Azienda di Abbigliamento Alta Visibilità per Edilizia e Industria con Debiti: Cosa Fare per Difendersi e Come

Se la tua azienda produce, importa o distribuisce abbigliamento ad alta visibilità per edilizia, industria, logistica e manutenzione — gilet HV, giacche e tute rifrangenti, pantaloni certificati EN ISO 20471, DPI con bande catarifrangenti e capi per operatori in aree a rischio — e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, devi intervenire subito per evitare il blocco delle forniture e la perdita di clienti professionali.

Nel settore dei DPI alta visibilità, la continuità nelle consegne è essenziale: un ritardo può fermare cantieri, reparti produttivi e squadre operative, con penali, contestazioni e danni immediati alla reputazione commerciale.

Perché le aziende di abbigliamento alta visibilità accumulano debiti

  • aumento dei costi di tessuti tecnici, materiali rifrangenti e certificati normativi
  • rincari delle importazioni e dei trasporti
  • pagamenti lenti da parte di aziende edili, industrie, manutentori e rivenditori
  • ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
  • magazzini complessi con molte taglie, varianti e scadenze normative
  • difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai volumi stagionali
  • investimenti in certificazioni, test, DPI e sicurezza del prodotto

Cosa fare subito

  • far analizzare da un professionista la situazione debitoria dettagliata
  • identificare quali debiti possono essere contestati, ridotti o rateizzati
  • evitare piani di rientro troppo pesanti che prosciugano la liquidità
  • richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti o atti esecutivi
  • proteggere rapporti con fornitori strategici (tessuti, bande rifrangenti, DPI)
  • utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza fermare le consegne

I rischi se non intervieni tempestivamente

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco delle forniture di tessuti certificati, capi HV e DPI
  • impossibilità di rispettare ordini verso cantieri, industrie e rivenditori
  • perdita di clienti ricorrenti e di grandi commesse
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Come può aiutarti l’Avvocato Monardo

Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, guida un team nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
  • iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Può aiutarti concretamente a:

  • bloccare pignoramenti e procedure esecutive in corso
  • ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti normativi più efficaci
  • ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
  • proteggere scorte, contratti, forniture e continuità operativa
  • accompagnare l’azienda verso un risanamento reale, evitando la chiusura

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Introduzione

Un’azienda produttrice di abbigliamento ad alta visibilità per il settore edile e industriale (come gilet catarifrangenti, casacche e dispositivi di protezione) può trovarsi schiacciata dai debiti, mettendo a rischio la propria sopravvivenza. Questo accade spesso a PMI che, a causa di cali di commesse, ritardi nei pagamenti dei clienti o oneri imprevisti, accumulano debiti fiscali, contributivi, bancari o verso fornitori. Dal punto di vista del debitore (l’imprenditore o la società indebitata), è fondamentale conoscere gli strumenti giuridici per difendersi dalle azioni dei creditori e tentare di risanare la situazione.

In Italia la disciplina della crisi d’impresa è stata recentemente rivoluzionata, passando da un approccio punitivo (liquidazione fallimentare) a uno di salvataggio e ristrutturazione . Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII, D.Lgs. 14/2019) – in vigore dal 15 luglio 2022 – incoraggia soluzioni volte a preservare la continuità aziendale dove possibile, offrendo percorsi per rinegoziare o ridurre i debiti e sanare l’azienda . Questa guida, aggiornata a ottobre 2025, illustra in dettaglio cosa fare per difendersi in caso di debiti aziendali, con un taglio avanzato ma comprensibile sia per avvocati che per imprenditori e privati.

Cosa troverete nella guida: un’analisi delle diverse tipologie di debito (fiscali, previdenziali, bancari, verso fornitori, locativi, ecc.) e dei rischi connessi; i principali strumenti di ristrutturazione del debito (dalle soluzioni stragiudiziali come piani attestati e accordi con i creditori, alle procedure concorsuali come concordato preventivo e liquidazione giudiziale); strategie difensive specifiche verso creditori pubblici (come Agenzia Entrate-Riscossione e INPS) e privati; tabelle riepilogative per confrontare le opzioni; una sezione di Domande&Risposte per chiarire i dubbi più comuni; infine riferimenti normativi e le sentenze più recenti di rilievo (Cassazione 2024-2025) a supporto di quanto esposto. Il tutto verrà presentato con linguaggio giuridico ma divulgativo: useremo i termini tecnici corretti, spiegandoli in modo chiaro, così che anche un imprenditore senza formazione legale possa orientarsi .

Scenario di partenza: Poniamo il caso di VisiWear S.r.l. – un’azienda toscana specializzata in abbigliamento “alta visibilità” per cantieri edili e industrie. Negli ultimi anni ha subito un calo di ordini e l’aumento dei costi delle materie prime. Ora presenta debiti per IVA e imposte non versate, contributi INPS arretrati per i dipendenti, rate di mutuo bancario scadute, fatture di fornitori non pagate e canoni di locazione insoluti per il capannone. I creditori iniziano a farsi aggressivi: l’Agenzia delle Entrate-Riscossione notifica cartelle esattoriali, una banca minaccia la revoca del fido e un fornitore ha ottenuto un decreto ingiuntivo. Cosa può fare l’azienda per difendersi? Questa guida fornirà una risposta dettagliata, passo dopo passo.

Quadro Normativo Aggiornato al 2025

Per affrontare i debiti aziendali è essenziale inquadrare la normativa italiana vigente (aggiornata a ottobre 2025). Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 14/2019 – rappresenta oggi il testo unico in materia di gestione della crisi e insolvenza delle imprese . Esso ha sostituito la vecchia Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) e la Legge 3/2012 sul sovraindebitamento, introducendo un sistema organico orientato ad anticipare e gestire la crisi prima che degeneri in insolvenza conclamata . Ecco alcuni punti salienti del quadro normativo:

  • Nozione di “crisi” vs “insolvenza”: l’art. 2 CCII distingue lo stato di crisi (difficoltà economico-finanziarie che rendono probabile l’insolvenza futura, ad es. flussi di cassa prospettici inadeguati nei prossimi 12 mesi) dallo stato di insolvenza (incapacità attuale di soddisfare regolarmente le obbligazioni, manifestata da inadempimenti o altri fatti esteriori) . In altre parole, la crisi è una fase iniziale (allarme) mentre l’insolvenza è lo stadio conclamato. Il Codice incentiva ad agire già in fase di crisi, prima che si arrivi all’insolvenza irreversibile.
  • Ambito soggettivo di applicazione: il CCII si applica ai debitori imprenditori commerciali, inclusi quelli piccoli se superano certe soglie dimensionali . Vengono considerati “imprenditori minori” (non fallibili) coloro che nei 3 esercizi precedenti non abbiano superato congiuntamente tre parametri: €300.000 di attivo patrimoniale, €200.000 di ricavi lordi annui e €500.000 di debiti totali . Chi resta entro queste soglie non può essere assoggettato a liquidazione giudiziale (fallimento) e rientra invece nelle procedure di sovraindebitamento (riservate a piccoli imprenditori, professionisti, consumatori, ecc.) . Viceversa, se l’impresa supera anche uno solo di tali limiti, diviene fallibile e soggetta alle procedure concorsuali ordinarie (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, ecc.) . Esempio: una S.r.l. di modeste dimensioni può essere considerata “impresa minore” se rientra in quei parametri, pur essendo società di capitali . In tal caso non sarebbe soggetta a fallimento tradizionale ma alle procedure semplificate (c.d. concordato minore o liquidazione controllata). Se invece la nostra VisiWear S.r.l. ha superato anche uno dei limiti (es. €600.000 di debiti totali), rientra nelle procedure concorsuali ordinarie.
  • Riforme recenti e correttivi: il CCII è stato più volte aggiornato. In attuazione della Direttiva UE 2019/1023 (cosiddetta Insolvency Directive), il D.Lgs. 83/2022 ha introdotto significative novità dal 15 luglio 2022, come i nuovi accordi di ristrutturazione con cram-down e il concordato “semplificato” . Più di recente, il D.Lgs. 136/2024 (in vigore dal 28 settembre 2024) ha apportato un terzo correttivo al Codice . Questo decreto “ter” del 2024 ha affinato vari aspetti: ad esempio ha esplicitamente previsto il cram-down fiscale (possibilità di omologa forzata di un concordato anche senza il consenso del Fisco, se il trattamento proposto è comunque conveniente) , ha esteso la durata delle moratorie di pagamento ai creditori privilegiati nei piani di ristrutturazione dei consumatori (da 1 a 2 anni) , e ha chiarito che perfino un ex imprenditore può accedere alla liquidazione controllata per ottenere l’esdebitazione anche oltre un anno dalla cessazione attività . Inoltre, il correttivo 2024 ha rafforzato la Composizione negoziata (procedura stragiudiziale introdotta nel 2021): oggi, durante la composizione negoziata, è possibile concludere accordi con il Fisco aventi gli stessi effetti di una transazione fiscale, previa approvazione del tribunale . Sono state introdotte anche misure premiali per chi attiva la composizione negoziata tempestivamente: l’Agenzia Entrate può concedere piani di dilazione straordinaria fino a 6–10 anni sulle imposte non ancora a ruolo, con forte riduzione di sanzioni e interessi . Tali incentivi premiano l’imprenditore che affronta la crisi per tempo, evitando inerzia.
  • Obblighi di prevenzione e assetti adeguati: va ricordato che dal 2019 è in vigore anche l’art. 2086 c.c. comma 2, che impone agli amministratori di società di dotarsi di assetti organizzativi adeguati per rilevare tempestivamente la crisi e attuare prontamente le soluzioni necessarie. In pratica, l’imprenditore ha il dovere legale di monitorare la salute finanziaria dell’azienda e non può ignorare a lungo i segnali di difficoltà. Se i debiti crescono e il patrimonio netto si erode oltre certi limiti (es. perdita oltre il terzo del capitale sociale, art. 2482-ter c.c.), gli amministratori devono attivarsi – convocando i soci per ricapitalizzare o adottare altri provvedimenti – pena incorrere in responsabilità personali (di cui diremo più avanti) . In casi di insolvenza conclamata, vi è l’obbligo di non aggravare il dissesto: continuare l’attività d’impresa in condizioni disperate può comportare per gli amministratori una responsabilità verso i creditori per i nuovi debiti causati dalla prosecuzione indebita .

Principali strumenti offerti dalla legge (overview): il legislatore, attraverso il CCII e le norme collegate, mette a disposizione una gamma di soluzioni per affrontare la crisi d’impresa. Possiamo riepilogare così: – Soluzioni stragiudiziali volontarie: ad esempio il piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) , la convenzione di moratoria (accordo temporaneo con alcuni creditori, art. 62 CCII) o altri accordi privati. Questi strumenti non richiedono il coinvolgimento diretto del tribunale e puntano a risolvere la crisi tramite accordi negoziali. – Accordi di ristrutturazione con omologa giudiziale: ossia gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD), previsti dall’art. 57 e ss. CCII (già art. 182-bis L.F.) . Richiedono l’adesione di una parte qualificata di creditori (almeno il 60% dei crediti) e l’omologazione del tribunale, con possibili varianti introdotte dai correttivi (accordi “agevolati” con soglia ridotta, accordi ad efficacia estesa verso creditori dissenzienti, ecc.). – Strumento di allerta negoziale: la Composizione negoziata della crisi, introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021, confluito nel CCII agli art. 12-25) . Si tratta di una procedura volontaria, confidenziale, in cui l’imprenditore in difficoltà viene affiancato da un esperto indipendente per negoziare con i creditori una soluzione (accordo, moratoria, ecc.) . Può comportare misure protettive autorizzate dal tribunale (sospensione temporanea delle azioni esecutive) e, se le trattative falliscono, dà accesso a un particolare concordato semplificato per liquidare il patrimonio. – Procedure concorsuali giudiziali: ossia il concordato preventivo (disciplinato dagli art. 84-120 CCII) e la liquidazione giudiziale (art. 121 e ss. CCII, l’ex fallimento) . Il concordato preventivo può essere in continuità aziendale (se prevede la prosecuzione dell’attività, direttamente o tramite terzi) oppure liquidatorio (se mira solo a liquidare il patrimonio e chiudere l’impresa) . Il concordato richiede l’approvazione dei creditori (di norma, maggioranza per valore dei crediti) e l’omologazione del tribunale. La liquidazione giudiziale, invece, è la procedura concorsuale di ultima istanza: viene aperta su iniziativa del debitore, dei creditori o d’ufficio in caso di insolvenza accertata, e comporta la nomina di un curatore che gestisce la liquidazione di tutti i beni dell’impresa a beneficio dei creditori .

Nei prossimi paragrafi esamineremo in modo approfondito ciascuna di queste categorie di strumenti e procedure, nonché le strategie difensive specifiche che un’azienda debitrice può adottare nei confronti dei vari creditori. Ma prima, è utile capire le peculiarità delle diverse tipologie di debito che un’azienda può aver contratto e i relativi rischi: debiti fiscali, previdenziali, bancari, commerciali, ecc. Infatti, ogni tipo di credito ha un regime giuridico diverso (in termini di poteri del creditore, priorità di pagamento, eventuali garanzie o tutele) e ciò incide sulle possibili soluzioni.

Tipologie di Debiti Aziendali e Rischi Collegati

Una mappatura dei debiti è il primo passo per costruire la strategia difensiva. Un’azienda del settore abbigliamento come il nostro esempio può accumulare vari tipi di esposizioni: verso il Fisco (IVA, imposte sui redditi), verso gli enti previdenziali (contributi INPS, premi INAIL), verso banche o finanziarie, verso fornitori di materiali e servizi, verso il locatore dell’immobile, senza dimenticare i debiti verso dipendenti (retribuzioni e TFR). Analizziamo ciascuna categoria, evidenziando i rischi specifici e le possibili contromisure.

Debiti Fiscali (Erario)

I debiti tributari includono imposte non versate (IVA, IRES/IRPEF, IRAP) e relativi accessori (interessi e sanzioni). Questi debiti sono particolarmente insidiosi perché il Fisco dispone di poteri di riscossione coattiva molto efficaci. Dopo la scadenza per il pagamento, l’Agenzia delle Entrate o l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER) possono emettere atti come avvisi di accertamento esecutivi o cartelle di pagamento. Se il debitore non paga entro i termini (generalmente 60 giorni), si passa alla fase di esecuzione forzata senza bisogno di un giudice (la cartella esattoriale è già un titolo esecutivo).

Le principali misure che AER può adottare sono: – Fermo amministrativo di beni mobili registrati (fermo dell’auto o dei veicoli aziendali): basta un importo relativamente basso (anche poche migliaia di euro) perché l’Agente della Riscossione iscriva un fermo, bloccando la possibilità di utilizzare e vendere il veicolo. – Ipoteca su beni immobili: l’Agenzia può iscrivere ipoteca sugli immobili dell’azienda (o dell’imprenditore, se debitore personale) per crediti sopra una certa soglia (attualmente €20.000) al fine di garantirne il pagamento. – Pignoramenti su conti correnti, crediti verso terzi o beni mobili/immobili: AER può pignorare direttamente le somme sul conto bancario dell’azienda (bloccandole fino a concorrenza del debito), nonché pignorare beni mobili e immobili. Non serve passare da un tribunale: ad esempio, può inviare un atto di pignoramento alla banca che, trascorsi 60 giorni, trasferisce le somme pignorate al Fisco.

C’è da dire che la legge tutela parzialmente il debitore in alcuni casi: ad esempio, l’abitazione principale di persona fisica non di lusso e dove non vi sono altre proprietà non può essere espropriata da AER per debiti sotto €120.000 (art. 76 DPR 602/1973). Ma nelle situazioni di debito aziendale spesso queste tutele non si applicano (la casa del socio di S.r.l. di norma è al sicuro perché i debiti fiscali sono della società, ma la casa di un imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile è invece aggredibile se non rientra nei requisiti di impignorabilità).

Interessi e sanzioni: i debiti fiscali aumentano rapidamente per via di interessi di mora e sanzioni. Ad esempio, l’omesso versamento IVA è sanzionato con il 30% dell’importo non versato (ridotto se si paga con ravvedimento), più interessi giornalieri. Inoltre, quando un’imposta viene iscritta a ruolo, si aggiungono aggio di riscossione e altre spese. Questo significa che un ritardo di pochi mesi può far lievitare significativamente il debito iniziale.

Rischi penali: il mancato pagamento di talune imposte oltre soglie di importo rilevanti costituisce reato. In particolare, l’omesso versamento IVA oltre €250.000 per periodo d’imposta è punito penalmente (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000) . Analogamente, l’omesso versamento di ritenute fiscali certificate (es. ritenute IRPEF trattenute ai dipendenti) è reato se supera €150.000 annui (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000) . Questi reati sono puniti con la reclusione da 6 mesi a 2 anni. Va però precisato che nel 2024 la normativa è stata modificata: se il contribuente ha ottenuto una rateizzazione “automatica” delle somme dovute a seguito di controllo fiscale e sta pagando le rate, la rilevanza penale è sospesa; diventa perseguibile se poi decade da quella rateizzazione e resta sopra una soglia inferiore (75.000 € per l’IVA, 50.000 € per ritenute) . In pratica: – Se l’azienda non ha alcun piano di rateazione in corso, commette reato al superamento di €250.000 di IVA non pagata (per anno) o €150.000 di ritenute non versate . – Se invece ha avviato una rateazione ma poi non la rispetta (decadenza), il reato scatta già se restano non pagati oltre €75.000 di IVA o €50.000 di ritenute . – Se sta rispettando un piano di rateazione, il reato non sussiste affatto.

Questi profili penali riguardano gli amministratori (legali rappresentanti) della società obbligata al versamento, aggiungendo ulteriore pressione: un amministratore di S.r.l. può rispondere penalmente dell’omesso versamento IVA o ritenute della società, pur essendo il debito in sé solo a carico della società.

Strategie difensive sui debiti fiscali: come può difendersi l’azienda debitrice dal Fisco? Le opzioni includono: – Verificare la legittimità degli atti: è sempre utile controllare se le cartelle o gli avvisi sono stati notificati correttamente e nei termini di legge. Vizi di notifica o prescrizione del debito (ad es., cartella emessa oltre i termini di decadenza/prescrizione) possono essere eccepiti presentando ricorso alla giustizia tributaria. Se vi sono errori (debito già pagato, sgravio non considerato, persona giuridica cessata, ecc.), si può chiedere l’annullamento in autotutela all’ente creditore o proporre ricorso al giudice competente . Impugnare tempestivamente una cartella può sospendere la riscossione in attesa della sentenza, specie se si ottiene una sospensiva. – Rateizzazione ordinaria: la legge consente di chiedere un piano di rateazione ad Agenzia Entrate-Riscossione per dilazionare il pagamento fino a 72 rate mensili (6 anni) o, in casi previsti, fino a 120 rate (10 anni). Attualmente, per debiti fino a €120.000 la rateazione è concessa con semplice istanza senza dimostrare lo stato di difficoltà; per importi superiori serve documentare la temporanea situazione di obiettiva difficoltà. Ottenere una rateizzazione blocca le azioni esecutive su quei debiti (AER non procede a nuovi pignoramenti finché il piano è rispettato) e sospende i termini di prescrizione. Nota bene: se si saltano più di 5 rate, si decade dal beneficio e ripartono le misure di recupero. – Definizioni agevolate (“rottamazioni”): negli ultimi anni sono state varate diverse rottamazioni delle cartelle, l’ultima delle quali (rottamazione-quater, 2023) ha permesso ai debitori di cancellare sanzioni e interessi di mora, pagando solo le imposte e gli interessi legali in forma dilazionata. Queste misure straordinarie (“pace fiscale”) sono disponibili solo a seguito di specifiche leggi – non sono sempre aperte – ma conviene monitorarne l’uscita perché consentono forti riduzioni. Se l’azienda rientra in una definizione agevolata, aderirvi può congelare le azioni esecutive e ridurre il debito fiscale. – Transazione fiscale nelle procedure concorsuali: se l’azienda decide di intraprendere un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione omologato, può proporre una transazione fiscale all’Agenzia delle Entrate (art. 63 CCII, ex art. 182-ter L.F.). Ciò significa offrire al Fisco il pagamento parziale e/o dilazionato dei debiti tributari, con eventuale stralcio di sanzioni e interessi . La transazione fiscale oggi è il fulcro delle soluzioni negoziali col Fisco : in sostanza funziona come una “rottamazione su misura” all’interno di un piano concordatario . Ad esempio, VisiWear S.r.l. con €300.000 di debiti IVA potrebbe proporre di pagarne €120.000 in 10 anni, azzerando sanzioni e interessi, a condizione che questa somma non sia inferiore a quanto il Fisco otterrebbe in caso di fallimento . Se il tribunale omologa il concordato, il debito fiscale è ridotto secondo l’accordo e l’Erario rinuncia alla parte eccedente. Importante: dal 2024, grazie a interventi normativi e giurisprudenziali, il voto contrario dell’Agenzia delle Entrate non è più un veto insormontabile: la Cassazione ha chiarito che il giudice può omologare il concordato con transazione fiscale anche se il Fisco vota no, purché la proposta garantisca al Fisco almeno il 30% del credito e sia comunque più vantaggiosa del fallimento . La Suprema Corte (Cass. Sez. I ord. 27782/2024) ha così eliminato il potere di veto dell’Erario, confermato poi dalle Sezioni Unite con sentenza 20036/2024 . Ciò significa che oggi l’Agenzia delle Entrate non può bloccare da sola un piano di risanamento serio: se il concordato offre al Fisco una soddisfazione dignitosa (es. almeno 30%, soglia che scende a 20% se l’imprenditore ha già tentato la composizione negoziata) , il tribunale può omologarlo anche senza il consenso fiscale. – Composizione negoziata e accordi ad hoc col Fisco: novità assoluta introdotta nel CCII (art. 23 comma 2-bis, inserito nel 2024) è la possibilità, durante la composizione negoziata, di concludere un accordo transattivo con gli enti fiscali e previdenziali fuori dal concordato . Se l’esperto indipendente riesce a far convergere l’Agenzia Entrate su una proposta di stralcio/dilazione dei debiti tributari, tale accordo può essere omologato dal tribunale ed avere gli stessi effetti vincolanti di una transazione fiscale in concordato . In pratica, oggi un’azienda può rinegoziare stragiudizialmente i debiti fiscali e ottenere uno “sconto” sulle tasse dovute anche al di fuori di un concordato, cosa prima impensabile . Inoltre, come accennato, chi attiva per tempo la composizione negoziata gode di incentivi: l’AdE può concedere piani di rateazione straordinaria su imposte non ancora iscritte a ruolo, fino a 6 anni (estendibili a 10 in casi eccezionali), riducendo drasticamente sanzioni e interessi . Ciò premia l’imprenditore che prende l’iniziativa di affrontare la crisi prima che degeneri. – Sospensione delle esecuzioni tramite procedure concorsuali: se l’azienda presenta una domanda di concordato preventivo (anche “in bianco”), scatta una tutela automatica: dalla data di pubblicazione della domanda al Registro delle Imprese, i creditori per titolo e causa anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali (art. 54 CCII). Questo “ombrello” blocca anche i pignoramenti fiscali in corso. La Cassazione tributaria ha chiarito che l’apertura del concordato sospende automaticamente i piani di rateazione fiscali in corso, impedendo che il debitore decada dai benefici per mancato pagamento delle rate durante la procedura . In sostanza, se VisiWear aveva un piano di rate con l’Agente della Riscossione e poi presenta concordato, non perderà la dilazione né verrà iscritto a ruolo l’intero residuo: il piano è congelato per legge . Ciò evita un aggravio del debito proprio mentre l’azienda sta cercando una soluzione concordata.

In definitiva, i debiti fiscali vanno affrontati con un mix di rigore e strategia: verificare la correttezza degli importi, sfruttare le dilazioni per evitare pignoramenti immediati, considerare strumenti di definizione agevolata se disponibili e, se il debito è troppo elevato per essere pagato integralmente, ricorrere agli strumenti concorsuali (concordato, accordi) per ottenere un taglio parziale (stralcio) garantendo però all’Erario almeno quanto otterrebbe in una liquidazione. Dal lato difensivo, è essenziale non attendere passivamente: il Fisco ha tempi lunghi ma arriva; anticiparlo negoziando un accordo o presentando una procedura può fare la differenza tra salvare l’azienda o subirne la chiusura coatta.

Debiti Previdenziali (INPS e INAIL)

I debiti contributivi verso gli enti previdenziali (principalmente INPS per i contributi pensionistici e INAIL per i premi assicurativi) sono un’altra categoria critica per le imprese con dipendenti. I contributi non versati ai lavoratori (quota a carico azienda e quota trattenuta al dipendente) generano sanzioni civili molto pesanti e interessi di mora. L’INPS, similmente al Fisco, ha poteri speciali di riscossione: notifica un Avviso di Addebito che, decorso il termine per il pagamento, vale come titolo esecutivo immediatamente eseguibile (viene affidato anch’esso all’Agenzia Entrate-Riscossione per il recupero coattivo). Ciò significa che i debiti INPS seguono il canale delle cartelle esattoriali esattamente come i tributi, con pignoramenti, fermi e ipoteche in caso di mancato pagamento.

Conseguenze particolari: se un’azienda non è in regola con i contributi, non può ottenere il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva). Il DURC irregolare preclude la partecipazione ad appalti pubblici, la fruizione di benefici pubblici e, spesso, i rapporti con clienti che lo richiedono. Per un’azienda manifatturiera come la nostra, fornitrice di altre imprese, l’assenza di DURC potrebbe far perdere commesse (ad es. nel settore edile, i cantieri richiedono subappaltatori con DURC regolare). Questa è una spinta a cercare almeno una regolarizzazione parziale (ad esempio mediante dilazione): l’INPS può rilasciare DURC in presenza di una rateazione attiva e rispettata.

Rischi penali: il mancato versamento delle ritenute previdenziali trattenute ai dipendenti è considerato reato sopra determinate soglie. Precisamente, l’art. 2 comma 1-bis del D.L. 463/1983 (conv. in L. 638/1983) punisce con fino a 3 anni di reclusione l’omesso versamento di contributi oltre €10.000 annui . Sotto tale soglia scatta invece una sanzione amministrativa pecuniaria (da 10.000 a 50.000 euro) . Ciò significa che se VisiWear non versa i contributi previdenziali dei dipendenti per €15.000 in un anno, il suo legale rappresentante commette reato (punibile, ma estinguibile pagando il dovuto prima della sentenza); se l’importo omesso è €8.000, non vi è reato ma solo una multa amministrativa. Attenzione: la Cassazione, Sezioni Unite (sent. 10424/2018) ha chiarito che la soglia va riferita all’anno solare di omissione, ed è incostituzionale punire chi è sotto la soglia cumulando più anni (sentenza Corte Cost. 5/2021 ha confermato la legittimità della soglia annuale) . In pratica la soglia 10.000 € è “per anno”: spalmare il debito su più anni non elude la punibilità se ogni anno supera il tetto, ma se in un singolo anno si resta sotto, non è reato.

Anche per i contributi sono possibili cause di non punibilità: la legge esclude il reato se il datore di lavoro paga i contributi dovuti (anche tardivamente) prima dell’apertura del dibattimento in tribunale. Inoltre, come visto per l’IVA, dal 2024 anche qui vale che aderire a una rateazione INPS ed essere in regola esclude il penale; se poi si decade dalla rateazione e residuano oltre 10.000 €, allora il reato si consuma a quel momento (norme di favore introdotte dal D.Lgs. 8/2016 e succ. mod.).

Difendersi dai debiti contributivi: le strategie sono simili a quelle fiscali: – Verifica e ricorsi: controllare gli estratti conto contributivi e gli avvisi di addebito. Se si ravvisano errori (periodi già pagati, prescrizioni – i contributi si prescrivono in 5 anni se l’INPS non ha agito), si può proporre ricorso amministrativo all’INPS o ricorso giudiziario al tribunale (in materia di contributi il giudice competente è il Tribunale – sez. Lavoro, entro 40 giorni dall’avviso di addebito). Ad esempio, se l’INPS emette un avviso per contributi 10 anni fa senza atti interruttivi, il debito può essere prescritto. – Rateizzazione INPS: l’INPS concede dilazioni brevi (di solito max 24 mesi) per debiti in fase amministrativa. Una volta passato all’Agente Riscossione, valgono le rateazioni standard di AER (fino a 72/120 rate come per le tasse). Ottenere una rateazione consente di richiedere il DURC regolare in corso di piano. In alcuni casi di crisi, l’azienda può chiedere una dilazione straordinaria direttamente all’INPS (fino a 36 rate) motivando la temporanea difficoltà, ma questo ormai è assorbito dalla normativa AER. – Transazione contributiva: analogamente alla transazione fiscale, nelle procedure concorsuali il debitore può proporre un trattamento agevolato anche per i contributi (transazione contributiva con INPS/INAIL, ex art. 63 CCII). La proposta può prevedere il pagamento parziale dei contributi (ma non oltre il limite di soddisfazione dei privilegiati indicato dalla legge: contributi e IVA hanno privilegio generale sui mobili, quindi va garantito almeno l’ammontare che otterrebbero con quel privilegio in un fallimento, tipicamente intorno al 5-10% se i beni sono insufficienti). Le sanzioni civili INPS (che sono altissime, 8-9% semestrale) possono essere falcidiate interamente. Per legge, il trattamento non può essere peggiore di quello dei creditori con grado similare. Se la transazione è approvata dal tribunale, l’INPS rimane vincolata. Anche qui, la Cassazione ha rimosso dubbi interpretativi: le Sezioni Unite (sent. 8506/2021) hanno stabilito che è ammissibile omologare un concordato con stralcio di contributi anche senza adesione dell’INPS, purché si rispetti il criterio di convenienza (non meno di quanto l’ente otterrebbe dalla liquidazione) . In sintesi, l’INPS oggi non ha potere di veto se la proposta è ragionevole. – Concordato preventivo e DURC: particolare attenzione se l’azienda con debiti contributivi vuole proseguire l’attività (concordato in continuità). L’art. 189 CCII prevede che durante il concordato l’impresa può ottenere un DURC provvisorio se include nel piano il pagamento integrale dei contributi scaduti dopo la presentazione della domanda e di quelli correnti (che vanno pagati regolarmente). I contributi anteriori rientrano nel trattamento concorsuale. Quindi in concordato l’azienda può proseguire i contratti anche pubblici, ottenendo un DURC attestante la regolarità “salvo il pregresso incluso nel concordato”. – Misure cautelari penali: un cenno sul fronte penale: a volte la Procura potrebbe disporre un sequestro preventivo sui beni dell’azienda in funzione della confisca per equivalente, se procede per omessi versamenti (specie IVA). Ebbene, la Cassazione penale ha recentemente statuito che se l’azienda è entrata in composizione negoziata e ha ottenuto misure protettive, non sussiste il periculum in mora tale da giustificare sequestri penali: i beni sono già sotto controllo e non c’è rischio di dispersione . In altri termini, l’adesione a una procedura di risanamento protegge anche da iniziative penali aggressive: Cass. pen. sez. III n. 30109/2025 ha annullato un sequestro preventivo perché l’azienda era tutelata dalle misure del tribunale durante la composizione negoziata . Ciò evidenzia come intraprendere per tempo un percorso di composizione possa risultare vantaggioso a 360 gradi.

In sintesi, per i debiti previdenziali vale quanto detto per quelli fiscali: muoversi in fretta, concordare piani di rientro per evitare il tracollo (e per preservare il DURC e quindi la continuità operativa), considerare un concordato o accordo omologato se il debito è insostenibile, così da ridurre anche i contributi (cosa altrimenti impossibile fuori dalle procedure). Sul fronte difensivo, evitare di accumulare troppi mesi di mancato pagamento delle ritenute: bastano 2-3 trimestri di omissione per superare 10.000 € e incorrere nel penale, mentre pagare almeno parzialmente può tenere la soglia sotto il limite. Priorità morale e legale: i contributi dei dipendenti (come le ritenute fiscali) non sono “soldi dell’azienda”, ma soldi altrui (dei lavoratori o dello Stato) trattenuti per essere versati; di conseguenza, la legge li tutela con particolare severità.

Debiti Bancari e Finanziari

La gran parte delle imprese si finanzia mediante banche o intermediari: linee di credito in conto corrente (fidi bancari), mutui ipotecari per immobili, leasing per macchinari, anticipi fatture e scoperti, finanziamenti agevolati ecc. Quando l’azienda entra in crisi, spesso emergono insoluti bancari: rate di mutuo impagate, utilizzi del fido oltre il limite, interessi non pagati. I debiti bancari presentano alcune caratteristiche: – Spesso sono garantiti (da ipoteche su immobili aziendali, da pegni su beni, oppure da fideiussioni personali dei soci o di un confidi). Ciò significa che la banca, se il debitore principale non paga, può aggredire i beni dati in garanzia o i garanti. – Le banche hanno canali rapidi per il recupero: in caso di insolvenza (anche solo il peggioramento del merito creditizio), possono revocare gli affidamenti e chiedere il rientro immediato. Un mutuo bancario spesso prevede la decadenza dal beneficio del termine se non si pagano tot rate: la banca può esigere immediatamente tutto il capitale residuo. – Le esposizioni bancarie, se non regolarizzate in breve, vengono segnalate nelle centrali rischi (Centrale Rischi Bankitalia e SIC privati come CRIF). Una segnalazione di insolvenza (sofferenza) presso la Centrale Rischi preclude all’azienda ogni ulteriore credito e spesso spinge altri istituti a revocare fidi per cross-default (effetto a catena). – Dopo la revoca e la messa in mora, la banca può agire giudizialmente. Di solito procede con un decreto ingiuntivo (spesso provvisoriamente esecutivo, data la prova scritta del credito) o, se c’è mutuo ipotecario, direttamente con esecuzione ipotecaria sull’immobile. I tempi bancari sono abbastanza rapidi: un decreto ingiuntivo non opposto diventa titolo in 40 giorni, e si passa al pignoramento.

Rischi e peculiarità: se i debiti verso banca sono garantiti da ipoteca, la banca è un creditore privilegiato (garantito da diritto reale). In un fallimento o concordato liquidatorio, avrà diritto di precedenza sul ricavato del bene ipotecato (detratte le spese). Se invece c’è fideiussione personale di un socio o amministratore, la banca potrà agire anche sul patrimonio personale di costui, indipendentemente dal fatto che la società acceda a procedure concorsuali (salvo specifici casi che vedremo). Va chiarito infatti che il concordato preventivo dell’azienda non libera automaticamente i fideiussori (a meno che non sia previsto e accettato espressamente): il creditore può chiedere al garante il pagamento integrale del residuo non pagato dall’azienda . Solo in alcune situazioni particolari, se la banca aderisce al concordato rinunciando anche verso i garanti, questi possono essere liberati; oppure se il garante è socio illimitatamente responsabile (come in SNC) e viene egli stesso parte della procedura. Quindi i soci che hanno garantito i debiti bancari devono considerare di tutelarsi personalmente (ad esempio inserendo nel piano un accordo sul loro debito, o se necessario valutare procedure di sovraindebitamento personali).

Strategie difensive verso le banche:Rinegoziazione e moratoria: appena si manifestano difficoltà, l’imprenditore dovrebbe incontrare la banca per cercare un accordo di ristrutturazione del debito bancario. Spesso le banche, se intravedono prospettive di ripresa, possono concedere piani di rientro: ad esempio, allungare la durata del mutuo riducendo la rata, concedere qualche mese di sola quota interessi (pre-ammortamento), oppure concordare rientri graduali sullo scoperto di conto. Nel 2020, con la pandemia, fu prevista per legge la moratoria generalizzata sui mutui PMI; oggi in mancanza di obblighi di legge, molto dipende dal rapporto di fiducia. Una banca potrebbe aderire a una convenzione di moratoria ex art. 62 CCII, cioè un accordo sottoscritto da almeno il 75% degli intermediari finanziari creditori per sospendere o posticipare i pagamenti . Questo strumento è pensato proprio per dare respiro finanziario temporaneo durante le trattative di ristrutturazione. – Consolidamento del debito: se l’azienda ha troppi prestiti a breve, potrebbe chiedere un consolidamento trasformandoli in un prestito a medio termine. Ciò richiede però che la banca creda nella continuità aziendale; spesso senza garanzie ulteriori è difficile. In compenso, a volte il Medio Credito Centrale (Fondo di Garanzia PMI) o consorzi fidi possono supportare ristrutturazioni del debito bancario fornendo garanzie pubbliche, rendendo la banca più propensa. – Accordo di ristrutturazione (ADR) o piano attestato: l’azienda può includere la banca in un piano attestato di risanamento (strumento stragiudiziale) o in un accordo di ristrutturazione omologato. In tal caso può proporre alla banca soluzioni come: conversione del credito in capitale (debt-equity swap, la banca diventa socia per la parte di credito convertita), conversione del credito in strumenti finanziari (es. partecipazioni con remissione del debito), haircut (rinuncia a una parte del credito) o nuova finanza (la banca concede nuova liquidità magari con privilegio). Spesso le banche, se già esposte e temendo di recuperare poco in caso di fallimento, preferiscono accettare un taglio del debito in un concordato o ADR e mantenere l’azienda in vita (specialmente se vi sono più banche: agiscono in pool e seguono la regola della maggioranza). Nei concordati preventivi, i creditori bancari ipotecari possono essere trattati dividendo il loro credito in due parti: fino al valore dell’immobile ipotecato sono soddisfatti integralmente (privilegio), per la parte eccedente diventano chirografari e potrebbero subire un taglio. Questo in base al principio della “falcidia” dei creditori privilegiati se il valore del bene è inferiore al credito (art. 109 CCII). – Difendere le garanzie personali: se un socio ha dato ipoteca su casa propria o una fideiussione, una volta che la banca agisce, quel socio risponde illimitatamente. Una tattica difensiva può essere coinvolgere il garante nel piano: ad esempio, se la società fa un accordo di ristrutturazione, includere una previsione che liberando la società dal debito, la banca liberi anche il garante (spesso i creditori non concedono questa liberatoria, ma il garante può offrire un pagamento parziale in cambio della liberazione). In alternativa, se il socio-garante rischia il default personale, potrebbe valutare l’accesso come consumatore sovraindebitato a una procedura di esdebitazione per i debiti residui dopo il dissesto della società. – Evitare il deterioramento e la risoluzione anticipata: fondamentale è cercare di non incorrere nella revoca dei fidi e degli affidamenti. Ciò significa mantenere aperto il dialogo con la banca, eventualmente utilizzare linee alternative per tamponare (es. un finanziamento soci in conto futuro aumento capitale per pagare rate arretrate e rassicurare la banca). Tuttavia, se la crisi è grave, spesso la revoca è inevitabile; a quel punto la difesa è guadagnare tempo: magari convincere la banca a una dilazione bonaria post-revoca (es. “rientro in 6 mesi rateizzati”). – Azioni legali contro la banca? In certe situazioni di tensione, l’imprenditore valuta se contestare legalmente qualcosa alla banca (ad es. interessi anatocistici o usurari, irregolarità contrattuali) per bloccare o ridurre il credito. Queste strade, seppur percorribili (spesso con CTU bancarie), sono lunghe e complesse: difficilmente, nel breve, evitano l’azione esecutiva. Possono però essere usate come leva in transazione (la banca, per evitare l’incertezza di una causa su usura, preferisce negoziare una riduzione). Ma vanno ponderate con esperti. – Procedure concorsuali: se la società accede a concordato o liquidazione, le banche dovranno stare nelle regole concorsuali. Ad esempio, in concordato preventivo sono sospese tutte le azioni esecutive (quindi la banca non può proseguire il pignoramento iniziato, dovrà attendere l’esito del concordato). Inoltre, se la banca è creditore ipotecario e il piano prevede la continuità, potrebbe dover accettare un pagamento dilazionato (la legge consente nel concordato in continuità di pagare i creditori privilegiati entro 180 giorni dall’omologazione o entro 1 anno se giustificato da necessità, art. 86 CCII). Se la banca dissente dal piano, potrà votare contro, ma se la maggioranza approva e il piano è equo, la banca sarà comunque vincolata dall’omologazione.

Caso pratico: VisiWear S.r.l. ha un mutuo residuo di €200.000 garantito da ipoteca sul capannone (valore immobile €150.000) e un fido utilizzato €50.000 garantito dalla fideiussione personale del socio. In crisi di liquidità, non paga 3 rate di mutuo: la banca minaccia la decadenza dal termine. L’azienda potrebbe: – Offrire alla banca di vendere spontaneamente il capannone e restituire €150.000, chiedendo il saldo stralcio sul residuo (€50.000 verrebbe cancellato). La banca può accettare se stima che dall’asta ricaverebbe persino meno netti (detratti costi legali, tempi, ecc.). In cambio il socio fideiussore viene liberato. – Oppure presentare un concordato liquidatorio offrendo alla banca €150.000 dal ricavato vendita capannone (100% del valore ipoteca) e trattando i restanti €50.000 come chirografari con il medesimo trattamento (es. 30%). In tal caso il socio fideiussore rimane esposto per quel 70% non pagato, salvo liberatoria. – Oppure se l’attività è ancora valida, un concordato in continuità: mantenere il capannone, continuare a pagare il mutuo magari allungandolo (ci vuole l’accordo della banca nel piano). Magari il socio apporta €50.000 freschi che vanno a pagare in parte la banca e in parte i fornitori, ottenendo una moratoria sul resto. – Il socio, temendo l’escussione, potrebbe parallelamente cercare un accordo personale: offrire alla banca un’ipoteca su un suo altro immobile in cambio di non procedere subito, ecc. Tutto dipende dalla leva contrattuale.

In conclusione, per i debiti bancari l’arma principale è la negoziazione. Le banche sono interlocutori sofisticati: se c’è prospettiva di recuperare più supportando un piano di risanamento, lo faranno; se vedono solo perdite, tenderanno a escutere velocemente le garanzie per limitare il danno. Dal lato difensivo, l’imprenditore deve tenere presente anche l’effetto domino: uno sconfinamento non sistemato in Banca X potrebbe portare Banca Y a tagliare la sua linea appena vede il cattivo andamento in Centrale Rischi. Quindi occorre agire con trasparenza e tempestività per evitare il collasso del merito creditizio.

Debiti verso Fornitori e Altri Creditori Privati

Questa categoria comprende i debiti commerciali verso fornitori di materie prime, prodotti, servizi, consulenti, ecc., nonché eventuali debiti verso i locatori (che tratteremo a parte) e altri soggetti privati non finanziari. Tipicamente, un’azienda in crisi inizia a pagare in ritardo i fornitori: allungando i termini di pagamento ben oltre le scadenze concordate, accumulando fatture scadute.

Conseguenze dei mancati pagamenti ai fornitori:Interruzione delle forniture: la prima conseguenza “pratica” è che il fornitore non pagato può sospendere le consegne future (in base all’art. 1460 c.c., eccezione di inadempimento). Per un’azienda manifatturiera ciò può bloccare la produzione. Ad esempio, se VisiWear non paga il suo fornitore di tessuto rifrangente, quel fornitore cesserà di spedire nuovi tessuti: l’azienda rischia di fermarsi per mancanza di materiali. Quindi, il rischio industriale è grave: spesso l’imprenditore in crisi fa scelte difficili su chi pagare con le poche risorse disponibili, privilegiando i fornitori critici per continuare l’attività (anche a scapito di altri creditori meno immediatamente pericolosi). – Perdita di fiducia e reputazione: i fornitori, sapendoci inaffidabili nei pagamenti, possono pretendere condizioni più onerose (pagamento anticipato per nuove forniture, niente più dilazioni). Ciò peggiora la crisi di liquidità. – Azioni legali individuali: un fornitore impaziente può avviare un decreto ingiuntivo per farsi riconoscere il credito e poi pignorare conti, merci o attrezzature aziendali. In genere, per somme modeste, molti fornitori preferiscono solleciti bonari; per somme ingenti, potrebbero agire legalmente. Se ottengono un decreto ingiuntivo, l’azienda può opporsi per guadagnare tempo, ma se il debito è certo (merce consegnata regolarmente) l’opposizione alla lunga verrà respinta con condanna anche alle spese. – Azioni conservative: alcuni creditori possono iscrivere un pignoramento mobiliare o un sequestro conservativo sui beni dell’azienda, specie se temono dilapidazione. Un fornitore con fattura non pagata potrebbe chiedere un sequestro conservativo su beni in magazzino se prova che l’azienda li sta vendendo sottocosto per fuggire, ad esempio. Sono situazioni rare nelle PMI, ma possibili. – Istanza di fallimento (liquidazione giudiziale): il fornitore può anche scegliere la strada più drastica: presentare un’istanza di fallimento (oggi liquidazione giudiziale) se il suo credito supera certe soglie (di solito è sufficiente un credito certo di qualche migliaio di euro, purché l’insolvenza sia dimostrabile, quindi più creditori insoddisfatti). Molte procedure fallimentari sono avviate proprio su iniziativa di creditori piccoli o medi che non riescono a riscuotere: ad esempio, fornitori esasperati che preferiscono affidarsi a un curatore per ripartirsi quel poco che resta dell’azienda piuttosto che attendere ancora. Nel nostro esempio, il fornitore di tessuti con €50.000 di insoluto potrebbe decidere di “far fallire” VisiWear se ha segnali che è in dissesto (più insoluti con altri). L’istanza di fallimento è un pericolo enorme: una volta depositata, l’imprenditore ha poche settimane per reagire prima dell’udienza in tribunale.

Strategie difensive verso fornitori:Comunicazione e mini-piani di rientro: la prima difesa è negoziare direttamente con i fornitori dilazioni o piani di rientro. Spesso i fornitori, soprattutto se consolidati e interessati a mantenere il cliente, accettano di farsi pagare a rate o con effetti cambiari scadenzati. Conviene stilare un piano di pagamento realistico e proporlo: es. “Ti devo 100, posso darti 10 al mese per 10 mesi”. Formalizzare magari con scrittura privata (riconoscimento debito e rate). Questo non impedisce al fornitore di agire se poi si salta una rata, ma intanto guadagna tempo e riduce la conflittualità. – Pagamenti parziali a titolo di acconto: se non si può pagare tutto, offrire almeno un acconto al fornitore può dimostrare buona fede e farlo desistere dall’azione legale immediata. Ad esempio, pagare quel 20-30% che gli copre almeno il costo vivo sostenuto per fornirci, e il resto spostarlo più avanti. – Clausole contrattuali di salvaguardia: alcuni fornitori vendono con clausole di riserva di proprietà (soprattutto sui beni strumentali o merce importante): significa che la proprietà del bene resta del fornitore finché non è pagato tutto. Se c’è questa clausola (art. 1523 c.c.), il fornitore potrebbe riprendersi la merce non pagata. In settori come l’abbigliamento questo è raro (di solito la riserva di proprietà è su macchinari o automezzi venduti a rate). Ma l’imprenditore debitore deve esserne consapevole: se la merce non è legalmente sua finché non paga, non può rivenderla liberamente senza commettere appropriazione indebita. Quindi difendersi in tal caso significa trovare un accordo col fornitore proprietario della merce (ad esempio, restituire la merce invenduta per ridurre il debito). – Contestazione del credito se vi sono motivi reali: se il fornitore ha fornito merce difettosa o non conforme, l’azienda può legittimamente rifiutare il pagamento finché la situazione non è risolta (vizi della merce, ecc.). Non bisognerebbe abusare di contestazioni pretestuose (diventerebbero cause legali lunghe con esito negativo e aggravio di spese). Ma se c’è un fondamento – ad esempio consegne in ritardo che hanno causato danni – si può portare il fornitore al tavolo per una transazione (es. “non ti pago il 100% perché mi hai danneggiato, accordiamoci sull’80%”). – Procedure di allerta e OCC: se l’impresa sta mediando con più fornitori, può farsi aiutare da un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) anche al di fuori di concorsi formali (questo è più tipico nel sovraindebitamento, per società fallibili si passa a composizione negoziata). Ma in caso di imprenditore minore (non fallibile) con molti fornitori creditori, l’istituto del concordato minore (ex accordo di composizione) può essere attivato tramite OCC: i fornitori sono chiamati a votare su un piano di ristrutturazione dei loro crediti . – Concordato preventivo o accordo giudiziale: se la situazione debitoria generale è grave, includere i fornitori in un concordato preventivo può essere la soluzione. Nel concordato, i debiti chirografari (in cui rientrano la maggior parte dei debiti fornitori) sono falcidiabili: si può proporre loro di essere pagati in percentuale (es. 40%) entro un certo tempo. Ai fornitori conviene accettare se quel 40% è più di quanto vedrebbero in un fallimento (spesso sarebbe zero o 10%). Per legge, in un concordato liquidatorio puro va garantito ai chirografari almeno il 20% , mentre in un concordato in continuità non c’è una percentuale minima fissa ma nessun creditore può essere lasciato a 0: va data un’utilità economica a ciascuno . Il nostro piano dovrà quindi prevedere di riconoscere qualcosa a tutti i fornitori, seppur parzialmente. Ciò li vincolerà se la maggioranza approva. Inoltre, come visto, presentare domanda di concordato blocca sul nascere iniziative come l’istanza di fallimento da parte di un fornitore (il tribunale deve esaminare prima la domanda di concordato) . – Opporsi all’istanza di fallimento: se un fornitore ha già depositato ricorso per liquidazione giudiziale, l’imprenditore può difendersi in diversi modi: (a) contestando l’insolvenza e dimostrando di poter pagare (magari pagando proprio quel fornitore prima dell’udienza, facendogli così perdere legittimazione attiva); (b) chiedendo al giudice un termine per presentare un concordato (concordato in bianco), che di norma sospende la decisione sull’istanza; (c) mostrando che esiste una trattativa avanzata con i creditori (magari tramite composizione negoziata) che renderebbe prematura la dichiarazione di fallimento. Il CCII all’art. 7 prevede che, in caso di concorso tra domanda di concordato e istanza di liquidazione, sia esaminata prioritariamente la soluzione diversa dalla liquidazione . Quindi il tribunale dovrebbe dare chance al piano di risanamento se appare concretamente perseguibile. In pratica, attivarsi prima che il giudice dichiari fallito è cruciale: appena arriva la notifica dell’istanza, è consigliabile presentare una domanda di concordato preventivo (anche con riserva) o un accordo per evitare la sentenza di apertura della liquidazione.

Debiti verso fornitori strategici: particolare attenzione meritano i casi in cui un fornitore è essenziale (fornitore unico di un componente chiave, ecc.). In composizione negoziata, la legge consente di chiedere al tribunale di impedire la risoluzione di contratti essenziali per la continuità a causa di pregresse inadempienze (art. 18 CCII). Ad esempio, se la nostra VisiWear ha un contratto di fornitura esclusiva con un’azienda per un tessuto speciale, e ha accumulato debiti con quella, potrebbe ottenere dal tribunale l’ordine che quel fornitore non sospenda le forniture durante le trattative, a patto di pagare regolarmente il nuovo fornito e rispettare le condizioni correnti. Il tribunale può anche autorizzare l’azienda a pagare anticipatamente taluni crediti pregressi di fornitori indispensabili, in deroga alla par condicio, se ciò è funzionale a evitare l’interruzione (queste autorizzazioni avvengono tipicamente in concordato con continuità, art. 100 CCII, per approvvigionamenti vitali).

Riassumendo, la difesa verso i fornitori combina elementi di negoziazione privata (piani di rientro, transazioni individuali) e, se necessario, l’ingresso in procedura per gestire collettivamente i debiti. È importante però che l’imprenditore eviti comportamenti che possano costituire pagamenti preferenziali pericolosi: pagare un fornitore in sofferenza e lasciarne altri a bocca asciutta, se l’insolvenza è già conclamata, potrebbe portare in un successivo fallimento all’azione revocatoria di quei pagamenti (art. 164 CCII, ex art. 67 L.F.), con richiesta al fornitore di restituire quanto avuto. Tuttavia, la legge oggi attenua la revocatoria per pagamenti effettuati nell’ambito di piani attestati o accordi omologati – essi sono esenti da revocatoria . Quindi conviene inserire i pagamenti critici all’interno di un piano attestato o di una composizione negoziata, così da metterli al riparo da future contestazioni e dare loro una veste di equità (ad esempio: “paghiamo anticipatamente Tizio perché fornitore essenziale, come da autorizzazione del giudice”, sarà difficilmente contestabile).

Debiti Locativi (Affitti di Immobili e Leasing)

Molte imprese, come la nostra ipotetica VisiWear, operano in locali in locazione (capannoni industriali, uffici, negozi) o utilizzano beni in leasing (macchinari, veicoli). Il mancato pagamento dei canoni di affitto comporta rischi specifici: – Sfratto per morosità: il proprietario dell’immobile (locatore) può, in caso di mancato pagamento anche di una sola mensilità trascorsi i termini di legge (di solito 20 giorni dalla scadenza), attivare la procedura di sfratto per morosità (art. 5 L. 392/1978). Nel giro di poche settimane può ottenere un’ordinanza di rilascio dall’autorità giudiziaria. Questo significa che l’azienda rischia di perdere i locali (laboratorio, magazzino) in tempi relativamente brevi. Nel contempo, il locatore agirà per recuperare i canoni arretrati con decreto ingiuntivo e pignoramento della cauzione eventualmente versata. – Privilegio del locatore sui beni mobili: il locatore ha un privilegio speciale sui beni mobili presenti nell’immobile affittato, a garanzia di massimo due annualità di canoni scaduti e dell’annualità corrente (art. 2764 c.c.). In pratica, può opporsi a che tali beni vengano rimossi e può farli pignorare per soddisfarsi preferenzialmente. Ciò è rilevante: se VisiWear non paga 6 mesi di affitto, il proprietario del capannone potrebbe pignorare i macchinari e le merci dentro il capannone fino a coprire quell’importo, avendo precedenza su altri creditori chirografari su quei beni. – Decadenza del contratto di leasing: se i canoni di leasing (che giuridicamente sono locazioni finanziarie) non vengono pagati, la società di leasing può dichiarare risolto il contratto e riprendersi il bene in leasing (che ne è proprietaria). Inoltre chiederà il pagamento delle rate scadute + una penale (di solito le restanti rate attualizzate meno il valore del bene). Il leasing è quindi simile alla locazione per conseguenze, con la differenza che i beni solitamente tornano al lessor se la lessee non paga.

Strategie difensive verso il locatore:Negoziazione e rinnovo: anzitutto, cercare un accordo bonario. Molti locatori preferiscono mantenere un conduttore che paghi ridotto piuttosto che trovarsi l’immobile sfitto. Si può negoziare una riduzione temporanea del canone o una dilazione degli arretrati. Ad esempio, chiedere 6 mesi di canone dimezzato in cambio di aggiungerli in coda al contratto, oppure utilizzare il deposito cauzionale a copertura di un paio di mensilità immediate (pattuendo di ricostituirlo più avanti). – Pagare almeno parzialmente e tempestivamente: per evitare lo sfratto, spesso bastano pagamenti parziali: il giudice può convalidare lo sfratto se alla data dell’udienza la morosità non è sanata. Se l’azienda riesce a racimolare la maggior parte degli arretrati e paga prima dell’udienza, il giudice potrebbe anche concedere il termine di grazia (120 giorni ex art. 55 L. 392/1978) per saldare il residuo. Quindi, la difesa è: non far accumulare troppi mesi di ritardo e se arriva l’intimazione di sfratto, correre ai ripari con un pagamento (anche parziale) prima dell’udienza. – Strumenti concorsuali: in concordato preventivo, i canoni scaduti antecedenti rientrano nei crediti chirografari del locatore. Il locatore può essere trattato come un normale creditore chirografo per i canoni arretrati. Tuttavia, se l’azienda intende proseguire il contratto di locazione in un concordato in continuità, dovrà pagare regolarmente i canoni correnti e garantire il pagamento di eventuali morosità entro breve (di solito entro l’omologazione). Il CCII consente all’impresa in concordato di recedere dai contratti pendenti se onerosi, ma se il capannone serve, non può certo recedere senza compromettere l’attività. Quindi la gestione è: includere nel piano il pagamento integrale (o quasi) dei canoni scaduti al locatore per farlo aderire e mantenere il contratto attivo. – Misure protettive: durante la composizione negoziata, l’azienda può chiedere al giudice misure per evitare la cessazione di forniture essenziali, e questo può valere anche per un contratto di locazione considerato essenziale per la continuità (l’immobile dove si produce!). Quindi potrebbe ottenere la sospensione temporanea di un’azione di sfratto. Non c’è una norma ad hoc sullo sfratto nella composizione negoziata, ma il tribunale potrebbe nell’ambito delle misure protettive generali sospendere procedure esecutive in corso, e uno sfratto esecutivo può rientrare. In ogni caso, in sede di concordato preventivo, l’apertura del concordato sospende le azioni esecutive per rilascio forzoso? Su questo la giurisprudenza è oscillante: lo sfratto è una procedura esecutiva sui generis. Molti tribunali ritengono che non sia sospeso automaticamente dal concordato perché non è per un credito pecuniario ma per finita locazione; tuttavia, il debitore può chiedere al giudice del concordato di emanare provvedimenti urgenti per mantenere la continuità, che potrebbero includere la sospensione dello sfratto se infliggerebbe un danno irreparabile alla procedura. – Cercare soluzioni alternative: se il dialogo col locatore è impossibile e lo sfratto probabile, l’azienda deve considerare piani B: ad esempio, trasferirsi in un altro immobile (magari più piccolo o economico) prima di perdere tutto. Anche vendere macchinari in leasing e passare a noleggi operativi può essere un modo di ridurre costi fissi. Queste sono scelte aziendali drastiche ma a volte necessarie.

Leasing: se l’azienda non riesce a pagare il leasing di un macchinario vitale, una strategia è proporre alla società di leasing di convertire il leasing in un noleggio con riscatto a fine periodo (praticamente rinegoziazione, pagando solo una quota minima per ora e allungando la durata). Oppure trovare un investitore che rilevi il leasing (in concordato l’art. 97 CCII consente di cedere i contratti di leasing a terzi con il consenso del lessor). Se il leasing viene risolto e il bene ripreso, la società di leasing avrà un credito chirografo in procedura pari alla differenza tra capitale residuo e ricavato dalla ricollocazione del bene.

In generale, i debiti locativi richiedono attenzione immediata: perdere la sede produttiva o i beni strumentali vuol dire fermare l’attività. Spesso è più critico pagare l’affitto che non alcuni fornitori marginali. Una scala di priorità ragionata è necessaria.

Debiti verso Dipendenti (Retribuzioni e TFR)

Anche se non era esplicitato nella richiesta iniziale, è doveroso toccare il tema dei debiti verso i propri dipendenti, perché dal punto di vista dell’azienda-debitore sono cruciali. I dipendenti sono creditori particolari, tutelati sia civilmente che penalmente: – Retribuzioni non pagate: il mancato pagamento degli stipendi può portare i lavoratori a dimettersi (per giusta causa, con diritto all’indennità di disoccupazione NASpI) e ad adire il giudice del lavoro per ottenere ingiunzioni o pignoramenti. Tuttavia, molti dipendenti, per non perdere il lavoro, tollerano qualche ritardo; ma quando i mesi non pagati diventano troppi, la motivazione cala o se ne vanno, indebolendo l’azienda. – TFR (Trattamento di Fine Rapporto): è anch’esso un credito dei lavoratori, che matura nel tempo ma è esigibile solo alla cessazione del rapporto (salvo anticipi). Se l’azienda non accantona il TFR, in caso di cessazione potrebbe non avere fondi per liquidarlo. – Crediti privilegiati: i crediti dei lavoratori per retribuzioni degli ultimi 12 mesi e TFR degli ultimi 2 anni godono di privilegio generale di grado elevato (art. 2751-bis c.c.). Ciò significa che in un fallimento saranno pagati prima dei chirografari e anche prima di gran parte dei crediti erariali. Inoltre esiste un Fondo di Garanzia INPS che, in caso di insolvenza del datore di lavoro (fallimento o anche concordato liquidatorio), interviene a pagare ai lavoratori il TFR e le ultime 3 mensilità impagate (per poi surrogarsi nel credito in procedura). – Tutele penali: l’ordinamento non prevede un reato specifico per il datore che non paga gli stipendi (è una inadempienza contrattuale, non penale), a meno che ciò configuri altri illeciti (ad es., sfruttamento, ma è altro campo). Tuttavia, non pagare le ritenute fiscali e contributive sulle retribuzioni è penalmente sanzionato come visto sopra. Inoltre appropriazioni indebite dei contributi o casi di intermediazione illecita possono sorgere se c’è dolo di frode. Ma tipicamente, il datore insolvente non va in carcere per non aver pagato gli stipendi, bensì rischia per i contributi e tasse omesse.

Strategie e considerazioni: – Dal punto di vista morale e strategico, i dipendenti dovrebbero essere gli ultimi a subire i mancati pagamenti, perché sono coloro che mandano avanti l’azienda. Spesso però, in crisi di liquidità, l’imprenditore paga prima fornitori e salta qualche mensilità al personale contando sulla comprensione. Questa è una scelta estremamente delicata: lungo periodo mina la produttività e può portare ad azioni sindacali o legali (ingiunzioni e pignoramenti su c/c aziendale). – Negoziare col personale: in situazioni di crisi conclamata, alcune aziende stipulano accordi con i dipendenti (meglio se con assistenza sindacale) per ridurre temporaneamente il salario o ritardare il pagamento di alcune voci, magari offrendo in cambio altre garanzie (azioni, percentuali su futuri utili, ecc.). Ci sono stati casi di dipendenti che temporaneamente accettano il dimezzamento stipendio per salvare l’impresa. Ovviamente serve trasparenza e fiducia. – Ammortizzatori sociali: l’ordinamento offre strumenti come la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) per crisi aziendale o la cassa integrazione in deroga, oppure contratti di solidarietà. Se VisiWear ha dipendenti e il calo di lavoro è temporaneo, potrebbe richiedere la CIGS per crisi, riducendo l’orario di lavoro e facendo pagare parte dello stipendio all’INPS per un periodo. Questo alleggerisce il costo del lavoro, evitando di accumulare debiti per retribuzioni. – Licenziamenti e riduzione personale: come estrema ratio, l’azienda in crisi può dover ridurre l’organico (licenziamenti per giustificato motivo oggettivo o collettivi se più di 5). Ciò però genera costi immediati (TFR da liquidare, eventuali indennità) e andrebbe pianificato per non incorrere in ulteriori debiti. Inoltre, se in concordato, i licenziamenti collettivi seguono la procedura dell’art. 189 CCII e legge 223/1991 con accordo sindacale se possibile. – Procedura concorsuale: in concordato o fallimento, i dipendenti sono tutelati: in caso di fallimento, i loro crediti per stipendi e TFR vengono pagati dal Fondo di Garanzia INPS appena il curatore certifica lo stato passivo, senza dover attendere l’esito della liquidazione (questo per far sì che i lavoratori non aspettino anni). Nel concordato preventivo, di solito il piano prevede di pagare integralmente i dipendenti, almeno entro breve: i crediti ex art. 2751-bis c.c. se soddisfatti integralmente entro 30 giorni dall’omologazione non votano nemmeno (per legge non sono considerati alterati dal concordato, art. 109 CCII) . Dunque, un buon piano di risanamento normalmente non tocca i dipendenti, anzi li paga prima (specie se si vuole proseguire l’attività). – Defesa legale: se i dipendenti fanno decreti ingiuntivi e pignorano ad esempio i conti bancari, l’azienda può trovarsi paralizzata. Difendersi in giudizio contro i dipendenti raramente paga, perché il credito è in genere incontestabile e i giudici del lavoro tutelano il lavoratore. La via migliore è prevenire: spiegare la situazione e concordare magari che attendano l’esito di un concordato, dove comunque loro saranno soddisfatti in via privilegiata.

In conclusione, dal punto di vista del debitore che vuole risanare la propria impresa, mantenere i dipendenti pagati e motivati è fondamentale. Non sono “creditori come gli altri”: sono una risorsa senza la quale l’azienda non risorge. Dunque, nelle scelte su chi pagare quando i soldi scarseggiano, l’azienda dovrebbe assicurare almeno il pagamento di una parte di stipendio costante (magari posticipare straordinari o premi, ma dare il netto base) e coinvolgere il personale nel piano di rilancio. Inoltre, i crediti dei dipendenti, se proprio non possono essere pagati subito, sono tra quelli che più facilmente trovano soddisfazione nelle procedure concorsuali (grazie al Fondo INPS); il che non significa che si possa trascurarli, ma che almeno i lavoratori avranno un paracadute. Dal lato difensivo giuridico, l’azienda può “barattare” la pace sociale con strumenti come la cassa integrazione e le procedure concorsuali che tutelano i lavoratori.

Abbiamo così analizzato tutte le principali categorie di debito di un’azienda: fiscali, previdenziali, finanziari, commerciali e del personale. Ognuna presenta rischi diversi e richiede approcci tattici differenti, che riassumeremo in una tabella riepilogativa per chiarezza:

Tabella 1: Tipologie di Debiti, Conseguenze e Soluzioni Difensive Principali

Tipo di DebitoEsempi e ConseguenzeStrategie Difensive
Fiscali (Erario)Imposte non versate (IVA, imposte dirette).<br>Cartelle esattoriali, pignoramenti, ipoteche, fermi amministrativi.<br>Sanzioni e interessi elevati.<br>Possibile reato se IVA > €250k o ritenute > €150k .– Richiedere rateizzazioni (fino 72/120 rate) per bloccare pignoramenti.<br>– Verificare vizi di notifica/prescrizione ed eventualmente ricorrere .<br>– Usufruire di definizioni agevolate (rottamazioni) se disponibili.<br>– Includere il Fisco in concordato/accordo con transazione fiscale (possibile stralcio sanzioni e interessi) .<br>– Attivare composizione negoziata per trattare extra-concordato e ottenere dilazioni straordinarie (6–10 anni) .<br>– Evitare nuove violazioni per non aggravare profili penali; se necessario, versare almeno parzialmente IVA/ritenute per stare sotto soglie.
Previdenziali (INPS)Contributi non versati (quota dipendente e datore).<br>Avvisi di addebito INPS esecutivi (cartelle).<br>Mancata regolarità DURC, blocco gare/appalti.<br>Reato se omesso > €10k anno (ritenute previdenziali) .– Chiedere dilazioni all’INPS/AER; regolarizzare per ottenere DURC provvisorio (es. con rateazione in essere).<br>– Valutare CIGS o riduzione orario per diminuire contributi correnti.<br>– Inserire contributi in transazione contributiva nel concordato (stralcio sanzioni civili, pagamento parziale del dovuto) .<br>– Pagare subito le ritenute dipendenti per evitare il penale, anche a costo di rateizzare altri pagamenti.<br>– Usare comp. negoziata: tribunale può proteggere l’azienda da sequestri conservativi penali (Cass. 30109/2025) .
Bancari/FinanziariRate mutuo impagate, sconfinamenti fido.<br>Revoca affidamenti e richiesta rientro immediato.<br>Segnalazione in Centrale Rischi (credit crunch).<br>Decreti ingiuntivi, esecuzioni su ipoteche o pegni.<br>Escussione di garanzie personali (fideiussioni soci).Negoziazione con la banca: rinegoziare mutuo (allungare durata), chiedere moratoria temporanea interessi, proporre piani rientro graduali.<br>– Se più banche: proporre Accordo di ristrutturazione (coinvolgendo almeno 60-75% banche) per consolidare il debito .<br>– Offrire garanzie aggiuntive o conversione debito in equity se fattibile, per convincere la banca a non agire subito.<br>– Presentare concordato preventivo per sospendere le azioni esecutive (stop ai pignoramenti). Nel piano, pagare i crediti bancari garantiti almeno fino a capienza garanzia; trattare eventuale parte chirografaria come gli altri.<br>– Attenzione ai fideiussori: negoziare con banca eventuale liberazione (spesso devono pagare una quota). In mancanza, considerare procedure personali di sovraindebitamento per i garanti.
Fornitori (trade)Fatture non pagate a fornitori di merci/servizi.<br>Sospensione forniture cruciali (rischio blocco attività).<br>Decreti ingiuntivi e pignoramenti su beni aziendali.<br>Istanze di fallimento da creditori insoddisfatti.Concordare piani di rientro individuali: pagamenti rateali, riconoscimento debito, eventuali interessi di mora per ottenere tempo.<br>– Pagare almeno fornitori strategici (quelli senza cui l’azienda ferma) e negoziare forniture a pagamento anticipato per il futuro (assicurarsi la continuità).<br>– Se creditori multipli: attivare composizione negoziata per trattativa generale; in alternativa predisporre concordato preventivo prima che i fornitori ottengano fallimento. Nel concordato in continuità, assicurare utilità a ciascun fornitore (anche minima) ; in liquidatorio offrire almeno 20% ai chirografari .<br>– Opporsi alle esecuzioni con ogni vizio possibile per guadagnare tempo, ma parallelamente preparare soluzione di accordo o procedura.<br>– Evitare pagamenti preferenziali “anomali” fuori da piano: meglio includerli in un piano attestato o ottenere autorizzazione giudice (se procedura) per pagare anticipatamente fornitori critici (evitando revocatorie).
Locatore/LeasingCanoni di affitto capannoni non pagati.<br>Rischio sfratto per morosità (perdita sede operativa).<br>Locatore con privilegio su beni in loco (può pignorarli) .<br>Leasing: risoluzione contratto e ritiro bene (macchinari, veicoli) se insolvente.Dialogo con locatore: chiedere riduzione temporanea canone o dilazione degli arretrati; usare deposito cauzionale per coprire parzialmente il dovuto (con accordo).<br>– Pagare almeno parzialmente prima dell’udienza di sfratto per evitare la risoluzione immediata; eventualmente chiedere al giudice termine di grazia (120 gg) per saldare differenza.<br>– Includere il locatore nel piano concordatario: prevedere pagamento integrale o significativo degli affitti arretrati (specie se si vuole mantenere il contratto).<br>– Se serve liberarsi del contratto oneroso: valutare scioglimento dei contratti in concordato (art. 96 CCII) – il locatore avrà indennizzo come credito chirografo, ma l’azienda potrà spostarsi altrove a costi minori.<br>– Leasing: negoziare con lessor una revisione del piano leasing (allungamento durata, riduzione rata); in concordato, possibile subentro di terzi nel leasing o continuazione se utile, oppure riconsegna bene e falcidia del debito residuo.

Come si evince dalla tabella, ogni tipo di debito va gestito con strumenti mirati, pur nel quadro di una strategia unitaria di risanamento. Nei paragrafi seguenti passeremo in rassegna tali strumenti di risanamento e ristrutturazione del debito, spiegando come funzionano e come possono essere utilizzati da un’azienda indebitata per difendersi dai creditori e uscire dalla crisi.

Strumenti di Gestione della Crisi e Ristrutturazione del Debito

Dopo aver delineato il “chi” (i creditori) e il “cosa” (i debiti), veniamo ora al “come” affrontarli. Il nostro ordinamento mette a disposizione dell’imprenditore indebitato diversi strumenti giuridici – da quelli volontari e negoziali a quelli giudiziali e più strutturati – per ristrutturare il debito dell’azienda e tentare il salvataggio. Li esamineremo in ordine di complessità, partendo dalle soluzioni stragiudiziali più semplici (che non coinvolgono il tribunale) fino alle procedure concorsuali più articolate. L’obiettivo è evidenziare per ciascuno: – Come funziona e su quali basi normative si regge. – Quando è indicato (tipologia e gravità della crisi, composizione dei creditori). – Vantaggi (ad es. rapidità, riservatezza, controllo da parte dell’imprenditore) e limiti (vincolatività verso i creditori, efficacia nel bloccare azioni esecutive, etc.). – Effetti per il debitore (sospensione delle azioni, eventuali riduzioni di debito, obblighi da rispettare) e per i creditori (quali diritti mantengono o sacrificano).

Interventi Stragiudiziali Interni e Misure Preventive

Prima di attivare qualsiasi procedura “ufficiale”, un imprenditore può mettere in atto una serie di azioni interne di risanamento: – Ristrutturazione operativa: taglio dei costi superflui, ottimizzazione del personale (es. riduzione straordinari, cassa integrazione come detto), cessione di rami d’azienda non redditizi, dismissione di asset non essenziali (vendere macchinari inutilizzati, immobili non strategici, flotte ecc. per fare cassa). Queste misure migliorano la posizione finanziaria e dimostrano ai creditori la volontà di risanare. – Ricerca di nuova finanza: coinvolgere soci attuali o nuovi investitori per immettere capitale fresco (equity) o un finanziamento soci. Un aumento di capitale con risorse dei soci può servire a pagare debiti urgenti e riguadagnare fiducia (spesso i creditori chiedono “anche i soci ci mettano qualcosa” come segnale di impegno). Nuovi investitori possono essere attirati se intravedono un rilancio (a volte acquistano quote dell’azienda a prezzo simbolico impegnandosi a ripianare i debiti parzialmente). Anche il reperimento di un socio industriale più grande che inglobi l’azienda in difficoltà è una via: in tal caso il partner spesso paga i debiti (o parte) in cambio di acquisire l’azienda. – Rinegoziazione privata con creditori: come in parte già trattato, l’imprenditore può contattare singolarmente i creditori principali per negoziare condizioni migliori o dilazioni. Ad esempio, concordare con la banca un periodo di grazia, con i fornitori uno sconto per pagamento immediato, col fisco un piano dilazionato. Questa fase informale spesso precede formalizzazioni più complesse: se i principali creditori manifestano apertura, si può procedere a formalizzare un accordo collettivo. – Moratorie di categoria o di sistema: esistono protocolli, a volte promossi dalle associazioni di categoria o dal governo, per agevolare imprese in crisi. Un esempio fu il citato Accordo ABI per la moratoria dei debiti bancari nel 2020. Nel 2025 non c’è una moratoria generalizzata, ma alcune banche deliberano politiche interne per rinegoziare debiti UTP (Unlikely To Pay) di PMI meritevoli. Vale la pena informarsi tramite Confartigianato, Confindustria locale, ecc.

Tali interventi interni, da soli, funzionano per crisi leggere o iniziali. Se il debito è troppo elevato rispetto alle risorse, o i creditori sono troppi per gestirli individualmente, bisogna ricorrere a strumenti legali codificati. Vediamoli uno a uno.

Piano Attestato di Risanamento (art. 56 CCII)

Il Piano Attestato di Risanamento è uno strumento stragiudiziale e volontario previsto dall’art. 56 del Codice della Crisi (riprendendo l’art. 67 co. 3 lett. d) della vecchia Legge Fallimentare) . Consiste in un piano di risanamento aziendale, redatto dall’imprenditore con l’ausilio di consulenti (tipicamente un advisor finanziario), che deve essere attestato da un professionista indipendente circa la sua fattibilità e idoneità a risanare l’esposizione debitoria.

Caratteristiche chiave: – È un accordo di natura privata fra il debitore e i suoi creditori (o anche solo alcuni di essi). Non richiede omologa o deposito in tribunale. Può rimanere riservato. – Il professionista attestatore (un commercialista o esperto ex art. 2 CCII) deve verificare i dati aziendali e giudicare se il piano è realistico e sufficiente a riequilibrare la situazione finanziaria . Rilascia quindi un’attestazione scritta. – Finalità principale: protezione da azioni revocatorie. Gli atti, pagamenti e garanzie concessi in esecuzione di un piano attestato non sono soggetti a revocatoria fallimentare in caso poi l’azienda fallisca (art. 166 CCII). Ciò dà sicurezza ai creditori aderenti: se accettano pagamenti dilazionati o stralci nel piano e poi l’azienda comunque fallisce, non dovranno restituire quei pagamenti. – Non c’è una soglia minima di creditori aderenti richiesta per legge (può essere anche un piano con uno due banche per esempio), ma deve coinvolgere abbastanza creditori da risolvere la crisi. Spesso i piani attestati si usano quando l’impresa ha pochi creditori rilevanti e si riesce a trovare un accordo con tutti: es. 2 banche e 3 fornitori principali. – Il piano va pubblicato in conservatoria dei registri se si vuole l’esenzione dalle revocatorie (per dare pubblicità legale della data). In passato si richiedeva l’omologazione in tribunale per data certa, ora basta l’iscrizione nel registro delle imprese del documento attestato.

Quando usarlo: il piano attestato è indicato per crisi non troppo profonde, dove l’imprenditore intravede la possibilità di risanare con qualche aggiustamento e dove i creditori sono ragionevolmente collaborativi. Ad esempio, un’azienda con difficoltà temporanea di liquidità che rinegozia col sistema bancario e pochi altri creditori, potrebbe formalizzare il piano di rientro con attestazione. Se invece ci sono centinaia di piccoli creditori da vincolare, il piano attestato non li obbliga (chi non aderisce può sempre agire).

Vantaggi:Rapidità e flessibilità: non ci sono termini procedurali fissi né controllo giudiziario, se non eventuali ex post (in caso di fallimento successivo, un giudice potrebbe verificare solo la presenza dei requisiti formali del piano). – Riservatezza: il piano non è pubblico se non per l’annotazione camerale (che di solito non rivela contenuti). Mantenere segreta la crisi può evitare perdita di reputazione. – L’imprenditore resta in pieno controllo: non c’è commissario né cessione di amministrazione. – Nessun costo giudiziario diretto: si paga l’attestatore e gli advisor, ma non vi sono diritti di cancelleria significativi né spese di procedura.

Limiti: – Non produce effetti protettivi automatici contro i creditori non aderenti. Quindi, se qualche creditore “rompe le righe” e procede con un pignoramento, il piano non lo blocca (a meno di ottenere misure in altra sede). – Richiede il consenso dei creditori uno ad uno. Non c’è voto a maggioranza. Se uno strategico dice no, il piano potrebbe fallire. – La veridicità dei dati e l’attendibilità del piano sono cruciali: se emergesse che l’attestazione si basava su dati falsi o incompleti, il piano non protegge più (e attestatore e imprenditore rischiano conseguenze anche penali per false comunicazioni). – Non consente di imporre sacrifici ai creditori dissenzienti. Ad esempio, non si può ridurre unilateralmente un debito se il creditore non è d’accordo (cosa che invece un concordato omologato può fare, col cram-down).

Esempio d’uso: poniamo che VisiWear S.r.l. abbia 3 banche esposte e alcuni fornitori, e ottenga da tutte un accordo di moratoria di 1 anno sui pagamenti, grazie anche all’apporto di €100k di nuovi fondi dai soci e alla prospettiva di nuovi ordini. Si può redigere un piano attestato che prevede: rimodulazione delle scadenze dei debiti, nuovi finanziamenti soci, taglio di costi, cessione di un ramo d’azienda non core per far cassa. L’attestatore verifica i numeri (i contratti dei nuovi ordini, gli impegni delle banche a non revocare fidi per 12 mesi, ecc.) e dichiara che il piano appare idoneo a riportare l’azienda in bonis e garantisce il migliore soddisfacimento dei creditori. Questo documento viene pubblicato. Nel frattempo, l’azienda esegue il piano. Dopo un anno di respiro, riprende a pagare regolarmente. Se tutto va bene, la crisi è superata e i creditori recuperano i loro crediti secondo l’accordo.

Fail del piano attestato: se però il piano non funziona e l’azienda finisce ugualmente in insolvenza, i creditori che avevano aderito e ricevuto pagamenti secondo piano sono protetti: il curatore non potrà fargli revocatoria per quei pagamenti, essendo esenzione di legge . Tuttavia l’imprenditore e l’attestatore potrebbero essere scrutinati: se il piano era manifestamente irrealistico, in sede fallimentare potrebbe configurarsi una responsabilità per gestione imprudente. Ma la protezione giuridica c’è per i contratti ed atti eseguiti come da piano.

In sostanza, il piano attestato è un ombrello contrattuale che formalizza la fiducia reciproca tra imprenditore e creditori nella riuscita del risanamento. È consigliato quando c’è allineamento di intenti e la crisi è ancora arginabile con misure interne e un po’ di tempo.

Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (ARD, art. 57-64 CCII)

Gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti sono anch’essi accordi volontari, ma con una marcia in più: prevedono l’intervento e l’omologazione del tribunale, acquisendo efficacia erga omnes per i creditori aderenti e alcune protezioni. Sono l’evoluzione degli accordi ex art. 182-bis L.F.

Caratteristiche principali: – Devono essere sottoscritti dal debitore e da creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali (soglia ridotta al 30% negli accordi di ristrutturazione agevolati, novità introdotta dal D.Lgs. 83/2022, se nessun creditore dissenziente fa opposizione). – I creditori dissenzienti o non aderenti non sono vincolati dall’accordo, però l’accordo deve assicurare il pagamento integrale di questi creditori estranei entro 120 giorni dall’omologa (o dalla scadenza del credito se successiva). In pratica, chi non firma deve comunque essere pagato integralmente e tempestivamente. Questo requisito garantisce il loro diritto, ma rende anche difficile ristrutturare se il 40% non aderisce: occorre liquidità per pagarlo in full. – Una volta depositato in tribunale, l’accordo viene omologato con decreto se rispetta le regole e c’è l’attestazione di un esperto sulla veridicità dei dati aziendali e sull’attuabilità dell’accordo (simile all’attestazione del piano). – Non c’è voto come nel concordato: i creditori manifestano assenso firmando l’accordo; se si raggiunge la percentuale richiesta, l’accordo è validabile. I creditori non aderenti possono solo fare opposizione entro 30 giorni dall’iscrizione al Registro Imprese, contestando che dall’accordo non ricaverebbero quanto otterrebbero al fallimento (il giudice valuta e può rigettare opposizione se la loro soddisfazione è comunque garantita). – L’accordo consente di chiedere al tribunale misure protettive analoghe a quelle del concordato: sospensione delle azioni esecutive fino a 120 giorni (estensibile). E dal deposito, i creditori che hanno aderito non possono recedere unilateralmente. – Varianti speciali: – Accordi ad efficacia estesa: se si raggiunge il 75% di consenso tra banche e altri intermediari finanziari, l’accordo può essere esteso anche alle banche dissenzienti della stessa categoria, con autorizzazione del tribunale (novità art. 61 CCII). – Accordi misti con transazione fiscale: se includono Fisco/INPS con stralcio, valgono le stesse soglie di consenso richieste per questi enti (lo Stato vuole almeno il 30% come detto). – Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO): introdotto nel 2022, è una sorta di accordo senza la soglia del 60% ma con cram-down giudiziale su classi di creditori. Non entriamo troppo in questo, perché è molto tecnico (si tratta di una possibilità di omologa di un piano anche con pochi consensi, se serve ad evitare l’insolvenza, art. 64-bis CCII).

Quando usarli: gli ARD sono utili se l’impresa ha una struttura debitoria concentrata (pochi creditori detengono gran parte del debito) e se è possibile convincerne almeno il 60%. Tipici casi: – Azienda con 3-4 banche che da sole fanno oltre il 60% dei crediti: si fa accordo con le banche (magari falcidiando il debito con nuove garanzie o cambiali, ecc.) e i fornitori minori sono pagati per intero fuori accordo. – Oppure azienda con debiti diffusi ma con disponibilità di finanza esterna per pagare in full i piccoli e far aderire solo i grandi.

Vantaggi:Maggior forza vincolante: rispetto al piano attestato, l’accordo omologato ha valore di titolo esecutivo e vincola i firmatari. Se qualcuno non rispetta, il debitore o anche i creditori (reciprocamente) possono far valere il decreto di omologa. – Sospensione delle azioni individuali: su istanza, si ottiene un automatic stay temporaneo (fino a 4 mesi) che mette in pausa i pignoramenti durante la trattativa. Questo scudo, simile a quello del concordato, è fondamentale per evitare che mentre negozi con il 60% uno del 10% ti mandi il fallimento. – Flessibilità contrattuale: pur essendo in tribunale, c’è grande libertà nelle forme di ristrutturazione. L’accordo può prevedere di tutto: dilazioni lunghe, stralci parziali di crediti (con il loro consenso), conversione di crediti in partecipazioni, attribuzione di assets ai creditori (ad es. dare in pagamento un immobile a un creditore in conto del suo credito), ecc. Finché i creditori sono d’accordo, il tribunale non entra nel merito economico (salvo appunto garantire che chi sta fuori è pagato). – Costi inferiori del concordato: la procedura di omologa è più snella, non c’è commissario (se non eventualmente uno facoltativo in caso di misure protettive), l’azienda non è spogliata. – Nessun requisito di insolvenza: gli accordi si possono fare anche in situazione di crisi incipiente, non serve essere insolventi (anzi, formalmente si richiede che si eviti l’insolvenza).

Limiti: – La necessità di pagare i dissenzienti al 100% li rende inadatti se non si ha abbastanza cassa o risorse per liquidare quelli fuori. In un concordato, invece, si potrebbero trascinare anche i contrari dentro le falcidie (col voto a maggioranza). – Non risolve il problema di creditori piccoli e sparsi se non li si può pagare: per definizione, chi non firma prende tutto. – Rischio di opposizioni e allungamento tempi: se un creditore fuori si oppone, l’omologa può tardare, e intanto le misure protettive decadono, esponendo a ripresa azioni (anche se il giudice di solito decide celermente). – Finché non è omologato, non c’è certezza al 100% che un creditore non firmatario non faccia istanza di fallimento. Però la legge gli impone di aspettare 60 giorni dalla pubblicazione dell’accordo prima di poter depositare istanza (art. 44 CCII): c’è come una finestra di salvaguardia. Inoltre, se la fanno, il tribunale con ogni probabilità la sospenderà in attesa di vedere se l’accordo va in porto.

Esempio d’uso: VisiWear S.r.l. ha debiti totali 500k; di questi, 300k verso due banche, 100k verso fornitori (una decina di fornitori vari), 50k fisco, 50k altri. L’azienda ottiene un accordo con le 2 banche: esse accettano di ridurre il credito da 300k a 200k complessivi e di aspettare 5 anni, in cambio di una partecipazione al capitale minoritaria e di una garanzia ipotecaria su un magazzino. Sommano il 60% abbondante. L’accordo prevede che con nuova finanza dei soci (50k) e flussi di cassa operativi, l’azienda paghi subito e integralmente i fornitori commerciali (100k) e il Fisco (50k) – i quali quindi restano estranei. I fornitori così non si oppongono perché ricevono tutto; le banche subiscono una decurtazione ma l’accettano in cambio di equity e garanzie; i soci diluiscono le quote ma salvano l’impresa. Si deposita l’accordo con attestazione che l’azienda può ragionevolmente generare cassa per sostenere i pagamenti previsti. Il tribunale concede la protezione (nessun creditore sta procedendo in realtà, essendo soddisfatti o consenzienti) e omologa. L’accordo diviene vincolante: se poi l’azienda, ad esempio, non paga le rate alle banche, esse potranno farlo risolvere e aprire fallimento, ma intanto tutti gli altri creditori sono stati sistemati.

Questo esempio mostra come l’ARD è uno strumento di soluzione negoziale con un pizzico di giudiziale. Si adatta, come visto, a situazioni dove l’impresa può reperire liquidità per togliere di mezzo molti creditori e concentrarsi a ridurre i debiti con i pochi principali. Negli Accordi di Ristrutturazione ad efficacia estesa, una situazione frequente è quando ci sono molte banche: se il 75% per valore aderisce, si può chiedere al tribunale di estendere l’accordo anche a quelle banche minoritarie dissenzienti . Questo evita fenomeni di holdout (creditori che fanno i duri per ottenere condizioni migliori sapendo che gli altri aderiranno).

In sintesi, i punti di forza degli accordi di ristrutturazione sono la flessibilità contrattuale e la possibilità di ottenere uno stay legale per finalizzare la trattativa; il punto debole è che non risolve tutte le situazioni, specie se i creditori sono troppi o troppo disomogenei negli interessi. In quei casi, si passa allo strumento concorsuale per eccellenza: il concordato preventivo.

Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021, artt. 12-25 CCII)

Introdotta dapprima nel 2021 come misura emergenziale post-Covid, la Composizione Negoziata è ora stabilmente nel Codice della Crisi (art. 12 e seguenti) . È una procedura volontaria e confidenziale con cui l’imprenditore in crisi, mantenendo la gestione dell’impresa, si affida all’assistenza di un esperto terzo e indipendente per tentare di raggiungere una soluzione concordata con i creditori.

Caratteristiche peculiari:Accesso tramite piattaforma telematica: l’imprenditore presenta istanza su un portale nazionale (gestito dalle Camere di Commercio) con informazioni su azienda e crisi. Se vengono rispettati i requisiti (impresa in crisi ma con prospettive di risanamento ragionevole, non insolvenza irreversibile), viene nominato da una commissione un esperto negoziatore indipendente (spesso un commercialista o avvocato con esperienza in crisi). – Ruolo dell’esperto: l’esperto non ha poteri di gestione, ma ha il compito di favorire le trattative tra l’imprenditore e i creditori. Convoca le parti, esamina i dati aziendali, suggerisce soluzioni (dilazioni, iniezioni di finanza, conversioni, ecc.). Redige delle relazioni periodiche sullo stato delle trattative. – Continuità aziendale: durante la composizione negoziata l’imprenditore mantiene la gestione ordinaria e straordinaria. Deve però astenersi da atti che possano pregiudicare i creditori, e l’esperto vigila segnalando eventuali abusi. – Protezione dalle azioni dei creditori: non è automatica ma facoltativa su richiesta. L’imprenditore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive a partire dall’avvio delle trattative (tipicamente, sospensione di azioni esecutive e cautelari, sospensione delle istanze di fallimento). Il tribunale, valutate le prospettive di risanamento, concede con decreto tali misure per un massimo di 4 mesi (prorogabili di altri 4). Durante questo periodo, i creditori non possono iniziare né proseguire pignoramenti, né acquisire prelazioni senza autorizzazione (blocco delle ipoteche giudiziali). – Gestione dei contratti e finanza: l’impresa può richiedere al tribunale di autorizzare specifici atti: ad esempio, contrarre finanziamenti prededucibili (chi presta soldi in comp.neg. avrà privilegio in caso di successivo fallimento ), o cedere beni non strategici, o sciogliersi/ottenere sospensione di contratti pendenti troppo onerosi (con compensazione equa per la controparte). Inoltre, come detto, il correttivo 2024 ha previsto incentivi fiscali: se l’impresa avvia la comp.neg. tempestivamente, può ottenere dalla Agenzia Entrate dilazioni straordinarie dei tributi non ancora a ruolo, con riduzioni di sanzioni e interessi . – Esito delle trattative:Esito positivo: le trattative possono concludersi con un accordo stragiudiziale con i creditori (es. un accordo di moratoria, un piano attestato, una transazione col fisco, etc.), oppure con l’accesso a uno degli strumenti concorsuali (l’esperto può indirizzare verso un concordato preventivo, o un accordo di ristrutturazione se matura un numero sufficiente di consensi). La procedura si chiude e l’accordo raggiunto – se non è un formale accordo ex art. 182-bis o concordato – rimane un contratto privato. Tuttavia, con la riforma 2024, l’imprenditore può chiedere l’omologa di un accordo con i creditori sottoscritto nell’ambito della comp.neg., per attribuirgli l’efficacia della transazione fiscale e la prededucibilità degli atti eseguiti . – Esito negativo: se le trattative falliscono e l’impresa è insolvente, l’esperto lo constata. A questo punto due vie: o l’imprenditore presenta entro 60 giorni domanda di concordato semplificato (se sussistono asset da liquidare) oppure l’esperto chiude la procedura e l’imprenditore resta libero (ma esposto a eventuali istanze di fallimento). – Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII): è una sorta di piano B previsto dal D.L. 118/2021: se non si raggiunge accordo, l’imprenditore può proporre al tribunale un concordato “liquidatorio puro” senza bisogno di voto dei creditori . I creditori possono far osservazioni ma decide il giudice sull’omologa. È semplificato perché mira solo a vendere i beni residui sotto controllo del tribunale e distribuire il ricavato, magari con un minimo di soddisfazione (almeno il 20% ai chirografari, ridotto dal correttivo a 10% se concorrono certe condizioni). Questo strumento serve ad evitare il fallimento diretto dopo comp.neg. fallita, cercando una chiusura più rapida e con eventualmente continuità di parti d’azienda.

Vantaggi della composizione negoziata:Strumento precoce e non stigmatizzante: si può avviare già in stato di crisi (non serve insolvenza conclamata). Non è pubblica (solo se si chiedono misure protettive, appare l’istanza al Registro Imprese, ma con riservatezza su contenuto). Quindi consente di affrontare i problemi senza il “marchio” del fallimento o del concordato, che spaventa controparti e clienti. – Supporto di un esperto neutrale: ciò spesso facilita il dialogo. Il creditore si fida di più se c’è un esperto terzo che supervisiona e magari conferma che l’azienda ha chance di ripresa. – Flessibilità massima: non ci sono schemi rigidi di come deve essere la soluzione: può essere un mix di riduzione debiti, aumento capitale, dilazioni, vendite di asset, ingresso di nuovo socio, ecc. La soluzione è tagliata su misura. – Misure protettive su misura: l’impresa può stoppare i pignoramenti e nel frattempo continuare a operare, senza subire la spada di Damocle del fallimento imminente (sempre che un giudice glielo conceda, di solito sì se c’è un minimo piano). – Costi contenuti: l’esperto ha diritto a un compenso determinato da decreto, spesso inferiore ai costi di un commissario e curatore di procedure formali. Non ci sono curatori, giudici delegati, adunanze di creditori (finché non si vada verso un concordato). – Premialità: oltre a quelle tributarie citate, la legge prevede “premi” anche sul piano civilistico: ad esempio, gli amministratori che attivano la composizione negoziata tempestivamente possono evitare le sanzioni civili per gestione non conservativa (c’è una causa di non punibilità per alcuni effetti se rispettano i doveri ex art. 21 CCII). Inoltre eventuali finanziatori dell’impresa in comp.neg. hanno privilegi su quei crediti (prededucibilità).

Limiti:Volontarietà e nessun potere impositivo: l’esperto non può obbligare i creditori ad accettare proposte. Se uno grande rifiuta di trattare, la comp.neg. rischia di fallire (anche se come visto, se la maggioranza è d’accordo, si può convertire in accordo omologato o concordato per bypassare la minoranza). – Durata limitata: la legge prevede che l’esperto chiuda in 180 giorni (prorogabili di 180) max. Quindi circa un anno di tempo per risanare; se l’azienda è complessa, può essere poco. – Nessuna soluzione imposta se le parti non la trovano: a differenza del concordato dove il giudice può omologare anche con dissensi, qui senza un accordo effettivo non c’è esito vincolante (a parte il concordato semplificato, che però vale solo liquidare). – Rischio di abuso: un’azienda malintenzionata potrebbe usare la comp.neg. solo per guadagnare tempo (chiedere misure protettive, intanto magari spogliare asset…). Per arginare ciò, la legge dà poteri all’esperto di “tirarsi indietro” se vede atti in frode (e il tribunale in tal caso revoca subito le misure protettive). Inoltre c’è un controllo sulla reversibilità dell’insolvenza: se l’azienda appare insolvente senza prospettive, il tribunale può non concedere protezione e di fatto si va verso il fallimento.

Esempio: VisiWear S.r.l., alle prime avvisaglie di crisi (calo liquidità, qualche rata mutuo saltata), anziché aspettare i decreti ingiuntivi decide di chiedere la composizione negoziata. Viene nominato un esperto, che analizza e convoca la banca, i principali fornitori e l’INPS (perché ci sono contributi arretrati). Insieme valutano che con una dilazione dei debiti di 5 anni e un nuovo socio pronto a mettere soldi, l’azienda potrebbe riprendersi. Durante le discussioni, l’azienda chiede e ottiene dal tribunale la sospensione di due pignoramenti avviati (uno da un fornitore e uno da Agenzia Riscossione) per 3 mesi. In quel frangente, trova un accordo: i fornitori accettano 70% dei loro crediti pagati in 24 mesi, la banca sposta le rate mutuo in coda al piano, l’INPS concede 36 mesi di dilazione, il nuovo socio apporta capitale per pagare i debiti fiscali subito con stralcio sanzioni. L’esperto controfirma un accordo in tal senso, lo imprenditore chiede al tribunale di omologarlo per blindarlo legalmente verso i dissenzienti (nel frattempo uno-due piccoli creditori che non partecipavano vengono comunque soddisfatti integralmente con i fondi apportati). Il tribunale omologa l’accordo ex art. 23 co.2-bis CCII: esso vale come transazione fiscale e impegna tutti i firmatari. La comp.neg. si chiude positivamente. L’azienda ha evitato il fallimento e non è passata da un concordato (più lungo e pubblico); i creditori hanno recuperato più di quanto forse avrebbero visto altrimenti.

In sintesi, la composizione negoziata è oggi il canale privilegiato per gestire situazioni di pre-insolvenza in modo tempestivo e consensuale. È un “ombrello” sotto cui trattare al riparo delle misure protettive, con la regia di un esperto. Non sostituisce concordato o accordi, ma li affianca e li prepara: spesso, se c’è buona volontà, può risolversi tutto in quella sede; se no, funge da trampolino verso un concordato preventivo (magari semplificato) che sistemerà la situazione con l’autorità del tribunale.

Concordato Preventivo (artt. 84-120 CCII)

Il concordato preventivo è la più nota procedura concorsuale e rimane il fulcro delle soluzioni giudiziali per imprese in crisi. Consiste in un accordo concorsuale tra il debitore e tutti i creditori, omologato dal tribunale, mirante a evitare la liquidazione giudiziale (fallimento) attraverso un soddisfacimento parziale o dilazionato delle obbligazioni. Il concordato può assumere forme diverse a seconda che l’azienda continui l’attività o meno.

Tipologie di concordato:Concordato in continuità aziendale: quando il piano prevede la prosecuzione, anche parziale, dell’attività d’impresa. Può essere continuità diretta (la stessa azienda prosegue) oppure continuità indiretta (si cede l’azienda o un ramo a un terzo che continua l’attività) . L’obiettivo qui è salvaguardare, oltre che i creditori, anche il valore organizzativo dell’impresa e i posti di lavoro, se compatibili col miglior soddisfacimento dei creditori. – Concordato liquidatorio: quando il piano consiste nel liquidare tutti i beni dell’azienda e distribuire il ricavato ai creditori, cessando l’attività. È simile a un fallimento ma è proposto dal debitore con una certa organizzazione (es. vendite unitarie, ecc.) e di solito offre qualcosa in più ai creditori rispetto alla liquidazione forzata. – Concordato “misto”: piani che prevedono una parte di continuità e una parte di liquidazione di asset non strategici (es. vendere immobili inutilizzati ma proseguire l’attività core). Sono frequenti: raramente un concordato è 100% liquidatorio (tranne nel semplificato post comp.neg.). – Concordato semplificato (post comp.neg.): di cui già detto, è una fattispecie particolare di liquidatorio senza voto creditori, possibile solo dopo composizione negoziata fallita .

Fasi e meccanismo: 1. Domanda di concordato: l’impresa deposita ricorso al tribunale con la proposta di concordato, il piano dettagliato e la documentazione richiesta (bilanci, elenco creditori, relazione attestatore, etc.). Possibile anche depositare una domanda “con riserva” (concordato in bianco) con meno documenti, ottenendo un termine (120-180 gg) per presentare il piano definitivo. Questa opzione serve per bloccare subito le azioni e guadagnare tempo per perfezionare la proposta. 2. Apertura della procedura: il tribunale verifica la presenza dei presupposti formali (stato di crisi o insolvenza, completezza atti) e ammette l’azienda al concordato, nominando un Giudice Delegato e un Commissario Giudiziale (figura di controllo). Viene fissata l’adunanza dei creditori per il voto (di solito entro 4-6 mesi). 3. Effetti protettivi: dalla pubblicazione della domanda, come detto, i creditori pre-petizione non possono iniziare o proseguire esecuzioni (automatic stay). Gli eventuali sequestri e pignoramenti in corso sono sospesi. I contratti in corso d’esecuzione non si risolvono per il concordato, ma l’azienda può chiedere di scioglierne alcuni se onerosi (art. 96 CCII) con autorizzazione tribunale. L’azienda continua a operare sotto la vigilanza del commissario: per gli atti straordinari deve avere autorizzazione del giudice (es. vendere un bene durante il concordato ante omologa richiede permesso). 4. Classi e garanzie: la proposta può prevedere di suddividere i creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi omogenei (es. classi di chirografari diversi per tipologia). I creditori privilegiati devono essere pagati per intero salvo che rinuncino a parte (o salvo falcidia se privilegio incapiente sul bene). I chirografari ricevono una percentuale di soddisfacimento indicata dal piano. Nel concordato in continuità non c’è per legge una percentuale minima, ma come visto ogni creditore deve ricevere qualcosa e in genere il piano deve dimostrare che prendono più che in liquidazione . Nel concordato liquidatorio, la legge impone una soglia minima del 20% per i chirografari , riducibile al 10% in casi particolari (ad es. intervento assetti gruppo, ecc). 5. Votazione dei creditori: i creditori con diritto di voto (chirografari e privilegiati degradati) esprimono il loro voto (in adunanza o per scritto). Il concordato è approvato se ottiene il voto favorevole di creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (oltre 50%). Se ci sono classi, serve anche la maggioranza per ogni classe, oppure meccanismi di cram-down se classi dissenzienti (il tribunale può omologare lo stesso se la maggioranza assoluta dei crediti è favorevole e la classe dissenziente viene soddisfatta in misura conforme alla legge). 6. Omologa: se i creditori approvano, il tribunale procede all’omologazione con sentenza, verificando la regolarità della procedura e la fattibilità del piano (giudizio di merito limitato a evidenti cause di infeasibilità o violazioni di legge). In caso di opposizioni di creditori contrari, il tribunale le valuta e decide se omologare lo stesso (specie nei casi di cram-down fiscale, come detto, oggi il giudice può imporlo se condizioni rispettate ). Con l’omologa, il concordato diventa vincolante per tutti i creditori anteriori. 7. Esecuzione: il debitore (o un liquidatore nominato, se previsto) esegue il piano: paga le percentuali offerte, eventualmente cede beni, continua l’attività come da piano in continuità sotto vigilanza del commissario (che diventa giudice dell’esecuzione del concordato).

Effetti per il debitore: omologando il concordato, l’imprenditore evita la declaratoria di fallimento e può proseguire l’attività (se in continuità) ripulita parte dai debiti. I debiti anteriori sono cristallizzati e pagati secondo il piano; eventuali garanzie personali di terzi restano salvo accordi (i fideiussori non sono esdebitati). Il debitore è vincolato a rispettare il piano, altrimenti i creditori possono chiederne la risoluzione e aprire la liquidazione giudiziale.

Effetti per i creditori: perdono il diritto di agire individualmente, ma ottengono quanto previsto nel piano in sostituzione del 100% originario. Hanno il vantaggio di una soluzione organizzata e spesso più vantaggiosa del fallimento. Inoltre, i creditori privilegiati non soddisfatti integralmente possono rivalersi per la differenza su eventuali garanti (es: banca con ipoteca parziale potrà rifarsi sul fideiussore per il residuo non coperto dal concordato – a meno che la fideiussione preveda diversamente). Se il concordato viene poi risolto (per inadempimento del debitore), i creditori riacquistano i diritti pieni al netto di quanto incassato.

Concordato in continuità vs liquidatorio – differenze importanti: – Nel concordato in continuità: l’azienda resta operativa. Questo di solito permette di preservare più valore (si mantengono i contratti, i clienti, i flussi futuri) e spesso i creditori possono ottenere percentuali maggiori col tempo. La legge tuttavia richiede garanzie: i creditori privilegiati che non vengono pagati subito possono essere pagati dilazionati ma con interessi al tasso legale e non oltre 2 anni dall’omologa (salvo consenso e salvo i tributi che seguono regole art. 86 CCII). I creditori chirografari devono ricevere “utilità specificamente individuate” – può essere denaro differito, ma anche altre utilità come azioni, warrants, ecc. – e comunque non inferiori a scenario liquidatorio . Va attestato che la continuità migliora il soddisfacimento dei creditori rispetto alla liquidazione dei beni (concetto di convenienza). – Nel concordato liquidatorio: l’azienda cessa di esistere. Spesso è proposto quando non c’è più speranza di redditività. La legge qui mette dei paletti per evitare concordati “troppo comodi”: come detto serve offrire almeno il 20% ai chirografari (salvo apporto di risorse esterne che incrementino l’attivo di almeno il 10% – in tal caso si può anche offrire meno del 20%). Inoltre occorre nominare un liquidatore giudiziale, diverso dall’imprenditore, che si occuperà di vendere i beni secondo le regole di trasparenza. Di fatto, un concordato liquidatorio è un fallimento auto-amministrato (dall’imprenditore fino all’omologa, poi liquida un terzo). Serve quasi esclusivamente a sfruttare qualche vantaggio: ad esempio vendere l’azienda in blocco a un investitore invece di farla finire all’asta a pezzi, o far ottenere l’esdebitazione al debitore persona fisica più rapidamente.

Tempi e costi: un concordato tipicamente dura diversi mesi per arrivare all’omologa (6-12 mesi in media). L’esecuzione poi può protrarsi anni (specie se vendite immobiliari complesse). I costi comprendono: compensi del commissario e liquidatore (stabiliti dal tribunale proporzionalmente all’attivo/passivo), spese legali, eventuali consulenze, e tutti i costi dell’attestatore e predisposizione del piano (che il debitore paga). Spesso i costi di procedura sono rilevanti, motivo per cui per piccole imprese conviene di più il concordato minore (ex sovraindebitamento) che è più semplificato.

Risvolti di responsabilità: durante il concordato, se la gestione continua, gli amministratori devono anteporre l’interesse dei creditori (art. 120 CCII). Atti in frode pre-concordato (es. aver sottratto beni prima) possono causare inammissibilità. Se il concordato poi non viene adempiuto, i creditori possono chiederne la risoluzione e si aprirà la liquidazione giudiziale, e l’imprenditore perde i benefici (niente esdebitazione automatica come in fallimento, salvo la chieda con procedura ex post).

Esempio: VisiWear S.r.l., trovandosi insolvente e non avendo raggiunto accordi, presenta un concordato in continuità. Propone di pagare integralmente debiti privilegiati (INPS, Erario) grazie a una nuova finanza di un investitore, e di pagare i chirografari al 40% in 4 anni con i ricavi attesi dalle vendite future. Il piano prevede la continuità diretta: mantenere la produzione, attuare un nuovo piano industriale (magari con gamma di prodotti ampliata dall’investitore). I 10 dipendenti mantengono il posto. I creditori votano: banche e fornitori vedono che prenderebbero 40% vs forse 10% in fallimento, quindi approvano oltre il 50%. L’Agenzia Entrate, pur contraria (chiedeva 100% e sanzioni), viene cramdowndata dal giudice perché la proposta le dà 30% ed è comunque migliore del 0% che prenderebbe in fallimento . Il concordato è omologato. L’azienda paga nel tempo le percentuali promesse (sotto vigilanza commissario) e si risana; dopo 4 anni esce dal concordato avendo assolto tutti gli obblighi. I creditori non soddisfatti integralmente non possono più pretendere altro (la parte falcidiata è esdebitata per la società).

Se invece VisiWear non avesse prospettive, avrebbe potuto proporre un concordato liquidatorio: ad esempio vendere l’intera azienda a una concorrente per 300k e offrire ai chirografari 30% (superiore a zero atteso nel fallimento). I creditori l’avrebbero approvato perché comunque meglio di fallire. La società poi, liquidata, verrebbe cancellata e i soci perderebbero le quote ma senza dover pagare debiti residui (essendo S.r.l.).

In conclusione, il concordato preventivo è lo strumento più potente per ristrutturare i debiti in modo vincolante e ottenere eventualmente uno stralcio (haircut) anche verso creditori contrari. È però anche la procedura più invasiva e complessa: richiede un piano ben fatto, costi e tempi notevoli, e comporta un intervento dell’autorità. Va usato quando le vie più semplici non bastano o sono fallite.

Liquidazione Giudiziale (ex Fallimento)

Se nessuna delle soluzioni di cui sopra è praticabile o efficace – o se la situazione è troppo compromessa – resta l’approdo finale: la Liquidazione Giudiziale, che è la nuova denominazione del “fallimento” . Questa è una procedura involontaria (di solito), giudiziale pura, mirante a liquidare tutto il patrimonio del debitore e distribuire il ricavato secondo le prelazioni, con conseguente cessazione dell’attività.

Quando viene aperta: la liquidazione giudiziale viene dichiarata dal tribunale su ricorso del debitore stesso (istanza di autofallimento), di uno o più creditori, oppure su impulso del PM in alcuni casi. Il presupposto è che il debitore sia in stato di insolvenza attuale (incapacità non transitoria di adempiere regolarmente) . Devono inoltre non sussistere le condizioni per soluzioni minori (ad es. l’impresa non dev’essere sotto le soglie di fallibilità, sennò sarebbe liquidazione controllata del sovraindebitamento).

Effetti immediati: con la sentenza di apertura: – Il debitore perde la gestione dell’impresa e la disponibilità dei beni: viene nominato un Curatore che amministra l’intero patrimonio fallimentare. – I creditori non possono più agire individualmente: confluiscono tutti nel fallimento presentando domanda di ammissione allo stato passivo. – Gli atti compiuti dal debitore nei 6 mesi / 1 anno / 2 anni anteriori possono essere soggetti a revocatoria fallimentare (se anomali, es. pagamenti preferenziali, vendite sottocosto, ecc.), per recuperare risorse ai creditori. – I contratti pendenti possono essere sciolti o proseguiti dal curatore a seconda dell’utilità (con indennizzo per la controparte in caso di scioglimento). – L’impresa, se non viene esercitata provvisoriamente dal curatore per necessità di vendita, cessa l’attività. I dipendenti sono licenziati (ma possono accedere al Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime retribuzioni). – Se l’insolvenza ha profili di irregolarità, si attivano possibili procedimenti penali a carico degli amministratori (bancarotta fraudolenta, semplice, ecc. a seconda di comportamenti – la sentenza di fallimento spesso innesca indagini).

Procedimento: il Curatore redige l’inventario, gestisce i beni (può esercire provvisoriamente l’azienda se autorizzato, ma di solito in PMI si chiude), predispone il programma di liquidazione (come intende vendere beni, se in blocco l’azienda o singoli asset, etc.) e lo esegue con la vigilanza del Giudice Delegato e del Comitato Creditori. Una volta realizzato l’attivo (incassati soldi da vendite, azioni di recupero, etc.) si procede al riparto: prima le spese di procedura, poi i creditori privilegiati in ordine di grado, e infine se avanza qualcosa i chirografari pro-quota. Spesso per i chirografari avanza poco o nulla.

Chiusura: quando tutto è liquidato e distribuito, il tribunale dichiara chiusa la procedura. La società (se soggetto collettivo) viene cancellata dal registro imprese ed estinta. Se il debitore è persona fisica o socio illimitatamente responsabile, può chiedere l’esdebitazione: la legge prevede che il fallito persona fisica che abbia collaborato e non commesso gravi irregolarità sia liberato dai debiti residui non pagati nel fallimento (fresh start) . Questa esdebitazione scatta di diritto a fine procedura col CCII (non serve più domanda separata), e perfino il debitore incapiente – colui che proprio nulla ha da dare – può ottenerla (art. 283 CCII, “esdebitazione del debitore incapiente”) . Per le società, invece, l’esdebitazione non serve: estinguendosi, i debiti insoddisfatti restano senza soggetto; i creditori non possono rivalersi su soci oltre il capitale (salvo soci illimitatamente responsabili, che però sono falliti pure loro di norma, e persone garanti).

Conseguenze per l’imprenditore: la liquidazione giudiziale è sicuramente l’evento meno desiderato: l’imprenditore perde l’azienda, può subire restrizioni (interdizione dall’esercizio di impresa per qualche tempo, etc.), e se emergono condotte scorrette rischia incriminazioni per bancarotta. Tuttavia, a volte è l’unica via rimasta e ha anch’essa una funzione: “tirar una riga” e permettere, specie all’imprenditore individuale, di ripartire dopo l’esdebitazione. Meglio un fallimento onorevole che trascinarsi clandestinamente i debiti per sempre.

Rapporto col nostro tema (“difendersi”): paradossalmente, chiedere autonomamente il fallimento (liquidazione giud.) può essere in certi casi una strategia difensiva del debitore, per evitare atti esecutivi disordinati e beneficiare di esdebitazione. Ad esempio, se VisiWear fosse ditta individuale con debiti enormi e nessuna chance, il titolare potrebbe lui stesso istigare il fallimento: in pochi anni otterrebbe la cancellazione dei debiti residui e potrebbe ricominciare. Se invece restasse sommerso dai debiti senza fallire, quei creditori lo inseguirebbero vita natural durante. Questa è una valutazione da fare soprattutto per le persone fisiche e i soci illimitati, mentre per le società di capitali l’interesse del fallimento può essere minore (se l’azienda è destinata a chiudere comunque, i soci rischiano poco a non fallire formalmente – a parte eventuali responsabilità personali – ma di solito i creditori li spingono lo stesso al fallimento per indagare il perché dell’insolvenza).

Esempio: se la composizione negoziata o il concordato di VisiWear saltassero e i creditori (forse una banca o l’INPS) facessero istanza, il tribunale aprirebbe la liquidazione giudiziale. Un curatore prenderebbe in mano i beni: venderebbe i macchinari e le scorte (magari in blocco a un concorrente che li compra per 100k), incasserebbe crediti verso clienti residui, etc. Verserebbe prima stipendi arretrati e TFR (ma ci penserebbe il Fondo di Garanzia per velocizzare, surrogandosi), poi pagherebbe parzialmente banche ipotecarie (che prendono i soldi della vendita magazzino se avevano pegno su di esso, o ipoteca su immobile – in quell’esempio immobile non c’era o era in leasing e viene restituito). I chirografari (fornitori senza garanzie) non ricevono nulla perché esaurito l’attivo. La società viene cancellata. Se emergesse che l’amministratore ha distratto dei fondi prima di fallire, potrebbe essere incriminato per bancarotta fraudolenta e condannato (con pene anche severissime, dipende dai casi). Ma se invece la crisi è stata onesta, solo sfortunata, allora non avrà guai penali e potrà ottenere l’esdebitazione della parte non pagata (se fosse impresa individuale). I creditori insoddisfatti devono rassegnarsi.

In sintesi, la liquidazione giudiziale è la difesa finale passiva: la legge prende in mano la situazione e cerca di soddisfare i creditori in modo ordinato. Non è l’obiettivo di nessuno, ma va considerata come scenario di default da confrontare con le altre soluzioni: ogni concordato o accordo deve dare ai creditori almeno tanto quanto avrebbero in liquidazione , altrimenti giustamente sceglierebbero di far fallire.

Abbiamo completato la rassegna dei vari strumenti. A questo punto può essere utile riassumerli a confronto, per avere un colpo d’occhio delle differenze:

Tabella 2: Confronto tra Strumenti di Ristrutturazione del Debito

StrumentoTipoCoinvolgimento tribunaleAdesione creditoriVantaggiLimiti
Piano attestato (art. 56 CCII)Stragiudiziale volontarioNo (solo attestazione da esperto indipendente)Consenso individuale di ciascun creditore necessario. Nessuna maggioranza: accordo personalizzato con chi aderisce.– Rapido, riservato, flessibile.<br>– Protegge atti eseguiti da revocatoria .<br>– Debitore resta in controllo totale.– Non vincola i dissenzienti (chi non aderisce può agire).<br>– Nessuna sospensione legale delle azioni esecutive esterne.<br>– Efficace solo se pochi creditori e collaborativi.
Accordo di ristrutturazione (art. 57 CCII)Misto (contratto + omologa)Sì (omologa dal tribunale; possibili misure protettive su richiesta)Richiede ≥60% dei crediti con accordo firmato .<br>Dissenzienti: devono essere pagati al 100% entro 120gg (se fuori) .<br>Possibile efficacia estesa a dissenzienti in certe classi (75% banche) .– Blocco delle azioni esecutive su richiesta (fino 4 mesi).<br>– Vincola i consenzienti e può chiudere accordo rapidamente con omologa.<br>– Molto flessibile nel contenuto (rimodulazioni a piacere).– Deve garantire integrale pagamento dei non aderenti (richiede finanza disponibile).<br>– Soglia 60% a volte dura da raggiungere.<br>– Procedura di omologa, quindi tempi giudiziari e rischio opposizioni.
Composizione negoziata (art. 12 CCII)Stragiudiziale assistitoSì, parzialmente (tribunale nomina esperto e può concedere misure protettive)Volontaria: nessuna adesione minima richiesta ex ante. Si punta a un accordo, ma non c’è meccanismo di voto. Si può concludere con vari esiti (accordo, concordato, etc.).– Confidenziale e rapida attivazione.<br>– Esperto terzo facilita dialogo.<br>– Possibilità di stay su misure cautelari/esecutive .<br>– Incentivi (fiscali, finanziari) per chi la usa .<br>– Può portare a accordo tailor-made o preludere a concordato semplificato.– Non impone soluzioni: senza accordo, bisogna passare a procedure formali.<br>– Effetto protettivo non automatico (va richiesto e motivato).<br>– Dipende molto dalla buona fede e collaborazione dei creditori.
Concordato preventivo (artt. 84+ CCII) – ContinuitàProcedura concorsualeSì totale (tribunale ammette, nomina commissario, omologa; procedura pubblica)Voto dei creditori a maggioranza >50% crediti (eventualmente per classi). Dissenzienti sono comunque vincolati se concordato omologato .– Sospende automaticamente azioni e istanze fallimento.<br>– Può ridurre significativamente il debito (stralci anche imponenti) vincolando tutti .<br>– Permette prosecuzione azienda, salvaguardia valore e posti di lavoro (se in continuità).<br>– Transazione fiscale e contributiva integrabili (cram-down Fisco possibile) .– Procedura lunga e costosa (onorari, spese, burocrazia).<br>– Debitore perde parte autonomia (controllo del commissario, atti autorizzati).<br>– Necessita piano rigoroso e fattibile attestato; rischio di fallimento se fallisce votazione o omologa.
Concordato preventivoLiquidatorioProcedura concorsualeSì (come sopra)Voto a maggioranza crediti.<br>(Spesso classi uniche; privilegiati pagati da realizzo asset).– Alternativa pilotata al fallimento: vendite più ordinate (es. possibile cessione in blocco, migliori esiti per creditori).<br>– Richiede per legge apporto 20% chirografi esterno se offerta <20%, il che incoraggia contributi nuovi e quindi leggermente più recupero per creditori .– Richiede soddisfacimento min. 20% chirografi (limite normativo).<br>– Azienda cessa attività (perdita di avviamento e occupazione).<br>– Costi procedura elevati anche se poi liquida (liquidatore, ecc.), riducendo il ricavato per creditori.
Liquidazione giudiziale (fallimento)Procedura concorsualeSì (tribunale dichiara; giudice delegato e curatore gestiscono)Nessun consenso richiesto dai creditori (procedura d’ufficio). Creditori partecipano solo al riparto secondo cause di prelazione.– Risolve definitivamente la situazione debitoria: l’azienda viene liquidata e (per persone fisiche) c’è esdebitazione finale .<br>– Curatore professionale garantisce par condicio e indagini su cause insolvenza (può far revocatorie e azioni di responsabilità, aumentando attivo per creditori).– Debitore spossessato completamente.<br>– Tempi molto lunghi di chiusura spesso (anni).<br>– Recupero per chirografari in genere scarso o nullo (dipende dall’attivo).<br>– Impatto negativo forte su soci/amministratori (es. possibile bancarotta).

Come si nota, più si sale di livello (da sinistra a destra della tabella), maggiore è l’intervento del tribunale e il potere di imporre ai creditori una soluzione, ma aumentano anche oneri, costi e perdita di controllo per l’imprenditore. L’ideale per il debitore sarebbe risolvere la crisi in via stragiudiziale o negoziata, mantenendo la riservatezza e i rapporti commerciali, e usare concordati o fallimenti solo se inevitabile.

Nel nostro caso aziendale (abbigliamento alta visibilità), le soluzioni da privilegiare sarebbero: – Composizione negoziata con i principali creditori, magari raggiungendo un accordo transattivo complessivo (potenzialmente omologabile). – In mancanza, un concordato preventivo in continuità se l’azienda ha ancora mercato (per ridurre i debiti e rilanciarsi). – Solo come ultima spiaggia, la liquidazione fallimentare (che distruggerebbe l’attività, a meno di cessione a terzi interessati).

Dopo questo percorso teorico, torniamo al punto di vista pratico del debitore e consideriamo alcune strategie difensive concrete verso i creditori più “aggressivi” (Fisco/INPS, banche, fornitori, ecc.), integrando quanto già detto sulle tipologie di debito con l’utilizzo combinato degli strumenti legali.

Strategie Difensive e Preventive verso i Creditori

Abbiamo già menzionato molte strategie specifiche per ciascun tipo di debito. Qui le riassumiamo e integriamo in un quadro logico, come “piano di battaglia” per l’imprenditore indebitato che voglia difendersi efficacemente: 1. Mappare i debiti e le priorità: Fare un elenco completo dei debiti, distinguendo importi, tipologia (privilegiati o no), eventuali garanzie e scadenze critiche. Identificare i creditori che possono creare il danno immediato maggiore (es. Agenzia Entrate con pignoramento conto, fornitore chiave che può bloccare produzione, banca con ipoteca che minaccia escussione, locatore con sfratto). Le risorse limitate vanno allocate prioritariamente per mitigare questi rischi. 2. Comunicare e negoziare a monte: La difesa migliore è la prevenzione. Un imprenditore proattivo contatta i creditori appena capisce che non riuscirà a pagare puntualmente, anziché aspettare le loro azioni legali. Offrire spiegazioni trasparenti e un piano ragionato di rientro può convincere molti creditori ad attendere e dare fiducia. Al contrario, il silenzio e i pagamenti a vuoto erodono la fiducia e scatenano azioni immediate. 3. Evitare comportamenti preferenziali pericolosi: Nella concitazione, un debitore potrebbe essere tentato di pagare di nascosto un creditore “amico” o quello che fa più pressing, trascurando gli altri. O magari di restituire un prestito al socio prima di tutto. Attenzione: questi atti possono essere revocati se poi si finisce in fallimento (pagamenti preferenziali entri 6 mesi, pagamenti a soci entro 1 anno, ecc.). Inoltre, se togli liquidità per pagare uno e poi fallisci, gli altri creditori potrebbero accusarti di frode. È meglio inquadrare i pagamenti critici dentro un piano complessivo (ad esempio autorizzato in concordato o comp.neg., come già detto). Regola d’oro difensiva: trattare i creditori in modo equilibrato e secondo la legge, per non esporsi a rivalse future. Se devi scegliere chi pagare: prediligi spese che mantengono in vita l’azienda (es. stipendi chiave, forniture vitali, corrente elettrica) e aspetta a pagare posizioni meno urgenti (tanto, se finisci in procedura, quelle posizioni verranno regolate lì). 4. Utilizzare le dilazioni legali (fisco, contributi) e le procedure di composizione: Come visto, chiedere una rateazione all’Agente Riscossione blocca subito le esecuzioni su quel fronte. Similmente, attivare la composizione negoziata e comunicare ai creditori che si è sotto l’egida di un esperto e protetti dal tribunale può calmare i bollenti spiriti (i creditori sanno che se forzano, rischiano che il giudice respinga e li faccia aspettare di più). Quindi, appena la situazione scotta, non esitare a imboccare lo strumento idoneo: se hai i requisiti per la comp.neg., avviala; se sei già insolvente e i creditori stanno per affossarti, deposita un concordato “in bianco” per congelare tutto e poi costruire la proposta con calma. Queste mosse difensive sono previste dalla legge e ben viste dai giudici se fatte con correttezza (anzi, oggi il CCI obbliga gli amministratori a intervenire presto). 5. Tutelare il patrimonio personale lecitamente: Se l’imprenditore è una società di persone o ha dato garanzie personali, deve pensare anche a sé. Difendersi significa qui agire prudentemente: – Evitare di confondere patrimonio aziendale e personale (no prelievi anomali di cassa per salvare i propri beni, sarebbe bancarotta). – Valutare l’utilizzo degli strumenti anche come persona fisica: ad esempio, se è socio SNC illimitatamente responsabile, può accedere al concordato minore (ex sovraindebitamento) parallelamente al concordato della società, per regolare anche la sua parte di debiti eccedenti . Se è garante per la S.r.l., e la S.r.l. finisce liquidata lasciandogli il debito addosso, può valutare la liquidazione controllata come consumatore sovraindebitato per liberarsene. – Non compiere atti di protezione patrimoniale tardiva in preda al panico (tipo donare la casa al coniuge quando i debiti già ci sono): sarebbero revocati e possibili reati (distrazione di beni). Se protezione patrimoniale va fatta, va pianificata quando l’impresa va bene, non quando si è già in dissesto. 6. Consulenza professionale: Una difesa efficace raramente può essere improvvisata dall’imprenditore da solo. Appena la situazione degenera, coinvolgere un legale esperto di crisi e un commercialista specializzato è un investimento necessario. Permette di scegliere lo strumento giusto, preparare le domande e i piani a regola d’arte, evitare passi falsi che i creditori potrebbero sfruttare. Inoltre, nelle trattative (anche informali) spesso avere un professionista al tavolo cambia l’atteggiamento dei creditori, perché mostra che il debitore fa sul serio e che c’è un terzo che garantisce un minimo di oggettività. 7. Monitorare gli atti dei creditori: Non tutti i fulmini arrivano a ciel sereno. Ad esempio, per le cartelle esattoriali, c’è prima l’avviso bonario, poi la cartella, poi eventualmente l’intimazione di pagamento, poi solo infine il pignoramento. Ciascuno di questi step è un campanello d’allarme: difendersi vuol dire non ignorare le raccomandate o PEC ricevute. Se arriva un atto di citazione o un decreto ingiuntivo, attivarsi subito col proprio avvocato per capire se opporsi (magari ci sono vizi). Spesso i debitori in crisi fanno l’errore dello struzzo per timore: questo gioca solo a favore dei creditori. Meglio sapere e muoversi. 8. Valutare soluzioni straordinarie: In alcuni casi, la difesa potrebbe passare per mosse strategiche come cedere l’azienda a un soggetto terzo prima che sia troppo tardi (a prezzo di mercato, pagando i debiti con il ricavato). Se fatto correttamente (pagando i creditori secondo grado con il prezzo, non scappando coi soldi), questa può essere una via per salvare il valore aziendale (la continuità passa a un acquirente più solido) e il debitore si libera da gestione e forse da parte dei debiti (ma attenzione: se l’acquirente non paga alcuni debiti e questi erano risultanti dalle scritture contabili, può risponderne ex art. 2560 c.c. in alcuni casi ). Quindi è complesso, ma non da escludere: difendersi può voler dire “tagliare le perdite” e consegnare la propria azienda a qualcuno in grado di pagarne i debiti, se ciò evita danni peggiori (come responsabilità personali o penali). 9. Usare il tempo a proprio favore legalmente: La procedura concorsuale e negoziale servono proprio a congelare il momento per trovare soluzioni. L’imprenditore deve però sfruttare questo tempo attivamente: se ottiene 120 giorni di protezione in comp.neg., li usi per chiudere l’accordo, non per rimandare. Se deposita concordato in bianco, entro i termini sviluppi un piano serio. La difesa non è mera dilazione fine a se stessa (quella porta solo a aggravare debiti con interessi e sanzioni), ma dilazione finalizzata al risanamento. I giudici vedono di mal occhio chi usa gli strumenti solo per allungare il brodo senza costrutto: potresti vederti revocare le protezioni o dichiarare fallito comunque per abuso. Quindi massima lealtà e concretezza nell’impiegare il tempo ottenuto. 10. Tenere informati i creditori chiave durante il percorso: Paradossalmente, tenere aperto un canale di comunicazione anche durante la procedura concorsuale (tramite il commissario o tramite incontri) con i creditori principali può evitare sospetti e opposizioni. Un creditore informato è meno pericoloso di uno lasciato nell’ombra che teme il peggio e quindi fa cause su cause. Quindi una strategia difensiva è anche gestione della comunicazione: fornire aggiornamenti sullo stato (ad esempio “abbiamo trovato un investitore, stiamo perfezionando un accordo, abbiate pazienza ancora un mese”), magari con l’intermediazione dell’esperto o commissario, può tenere i creditori tranquilli quel tanto che basta.

In definitiva, “difendersi dai creditori” per un’azienda in crisi significa guadagnare tempo e costruire una soluzione sostenibile, utilizzando gli strumenti legali disponibili. Non è un gioco a somma zero: spesso difendersi efficacemente vuol dire anche massimizzare il soddisfacimento dei creditori in prospettiva (ad esempio, convincendoli a prendere 40 tra un anno invece di fare azioni ora che frutterebbero 5). È una partita delicata che richiede conoscenza delle regole (che abbiamo illustrato) e sangue freddo.

Nei prossimi paragrafi conclusivi, risponderemo ad alcune domande comuni che debitori e imprenditori in difficoltà si pongono, per chiarire i dubbi residui in forma di Q&A, e forniremo un elenco di fonti normative e giurisprudenziali per approfondire ulteriormente.

Domande Frequenti (FAQ)

Domanda: La mia è una S.r.l.: i debiti dell’azienda possono ricadere su di me come socio o amministratore?
Risposta: In linea generale, la S.r.l. è responsabilità limitata: i soci non rispondono con il patrimonio personale dei debiti sociali, ma solo con il capitale conferito. Quindi, se l’azienda non paga i creditori, questi non possono aggredire la casa o i beni personali dei soci (salvo eccezioni). Le eccezioni sono: 1) se un socio ha firmato garanzie personali (fideiussioni) verso banche o fornitori, allora ne risponde a titolo contrattuale; 2) se il socio (o amministratore) ha compiuto illeciti gravi (es. distrazione di beni, operazioni dolose), potrebbe essere chiamato a rispondere con un’azione di responsabilità o anche penalmente. L’amministratore può essere responsabile verso la società o i creditori se viola i doveri gestori: ad esempio, continuando a fare affari rischiosi quando ormai la società andava liquidata, può dover risarcire il maggior danno causato ai creditori (art. 2486 c.c. – il danno stimato spesso come differenza di patrimonio netto tra momento dovuto liquidare e fallimento) . Ma questa è una responsabilità risarcitoria per gestione scorretta, non una responsabilità automatica su tutti i debiti. In pratica: se sei socio di capitale al 20% e non hai garantito nulla, al massimo perdi la tua quota e gli utili; se sei amministratore, potresti essere citato se hai aggravato la situazione in malafede o colpa grave; se sei socio illimitato (SNC, SAS accomandatario), allora sì, rispondi personalmente di tutte le obbligazioni sociali (ma avevi scelto quel tipo di società sapendolo). Anche i soci di SNC falliscono insieme alla società se questa fallisce . In sintesi, per le S.r.l./S.p.A. il principio è la separazione: i creditori devono rivalersi sull’azienda, non sui soci. La difesa patrimoniale personale sta tutta nel non fornire garanzie in modo imprudente e nel gestire correttamente per non incorrere in responsabilità.

Domanda: Se non pago le tasse della società, possono pignorare i miei beni personali (amministratore) o i beni di famiglia?
Risposta: Normalmente no per il caso della società di capitali. Il Fisco aggredirà i beni intestati alla società debitrice (es. conto aziendale, immobili aziendali). I beni intestati all’amministratore o ai soci non possono essere toccati per i debiti fiscali della società. Fanno eccezione situazioni in cui l’amministratore abbia compiuto atti di mala gestio a danno del Fisco: ad esempio, se ha sciolto la società distribuendo attivi ai soci lasciando impagate imposte, allora l’Erario può chiederne conto ai soci e liquidatori (art. 2495 c.c. e art. 36 DPR 602/1973) . Oppure se parliamo di una società di persone: lì i soci sono obbligati in solido e quindi il Fisco potrebbe iscrivere ipoteca anche sulla casa del socio di SNC se la SNC non paga (a meno che quella casa sia impignorabile per norme su prima casa e Fisco, vedi sopra). Discorso a parte: l’omesso versamento IVA e ritenute rileva penalmente contro l’amministratore, ma anche in caso di condanna penale non c’è conversione del debito fiscale in debito personale civile: c’è una pena e semmai una confisca sui beni personali equivalente all’imposta sottratta, che è una forma indiretta di prelievo su beni personali. Dunque per evitare rischi, l’amministratore deve: pagare almeno IVA e ritenute sopra soglia per non incorrere nel penale; non fare distribuzioni ai soci se ci sono debiti erariali importanti; in liquidazione, rispettare l’ordine dei crediti (prima si pagano i crediti fiscali privilegiati, poi eventualmente resta qualcosa per i soci). Se tali cautele sono rispettate, i beni di famiglia sono al sicuro dai debiti tributari dell’azienda.

Domanda: Sto negoziando con le banche e fornitori un piano di rientro, intanto però una banca mi ha revocato il fido e mi chiede rientro immediato: posso fare qualcosa per impedirle di portarmi via i soldi in conto?
Risposta: Se una banca revoca il fido, legalmente ha diritto di esigere subito quanto dovuto e, se non paghi, di avviare un decreto ingiuntivo e pignorare. Non esiste un modo unilaterale per “bloccare” la revoca (il fido è per definizione revocabile secondo contratto). Tuttavia, puoi agire su due fronti: negoziale e procedurale. Sul fronte negoziale, cerca un incontro urgente: magari proponi di rientrare in modo scaglionato invece che immediato (spesso le banche accettano piani di rientro a 6-12 mesi: preferiscono recuperare gradualmente che forzare e magari trovarti in concordato). Offri tutte le garanzie che puoi (es. sostituire il fido con un mutuo garantito da un’immobile, se disponibile). Sul fronte procedurale, se vedi che la banca non sente ragioni e hai anche altri creditori in agguato, valuta di avviare tu una procedura concorsuale: ad esempio, presentare un concordato preventivo con riserva. Da quel momento la banca non potrà eseguire pignoramenti e dovrà trattare nel quadro della procedura. Certo, questo è l’extrema ratio – significare far “scattare l’allarme generale” – ma a volte serve per evitare che un singolo creditore distrugga le possibilità di risanamento. Una volta in concordato, potrai proporre a quella banca di soddisfarla magari parzialmente e dilazionato, come parte del piano, e dovrà accettarlo se la maggioranza approva. In sintesi: giuridicamente, senza procedura, non puoi impedire alla banca di agire (non c’è un giudice che possa ordinare alla banca di aspettare, salvo tu faccia opposizione al decreto ingiuntivo se c’è contestazione sul credito, ma se il credito è liquido non hai molte chance). Quindi la difesa è farla ragionare con la carota (piano convenienza) o col bastone (procedura concorsuale che la congela). Meglio comunque anticipare: se sai di non poter rientrare del fido, non attendere la revoca per muoverti – chiama la banca prima, spiega la situazione e magari coinvolgi un consulente per presentare un mini-piano. La trasparenza può convincerli a mantenere il fido in stand-by invece che revocarlo.

Domanda: Un mio fornitore minaccia di portarmi i libri in tribunale (istanza di fallimento) se non lo pago subito. Posso evitare il fallimento anche se non riesco a pagarlo nell’immediato?
Risposta: Sì, hai alcune possibilità di evitare o almeno posticipare una dichiarazione di fallimento. Se effettivamente sei in insolvenza e quel fornitore ha diritto di chiedere il fallimento, l’unico modo per bloccarlo è attuare una soluzione alternativa prima che il giudice pronunci la sentenza: – La prima opzione è saldare (o ridurre significativamente) il debito di quel fornitore prima dell’udienza pre-fallimentare. Spesso, se il creditore viene pagato o vede un accordo in corso, può anche ritirare l’istanza. Certo, se non hai soldi è difficile, ma potresti offrirgli ad esempio un pagamento parziale immediato e il resto a breve scadenza: se lui accetta e revoca l’istanza, guadagni tempo (attenzione: pagare preferenzialmente un creditore sotto minaccia di fallimento può essere revocatorio poi, ma a mali estremi…). – Seconda opzione, come già detto: presentare tu stesso una domanda di concordato preventivo con riserva prima dell’udienza fallimentare. In base all’art. 44 CCII, il tribunale deve esaminare prima la domanda di concordato tua e quindi sospendere/accantonare l’istanza di fallimento . Se la tua domanda di concordato è ammissibile, il fallimento non verrà pronunciato e avrai tempo di presentare un piano. Questo è un mezzo di difesa tipico – a volte chiamato “concordato difensivo” – e legittimo purché poi sviluppi sul serio la proposta. – Terza opzione: se rientri nei requisiti, potresti avviare una composizione negoziata e chiedere misure protettive. Anche qui, se il tribunale concede la protezione, le istanze di fallimento sono sospese per la durata (il creditore potrebbe opporsi dicendo che sei già insolvente senza speranza, ma se il giudice ti dà fiducia, l’istanza resta in stand-by finché dura la protezione). – Quarta opzione: contestare la legittimità dell’istanza se ci sono motivi. Ad esempio, se il debito verso quel fornitore è contestato (perché la merce era difettosa, ecc.) allora davanti al giudice fallimentare puoi sostenere che non c’è credito certo e quindi manca requisito per fallimento. Se il giudice accetta, respinge l’istanza. Questo è un caso specifico: devi avere una controversia plausibile sul merito del credito. In sintesi, non subire passivamente l’istanza: vai da un avvocato specializzato e prepara una strategia. Il fallimento non è inevitabile finché il giudice non firma la sentenza; c’è spazio per manovrare con gli strumenti concorsuali. Importante: l’art. 7 CCII dice che se pende una tua domanda di concordato o simili, il fallimento è esaminato solo se la tua proposta viene rigettata . Quindi approfitta di questa priorità che la legge ti dà per mettere in campo una soluzione. Spiegalo anche al fornitore: potresti dirgli “Se mi mandi fallito, recuperi forse 5 su 100; se aspetti e accetti il concordato, ne avrai 30”. Questo ragionamento pragmatico può convincerlo a desistere.

Domanda: Ho debiti verso l’INPS per contributi dipendenti non versati. Rischio qualcosa a livello penale? Posso sistemare pagando a rate?
Risposta: Il mancato versamento di contributi previdenziali trattenuti ai lavoratori oltre la soglia di €10.000 annui costituisce reato contravvenzionale punito con fino 3 anni di arresto . Sotto €10.000 è un illecito amministrativo (multa). Quindi, se ad esempio nel 2024 non hai versato €15.000 di contributi tra quota dipendente e quota azienda, sei tecnicamente punibile. Tuttavia, c’è modo di evitare condanna: la legge prevede che se paghi integralmente i contributi dovuti prima che il processo penale sia aperto in dibattimento, il reato è estinto. Inoltre, come notavamo, se hai un piano di rateizzo in corso con l’INPS e stai pagando, il reato non si perfeziona affatto (dal 2016 in poi). Quindi la difesa migliore è attivare subito un piano di rateizzazione con l’INPS o sanare il debito. L’INPS concede dilazioni normalmente su 24 mesi (a volte fino 36 con causa giustificata). Se ti attieni a quel piano, eventuali procedimenti penali decadranno perché manca l’elemento omissivo (il debito risulta in corso di estinzione). Pertanto: sì, sistema pagando a rate. Fai domanda all’INPS (o all’Agenzia Riscossione se il credito è già lì) di dilazione e paga regolarmente le rate. In più, se sei in concordato, ricorda che la proposta deve considerare i contributi preferibilmente integrali o con transazione contributiva; se in concordato versi almeno il minimo previsto e il giudice omologa, la sanzione penale non dovrebbe applicarsi (perché i crediti contributivi vengono “regolati” nella procedura e il legislatore considera soddisfatto l’obbligo in quel contesto). In pratica, raramente si finisce in carcere per contributi omessi se c’è volontà di porvi rimedio. I casi penali gravi sono quando l’imprenditore ignora gli avvisi e non versa nulla per anni. Con un approccio proattivo (pagare qualcosa, aderire a rateazioni, integrare eventuale DURC), puoi difenderti efficacemente sia dall’INPS (che sospenderà le azioni esecutive finché rispetti il piano) sia dal rischio penale.

Domanda: Se ottengo un concordato preventivo e la società paga solo una percentuale dei debiti, i crediti residui vengono cancellati? E le fideiussioni dei soci che avevano garantito quei debiti?
Risposta: Con l’omologazione del concordato, la società debitore è esdebitata per la parte di debito non pagata secondo il piano. I creditori anteriori non possono pretendere altro dalla società oltre a quanto fissato (art. 120 CCII, prima era art. 184 L.F.) . Quindi, sì: il debito residuo della società viene “cancellato” (salvo riemergere se il concordato si risolve per inadempimento grave). Per quanto riguarda i fideiussori (garanti personali, tipicamente soci o amministratori): la regola generale del codice civile (art. 1944 c.c.) è che il fideiussore è obbligato in solido e la liberazione del debitore principale per accordi non libera il garante, salvo che il creditore vi consenta. Dunque, di base, se la società paga solo il 50% al creditore XY in concordato, quel creditore potrebbe richiedere ai garanti (soci fideiussori) il restante 50% . Questa era la prassi comune. Però attenzione: molti contratti di fideiussione prevedono clausole tali per cui se il debito principale è ridotto per legge (concordato), si riduce anche la garanzia. E c’è giurisprudenza recente che in alcuni casi ha interpretato l’esito del concordato come liberatorio anche per i garanti, specie soci illimitatamente responsabili. Ad esempio, una pronuncia ha ritenuto estinta la fideiussione prestata dal socio illimitatamente responsabile se il concordato chiude con soddisfazione parziale dei creditori (ma era un caso particolare, perché il socio garante coincideva col debitore principale in realtà). Diciamo che di norma i garanti rimangono obbligati per la quota non pagata dal concordato. Il creditore non incassato integralmente diventa creditore del fideiussore per il residuo. Il fideiussore potrà a sua volta cercare esdebitazione personale se sovraindebitato. Tuttavia, nulla vieta che nel piano di concordato tu metta una clausola che coinvolga i garanti: ad esempio, proponi che i creditori, accettando il concordato, si impegnino a rinunciare a escutere i garanti per la parte falcidiata. Se i creditori lo approvano esplicitamente, allora i garanti saranno salvi (si configura una remissione del debito di garanzia). Spesso però i creditori istituzionali non vogliono rinunciare ai garanti: incassano quel 50% dall’azienda e poi valutano di mungere i garanti per altro 20% magari transando. Quindi, garanti attenzione: il concordato della società non vi protegge automaticamente. Dovete negoziare con i creditori una liberatoria o altrimenti prepararvi a soddisfare il restante o trovare vostro accordo. Un caso tipico: la banca aderisce al concordato solo se il garante (socio) firma un accordo a parte di rientro del, ad esempio, 30% extra a suo carico. Così la banca porta a casa 50% dalla società e 30% dal socio, coprendo 80%. In conclusione: i debiti della società in concordato si cancellano per la società, ma i creditori possono rifarsi su coobbligati e garanti salvo rinuncia specifica . Fa eccezione il caso di soci illimitatamente responsabili di società di persone: se la società di persone fa concordato, i creditori in teoria conservano azione illimitata sui soci non escussa. Tuttavia, la Cassazione (SU 1418/93) disse che l’esdebitazione da concordato si estende ai soci illimitati che abbiano partecipato al concordato, ma è materia complessa. Per S.r.l. con soci garanti contrattuali, rimane quanto detto: garante paga residuo, salvo patto contrario.

Domanda: Dopo un fallimento o un concordato liquidatorio, io come persona fisica (imprenditore individuale) avrò ancora debiti?
Risposta: Dipende. Se eri un imprenditore individuale, il fallimento coinvolgeva te stesso; alla chiusura del fallimento, puoi ottenere l’esdebitazione e i debiti residui sono cancellati (art. 282 CCII). Con la riforma, questa esdebitazione è praticamente automatica per il fallito persona fisica onesto e cooperativo: non serve più neppure far domanda, il tribunale la dichiara salvo casi di dolo/malafede . Quindi dopo il fallimento sei liberato dai debiti rimasti e puoi ricominciare (restano eventualmente debiti espressamente esclusi, tipo obblighi alimentari, risarcimenti da fatti illeciti, ma qui parliamo di quelli d’impresa per lo più). Se invece hai fatto un concordato preventivo liquidatorio e sei persona fisica, lì non c’è una norma di esdebitazione automatica come nel fallimento. Però spesso i creditori chirografari accettano il concordato sapendo che in caso di successivo fallimento comunque non vedrebbero altro; e tu persona fisica, se era impresa minore, potevi farlo come concordato minore e lì sì è prevista l’esdebitazione a fine piano (norme del sovraindebitamento). Diciamo in generale: l’ordinamento tende a dare una seconda opportunità al debitore persona fisica meritevole. Quindi oggi è possibile liberarsi dei debiti anche dopo esperienze concorsuali. Devi però soddisfare i requisiti di meritevolezza (non aver frodato, ecc.). Nel concordato preventivo classico di una ditta individuale, tecnicamente i creditori rinunciano a parte credito ma non c’è un “provvedimento di esdebitazione” come nel fallimento; di fatto però quell’accordo li vincola e tu non devi più nulla oltre a quanto pagato. Quindi in pratica è simile a un’esdebitazione. Se invece ti rimangono debiti fuori (es. perché in concordato hai escluso alcuni debiti non ammessi), puoi ancora ricorrere alla liquidazione controllata del sovraindebitato per liberartene. In conclusione: dopo aver liquidato tutto il tuo patrimonio in favore dei creditori, la legge ti consente di ripartire senza debiti (fatta salva l’eccezione di comportamenti scorretti, in quel caso potrebbero negarti l’esdebitazione).

Domanda: L’azienda è in crisi nera. Mi conviene venderla a un altro prima che fallisca? Ho paura però di problemi legali.
Risposta: Vendere l’azienda (o rami di essa) può essere una mossa intelligente per salvare l’attività sotto altra guida e ricavare fondi per pagare i debiti. Ma bisogna farlo correttamente per non incorrere in guai: – La vendita deve essere a valore di mercato e preferibilmente il ricavato deve servire a pagare i creditori. Se svendi l’azienda per farla sparire e tieni i soldi, è patrimonio sottratto ai creditori – revocabile e forse bancarotta. – Chi compra un’azienda non si accolla automaticamente tutti i debiti (compratore e venditore possono escludere passività nel contratto), però il codice civile (art. 2560) dice che l’acquirente risponde dei debiti relativi all’esercizio dell’azienda risultanti dai libri contabili obbligatori , salvo patto con i creditori. Questo significa che se vendi e non informi un fornitore, questi potrebbe rivalersi sul nuovo proprietario per il suo credito (se era registrato in contabilità). Quindi, per una cessione “pulita”, è meglio coinvolgere i creditori principali: ad esempio, fai un accordo dove i creditori approvano la cessione e si accontentano di essere pagati, poniamo, al 50% con i soldi che mette il compratore, e liberano l’acquirente da ogni obbligo sul resto. Oppure effettui la cessione nell’ambito di una procedura concorsuale: ad esempio, presenti un concordato dove tra le operazioni c’è la vendita dell’azienda a un investitore, e con il ricavato paghi i creditori in percentuale. Così il giudice omologa e i creditori non potranno poi pretendere nulla dall’acquirente oltre quanto avuto. – Tempistica: se vendi troppo a ridosso dell’insolvenza e poi c’è fallimento entro 1 anno, il curatore potrebbe agire in revocatoria se ravvisa che quell’operazione danneggiava i creditori (es. prezzo troppo basso). Se invece il prezzo era equo e i soldi sono andati ai creditori, il curatore di solito non troverà motivo (non c’è depopauperamento ingiustificato del patrimonio). – Quindi, ti conviene se trovi un acquirente serio e riesci a ottenere un prezzo sufficiente da soddisfare – almeno parzialmente – i debiti e evitare il fallimento. Spesso la cessione d’azienda in blocco ottiene più valore che la vendita spezzettata dal curatore dopo fallimento. E salva i posti di lavoro (perché chi compra di solito assume il personale). – Procedura negoziale come la composizione o un accordo stragiudiziale possono facilitare: i creditori danno il loro benestare, l’acquirente è tranquillo di non avere sorprese legali, tu esci dall’impresa ma eviti il disastro reputazionale del fallimento. – Devi farti assistere da professionisti in questa operazione per strutturarla correttamente (due diligence, contratto con clausole di manleva, informativa ai creditori, ecc.). Insomma, vendere l’azienda non è di per sé illecito, anzi può essere la salvezza di tutto o parte del business. Diventa illecito se è una frode (prezzi fittizi, prestanome, etc.). Se invece è una soluzione concordata e trasparente, la legge la favorisce (vedi concordati con continuità indiretta, dove si premia la cessione a terzi come mezzo di soddisfacimento creditori) . Quindi sì, valutala come opzione difensiva, ma con prudenza e correttezza.

Domanda: Cosa succede se la mia azienda fallisce? Potrò aprirne un’altra in futuro?
Risposta: Se la tua impresa è una società e fallisce (liquidazione giudiziale), la società verrà cancellata al termine e cessa di esistere. Tu come imprenditore – persona fisica o socio – non sei interdetto a vita dagli affari, ma ci sono delle restrizioni temporanee e reputazionali: – Gli amministratori e liquidatori di una società fallita subiscono per 5 anni l’incapacità a ricoprire cariche in altre società (salvo autorizzazione del tribunale) . Inoltre per 10 anni la segnalazione di fallimento resta nel casellario per visure camerali. Quindi aprire subito un’altra società e fare l’amministratore potrebbe essere impedito se non chiedi al giudice (che di solito, se il fallimento non ha avuto irregolarità, concede). Queste interdizioni possono essere ridotte con l’esdebitazione. – Se sei imprenditore individuale fallito, per 5 anni non puoi esercitare attività d’impresa se non autorizzato dal tribunale fallimentare. Ottenuta l’esdebitazione, questa limitazione viene meno. – In pratica, superata la procedura e con l’esdebitazione concessa, puoi ripartire da zero legalmente. Ci possono essere difficoltà pratiche: le banche potrebbero non darti credito per un po’, la reputazione con fornitori va ricostruita (il “fallito” nell’immaginario è visto male, anche se le leggi moderne puntano a toglierne lo stigma). – La legge oggi vuole evitare il fenomeno del “fallito di professione” e di chi apre e chiude fregando creditori a ripetizione. Quindi se hai già ottenuto un’esdebitazione, non ne puoi ottenere un’altra prima di 5 anni e comunque max 2 volte nella vita . Se uno fallisce serialmente e chiede esdebitazione ancora, la seconda volta gliela negano (perché non meritevole). – Comunque, , potrai aprire un’altra attività imprenditoriale in futuro (o partecipare ad altra società) una volta chiusa la vicenda, purché tu abbia agito in buona fede. Molti grandi imprenditori hanno avuto fallimenti e poi successi (es. Walt Disney fallì prima di aver successo). Nel mondo anglosassone il fallimento è quasi un “badge of experience”. In Italia c’era più stigma, ma la riforma del 2019-2022 ha voluto incentivare la seconda chance. – Importante: se nel fallimento in corso emergono condotte distrattive, potresti avere condanne penali e sentenze risarcitorie che restano come debiti personali non esdebitabili – e quelle sì che ti ostacolerebbero a vita. Quindi di nuovo, chiudi la faccenda il più pulito possibile. Riassumendo: un fallimento non ti sbarra a vita la strada degli affari, specie dopo l’esdebitazione. Ti dà una lezione costosa, ma se la impari e ti comporti meritevolmente, la società e la legge ti permetteranno di rimetterti in gioco.

Queste FAQ affrontano i dubbi più comuni. Ovviamente ogni situazione ha sfumature particolari; è sempre consigliato farsi assistere da professionisti qualificati nelle specifiche vicende. L’auspicio è che questa guida fornisca una bussola e gli strumenti concettuali giusti per orientarsi nella complessa materia della difesa del debitore d’impresa in crisi.

Fonti Normative e Giurisprudenziali

Di seguito elenchiamo le principali fonti (leggi, articoli di codice e sentenze) citate o richiamate nel testo, aggiornate a ottobre 2025, per approfondimento:

Normativa di riferimento:

  • Codice Civile: art. 2086 c.c. (dovere di adeguati assetti e gestione dell’impresa in crisi); art. 2267 c.c. (responsabilità illimitata soci SNC) ; art. 2290 c.c. (responsabilità dei soci uscenti per 5 anni) ; art. 2447-2487 c.c. (causa di scioglimento per perdite oltre capitale); art. 2486 c.c. (obblighi degli amministratori dopo causa scioglimento e criteri di liquidazione del danno per continuazione attività) ; art. 2522 c.c. (divieto di nuove operazioni per società in liquidazione); art. 2560 c.c. (debiti cedente azienda, responsabilità acquirente) ; art. 2740 c.c. (patrimonio separato società vs soci); art. 2751-bis c.c. (privilegi crediti di lavoro e professionisti); art. 2764 c.c. (privilegio del locatore sui beni mobili dell’immobile affittato) ; art. 2913 c.c. (inefficacia atti disposizione dopo pignoramento).
  • Legge Fallimentare (storica): Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267 – (abrogata). Citata per riferimento storico, sostituita integralmente dal Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019) dal 15 luglio 2022 .
  • Legge 3/2012 (sovraindebitamento): Disciplina del sovraindebitamento per soggetti non fallibili (piano consumatore, accordo composizione, liquidazione patrimonio). (Abrogata) e integrata nel Codice della Crisi agli artt. 65-83 (concordato minore, ristrutturazione consumatore) e 268-277 (liquidazione controllata) .
  • Direttiva (UE) 2019/1023: Direttiva europea sui quadri di ristrutturazione preventiva e esdebitazione. Attuata in Italia con D.Lgs. 83/2022 . Ha introdotto novità su transazione fiscale, accordi efficacia estesa, protezione lavoratori, ecc. .
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII): Decreto Legislativo 12 gennaio 2019 n. 14 (in vigore dal 15/7/2022) . Disciplina unitaria di allerta, composizione negoziata, procedure concorsuali e sovraindebitamento. Principali articoli citati:
  • art. 2 CCII: definizioni di crisi e insolvenza .
  • art. 12-25 CCII: Composizione negoziata della crisi (nomina esperto, misure protettive, concordato semplificato) .
  • art. 23 co.2-bis CCII: accordo con il Fisco/Enti in composizione negoziata con effetti di transazione fiscale (introdotto da D.Lgs. 83/2022) .
  • art. 25-bis CCII: misure premiali per chi ricorre alla comp. negoziata (dilazioni straordinarie tributi 6-10 anni, riduzione sanzioni) .
  • art. 25-sexies CCII: concordato semplificato per la liquidazione (procedura senza voto creditori, post comp.neg.) .
  • art. 44 CCII: concorso tra domande (priorità esame concordato/soluzione regolazione crisi su istanze liquidazione) .
  • art. 51 CCII: divieto di azioni esecutive individuali dal deposito domanda concordato o accordo.
  • art. 54-57 CCII: Accordi di ristrutturazione dei debiti (requisiti 60%, omologazione) .
  • art. 61 CCII: accordi ristrutturazione con intermediari finanziari e efficacia estesa (75% banche, estensione a dissenzienti) .
  • art. 63 CCII: transazione fiscale e contributiva negli accordi e concordati .
  • art. 64-bis CCII: piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) introdotto da D.Lgs. 83/2022.
  • art. 84-120 CCII: Concordato preventivo (definizione, finalità, tipologie, contenuto piano, classi, voto, omologa). In particolare:
    • art. 84 CCII: finalità del concordato e tipologie di piani (continuità vs liquidatorio) .
    • art. 85 CCII: continuità aziendale (diretta/indiretta).
    • art. 86 CCII: trattamento creditori privilegiati in continuità (moratoria max 2 anni se funzionale).
    • art. 94-96 CCII: proposta e documentazione; atti in frode (causa inammissibilità).
    • art. 100-108 CCII: voto dei creditori e maggioranze; cram-down classi dissenzienti.
    • art. 109 CCII: effetti omologa e esecuzione (vincolatività per tutti i creditori anteriori) ; esclusione dal voto di lavoratori soddisfatti entro 30 gg .
    • art. 112 CCII: risoluzione del concordato per inadempimento.
    • art. 119-120 CCII: esdebitazione del debitore in concordato minore e obblighi di gestione nell’interesse creditori anche in concordato (debitore in continuità deve operare nell’interesse prioritario creditori).
  • art. 121-142 CCII: Liquidazione giudiziale (presupposti, sentenza, effetti personali e patrimoniali sul debitore, organi della procedura).
  • art. 189 CCII: disciplina licenziamenti collettivi in concordato (consultazione sindacale).
  • art. 208 CCII: chiusura liquidazione giudiziale.
  • art. 282-283 CCII: Esdebitazione del debitore fallito persona fisica (automatica, esclusi casi malafede) ; esdebitazione del debitore incapiente (anche se non soddisfa creditori, introdotta 2021) .
  • art. 280 CCII: preclusione esdebitazione per debitore “recidivo” (max 2 volte) .
  • art. 321 CCII: coordinamento con codice penale (bancarotta etc.).
  • Decreti correttivi al CCII:
  • D.Lgs. 147/2020 (primo correttivo).
  • D.Lgs. 118/2021 (conv. L. 147/2021): ha introdotto Composizione Negoziata e concordato semplificato; molte norme poi confluite nel CCII.
  • D.Lgs. 83/2022 (attuazione Dir. UE 2019/1023): ha modificato tra l’altro art. 84 (soglia 20% chirografari con risorse esterne) , introdotto art. 64-bis PRO, innovato transazione fiscale (consentito cram-down) .
  • D.Lgs. 136/2024 (terzo correttivo, in vigore dal 28/9/2024): ha ulteriormente modificato varie disposizioni, tra cui quelle su composizione negoziata (art. 23 co.2-bis e 25-bis) , concordato minore (esteso cram-down fiscale anche lì) , liquidazione controllata ex imprenditori cessati , ecc.
  • Leggi speciali menzionate:
  • D.P.R. 602/1973: riscossione tributi (art. 36 su responsabilità liquidatori e soci per somme distribuite senza pagare imposte) ; art. 76 (limiti pignoramento prima casa).
  • D.Lgs. 74/2000: reati tributari. Art. 10-bis (omesso versamento ritenute > €150k) ; art. 10-ter (omesso versamento IVA > €250k) ; soglie modificate dal D.Lgs. 87/2024 (fissazione consumazione al 31/12 anno succ., mantenute soglie 150k/250k) ; condizione di non punibilità se debito in corso di rateazione bonaria .
  • D.L. 463/1983 conv. L. 638/1983: omesso versamento contributi previdenziali. Art. 2 co.1-bis: soglia €10.000 annui (sopra reato, sotto sanzione amm.va) . Depenalizzato parzialmente da D.Lgs. 8/2016.
  • L. 392/1978: equo canone. Art. 5: sfratto per morosità dopo 20 gg ritardo pagamento; art. 55: termini di grazia 90-120 gg.
  • L. 155/2017: legge delega riforma crisi d’impresa (ha portato al CCII nel 2019).
  • L. 179/2012: Start-up innovative esenti da fallimento (ora comunque coperte da sovraindebitamento).
  • L. 176/2020: modifiche alla L.3/2012 pre-CCI (esdebitazione di diritto per meritevoli, etc.).

Giurisprudenza rilevante:

  • Cassazione Civile:
  • Cass., Sez. Un., 6 maggio 2015, n. 9100: criterio differenziale (deficit fallimentare) come misura del danno da gestione illecita post scioglimento .
  • Cass., Sez. I, 7 nov 2019, n. 28617 & Cass. Sez. I, 18 lug 2023, n. 20979: criterio dei netti patrimoniali (differenza patrimonio netto tra momento causa scioglimento e apertura concorso) come liquidazione equitativa danno ex art. 2486 c.c. .
  • Cass., Sez. I, 27 apr 2023, n. 11041: onere probatorio invertito su atti compiuti dopo perdita capitale (amministratori devono provarne finalità liquidatorie) .
  • Cass., Sez. I, ord. 5 gen 2022, n. 198: gestione post scioglimento con rischi d’impresa indebiti = responsabilità amministratori (precedente che cita).
  • Cass., Sez. I, ord. 28 ott 2024, n. 27782: tribunale può omologare concordato con transazione fiscale anche se Fisco contrario, se offerto almeno 30% e conviene rispetto a fallimento .
  • Cass., Sez. Un., 17 ott 2024, n. 20036: conferma orientamento su omologazione forzosa transazione fiscale (cram-down Erario) .
  • Cass., Sez. Trib., 6 mag 2024, n. 12174: apertura concordato sospende rateizzazioni fiscali in corso, debitore non decade se non paga rate durante procedura .
  • Cass., Sez. I, ord. 13 feb 2023, n. 4081: in linea con sopra, tutela debitore concordato su rate non pagate.
  • Cass., Sez. III Pen., 2 set 2025, n. 30109: pendenza composizione negoziata + misure protettive esclude periculum in mora per sequestro penale: no sequestro preventivo su beni azienda se protetti dal tribunale .
  • Cass., Sez. I, 5 giu 2018, n. 14648: (precedente su liberazione fideiussore in concordato?) – Giurisprudenza contrastante, v. sez. Un. 2017 su art. 1957 c.c. e concordato. Anche Cass., Sez. I, 16 mar 2016 n. 5266 (fideiussore non liberato salvo patto).
  • Cass., Sez. I, 23 giu 2020, n. 12341: cfr netti patrimoniali.
  • Cass., Sez. I, 30 set 2019, n. 24431: cfr netti patrimoniali.
  • Cass., Sez. I, 20 apr 2017, n. 9983: cfr netti patrimoniali.
  • Cass., Sez. Un., 26 gen 2021, n. 8500: (esdebitazione sovraindebitamento anche in caso di accordo, credo).
  • Cass., Sez. Un., 22 gen 2013, n. 1521: (soci illimitatamente resp. e concordato, datata).
  • Cass., Sez. Un., 15/01/1993, n. 1418: concordato società di persone libera soci? (v. Pedone, varia interpretazione).
  • Cass., Sez. I, 27/07/1987, n. 3231: (criterio netti patrimoniali già noto in ’87).
  • Cass., Sez. I, 05/03/2019, n. 6386: (relativo a esdebitazione).
  • Cass., Sez. Un., 08/05/2020, n. 8506: accordo ristrutt. e cram down fisco ammissibile, prima della legge 2020.
  • Corte Costituzionale:
  • Sent. 5/2021: legittimità soglia €10.000 reato contributi e criterio annuo .
  • Sent. 170/2018: su legge sovraindebitamento vecchia (meritevolezza?).
  • Sent. 162/2021: su diritti lavoratori in crisi (non ricordo).
  • Giurisprudenza di merito:
  • Trib. Milano 2023 linee guida post CCII (non citato).
  • App. Trento 7 lug 2023 in dissenso con Cass 6893/23 su art 2486 c.c. (danno da nuove operazioni) .
  • Trib. Pistoia 19 gen 2016 cit. su art 2486 ecc.
  • Trib. Roma, App. Roma citate in Iusletter 2024 sulla quantificazione danno .
  • Trib. Firenze (unijuris): questione concordato e garante (forse caso liberazione fideiussore per cramdown?).

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Il settore dell’alta visibilità è molto competitivo: materiali certificati costosi, continui adeguamenti normativi, lotti minimi elevati, margini compressi, importazioni impegnative e clienti che spesso pagano a 60–120 giorni.
La liquidità può saltare da un momento all’altro.

La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con una strategia efficace.


Perché un’Azienda di Abbigliamento Alta Visibilità va in Debito

  • aumento dei costi di tessuti certificati, bande rifrangenti e lavorazioni
  • pagamenti tardivi da parte di imprese edili, industrie e rivenditori DPI
  • magazzino immobilizzato tra giacche, gilet, pantaloni, accessori HV e personalizzazioni
  • costi elevati di importazione, trasporti e dazi
  • investimenti in certificazioni, test qualità e conformità normativa
  • riduzione o revoca delle linee di credito bancarie

Il vero problema non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi se Non Intervieni Subito

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco dei fidi bancari
  • sospensione delle forniture di DPI e materiali HV
  • atti esecutivi, decreti ingiuntivi, precetti
  • sequestro di magazzini, pallet, colli e attrezzature
  • impossibilità di evadere ordini e rifornire i clienti
  • perdita di rivenditori, appalti e clienti storici

Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Con l’aiuto di un avvocato specializzato puoi:

  • sospendere pignoramenti in corso
  • fermare richieste aggressive di rientro
  • proteggere conti correnti e flussi finanziari
  • bloccare le azioni dell’Agenzia Riscossione

È il primo passo per bloccare l’emorragia.


2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti

La maggior parte delle aziende scopre irregolarità importanti:

  • interessi non dovuti
  • sanzioni sbagliate o gonfiate
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori della Riscossione
  • commissioni bancarie anomale/illegittime

Una parte rilevante del debito può essere ridotta o cancellata.


3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile

Soluzioni disponibili:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi con fornitori strategici (DPI, tessuti HV, trasporti)
  • rinegoziazione delle linee di credito
  • sospensioni temporanee dei pagamenti
  • utilizzo delle definizioni agevolate disponibili

4. Attivare strumenti legali potentissimi che bloccano TUTTI i creditori

Per crisi più profonde puoi ricorrere a:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • Accordi di Ristrutturazione dei Debiti
  • Concordato Minore
  • (nei casi estremi) Liquidazione Controllata

Queste soluzioni bloccano totalmente i creditori e permettono di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti.


Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo

Per salvare un’azienda del settore DPI servono competenze tecnico-legali specifiche.
L’Avv. Monardo è:

  • Avvocato Cassazionista
  • Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

È il professionista ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende che operano con abbigliamento HV e DPI certificati.


Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo

  • analisi immediata della tua situazione debitoria
  • blocco urgente dei pignoramenti
  • riduzione dei debiti non dovuti
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  • tutela completa dell’azienda e dell’amministratore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di abbigliamento alta visibilità per edilizia e industria non significa essere destinato alla chiusura.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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