Anche associazioni tra professionisti rientrano tra i non fallibili .
  • Imprenditori agricoli: come detto, mai fallibili per legge, dunque utilizzano solo strumenti da sovraindebitamento. Il Codice ha previsto anche per loro soluzioni ad hoc, come la possibilità di accordi di ristrutturazione dei debiti agricoli semplificati.
  • Enti non commerciali e no-profit: associazioni, fondazioni, ONLUS, condomìni, e in generale soggetti che non esercitano attività commerciale in via principale rientrano tra i non fallibili .
  • Eredi di imprenditore defunto: se accettano l’eredità col beneficio d’inventario e trascorre più di un anno dalla morte senza fallimento, gli eredi possono accedere alle procedure di sovraindebitamento per gestire i debiti ereditari .
  • Soci illimitatamente responsabili di società di persone defunta o uscita dal fallimento: per i debiti personali rimasti a loro carico, se la società è sciolta da oltre un anno possono usare il sovraindebitamento.
  • Famiglia sovraindebitata: novità introdotta dal Codice 2022, che consente a più membri della stessa famiglia convivente, tutti indebitati, di presentare un’unica procedura familiare di composizione (con un piano comune), riducendo costi e tempi, purché i debiti abbiano origine comune o collegata .

Di contro, i soggetti fallibili (imprenditori sopra soglia, società di capitali medio-grandi, ecc.) in caso d’insolvenza dovranno utilizzare le procedure concorsuali ordinarie (concordato preventivo, accordo di ristrutturazione, amministrazione straordinaria se requisiti, e in caso estremo liquidazione giudiziale) .

👉 Riepilogando: se la nostra azienda di cesoiatrici è, ad esempio, una S.r.l. con fatturato annuo di 2 milioni € e debiti per 1 milione, sarà fallibile; dunque potrà accedere al concordato preventivo o ad accordi di ristrutturazione ma non alle procedure “minori”. Invece, se fosse una piccola ditta individuale artigiana con 150k € di ricavi annui e 250k di debiti, sarà non fallibile e potrà avvalersi delle procedure di sovraindebitamento (es. concordato minore) per gestire i suoi debiti. Identificare correttamente la categoria è il primo passo per scegliere la strategia difensiva adeguata.

Di seguito, nell’ottica pratica del “cosa fare” per affrontare i debiti, distingueremo dunque:

  • Le iniziative da intraprendere prima di avviare una procedura concorsuale, cioè la fase di allerta interna e composizione stragiudiziale della crisi (valida per tutti i debitori commerciali in crisi, grandi o piccoli).
  • Le procedure giudiziali da sovraindebitamento riservate ai debitori “minori” (consumatori, professionisti e piccole imprese sotto soglia).
  • Le procedure concorsuali ordinarie per imprese fallibili (strumenti di regolazione della crisi come piani attestati, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo; e, se tutto fallisce, la liquidazione giudiziale).
  • Gli aspetti fiscali e previdenziali specifici (gestione dei debiti verso Erario e INPS nelle varie procedure).
  • L’esdebitazione e gli effetti post-procedura (la liberazione dai debiti residui, quando prevista, e le limitazioni per il debitore).

Doveri degli amministratori in caso di crisi d’impresa

Dal punto di vista del legale rappresentante e degli amministratori dell’azienda indebitata, la legge impone una serie di obblighi di gestione prudente e di reazione tempestiva alla crisi, il cui mancato rispetto può comportare gravi responsabilità personali. È fondamentale che chi amministra la società sia consapevole di questi doveri, sia per tutelare il patrimonio sociale nell’interesse dei creditori, sia per evitare il proprio coinvolgimento in azioni di responsabilità o addirittura procedimenti penali.

Ecco i principali doveri fiduciari e legali degli amministratori quando la società si trova in crisi o insolvenza:

  • Istituzione di assetti adeguati: come accennato, l’art. 2086 c.c. impone agli amministratori di dotare la società di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili proporzionati alla natura e dimensione dell’impresa . Ciò significa implementare sistemi di controllo di gestione, contabilità attendibile, monitoraggio dei flussi di cassa e indicatori finanziari capaci di far emergere subito eventuali squilibri. Se tali assetti mancano e la crisi passa inosservata troppo a lungo, gli amministratori ne rispondono. I sindaci (organo di controllo) devono a loro volta vigilare e segnalare eventuali carenze; la riforma del 2022 ha infatti rafforzato la responsabilità concorrente dei sindaci che omettono di attivarsi in presenza di evidenti sintomi di crisi .
  • Dovere di attivazione tempestiva: non appena emergono segnali di “pre-crisi” – ad esempio uno squilibrio patrimoniale grave che potrebbe evolvere in insolvenza – l’organo amministrativo deve attivarsi senza indugio . Attivarsi significa: identificare le cause dei problemi (perdite, calo vendite, oneri finanziari eccessivi, ecc.), studiare le possibili soluzioni per ristabilire l’equilibrio economico-finanziario e iniziare ad attuarle concretamente . Non è lecito per un amministratore “far finta di niente” e continuare la gestione ordinaria come se nulla fosse: la legge oggi esige una reazione proattiva e rapida alla crisi. In particolare, l’art. 21 CCII stabilisce che, se l’impresa è in stato di crisi, gli amministratori devono gestirla evitando pregiudizi alla sostenibilità economico-finanziaria e adottando le iniziative idonee a preservare la continuità aziendale . In caso di insolvenza conclamata ma ancora reversibile (cioè con concrete prospettive di risanamento), il dovere diventa ancor più stringente: la gestione deve essere condotta nel prevalente interesse dei creditori , valutando attentamente ogni atto alla luce dell’obiettivo di soddisfare i creditori senza aggravare il dissesto.
  • Scelta dello strumento di regolazione della crisi: rientra nelle competenze esclusive degli amministratori la decisione di accedere a uno degli strumenti offerti dal Codice per regolamentare la crisi (es. composizione negoziata, accordo di ristrutturazione, concordato preventivo) e la predisposizione della proposta e del piano da sottoporre ai creditori . Questa scelta fa parte dei doveri di immediata attivazione per il superamento della crisi (collegati all’art. 2086 c.c.) ed è talmente riservata agli amministratori che il Codice prevede una temporanea deroga ai poteri dei soci: dalla decisione di accedere a uno strumento concorsuale, i soci non possono revocare gli amministratori salvo giusta causa, e comunque la scelta di accedere a una procedura di crisi non costituisce di per sé giusta causa di revoca . In altre parole, gli amministratori hanno mano libera nel portare la società in concordato (o simili) senza dover chiedere il voto dell’assemblea, così da evitare che soci di maggioranza possano bloccare un risanamento necessario perseguendo interessi propri a scapito dei creditori . Questo rafforza il concetto che, una volta in crisi, la tutela dei creditori prevale su quella dei soci: se salvare l’azienda richiede sacrifici per la proprietà (ad es. diluizione delle quote, cessione dell’azienda), gli amministratori devono poter procedere in tal senso nell’interesse superiore di evitare il dissesto.
  • Gestione conservativa in caso di perdite gravi o scioglimento: qualora si verifichi una causa di scioglimento della società – tipicamente la perdita del capitale sociale oltre il minimo legale (art. 2484 c.c. e seguenti) – gli amministratori devono agire senza indugio per accertare la situazione e limitare la gestione ai fini conservativi del patrimonio . In pratica, se il capitale è azzerato da perdite, non possono continuare l’attività “business as usual” come prima: devono immediatamente convocare l’assemblea per ricapitalizzare o trasformare la società, oppure avviare la liquidazione. Ogni atto compiuto dopo la causa di scioglimento, eccedente la mera conservazione del patrimonio, può essere fonte di responsabilità personale: gli amministratori rispondono dei danni causati ai creditori per la prosecuzione abusiva dell’attività oltre la soglia di legge . Questo principio è stato ora codificato anche sul piano del risarcimento: l’art. 2486 c.c., come modificato dal Codice della Crisi, prevede che il danno da illegittima continuazione dell’attività sociale sia liquidato in via equitativa almeno nella differenza tra patrimonio netto all’emersione della causa di scioglimento e patrimonio netto alla data di apertura della liquidazione (criterio dei netti patrimoniali) o, se maggiore, nel deficit fallimentare aumentato (criterio del deficit patrimoniale) . La Cassazione ha confermato nel 2024 che tali criteri presuntivi si applicano anche alle azioni in corso per quantificare il danno da ritardata liquidazione . Ciò significa che un curatore fallimentare (nella liquidazione giudiziale) potrà chiedere agli ex amministratori di rifondere la differenza di aggravio del dissesto provocata dalla loro inerzia.
  • Evitare atti pregiudizievoli e preferenze indebite: in fase di crisi conclamata o insolvenza, gli amministratori devono agire in modo da non peggiorare la posizione dei creditori. Sono vietate operazioni che dissipino risorse residue (es: svendita di beni aziendali a terzi compiacenti, trasferimenti di asset a società collegate per sottrarli ai creditori – condotte che sarebbero poi bancarotta fraudolenta). Ugualmente pericoloso è favorire alcuni creditori a discapito di altri con pagamenti preferenziali ingiustificati: ad esempio, se la società paga integralmente un fornitore “amico” mentre lascia insoluti gli altri, e poi fallisce, quell’atto può essere revocato come preferenza vietata e l’amministratore potrebbe risponderne (anche penalmente come bancarotta preferenziale). Dunque la gestione nella crisi deve ispirarsi a parità di trattamento e prudenza. È chiaro che l’impresa in crisi può dover scegliere quali pagamenti effettuare (ad es. per continuare l’attività minima), ma tali scelte devono essere coerenti con un piano e giustificabili nell’ottica del miglior interesse collettivo dei creditori. Ogni esborso privo di tale logica espone gli amministratori a contestazioni.
  • Collaborazione e trasparenza: un altro dovere cruciale per l’amministratore è mantenere una condotta trasparente e collaborativa con gli organi della procedura prescelta (esperto, OCC, tribunale, commissario) e con i creditori. Ad esempio, se l’azienda entra in composizione negoziata o presenta un concordato, l’organo gestorio deve fornire informazioni veritiere e complete sulla situazione economica, non occultare passività o attivi, e rispettare le prescrizioni (come non aggravare l’esposizione durante le trattative) . Questo atteggiamento non solo è richiesto dalla legge, ma conviene pragmaticamente: il debitore che tenta furbizie verrà scoperto e perderà la fiducia dei creditori e del tribunale, vedendosi magari bocciata l’omologazione del piano se emergono atti in frode . Viceversa, un amministratore onesto e propositivo, pur in colpa per la crisi, può portare la società a una soluzione concordata e ottenere l’esdebitazione residua, uscendo dalla vicenda senza strascichi penali o pecuniari personali.

Responsabilità in caso di inerzia o gestione sleale: storicamente gli amministratori sono stati raramente citati in giudizio per aver reagito tardi alla crisi, ma le cose stanno cambiando. Con la fine delle norme emergenziali COVID (che avevano sospeso gli obblighi di ricapitalizzazione nel 2020-21) e con la nuova cultura dei doveri, ci si attende un aumento delle azioni di responsabilità contro amministratori di società fallite . Già si notano più cause promosse dai curatori nelle liquidazioni giudiziali post-2022. Un primo segnale: i giudici valutano più severamente il comportamento di chi ha continuato ad accumulare debiti quando il patrimonio netto era già azzerato . Se l’attivo della società diventa insufficiente a soddisfare i creditori, ogni ulteriore perdita causata da operazioni imprudenti in tale fase può costituire danno risarcibile verso i creditori (azione ex art. 2394 c.c.) . Inoltre, come accennato, il Codice (art. 378 CCII) ha introdotto una responsabilità “da mancato ricorso a procedure”: l’amministratore che, potendo accedere a un concordato o altro strumento di composizione, non vi ricorre e lascia aggravare il dissesto può essere considerato responsabile dei danni verso creditori . Parimenti chi, per ritardare il fallimento, compie operazioni gravemente imprudenti (ad es. nuovi debiti insostenibili, ulteriore indebitamento in banca quando l’azienda è già decotta) sarà chiamato a rispondere se ciò ha peggiorato la situazione . In casi estremi, tale condotta omissiva o dilatoria può integrare persino il reato di bancarotta semplice impropria (art. 330 CCII) punendo l’amministratore per non aver agito.

In sintesi, dal punto di vista degli amministratori, “difendersi” dai debiti significa innanzitutto agire correttamente e tempestivamente: predisporre adeguati controlli interni, riconoscere per tempo la crisi e intraprendere le soluzioni previste dalla legge (non avventurarsi in gestioni disperate fuori legge). Così facendo, l’amministratore tutela sia la società sia sé stesso: evita di aumentare il buco (con possibili azioni di responsabilità), e tiene lontani i profili penali. Nel prossimo paragrafo vedremo proprio quali strumenti concreti l’amministratore può attivare per provare a risolvere la crisi e difendere l’azienda dai creditori, a partire dalla Composizione Negoziata che è la novità più rilevante degli ultimi anni.

Allerta interna e Composizione Negoziata: prevenire l’insolvenza

La migliore strategia per difendersi dai debiti è giocare d’anticipo. Aspettare passivamente che i ritardi nei pagamenti si accumulino e che i creditori agiscano in via giudiziaria può aggravare irrimediabilmente la situazione e far perdere il controllo agli imprenditori (oltre a esporli a responsabilità personali, come visto). Per questo il legislatore ha introdotto strumenti di allerta precoce e di composizione negoziata della crisi, da attivare non appena si profilano seri squilibri. Vediamo di cosa si tratta e come possono aiutare un’azienda indebitata.

Sistema di allerta “interno” e segnalazioni

Anche se il meccanismo di allerta “esterna” con OCRI non è in vigore, esiste comunque un sistema di allerta interno: come detto, gli organi sociali (amministratori e sindaci/revisori) hanno l’obbligo di monitorare gli indizi di crisi. Il Codice (art. 3 CCII) elenca alcuni segnali d’allarme da tenere d’occhio, ad esempio: reiterati ritardi nei pagamenti di imposte o retribuzioni, tensioni di liquidità, indicatori patrimoniali fuori norma. Inoltre, alcuni creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, Agenzia Riscossione) hanno il dovere di inviare al debitore comunicazioni di allerta se le sue inadempienze superano certe soglie (p.es. cartelle esattoriali > €5.000). Ricevuto tali avvisi, l’imprenditore deve attivarsi per sanare o per avviare una composizione negoziata. I collegi sindacali a loro volta, se vedono che gli amministratori non prendono provvedimenti adeguati, possono segnalare formalmente la situazione allo stesso organo amministrativo e, nei casi più gravi, al tribunale (ex art. 2409 c.c.) . Insomma, il sistema spinge l’allarme dall’interno: l’idea è che l’impresa in crisi non resti inerte ma cerchi un confronto ordinato con i creditori.

La Composizione Negoziata della crisi d’impresa

Il fulcro della gestione precoce della crisi è la Composizione Negoziata (CNC), introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021) e ora stabilizzata negli artt. 12-25-sexies CCII . Questo strumento è a disposizione di tutte le imprese commerciali o agricole (di qualunque dimensione, quindi sia PMI sia grandi imprese) che si trovano in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, ma per cui esistono ancora ragionevoli prospettive di risanamento. In parole semplici, la CNC è un percorso volontario e riservato in cui l’imprenditore tenta di trovare un accordo con i creditori, affiancato da un esperto indipendente e sotto la protezione di alcune misure di moratoria . Vediamone i tratti salienti:

  • Avvio presso la Camera di Commercio: l’imprenditore presenta un’istanza tramite la piattaforma telematica nazionale, allegando informazioni sulla situazione aziendale (bilanci, debiti, cause della crisi, etc.). Entro pochi giorni una commissione nomina un esperto terzo (di norma un commercialista, avvocato o consulente del lavoro con esperienza in crisi) scelto da un apposito elenco . L’esperto è tenuto a non avere conflitti di interesse ed è formato per svolgere funzione di facilitatore/mediatore nelle trattative .
  • Caratteristiche di riservatezza e controllo: la composizione negoziata è inizialmente riservata. L’accesso alla piattaforma e la nomina dell’esperto non vengono pubblicizzati, per evitare allarmismi nel mercato. Solo se il debitore chiede misure protettive (vedi oltre) o altra tutela, ci sarà un coinvolgimento formale del tribunale e l’iscrizione dell’istanza nel Registro delle Imprese (divenendo quindi conoscibile dai terzi). L’esperto, una volta accettato l’incarico, convoca l’imprenditore e inizia ad esaminare la sua situazione , cercando di individuare possibili soluzioni e gestendo le trattative con i creditori. L’imprenditore rimane in carica e continua a gestire la sua impresa (non c’è spossessamento né commissariamento), ma deve operare in buona fede e con la massima trasparenza verso l’esperto e le controparti.
  • Obiettivo e durata: l’obiettivo è superare lo stato di squilibrio e prevenire l’insolvenza attraverso un accordo o un piano. Ciò può avvenire in vari modi: ad esempio attraverso una rinegoziazione dei debiti bancari, l’ingresso di nuovi investitori, la dilazione dei pagamenti ai fornitori, la cessione di rami d’azienda non strategici, ecc. L’esperto aiuta a formulare un piano di risanamento credibile, verificando la fattibilità delle proposte (ha il dovere di segnalare se le ipotesi dell’imprenditore non sono realistiche). La legge prevede che la fase negoziata duri al massimo 180 giorni (prorogabili di ulteriori 180 in casi complessi) . Durante questo periodo, l’esperto redige relazioni intermedie sullo stato delle trattative e, alla fine, una relazione conclusiva in cui dichiara se è stato raggiunto o meno un accordo e se esistono sbocchi per la crisi.
  • Misure protettive e cautelari: uno dei vantaggi fondamentali per cui un imprenditore ricorre alla CNC è la possibilità di ottenere un blocco temporaneo delle azioni dei creditori. Infatti, sin dal deposito dell’istanza l’imprenditore può chiedere al tribunale la concessione di misure protettive (protective measures) ovvero l’automatic stay: il giudice, valutati i presupposti, può inibire o sospendere le azioni esecutive individuali dei creditori (pignoramenti, sequestri) e anche impedire dichiarazioni di fallimento durante la composizione . Tali misure di norma durano fino a 4 mesi (prorogabili a 12 mesi al massimo in totale) e servono a creare un “ambiente protetto” nel quale condurre le negoziazioni senza la pressione di procedure esecutive. Da notare che le misure protettive non toccano i diritti dei lavoratori (i crediti da lavoro non possono essere bloccati) . Inoltre il tribunale può nominare, su segnalazione dell’esperto, custodi o altri organi ausiliari per vigilare che l’imprenditore non compia atti lesivi durante la moratoria.
  • Coinvolgimento dei creditori e accordi: all’inizio la composizione è un affare riservato tra imprenditore ed esperto. I creditori vengono coinvolti solo quando l’imprenditore (su consiglio dell’esperto) ritiene di avere una proposta concreta da sottoporre. Non c’è un obbligo di convocare tutti i creditori sin da subito. Anzi, la legge incoraggia un approccio graduale e confidenziale: l’imprenditore può contattare i principali creditori su base volontaria per trattare possibili concessioni (riduzioni del debito, moratorie, conversione di crediti in capitale, ecc.). L’esperto funge da garante super partes, assicurando che le informazioni fornite siano veritiere e che nessun creditore sia ingannato. Se le trattative vanno a buon fine, si può arrivare a diverse soluzioni: (i) un semplice accordo stragiudiziale con alcuni o tutti i creditori (ad esempio, un accordo bilaterale con le banche per ristrutturare i mutui, e contestuali accordi singoli con fornitori per dilazioni); (ii) un piano attestato di risanamento (vedi oltre) che l’esperto aiuta a predisporre e attestare; (iii) un accordo di ristrutturazione dei debiti da omologare in tribunale; oppure (iv) un concordato preventivo vero e proprio. In altri termini, la composizione negoziata può concludersi con l’adozione di uno degli strumenti previsti dal Codice (accordo, concordato, ecc.), oppure anche con una soluzione totalmente stragiudiziale (ad es. un accordo privatistico firmato con tutti i creditori fuori dalle aule giudiziarie) . In ogni caso è l’imprenditore, con diligenza, a dover scegliere lo strumento più adatto e conveniente , su cui l’esperto esprimerà la sua valutazione. Se i creditori sono pochi e collaborativi, magari basta un accordo privato; se sono molti e serve vincolare anche i dissenzienti, sarà opportuno passare per un accordo omologato o un concordato.
  • Esiti possibili: oltre al caso positivo in cui si trova un accordo e l’azienda esce dalla crisi evitando la dichiarazione di insolvenza, la composizione negoziata può avere due esiti negativi: (i) se l’esperto constata che non ci sono prospettive di risanamento, può interrompere la procedura anticipatamente; (ii) se invece prospettive c’erano ma le trattative non hanno portato a un accordo entro i 180 giorni (o la proroga concessa), la procedura semplicemente termina. In quest’ultimo caso, tuttavia, la legge ha introdotto un’opportunità residuale per il debitore: il concordato semplificato. Previsto dall’art. 25-sexies CCII, il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio è uno strumento al quale solo chi ha tentato invano la composizione negoziata può accedere . In pratica, l’imprenditore insolvente, entro 60 giorni dalla relazione finale dell’esperto che attesta l’impossibilità di risanare l’impresa, può proporre al tribunale un piano di concordato “liquidatorio” senza voto dei creditori: il patrimonio dell’impresa viene destinato a liquidazione sotto controllo del tribunale, con distribuzione del ricavato ai creditori secondo le priorità di legge, anche senza il loro consenso. Il tribunale omologa questo concordato semplificato dopo aver sentito i creditori (possono fare osservazioni/opposizioni) e aver verificato che non siano violate norme imperative (es. ordine delle cause di prelazione). È una via d’uscita per chi, pur non essendo riuscito a trovare accordi, vuole evitare il fallimento ordinario e preferisce una liquidazione più rapida e guidata degli asset. Il vantaggio è che non serve il voto dei creditori (a differenza del concordato preventivo normale), quindi è imposto coattivamente ma consente comunque di ottenere l’esdebitazione a fine liquidazione. Questo istituto, nato come misura emergenziale post-pandemia, è stato reso strutturale: di fatto premia il debitore che quantomeno ha provato la via negoziale offrendo un’alternativa al fallimento .

In ogni caso, durante la composizione negoziata il tribunale non può dichiarare il fallimento (liquidazione giudiziale) dell’impresa: lo vieta espressamente l’art. 18, co. 4 CCII . Ciò rappresenta uno scudo fondamentale per il debitore: mentre si è in CNC con misure protettive attive, nessun creditore può ottenere una sentenza di fallimento. La Cassazione Penale, con una recente sentenza (Cass. pen. sez. III n. 30109/2025), ha addirittura riconosciuto che la pendenza di una composizione negoziata con controlli sull’azienda e l’autorizzazione alla continuità esclude il periculum necessario per convalidare un sequestro preventivo a fini penali . In quel caso, l’azienda e il legale rappresentante indagati per reati tributari avevano ottenuto l’annullamento di un sequestro da 13,8 milioni perché, essendo in composizione negoziata, mancava il concreto rischio di dissipazione dei beni illeciti – l’attività proseguiva sotto controllo del tribunale civile e l’esperto attestava la stabilità dell’azienda e l’assenza di condotte distrattive . Questa pronuncia valorizza la CNC come uno “scudo”: finché l’impresa coopera in un percorso di risanamento vigilato, non vi è necessità né civile né (in parte) penale di aggressione patrimoniale immediata .

Vantaggi pratici della composizione negoziata: dal punto di vista del debitore, la CNC offre diversi benefici: (a) consente di guadagnare tempo e bloccare i creditori, evitando l’immediata decozione dell’azienda; (b) è inizialmente riservata, quindi preserva la reputazione dell’impresa (nessun pubblico annuncio di procedure concorsuali in corso, salvo come detto per le misure protettive); (c) mette a disposizione un esperto qualificato che affianca l’imprenditore gratuitamente o a costi limitati (il compenso dell’esperto è parametrato all’attivo dell’impresa e spesso l’erario concede agevolazioni fiscali su tali costi ); (d) offre flessibilità negoziale: non ci sono schemi rigidi di proposta, il debitore può cercare soluzioni creative e su misura, coinvolgendo alcuni creditori strategici e magari differendo altri; (e) se porta a un accordo stragiudiziale, consente di evitare del tutto procedure concorsuali, con conseguente risparmio di costi e minor impatto sulla gestione (l’azienda può tornare “in bonis” una volta risanata). Anche qualora non porti a un accordo, il tentativo negoziato non è vano: come visto, apre la porta al concordato semplificato o comunque testimonia la buona fede dell’imprenditore, il che potrà contare in sede di eventuale giudizio (un imprenditore che ha provato la CNC difficilmente sarà accusato di dolo).

Limiti e considerazioni: la CNC non è però una panacea universale. Essa non impone alcun accordo: se i creditori non vogliono aderire o se le proposte non li convincono, l’imprenditore non può obbligarli (a differenza di un concordato omologato). Inoltre, la sua efficacia dipende molto dalla prospettiva di risanamento iniziale: se l’azienda è già tecnicamente fallita e senza possibilità di recupero, la CNC rischia solo di posticipare l’inevitabile fallimento di qualche mese – in tal caso potrebbe essere considerato un abuso. Infatti, se non esistono affatto chance di risanamento, l’imprenditore ha il dovere di non abusare della CNC (l’esperto stesso dovrebbe accorgersene e chiudere), altrimenti incorrerebbe in responsabilità per ulteriore aggravamento del dissesto . Un’altra criticità è che la moratoria dei creditori dura pochi mesi: se la crisi è molto complessa, potrebbe non bastare a definire accordi strutturali. In tali casi, conviene utilizzare la CNC come preludio rapido a un concordato preventivo (il Codice prevede espressamente che la CNC non è alternativa agli altri strumenti, ma anzi di regola li precede: è stata pensata per aprire la strada a soluzioni concordate o concorsuali successive) . Da notare che, durante la CNC, l’impresa continua ad operare: ciò è un’arma a doppio taglio, perché se l’andamento gestionale peggiora ulteriormente (per ragioni di mercato o incompetenza), si potrebbe erodere valore residuo. Ecco perché la durata è limitata e perché l’esperto deve vigilare su atti e contratti in corso di esecuzione (ad esempio può autorizzare l’impresa a ottenere nuova finanza prededucibile, o a sciogliersi da contratti onerosi, con intervento eventuale del tribunale).

Conclusione su questo punto: se la “Cesoiatrici S.r.l.” del nostro caso intravede ancora margini di salvataggio – un portafoglio ordini in ripresa, macchinari di valore, brevetti, competenze chiave – dovrebbe seriamente considerare la Composizione Negoziata come primo step. Ciò le permetterebbe magari di congelare i pignoramenti dei fornitori, sedersi al tavolo con la banca (magari quest’ultima, vedendo la buona fede dell’azienda e la presenza di un esperto super partes, accetta di ristrutturare il debito prolungando le scadenze o rinunciando a parte degli interessi) . Allo stesso tempo potrebbe accordarsi con i fornitori su un pagamento parziale dilazionato e negoziare col Fisco un piano (o preparare la transazione fiscale di cui diremo più avanti). In 4-6 mesi, con l’aiuto dell’esperto, l’azienda può stendere un piano di risanamento credibile. Se i principali creditori ci stanno, escono tutti soddisfatti: l’azienda evita il fallimento e prosegue l’attività; i creditori ottengono rientri migliori di quanto forse avrebbero preso in una liquidazione forzosa, e in tempi più brevi. Se invece non si trova la quadra, l’azienda potrà comunque convertire il percorso in un concordato preventivo (con la proposta di continuità se possibile, altrimenti di liquidazione dei beni ma in modo organizzato e con eventuale esdebitazione). In ogni caso la tempestiva attivazione della CNC è un elemento a favore del debitore anche agli occhi del giudice, come fattore di meritevolezza.

Passiamo ora ad esaminare in dettaglio le procedure vere e proprie per gestire e ridurre i debiti: prima quelle di sovraindebitamento per i soggetti minori (consumatori e piccole imprese), poi gli strumenti concorsuali ordinari (piani attestati, accordi e concordati) per le imprese maggiori.

Procedure di sovraindebitamento (per consumatori, professionisti e piccole imprese)

Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, introdotte originariamente con la L. 3/2012 (la cosiddetta “legge salva-suicidi”), sono ora disciplinate nel Codice della Crisi (artt. 65-83 CCII per l’accesso e la regolazione, e artt. 268-277 per la liquidazione e l’esdebitazione) . Si tratta di mini-procedure concorsuali semplificate, pensate dal punto di vista del debitore minore, con costi e formalità ridotti rispetto a un concordato preventivo ordinario . L’obiettivo è dare al debitore meritevole (che non ha colpe gravi o frodi) la possibilità di trovare una soluzione sostenibile alla propria esposizione debitoria: ad esempio pagare parzialmente i creditori a rate, oppure liquidare quel poco patrimonio disponibile in cambio della cancellazione di tutti i debiti residui.

Attualmente, dopo la riforma, le procedure da sovraindebitamento previste sono quattro (le prime tre erano già note nella L.3/2012 con nomi leggermente diversi, la quarta è una novità del 2020):

  1. Ristrutturazione dei debiti del consumatore – (nuova denominazione del vecchio piano del consumatore): riservata ai debitori persone fisiche “consumatrici”, ossia che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività d’impresa o professionale (tipicamente famiglie sovraindebitate, privati che hanno accumulato debiti con banche, finanziarie, ecc.) . Consiste in un piano di pagamento dei debiti proposto dal debitore, con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) nominato dal tribunale, senza voto dei creditori: è il giudice che valuta il piano e, se lo ritiene fattibile e il debitore rispetta i requisiti di meritevolezza, lo omologa anche se i creditori sono contrari . In pratica il consumatore può offrire di pagare ciò che realisticamente può (es. una percentuale dei debiti in 5 anni, preservando magari la prima casa se indispensabile e sostenibile) e ottenere la cancellazione del restante a fine piano. Questa procedura tutela il debitore persona fisica onesto: se egli non ha colpe gravi (non deve aver aggravato la situazione con dolo o colpa grave né frodato i creditori) , il tribunale può imporgli il piano anche contro il parere di eventuali creditori dissenzienti, purché il piano offra loro almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione. Non è richiesto il consenso dei creditori, dunque i debitori fiscali o le banche non possono opporsi se il giudice ritiene equo il piano.
  2. Concordato minore – (evoluzione del vecchio accordo di composizione dei debiti): è la procedura destinata ai debitori non consumatori ma comunque non fallibili (imprenditori sotto-soglia, professionisti, start-up innovative, imprenditori agricoli, enti non profit, ecc.) che si trovano sovraindebitati . Si chiama “concordato” perché, a differenza del piano del consumatore, prevede il voto dei creditori: il debitore propone un piano di ristrutturazione – anche qui con l’aiuto dell’OCC – e questo diventa vincolante solo se viene approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti aventi diritto al voto . In sostanza è una sorta di “piccolo concordato preventivo”, con alcune semplificazioni. Ad esempio, nel concordato minore normalmente non viene nominato un commissario giudiziale (a meno di casi molto complessi), ma c’è comunque il controllo di un Gestore della crisi (l’OCC) che aiuta a redigere il piano e vigila sull’esecuzione . Il concordato minore può prevedere sia la continuità aziendale (se si vuole proseguire l’attività, ristrutturando i debiti magari con dilazioni, nuove garanzie, ecc.) sia la liquidazione di parte o tutti i beni. In quest’ultimo caso (concordato minore liquidatorio) è richiesto però che il debitore offra un apporto di risorse esterne “apprezzabile” per migliorare il soddisfacimento dei creditori – principio analogo a quello del concordato preventivo liquidatorio (20% ai chirografari salvo finanza esterna). Il quid pluris serve a giustificare l’omologazione se i creditori accettano. Anche qui la legge pone limiti di ammissibilità simili: non può accedere al concordato minore chi ha già beneficiato di esdebitazione nei 5 anni precedenti (o più di due volte in totale), né chi ha compiuto atti fraudolenti verso i creditori (verrebbero considerati inammissibili) .
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato – (era la liquidazione del patrimonio nella legge 3/2012): è la procedura concorsuale liquidatoria prevista per il debitore sovraindebitato (consumatore o piccolo imprenditore) che non è in grado di offrire un piano di ristrutturazione fattibile, oppure che preferisce mettere fine alla situazione liquidando tutto il patrimonio disponibile. Si attiva su istanza del debitore stesso (o anche di un creditore o del PM in teoria) e funziona in modo analogo a un fallimento in miniatura: il tribunale nomina un Liquidatore Giudiziale che prende in mano il patrimonio del debitore, vende i beni (eccetto quelli impignorabili, ad esempio gli strumenti di lavoro essenziali o la casa se non vi sono ipoteche – dipende dai casi) e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le regole delle prelazioni . Durante la liquidazione controllata, i creditori non possono agire individualmente (le azioni sono sospese) e il debitore persona fisica può continuare a svolgere attività lavorativa usando quello che gli serve per mantenersi (entro limiti di reddito fissati). Il grande vantaggio di questa procedura, rispetto a una liquidazione forzosa disordinata (con tanti pignoramenti scoordinati), è che avviene sotto controllo giudiziario e consente al debitore di ottenere l’esdebitazione finale: infatti il Codice prevede che, terminata la liquidazione controllata, il debitore persona fisica è liberato automaticamente dai debiti residui non soddisfatti (salvo eccezioni per debiti alimentari o da dolo) . Non c’è più bisogno di un’apposita istanza: l’esdebitazione è concessa di diritto dopo la chiusura, purché il debitore abbia cooperato e non abbia frodato (dura max 4 anni la liquidazione: 3 anni per liquidare attivo + 1 per riparti finali) . Questa procedura è indicata nelle situazioni più gravi in cui il patrimonio è insufficiente a sostenere un piano di rientro e/o i creditori non approverebbero un concordato. Ad esempio, un imprenditore che non riesce a mettere d’accordo i creditori per un concordato minore può optare per la liquidazione controllata: accetta di liquidare i suoi beni (magari un immobile, le scorte di magazzino, etc.), i creditori prendono quel che si ricava (di solito poco, purtroppo), ma in cambio il debitore cancella ogni debito residuo e può ripartire pulito a fine procedura . È un fallimento “mite” in un certo senso: non c’è interdizione personale, non c’è stigma (non si chiama fallimento apposta), e il debitore onesto ha la prospettiva concreta di fresh start.
  4. Esdebitazione del debitore incapiente – (detta anche “esdebitazione senza utilità”): introdotta dalla L.176/2020 e ora art. 283 CCII, è una procedura eccezionale pensata per la persona fisica meritevole ma completamente incapiente, cioè priva di qualunque bene pignorabile e reddito aggredibile, dunque impossibilitata a offrire qualunque utilità ai creditori . In tali casi estremi, la legge consente al debitore di chiedere al tribunale la cancellazione di tutti i propri debiti senza dare nulla in cambio ai creditori. È uno shock per il principio di responsabilità patrimoniale, ma è giustificato come misura umanitaria: serve a evitare che chi è nullatenente resti per sempre oppresso da debiti impagabili. L’esdebitazione dell’incapiente si può ottenere una sola volta nella vita e solo se il debitore non ha colpe gravi (non deve aver dilapidato il patrimonio volontariamente, né aver rifiutato offerte di lavoro congrue negli ultimi 4 anni, ad esempio) . La procedura è semplificata: si deposita l’istanza, l’OCC verifica l’assenza di attivi e la meritevolezza, il giudice omologa la liberazione dai debiti. I creditori possono opporsi se emergono atti in frode o se, entro 4 anni dall’esdebitazione, il debitore riacquista capacità finanziaria (in tal caso potrebbero essere chiamati a concorrere su eventuali sopravvenienze). In sintesi è un “fresh start” immediato e totale per chi è veramente disperato e onesto. Esempio: piccolo imprenditore pensionato, senza casa né stipendio né eredi, con 100k di debiti verso banche: se dimostra di non poter mai pagare nulla, il tribunale può cancellare quei debiti per permettergli di vivere dignitosamente il resto della vita. Misura estrema ma contemplata dalla legge.

Di tutte queste procedure può beneficiare solo il debitore meritevole. Meritevolezza in ambito sovraindebitamento significa che il debitore non deve aver provocato la propria insolvenza con atti di mala fede, colpa grave o violazioni di legge (es. non deve aver contratto debiti senza prospettiva di pagarli, o dissipato il patrimonio in spese voluttuarie, o peggiorato la situazione dolosamente). La valutazione di meritevolezza è discrezionale del giudice e spesso rappresenta la barriera principale: ad esempio, con sentenza 22890/2023 la Cassazione ha stabilito che può accedere un consumatore sovraindebitato che abbia tenuto comportamenti non imprudenti, mentre chi ha violato l’obbligo di leale collaborazione (occultando debiti) va escluso . Dunque presentarsi “puliti” in giudizio è fondamentale. In compenso, la normativa recente ha allargato un po’ le maglie: col DL 137/2020 è stato previsto che eventuali atti di frode remoti (es. vendite di beni a parenti prima della procedura) non precludono l’accesso se non hanno effettivamente danneggiato i creditori grazie a rimedi come le revocatorie (in sostanza, se il debitore ha rimediato all’atto in frode).

Chi decide su queste procedure? Il tribunale in composizione monocratica competente per il luogo di residenza/sede del debitore. La figura chiave è l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi), un ente terzo (spesso istituito presso le Camere di Commercio o Ordini professionali) che nomina un Gestore della crisi individuale (un professionista) per seguire il caso. Il Gestore/OCC aiuta a predisporre il piano o la domanda, raccoglie le adesioni dei creditori (nel concordato minore), svolge funzioni simili al curatore nella liquidazione controllata. Costi: il sovraindebitamento è pensato per essere accessibile: i costi dell’OCC e della procedura sono calibrati sul patrimonio, spesso rateizzati a carico del debitore durante la procedura, e comunque molto inferiori a quelli di un concordato preventivo ordinario. L’assistenza tecnica di un avvocato è altamente consigliabile, ma non sempre obbligatoria per legge (anche se in pratica serve).

Vantaggi per il debitore sovraindebitato: il principale è ovviamente la prospettiva di debit relief – il debitore può effettivamente tagliare/ridurre i debiti in misura anche significativa. Nei piani del consumatore spesso si vedono stralci dell’80-90% del debito (perché il giudice omologa se quello è quanto il debitore può pagare massimamente, e tanto i creditori non otterrebbero di più pignorando uno stipendio modesto). Nel concordato minore, se l’attività è ancora valida, si può dilazionare il debito e continuare a lavorare evitando la chiusura dell’impresa. Nella liquidazione controllata, come detto, c’è la pace finale dei debiti dopo pochi anni. Il Fisco e gli enti previdenziali partecipano anch’essi a queste procedure: possono subire falcidie (ad esempio IVA e contributi si possono tagliare in un piano del consumatore omologato senza voto, purché li si paghi almeno in parte) – c’è stato un dibattito se fosse possibile ridurre l’IVA, ma dal 2021 è stato chiarito di sì, è ammissibile . Inoltre la riforma ha previsto espressamente il cram-down fiscale anche qui: se l’Erario vota no al concordato minore, il tribunale può omologare lo stesso se ritiene la proposta più conveniente per il Fisco rispetto ad alternative liquidatorie . Questo risolve un annoso problema: prima il dissenso del Fisco in un accordo poteva bloccare tutto, ora non più se la proposta è ragionevole. Anche la Cassazione a Sezioni Unite nel 2021 ha confermato la legittimità dell’omologazione forzata sulla base della convenienza economica .

Per tornare al nostro scenario pratico: se la Cesoiatrici S.r.l. fosse in realtà una piccola impresa artigiana sotto soglia (non fallibile), potrebbe ad esempio accedere al concordato minore per ristrutturare i debiti: potrebbe proporre ai creditori di pagarli al 50% in 5 anni usando gli utili futuri, mantenendo così l’attività aperta (se i creditori che rappresentano oltre la metà del debito approvano, il piano viene omologato e i pagamenti ripartono sostenibilmente, con stralcio del restante 50%) . Oppure, se l’azienda non è più sostenibile, potrebbe optare per la liquidazione controllata: chiude l’attività, vende i macchinari e il magazzino distribuendo il ricavato ai creditori, e dopo 3 anni residui ottiene l’esdebitazione liberandosi dai debiti insoddisfatti . In entrambi i casi, evita che i singoli creditori agiscano in modo scoordinato o richiedano il fallimento. Per l’imprenditore individuale sotto soglia, queste procedure sono davvero una salvezza: permettono di salvare l’azienda se ancora vitale, o quantomeno di chiudere i conti col passato e ripartire senza debiti. Invece, se la nostra Cesoiatrici S.r.l. fosse sopra soglia, non potrebbe accedere al concordato minore ma dovrebbe usare il concordato preventivo ordinario (che vedremo dopo). L’imprenditore socio o garante, però, potrebbe in parallelo usare le procedure sovraindebitamento per i propri debiti personali (ad esempio includendo le fideiussioni che aveva prestato, così da liberarsene) . Occorre tuttavia ricordare che la società e la persona fisica sono entità distinte: non esiste una procedura unica che li comprenda entrambi (salvo il caso di procedura familiare se fossero moglie e marito indebitati, ma non è questo il caso) .

Riassumiamo le principali differenze tra le procedure di sovraindebitamento in una tabella per chiarezza:

<table> <tr> <th>Procedura (sovraindebitamento)</th> <th>Destinatari</th> <th>Voto dei creditori</th> <th>Esito sui debiti</th> <th>Note</th> </tr> <tr> <td><b>Ristrutturazione dei debiti del consumatore</b><br/>(Piano del consumatore)</td> <td>Solo persona fisica <i>consumatore</i> (non imprenditore)</td> <td><b>No voto</b> – decide il Tribunale in omologa </td> <td>Piano di pagamento parziale; <br/>debiti residui cancellati all’omologa (se rispettate condizioni)</td> <td>Richiede <i>meritevolezza</i> del consumatore; tutela massima per il debitore onesto</td> </tr> <tr> <td><b>Concordato minore</b><br/>(Accordo di composizione)</td> <td>Debitori <i>non fallibili</i> non consumatori (piccole imprese, professionisti, ecc.) </td> <td><b>Sì, voto</b> – serve maggioranza crediti > 50% </td> <td>Piano vincolante per tutti i creditori anteriori dopo omologa;<br/>debiti residui cancellati a fine esecuzione</td> <td>OCC affianca il debitore; no commissario di solito; possibile <i>continuità aziendale</i> o liquidazione; prevede contributo esterno se liquidatorio</td> </tr> <tr> <td><b>Liquidazione controllata</b><br/>(Liquidazione del patrimonio)</td> <td>Qualsiasi debitore <i>non fallibile</i> insolvente (consumatore o imprenditore minore)</td> <td>Nessun voto – è una procedura liquidatoria disposta dal Tribunale</td> <td>Liquidatore vende i beni e distribuisce ai creditori;<br/><b>Esdebitazione automatica</b> per la persona fisica al termine </td> <td>Durata max 4 anni; debiti insoddisfatti estinti (persona fis. libera da debiti; società di pers. estinte); non richiede meritevolezza assoluta (tranne per esdebitazione, dove serve almeno assenza dolo)</td> </tr> <tr> <td><b>Esdebitazione dell’incapiente</b><br/>(senza utilità)</td> <td>Persona fisica <i>nullatenente</i> meritevole (no patrimonio né reddito pignorabile)</td> <td>Nessun voto – provvedimento del Tribunale</td> <td><b>Debiti cancellati integralmente</b> senza pagamento ai creditori</td> <td>Concessa una sola volta; esclusa per debiti da dolo o atti in frode; revocabile se compaiono utilità entro 4 anni</td> </tr> </table>

Passiamo ora alle procedure concorsuali ordinarie, rivolte invece alle imprese fallibili (o a qualunque impresa per gli strumenti stragiudiziali).

Strumenti di ristrutturazione del debito per imprese “sopra soglia”

Per le aziende di dimensioni maggiori, soggette alle norme concorsuali ordinarie, l’ordinamento prevede diversi strumenti legali per ristrutturare i debiti ed evitare la liquidazione giudiziale. Possiamo distinguerli in due categorie: soluzioni stragiudiziali o paragiudiziali (piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione dei debiti) e procedure concorsuali giudiziali (concordato preventivo e, quale ultima ratio, liquidazione giudiziale). Tutti questi strumenti sono disciplinati dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza e rappresentano le opzioni a disposizione dell’imprenditore “fallibile” per difendersi dai creditori attraverso una regolazione collettiva della crisi. Vediamoli in dettaglio.

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)

Il piano attestato di risanamento è il metodo più “soft” e interamente stragiudiziale per ristrutturare i debiti di un’impresa in crisi . Esso è regolato dall’art. 56 CCII (ex art. 67 L.F.) e consiste in un piano di risanamento redatto dall’imprenditore, con l’aiuto di consulenti, che viene asseverato da un professionista indipendente (attestatore) quanto alla fattibilità e veridicità dei dati, e poi eventualmente pubblicato nel Registro delle Imprese su richiesta del debitore .

  • Come funziona: l’imprenditore elabora un piano industriale e finanziario pluriennale mirato a riequilibrare la situazione aziendale. Ad esempio, il piano può prevedere la ristrutturazione dei debiti in accordo con alcuni creditori (banche, fornitori), la dismissione di asset non strategici, la ricapitalizzazione da parte dei soci, etc. Il fulcro è che un esperto indipendente (tipicamente un commercialista) viene incaricato di verificare i dati e giudicare che il piano sia fattibile e idoneo a risanare l’impresa. Questo esperto rilascia una relazione di attestazione positiva.
  • Accordi con i creditori: il piano attestato in sé non obbliga i creditori a qualcosa (non è un titolo esecutivo né un provvedimento giudiziario). Quindi la sua efficacia pratica dipende dal fatto che il debitore ottenga il consenso individuale dei creditori coinvolti. In altri termini, di solito il piano attestato viene accompagnato da accordi stragiudiziali con i principali creditori: ad esempio, le banche firmano accordi bilaterali di moratoria o di riduzione dei tassi, i fornitori accettano di prorogare le scadenze o rinunciare a parte del credito in cambio di pagamenti parziali, etc. A differenza degli accordi ex art.182-bis (vedi dopo), qui non c’è soglia di adesione né omologazione: ogni creditore aderisce singolarmente secondo la propria volontà.
  • Perché farlo allora? Il vantaggio del piano attestato è la massima rapidità e riservatezza: non c’è intervento del tribunale, nessun voto collettivo, l’azienda può evitare la “pubblicità” di una crisi conclamata. È uno strumento flessibile usato spesso come ricapitalizzazione concordata: l’imprenditore presenta il piano ai creditori e li convince che, se collaborano (ad es. rinunciando a una quota del credito), l’azienda potrà risollevarsi e ripagarli in parte invece di fallire.
  • Protezione offerta: il piano attestato offre una protezione legale indiretta: i pagamenti e le garanzie concesse in esecuzione del piano attestato non sono soggetti a revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento . Ciò significa che i creditori che partecipano al piano hanno la garanzia che, se anche la società dovesse fallire successivamente, i pagamenti ricevuti ora non verranno richiesti indietro dal curatore (purché strettamente eseguiti secondo il piano e nei limiti dell’attestazione). Questo scudo legale, previsto dall’art. 67, co.3, lett. d) L.F. (ora art. 56 CCII), è un incentivo importante: i creditori sono più disponibili ad accordi sapendo di non rischiare la revoca. Inoltre la recente normativa consente anche di ottenere la sospensione delle azioni esecutive per 60 giorni se si deposita la richiesta di attestatore presso il tribunale (misura temporanea per preparare il piano).
  • Quando usarlo: il piano attestato è indicato quando l’impresa ha un numero relativamente contenuto di creditori rilevanti, tali da poter essere negoziati singolarmente, e quando la crisi è ancora moderata. Se invece i creditori sono tanti e “disorganizzati”, o se serve obbligare una minoranza dissenziente, il piano attestato non basta (in tal caso occorrerà un accordo omologato o un concordato).

Nell’ottica della nostra guida, il piano attestato può essere uno strumento di difesa dai debiti ad esempio per ristrutturare un debito bancario: si fa attestare un piano di risanamento dove la banca vede che, concedendo respiro (es. allungando un mutuo), l’azienda potrà tornare profittevole. La banca aderisce privamente. I fornitori, magari relativamente pochi, accettano anche loro per iscritto una dilazione. L’azienda esce dalla crisi senza mai passare dal tribunale. Si noti però che questa soluzione non offre un “freeze” generale: se c’è un creditore aggressivo che non aderisce e fa partire un pignoramento o un’istanza di fallimento, il piano attestato di per sé non lo ferma. In tali casi, si dovrebbe valutare misure protettive via tribunale (ad es. presentare intanto una domanda di concordato in bianco per bloccare il fallimento, poi eventualmente rinunciare se il piano attestato va in porto). È delicato, quindi va valutato con esperti caso per caso.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)

Gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (ARD) sono dei patti stipulati tra il debitore e una parte significativa dei suoi creditori, che acquistano efficacia vincolante grazie all’omologazione del tribunale . Rappresentano uno strumento intermedio tra il piano puramente privato e il concordato: c’è più coinvolgimento del tribunale rispetto al piano attestato (che era fuori dal giudizio), ma meno rispetto al concordato (non c’è voto di tutti i creditori né procedura collettiva completa). I tratti principali:

  • Soglia di adesione: per il formato standard di accordo ex art. 57 CCII, il debitore deve ottenere l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali . Dunque serve una maggioranza qualificata, ma non l’unanimità. I creditori aderenti sottoscrivono l’accordo e si impegnano a quanto esso prevede (ad es. accettano pagamenti parziali, rinunce, conversioni in capitale, ecc.).
  • Trattamento dei non aderenti: i creditori non aderenti all’accordo restano estranei e devono essere pagati integralmente alle scadenze originarie (salvo che anch’essi accettino modifiche). Questo è un limite importante: l’accordo di ristrutturazione non vincola i dissenzienti. In pratica, si tratta di un accordo “multi-laterale” che vincola la maggioranza consenziente, mentre i restanti creditori devono comunque essere soddisfatti al 100% fuori dall’accordo. Ciò implica che se l’impresa ha molti piccoli creditori impossibili da pagare integralmente, l’accordo non è efficace – in questi casi meglio un concordato. Tuttavia, se i dissenzienti sono pochi o di poco peso economico, l’accordo può funzionare: il debitore si assicura il supporto dei big (banche ecc.) e paga integralmente i piccoli.
  • Ruolo del tribunale: una volta raccolte le firme per almeno il 60% dei crediti, il debitore presenta l’accordo in tribunale insieme a tutta la documentazione e a una relazione di un professionista attestatore indipendente che certifica la fattibilità del piano e il fatto che i creditori estranei riceveranno almeno quanto avrebbero ottenuto in un fallimento . Il tribunale verifica la regolarità e – dopo aver eventualmente sentito i creditori – omologa l’accordo, rendendolo efficace. L’omologazione non estende formalmente l’accordo ai non aderenti (che, come detto, restano estranei ma protetti dall’obbligo di pagamento integrale), però è necessaria per blindare l’accordo e concedere i benefici (come il blocco delle azioni esecutive durante la pendenza). Una volta omologato, l’accordo ha forza di titolo esecutivo verso i firmatari.
  • Novità introdotte dal 2022: la riforma ha portato vari tipi speciali di accordi di ristrutturazione :
  • Accordo di ristrutturazione agevolato: riduce la soglia di adesione al 30% dei crediti, a condizione che l’accordo riguardi solo creditori finanziari (banche, fondi) e che tutti gli altri creditori (fornitori, Fisco, ecc.) siano pagati integralmente (con al max 120 giorni di dilazione) . È pensato per facilitare accordi quando il problema è principalmente bancario e i debiti verso fornitori/Erario non sono un ostacolo perché vengono soddisfatti per intero.
  • Accordo ad efficacia estesa: consente, in specifici casi, di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori non aderenti appartenenti a determinate categorie omogenee, purché nella categoria abbia aderito una maggioranza qualificata (di solito il 75%) . Ad esempio, se il 75% degli istituti di credito per valore aderisce, l’accordo può essere reso vincolante anche per le banche dissenzienti di quella classe, purché il tribunale verifichi che ricevono comunque dal piano almeno il 75% di quanto spetterebbe loro e adeguate garanzie . È una forma di cram-down settoriale: evita che poche banche dissenzienti blocchino un accordo concordato con la maggior parte delle banche. Similmente può applicarsi a obbligazionisti o fornitori strategici.
  • Accordo con intermediari finanziari: creato per recepire la direttiva UE, è una variante procedurale che snellisce la procedura se i creditori sono solo banche e finanziari, introducendo meno formalità (ad es. niente relazione del commissario giudiziale).
  • Benefici dell’accordo per il debitore: diversamente dal piano attestato, qui c’è la possibilità di ottenere misure protettive automatiche come nel concordato: infatti il debitore può chiedere al tribunale di inibire azioni esecutive già dal momento del deposito della domanda di omologazione, ottenendo di fatto un automatic stay temporaneo simile a quello del concordato . Inoltre, l’accordo omologato vincola giuridicamente tutti i creditori aderenti – quindi è più robusto di un semplice accordo privato (che sarebbe rescindibile individualmente). Si possono inserire clausole complesse con la certezza della forza esecutiva (es: piani di rientro, cessioni di beni con effetti reali, ecc.). L’accordo consente stralci e dilazioni con efficacia legale (non solo di fatto). E, come detto, ferma le azioni individuali durante la pendenza.
  • Limiti dell’accordo: richiede comunque una larga adesione (non è utile se pochi creditori dominano e non vogliono aderire). Inoltre, i creditori dissenzienti devono essere pagati al 100% fuori dall’accordo – il che può essere molto oneroso se rappresentano una fetta consistente del debito. Non consente inoltre la discharge dei debiti residui verso i non aderenti: se un imprenditore individuale facesse un accordo, resterebbe comunque obbligato a pagare integralmente i creditori estranei nei termini originari, quindi niente esdebitazione per quella parte. Per le società, la discharge non è un tema (la società o risana o fallisce, non c’è “esdebitazione” di un soggetto cessato se resta debito). Di conseguenza, se un imprenditore persona fisica ha molti debiti chirografari che non può pagare integralmente, un accordo non risolve del tutto – sarebbe meglio un concordato dove può stralciarli erga omnes. L’accordo insomma conviene se il nodo della crisi risiede in alcuni rapporti principali e si riesce a coinvolgere attivamente quei creditori, mantenendo gestibili gli altri.

Esempio pratico di accordo: immaginiamo che Cesoiatrici S.r.l. abbia 3 banche esposte e 50 fornitori piccoli. Se le 3 banche rappresentano il 70% del debito e sono disponibili a un riscadenzamento con riduzione degli interessi, si potrebbe percorrere un accordo ex art.182-bis: ci si assicura l’adesione delle banche (≥60% dei crediti totali, dunque sufficiente), e ci si impegna a pagare i fornitori minori integralmente alle loro scadenze originarie (magari con l’aiuto della liquidità liberata dalle banche). Si presenta il tutto in tribunale con l’attestazione che i fornitori avranno soldi in linea con un’alternativa liquidatoria (se li paghi integralmente, certamente hanno pari trattamento se non migliore). Il tribunale omologa l’accordo. Risultato: le banche sono vincolate a rispettare le nuove scadenze (non possono tirarsi indietro pena esecuzione forzata dell’accordo), i fornitori ricevono i loro pagamenti normalmente (dunque non hanno interesse a fare azioni), l’azienda ha ristrutturato il suo debito più gravoso. Durante il periodo di omologazione, eventuali decreti ingiuntivi o pignoramenti partiti vengono sospesi dal giudice , il che dà respiro. Questo scenario funziona perché i creditori estranei erano gestibili (si potevano soddisfare al 100%). Se così non fosse, tocca optare per il concordato.

Possiamo confrontare in sintesi i vari strumenti di ristrutturazione visti finora in un prospetto:

<table> <tr> <th>Strumento</th> <th>Tipo/Natura</th> <th>Partecipazione creditori</th> <th>Autorità</th> <th>Vantaggi</th> <th>Svantaggi</th> </tr> <tr> <td><b>Piano attestato</b><br/>(art. 56 CCII)</td> <td>Stragiudiziale puro</td> <td>Adesione <i>individuale</i> di chi vuole; non c’è quorum fisso</td> <td>Nessuna omologazione (solo asseverazione di un attestatore)</td> <td>- Riservato e veloce<br/>- Niente pubblicità né tribunale<br/>- Protegge da revocatorie i pagamenti eseguiti </td> <td>- Non vincola i dissenzienti<br/>- Nessuna sospensione azioni (a meno di escamotage)<br/>- Efficace solo se pochi creditori e collaborativi</td> </tr> <tr> <td><b>Accordo di ristrutturazione</b><br/>(artt. 57-60 CCII)</td> <td>Paragiudiziale (procedura di omologa)</td> <td>Adesioni ≥ 60% crediti (o 30% se finanziari agevolato) ; vincola solo aderenti (salvo efficacia estesa cat.)</td> <td>Omologato dal Tribunale (dopo attestazione e verifica correttezza) </td> <td>- Vincola contrattualmente la maggioranza aderente<br/>- Possibile <i>stay</i> protettivo pendente omologa<br/>- Flessibile: possibili categorie e accordi parziali<br/>- Tempi più rapidi di un concordato</td> <td>- I non aderenti vanno pagati al 100% fuori accordo <br/>- Necessaria attestazione di convenienza per estranei<br/>- Se troppi dissenzienti, impraticabile<br/>- Nessuna esdebitazione per debiti residui verso estranei</td> </tr> <tr> <td><b>Concordato preventivo</b><br/>(artt. 84-120 CCII)</td> <td>Procedura concorsuale giudiziale</td> <td>Voto di <u>tutti</u> i creditori chirografari (+ eventuali privilegiati degradati), suddivisi eventualmente in classi; serve maggioranza >50% crediti per approvare </td> <td>Controllo e omologa del Tribunale; nominato Commissario Giudiziale </td> <td>- Vincola <u>tutti</u> i creditori anteriori all’omologa (anche dissenzienti) <br/>- Ampia flessibilità di contenuti (continuità, liquidazione, mix)<br/>- Sospende le azioni esecutive <i>ab initio</i> (appena depositi domanda)<br/>- Possibilità di stralciare quota di debiti chirografari e anche falcidiare privilegiati con consenso classi</td> <td>- Procedura pubblica e complessa (costi alti, tempi lunghi)<br/>- Richiede piano dettagliato e attestato, votazioni, udienze<br/>- <i>Cram down</i> inter-classi limitato a condizioni di legge (principio di trattamento non inferiore rispetto a liquidazione) <br/>- In caso di concordato liquidatorio: obbligo 20% min ai chirografari oppure apporto esterno rilevante </td> </tr> </table>

Passiamo ora proprio al concordato preventivo, lo strumento principe per le imprese in crisi di una certa rilevanza.

Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII)

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale giudiziale per eccellenza, destinata alle imprese insolventi o in crisi di dimensioni rilevanti, o comunque a qualsiasi debitore fallibile che scelga questa via . Attraverso il concordato, il debitore propone un accordo collettivo ai creditori per evitare la liquidazione giudiziale, sottoponendolo ad approvazione e omologazione.

Forme di concordato: come anticipato, il Codice distingue principalmente tra:

  • Concordato in continuità aziendale: quando nel piano è prevista la prosecuzione dell’attività (può essere continuità diretta, ossia il debitore stesso continua a gestire l’impresa durante e dopo il concordato, oppure continuità indiretta, ad esempio cessione o affitto d’azienda a un terzo che ne garantisce la continuità produttiva e occupazionale) . Nel concordato in continuità l’obiettivo è salvare l’azienda come going concern, ristrutturando i debiti in modo sostenibile nel tempo.
  • Concordato liquidatorio: quando il piano prevede solo la liquidazione del patrimonio del debitore e la distribuzione del ricavato ai creditori, cessando l’attività . È di fatto un fallimento concordato: la differenza rispetto al fallimento sta nel fatto che la proposta viene dal debitore e può includere elementi migliorativi (come l’apporto di finanza esterna per aumentare il realizzo ai creditori).

Questa distinzione è molto importante perché la legge impone condizioni più rigide per l’omologazione del concordato liquidatorio: in particolare, l’art. 84 CCII richiede che, salvo finanza esterna, il piano liquidatorio assicuri il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari (cioè senza garanzie) . Ciò per evitare concordati “liquidatori” che diano ai creditori meno di quanto spetterebbe in un fallimento; se l’azienda vuol solo liquidare, deve offrire un recovery decente (20%) o portare risorse nuove dall’esterno per compensare. Invece nel concordato in continuità, non c’è soglia fissa, ma va dimostrato che la soluzione in continuità è più vantaggiosa per i creditori che una liquidazione del patrimonio (art. 87 CCII). Tra le norme specifiche: nel concordato in continuità, i crediti privilegiati dei lavoratori non possono essere dilazionati oltre 6 mesi , e per incoraggiare la continuità il codice consente alcune flessibilità (es. possibilità di trattamento differenziato di creditori strategici per mantenere rapporti di fornitura, con giustificazione economica ). Inoltre, sempre pensando alle imprese in esercizio, il Codice prevede che i contratti pendenti non si risolvono automaticamente all’apertura del concordato, ma il debitore può stabilire quali proseguire durante le trattative e quali sciogliere eventualmente con autorizzazione del tribunale .

Iter procedurale in sintesi:

  • Domanda di concordato: il debitore può presentare un ricorso di concordato allegando immediatamente la proposta, il piano dettagliato e la documentazione richiesta (bilanci ultimi anni, elenco creditori, inventario attivo, relazione di un attestatore indipendente sulla fattibilità) . In alternativa, se ha necessità di tempo per preparare il piano, può depositare una domanda “con riserva” (concordato in bianco, art. 44 CCII) accompagnata almeno dai bilanci e da una descrizione sommaria, ottenendo subito dal tribunale le protezioni (stay) e un termine (60-120 giorni prorogabili) per depositare la proposta e il piano definitivo . Questa seconda opzione è spesso usata come mossa di difesa urgente: presentando il “concordato in bianco”, l’azienda blocca sul nascere azioni esecutive e istanze di fallimento, guadagnando tempo per negoziare e scrivere il piano senza pressioni.
  • Fase di ammissione e commissario: una volta depositato il piano, il tribunale effettua un controllo preliminare di ammissibilità (verifica la presenza dei documenti, il rispetto dei requisiti legali, ad es. se liquidatorio controlla il 20% ai chirografari). Se tutto è in regola, emette un decreto di apertura del concordato e nomina un Commissario Giudiziale (professionista terzo) . Il commissario vigila sull’operato del debitore durante la procedura (nel concordato il debitore resta in possesso dei beni, debtor in possession, però non può compiere atti straordinari senza autorizzazione). Il tribunale contestualmente ordina le misure protettive: sospende o vieta azioni esecutive e cautelari, sospende eventualmente i processi pendenti, ecc. Da questo momento l’azienda è in concordato preventivo aperto.
  • Classi di creditori e voto: il piano di concordato può suddividere i creditori in classi secondo la loro posizione giuridica e interessi economici omogenei (es. una classe di banche ipotecarie, una classe di fornitori chirografari, ecc.) . La suddivisione in classi è obbligatoria se si propone una differenziazione di trattamento o se vi sono creditori con garanzie (privilegi) da separare dai chirografari. Nel concordato in continuità la formazione di classi per creditori con cause di prelazione e per crediti eterogenei è sempre obbligatoria . Ogni creditore ha diritto di voto (eccetto quelli privilegiati che vengono integralmente soddisfatti, i quali non votano perché non toccati dal concordato). Viene convocata l’assemblea dei creditori o raccolto il voto in via telematica. Per l’approvazione serve il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (oltre il 50% dell’ammontare dei crediti votanti). Se ci sono classi, la regola base è sempre la maggioranza globale dei crediti. Cram-down intra-classi: se una o più classi votano contro, il tribunale può comunque omologare il concordato a certe condizioni: almeno una classe ha votato sì, le classi dissenzienti non ricevono meno di quanto avrebbero ottenuto in caso di liquidazione fallimentare e non sono alterati i loro ordini di priorità salvo consenso . Questo è il cram-down cross-class introdotto dalla direttiva e recepito: in pratica l’opposizione di una classe non blocca l’omologa se il piano è equo e conveniente per loro (principio di miglior soddisfacimento rispetto all’alternativa). Ad esempio, se la classe dei fornitori vota no ma prendono comunque 30% che è più di quel che avrebbero in fallimento (20%), il tribunale può forzare la conferma ugualmente. Un caso particolare riguarda l’Erario e gli enti previdenziali: se essi non aderiscono, il tribunale può omologare lo stesso il concordato (cram-down fiscale) se ritiene che il loro diniego sia manifestamente irragionevole e la proposta per loro sia più vantaggiosa della liquidazione . Questa norma, introdotta nel 2022, supera i problemi del passato in cui il voto negativo del Fisco bloccava concordati pur buoni; ora il giudice può disattendere il no del Fisco se il trattamento offerto soddisfa il test di convenienza. Infatti, Cass. Sez. Unite 8504/2021 aveva già affermato che in sede di omologazione il giudice può valutare la convenienza del piano per il Fisco e omologare nonostante il suo dissenso , e tale principio è stato recepito nella legge .
  • Omologazione: una volta raccolto il voto, se la maggioranza è raggiunta (o comunque se il tribunale intende attivare il cram-down per le classi dissenzienti), si apre la fase di omologazione. I creditori dissenzienti e qualsiasi interessato possono fare opposizione se ritengono che il concordato leda i loro diritti (ad es. contestano la valutazione di convenienza). Il tribunale, in caso di approvazione regolare, omologa il concordato con decreto motivato, dopo aver verificato la legittimità e la fattibilità del piano e aver deciso sulle eventuali opposizioni. Il decreto di omologa è dichiarato esecutivo e viene pubblicato; da quel momento il piano concordatario diventa vincolante per tutti i creditori anteriori all’apertura (anche per quelli che non hanno partecipato o hanno votato contro). Quindi l’azienda dovrà eseguire il piano, pagando ai creditori quanto promesso e nelle percentuali promesse, e in contropartita i creditori non possono pretendere di più di quanto previsto nel concordato (i debiti restano congelati e poi estinti nei limiti del piano omologato).
  • Esecuzione e chiusura: nel concordato in continuità, normalmente il debitore stesso rimane alla guida dell’impresa durante l’esecuzione del piano, sotto la vigilanza del Commissario Giudiziale (che spesso diventa liquidatore per alcuni atti, se previsti, come vendere beni non funzionali alla prosecuzione) . Nel concordato liquidatorio, invece, di solito con l’omologa viene nominato un Liquidatore che sostituisce gli amministratori per vendere i cespiti secondo il piano e ripartire il ricavato ai creditori (il debitore viene spossessato in questa fase esecutiva, similmente a un fallimento ma con il vincolo di rispettare il piano concordato). In entrambi i casi, una volta adempiute le obbligazioni del piano e completate le distribuzioni, il tribunale dichiara compiuta la procedura e il debitore torna “libero” dai vincoli concorsuali. Per le società, ciò significa che tornano in bonis completamente se c’era continuità; se invece l’esito è la liquidazione completa, la società può estinguersi. Il debitore persona fisica che abbia subito eventuali falcidie in concordato è tecnicamente liberato dai debiti eccedenti (l’omologa del concordato funge da esdebitazione concordataria anche per lui, salvo eccezioni per debiti esentati per legge come alimenti e malafede).

Novità di flessibilità introdotte dal CCII: il nuovo codice ha introdotto espressamente alcune innovazioni per rendere il concordato più adattabile: la formazione di classi è divenuta facoltativa in generale (prima era obbligatoria se diverse posizioni, ora obbligatoria solo nei casi sopra) , la moratoria per i creditori privilegiati nel concordato in continuità è limitata a 6 mesi per i lavoratori (prima poteva essere un anno) , è ammessa la possibilità di alterare l’ordine delle prelazioni in un concordato in continuità con classi se tutti i creditori della classe subordinano il loro rango (praticamente, con il consenso, si può fare una sorta di absolute priority deviation). Ancora, è previsto che nel concordato in continuità non sia necessario il voto favorevole dell’Erario per omologare se esso ha trattamento conveniente (come già detto) . Sono stati rafforzati i poteri del tribunale nel giudizio di omologa, introducendo un vero giudizio di cram-down e di convenienza sostanziale . Infine, come visto, in collegamento con la composizione negoziata, esiste il concordato semplificato post-CNC che è un concordato liquidatorio senza voto, deciso direttamente dal giudice su proposta del debitore.

Vantaggi del concordato per il debitore (e differenze rispetto agli strumenti visti): il concordato è l’unico strumento, insieme alla liquidazione giudiziale, che consente di imporre una soluzione erga omnes ai creditori, anche a quelli che non la vogliono. Questo significa che consente tagli sostanziali ai debiti generalizzati: ad esempio, se la nostra Cesoiatrici S.r.l. ha €1 milione di debiti e un’attività che, se liberata da metà dei debiti, potrebbe sopravvivere, con un concordato in continuità potrebbe offrire di pagare il 50% a tutti i creditori chirografari (diluito magari in 4-5 anni) e di soddisfare i privilegiati un po’ per cassa un po’ rinegoziando (transazione fiscale per Equitalia, ecc.). Se i creditori approvano (o anche se alcuni dissentono ma il piano è evidentemente migliore del fallimento), il giudice omologa e la società riparte con un carico dimezzato. Questo nessun altro strumento stragiudiziale lo può garantire. Inoltre, il concordato protegge immediatamente l’impresa: sin dal deposito della domanda (anche solo riservata) scatta la sospensione dei pagamenti dei debiti pregressi e delle azioni esecutive (salvo eccezioni per crediti lavoratori) , e i contratti essenziali continuano senza diritto di recesso unilaterale del contraente (stop alle “termination clause” tipiche anglosassoni, art. 94 CCII). È quindi un ombrello protettivo robusto. Permette anche di reperire nuova finanza prededucibile (con autorizzazione del tribunale) per gestire la continuità: ad esempio, la società può contrarre un finanziamento durante il concordato con priorità di rimborso, per avere liquidità di esercizio. Permette ancora di sciogliersi da contratti onerosi con autorizzazione (es. disdire un affitto troppo caro, per legge, pagando solo un indennizzo). Tutte facoltà che gli altri strumenti non hanno. In più, come abbiamo visto, il concordato libera dal debito residuo: la società, una volta eseguito il piano, non dovrà nulla di più ai creditori anteriori (anche se ha pagato loro solo percentuali). Ciò di fatto è una esdebitazione legale per la società. Per la persona fisica, è irrilevante perché non fallisce se piccola e se è grande potrebbe comunque chiedere esdebitazione ex post fallimento; ma per la società è importante: completato il concordato, i debiti sono chiusi (mentre in un accordo ristrutturazione restavano i residui vs estranei).

Svantaggi e rischi del concordato: è una procedura costosa e complessa. Occorre preparare un piano dettagliato con l’ausilio di professionisti (avvocati, financial advisor) e di un attestatore indipendente (che va pagato). Bisogna superare il vaglio del tribunale (ammissibilità) e la votazione dei creditori: se la proposta non è sufficientemente attraente, i creditori possono bocciarla e allora l’azienda tipicamente fallirà subito dopo. Quindi è un all-in per il debitore: va convinto almeno un bel po’ di creditori a votare sì. Inoltre, una volta aperto il concordato, l’impresa è sotto controllo: non può compiere operazioni senza autorizzazione (ad es. non può pagare crediti anteriori senza ok, non può contrarre nuovi debiti se non autorizzati, etc.). Gli amministratori possono subire revoca se infrangono regole, e comunque lavorano sotto la lente del commissario e del giudice delegato. Quindi c’è minor libertà gestionale. La procedura può richiedere molti mesi (anche se la legge impone di chiudere l’omologa entro 12 mesi dal deposito , in passato ci volevano anche 1,5-2 anni in tribunale, ora speriamo meno). Nel frattempo, l’impresa deve evitare di perdere clienti o commesse a causa dello stato concorsuale: la concorrenza può usare contro di lei il fatto che è “in concordato”, e alcuni fornitori/lavoratori potrebbero perdere fiducia. Sebbene in concordato in continuità si rimanga operativi, è innegabile che la procedura sia pubblica e possa intaccare la reputazione e i rapporti. Tuttavia, il codice ha previsto pubblicazione di linee guida sul sito del Ministero e altro per far conoscere gli strumenti – l’auspicio è destigmatizzare l’uso del concordato come strumento di ristrutturazione e non di fallimento mascherato.

Il concordato semplificato post-CNC: merita un breve cenno: come detto, se l’azienda ha tentato la composizione negoziata ma non ha raggiunto accordi, può proporre al tribunale un concordato senza voto dei creditori limitato alla liquidazione dei beni (art. 25-sexies). È una procedura di emergenza in cui il tribunale, esaminate le carte e sentiti i creditori in camera di consiglio, può approvare la cessione dei beni e riparto. Non c’è voto, ma i creditori possono fare osservazioni/opposizioni. Questo strumento salta completamente la fase del voto perché si presume che il debitore l’abbia già cercato invano in sede di negoziazione. È favorevole al debitore perché consente di evitare il fallimento in extremis e gestire la liquidazione in modo controllato, con la possibilità (se persona fisica) di esdebitarsi. Per i creditori, tuttavia, è meno garantista perché non hanno potuto votare; ecco perché è riservato solo ai casi che sono passati da un tentativo CNC (così da evitare abusi: il debitore deve mostrare di averci provato in buona fede). In pratica, se Cesoiatrici S.r.l. fallisce le trattative CNC ma ha un’offerta di acquisto per la sua azienda che potrebbe dare il 30% ai creditori, può presentare concordato semplificato chiedendo di vendere subito e distribuire. Il tribunale se lo omologa, i creditori ottengono quel 30% e stop. Forse avrebbero preferito il fallimento per cercare di recuperare di più in cause? Ma la legge spinge a chiudere in concordato semplificato se quell’offerta è oggettivamente la migliore opportunità sul tavolo secondo l’esperto.

Ora, esaminati tutti gli strumenti per evitare la fine traumatica, rimane da affrontare l’eventualità peggiore: se l’azienda non riesce a risollevarsi e i debiti restano insoluti, la soluzione finale è la Liquidazione Giudiziale (il nuovo nome del fallimento). Affronteremo di seguito cosa comporta e come il debitore vi si possa “difendere” (anche qui ci sono meccanismi di tutela, come l’esdebitazione per le persone fisiche). Inoltre passeremo in rassegna i profili fiscali e penali che abbiamo per ora accennato, ma che meritano uno sguardo specifico.

Liquidazione Giudiziale (ex fallimento): ultime risorse e conseguenze

Se i tentativi di risanare o comporre la crisi falliscono, oppure se ci si trova di fronte a un’insolvenza ormai irreversibile e nessuno strumento concordato è attivabile, l’epilogo è la liquidazione giudiziale, cioè la procedura concorsuale che sostituisce il vecchio fallimento. La liquidazione giudiziale (LG) mira a liquidare tutto il patrimonio del debitore insolvente e distribuire il ricavato ai creditori, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria. Vediamo i punti chiave:

  • Apertura della liquidazione giudiziale: può essere dichiarata su ricorso di un creditore, su iniziativa del Pubblico Ministero, o su richiesta dello stesso debitore (autofallimento). Il tribunale competente accerta lo stato di insolvenza del debitore (incapacità di soddisfare regolarmente le obbligazioni, art. 121 CCII) e, se il debitore è soggetto fallibile, pronuncia la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale (nel regime previgente si diceva “sentenza di fallimento”). Per legge oggi un debitore sovraindebitato non fallibile non può essere soggetto a liquidazione giudiziale – al suo posto ci sarebbe la liquidazione controllata – ma se erroneamente venisse chiesto potrà eccepirlo. Comunque, la maggior parte dei fallimenti riguarda società di capitali e imprese oltre soglia. Alla data della sentenza di apertura LG, il debitore perde la disponibilità dei suoi beni e la capacità di gestirli: entra in gioco un Curatore nominato dal tribunale che amministra la massa attiva. Viene nominato anche un Giudice Delegato per sovraintendere alla procedura. La sentenza produce effetti immediati: spossessamento del debitore sui beni (che passano sotto custodia del curatore), sospensione di tutte le azioni esecutive individuali (i creditori devono presentare domanda di insinuazione al passivo nella procedura, non possono più agire da soli), e vari effetti sui contratti pendenti (il curatore può decidere se subentrare o sciogliersi dai contratti in corso, analogamente a prima, con equo indennizzo per la controparte, v. art. 172 CCII).
  • Iter di liquidazione: il curatore compie un inventario dei beni, gestisce l’azienda (se c’è ancora esercizio provvisorio) o la mette in sicurezza, e predispone lo stato passivo, cioè l’elenco di tutti i crediti ammessi e le rispettive graduazioni (privilegi, ipoteche, pegni). I creditori vengono avvisati e devono insinuarsi (presentare domanda corredata di documenti). Il Giudice Delegato verifica i crediti, eventualmente li discute in udienza con contraddittorio e forma il passivo definitivo. In parallelo, il curatore sviluppa un programma di liquidazione dei beni (sia beni materiali, immobili, macchinari, merci, sia crediti da incassare). Oggi si cerca di farlo in tempi rapidi, vendendo tramite procedure competitive o assegnazioni, anche avvalendosi di soggetti specializzati (notai, procedure telematiche di aste, ecc.). L’obiettivo è massimizzare il ricavato per poi ripartirlo tra i creditori secondo l’ordine delle prelazioni: prima si pagano i creditori prededucibili (spese della procedura, finanziamenti autorizzati in prededuzione, ecc.), poi i privilegiati (garantiti da pegno/ipoteca o privilegi speciali/generali sull’attivo, nei limiti di capienza del valore dei beni su cui insistono), infine i chirografari con eventuale percentuale residua. Se il patrimonio venduto è molto inferiore ai debiti (cosa frequente), i chirografari prendono poco o nulla.
  • Chiusura della procedura: la liquidazione giudiziale può chiudersi per esaurimento dell’attivo (una volta venduto tutto e fatti i riparti, il tribunale emette decreto di chiusura) oppure per concordato fallimentare (se durante la procedura i creditori approvano una proposta transattiva). In ogni caso, al termine, se il debitore è una società viene cancellata dal Registro Imprese ed estinta (i debiti insoddisfatti restano senza un soggetto obbligato, quindi i creditori concorsuali non possono più pretendere nulla – in pratica quelle obbligazioni si estinguono per carenza di soggetto, salvo che un creditore trovi patrimoni occultati per riaprire la procedura). Se il debitore è una persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile di società), ha la possibilità di ottenere l’esdebitazione delle passività rimaste impagate. Il Codice infatti prevede che il debitore persona fisica è liberato di diritto dai debiti residui una volta chiusa la liquidazione giudiziale , salvo che il tribunale – su istanza di un creditore o d’ufficio – gliela neghi con provvedimento motivato per ragioni gravi (es: il debitore è stato condannato per bancarotta fraudolenta, o non ha collaborato con il curatore, o ha distratto attivo fraudolentemente, etc.). In assenza di opposizioni fondate, l’esdebitazione viene concessa automaticamente trascorsi precisi termini (3 anni dalla chiusura). Questo è un miglioramento rispetto al passato, in cui l’imprenditore fallito doveva fare un’apposita istanza e non sempre veniva accolta; ora è quasi un diritto, a meno di indegnità.
  • Esercizio provvisorio: una nota positiva, la liquidazione giudiziale non implica sempre la cessazione immediata dell’attività d’impresa. Se vi è interesse alla prosecuzione (ad esempio per completare ordini produttivi, o per preservare il valore di avviamento vendendo l’azienda funzionante), il tribunale può disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa fallita, sotto la gestione del curatore, per un periodo limitato. Durante l’esercizio provvisorio, i contratti di lavoro continuano, l’azienda opera normalmente ma senza l’imprenditore (è il curatore che la dirige, magari nominando un coadiutore tecnico). Questo avviene ad esempio se c’è la prospettiva di trovare un acquirente per l’intera azienda o se l’interruzione immediata causerebbe danni irreparabili. Il Codice incoraggia soluzioni di continuità ove creino maggior soddisfazione per i creditori (principio che la continuità va preferita alla liquidazione pura se massimizza il valore per i creditori, anche in ambito di gruppo). Tuttavia, l’esercizio provvisorio è per definizione transitorio: prima o poi l’azienda verrà venduta (in blocco o in parti) e si tornerà allo schema liquidatorio.

Difendersi in liquidazione giudiziale – quali tutele restano per il debitore: a questo punto il debitore (imprenditore o società) ha perso il controllo e la sua impresa. Quali spazi ha per “difendersi”? Tecnicamente pochi: la procedura persegue l’interesse dei creditori. Tuttavia, per l’imprenditore persona fisica esiste come detto la ancora di salvezza dell’esdebitazione: collaborando con il curatore, consegnando tutti i documenti, segnalando i beni, evitando condotte ostative, potrà beneficiare della liberazione dai debiti a fine procedura . Questo è cruciale: significa poter ricominciare senza gli oneri del passato, dopo aver subìto la liquidazione del proprio patrimonio. Anche per il legale rappresentante di una società fallita, se aveva prestato garanzie personali, c’è la possibilità di accedere a procedure personali di sovraindebitamento (se la società era fallibile, lui in quanto socio o fideiussore potrà comunque cercare un piano del consumatore o liquidazione per i debiti personali derivati, a meno che non siano debiti di natura sanzionatoria non esdebitabili). In generale comunque, la fase di liquidazione è più un terreno di difesa dei creditori, che possono ad esempio attivare azioni di responsabilità contro gli amministratori o promuovere revocatorie, piuttosto che del debitore.

Azione di responsabilità contro gli amministratori: è frequente che, nell’ambito della liquidazione giudiziale, il curatore eserciti l’azione sociale o verso i creditori contro gli ex amministratori della società fallita (artt. 2393 e 2394 c.c., richiamati dall’art. 255 CCII) . Se emerge che gli amministratori hanno violato i loro doveri (es. hanno proseguito l’attività aggravando il dissesto, o hanno fatto spese indebite, o non hanno tenuto contabilità decente), il curatore li cita in giudizio per risarcimento. Il danno liquidabile di solito è proprio il deficit fallimentare aumentato (c.d. differenza attivo/passivo) secondo i criteri presuntivi di cui si parlava , salvo prova contraria. Dunque, l’amministratore potrebbe trovarsi a dover rifondere di tasca sua milioni di euro. Spesso questi giudizi portano a transazioni (gli amministratori o i loro assicuratori pagano qualcosa al fallimento).

Revocatorie fallimentari: altro strumento in liquidazione per recuperare risorse è la azione revocatoria (ora chiamata azione di inefficacia nel Codice, artt. 166-171 CCII). Il curatore può far dichiarare inefficaci atti compiuti dal debitore in epoca sospetta prima del fallimento: pagamenti anomali di crediti chirografari effettuati nell’ultimo semestre prima del fallimento (c.d. pagamenti preferenziali) , vendite di beni a titolo gratuito fatte nei 2 anni antecedenti, vendite a prezzo vile nell’anno antecedente, ecc. Se l’azione riesce, il terzo deve restituire ciò che ha ricevuto (ad es. il fornitore che aveva ottenuto un pagamento preferenziale viene obbligato a restituire la somma al curatore, tornando creditore chirografario). Lo scopo è ristabilire la par condicio tra i creditori, recuperando importi per distribuirli equamente. Ci sono comunque diverse esenzioni: non sono revocabili (per legge) i pagamenti di lavoro, i pagamenti effettuati nell’ambito di un piano attestato o di un concordato poi omologato, ecc., in modo da non scoraggiare chi entra in quelle procedure.

Sanzioni per il debitore fallito: storicamente, la dichiarazione di fallimento comportava sanzioni personali per l’imprenditore (es. interdizione da cariche, perdita del diritto di elettorato attivo e passivo, etc.). Oggi molte di queste decadenze automatiche sono state mitigate. Il Codice, però, prevede ancora alcune incapacità personali come conseguenza della liquidazione giudiziale: ad esempio, la persona dichiarata insolvente non può assumere la carica di amministratore o sindaco in altre società senza informare i soci per 5 anni (c’è un’obbligo di disclosure). Inoltre, i reati concorsuali comportano l’interdizione dai pubblici uffici e dall’esercizio di imprese commerciali per una durata variabile. Ma, parlando di difese, il debitore onesto non dovrebbe subire altro oltre la perdita del patrimonio.

Possibilità di concordato fallimentare (concordato liquidatorio): c’è ancora un’ultima possibilità: durante la procedura di LG, il debitore (o un terzo, ad es. un investitore, o i creditori stessi con certe percentuali) può proporre un concordato nella liquidazione (ex art. 240 CCII) per chiudere anticipatamente la procedura con un accordo. Tipicamente, un investitore propone di rilevare l’azienda o di pagarne una parte dei debiti cash e chiede ai creditori di accettare una certa percentuale. Se i creditori approvano (maggioranza 50% e giudice omologa), la liquidazione giudiziale si chiude con soddisfazione parziale. Questa è una difesa residua di emergenza: se il debitore trova un white knight disposto a mettere soldi per salvare il salvabile, può ancora evitare la completa spoliazione e ottenere condizioni migliori per i creditori e magari continuare l’attività in altra forma. Tuttavia, è un istituto poco usato in pratica se non in grandi casi (per es., amministrazioni straordinarie – ma quella è un’altra procedura speciale per grandi imprese decotta).

In sintesi: la liquidazione giudiziale segna la fine della partita per l’azienda Cesoiatrici S.r.l. come entità economica. Ciò che rimane da “difendere” è soprattutto la persona dietro l’impresa: l’imprenditore o gli amministratori devono difendersi legalmente nelle sedi opportune (procedimenti civili e penali). Nel prossimo capitolo analizzeremo proprio i profili fiscali e penali legati alla crisi e all’insolvenza, per comprendere i rischi e come prevenirli o mitigarli dal punto di vista del debitore.

Debiti fiscali e contributivi: strumenti e rischi

Le passività verso il Fisco e gli enti previdenziali (Agenzia delle Entrate, Agenzia Entrate-Riscossione – ex Equitalia, INPS) rappresentano spesso una parte significativa dei debiti aziendali. Affrontare correttamente i debiti tributari è cruciale per difendersi, sia perché tali enti hanno poteri di riscossione molto incisivi, sia perché la normativa offre alcuni strumenti specifici di composizione per questi crediti pubblici. Tratteremo di seguito: le soluzioni per gestire i debiti fiscali (dilazioni, transazione fiscale nel concordato, definizioni agevolate) e i profili di responsabilità personale connessi (fiscale e penale) per gli amministratori e garanti.

Rateizzazioni e definizioni agevolate (fuori dalle procedure concorsuali)

Prima di arrivare a soluzioni concorsuali, un’azienda in difficoltà con i pagamenti fiscali può cercare rimedi ordinari: ad esempio, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione concede piani di rateizzazione fino a 6 anni (72 rate) o anche 10 anni (120 rate) in casi particolari, per cartelle esattoriali non saldate, purché si rispettino certe condizioni (importo minimo, decadenza se saltano 5 rate). Questa è una misura amministrativa: il debitore può fare domanda e, ottenendola, sospende le azioni esecutive su quelle cartelle purché rispetti il pagamento rateale. È quindi una difesa temporale importante: diluisce l’esborso e blocca pignoramenti dell’Agente della riscossione. Tuttavia, se il debito fiscale è molto grande e la situazione di liquidità precaria, anche 6 anni possono non bastare; inoltre il piano di rateazione non consente uno stralcio (va pagato tutto il capitale e gli interessi diluiti).

Negli ultimi anni, il legislatore ha introdotto varie definizioni agevolate dei debiti fiscali – note come “rottamazione delle cartelle” (2016, 2018, 2023 ecc.) – che permettono ai contribuenti di pagare solo il capitale e una parte limitata di interessi, con esonero dalle sanzioni e dagli interessi di mora, in un certo numero di rate. Se la nostra azienda rientra nei parametri di una rottamazione attiva (ad es. rottamazione-quater per debiti fino al 2017), potrebbe aderire e ridurre l’importo dovuto (spesso l’azzeramento delle sanzioni riduce il debito del 30% o più). Aderire a queste definizioni richiede di essere in regola con i pagamenti delle rate poi, altrimenti i benefici decadono. Ma sicuramente, come prima difesa, un imprenditore sovraindebitato col fisco deve verificare se c’è una rottamazione o un saldo e stralcio applicabile, perché questo riduce ex lege il debito fiscale senza necessità di procedure concorsuali. Bisogna tuttavia considerare che un’azienda che ha già avviato un concordato o è fallita di solito non può accedere a definizioni agevolate (queste riguardano i carichi iscritti a ruolo, e la procedura concorsuale può sospenderli). Dunque è opportuno valutare la definizione prima di ricorrere a strumenti concorsuali, se i tempi lo consentono.

Infine, l’azienda dovrebbe mantenere il dialogo col Fisco: un istituto spesso utile è la richiesta di sospensione amministrativa di cartelle contestate (se si ritiene che l’importo non sia dovuto, presentare istanza di autotutela o ricorso tributario sospende in alcuni casi la riscossione). Ogni forma di “congelamento” di cartelle aiuta a guadagnare tempo. Tuttavia, se la crisi è ampia, queste misure tampone potrebbero solo rimandare il problema.

La transazione fiscale e contributiva nel concordato e negli accordi

All’interno delle procedure concorsuali, è previsto uno strumento ad hoc per i debiti verso l’Erario e gli enti previdenziali: la transazione fiscale (introdotta originariamente dall’art. 182-ter L.F. e ora art. 63 CCII). In pratica, nel concordato preventivo o negli accordi di ristrutturazione, il debitore può proporre un trattamento specifico per IVA, ritenute e contributi, anche in deroga al principio che dovevano essere pagati integralmente. La legge oggi consente di falcidiare (ridurre) e/o dilazionare i debiti fiscali e contributivi all’interno di un piano concordatario, purché sia assicurato che l’Erario ottenga almeno quanto otterrebbe dalla liquidazione del patrimonio del debitore . Questo è il noto test di convenienza. Fino a qualche anno fa, su certi tributi come l’IVA si discuteva se fosse falcidiabile (essendo un tributo “comunitario”), ma un intervento normativo del 2020 ha chiarito che anche l’IVA e le ritenute non versate possono essere stralciate in concordato , previa valutazione positiva del giudice. Quindi, ad esempio, la nostra impresa in concordato potrebbe proporre di pagare solo il 50% dell’IVA dovuta e cancellare il resto. La transazione fiscale implica che l’ente pubblico ha diritto di voto in concordato come gli altri chirografari, però il suo voto negativo – come abbiamo spiegato – può essere superato dal giudice se il piano è conveniente e la percentuale offerta non è inferiore al ricavabile in liquidazione . Di fatto, dal 2022 la transazione fiscale obbligatoria (cioè il dover per forza avere l’adesione del Fisco) non esiste più: se l’Erario non accetta la proposta ma il tribunale la ritiene equa, omologa comunque . Questo toglie al Fisco il potere di veto che aveva un tempo e rende più agevole includerlo nei piani con tagli.

Negli accordi di ristrutturazione dei debiti, c’è un meccanismo simile: se si vuole falcidiare i tributi, l’ente deve aderire espressamente. Tuttavia, se non aderisce, il debitore può convertire la procedura in concordato per sfruttare il cram-down fiscale. Inoltre, esistono accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa dove se la maggioranza delle amministrazioni ha accettato, il piano può essere esteso ai restanti (non comune). In generale, per i debiti fiscali il concordato resta lo strumento migliore se serve imporre una falcidia.

Ricapitolando sulle scelte: prima di imboccare la via concorsuale, l’imprenditore valuterà se con dilazioni e rottamazioni può reggere. Se no, nel concordato proporrà una transazione fiscale: ad esempio, “pagherò il 40% dell’importo delle cartelle Equitalia in 5 anni, liberandomi del resto”. L’Agenzia Entrate può anche formalmente aderire (spesso no, per politiche restrittive), ma anche se vota no, si potrà probabilmente ottenere l’omologa forzosa se quel 40% è maggiore del presumibile incasso in caso di fallimento. Ovviamente bisogna dimostrare ciò: di solito l’attestatore dovrà dichiarare che in liquidazione fallimentare l’Erario avrebbe, poniamo, il 10% (perché l’IVA è chirografaria su beni senza capienza), ergo la proposta del 40% è conveniente. Ci sono state pronunce importanti: Cass. SU 8504/2021 ha stabilito che il tribunale deve entrare nel merito di questa convenienza e può scavalcare il diniego del Fisco se la condotta del Fisco è irragionevole (vota no benché la proposta sia migliorativa rispetto al fallimento) . Questa sentenza ha sbloccato molte situazioni e il legislatore l’ha codificata. Anche la Corte Costituzionale è intervenuta (sent. 2021/___) per confermare la legittimità del cram-down fiscale, in quanto contempera l’interesse erariale con quello sovraordinato di buon andamento dell’economia. Inoltre, l’Agenzia Entrate stessa, in occasione di Telefisco 2022, ha riconosciuto che con la nuova normativa il tribunale può omologare d’ufficio anche col loro voto contrario . Insomma, oggi il Fisco non è più un creditore speciale intoccabile: può subire tagli e dilazioni come gli altri, entro i limiti dell’equità.

Debiti contributivi (INPS, INAIL): analoghi discorsi valgono per contributi previdenziali. Possono essere falcidiati in concordato (prima c’era dubbio se si poteva ridurre il dovuto per contributi obbligatori, ora sì, trattandoli come privilegiati che se incapienti vengono parzialmente chirografari). L’INPS ha diritto di voto per la parte non coperta integralmente. Anche qui, il tribunale può bypassare un diniego se il piano è comunque conveniente per l’ente previdenziale rispetto a fallimento . Da notare che il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) – il certificato di regolarità contributiva fondamentale per partecipare ad appalti o ottenere pagamenti da PA – diventa irregolare se l’impresa non paga i contributi correnti a scadenza. Questo può bloccare l’attività (es. un’azienda edile senza DURC non può continuare certi lavori pubblici). Alcuni tribunali hanno affrontato il tema: ad esempio, il Tribunale di Milano nel 2023 ha chiarito che la pendenza di una composizione negoziata o di un concordato non obbliga l’ente a rilasciare il DURC regolare, ma il giudice può impedire all’INPS di risolvere i contratti pubblici per DURC irregolare quando l’azienda è protetta dal concorsuale . In pratica: durante un concordato, l’impresa potrebbe non pagare contributi arretrati (li ha messi nel piano) e quindi formalmente il DURC sarebbe negativo; però i tribunali tendono a evitare che questo paralizzi la prosecuzione dell’attività. Non c’è una regola fissa (il legislatore dovrebbe intervenire), ma il punto di attenzione è che l’imprenditore deve coordinare il percorso concorsuale con gli adempimenti contributivi, magari chiedendo all’INPS un DURC in presenza di piano attestato o altro – alcune circolari hanno previsto DURC “in concordato”, ma è materia complessa.

Responsabilità personali per debiti tributari: in linea di principio, le società di capitali rispondono con il proprio patrimonio dei debiti fiscali e contributivi, e gli amministratori non sono debitori personali di tali somme (salvo abbiano rilasciato garanzie, o salvo eccezioni previste ex lege). Ci sono però situazioni in cui l’Amministrazione Finanziaria può rivalersi sugli amministratori o soci:

  • Ai sensi dell’art. 36 del DPR 602/1973, se una società viene posta in liquidazione volontaria e, nel riparto finale, distribuisce attivi ai soci lasciando impagate imposte, il liquidatore (spesso coincidente con l’amministratore) diventa personalmente responsabile verso il Fisco per l’ammontare delle imposte non soddisfatte . Questo per evitare che i soci prendano soldi mentre le tasse restano. Quindi, se il nostro imprenditore pensa di chiudere la società e dare qualcosa ai soci, deve prima accantonare il dovuto al Fisco o ne risponderà lui stesso.
  • In caso di fusioni, scissioni o cessioni d’azienda, le norme prevedono varie responsabilità: ad es., chi acquisisce un’azienda risponde in solido delle imposte dell’anno precedente fino a concorrenza del valore d’azienda (art. 14 D.Lgs. 472/97). Dunque vendere l’azienda per sottrarsi alle tasse non libera affatto la posizione: anzi, il cessionario potrebbe risponderne (c’è un meccanismo di certificato dei carichi pendenti fiscali che un acquirente accorto chiede, altrimenti rimane obbligato).
  • Per i contributi previdenziali, l’art. 2392 c.c. indica che gli amministratori devono osservare la legge anche fiscale e penale . Se hanno omesso scientemente di versare contributi che potevano pagare, potrebbero incorrere in azioni di responsabilità da parte di eventuali curatori (danno pari a sanzioni e interessi magari). Inoltre, in casi di dissesto Inps può provare a coinvolgerli come coobbligati se hanno commesso irregolarità (non è usuale, di solito restano crediti concorsuali). Più rilevante è il profilo penale (vedi infra la sezione penale per l’omesso versamento contributi oltre soglia, che è reato a certe condizioni).
  • Nei gruppi di imprese, se una controllante causa con mala fede l’insolvenza di una controllata (cd. direzione unitaria abusiva), i creditori della fallita possono agire contro la capogruppo per etero-responsabilità (fenomeno di giurisprudenza, citato anche nel Codice in alcuni principi generali). Ma è un caso molto specifico.

In generale, per difendersi su questo fronte, l’amministratore dovrà: in fase di crisi, evitare di fare scelte che configurino sottrazione di attivo a danno del Fisco (es. distribuire utili o rimborsare soci trascurando IVA e ritenute, cosa che poi gli verrebbe contestata); se la società va liquidata volontariamente, assicurarsi di pagare prima i tributi dovuti almeno col patrimonio sociale; considerare l’opportunità di accordi transattivi (lo Stato può anche acconsentire in via amministrativa a riduzioni se l’alternativa è incassare zero in fallimento, come avviene di fatto con la transazione fiscale). Da notare che, nel caso di concordati liquidatori, l’Agenzia Entrate e l’INPS sono spesso restii ad accettare stralci elevati (per politica), però con la nuova norma sul cram-down devono subire l’omologa se i parametri di convenienza sono soddisfatti, anche se votano no. Ciò sposta la battaglia sul convincere il giudice. In pratica il debitore deve mettere l’Erario e l’INPS nelle condizioni di ottenere almeno qualcosa di oggettivamente migliore di ciò che avrebbero altrimenti – e allora potrà spuntarla. Ad esempio, offrire all’Erario una percentuale più alta di quella offerta ai chirografari privati, oppure destinare eventuali beni ipotecati a soddisfare prima i crediti Erario con causa generale (privilegio ex art. 2752 cc) etc. Un escamotage è l’apporto di finanza esterna destinata pro-quota al Fisco: se i soci o un terzo mettono denaro fresco e lo si riserva per pagare parzialmente i debiti fiscali, il tribunale vede con favore perché senza quell’apporto il Fisco non avrebbe nulla. Infatti la legge incoraggia fortemente gli apporti esterni nei concordati liquidatori e li considera “vantaggio aggiuntivo” .

Profili penali della crisi d’impresa (reati fallimentari, fiscali e societari)

Una componente delicata nella gestione di un’azienda indebitata è il rischio penale: certe condotte compiute dall’imprenditore o dagli amministratori durante la crisi o in vista dell’insolvenza possono integrare reati, in primis i reati concorsuali (bancarotta fraudolenta o semplice) previsti dal Codice della Crisi, e secondariamente alcuni reati tributari (omesso versamento di imposte, frode fiscale) e reati societari (false comunicazioni sociali) connessi alla situazione di dissesto. Il debitore che vuole “difendersi” in modo corretto deve essere consapevole di questi rischi onde evitare di aggravare la propria posizione incorrendo in sanzioni penali.

Reati fallimentari: bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice

Nel momento in cui viene aperta una liquidazione giudiziale (fallimento), scatta l’applicazione delle norme penali del Titolo IX CCII (ex legge fallimentare). I principali reati sono:

  • Bancarotta fraudolenta (artt. 322-323 CCII): è il reato commesso dall’imprenditore (o amministratore di società) che prima o durante la procedura concorsuale ha compiuto atti in frode ai creditori. Ci sono varie forme: la bancarotta fraudolenta patrimoniale punisce chi distrugge, sottrae, occulta o dissipa parte dell’attivo, o simula passività inesistenti, cagionando così un danno ai creditori . Esempio: l’amministratore preleva indebitamente denaro dell’azienda per sé o trasferisce beni a parenti a prezzo irrisorio (distrazione di beni), oppure nasconde merce in magazzino per non farla trovare al curatore. Queste condotte sono punite molto severamente (reclusione da 3 a 10 anni, oltre a eventuali aggravanti) . Un’altra forma è la bancarotta fraudolenta documentale: quando l’imprenditore occulta, distrugge o falsifica le scritture contabili in modo da non rendere ricostruibile il patrimonio o il movimento degli affari (pena 3 a 8 anni). Anche l’aver tenuto i libri in modo falso per frodare i creditori rientra. C’è poi la bancarotta preferenziale, che punisce chi ha favorito un creditore a scapito di altri, ad esempio pagando intenzionalmente un creditore nel periodo sospetto sapendo l’imminenza del fallimento (pena più lieve, da 1 a 5 anni) – l’ordine di pari trattamento è tutelato penalmente in tal caso.
  • Bancarotta semplice (art. 324 CCII): sanziona condotte meno gravi ma colpose o di imprudenza dell’imprenditore fallito. Ad esempio, l’aver aggravato il dissesto per negligenza, l’aver fatto spese personali eccessive nell’anno antecedente, l’aver ritardato la richiesta di procedura aggravando il buco, l’aver omesso di tenere la contabilità per pigrizia (non per volerla occultare, altrimenti sarebbe fraudolenta). La bancarotta semplice è punita con reclusione fino a 2 anni (massimo) e pene pecuniarie leggere . È considerata un reato contravvenzionale o di colpa: non c’è dolo di frode, ma l’imprenditore viene punito perché con la sua condotta irresponsabile ha concorso a causare il fallimento o a peggiorarlo. Un caso tipico: il titolare ha tenuto una gestione “allegra” senza riguardo ai conti, accumulando debiti, e poi fallisce – può essere accusato di bancarotta semplice per imperizia grave.
  • Bancarotta impropria: riguarda soggetti diversi dall’imprenditore (es. i direttori generali, i sindaci, i soci di fatto) che abbiano concorso a cagionare il fallimento con atti di mala gestio. Ad esempio, gli amministratori di s.p.a. sono puniti se hanno commesso reati societari che hanno portato al dissesto (false comunicazioni, illecite restituzioni di conferimenti, ecc.), oppure, come introdotto dall’art. 330 CCII, gli amministratori (o liquidatori) di società fallita incorrono in bancarotta semplice impropria se non hanno tempestivamente richiesto l’accesso a una procedura concorsuale pur essendo in crisi, causando un aggravamento del buco . Questo punto è l’incarnazione penale dei doveri di attivazione: se l’amministratore ha dormito e ciò ha peggiorato la posizione dei creditori, può risponderne penalmente come bancarotta da inattività colposa. La pena per bancarotta impropria semplice è similare alla semplice normale (massimo 2 anni) , ma la stigmatizzazione è notevole: si dice in sostanza che l’amministratore è caduto in colpa grave e per questo il suo comportamento è penalmente rilevante.
  • Concorso di terzi: se altre persone hanno aiutato o istigato l’imprenditore a compiere atti distrattivi (es. un prestanome che riceve beni occultati, un consulente che suggerisce di falsificare i bilanci, oppure la banca che con dolo concede credito sapendo il dissesto per privilegiare se stessa – comportamento chiamato concessione abusiva di credito che può integrare concorso in bancarotta) , anche costoro rispondono di bancarotta. Ad es., Cassazione ha punito il direttore di banca che aveva continuato a erogare prestiti a un’azienda decotta facendoli utilizzare per pagare la rata di altri suoi crediti, con coscienza di aggravare il dissesto – concorso in bancarotta preferenziale.

Momento di rilevanza: i reati di bancarotta si configurano al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale. Cioè: finché l’azienda non è dichiarata fallita, non esiste “bancarotta” (fatta salva la bancarotta fraudolenta impropria in ambito concordatario, casi rari). Se però l’imprenditore ha compiuto atti fraudolenti e poi riesce a evitare il fallimento (es. con un concordato riuscito), non verrà imputato di bancarotta (perché non c’è fallimento). Questo è un fatto importante: dal punto di vista del debitore, evitare il fallimento comporta anche evitare i reati di bancarotta. Attenzione: resta perseguibile per eventuali reati tributari o societari autonomi, ma non per bancarotta, poiché quest’ultima è legata all’esistenza di una procedura liquidatoria (o di liquidazione controllata per i non fallibili: il Codice estende alcune fattispecie di bancarotta semplice e fraudolenta anche alla liquidazione controllata ex sovraindebitamento, ma con soglie alte e raramente applicate). Quindi, un amministratore che abbia qualche “scheletro nell’armadio” preferirà tentare un concordato per non incorrere nel setaccio del fallimento. E in effetti, a volte il concordato è usato proprio per evitare che emerga la bancarotta (perché se con il concordato la società risana, non c’è procedura penale fallimentare).

Difendersi dai rischi penali fallimentari: il miglior consiglio è non compiere atti distrattivi o preferenziali e tenere le scritture in ordine. Anche in stato di crisi, l’imprenditore deve resistere alla tentazione di “salvare il salvabile per sé” – prendere soldi in cassa prima del fallimento è classica distrazione punita severamente. Se ha già commesso qualche atto borderline, deve considerare che cooperare in sede concorsuale e magari risarcire o far rientrare i beni può attutire la condanna (ci sono circostanze attenuanti per chi ripara il danno o collabora con le autorità). Inoltre, come detto, percorrere strumenti come la composizione negoziata o il concordato non solo è l’adempimento di un dovere civile, ma può di fatto evitare la bancarotta. Ad esempio, Cass. 30109/2025 (già menzionata) è un caso in cui la società in composizione negoziata aveva documentato le proprie finanze in modo trasparente e non aveva dissipato nulla: ciò ha convinto i giudici che non c’era pericolo di condotte distrattive e dunque hanno negato il sequestro preventivo che di solito preludio di una contestazione di reato . Quindi l’atteggiamento collaborativo paga anche sotto il profilo penale: se l’imprenditore mostra di voler risolvere la crisi legalmente e mette a disposizione tutto il patrimonio, difficilmente verrà accusato di bancarotta (a meno che in passato abbia compiuto frodi conclamate). Può invece essergli contestata la bancarotta semplice per imprudenza se non ha chiesto la procedura subito: ma anche lì, se dimostra di aver agito tempestivamente (es. ha avviato la CNC appena avuti gli indizi, ecc.), si para da quell’accusa.

Un caso particolare è la bancarotta societaria per reati come il falso in bilancio: se l’amministratore ha falsificato i bilanci coprendo perdite (fattispecie art. 322 co.2 CCII rimanda all’art. 2621 c.c.), può essere imputato in sede di fallimento di bancarotta impropria. Quindi, altra raccomandazione: anche se l’azienda va male, non falsificare i bilanci per nascondere la situazione! È comprensibile la spinta a mascherare perdite per ottenere credito, ma è un boomerang: se poi c’è fallimento, diventa bancarotta fraudolenta impropria. Meglio semmai redigere bilanci veritieri e allegare una nota sulla continuità incerta, così da essere corretto.

Reati tributari: omesso versamento di imposte e altri

A prescindere dall’apertura di procedure concorsuali, il diritto penale tributario (D.Lgs. 74/2000) punisce alcuni comportamenti di inadempimento fiscale. Quelli tipicamente connessi a situazioni di crisi d’impresa sono:

  • Omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis D.Lgs.74/2000): reato che si configura se l’imprenditore non versa entro il termine previsto (di solito il 16 del mese successivo o il 30/9 per il 770) le ritenute fiscali operate su stipendi o compensi, per un ammontare annuo superiore a €150.000 . La soglia era 50k, poi alzata a 150k. È un reato dolo generico (basta la volontarietà del mancato pagamento, non serve evasione attiva) e la pena prevista va da 6 mesi a 2 anni di reclusione . Tuttavia, la legge (riforma Dlgs 87/2024) ha introdotto una condizione di non punibilità: se il debitore ha un piano di rateazione in corso per quelle somme, il reato non scatta . Praticamente, il reato “si consuma” il 30 giugno dell’anno successivo (nuovo termine uniformato al 31/12 dell’anno successivo alla dichiarazione ), a meno che prima di tale data il contribuente non abbia regolarizzato o rateizzato il dovuto. Anche se ha rateizzato e poi decade dal piano, il reato è “posticipato” e punibile solo se residuano >€50.000 di ritenute non versate alla decadenza . – Difesa: dunque, se un’azienda non è riuscita a pagare le ritenute ma si attiva con l’Agenzia per dilazionare (avviso bonario), finché è in regola col piano non verrà punita . Il consiglio per il legale rappresentante è: mai ignorare il mancato versamento ritenute, cercare di rimediare entro l’anno successivo magari con versamenti parziali a trimestre (come da nuova norma) .
  • Omesso versamento IVA (art. 10-ter): analogo concetto per l’IVA: il reato scatta se l’imprenditore non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto IVA (di norma 27 dicembre dell’anno successivo, ma ora uniformato al 31/12 successivo ), l’IVA risultante dalla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a €250.000 . Pena uguale (6 mesi – 2 anni). La riforma 2024 ha allineato il termine di rilevanza penale al 31 dicembre anno successivo (dunque dà qualche giorno in più rispetto al vecchio 27/12) . E ha introdotto anche qui la condizione: se prima di quel 31/12 successivo il contribuente ha avviato un piano di rateizzo su avviso bonario e versa almeno 1/20 del dovuto ogni trimestre, il reato non sussiste ; se poi decade dal piano e rimane un debito IVA residuo > €75.000, allora il reato si configura alla decadenza . – Difesa: cercare di attivare il piano di rateazione (che però per IVA di solito arriva come esito controllo automatizzato in estate successiva). In pratica, la legge consente un margine: se non hai i soldi per l’IVA, puoi comunque evitar la galera se ti metti in regola con un pagamento a rate entro un certo tempo. L’importante è non restare inerti: contattare AdE per definire un piano.
  • Emissione di fatture false o frode fiscale (artt. 2,3): questi reati (dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni inesistenti, ovvero dichiarazione fraudolenta con altri artifici) sono molto seri (fino a 6-8 anni di reclusione a seconda degli importi). Un’azienda in crisi potrebbe essere tentata di ricorrere a pratiche elusive (es. emettere fatture false per ottenere liquidità extra o per abbattere il reddito tassabile). È ovviamente da evitare: in caso di controlli e poi fallimento, si sommerebbe la bancarotta fraudolenta alla frode fiscale. La Cassazione penale è rigorosa su questo: l’amministratore che, ad esempio, simula vendite inesistenti per giustificare uscite di cassa poi dirottate altrove commette due reati insieme. Molto spesso nelle bancarotte emergono reati fiscali come frodi IVA (caroselli): lì, oltre alla bancarotta, si risponde di associazione per delinquere se c’è un sistema, ecc. Dunque, qualsiasi idea di “giocare” con le fatture per far sparire merce o generare fondi neri è una pessima difesa, anzi è autogol devastante.
  • Sottrazione fraudolenta al pagamento imposte (art. 11 D.Lgs.74/2000): punisce chi compie atti simulati o frodi per evitare il pagamento delle imposte, se ha debiti col Fisco > €50.000. Esempio tipico: un imprenditore, sapendo di avere cartelle esattoriali, vende fittiziamente un immobile a un parente per evitare che l’Agente di riscossione glielo ipotechi. Se scoperto, è reato (punito con reclusione fino a 4 anni) indipendentemente da un eventuale fallimento. Spesso lo contestano in situazioni pre-fallimentari: se prima del fallimento l’amministratore ha svuotato il conto o fatto sparire beni per non farli pignorare dal Fisco, può risponderne. – Difesa: ancora una volta, non fare il furbo col Fisco. Se proprio si vuole proteggere un bene personale (es. casa di famiglia), esistono strumenti legali come il fondo patrimoniale o trust, ma vanno costituiti in bonis e comunque possono essere revocati se troppo vicini all’insolvenza. Se invece, in emergenza, uno li cede per niente, penalmente passibile.

Reati in ambito del lavoro e societario

Mancato versamento contributi previdenziali (art. 2 co.1-bis D.L. 463/1983, oggi art. 3 D.Lgs. 8/2016): se un datore di lavoro omette di versare le ritenute previdenziali trattenute ai dipendenti entro il termine dovuto, per importi > €10.000 annui, commette reato punito con la reclusione fino a 3 anni e multa . Importi inferiori costituiscono illecito amministrativo con sanzione pecuniaria. La soglia di punibilità penale è di 10k per anno . La Corte Costituzionale di recente ha confermato la legittimità dell’assetto sanzionatorio (sent. 2022) . Quindi, se la nostra azienda in crisi non paga i contributi ai dipendenti, l’amministratore rischia: superati 10k di omissioni per anno, è reato. Attenuante: è ammessa la scriminante se, prima dell’apertura del dibattimento, paga tutto il dovuto (in tal caso il reato è estinto). La Cassazione ha anche detto che se non c’è dolo (cioè l’imprenditore non ha proprio pagato i dipendenti o non aveva liquidità per cause di forza maggiore), l’elemento soggettivo può mancare – ma attenzione, il limite è sottile e di solito l’imprenditore in crisi raramente viene assolto perché “non aveva soldi”: si pretende il dolo generico, basta la consapevolezza di non aver versato. – Difesa: qui val la pena usare la causa di non punibilità: la norma prevede che se paghi i contributi dovuti (anche tardivamente ma prima del giudizio), sei esente da pena. Quindi, qualora arrivino momenti migliori (es. vendi un bene), è prioritario destinare risorse a coprire i contributi prima possibile, perché ciò mette l’amministratore al riparo dal penale (oltre che liberare il DURC).

Reati societari connessi alla crisi: i principali sono il falso in bilancio (art. 2621/2622 c.c.) se gli amministratori hanno occultato perdite o esposto dati falsi per nascondere lo stato di insolvenza. Ad esempio, gonfiare le rimanenze o sottovalutare i fondi rischi per mostrare un patrimonio netto positivo è false comunicazioni sociali. In contesti di dissesto, questi illeciti affiorano spesso e aggravano la posizione degli amministratori. La pena per false comunicazioni sociali “non rilevanti” è fino a 2 anni (contravvenzione, procedibile a querela se non quotata), se rilevanti e società grande si sale di più. In caso di fallimento poi possono essere riqualificati come bancarotta impropria documentale. – Difesa: come già detto, la trasparenza nei bilanci è fondamentale. Se un amministratore pensa “abbellisco i conti così le banche ancora mi prestano e magari esco dalla crisi”, giuridicamente commette un reato. Oltretutto, se poi non esce dalla crisi e fallisce, quell’“abbellimento” viene scoperto e passa per dolo di ingannare i creditori, peggiorando la sua posizione. Dunque meglio un bilancio veritiero e magari predisporre la nota integrativa spiegando le prospettive di risanamento, piuttosto che un bilancio farlocco.

Responsabilità 231 della società: nota che, per alcuni reati come la frode fiscale e false comunicazioni, esiste la responsabilità amministrativa dell’ente ex D.Lgs. 231/2001. Questo significa che la società stessa (non gli amministratori) può subire pesanti sanzioni pecuniarie e interdittive se, ad es., l’AD commette una frode IVA a vantaggio o interesse della società. Nel caso Cass. 30109/2025, la società Cesoiatrici Srl ipotetica fu indagata per illecito 231 proprio perché il suo legale rappresentante era accusato di dichiarazione fraudolenta mediante fatture false . La composizione negoziata di cui era beneficiaria ha giocato a suo favore nel mostrare che stava regolarizzando la gestione, e questo ha portato come visto a far cadere misure (il sequestro confisca per equivalente fu annullato). Un’azienda in crisi, se vuole risollevarsi, deve anche pensare a rimediare a eventuali pregresse violazioni: ad esempio può adottare un modello 231, licenziare eventuali responsabili di illeciti, ecc., per evitare sanzioni che la finirebbero.

In sintesi sui profili penali: Difendersi dai debiti non significa nasconderli o fare furbizie illegali; al contrario, occorre evitare ogni condotta che possa configurare reato, perché queste condotte portano a ben altre conseguenze (penali personali) oltre al dissesto economico. Il debito in sé non è un reato (non si va in galera per essere insolventi), ma certi comportamenti nella gestione del debito lo possono diventare. Il miglior modo di minimizzare i rischi penali è: agire con trasparenza e tempestività, coinvolgere le autorità competenti (tribunale, OCC) per mettere in sicurezza la situazione, e preservare la par condicio (niente favoritismi occultati). Se, nonostante tutto, vengono ipotizzati reati, il debitore potrà comunque spesso difendersi mostrando di aver fatto del suo meglio per ridurre il danno (il giudice valuterà diversamente un fallito che ha collaborato rispetto a uno che ha nascosto documenti). Anche ravvedimenti e risarcimenti, dove possibili, aiutano. Ad esempio, se prima della sentenza fallimentare il socio ripristina i beni distratti (magari intuisce che fallirà e restituisce dei soldi prelevati), questo potrà essere valutato come segno positivo e magari evitargli la querela. Ovviamente, in situazioni gravi, sarà opportuno affidarsi a un avvocato penalista esperto di reati fallimentari sin da subito, per adottare una strategia (ad es. richiedere riti alternativi come patteggiamento per ridurre la pena, se inevitabile). Ma l’ideale è non doverci arrivare.

Ruolo e tutela del legale rappresentante e degli organi sociali (punto di vista del debitore)

Chiudiamo questa guida tornando al punto di vista soggettivo del debitore, in particolare del legale rappresentante e degli amministratori dell’impresa indebitata. Ci siamo addentrati nei tecnicismi delle procedure e nei rischi, ma vale la pena riassumere in modo chiaro quali mosse deve compiere – e quali evitare – chi gestisce un’azienda in crisi per difendersi efficacemente e proteggere anche il proprio patrimonio personale e la propria libertà.

Cosa deve fare un amministratore quando l’azienda ha troppi debiti:

  • Monitorare la situazione e non negare la crisi: sembra banale, ma molti imprenditori cadono nella trappola psicologica di negare il problema finché è tardi. Invece, appena si percepisce che i debiti finanziari o fiscali stanno crescendo oltre il ragionevole, che si paga sistematicamente in ritardo i fornitori, che il flusso di cassa non copre più le spese correnti, bisogna ammettere la crisi. Attivare i meccanismi interni (piani di risparmio, ricerca di soci o investitori, ecc.) e se serve quelli esterni (come la composizione negoziata) in tempo utile è la prima difesa. Ignorare i sintomi aggrava solo la situazione e, come abbiamo visto, espone anche a colpe gestorie. I sindaci/revisori dovrebbero incalzare l’amministratore su questo, e se lo fanno è interesse dell’amministratore stesso dare ascolto (li ignorasse, poi loro si “salvano” segnalando e lui rimane il principale colpevole).
  • Consultare professionisti esperti: gestire una crisi d’impresa richiede competenze multidisciplinari (legali, finanziarie). È importante rivolgersi prontamente a professionisti specializzati in ristrutturazioni e procedure concorsuali. Un bravo advisor esterno può aiutare a formulare una strategia di difesa: ad esempio, decidere se tentare prima un piano extragiudiziale o andare subito in concordato, come trattare con le banche, ecc. e si occuperà di predisporre la documentazione corretta (business plan, ecc.). Inoltre, la presenza di un professionista tutela anche legalmente l’organo amministrativo: molte decisioni delicate (pagare Tizio e non Caio, attivare una procedura X) prese su consiglio di un esperto, se fatte in buona fede, difficilmente saranno imputate come colpose. Ad esempio, se l’amministratore con il parere di un legale decide di pagare un fornitore strategico violando la par condicio, potrà giustificarsi che era per salvare l’azienda; se lo fa da solo magari appare come preferenza dolosa. Dunque, farsi affiancare da un legale e un commercialista è un investimento necessario.
  • Preservare la cassa aziendale per scopi giustificati: in situazione di tensione di liquidità, l’istinto potrebbe portare l’amministratore a proteggere sé stesso (es. restituirsi prestiti soci, pagare fornitori amici, farsi stipendi arretrati consistenti). Ma bisogna agire con estrema cautela e sempre potendo dimostrare la giustificazione aziendale di ogni uscita. La regola aurea: nessuna operazione sul patrimonio sociale che non abbia un vantaggio per la massa dei creditori. Quindi sì a pagare un fornitore se senza la sua fornitura l’azienda si blocca (lo si motivi chiaramente!), no a pagare un debito personale col denaro della società, o a trasferire asset a parenti. Questa disciplina auto-imposta preserverà l’amministratore da accuse di distrazione o preferenza.
  • Documentare tutto e tenere contabilità ordinata: mai come in questi frangenti è importante registrare qualsiasi movimento di denaro, conservare ricevute, fatture, contratti. Se un domani un curatore vedrà che nei mesi prima del fallimento la contabilità è regolare e ogni spesa è giustificata (magari con nota esplicativa “pagato fornitore X per garantire produzione Y”), sarà molto più difficile contestare reati o azioni di responsabilità. Viceversa, se mancano pezzi (es. l’inventario non torna, i registri IVA spariti, etc.) scatterà subito il sospetto di mala fede. Un amministratore accorto magari chiederà anche al revisore di redigere una relazione straordinaria sullo stato dei conti nel momento in cui decide di attivare un concordato: così può dimostrare di aver affrontato la crisi con trasparenza. L’investimento in compliance documentale è una scudo difensivo potente.
  • Attivare tempestivamente la procedura più adatta: come discusso lungamente, esistono vari strumenti. La scelta giusta dipende dal caso concreto: composizione negoziata se c’è ancora speranza di accordo, concordato in continuità se l’azienda può stare in piedi ristrutturando, concordato liquidatorio se c’è da vendere asset ma conviene farlo ordinatamente invece che col curatore, liquidazione controllata se piccola impresa incapiente, ecc. Quel che è certo: non restare nel limbo. La legge, anzi, ora considera un dovere per l’amministratore avviare la regolazione concordata della crisi appena possibile . Anche i creditori lo sanno: se vedono che l’azienda non fa nulla, potrebbero loro stessi chiedere il fallimento (una difesa del creditore). Quindi, il manager deve “prendere il toro per le corna” e portare l’azienda su un binario di soluzione. Questo gli consente tra l’altro di mantenere più controllo: chi propone un concordato o simili rimane attore protagonista, mentre se subisce un fallimento perde totalmente il controllo.
  • Comunicare con i creditori in modo trasparente: spesso, con l’aiuto dell’esperto CNC o di advisor, è utile convocare i principali creditori e presentare la situazione apertamente, mostrando magari un piano di massima di ciò che si vuole fare. Questo può evitare azioni aggressive (es. la banca può soprassedere dall’incanalare incassi se sa che sta per essere presentato un concordato dove otterrà di più). Ovviamente va fatto con tatto e preferibilmente dopo aver depositato eventuali richieste di misure protettive (per evitare che nel frattempo ti facciano istanza di fallimento). Però la comunicazione onesta costruisce fiducia: un fornitore informato è più propenso a votare poi sì a un concordato. Viceversa, non rispondere alle pec dei creditori li esaspera e li induce a procedere legalmente. Quindi, come difesa, meglio mostrare che si ha un piano e si è disposti a trattare.

Cosa può fare l’imprenditore per proteggere il proprio patrimonio personale: molti imprenditori, specie di PMI, hanno intrecci tra patrimonio aziendale e personale (fideiussioni, immobili dati in garanzia, ecc.). Se l’azienda va male, rischiano di perdere anche i beni personali. Ci sono strategie lecite di asset protection, ma vanno implementate prima che la situazione sia compromessa. Ad esempio: non firmare nuove fideiussioni o cambiali quando già l’azienda è traballante (si peggiora solo l’esposizione personale); non offrire la casa come garanzia aggiuntiva ad una banca per avere altro credito se si intuisce che difficilmente si potrà rimborsare – così si salva almeno la casa. Se la coniuge ha un’impresa separata, attenzione alle coobbligazioni. Un istituto è il fondo patrimoniale per beni della famiglia: se istituito anni prima e se i debiti non erano prevedibili all’epoca, può mettere al riparo l’abitazione dai creditori estranei ai bisogni familiari. Ma non è una panacea: se fatto durante la crisi può essere revocato (atto a titolo gratuito). Altre tecniche come trust o intestazioni fiduciarie vanno maneggiate con cura e anticipo, altrimenti sono viste come sottrazione fraudolenta (reato).

Dunque, paradossalmente, la protezione migliore per l’imprenditore è fare andare a buon fine la procedura concorsuale dell’azienda: se riesce a chiudere un concordato, i creditori sociali non si rifaranno su di lui (salvo sue garanzie specifiche). E se fallisce, l’esdebitazione gli ridarà verginità economica dopo (ma non recupera i beni già escussi). Per le fideiussioni personali, l’unica via è includerle in una procedura di sovraindebitamento personale parallela – quindi coordinare l’eventuale concordato della società con un piano del consumatore o liquidazione per sé, così da liberarsi anche dai debiti personali derivanti. Un esempio: Tizio è amministratore di Alfa Srl e ha garantito un mutuo bancario. Alfa fa concordato e paga 50% al banco, liberando il debito residuo sociale; ma la banca potrebbe chiedere il restante 50% a Tizio come garante. Se Tizio in parallelo fa un piano del consumatore includendo quella garanzia, potrebbe liberarsene con esdebitazione . Quindi, bisogna pianificare anche la propria insolvenza personale eventualmente, con gli strumenti ad hoc.

Tutela dei soci e degli organi di controllo: i soci di società di capitali non rispondono dei debiti (a meno che abbiano prestato fideiussioni). Devono però prestare attenzione alle possibili azioni di responsabilità contro di loro se hanno approvato atti dolosi (raro) o se sono soci di fatto amministratori. Nel caso di SNC o SAS, i soci illimitatamente responsabili falliscono essi stessi con la società: la loro miglior difesa è collaborare col curatore per l’esdebitazione. Gli organi di controllo (sindaci, revisori) devono fare il loro dovere di segnalazione e vigilanza: se non lo fanno e la società fallisce, i creditori potrebbero chiamarli in causa per concorso in responsabilità . Quindi, paradossalmente, i sindaci si “difendono” sollecitando l’azione degli amministratori: come abbiamo visto, se i sindaci restano inerti mentre la barca affonda, ne rispondono solidalmente . La riforma ha persino limitato la loro responsabilità a un multiplo del compenso (per non scoraggiare il ruolo) , ma rimane il dovere: sindaco che segnala e spinge l’organo amministrativo verso la soluzione probabilmente eviterà guai legali, anzi sarà un alleato oggettivo anche dell’impresa (perché sta spronando l’azione utile).

In conclusione, dal punto di vista di chi “sta al timone” dell’impresa indebitata, difendersi dai debiti significa soprattutto gestire attivamente la crisi: passare dall’essere travolti dagli eventi al prendere in mano la situazione con gli strumenti legali offerti. Ciò comporta sacrifici (accettare di soddisfare i creditori in una certa misura, perdere magari parte del controllo proprietario se entrano nuovi soci, mettere a disposizione beni personali se necessario in un piano), ma è preferibile al collasso disordinato. L’alternativa – l’inazione o, peggio, l’occultamento – porta quasi inevitabilmente a conseguenze peggiori: procedure concorsuali subite, azioni giudiziarie dei creditori e responsabilità a catena. Invece, un debitore proattivo e onesto può, grazie alle nuove norme, uscire dalla crisi con un accordo e ripartire pulito, oppure anche se costretto a chiudere, ottenere l’esdebitazione e non restare marchiato a vita. La legislazione attuale, come abbiamo visto, valorizza questo approccio: premia il debitore che si attiva (concordato, sovraindebitamento) e punisce quello che si sottrae ai doveri (sanzioni civili e penali).

Di fatto, le migliori difese del debitore sono oggi la trasparenza, la tempestività e l’uso consapevole delle procedure concorsuali in chiave di risanamento o liquidazione ordinata. Con queste armi e con il supporto di professionisti seri, anche un’azienda di cesoiatrici piena di debiti può sperare di evitare il tracollo rovinoso e magari tornare a tagliare lamiere sul mercato senza il peso dei debiti passati.

Domande frequenti (FAQ) su debiti aziendali e soluzioni legali

D: L’azienda che amministro è sommersa dai debiti ed è una S.r.l.; io come amministratore posso essere dichiarato fallito personalmente?
R: No, se parliamo di una S.r.l. (società di capitali), la procedura di liquidazione giudiziale riguarda solo la società come soggetto giuridico. Tu, come amministratore, non vieni dichiarato fallito in automatico. Le eccezioni sono se hai fideiussioni personali o se hai commesso irregolarità penali gravi (in tal caso verresti perseguito penalmente, ma non fallito civilmente). Attenzione però: se la società è di persone (S.n.c., S.a.s.), i soci illimitatamente responsabili sì, falliscono insieme alla società. Nel caso della S.r.l., il tuo patrimonio personale rimane separato – a meno che tu abbia confuso i conti (in tal caso potresti subire azioni di responsabilità, ma non un fallimento personale). Quindi la tua azienda può essere insolvente e tu no, formalmente. Tuttavia, se hai garantito i debiti (es. fideiussore verso la banca), i creditori potranno rifarsi su di te secondo i contratti di garanzia: per quelle obbligazioni potresti dover rispondere coi tuoi beni. In sintesi: amministratore di S.r.l. non viene dichiarato fallito, ma se ha garantito debiti sociali o commesso illeciti, ne risponde comunque con azioni specifiche .

D: La mia azienda (ditta individuale) è in crisi e ho debiti verso fornitori e banche per ~300.000 €. Non voglio perdere l’attività: la cosiddetta “legge salva suicidi” può aiutarmi a tagliare i debiti e continuare?
R: Sì, come imprenditore individuale sotto soglia puoi ricorrere alle procedure di sovraindebitamento introdotte dalla L.3/2012 (ora nel Codice della Crisi) . Se vuoi continuare l’attività, lo strumento indicato è il concordato minore: presenti un piano di ristrutturazione (ad es. proponi di pagare il 50% dei debiti in 5 anni coi profitti futuri) e se i creditori che detengono la maggioranza dei crediti approvano, il tribunale omologa . Tu paghi solo quanto promesso e il resto viene cancellato a fine piano (esdebitazione) . Ciò ti permette di proseguire l’attività liberato da parte del peso. Se però l’azienda non è più sostenibile neanche in parte, l’altra via è la liquidazione controllata: liquidi tutto quello che hai (macchinari, scorte, ecc.), il liquidatore distribuisce ai creditori il ricavato (magari prendono solo il 20-30%), e dopo al massimo 4 anni ottieni l’esdebitazione del debito residuo . In entrambi i casi, la legge ti consente di ripartire senza debiti insostenibili . Importante muoversi prima che i creditori chiedano eventualmente un fallimento (in teoria, per un imprenditore sotto soglia il fallimento non dovrebbe avvenire, ma sempre meglio prevenire azioni esecutive). Quindi sì, la normativa sul sovraindebitamento è pensata proprio per dare una via d’uscita all’imprenditore onesto in crisi, evitando gesti estremi e consentendo un “restart”.

D: Ho troppi debiti con il Fisco (IVA, INPS) per la mia azienda. Mi conviene fare una procedura concorsuale o tentare di negoziare con l’Agenzia Entrate?
R: Dipende dall’entità e dalla sostenibilità. Se i debiti fiscali sono molto alti ma la tua azienda ha comunque un po’ di patrimonio o redditività, potresti valutare prima se aderire a qualche definizione agevolata (es. rottamazione delle cartelle esattoriali) . Ciò ridurrebbe sanzioni e interessi. Poi, una volta quantificato il dovuto “pulito”, una procedura concorsuale (concordato o accordo di ristrutturazione) può essere utile perché ti permette di diluire e anche falcidiare il debito tributario residuo con l’approvazione del tribunale . Ad esempio, in un concordato puoi proporre di pagare solo una parte delle tasse e contributi (la legge oggi lo consente, IVA inclusa) , e se la parte che offri è almeno pari a quanto il Fisco otterrebbe liquidandoti, il tribunale può omologare anche se l’Agenzia delle Entrate è contraria . Quindi una soluzione giudiziale ti consente di stralciare legalmente parte del debito fiscale. Se invece i debiti fiscali sono l’unico problema e non hai molti creditori privati, puoi tentare prima la via amministrativa: rateizzazioni ordinarie (fino a 6 anni) e rottamazioni. Sappi che però queste misure non riducono il capitale dovuto, mentre il concordato sì. Spesso la soluzione combinata è: aderisci a rottamazione per togliere sanzioni; poi inserisci l’importo netto in un concordato per pagarlo magari in parte. In ogni caso, le procedure concorsuali possono bloccare interessi e sanzioni futuri e gestire il debito in modo ordinato . Valuta con professionisti: se la tua azienda ha prospettive di continuare ma senza quel peso fiscale, il concordato preventivo con transazione fiscale può essere risolutivo. Se invece sei proprio nullatenente e il debito fiscale è impagabile, c’è l’opzione dell’esdebitazione “incapiente”: se sei persona fisica nulla da dare, il tribunale ti cancella i debiti (fiscali compresi) senza pagamento . Ma devi essere davvero privo di beni e redditi (e meritevole). Insomma, per debiti col Fisco alti, la concorsualità offre strumenti di cram-down (imporre il taglio) che la trattativa diretta non ti darebbe (se non tramite leggi di rottamazione decise dal legislatore).

D: Se la mia azienda va in liquidazione giudiziale (fallimento), io amministratore rischio la galera?
R: Non automaticamente. Il fallimento di per sé non è reato. Tuttavia, come abbiamo visto, con l’apertura della liquidazione giudiziale scatterà una verifica da parte della Procura su possibili reati di bancarotta . Quindi, se tu come amministratore hai commesso irregolarità – ad esempio hai distratto soldi dell’azienda a fini personali, hai favorito alcuni creditori occultamente, hai tenuto contabilità in modo caotico o falsificato i bilanci – potresti essere incriminato per bancarotta fraudolenta o semplice . Le pene per bancarotta fraudolenta possono arrivare fino a 10 anni di reclusione (nei casi più gravi di distrazione) . Se invece hai gestito con correttezza ma solo con qualche leggerezza, potrebbe al limite configurarsi la bancarotta semplice (negligenza) con pene minori (fino a 2 anni) , che spesso si risolvono in sospensione condizionale se incensurato. Dunque la chiave è: hai commesso atti in frode o illegali? Se no, difficilmente “rischi la galera”: essere un cattivo imprenditore non è di per sé un crimine. In più, ricorda che se riesci ad evitare il fallimento usando un concordato, quei reati di bancarotta non scatteranno affatto (perché non c’è fallimento). Infatti tanti amministratori preferiscono il concordato anche per questo motivo. Ma se il fallimento è inevitabile, collabora appieno col curatore: consegna libri, spiega tutto, non fuggire. La tua cooperazione può evitare aggravanti e favorire un esito migliore anche in sede penale . Insomma, se hai agito onestamente, hai poco da temere oltre alla perdita dell’azienda; se hai fatto il furbo, allora sì, il fallimento potrebbe portare a conseguenze penali serie.

D: La banca sta revocando gli affidamenti e ho ricevuto un’ingiunzione – posso bloccare le azioni esecutive anche se non ho ancora un piano definitivo?
R: Sì, uno degli strumenti per guadagnare tempo e bloccare le aggressioni è presentare una domanda di concordato “con riserva” (detto anche concordato in bianco) . In pratica depositi un ricorso al tribunale dichiarando che intendi proporre un concordato preventivo, chiedi le misure protettive e ottieni subito un decreto che sospende le azioni esecutive (pignoramenti, ecc.) per un periodo (tipicamente 60 a 120 giorni) . Entro quel termine dovrai depositare il piano concordatario completo. Questa procedura è prevista proprio per casi come il tuo, dove c’è urgenza di fermare i creditori ma ancora il piano non è pronto. È un’ottima difesa d’emergenza: dalla data di pubblicazione del ricorso in bianco, nessun creditore può iniziare o proseguire esecuzioni individuali, né iscrivere ipoteche giudiziali . Anche la banca dunque non potrebbe procedere oltre con pignoramenti (le ingiunzioni in corso vengono “congelate”). Va usata con senso: devi poi effettivamente presentare un piano serio, altrimenti rischi la dichiarazione di fallimento allo scadere se non depositi nulla. Ma come strumento difensivo è potentissimo ed è molto usato. Alternativamente, se la tua azienda fosse ancora in fase di pre-insolvenza, potresti attivare la Composizione Negoziata e chiedere misure protettive: anche quelle bloccano azioni esecutive fino a 4+4 mesi , dandoti respiro per trattare. Quindi sì, esistono modalità per creare uno “scudo temporaneo” contro i creditori mentre prepari la ristrutturazione. Consulta un legale concorsualista subito per imboccare la strada giusta (concordato in bianco se sei già insolvente o quasi, composizione negoziata se sei in crisi ma c’è prospettiva di accordo). L’importante è agire prima che i creditori arrivino a esecuzione sui beni chiave.

D: La mia società è molto indebitata e non vedo via d’uscita. Se la chiudo (liquido) volontariamente e ne apro un’altra da zero, risolvo il problema?
R: Attenzione: chiudere l’azienda senza pagare i debiti non fa magicamente sparire le obbligazioni. Se liquidi volontariamente la società, devi comunque soddisfare i creditori col patrimonio sociale; se non lo fai, i creditori possono entro 1 anno chiederne il fallimento post-liquidazione . Inoltre, come liquidatore (spesso l’amministratore stesso lo diventa) sei tenuto a pagare prima i debiti fiscali: se distribuisci attivo ai soci lasciando imposte o contributi indietro, ne rispondi tu fino a concorrenza di quanto hai distribuito . Ancora, aprire una nuova società con lo stesso business mentre la vecchia lascia debiti può configurare una continuità aziendale anomala: i creditori potrebbero aggredire la nuova per abuso di legge (in alcune giurisprudenze si è vista l’estensione di responsabilità). Soprattutto, se trasferisci beni o clienti dalla vecchia società alla nuova a prezzo irrisorio o li sottrai ai creditori, potresti commettere reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (se ci sono tributi) e comunque gli atti possono essere revocati dal tribunale se si arriva a fallimento (revocatoria fallimentare). In sintesi, spegnere e riaccendere sotto altro nome non ti esonera dai debiti, anzi può aggravare la tua posizione legale. Molto meglio è usare una procedura concorsuale: ad esempio un concordato dove cedi l’azienda buona (o i suoi asset) a una “newco” pagando qualcosa ai creditori vecchi. Così la nuova parte pulita e la vecchia debiti sono regolati secondo legge. Questo è lecito (è il concordato in continuità indiretta). Farlo clandestinamente invece espone a grosso rischio. Quindi non consigliamo affatto la “fuga” lasciando debiti: i creditori ti inseguirebbero e potresti incorrere in bancarotta fraudolenta. Meglio affrontare il problema frontalmente con gli strumenti che danno esdebitazione lecita. La nuova società conviene farla solo dopo aver sistemato la vecchia col concordato o liquidazione controllata. Così costruisci su basi pulite e senza spade di Damocle.

Fonti e riferimenti normativi

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – D.lgs. 12 gennaio 2019 n.14 (aggiornato con D.lgs. 83/2022 e D.lgs. 136/2024). Articoli citati: definizioni generali (art. 2 CCII), doveri dell’imprenditore e organi sociali (artt. 3, 375, 378 CCII) , composizione negoziata (artt. 12-25-sexies CCII) , procedure di sovraindebitamento (artt. 65-83 CCII) , concordato preventivo (artt. 84-120 CCII) , liquidazione giudiziale (artt. 121-147 CCII), azioni di responsabilità (artt. 255 e 378 CCII) , disposizioni penali (artt. 322-330 CCII) .
  • Legge 27 gennaio 2012 n.3 (vecchia legge sul sovraindebitamento, “legge salva suicidi”), per procedure aperte prima del 15/7/2022 .
  • Decreto-Legge 24 agosto 2021 n.118, convertito con mod. dalla L. 147/2021 – ha introdotto la Composizione Negoziata della Crisi (poi confluita nel Codice) e il concordato semplificato (art. 25-sexies CCII) .
  • Decreto Legislativo 17 giugno 2022 n.83 – attuazione della Direttiva UE 2019/1023: ha modificato il CCII introducendo strumenti come il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione , gli accordi agevolati ed estesi , il cram-down fiscale .
  • Direttiva (UE) 2019/1023 – sui quadri di ristrutturazione preventiva e sulla seconda chance, recepita in Italia con D.lgs. 83/2022 .
  • Codice Civile, in particolare: art. 2086 c.c. (obbligo di assetti adeguati) , art. 2392 c.c. (responsabilità solidale amministratori, dovere di impedire eventi pregiudizievoli) , art. 2484-2486 c.c. (scioglimento società e doveri di conservazione) , art. 2407 c.c. (responsabilità dei sindaci, modificato nel 2022 con limiti al risarcimento) , artt. 2446-2447 c.c. (perdite rilevanti), art. 2495 c.c. (responsabilità liquidatore dopo cancellazione) , art. 2560 c.c. (debiti cedente in cessione d’azienda), artt. 2621-2622 c.c. (false comunicazioni sociali) – reato rilevante anche ai fini bancarotta impropria .
  • Legge Fallimentare RD 267/1942 (vecchia) – per riferimenti storici sui reati (artt. 216-217 L.F. ora trasfusi in art. 322-323 CCII) e sulle soglie di fallibilità (art. 1 L.F., mantenute nel CCII) .
  • D.Lgs. 74/2000 (reati tributari): art. 10-bis (omesso versamento ritenute > €150k) , art. 10-ter (omesso versamento IVA > €250k) , art. 11 (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, soglia €50k) , art. 2 e 3 (frodi fiscali con fatture false o altri artifici). D.Lgs. 8/2016 depenalizzazione parziale: oggi omesso versamento contributi sotto €10k è sanzione amministrativa, sopra resta reato .
  • D.L. 19/2020 conv. L. 25/2020 – ha introdotto esdebitazione “incapiente” (ora art. 283 CCII) e migliorato la transazione fiscale (consentendo falcidia IVA). D.L. 137/2020 conv. L.176/2020 – ha reso più accessibili le procedure di sovraindebitamento (criteri meritevolezza più elastici) .
  • D.Lgs. 14/06/2024 n.87 (attuazione riforma penale tributaria – PNRR): ha modificato termini e soglie dei reati di omesso versamento IVA/ritenute, introducendo cause di non punibilità legate alla rateazione .
  • Cassazione Civile Sez. Unite 8504/2021 – ha sancito che il tribunale può omologare un concordato con transazione fiscale nonostante il voto contrario dell’Erario, se l’offerta è più vantaggiosa per esso rispetto alla liquidazione . Viene citata per legittimare il cram-down fiscale poi recepito.
  • Cassazione Penale Sez. Unite 36959/2021 – principi sulla necessità di motivare sia fumus che periculum per sequestro finalizzato a confisca (richiamata in Cass. 30109/2025) . Indica che in presenza di composizione negoziata, il periculum in mora va escluso se i beni sono monitorati (cfr. Cass. 30109/25).
  • Cassazione Penale sez. III n.30109/2025 (depositata 2/9/2025) – caso in cui la pendenza di una composizione negoziata ha portato all’annullamento di un sequestro preventivo per reati tributari, affermando che la procedura negoziata esclude il pericolo di dispersione dei beni dato il controllo esercitato . Rilevante per mostrare un atteggiamento giudiziario che valorizza la CNC come segno di meritevolezza del debitore.
  • Cassazione Civile sez. I n.8069/2024 (25/03/2024) – conferma applicabilità dei criteri di liquidazione del danno da prosecuzione abusiva (differenza netti patrimoniali e deficit fallimentare) anche a giudizi pendenti , chiarendo natura equitativa di tali criteri ex art. 2486 c.c. mod. D.lgs.14/2019.
  • Cassazione Civile n.40901/2021 – sull’accordo ex art. 182-bis L.F. con falcidia IVA dopo DL 125/2020: confermata ammissibilità (dopo che norma l’ha sancita).
  • Tribunale di Milano, decreto 5/12/2018 – ha considerato i flussi finanziari in continuità come finanza esterna ai fini dell’ordine di soddisfazione (pagamento preferenziale di creditori strategici ammesso se funzionale alla continuità). Citato in dottrina come preludio a art. 84 CCII co.4.
  • Risposta Agenzia Entrate Telefisco 2022 – ha riconosciuto che il nuovo art. 48 CCII consente omologa forzata del concordato anche con voto contrario AE, recependo principi Cass. 8504/21 . Fonte: Il Sole 24 Ore, NT+ Fisco, 2022.
  • Linee guida Tribunale di Livorno – gennaio 2024 sulla gestione procedure di sovraindebitamento (forniscono prassi su requisiti di meritevolezza e ruolo OCC). Unioncamere – Guida procedure concorsuali 2023 capitolo sovraindebitamento (elenca soggetti non fallibili e soglie) . Camera di Commercio Frosinone-Latina – OCC: sintesi ufficiale delle procedure post-riforma (utili per chiarire differenze accordo/composizione etc.).

La tua azienda che produce, importa, distribuisce o ripara cesoie industriali, cesoie a ghigliottina, cesoie meccaniche, cesoie idrauliche, cesoie CNC, impianti di taglio lamiera, lame e ricambi, attrezzature per carpenteria e officine metalmeccaniche, oggi è schiacciata dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua azienda che produce, importa, distribuisce o ripara cesoie industriali, cesoie a ghigliottina, cesoie meccaniche, cesoie idrauliche, cesoie CNC, impianti di taglio lamiera, lame e ricambi, attrezzature per carpenteria e officine metalmeccaniche, oggi è schiacciata dai debiti?
Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, blocco dei fornitori, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o minacce di pignoramento da banche, fornitori, Fisco, INPS o Agenzia Entrate-Riscossione?

Il settore delle cesoie industriali richiede investimenti elevati: macchinari costosi, componenti idraulici ed elettronici delicati, manutenzioni frequenti, ricambi costosi, installazioni complesse e clienti che pagano spesso a 60–120 giorni.
Quando la liquidità rallenta, la crisi arriva velocemente.

La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito con la giusta strategia.


Perché un’Azienda di Cesoiatrici va in Debito

  • aumento dei costi di acciai, idraulica, CNC, motori, elettroniche e ricambi
  • pagamenti lenti da parte di carpenterie, officine e industrie metalmeccaniche
  • magazzino immobilizzato tra lame, pompe, schede, cilindri, controlli e ricambi
  • costi elevati di installazione, collaudo, taratura e assistenza tecnica
  • investimenti in aggiornamenti software, retrofit e normative CE
  • riduzione o revoca dei fidi bancari

Il problema vero non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi se Non Intervieni Subito

  • pignoramento dei conti correnti aziendali
  • blocco dei fidi bancari
  • sospensione delle forniture di componenti critici
  • atti esecutivi, decreti ingiuntivi, precetti
  • sequestro di macchinari, ricambi e attrezzature
  • impossibilità di completare installazioni o riparazioni
  • perdita di clienti strategici e contratti continuativi

Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Con un avvocato specializzato puoi:

  • sospendere pignoramenti già avviati
  • bloccare richieste aggressive di rientro
  • proteggere conti correnti e flussi di cassa
  • interrompere le azioni dell’Agenzia Riscossione

È il primo passo per evitare danni irreversibili.


2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti

Spesso nei debiti emergono anomalie che permettono una riduzione reale:

  • interessi non dovuti
  • sanzioni errate o gonfiate
  • importi duplicati
  • posizioni prescritte
  • errori della Riscossione
  • commissioni bancarie anomale

Una parte significativa del debito può essere tagliata o cancellata legalmente.


3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile

Tra le soluzioni più efficaci:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi di rientro con fornitori strategici (idraulica, CNC, lame)
  • rinegoziazione delle linee di credito
  • sospensione temporanea dei pagamenti
  • utilizzo delle definizioni agevolate

4. Usare strumenti legali che bloccano TUTTI i creditori

Se la crisi è più estesa, puoi ricorrere a:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • Accordi di Ristrutturazione
  • Concordato Minore
  • (nei casi estremi) Liquidazione Controllata

Questi strumenti permettono di continuare l’attività pagando solo una parte dei debiti, con protezione totale dagli atti esecutivi.


Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo

Per salvare un’azienda del settore macchine utensili servono competenze profonde e multidisciplinari.
L’Avv. Monardo è:

  • Avvocato Cassazionista
  • Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi ufficiali del Ministero della Giustizia
  • Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

È il professionista ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende produttrici e distributrici di cesoie industriali, dove affidabilità e continuità sono fondamentali.


Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo

  • analisi immediata della tua esposizione debitoria
  • stop urgente ai pignoramenti
  • riduzione dei debiti non dovuti
  • ristrutturazione del debito con piani personalizzati
  • protezione del magazzino, delle macchine, dei ricambi e dei cantieri aperti
  • trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • tutela completa dell’imprenditore e dell’azienda

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di cesoiatrici non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia rapida, tecnica e completamente legale, puoi:

  • bloccare immediatamente i creditori,
  • ridurre realmente i debiti,
  • salvare ordini, manutenzioni e installazioni,
  • proteggere il futuro della tua impresa.

Agisci subito.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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