Se la tua azienda produce, importa o distribuisce bulloneria e viteria – viti, bulloni, tiranti, barre filettate, dadi, rondelle, prigionieri, fissaggi inox/zincati, minuteria metallica e componenti per meccanica, edilizia, carpenteria e impiantistica – e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, devi agire subito per evitare blocchi della produzione e perdita di clienti fondamentali.
Nel settore della bulloneria, la puntualità è essenziale: un semplice ritardo nelle consegne può fermare cantieri, linee produttive, montaggi e manutenzioni, generando penali e danni immediati ai rapporti commerciali.
Perché le aziende di bulloneria e viteria accumulano debiti
- aumento dei costi di acciaio, zincatura, trattamenti superficiali e lavorazioni
- rincari delle materie prime importate e dei trasporti
- pagamenti lenti da parte di imprese edili, officine, rivenditori tecnici, carpenterie
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con migliaia di misure, lotti e certificazioni
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai volumi di stoccaggio
- investimenti elevati in macchine di stampaggio, filettatura, controllo qualità e certificazioni
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista la tua situazione debitoria reale
- identificare quali debiti possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro troppo onerosi che prosciugano la liquidità
- richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
- proteggere rapporti con fornitori strategici (acciaierie, zincature, produttori)
- utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza bloccare la produzione
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di acciaio, trattamenti e materiale di viteria
- impossibilità di rispettare ordini e consegne verso industrie e cantieri
- perdita di clienti ricorrenti e rivenditori tecnici
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti specializzati in diritto bancario e tributario.
È inoltre:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può aiutarti concretamente a:
- bloccare pignoramenti e azioni esecutive
- ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti legali più efficaci
- ottenere rateizzazioni davvero sostenibili
- proteggere scorte, materiali, impianti e continuità produttiva
- evitare la chiusura e guidare l’azienda verso un vero risanamento
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Introduzione
Un’azienda produttrice o distributrice di bulloneria e viteria gravata da debiti (bancari, fiscali, previdenziali, commerciali, ecc.) si trova di fronte a una crisi d’impresa che richiede risposte tempestive e articolate. È fondamentale riconoscere per tempo gli indizi della crisi – ad esempio perdite di bilancio reiterate, indebitamento crescente, flussi di cassa negativi, pagamenti mancati a fornitori o al fisco – per attivare subito le contromisure necessarie. Il Codice Civile, all’art. 2086 c.c., impone espressamente all’imprenditore di istituire assetti organizzativi adeguati e di attivarsi senza indugio per adottare strumenti idonei a superare la crisi e recuperare la continuità aziendale . In altre parole, la legge obbliga a non ignorare i segnali di insolvenza: l’organo amministrativo deve agire prontamente, pena possibili responsabilità verso i creditori per aggravamento del dissesto (anche sul piano risarcitorio e, nei casi più gravi, penale) .
Questa guida – aggiornata a ottobre 2025 – offre un quadro avanzato degli strumenti giuridici a disposizione di imprenditori, professionisti e privati per affrontare una situazione di indebitamento grave dal punto di vista del debitore. Il linguaggio sarà giuridico ma divulgativo, utile sia agli avvocati e consulenti che assistono l’impresa in difficoltà, sia ai titolari d’azienda stessi. Analizzeremo le varie tipologie di debiti (bancari, erariali, previdenziali e commerciali) evidenziandone i rischi, per poi illustrare le strategie difensive e le opzioni di risanamento previste dall’ordinamento italiano. In particolare, esamineremo sia gli strumenti stragiudiziali di composizione della crisi (piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione, composizione negoziata), sia le procedure giudiziali vere e proprie (concordato preventivo – anche nelle forme “semplificata” e “minore” – e liquidazione giudiziale ex fallimento). Verranno inoltre descritte le possibili azioni difensive contro iniziative dei creditori (ingiunzioni, pignoramenti, istanze di fallimento), con attenzione agli sviluppi normativi e giurisprudenziali più recenti (sentenze aggiornate al 2024-2025).
La guida include tabelle riepilogative, una sezione di domande e risposte frequenti (FAQ) e alcune simulazioni pratiche basate su casi reali italiani, per contestualizzare l’applicazione delle norme. L’obiettivo è fornire un approfondimento avanzato su «cosa fare per difendersi e come» nel caso di un’azienda di bulloneria e viteria fortemente indebitata, indicando soluzioni concrete e riferimenti normativi aggiornati. Data la complessità della materia, è comunque consigliabile farsi affiancare da professionisti qualificati (avvocati esperti in crisi d’impresa, commercialisti, advisor finanziari) per costruire la strategia più adatta al caso specifico.
Diagnosi iniziale della situazione debitoria
Il primo passo per mettere in sicurezza un’azienda indebitata è fotografare con precisione la situazione debitoria. Una due diligence interna, svolta con l’ausilio di consulenti, aiuta a capire da dove partire. In particolare, occorre:
- Mappare i debiti e i creditori: redigere un elenco completo di tutti i debiti dell’impresa, distinguendoli per tipologia e individuando i rispettivi creditori. Ad esempio: mutui e finanziamenti bancari; esposizioni verso fornitori e subfornitori; debiti tributari (IVA, imposte dirette) e carichi affidati all’Agente della Riscossione; contributi previdenziali non versati (INPS); rate di leasing; stipendi e TFR arretrati ai dipendenti; eventuali debiti verso soci finanziatori, ecc. .
- Verificare importi, scadenze e oneri: per ciascun debito, quantificare l’importo dovuto (capitale, interessi, sanzioni), da quanto tempo è scaduto e quali costi ulteriori sta generando. Ad esempio, una cartella esattoriale da imposte può includere sanzioni e interessi di mora crescenti; un mutuo bancario impagato accumula interessi moratori; il mancato pagamento di forniture può far perdere sconti concordati e generare penali contrattuali . Conoscere il costo del tempo è essenziale per capire dove intervenire con urgenza.
- Distinguere tra debiti garantiti e chirografari: identificare quali esposizioni sono assistite da garanzie reali (es. ipoteca della banca sul capannone, pegno su macchinari, riserva di proprietà su merci fornite) o da garanzie personali (es. fideiussioni firmate dall’imprenditore o da soci a favore di banche/fornitori) . I crediti privilegiati o garantiti hanno un trattamento preferenziale nelle procedure concorsuali rispetto ai crediti chirografari (non garantiti), che spesso vengono pagati solo parzialmente in caso di insolvenza. Questa classificazione incide sia sulle strategie di negoziazione (un creditore ipotecario avrà meno interesse a fare sconti, sapendo di essere protetto sull’immobile) sia sulle potenziali azioni esecutive (un creditore chirografo dovrà agire rapidamente per evitare di restare senza beni aggredibili).
- Valutare la gravità e l’urgenza di ciascun debito: individuare quali debiti rappresentano una minaccia immediata per la continuità aziendale e vanno dunque prioritizzati. Esempi: un insoluto rilevante verso il fornitore principale di acciaio può bloccare la produzione; il mancato pagamento di alcune rate di leasing su macchinari essenziali può portare alla revoca del contratto e al ritiro dei beni; rate scadute di mutui bancari o linee di credito possono indurre la banca a revocare gli affidamenti concessi (scoperti di conto, anticipo fatture), prosciugando la liquidità disponibile; omessi versamenti di IVA o contributi possono sfociare in cartelle esattoriali e relative misure cautelari/esecutive (fermi amministrativi su automezzi aziendali, ipoteche su immobili, pignoramenti di conti correnti) . Questi casi richiedono interventi tempestivi (ad esempio attivare subito una trattativa o una richiesta di rateazione) per evitare che l’azione del singolo creditore faccia collassare l’intera azienda.
- Controllare eventuali vizi, prescrizioni o contestazioni: con l’aiuto di un legale, verificare se alcuni debiti possono essere contestati, ridotti o annullati per motivi giuridici. Ad esempio: cartelle esattoriali molto datate potrebbero essere prescritte (se sono trascorsi i termini di legge senza atti interruttivi validi); alcune potrebbero presentare vizi di notifica o importi non dovuti, su cui è possibile fare ricorso; i rapporti bancari potrebbero nascondere addebiti illegittimi (anatocismo su interessi, tassi usurari, commissioni non contrattualizzate) da far valere in un’eventuale opposizione a decreto ingiuntivo o in sede di trattativa di saldo e stralcio; ancora, potrebbe emergere la possibilità di rottamare talune cartelle (aderendo – se disponibili – a definizioni agevolate previste per legge, come le “rottamazioni” delle cartelle esattoriali) così da abbattere sanzioni e interessi. Un audit legale può talora eliminare o ridurre parti del debito se riscontra irregolarità formali o sostanziali .
Questa fase diagnostica è cruciale. Solo conoscendo esattamente “chi deve cosa a chi” e in quali condizioni, l’imprenditore potrà individuare gli strumenti più adatti per affrontare la crisi. È importante coinvolgere fin da subito i professionisti (commercialisti e avvocati) di fiducia per non tralasciare alcun dettaglio: ad esempio, distinguere un debito personale di un socio (derivante da una fideiussione o da un’attività extra-societaria) da un debito della società; verificare se la società rientra tra i soggetti “non fallibili” per dimensioni (piccolissime imprese sotto le soglie di legge, v. infra, che non sarebbero assoggettabili alla liquidazione giudiziale ma alle procedure di sovraindebitamento); oppure valutare se vi siano asset aziendali separabili o protetti (ad es. beni in leasing non pignorabili se si paga il canone corrente, patrimoni destinati, trust interni, ecc.). Una buona analisi iniziale finanziaria e legale è il presupposto di ogni strategia di difesa efficace.
Tipologie di debiti e rischi correlati
Non tutti i debiti sono uguali: a seconda della natura del credito e del creditore coinvolto, i margini di manovra del debitore e i rischi di azioni esecutive variano sensibilmente. Esaminiamo le principali categorie di debito che tipicamente gravano su una PMI del settore metalmeccanico (come un’azienda di bulloneria e viteria), evidenziando per ciascuna i pericoli in caso di inadempimento e le possibili vie di gestione.
Debiti bancari e finanziari
I debiti bancari comprendono mutui ipotecari, finanziamenti a breve termine, scoperti di conto corrente (affidamenti bancari in conto anticipo o cassa), anticipazioni su fatture, contratti di leasing finanziario per macchinari o automezzi, emissioni di cambiali o effetti commerciali, ecc. Le banche, in qualità di creditori, dispongono di poteri e tutele specifiche. Spesso le esposizioni bancarie sono assistite da garanzie: ipoteche su immobili aziendali, pegni su impianti o su merci, cessione di crediti a garanzia, e quasi sempre fideiussioni personali degli imprenditori o dei soci di riferimento. Questo significa che, in caso di insolvenza, la banca può agire sia sul patrimonio aziendale vincolato (espropriando l’immobile ipotecato, escutendo il pegno sui beni, compensando somme depositate in conto corrente), sia – se presenti fideiussori – sul patrimonio personale di questi ultimi . La segnalazione a “sofferenza” alla Centrale Rischi di Bankitalia è un ulteriore effetto del deterioramento dei rapporti bancari: una volta che la banca classifica l’azienda a sofferenza e segnala il credito insoluto, l’accesso al credito per l’impresa (e spesso anche per gli esponenti aziendali, se garanti) diventa precluso o fortemente limitato .
Rischi: Il decadimento dal beneficio del termine è uno dei rischi principali. Ad esempio, per un mutuo o un leasing, se l’azienda salta il pagamento di alcune rate, la banca o società di leasing può invocare la risoluzione del contratto e chiedere l’immediato pagamento di tutto il residuo, avviando il recupero forzoso (espropriazione dell’immobile ipotecato o del bene in leasing). Inoltre, la banca può revocare gli affidamenti a revoca (fidi di cassa o anticipo fatture “a revoca”) appena percepisce segnali di insolvenza, richiedendo la restituzione immediata delle somme utilizzate: ciò può togliere all’azienda liquidità essenziale, creando un effetto domino sui debiti verso altri creditori. Se i soci o l’imprenditore hanno prestato garanzie personali, la banca potrà aggredire anche i loro beni privati (case, conti correnti personali) per recuperare i crediti non pagati . In prospettiva concorsuale, i crediti bancari ipotecari o pignoratizi sono privilegiati: in un eventuale concordato o fallimento, la banca potrà soddisfarsi sui beni oggetto di garanzia (fino a concorrenza del valore di realizzo degli stessi) con preferenza sugli altri creditori.
Possibili difese/soluzioni: Una volta evidenziate tensioni con le banche, è opportuno dialogare tempestivamente con l’istituto per cercare soluzioni concordate. Strumenti utili possono essere: accordi di moratoria o di rinegoziazione del debito (ad esempio, ottenendo sospensioni temporanee dei pagamenti o allungamenti dei piani di rientro); operazioni di rifinanziamento con l’intervento di un nuovo istituto o di un fondo di turnaround (magari assistite da garanzie pubbliche, come quelle offerte dal Fondo di Garanzia PMI, se l’azienda ha ancora requisiti di accesso); in alcuni casi, accordi di saldo e stralcio (la banca accetta di chiudere la posizione a fronte di un pagamento parziale una tantum, se ritiene che l’alternativa – escussione forzosa – sarebbe meno fruttuosa). Nelle procedure di composizione negoziata o di concordato, le banche sono spesso interlocutori chiave: si può prevedere il consolidamento dei debiti bancari con pagamento dilazionato o parziale all’esito della procedura. Va ricordato che una volta avviata una procedura concorsuale (concordato preventivo o liquidazione giudiziale), le azioni esecutive individuali delle banche vengono sospese o interdette (v. oltre): ciò può dare respiro all’azienda, ma è una mossa da valutare attentamente con i consulenti perché implica l’ingresso in una procedura formale. Se sono state prestate fideiussioni personali, il destino dei garanti va gestito con attenzione: può essere opportuno coinvolgere i garanti nelle trattative (ad esempio, il socio garante potrebbe offrire il pagamento di una parte del debito con risorse personali in cambio della liberazione dalla fideiussione). In caso di default conclamato, il garante persona fisica rischia di trovarsi esso stesso insolvente: in tal caso, potrà ricorrere alle procedure di sovraindebitamento personali (ad esempio un “piano del consumatore” o una liquidazione controllata personale) per liberarsi dei debiti di garanzia residui, pur sacrificando il proprio patrimonio . L’importante, dal lato dell’impresa debitrice, è avere chiara la distinzione tra debito sociale e obbligazioni di garanzia: l’azione sul patrimonio del fideiussore non risolve il debito dell’azienda (la quale rimarrà debitrice verso il fideiussore che abbia pagato, salvo rinuncia), ma può alleviare nell’immediato la pressione di cassa sull’azienda.
Debiti fiscali (Erario)
I debiti verso l’Erario includono imposte non versate (IVA, ritenute IRPEF su stipendi, IRES, IRAP, ecc.), oltre a eventuali somme dovute a seguito di accertamenti fiscali (avvisi di accertamento divenuti definitivi) e le relative cartelle esattoriali emesse dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) . Queste posizioni debitorie spesso beneficiano per legge di privilegi sui beni mobili e immobili dell’azienda (ad esempio il privilegio generale sui mobili per IVA e ritenute, ai sensi dell’art. 2752 c.c., e l’ipoteca esattoriale iscrivibile su beni immobili per crediti sopra certe soglie). Inoltre, alcuni debiti tributari (in particolare l’IVA e le ritenute operate e non versate) possono avere riflessi penali: il D.lgs. 74/2000 punisce l’omesso versamento di IVA oltre una certa soglia annua (oggi €250.000) e l’omesso versamento di ritenute certificate oltre €150.000, con reati che espongono l’amministratore a responsabilità penale. Pertanto, i debiti fiscali sono particolarmente critici, sia perché l’Agente della Riscossione dispone di poteri esecutivi speciali (può iscrivere fermi e ipoteche senza passare dal giudice, notificare pignoramenti in via diretta), sia perché il loro mancato pagamento può bloccare l’accesso a benefici (ad esempio il rilascio del DURC regolare, se vi sono anche debiti INPS, o l’ottenimento di certificati tributari necessari per appalti).
Rischi: In caso di morosità fiscale, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può iscrivere ipoteca sugli immobili aziendali (per debiti sopra €20.000), disporre il fermo amministrativo dei veicoli aziendali (per debiti sopra €1.000), e avviare pignoramenti mobiliari, immobiliari o presso terzi (es. pignoramento dei crediti verso clienti) in modo relativamente rapido. Gli interessi di mora e le sanzioni tributarie fanno lievitare il debito nel tempo. Inoltre, finché l’azienda risulta inadempiente verso il Fisco, non potrà ottenere certificati di regolarità fiscale e contributiva, necessari per partecipare a gare o ottenere alcuni incentivi pubblici. Sul piano penale, l’amministratore rischia sanzioni personali: ad esempio, per l’omesso versamento IVA o ritenute può scattare una denuncia penale (punibile con multa e reclusione) se gli importi superano le soglie sopra menzionate, a meno che non paghi integralmente il debito tributario prima del giudizio.
Possibili difese/soluzioni: Il Fisco, a differenza di altri creditori, è soggetto a regole pubblicistiche; tuttavia, esistono strumenti per gestire i debiti erariali. Fuori dalle procedure concorsuali, l’impresa può richiedere una rateizzazione ordinaria delle cartelle (fino a 72 rate mensili, o 120 rate in caso di grave difficoltà comprovata), evitando così azioni esecutive purché rispetti le rate. Periodicamente, il legislatore ha varato misure di definizione agevolata (“rottamazione” delle cartelle) che consentono di estinguere i carichi affidati alla riscossione pagando solo imposte e interessi legali, con stralcio di sanzioni e interessi di mora: se vi sono cartelle definibili e l’azienda ha i requisiti, aderire a tali sanatorie può ridurre sensibilmente l’esposizione. All’interno di una procedura concorsuale o di risanamento, invece, si può ricorrere alla transazione fiscale, ovvero un accordo con l’Erario per il pagamento parziale e/o dilazionato dei tributi dovuti. La transazione fiscale è oggi ammessa sia negli accordi di ristrutturazione che nei concordati preventivi, consentendo anche la falcidia dell’IVA e delle ritenute se il piano proposto garantisce al Fisco una soddisfazione non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione fallimentare . Ciò rappresenta un’evoluzione importante: fino a pochi anni fa vigeva il divieto di falcidiare IVA e ritenute, poi caduto per intervento della Corte Costituzionale e modifiche normative. In concreto, dunque, in un concordato o accordo il debito tributario (compresi IVA e contributi) può essere trattato con stralci e dilazioni, previa attestazione di convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria (è richiesto il parere di un professionista attestatore). È bene sottolineare che fuori dalle procedure, l’Amministrazione finanziaria non può autonomamente accordare sconti su imposte dovute – salvo le già menzionate rottamazioni previste per legge – quindi se serve una riduzione sostanziale del carico fiscale la via è inserirla in un piano di ristrutturazione omologato dal tribunale. Nel 2024, per di più, il legislatore ha introdotto la possibilità di raggiungere un accordo transattivo fiscale anche nell’ambito della Composizione Negoziata: l’art. 23, comma 2-bis, CCII (introdotto dal D.Lgs. 136/2024) consente all’imprenditore, durante le trattative di composizione negoziata, di formulare una proposta alle Agenzie fiscali e all’Agenzia della Riscossione per pagare il debito tributario (imposte e accessori) in maniera parziale o dilazionata, con apposita documentazione e soggetta all’autorizzazione del tribunale . Questo accordo, disponibile per le procedure avviate dal 28 settembre 2024, ha però alcune limitazioni: può riguardare solo i tributi di competenza statale (non i tributi locali/regionali, che per ora rimangono fuori dall’istituto, sebbene vi sia una delega per includerli ) e non consente la falcidia dei contributi previdenziali (INPS), creando una disomogeneità rispetto a concordati e accordi dove invece anche i contributi possono essere stralciati . In ogni caso, la transazione fiscale – sia in composizione negoziata che in concordato/accordo – richiede un supporto documentale robusto (relazioni attestative sulla veridicità dei dati e sulla convenienza dell’offerta per il Fisco) e l’autorizzazione del tribunale, ma offre un percorso chiaro per trattare con il Fisco dentro una cornice normativa . Dunque, per gestire i debiti fiscali l’azienda dovrà valutare: (a) se può rientrare tramite dilazioni ordinarie o risorse proprie, magari beneficiando di rottamazioni; (b) in difetto, se è opportuno imbastire una trattativa fiscale in sede di procedura concordataria o negoziata, sfruttando le leve ora disponibili per ridurre il carico tributario entro limiti sostenibili.
Debiti previdenziali e verso enti assistenziali
I debiti previdenziali riguardano principalmente i contributi obbligatori dovuti all’INPS per i dipendenti (contributi pensionistici e assicurativi, quote di TFR al Fondo di Tesoreria, contributi per assegni familiari) e quelli dovuti per eventuali lavoratori autonomi iscritti a gestioni separate (artigiani, commercianti, ecc.), nonché i premi assicurativi dovuti all’INAIL. Questi crediti, quando non pagati, sono anch’essi iscritti a ruolo e affidati all’Agente della Riscossione, quindi producono cartelle esattoriali analoghe a quelle fiscali . Inoltre, l’INPS può irrogare sanzioni civili pesanti in caso di omesso versamento di contributi (sanzioni che possono arrivare al 30% annuo del dovuto, ridotte al 6% annuo se l’azienda è in procedure concorsuali). I debiti previdenziali hanno natura privilegiata: godono di privilegio generale sui mobili dell’azienda (art. 2753 c.c.) e, per il TFR non versato al Fondo di Tesoreria, anche di privilegio sul patrimonio dell’azienda come credito di lavoro.
Rischi: L’omissione di versamento dei contributi trattenuti ai dipendenti (le quote a carico del lavoratore) oltre una soglia modesta (€10.000) configura un reato contravvenzionale (art. 2, co.1-bis, D.L. 463/1983): l’imprenditore può evitare la pena solo pagando il dovuto entro termini fissati dopo la contestazione. Questo stimola l’azienda a saldare almeno i contributi dovuti ai lavoratori, se possibile, per non incorrere in problemi penali. L’INPS, tramite Agenzia Riscossione, può similmente all’Erario procedere a fermi amministrativi, pignoramenti e ipoteche. Inoltre, un’azienda non in regola con i contributi non ottiene il DURC regolare, con l’effetto di essere esclusa da appalti pubblici e da molti lavori nel privato (in settori come edilizia e metalmeccanica spesso i committenti richiedono DURC regolare ai subfornitori). In caso di fallimento o concordato, i contributi non versati ai dipendenti comportano conseguenze sociali, perché i lavoratori potrebbero vedersi preclusa (fino a intervento del Fondo di Garanzia INPS) la maturazione di parte della pensione o del TFR.
Possibili difese/soluzioni: Le strategie per i debiti contributivi sono simili a quelle fiscali. È possibile chiedere rateazioni all’INPS/Agenzia Riscossione per diluire il pagamento nel tempo. Nelle procedure concorsuali, si può proporre una transazione contributiva analoga a quella fiscale, includendo i debiti previdenziali nel piano di concordato o nell’accordo di ristrutturazione e prevedendo il pagamento parziale degli stessi. Diversamente dalle imposte, la legge non pone più (dal 2021) divieti assoluti alla falcidia dei contributi nelle procedure omologate (purché sia assicurato all’ente almeno quanto otterrebbe liquidando i beni su cui vanta privilegio). Tuttavia, come notato, nella composizione negoziata attualmente non è possibile proporre il taglio dei contributi – al più se ne può chiedere la dilazione – il che può rendere più difficile trovare un accordo stragiudiziale se l’INPS ha importi rilevanti (è uno dei motivi per cui il legislatore ha delegato una possibile modifica) . È quindi frequente dover ricorrere a un concordato preventivo o a un accordo omologato per gestire i debiti previdenziali con uno stralcio, specie quando l’azienda non è in grado di pagare integralmente neppure i privilegiati. Dal punto di vista penale, è fondamentale cercare di mettersi in regola sui contributi dei lavoratori: spesso, nei piani di ristrutturazione si prevede il pagamento integrale delle quote trattenute ai dipendenti (che sono relativamente piccole, essendo la maggior parte del contributo a carico datore) proprio per evitare la continuazione del reato. Va ricordato anche che i dipendenti hanno diritto, in caso di insolvenza conclamata (fallimento), di ottenere dal Fondo di Garanzia INPS il pagamento degli ultimi stipendi e del TFR non corrisposti: l’INPS poi surroga tali crediti nel passivo. Questo meccanismo tutela i lavoratori ma trasforma quei debiti in un credito privilegiato dell’INPS. In sede negoziale, assicurare il pagamento (anche dilazionato) dei contributi dovuti e il ripristino del DURC può essere vantaggioso per l’azienda stessa, che così potrà continuare ad operare (specie se lavora con la P.A. o con grandi clienti che esigono fornitori in regola).
Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari
I debiti verso fornitori di materie prime, fornitori di servizi, subappaltatori, consulenti e altri creditori commerciali costituiscono spesso la parte più ampia (in termini di numero di soggetti) dell’indebitamento di un’azienda. In una società di bulloneria/viteria, ad esempio, rientrano in questa categoria i debiti verso fornitori di metallo/acciaio, fornitori di componenti o utensili, aziende di trasporto e logistica, consulenti tecnici, utenze di energia, affitti dei capannoni, ecc. Si tratta per lo più di crediti non garantiti (chirografari), salvo che siano previsti istituti particolari come la riserva di proprietà (ad esempio, un fornitore può aver ceduto un macchinario con patto di riservato dominio finché non è pagato per intero). Questi creditori, non avendo privilegi legali sui beni dell’azienda (eccetto alcune eccezioni, come il privilegio del venditore per le forniture dell’ultimo anno, art. 2762 c.c., di applicazione limitata), in caso di insolvenza subiscono le perdite maggiori: tipicamente, nel fallimento o concordato liquidatorio di un’azienda, i fornitori recuperano solo una percentuale ridotta (o nulla) del loro credito.
Rischi: Il rischio immediato è la possibile reazione individuale di tali creditori: un fornitore non pagato potrebbe sospendere le forniture (bloccando la produzione se è un fornitore chiave), oppure agire giudizialmente per il recupero coattivo (ottenere un decreto ingiuntivo e passare a pignoramenti di conti, attrezzature, merci in magazzino, ecc.). Anche se ogni singolo fornitore ha un peso relativamente piccolo, la massa dei fornitori insoluti può generare un effetto valanga: il credito commerciale è spesso “a cascata” – se l’azienda di bulloneria non paga il proprio fornitore di acciaio, quest’ultimo a sua volta può trovarsi in crisi nel pagare il suo fornitore di materie prime, e così via lungo la filiera. Inoltre, i fornitori locali spesso conoscono la situazione dell’azienda e la fiducia commerciale viene meno rapidamente in zona, causando la revoca di dilazioni e fidi commerciali: l’impresa potrebbe doversi trovare a pagare in anticipo forniture che prima otteneva a 60-90 giorni, aggravando il cash flow. In caso di procedure concorsuali, i creditori chirografari come i fornitori rischiano di essere pagati in bassa percentuale (nel concordato preventivo la legge richiede almeno il 20% ai chirografari in caso di liquidazione , e nella liquidazione fallimentare spesso le percentuali distribuite sono ancora inferiori). Va segnalato che se qualche fornitore ha emesso cambiali (o tratte accettate) per il pagamento, quelle costituiscono titoli di credito: il mancato pagamento di una cambiale può portare al protesto e a un esecutivo cambiario accelerato.
Possibili difese/soluzioni: Nei confronti dei fornitori, la strategia migliore è spesso la comunicazione e trasparenza: ignorare un fornitore insoluto può spingerlo subito dal legale, mentre cercare un accordo (un piano di rientro dilazionato, magari garantito da cambiali, o uno stralcio parziale se il fornitore teme di perdere tutto) può evitare azioni legali. In situazioni di crisi, si possono classificare i fornitori in categorie: fornitori essenziali (quelli senza i quali l’azienda si ferma, con cui è prioritario trovare un’intesa di continuità) e fornitori secondari (su cui si può operare un taglio o cambio). Pagare i fornitori strategici – anche a scapito di altri meno critici – può essere una scelta obbligata per tenere in vita l’impresa, ma attenzione: tali pagamenti “preferenziali” potrebbero essere soggetti a revocatoria in caso di fallimento successivo, se effettuati nell’anno antecedente. Tuttavia, se rientrano in un piano attestato di risanamento depositato o in un accordo omologato, questi pagamenti godono di protezione anti-revocatoria . Un’alternativa per dare fiato all’azienda è cercare accordi di fornitura in conto vendita o pagamento a consumo, in cui il fornitore accetta di mantenere il rifornimento e viene pagato solo man mano che l’azienda incassa a sua volta (soluzioni basate sulla fiducia reciproca, raramente attuabili in crisi conclamata). Nell’ambito di procedure concorsuali, i fornitori chirografari potranno essere soddisfatti in percentuale secondo il piano: è importante mostrare loro che la percentuale offerta in concordato (o accordo) è migliore di quanto otterrebbero da un fallimento (in quest’ultimo caso, probabilmente zero o molto meno del 20%). Da luglio 2022 il Codice della Crisi prevede l’istituto del “concordato in continuità indiretta”, che permette di vendere l’azienda a un terzo e distribuire il ricavato ai creditori: a volte un competitor o investitore è disposto a rilevare l’azienda di bulloneria, garantendo così ai fornitori una continuità (e magari pagando in prededuzione i fornitori funzionali all’esercizio provvisorio). Infine, uno strumento da considerare è il factoring pro-soluto di crediti attivi: se l’azienda vanta crediti verso committenti solidi, cederli a una società di factoring e incassare subito può fornire liquidità per pagare fornitori indispensabili, mantenendoli collaborativi.
Debiti verso i dipendenti
Una menzione a parte meritano i debiti verso i dipendenti, quali stipendi arretrati, ferie non pagate, tredicesime non corrisposte e Trattamento di Fine Rapporto (TFR) maturato e non liquidato. Questi crediti godono di un privilegio speciale e di una tutela particolare: in caso di insolvenza conclamata, i lavoratori dipendenti possono accedere al Fondo di Garanzia INPS che anticipa loro il TFR e le ultime tre mensilità impagate (per poi surrogarsi nel passivo privilegiato dell’azienda). Ciò significa che, sebbene i dipendenti abbiano un ombrello di tutela, l’azienda vedrà l’INPS subentrare come creditore privilegiato al loro posto.
Rischi: I lavoratori possono richiedere decreti ingiuntivi per le retribuzioni non pagate, con esecuzioni forzate rapide (data la natura alimentare dei crediti). Inoltre, il malumore e l’eventuale sciopero o abbandono dei dipendenti chiave può paralizzare l’attività. In caso di concordato, i crediti dei dipendenti per stipendio sono considerati prededucibili se relativi ai periodi di esercizio provvisorio o alla continuità aziendale autorizzata, altrimenti hanno privilegio e di norma devono essere soddisfatti integralmente o nei limiti del privilegio (il TFR e le ultime mensilità vantano privilegio generale entro un tetto per lavoratore, il resto è chirografo).
Soluzioni: È prioritario gestire con attenzione i dipendenti in fase di crisi. Spesso conviene cercare un accordo sindacale: ad esempio, concordare un ritardo nel pagamento delle mensilità o la rateazione del dovuto, rassicurando i lavoratori sul fatto che si sta approntando un piano di rilancio. Qualora si prospetti una procedura concorsuale, può essere opportuno far intervenire subito il Fondo di Garanzia per il TFR e stipendi arretrati: in un concordato liquidatorio, l’INPS paga i lavoratori e subentra come creditore privilegiato (che sarà soddisfatto nei limiti del ricavato dei beni). In una soluzione in continuità, invece, mantenere il personale motivato e operativo è cruciale: il piano potrebbe prevedere la postergazione degli arretrati di qualche mese, ma assicurando il pagamento integrale come crediti privilegiati (magari anche grazie all’intervento eventuale di nuova finanza). Ricordiamo che il mancato versamento delle ritenute previdenziali sulle retribuzioni configura reato (come detto sopra): è dunque prioritario almeno versare i contributi trattenuti. In fase di composizione negoziata o concordato in continuità, la legge consente di chiedere al tribunale l’autorizzazione a pagare per intero le retribuzioni maturate prima della procedura, se ciò è essenziale per assicurare la prosecuzione dell’attività (si tratta dei cosiddetti pagamenti di crediti pre-deduzione autorizzati). Questa può essere una mossa strategica per ristabilire un clima di fiducia in azienda durante la crisi.
Responsabilità di soci e amministratori in caso di debiti
Dal punto di vista del debitore – l’azienda – è importante comprendere in che misura i soci e gli amministratori possano essere chiamati a rispondere personalmente dei debiti sociali. In generale, per le società di capitali (S.r.l., S.p.A.) vige il principio della autonomia patrimoniale perfetta: i debiti della società gravano solo sul patrimonio sociale, e i soci non rispondono con il loro patrimonio personale delle obbligazioni sociali (fatto salvo quanto conferito in capitale). Tuttavia, esistono deroghe ed eccezioni sostanziali a questo principio, soprattutto se i soci o amministratori hanno tenuto comportamenti imprudenti o in violazione di norme:
- Garanzie personali (fideiussioni, avalli): La circostanza più comune in cui i soci o gli amministratori diventano personalmente obbligati per debiti della società è quando firmano garanzie personali verso i creditori dell’azienda (tipicamente banche o fornitori strategici) . Come visto, se la società non paga, il creditore potrà escutere direttamente il socio garante, pignorando i suoi beni personali . Questo non genera un’obbligazione “legale” del socio verso tutti i creditori, ma un impegno contrattuale specifico verso quel creditore. In sede di definizione della crisi, occorrerà considerare anche il destino di queste fideiussioni: ad esempio, un accordo di ristrutturazione con le banche potrebbe prevedere la liberazione dei garanti personali a fronte di un certo soddisfacimento, oppure, in caso di default della società, il socio garante dovrà attivarsi con procedure di sovraindebitamento personali per gestire i debiti da fideiussione . Si noti che se un creditore sociale ottiene solo una percentuale in fallimento, può chiedere ai garanti (illimitatamente responsabili o fideiussori) il resto: ad esempio, se la banca recupera il 10% in concordato, il fideiussore dovrà pagare il restante 90%, salvo poi rivalersi (spesso inutilmente) sulla società .
- Soci di società di persone o di fatto: Se l’azienda di bulloneria e viteria operasse in forma di società di persone (S.n.c. o S.a.s.), i soci illimitatamente responsabili rispondono solidalmente e illimitatamente con il proprio patrimonio dei debiti sociali (art. 2267 c.c.). In caso di insolvenza di una S.n.c., dunque, i soci diventano anch’essi fallibili e i creditori possono aggredirne i beni. Anche situazioni anomale, come società di fatto o intrecci societari poco chiari, possono portare a estendere il fallimento ai soci occulti o di fatto: la Cassazione ha di recente ribadito che, in presenza di una “supersocietà di fatto” tra una società e persone fisiche (ad es. l’imprenditore individuale che di fatto confonde il proprio patrimonio con quello societario e gestisce tutto come un unico gruppo), è legittima l’estensione del fallimento a questi soggetti ulteriori . Ciò avviene quando si prova un affectio societatis di fatto e una commistione di patrimoni e gestione tra la società formale e gli individui: in tal caso tutti vengono considerati membri di una società occulta e dichiarati falliti in solido.
- Obblighi di ricapitalizzazione (perdite sul capitale): Gli amministratori e i soci di S.r.l./S.p.A. hanno precisi obblighi quando il capitale sociale è eroso da perdite. Se le perdite superano il terzo del capitale (artt. 2446, 2482-bis c.c.) o il capitale scende sotto il minimo legale (artt. 2447, 2482-ter c.c.), gli amministratori devono convocare l’assemblea e i soci devono assumere provvedimenti (riduzione e aumento di capitale, o trasformazione, o liquidazione). Continuare l’attività senza adottare questi provvedimenti espone amministratori (e in alcuni casi anche i soci attivi) a responsabilità verso i creditori: l’art. 2486 c.c. stabilisce che, una volta maturata una causa di scioglimento (come la perdita integrale del capitale), gli amministratori devono gestire la società solo ai fini della conservazione del patrimonio e non intraprendere nuove operazioni. Se violano questo dovere, sono responsabili del prezzo dell’aggravamento del dissesto. La Cassazione nel 2024 ha chiarito che il nuovo art. 2486, comma 3, c.c. ha introdotto criteri di quantificazione del danno da prosecuzione abusiva dell’attività, ma non esonera l’attore (curatore o creditori) dal provare che c’era la causa di scioglimento e che l’attività è proseguita indebitamente . In pratica, il danno ai creditori viene spesso quantificato come la differenza tra il patrimonio netto al momento in cui si sarebbe dovuto liquidare e il patrimonio netto al momento del fallimento, o, se le scritture mancano, come la differenza tra attivo e passivo fallimentare . Questa presunzione di danno equitativo facilita le azioni di responsabilità: significa che agli amministratori può essere imputato per intero l’ammanco patrimoniale risultante a fine procedura, a meno che non provino che anche fermando l’attività prima i creditori sarebbero rimasti insoddisfatti nella medesima misura . Per i soci, non adottare le misure previste (ad es. non ricapitalizzare né liquidare) può integrare concorso in tali responsabilità, specie nelle S.r.l. dove i soci gestori sono equiparati spesso agli amministratori di fatto.
- Responsabilità per mala gestio e atti distrattivi: Indipendentemente dalle soglie di capitalizzazione, gli amministratori rispondono con il proprio patrimonio dei danni causati alla società o ai creditori da atti di mala gestione. In caso di fallimento, il curatore può promuovere l’azione di responsabilità (ex art. 146 l.fall., ora confluita negli artt. 255 e segg. CCII) contro gli amministratori per ottenere il risarcimento dei danni derivanti da violazioni di doveri (esempi: avere sperperato risorse in spese inutili, aver pagato alcuni creditori lasciando altri insoluti in prossimità del fallimento peggiorando il dissesto, aver tenuto contabilità inattendibile, ecc.). Tali azioni possono portare a condanne importanti: es. amministratori condannati a risarcire milioni di euro se si prova che la loro condotta ha aggravato il passivo . Da notare che la prescrizione di queste azioni inizia dal momento dell’emersione dell’insufficienza patrimoniale e può decorrere anche prima del fallimento se lo stato di insolvenza era palese . Ancora più grave è l’ipotesi di atti distrattivi o preferenziali compiuti dagli amministratori: se emergono ammanchi di beni, prelievi ingiustificati di cassa, cessioni di asset a prezzo vile, pagamenti preferenziali ad alcuni creditori a discapito di altri, gli amministratori possono incorrere nel reato di bancarotta fraudolenta o preferenziale (artt. 216 e 217 l.fall.), con pene detentive severe e interdizioni. In tali casi la responsabilità non è più solo patrimoniale ma penale personale.
In sintesi, dal punto di vista del debitore in crisi, è fondamentale adottare comportamenti diligenti e documentati per limitare l’esposizione personale di soci e amministratori. Gli amministratori devono: attivarsi tempestivamente per gestire la crisi (come richiesto dall’art. 2086 c.c.), evitare di aggravare il dissesto contraendo nuovi debiti insostenibili, documentare le scelte compiute durante la crisi mostrando che erano orientate a ridurre il danno (ad esempio, pagare fornitori essenziali per mantenere in vita l’azienda può essere giustificato in un secondo momento come scelta di conservazione del valore) . Farsi affiancare da consulenti finanziari e legali e predisporre un piano di risanamento formale può essere anche una linea difensiva: dimostrare che si è tentato tutto il possibile per evitare il fallimento può attenuare eventuali contestazioni di bancarotta semplice (laddove il fallimento sia comunque inevitabile). I soci, dal canto loro, dovrebbero evitare commistioni tra patrimonio personale e sociale, astenersi dal prelevare somme in momenti critici (anticipandosi utili inesistenti o rimborsi spese abnormi), e seguire formalmente le indicazioni degli organi amministrativi sulla ricapitalizzazione se richiesta. In presenza di garanzie personali, dovranno valutare il proprio piano B (ad esempio, attivare procedure personali di esdebitazione, come il piano del consumatore o la liquidazione controllata per liberarsi dai debiti residui di cui fossero garanti, proteggendo almeno i beni essenziali). Infine, ricordiamo che la chiusura in liquidazione giudiziale (fallimento) di per sé non comporta un’automatica responsabilità dei soci o amministratori verso i debiti: la società fallisce e i debiti residuali vengono cancellati con l’estinzione dell’ente, mentre gli amministratori rispondono solo se viene accertata in giudizio una loro colpa specifica. Tuttavia, il fallimento spesso apre la porta a indagini approfondite sulla gestione, per cui prevenire è meglio che curare: agire con correttezza e buona fede, e se possibile risanare la situazione prima di arrivare alla liquidazione, è nell’interesse anche di chi amministra per evitare strascichi personali.
Strumenti stragiudiziali per affrontare la crisi d’impresa
Quando un’azienda di bulloneria e viteria è oberata dai debiti ma vuole evitare di arrivare a soluzioni traumatiche come il fallimento, l’ordinamento offre diversi strumenti stragiudiziali – ossia soluzioni negoziali attivate al di fuori (o prima) di un intervento diretto del tribunale – per ristrutturare il debito e provare a risanare l’impresa. Questi strumenti si fondano sul consenso (totale o parziale) dei creditori e su atti di autonomia privata, sebbene alcuni prevedano comunque un certo grado di supervisione o omologazione giudiziale. L’idea di fondo è anticipare la crisi e risolverla in bonis o quasi, prima che degeneri in un’insolvenza irreversibile. Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) incoraggia espressamente il ricorso a misure negoziali per salvaguardare la continuità aziendale, tanto da averle posizionate sistematicamente prima delle procedure liquidatorie nel testo normativo . Esaminiamo i principali strumenti stragiudiziali oggi disponibili:
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)
Il piano attestato di risanamento è uno strumento privatistico e volontario con cui l’imprenditore in difficoltà elabora un piano di risanamento aziendale e lo fa attestare da un professionista indipendente. Si tratta formalmente di un accordo fuori dalle procedure concorsuali: nessun tribunale interviene ad approvarlo, non c’è voto dei creditori né nomina di organi. In pratica, il debitore negozia bilateralmente con alcuni o tutti i creditori delle modifiche alle proprie obbligazioni (ad esempio: proroga delle scadenze, rinuncia a parte dei crediti – stralcio, riduzione dei tassi d’interesse, nuovi apporti di liquidità dai soci o terzi, cessione di cespiti non strategici per pagare debiti, ecc.), incorpora queste intese in un piano organico e se ne fa attestare la fattibilità da un esperto indipendente (solitamente un commercialista o revisore con esperienza in crisi). L’attestatore redige una relazione in cui dichiara che il piano è idoneo a garantire il risanamento dell’impresa e a pagare regolarmente i creditori secondo le nuove scadenze previste .
Finalità e vantaggi: Lo scopo del piano attestato è di permettere all’impresa di risanarsi senza dover passare dal tribunale, ma con un sigillo di credibilità dato dall’attestazione professionale. Il vantaggio principale di questo istituto sta nel fatto che gli atti posti in essere in esecuzione del piano attestato sono protetti dall’azione revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento del debitore . Ciò è sancito dall’art. 56 CCII (già art. 67 l.f.): se l’impresa poi fallisce, i pagamenti e le garanzie concessi in attuazione del piano non potranno essere revocati dal curatore, a condizione che il piano fosse idoneo al risanamento secondo l’attestatore. Questo serve a dare sicurezza ai creditori che partecipano all’accordo: essi possono aderire sapendo che i pagamenti incassati non verranno successivamente “travolti” da un fallimento. Un altro vantaggio è la riservatezza e snellezza: il piano attestato non viene pubblicato ufficialmente, l’azienda evita il “marchio” di una procedura concorsuale e può continuare a operare senza allarmare la clientela o i fornitori non coinvolti. Inoltre è uno strumento flessibile: non richiede coinvolgimento di tutti i creditori, ci si può concentrare su quelli principali. È dunque indicato quando la crisi è ancora gestibile e c’è fiducia tra le parti. Ad esempio, un’azienda con temporanea carenza di liquidità ma buone prospettive di commesse può usare il piano attestato per dilazionare i debiti su 2-3 anni, con l’accordo delle banche e di qualche fornitore strategico, evitando così di “andare in concordato” e di perdere reputazione.
Limiti: Il piano attestato, essendo un puro accordo negoziale, non offre alcun ombrello protettivo contro le azioni individuali dei creditori estranei. Per funzionare, è necessario quindi che la maggioranza (idealmente la totalità) dei creditori rilevanti sia d’accordo e si astenga dall’agire in via esecutiva mentre il piano viene implementato . Un singolo creditore non aderente potrebbe comunque iniziare un pignoramento e far saltare l’equilibrio, poiché il piano attestato non vincola i dissenzienti. Pertanto, questo approccio è efficace in situazioni circoscritte: tipicamente quando vi sono pochi creditori importanti e si riesce a ottenere la loro adesione (es. le banche principali e qualche fornitore chiave). Se invece la platea dei creditori è ampia e non controllabile, il piano attestato rischia di essere inadeguato, perché basta un “franco tiratore” per comprometterlo. Inoltre, il piano attestato non consente di imporre sacrifici ai creditori non consensienti: chi non sottoscrive continuerà a poter pretendere l’integrale pagamento secondo i termini originari (e potrebbe rifiutare la dilazione). Quindi è uno strumento da valutare se la crisi è moderata e circoscritta.
Iter operativo: L’imprenditore redige innanzitutto un piano industriale e finanziario pluriennale, identificando le cause della crisi e le misure correttive (ristrutturazione del debito, taglio di costi, dismissione di asset non core, eventuale aumento di capitale, ecc.) per riportare l’azienda in equilibrio. Parallelamente, approccia in via riservata i creditori chiave per sondare la loro disponibilità a concordare soluzioni (spesso con l’aiuto di un advisor finanziario). Quando ha raccolto adesioni informali sufficienti, incarica un professionista indipendente (iscritto all’albo dei revisori o degli esperti crisi) di esaminare il piano e redigere la relazione di attestazione. L’attestatore verifica i dati aziendali, le ipotesi del piano e le pattuizioni con i creditori, quindi certifica che il piano è fattibile e che, se attuato, consentirà il risanamento. Il piano e la relazione vengono quindi formalizzati e tenuti a disposizione (non c’è obbligo di deposito pubblico, ma vanno conservati per eventuali controlli successivi). A quel punto il piano può iniziare a essere eseguito: l’azienda implementa le azioni previste (pagamenti concordati, eventuali conferimenti, ecc.). Se tutto va bene, l’impresa esce dalla crisi senza passare dal giudice. Se invece il piano fallisce e l’impresa viene dichiarata insolvente, quantomeno i creditori che avevano partecipato mantengono i benefici ricevuti (es. pagamenti parziali) senza doverli restituire, purché il piano attestato fosse stato redatto con i crismi di legge .
Quando utilizzarlo: Il piano attestato è indicato quando l’impresa ha concrete possibilità di risanamento e la crisi non è troppo profonda, tanto da convincere i principali creditori a cooperare spontaneamente. Spesso viene utilizzato come preludio per ottenere nuova finanza: una banca può accettare di erogare un nuovo credito in esecuzione del piano attestato, sapendo che quel nuovo credito sarebbe prededucibile (privilegiato) in caso di successiva insolvenza e confidando nell’attestazione indipendente come garanzia della serietà del piano . Per contro, se l’insolvenza è ormai conclamata o diffusa (molti creditori già in contenzioso), difficilmente gli stakeholder si fideranno di un piano extra-giudiziale: in tal caso conviene virare su un approccio più strutturato (accordo omologato o concordato preventivo) che offra garanzie collettive. In sintesi, pro del piano attestato: rapidità, riservatezza, flessibilità, niente costi di procedura né stigma pubblico; contro: necessità di consenso pressoché unanime dei creditori rilevanti e assenza di misure protettive.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (spesso abbreviati in ARD) costituiscono un istituto intermedio tra il piano puramente privato e il concordato preventivo. Si tratta di accordi negoziati con i creditori che vengono poi omologati dal Tribunale, acquisendo efficacia vincolante verso tutti (o quasi) i creditori coinvolti. Il CCII li disciplina quale strumento di regolazione concordata: l’imprenditore propone ai creditori un accordo che può assumere le forme più varie (dilazioni di pagamento, falcidia parziale dei crediti, conversione di parte dei crediti in quote di capitale, etc.), ottiene l’adesione formale di una percentuale qualificata di crediti (almeno il 60% in valore dei crediti totali, come regola generale) e poi chiede al Tribunale di omologare tale accordo . Con l’omologazione, l’accordo acquista efficacia giuridica rafforzata: diventa opponibile anche ai creditori aderenti dissenzienti e, in alcuni casi, persino a quelli non aderenti (entro certi limiti). Dunque è un accordo negoziale ma con “benedizione” giudiziale.
Caratteristiche principali: A differenza del piano attestato, qui c’è intervento del tribunale, seppur in misura minore che in un concordato. Il tribunale omologa l’accordo dopo aver verificato il rispetto dei requisiti di legge (percentuali di adesione raggiunte, informazione corretta ai creditori, idoneità dell’accordo a pagare i non aderenti almeno quanto avrebbero in un fallimento, ecc.) . Non c’è voto dei creditori in adunanza come nel concordato, perché i consensi si raccolgono individualmente; tuttavia, l’effetto dell’omologazione è per certi versi analogo a una mini-procedura concorsuale, con la differenza che la soglia è il 60% di consenso anziché maggioranze per classi. Durante le trattative, il debitore può chiedere al tribunale misure protettive, ad esempio la sospensione delle azioni esecutive (simile a quelle del concordato in bianco), per evitare che i creditori precipitino la situazione mentre si formalizza l’accordo. Un professionista attestatore deve redigere una relazione di attestazione sulla capacità dell’accordo di assicurare il pagamento integrale dei creditori estranei nei termini di legge (normalmente 120 giorni dall’omologazione o scadenza originaria) e la convenienza dell’accordo per i creditori aderenti e non .
Vantaggi degli ARD: La soglia di consenso (60%) è inferiore all’unanimità richiesta per un piano attestato: consente quindi di “forzare la mano” ad una minoranza di creditori dissenzienti, purché si abbia una larga maggioranza a favore. Questo è utile quando si hanno molti creditori: se il 70% (per dire) è d’accordo a un piano di rientro e un 30% no, con un accordo di ristrutturazione si può comunque procedere, mentre col piano attestato basterebbe quel 30% per far fallire il tentativo. Inoltre, l’accordo omologato sospende ed esclude le azioni esecutive individuali: tutti i creditori concordatari sono vincolati ai termini dell’accordo, quindi non possono agire al di fuori di esso, il che offre un periodo di stabilità all’azienda per eseguire il piano. Gli atti esecutivi dell’accordo omologato sono anch’essi esenti da revocatoria (come per il piano attestato). L’accordo è uno strumento flessibile: l’imprenditore rimane in carica, non c’è una procedura gestita da organi terzi (commissari) salvo la fase di omologa e eventuale controllo dell’esecuzione. In più, la legge prevede alcune varianti di ARD che abbassano ulteriormente i requisiti in casi specifici: ad esempio, il CCII consente accordi di ristrutturazione “agevolati” con consenso del 30% dei creditori, se si garantisce il pagamento integrale dei creditori estranei entro 120 giorni (essenzialmente un accordo riservato a imprese con liquidità per soddisfare il 70% dissenziente) . Ci sono anche gli accordi ad efficacia estesa (art. 61 CCII), che permettono di estendere gli effetti dell’accordo anche a creditori non aderenti appartenenti a determinate categorie omogenee, ad esempio banche non firmatarie se il 75% delle altre banche ha firmato e l’accordo omologato prevede per le non firmatarie comunque il soddisfacimento minimo di legge . Insomma, l’ordinamento 2023-2025 ha arricchito questo strumento per far sì che con accordi mirati si possano gestire crisi anche complesse senza passare per forza dal voto di tutti i creditori in concordato.
Limiti e considerazioni: Il rovescio della medaglia è che l’accordo di ristrutturazione richiede comunque un ampio consenso: se i creditori sono molto frammentati o non c’è un nocciolo duro disposto a firmare, può essere arduo arrivare al 60% (o anche al 30% nelle varianti). Inoltre, i creditori privilegiati (come banche ipotecarie, Fisco per IVA, dipendenti, ecc.) di norma vanno soddisfatti integralmente, salvo che anch’essi aderiscano accettando una falcidia. L’accordo, diversamente dal concordato, non consente un cram-down cioè un’imposizione forzosa di tagli a creditori privilegiati dissenzienti: se un privilegiato non firma e l’accordo prevede di pagarlo meno del 100%, il tribunale non omologherà. Pertanto, l’ARD è indicato soprattutto quando si vuole ristrutturare prevalentemente debito finanziario (banche) o debiti commerciali non privilegiati, e si prevede di pagare regolarmente i creditori protetti (o si ottiene anche da questi il consenso individuale). Un altro limite: l’accordo omologato, pur vincolando i firmatari e avendo efficacia verso terzi in certi casi, non coinvolge i creditori estranei se non per sospendere temporaneamente le loro azioni esecutive fino a 120 giorni post omologa (devono comunque essere pagati integralmente entro quel termine, altrimenti l’accordo non è efficace verso di loro). Quindi non risolve tutta la crisi se c’è una fetta di creditori che resta fuori (es. alcuni piccoli fornitori non contattati): per quelli, l’azienda dovrà comunque adempiere regolarmente. In sostanza, l’accordo è meno universale di un concordato, ma più flessibile: ideale se c’è accordo con i principali creditori e si può “reggere” il pagamento dei restanti.
Spunti operativi: Nel predisporre un ARD, serve un term sheet con le condizioni offerte ai creditori (es: tutti i chirografari verranno pagati al 60% in 4 anni; banche privilegiateda ipoteca: 80% in 5 anni, con mantenimento garanzia; ecc.). Bisogna poi convincere abbastanza creditori a sottoscrivere l’accordo. Spesso si inizia dalle banche, essendo poche e strutturate, e una volta ottenuto il loro assenso si passa ai fornitori maggiori mostrando che “la banca ha accettato un sacrificio, anche voi dovete farlo se volete evitare il peggio”. Un professionista legale redigerà l’accordo quadro da far firmare, condizionato ovviamente all’omologa. Nel frattempo si prepara la documentazione per il tribunale: ricorso per omologa, relazione attestatore sulla veridicità dei dati aziendali e sull’attuabilità dell’accordo. Dalla presentazione del ricorso, il debitore può chiedere le misure protettive (automatic stay temporaneo) per bloccare eventuali esecuzioni imminenti . L’omologazione avviene in camera di consiglio (non c’è voto) e, se non ci sono opposizioni di creditori dissenzienti o se queste vengono rigettate, il decreto di omologa rende operativo l’accordo. Da lì in poi l’azienda deve eseguire puntualmente i pagamenti secondo il piano. In caso di inadempimento rilevante, l’accordo perde efficacia e ogni creditore può di nuovo agire liberamente (e, probabilmente, porterà l’azienda al fallimento immediato).
Composizione negoziata della crisi d’impresa (CNC)
Introdotta in via d’urgenza nel 2021 e ora disciplinata stabilmente nel Codice della Crisi, la Composizione Negoziata della Crisi è un percorso volontario e confidenziale di emersione anticipata della crisi, caratterizzato dall’assistenza di un esperto indipendente e mirato a facilitare la negoziazione tra l’imprenditore e i creditori al di fuori delle aule giudiziarie. Si tratta di uno strumento innovativo nel panorama italiano, pensato per imprese ancora vitali ma in squilibrio, allo scopo di evitare che la crisi sfoci in insolvenza conclamata.
Accesso e requisiti: Possono accedere alla Composizione Negoziata tutte le imprese, di qualunque dimensione (incluse le piccole sotto-soglia, gli imprenditori agricoli e le start-up innovative), purché si trovino in uno dei seguenti stati: pre-crisi (squilibri patrimoniali o economico-finanziari che rendono probabile l’insorgere della crisi), crisi (probabilità di insolvenza) o anche insolvenza reversibile . In quest’ultimo caso, occorre però che vi siano concrete prospettive di risanamento, altrimenti la CNC non può essere intrapresa (se l’insolvenza è irreversibile, si dovrebbe andare direttamente a liquidazione) . L’imprenditore presenta un’istanza tramite la piattaforma telematica nazionale gestita dalle Camere di Commercio, allegando informazioni economico-patrimoniali, un piano di massima di risanamento e una check-list obbligatoria. Un algoritmo effettua un test pratico indicativo sulla fattibilità (il c.d. “test pratico”); quindi viene nominato dalla Commissione presso la CCIAA un esperto negoziatore indipendente, scelto da un apposito elenco nazionale, con competenze in materia di crisi.
Svolgimento e ruolo dell’esperto: La procedura è volontaria e riservata (non è pubblica né iscritta nel Registro Imprese, salvo richiesta di misure protettive). L’esperto fissa un primo incontro con l’imprenditore entro 15 giorni e, dopo aver analizzato la situazione, guida le trattative con i creditori. Egli ha il compito di facilitare il dialogo, suggerire soluzioni e verificare la fattibilità del risanamento, mantenendo terzietà e imparzialità. Redige verbali periodici sullo stato delle trattative. L’imprenditore durante la CNC mantiene la gestione dell’azienda (no spossessamento), ma deve astenersi da atti gravemente pregiudizievoli per i creditori e seguire le indicazioni di correttezza e buona fede (sono previste sanzioni in caso di atti distorsivi, ad es. pagamenti non autorizzati fuori dall’ordinario). L’esperto, dal canto suo, può convocare le parti (creditori, banche, Fisco, ecc.) proponendo ipotesi di accordo, ma non ha poteri autoritativi: sta alle parti trovare un’intesa. La durata della composizione negoziata è di norma 6 mesi, prorogabili fino a 12 su accordo delle parti o in caso di piano pendente.
Misure protettive e agevolazioni: L’imprenditore, sin dal momento della presentazione dell’istanza o anche successivamente, può chiedere al Tribunale l’applicazione di misure protettive del patrimonio, in particolare la sospensione o il divieto di iniziare azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori (una sorta di stay simile a quello del concordato preventivo) . Il tribunale concede tali misure con decreto se ritiene che non vi sia pregiudizio per i creditori e che la prosecuzione delle trattative sia utile; le misure durano inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili. Durante la CNC, inoltre, la legge prevede alcune agevolazioni: ad esempio la possibilità di ottenere finanziamenti prededucibili (nuova finanza che, se l’azienda poi fallisce, viene rimborsata con priorità) previa attestazione dell’esperto; la sospensione su istanza dell’imprenditore di eventuali istanze di fallimento presentate dai creditori; la non configurabilità del reato di bancarotta semplice per le operazioni compiute in coerenza con l’andamento delle trattative (si evita che l’imprenditore, per timore di responsabilità, non tenti neppure la via negoziale). Inoltre, come visto, dal 2024 nel contesto della CNC l’imprenditore può proporre un accordo transattivo con il Fisco per dilazionare/ridurre i debiti tributari, sottoponendolo al giudice per approvazione – un’innovazione importante per coinvolgere anche l’Erario nelle soluzioni, superando il precedente limite della trattativa “informale”.
Esiti possibili: La Composizione Negoziata è un contenitore flessibile che può avere diversi sbocchi, a seconda di ciò che le parti riescono a concordare. In particolare, può concludersi con: – Un accordo stragiudiziale con alcuni o tutti i creditori, formalizzato in scritture private (ad esempio accordi bilaterali di dilazione, saldo e stralcio, convenzioni di moratoria). L’esperto certifica che le trattative si sono concluse con un’intesa soddisfacente e la procedura finisce lì, senza pubblicità esterna. – Un contratto o piano “di risanamento” ad hoc, che può essere asseverato e pubblicato su richiesta, ad esempio un piano attestato di risanamento siglato durante le trattative (la CNC può fungere anche da fase preparatoria di un piano attestato). – Un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato: se i creditori raggiungono un accordo con le maggioranze di legge (60% o 30% ecc.), l’imprenditore può decidere di “cristallizzarlo” in un ARD da sottoporre al tribunale per l’omologa. In tal caso la CNC si chiude e subentra la procedura di omologazione. – Un concordato preventivo: se emerge che serve coinvolgere tutti i creditori in modo vincolante, l’imprenditore può, anche durante la CNC, presentare domanda di concordato (ad esempio un concordato in continuità se c’è un piano industriale, o liquidatorio se si punta a cedere l’azienda). La presentazione della domanda di concordato preventivo pone fine alla CNC e apre la procedura concorsuale, ma tutto il lavoro fatto nelle trattative non è vano – spesso serve per predisporre il piano da sottoporre al voto. – La richiesta di accesso ad amministrazione straordinaria: per grandi imprese in crisi (raramente il caso di una bulloneria, a meno sia un colosso), la CNC potrebbe preludere a soluzioni come l’amministrazione straordinaria, se ne ricorrono i presupposti. – La rinuncia o il fallimento concordato: se le trattative non portano a nulla (creditori inconciliabili, situazione peggiore del previsto), l’imprenditore può sempre rinunciare e magari autodenunciarsi insolvente chiedendo un concordato liquidatorio o il fallimento in proprio, in modo ordinato.
Una peculiarità della CNC è la possibilità, se la negoziazione fallisce senza colpa del debitore, di accedere a un Concordato “semplificato” per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) . Questo concordato speciale – senza voto dei creditori – può essere richiesto dall’imprenditore entro 60 giorni dalla relazione finale dell’esperto che attesta l’impossibilità di trovare un accordo, e consiste in un piano di liquidazione dei beni con distribuzione del ricavato ai creditori . È una procedura “di ripiego” per chi ha tentato onestamente la CNC ma non ha trovato soluzioni: i creditori non votano, il tribunale omologa valutando solo che ricevano non meno di quanto otterrebbero dal fallimento. Si liquida tutto in modo ordinato e l’imprenditore evita le lungaggini e i costi di un fallimento tradizionale. Questo strumento è riservato all’esito negativo della composizione negoziata ed è solo liquidatorio (non prevede continuità) .
Vantaggi e limiti della CNC: La composizione negoziata rappresenta un cambio di paradigma perché punta su prevenzione e riservatezza. Vantaggi: si attiva facilmente (istanza online), non stigmatizza l’azienda (non c’è pubblicità iniziale), permette di sondare soluzioni creative con i creditori con l’aiuto di un professionista terzo, e se l’azienda è meritevole e recuperabile si può trovare un accordo rapido evitando la procedura concorsuale. Inoltre, il quadro normativo offre protezioni (stay) senza però la rigidità di un concordato: ad esempio, è più semplice ottenere autorizzazione per finanziamenti urgenti. I costi della CNC sono anche inferiori a un concordato (l’esperto ha diritto a un compenso definito per legge relativamente contenuto, e non ci sono spese di procedura concorsuale). Ci sono tuttavia limiti: la CNC non garantisce il successo – dipende dalla buona volontà dei creditori. Se uno o più creditori chiave si rifiutano di trattare, l’esperto non può costringerli. Inoltre, alcuni creditori potrebbero temere che l’adesione ad accordi in CNC li esponga ad azioni di responsabilità (in verità le norme cercano di evitare questo, ma la diffidenza può esserci). La CNC richiede anche che l’imprenditore sia trasparente e collaborativo: l’esperto può abbandonare se il debitore nasconde informazioni o non segue le regole. Infine, una criticità emersa è che la CNC in sé non risolve situazioni di insolvenza profonda dove servirebbe eliminare coattivamente gran parte del debito: in questi casi, è solo un passaggio propedeutico verso un concordato o un accordo formale. Non a caso, pochi grandi accordi sono stati chiusi in CNC senza omologa; spesso si trasforma in qualcos’altro (accordo, concordato).
In ogni caso, l’aver tentato la composizione negoziata è visto di buon occhio anche dalla giurisprudenza: dimostra che l’imprenditore ha agito diligentemente per trovare soluzioni, e questo può rilevare anche ai fini di eventuali valutazioni di responsabilità (evitando ad esempio l’accusa di aver aggravato il dissesto con inerzia). Insomma, per un’azienda di bulloneria indebitata, la CNC è uno strumento relativamente nuovo ma che vale la pena considerare, specie se l’impresa ha ancora ordini e mercato e la crisi è dovuta a un eccesso di debiti pregressi ristrutturabili.
Strumenti giudiziali di regolazione della crisi
Se i tentativi stragiudiziali non bastano, oppure se la situazione è troppo grave per essere risolta su base puramente consensuale privata, si deve fare ricorso agli strumenti giudiziali di regolazione della crisi d’impresa. Questi strumenti prevedono l’intervento attivo dell’autorità giudiziaria e producono effetti nei confronti di tutti i creditori, anche dissenzienti, ma richiedono il rispetto rigoroso di procedure e maggioranze previste per legge. In sostanza, si “istituzionalizza” la crisi sotto il controllo del Tribunale. Vediamo quali sono e come funzionano:
Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII)
Il concordato preventivo è la procedura concorsuale per eccellenza finalizzata al risanamento o alla liquidazione concordata dell’impresa. Si tratta, nella sostanza, di un accordo tra il debitore e la generalità dei creditori, raggiunto però attraverso una procedura formale davanti al tribunale e con il voto dei creditori stessi . A differenza degli accordi di ristrutturazione (dove i creditori aderiscono individualmente), nel concordato i creditori vengono suddivisi in classi e chiamati a votare un piano proposto dall’imprenditore, sotto la supervisione di un Commissario Giudiziale nominato dal tribunale.
Tipologie di concordato: Il concordato può essere di due tipi: – Concordato in continuità aziendale, quando prevede che l’attività dell’azienda prosegua (direttamente dal debitore o tramite un affittuario/acquirente) e il piano di pagamento dei creditori sia alimentato dai proventi futuri della gestione. Questo tipo di concordato è orientato al risanamento e alla conservazione dei posti di lavoro e del valore aziendale. – Concordato liquidatorio, quando invece prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione del patrimonio (vendita dei beni, incasso dei crediti, ecc.) per distribuire il ricavato ai creditori. È una forma di liquidazione controllata, dove però è il debitore a proporre come liquidare e come suddividere, eventualmente coinvolgendo terzi (es. offerte di acquisto dell’azienda).
La legge oggi incentiva la continuità: un concordato solo liquidatorio è ammesso ma con condizioni più rigide, tra cui l’obbligo di garantire un pagamento minimo del 20% ai creditori chirografari (non privilegiati) . Se il debitore non è in grado di offrire almeno tale percentuale, il tribunale normalmente non ammette il concordato liquidatorio, preferendo la liquidazione giudiziale (ciò per evitare concordati meramente dilatori) . Nel concordato in continuità, invece, non c’è una percentuale minima di legge, ma va dimostrato che i creditori riceveranno almeno quanto otterrebbero dallo scenario liquidatorio alternativo.
Fasi della procedura: Il concordato si avvia con il deposito di una domanda presso il Tribunale competente. La domanda può essere “con piano e proposta definiti” oppure in versione “con riserva” (il cosiddetto concordato in bianco, ex art. 44 CCII) quando l’imprenditore chiede l’ammissione e ottiene un termine (da 60 a 180 giorni) per presentare il piano definitivo. La prassi per molte aziende indebitate è proprio presentare un concordato con riserva per ottenere subito la protezione del tribunale (lo stay delle azioni esecutive e sospensione degli interessi) e guadagnare tempo per affinare la proposta con l’aiuto di un commissario nominato. Una volta depositato il piano dettagliato (che include la descrizione dell’impresa, le cause della crisi, l’analisi di quanto ricaverebbero i creditori in fallimento e il dettaglio di come verranno trattati nel concordato) e la proposta (che indica le percentuali, tempi e garanzie di pagamento per ciascuna classe di creditori), il Tribunale valuta l’ammissibilità giuridica e, se tutto è regolare, ammette la società alla procedura di concordato. Viene nominato un Commissario Giudiziale (solitamente un commercialista) che ha funzione di vigilanza e di informazione ai creditori. Si convoca quindi l’adunanza dei creditori: i creditori votano (personalmente o per delega) la proposta concordataria. Per l’approvazione serve il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto, calcolata sia in percentuale di valore che per teste (nel CCII conta principalmente la percentuale in valore, con correttivi per classi). Se vi sono classi di creditori, la maggioranza si calcola dentro ciascuna classe e occorre che la maggioranza delle classi approvi (almeno la metà + una). Dopo l’eventuale approvazione (se non viene approvato, si apre la strada al fallimento salvo rarissime eccezioni di cram-down giudiziale se alcune classi hanno detto sì e altre no, possibile solo con certe condizioni), il Tribunale procede all’omologazione: verifica legale finale, esame delle eventuali opposizioni di creditori dissenzienti (che possono contestare la convenienza del piano per loro), quindi emette decreto di omologa rendendo il concordato vincolante per tutti i creditori anteriori. Da quel momento, il debitore (sotto la vigilanza di un liquidatore o del commissario se previsto) deve eseguire il piano nei tempi stabiliti.
Effetti: La presentazione di una domanda di concordato produce immediatamente l’effetto di sospendere le azioni esecutive dei creditori e impedire nuovi pignoramenti . Questo “blocco” tutela l’azienda dal frazionamento del patrimonio e vale fino all’omologa (se il concordato va a buon fine) o fino alla chiusura anticipata della procedura. Durante il concordato, l’impresa può continuare ad operare, ma gli atti di straordinaria amministrazione richiedono autorizzazione del giudice (per evitare che l’imprenditore compia atti lesivi). I contratti aziendali possono continuare o essere sciolti/cessati con autorizzazione se non sostenibili. I creditori anteriori perdono diritto di procedere individualmente e vedranno soddisfatti i loro crediti secondo quanto previsto in concordato (eventualmente subendo decurtazioni e dilazioni). I crediti sorti durante la procedura (cosiddetti prededucibili) vengono invece pagati regolarmente e hanno precedenza (per consentire all’azienda di approvvigionarsi e pagare le spese correnti). Se il concordato è in continuità, esistono regole per assicurare la regolarità fiscale e contributiva durante la procedura (incentivando a pagare la corrente) e la possibilità di usufruire di contratti pubblici e privati senza esclusione (la legge prevede che l’ammissione al concordato in continuità non esclude l’impresa dagli appalti, se c’è attestazione che l’esecuzione del contratto è funzionale al piano).
Vantaggi: Il concordato preventivo è spesso l’unico modo per superare completamente uno stato di sovraindebitamento grave salvando l’azienda o parte di essa. I vantaggi includono la possibilità di imporre tagli e dilazioni a tutti i creditori, anche dissenzienti, quindi azzerare il debito pregresso residuo una volta eseguito il piano (il concordato omologato ha efficacia esdebitatoria per la società, che verrà liberata dai debiti anteriori salvo quelli soddisfatti in parte, che restano per la parte eccedente ma come obbligazioni naturali non più azionabili). In un concordato in continuità, l’impresa può ristrutturarsi e proseguire l’attività sgravata da una parte del debito, con i creditori soddisfatti in misura maggiore che in caso di fallimento (si presume). Anche in un concordato liquidatorio, ci sono vantaggi rispetto alla liquidazione giudiziale: il debitore può scegliere tempi e modalità delle vendite (ad esempio optare per una vendita unitaria dell’azienda a un prezzo concordato con un investitore, anziché lasciare che vada all’asta in pezzi) ; inoltre può far intervenire nuovi investitori che apportino denaro (le cosiddette “risorse esterne”), cosa che in fallimento puro sarebbe meno probabile – questi apporti esterni possono elevare la percentuale per i chirografari e rendere ammissibile un concordato liquidatorio con meno del 20%, in quanto la legge consente di abbassare la soglia minima se c’è almeno il 10% di risorse esterne che incrementano l’attivo . Un altro vantaggio: gli amministratori spesso rimangono alla guida durante la continuità, a differenza del fallimento dove perdono il controllo immediatamente; questo consente di preservare know-how e rapporti, pur sotto vigilanza del commissario. Per i creditori, se il piano è serio, conviene perché ottengono di più di quanto vedrebbero dal fallimento e in tempi più brevi e certi.
Svantaggi e rischi: Il concordato è una procedura complessa e costosa. Richiede il pagamento di spese di procedura, compensi ai professionisti (commissario, attestatore, legali) e vincola l’azienda a una gestione sotto supervisione che può essere onerosa. Se il piano concordatario non viene poi rispettato, si rischia la risoluzione del concordato e il precipitare in liquidazione giudiziale, con danno ulteriore di tempo e costi. Inoltre, l’iter di voto e omologa può durare molti mesi, durante i quali l’incertezza può pesare su clienti e fornitori (spesso in concordato la reputazione soffre, e serve l’assenso del tribunale per pagare i fornitori essenziali e farseli mantenere operativi). Anche per questo motivo si cerca di utilizzare il concordato in continuità con piani credibili – se l’azienda è destinata comunque a non farcela, è preferibile non avviare un concordato destinato al fallimento ma procedere direttamente a liquidazione.
In conclusione, il concordato è lo strumento risolutivo per eccellenza quando serve un intervento globale e autoritativo sulla crisi: per un’azienda di bulloneria indebitata che voglia provare a rimanere in attività, il concordato in continuità può offrire la protezione e il taglio del debito necessari a ripartire (ad esempio convertendo parte dei debiti in quote societarie ai creditori, oppure pagando chirografari al, diciamo, 30% in 5 anni e riprendendo fiato). Se invece non ci sono speranze di salvare l’impresa come going concern, il concordato liquidatorio permette comunque di chiudere la storia aziendale in modo ordinato, vendendo il possibile e distribuendo ai creditori quel (poco) che si ricava con il loro consenso, evitando il fallimento giudiziale d’ufficio. Da notare che per le piccolissime imprese non fallibili (imprese minori), esiste una variante semplificata chiamata concordato “minore”, disciplinato dalle norme sul sovraindebitamento: è analogo al concordato preventivo ma accessibile a debitori che non superano certe soglie dimensionali (attivo ≤ €300k, debiti ≤ €500k, ecc.) – in questa sede, tuttavia, presumiamo che un’azienda industriale di bulloneria rientri nei parametri di fallibilità ordinaria (superando almeno uno di questi criteri).
Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio
Come accennato, il concordato semplificato (art. 25-sexies CCII) è una particolare procedura riservata ai casi in cui una Composizione Negoziata non abbia prodotto soluzioni . In tale situazione, l’imprenditore entro 60 giorni dalla conclusione infruttuosa delle trattative può proporre un concordato “semplificato” consistente nella cessione o liquidazione di tutti i beni ai creditori, secondo un piano di liquidazione e riparto allegato. La caratteristica fondamentale è che in questo concordato non si prevede il voto dei creditori: essi possono presentare osservazioni e il tribunale li ascolta in udienza, ma non c’è una votazione. Il Tribunale valuta la fattibilità del piano e soprattutto che la proposta assicuri ai creditori un soddisfacimento non inferiore a quello ricavabile nella liquidazione giudiziale. Se tale condizione è rispettata (e l’esperto indipendente nominato nella CNC attesta la correttezza dei dati e dichiara che le trattative si sono svolte in buona fede ma senza esito), il Tribunale può omologare il concordato semplificato anche senza il consenso dei creditori . Di fatto è un cram-down totale deciso dal giudice, giustificato dal fatto che la fase negoziale è fallita per dissidi tra creditori. Una volta omologato, si procede alla liquidazione dei beni come da piano (eventualmente nominando liquidatori) e al pagamento ai creditori secondo le percentuali indicate. La mancanza di voto rende questo strumento molto rapido e mirato, ma anche per certi versi “drastico”: è riservato infatti solo alla liquidazione, non può prevedere la continuazione dell’attività (se non quel minimo per vendere al meglio l’azienda) . Inoltre, proprio perché salta il voto, la legge è piuttosto severa nel controllo di merito: l’omologa è concessa solo se nessun creditore potrebbe ragionevolmente ottenere di più con un fallimento, quindi i parametri di valutazione dei beni devono essere molto accurati.
Per la nostra azienda di bulloneria, il concordato semplificato potrebbe venire in rilievo se: si è tentata la Composizione Negoziata ma magari qualche creditore ha tenuto una linea intransigente impedendo accordi, l’azienda nel frattempo non ha aggravato il dissesto (ha operato correttamente), però non ci sono condizioni per un concordato classico (manca una maggioranza favorevole, o mancano prospettive di continuità). Allora, invece di subire un fallimento, il debitore può attivare questo concordato lampo: cedere il magazzino, i macchinari, magari l’avviamento a un concorrente interessato, e distribuire pro-quota ai creditori ciò che se ne ricava. Anche se i creditori non saranno contenti, non possono bloccarlo – ma hanno comunque la garanzia che quel che ricevono è almeno pari a quanto avrebbero avuto da un fallimento (dove, ricordiamo, i tempi sarebbero più lunghi e i costi maggiori, quindi spesso la percentuale nel semplificato risulta anche un po’ superiore per risparmio di spese).
In definitiva, il concordato semplificato è uno strumento di chiusura, da utilizzare come ultima spiaggia per evitare la dispersione del patrimonio in un fallimento, quando la via negoziale non ha funzionato. Non salva l’azienda (che viene liquidata), ma può risultare utile per chiudere la vicenda in modo ordinato, rapido e con minor stigma (l’azienda può negoziare la cessione dell’attività a un terzo in un contesto protetto, salvando magari alcune componenti aziendali in continuità presso il cessionario, e i creditori ottengono il possibile senza passare per anni di attesa fallimentare).
Concordato “minore” (procedura di sovraindebitamento per piccoli imprenditori)
Il concordato minore è l’evoluzione della vecchia procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento rivolta ai soggetti non fallibili (piccoli imprenditori sotto soglia, imprenditori agricoli, professionisti, consumatori, start-up innovative, ecc.) . Per certi versi ricalca il concordato preventivo, ma in un ambito semplificato: anch’esso prevede la presentazione di una proposta e di un piano ai creditori, con eventuale voto se i creditori sono più di pochi, e l’omologazione da parte del tribunale. Non entriamo nei dettagli in quanto esula dallo scenario tipico di un’azienda di bulloneria industriale (che di norma supera i limiti dimensionali per essere soggetta alle procedure ordinarie). Basti sapere che, se la nostra impresa fosse invece micro (es. una ditta individuale artigiana o una S.n.c. familiare di dimensioni minime), potrebbe accedere a questo concordato minore, il quale ha regole molto simili (percentuali, maggioranze) ma con la differenza che vi è sempre un organismo di composizione nominato (l’Occ) che aiuta a predisporre il piano e funge da commissario.
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)
La liquidazione giudiziale è l’ultima ratio: è dichiarata dal Tribunale su ricorso di un creditore, del debitore stesso o su iniziativa d’ufficio del PM, quando l’impresa si trova in stato di insolvenza irreversibile . Corrisponde, di fatto, al fallimento del vecchio ordinamento, sebbene con alcune innovazioni terminologiche e procedurali introdotte dal CCII. In liquidazione giudiziale, la gestione dell’impresa passa completamente nelle mani di un curatore nominato dal tribunale, gli amministratori perdono ogni potere, e si procede alla liquidazione di tutti i beni per soddisfare, in ordine di prelazione, i creditori ammessi.
Caratteristiche: La liquidazione giudiziale è una procedura coattiva e collettiva: comporta il blocco immediato delle azioni individuali dei creditori (tutti devono rivolgersi al tribunale fallimentare), la formazione del passivo (ogni creditore presenta domanda di insinuazione e il giudice delegato accerta i crediti e i diritti di prelazione), e la formazione dell’attivo (il curatore inventaria e amministra i beni dell’azienda). L’impresa cessa di esistere come operatore economico autonomo: può al più proseguire temporaneamente l’attività sotto la gestione del curatore se utile per la vendita (esercizio provvisorio), ma in generale l’obiettivo è liquidatorio. Si vendono i beni tramite procedure competitive (aste o trattative competitive autorizzate dal GD), si recuperano i crediti vantati dall’azienda, si sciolgono i contratti pendenti (salvo quelli che conviene mantenere per vendere l’azienda intera). Al termine, si ripartisce il ricavato tra i creditori seguendo l’ordine delle cause di prelazione (prima i creditori prededucibili e privilegiati, eventualmente fino a capienza, poi i chirografari in proporzione). Spesso i creditori chirografari ricevono poco o nulla in questa sede.
Effetti per l’imprenditore e i soci: La sentenza di liquidazione giudiziale viene pubblicata e segna uno spartiacque: gli amministratori devono collaborare col curatore consegnando libri e documenti. I soci di società di capitali non subiscono conseguenze dirette sui loro beni (salvo escussione di eventuali fideiussioni personali, come già discusso). I soci di società di persone, invece, sono dichiarati falliti in estensione (le SNC, ad esempio, portano al fallimento anche di tutti i soci illimitatamente responsabili). L’imprenditore individuale vede liquidato anche il patrimonio personale salvo i beni impignorabili per legge. Dopo la chiusura della procedura, l’imprenditore (persona fisica) può chiedere l’esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti residui non soddisfatti: nel nuovo CCII ciò è concesso in modo quasi automatico al debitore meritevole (non frodatore) una volta che si è messo a disposizione il patrimonio . Per la società, invece, non vi è esdebitazione in quanto la società si estingue con la chiusura del fallimento e i debiti insoddisfatti semplicemente non sono più esigibili (perché non c’è più un soggetto).
Durata e costi: La liquidazione giudiziale può durare vari anni a seconda della complessità (mediamente 5-7 anni per le PMI, ma il CCII punta a ridurli). I creditori ricevono un riparto parziale magari dopo 2-3 anni e il riparto finale alla chiusura. Ci sono costi professionali (curatore, periti, legali) pagati in prededuzione. Spesso ai creditori chirografari non arriva nulla perché il ricavato basta a malapena per privilegiati e spese.
Quando è inevitabile: Se l’azienda di bulloneria non è riuscita in alcun modo a risolvere la crisi – né con accordi privati, né con concordati – e lo stato di insolvenza è conclamato (incapacità persistente di pagare i debiti scaduti), la liquidazione giudiziale è l’epilogo naturale. Può essere richiesta dai creditori stanchi di aspettare o dallo stesso imprenditore quando prende atto dell’impossibilità di risanare. Va detto che il CCII ha introdotto incentivi alla rapida liquidazione: ad esempio la esdebitazione immediata di diritto per il debitore persona fisica onesto, anche se nulla è stato pagato ai creditori, per incoraggiare l’emersione tempestiva dell’insolvenza e dare al fallito una seconda chance. Ciò toglie quell’alone punitivo a vita che il fallimento aveva in passato e lo rende più simile a un “reset”. Dall’altro lato, gli organi fallimentari hanno poteri per perseguire condotte illecite del passato: il curatore può promuovere azioni revocatorie per recuperare pagamenti preferenziali fatti prima del fallimento (pagamenti a fornitori non in termini, atti dispositivi a titolo gratuito, ecc.), può esercitare le azioni di responsabilità contro amministratori e sindaci, e il fallito ex amministratore può subire interdizioni e, in caso di bancarotta fraudolenta, pene detentive.
Impatto su dipendenti e continuità: La liquidazione giudiziale di norma comporta il licenziamento di tutti i dipendenti (che poi potranno insinuarsi per TFR e arretrati e percepire l’indennità di NASpI dallo Stato). Talvolta, però, il curatore può continuare temporaneamente l’attività (esercizio provvisorio) se funzionale a vendere l’azienda come business in funzione: questo può salvare posti di lavoro (l’azienda venduta in blocco può essere acquisita da un concorrente che assorbe i dipendenti) e valorizzare maggiormente l’attivo. Si tratta però di situazioni limitate e che richiedono l’autorizzazione del tribunale, con prospettive concrete di vendita.
In conclusione, la liquidazione giudiziale è ciò che la nostra impresa di bulloneria dovrebbe cercare di evitare con tutti gli strumenti visti prima. Rappresenta il fallimento vero e proprio, con la fine dell’attività e il sacrificio totale del patrimonio ai creditori. L’obiettivo delle procedure di allerta e composizione negoziata è proprio evitare di arrivare a questa fase. Tuttavia, se nonostante gli sforzi la situazione è irrecuperabile, è preferibile non procrastinare: un ricorso tempestivo a liquidazione o un concordato liquidatorio evita ulteriori debiti (ad esempio verso fornitori che continuerebbero a fornire senza essere pagati) e responsabilità per gli amministratori. Paradossalmente, attivare per tempo la procedura liquidatoria consente di gestire meglio la chiusura, vendere i beni a valori più alti, e magari consentire la ripartenza sotto altre forme di ciò che può essere salvato (ad esempio i dipendenti possono costituire una cooperativa e rilevare alcune commesse, ecc.). In sostanza, va visto come l’extrema ratio quando davvero non c’è più nulla da fare sul fronte del risanamento.
Difendersi dalle azioni dei creditori: strumenti specifici
Dal punto di vista pratico, spesso l’imprenditore indebitato si trova a dover reagire a iniziative giudiziali dei creditori mentre sta valutando o implementando le strategie di risanamento. Un decreto ingiuntivo, un pignoramento sui conti, un’istanza di fallimento presentata da un creditore possono precipitare la crisi e vanificare i tentativi di soluzione. È quindi importante conoscere come difendersi tempestivamente da queste azioni, utilizzando gli strumenti giuridici adeguati:
- Opposizione a decreto ingiuntivo: Se un creditore (fornitore, banca, ecc.) ottiene dal giudice un decreto ingiuntivo che ingiunge il pagamento di una somma, l’imprenditore ha tipicamente 40 giorni per proporre opposizione, evitando nel frattempo l’esecuzione provvisoria (salvo che sia stata concessa immediatamente). L’opposizione può basarsi su contestazioni del credito (es. merci contestate, interessi usurari, prescrizione, ecc.) e guadagna tempo prezioso. In molti casi, il debitore resistente può ottenere una transazione col creditore durante il giudizio di opposizione. Va però usata in buona fede: opporsi pretestuosamente senza motivo plausibile può solo aumentare i costi (ma se c’è anche solo un dubbio sul quantum, vale la pena per evitare un titolo esecutivo immediato). Ad esempio, se un fornitore ingiunge €100k, l’azienda potrebbe opporsi eccependo vizi della fornitura per magari €20k: intanto blocca l’ingiunzione e cerca accordo sul rientro.
- Sospensione e conversione delle procedure esecutive: In caso sia già iniziato un pignoramento (mobiliare, immobiliare o presso terzi), il debitore ha alcune opzioni. Può proporre opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi se vi sono vizi procedurali o se il credito non è dovuto, chiedendo al giudice dell’esecuzione una sospensione. Inoltre, l’art. 495 c.p.c. consente di convertire il pignoramento offrendo una somma a garanzia: ad esempio, depositando in tribunale l’importo del debito (anche attraverso un finanziamento esterno) più spese, liberando così i beni pignorati. Questo però richiede liquidità, spesso non disponibile. Una mossa più praticabile, quando si ha un piano di risanamento in corso, è chiedere ai creditori pignoranti di attendere (magari offrendo un pagamento parziale subito per congelare l’azione) oppure utilizzare le misure protettive offerte da concordato o composizione negoziata (vedi punto successivo) per sospendere legalmente le esecuzioni.
- Domanda di concordato “in bianco” per bloccare i pignoramenti: Come visto, se la situazione sta precipitando con esecuzioni multiple, il debitore può sempre presentare una domanda di concordato con riserva (art. 44 CCII) al tribunale. Ciò produce immediatamente il blocco di tutte le azioni esecutive individuali e cautelari da parte dei creditori chirografari e preclude anche nuovi sequestri o ipoteche giudiziali . Ad esempio, se alcuni fornitori hanno avviato pignoramenti e la banca minaccia di escutere pegni, il deposito di una domanda di concordato (completa o in bianco) sospende tutto: i pignoramenti in corso vengono congelati e non si tengono aste, i creditori devono fermarsi. Questo “respiro” può essere utilizzato dal debitore per negoziare con i creditori all’interno della procedura concorsuale (magari convertendo poi il concordato in un accordo di ristrutturazione se trova l’accordo). Attenzione però: il concordato con riserva non può essere usato solo per guadagnare tempo e poi farsi revocare – i giudici vigilano su eventuali abusi. Occorre essere seriamente intenzionati a presentare un piano.
- Richiesta di misure protettive nella Composizione Negoziata: Allo stesso modo, se si è attivata la composizione negoziata, l’imprenditore può ottenere dal tribunale misure protettive (congelamento delle azioni esecutive) per la durata delle trattative . Questo strumento è utile se i creditori hanno iniziato aggressioni ma c’è margine per un accordo stragiudiziale: la protezione giudiziale crea una parentesi in cui condurre le negoziazioni senza la pistola sul collo. Ovviamente va motivata e l’esperto deve supportarne la richiesta dichiarando che le trattative sono in corso e c’è prospettiva di composizione.
- Opposizione o istanza di rigetto dell’istanza di fallimento: Se uno o più creditori (o altri soggetti come il PM) presentano un’istanza di fallimento contro la società, quest’ultima ha diritto di difendersi nel procedimento prefallimentare. In sede di audizione, l’imprenditore può contestare l’esistenza dello stato di insolvenza (ad esempio esibendo prospetti che mostrano che la crisi è temporanea o che sono in corso trattative per la ristrutturazione). Può anche eccepire che l’ammontare complessivo dei debiti è sotto le soglie di non fallibilità (se applicabile) oppure che è già pendente una procedura concorsuale (es. ha depositato domanda di concordato o sta in composizione negoziata, anche se ciò formalmente non impedisce la dichiarazione di fallimento, può indurre il giudice a attendere l’esito). Se l’istanza di fallimento è basata su un credito contestato, l’azienda può pagare quel creditore o raggiungere un accordo stragiudiziale con lui per farlo rinunciare (la soddisfazione del creditore ricorrente estingue la procedura se non vi sono altri istanti). Si può anche, come estremo rimedio, presentare ricorso di auto-fallimento con riserva di concordato: ovvero l’impresa chiede essa stessa la liquidazione giudiziale, ma contestualmente deposita un piano di concordato semplificato o di accordo da omologare. Questa è una tattica a volte usata per prendere l’iniziativa e proporre subito una soluzione ai creditori invece di subire passivamente il fallimento altrui istanza.
- Trattative last-minute e pagamenti mirati: In generale, di fronte a un’azione aggressiva di un creditore, una strategia è tentare pagamenti mirati o accordi transattivi individuali: ad esempio, se un fornitore minaccia istanza di fallimento per €50k, l’imprenditore potrebbe offrirgli un pagamento immediato di una parte (es. 10k) e un piano per il resto a condizione che ritiri l’istanza. Questo va valutato attentamente con l’avvocato, perché certi pagamenti preferenziali a ridosso del fallimento potrebbero poi essere revocati dal curatore (ma se servono a evitare il fallimento e portare a concordato, sono giustificabili). Talora i giudici fallimentari stessi concedono brevi rinvii alle udienze su richiesta del debitore che dimostri di avere trattative promettenti con creditori: in poche parole, mostrare proattività e buona fede nell’intento di saldare o sistemare i debiti può persuadere i creditori o il tribunale a non precipitare la liquidazione.
In sintesi, il debitore ha a disposizione scudi giudiziari (concordato, misure protettive CNC) e difese tecniche (opposizioni, eccezioni, transazioni) per guadagnare tempo e pilotare la crisi verso soluzioni concordate invece che subire passivamente l’azione esecutiva o il fallimento chiesto dai creditori. È fondamentale, però, agire tempestivamente: ogni atto (ingiunzione, pignoramento, istanza di fallimento) ha termini precisi per reagire. L’imprenditore deve mantenere un dialogo costruttivo con i creditori per evitare di arrivare allo scontro in sede giudiziaria; ma se ciò accade, deve usare tutti gli strumenti previsti dalla legge per proteggere l’azienda quel tanto che basta da implementare la strategia di risanamento. La consulenza legale è imprescindibile in queste fasi concitate: muoversi in tribunale senza una strategia ben ponderata può peggiorare la situazione (es. un’opposizione infondata può far perdere credibilità). Con un buon avvocato d’impresa, invece, si può spesso trasformare un’azione ostile di un creditore nell’avvio di un tavolo negoziale, oppure integrare l’azione giudiziaria in un quadro più ampio (ad esempio inserire il creditore procedente in una classe ad hoc di un concordato con garanzie particolari, convincendolo a desistere). In ogni caso, l’obiettivo è evitare la disgregazione del patrimonio e guadagnare tempo utile: ogni mese guadagnato può servire per chiudere una vendita di asset, ottenere un finanziamento ponte, finalizzare un accordo. Tuttavia, il tempo deve essere impiegato fruttuosamente – i giudici non tollerano dilazioni pretestuose.
Tabelle riepilogative
Di seguito presentiamo alcune tabelle di sintesi per confrontare i principali strumenti di gestione della crisi d’impresa e per riassumere il trattamento delle diverse tipologie di debito nell’ambito delle procedure:
Tabella 1 – Confronto tra strumenti di regolazione della crisi
| Strumento | Natura | Coinvolgimento tribunale | Adesione dei creditori | Effetti principali | Destinazione dell’azienda |
|---|---|---|---|---|---|
| Piano attestato di risanamento | Accordo stragiudiziale privato | Nessuno (solo attestatore privato) | Consenso di tutti i creditori rilevanti (nessun vincolo per dissenzienti) | Niente stay automatico; atti esecutivi protetti da revocatoria ; riservato | Impresa resta in bonis; continua attività se piano riesce |
| Accordo di ristrutturazione (ARD) | Accordo omologato (ibrido) | Omologa tribunale (controllo requisiti) | Consenso ≥ 60% crediti (variante 30% se estranei pagati al 100% ); vincola aderenti e poss. estensione ad altri | Stay su richiesta durante iter; vincola tutti gli aderenti (dissenzienti inclusi se omologato); atti esecutivi protetti | Può proseguire attività (se accordo in continuità) o liquidare beni (se accordo prevede dismissioni) |
| Composizione Negoziata (CNC) | Procedura negoziale assistita | No (salvo misure protettive su richiesta) | Volontaria: nessun quorum prestabilito (è piattaforma di trattativa) | Stay su richiesta fino 12 mesi ; nomina esperto facilitatore; accordo finale libero (stragiud. o conversione in concorsuale) | Dipende dall’esito: se accordo, normalmente continuità; se fallisce può sfociare in concordato semplificato (liquidazione) |
| Concordato preventivo | Procedura concorsuale giudiziale | Sì (ammissione, omologa; commissario e GD) | Voto favorevole ≥ 50% crediti votanti (maggioranza per classi se classi) | Stay automatico dal deposito ; vincola tutti i creditori anteriori all’omologa; falcidia crediti secondo cause prelazione con rispetto soglie (20% chirografi in liquidatorio) | In continuità: l’azienda prosegue (direttamente o indirettamente) se omologato; In liquidazione: cessa attività, beni liquidati |
| Concordato semplificato | Procedura concorsuale atipica | Sì (omologa senza voto creditori) | Nessun voto dei creditori (udienza solo osservazioni) | Stay dalla presentazione (come concordato); vincola tutti gli anteriori dopo omologa; liquidazione patrimonio sotto controllo tribunario | Liquidazione del patrimonio; azienda cessata/venduta; no continuità diretta |
| Liquidazione giudiziale (fallimento) | Procedura concorsuale giudiziale | Sì (sentenza dichiarativa; curatore, giud. delegato) | Nessun consenso richiesto (procedura coattiva) | Esecuzione collettiva: stay per legge (creditori devono insinuarsi); spossessamento totale del debitore; possibili azioni revocatorie e di responsabilità | Cessazione attività (salvo esercizio provvisorio per vendita); azienda liquidata pezzo per pezzo o intera se possibile |
Note: Prededuzione significa che i nuovi finanziamenti autorizzati nelle varie procedure saranno rimborsati con priorità in caso d’insolvenza . Nella CNC e nel concordato, l’imprenditore rimane in carica (salvo casi di abuso); nella liquidazione giudiziale no. L’omologazione forzosa (cram-down) su creditori dissenzienti è possibile negli ARD ad efficacia estesa e nel concordato preventivo (in caso di classi dissenzienti, con condizioni di legge), ma è automatica nel concordato semplificato (che ne è un esempio puro) .
Tabella 2 – Tipologie di debito: trattamento e soluzioni
| Tipo di debito | Privilegi/Garanzie | Rischi se inadempimento | Soluzioni difensive e di risanamento |
|---|---|---|---|
| Bancario/Finanziario | Spesso garanzie reali (ipoteche, pegni) e fideiussioni personali. Crediti privilegiati fino a concorrenza valore garanzia. | Revoca fidi e linee di credito; segnalazione a Centrale Rischi ; esecuzione su beni in garanzia; escussione dei garanti (patrimonio personale a rischio) . | Moratorie e standstill con banche; rinegoziazioni (allungamento piani, abbassamento tassi); accordi saldo e stralcio; intervento Fondo garanzia PMI per ristrutturare mutui; in procedura, possibile falcidia del credito chirografo eccedente garanzia (banca come privilegiato parziale); esdebitazione del garante tramite procedure personali . Nuova finanza in prededuzione per rilancio con autorizzazione tribunale. |
| Fiscale (Erario) | Privilegio generale su mobili per IVA e ritenute ; Privilegio speciale su immobili con ipoteca esattoriale; insinuazione in prededuzione per tributi durante concorsuale. | Sanzioni e interessi di mora elevati; iscrizione di fermi amministrativi e ipoteche; azioni esecutive esattoriali (pignoramenti rapidi); possibile denuncia penale per omessi versamenti IVA/ritenute sopra soglia. | Rateizzazione cartelle (72–120 rate); adesione a rottamazioni/sanatorie per abbattere sanzioni ; in pendenza di concorsuale, transazione fiscale nel concordato/ARD (possibile riduzione anche di IVA e ritenute con rispetto best interest test) ; nella CNC, dal 2024, accordo transattivo fiscale con pagamento parziale/dilazionato autorizzato dal giudice ; compensazione crediti fiscali con debiti se disponibili; richiesta di dilazione provvisoria ex art. 182-ter in attesa omologa. Pagare almeno l’IVA corrente per evitare nuovo debito e reati. |
| Previdenziale (INPS) | Privilegio generale su mobili per contributi dipendenti; possibile ruolo esattoriale (ipoteche, fermi analoghi al Fisco). | Sanzioni civili (fino 30% annuo, ridotte in concorsuale); sospensione DURC → esclusione da appalti; azioni esecutive Equitalia; responsabilità penale per omesso versamento contributi previdenziali dipendenti > €10k. | Rateazione contributi con INPS/Agenzia Riscossione; includere transazione contributiva in concordato/ARD (stralcio contributi, ammesso se ≤ quota massa attivo; dal 2021 falcidiabili alla pari di altri privilegi se attestate convenienze) ; pagare prioritariamente quote trattenute ai dipendenti per evitare reato; regolarizzazione DURC magari tramite versamento parziale (ottenere DURC in concordato in continuità possibile se rispettate condizioni). Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime 3 mensilità attivabile in fallimento (mitiga vertenze lavoratori). |
| Fornitori/Commerciali | In genere chirografari (salvo riserva proprietà su beni forniti; art. 2762 c.c. su forniture ultimi 6 mesi – privilegio minore). | Azioni legali diffuse: decreti ingiuntivi e pignoramenti; sospensione consegne (blocco produzione); deterioramento rating fornitore (passaggio a pagamento anticipato); perdita fiducia filiera. In concorsuale, rischio soddisfo parziale o nullo (sono ultimi in graduatoria). | Comunicazione e accordi: negoziare piani di rientro bilaterali, scambi debito/merce, sconti per pagamento immediato; pagare fornitori strategici (critical vendors) anche in pre-concordato con autorizzazione tribunale per mantenere continuità. Eventuale moratoria di categoria (accordi di sospensione pagamenti con gruppo di fornitori). Nel concordato/ARD, offrire percentuale adeguata (≥20% in concordato liquido) per avere voto favorevole; classificare fornitori in classi per trattamenti differenziati se necessario (es. piccoli fornitori al 100% entro 6 mesi, grandi fornitori al 30% in 2 anni, per facilitare approvazione). Considerare cessione azienda a terzo che si accolli fornitori critici (continuità indiretta). Utilizzare factoring pro soluto su crediti attivi per pagare fornitori essenziali. |
| Dipendenti | Privilegio generale su TFR, ultime 5 retribuzioni e indennità sostitutive (artt. 2751-bis c.c.); prededuzione per retribuzioni maturate durante concordato in continuità. | Azioni giudiziarie rapide (ingiunzioni per stipendi); possibile sciopero/abbandono (paralisi attività); crediti comunque privilegiati da soddisfare integralmente salvo incapienza attivo. | Ricerca di accordi sindacali: spostare pagamento arretrati su più mesi; attivare cassa integrazione se crisi temporanea per alleggerire costo lavoro; in concordato, chiedere autorizzazione a pagare arretrati cruciali per trattenere personale chiave (commissario/tribunale autorizzano se funzionale al piano). Attivazione Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime mensilità in caso di procedura liquidatoria (salvaguarda lavoratori e surroga INPS come creditore privilegiato). Offrire incentivi all’esodo concordato (es. pagamento parziale TFR immediato se dipendente rinuncia al resto, con liberatoria – da valutare caso per caso). Nella continuità, includere nel piano le spese per retribuzioni correnti come prededucibili da pagare regolarmente (mantenere clima sociale stabile). |
Domande frequenti (FAQ)
- Domanda: La mia azienda è molto indebitata ma ha ancora ordini e mercato. Come scelgo tra procedura stragiudiziale (accordo privato) e procedura giudiziale (concordato)?
Risposta: In linea di massima, se riesci a ottenere l’adesione di tutti o quasi i creditori principali a un piano di rientro, conviene tentare prima una soluzione stragiudiziale (piano attestato o accordo privato). Ciò ti evita i costi e la pubblicità negativa di una procedura concorsuale e mantiene maggiore flessibilità. Tuttavia, se anche solo uno o pochi creditori chiave si oppongono, oppure se hai necessità di imporre sacrifici a creditori dissenzienti (ad es. tagliare il debito oltre un certo limite che qualcuno non accetterebbe volontariamente), allora serve lo strumento giudiziale. Un accordo di ristrutturazione omologato può essere un buon compromesso: richiede il 60% di consensi, quindi non l’unanimità, e vincola anche gli altri. Se nemmeno quello è percorribile (es. hai troppi piccoli creditori o complessità varie), il concordato preventivo offre la soluzione più ampia (ti permette di ristrutturare anche senza il consenso di intere classi di creditori, purché il piano sia approvato dalle maggioranze richieste e sia equo). In sintesi: prova stragiudiziale se creditori collaborativi; passa a giudiziale se hai creditori ostativi o debiti insostenibili senza taglio forzoso. - Domanda: Ho firmato fideiussioni personali per i debiti bancari della mia S.r.l.: cosa succede a me se la società fa concordato o fallisce?
Risposta: Le procedure concorsuali della società non proteggono i garanti personali (salvo raro caso di estensione ai coobbligati in accordi ad efficacia estesa per banche). Quindi, se la tua S.r.l. entra in concordato preventivo, la banca non può agire contro la società ma può agire contro di te come fideiussore per l’intero importo dovuto (a meno che nel concordato la banca accetti esplicitamente di non escutere le garanzie). Lo stesso vale nel fallimento: la banca, dopo aver ricevuto magari un 10% dal fallimento, può chiederti il restante 90%. Perciò, come garante, devi muoverti su due fronti: (1) cercare, nelle trattative, di liberare o limitare le fideiussioni (ad esempio, proponendo alla banca di escutere un immobile tuo e liberarti del resto); (2) se la situazione degenera, potresti dover accedere alle procedure di sovraindebitamento personali (piano del consumatore o liquidazione controllata personale) per gestire i tuoi debiti conseguenti all’escussione . Nota che se la società ha successo nel concordato e paga integralmente la banca, la tua fideiussione si estingue; se paga parzialmente, rimani obbligato per la parte non pagata (salvo eventuale liberatoria contrattata). Quindi è cruciale coinvolgere i garanti nelle negoziazioni con le banche fin dall’inizio. - Domanda: Che differenza c’è tra la Composizione Negoziata e il Concordato in bianco? Entrambi bloccano le azioni, ma quale dovrei usare?
Risposta: La Composizione Negoziata (CNC) è un percorso di negoziazione fuori dal tribunale: ottieni l’assistenza di un esperto e puoi chiedere misure protettive mirate. Il concordato “in bianco” invece è l’avvio di una procedura concorsuale vera e propria, con iscrizione al Registro Imprese e nomina di un commissario entro breve. Entrambi possono congelare i creditori, ma si usano in contesti diversi: la CNC è più indicata prima che la situazione precipiti troppo, quando credi di poter trovare un accordo (ti permette di restare riservato e flessibile). Il concordato in bianco lo usi quando sei già vicino all’insolvenza conclamata e magari le trattative sono fallite o i creditori sono partiti all’attacco – è un’opzione di emergenza per prendere tempo sotto la protezione formale del tribunale e poi presentare un piano. In pratica: se c’è ancora fiducia dei creditori e chance di accordo bonario, parti dalla CNC; se invece devi assolutamente fermare pignoramenti imminenti e nessun accordo privato è possibile in tempo, vai col concordato “in bianco” (sapendo però che da lì entri in procedura concorsuale, con tutti gli effetti del caso). Nota bene: puoi partire con la CNC e, se vedi che non porta a soluzione e i creditori scalpitano, convertire il percorso presentando un concordato (anche semplificato) – le due cose non sono esclusive, anzi la CNC può preparare il terreno per un eventuale concordato con più dati e consapevolezza. - Domanda: Nel concordato preventivo devo pagare almeno il 20% a tutti i chirografari? E i privilegiati, posso non pagarli interamente?
Risposta: Nel concordato liquidatorio puro, la legge richiede sì il pagamento di almeno il 20% dei crediti chirografari (salvo che apporti risorse esterne tali da giustificare una soddisfazione inferiore, ma comunque non zero). In un concordato in continuità, invece, la soglia del 20% non è obbligatoria: potresti legalmente offrire anche meno, purché dimostri che è comunque superiore a quanto i creditori avrebbero in caso di liquidazione fallimentare (ad esempio 10% contro zero in fallimento). In pratica però offrire troppo poco rischia il voto contrario dei creditori. Riguardo ai privilegiati (garantiti): la regola base è che vanno pagati 100% del loro credito privilegiato (la parte coperta da garanzia o privilegio), a meno che non acconsentano a ricevere meno. Tuttavia, se il valore di realizzo del bene su cui hanno privilegio è inferiore al credito, la parte eccedente è declassata a chirografo e quindi falcidiabile come gli altri chirografi. Ad esempio, banca con mutuo €500k garantito da ipoteca su immobile che si stima valere €300k: la banca ha €300k privilegiati (da pagare interamente, magari dilazionati) e €200k chirografari che puoi trattare come gli altri (es. pagarne il 20%). Vi sono casi particolari: nel concordato in continuità puoi proporre una moratoria fino a 2 anni sul pagamento dei soli creditori privilegiati (cioè pagarli a 2 anni dall’omologa) senza doverli falcidiare. Inoltre il Fisco e l’INPS possono essere falcidiati (ora anche su IVA e contributi) purché il piano mostri che prendono almeno l’equivalente del ricavato in caso di fallimento . Riassumendo: privilegio “coperto” → va soddisfatto interamente (salvo consenso), chirografo e parte scoperta → minimo 20% se concordato liquidatorio, libero se concordato in continuità (ma realisticamente raramente sotto 10-15% viene approvato, e comunque devi superare il test di convenienza rispetto al fallimento). - Domanda: La procedura di liquidazione giudiziale (fallimento) cancella tutti i debiti della società? E i debiti personali dei soci?
Risposta: Alla chiusura della liquidazione giudiziale, la società si estingue e i debiti non soddisfatti rimangono senza un soggetto da perseguire – di fatto vengono cancellati con l’uscita di scena della società. Non c’è un’“esdebitazione” formale per le società (concetto che si applica alle persone), semplicemente la società cessando di esistere chiude ogni rapporto obbligatorio. I soci di una società di capitali non rispondono dei debiti sociali (salvo abbiano garanzie personali, come già detto), per cui per loro quei debiti sono “cancellati” assieme alla società, tranne per le parti coperte da eventuali fideiussioni: quelle dovranno pagarle se la società non l’ha fatto, a meno che ottengano a loro volta un’esdebitazione personale. I soci di società di persone invece erano responsabili illimitatamente in solido, quindi il loro fallimento personale (in estensione) li libera dai debiti residui solo se beneficiano anche loro dell’esdebitazione. Il nuovo Codice prevede che il fallito persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile) abbia diritto all’esdebitazione di diritto quasi automatica decorsi 3 anni dalla chiusura, purché abbia cooperato e non ci siano stati illeciti . In alcuni casi addirittura può ottenerla subito alla chiusura (esdebitazione “di diritto” introdotta dal CCII). Quindi, sì, in generale dopo un fallimento ben condotto, né la società (che muore) né l’imprenditore onesto persona fisica devono pagare ulteriormente i debiti rimasti. Diverso è per eventuali coobbligati estranei alla procedura: es. un socio garante che non è stato dichiarato fallito perché la società era di capitali – i creditori possono agire contro di lui per la parte non recuperata sul fallimento sociale. Lui dovrà eventualmente fare un percorso di sovraindebitamento personale per liberarsene. Quindi attenzione: la cancellazione dei debiti funziona pienamente solo per la società fallita e per il fallito persona fisica esdebitato; per i garanti non falliti, i debiti rimangono esigibili. - Domanda: Se accedo alla Composizione Negoziata della crisi, rischio poi che mi vengano tolti i poteri o dichiarato fallito d’ufficio?
Risposta: La Composizione Negoziata è volontaria e confidenziale: non comporta né la nomina di un amministratore esterno né la segnalazione automatica al tribunale (tranne che tu chieda misure protettive). Durante la CNC, tu resti al comando della tua azienda; l’esperto ti affianca ma non ha poteri sostitutivi. Non c’è alcun automatismo che porta al fallimento: se le trattative non riescono, sarai tu a decidere il da farsi (potrai rinunciare e tornare “in bonis”, oppure optare per un concordato, o se proprio la situazione lo impone presentare tu stesso istanza di liquidazione). Anzi, la legge incoraggia l’imprenditore ad attivare la CNC senza timore, proprio per anticipare la crisi senza l’onta del fallimento. Certo, devi comportarti correttamente: se dovessi sfruttare la CNC per perdere tempo e nel frattempo “alleggerire” il patrimonio, l’esperto potrebbe interrompere la procedura e, in teoria, segnalare eventuali irregolarità gravi (in casi del tutto eccezionali, il tribunale potrebbe essere investito se ci sono abusi evidenti). Ma per un imprenditore onesto, la CNC è uno spazio protetto e privo di sanzioni: non è un reato chiedere la CNC, né può essere usata come presupposto di fallimento. Dunque, non devi temere che avviare la CNC equivalga a dichiarare fallimento – al contrario, è un segnale che stai cercando di evitare il fallimento usando gli strumenti oggi previsti. - Domanda: Quali sono gli ultimi sviluppi normativi di cui tenere conto nel 2024-2025?
Risposta: Negli ultimi anni la disciplina è stata in fermento. Riassumendo le novità più recenti: (1) dal luglio 2022 è entrato in vigore il Codice della Crisi che ha sostituito la vecchia legge fallimentare, introducendo tra l’altro la composizione negoziata, il concordato semplificato, il concordato minore e il PRO (piano di ristrutturazione omologato); (2) a fine 2022 e nel 2023-2024 ci sono stati decreti correttivi (in particolare D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 169/2023, nonché D.Lgs. 136/2024) che hanno recepito la direttiva UE 2019/1023 migliorando alcuni strumenti: ad esempio è stato formalizzato il PRO – Piano di Ristrutturazione Soggetto a Omologazione – che consente di ottenere un’omologazione di un piano anche senza il 60% di adesioni se si rispettano certe maggioranze per classi ; sono stati previsti gli accordi agevolati al 30% e gli accordi ad efficacia estesa (per coinvolgere anche il Fisco e l’INPS se rifiutano irragionevolmente, con parere del giudice). (3) Sul fronte fiscale, la Legge di delega 120/2025 annuncia ulteriori estensioni: ad esempio, includere anche i tributi locali (IMU, tasse regionali) nella possibilità di transazione dentro le procedure , perché ora come ora quelli rimangono fuori e creano problemi nei risanamenti. (4) Da settembre 2024 è attiva la norma (D.Lgs. 136/2024) che integra la transazione fiscale nella composizione negoziata – di cui abbiamo parlato – colmando una lacuna e dando più potere contrattuale all’imprenditore in CNC . (5) Sempre nel 2023-24 la giurisprudenza ha iniziato a produrre orientamenti sulle nuove norme: ad esempio, Cassazione 2024 ha confermato interpretazioni su art. 2486 c.c. (danno da prosecuzione abusiva) , ha definito quando si può considerare realizzata una società di fatto ai fini di estensione del fallimento , e altre pronunce di merito hanno applicato per la prima volta il cram-down nelle transazioni fiscali (i tribunali hanno omologato concordati nonostante il voto contrario del Fisco se la proposta era più conveniente del fallimento, come consentito dalla legge). Quindi è importante, se sei in questa situazione, farti aggiornare costantemente dal tuo legale sulle ultime norme e sentenze: la materia è in evoluzione e ciò che non era possibile ieri magari oggi si può fare (si pensi solo alla falcidia dell’IVA, tabu fino a pochi anni fa, ora consentita) . Questa guida incorpora le novità fino a ottobre 2025, ma le riforme proseguono: mantenere un dialogo con consulenti specializzati è fondamentale per sfruttare ogni nuova opportunità normativa a tuo vantaggio.
Esempi pratici e casi simulati
Per comprendere meglio come applicare questi strumenti alla realtà di un’azienda di bulloneria e viteria indebitata, consideriamo due casi ipotetici basati su esperienze reali semplificate:
Caso 1: Ristrutturazione con continuità aziendale tramite concordato in continuità
La Bulloni & Co. S.r.l. ha debiti bancari per 1 milione (ipoteca su capannone dal valore dimezzato, e garanzie personali dei soci per metà dei fidi), debiti verso fornitori per 800 mila euro, e 200 mila verso Fisco/INPS. L’azienda è in crisi di liquidità ma ha un portafoglio ordini solido e una tecnologia apprezzata. I soci vogliono salvare l’impresa. Dopo aver tentato informalmente di dilazionare i fornitori (ricevendo adesione solo parziale) e constatato che una banca non intende prorogare un mutuo in scadenza, la società opta per un concordato preventivo in continuità. Presenta un piano che prevede: conferimento di 300 mila euro di nuova finanza dai soci (prededotta e destinata ai creditori), mantenimento dell’ipoteca bancaria con pagamento integrale del debito garantito (500k) in 5 anni, falcidia del restante debito bancario chirografo (al 30%); pagamento dei fornitori chirografari al 40% in 4 anni (grazie anche ai nuovi fondi); pagamento del debito fiscale al 50% in 2 anni (con falcidia di sanzioni e interessi) e integrale dei contributi INPS (grazie alla liquidazione di un magazzino non strategico). Il piano mostra che, vendendo il capannone e liquidando tutto in fallimento, i chirografari avrebbero preso meno del 5%, mentre col concordato prendono il 40%. I fornitori votano a favore (preferiscono il 40% dilazionato alla prospettiva fallimentare), la banca vota sì perché mantiene ipoteca e vede i soci impegnati, l’Erario per legge non ha voto ma il piano rispetta il test di convenienza. Il concordato viene omologato. L’azienda prosegue l’attività, sotto controllo del commissario ma con gli amministratori in carica, e nei due anni successivi – complice la congiuntura positiva – riesce a rispettare gli incassi previsti, pagando puntualmente le rate concordatarie. I soci, pur avendo perso liquidità personale per i 300k conferiti (che sono stati usati in gran parte per i fornitori), salvano la loro fonte di reddito e le garanzie personali non vengono escusse (poiché il piano prevede comunque pagamento di buona parte dei debiti garantiti). A fine piano, la società è esdebitata: libera dai debiti residui falcidiati, con la banca soddisfatta e ancora partner finanziario, con una reputazione recuperata (nel settore è vista come un’azienda che ha superato un concordato con successo). Questo scenario illustra come, in presenza di un business sano ma appesantito da debiti, il concordato in continuità possa offrire un quadro win-win: i creditori ottengono più di quanto avrebbero incassato altrimenti, e l’impresa continua la sua attività, salvando anche i posti di lavoro.
Caso 2: Composizione negoziata e concordato semplificato per liquidazione
La Viti Italiane S.p.A. ha accumulato 5 milioni di debiti, di cui 2 con banche (ormai in sofferenza), 1 con fornitori (molti dei quali hanno interrotto le forniture), 1 con l’Erario (IVA e tasse varie, parte già a ruolo) e 1 verso altri (leasing, mutui immobiliari). Purtroppo il mercato è in calo e l’impianto produttivo è obsoleto. Gli amministratori capiscono che l’azienda difficilmente può risanarsi come going concern, ma c’è la possibilità di vendere i capannoni e i macchinari a un competitor estero interessato a entrare sul mercato italiano. Per massimizzare il valore, decidono di attivare la Composizione Negoziata: l’esperto li aiuta a gestire la fase interlocutoria, mentre negoziano la cessione dell’intero complesso aziendale (macchinari + marchio + liste clienti) per 3 milioni a fronte di un contratto preliminare con il competitor, condizionato a liberarsi del personale (purtroppo il compratore non vuole farsi carico di dipendenti). I creditori finanziari e alcuni fornitori principali sono interpellati e sarebbero d’accordo a prendere i proventi della vendita pro-quota, ma l’Erario e l’INPS (che insieme vantano 1.3 milioni di crediti privilegiati) non accettano stralci significativi (chiederebbero quasi l’intero, il che renderebbe impossibile qualunque soddisfo per gli altri). Le trattative arrivano a uno stallo: i privati accetterebbero 30% delle loro spettanze pur di incassare subito dalla vendita, ma il Fisco vorrebbe almeno l’80% del suo credito (che è circa metà dell’attivo). L’esperto certifica l’impossibilità di trovare una soluzione condivisa. A questo punto, l’azienda opta per il concordato semplificato previsto dalla legge: deposita in tribunale, entro 60 giorni, una proposta di concordato per cessione dei beni, allegando il piano di liquidazione (la vendita concordata al competitor per 3 milioni) e la ripartizione: prevede di distribuire il ricavato in base alle cause di prelazione – di fatto, i creditori ipotecari (banche) prendono magari 60% del loro credito, il Fisco/INPS un 50%, e i chirografari attorno al 15%. Nessun creditore vota: il tribunale indice un’udienza, alcuni creditori (Erario) fanno presente che preferirebbero gestione diversa, ma il giudice verifica la relazione dell’esperto e la convenienza: in un fallimento, stante i costi e la dispersione, i privilegiati avrebbero preso forse il 40% e i chirografari quasi zero. Quindi il concordato semplificato viene omologato d’ufficio. Si procede a vendere rapidamente l’azienda al competitor al prezzo pattuito (che era buono rispetto al mercato). I dipendenti sono licenziati ma ricevono TFR e stipendi arretrati dal Fondo di Garanzia. La società viene poi liquidata. I creditori sono insoddisfatti per non essere stati pagati integralmente, ma oggettivamente hanno ottenuto il massimo possibile date le circostanze. Soprattutto, la vendita unitaria dell’azienda ha fruttato un prezzo maggiore di quello di un’asta spezzettata – ad esempio, il competitor voleva la continuità del marchio e ha pagato bene, mentre in fallimento il marchio e i macchinari venduti separati sarebbero valsi meno. Questo caso mostra come, in una situazione dove non c’è continuità possibile, la procedura post CNC del concordato semplificato possa consentire una liquidazione ordinata e relativamente celere, senza dover attendere i tempi di un fallimento e senza subire le intransigenze di alcuni creditori. Naturalmente, i sacrifici per i creditori ci sono, ma erano inevitabili: l’importante è che la distribuzione sia stata comunque equa e verificata dal giudice.
Questi esempi semplificati evidenziano due scenari opposti: nel primo la procedura concorsuale ha aiutato a salvare l’azienda riducendo il debito; nel secondo ha permesso di liquidare al meglio evitando il tracollo disordinato. Nella realtà, ogni situazione avrà le sue peculiarità, ma le logiche illustrate (trattativa con creditori vs intervento del tribunale, continuità vs liquidazione) sono applicabili in generale.
Fonti e riferimenti
- Codice Civile, art. 2086 comma 2 – Dovere dell’imprenditore di istituire assetti adeguati e di attivarsi senza indugio per adottare strumenti di superamento della crisi . (Introdotto dall’art. 375 D.Lgs. 14/2019).
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (in vigore dal 15 luglio 2022) e successive modifiche. Disposizioni rilevanti: artt. 56 (Piani attestati ), 57-64 (Accordi di ristrutturazione dei debiti ), 61 (Accordi ad efficacia estesa ), 23 (Composizione negoziata – accordo fiscale, co. 2-bis introdotto da D.Lgs. 136/2024 ), 25-sexies (Concordato semplificato per la liquidazione, introdotto dal D.L. 118/2021 ), 84-120 (Concordato preventivo ), 64-bis/ter/quater (Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione – PRO, introdotto da D.Lgs. 83/2022) .
- Decreto Dirigenziale Min. Giustizia 21 marzo 2023 – Aggiornamento delle regole tecniche sulla piattaforma di composizione negoziata, check-list ex art. 13 e formazione degli esperti .
- Cassazione Civile, Sez. I, 28 febbraio 2024 n. 5252 – Ha chiarito che l’art. 2486 comma 3 c.c. (responsabilità degli amministratori dopo causa di scioglimento) non altera gli oneri probatori ma codifica criteri equitativi di liquidazione del danno; la presunzione sul differenziale di patrimonio esonera l’attore dal provare il nesso causale, quantificando il danno come la differenza attivo/passivo se ricorrono le condizioni .
- Cassazione Civile, Sez. I, 29 maggio 2024 n. 15054 – Responsabilità degli amministratori privi di deleghe: non rispondono per generica omissione di vigilanza, ma sono tenuti ad agire informati ex art. 2381 c.c. e rispondono se omettono di impedire fatti pregiudizievoli noti o conoscibili . Confermato obbligo di attivarsi (anche chiedendo informazioni al CdA o sindaci) in presenza di segnali di gestione anomala.
- Cassazione Civile, Sez. I, 29 marzo 2024 n. 8553 – In tema di azione di responsabilità ex art. 146 l.fall., ha statuito che la prescrizione quinquennale ex art. 2949 c.c. decorre dal momento in cui si manifesta l’insufficienza patrimoniale della società, che può precedere la dichiarazione di fallimento (non coincide necessariamente con l’insolvenza conclamata) .
- Cassazione Civile, Sez. I, 4 gennaio 2024 n. 204 – Fallimento in estensione: riconosciuta l’esistenza di una supersocietà di fatto tra società di capitali e persona fisica che gestiva di fatto le attività in commistione di patrimoni; confermati i presupposti per estendere il fallimento ex art. 147, co. 5 l.fall. ai soci occulti di fatto (affectio societatis implicita, confusione patrimoniale e gestionale) .
- Informativa CNDCEC n. 172/2025 – Documento “L’accordo transattivo con l’erario nella composizione negoziata” pubblicato dal Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti (2025), che illustra il nuovo art. 23 co. 2-bis CCII: durante la composizione negoziata l’imprenditore può proporre un pagamento parziale/dilazionato delle imposte con efficacia condizionata all’autorizzazione del tribunale, applicabile alle istanze dal 28/9/2024 . Chiarisce che l’IVA non è considerata risorsa propria UE ai fini dell’esclusione (dunque falcidiabile) , mentre restano escluse per ora le tasse locali e non falcidiabili i contributi .
- Legge 8 agosto 2025 n. 120 – Legge delega al Governo per ulteriori riforme del diritto della crisi d’impresa. Tra le direttrici: estendere la possibilità di transazione fiscale e contributiva anche ai tributi locali nelle procedure di regolazione della crisi, migliorare gli istituti di allerta preventiva, introdurre procedure semplificate per PMI. (In attuazione, previsti decreti legislativi nel 2026).
- D.Lgs. 13 settembre 2023 n. 136 – Terzo correttivo al CCII (attuazione Direttiva UE 2019/1023). Ha introdotto, tra l’altro, l’art. 23 co.2-bis CCII (accordo fiscale nella CNC) , la possibilità di omologa di accordi di ristrutturazione con adesioni ridotte (30%) se estranei non pregiudicati , e migliorato la disciplina dei piani di ristrutturazione soggetti a omologazione (artt. 64-bis e seguenti).
La tua azienda che produce, importa o distribuisce bulloneria e viteria, viti, bulloni, tirafondi, autofilettanti, autofilettanti inox, prigionieri, tiranti, bussole, microviti, viteria speciale su disegno, fissaggi per meccanica, carpenteria, edilizia, impiantistica e rivendite tecniche, oggi è schiacciata dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
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Ricevi solleciti, richieste di rientro, blocchi dei fornitori, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o minacce di pignoramento da parte di banche, fornitori, Fisco, INPS o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore della bulloneria e viteria è uno dei più difficili: margini ridotti, concorrenza internazionale, prezzi dell’acciaio instabili, necessità di mantenere grandi stock e clienti che spesso pagano con ritardi notevoli.
La liquidità si può bloccare da un mese all’altro.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con un piano efficace.
Perché un’Azienda di Bulloneria e Viteria va in Debito
- aumento dei costi di acciaio, trattamenti, stampaggio e zincatura
- pagamenti lenti da parte di rivenditori, carpenterie, impiantisti e cantieri
- magazzino immobilizzato tra viti, bulloni, rondelle, prigionieri, dadi e minuteria
- costi elevati di logistica, trasporto e stoccaggio
- necessità di grandi volumi per mantenere prezzi competitivi
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
Quasi sempre, il problema vero è la mancanza di liquidità immediata, non la mancanza di clienti.
I Rischi se Non Intervieni Subito
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco dei fidi bancari
- sospensione delle forniture da parte dei produttori
- atti esecutivi, decreti ingiuntivi, precetti
- sequestro di magazzino, pallet e attrezzature
- impossibilità di evadere ordini, con perdita di clienti e appalti
- danno reputazionale verso rivendite e contractor
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato esperto può:
- sospendere pignoramenti in corso
- bloccare richieste aggressive di rientro
- proteggere il conto corrente aziendale
- interrompere le azioni dell’Agenzia Riscossione
Prima si mette in sicurezza l’azienda, poi si agisce sul debito.
2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti
Spesso emergono anomalie che permettono di ridurre drasticamente l’esposizione:
- interessi non dovuti
- sanzioni sbagliate o gonfiate
- importi doppi o non documentati
- debiti prescritti
- errori nella Riscossione
- commissioni bancarie anomale o illegittime
Una parte significativa del debito può essere tagliata o cancellata.
3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile
Strumenti realmente efficaci:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi con fornitori strategici (acciaio, trattamenti, zincature)
- rinegoziazione delle linee bancarie
- sospensioni temporanee dei pagamenti
- utilizzo delle definizioni agevolate disponibili
4. Usare strumenti legali potentissimi che bloccano TUTTI i creditori
Se la situazione è più grave, puoi attivare:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di Ristrutturazione dei Debiti
- Concordato Minore
- (in casi estremi) Liquidazione Controllata
Queste soluzioni permettono all’azienda di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti, sospendendo completamente ogni tentativo di pignoramento.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda del settore fissaggi servono competenze mirate e profonde.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Il professionista perfetto per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende che operano nella bulloneria, viteria e minuteria metallica.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata e dettagliata dei tuoi debiti
- stop urgente ai pignoramenti
- riduzione dei debiti non dovuti
- ristrutturazione del debito con piani realmente sostenibili
- protezione del magazzino, delle scorte, dei pallet e delle attrezzature
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela completa dell’imprenditore e dell’azienda
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di bulloneria e viteria non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia rapida, efficace e perfettamente legale, puoi:
- bloccare subito i creditori,
- ridurre concretamente i debiti,
- salvare forniture, clienti e continuità operativa,
- proteggere il futuro della tua impresa.
Agisci adesso.
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