Se la tua azienda produce, importa o distribuisce ancoraggi meccanici, tasselli industriali, ancoranti chimici, boccole, barre filettate, viti, sistemi di fissaggio per edilizia, carpenteria metallica, impianti industriali, infrastrutture e cantieri, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, devi intervenire subito per evitare blocchi nelle forniture e perdita di clienti strategici.
Nel settore degli ancoraggi, ritardi e mancate consegne possono bloccare cantieri, rallentare installazioni, far scattare penali e compromettere appalti pubblici o privati. La continuità operativa è fondamentale.
Perché le aziende di ancoraggi meccanici e tasselli industriali accumulano debiti
- aumento dei costi dell’acciaio, trattamenti superficiali, zincatura e materiali certificati
- rincari delle importazioni e dei trasporti internazionali
- pagamenti lenti da parte di imprese edili, rivenditori e installatori
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi INPS
- magazzini complessi con molte misure, certificazioni, lotti e standard
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai volumi di stock e ai cicli di cantiere
- investimenti elevati in certificazioni, prove di trazione e test tecnici obbligatori
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista l’intera esposizione debitoria
- individuare i debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro troppo onerosi che riducono la liquidità aziendale
- chiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti in corso
- proteggere rapporti con fornitori strategici (acciaierie, produttori, zincatori)
- usare strumenti legali efficaci per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza bloccare consegne e cantieri
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di tasselli, barre, ancoranti e materiali critici
- impossibilità di servire imprese edili, tecnici, appalti pubblici e privati
- perdita di rivenditori, installatori e clienti ricorrenti
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:
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- inserito negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
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Introduzione
Un’azienda del settore ancoraggi meccanici e tasselli industriali che si trova sommersa dai debiti deve affrontare una situazione complessa, in cui è fondamentale conoscere gli strumenti legali per difendersi dai creditori e cercare di risanare la propria attività. Questa guida – aggiornata a ottobre 2025 – fornisce un quadro avanzato della normativa italiana in materia di crisi d’impresa e insolvenza, con un taglio adatto sia a professionisti del diritto (avvocati e consulenti) sia a imprenditori e privati direttamente coinvolti. Il linguaggio utilizzato è di carattere giuridico ma con intento divulgativo, per chiarire in modo comprensibile concetti tecnici complessi.
Affronteremo le strategie difensive dal punto di vista del debitore, analizzando passo per passo cosa fare quando un’azienda (come quella del nostro esempio nel settore ancoraggi e tasselli) accumula debiti e rischia azioni esecutive o il fallimento. Verranno illustrati i vari strumenti di regolazione della crisi previsti dal legislatore italiano – dal piano attestato di risanamento al concordato preventivo, dalla composizione negoziata della crisi agli accordi con il Fisco (come la transazione fiscale) – alla luce delle ultime riforme normative e delle più recenti sentenze fino al 2025. Troverete anche tabelle riepilogative per confrontare le diverse soluzioni, esempi pratici e una sezione Domande & Risposte per chiarire i dubbi più frequenti.
Importante: Tutte le fonti normative citate (in particolare il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche) e le sentenze più aggiornate della giurisprudenza vengono riportate nelle note e raccolte in fondo alla guida, nella sezione Fonti e Riferimenti. Questo vi permetterà di approfondire ulteriormente ogni aspetto trattato, avendo la certezza di informazioni verificate e allineate allo stato dell’arte al 2025. L’obiettivo è fornire un quadro completo e avanzato – ma al contempo chiaro – su cosa fare per difendersi e come procedere quando un’azienda italiana è oppressa dai debiti.
Panoramica sui debiti aziendali e i rischi per l’imprenditore
Gestire un’azienda industriale (come una ditta di ancoraggi meccanici e tasselli) comporta esposizioni finanziarie significative. I debiti aziendali possono avere origini diverse: prestiti bancari per finanziare macchinari, forniture non pagate ai fornitori, imposte e contributi obbligatori (IVA, IRES, INPS, ecc.) che l’azienda non è riuscita a versare, stipendi arretrati ai dipendenti, leasing su attrezzature, e così via. Quando i flussi di cassa si riducono – ad esempio per un calo di commesse nel settore edilizio o industriale – questi debiti possono accumularsi rapidamente, ponendo l’impresa in una situazione di crisi finanziaria.
Dal punto di vista legale, è essenziale distinguere tra stato di crisi e stato di insolvenza. La legge definisce lo stato di crisi come il momento in cui l’impresa mostra squilibri economico-patrimoniali o finanziari che rendono probabile l’insolvenza futura . L’insolvenza, invece, è lo stato più grave in cui l’azienda non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (ad esempio non riesce più a pagare fornitori e banche alle scadenze): si tratta di una situazione conclamata di incapacità a pagare, che può condurre all’apertura di procedure concorsuali di liquidazione (il vecchio fallimento, oggi liquidazione giudiziale). Riconoscere tempestivamente i segnali di crisi è cruciale: il nuovo Codice della Crisi d’Impresa (CCII) e gli obiettivi del PNRR hanno spinto per una emersione anticipata dei problemi aziendali, imponendo all’imprenditore (e agli organi di controllo, se presenti) precisi doveri di monitoraggio e intervento . Ad esempio, l’art. 2086 c.c. obbliga gli amministratori a dotarsi di assetti adeguati per rilevare la crisi e prendere misure idonee a salvaguardare la continuità aziendale.
Che rischi corre l’imprenditore indebitato? Anzitutto, il rischio più immediato è l’azione dei creditori: fornitori che sospendono le forniture essenziali o avviano decreti ingiuntivi, banche che revocano gli affidamenti e chiedono il rientro immediato dei fidi, l’Agenzia delle Entrate Riscossione che iscrive ipoteche o pignora i conti per recuperare imposte e contributi arretrati. I creditori con garanzie (come le banche con ipoteca sui capannoni o fideiussioni personali degli imprenditori) hanno strumenti più forti e possono aggredire rapidamente beni aziendali e personali. Un’azienda manifatturiera indebitata rischia inoltre di vedere compromessa la propria operatività quotidiana: ad esempio, un fermo amministrativo su macchinari o automezzi può bloccare le consegne, un pignoramento sul conto corrente può impedire di pagare fornitori strategici e dipendenti. Da qui può innescarsi un circolo vizioso che aggrava ulteriormente la crisi.
Dal lato giuridico, la forma giuridica dell’azienda incide molto sui rischi per l’imprenditore: se l’attività è svolta tramite una società di capitali (ad esempio una S.r.l. che produce tasselli industriali), i debiti della società di norma non ricadono direttamente sul patrimonio personale dei soci, ma questi ultimi rischiano comunque di perdere il capitale investito nell’azienda. Attenzione però: spesso le banche o i fornitori hanno richiesto garanzie personali (fideiussioni) ai soci o amministratori, in particolare nelle PMI italiane – questo significa che, se la società non paga, il creditore garantito può rivalersi sui beni personali del garante (case, conti personali). Inoltre, gli amministratori di una società possono incorrere in responsabilità personali se aggravano dolosamente il dissesto (si pensi al caso di pagamenti preferenziali ad alcuni creditori a discapito di altri, o distrazione di beni): in caso di successiva procedura liquidatoria, tali atti potrebbero configurare reati di bancarotta o essere oggetto di azioni di responsabilità civile. Se invece l’impresa è individuale (ditta individuale) o una società di persone (S.n.c., S.a.s.), il patrimonio personale dell’imprenditore è automaticamente confuso con quello dell’azienda e tutti i debiti d’impresa possono essere soddisfatti aggredendo i beni personali (salvo limitazioni ai soli soci accomandanti nelle S.a.s.). La seguente tabella riassume le differenze principali:
| Tipo di impresa | Responsabilità per i debiti | Note |
|---|---|---|
| Società di capitali (es. S.r.l., S.p.A.) | Limitata al patrimonio sociale. I soci non rispondono con beni propri (fatti salvi casi di garanzie personali o condotte illecite). | Amministratori potenzialmente responsabili per mala gestio. Fideiussioni e garanzie personali dei soci sono frequenti e trasferiscono il rischio sui beni personali. |
| Società di persone (S.n.c., S.a.s.) | Illimitata per tutti i soci (S.n.c.) o per almeno i soci accomandatari (S.a.s.). I creditori possono aggredire direttamente il patrimonio dei soci. | Soci accomandanti S.a.s. limitati al conferimento ma perdono tale tutela se ingeriscono nella gestione. Dissesto può portare a fallimento esteso ai soci. |
| Impresa individuale | Illimitata: l’imprenditore risponde di tutti i debiti d’impresa con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.). | Possibile accesso alle procedure di sovraindebitamento per crisi del debitore civile (se piccoli imprenditori). In caso di liquidazione, la persona fisica subisce il procedimento con eventuale esdebitazione finale. |
Oltre al rischio patrimoniale, non vanno trascurate le conseguenze amministrative e penali legate ad alcuni tipi di debito. Ad esempio, il mancato pagamento di IVA e ritenute fiscali sopra determinate soglie costituisce reato: attualmente l’omesso versamento dell’IVA oltre €250.000 per periodo d’imposta e l’omesso versamento di ritenute certificate oltre €150.000 annui sono puniti penalmente (artt. 10-ter e 10-bis D.Lgs. 74/2000) . Per i contributi previdenziali, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali (le trattenute operate sulle retribuzioni dei dipendenti) oltre la soglia di €10.000 annui integra reato contravvenzionale (art. 2, co.1-bis, D.L. 463/1983 conv. in L. 638/1983). Queste soglie di punibilità sono state confermate e modulate anche di recente (il D.Lgs. 87/2024, attuativo della riforma delle sanzioni penali tributarie, ha mantenuto le soglie ma ha posticipato il momento di verifica: ad esempio, il reato di omesso versamento IVA si perfeziona al 31 dicembre dell’anno successivo a quello di scadenza , dando più tempo per regolarizzare). Tuttavia, la pendenza di una procedura concorsuale non estingue di per sé l’illecito: la Cassazione ha chiarito che l’aver presentato domanda di concordato preventivo non esonera dall’accertamento e dalle sanzioni per violazioni tributarie pregresse . In altre parole, l’azienda indebitata non può “nascondersi” dietro la procedura per sfuggire a multe o responsabilità per imposte non pagate.
Il messaggio chiave per l’imprenditore è dunque il seguente: agire tempestivamente. Se i debiti diventano ingestibili, attendere passivamente aggrava solo il rischio di perdere il controllo e subire iniziative dei creditori. Al contrario, l’ordinamento offre oggi vari strumenti per gestire la crisi in modo ordinato, privilegiando la continuità aziendale quando possibile e assicurando la parità di trattamento dei creditori. Le recenti riforme (dal Codice della Crisi entrato in vigore a luglio 2022 , fino ai “correttivi” del 2022 e 2024) puntano a incentivare soluzioni negoziate e anticipate della crisi, anziché il fallimento tardivo. Ad esempio, è stato introdotto un sistema di segnalazioni d’allerta interne: i revisori contabili o sindaci nelle società hanno ora il dovere di segnalare ai vertici eventuali indizi di crisi (c.d. allerta interna prevista dal nuovo art. 25-octies CCII, introdotto dal D.Lgs. 136/2024 ). Ciò mira a far sì che l’imprenditore non ignori i campanelli d’allarme, ma al contrario attivi subito le procedure di composizione della crisi previste dalla legge. Nel prossimo capitolo vedremo quali azioni immediate un’azienda indebitata può intraprendere per difendersi dai creditori e stabilizzare la situazione, in vista poi di adottare uno degli strumenti formali di risanamento o liquidazione disciplinati dal legislatore.
Azioni immediate per difendersi dai creditori
Quando i creditori iniziano a fare pressione – ad esempio inviando diffide di pagamento, decreti ingiuntivi o atti di pignoramento – l’imprenditore indebitato deve passare subito a una strategia difensiva attiva. Ecco alcune mosse immediate da considerare:
- Valutazione della situazione e piano di emergenza: per prima cosa, è fondamentale fare un quadro chiaro dei debiti: quantificare l’esposizione verso ciascun creditore (banche, fornitori, Fisco, INPS, leasing, ecc.), identificare quelli privilegiati o con garanzie (es. ipoteche, pegni, privilegio del Fisco sui beni aziendali) e quelli chirografari (senza garanzie). Occorre poi valutare le disponibilità liquide e gli incassi attesi a breve. Con queste informazioni, l’azienda può stilare un mini-piano di emergenza per allocare le risorse disponibili alle priorità: ad esempio pagare almeno parzialmente stipendi e fornitori critici per mantenere l’operatività, oppure versare imposte prossime alla soglia penale per evitare guai giudiziari. Questa fase richiede freddezza e spesso il supporto di un consulente esperto in crisi d’impresa.
- Comunicazione e negoziazione con i creditori: non sparire! Uno degli errori peggiori è evitare i creditori. Al contrario, è consigliabile contattare attivamente i principali creditori per informarli della situazione e sondare possibili accordi temporanei. Molti creditori preferiscono trovare un compromesso piuttosto che intraprendere costose azioni legali dall’esito incerto. Si possono chiedere proroghe delle scadenze, piani di rientro stragiudiziali (dilazionando il pagamento del dovuto in rate sostenibili) o addirittura riduzioni (saldo e stralcio) se il creditore è disponibile a chiudere la posizione accettando una parte del credito subito. Queste intese private non hanno la forza giuridica di una procedura concorsuale, ma possono guadagnare tempo prezioso e, se coinvolgono una pluralità di creditori, porre le basi per un successivo accordo formalizzato. È buona pratica mettere per iscritto gli accordi raggiunti (anche via email PEC), così da evitare malintesi. Un esempio: un fornitore chiave potrebbe accettare di non procedere legalmente in cambio del pagamento di una fattura arretrata e di un piano per le restanti in 6 mesi; oppure la banca potrebbe concedere una moratoria temporanea sul rimborso del mutuo per dare respiro all’azienda.
- Verifica e contestazione delle pretese non fondate: non tutti i debiti sono incontestabili. L’azienda deve esaminare attentamente ogni richiesta di pagamento: se ad esempio un decreto ingiuntivo notificato da un fornitore contiene importi non dovuti o applicazioni di penali e interessi non concordati, è possibile opporsi legalmente entro i termini (normalmente 40 giorni) per frenare l’esecuzione. Analogamente, cartelle esattoriali dell’Agenzia Entrate Riscossione vanno controllate: se un carico fiscale è prescritto o vi sono stati vizi nella notifica degli atti presupposti, si può proporre ricorso alle Commissioni Tributarie o istanza di sgravio. Contestare un debito (ovviamente solo quando vi sono fondati motivi giuridici) può far guadagnare tempo e costringere il creditore a negoziare. Tuttavia, è importante evitare opposizioni pretestuose o dilatorie che possono ritorcersi contro, aggravando i costi (spese legali, interessi di mora ulteriori).
- Proteggere i beni aziendali fondamentali: se alcuni asset sono vitali per proseguire l’attività (macchinari, automezzi, brevetti, ecc.), occorre tener presente che i creditori chirografari potrebbero pignorarli. Per difendersi, una strada può essere attivare tempestivamente procedure che prevedono un “automatic stay”, ossia il blocco temporaneo delle azioni esecutive individuali. Ne parleremo a breve: ad esempio, presentare una domanda di concordato preventivo (anche “in bianco”) determina la sospensione delle esecuzioni in corso e il divieto di iniziarne di nuove (salvo eccezioni) . Anche la composizione negoziata consente di chiedere misure protettive dal tribunale che congelano le azioni esecutive per la durata delle trattative (inizialmente fino a 4 mesi) . Queste misure giudiziali richiedono però l’avvio formale di una procedura – argomento che trattiamo nella prossima sezione. Nel frattempo, se un creditore ha già avviato un pignoramento, è possibile valutare un’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi solo se ci sono vizi procedurali o se il credito è davvero inesigibile: ad esempio, contestare un pignoramento se il bene era già oggetto di leasing non risolto, oppure se la notifica del precetto è nulla. In assenza di motivi validi, l’opposizione temeraria viene rigettata e può aggravare la posizione debitoria con ulteriori spese. Spesso è più utile, in fase di pignoramento, trovare un accordo last-minute con il creditore (ad esempio pagando una parte del dovuto affinché rinunci all’esecuzione) oppure inserire quel creditore in un quadro di soluzione concordata più ampio (come un concordato preventivo). Ad ogni modo, le azioni esecutive hanno tempi tecnici: tra precetto, pignoramento e vendita forzata può intercorrere del tempo, che il debitore deve sfruttare per attivare gli strumenti di tutela previsti dalla legge.
- Tutela del patrimonio personale del debitore: se l’imprenditore (o i soci) ha beni personali esposti (ad esempio la propria casa gravata da ipoteca a garanzia dei debiti aziendali, oppure fideiussioni date in banca), è necessario adottare precauzioni. In linea generale, compiere atti di disposizione del proprio patrimonio in fase di insolvenza può essere pericoloso: vendere o cedere beni personali a familiari a prezzo irrisorio, nel tentativo di sottrarli ai creditori, espone al rischio di azioni revocatorie e perfino a profili di bancarotta fraudolenta se si finisce in procedura concorsuale. Piuttosto, è preferibile valutare soluzioni legali come: includere quei crediti garantiti in un accordo di ristrutturazione o concordato (così da risolvere anche la fideiussione con il pagamento concordato); oppure, in caso estremo, prepararsi alla richiesta di esdebitazione personale dopo una eventuale liquidazione (nel caso di imprenditore individuale, come vedremo più avanti). È bene ricordare che la protezione del patrimonio personale è maggiore se l’attività è in forma societaria di capitali e se non si sono date garanzie: in tali casi, concentrarsi sul salvataggio dell’impresa senza compromettere beni personali è possibile. Se invece il patrimonio privato è già vincolato per i debiti aziendali, occorre inserire anche questi aspetti nella strategia di risanamento.
- Gestione dei rapporti contrattuali in corso: l’azienda indebitata deve anche affrontare la quotidianità: ordini da evadere, contratti di fornitura in essere, canoni di locazione del capannone, utenze. È fondamentale comunicare con trasparenza ai partner contrattuali la situazione per evitare reazioni drastiche. Ad esempio, evitare che un fornitore interrompa improvvisamente le consegne per timore di insolvenza: se è critico (es. fornitore di materia prima per i tasselli industriali), si potrebbe concordare il pagamento anticipato delle nuove forniture contro la dilazione dei vecchi debiti. Allo stesso modo, col locatore del capannone si può negoziare una riduzione temporanea del canone o un uso della cauzione a copertura, piuttosto che arrivare a uno sfratto per morosità. La legge consente in alcuni casi la rinegoziazione dei contratti pendenti nelle procedure di composizione della crisi (l’art. 10, co. 2 del D.L. 118/2021, ad esempio, autorizza l’esperto della composizione negoziata a invitare le parti a modificare i contratti di durata) . Anche prima di attivare formalmente tali procedure, un approccio collaborativo può preservare rapporti essenziali.
In sintesi, le azioni immediate mirano a guadagnare tempo e mantenere in vita l’azienda, evitando che un singolo creditore impaziente faccia crollare l’intera impresa. Tuttavia, queste misure-tampone non risolvono di per sé l’eccesso di debito: servono principalmente a stabilizzare la situazione (stabilisation) e a predisporre il terreno per una soluzione più strutturata. Una volta ottenuto un minimo di respiro, l’imprenditore deve valutare quale strumento legale di regolazione della crisi adottare per uscire dal tunnel in modo ordinato. La normativa italiana prevede diversi istituti – dal piano attestato ai concordati – che esaminiamo nel dettaglio nel capitolo seguente, ciascuno con i propri requisiti, vantaggi e limiti. La scelta dipenderà dalla gravità della crisi, dalla composizione del debito, dalla presenza di prospettive di continuità aziendale o meno, e anche dalla dimensione della società. Nel frattempo, la seguente sezione offre una panoramica comparativa di questi strumenti, prima di approfondirli singolarmente.
Strumenti legali per la gestione avanzata della crisi d’impresa
Il diritto fallimentare italiano, riformato integralmente dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) nel 2019 (in vigore dal 15 luglio 2022) e successivamente integrato da vari decreti correttivi, mette a disposizione dell’imprenditore diversi strumenti di regolazione della crisi. Tali strumenti – detti anche procedure concorsuali o di soluzione negoziata – consentono al debitore di affrontare i debiti in modo organico, sotto certe condizioni, spesso con l’ausilio o il controllo di organi terzi (tribunale, esperti indipendenti) e con effetti protettivi sul patrimonio. La scelta dello strumento più adatto dipende dallo stato dell’impresa (crisi reversibile o insolvenza conclamata), dalla volontà di proseguire l’attività o di liquidarla, e dalla struttura del debito (numero di creditori, tipologia, importi). Di seguito presentiamo i principali strumenti, spiegandone il funzionamento dal punto di vista pratico e le ultime novità normative fino al 2025.
Per avere una visione d’insieme, ecco una tabella riepilogativa che confronta le caratteristiche chiave di ciascun istituto:
| Strumento | Natura | Coinvolgimento del tribunale | Chi approva? | Effetti principali | Quando usarlo |
|---|---|---|---|---|---|
| Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) | Stragiudiziale (nessuna procedura concorsuale aperta) | Facoltativo: il piano può essere pubblicato presso il Registro Imprese ma senza omologa del giudice . Nessun commissario o controllo giudiziario durante l’esecuzione. | Creditori aderenti. Non serve maggioranza predeterminata: ogni creditore decide se aderire agli accordi previsti dal piano. Un professionista indipendente attesta veridicità dati e fattibilità del piano . | Protezione limitata: atti compiuti in esecuzione del piano non sono soggetti a revocatoria fallimentare ex art. 67 L.F./56 CCII ; alcune esenzioni da reati di bancarotta semplice/preferenziale . Nessuna sospensione automatica delle azioni dei creditori (serve accordo individuale). Riservatezza (piano non pubblico salvo si decida di iscriverlo). | Crisi iniziale o riequilibrio fattibile in breve. Ideale se l’impresa è ancora fondamentalmente sana ma con uno squilibrio finanziario temporaneo, pochi creditori chiave disposti a collaborare e necessità di evitare pubblicità. Utile per ristrutturare debiti bancari con consenso informale o ottenere nuova finanza protetta da revocatoria. |
| Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII) | Procedura concorsuale semplificata (negoziale con omologazione giudiziale) | Sì, minima: il tribunale interviene per omologare l’accordo e può concedere misure protettive su richiesta. Non c’è spossessamento: l’imprenditore resta alla guida. | Creditori pari ad almeno 60% dei crediti, salvo riduzione al 30% in caso di accordo “agevolato” ex art. 61 CCII (se preceduto da composizione negoziata) . I creditori aderenti vincolano solo sé stessi; possibilità di estendere gli effetti ad alcuni creditori non aderenti omogenei (es. banche dissenzienti) con autorizzazione del tribunale . Fisco e INPS possono aderire con transazione fiscale (art. 63 CCII) e in caso di rifiuto ingiustificato si può ottenere omologazione forzosa (cram-down) . | Effetti: sospende/impedisce azioni esecutive individuali dalla pubblicazione della domanda di omologa (simile al concordato) per i creditori coinvolti. Dopo l’omologa, l’accordo è vincolante per i soli creditori che vi hanno aderito (o estesi). Maggiore efficacia rispetto al piano attestato perché ha il sigillo del tribunale e può imporre la falcidia dei crediti pubblici col cram-down fiscale . Meno invasivo del concordato: no voto collettivo, no commissario. | Crisi seria ma non disperata, con pochi grandi creditori. Utile se il 60% (o 30%) dei creditori per valore è d’accordo a un piano di ristrutturazione ma gli altri sono troppo dispersi o resistenti: l’omologa protegge dall’azione dei dissenzienti. Spesso impiegato per ristrutturare debiti bancari (banche principali consenzienti) e includere debiti fiscali tramite transazione. L’azienda può continuare a operare normalmente durante la trattativa. |
| Concordato preventivo (artt. 84-118 CCII) | Procedura concorsuale giudiziaria (giurisdizionale) | Sì, pieno coinvolgimento: il tribunale ha un ruolo attivo: ammette la procedura, nomina un commissario giudiziale che vigila sul debitore, omologa il concordato. L’impresa resta in possesso ma soggetta a autorizzazioni per atti straordinari. | Creditori votanti in maggioranza (oltre 50% dei crediti ammessi al voto). Voto per classi se previste; possibili cram-down interclassi col correttivo 2024 (il tribunale può omologare anche se una classe dissenziente, soddisfatte certe condizioni di meritevolezza e trattamento equo). Alcuni creditori privilegiati possono essere esclusi dal voto se integralmente soddisfatti. | Effetti forti: blocco immediato di tutte le azioni esecutive e cautelari dal deposito della domanda (anche “con riserva”) . Sospensione degli interessi sui chirografari. Possibile scioglimento o sospensione di contratti in corso con autorizzazione giudice (art. 95 CCII). Se omologato, il piano di concordato vincola tutti i creditori anteriori (dissenzienti compresi) per la quota falcidiata. Prevede esdebitazione dell’azienda (che però se è società cessa, mentre l’imprenditore in proprio poi può chiedere esdebitazione persona fisica). | Crisi grave o insolvenza conclamata, con necessità di ristrutturazione complessa o sacrificio di creditori dissenzienti. Indicato quando l’impresa vuole evitare la liquidazione giudiziale proponendo un piano di risanamento (concordato in continuità) o di liquidazione dei beni in modo controllato (concordato liquidatorio). Richiede sostenibilità e approvazione delle maggioranze, ma offre la protezione più ampia dai creditori. Adatto a imprese medio-grandi con molti creditori. |
| Concordato “minore” (artt. 74-83 CCII) | Procedura concorsuale minore (sovraindebitamento) | Sì, tramite tribunale competente per sovraindebitamento. Simile al concordato preventivo ma con procedure semplificate. | Creditori votanti (maggioranza del 50% dei crediti) ma solo se il tribunale non decide di omologare d’ufficio in alcune circostanze senza voto (es. irragionevole diniego dei creditori). Riservato a debitori “minori” (sotto soglie fallibilità). | Effetti: analoghi al concordato preventivo (tutela dalle azioni esecutive, sospensione interessi, ecc.) ma su scala ridotta. Pensato per piccoli imprenditori non fallibili e consumatori (anche se per questi ultimi esiste strumento specifico). | Sovraindebitamento di piccoli imprenditori o privati. Applicabile alla crisi di un’azienda sotto-soglia (es. piccola impresa artigiana) o di un imprenditore agricolo. È lo strumento erede dell’“accordo di composizione” e del “piano del consumatore” della L.3/2012, rivisto nel CCII. Non si applica a società di capitali che superano le soglie di fallibilità. |
| Composizione negoziata (artt. 12-25 CCII) | Procedura negoziale volontaria (non concorsuale, assistita da esperto) | Limitato: non è una procedura concorsuale, ma vi può essere intervento del tribunale per misure protettive (art. 18 CCII) e autorizzazioni specifiche (es. per finanziamenti urgenti o atti straordinari, art. 22 CCII). Nessun commissario, ma un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio che agevola le trattative . | Accordi volontari: non c’è voto collettivo. Gli accordi conclusi possono assumere varie forme (contratti bilaterali di ristrutturazione, convenzioni di moratoria, esecuzione di piano attestato, ecc.). Se si raggiunge una soluzione, può consistere in: semplice accordo con taluni creditori, un piano attestato, un accordo di ristrutturazione omologato, o anche sfociare in un concordato preventivo. Novità 2024: possibile transazione fiscale con il Fisco dentro la composizione, proposta all’Agenzia Entrate durante la procedura (prima non era ammesso). | Effetti: su richiesta, il tribunale concede misure protettive che bloccano i creditori (nessuna nuova azione esecutiva o cautelare, sospensione di quelle in corso) per la durata delle trattative (fino a 180 giorni massimo, considerando eventuali proroghe) . Non c’è spossessamento: l’imprenditore resta pienamente alla guida e conserva i poteri di gestione ordinaria. Gli atti compiuti durante le trattative, se autorizzati (come finanziamenti-interinali), godono di prededuzione e non sono soggetti a revoche. Previste agevolazioni fiscali per chi vi accede tempestivamente (riduzione interessi e sanzioni, dilazione lunghissima fino a 120 rate per debiti tributari non ancora a ruolo, ecc.) . Se la composizione fallisce, l’imprenditore può accedere entro 60 giorni a un concordato semplificato liquidatorio senza voto creditori (art. 25-sexies CCII). | Crisi incipiente o reversibile (“insolvenza reversibile”) con volontà di negoziare ad ampio raggio. Ideale quando l’impresa ha prospettive di risanamento ma necessita di tempo e di un mediatore qualificato per trovare un accordo con i creditori. Adatta sia a PMI sia a aziende più strutturate che vogliano tentare il salvataggio fuori dalle aule di tribunale, beneficiando tuttavia di una protezione giudiziale temporanea. Meno adatta se l’insolvenza è irreversibile e si prevede solo la liquidazione (in tal caso conviene andare direttamente a concordato o liquidazione giudiziale). |
| Concordato semplificato per la liquidazione (art. 25-sexies CCII) | Procedura concorsuale speciale (liquidatoria senza voto) | Sì, intervento del tribunale: il debitore propone la liquidazione e il tribunale omologa senza passare per voto dei creditori. | Nessun voto dei creditori. La proposta di concordato semplificato è valutata dal tribunale (sentiti eventuali creditori opponenti) e può essere omologata se rispetta requisiti di legge. Accessibile solo se la composizione negoziata non ha prodotto soluzione e l’esperto relaziona il fallimento delle trattative . | Effetti: analoga al concordato preventivo liquidatorio quanto a sospensione delle azioni esecutive e destino dei debiti. L’attivo dell’impresa viene liquidato sotto controllo del tribunale e il ricavato ripartito secondo le regole di prelazione (salvo offerte migliorative in piano). Riduce tempi e costi rispetto a un fallimento classico e consente al debitore di evitare le penalizzazioni del fallimento (es. interdizioni). | Fallimento delle trattative di risanamento. È lo strumento “di ripiego” quando la composizione negoziata non riesce a evitare l’insolvenza. Serve a chiudere in modo ordinato l’impresa liquidandone il patrimonio, evitando l’istanza di fallimento: spesso il debitore lo utilizza per presentare un acquirente per l’azienda o i beni, garantendo ai creditori una soluzione migliore della liquidazione giudiziale. Non richiede il consenso dei creditori, ma è soggetto a verifica di meritevolezza. |
| Liquidazione giudiziale (ex Fallimento) | Procedura concorsuale liquidatoria | Sì, totale: il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale dell’impresa insolvente; nomina un curatore che prende in mano la gestione, spossessando l’imprenditore. | Nessun consenso richiesto dai creditori. I creditori intervengono solo presentando le proprie domande e partecipando al riparto. Procedura autoritativa gestita dagli organi concorsuali (giudice delegato, curatore, comitato creditori). | Effetti: spossessamento totale del debitore: l’azienda (o l’imprenditore fallito) perde la gestione dei beni, che passano al curatore. Tutti i crediti anteriori sono cristallizzati alla data di apertura e soddisfatti secondo il grado (dopo la liquidazione dei beni). I creditori non possono agire individualmente (divieto assoluto di azioni esecutive). Possibili azioni revocatorie, accertamento del passivo, ecc. Conseguenze personali per l’imprenditore: interdizione dall’attività per un periodo, limitazioni ai diritti civili, possibile iscrizione al registro dei falliti (ora soppresso). Al termine, il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione dei debiti residui . | Insolvenza irreversibile o assenza di proposte di risanamento. Rappresenta l’extrema ratio quando non vi sono alternative percorribili di accordo o continuità. Spesso subita su istanza dei creditori. Garantisce parità di trattamento e ordine legale nella liquidazione, ma comporta massima invasività e solitamente realizza una minore soddisfazione dei creditori rispetto a soluzioni concordate (oltre a implicare possibili azioni di responsabilità e sanzioni per il debitore). Da valutare in via volontaria solo se l’imprenditore intende cessare l’attività senza eredi aziendali e vuole usufruire della liberazione dai debiti personali tramite esdebitazione. |
Come si evince dalla tabella, non esiste una soluzione unica adatta a tutti i casi: ogni istituto ha i propri presupposti e finalità. Nei paragrafi successivi, analizziamo in dettaglio ciascuno di questi strumenti (ad eccezione della liquidazione giudiziale, che rappresenta il default finale se nessun altro strumento va a buon fine) per capire meglio come funzionano e come possono aiutare l’azienda indebitata a difendersi e possibilmente a superare la crisi.
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)
Il piano attestato di risanamento (abbreviato spesso in PAR) è uno strumento introdotto originariamente nel 2005 (art. 67, co. 3, lett. d, Legge Fallimentare) e ora disciplinato dall’art. 56 del Codice della Crisi . Si tratta di un piano industriale e finanziario di risanamento predisposto dall’imprenditore in crisi, il quale viene asseverato (“attestato”) da un professionista indipendente riguardo alla veridicità dei dati aziendali e alla fattibilità del piano stesso . È uno strumento di natura contrattuale e privatistica, che non comporta l’apertura di una procedura concorsuale formale: non interviene il tribunale per omologare il piano, non c’è un commissario né il voto di tutti i creditori in sede collegiale . In pratica, il piano attestato vive della fiducia contrattuale: l’imprenditore negozia in via stragiudiziale con i propri creditori un insieme di accordi (dilazioni, remissioni parziali di debito, nuovi finanziamenti, ecc.) finalizzati a riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa, e fa certificare da un esperto terzo che il piano è serio e credibile.
Qual è il vantaggio del piano attestato? Principalmente la sua flessibilità e riservatezza. Poiché non occorre passare per il tribunale, i dettagli del piano rimangono confidenziali (a meno che si decida strategicamente di pubblicare l’attestazione nel Registro delle Imprese per dare pubblicità ai terzi, il che è facoltativo). Inoltre, l’assenza di formalità consente di cucire il piano su misura delle esigenze aziendali, coinvolgendo solo i creditori ritenuti necessari. Ad esempio, se un’azienda di ancoraggi meccanici ha soprattutto debiti bancari e con pochi fornitori chiave, può concentrare la ristrutturazione su di essi senza dover necessariamente includere altri piccoli creditori rimasti regolari. Il professionista attestatore fornisce credibilità al piano: essendo indipendente e iscritto in appositi albi, il suo giudizio positivo su fattibilità e veridicità dà ai creditori una garanzia che il piano ha concrete possibilità di successo .
Il legislatore riconosce alcuni effetti protettivi al piano attestato, proprio per incentivare i creditori ad aderirvi. In particolare: gli atti e pagamenti eseguiti in esecuzione del piano attestato beneficiano di esonero dall’azione revocatoria in caso di successivo fallimento (art. 56 co.3 CCII, riprendendo l’ex art. 67 LF) . Ciò significa che se, seguendo il piano, l’imprenditore paga un fornitore arretrato o concede una garanzia a un nuovo finanziatore, e poi la società dovesse comunque fallire, il curatore non potrà chiedere indietro quei pagamenti o revocare quella garanzia, purché fatti appunto in attuazione di un piano attestato regolarmente pubblicato. Questo elimina il timore per i creditori che essere pagati prima del fallimento sia un rischio: se il pagamento è parte del piano, è protetto. Inoltre, la giurisprudenza ha riconosciuto che gli amministratori che eseguono un piano attestato hanno una sorta di safe harbor rispetto ai reati di bancarotta semplice o preferenziale: agire secondo un piano di risanamento certificato tende ad escludere l’intento di frodare i creditori (ad esempio il reato di bancarotta preferenziale, ex art. 216 L.F., non sussiste se il pagamento preferenziale era funzionale a un piano di salvataggio dell’impresa) . In sostanza, il piano attestato funge da scudo sia in ambito civilistico (niente revocatorie) sia in parte penalistico, nella misura in cui dimostra che l’imprenditore stava perseguendo il risanamento e non aggravando dolosamente il dissesto.
Di converso, il piano attestato ha alcuni limiti notevoli: non essendo una procedura concorsuale, non può vincolare i creditori dissenzienti. Se, ad esempio, due banche su tre accettano di rinegoziare il debito e la terza rifiuta, quest’ultima rimane libera di agire per il recupero. Il successo del piano quindi richiede una adesione volontaria unanime (o comunque sufficientemente estesa) dei principali creditori. Inoltre, durante l’esecuzione del piano non c’è uno stay automatico: i creditori non aderenti possono comunque iniziare o proseguire pignoramenti (a meno che il debitore non li convinca informalmente a sospendere). Il piano attestato, dunque, funziona meglio quando i creditori sono relativamente pochi e cooperativi, e dove l’imprenditore mantiene la fiducia del ceto creditorio. Infine, va considerato che l’attestatore ha un ruolo delicatissimo: deve certificare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano con un giudizio professionale. Se dovesse redigere un’attestazione infedele o negligente, rischia sia sul piano civile (azioni di responsabilità da parte dei creditori danneggiati) sia penale (falsità nelle relazioni o concorso in eventuali reati fallimentari). Questo fa sì che l’attestatore sarà molto rigoroso nell’analisi: l’imprenditore deve mettergli a disposizione informazioni complete e realistiche, e probabilmente accettare di inserire nel piano misure robuste (taglio di costi, dismissione di asset non strategici, nuovi apporti di capitale dei soci, ecc.) affinché il professionista possa attestare positivamente.
Un esempio pratico di piano attestato: la Alfa S.r.l., produttrice di tasselli industriali, ha accumulato €2 milioni di debiti (1 milione con banche, 500k con fornitori, 500k di arretrati fiscali). Ha però un portafoglio ordini in ripresa e asset validi. Decide di fare un piano attestato: con l’aiuto di un advisor, predispone un piano triennale in cui i soci apportano €200k di nuovi fondi, vende un magazzino inutilizzato per €300k e usa queste risorse per pagare parzialmente i debiti. Le banche acconsentono a spalmare in 6 anni il loro credito, rinunciando a parte degli interessi. I fornitori strategici accettano un pagamento al 60% del dovuto, rateizzato in 24 mesi. Il Fisco viene integralmente saldato per evitare problemi penali (magari sfruttando la rottamazione in corso per ridurre sanzioni). Un commercialista indipendente esamina il piano, verifica che le assunzioni di vendita (ordini futuri) sono attendibili – magari c’è già un contratto quadro con un grosso cliente – e che la liquidità generata basterà a sostenere le nuove rate. Attesta dunque che il piano è fattibile e che i numeri di bilancio sono veri. Il piano viene comunicato formalmente ai creditori e pubblicato presso il Registro imprese per dare data certa. L’azienda esegue il piano: i creditori che hanno aderito ricevono i pagamenti come concordato; nessun creditore “estraneo” intraprende azioni (per fortuna). Dopo tre anni, Alfa S.r.l. è risanata: torna liquida, i debiti pregressi sono stati ridotti e pagati secondo accordi. In caso di malaugurato fallimento durante l’esecuzione, i pagamenti fatti e le garanzie concesse non sarebbero revocabili perché coperti dall’attestazione.
In conclusione, il piano attestato è uno strumento di difesa “soft”: consente di evitare il marchio del fallimento o del concordato, mantenendo rapporti contrattuali più sereni (molti fornitori neppure verranno a sapere formalmente della crisi, se non coinvolti). Difendersi con un piano attestato significa scommettere sulla continuità aziendale fuori dal tribunale, con la protezione minima offerta dalla legge. È consigliabile quando l’imprenditore ha ancora margine di manovra con i creditori e il problema è risolvibile con qualche sacrificio e buona gestione. Se invece i debiti sono tali da richiedere sconti forzosi ai creditori dissenzienti o se serve bloccare immediatamente tutte le azioni esecutive, allora occorre passare a strumenti più incisivi (accordi di ristrutturazione o concordati).
Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)
L’accordo di ristrutturazione dei debiti è un istituto introdotto nel 2005 (art. 182-bis L.F.) e ora regolato dagli artt. 57 e seguenti del CCII. Si colloca a metà strada tra la negoziazione privata e il concordato preventivo: in sostanza, il debitore può stipulare un accordo con una parte significativa dei creditori, che viene poi omologato dal tribunale per dargli efficacia verso tutti (in certi limiti). È uno strumento più snello del concordato perché non coinvolge necessariamente la totalità dei creditori in un voto formale, ma richiede comunque il raggiungimento di una percentuale minima di consensi: attualmente il CCII prevede l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali . I creditori che sottoscrivono l’accordo accettano un piano di ristrutturazione (che può prevedere dilazioni, stralci parziali, conversioni del credito in capitale, ecc.), mentre i creditori non aderenti vengono pagati integralmente fuori dall’accordo (oppure, se chirografari, possono essere anche falcidiati purché pagati comunque non meno di quanto otterrebbero in una liquidazione).
Una novità importante introdotta dalle riforme recenti è la possibilità di accordi di ristrutturazione “agevolati” o “ad efficacia estesa”. In particolare, se l’imprenditore ha preliminarmente attivato la composizione negoziata o un piano attestato, la soglia di adesioni richiesta può scendere dal 60% al 30% (cosiddetto accordo agevolato, ex art. 61 CCII) . Inoltre, con l’art. 64 CCII, è possibile estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori che non l’hanno firmato, ma che appartengono a una categoria omogenea di cui tuttavia una parte consistente ha aderito (ad es., tipicamente le banche finanziatrici: se aderiscono, poniamo, l’80% delle banche, l’accordo può essere esteso anche al 20% dissenziente con l’omologazione, il cosiddetto cram down settoriale). Questa previsione consente di superare sacche di resistenza minoritaria che potrebbero vanificare l’operazione.
Dal punto di vista difensivo, l’accordo di ristrutturazione offre alcuni vantaggi chiave rispetto al mero piano attestato: – Innanzitutto, quando si deposita il ricorso per l’omologazione dell’accordo, il debitore può chiedere al tribunale di applicare le misure protettive analoghe a quelle del concordato, ovvero il blocco delle azioni esecutive individuali dei creditori per il tempo necessario a perfezionare l’omologa (fino a 120 giorni, prorogabili) . Questo significa congelare i pignoramenti e precetti mentre l’accordo è in fase di finalizzazione, evitando che qualche creditore fuori dall’accordo faccia saltare tutto. – In secondo luogo, dopo l’omologazione, l’accordo diventa un titolo esecutivo e vincolante: i creditori aderenti saranno obbligati a rispettare le nuove scadenze/pagamenti previsti (rinunciando ad eventuali azioni per la parte di credito stralciata), e come detto in certi casi anche i non aderenti (es. banche dissenzienti) saranno comunque obbligati. – Un aspetto molto rilevante è la gestione dei debiti fiscali e contributivi all’interno dell’accordo: prima delle riforme, l’Agenzia delle Entrate e gli enti previdenziali potevano aderire a un accordo transattivo (transazione fiscale ex art. 182-ter L.F.), ma se rifiutavano non c’era modo di imporre loro un taglio del credito se non passando per un concordato. Ora il CCII (art. 63) prevede che il debitore possa includere una proposta di transazione fiscale nell’accordo: se Fisco o INPS aderiscono, bene; se rifiutano e l’accordo è comunque approvato dai creditori, il debitore può chiedere al tribunale l’omologazione anche in assenza del voto del Fisco, purché l’accordo offra all’Erario almeno ciò che otterrebbe in una liquidazione . È il cosiddetto cram-down fiscale negli accordi, introdotto in Italia dal 2017 e confermato dalle norme attuali . In pratica, si “forza la mano” al Fisco se la proposta è vantaggiosa e il suo diniego è irragionevole.
Naturalmente, l’accordo di ristrutturazione non è privo di svantaggi o difficoltà: – La necessità di raggiungere preventivamente un consenso del 60% (o 30% agevolato) dei crediti implica che l’imprenditore deve svolgere un intenso lavoro di trattativa privata con i principali creditori prima ancora di presentare l’istanza in tribunale. Ciò richiede tempo e trasparenza: si deve generalmente fornire ai creditori un piano finanziario dettagliato, simile a quello di un concordato, e convincerli della convenienza dell’accordo rispetto ad alternative (come agire individualmente o chiedere il fallimento). – I creditori minori o “esterni” all’accordo devono essere pagati al 100% entro 120 giorni dall’omologa (se chirografari) o come da contratto (se privilegiati), altrimenti l’accordo non è omologabile. Questo può significare che l’azienda deve reperire liquidità immediata per saldare quei piccoli creditori estranei – a volte non facile in situazione di crisi. – Durante la trattativa e prima dell’omologa, l’impresa non è sotto tutela completa come in concordato (salvo le misure protettive richieste al momento del deposito in tribunale). Ciò significa che se un creditore non coinvolto va di fretta, potrebbe tentare un’azione esecutiva prima che lo stay venga concesso. In tal senso, è sempre rischioso indugiare troppo: ecco perché spesso l’accordo di ristrutturazione viene preparato rapidamente, a volte depositando anche un ricorso per ottenere subito la sospensione delle azioni in corso (in via d’urgenza) qualora qualche creditore stia pignorando.
Quando conviene l’accordo di ristrutturazione? Tipicamente in situazioni in cui l’impresa ha pochi creditori principali (es. un pool di banche, o alcuni fornitori strategici e il Fisco) e questi sono disposti a trattare. Si vede spesso usare negli restructuring societari di medie dimensioni, magari con l’ausilio di advisor finanziari, per evitare la pubblicità negativa del concordato e trovare soluzioni concordate (ad es., conversione di parte dei debiti in quote societarie, concessione di nuovi finanziamenti protetti da prededuzione, ecc.). Dal punto di vista difensivo del debitore, l’accordo ha il grande pregio di essere percepito come meno “stigmatizzante” rispetto al concordato: formalmente l’azienda non “fallisce” né entra in procedura concorsuale aperta, ma omologa soltanto un accordo privato. Questo può rassicurare clienti e fornitori sulla continuità aziendale. Inoltre, siccome non c’è un commissario che gestisce l’impresa, gli amministratori mantengono il controllo gestionale (sotto l’ombrello però del giudice, che vigila su possibili atti pregiudizievoli tra il deposito e l’omologa).
Una evoluzione recente prevista dal CCII è il cosiddetto “piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione” (PRO) che, sebbene simile concettualmente agli accordi 182-bis, consente in certi casi di ottenere un’omologazione di un piano di ristrutturazione anche senza necessità di raggiungere il 60% di adesioni, attraverso un meccanismo di classi e cram-down molto vicino al concordato (di fatto un concordato semplificato). È un istituto introdotto su spinta della direttiva UE 2019/1023, ma la sua applicazione pratica è ancora in evoluzione e interessa situazioni altamente complesse, per cui qui non lo approfondiremo.
In definitiva, per difendersi dai creditori con un accordo di ristrutturazione, l’imprenditore deve impostare fin dall’inizio una trattativa strutturata: spesso si nominano consulenti finanziari che preparano un memorandum da presentare ai creditori principali, si firma eventualmente un accordo di moratoria (standstill agreement) per congelare le posizioni mentre si negozia, e poi si redige l’accordo finale da sottoporre ai creditori per la firma. Se qualcuno “rema contro” (ad esempio un fondo avvoltoio che ha comprato crediti e punta al fallimento per speculare), l’accordo potrebbe non raggiungere le soglie. In tal caso, l’azienda dovrà virare verso un concordato preventivo, dove la maggioranza si calcola sul voto e non sul numero di firme raccolte. Perciò, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento potente ma fragile: funziona bene con creditori cooperativi e una crisi ancora gestibile, viceversa cede se c’è conflittualità marcata nel ceto creditorio.
Concordato preventivo (artt. 84-118 CCII)
Il concordato preventivo è probabilmente lo strumento concorsuale più noto e utilizzato per risolvere una crisi d’impresa grave evitando la liquidazione giudiziale. Si tratta di una procedura giudiziaria vera e propria, caratterizzata dall’intervento del tribunale e dal coinvolgimento collettivo di tutti i creditori in un voto sulla proposta dell’imprenditore. A differenza del piano attestato o dell’accordo 182-bis, qui il debitore sottopone la sua proposta in modo trasparente a tutto il ceto creditorio, suddividendo eventualmente i creditori in classi omogenee, e vincolando anche i dissenzienti se si raggiungono le maggioranze di legge. Vediamo i punti essenziali, specialmente alla luce delle novità introdotte con il Codice della Crisi e i correttivi del 2022-2024.
Tipologie di concordato: Il CCII distingue principalmente due tipologie: – il concordato in continuità aziendale (art. 84 co.2 CCII), dove è prevista la prosecuzione dell’attività d’impresa (in forma diretta, cioè la stessa azienda prosegue, oppure indiretta, ad esempio tramite affitto o cessione dell’azienda a un soggetto terzo che la continui) ; – il concordato liquidatorio, in cui invece l’impresa viene sostanzialmente smantellata e i beni liquidati a beneficio dei creditori.
Nel concordato in continuità l’obiettivo è il risanamento dell’impresa e la soddisfazione dei creditori nel tempo con i proventi dell’attività (integrati eventualmente da finanza esterna); nel concordato liquidatorio, l’obiettivo è evitare il fallimento gestendo la liquidazione in modo ordinato e distribuendo il ricavato secondo una proposta. La legge oggi incentiva nettamente la continuità: ad esempio, nel concordato liquidatorio puro è richiesto che ai creditori chirografari sia garantito un minimo del 20% di soddisfazione (salvo eccezioni) per poter omologare, mentre in quello in continuità tale soglia minima scende al 10% . Inoltre, nel concordato liquidatorio è obbligatorio apportare risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori (il cosiddetto beneficio apprezzabile, per evitare concordati liquidatori “pigri” in cui il debitore liquida semplicemente quello che avrebbe liquidato un curatore). Questi paletti servono a evitare abusi: in passato concordati con pagamento irrisorio ai creditori servivano solo a evitare le conseguenze del fallimento per il debitore, ora non sono più ammessi se non c’è un vantaggio concreto per i creditori rispetto alla liquidazione giudiziale.
La procedura di concordato passo-passo: 1. Il debitore presenta al tribunale una domanda di concordato, che può essere completa di piano, oppure “con riserva” (c.d. concordato in bianco o prenotativo, ex art. 44 CCII). Quest’ultima modalità è molto usata per guadagnare tempo: il debitore deposita un ricorso essenziale manifestando l’intenzione di proporre concordato e chiedendo un termine (da 60 a 120 giorni, prorogabile) per depositare piano e proposta dettagliata . Effetto immediato: dal momento del deposito della domanda (anche in bianco), i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore ; eventuali procedure già avviate rimangono congelate. Questa “ombrella protettiva” scatta in automatico per legge, ma va formalmente comunicata ai creditori procedenti perché i singoli tribunali emanino i provvedimenti di sospensione. La Cassazione ha comunque chiarito che l’apertura di un concordato non impedisce al Fisco di accertare e iscrivere a ruolo i propri crediti tributari (non esecutare, ma accertare sì) per poi partecipare alla procedura . 2. Il tribunale, ricevuta la domanda, nomina un commissario giudiziale (se la domanda è completa; se è “in bianco”, la nomina avviene dopo, quando ammette alla procedura all’atto del deposito del piano) e fissa un termine per presentare il piano se non c’è già. Il commissario è un professionista indipendente (spesso un commercialista esperto in crisi) che avrà il compito di vigilare sull’operato del debitore durante la procedura e di redigere una relazione per i creditori sulla fattibilità del piano. 3. L’imprenditore, con l’ausilio di consulenti, prepara il piano concordatario e la proposta: il piano è il documento tecnico che descrive lo stato dell’azienda, le cause della crisi, e soprattutto le modalità con cui si intende soddisfare i creditori (ad es. quali beni saranno venduti, quali eventuali nuovi finanziamenti arriveranno, il trattamento proposto per ogni classe di creditori, ecc.). La proposta invece è l’atto giuridico in cui il debitore chiede ai creditori di accettare una certa quantità e modalità di pagamento a saldo dei loro crediti (es: “vi pago il 40% in 5 anni, ai privilegiati do il 100% in 2 anni”, etc.). Il piano deve essere corredato da una relazione di un attestatore indipendente (simile al piano attestato) che confermi la veridicità dei dati e la fattibilità del piano (art. 87 CCII). Inoltre va indicato il valore di liquidazione alternativa: cosa otterrebbero i creditori in caso di fallimento, per poter giudicare la convenienza del concordato. 4. Una volta depositato piano e documenti, il tribunale fa una prima verifica di ammissibilità (controllo formale e di legalità: ad es. verifica che la proposta non sia inferiore al minimo 20% se liquidatoria, che siano stati depositati almeno il 10% dei crediti in caso di concordato in bianco a titolo di cauzione spese, ecc.). Se tutto è in regola, ammette l’azienda al concordato e convoca i creditori per il voto (fissando l’adunanza). 5. Nel frattempo, il commissario notifica ai creditori la proposta e raccoglie le dichiarazioni di credito. I creditori possono presentare osservazioni, contestare l’ammontare del loro credito se difforme, ecc. Possono anche formulare proposte concorrenti (nelle grandi imprese, creditori rappresentanti almeno il 10% dei crediti possono proporre un concordato alternativo). 6. All’adunanza o via voto scritto successivo, i creditori votano. Serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (>50%). Se ci sono classi, serve anche che la maggioranza delle classi approvi (ma col correttivo 2024 è stato introdotto un meccanismo di cross-class cram-down: il tribunale può omologare ugualmente un concordato nonostante il voto contrario di una classe dissenziente, purché la maggioranza delle classi abbia votato sì e siano rispettati i criteri di trattamento equo e migliorativo rispetto alla liquidazione per la classe contraria) . Questo evita che una classe minoritaria “tenga in ostaggio” il processo. 7. Se i creditori approvano (o anche in caso di mancata approvazione di misura marginale, talora il tribunale può supplire col cram-down), si passa all’omologazione: il tribunale verifica che tutte le norme siano state rispettate (nessun creditore trattato in modo deteriore rispetto ai pari grado, assenza di atti in frode – su cui il commissario riferisce: se il debitore ha compiuto atti dolosi in danno creditori, il tribunale rigetta l’omologa ). Se tutto è a posto, emette decreto di omologa che rende vincolante il concordato. 8. Da quel momento, il debitore deve eseguire il piano sotto la vigilanza di un liquidatore o commissario (a seconda se c’è liquidazione di beni o continuità). A esecuzione ultimata, l’impresa è liberata dai debiti pregressi secondo le modalità del piano.
Dal punto di vista del difendersi, il concordato preventivo è l’arma legale più potente nelle mani del debitore onesto per evitare il tracollo: appena presentata la domanda si ottiene un immediato “scudo” contro i creditori impazienti (nessuno può pignorare o iscrivere ipoteca da quel momento) . Ciò consente all’imprenditore di concentrarsi sul piano senza vedere i beni aziendali smembrati da esecuzioni individuali. Inoltre, consente di imporre sacrifici a tutti i creditori in modo equo: ad esempio, se la maggioranza accetta un pagamento al 40%, anche la minoranza dovrà adeguarsi, uscendo dalla procedura con una riduzione forzata del credito. È dunque uno strumento fortemente invasivo ma necessario quando la ristrutturazione richiede di coinvolgere e legare tutti i creditori.
Un aspetto da tenere presente è che durante il concordato l’impresa opera in uno stato di “congelamento controllato”: può proseguire l’attività sotto la propria gestione (specie se è un concordato in continuità), ma con l’obbligo di mantenersi in buona fede e correttezza. Non può pagare vecchi debiti se non autorizzato (c’è il divieto di pagare crediti anteriori, art. 100 CCII, per non alterare le par condicio) , né contrarre nuovi debiti se non funzionali all’esercizio interinale autorizzato. Alcuni atti, come la vendita di beni oltre l’ordinario, l’assunzione di finanziamenti prededucibili, ecc., richiedono autorizzazione del tribunale su parere del commissario . La giurisprudenza recente ha rimarcato che il debitore in concordato deve agire con trasparenza: se viola i doveri di leale collaborazione o compie atti in frode (ad es. sottrae beni o favorisce occultamente taluni creditori), il tribunale può revocare la procedura o non omologarla . Il Tribunale di Firenze (sentenza 08/01/2025) ha distinto la violazione di buona fede dagli atti in frode ex art. 106 CCII, ma in ogni caso comportamenti sleali possono pregiudicare la conferma del concordato . Insomma, il concordato impone disciplina all’imprenditore: in cambio della protezione, pretende correttezza.
Costi e durata: Il concordato non è una passeggiata. È una procedura costosa (bisogna considerare le spese legali, il compenso del commissario, eventualmente del liquidatore, e i costi di giustizia) e relativamente lunga – spesso 1-2 anni tra presentazione e omologa, più il tempo di esecuzione del piano. Dunque, va intrapreso quando c’è una reale prospettiva di soluzione e come alternativa preferibile al fallimento. Se un concordato fallisce (ad esempio perché non viene omologato o perché i creditori lo bocciano e non ci sono alternative), si finirà quasi inevitabilmente in liquidazione giudiziale. Di qui l’importanza di prepararlo bene: controllare con scrupolo che la proposta sia appetibile abbastanza per i creditori (spesso occorre offrire più di quanto riceverebbero in fallimento, magari grazie a un investimento esterno o alla promessa di continuità che mantenga il valore dell’azienda going concern). Le riforme del 2024 hanno apportato aggiustamenti tecnici, ad esempio aumentando la flessibilità della domanda “prenotativa” (ora l’art. 44 CCII consente di allegare meno documenti inizialmente e prevede la possibilità di ottenere proroghe aggiuntive con maggior elasticità, per preparare il piano) . Inoltre è stato disciplinato meglio il cram-down interclassi e la possibilità di trattamento differenziato dei crediti, allineando la normativa alle indicazioni UE di facilitare i restructuring anche contro una minoranza dissenziente . Ad esempio, il concetto di fairness e best interest of creditors è stato rafforzato: un concordato può essere omologato malgrado il no di una classe se i creditori di quella classe riceveranno almeno quanto riceverebbero in liquidazione e non vengono discriminati ingiustamente.
Dal punto di vista del debitore indebitato, il concordato preventivo è sia un riparo sia un atto di coraggio: offre rifugio dal caos delle aggressioni individuali e la chance di scrivere il proprio destino (proponendo come sistemare i debiti), ma espone a un giudizio collettivo dove bisogna convincere molti soggetti della bontà della proposta. In pratica, quando l’azienda di ancoraggi meccanici ha debiti insostenibili e i creditori sono troppi per accordi informali, la via del concordato può salvare l’attività (magari cedendola a un investitore disposto a rilevarla nel contesto concordatario) o quantomeno garantire una liquidazione più dignitosa. È fondamentale farsi assistere da professionisti esperti nel predisporre la domanda e il piano, per rispettare tutti i requisiti formali ed evitare cause di inammissibilità.
Concordato minore (procedura di sovraindebitamento)
Il concordato minore è una variante semplificata del concordato pensata per i piccoli imprenditori non soggetti a fallimento (ad esempio, imprenditori commerciali sotto i limiti dimensionali previsti, imprenditori agricoli, start-up innovative, ecc.) e per altre categorie di debitori civili. È disciplinato dagli artt. 74 e seguenti CCII e deriva dalla vecchia figura dell’“accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento” della L. 3/2012. Il concordato minore funziona in modo simile al concordato preventivo: c’è un piano, una proposta ai creditori e un voto. Tuttavia, presenta alcune semplificazioni: – Si svolge di fronte al tribunale competente per il sovraindebitamento (spesso sezioni o collegi dedicati). – Interessa soggetti che non potevano essere dichiarati falliti (ora “liquidati giudizialmente”), quindi di norma volumi di debiti più contenuti. – Le maggioranze richieste e le regole di omologazione possono essere leggermente più flessibili. Ad esempio, talvolta il giudice può omologare il concordato minore anche senza voto se ritiene che il credito dei dissenzienti non venga pregiudicato e il debitore meriti l’esdebitazione (questo avviene soprattutto per i consumatori, che nel CCII hanno un istituto dedicato chiamato “piano del consumatore”, non oggetto di questa guida focalizzata su azienda). Una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 22699/2023) ha affrontato proprio il tema della possibile sovrapposizione tra il piano del consumatore e il concordato minore per un imprenditore sotto soglia, delineando i confini applicativi . – Non è prevista la figura del commissario giudiziale, ma un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) o un gestore nominato, che assiste il debitore e riferisce al giudice.
Per un imprenditore, il concordato minore è rilevante se la sua impresa di fatto era di piccole dimensioni (pensiamo a un artigiano o un commerciante con pochi dipendenti, come talvolta può essere anche un produttore locale di componenti meccanici). In tal caso, se sopraffatto dai debiti, può ricorrere a questa procedura per proporre ai creditori un pagamento parziale e venire esdebitato. Dal punto di vista pratico, la differenza rispetto a un concordato “grande” la percepiranno soprattutto i creditori (meno formalità, crediti a volte non tutti accertati col rigore del passivo fallimentare) e i costi inferiori. Per l’imprenditore-donald, l’effetto di protezione è lo stesso: anche la domanda di concordato minore comporta il blocco immediato delle azioni esecutive e la sospensione degli interessi, analogamente al concordato preventivo.
Va detto che, se un’azienda di ancoraggi meccanici è gestita in forma di società di capitali (anche piccola), non rientra nel sovraindebitamento: il CCII adesso estende la soglia di assoggettabilità praticamente a tutte le società commerciali (non esistono più limiti di fallibilità per le società, che sono sempre soggette a liquidazione giudiziale se insolventi). Il concordato minore riguarda piuttosto ditte individuali o società persone che, per modestia dei numeri, prima non fallivano. Dunque, in questa guida lo menzioniamo per completezza, ma l’attenzione rimane sugli strumenti destinati alle imprese commerciali mediane e grandi.
Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021 e artt. 12-25 CCII)
La composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa è uno strumento introdotto di recente (dal Decreto Legge 118/2021, convertito in L. 147/2021, e poi confluito nel Codice della Crisi agli artt. 12-25) che segna un cambiamento di prospettiva: si tratta di una procedura volontaria e confidenziale, finalizzata a favorire la negoziazione assistita tra l’imprenditore in difficoltà e i suoi creditori, con l’aiuto di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio . La composizione negoziata (CNC) non è concorsuale – l’azienda non viene dichiarata insolvente, non c’è spossessamento né un giudice che la dirige – ma opera quasi in parallelo al mercato, con un terzo neutrale (l’esperto) che media e consiglia le parti.
Come funziona in breve: l’imprenditore che rileva uno stato di squilibrio economico finanziario (potenziale crisi) può presentare un’istanza tramite piattaforma telematica nazionale delle Camere di Commercio. Deve allegare informazioni di base sull’azienda (dati contabili, una prospettiva di piano, ecc.). Un’apposita commissione nomina un esperto, scelto fra professionisti qualificati in materia di crisi. Esperto e imprenditore si incontrano e, se dalle prime analisi risulta che l’impresa ha prospettive di risanamento (anche non certe ma possibili), firmano un protocollo di composizione negoziata. Da quel momento l’esperto guida (ma non dirige) le trattative: convoca i creditori, analizza con l’imprenditore le proposte, suggerisce soluzioni. Tutto si svolge in maniera riservata (i terzi non sono informati dell’attivazione della procedura, a meno che l’imprenditore non chieda misure protettive al tribunale, come vedremo). L’esperto redige relazioni periodiche sullo stato delle negoziazioni.
La durata ordinaria della composizione negoziata è di 3 mesi, prorogabili di altri 3 (quindi 6 mesi in totale). Se al termine si raggiunge un accordo, la procedura si chiude con esito positivo; se non si raggiunge, l’esperto lo dichiara. In qualsiasi momento, l’imprenditore può comunque decidere di interrompere.
Gli esiti possibili di una composizione negoziata positiva sono vari: – Un contratto o più accordi bilaterali con i creditori (es. accordo di moratoria, accordo di ristrutturazione dei debiti assistito dall’esperto, che però non è soggetto a omologazione se non si vuole). Ad esempio, l’imprenditore potrebbe spuntare nuovi termini di pagamento, riduzioni di importo, oppure la cessione di rami d’azienda a soggetti terzi per fare cassa, il tutto consensualmente. – Un piano attestato di risanamento: l’esperto aiuta a predisporlo e magari ad ottenere l’adesione dei creditori. – Un accordo di ristrutturazione formale (182-bis): l’esperto può facilitare la raccolta delle firme necessarie e poi si procede all’omologa in tribunale. Il CCII incoraggia questo: se l’accordo segue la CNC, come detto, la soglia si riduce al 30%. – Un concordato preventivo: se emerge che serve coinvolgere tutti e qualche creditore non collabora, l’esito può essere il deposito di un concordato “preparato” con l’aiuto dell’esperto. – Oppure, se non c’è nulla da fare, l’esito può essere la liquidazione: in tal caso, il legislatore ha introdotto il concordato semplificato (art. 25-sexies CCII) in cui, senza voto dei creditori, l’imprenditore propone al tribunale la liquidazione del patrimonio sulla base di quanto emerso nelle trattative .
Un punto cruciale: durante la CNC l’imprenditore rimane al comando al 100%. Non c’è commissario, l’esperto non ha poteri decisori (può solo fare raccomandazioni, ad esempio può segnalare al tribunale eventuali atti pregiudizievoli compiuti dal debitore per chiederne la sospensione, ma non può impedirli direttamente). Questo tutela la continuità aziendale: l’impresa non subisce lo shock reputazionale di un commissariamento e può continuare ad operare normalmente. Tuttavia, per evitare comportamenti opportunistici del debitore, la legge prevede che certi atti straordinari compiuti durante le trattative siano soggetti ad autorizzazione del tribunale su parere dell’esperto (art. 21 CCII): vendite fuori dall’ordinaria amministrazione, ipoteche su beni, pagamenti anticipati di crediti anteriori… Se fatti senza autorizzazione, potrebbero essere revocati o causare la fine della procedura.
Dal lato difesa dai creditori, la CNC offre uno strumento prezioso: la possibilità di chiedere al tribunale le misure protettive. L’imprenditore può infatti depositare in tribunale (anche telematicamente) l’istanza di misure protettive, allegando una sintetica relazione dell’esperto. Il tribunale, valutato che la richiesta non è manifestamente abusiva, emette decreto che vieta ai creditori per un certo periodo di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari, e sospende eventuali obblighi di ricapitalizzazione per perdite (art. 18 CCII). Queste protezioni durano inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili fino a massimo 12 mesi in casi eccezionali . Ad esempio, se un creditore aveva presentato istanza di fallimento, il debitore in CNC può chiedere al giudice di rinviare l’udienza prefallimentare proprio per tentare la composizione: tuttavia, la Cassazione ha chiarito che ciò non avviene in automatico – se il debitore non segnala subito al giudice fallimentare di aver attivato la CNC e non dimostra un concreto pregiudizio dalla dichiarazione di insolvenza, il fallimento può essere dichiarato lo stesso anche durante la composizione . Questo a dire che l’imprenditore deve essere tempestivo nel sollevare lo scudo protettivo.
Uno svantaggio potenziale della CNC era, nella sua versione iniziale, l’impossibilità di falcidiare i crediti pubblici senza passare da un concordato: durante la composizione negoziata, se l’Erario avesse enormi pretese, l’impresa poteva solo trattare di pagarle a rate o con interessi ridotti, ma non di stralciarle se non ricorrendo poi al concordato o accordo. Novità del 2024: il terzo correttivo (D.Lgs. 136/2024) ha introdotto espressamente la transazione fiscale nella composizione negoziata . Inserendo un comma 2-bis all’art. 23 CCII, ora l’imprenditore in CNC può proporre direttamente all’Agenzia delle Entrate un accordo per il pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari e contributivi, senza dover aprire una procedura concorsuale formale. In pratica, se il Fisco accetta, quell’accordo transattivo (che va approvato secondo le procedure interne dell’AdE, ad es. se prevede un taglio consistente deve avere doppio livello di autorizzazione interna) entra a far parte della soluzione negoziata . Ciò colma un vuoto: prima, imprese in CNC che avevano bisogno di ridurre l’IVA o altre imposte dovevano per forza rifugiarsi in un concordato con transazione fiscale. Ora è possibile farlo in via amministrativa. Da notare che questo vale per i tributi erariali e contributi INPS; rimangono invece esclusi i tributi locali (IMU, TARI ecc.), che al momento (2025) non possono essere oggetto di transazione fiscale in CNC perché la norma parla solo di debiti “affidati alle Agenzie fiscali” . Quindi, ad esempio, l’IMU verso un Comune resta da pagare integralmente salvo accordo col Comune fuori da questo schema.
La CNC prevede anche “premi” fiscali per chi la utilizza. L’art. 25-bis CCII introduce misure premiali quali: – riduzione al tasso legale degli interessi che maturano sui debiti fiscali durante la procedura; – dimezzamento delle sanzioni e interessi sui debiti fiscali pregressi se poi il debitore rispetta gli accordi ; – possibilità di chiedere dilazioni fino a 120 rate mensili (10 anni) per i debiti tributari non ancora affidati all’agente della riscossione ; – agevolazioni su plusvalenze tassabili derivanti dalla cessione di beni nel contesto della ristrutturazione, ecc.
Queste agevolazioni fiscali sono pensate per incentivare l’imprenditore a non aspettare l’ultimo istante: se accedi alla CNC prima che il fisco ti iscriva a ruolo e ti pignori, hai più chance e sconti.
Dal punto di vista pratico-difensivo, la composizione negoziata è uno strumento molto interessante: consente di “parare i colpi” dei creditori (grazie alle misure protettive) senza dichiarare formalmente insolvenza, e al tempo stesso di trattare con loro in modo ordinato con la guida di un arbitro imparziale. L’esperto, infatti, è utile anche per dare credibilità alle proposte del debitore verso i creditori: può redigere una relazione finale in cui, ad esempio, afferma che l’accordo proposto dal debitore è equo e conveniente per i creditori rispetto all’alternativa del fallimento, e questo convincere l’ultimo scettico a firmare. Oppure, se ritiene le istanze del creditore eccessive, può mediare trovando un punto di equilibrio.
Non di rado, la CNC viene utilizzata anche per favorire operazioni di M&A in crisi: l’esperto può aiutare l’imprenditore a individuare un investitore interessato a ricapitalizzare o acquistare l’azienda. In composizione negoziata si possono anche cedere gli asset aziendali, purché il tribunale autorizzi e attraverso procedure competitive per garantire il miglior prezzo . Tribunali come Modena, Parma, Perugia hanno sviluppato prassi per la vendita in CNC: di solito si pubblica un avviso per raccogliere offerte e si fa una mini-gara . Ciò consente magari di vendere l’azienda “libera da debiti” a un terzo, e poi usare il ricavato per pagare i creditori secondo un accordo. Questo scenario può salvare i posti di lavoro e il know-how industriale, realizzando una continuità indiretta (azienda trasferita e prosegue altrove). Va però sottolineato che la composizione negoziata non è pensata per liquidare fin da subito: se l’intento sin dall’inizio è solo liquidatorio, i giudici tendono a negare le misure protettive, perché la CNC è finalizzata al risanamento. In varie decisioni (Tribunale di Verona 2024; Tribunale di Bologna 30/04/2025) si è affermato che la composizione negoziata non può essere usata per prendere tempo in vista di un concordato semplificato liquidatorio: se già all’ingresso non c’è alcuna prospettiva di continuità, le misure protettive vanno negate .
Riassumendo, la composizione negoziata è diventata, con gli ultimi ritocchi normativi, uno strumento molto completo: – Protegge l’impresa dalle aggressioni mentre cerca accordi (difesa passiva). – Favorisce la ricerca di soluzioni di risanamento volontarie (difesa attiva e offensiva, nel senso di ristrutturazione). – Premia fiscalmente chi la sceglie tempestivamente. – Non pregiudica eventuali passi successivi: se funziona, bene, altrimenti si può comunque accedere ai concordati o alla liquidazione semplificata con un aggravio di procedure relativamente contenuto.
Dal punto di vista culturale, segna il passaggio da un approccio “punitivo” del fallimento a uno “contrattuale” di soluzione della crisi in via privata, sotto l’egida pubblica solo quanto serve. Per l’imprenditore, questo può significare la differenza tra perdere completamente l’azienda sotto la scure di un fallimento, o invece salvarla attraverso il dialogo e qualche sacrificio condiviso.
Concordato semplificato per la liquidazione (art. 25-sexies CCII)
Abbiamo accennato a questo strumento come exit strategy della composizione negoziata fallita. Il concordato semplificato è un caso particolare di concordato preventivo senza voto dei creditori. È attivabile soltanto se ricorrono due condizioni: 1. L’imprenditore ha esperito una composizione negoziata ma senza successo nel risanare (l’esperto conclude che non si è trovato un accordo); 2. L’impresa è insolvente e dunque andrebbe altrimenti in liquidazione giudiziale.
In tale scenario, per evitare il fallimento immediato, il debitore entro 60 giorni dalla conclusione della CNC può presentare al tribunale una proposta di concordato semplificato con finalità di liquidazione . La proposta deve prevedere la liquidazione di tutto il patrimonio e la distribuzione del ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione (a meno che alcuni creditori non acconsentano a diversa distribuzione). Non essendoci voto, i creditori possono solo eventualmente presentare opposizione all’omologa se ritengono che la proposta li danneggi. Il tribunale valuta e, se la ritiene conveniente e regolare, omologa il concordato nonostante il dissenso dei creditori. Si tratta dunque di una procedura molto drastica: di fatto il giudice può imporre ai creditori un piano liquidatorio.
Nella pratica, il concordato semplificato viene concepito per quei casi in cui l’esperto CNC ha individuato magari un acquirente disposto a comprare l’azienda o certi beni a un certo prezzo (quindi c’è un valore da realizzare superiore a quello che si avrebbe in fallimento rapido), però non c’è tempo o modo di ottenere un concordato tradizionale. Allora il debitore propone questo concordato “forzoso”: vende al meglio dei casi individuati e distribuisce il ricavato. I creditori ricevono in sostanza lo stesso che riceverebbero dal fallimento, se non di più, con il vantaggio di risparmiare tempo e costi. La Cassazione (sent. n. 9549/2025) ha chiarito alcuni punti, ad esempio che nel concordato semplificato, a differenza del concordato preventivo ordinario, non è necessaria l’approvazione dei creditori privilegiati per eventuali moratorie di pagamento oltre un anno o riduzioni concordate (tanto non votano) .
Per l’imprenditore-debitore, il beneficio di questa procedura è di evitare le conseguenze del fallimento: ad esempio, evita le pene accessorie (come l’inabilitazione all’attività d’impresa per alcuni anni), evita lo stigma di essere dichiarato fallito e chiudere in modo traumatico, ed è in grado di concludere la vicenda più rapidamente. Inoltre, può eventualmente contrattare egli stesso la cessione di beni in condizioni migliori (a volte nei fallimenti le aste al ribasso svalutano molto gli asset). L’esperto CNC di norma sarà molto utile nel predisporre questa fase, infatti spesso allega una relazione alla domanda di concordato semplificato per spiegare gli esiti delle trattative e perché la proposta è la migliore per i creditori.
Dal lato dei creditori, chiaramente il concordato semplificato non è visto di buon occhio perché li esautora del diritto di voto. Per questo, i tribunali applicano un vaglio rigoroso: ammettono l’omologa solo se è evidente che la via proposta è vantaggiosa e che i creditori non subirebbero pregiudizio rispetto all’alternativa (che sarebbe far fallire l’impresa).
In definitiva, come difesa estrema, il concordato semplificato consente al debitore in crisi irreversibile di pilotare un atterraggio controllato anziché subire un abbattimento: se sa di dover chiudere, può almeno chiudere a modo suo, vendendo dignitosamente e togliendosi di dosso i debiti. Non è una strategia che salva l’azienda (che infatti viene liquidata), ma può salvare l’imprenditore da guai peggiori e fornire una miglior soddisfazione ai creditori rispetto al default. È una possibilità riservata a chi ha quantomeno provato a risanare con la CNC – quindi un premio per il comportamento diligente del debitore che non ha lasciato correre fino al fallimento.
Liquidazione giudiziale e esdebitazione finale
Se nessuno degli strumenti di cui sopra va in porto, resta la liquidazione giudiziale (il vecchio “fallimento”). Dal punto di vista del debitore, subire una liquidazione giudiziale significa perdere la gestione dell’impresa e vedere i propri beni liquidati da un curatore. Tuttavia, per completezza, va detto che l’ordinamento oggi offre ai debitori persone fisiche (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile) la possibilità di ottenere l’esdebitazione dopo la chiusura della procedura. L’esdebitazione (artt. 278-279 CCII) è la cancellazione dei debiti residui non soddisfatti in fallimento, concessa dal tribunale a quei debitori che hanno cooperato e non hanno commesso irregolarità gravi. È un istituto di fresh start introdotto già dal 2006 e ora rafforzato: in pratica, dopo il fallimento, l’ex imprenditore persona fisica può ripartire da zero senza lo strascico dei vecchi debiti (salvo quelli non liberabili per legge, ad es. debiti alimentari, risarcimenti da illecito extracontrattuale e poche eccezioni).
Per i soci di società di capitali, invece, la liquidazione giudiziale della società non li esonera dalle garanzie personali prestate, quindi quelli restano obbligati; però se anch’essi falliscono come persone fisiche (in caso di soci illimitati, fallimento esteso; in caso di fideiussori, potrebbero attivare procedure di sovraindebitamento personali) potrebbero cercare vie di esdebitazione.
In ogni caso, come obiettivo primario, l’imprenditore indebitato preferisce quasi sempre evitare la liquidazione giudiziale, utilizzando gli strumenti illustrati che, sebbene non privi di sacrifici, consentono un maggiore controllo dell’esito e spesso esiti migliori anche per i creditori. Statistiche recenti mostrano un crescente utilizzo di concordati preventivi e accordi, specie dopo la pandemia: nel primo semestre 2025, ad esempio, si è visto un aumento del 4,3% dei concordati rispetto al 2024 , segno che le imprese ricorrono di più a strumenti di risanamento; parallelamente, la composizione negoziata sta prendendo piede con numeri in crescita (in Lombardia +87% istanze nel 2024 rispetto al 2023) . Questo trend indica che difendersi attraverso le procedure di crisi sta diventando prassi più frequente e accettata, anche grazie alle evoluzioni normative che abbiamo descritto.
Gestione dei debiti tributari e contributivi
Una parte cruciale della strategia difensiva per un’azienda indebitata riguarda i debiti verso il Fisco (Erario) e gli enti previdenziali (INPS, INAIL). Questi debiti, infatti, presentano particolarità importanti: – Gli enti pubblici hanno poteri di riscossione forzata molto efficaci (attraverso l’Agenzia Entrate Riscossione, ex Equitalia, che può agire con ingiunzioni, ipoteche, fermi amministrativi, pignoramenti senza dover passare dal tribunale). – Spesso godono di privilegi sui beni del debitore (ad esempio, l’IVA e le ritenute hanno privilegio generale mobiliare, i contributi INPS pure, e alcune imposte locali come l’IMU hanno privilegi speciali sugli immobili). – Come visto, certi omessi pagamenti hanno risvolti penali sopra soglie di legge. – Inoltre, la posizione fiscale e contributiva dell’azienda incide su aspetti come il rilascio del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva), necessario per partecipare ad appalti pubblici o ottenere alcuni pagamenti.
Debiti fiscali (Erario): Comprendono imposte dirette (IRES/IRPEF), indirette (IVA, imposta di registro, ecc.), ritenute d’acconto non versate, addizionali, ecc. Il loro recupero avviene tramite cartelle di pagamento emesse da Agenzia Entrate Riscossione (AER) o accertamenti esecutivi. Quando un’azienda non paga le imposte dichiarate (ad esempio IVA a debito risultante dalla dichiarazione annuale), dopo 30 giorni di ritardo quella somma può essere iscritta a ruolo e affidata ad AER, che notifica la cartella. Se trascorrono 60 giorni senza pagamento o richiesta di rateazione, la cartella diventa definitiva e l’agente può procedere con misure come: – Fermo amministrativo di beni mobili registrati (blocca veicoli dal circolare). – Ipoteca sugli immobili del debitore (per debiti sopra €20.000). – Pignoramento dei conti correnti (anche “pignoramento diretto presso terzi” sui crediti che l’azienda vanta verso clienti). – Pignoramento immobiliare (per debiti rilevanti e se non si attiva la rateazione).
Per difendersi da queste azioni, l’azienda ha varie opzioni: 1. Rateizzazione ordinaria delle cartelle: Il debitore può presentare domanda di dilazione ad AER. Attualmente (anche in seguito a misure per la pandemia e crisi) la normativa consente: – Per debiti fino a €120.000, la rateazione è concessa in modo automatico fino a 72 rate mensili (6 anni) su semplice richiesta motivata di temporanea difficoltà . Non serve fornire prova dettagliata. – Per importi oltre €120.000, o per chiedere piani fino a 120 rate (10 anni), occorre documentare una situazione di grave e comprovata difficoltà economica . AER valuterà parametri di liquidità e solvibilità (per le ditte individuali c’è un indice basato sul rapporto rata/reddito). – Dal 2025 una novità (in corso di attuazione) è l’innalzamento a 120 rate anche per importi inferiori: in base a modifiche normative recenti, sembra si voglia consentire a tutti di arrivare fino a 10 anni di dilazione, abolendo la distinzione tra 72 e 120 rate per facilitare la tregua fiscale . In ogni caso, già ora in situazioni di comprovata crisi o calamitá, AER può concedere piani straordinari di 120 rate pure per importi non giganteschi. – La rateazione ha l’effetto di sospendere le procedure esecutive: una volta accettato il piano e pagata la prima rata, AER non potrà procedere con nuovi pignoramenti e deve congelare quelli avviati (salvo che abbiano già raggiunto ad esempio la fase di vendita immobiliare). Attenzione: se si decade dalla rateazione (perché non si pagano il numero di rate di tolleranza, attualmente 8 rate anche non consecutive possono far decadere), allora tutte le somme tornano esigibili e le azioni ripartono. Quindi, rateizzare dà respiro ma impegna a rispettare il piano. – Il tasso di interesse sulle rateazioni AER è oggigiorno attorno al 4-5% annuo (variabile, era 4,5% da settembre 2023) . – Per un’azienda in crisi, la rateazione fiscale è spesso la prima mossa difensiva: ad esempio, se ha €300k di cartelle, ottenere un 72 rate equivale a circa €4.100 al mese, una soglia magari sostenibile con un po’ di riorganizzazione.
- Definizioni agevolate (rottamazioni, stralci): Negli ultimi anni il legislatore è intervenuto varie volte con misure di “pace fiscale”. Ad esempio:
- La Rottamazione-quater (prevista dalla Legge di Bilancio 2023, L. 197/2022) ha permesso di estinguere i debiti iscritti a ruolo dal 2000 al 30 giugno 2022 pagando solo l’imposta e interessi legali, senza sanzioni né interessi di mora, e con possibilità di rateizzare in 18 rate fino al 2027 . Moltissime imprese hanno aderito entro il termine (30 giugno 2023). Chi non ha pagato le prime rate al 31/10/2023 è decaduto, ma è stato previsto che si può chiedere la riammissione entro il 30/04/2025 pagando entro quella data le rate scadute .
- Lo Stralcio dei mini-debiti: la stessa legge ha disposto l’annullamento automatico dei debiti fino a €1.000 affidati dal 2000 al 2015, avvenuto al 31 marzo 2023 . Non è una scelta del debitore, è avvenuto d’ufficio: quindi piccole pendenze si sono cancellate da sole.
- È allo studio (legge di bilancio 2024/2025) una Rottamazione-quinquies per i carichi 2000-2023, con pagamento in 9 anni senza sanzioni e interessi . Quindi è possibile che nuove finestre di definizione agevolata si aprano anche nei prossimi anni.
Per un’azienda indebitata, cogliere queste occasioni è essenziale: ad esempio la remissione di sanzioni e interessi può ridurre il debito fiscale del 30-50%. L’importante è restare informati e presentare domanda tempestivamente quando la norma lo consente. Va considerato che l’adesione a definizioni agevolate è incompatibile con il successivo inserimento di quei debiti in un concordato o accordo: se decidi di rottamare fuori dalle procedure, devi poi pagare secondo quelle scadenze (non puoi ad esempio poi chiederne la falcidia in un concordato). D’altro canto, se hai già un concordato in corso e arriva una rottamazione, di solito non puoi aderire a metà; il debito fiscale dovrà essere trattato nell’ambito del concordato stesso con transazione fiscale.
- Sospensive e impugnative: Se il debito fiscale è contestabile (magari è frutto di un avviso di accertamento che si ritiene infondato), l’impresa può impugnarlo in Commissione Tributaria. In tal caso, può chiedere la sospensione giudiziale dell’atto se il pagamento immediato le arreca danno grave. Se accordata, la riscossione è sospesa. Anche un semplice ricorso tributario contro una cartella per vizi formali a volte può ottenere la sospensione amministrativa da AER. Queste non sono soluzioni definitive, ma fanno parte degli strumenti difensivi: differiscono il pagamento in attesa di giudizio, tempo durante il quale si può pensare a un piano di ristrutturazione.
- Transazione fiscale (in procedure concorsuali): Come già spiegato nelle sezioni su accordi e concordato, attraverso l’istituto della transazione fiscale (art. 63 CCII per gli accordi, art. 88 CCII per il concordato) un’impresa in procedura può proporre al Fisco di accettare pagamenti parziali a saldo del credito tributario . Si possono includere anche i contributi previdenziali (INPS) sotto analoghe condizioni . Ci sono però regole:
- Non tutti i tributi sono falcidiabili a piacimento: l’IVA e le ritenute non versate, ad esempio, derivando da normative UE, possono essere falcidiate solo se viene offerto almeno l’equivalente di quanto otterrebbe in una liquidazione (questo vincolo è interpretato ora come generale per tutti i creditori, quindi rientra nel test di convenienza per omologa cram-down). In passato c’era dibattito se IVA potesse essere falcidiata: oggi sì, ma con giudizio di convenienza rigoroso .
- La transazione fiscale deve essere approvata dall’Amministrazione finanziaria secondo le sue procedure: tipicamente l’Agenzia Entrate decide entro 90 giorni. Se rifiuta e si è in concordato, il tribunale può comunque omologare se ritiene che il rifiuto è ingiustificato (cioè il piano dà al Fisco almeno quanto la liquidazione) .
- In composizione negoziata, come detto, dal settembre 2024 l’imprenditore può proporla all’AdE e, se approvata, quell’accordo fiscale entra a far parte degli accordi con i creditori .
La transazione fiscale è uno strumento potente perché può abbattere debiti fiscali che altrimenti strangolerebbero l’azienda. È però delicato politicamente: l’Agenzia delle Entrate valuta con attenzione ogni proposta di stralcio, in particolare se coinvolge tributi “sacri” come l’IVA (che l’impresa ha incassato dai clienti e non versato). In generale, si attende che il debitore dia qualche giustificazione (ad es. la continuità dell’azienda nel concordato porterà entrate fiscali future, oppure i soci mettono risorse fresche ma chiedono che lo Stato rinunci a sanzioni e interessi).
Un caso rilevante di giurisprudenza: Cassazione Sez. V civile 26951/2023 ha affermato che il Fisco può benissimo proseguire gli accertamenti e irrogare sanzioni per fatti pregressi anche se il contribuente è in concordato . Ciò significa che l’impresa non può usare il concordato come schermo per evitare di vedersi recapitare nuove cartelle per vecchie dichiarazioni infedeli: l’Erario quantifica comunque il suo credito (lo deve fare per poter partecipare al voto e al riparto). Le sanzioni tributarie, se anteriori all’apertura della procedura, confluiranno anch’esse nel passivo e potranno essere oggetto di transazione e falcidia. Sul piano penale, come già detto, l’istanza di concordato non estingue i reati di omesso versamento, ma pagare il dovuto prima della sentenza di primo grado sì (costituisce causa di non punibilità): perciò, se c’è ad esempio un’imposta non versata oltre soglia, l’imprenditore può inserire nel piano il pagamento integrale di quella parte per sfruttare l’esimente penale (la L. 157/2019 prevede che se il debito IVA o ritenute è pagato integralmente, anche tardivamente, il reato si estingue).
Debiti contributivi (INPS, INAIL): Riguardano i contributi obbligatori dovuti per i lavoratori dipendenti e autonomi, e i premi assicurativi INAIL. La gestione è simile al fisco sotto molti aspetti: – L’INPS emette tipicamente gli avvisi di addebito, titoli esecutivi immediati, per i contributi non versati; li affida poi all’Agenzia Riscossione (che li tratta come cartelle). – È possibile chiedere una rateazione amministrativa all’INPS prima che il debito vada in cartella: normalmente l’INPS concedeva fino a 24 rate mensili standard, ma in caso di difficoltà può autorizzare piani sino a 36 mesi con il nulla osta del Ministero del Lavoro (per debiti fino a 500k euro) . Ci sono indicazioni di portare fino a 60 rate dal 2025, semplificando le richieste . Ad esempio, un’azienda in crisi che ha saltato contributi per 100k potrebbe ottenere dall’INPS un pagamento in 3 anni, evitando sanzioni civili altissime (le sanzioni sui contributi omessi infatti maturano al 7-8% circa). – Una volta passato all’agente di riscossione, i contributi seguono le stesse regole delle cartelle fiscali (quindi si possono rateizzare via AER, includere nelle rottamazioni se previste, ecc.). – Transazione contributiva: nel contesto di un accordo o concordato, i crediti INPS/INAIL possono essere trattati anch’essi con falcidia analogamente a quelli fiscali (art. 63 CCII li accomuna). Anche qui, se l’ente rifiuta l’accordo, il giudice può superare il rifiuto se la proposta è più conveniente del fallimento . – Riguardo alle sanzioni civili per omesso versamento contributivo, va notato che spesso l’INPS accetta di rinunciarvi o ridurle in transazione, tenuto conto che in caso di fallimento sarebbero chirografarie e incasserebbe forse zero.
La problematica maggiore sui contributi è la perdita del DURC (regolarità contributiva): un’azienda con debiti INPS non in regola non ottiene il DURC, documento richiesto per partecipare a gare pubbliche, ottenere pagamenti da Pubbliche Amministrazioni (PA) e subappalti. Senza DURC, l’azienda può essere esclusa da cantieri e appalti – e per un produttore di ancoraggi ciò può significare perdere importanti commesse nell’edilizia pubblica. Quindi difendersi significa ripristinare il DURC: – Se si accede a una procedura concorsuale (es. concordato), la legge prevede che durante la procedura l’impresa può ottenere un DURC provvisorio se rispetta gli obblighi correnti. Ad esempio, nel concordato in continuità, il pagamento dilazionato dei debiti contributivi previsto dal piano non impedisce il rilascio del DURC per l’esecuzione dei contratti in corso, a patto di rispettare la percentuale dovuta nei termini del concordato (ci sono state interpretazioni giurisprudenziali contrastanti, ma tendenzialmente prevale la soluzione di consentire all’impresa in concordato di operare con DURC regolare). – Nella composizione negoziata, invece, c’è stato dibattito: alcuni tribunali (Milano, 2022) hanno negato che si possa ordinare all’INPS di rilasciare un DURC durante le trattative, perché la legge non lo prevede espressamente . Altri sono più flessibili. Dunque un’azienda in CNC potrebbe trovarsi con DURC irregolare fintanto che non si chiude la procedura con un accordo formalizzato. Questo è un limite da considerare. Una soluzione pratica è chiedere all’INPS una rateazione immediata dei contributi scaduti: un’azienda con rate INPS attive è considerata regolare e ottiene il DURC. Quindi, paradossalmente, può convenire attivare una rateazione (che poi sarà assorbita dall’accordo finale) solo per avere il DURC e poter continuare i lavori.
Sul fronte penale, come già ricordato, l’omesso versamento di contributi previdenziali trattenuti ai dipendenti oltre €10.000 annui è reato (punibile con arresto fino a 3 anni e multa); ma se il datore di lavoro provvede a pagare tutti i contributi dovuti (anche oltre i 10k) prima che il giudizio penale di primo grado sia concluso, il reato è estinto (causa di non punibilità introdotta nel 2015, per incentivare la regolarizzazione). Quindi, se l’imprenditore vuole evitare guai giudiziari, dovrà considerare in sede di piano il pagamento integrale quantomeno delle ritenute previdenziali dipendenti. Queste di solito sono una porzione dei debiti contributivi (circa un terzo, essendo il resto contributi a carico azienda).
In sintesi per Fisco e INPS: la difesa passa per: – Utilizzare gli istituti di dilazione e definizione agevolata per congelare e ridurre il debito. – Includere i debiti fiscali e contributivi in qualunque piano di ristrutturazione, valutando la transazione fiscale/contributiva per abbatterli legalmente con l’avallo del giudice. – Attenzione ai timing: se si prevede una rottamazione di legge, magari conviene attendere quella piuttosto che impiegare risorse scarse per pagare sanzioni. Viceversa, se serve il DURC subito, meglio rateizzare subito piuttosto che aspettare procedure lunghe. – Comunicare con gli enti: L’INPS ha servizi di richiesta DURC in compensazione (in caso di crediti verso PA, l’azienda può chiedere che quei crediti vengano usati per pagare i contributi e così liberare il DURC). L’Agenzia delle Entrate, se vede che l’azienda entra in procedura concorsuale, sospende le azioni esecutive per legge (sono atti soggetti alla disciplina concorsuale). – Non trascurare gli adempimenti correnti: un errore frequente è smettere di pagare anche le imposte correnti (IVA maturanda, ritenute in corso) durante la crisi. Questo aggrava la posizione. Meglio, se possibile, onorare il corrente e semmai trattare sul pregresso: ciò per non ampliare il buco e non incorrere in nuovi reati. Ad esempio, se l’IVA vecchia non l’hai versata ed è ormai debito, almeno l’IVA dell’anno in corso cerca di versarla, magari usando il plafond di eventuali crediti d’imposta o chiedendo un finanziamento ponte; così non aumenti l’esposizione erariale.
Concludendo questa sezione, debiti fiscali e contributivi possono essere quelli più spinosi ma anche quelli su cui normative speciali offrono vie di uscita (dilazioni straordinarie, rottamazioni, transazioni) di cui un’azienda in crisi dovrebbe assolutamente approfittare. Spesso, risolvere il nodo con l’Erario e l’INPS è la chiave per la ripartenza: tolte sanzioni e interessi, l’impresa può tornare a respirare e magari rinegoziare con più successo i debiti commerciali.
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito una serie di domande e risposte comuni che riassumono i punti essenziali e pratici per un imprenditore o un privato che affronti la crisi debitoria di un’azienda, in particolare nel contesto italiano e con riguardo agli strumenti legali trattati in questa guida.
Q: La mia azienda è sommersa dai debiti e non riesco a pagarli tutti. Quali sono i primi passi che dovrei fare per difendermi dai creditori?
A: Per prima cosa, mantieni la calma e analizza la situazione. Fai un elenco di tutti i debiti (banche, fornitori, Fisco, ecc.) e delle scadenze. Identifica i creditori più “pericolosi” (quelli che possono agire subito, ad esempio l’Agenzia Entrate Riscossione o banche con mutui scaduti) e quelli essenziali (fornitori senza i quali faresti fatica a lavorare). Poi, contatta attivamente i creditori principali: spiegare le difficoltà e chiedere tempo o proporre pagamenti parziali può spesso evitare che loro passino subito alle vie legali. Nel frattempo, proteggi la cassa: paga solo l’indispensabile per mandare avanti l’attività (stipendi, forniture critiche) e rinvia tutto il resto. Se un creditore ha già fatto un atto di pignoramento, valuta con un legale se c’è margine per un’opposizione o per una trattativa dell’ultimo minuto (es. proponi di pagare una parte subito in cambio della rinuncia al pignoramento). E soprattutto, cerca supporto professionale (un consulente di crisi o un legale esperto): i primi passi sono cruciali per non commettere errori (come pagare qualcuno in modo preferenziale rischiando poi una revocatoria). In breve: valutazione, comunicazione, priorità e aiuto esperto.
Q: La banca mi ha scritto che revocherà gli affidamenti e potrebbe escutere le fideiussioni personali che avevo firmato. Posso fare qualcosa per evitare di perdere la casa che avevo messo a garanzia?
A: Se hai firmato una fideiussione o ipoteca personale per il debito della tua azienda, la banca ha il diritto di agire anche sul tuo patrimonio personale (casa, conto corrente) se la società non paga. Per difenderti, hai alcune strade: negoziare con la banca è la prima (prova a proporre un piano di rientro sostenibile, magari vendendo volontariamente qualche altro asset per ridurre il debito, in cambio della rinuncia ad aggredire la casa). Spesso le banche preferiscono un accordo (ad esempio consolidare il debito su un piano più lungo) piuttosto che pignorare un immobile e affrontare una lunga esecuzione immobiliare. Se la situazione aziendale lo consente, potresti anche considerare di inserire il debito bancario in una procedura di ristrutturazione del debito: ad esempio un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione. Durante queste procedure, la banca non può escutere la garanzia e potete trattare sotto l’ombrello del tribunale. Certo, la fideiussione rende la banca un creditore “forte”, quindi nel piano dovrai riservarle un trattamento adeguato (spesso sono crediti privilegiati se c’è ipoteca). In extremis, se la banca pignora la casa, ricordati che hai ancora fino all’ultimo l’opportunità di salvare l’immobile pagando il debito (diritto di purgazione dell’ipoteca) o trovando un compratore che paghi il debito. Ma questa è l’ultima spiaggia. In sintesi: gioca d’anticipo con la banca e metti sul piatto una proposta seria di rientro, magari assistita da un professionista che certifichi la fattibilità . E se prevedi di avviare un concordato, fallo sapere subito alla banca: spesso la prospettiva che tutti i creditori vengano “congelati” spinge la banca a trattare più volentieri bilateralmente.
Q: Che differenza c’è tra un piano attestato, un accordo di ristrutturazione e un concordato preventivo? Sembrano tutti modi di fare accordi con i creditori, ma come scelgo l’uno o l’altro?
A: In effetti, sono tre strumenti diversi sulla “scala” delle soluzioni alla crisi: – Il piano attestato di risanamento è il più informale: niente tribunale, accordi privati con chi ci sta, e un esperto indipendente che “attesta” che il piano può funzionare. È rapido e riservato, ma non blocca i creditori che non vogliono aderire e richiede quindi abbastanza consenso spontaneo . – L’accordo di ristrutturazione dei debiti è a metà: è un accordo negoziato con alcuni creditori (almeno 60% dei crediti devono aderire) e poi viene omologato dal tribunale. Ha il vantaggio di poter bloccare temporaneamente le azioni esecutive mentre si formalizza , e di poter forzare in parte la mano ai dissenzienti (per esempio con il cram-down fiscale o estendendo l’accordo alle banche non firmatarie se la maggioranza di esse ha firmato). Però serve arrivare a quella maggioranza di consensi prima. – Il concordato preventivo è il più strutturato e potente: coinvolge tutti i creditori in una procedura giudiziaria. Si presenta un piano al tribunale, c’è un voto di tutti i creditori e se la maggioranza approva, il piano diventa vincolante per tutti . Offre la massima protezione (nessun creditore può chiamarsi fuori) ma è lungo e pubblico, e l’azienda opera sotto la vigilanza di un commissario.
In pratica: se hai pochi creditori e ragionevoli possibilità di convincerli uno a uno, il piano attestato è ottimo (meno costoso e niente stigma). Se hai più creditori, magari finanziari, ma riesci a farne accordare una buona parte in principio, l’accordo 182-bis ti dà l’effetto vincolante senza passare dal voto di tutti. Se invece i creditori sono tanti e disallineati, o ti serve assolutamente bloccarli da subito, il concordato è spesso l’unica via. Inoltre, se ti serve anche ristrutturare profondamente l’azienda (ad es. ridurre personale, dismettere rami), il concordato in continuità consente di farlo con più agilità e con il “paracadute” legale. Molte aziende iniziano tentando la via stragiudiziale (piano attestato), e se non basta passano a quella giudiziale. Una nota: oggi c’è anche la composizione negoziata, che è un passo iniziale ancora diverso – ti aiuta a negoziare con la supervisione di un esperto, e poi magari sfocia in uno dei tre strumenti di cui sopra. Insomma, la scelta dipende da quanto grave è la situazione e quanto cooperativi sono i creditori fin dall’inizio.
Q: Ho sentito parlare della composizione negoziata con l’esperto indipendente. In pratica, cosa fa questo esperto? È come un commissario? Devo temerlo?
A: L’esperto nella composizione negoziata non è un commissario come nel concordato. Non viene a gestire la tua azienda, la gestione resta a te al 100% . Pensa all’esperto più come a un mediatore o facilitatore, con in più competenze di ristrutturazione aziendale. Il suo ruolo è triplice: 1. Analizzare la tua situazione e individuare le cause della crisi e le possibili soluzioni. Spesso il primo passo con l’esperto è fare il punto su conti, debiti, contratti, ecc. L’esperto apporta uno sguardo esterno e qualificato – ad esempio potrebbe scoprire che vendendo un magazzino e riducendo certi costi l’azienda potrebbe salvarsi, o al contrario che senza un taglio drastico del debito bancario non c’è futuro. 2. Contattare e trattare con i creditori insieme a te. L’esperto convoca riunioni con i principali creditori, presenta magari un piano di massima per vedere se c’è apertura, raccoglie le loro esigenze e vincoli. Essendo un soggetto terzo nominato dalla Camera di Commercio, tende ad avere la fiducia anche dei creditori (più di quanta ne abbiano loro del debitore a volte). Può fare proposte neutrali: ad es. suggerire alla banca di concedere nuovi fidi garantiti da prededuzione, o al fornitore di accettare uno stralcio spiegando che così prende più che in un fallimento. 3. Vigilare sulla correttezza delle trattative. Se per esempio tu, debitore, iniziassi a fare il furbo – vendendo sottocosto beni senza avvisare i creditori, o favorendo un creditore a danno di altri – l’esperto deve segnalarlo. Può riferire al tribunale, che potrebbe revocare eventuali misure protettive o, in casi estremi, dichiarare lo stato di insolvenza. Ma se tu collabori in buona fede, l’esperto è un alleato. Addirittura, se arrivate a un accordo globale, l’esperto potrà scrivere una relazione finale positiva, utile poi se devi far omologare un accordo o un concordato. Al contrario, se la situazione è irrecuperabile, l’esperto lo dirà apertamente (il che evita di perdere altro tempo e magari ti indirizza subito verso una liquidazione semplificata evitando il fallimento).
In pratica, non devi temerlo come figura: è lì per aiutare sia te che i creditori a trovare un punto di incontro. Un buon approccio è essere trasparenti con l’esperto: dagli accesso a tutti i dati, spiegagli le tue preoccupazioni (es. “ho quest’ordine importante ma il fornitore non mi dà materiali per via dei debiti: come possiamo fare?”). Lui cercherà di trovare soluzioni (magari convincendo il fornitore a continuare a darti merce dietro pagamento in prededuzione autorizzato). Tieni presente che l’esperto deve essere indipendente, quindi non farà gli interessi esclusivi tuoi né dei creditori: cercherà un equilibrio. Alla fine, se seguendo i suoi consigli il risanamento riesce, accrediterai a lui (e alla scelta di aver fatto la composizione negoziata) il merito di aver salvato l’azienda. In caso contrario, almeno potrai dire di aver tentato un percorso virtuoso prima di arrenderti.
Q: La nostra s.r.l. ha debiti con il Fisco per IVA e ritenute non versate e siamo preoccupati per le conseguenze penali. Se attiviamo un concordato o un accordo e stralciamo parte di questi debiti, qualcuno rischia la galera?
A: Domanda importante. Sul lato penale: i reati di omesso versamento (IVA oltre 250k, ritenute oltre 150k) si riferiscono al fatto storico di non aver pagato quelle somme entro le scadenze di legge. Se voi avviate un concordato e prevedete di pagare, poniamo, il 30% dell’IVA dovuta, state comunque proponendo di non versare il 70% (anche se con l’ok dei creditori). Questo non estingue automaticamente il reato. Per la legge penale, se entro la dichiarazione annuale successiva (nel caso IVA) non avete versato, il reato si è consumato . Però esiste una via per evitare condanne: la norma prevede che se prima del dibattimento pagate integralmente il debito tributario, il reato di omesso versamento non è punibile. Significa che, ad esempio, se doveste riuscire a versare il 100% dell’IVA dovuta (magari utilizzando le risorse che il concordato destina a quel debito) prima che il processo penale arrivi a sentenza, evitate la condanna.
In un concordato preventivo, spesso si cerca di fare così: si propone ai creditori di falcidiare tanti debiti, ma l’IVA e le ritenute molto elevate vengono messe al pagamento integrale (magari dilazionato, ma integrale) proprio per permettere all’imprenditore di invocare la causa di non punibilità. Ad esempio, la Cassazione Penale ha affermato (sent. 9 luglio 2025 n. 30109) che l’ammissione alla composizione negoziata e l’attivazione delle misure protettive può essere un motivo per revocare un sequestro penale sui beni dell’imprenditore , perché dimostra che c’è un tentativo serio di soddisfare i crediti, ma non elimina l’illecito: semplicemente rimuove il “pericolo nel ritardo” giustificando la revoca del sequestro. Insomma, il procedimento penale potrebbe fermarsi un attimo in attesa di vedere come va il concordato, ma se alla fine nel concordato non pagate quelle imposte, la pendenza penale rimane.
Detto ciò, se le cifre non sono enormi e confidate di convincere l’Erario ad accettare uno stralcio, potreste assumervi il rischio. Magari se col concordato l’azienda riparte, troverete modo di versare successivamente la parte stralciata (anche se formalmente non dovuta) per estinguere il reato: sembra strano, ma alcuni amministratori l’hanno fatto, pagando di tasca loro a posteriori il dovuto erariale per evitare la condanna. In conclusione: l’attivazione di un concordato o accordo non cancella da sola i reati tributari, dovete comunque considerare pagamenti ad hoc per sfruttare le cause estintive previste dalla legge.
Q: Cosa succede ai contratti in corso (affitti, leasing, forniture continuative) se avvio una procedura di concordato o composizione? I fornitori possono cancellare gli ordini?
A: Nel concordato preventivo, la legge tutela la continuità dei contratti utili all’esercizio dell’impresa. In particolare, l’apertura del concordato non determina la risoluzione automatica dei contratti in corso (art. 97 CCII): i contratti continuano, ma il debitore, con autorizzazione del tribunale, ha facoltà di scioglierli o sospenderli se non più funzionali. Il contraente controparte non può risolvere solo perché tu hai presentato concordato (clausole contrattuali tipo “se vai in concordato il contratto si risolve” sono nulle). Quindi, ad esempio, se hai un contratto di locazione del capannone, il fatto di essere in concordato non permette al proprietario di cacciarti, a meno che tu non paghi i canoni post-concordato. Difatti, i debiti anteriori rimangono congelati (il proprietario li vedrà nel concordato), ma tu devi pagare puntualmente i canoni che maturano dopo la domanda, perché quelli sono prededucibili. Similmente, un fornitore abituale non può interrompere forniture per il solo fatto del concordato, altrimenti violerebbe gli obblighi contrattuali (a meno che tu fossi già inadempiente grave prima). In caso di composizione negoziata, è ancora più basato sulla buona volontà: lì i contratti proseguono naturalmente perché non c’è procedura concorsuale. L’esperto può invitare le parti a mantenere i rapporti e magari rinegoziare temporaneamente i termini (art. 10 DL 118/2021) . Non c’è però un divieto assoluto di recesso per la controparte, come invece in concordato. Quindi durante la CNC devi stare attento a coltivare i rapporti con i fornitori-chiave, assicurandoli che li pagherai per il nuovo fornito (magari in prededuzione se poi converti in concordato).
Nei concordati con continuità, c’è un regime speciale: se ad esempio hai un contratto di fornitura pluriennale a prezzi vantaggiosi e vuoi mantenerlo, continuerai a eseguirlo regolarmente (pagando i corrispettivi post-petizione come prededucibili). Se invece è svantaggioso o inutile, puoi chiederne lo scioglimento al tribunale pagando un’eventuale indennizzo (danno emergente) come credito concorsuale al fornitore. Ad esempio, per un leasing di un macchinario che non usi, puoi chiedere di scioglierlo: restituisci il bene e il leasing avrà un credito per l’eventuale danno (che sarà pagato in concorso).
In sostanza: i contratti essenziali proseguono e anzi devi onorarli per non fermare l’attività; quelli gravosi puoi liberarli con autorizzazione giudiziale. I fornitori non possono tirarsi indietro unilateralmente solo perché hai attivato la procedura (sarebbe come un ingiusto “boicottaggio” del salvataggio). Nel mondo reale, qualcuno prova a farlo; in tali casi, puoi segnalare la cosa al commissario o al giudice delegato. Ci sono state pronunce che condannano, ad esempio, i fornitori energetici che minacciavano distacchi immediati in danno di azienda in concordato, obbligandoli invece a rispettare i contratti.
Q: La mia azienda è piccola, prevalentemente a gestione familiare. Se falliamo, noi titolari rischiamo di non poter più aprire attività o altre sanzioni personali?
A: In caso di liquidazione giudiziale (fallimento) di una società, gli amministratori e i principali esponenti dell’impresa possono andare incontro ad alcune conseguenze personali: ad esempio, l’interdizione dalle cariche societarie per qualche anno, o l’incapacità di ottenere finanziamenti pubblici, ecc. Tuttavia, se siete onesti e non emergono fatti di bancarotta fraudolenta, queste misure non sono punitive a vita: durano di solito 2-5 anni dal termine del fallimento. Inoltre, se la società è di capitali, i soci non vengono toccati a livello di fallimento personale (a meno che abbiano garanzie personali, come detto, in quel caso i creditori verranno comunque da loro). Se invece siete una società di persone, il fallimento si estende ai soci illimitatamente responsabili: in tal caso i soci subiscono sul loro patrimonio personale la procedura, ma poi hanno diritto all’esdebitazione una volta chiusa . Cioè, trascorsi i tormenti della liquidazione, il giudice vi libera dai debiti residui e potete ricominciare da capo senza quei pesi (cosa non da poco!).
Se attivate invece un concordato o altra procedura, evitate del tutto lo status di falliti. Una volta eseguito il piano, la società sarà pulita. Se la società poi viene liquidata volontariamente, i debiti rimasti (che nel concordato di solito sono stralciati) non sono reclamabili oltre. Per le persone fisiche garanti, se non sono state liberate dal concordato, potranno anch’esse accedere all’esdebitazione tramite la procedura di sovraindebitamento o chiedendo l’estensione nel concordato stesso (nel concordato può essere prevista l’esdebitazione del socio garante, ma è un tema tecnico).
In breve: se seguite uno degli strumenti di regolazione della crisi, potete minimizzare le penalizzazioni personali. Se proprio fallirete, ricordatevi di collaborare attivamente col curatore, e al termine chiedere formalmente al tribunale l’esdebitazione: se avete tenuto un comportamento corretto, la otterrete e i debiti per la parte non soddisfatta saranno cancellati . Questo vi permetterà, all’uscita, di poter riprovarci in futuro senza i fantasmi del passato (e magari facendo tesoro dell’esperienza). La legge oggi crede molto nel “fresh start”.
Q: Quanto costa e quanto dura un concordato preventivo? Non rischio che i costi della procedura mangino quel poco che posso dare ai creditori?
A: I costi di un concordato preventivo non sono trascurabili, è vero. Ci sono varie voci: – Il commissario giudiziale e, se previsto, il liquidatore hanno diritto a un compenso stabilito dal tribunale secondo tariffe ministeriali, commisurato all’attivo e al passivo (può essere qualche percento dell’attivo). Ad esempio, per un’azienda con debiti e attivo di qualche milione, il compenso totale degli organi potrebbe essere decine di migliaia di euro . C’è però da dire che sono spese “prededotte” dall’attivo prima di pagare i creditori, quindi vanno considerate nel piano come costi della procedura. – Le spese legali e professionali: il vostro avvocato, il professionista attestatore che fa la relazione (se diverso), eventuali consulenti finanziari. Anche qui, dipende dalla complessità ma incidono. – Spese di giustizia: marche da bollo, contributo unificato (variabile col passivo, per grossi passivi può essere qualche migliaio di euro). – Eventuali costi per adempimenti (pubblicità legale, invio pec ai creditori, ecc.).
In percentuale, a volte i costi totali di un concordato possono assorbire un 5-10% dell’attivo. In casi piccoli addirittura di più (c’è un minimo di impegno professionale che rende antieconomico fare concordati per importi troppo modesti). È vero che i creditori potrebbero storcere il naso sapendo che una parte dei soldi va ai “tecnici”, ma bisogna far capire loro che senza la procedura forse non avrebbero nulla: i costi sono il prezzo da pagare per salvare il salvabile. Spesso, comunque, i commissari cercano di contenere le spese superflue. Ad esempio, la Cassazione (sent. 15790/2023) ha richiamato che i compensi del commissario devono seguire i criteri del DM Giustizia e non essere sproporzionati .
Per la durata: dipende. La fase fino all’omologa può richiedere circa 6 mesi – 1 anno, a seconda del tribunale e della complessità (ci sono tempi tecnici: la relazione del commissario, il voto, eventuali opposizioni). La fase di esecuzione del piano poi varia: se è liquidatorio, il tempo di vendere i beni (che magari è 1-2 anni per vendere immobili, ecc.); se è in continuità con pagamento a 4 anni, allora 4 anni. Diciamo che dal deposito alla chiusura finale possono passare alcuni anni. È comunque di solito più breve e efficiente di un fallimento: i fallimenti possono trascinarsi 5-10 anni, un concordato raramente dura così tanto, perché c’è un piano con scadenze precise.
In sostanza: il concordato è un investimento in termini di costi/tempi per evitare il default disordinato. Se l’attivo non giustifica tali costi (ad es. hai attivo risicato e debiti enormi), forse è meglio la liquidazione giudiziale. Bisogna fare un’analisi costi-benefici con i consulenti prima di partire.
Q: Se l’azienda viene venduta o liquidata in una di queste procedure, i lavoratori che fine fanno? Hanno tutele?
A: I lavoratori godono di particolari tutele sia durante la procedura sia ex post: – Nel concordato in continuità, la regola è mantenere i posti di lavoro il più possibile. Se però il piano prevede esuberi, l’azienda può fare ricorso agli ammortizzatori sociali (ad es. Cassa Integrazione Straordinaria per crisi). Spesso le imprese in concordato attivano la CIGS per concordato preventivo, prevista dalla legge, che consente per 12 mesi di sospendere i lavoratori e farli pagare all’80% dall’INPS, alleggerendo i costi. Se poi la continuità prevede la cessione dell’azienda a un terzo, in genere si applica l’art. 2112 c.c.: i lavoratori passano all’acquirente con lo stesso contratto (salvo diverso accordo sindacale). – Nel concordato liquidatorio, se l’attività cessa, i rapporti di lavoro vengono risolti. Ma i lavoratori hanno diritto alle priorità nel pagamento: i loro TFR e ultime tre mensilità maturate prima della procedura sono crediti prededucibili o privilegiati, e se l’attivo non basta interviene il Fondo di Garanzia INPS a pagarli (il Fondo paga TFR e max 3 mesi di retribuzioni non percepite) – poi l’INPS subentra nel passivo. Quindi i dipendenti non restano senza i loro trattamenti di fine rapporto. – In caso di fallimento classico, i lavoratori possono accedere subito al Fondo di Garanzia senza aspettare la fine, se il passivo è stato verificato. In un concordato, devono attendere l’omologa o esecuzione a volte, ma è questione tecnica. – Se in composizione negoziata si prevede un risanamento con riduzione personale, conviene coinvolgere i sindacati e eventualmente fare accordi di incentivo all’esodo o usare contratti di solidarietà. Non c’è un meccanismo automatico qui, ma nulla vieta di attivare ammortizzatori come la CIGS anche solo con crisi aziendale temporanea.
In sintesi: i lavoratori sono considerati creditori “protetti”. Qualsiasi giudice concorsuale starà attento che percepiscano il più possibile dei loro crediti. E in caso di passaggio di azienda a investitore, di solito l’accordo comprende clausole per salvaguardare l’occupazione (anche perché se no i sindacati potrebbero opporsi e rendere difficile l’operazione). Dunque, da debitore, sappi che licenziare tutti senza tutele non è né facile né permesso: meglio pianificare con consulenti del lavoro le mosse relative al personale. Sul fronte difensivo, questo significa che non devi temere che i dipendenti facciano azioni esecutive distruttive: in genere loro sanno di essere protetti e attendono le soluzioni istituzionali (come il Fondo di garanzia), raramente un singolo dipendente fa partire un pignoramento – e anche se lo facesse, i giudici spesso lo sospendono perché i lavoratori hanno le loro vie privilegiate.
Conclusioni
Affrontare una situazione di crisi aziendale con debiti ingenti è una sfida che richiede lucidità, conoscenza degli strumenti legali disponibili e spesso il supporto di professionisti esperti. In questa guida abbiamo esaminato, dal punto di vista del debitore, le possibili strategie per “difendersi” dai creditori e, quando possibile, risanare l’impresa o quantomeno gestirne la chiusura in modo ordinato. Dalle azioni immediate di emergenza (negoziazioni, moratorie, tutela dei beni cruciali) fino alle procedure strutturate come il concordato preventivo o la composizione negoziata, ogni passo va calibrato sulle specificità dell’azienda e della sua esposizione debitoria.
Il caso esempio di un’azienda di ancoraggi meccanici e tasselli industriali, verosimilmente una PMI manifatturiera, ci ha permesso di calare principi generali in una realtà concreta: tipicamente, debiti verso fornitori di materie prime, finanziamenti bancari per i macchinari, e debiti verso lo Stato (IVA sui prodotti venduti, contributi per gli operai specializzati impiegati). Abbiamo visto come ciascuna categoria di debiti presenti rischi e leve differenti, e come la legge italiana, specialmente dopo la riforma del Codice della Crisi d’Impresa, metta a disposizione un ventaglio di soluzioni. La chiave di volta è spesso agire per tempo. Molte opportunità – come le misure premiali nella composizione negoziata o la semplice possibilità di accedere a un concordato in continuità prima che l’insolvenza diventi irreversibile – premiano l’imprenditore che non aspetta di avere l’ufficiale giudiziario alla porta.
Dal punto di vista pratico, è fondamentale costruire una squadra di gestione della crisi: l’imprenditore non deve isolarsi, ma anzi coinvolgere il proprio commercialista, un legale, eventualmente un consulente finanziario o un esperto di turnaround. Oggi esistono anche organismi pubblici di supporto (le Camere di Commercio per la composizione negoziata, ad esempio, offrono piattaforme e nominativi di esperti) e l’ordinamento incoraggia un approccio proattivo e trasparente nella crisi. Anche i giudici ormai valutano positivamente chi dimostra di aver tentato soluzioni concordate prima di arrendersi al fallimento .
Un altro messaggio emerso è la centralità delle fonti normative aggiornate e della giurisprudenza: le recenti sentenze ci dicono come applicare in concreto queste leggi (abbiamo citato, ad esempio, la Cassazione sulla composizione negoziata che può evitare sequestri penali , o i tribunali che delimitano l’uso improprio della procedura negoziata per scopi liquidatori ). È dunque essenziale, per chi affronta queste vicende, affidarsi a consulenti che conoscano le ultime evoluzioni: al 2025 siamo in un quadro normativo relativamente nuovo e in assestamento (il correttivo ter del 2024 ha introdotto novità sostanziali, specie sul fronte fiscale ). Questa guida, ricca di riferimenti, potrà essere un punto di partenza, ma andrà integrata con un esame puntuale del caso specifico.
In conclusione, un’impresa indebitata ha degli strumenti per difendersi: non è mai una situazione senza speranza. Certo, la difesa può significare due cose – o salvare l’impresa (se c’è ancora valore e sostenibilità) o, se ciò non è possibile, difendere l’imprenditore e il patrimonio residuo da conseguenze peggiori, chiudendo con dignità e ripartendo poi senza la spada di Damocle dei debiti. In entrambi i casi, l’informazione e l’azione tempestiva sono gli alleati migliori. Si spera che questa trattazione dettagliata, con domande e risposte e tabelle riepilogative, abbia fornito al lettore una bussola per orientarsi nel complesso (ma affascinante) “campo di battaglia” del diritto della crisi d’impresa, dove con le mosse giuste si può spesso ottenere una vittoria negoziale laddove sembrava profilarsi soltanto una sconfitta.
Fonti e Riferimenti
(In questa sezione sono elencate le principali fonti normative, le sentenze e i riferimenti autorevoli citati o utilizzati nella guida. Esse rappresentano la base giuridica e giurisprudenziale aggiornata a ottobre 2025 su cui si fondano le affermazioni contenute nel testo.)
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, entrato in vigore il 15 luglio 2022, e successivi decreti correttivi: D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147; D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 (attuativo Dir. UE 2019/1023); D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (c.d. “correttivo ter”, in vigore dal 28 settembre 2024) .
Fonti normative principali che disciplinano strumenti come piano attestato (art. 56), accordi di ristrutturazione (artt. 57-64), concordato preventivo (artt. 84-118), concordato minore (artt. 74-83), composizione negoziata (artt. 12-25) e concordato semplificato (art. 25-sexies), nonché l’allerta e l’esdebitazione. - Decreto-Legge 24 agosto 2021, n. 118 (conv. in L. 147/2021) – Introduzione della Composizione negoziata della crisi d’impresa.
Ha anticipato parti del CCII, creando l’istituto dell’esperto negoziatore e misure protettive. Integrato nel CCII (artt. 12-25) con D.Lgs. 83/2022. - Codice Civile – Artt. 2086 c.c. (dovere di assetti adeguati e rilevazione tempestiva della crisi) ; 2740 c.c. (responsabilità patrimoniale illimitata dei debitori) e disposizioni su cessione d’azienda e rapporti di lavoro (art. 2112 c.c.).
Richiamato per obblighi degli amministratori e differenze tra tipi di impresa. - Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) – Normativa previgente al CCII, citata per confronto: art. 67 co.3 lett. d (piano attestato esenzione revocatoria) ; art. 160 e 182-bis (concordato e accordi ante CCII); art. 216 e 217 (reati di bancarotta).
Abrogata con l’entrata in vigore del CCII, ma ancora rilevante per atti compiuti prima e come base concettuale. - Legge 3/2012 (composizione delle crisi da sovraindebitamento) – Abrogata e confluita nel CCII (artt. 65-91), riguardava accordi e piani del consumatore.
Menionata per il concordato minore, erede degli istituti di sovraindebitamento. - Legge 197/2022 (Legge di Bilancio 2023) – Introduce misure di “tregua fiscale”:
- Stralcio automatico dei debiti fino €1.000 affidati dal 2000-2015 (commi 222-230) .
- Definizione agevolata (“rottamazione-quater”) dei carichi 2000-30/6/2022 senza sanzioni né interessi, pagamento in max 18 rate fino 2027 .
Normativa rilevante per la gestione dei debiti fiscali pregressi. - D.Lgs. 74/2000 (Reati tributari) – Art. 10-bis (omesso versamento ritenute oltre €150k) ; Art. 10-ter (omesso versamento IVA oltre €250k) ; Art. 13 (causa di non punibilità per pagamento del debito prima del dibattimento). Modifiche D.Lgs. 87/2024 (rif. spostamento momento consumazione reato) .
Base delle considerazioni sui profili penali dei debiti fiscali. - Art. 2, co. 1-bis, D.L. 463/1983 (convertito L. 638/1983) – Reato di omesso versamento contributi previdenziali trattenuti oltre €10.000 annui; esimente del pagamento integrale entro termini di citazione a giudizio.
Riferimento per conseguenze penali debiti INPS. - D.Lgs. 148/2015 e L. 208/2015 – Norme su Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) in caso di concordato con continuità o crisi aziendale, e contratti di solidarietà.
Citato in tema di tutela dei lavoratori nelle procedure. - Sentenza Corte di Cassazione, Sez. V Civile, 20 settembre 2023, n. 26951 – Ha stabilito che l’apertura di un concordato preventivo non impedisce gli accertamenti tributari né l’irrogazione di sanzioni per violazioni anteriori, poiché l’Amministrazione finanziaria deve quantificare il proprio credito per partecipare alla procedura . (Massima Ufficiale).
Conferma la legittimità di iscrivere a ruolo imposte e sanzioni anche dopo l’ammissione al concordato, evidenziando che ciò è condizione per il Fisco di essere presente nel concorso. - Sentenza Cassazione Penale, Sez. III, 9 luglio 2025, n. 30109 – Ha riconosciuto che la pendenza di una composizione negoziata con esito positivo della relazione dell’esperto e misure protettive attive può far venir meno il “periculum in mora” per un sequestro preventivo penale. Confermato provvedimento Trib. Modena di revoca sequestro su beni aziendali, considerata l’ammissione alla CNC e la vigilanza dell’esperto .
Rilevante in materia di rapporti tra procedure di crisi e misure cautelari penali: la CNC, se ben avviata, viene vista come elemento rassicurante che riduce il rischio di disperdere il patrimonio, giustificando la revoca di sequestri. - Sentenza Cassazione Civile, Sez. I, 12 febbraio 2025, n. 3634 – Ha affermato che le misure protettive della composizione negoziata non impongono automaticamente il rinvio dell’udienza prefallimentare: il debitore deve eccepire tempestivamente l’esistenza della CNC e dimostrare il concreto pregiudizio, altrimenti il tribunale può dichiarare ugualmente la liquidazione giudiziale durante la pendenza della composizione .
Chiarisce che l’imprenditore deve attivarsi attivamente per far valere la protezione, e che la mera pendenza della CNC non blocca d’ufficio una istanza di fallimento. - Ordinanza Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 10 gennaio 2025 – Ha escluso la compatibilità di un piano meramente liquidatorio sin dall’inizio con la composizione negoziata: la CNC non può essere usata per predisporre un concordato semplificato liquidatorio fin dall’origine; la liquidazione è ammessa solo se il risanamento risulta impossibile in corso di trattative .
Giurisprudenza di merito che indirizza l’uso corretto della CNC (focus su risanamento, non strumentale al solo liquidare). - Decreto Tribunale di Bologna, 30 aprile 2025 – In linea con Trib. Verona, ha rigettato misure protettive richieste da imprese prive di prospettive di continuità in CNC, ribadendo che la procedura negoziata non va utilizzata per finalità esclusivamente liquidatorie anticipate .
Conferma l’orientamento restrittivo sulla CNC. - Tribunale di Modena, Decreto 2 maggio 2025 – Ha delineato le modalità di cessione di azienda in composizione negoziata: necessaria autorizzazione ex art. 22 CCII e vendita con procedure competitive per garantire parità tra offerenti .
Esempio di prassi: impone pubblicità e gare anche in CNC per massimizzare il valore. - Tribunale di Milano, ordinanza 2022 (caso DURC e CNC) – Ha chiarito che in composizione negoziata non è possibile ordinare all’INPS il rilascio del DURC come misura cautelare, in quanto la normativa vigente (ante DM attuativi) non lo consente .
Rilevante per questione DURC: no obbligo DURC provvisorio in CNC, posizioni giurisprudenziali divergenti. - Sentenza Corte di Cassazione, Sez. I Civ., 4 novembre 2024, n. 28320 – Ha ribadito che non costituisce concessione abusiva del credito (illecito civile) il finanziamento erogato a un’impresa in difficoltà che presenti realistiche prospettive di risanamento basate su dati oggettivi . Inoltre ha citato la modifica dell’art. 16 co.5 CCII introdotta dal correttivo 2024, che tutela le banche che continuano a supportare l’impresa in composizione negoziata (niente responsabilità per aver mantenuto le linee di credito, obbligo di motivare eventuali revoche) .
Massima utile per le banche: se l’impresa è in CNC con ragionevoli chance, la banca che non revoca anzi sostiene, non è perseguibile per abuso (norma e giurisprudenza concordi). - Sentenza Cassazione Civile, Sez. Un., 3 gennaio 2023, n. 43 – (Rel. Cristiano) Ha stabilito che i finanziamenti erogati in esecuzione di un concordato preventivo sono crediti prededucibili ex art. 111 L.F. (principio trasfuso nel CCII per la finanza in concordato).
Rilevante per capire il regime della nuova finanza nei concordati: concetto di prededuzione dei crediti sorti in procedura. - Sentenza Cassazione Civile, Sez. Un., 18/01/2023, n. 22699 – Ha affrontato il caso di un debitore persona fisica che aveva presentato sia proposta di ristrutturazione dei debiti del consumatore sia subordinatamente un concordato minore ex art. 74 CCII: la Suprema Corte ha chiarito i rapporti tra queste procedure, dando indicazioni sull’ammissibilità (massima su ilcodicedeiconcordati.it) .
Utile per la corretta individuazione dello strumento in base alla qualifica del debitore (consumatore vs piccolo imprenditore). - Sentenza Cassazione Civile, Sez. I, 09 ottobre 2023, n. 28597 – In tema di concordato preventivo in continuità, ha confermato che l’attuazione di clausole di compensazione bancaria (cd. patto di compensazione) su conti correnti durante il concordato in continuità è ammessa (richiamata su ilcaso.it).
Giurisprudenza sulle operazioni in corso di concordato: diritti delle banche su conti. - Sentenza Cassazione Civile, Sez. I, 15 giugno 2023, n. 17092 – Ha approfondito la nozione di concordato in continuità indiretta e la possibilità di cessione/affitto d’azienda in concordato per proseguirne l’attività tramite terzi (massima Corte dei Conti) .
Riflessi sull’uso del concordato per vendere e far continuare l’attività con nuovo soggetto. - Cassazione Civile, Sez. I, 27 dicembre 2024, n. 34372 – Ha statuito su una questione di voto in concordato: l’esclusione dal voto della società controllante non si applica se al momento del voto anch’essa è assoggettata a procedura concorsuale .
Riferimento specialistico su voto parti correlate. - Tribunale di Firenze, Sez. Fallimentare, decreto 8 gennaio 2025 – Ha distinto: i comportamenti scorretti del debitore durante il concordato (violazione buona fede e correttezza) vanno tenuti distinti dagli atti in frode ex art. 106 CCII: i primi possono influire sull’omologa ma non equivalgono necessariamente a frode grave .
Stabilisce criteri per valutare la condotta del debitore in procedura. - Unioncamere – Osservatorio Composizione Negoziata (2024) – Dati sul crescente utilizzo: 258 nuove istanze di composizione negoziata nelle CCIAA lombarde nel 2024 (+87% vs 2023) ; tasso di esiti positivi in aumento (Unioncamere news 2025) .
Statistiche istituzionali che evidenziano la diffusione dello strumento. - Infocamere – Report crisi d’impresa (2025) – Nel primo semestre 2025: +4,3% concordati preventivi rispetto al 2024, aumento procedure concorsuali per fine moratorie COVID .
Contesto economico-normativo della crisi post-pandemia. - Assonime – Guida al Codice della Crisi aggiornata al D.Lgs. 136/2024 – Approfondimento dottrinale sulle modifiche (cross-class cram down, estensione transazione fiscale a CNC, allerta interna revisori) .
Fonte autorevole per l’interpretazione coordinata delle nuove norme.
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Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, blocchi delle forniture, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o minacce di pignoramento da banche, fornitori, Fisco, INPS o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore dei tasselli e degli ancoraggi è competitivo e volatile: i prezzi dell’acciaio oscillano, servono grandi stock per garantire assortimento, i margini sono compressi e i clienti pagano spesso a 60–120 giorni. Bastano pochi ritardi per far esplodere una crisi di liquidità.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con la strategia giusta.
Perché un’Azienda di Ancoraggi e Tasselli va in Debito
- aumento del costo di acciaio, lavorazioni, zincature e trattamenti
- pagamenti lenti da parte di imprese edili, carpenterie e rivenditori
- magazzino immobilizzato tra tasselli, ancoraggi, barre filettate, dadi, rondelle e accessori
- costi elevati di trasporto, stoccaggio e logistica
- necessità di acquisire grandi lotti per restare competitivi
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
Il vero problema non è la mancanza di richieste, ma la mancanza di liquidità immediata.
Rischi se Non Intervieni Subito
- pignoramento dei conti correnti aziendali
- blocco dei fidi e taglio delle linee bancarie
- sospensione delle forniture da parte dei produttori
- atti esecutivi, decreti ingiuntivi e precetti
- sequestro di magazzino, pallet e materiale tecnico
- impossibilità di evadere ordini e mantenere i clienti
- perdita di rivendite tecniche e appalti fondamentali
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato esperto può:
- sospendere pignoramenti già avviati
- bloccare richieste aggressive di rientro
- proteggere i conti correnti e la liquidità
- interrompere le azioni dell’Agenzia Riscossione
È il primo passo per evitare il collasso dell’azienda.
2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti
Molti debiti presentano irregolarità come:
- interessi non dovuti
- sanzioni sbagliate o gonfiate
- addebiti duplicati
- debiti prescritti
- errori nelle cartelle esattoriali
- commissioni bancarie anomale
Una parte importante dell’esposizione può essere cancellata o ridotta.
3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile
Soluzioni concrete:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi di rientro con fornitori strategici (acciaio, tasselli, zincature)
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensione temporanea dei pagamenti
- accesso alle definizioni agevolate
4. Usare strumenti legali potentissimi che bloccano TUTTI i creditori
Per crisi più serie puoi ricorrere a:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di Ristrutturazione dei Debiti
- Concordato Minore
- (nei casi estremi) Liquidazione Controllata
Queste procedure permettono all’azienda di continuare l’attività pagando solo una parte dei debiti, mentre le azioni esecutive vengono sospese.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda del settore fissaggi è necessario un professionista preparato.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
È il profilo ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende che operano con ancoraggi meccanici e tasselli industriali.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua situazione debitoria
- stop urgente ai pignoramenti
- riduzione dei debiti non dovuti
- ristrutturazione del debito con un piano realmente sostenibile
- protezione di magazzino, stock, pallet e attrezzature
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela totale dell’imprenditore e dell’azienda
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di ancoraggi meccanici e tasselli industriali non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia rapida, efficace e completamente legale, puoi:
- bloccare subito i creditori,
- ridurre realmente i debiti,
- salvare clienti, ordini e continuità operativa,
- proteggere il futuro della tua impresa.
Il momento di agire è adesso.
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