Se la tua azienda produce, installa o distribuisce sistemi di pesatura automatica, pese dinamiche, selezionatrici ponderali, dosatori automatici, celle di carico, indicatori, software di pesatura, impianti per confezionamento e linee automatizzate, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale intervenire subito per evitare fermi di produzione e perdita di contratti strategici.
Nel settore della pesatura industriale, un malfunzionamento o un ritardo nelle installazioni può bloccare linee di confezionamento, sistemi di dosaggio, controlli qualità e reparti produttivi, causando penali e gravi danni alla reputazione.
Perché le aziende di sistemi di pesatura automatica accumulano debiti
- aumento dei costi di celle di carico, elettronica, motori, sensori e componenti certificati
- rincari nelle forniture importate e shortage di microchip
- pagamenti lenti da parte di industrie alimentari, chimiche, logistici e integratori
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con schede elettroniche, ricambi e componentistica delicata
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli di produzione
- investimenti elevati in collaudi, certificazioni metrologiche, software e assistenza tecnica
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista l’intera situazione debitoria
- identificare debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro insostenibili che bloccano la liquidità
- chiedere la sospensione immediata di éventuali pignoramenti o azioni esecutive
- proteggere rapporti con fornitori strategici e componenti critici
- utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza fermare assistenza e produzione
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di celle di carico, elettronica, motori e ricambi
- impossibilità di completare installazioni, tarature e manutenzioni critiche
- perdita di clienti industriali e integratori di linea
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può aiutarti concretamente a:
- bloccare pignoramenti e atti esecutivi
- ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti più efficaci previsti dalla legge
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- proteggere componenti, ricambi, software, contratti e continuità operativa
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Introduzione
Un’azienda produttrice di sistemi di pesatura automatica – bilance industriali, impianti di pesatura in linea, sensori di carico e software correlati – può trovarsi in gravi difficoltà finanziarie a causa di debiti accumulati. I motivi possono essere molteplici: dal calo di commesse alla lievitazione dei costi delle materie prime (acciaio, componenti elettronici di precisione), da investimenti tecnici onerosi in apparecchiature di taratura alle lunghe dilazioni di pagamento concesse ai clienti. Quando i debiti fiscali, bancari o verso fornitori iniziano a superare la capacità di pagamento dell’azienda, si entra in uno stato di crisi, ovvero di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza . In tale situazione, ignorare il problema non è un’opzione: l’inerzia espone l’impresa a rapide azioni esecutive dei creditori, al blocco operativo e perfino a conseguenze penali per gli amministratori (si pensi ai reati di bancarotta o di omesso versamento di imposte). Al contrario, attivarsi subito consente di sfruttare gli strumenti offerti dall’ordinamento italiano per gestire e ristrutturare i debiti, evitando il tracollo e preservando la continuità aziendale.
Questa guida – aggiornata a ottobre 2025 – fornisce un’analisi avanzata delle soluzioni giuridiche disponibili per un’azienda indebitata (in particolare una PMI nel settore delle pesature automatiche) dal punto di vista del debitore. Illustriamo come difendersi dai creditori e risanare l’impresa, esaminando sia le procedure stragiudiziali (informali o negoziate) sia quelle giudiziali (procedure concorsuali previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D.Lgs. 14/2019 e s.m.i.). Verranno approfonditi i vari tipi di debito (tributari, previdenziali, bancari, commerciali), le strategie per ciascuno, le novità normative (come i piani di ristrutturazione omologati, la transazione fiscale “cram-down” e la composizione negoziata) e i rischi penali tributari connessi. Troverete inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici, un elenco delle domande frequenti con risposte chiare, e una sezione finale con fonti normative e giurisprudenziali aggiornate (comprese recenti sentenze di Cassazione) per approfondire ogni aspetto. Il linguaggio è giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti legali sia a imprenditori e privati che vogliono capire come agire. L’obiettivo è fornire una mappa completa per difendere l’azienda debitrice, valutare le opzioni di ristrutturazione o risanamento dei debiti e, quando necessario, attuare in modo consapevole gli strumenti legali per evitare la fine dell’attività.
In breve: se la tua azienda di sistemi di pesatura automatica è soffocata dai debiti (verso Agenzia delle Entrate, INPS, banche o fornitori) e stai ricevendo solleciti di pagamento, decreti ingiuntivi o pignoramenti, sappi che esistono soluzioni. Il nostro ordinamento predilige interventi di risanamento precoce per aiutare le imprese in difficoltà a rimanere operative sul mercato ed evitarne il fallimento . Agire prontamente e con gli strumenti giusti può salvare la tua impresa: vediamo come.
Segnaliamo che tutti i riferimenti normativi sono alla legislazione italiana vigente (Codice della Crisi d’Impresa e norme correlate) e i riferimenti temporali sono aggiornati alla data di ottobre 2025.
Perché un’Azienda di Sistemi di Pesatura Automatica finisce in debito
Ogni settore industriale ha le sue criticità finanziarie. Nel caso dei produttori o distributori di sistemi di pesatura automatica, si riscontrano spesso costi ingenti e ostacoli che possono generare squilibri di cassa e indebitamento. Ecco alcune cause tipiche che possono portare un’azienda di questo settore ad accumulare debiti:
- Costi elevati dei componenti e delle certificazioni: i sistemi di pesatura richiedono materiali di alta qualità (sensori di carico, strutture in acciaio inox, componenti elettronici di precisione) spesso importati, con prezzi volatili. Inoltre, vi sono costi fissi per le certificazioni metrologiche e i controlli qualità obbligatori, indispensabili per legge ma onerosi.
- Cicli produttivi lunghi e personalizzazioni: la produzione di impianti di pesatura industriale spesso comporta progetti su commessa e integrazione nei processi del cliente. I tempi tra l’ordine, la realizzazione, l’installazione e il collaudo possono essere lunghi, immobilizzando capitale circolante. Nel frattempo l’azienda deve pagare fornitori e dipendenti, anticipando i costi molto prima di incassare dal cliente.
- Ritardi nei pagamenti dei clienti e cali di liquidità: i clienti (industrie manifatturiere, logistiche, GDO, ecc.) spesso pagano a 90-120 giorni o richiedono dilazioni. In caso di ritardi o insolvenze dei clienti, l’azienda di pesatura si trova con crediti insoluti e mancanza di liquidità per far fronte alle proprie scadenze (IVA, fornitori, rate di leasing sulle attrezzature). Un insoluto importante o una serie di ritardi può erodere rapidamente la cassa.
- Investimenti obbligati e spese generali elevate: per restare competitiva, l’azienda deve investire in innovazione tecnologica (software di automazione, aggiornamento sensori e sistemi IoT) e mantenere personale specializzato (ingegneri elettronici, tecnici certificatori). Questi costi fissi possono portare a perdite se il volume d’affari cala anche temporaneamente. Inoltre, l’eventuale necessità di conformarsi a nuove normative (es. taratura periodica degli strumenti, norme sulla sicurezza dei macchinari) può comportare spese impreviste.
- Fattori di mercato e imprevisti: fluttuazioni dei prezzi dell’acciaio e componenti elettronici, aumenti dei costi energetici (per stabilimenti produttivi), oscillazioni del cambio (se si importano componenti) possono aumentare i costi di produzione. Eventi esterni come crisi economiche generali o pandemie possono ridurre la domanda o impedire la consegna/installazione degli impianti, comprimendo i ricavi per mesi.
In sintesi, spesso non è la mancanza di ordini a mettere in crisi queste aziende, ma la mancanza di liquidità dovuta a tempi finanziari sfasati e costi fissi elevati. Un’azienda di pesatura può avere un portafoglio clienti ed ordini solido, ma se i flussi di cassa si interrompono (clienti che non pagano in tempo, banche che riducono gli affidamenti, spese impreviste) può accumulare debiti in poco tempo. Una riduzione anche temporanea della liquidità – ad esempio, per un grosso cliente che ritarda i pagamenti o per il cumulo di magazzino invenduto – è sufficiente a far esplodere l’indebitamento.
I rischi per un’azienda indebitata
Se la situazione di debito non viene gestita rapidamente e attivamente, i rischi per l’azienda aumentano in modo esponenziale. Vediamo le principali conseguenze negative che un’azienda di sistemi di pesatura automatica con debiti elevati rischia di subire:
- Azioni esecutive e pignoramenti: il primo pericolo concreto sono i pignoramenti dei conti correnti aziendali e di altri beni da parte dei creditori. Ad esempio, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) può iscrivere ipoteche su immobili o pignorare il conto bancario per riscuotere imposte non pagate; i fornitori possono ottenere decreti ingiuntivi e far pignorare merci in magazzino o crediti verso clienti; le banche possono escutere eventuali pegni o garanzie e bloccare gli affidamenti in conto corrente. Un pignoramento del conto comporta l’immediata indisponibilità della liquidità, paralizzando i pagamenti quotidiani (stipendi, fornitori correnti, utenze).
- Blocco operatività e forniture: i fornitori strategici (es. fornitori di componenti di pesatura, elettronica o lavorazioni esterne come tarature e calibrazioni) se non vengono pagati sospenderanno le forniture. Ciò significa che l’azienda non potrà completare i prodotti o fare manutenzione agli impianti installati, causando ritardi nelle consegne ai clienti e potenzialmente perdendo contratti importanti. Anche i fornitori di servizi essenziali (energia elettrica per lo stabilimento, software in abbonamento per la gestione) potrebbero interrompere il servizio per morosità. La produzione rischia quindi di fermarsi per mancanza di materiali e supporti.
- Revoca degli affidamenti bancari e credito più oneroso: se la banca percepisce segnali di crisi (sconfini di conto, rate di mutuo saltate, protesti, segnalazioni a Centrale Rischi), può revocare gli affidamenti concessi (fidi di cassa, anticipi fatture) o non rinnovare le linee a breve. In più, l’azienda verrà segnalata come cattivo pagatore in centrale rischi, rendendo molto difficile ottenere nuove linee di credito o finanziamenti. Senza credito bancario, l’azienda deve autofinanziarsi, il che in situazione di crisi è quasi impossibile.
- Perdita di clienti e reputazione: se i ritardi nei pagamenti generano problemi operativi (consegne mancate, assistenza tecnica carente per mancanza di pezzi di ricambio), i clienti potrebbero rivolgersi ai concorrenti. Inoltre, l’avvio di azioni legali contro l’azienda (pignoramenti, ingiunzioni) diventa spesso di dominio pubblico (basti pensare alle visure pregiudizievoli) e la reputazione dell’impresa sul mercato ne soffre. I clienti potrebbero temere di affidarsi a un fornitore in difficoltà (ad esempio, un cliente retail potrebbe temere che l’azienda di pesatura non sia in grado di garantire l’assistenza sulle bilance fornite se fallisce) e quindi cancellare o non rinnovare ordini.
- Rischio di insolvenza irreversibile e fallimento: il peggioramento a catena può sfociare nello stato di insolvenza conclamata, quando l’azienda non è più in grado di pagare regolarmente i propri debiti. A quel punto, i creditori (fornitori, banche, Fisco) possono presentare istanza di fallimento (oggi liquidazione giudiziale ai sensi del nuovo Codice della Crisi). L’apertura di una procedura concorsuale comporta la perdita della gestione dell’azienda da parte degli amministratori, la liquidazione forzata dei beni e potenzialmente la chiusura dell’attività stessa, con licenziamento dei dipendenti e dispersione del know-how aziendale.
In pratica, un debito non gestito può paralizzare la produzione e portare l’azienda al collasso nel giro di pochi mesi. Per una PMI tecnologica, bastano poche azioni esecutive aggressive perché le linee produttive si fermino (conto bancario bloccato, magazzino sotto sequestro, fornitori critici in sciopero delle consegne) e il circolo vizioso diventa difficile da invertire. È per questo fondamentale agire prima che la crisi degeneri. Nel prossimo paragrafo vedremo quali mosse immediate un imprenditore debitore dovrebbe intraprendere per difendersi e contenere i danni.
Cosa fare subito per difendersi (prime mosse)
Di fronte a una situazione di debiti fuori controllo, l’imprenditore deve adottare tempestivamente alcune contromisure pratiche. Vediamo i passi iniziali consigliati per difendere l’azienda e preparare il terreno a un risanamento:
1) Fermare immediatamente (o congelare) le azioni dei creditori. Prima si blocca il danno, poi si costruisce la soluzione. È prioritario evitare che i creditori aggrediscano i conti o i beni aziendali. Ciò può essere fatto in diversi modi: ad esempio, tramite un avvocato si può chiedere al giudice una sospensione cautelare dei pignoramenti già in corso o minacciati, nell’ambito di una trattativa o di una procedura di composizione della crisi. Il Codice della Crisi consente, se si presenta un’istanza di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione con misura protettiva, la sospensione automatica delle azioni esecutive (il cosiddetto automatic stay ex art. 54 CCII) su tutti i creditori. Anche nell’ambito della composizione negoziata è possibile ottenere dal Tribunale misure protettive temporanee che bloccano individualmente le azioni dei creditori (art. 18-19 CCII). In parallelo, si possono avviare trattative informali chiedendo ai creditori tempo (standstill) in vista di un piano: molti fornitori o banche, se sanno che l’azienda sta preparando un serio piano di ristrutturazione, potrebbero concordare moratorie di fatto (ad esempio, la banca potrebbe sospendere momentaneamente le richieste di rientro dai fidi). Insomma, il primo obiettivo è guadagnare tempo e mantenere lo status quo, impedendo che i creditori frammentino l’azienda con azioni scoordinate. Un avvocato specializzato in crisi d’impresa può valutare lo strumento più adatto per ottenere questa “tregua” e attivarlo rapidamente.
2) Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti o contestabili. Non tutti i debiti in bilancio potrebbero essere esatti o definitivamente dovuti. Una due diligence sulle posizioni debitorie spesso individua ad esempio: interessi moratori o penali illegittimi o usurari applicati da banche; sanzioni tributarie annullabili (magari perché versate in ritardo ma condonabili con ravvedimento, o non dovute per errori formali); importi prescritti (soprattutto in cartelle esattoriali datate, se sono decaduti i termini di notifica); duplicazioni di addebiti o errori di calcolo dell’Agente della Riscossione; addebiti di spese e commissioni bancarie non trasparenti. Con l’aiuto di professionisti (avvocati e consulenti contabili) è quindi opportuno verificare ogni cartella esattoriale, estratto conto bancario e fattura contestata, per stralciare ciò che può essere contestato legalmente. Ad esempio, se risultano cartelle esattoriali molto vecchie non notificate correttamente, si potrà opporsi e farle annullare dal giudice. Ridurre l’ammontare del debito totale è possibile e spesso in misura significativa: ogni euro di debito cancellato (per prescrizione, sgravio o vittoria giudiziale) è un euro che non servirà reperire nel piano di risanamento. Questa fase di analisi critica dei debiti è propedeutica al risanamento: si parte da una fotografia realistica e “ripulita” dell’esposizione debitoria certa.
3) Ristrutturare i debiti con piani sostenibili (negoziazioni mirate). Parallelamente al controllo di legittimità, bisogna ragionare su come ristrutturare il debito rimanente in modo sostenibile per l’azienda. Ciò significa predisporre un piano finanziario che, tenendo conto dei flussi di cassa prospettici dell’impresa, preveda il pagamento graduale (o parziale) dei debiti senza strangolare la liquidità aziendale. Alcune azioni pratiche includono: richiedere rateizzazioni fiscali (ad esempio, dilazioni fino a 72 o 120 rate per cartelle esattoriali, se l’azienda rientra nelle condizioni di legge); negoziare accordi di saldo e stralcio o dilazione con fornitori chiave (es. proporre a un fornitore il pagamento del 50% del dovuto subito e il restante 50% in 12 mesi, magari rinunciando a parte degli interessi, in cambio di continuare la relazione commerciale); rinegoziare mutui e leasing con le banche, ad esempio ottenendo un periodo di solo pagamento interessi (preammortamento) o l’allungamento delle scadenze per ridurre l’esborso mensile; sfruttare eventuali definizioni agevolate introdotte per legge (come i “condoni” o rottamazioni delle cartelle esattoriali, se vigenti: ad esempio nel 2023-2024 era attiva la “rottamazione-quater” con stralcio di sanzioni e interessi). L’obiettivo in questa fase è alleggerire la pressione finanziaria sull’azienda: un debito spalmato su più anni o ridotto per accordo è più gestibile e consente all’impresa di sopravvivere nel frattempo. È fondamentale che il piano di rientro sia realistico: promettere pagamenti che poi saltano peggiora la credibilità dell’azienda. Meglio offrire meno ma rispettare gli impegni. Idealmente, questo piano confluirà in uno degli strumenti legali di ristrutturazione del debito descritti in seguito (piano attestato, accordo di ristrutturazione o concordato), ottenendo così anche una veste formale e protezioni giuridiche.
4) Usare gli strumenti legali che proteggono l’azienda e tagliano i debiti. Se l’esposizione debitoria è elevata, è probabile che le misure puramente volontarie non bastino (qualche creditore potrebbe rifiutare accordi, o il debito è semplicemente troppo grande). In questi casi l’imprenditore deve valutare l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi d’impresa previsti dalla legge. I principali strumenti per un’azienda (società commerciale) sono: il piano attestato di risanamento (strumento privato ma “protetto” da un’attestazione, disciplinato dall’art. 56 CCII), gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati dal tribunale (art. 57 CCII e seguenti, equivalenti all’ex art. 182-bis l.f.), e il concordato preventivo (artt. 84 e ss. CCII), nelle sue varianti in continuità o liquidatorio. Per imprese molto piccole non soggette a fallimento si aggiunge il concordato minore (procedura di sovraindebitamento). Uno strumento di recente introduzione è il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), che consente soluzioni molto flessibili previa approvazione per classi (lo vedremo). Queste procedure sospendono le azioni dei creditori (appena attivate si ottiene una moratoria legale generalizzata) e consentono di ridurre i debiti in modo vincolante anche per i creditori dissenzienti, purché il piano sia omologato dal tribunale. Ad esempio, in un concordato è possibile proporre ai chirografari il pagamento parziale (es: 30%) in x anni e, se la maggioranza approva, anche i creditori contrari sono obbligati ad accettare quell’importo in luogo dell’intero credito. Analogamente, con un accordo di ristrutturazione omologato, se si raggiunge il consenso richiesto (60% dei crediti) il giudice può estendere gli effetti agli altri creditori. In breve, questi strumenti consentono di tagliare il debito in modo legale e salvare l’azienda, al prezzo di sottoporla a un controllo formale (attestazioni di esperti, autorizzazioni del tribunale, ecc.). Ne dettaglieremo il funzionamento nelle sezioni successive. È fondamentale farsi affiancare da professionisti esperti (advisor finanziari, legali) nella predisposizione di tali piani, data la loro complessità tecnica e i requisiti di legge.
5) Proteggere la produzione e gli asset essenziali durante la crisi. Mentre si attivano le procedure di risanamento, l’imprenditore deve tenere al sicuro il patrimonio produttivo dell’azienda. Nel settore delle pesature, ci sono beni critici: ad esempio, le apparecchiature e i macchinari di produzione o di assistenza tecnica, il magazzino di componenti e ricambi (celle di carico, schede elettroniche, strutture metalliche), i contratti di manutenzione presso i clienti, e naturalmente il team di tecnici specializzati. Bisogna evitare che i creditori possano aggredire o impedire l’uso di questi asset: durante eventuali misure protettive o procedure concorsuali, l’azienda può chiedere di continuare ad utilizzare beni essenziali anche se pignorati (previa autorizzazione) e può opporsi a sequestri che pregiudicherebbero l’attività. È essenziale anche mantenere i rapporti con i fornitori chiave: ad esempio, se un fornitore di sensori minaccia di interrompere le forniture per insoluti, si può valutare di pagarlo parzialmente in prededuzione (come creditore strategico) all’interno di un concordato, così da assicurarsi la continuità. Inoltre, occorre preservare la fiducia dei clienti strategici comunicando, se necessario, che l’azienda sta ristrutturando ma che la continuità del servizio sarà garantita (magari ottenendo dal tribunale l’autorizzazione a eseguire i contratti in corso). In sostanza, la produzione non deve fermarsi: continuare ad operare (anche se a regime ridotto) è fondamentale perché l’azienda generi la cassa necessaria a sostenere il piano di risanamento. Una tutela degli asset include anche il salvaguardare i beni da atti del debitore stesso: l’amministratore in crisi deve astenersi dal compiere operazioni distrattive o disperdere risorse in favore di taluni creditori, perché oltre a indebolire l’impresa potrebbe incorrere in responsabilità (sia civilistiche che penali, come la bancarotta preferenziale e fraudolenta). Meglio convogliare ogni pagamento nella cornice di un piano autorizzato, dove sarà esente da azioni revocatorie o contestazioni .
Queste prime mosse delineano un percorso di emergenza: tamponare le aggressioni esterne, fare pulizia nei conti, progettare un piano di rientro e incanalarlo nello strumento legale corretto, il tutto senza interrompere del tutto l’attività aziendale. Nei prossimi capitoli, entriamo nel dettaglio degli aspetti giuridici: quali tipologie di debito esistono e come vanno trattate, quali strumenti offre la legge italiana (con le ultime novità normative 2022-2025), e come procedere operativamente per ottenere l’omologazione di un piano di risanamento, una transazione fiscale o altre soluzioni utili a un’impresa indebitata.
Tipologie di debiti e relative conseguenze legali
I debiti di un’azienda possono avere natura diversa e, a seconda della tipologia, comportano specifiche conseguenze giuridiche e modalità di gestione. Un’analisi per categoria di debito è fondamentale perché ciascuna tipologia di credito segue regole particolari (priorità di pagamento, possibilità di transazione, eventuali profili penali). Di seguito esaminiamo le principali categorie di debito che un’azienda di sistemi di pesatura automatica potrebbe aver accumulato:
Debiti tributari (Erario e Agenzia delle Entrate-Riscossione)
I debiti verso il Fisco comprendono imposte non versate (IVA, IRES, IRAP), ritenute fiscali non pagate, oltre a interessi e sanzioni. Le conseguenze del mancato pagamento dei tributi sono particolarmente incisive:
- Iscrizione a ruolo e azioni esecutive dell’Agente della Riscossione: se l’azienda non paga imposte dichiarate (es. IVA periodica) o somme accertate, l’Agenzia delle Entrate emette un ruolo e attraverso Agenzia Entrate-Riscossione (AER) notifica una cartella esattoriale. Trascorsi 60 giorni senza pagamento o rateizzazione, AER può avviare misure cautelari ed esecutive: ad esempio, iscrivere fermi amministrativi sui veicoli aziendali, ipoteche legali su immobili (per debiti oltre 20.000€) e pignorare crediti o beni (conto corrente, attrezzature, incassi presso clienti). L’agente della riscossione ha poteri ampi: può pignorare anche somme presso terzi (crediti vantati dall’azienda verso i propri clienti) bloccando così incassi futuri. In una situazione di crisi, è frequente ritrovarsi con più cartelle esattoriali non pagate, e AER spesso concentra le azioni sul conto bancario (perché di facile accesso).
- Sanzioni e interessi che fanno lievitare il debito: i debiti tributari crescono nel tempo per via di interessi moratori e sanzioni amministrative. Ad esempio, l’omesso versamento IVA comporta una sanzione del 30% dell’imposta non versata, a cui si sommano interessi per ciascun giorno di ritardo. In caso di definizioni agevolate (es. “rottamazioni”), queste sanzioni possono essere condonate, ma se l’azienda non riesce ad aderirvi il debito fiscale può diventare molto più alto del tributo originario.
- Blocco dei certificati di regolarità e partecipazione a gare: un’impresa con debiti fiscali scaduti non ottiene il DURC fiscale (certificazione di regolarità tributaria) né il DURC contributivo; questo le impedisce di partecipare a gare pubbliche o ottenere alcuni benefici (ad es. pagamenti da enti pubblici, visto di conformità per crediti fiscali). È un effetto indiretto ma grave: si perde accesso a commesse pubbliche e agevolazioni.
- Segnalazioni e allerta esterna: il Codice della Crisi prevede meccanismi di allerta per debiti fiscali significativi. In particolare, l’Agenzia Entrate e l’INPS hanno l’obbligo di segnalare all’imprenditore (e all’OCRI, ora composizione negoziata) il superamento di certe soglie di debito scaduto, affinché l’impresa corra ai ripari. Ad esempio, per debiti IVA oltre €5.000 scaduti da oltre 90 giorni potrebbe scattare una segnalazione (soglie esatte definite dai decreti attuativi). Questo può mettere pressione all’organo amministrativo, che rischia responsabilità se ignora tali allarmi.
- Responsabilità personali e penali: il diritto penale tributario tocca da vicino chi gestisce l’azienda (si veda la sezione dedicata). Per ora basti ricordare che alcuni omessi versamenti di tributi oltre soglia costituiscono reato (in particolare, omesso versamento IVA annuo > €250.000 o di ritenute > €150.000 ). Inoltre, l’amministratore che non versa l’IVA o le ritenute può incorrere, oltre che in sanzioni penali, anche in responsabilità patrimoniale personale verso la società se il mancato versamento danneggia l’azienda (ad esempio, perché ne deriva una sanzione).
Come gestirli: i debiti tributari possono essere inseriti in piani di ristrutturazione solo con particolari cautele. Lo Stato è un creditore privilegiato per molte imposte (ha privilegio generale sui mobili per IVA, ritenute, ecc.) e la legge richiede che nel concordato preventivo i crediti privilegiati siano soddisfatti integralmente salvo rinuncia. Ciò significa che, salvo accordo (transazione fiscale), le imposte con privilegio vanno pagate al 100% nel piano. Fortunatamente esiste l’istituto della transazione fiscale: l’azienda può proporre all’Erario il pagamento parziale dei tributi nell’ambito di un concordato o accordo di ristrutturazione. Se l’Erario (Agenzia Entrate/AER) aderisce, la transazione è vincolante e permette di falcidiare anche i tributi privilegiati. Se l’Erario non aderisce, grazie alle riforme recenti è possibile ottenere comunque l’omologazione (cram-down fiscale): la Cassazione ha chiarito nel 2024 che il tribunale può omologare il concordato o accordo anche con dissenso espresso del Fisco, purché il trattamento proposto al creditore pubblico non sia inferiore a quello ricavabile in liquidazione . In pratica, il voto negativo del Fisco non è più un veto insuperabile. Questa novità (confermata dal D.Lgs. 83/2022 e dal correttivo 2024) tutela il debitore onesto: se la proposta è ragionevole e vantaggiosa rispetto al fallimento, il giudice può renderla efficace anche senza il consenso del Fisco. Nel frattempo, per gestire gli arretrati fiscali fuori dalle procedure, l’azienda può chiedere rateizzazioni (fino a 6 anni standard, o 10 anni per somme ingenti e in caso di comprovata difficoltà, secondo l’art. 19 DPR 602/1973) per evitare azioni di AER. Durante la composizione negoziata, da ultimo, è possibile concludere accordi transattivi con le Agenzie fiscali per congelare o ridurre il debito . L’importante è trattare il Fisco come creditore strategico: ignorare il debito fiscale porta rapidamente alla paralisi (pignoramenti) e a responsabilità gravi, mentre inserirlo intelligentemente in un piano concordato può portare addirittura benefici (ad esempio, l’omologa di un accordo con transazione fiscale può evitare la confisca penale del “profitto” del reato tributario, se c’era un procedimento penale ).
Debiti previdenziali e assistenziali (INPS, INAIL, Casse)
I debiti verso enti previdenziali riguardano principalmente: contributi obbligatori non versati (contributi INPS dovuti per i dipendenti o per i soci lavoratori, contributi alla gestione artigiani/commercianti per l’imprenditore individuale, premi assicurativi INAIL per gli infortuni sul lavoro), oltre a eventuali somme per sanzioni civili. Anche in questo ambito, il mancato pagamento ha effetti importanti:
- Cartelle INPS/INAIL e blocco DURC: i contributi non pagati vengono iscritti a ruolo e affidati anch’essi ad Agenzia Entrate-Riscossione, come i tributi. Quindi l’iter di riscossione è analogo (notifica cartelle, pignoramenti, ecc.). Inoltre, un’azienda non in regola con i contributi non ottiene il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva), certificato essenziale per partecipare a gare pubbliche, ottenere certificazioni o beneficiare di bonus e incentivi statali. Il DURC irregolare può portare anche alla sospensione di pagamenti da parte di stazioni appaltanti pubbliche.
- Sanzioni civili e interessi: sui contributi omessi si applicano sanzioni civili (non penali, salvo il caso delle ritenute previdenziali) che fanno aumentare il debito. Per i contributi previdenziali non c’è la stessa frequenza di “rottamazioni” come per i tributi, quindi spesso l’importo dovuto cresce con penali e interessi di mora.
- Reati per omesso versamento di ritenute previdenziali: attenzione che c’è un caso specifico di rilievo penale: se l’azienda trattiene dalla busta paga del dipendente i contributi previdenziali a suo carico (le trattenute INPS in busta) ma non li versa all’ente entro il termine previsto, ed il totale omesso supera una certa soglia (solitamente €10.000 annui), l’art. 2 comma 1-bis del D.L. 463/1983 prevede un reato penale. È una fattispecie assimilabile all’omesso versamento di ritenute fiscali, ma in ambito contributivo. Tuttavia, la norma permette l’estinzione del reato pagando i contributi dovuti prima ancora del giudizio (c.d. oblazione: pagamento entro specifici termini dopo la contestazione). Resta il fatto che il titolare o legale rappresentante rischia una denuncia se non versa ai lavoratori neppure i contributi trattenuti.
- Segnalazioni di allerta INPS: come per il Fisco, anche l’INPS è tenuta a segnalare all’impresa (e all’OCRI) il superamento di soglie di debito contributivo (ad esempio, insoluti contributivi oltre il 30% di quelli dovuti in un trimestre, o importi comunque rilevanti) per stimolare l’adozione di misure di composizione negoziata. Questo rientra negli strumenti di emersione anticipata della crisi introdotti nel Codice della Crisi . Ignorare tali segnalazioni espone gli amministratori a critiche di negligenza nella gestione.
Come gestirli: i debiti contributivi, analogamente a quelli fiscali, possono essere oggetto di transazione contributiva nell’ambito di accordi di ristrutturazione o concordati (art. 63 CCII). Significa che si può proporre all’INPS/INAIL di accettare un pagamento parziale dei contributi dovuti. Le regole e soglie sono parallele a quelle fiscali: senza transazione, i contributi (spesso privilegiati) vanno pagati integralmente nei concordati; con transazione omologata, possono essere falcidiati. La giurisprudenza ha chiarito che il cram-down vale anche per l’ente previdenziale: il tribunale può omologare il piano anche se l’INPS vota contro, se la proposta è più vantaggiosa del fallimento . Fuori dalle procedure, l’azienda può chiedere all’INPS una rateazione amministrativa del debito contributivo (fino a 24 rate mensili, prorogabile in casi eccezionali) oppure, una volta in cartella, aderire alle dilazioni con AER (che in caso di importi sotto €50.000 non richiede garanzie aggiuntive). Ottenere la rateizzazione del debito INPS è doppiamente utile: consente di regolarizzare il DURC (durante la rateazione il DURC torna regolare) e quindi di poter continuare a operare soprattutto in contesti dove serve (appalti, certificazioni). Importante: se pendono contestazioni penali per omesso versamento delle ritenute previdenziali, il pagamento integrale del dovuto (contributi + sanzioni civili) entro il termine di legge estingue il reato, quindi la priorità sarà trovare la liquidità o inserire nel piano il pagamento totale di quella parte. In un concordato, le ritenute non versate potrebbero essere considerate debiti verso i dipendenti (che hanno privilegio speciale) e andrebbero comunque soddisfatte integralmente per legge; in ogni caso è sconsigliabile tentare di falcidiare quelle somme, meglio prevederne il pagamento completo, magari dilazionato, per evitare guai giudiziari. Con gli strumenti di composizione negoziata, anche con l’INPS è possibile negoziare soluzioni transattive (dopo il correttivo 2024, esplicitamente art. 23 co.2-bis CCII permette accordi anche con enti previdenziali durante la negoziazione ).
Debiti bancari e finanziari (banche e altri finanziatori)
Questa categoria include mutui bancari, finanziamenti a medio-lungo termine, scoperti di conto corrente, anticipi su fatture e qualsiasi altra esposizione verso istituti di credito o società di leasing/factoring. Caratteristiche e rischi associati:
- Garanzie e ipoteche: spesso i debiti bancari sono assistiti da garanzie, ad esempio ipoteche su immobili aziendali o anche personali dei soci, oppure pegno su macchinari, o ancora fideiussioni personali degli imprenditori. In caso di insolvenza, la banca può agire velocemente per escutere queste garanzie: ad esempio, dichiarare la decadenza dal beneficio del termine di un mutuo e avviare l’esecuzione immobiliare sull’immobile ipotecato, oppure agire contro i garanti personali sul loro patrimonio. Ciò significa che il rischio non è solo per la società ma anche per il patrimonio personale di amministratori/soci che abbiano garantito i prestiti.
- Segnalazione a sofferenza e revoca fidi: non appena il rapporto con la banca si deteriora (rate non pagate, sconfini persistenti), l’istituto classifica l’esposizione a sofferenza e segnala la posizione a Centrale dei Rischi di Banca d’Italia come insolvente. Ciò compromette la reputazione creditizia dell’azienda (nessun altro istituto concederà fidi vedendo una sofferenza in CR). Inoltre, la banca revoca i fidi di conto e le linee autoliquidanti (anticipi), chiedendo il rientro immediato di quanto utilizzato. Questo genera un effetto a catena: l’azienda deve restituire magari decine o centinaia di migliaia di euro di scoperto entro pochi giorni, cosa inattuabile, con conseguente ulteriore inadempimento e possibile decreto ingiuntivo.
- Interessi moratori e anatocismo: sulle esposizioni bancarie in default scattano interessi moratori spesso elevati (talvolta oggetto di contestazioni di usura). Inoltre, se non si regolarizza il fido o la rata, gli interessi si sommano al debito e il costo del denaro cresce. Le banche tendono anche a capitalizzare gli interessi (pratica anatocistica) seppur regolata dalla legge, facendo aumentare il dovuto.
- Clausole risolutive incrociate: alcuni contratti di finanziamento prevedono covenants o clausole tali per cui l’inadempimento su un rapporto (es. mancato pagamento di una rata leasing) fa considerare anticipatamente scadute anche altre esposizioni con la stessa banca o gruppo. Dunque un singolo default può propagarsi all’intero indebitamento bancario dell’azienda.
- Iniziativa aggressiva nelle procedure concorsuali: le banche (specie se munite di garanzie) sono spesso i creditori più attivi nell’invocare il fallimento quando vedono compromesso il credito. Una banca insoddisfatta può presentare istanza di liquidazione giudiziale appena l’azienda appare insolvente, per tentare di soddisfarsi velocemente sui beni dati in garanzia con l’ausilio del tribunale.
Come gestirli: i debiti bancari richiedono un approccio negoziale deciso. In prima battuta, è bene interloquire con l’istituto prima che la situazione precipiti: presentare un piano di rientro ragionato può convincere la banca a non revocare i fidi e a evitare azioni legali. Le banche, soprattutto se coperte da garanzie reali, potrebbero preferire una soluzione concordata che massimizzi il recupero nel tempo, piuttosto che forzare una liquidazione giudiziale con rischio di incassare poco (si pensi a immobili che in fallimento perdono valore). Strumenti pratici: rinegoziazione del debito – ad esempio consolidare gli scoperti di conto in un finanziamento a medio termine, magari assistito da garanzia pubblica (Fondo PMI) se l’azienda ha i requisiti; oppure moratorie concordatarie: in caso di concordato preventivo in continuità, la legge consente al debitore di chiedere al giudice la sospensione o lo scioglimento dai contratti bancari in essere (es. leasing) se ciò è funzionale al piano (art. 94 CCII). Inoltre, in un concordato l’azienda può proporre ai creditori finanziari chirografari una soddisfazione parziale e vincolarli col voto di maggioranza. Se vi sono più banche, utile il meccanismo degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII, ex art. 182-septies l.f.): se almeno il 75% degli intermediari finanziari (per credito) aderisce a un accordo, l’efficacia si estende anche alle banche dissenzienti della stessa categoria . Ciò serve a evitare che una piccola banca dissenziente faccia saltare l’intesa generale. Un ulteriore strumento, potenziato dalle riforme, è la convenzione di moratoria (art. 62 CCII): le banche e l’imprenditore possono stipulare un accordo di moratoria temporanea del pagamento dei crediti finanziari, che diviene vincolante anche per le banche non aderenti se si raggiungono determinate maggioranze e sono della medesima categoria . Questa convenzione (una sorta di accordo di standstill) dà respiro all’azienda in attesa di completare il piano di risanamento. In sintesi, per le banche il debitore deve predisporre proposte concrete: presentare bilanci previsionali, eventuali nuove garanzie (o coinvolgimento di investitori) e spiegare che la ristrutturazione conviene anche a loro. Dal punto di vista normativo, i crediti bancari privilegiati (garantiti da ipoteca o pegno) possono essere soddisfatti parzialmente in concordato solo se il valore del bene a garanzia è inferiore al credito (la parte eccedente diventa chirografaria e può essere tagliata). Ad esempio, se la banca ha ipoteca per 500k su un capannone che nel piano vale 300k, 300k vanno destinati a quella banca, i restanti 200k di credito sono falcidiabili. Questa regola impone un’attenta perizia di stima dei beni dati in garanzia nel contesto del piano. Infine, va ricordato che nuovi finanziamenti eventualmente concessi durante una procedura di concordato o accordo autorizzato dal giudice possono essere accordati in prededuzione (art. 99-101 CCII): ciò significa che la banca che finanziasse l’azienda in concordato ha diritto di essere pagata prima degli altri creditori (in pratica il rimborso di quel finanziamento è “super-sicuro”). Questa previsione è pensata per favorire finanza ponte: se l’azienda ha bisogno di liquidità per attuare il piano, il tribunale può autorizzare a prenderne di nuova garantendo a chi la dà uno status di prelazione . Spesso le banche sono disponibili a sostenere il piano se ottengono queste tutele.
Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari
Rientrano qui i debiti commerciali (fornitori di merci, materie prime, servizi), i debiti verso consulenti, affitti arretrati, bollette non pagate, etc., in generale creditori senza garanzie reali o privilegi speciali (detti chirografari). Caratteristiche:
- Azione individuale e decreto ingiuntivo: il fornitore impagato può interrompere forniture future e agire per vie legali per recuperare il credito. Tipicamente ottiene un decreto ingiuntivo (ingiunzione di pagamento) e, se l’azienda non paga entro 40 giorni, procede con pignoramenti. I fornitori spesso colpiscono crediti o merci: ad esempio, un subfornitore meccanico potrebbe pignorare i prodotti finiti in magazzino; un consulente può pignorare il conto corrente. Singole azioni di fornitori minori possono non sembrare letali, ma l’effetto cumulato di più pignoramenti può bloccare l’attività.
- Crediti muniti di riserva di proprietà: alcuni fornitori (specie di beni strumentali o forniture importanti) vendono con patto di riservato dominio: la proprietà del bene resta al fornitore finché non è pagato. Se l’azienda non paga, il fornitore con riserva di proprietà può rivendicare la restituzione dei beni forniti. Nel contesto di un fallimento, la legge tutela questi fornitori che possono escutere i beni (art. 1523 c.c. e art. 100 CCII). Ciò significa che, ad esempio, se l’azienda di pesatura ha acquistato una costosa macchina utensile con riserva di proprietà e non paga tutte le rate, rischia di perderla proprio quando ne ha più bisogno.
- Interruzione rapporti e reputazione commerciale: al di là delle vie legali, il fornitore insoluto cessa la collaborazione. Questo può danneggiare l’azienda in modo significativo: dover trovare nuovi fornitori in emergenza spesso comporta costi maggiori o minore qualità. Inoltre, il passaparola nel settore potrebbe far sì che altri fornitori richiedano pagamenti anticipati o cauzioni per continuare a servire l’azienda “morosa”. La fiducia della filiera viene meno.
- Nessun privilegio (salvo eccezioni): la maggior parte di questi creditori è chirografaria, il che significa che in caso di procedura concorsuale vengono soddisfatti dopo privilegiati e garantiti. Pertanto, in un concordato o fallimento, spesso recuperano solo una piccola percentuale. Questo “punto debole” può in verità giocare a favore del debitore in sede di piano: sapendo che in un fallimento il fornitore probabilmente incasserebbe poco o nulla, si può convincerlo che una soluzione concordata (magari 30% in 2 anni) è vantaggiosa.
Come gestirli: i debiti verso fornitori sono quelli su cui in genere si interviene con dilazioni e stralci. L’approccio extragiudiziale consiste nel dialogare coi fornitori più critici e proporre piani di rientro personalizzati, spesso offrendo di pagare almeno in parte il dovuto garantendo però la continuazione dei rapporti futuri (leva commerciale). È utile far capire al fornitore che collaborare al risanamento conviene: se l’azienda chiude, il fornitore perde un cliente oltre a non incassare nulla dei crediti pregressi; se l’azienda si risana, il fornitore potrà continuare a venderle prodotti/servizi e recuperare almeno una quota del vecchio insoluto. In sede di piano formale (concordato), i creditori chirografari possono essere falcidiati liberamente, purché ricevano un trattamento non inferiore a quello che avrebbero in caso di liquidazione giudiziale (principio di convenienza). Questo principio – sancito dall’art. 112 CCII – significa che se ad esempio i beni aziendali, in caso di fallimento, coprirebbero solo il 10% dei crediti chirografari, un concordato può legittimamente offrire il 10% a quei creditori (o anche qualcosa in più per sicurezza). Ovviamente, per ottenere l’adesione dei fornitori, solitamente si offre una percentuale maggiore di quel minimo legale, in modo da incentivarli al voto favorevole. Uno strumento da considerare per i fornitori è la possibile classazione: nel concordato si possono suddividere i chirografari in classi con trattamenti differenziati (art. 85 CCII). Ciò permette, ad esempio, di creare una classe di “fornitori strategici” cui offrire il 40% (perché essenziali per la continuità, magari li si vuole fidelizzare) e una classe di creditori residuali (es. vecchi consulenti non più rilevanti) cui offrire solo il 15%. Questa flessibilità, però, va usata rispettando il principio di parità dei creditori di posizione giuridica omogenea. Nelle trattative stragiudiziali, a volte il debitore può avvalersi di factoring pro-soluto o assicurazioni del credito: se aveva polizze per crediti insoluti, l’indennizzo assicurativo può coprire parte del dovuto ai fornitori. Altro aspetto legale: se un fornitore ha avviato esecuzioni, l’apertura di una procedura concorsuale le blocca e il credito confluisce nel passivo. In fase di composizione negoziata, il debitore può chiedere misure protettive per sospendere singole azioni esecutive dei fornitori litigiosi (art. 20 CCII). In generale, verso i creditori chirografari il debitore ha il coltello dalla parte del manico nelle procedure concorsuali, potendo imporre pagamenti parziali, ma deve stare attento a non compromettere i rapporti utili: conviene trattare meglio i fornitori di cui non si può fare a meno, pagando magari una quota maggiore, e sacrificare invece i creditori meno rilevanti. Da notare infine: alcuni debiti chirografari potrebbero essere oggetto di azioni revocatorie fallimentari se pagati prima del fallimento in condizioni sospette (pagamenti preferenziali). Con un concordato omologato o un accordo, questi rischi di revocatoria si riducono: i pagamenti ai fornitori eseguiti in esecuzione di un concordato o accordo omologato non sono revocabili . Quindi, regolarizzare i pagamenti dei fornitori chiave all’interno di un piano è preferibile che farlo fuori da esso a pezzi e bocconi.
Tabella riepilogativa – Principali tipologie di debito e modalità di gestione:
| Tipologia debito | Esempi e rischio | Strumenti di difesa |
|---|---|---|
| Tributari (Fisco) | IVA non versata, ritenute non pagate; rischi: cartelle, pignoramenti, possibili reati se oltre soglia (omesso versamento) . | – Rateizzazione cartelle fino a 72-120 rate (se ammessa)<br>– Transazione fiscale nei piani (taglio concordato dei tributi con omologa) <br>– Misure protettive per bloccare esecuzioni di Agenzia Riscossione (art. 54 CCII)<br>– Pagamento integrale ritenute/IVA prima del giudizio per evitare reato (art. 13 D.lgs.74/2000). |
| Previdenziali (INPS) | Contributi INPS dipendenti o personali non versati; rischi: cartelle, DURC irregolare, reato per ritenute >€10k, segnalazione crisi. | – Rateizzazione contributi con INPS/AER (24-36 mesi)<br>– Transazione contributiva in concordato/accordo (falcidia contributi privilegiati)<br>– Pagamento ritenute previdenziali dipendenti (meglio non falcidiare, estingue reato se integrate)<br>– Misure protettive analoghe al Fisco durante composizione negoziata. |
| Bancari/Finanziari | Mutui, leasing, fidi scoperti; rischi: revoca fidi, escussione garanzie (ipoteche su immobili azienda o garanti personali), decreti ingiuntivi, istanza di fallimento. | – Moratorie volontarie o ex lege (accordo ABI, art. 182-septies/62 CCII) per sospendere rate<br>– Rinegoziazione: allungamento piani di ammortamento, consolidamento debito<br>– Accordi ristrutturazione ad efficacia estesa (vincola banche dissenzienti con 75% adesione) <br>– Concordato preventivo con pagamento parziale parte chirografaria dei crediti bancari (dopo valutazione garanzie). |
| Fornitori/Commerciali | Forniture non pagate, parcelle professionisti, affitti; rischi: decreti ingiuntivi, pignoramenti beni e crediti, stop forniture, rivalsa beni in R.P. (riserva proprietà). | – Accordi individuali: saldo e stralcio, dilazioni (spesso con fornitori strategici)<br>– Classi dedicate in concordato per fornitori essenziali (trattamento di favore per mantenerli)<br>– Falcidia ampio dei chirografari nel piano (compatibilmente col “percentuale fallimento”)<br>– Blocco azioni esecutive con automatic stay (art. 20, 54 CCII) nell’ambito di procedure concorsuali.<br>– Verifica contratti R.P.: valutare riacquisto beni sotto riserva o accordi per mantenerli in azienda. |
| Altre passività | Debiti verso dipendenti (stipendi e TFR arretrati), debiti verso locatori, utenze. | – Dipendenti: privilegiati (stipendi 6 mesi, TFR) quindi da pagare integralmente in concordato; eventualmente anticipazione Fondo di Garanzia INPS per TFR.<br>– Affitti: possibile moratoria in piano, o scioglimento contratti onerosi (art. 95 CCII) con indennità pre-dedotta limitata.<br>– Utenze: accordi con fornitori energia/telefono per piani rientro (spesso accettano per mantenere cliente). |
N.B.: “R.P.” = riserva di proprietà; “falcidia” = pagamento parziale di un credito concorsuale rispetto al 100%.
Nei prossimi paragrafi approfondiremo come ciascun strumento legale di risanamento può essere applicato a queste diverse categorie di debiti, tenendo conto delle regole di trattamento dei creditori (ad esempio i limiti nel falcidiare crediti privilegiati, l’ordine di priorità, ecc.). Passiamo ora a illustrare gli strumenti disponibili, iniziando da quelli stragiudiziali (fuori dal tribunale) e poi quelli giudiziali (procedure concorsuali), evidenziando le ultime novità normative fino al 2025.
Soluzioni stragiudiziali (accordi e piani di risanamento senza procedura)
In una situazione di crisi, prima di rivolgersi al tribunale per una procedura concorsuale è spesso opportuno tentare una soluzione stragiudiziale o consensuale della crisi. Tali soluzioni hanno il vantaggio di evitare la “pubblicità” e la rigidità delle procedure formali, cercando un risanamento “privato” concordato con i creditori chiave. Vediamo le principali opzioni extragiudiziali:
- Negoziazione privata e moratorie consensuali: consiste nel contattare singolarmente (o collettivamente) i principali creditori per pattuire estensioni dei termini di pagamento o altre modifiche, senza omologazione o procedure ufficiali. Ad esempio, si può firmare con un pool di banche un accordo di standstill in cui le banche si impegnano a non revocare i fidi per X mesi; oppure con un gruppo di fornitori si concorda di prorogare le scadenze di 90 giorni. Queste intese non hanno efficacia legale erga omnes (vincolano solo chi le sottoscrive), ma possono tamponare la crisi temporaneamente. L’ordinamento italiano riconosce ora una figura particolare: la convenzione di moratoria (art. 62 CCII), cioè un accordo di moratoria provvisoria tra imprenditore e creditori finanziari o altri creditori in categoria, destinato a differire le scadenze o sospendere azioni. Se sottoscritto da una maggioranza qualificata (almeno 75% dei crediti di quella categoria), la moratoria può essere estesa ai creditori non aderenti della stessa classe , previa omologazione del tribunale. È uno strumento ibrido (consensuale ma con qualche effetto legale) pensato per guadagnare tempo e gestire la crisi in via provvisoria mentre si struttura una soluzione definitiva. Ad esempio, tutte le banche accordano 6 mesi di congelamento rate: l’accordo, se coinvolge almeno il 75%, può vincolare anche le poche banche contrarie. Fuori da questo contesto, restano ovviamente possibili accordi bilaterali semplici: ogni creditore può accettare spontaneamente di ridurre il credito (saldo a stralcio) o dilazionarlo. Tali patti vanno preferibilmente formalizzati per iscritto. Si noti che, se non inseriti in un piano attestato o accordo omologato, questi atti rimangono esposti ad azione revocatoria in caso di successivo fallimento se fatti nel “periodo sospetto” (generalmente 6 mesi o 1 anno prima). Infatti i pagamenti o le transazioni con singoli creditori antecedenti al fallimento potrebbero essere annullati dal curatore come preferenze. Questo rischio però viene meno (come già detto) se la transazione è parte di un piano attestato pubblicato o di un accordo omologato . Quindi è consigliabile, quando possibile, inserire gli accordi privati in un quadro più generale (piano attestato o accordo ex art. 57 CCII) per beneficiare delle esenzioni da revocatoria.
- Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII): è uno strumento stragiudiziale puro, introdotto già dalla vecchia legge fallimentare (art. 67 l.f.) e ora disciplinato dall’art. 56 del Codice della Crisi . Consiste in un piano di risanamento aziendale predisposto dall’imprenditore per superare lo stato di crisi/insolvenza, che deve avere data certa e soprattutto deve essere attestato da un professionista indipendente. L’attestatore (un soggetto terzo, iscritto all’albo dei gestori della crisi) verifica la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economico-finanziaria del piano , rilasciando una relazione di attestazione. Il piano è rivolto ai creditori (in tutto o in parte: l’imprenditore può coinvolgere alcuni creditori per rinegoziare e pagarne altri integralmente) ma non richiede l’approvazione formale né un’omologazione in tribunale; è un’iniziativa unilaterale del debitore, che si limita a trovare accordi privati con i creditori interessati. Qual è il vantaggio allora? Il vantaggio principale è che gli atti, i pagamenti e le garanzie compiuti in esecuzione di quel piano non possono essere soggetti a revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento , a condizione che il piano apparisse idoneo al risanamento e fosse attestato da un esperto. In altri termini, il piano attestato funge da “ombrello” protettivo: se poi l’azienda fallisce comunque, i creditori o il curatore non potranno far annullare (salvo dolo) gli atti compiuti durante l’attuazione del piano, che normalmente sarebbero sospetti (pagamenti preferenziali, garanzie concesse). Ciò incoraggia i partner a fidarsi: ad esempio una banca che riceve un pegno a garanzia di nuova finanza nel piano attestato, sa che quel pegno non sarà revocato se il piano è regolare . Inoltre, il piano attestato può essere pubblicato nel Registro delle Imprese su istanza del debitore : pubblicazione che dà oponibilità ai terzi della sua esistenza (utile se si vuole dare pubblicità ad accordi con creditori). Il correttivo 2024 ha introdotto un contenuto minimo obbligatorio per il piano attestato : in particolare l’art. 56 CCII elenca puntualmente ciò che il piano deve contenere (dati dell’impresa e parti correlate, cause della crisi, strategia, elenco creditori con indicazione chi è coinvolto nella rinegoziazione e chi no – e risorse destinate a questi ultimi –, eventuali nuovi finanziamenti, timeline di attuazione con milestone di verifica, piano industriale e relativi effetti finanziari, analitico conto economico prospettico e fabbisogni finanziari con coperture, includendo i costi per sicurezza lavoro e ambiente) . Si tratta di requisiti volti a rendere i piani più seri e completi (in passato i piani attestati erano talvolta vaghi; ora la legge impone di dettagliare). Importante: il piano attestato di per sé non blocca i creditori. Non essendo una procedura concorsuale, non c’è automatic stay: se un creditore non coinvolto vuole agire per conto suo, può farlo. Sta all’imprenditore gestire i rapporti – e qui si vede la delicatezza –; spesso infatti il piano attestato funziona meglio quando l’azienda non è ancora in insolvenza conclamata e la maggior parte dei creditori collabora spontaneamente. Se invece c’è litigiosità tra creditori, un piano attestato potrebbe essere insufficiente, dovendosi preferire accordi omologati. Sul piano attestato incombe anche un controllo eventuale ex post: se la società fallisce poi, il giudice può verificare se il piano era abnormemente inadeguato sin dall’inizio. In tal caso, la protezione dalla revocatoria cade: la Cassazione ha stabilito che gli atti esecutivi di un piano attestato non godono dell’esenzione se il piano, valutato ex ante, era totalmente inidoneo a risanare . Quindi non si può abusare di questo strumento per proteggere atti altrimenti revocabili se il piano era irrealistico o l’attestatore gravemente negligente (dolo o colpa grave). In conclusione, il piano attestato è consigliabile quando: l’azienda ha uno stato di crisi reversibile, c’è la disponibilità di banche e alcuni creditori a rinegoziare volontariamente e magari ad apportare nuova finanza, e si vuole evitare la rigidità del tribunale. Serve però un professionista attestatore capace e indipendente. Spesso il piano attestato precede o accompagna un accordo più formale: ad esempio, può essere utilizzato per giustificare esenzioni da revocatoria di pagamenti effettuati prima di un concordato (pagamenti urgenti a fornitori strategici), oppure per sostenere la richiesta di misure protettive in composizione negoziata.
- Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-60 CCII): sono accordi semipubblici di natura concorsuale ma su base negoziale. In pratica, l’imprenditore in crisi negozia un piano di ristrutturazione con i creditori e, se ottiene l’adesione di tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti totali, può chiedere al Tribunale l’omologazione dell’accordo . L’accordo deve essere accompagnato da una relazione di un esperto indipendente (attestazione) che confermi che l’accordo assicura l’integrale pagamento dei creditori estranei nei 120 giorni dalla scadenza o dall’omologa e che l’accordo è fattibile (art. 57 CCII). In sostanza, è uno strumento simile al concordato ma molto più snello: non c’è voto di tutti i creditori, solo le parti disponibili firmano; l’accordo omologato non coinvolge formalmente i creditori non aderenti (che mantengono i loro diritti integri, ma devono essere pagati regolarmente come da contratto). Tuttavia, l’omologazione produce alcuni effetti importanti: consente all’imprenditore di chiedere misure protettive (come nel concordato) per congelare le azioni esecutive durante la trattativa e fino all’omologa; e una volta omologato, l’accordo vincola tutti i firmatari e rende inopponibili eventuali azioni revocatorie sui pagamenti eseguiti in attuazione . Inoltre, sono previste varianti: gli accordi ad efficacia estesa (art. 61 CCII) e i accordi agevolati. Quelli ad efficacia estesa li abbiamo accennati: se l’accordo è sottoscritto da il 75% di una certa categoria di creditori (tipicamente banche o fornitori strategici), il debitore può chiedere che gli effetti si estendano anche ai creditori non aderenti di quella categoria, purché abbiano avuto opportunità di partecipare alle trattative . Ad esempio, se il 80% delle banche (per valore) accetta di prorogare i mutui, l’accordo può essere esteso anche al 20% di banche non consenzienti. Questo strumento permette di evitare minoranze di blocco. Gli accordi agevolati, introdotti dal 2022, abbassano la soglia di consenso al 30% dei crediti ma richiedono il pagamento integrale dei non aderenti entro 120 giorni dall’omologa (sono utili in situazioni dove pochi creditori rilevanti e tanti piccoli vengono pagati fuori). In generale l’accordo di ristrutturazione conviene se il numero di creditori è limitato e negoziabile (tipicamente banche e grandi fornitori): con pochi soggetti si può raggiungere più facilmente il 60% di consenso. Se invece c’è una platea ampia di piccoli creditori, è difficile coordinare le firme. Un esempio: l’azienda di pesatura potrebbe raggiungere un accordo con le 3 banche principali e 4 fornitori maggiori che rappresentano il 70% dei debiti totali; i restanti piccoli creditori (30%) li paga regolarmente a scadenza. Omologando quell’accordo, l’azienda si è liberata del grosso del debito (perché ristrutturato con i maggiori creditori) e ha comunque protetto l’impresa. Da notare la transazione fiscale: negli accordi è possibile includere anche il Fisco e l’INPS. Se Erario/INPS aderiscono espressamente con la transazione fiscale/contributiva, il loro voto conta ai fini del 60%. Se rifiutano o tacciono, il tribunale – come visto – può comunque omologare se la proposta è equa (cram down fiscale) . Questo vale dopo le modifiche normative: in passato il silenzio valeva come dissenso implicito, oggi no. La Cass. 27782/2024 ha proprio affermato che il giudice può forzosamente omologare la transazione fiscale anche in caso di voto contrario del Fisco . Dunque l’accordo di ristrutturazione può includere efficacemente anche il debito tributario, superando i vecchi problemi di veto. Quanto alla procedura: per ottenere l’omologa, il debitore deposita l’accordo firmato e la documentazione (attestazione, situazione patrimoniale, elenco creditori) in tribunale; i creditori estranei possono fare opposizione entro 30 giorni; il tribunale omologa se tutto regolare e opposizioni infondate (art. 48 e 60 CCII). L’accordo è riservato (non c’è la pubblicità di un concordato) se non per l’iscrizione nel Registro Imprese dell’avvenuta omologazione. In sintesi, l’accordo è uno strumento flessibile e meno costoso del concordato, indicato quando c’è già un nucleo di creditori concordi. Il suo limite è che non vincola i non aderenti (se non pagando questi integralmente o usando l’estensione per categorie): quindi se l’azienda ha tanti debiti frammentati, potrebbe essere inefficace. Spesso lo si usa in combinazione con altri strumenti (ad esempio, accordo con banche + piano attestato per gli altri). Ricordiamo infine la figura del Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) introdotto dal 2022 (Capo I-bis, art. 64-bis e seguenti CCII). Il PRO è simile a un accordo, ma prevede il coinvolgimento di tutti i creditori suddivisi in classi e un meccanismo di votazione per classi (non un accordo di firme). Si può vedere come un concordato semplificato: tutte le classi di creditori devono approvare il piano a maggioranza di credito in ciascuna classe , dopodiché il tribunale omologa. La peculiarità del PRO è che consente di derogare alle norme sulla parità di trattamento e prelazione : il debitore può distribuire i pagamenti in modo non proporzionale, a patto che ogni creditore riceva comunque non meno di quanto otterrebbe in liquidazione (best interest test) . Ad esempio, nel PRO si potrebbe pagare completamente fornitori critici e solo il 10% alle banche, anche se le banche avrebbero prelazione, purché le banche non prendano meno di quanto varrebbero le loro garanzie in una liquidazione. Nel concordato preventivo ciò non sarebbe normalmente possibile per via delle regole sulle classi e sui privilegi, mentre il PRO lo consente con l’accordo delle classi. Inoltre, nel PRO liquidatorio non si applicano le soglie minime del concordato liquidatorio classico (che richiede almeno il 20% ai chirografari e un 10% di asset aggiuntivi) . Il PRO richiede comunque il consenso di tutte le classi: se anche una sola classe (ad esempio quella delle banche) non approva, il piano non è omologabile (non è previsto un cram-down di classe dissenziente, diversamente dal concordato che invece con alcune condizioni può passare). Questo limita un po’ l’utilizzo del PRO, che va bene se c’è accordo generalizzato, ma in quel caso forse era fattibile anche un accordo ex art. 57. In pratica, il PRO può essere utile quando si vuole una ristrutturazione molto creativa (con deroghe a par condicio) e si è sicuri di poter ottenere il voto di tutti (magari convincendo classi di piccoli creditori a votare con l’argomento che tanto i grandi tagli li subiscono altre classi). Va segnalato che il PRO è riservato agli imprenditori commerciali non piccoli (esclude i “minori” e i consumatori) . Nel contesto di questa guida avanzata, basti sapere che il PRO è uno strumento in più, poco usato finora, ma potrebbe tornare utile in futuri casi complessi di ristrutturazione con consenso diffuso.
In sintesi, prima di ricorrere al concordato preventivo – che è la procedura concorsuale più impegnativa – il legislatore incoraggia l’uso di questi strumenti negoziali meno invasivi. La recente riforma ha potenziato la composizione negoziata (che vedremo a parte) e reso più efficaci gli accordi (soprattutto per superare il dissenso del Fisco). Dal punto di vista del debitore, tentare queste strade può risolvere la crisi in modo più rapido e riservato, risparmiando anche costi (il concordato comporta costi procedurali e una gestione sotto controllo del Tribunale). Tuttavia, se i creditori sono troppi o non collaborativi, bisogna essere pronti a fare il passo successivo e avvalersi delle procedure giudiziali vere e proprie.
Composizione negoziata della crisi d’impresa (D.L. 118/2021 e artt. 17-25 CCII)
Una delle novità più rilevanti degli ultimi anni nel panorama italiano è la composizione negoziata della crisi, introdotta nel 2021 e ora disciplinata nel Codice della Crisi (Titolo II, Capo II). Si tratta di una procedura volontaria e riservata che aiuta l’imprenditore in difficoltà a negoziare con tutti i creditori sotto la guida di un esperto indipendente, al fine di trovare una soluzione concordata al risanamento. È uno strumento concepito per l’intervento precoce (“early warning”) ed extra-giudiziale, che però si innesta in un alveo normativo preciso e con possibili interventi del tribunale solo su aspetti specifici. Vediamone gli elementi principali:
Accesso e condizioni: può richiedere la composizione negoziata qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, di qualsiasi dimensione (anche grande, e anche “minore” prima escluso da fallimento), che si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, ma non ancora in insolvenza conclamata (la procedura è utilizzabile anche in insolvenza, purché non si sia già in liquidazione giudiziale, ma è pensata soprattutto per la fase di pre-insolvenza). In pratica, quando l’imprenditore percepisce che la continuità aziendale è a rischio nel prossimo futuro, può attivarsi. La richiesta si presenta tramite una piattaforma telematica nazionale, gestita dalle Camere di Commercio, dove si compila un’istanza online con una serie di dati e allegati: relazione sulla situazione economico-patrimoniale e cause della difficoltà, piano finanziario semestrale, elenco dei creditori e debiti scaduti, certificati dei debiti tributari e contributivi, centrale rischi, ecc . Inoltre l’imprenditore deve svolgere un test pratico (check-up) di autodiagnosi tramite la piattaforma, che valuta se esistono ragionevoli prospettive di risanamento (c.d. test di perseguibilità). Se la situazione è troppo compromessa (ad esempio indicatori di insolvenza conclamata), l’accesso potrebbe sconsigliarsi. Presentata l’istanza, un’apposita Commissione nomina un esperto indipendente (di norma un commercialista o avvocato esperto di ristrutturazioni, selezionato da un elenco nazionale) . L’esperto avrà il compito di facilitare le trattative tra imprenditore e creditori.
Svolgimento: dalla nomina, decorrono normalmente 180 giorni (prorogabili di 180) durante i quali l’esperto convoca l’imprenditore e i creditori ritenuti rilevanti e tenta di raggiungere una soluzione concordata. La procedura è confidenziale: l’apertura non è pubblicata (se non eventualmente nel registro imprese su richiesta di misure protettive), i creditori partecipano su invito e devono mantenere riservate le informazioni apprese. L’esperto, nella sua indipendenza, valuta le proposte e suggerisce modifiche, cercando di far convergere le parti. Egli redige verbali periodici sull’andamento (ma non divulgati, restano nell’ambito della procedura salvo casi di condotte ostruzionistiche da segnalare al tribunale). L’imprenditore durante la negoziazione mantiene la gestione ordinaria dell’impresa. Può compiere atti di straordinaria amministrazione solo previo confronto con l’esperto e, se vuole protezione da revocatoria, può chiedere al tribunale la convalida di tali atti (che li rende non revocabili in futuro).
Misure protettive e cautelari: uno degli aspetti cruciali è che, contestualmente o successivamente all’istanza, l’imprenditore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive del patrimonio (art. 18 CCII). In pratica, può ottenere un decreto che sospende per la durata delle trattative tutte le azioni esecutive e cautelari dei creditori (o di specifici creditori indicati). Questo è fondamentale perché consente di negoziare con “il fiato sospeso”: i creditori sono bloccati dal procedere unilateralmente. Le misure protettive sono concesse in via d’urgenza (entro 48 ore dal deposito dell’istanza) e devono essere confermate dal tribunale dopo l’audizione delle parti entro 30 giorni . Condizione per confermarle è che dall’analisi iniziale vi siano prospettive di risanamento non vane e che la protezione non danneggi ingiustamente i creditori. Durante la protezione, si sospendono i termini di scadenza dei debiti e le ipoteche giudiziali non possono essere iscritte. Il tribunale può anche concedere misure cautelari (art. 20 CCII), ad esempio autorizzare il pagamento di forniture essenziali o altre azioni necessarie per evitare pregiudizi irreparabili (es: rifornimenti critici, ecc.). Una recente pronuncia ha chiarito la competenza territoriale per queste misure (Trib. Brescia 7.10.2025): se la sede legale è stata spostata nell’anno antecedente, per le misure protettive vale il tribunale della sede originaria (per evitare forum shopping) . Quindi l’imprenditore non può spostare la sede per scegliere il giudice più gradito.
Esito della composizione negoziata: idealmente, al termine delle trattative l’imprenditore e i creditori raggiungono un accordo. La legge offre vari possibili esiti:
– Contratto stragiudiziale bilaterale o multilaterale (ad esempio, un accordo di moratoria firmato da tutti, o un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 se si raggiungono le percentuali);
– Piano attestato di risanamento (l’esperto aiuta a formulare un piano attestato, magari con adesioni individuali dei creditori principali);
– Accordo di ristrutturazione con omologa (se c’è consenso sufficiente e serve l’omologa, si converte la negoziazione in un deposito ex art. 57 CCII);
– Concordato preventivo o concordato semplificato: se emerge che serve coinvolgere e obbligare tutti i creditori e c’è un piano, l’imprenditore può presentare domanda di concordato. Esiste anche il concordato semplificato per la liquidazione (art. 25-sexies CCII) attivabile se la negoziazione fallisce ma c’è da liquidare l’azienda: in quel caso, senza voto dei creditori ma solo con omologa, il debitore può ottenere l’approvazione di un concordato liquidatorio “semplificato” (usato raramente, serve come via d’uscita per evitare il fallimento dopo composizione non riuscita).
– Richiesta di liquidazione giudiziale: se l’esperto constata che non ci sono prospettive, può invitare l’imprenditore a presentare istanza di liquidazione (o in caso di inerzia segnalarlo al tribunale).
In caso di successo, l’esperto chiude con una relazione finale e la procedura termina. Durante la vigenza del D.L. 118/21 c’è stato anche il contributo statale per la ristrutturazione (es. esonero da alcune commissioni bancarie o contributo per il professionista attestatore) se l’esito era positivo, incentivi poi prorogati. Il “terzo correttivo” del 2024 ha apportato ulteriore flessibilità: ad esempio, ha chiarito che anche durante la composizione negoziata il debitore può concludere accordi transattivi con il Fisco o gli enti previdenziali per definire la posizione tributaria . Ciò è importante: prima, formalmente, la transazione fiscale era legata al concordato/accordo, ora si può fare un accordo fiscale già in sede di negoziazione assistita, facilitando il piano di risanamento.
Vantaggi e limiti: la composizione negoziata è confidenziale e volontaria, ciò significa che può avvenire senza danni reputazionali iniziali per l’impresa (nessuna iscrizione pubblica se non si attivano misure protettive) e l’imprenditore resta alla guida senza commissari. L’esperto non impone nulla, ma orienta e sprona le parti a soluzioni eque. È insomma un tentativo guidato di mediazione. D’altro canto, per riuscire richiede collaborazione e buona fede dei creditori: se uno o più creditori importanti rifiutano a priori ogni proposta, l’esperto ha le mani legate (non ha poteri coercitivi). Le misure protettive offrono un incentivo ai creditori a trattare, ma anche queste non possono durare oltre 6 mesi (prorogabili max a 12). Dunque è una finestra temporale per trovare un’intesa. In molti casi, la composizione negoziata è servita come antipasto al concordato: permette di elaborare un piano con il confronto dei creditori e poi lo si “chiude” in un concordato o accordo formale. Ma in altri casi, specie con pochi creditori, si sono raggiunti accordi stragiudiziali che hanno evitato il fallimento senza passare dal tribunale (ad esempio, rinegoziazioni con banche e fornitori critici firmate in esito alla negoziazione). Un altro vantaggio: durante la composizione, l’azienda può ottenere deroghe a obblighi normativi per respirare – ad esempio, può contrarre finanziamenti prededucibili con più snellezza, può ottenere autorizzazione a sciogliersi da contratti onerosi con meno formalità, ecc. Inoltre, l’esperto funge anche da certificatore di buon comportamento: se la negoziazione fallisce, la relazione finale dell’esperto può certificare che l’imprenditore ha agito con correttezza e ciò rileva in eventuale successivo fallimento (può escludere bancarotta semplice per ritardo nell’istanza, per esempio, e consente di accedere a misure premiali come riduzione interessi moratori ex art. 25-bis CCII).
Per concludere: la composizione negoziata è uno strumento innovativo e consigliabile come primo intervento. Nel caso della nostra azienda di sistemi di pesatura, se i segnali di crisi sono ancora gestibili (ad esempio sofferenze con le banche ma azienda operativa), potrebbe attivare la composizione per trovare con l’aiuto di un esperto un accordo con banche, fornitori e Fisco in modo unitario. Se il tentativo fallisse, avrebbe comunque preparato il terreno per un concordato con elementi già discussi. L’importante è non arrivare troppo tardi: anticipare la crisi consente a questo istituto di operare quando c’è ancora qualcosa da salvare (flussi di cassa prospettici). Difatti, l’obiettivo primario dichiarato dal legislatore è evitare che imprese fondamentalmente sane ma in difficoltà temporanea finiscano nel baratro per inattività, offrendo uno spazio di dialogo strutturato e protetto .
Concordato preventivo: il “salvataggio” giudiziale dell’azienda
Quando la crisi è più avanzata o quando non si riesce a ottenere una soluzione consensuale sufficiente, lo strumento principe per evitare la liquidazione giudiziale è il concordato preventivo. Il concordato è una procedura concorsuale vera e propria, condotta sotto l’egida del Tribunale, in cui il debitore propone un piano ai creditori per regolare i debiti, con l’effetto di evitare il fallimento (liquidazione giudiziale) e poter eventualmente proseguire l’attività. Si chiama “preventivo” proprio perché si svolge prima ed in vece del fallimento, prevenendolo. È uno strumento molto duttile, che consente sia soluzioni di ristrutturazione e continuità aziendale sia soluzioni liquidatorie (chiusura dell’attività e smobilizzo dei beni). Analizziamone gli aspetti essenziali:
Tipologie di concordato
La legge distingue principalmente due categorie, in base al contenuto del piano:
- Concordato in continuità aziendale: quando nel piano è prevista la continuità dell’attività d’impresa, ossia l’azienda (o parte di essa) continua a operare durante e dopo il concordato. Può essere continuità diretta (la stessa società prosegue l’attività, eventualmente con ristrutturazione, nuovi investimenti, ecc.) oppure indiretta (l’azienda viene affittata o ceduta ad un terzo che la prosegue, mantenendo i posti di lavoro). Il fine è evitare la dispersione del valore aziendale come complesso produttivo. In un concordato in continuità di regola si mira a pagare i creditori col ricavato della gestione caratteristica futura (utili attesi) e con eventuali apporti di finanza esterna, oltre che dismettendo beni non strategici. La legge incentiva il concordato in continuità con minori soglie di pagamento: non è richiesto un minimo percentuale ai chirografari (a differenza del liquidatorio), ma è obbligatorio che siano pagati integralmente i debiti verso dipendenti e i creditori strategici indispensabili alla continuità.
- Concordato liquidatorio: prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione del patrimonio aziendale, ancorché in modo ordinato e sotto il controllo del debitore stesso. In pratica, è un’alternativa al fallimento in cui però è il debitore a proporre come distribuire l’attivo. Si vendono beni, rami d’azienda, magazzino, ecc., e il ricavato si spartisce tra i creditori secondo il piano. La legge (art. 84 CCII) richiede alcune condizioni aggiuntive per i concordati meramente liquidatori: il piano deve assicurare un apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10% l’attivo liquidabile, e garantire ai creditori chirografari un pagamento di almeno il 20% dei loro crediti . Questo per evitare concordati liquidatori “tutti a carico dei creditori” in cui il debitore non mette nulla. Se queste soglie non sono raggiunte, il tribunale non ammette il concordato (salvo il caso di concordato liquidatorio semplificato post-negotiation, che però è un’eccezione particolare).
- Concordato “misto” o con continuità parziale: molti piani concreti combinano elementi di continuità e di liquidazione. Ad esempio, l’azienda potrebbe cedere un ramo d’azienda per fare cassa (liquidazione di parte del patrimonio) ma proseguire con l’attività core su scala ridotta. Oppure prevedere la chiusura di alcuni punti vendita e la continuazione degli altri. Questi concordati saranno trattati di norma come in continuità se la continuità riguarda un asset aziendale non marginale.
- Concordato minore (procedura di sovraindebitamento): merita una menzione il concordato minore, previsto dagli artt. 74-83 CCII, riservato a imprenditori che non superano i limiti per la fallibilità (attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k, almeno così era definito nel vecchio art. 1 l.f., e attualmente il CCII fissa soglia debiti ≤ €5 milioni per l’accesso alle procedure di sovraindebitamento). Il concordato minore è analogo al concordato preventivo ma con qualche semplificazione: ad esempio, maggioranze ridotte (è sufficiente la maggioranza semplice dei crediti ammessi al voto, anziché la maggioranza in ogni classe o 2/3) e la gestione è spesso affidata all’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) anziché a un commissario giudiziale, rendendo il procedimento più snello e meno costoso . Nel nostro scenario, se l’azienda di pesatura fosse micro (sotto soglie), potrebbe accedere a questo rito semplificato, ma ipotizziamo sia un SRL medio per cui parliamo del concordato normale.
Procedura e funzionamento
Il concordato preventivo si articola nelle seguenti fasi fondamentali (in sintesi):
- Domanda di ammissione: l’imprenditore (con delibera del CDA o soci se necessario) deposita in Tribunale una proposta di concordato corredata dal piano e dalla documentazione richiesta: elenco creditori, inventario, bilanci ultimi anni, attestazione di un professionista indipendente sulla fattibilità del piano e veridicità dati. È possibile anche presentare una domanda di concordato “in bianco” (con riserva) allegando minima documentazione e ottenere tempo (fino a 120 giorni) per presentare il piano completo, ma questa opzione è meno usata con il nuovo codice se si può usare la composizione negoziata. Una volta depositata l’istanza, l’azienda può chiedere il blocco immediato dei creditori (le misure protettive ex art. 54 CCII scattano normalmente automaticamente: dal momento della pubblicazione dell’istanza di concordato al Registro Imprese, nessuna azione esecutiva individuale può essere iniziata o proseguita contro il debitore, e le prescrizioni rimangono sospese). Questo effetto è analogo al vecchio art. 168 l.f.. Dunque la presentazione del concordato “congela” la situazione: i creditori dovranno attendere l’esito.
- Ammissione e fase istruttoria: il Tribunale esegue un esame preliminare di ammissibilità (controllo formale della documentazione, dei requisiti legali e un sommario controllo di fattibilità e non manifesta inattitudine del piano). Se la proposta supera questo filtro, il Tribunale ammette il debitore al concordato e nomina un Commissario giudiziale (figura di controllo). Viene fissata la data dell’adunanza dei creditori (l’assemblea di voto) di solito entro 120 giorni circa . Nel frattempo, la procedura viene comunicata a tutti i creditori. Il commissario prepara una relazione per i creditori (analisi del piano, e comparazione con scenari alternativi). L’impresa continua la gestione sotto sorveglianza: per atti straordinari serve autorizzazione del Tribunale (che può delegarla al commissario). Ad esempio, se l’azienda vuole pagare fornitori per forniture post-domanda, può farlo solo se autorizzato come atto urgente di ordinaria amministrazione o se previsto dal piano.
- Adunanza dei creditori e voto: i creditori aventi diritto di voto (tutti i chirografari e eventuali privilegiati degradati o parzialmente soddisfatti) sono chiamati a esprimersi sulla proposta. Spesso i creditori vengono suddivisi in classi secondo posizione giuridica ed omogeneità di interessi (ad esempio: classe banche chirografarie, classe fornitori, classe Fisco chirografo, ecc.) . In assemblea (o mediante voto scritto) si tiene la discussione e poi il voto. Maggioranza richiesta: nel Codice della Crisi, la regola generale è che la proposta è approvata se ottiene la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Se ci sono diverse classi e una o più classi votano contro, il concordato può comunque essere approvato purché la maggioranza complessiva sia raggiunta e nessuna classe dissenziente riceva meno di quanto otterrebbe in caso di liquidazione (principio di cram-down interclasse, art. 112 CCII). Quindi il dissenso di singole classi non blocca se la proposta è equa. Nel caso specifico dei creditori pubblici (Erario, INPS), come già sottolineato, il loro voto negativo non impedisce l’omologa se la maggioranza complessiva c’è: il giudice potrà omologare lo stesso grazie al meccanismo di cram-down fiscale introdotto dall’art. 180 l.f. e ora nel CCII . La Cassazione ha confermato che il voto negativo espresso da un creditore pubblico non è decisivo se il piano rispetta la convenienza rispetto al fallimento (vedi Cass. 28/10/2024 n. 27782).
- Omologazione: se i creditori approvano la proposta (o comunque si raggiungono le soglie richieste per l’approvazione forzata nelle classi dissenzienti), si passa alla fase di omologazione da parte del Tribunale. Il Tribunale verifica il rispetto delle norme (ad esempio: se un creditore ha contestato la convenienza della proposta rispetto alla liquidazione, si valuta ciò; se ci sono state irregolarità nel voto, ecc.). Se tutto è in ordine, viene emanato il decreto di omologazione che rende il piano efficace erga omnes. Da quel momento, il debitore deve eseguire il piano sotto la vigilanza (di norma viene nominato lo stesso commissario come liquidatore giudiziale se ci sono beni da liquidare, o come supervisore all’esecuzione). I creditori riceveranno i pagamenti e atti previsti dal piano nei tempi stabiliti (che possono essere anche lunghi: la legge consente piani anche decennali, specie per pagamenti rateizzati). Durante l’esecuzione, i creditori non possono agire se il debitore rispetta le condizioni omologate; se però il debitore non adempie al piano, il tribunale può dichiarare la risoluzione del concordato e a quel punto si aprirebbe la liquidazione giudiziale (fallimento). Ma se tutto va bene, al completamento l’azienda ne esce risanata e i debiti pregressi sono definitivamente estinti nella misura concordataria.
Il concordato ha quindi il pregio di imporre una soluzione collettiva: anche quel 30-40% di creditori che magari non avrebbe mai firmato un accordo stragiudiziale, si trova obbligato se la maggioranza (che rappresenta spesso i creditori più esposti e competenti) è d’accordo e il giudice lo ritiene vantaggioso rispetto all’alternativa. In cambio, però, l’impresa deve sottostare a controlli rigorosi (per evitare abusi). Va evidenziato che durante il concordato preventivo gli organi sociali restano in funzione (non c’è spossessamento totale come nel fallimento, c’è un autosossessamento imperfetto): l’imprenditore conserva l’amministrazione ma sotto vigilanza del commissario e del giudice delegato, e con forti limitazioni. È un salvataggio sotto tutela insomma. L’esito ideale è la soddisfazione almeno parziale dei creditori e la prosecuzione dell’attività depurata dai debiti insostenibili.
Profili di utilizzo pratico: nel caso della nostra azienda indebitata, il concordato in continuità sarebbe la scelta se l’impresa ha prospettive di redditività future (commesse, un mercato) ma solo un eccesso di debito da ristrutturare. Ad esempio, potrebbe proporre di pagare i creditori chirografari al 30% in 5 anni, mantenendo l’operatività: i flussi di cassa dei prossimi esercizi (sottratti investimenti e costi) andrebbero a pagare quella percentuale. Spesso in continuità si prevede l’ingresso di un nuovo investitore o soci con capitale fresco che va a pagare i creditori in parte (questo può costituire quell’apporto esterno utile per convincere i creditori e non richiesto per legge ma di fatto spesso necessario). Nel concordato liquidatorio, invece, l’azienda di pesatura decide di cessare l’attività: venderà magari i macchinari, il capannone, liquiderà il magazzino e incasserà i crediti residui, e distribuirà il tutto ai creditori secondo le priorità. I titolari puntano magari a evitare le lungaggini del fallimento e ottenere l’esdebitazione più rapida. Questa via è percorsa quando non c’è più fiducia nella redditività futura o i titolari vogliono chiudere dignitosamente. Un esempio: se l’azienda perde commesse vitali e non ha successione generazionale, può convenire fare un concordato liquidatorio: i creditori prendono qualcosa in tempi rapidi, l’azienda chiude ma senza fallire e gli amministratori riducono rischi di azioni di responsabilità (avendo gestito la crisi in modo ordinato).
Novità recenti: l’evoluzione normativa 2020-2024 ha introdotto migliorie al concordato:
– come già detto, la parificazione di trattamento tra accordi e concordato per la transazione fiscale (ora anche nel concordato il dissenso del Fisco può essere superato, grazie a D.L. 118/2021 che modificò l’art. 180 l.f. e ora art. 88 CCII come modificato dal D.Lgs 136/2024) ;
– procedure più snelle per concordati minori e familiari;
– incentivi all’allerta precoce per spingere al concordato prima dell’insolvenza grave;
– rafforzamento del ruolo dei creditori nella vigilanza (oggi esiste il comitato dei creditori anche nel concordato, come nel fallimento).
Attenzione agli obblighi pendenti: presentare un concordato non significa ignorare doveri come versare imposte correnti o contributi nel frattempo: il debitore deve continuare a adempiere agli obblighi correnti e, se vuole in continuità, anche pagare forniture per assicurarsi la prosecuzione. Questi debiti della massa concordataria sono in prededuzione (prioritari) se autorizzati. Il management deve stare attento a non peggiorare la situazione durante il procedimento, altrimenti rischia la revoca.
In conclusione, il concordato preventivo è lo strumento cardine per risanare aziende indebitate di medie dimensioni, fornendo tutela sia al debitore onesto (che evita la bancarotta e conserva la possibilità di salvare l’impresa) sia ai creditori (che votano e ottengono trasparenza e legalità nella procedura).
Liquidazione giudiziale (ex fallimento) ed esdebitazione
La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale di tipo liquidatorio che corrisponde al vecchio fallimento. Viene aperta quando l’impresa è insolvente e non accede (o non può accedere) ad altre soluzioni come il concordato. Dal punto di vista del debitore, rappresenta il peggior scenario in quanto comporta la perdita totale della gestione e spesso la fine dell’attività. Tuttavia, a volte può risultare inevitabile o perfino conveniente (ad esempio per liberare l’imprenditore individuale dai debiti tramite esdebitazione). Alcune caratteristiche chiave:
- Iniziativa: la liquidazione giudiziale può essere dichiarata su ricorso di uno o più creditori, su ricorso del debitore stesso (cosiddetto autofallimento), oppure su richiesta della Procura in casi particolari. Per le società, spesso sono i creditori a presentare istanza quando vedono l’insolvenza conclamata. Il tribunale verifica lo stato d’insolvenza (incapacità strutturale di far fronte alle obbligazioni) in un’udienza e, se lo accerta, emette sentenza di liquidazione giudiziale.
- Effetti sulla società: con la sentenza, gli amministratori perdono i poteri e si instaura un Organo della procedura composto dal giudice delegato, dal curatore fallimentare (professionista nominato per gestire la liquidazione) e dal comitato creditori. L’impresa cessa la sua attività salvo esercizio provvisorio autorizzato (raro, solo se dalla prosecuzione temporanea dell’attività derivano benefici per i creditori, ad esempio completare commesse che aumentano il valore). I contratti pendenti possono essere sciolti o proseguiti dal curatore a seconda dell’interesse della procedura. L’azienda spesso viene spenta e i dipendenti licenziati (con intervento eventuale di Cassa Integrazione se prevista). Il patrimonio diventa un “massa attiva fallimentare” da liquidare: il curatore raccoglie i beni, li inventaria e procede a venderli (tramite asta o trattativa autorizzata). Il ricavato, dedotte le spese, verrà distribuito ai creditori secondo l’ordine dei privilegi.
- Effetti sui creditori: dal giorno della sentenza di apertura, nessun creditore può più agire individualmente (divieto di azioni esecutive, consolidamento dei pignoramenti in essere). I creditori devono presentare domanda di ammissione al passivo e saranno tutti soddisfatti, se possibile, nell’ambito della liquidazione collettiva. Spesso i chirografari prendono poco o nulla, i privilegiati prendono in base al valore dei beni. Molti debiti restano insoddisfatti.
- Durata e chiusura: la liquidazione giudiziale può durare diversi anni a seconda della complessità (un fallimento medio di PMI dura 3-5 anni, ma può protrarsi per contenziosi). Alla fine, il giudice approva il piano di riparto finale e dichiara chiusa la procedura. La società fallita, se è persona giuridica, viene cancellata dal Registro Imprese dopo la chiusura (cessa di esistere).
Dal punto di vista dell’imprenditore: per le società di capitali, i soci non rispondono oltre il capitale (salvo garanzie o respons. personali specifiche), quindi la liquidazione giudiziale scarica i debiti sul patrimonio sociale e i soci perdono al massimo quanto investito e l’azienda stessa. Per l’imprenditore individuale o i soci illimitatamente responsabili (snc), invece il fallimento colpisce anche il loro patrimonio personale, perché coincide con la persona. Tuttavia, la legge prevede la possibilità di ottenere l’esdebitazione: l’imprenditore persona fisica che abbia cooperato può, al termine della liquidazione, chiedere di essere liberato dai debiti residui non soddisfatti . L’esdebitazione (art. 278 CCII) è concessa se il fallito ha tenuto un comportamento onesto e collaborativo e non ha commesso irregolarità gravi o reati; essa cancella i debiti rimasti insoddisfatti verso i creditori concorsuali, dando al soggetto una “fresh start”. Nel 2025, la Cassazione a Sezioni Unite ha stabilito che ai fallimenti aperti prima dell’entrata in vigore del CCII continua ad applicarsi la legge fallimentare previgente per l’esdebitazione (che richiede il pagamento di almeno una parte dei crediti, ecc.), mentre per le procedure post-2022 vale il regime CCII più favorevole . In ogni caso, oggi l’esdebitazione è quasi automatica se il debitore non ha frodato i creditori.
È utile menzionare che il CCII ha introdotto anche l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283): se una persona fisica fallita non ha soddisfatto i creditori nemmeno parzialmente per mancanza di attivo, può chiedere comunque l’esdebitazione immediata una tantum (esdebitazione di diritto “a zero”). Ciò per dare davvero possibilità di ripartenza anche ai meno fortunati. Ci sono però esclusi i debiti caratterizzati da dolo o colpa grave del debitore.
Nel contesto del concordato preventivo, invece, la società beneficia di fatto di una esdebitazione implicita: una volta eseguito il concordato, i creditori non possono pretendere oltre ciò che è stato loro riconosciuto in piano. Quindi la società è “pulita” dai residui (sul piano civile; penalmente, eventuali reati restano perseguibili).
Conclusione per il debitore: la liquidazione giudiziale è certamente un evento da evitare se c’è speranza di risanamento, perché comporta la fine dell’impresa e l’erosione di valore (oltre a possibili conseguenze penali per gli amministratori, come vedremo) e nessun controllo da parte del debitore su come vengono liquidati i beni. Tuttavia, se i tentativi di ristrutturazione falliscono, la liquidazione può diventare l’unica via, ed è preferibile che sia “governata” per quanto possibile: ad esempio, l’imprenditore può presentare autonomamente istanza di fallimento quando vede l’insolvenza inevitabile (autofallimento). Questo atto, se fatto tempestivamente, spesso evita guai peggiori (ritardi colposi nella richiesta, che configurano reati di bancarotta semplice). Inoltre, un imprenditore collaborativo durante il fallimento potrà godere dell’esdebitazione e avrà qualche chance di ripartire altrove in futuro. Dunque, per quanto doloroso, talora è meglio un fallimento dignitoso che un’agonia prolungata dell’azienda con aggravamento del dissesto (che potrebbe poi sfociare in accuse di bancarotta fraudolenta se si disperdono risorse in extremis).
Nota sulle azioni di responsabilità: la chiusura per concordato o per fallimento non esime dall’analisi di eventuali responsabilità degli amministratori o soci. In particolare, se si riscontra che la crisi fu aggravata da mala gestione, il curatore fallimentare può promuovere azioni di responsabilità verso gli amministratori per danni (art. 255 CCII e art. 2476 c.c.), e i creditori sociali possono fare altrettanto in caso di concordato se il risanamento è riuscito solo parzialmente. Ad esempio, se gli amministratori hanno violato il dovere di adottare adeguati assetti (art. 2086 c.c.) e ciò ha ritardato le soluzioni, i creditori potrebbero lamentare il maggior danno. È un tema avanzato ma rilevante: con le nuove norme sulla crisi d’impresa, gli amministratori hanno l’obbligo di attivarsi appena la crisi è probabile; la loro inerzia può costituire inadempimento ai doveri e causare responsabilità personale. Quindi, a maggior ragione, seguire il percorso virtuoso (allerta, composizione, concordato) li tutela anche da queste conseguenze.
Profili di diritto penale tributario e fallimentare
Nel contesto di un’azienda indebitata, non vanno trascurati i possibili rilievi penali a carico degli amministratori o titolari. Le situazioni di crisi spesso coinvolgono condotte che il legislatore penale sanziona severamente, specie in ambito fiscale e fallimentare. Di seguito esaminiamo le principali fattispecie e come un imprenditore debitore può difendersi o evitarle:
Reati tributari (omessi versamenti, dichiarazioni fraudolente, ecc.)
Omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000): se la società non versa entro il termine legale le ritenute fiscali trattenute ai dipendenti o ai collaboratori (ad esempio le ritenute IRPEF sui salari) per un ammontare annuo superiore a €150.000, scatta un reato penale. È un reato omissivo proprio dell’amministratore che non versa. La pena prevista è la reclusione fino a 2 anni. Tuttavia, la legge consente una causa di non punibilità: se il debito corrispondente viene integralmente pagato entro la data dell’apertura del dibattimento (primo grado), il fatto non è più punibile (art. 13 D.Lgs.74/2000). Ciò spinge l’indagato a regolarizzare. Per cifre inferiori a 150k, il fatto non è reato ma solo illecito amministrativo (sanzione civile 30%).
Omesso versamento di IVA (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000): la società che, entro il termine per il versamento dell’acconto IVA dell’anno successivo (tipicamente 27 dicembre dell’anno successivo), non versa l’IVA dovuta risultante dalla dichiarazione annuale per un ammontare > €250.000, commette reato. Anche qui la pena massima è 2 anni di reclusione. Vale la stessa esimente del pagamento integrale prima del dibattimento . Dunque per entrambi questi reati “omissivi” la strategia difensiva numero uno è: pagare il dovuto (con sanzioni e interessi) il prima possibile, idealmente prima che inizi il processo, per fruire della non punibilità. Se ciò non è fattibile, bisogna allora puntare su altre difese (vedi dopo la crisi di liquidità come forza maggiore).
Novità 2024 – Non punibilità per crisi di liquidità non imputabile: con la riforma attuata dal D.Lgs. 14 giugno 2024 n. 87 (in attuazione della delega della L. 111/2023), il legislatore ha introdotto una nuova causa di non punibilità per i reati di cui sopra (10-bis e 10-ter) legata alla crisi di liquidità dell’azienda. In particolare, il nuovo comma 3-bis dell’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede che non è punibile l’omesso versamento di IVA o ritenute se il fatto è dipeso da cause non imputabili all’imprenditore, sopravvenute alla scadenza del versamento, che hanno determinato una crisi di liquidità non transitoria, a patto che l’imprenditore abbia esperito tutte le azioni idonee per superare la crisi . In sostanza è la codificazione del concetto di forza maggiore: se l’imprenditore dimostra che davvero non poteva pagare perché travolto da eventi fuori dal suo controllo (es. insolvenza di un grande cliente, mancato incasso di crediti per fallimenti altrui , ritardi di pagamenti dalla PA , calamità, ecc.) e che ha fatto tutto il possibile (es. tentato finanziamenti, vendite di asset personali) senza riuscirci, allora l’assenza di colpevolezza esclude la pena. Questa nuova causa di non punibilità, entrata in vigore a metà 2024, è applicabile anche retroattivamente (se più favorevole) a processi in corso【26†】. Va però sottolineato che non è affatto semplice beneficiarne: la giurisprudenza, anche prima della codifica, era molto rigorosa nel valutare la “forza maggiore”. La Cassazione ha ripetuto che la semplice crisi di liquidità rientra nel rischio normale d’impresa e non esclude la colpa se deriva da scelte imprenditoriali errate o comunque da eventi non del tutto eccezionali . Per invocare la forza maggiore, l’imprenditore deve provare che la crisi deriva da cause esterne straordinarie e che non poteva evitarla pur adottando ogni sforzo ragionevole . Ad esempio: se un’azienda non incassa da più clienti perché questi falliscono a catena e quell’attivo costituiva la maggioranza del suo credito, potrebbe configurarsi l’evento esogeno; se però aveva un singolo insoluto ma poteva compensarlo riducendo altre spese o attingendo a riserve, allora la colpa rimane. Insomma, la prova è a carico dell’imputato e molto rigorosa . L’introduzione normativa comunque dà uno strumento ulteriore di difesa a chi, in buona fede, non ha pagato le imposte perché materialmente impossibilitato. Pertanto, un amministratore di società di pesatura in crisi potrà non essere punibile se dimostra ad esempio: “Non ho versato l’IVA perché il mio maggior cliente (che valeva il 50% del fatturato) è fallito improvvisamente dopo aver incamerato i miei prodotti, lasciandomi un buco di liquidità imprevedibile, e nel frattempo la banca aveva congelato i fidi; ho tentato di ottenere dilazioni o nuovi prestiti e persino di introdurre capitali personali vendendo un immobile, ma nei 12 mesi successivi non c’è stato modo; quindi l’omissione di versamento non è dipesa da mia volontà ma da oggettiva impossibilità.” Uno scenario così estremo potrebbe rientrare nella non punibilità. Ovviamente, ogni caso è valutato individualmente.
Altri reati tributari rilevanti: oltre agli omessi versamenti, vi sono reati legati a condotte più fraudolente:
– Dichiarazione fraudolenta o infedele (artt. 2,3,4 D.Lgs.74/2000): riguardano chi crea fatture false o frodi contabili per evadere le imposte. Questi possono emergere anche in caso di crisi quando qualcuno tenta di coprire buchi di bilancio o gonfiare costi. Le soglie di punibilità sono più basse, e non esistono cause di non punibilità come il pagamento (perché qui c’è dolo di evasione, non solo omesso versamento).
– Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs.74/2000): reato spesso legato alle crisi. Si verifica se l’imprenditore compie atti simulati o fraudolenti per sottrarre beni al Fisco quando ha debiti tributari. Ad esempio, se trasferisce immobili ai familiari per non farli ipotecare dal Fisco, oppure svuota il conto aziendale su conti esteri occulti. Questo reato scatta anche per importi sottratti > €50.000 ed è punito fino a 4 anni. Dunque, un imprenditore in debito, per quanto disperato, non deve tentare scorciatoie illecite per mettere al sicuro i beni dall’Erario: meglio ricorrere ai piani di legge (transazione fiscale) che vendere in nero i macchinari all’estero. Perché quell’atto potrebbe far scattare l’accusa di sottrazione fraudolenta (o in caso di fallimento, bancarotta fraudolenta).
– Emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8) o altri reati IVA (art. 10-quater indebita compensazione di crediti non spettanti): talvolta in crisi qualcuno potrebbe farsi tentare da stratagemmi come usare crediti IVA finti in compensazione per non versare (questo è reato oltre €50k) o emettere fatture false per ottenere liquidità (reato grave, fino a 8 anni). È evidente che queste condotte portano a conseguenze penali pesanti e non risolvono il problema finanziario, anzi lo aggravano con la sanzione.
Conseguenze penali in caso di concordato preventivo: curiosamente, il concordato preventivo stesso ha rilievi nel penale tributario. Ad esempio, la legge prevede che se il reato di omesso versamento IVA è integrato ma poi l’imposta viene soddisfatta nel concordato (anche parzialmente tramite transazione fiscale omologata), ciò incide sulla confisca del profitto del reato. La Cassazione penale n. 35840/2025 ha stabilito che non può disporsi (o mantenersi) la confisca per equivalente sull’intero importo IVA evaso qualora intervenga un concordato o accordo omologato che riduce e soddisfa in parte l’obbligazione tributaria . In pratica, se lo Stato accetta in concordato il 30% dell’IVA, il “profitto del reato” (IVA non versata) va ricalcolato su ciò che effettivamente lo Stato non recupera, e la confisca va ridotta proporzionalmente. Questo può salvare l’azienda e gli amministratori da perdere beni per l’intero ammontare iniziale. Dunque, paradossalmente, attuare un concordato con transazione fiscale può giovare anche nel processo penale, riducendo l’ammontare oggetto di sequestro/confisca o persino portando all’archiviazione se il debito fiscale viene estinto integralmente prima della sentenza definitiva (invocando l’art. 13). In generale, un imprenditore indagato per reati tributari avrà interesse a collaborare, regolarizzare e magari utilizzare gli strumenti concorsuali per sistemare le pendenze col fisco, poiché i giudici penali tengono conto dell’atteggiamento riparatorio (anche in termini di attenuanti, art. 13-bis).
Reati fallimentari e societari connessi alla crisi
Quando la crisi degenera in fallimento (liquidazione giudiziale), entra in gioco la severa disciplina dei reati fallimentari, contenuta negli artt. 322 e seguenti del Codice della Crisi (riprendono gli artt. 216 e segg. legge fallimentare). Anche in concordato alcune condotte possono rilevare penalmente. I principali pericoli per gli amministratori sono:
- Bancarotta fraudolenta patrimoniale: se prima o durante il fallimento gli amministratori distraggono, occultano, dissimulano o disperdono beni sociali allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, commettono questo reato punito molto duramente (fino a 10 anni). “Distrarre” significa ad esempio vendere sottocosto un immobile ad un prestanome per sottrarlo alla massa, oppure prelevare ingenti somme dalla cassa senza giustificazione. “Occultare” è nascondere beni (es. portare macchinari in un magazzino non dichiarato). La dissipazione è invece spendere somme in operazioni imprudenti causando perdita (es. gioco d’azzardo con fondi sociali). Durante lo stato di crisi, è fondamentale evitare qualsiasi atto che possa apparire come un tentativo di frode ai creditori. Ad esempio, regalare un macchinario ad una società amica mentre si è insolventi configura distrazione. Se scoperto (e i curatori lo cercano attivamente), porta quasi certamente a una condanna penale.
- Bancarotta preferenziale: se l’imprenditore, in stato di insolvenza, favorisce alcuni creditori a danno di altri effettuando pagamenti o concedendo garanzie fuori dall’ordinario, può rispondere di bancarotta preferenziale (punita fino a 2 anni, salvo circostanze aggravanti). Ad esempio, saldare integralmente il debito a un fornitore amico poco prima di fallire, mentre gli altri resteranno a bocca asciutta, è un atto preferenziale. La ratio è che in insolvenza bisogna rispettare la par condicio creditorum. Ci sono attenuanti se il pagamento è avvenuto in un tentativo di concordato poi non riuscito, ma in generale la preferenza dolosa è penalmente sanzionata. Nota bene: la legge esenta esplicitamente dalla bancarotta preferenziale i pagamenti eseguiti in conformità a un piano attestato, a un accordo di ristrutturazione omologato, o a un concordato omologato . Ciò significa che se durante la crisi l’imprenditore paga alcuni creditori come previsto in uno di questi strumenti, non potrà essere accusato di preferenza. Questo è un forte incentivo a operare dentro una cornice legale: pagare fuori dalle regole è pericoloso, farlo dentro un piano approvato è sicuro.
- Bancarotta semplice: riguarda condotte meno fraudolente ma comunque colpose che abbiano aggravato il dissesto. Ad esempio, l’amministratore aggrava dolosamente la situazione continuando ad accumulare debiti quando avrebbe dovuto fermarsi, oppure non conserva le scritture contabili rendendo impossibile la ricostruzione del patrimonio. La bancarotta semplice è punita più lievemente ma sempre con pena detentiva fino a 2 anni. Si applica spesso se il fallito ha ritardato senza giustificato motivo la richiesta di concordato/ fallimento aggravando il buco, o se ha speso somme in operazioni azzardate in tempi di crisi. Qui rileva anche la violazione del dovere di adeguati assetti e tempestiva emersione della crisi: se l’organo amministrativo è rimasto inerte di fronte ai segnali evidenti di insolvenza, potrebbe profilarsi questa imputazione per imprudenza gestionale.
- Reati societari connessi: false comunicazioni sociali (falso in bilancio) può emergere se l’amministratore ha occultato perdite e debiti nelle scritture per guadagnare tempo o credito (molte aziende in crisi truccano i bilanci per non far apparire la crisi: ciò è reato se rilevante). Ostacolo alle funzioni di vigilanza se è società soggetta a revisione e si occultano informazioni ai revisori. Anche attentati all’integrità del capitale (illecita ripartizione di utili, ecc.) possono emergere quando, ad esempio, si sono fatte uscite di cassa ai soci in periodo di insolvenza.
- Responsabilità penale dell’ente ex D.Lgs. 231/2001: interessante notare che alcuni reati tributari (false fatture) e reati societari/fallimentari (es. false comunicazioni sociali, corruzione tra privati) possono far scattare la responsabilità amministrativa della società stessa. In genere però, quando siamo al fallimento, la società viene liquidata, quindi la “sanzione 231” è poco più che teorica. Ma vale la pena ricordare che una gestione criminale può colpire anche l’ente.
Difendersi dai rischi penali: come messaggio generale al debitore in crisi: trasparenza e legalità pagano. Se l’imprenditore sceglie la strada della legalità (usa strumenti di composizione, informa correttamente i creditori, non occulta la situazione) minimizza molto il rischio penale. Ad esempio: depositare un concordato anziché lasciare fallire senza controllo – nel concordato l’attestatore e il tribunale vigilano, il che rende improbabile poi un’accusa di bancarotta (perché ogni atto è stato autorizzato e verificato). Anche la tempestività è cruciale: un reato di bancarotta semplice spesso sta nel ritardo colpevole; se l’amministratore attiva la composizione negoziata appena la crisi è probabile, sta ottemperando al suo dovere e difficilmente potrà essere accusato di aggravamento doloso. Inoltre, come visto, fare pagamenti dentro un piano esclude la preferenzialità, mentre farli di nascosto la configura. Quindi seguire le procedure formali è la migliore difesa: la legge stessa crea safe-harbor, come l’art. 324 CCII che esonera i pagamenti in esecuzione del concordato/accordo/piano attestato da alcune fattispecie di bancarotta .
Per i reati tributari, la difesa è pagare il più possibile: se non tutto, almeno ridurre il debito con un accordo o transazione, perché questo incide su pena e confisca. Evitare come la peste qualsiasi scorciatoia illecita (false compensazioni, doppie fatturazioni) – queste cose emergono quasi sempre in fallimento, perché il curatore esamina le scritture e spesso collabora con la Guardia di Finanza per segnalare irregolarità. Piuttosto, se proprio non si può pagare, meglio presentare istanza di concordato e includere il debito verso l’Erario: si mette nero su bianco che non si riesce a pagare tutto, e se i parametri sono rispettati, il tribunale approva e quell’omologazione avrà peso anche per il giudice penale (dimostra l’assenza di malafede, e come visto può ridurre la punibilità).
Infine, un cenno alle sanzioni accessorie: una condanna per reati fallimentari porta l’inabilitazione all’esercizio di imprese e uffici direttivi per 10 anni (art. 346 CCII), e per reati tributari gravi possono esserci interdizioni da attività per alcuni anni. Ciò può segnare la fine della carriera imprenditoriale. Anche per questo, oltre che per evitare la detenzione, è fondamentale prevenire tali condanne adottando una condotta conforme alla legge durante la crisi.
Domande frequenti (FAQ)
D: La mia azienda è indebitata ma ha ancora ordini e mercato: come scelgo tra piano attestato, accordo di ristrutturazione o concordato preventivo?
R: La scelta dipende dal grado di consenso dei creditori e dall’urgenza. Un piano attestato conviene se pensi di poter risanare coinvolgendo solo alcuni creditori chiave, mantenendo riservatezza e senza tribunale. Richiede però che la maggioranza dei creditori collabori volontariamente e fiducia nell’attestatore. Se invece hai necessità di vincolare anche creditori dissenzienti e di ottenere subito una moratoria legale, devi passare per il tribunale. Tra gli strumenti giudiziali: l’accordo di ristrutturazione è adatto se hai già il consenso (anche informale) di almeno il 60-70% dei crediti (tipicamente le banche) – in tal caso puoi chiudere rapidamente con l’omologa, lasciando fuori chi non aderisce (pagandolo integralmente). Se invece la situazione è complessa, molti creditori eterogenei, e vuoi ridurre significativamente il debito coinvolgendo tutti, allora serve un concordato preventivo. Il concordato in continuità è lo strumento più “forte” perché impone tagli anche ai non consenzienti, ma è anche il più lungo e sotto controllo. In generale: prova prima la via negoziale (anche tramite composizione negoziata), e passa al concordato solo se non c’è alternativa o se la platea di creditori è ingestibile diversamente. Non esitare troppo: se le trattative private non danno frutto in tempi brevi (qualche mese), è meglio presentare un concordato prima che i creditori precipitino la situazione con azioni legali.
D: Posso includere i debiti fiscali e contributivi nel piano e pagarli parzialmente?
R: Sì, ma con alcune formalità. Non puoi unilateralmente decidere di pagare metà delle tasse dovute: devi utilizzare la transazione fiscale e contributiva. In pratica, nel tuo piano di concordato o nell’accordo, inserisci una proposta all’Erario e all’INPS (es: “vi pagherò il 40% in 5 anni, invece del 100%”). Questa proposta deve essere sottoposta ai rispettivi enti: se accettano, bene – la transazione viene omologata ed è vincolante. Se rifiutano, grazie alle norme aggiornate il tribunale può comunque omologare la manovra fiscale se giudica che stai offrendo almeno quanto avrebbero da un fallimento . Quindi, di fatto puoi ridurre i debiti tributari nell’ambito del concordato/accordo, a condizione di rispettare la convenienza (non danneggiare l’Erario rispetto a uno scenario liquidatorio). Nota che per legge devi comunque pagare integralmente l’IVA e le ritenute salvo che tu attivi la transazione fiscale: solo con la transazione (o nel PRO) puoi trattare anche l’IVA. Fuori dalle procedure, invece, l’unico modo di ridurre il carico fiscale è aderire a misure di condono statali (rottamazioni, ecc.) se previste. Nella composizione negoziata puoi provare a ottenere accordi ad hoc col Fisco (il DL 118/2021 lo consente, e il correttivo 2024 l’ha ribadito). In sintesi: sì, i debiti con Erario e INPS possono essere falcidiati, ma serve seguire la via formale della transazione fiscale/contributiva nel tuo piano e l’omologazione dal giudice.
D: Cosa succede se l’Agenzia delle Entrate o l’INPS votano contro il mio concordato? Possono bloccarlo?
R: No, non più. In passato, un voto negativo del Fisco che deteneva una grossa fetta di crediti poteva far mancare la maggioranza e quindi far saltare il concordato. Oggi le cose sono cambiate: la legge considera il silenzio-dissenso del Fisco come mancanza di adesione superabile. Se il tuo concordato è approvato dagli altri creditori e offre al Fisco almeno ciò che otterrebbe dalla liquidazione, il tribunale può omologarlo anche con il “no” dell’Erario (o dell’INPS) . Questo è il cram-down fiscale. Quindi l’amministrazione finanziaria non ha più potere di veto assoluto. Attenzione però: devi dimostrare che la % che proponi al Fisco è equa. Se, ad esempio, proponi di pagare il 5% e in caso di fallimento l’Erario avrebbe il 30%, il giudice non potrà omologare contro il parere negativo. Dunque, pur non essendo necessaria la loro adesione formale, devi convincerli in sostanza offrendo una soddisfazione ragionevole. In pratica oggi il Fisco è un creditore “come gli altri”: concorre al voto e può anche perdere. L’INPS uguale. La Cassazione nel 2024 ha definitivamente chiarito questo punto . Dunque, il loro dissenso non ti impedirà di salvare l’azienda se il piano è valido e conveniente per la massa dei creditori.
D: Durante la procedura di concordato (o accordo), posso continuare a gestire l’azienda? Ho vincoli operativi?
R: Nel concordato preventivo, tu rimani formalmente alla guida dell’impresa (“debitor in possession”), ma sotto la vigilanza del Commissario Giudiziale e con poteri limitati. Gli atti di ordinaria amministrazione (pagamenti correnti per forniture, stipendi, incassi di crediti) puoi continuarli, purché coerenti col piano. Gli atti di straordinaria amministrazione (vendite di beni, assunzione di nuovi debiti, transazioni) richiedono autorizzazione del tribunale su parere del commissario. Quindi devi sempre coordinarti col commissario. Non puoi compiere atti che pregiudicano i creditori (ad esempio pagare un vecchio debito fuori dal piano). In un accordo di ristrutturazione, fino all’omologa c’è meno intrusione: sei libero di gestire, salvo l’eventuale blocco di azioni esecutive; ma se chiedi misure protettive o se c’è un pre-commissario (non previsto formalmente qui), comunque devi agire in modo da non compromettere l’equilibrio raggiunto. In generale, in tutte le procedure devi attenerti al piano approvato: ad esempio, se nel piano hai detto che ridurrai certi costi e non assumerai nuovi mutui, poi non puoi discostarti senza rischiare la revoca. Nella composizione negoziata, invece, mantieni la gestione completa dell’impresa: l’esperto è solo un facilitatore, non ha poteri di amministrazione. Devi però concordare con lui le linee per convincere i creditori. Puoi compiere atti di straordinaria amministrazione ma sarebbe saggio informarlo e magari farli autorizzare dal tribunale per sicurezza (specie se potenzialmente pregiudizievoli per i creditori). Quindi, ricapitolando: sì, continui a gestire l’azienda tu stesso, però sotto controllo e con obbligo di attenerti al piano e di chiedere autorizzazioni per gli atti maggiori. Se segui le regole, potrai mantenere la continuità operativa (ad es., firmare nuovi contratti con clienti, approvvigionarti, etc. – queste di solito sono considerate attività ordinarie e funzionali al miglior esito del concordato). Spesso i tribunali autorizzano l’azienda in concordato a pagare in prededuzione i fornitori essenziali per non fermare la produzione (questo su richiesta motivata). Dunque hai margine di manovra, ma sempre vigilato.
D: Ho debiti verso fornitori all’estero e banche estere: la procedura italiana li copre?
R: Il Codice della Crisi si applica all’insolvenza dell’impresa con centro degli interessi principali (COMI) in Italia . Se la tua azienda ha sede qui, il concordato o fallimento ha portata “universale” su tutti i creditori, anche esteri. Quindi i fornitori esteri e banche estere devono anch’essi presentare le loro pretese e sono vincolati dalla procedura. Può esserci qualche complicazione pratica: ad esempio, un creditore tedesco magari non viene a votare, ma se la maggioranza è raggiunta in sua assenza, poi quell’accordo omologato vale anche per lui (l’omologazione italiana, nell’ambito UE, è riconosciuta in base al Regolamento UE 2015/848). Fuori UE, dipende dai trattati ma in genere i principi di diritto internazionale fallimentare fanno riconoscere le procedure. Quindi sì, i debiti esteri rientrano. Tieni presente: se hai un fornitore estero che non riconoscesse la procedura e per esempio ottenesse un giudizio nel suo paese, potresti dover invocare il principio di priorità della procedura di insolvenza aperta in Italia. Ma all’interno dell’UE c’è cooperazione, quindi dovrebbero attenersi. In sintesi, tutti i creditori ovunque domiciliati sono soggetti al tuo concordato preventivo (o fallimento) aperto in Italia, ed eventuali azioni individuali all’estero possono essere bloccate comunicando l’apertura della procedura. Fanno eccezione eventuali beni che tu hai all’estero: la legge italiana non ha giurisdizione diretta su beni immobili fuori d’Italia, ma di norma il curatore/commissario chiederà assistenza alle autorità locali per includerli (e con l’UE c’è riconoscimento automatico). Quindi non preoccuparti: puoi includere nel piano anche fornitori non italiani, così come crediti e debiti in valuta estera (saranno convertiti). Ricorda di dargli formale notifica della procedura, magari traducendo i documenti essenziali, per evitare eccezioni di mancata conoscenza.
D: In caso di fallimento, i soci della S.r.l. devono pagare i debiti rimasti?
R: In linea di principio no, se parliamo di una società a responsabilità limitata: i creditori sociali possono rifarsi solo sul patrimonio sociale. I soci perdono la loro partecipazione (che di fatto in fallimento diviene priva di valore) ma non sono tenuti a ripianare i debiti con patrimonio personale. Fanno eccezione le ipotesi in cui i soci avessero garantito personalmente alcuni debiti (fideiussioni a banche, ad esempio) – in tal caso il creditore può escutere il socio garante al di fuori della procedura fallimentare. Un altro caso: se i soci hanno percepito somme in sede di liquidazione della società prima del fallimento (es. dividendi o rimborso capitale in maniera indebita), potrebbero doverle restituire per soddisfare i creditori (azione di responsabilità o revocatoria). La Cassazione SU 3625/2025 ha affermato che gli ex-soci di società cancellata rispondono dei debiti fiscali sociali solo entro il limite di quanto riscosso in sede di liquidazione . Quindi se un socio non ha ricevuto nulla, non deve nulla; se ha preso €100k di attivo finale, i creditori sociali possono pretendere da lui al massimo €100k. Addirittura, c’è un recente contrasto in Cassazione (Ord. 17734/2025 citata) che ipotizza una responsabilità anche senza distribuzione, ma la prevalenza è per il beneficio di escussione del patrimonio sociale prima di toccare i soci. Quindi per farla semplice: per i debiti residui post-fallimento, i soci SRL non vengono perseguiti, salvo che abbiano commesso illeciti specifici (es.: prelevato utili fittizi, caso in cui possono avere responsabilità). Discorso diverso per soci di società di persone (snc, sas): quelli rispondono illimitatamente e il curatore può estendere il fallimento anche a loro e aggredire i beni personali. Nel nostro scenario supponiamo SRL: i creditori insoddisfatti non possono chiedere legalmente ai soci di colmare il buco. Tuttavia, se i soci sono anche stati amministratori e hanno colpe nella mala gestio, potrebbero subire un’azione risarcitoria (azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. o 2394 c.c. per insufficienza patrimoniale). Ma è un’altra base giuridica: non è “il debito sociale” ma “il danno causato”. Insomma, non c’è trasferimento automatico di debiti sui soci in s.r.l., ma attenzione alle responsabilità gestorie.
D: Ho dato garanzie personali per i debiti della società (fideiussioni alla banca). Posso liberarmene con le procedure di cui abbiamo parlato?
R: Le procedure concorsuali che abbiamo discusso riguardano la società debitrice, non automaticamente i garanti terzi. Se tu, come persona fisica, hai firmato una fideiussione alla banca, quella è un tuo debito personale accessorio. Il concordato o accordo della società non libera il fideiussore, salvo che la banca in sede di trattativa accetti di liberarlo (cosa rara). Quindi, se la società fa un concordato pagando chessò il 50% al ceto bancario, la banca può accettare ciò dalla società ma riservarsi di escutere te, garante, per la differenza. A meno che nel piano di concordato tu preveda espressamente qualcosa per i garanti: ad esempio, potresti offrire alla banca una percentuale in più a fronte della liberazione della garanzia (ma è volontaria la cosa). In generale, il garante rimane obbligato per intero, con diritto di surroga poi verso la società (surroga che è inutile se la società ha falcidiato il debito). Un escamotage può essere: se come socio-garante non vuoi essere escusso, dovresti includere il tuo patrimonio in qualche modo nel piano (tipo: offro alla banca un immobile mio come datio in solutum per chiudere tutto) – di fatto rinegoziare anche a titolo personale. Ma legalmente, l’omologa del concordato non estingue le obbligazioni dei coobbligati (garanti, soci fideiussori): c’è proprio una norma (art. 280 CCII) che lo prevede. Quindi, purtroppo, la banca può rivalersi sul fideiussore per la parte di credito non soddisfatta in concordato. L’unica eccezione: se anche il garante persona fisica finisce in procedura (es. tu fai un concordato minore o un piano del consumatore parallelo). È capitato in casi di piccoli imprenditori: la società fa il suo concordato, il titolare persona fisica sovraindebitato dai debiti di regresso fa la composizione della crisi da sovraindebitamento per liberarsi. In conclusione, devi negoziare anche per liberare le garanzie. Nella pratica, spesso le banche se ottengono un pagamento (anche parziale) dalla società concordataria, non insistono aggressivamente sui garanti se questi non hanno grandi risorse o se rischierebbero lunghe cause. Ma non è garantito. Quindi prevedi la questione e magari affianca al concordato un accordo transattivo col garante (ad es., il garante paga un ulteriore 10% fuori dal concordato e la banca lo svincola). Tutto dev’essere contrattato.
D: Se la mia azienda fallisce, io amministratore posso avere problemi penali anche senza aver commesso frodi?
R: Se hai agito onestamente e diligentemente, no reati. Però, attenzione: molte condotte che magari non percepisci come fraudolente, nel fallimento vengono vagliate severamente. Ad esempio, se negli ultimi 2 anni hai pagato solo alcuni fornitori preferiti lasciando indietro altri sapendo dell’insolvenza, potresti essere incriminato per bancarotta preferenziale (anche se tu pensavi di far bene pagando quello più insistente). Oppure se hai continuato la gestione accumulando debiti su debiti sperando nel “colpo di fortuna”, potresti incorrere nella bancarotta semplice per aggravamento. Detto ciò, i reati fallimentari richiedono almeno colpa grave o dolo. Se la crisi è dovuta a sfortuna o mercato e tu hai fatto del tuo meglio, documentando tutto e non occultando nulla, difficilmente sarai perseguito. Un aspetto cruciale è la tenuta delle scritture contabili: se i libri contabili sono in ordine e permettono al curatore di ricostruire tutte le operazioni, già parti bene (la mancanza di contabilità è di per sé bancarotta documentale). Se hai dubbi su qualche operazione passata, prepara spiegazioni e supporti. Inoltre, se la causa del dissesto è “economica” (calo vendite, crisi Covid, insolvenza di un cliente), e non irregolarità tue, non avrai imputazioni. Molto dipende quindi dalla gestione pregressa: a volte imprenditori in buona fede commettono leggerezze – tipo finanziarsi personalmente con cassa azienda senza formalità, o vendere un macchinario a prezzo basso per fare cassa – che nel fallimento diventano “distrazioni” punibili. La soluzione migliore è farsi affiancare da un legale durante la crisi per evitare passi falsi. E come regola: massima trasparenza con gli organi della procedura. Ad esempio, se fallisci e il curatore ti convoca, presentati, consegna tutta la documentazione e collabora: questo spesso evita querele e comunque in caso di processo attenua la posizione (l’art. 324 CCII prevede che l’aver proposto tempestivamente concordato esclude certe punibilità). Quindi, in sintesi: il fallimento in sé non è reato, ma genera un’indagine automatica sulla gestione. Se hai agito correttamente, l’indagine si chiuderà senza colpe. Se emergono irregolarità, potresti avere guai. Prevenire è meglio: adotta da subito comportamenti allineati alla legge (come evidenziato prima) così da non trovarti a dover giustificare dopo.
D: Dopo il concordato o la liquidazione, posso aprire un’altra attività senza i debiti precedenti?
R: Sì, uno scopo fondamentale delle procedure di insolvenza è proprio dare una seconda chance all’imprenditore onesto. Se completi con successo un concordato preventivo, la società prosegue la propria attività (se era in continuità) o viene liquidata e cessata (se liquidatorio), ma in ogni caso i debiti pregressi sono regolati come da piano e non possono più esserti chiesti ulteriormente. Quindi l’azienda (o tu, se persona fisica) siete esdebitati per quegli importi oltre la percentuale pagata. Potrai dedicarti ad altri business senza quell’albatros. Se invece sei fallito, come persona fisica potrai ottenere la esdebitazione dei debiti residui (salvo quelli esclusi per legge, es. risarcimenti da illecito, alimenti, etc.), una volta chiuso il fallimento. L’esdebitazione ti libera a titolo personale: potrai tornare a fare l’imprenditore o altra professione senza dover saldare i vecchi creditori (non che avresti le risorse, ma legalmente parlando). Per la società fallita, se era SRL, quella cessa di esistere, ma i soci possono costituirne una nuova. Attenzione però: se come amministratore sei stato condannato per reati fallimentari, avrai interdizioni temporanee a esercitare attività d’impresa (fino a 10 anni), e sei iscritto nel registro dei falliti per qualche anno (istituto peraltro in fase di superamento). Ma supponendo nessun reato, potrai subito ripartire. Un concordato preventivo, ad esempio, non comporta incapacità personali per gli amministratori (a differenza del fallimento che in passato comportava il “registro dei protestati” etc., ora abolito). Quindi completato il concordato, l’imprenditore può continuare a gestire quell’impresa risanata o aprirne un’altra. Anche i soci di società fallita possono aprirne una nuova senza ereditare i debiti (purché la nuova non sia considerata continuazione fittizia della vecchia a danno creditori, situazione che potrebbe configurare abuso). In breve, sì: l’ordinamento incentiva la liberazione dai debiti insostenibili per consentire di tornare ad essere economicamente attivi. Ovviamente qualche strascico c’è – ad esempio la centrale rischi segnalerà il concordato o fallimento per alcuni anni, quindi le banche potrebbero inizialmente essere caute nel darti credito. Ma legalmente non hai impedimenti se hai agito correttamente.
D: Nella composizione negoziata, i creditori sono obbligati a partecipare e a stare “buoni”?
R: I creditori non sono obbligati a nulla in senso stretto. La composizione negoziata è volontaria: l’esperto li invita al tavolo, ma se qualcuno rifiuta o fa ostruzionismo, non c’è un meccanismo cogente per costringerlo ad accordarsi. Quello che li “obbliga” indirettamente è che, se hai chiesto le misure protettive, allora non possono iniziare o proseguire pignoramenti durante il periodo protetto, a pena di nullità. Inoltre, l’esperto può segnalare nel verbale finale se un creditore ha rifiutato senza motivo una proposta vantaggiosa: tale segnalazione potrebbe influire poi in giudizio sulla condotta del creditore (ad esempio, in sede di distribuzione fallimentare il giudice potrebbe tener conto, o in eventuale opposizione all’omologa di un concordato successivo la sua mala fede può essere eccepita). Ma non c’è una vera sanzione giuridica se il creditore non collabora, salvo il fatto che perde tempo e magari opportunità di incassare di più rispetto a uno scenario di fallimento. Quindi, la negoziazione è un gioco di incentivi più che di obblighi: i creditori sono invitati a cooperare perché c’è un esperto terzo che prospetta loro la convenienza di un accordo. Se non cooperano, l’imprenditore potrà comunque ricorrere al concordato, dove alcuni creditori potranno essere coatti. Quindi, in un certo senso, la minaccia implicita è: “negoziamo ora bonariamente, altrimenti farò un concordato e lì potreste ricevere ancora meno e non poterlo impedire.” Alcuni creditori lo capiscono e sono disponibili. Altri potrebbero comunque preferire agire per conto loro (es: un creditore ipotecario a cui conviene esecutare l’immobile). In tal caso l’unica è convincerlo che quell’esecuzione isolata porta meno soddisfazione rispetto a un piano integrato. L’esperto serve proprio a questo: a far vedere ai creditori che l’accordo è win-win rispetto alla guerra di tutti contro tutti. In sintesi: i creditori non hanno l’obbligo di aderire, ma la procedura li invita fortemente. Le misure protettive li obbligano temporaneamente a stare fermi, ma non li costringono a dire sì alle proposte. Se uno rimane contrario, la composizione negoziata potrebbe fallire – e allora o trovi un altro modo di soddisfarlo (pagandolo fuori, se piccolo e fattibile) oppure dovrai ripiegare sul concordato dove la maggioranza lo sovrasterà.
D: Nel concordato preventivo, posso prevedere di pagare diversamente creditori della stessa causa? Ad esempio, dare 50% a un fornitore e 10% a un altro chirografario?
R: Non liberamente; devi rispettare il principio di parità di trattamento all’interno delle classi omogenee. Significa che creditori con posizione giuridica uguale dovrebbero ricevere lo stesso trattamento percentuale. Tuttavia, è possibile creare classi separate per creditori chirografari se ci sono motivi giustificati (es. uno è strategico per la continuità, l’altro no). Allora potresti classificare diversamente e offrire percentuali diverse alle classi: esempio, “classe A fornitori strategici 50%, classe B altri fornitori 20%”. Questo è ammesso purché la diversità di trattamento abbia una causa economica sensata e non sia arbitraria. L’importante è che ciascuna classe approvi la proposta per sé. Se per caso la classe B (meno pagata) vota contro, il tribunale valuterà se comunque prende almeno quanto in fallimento per forzare. Ma attenzione: all’interno della stessa classe, no differenze. Quindi non puoi discriminare singoli creditori dello stesso grado se li tieni in unica classe. Se lo fai surrettiziamente, rischi contestazioni e non omologa. Il PRO (piano di ristrutturazione omologato) invece consente persino di derogare alla par condicio, quindi lì potresti anche trattare un chirografario diversamente da un altro senza classi. Ma nel concordato standard, bisogna passare attraverso le classi. Ad esempio, i fornitori che vuoi assolutamente mantenere li metti in classe privilegiata con pagamento più alto. Sii trasparente sul perché: di solito si scrive nel piano che “la classe X riceve di più perché essenziale al valore futuro dell’azienda”. I creditori esclusi da quella classe potrebbero lamentarsi, ma se l’economicità è giustificata, il giudice approva. Quindi, sì in parte: puoi differenziare trattamenti se crei classi separate, ma no differenze arbitrarie dentro la stessa classe.
D: Quali documenti devo preparare per avviare queste procedure?
R: Dipende dallo strumento, ma in generale preparati a fornire un quadro completo e trasparente della situazione aziendale. Per la composizione negoziata, come accennato, servono: una relazione dettagliata sull’impresa, cause della crisi e piano a 6 mesi ; elenco creditori con importi e scaduti ; ultimi bilanci; certificati di debiti tributari e contributivi; estratto Centrale Rischi; un business plan ipotetico di risanamento. Per il piano attestato, ti occorre: il documento di piano con i contenuti ex art. 56 CCII (vedi sopra a) fino g-bis) , quindi analisi debiti, strategie, elenco creditori coinvolti e non, proiezioni economico-finanziarie dettagliate e misure correttive; e poi la relazione dell’attestatore indipendente. Per l’accordo di ristrutturazione, devi avere un piano di ristrutturazione molto simile come contenuto (solitamente si allega proprio un piano attestato) e la relazione dell’esperto attestatore (ex art. 57 CCII) + l’accordo firmato dai creditori con almeno 60%. Oltre a questo, per il deposito in tribunale serve: visura e certificato società, elenco analitico di tutti creditori, elenco soci, attestazioni fiscali e contributive. Per il concordato preventivo, la lista è più corposa: la legge (art. 39 CCII) elenca: ricorso con proposta e piano, ultimi 3 bilanci, situazione finanziaria aggiornata, relazione attestatore (indipendente, iscritto albo), elenco nominativo creditori con somme, cause di prelazione, scadenzario; inventario beni azienda; elenco eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi anni; elenco titolari di diritti reali su beni (es. leasing, etc.); elenco dei garanti e coobbligati per i debiti; un progetto di stato passivo se c’è liquidazione; documenti fiscali (certificato debiti tributari e contributivi come in negoziata). Insomma, è un dossier completo. Non sottovalutare la mole: predisponi per tempo un data room con tutti questi elementi. Un aspetto pratico: se decidi per la via concordataria o accordo, conviene incaricare subito un professionista attestatore e un advisor finanziario, perché dovrai redigere prospetti e business plan credibili. La completezza e correttezza della documentazione è spesso la discriminante tra successo e fallimento dell’istanza. Se il tribunale vede dati lacunosi, può dichiarare inammissibile il concordato. Quindi dedica risorse a raccogliere tutti i dati contabili, a farti certificare la posizione debitoria (es. chiederai all’Agenzia Entrate un estratto dei debiti, all’INPS il DURC). Anche i legali prepareranno relazioni sullo stato di eventuali cause pendenti e su contratti rilevanti. In sintesi: devi fornire una fotografia chiara e documentata dell’azienda e un piano dettagliato di risanamento con assunzioni realistiche. Ogni numero deve essere giustificato (da contratti, preventivi, perizie di stima beni, etc.). Ricorda che questi documenti, una volta depositati, saranno scrutati dai creditori e dal tribunale, quindi meglio eccedere in chiarezza che in omissione.
D: Una volta omologato il concordato o l’accordo, chi garantisce che l’azienda rispetterà il piano?
R: Dal lato giuridico, dopo l’omologazione, scatta l’obbligo per la società di eseguire il piano come stabilito, sotto controllo degli organi nominati. Nel concordato preventivo, il tribunale normalmente nomina lo stesso Commissario come commissario giudiziale per l’esecuzione (o un liquidatore se ci sono vendite da fare). I creditori possono segnalare inadempimenti. Se il debitore non rispetta gli impegni, i creditori possono chiedere la risoluzione del concordato (art. 120 CCII) e allora si riapre la via al fallimento. Quindi c’è una spada di Damocle: basta che il debitore salti ad esempio due rate rilevanti senza giustificazione e un creditore istiga la risoluzione, il tribunale la dichiarerà se accerta l’inadempimento grave. Nel caso di accordo di ristrutturazione, se l’azienda non esegue correttamente, i creditori aderenti tornano liberi di agire secondo i termini originali (possono chiedere risoluzione contrattuale e far valere per intero il credito residuo). Non c’è un controllo giudiziale continuo per gli accordi, ma spesso si nomina un professionista come monitor (non obbligatorio per legge, ma su base contrattuale i creditori lo pretendono) che certifichi il rispetto delle condizioni. In ogni caso, la fiducia è elemento cardine: se i creditori hanno accettato un concordato o accordo è perché confidano in una certa credibilità del piano. Spesso il piano prevede covenants di monitoraggio: ad esempio, l’azienda deve destinare certe percentuali di incassi mensili a un conto vincolato per i creditori, etc. E se ci sono atti straordinari durante l’esecuzione (es. vendere un immobile che doveva fungere da garanzia fino a pagamento), servono autorizzazioni. In aggiunta, molti concordati in continuità prevedono la nomina di un attestatore rev isore che ogni anno verifica l’andamento. Ad ogni modo, i creditori hanno tutela: se l’azienda esegue male, possono farla fallire (nel concordato c’è una finestra di due anni dalla scadenza finale entro cui chiederlo per inadempimento). Spesso però conviene ai creditori rinegoziare piuttosto che risolvere: se l’azienda ha difficoltà minori, possono accettare di modificare il piano (concordato: serve approvazione e omologa nuova; accordo: serve nuovo accordo). Formalmente c’è da rifare la procedura, ma in pratica è fattibile se c’è accordo. Quindi in conclusione: nessuna garanzia assoluta, ma un sistema di vigilanza e rimedi. Per il debitore, questo significa che l’omologa non è un “liberi tutti”: bisogna adempiere religiosamente, altrimenti si vanifica tutto lo sforzo e si finisce peggio di prima.
Tabelle riepilogative finali
Di seguito, proponiamo due tabelle riassuntive: la prima confronta le principali soluzioni di regolazione della crisi d’impresa, evidenziandone natura, requisiti e effetti; la seconda riepiloga le possibili uscite dalla crisi per un imprenditore (risanamento vs liquidazione) con pro e contro.
Tabella 1 – Strumenti per gestire la crisi d’impresa (confronto sintetico):
| Strumento | Tipo/Natura | Condizioni di accesso | Vincolo sui creditori | Vantaggi | Svantaggi |
|---|---|---|---|---|---|
| Composizione negoziata | Procedura stragiudiziale assistita (volontaria). | Impresa in crisi o insolvenza probabile. Istanza alla piattaforma camerale con documenti; nomina di esperto indipendente. | Nessun accordo imposto: misure protettive temporanee bloccano azioni esecutive , ma i creditori non sono obbligati a aderire a proposte. | – Riservata (nessuna pubblicità iniziale).<br>– Flessibile: varie soluzioni possibili (accordo, piano, ecc.).<br>– Consente di ottenere una pausa dalle azioni esecutive e di negoziare con supporto terzo.<br>– Mantieni il controllo dell’azienda durante le trattative. | – Richiede collaborazione volontaria dei creditori (nessun cram-down definitivo).<br>– Durata limitata (6+6 mesi).<br>– Costi dell’esperto e impegno nel predisporre documentazione completa.<br>– Se fallisce, rischio di perdita di tempo (anche se si può accedere poi a concordato). |
| Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) | Soluzione stragiudiziale unilaterale (privata con attestazione). | Stato di crisi o insolvenza reversibile. Necessaria attestazione da professionista indipendente sulla veridicità dati e fattibilità piano . Il piano deve avere “data certa” e contenuto minimo dettagliato (cause crisi, elenco creditori coinvolti, strategia di rilancio, ecc.) . | Non vincola i creditori dissenzienti. Vincola solo i creditori che aderiscono volontariamente agli accordi esecutivi del piano. Tuttavia, protegge da azioni revocatorie i pagamenti/garanzie effettuati secondo piano . Nessun automatic stay legale (creditori estranei possono agire). | – Completamente fuori dal tribunale (massima discrezione).<br>– Gestione totalmente in capo al debitore.<br>– Protezione revocatoria: gli atti eseguiti in attuazione del piano non sono revocabili in caso di successivo fallimento (se piano idoneo e attestato) .<br>– Può migliorare rapporti con banche: l’attestazione dà credibilità al piano di risanamento.<br>– Nessun costo procedurale salvo compenso attestatore. | – Nessuna forza cogente sui creditori: serve elevato consenso informale.<br>– Nessuna moratoria legale: se un creditore non collabora può pignorare (il piano è un ombrello ex post contro revocatoria, ma non ferma le azioni subito).<br>– Rischio di abuso: se il piano è inadeguato, i benefici revocatori saltano (giudice può valutare ex ante l’idoneità) .<br>– Occorre fornire informativa completa e sincera all’attestatore (pena responsabilità penali attestatore/debitore se dolo o colpa grave in attestazione). |
| Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-60 CCII) | Procedura concorsuale negoziata (ombrello giudiziale su accordo privato). | Raggiunto accordo con creditori ≥60% dei crediti . Attestazione indipendente che accordo garantisce pagamento integrale creditori estranei nei termini di legge e convenienza rispetto ad alternative. Deposito in tribunale per omologa. | Omologazione rende l’accordo efficace erga partes: vincola solo i creditori aderenti e silenti. I creditori estranei restano fuori (devono essere pagati integralm. entro 120 gg). Possibile estensione cram-down mirato ad alcuni non aderenti se art. 61 CCII: es. banche dissenzienti vincolate se ≥75% della classe aderisce . Azioni esecutive sospese su richiesta dal deposito fino omologa. | – Rapida definizione se consenso c’è (tempi più brevi del concordato, procedura semplificata: no voto generale, solo omologa).<br>– Riservatezza: l’accordo diventa pubblico solo con omologa e può restare confidenziale nei dettagli.<br>– Flessibilità: si può modulare con ciascun aderente condizioni diverse.<br>– Misure protettive possibili dal deposito (paragonabili a concordato).<br>– Meno costoso del concordato (meno organi nominati: di solito no commissario, solo giudice per omologa).<br>– Transazione fiscale possibile e cram-down fiscale applicabile (giudice può omologare anche se Fisco/INPS dissentono, in caso di silenzio o rigetto) . | – Necessita accordo preventivo: se non hai già dalla tua parte 60% crediti, non puoi accedere (o l’accordo non sarà omologabile).<br>– Non coinvolge formalmente i dissenzienti che restano liberi, a meno di pagargli il 100% o usare efficacia estesa in categorie limitate (banche, finanziari).<br>– Opposizione dei creditori esclusi può ritardare l’omologa (devono però dimostrare che l’accordo li pregiudica, es. perché non verranno pagati per intero come promesso).<br>– In caso di inadempimento di accordo omologato, i creditori tornano azionabili secondo gli importi originali (serve adesione di tutti a eventuali modifiche). |
| Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) | Procedura concorsuale giudiziale (nuova, simile a concordato senza voto assembleare). | Stato di crisi o insolvenza. Proposta di piano con suddivisione obbligatoria dei creditori in classi . Approvazione richiesta: maggioranza in tutte le classi. Attestazione indipendente come per concordato. | Omologazione giudiziale vincola tutti i creditori inclusi nel piano . Possibilità di trattamenti difformi tra creditori superprivilegiati, grazie a classi (deroga a par condicio) . Nessun cram-down interclassi: se anche una classe vota no, il PRO non è omologabile (a differenza del concordato, niente approvazione forzata su classi dissenzienti). | – Deroghe possibili a regole concorsuali: puoi distribuire valore non seguendo strettamente l’ordine dei privilegi (salvo rispetto soglia liquidazione e pagamento integrale dipendenti) .<br>– Nessun requisito di percentuali minime ai chirografari anche se liquidatorio .<br>– Procedura guidata dal tribunale ma senza voto assembleare generale: si fonda su classi.<br>– Meno stigmatizzante in teoria (è uno strumento nuovo, percepito come piano negoziato rafforzato).<br>– Prevede misure protettive analoghe (ci si può avvalere di art. 54 CCII).<br>– Non è causa di reati “concordatari” specifici (es. bancarotta concordataria) perché normativamente distinto . | – Deve ottenere l’approvazione a maggioranza in ciascuna classe: rischioso se struttura delle classi eterogenea (basta una classe scontenta per bloccare tutto).<br>– Meno sperimentato: prassi limitata (introdotto recependo Dir. UE 2019/1023).<br>– Non disponibile per piccoli imprenditori sotto soglia (riservato a imprese soggette a procedura ordinaria).<br>– Necessita comunque di negoziazione previa significativa, di fatto richiede uno scenario di consenso simile all’accordo, ma in più impone il passaggio giudiziale come un concordato. Alcuni lo ritengono ridondante (“nuova procedura non strettamente necessaria”) quindi occorre valutare caso per caso la convenienza rispetto al concordato tradizionale . |
| Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII) | Procedura concorsuale giudiziale classica. | Insolvenza o crisi conclamata. Proposta di piano ai creditori con soddisfazione parziale o riorganizzazione. Documentazione completa + relazione attestatore. Ammissione da parte del Tribunale e voto dei creditori. Richiede maggioranza di crediti per approvazione (se classi, maggioranza in percentuale e eventuale cram-down su classi dissenzienti con best interest test). | Omologazione vincola tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti), salvo chi è escluso per legge (es. crediti alimentari, ecc.). I creditori privilegiati sono vincolati nei limiti della soddisfazione proposta (se non integrale, devono votare anche loro). Dopo l’ammissione, scatta il divieto di azioni esecutive (automatic stay) per tutti. | – Vincolatività universale: è l’unico strumento per imporre una ristrutturazione a 360° anche contro la volontà di minoranze significative.<br>– Stay automatico: ferma ogni pignoramento dal giorno di ammissione (o anche dalla domanda se in bianco).<br>– Possibilità di cancellare parte del debito legalmente (fresh start per l’azienda).<br>– Continuazione dell’attività con protezione: in continuità aziendale, l’impresa opera e genera valore sotto tutela del tribunale (che può autorizzare finanziamenti prededucibili, pagamenti essenziali, ecc.).<br>– Transazione fiscale e contributiva integrata: si può includere Fisco/INPS e forzare il loro voto contrario in omologa .<br>– Prevede diverse forme (liquidatorio, in continuità, misto, con assunzione del debito da terzi, ecc.) quindi adattabile a vari casi.<br>– Una volta eseguito, i debiti sono definiti e l’impresa resta attiva se in continuità (o viene liquidata ordinatamente se così proposto). | – Procedimento complesso, pubblico e costoso: nomina di commissario giudiziale, adunanza dei creditori, iter giudiziario, compensi professionisti.<br>– Tempi relativamente lunghi (diversi mesi per omologa, e anni per esecuzione completa del piano se rateizzato).<br>– Perdita di autonomia gestionale: l’impresa opera sotto vigilanza e autorizzazione per atti straordinari; c’è uno stigma reputazionale (registro imprese annota la procedura, partner commerciali ne vengono a conoscenza).<br>– Rigidità: una volta presentata la proposta, modificarla non è agevole (serve ripresentazione o approvazione da creditori).<br>– Soglie legali da rispettare (nel liquidatorio: almeno 20% ai chirografari, 10% new assets) a meno di esenzioni particolari; obbligo pagamento integrale creditori privilegiati salvo degradazione per incapienza.<br>– In caso di inadempimento del piano si rischia la risoluzione e fallimento, con perdita del beneficio ottenuto. |
Tabella 2 – Esiti possibili della crisi dal punto di vista del debitore (riassetto vs liquidazione):
| Soluzione | Descrizione | Conseguenze per l’impresa | Conseguenze per l’imprenditore | Quando sceglierla |
|---|---|---|---|---|
| Risanamento e prosecuzione (tramite composizione negoziata, accordi, concordato in continuità) | Si ristrutturano i debiti, eventualmente tagliandoli o dilazionandoli, e l’azienda continua ad operare (magari ridimensionata) sotto il controllo del debitore (con eventuali monitoraggi). | – L’impresa sopravvive: mantiene la titolarità dei beni produttivi, i contratti essenziali e il personale (salvo riorganizzazioni nel piano).<br>– I debiti pregressi vengono estinti secondo le modalità di piano (pagati parzialmente e/o rinegoziati).<br>– L’azienda, liberata dal peso eccessivo, può tornare competitiva se il piano è efficacie (spesso con nuova finanza o nuovi investitori). | – Gli amministratori conservano il ruolo (specie negli strumenti negoziali e nel concordato in continuità, seppur vigilati).<br>– Evitano le sanzioni dell’insolvenza: niente interdizioni, niente curatore che li estromette.<br>– Possono conservare il patrimonio personale non escusso da garanzie (salvo che abbiano dovuto onorare fideiussioni se non coperte nel piano).<br>– Responsabilità legali ridotte: la gestione concordataria regolare esclude reati di bancarotta; eventuali azioni di responsabilità dai creditori decadono se il concordato viene adempiuto (i creditori sono soddisfatti e non hanno più interesse a fare causa). | – L’impresa ha prospettive di redditività futura (è viva, solo appesantita dal debito).<br>– C’è la volontà dei soci di continuare l’attività e magari investire ancora (o far entrare investitori).<br>– Si riesce a trovare un accordo con i creditori che preferiscono incassare meno ma mantenere un cliente/fornitore vivo.<br>– Da preferire in settori dove l’intangibile (know-how, avviamento, rete clienti) ha molto valore: la continuità preserva questo valore molto più di una vendita spezzatino.<br>– Necessaria se si vuole tutelare l’occupazione e la filiera (concordati in continuità spesso salvano posti di lavoro). |
| Liquidazione ordinata (tramite concordato liquidatorio o liquidazione controllata/minore) | Si procede alla cessazione dell’attività e alla vendita di tutti i beni, però in modo organizzato dal debitore (nel concordato) o da un liquidatore nominato (liquidazione giudiziale). I creditori vengono pagati col ricavato in modo parziale. L’impresa poi cessa. | – L’impresa viene chiusa definitivamente (dopo la cessione asset, la società viene cancellata).<br>– I beni aziendali sono monetizzati (vendita unitariamente in blocco o singolarmente). In concordato, il debitore può scegliere acquirenti e modalità (previa omologa); in fallimento decide il curatore con aste competitive.<br>– I contratti pendenti vengono sciolti (tranne se serve proseguirne qualcuno per miglior esito vendite).<br>– I dipendenti sono licenziati, ma possono privilegiare la NASpI e il Fondo di Garanzia INPS per TFR e arretrati.<br>– I creditori ricevono una percentuale (nel concordato liquidatorio almeno 20%, in fallimento spesso meno, dipende dall’attivo). Dopo di che i debiti si considerano estinti (o in fallimento, inesigibili perché la società sparisce). | – Soci di società di capitali perdono la loro partecipazione e non rispondono oltre (salvo parti che hanno incassato in liquidazione ante procedura, su cui potrebbero essere chiamati).<br>– Imprenditore individuale o soci illimitatamente responsabili vengono liberi dai debiti residui solo tramite esdebitazione: nel concordato minore una volta eseguiti i pagamenti promessi il giudice cancella il resto; nel fallimento occorre chiedere esdebitazione a fine procedura (generalmente concessa se il fallito ha collaborato).<br>– L’imprenditore vede terminare la propria impresa, ma può eventualmente ripartire altrove: dopo un concordato liquidatorio non vi sono interdizioni, dopo un fallimento può esservi qualche anno di inabilitazione (ma esdebitato torna libero).<br>– Eventuali responsabilità per condotte antecedenti non spariscono: anzi, in fallimento il curatore spesso promuove azioni di responsabilità o denunce penali. In un concordato liquidatorio, se eseguito regolarmente, di solito c’è remissione tacita di pretese civilistiche dei creditori (perché hanno accettato la proposta transattiva). | – Quando l’azienda non ha più reali possibilità di stare sul mercato come going concern (obsoleta, priva di commesse, settore non redditizio).<br>– Quando i creditori sono troppo ostili tra loro o col debitore per accettare di lasciarlo ancora alla guida: preferiscono “liquidare e chiudere”.<br>– Se l’imprenditore/soci non intendono più proseguire l’attività (stanchezza, mancanza di eredi, etc.).<br>– Se c’è un’offerta di acquisto per l’intera azienda da parte di terzi, magari che rilevano il ramo buono e lasciano i debiti (questo può essere fatto in concordato: vendita dell’azienda in esercizio a un compratore e soddisfazione creditori col prezzo).<br>– Quando gli asset separati valgono più dell’azienda nel suo insieme (caso raro, ma ad esempio patrimonio immobiliare disgiunto dall’attività).<br>– Se si vuole evitare il rischio di condotte distrattive future: liquidare subito mette in sicurezza l’attivo evitando che si deteriori ulteriormente con la gestione corrente in perdita. |
(Legenda: “fallimento” è ora “liquidazione giudiziale” per imprese soggette a CCI, o “liquidazione controllata” per sovraindebitati minori. Il termine “esdebitazione” indica la liberazione dai debiti residui post-procedura.)
Fonti e riferimenti normativi
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (testo vigente e coordinato con le modifiche, inclusi D.Lgs. 83/2022 di attuazione Dir. UE 2019/1023 e D.Lgs. 136/2024 “terzo correttivo”). Disponibile su Normattiva (aggiornato al 2025).
- Legislazione complementare recente:
- D.L. 24 agosto 2021, n. 118 conv. L. 147/2021 – Introduzione della Composizione Negoziata e prime modifiche urgenti al Codice della Crisi.
- D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 – Disposizioni integrative e correttive al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (c.d. Correttivo “ter”).
- D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87 – Riforma delle sanzioni penali tributarie (in attuazione L. 111/2023), con modifica D.Lgs. 74/2000 artt. 10-bis, 10-ter e 13 (introduzione non punibilità per forza maggiore) .
- Codice Penale e leggi speciali: Artt. 322-347 Cod. Crisi (Reati concorsuali: bancarotta fraudolenta, semplice, preferenziale, ecc.); D.Lgs. 74/2000 (Reati tributari: in particolare artt. 10-bis, 10-ter, 10-quater, 11 e art. 13) come modif. 2023-2024 ; L. 3/2012 e Cod. Crisi artt. 277-283 (esdebitazione del sovraindebitato incapiente).
- Giurisprudenza recente (Corte di Cassazione):
- Cass. civ. Sez. I, 28 ottobre 2024, n. 27782: conferma la possibilità di omologazione forzata di concordato/accordo nonostante il voto contrario del Fisco (interpretazione estensiva del “mancanza di adesione” comprendente anche dissenso espresso) .
- Cass. pen. Sez. III, 5 dicembre 2024, n. 44519: in tema di confisca tributaria, ribadisce che l’omologazione di un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale incide sul quantum confiscabile (riducendolo in proporzione al debito fiscale abbattuto) .
- Cass. pen. Sez. II, 10 novembre 2025, n. 35840: sancisce che non può disporsi né mantenersi la confisca (per equivalente) del profitto di reati tributari laddove sia intervenuta una transazione fiscale omologata che riduce il debito erariale; in altri termini, se il fisco ha concordato di rinunciare a una parte del credito, quella parte non è confiscabile come profitto del reato .
- Cass. pen. Sez. III, 17 novembre 2025, n. 35893: ha ribadito che solo il pagamento integrale del debito IVA (o ritenute) entro il dibattimento evita la condanna; la mera crisi di liquidità non esclude la punibilità a meno che ricorrano le condizioni di forza maggiore ora codificate (onere della prova in capo all’imputato) .
- Cass. civ. Sez. Unite, 12 febbraio 2025, n. 3625: in tema di esdebitazione post-fallimentare, ha statuito che per i fallimenti aperti ante 15/7/2022 continua ad applicarsi la L. fall. (esdebitazione “premiale” solo se il fallito paga almeno il 10% ai chirografari), mentre per le procedure successive vale il CCII (esdebitazione più ampia anche senza soglie) – principio sulla irretroattività favorevole .
- Cass. civ. Sez. Unite, 1° aprile 2025, n. 14835: sul coordinamento normativa vecchia-nuova in tema di esdebitazione (conferma indirizzo SU 2025/3625).
- Cass. civ. Sez. I, 1° luglio 2025, n. 17734: pronuncia (contrastante con SU) sull’azione dei creditori sociali verso i soci di Srl ex art. 2476 c.c., sostenendo (in obiter dictum) che anche senza distribuzioni ai soci potrebbe profilarsi una responsabilità per i debiti sociali insoddisfatti in chiusura – questione ancora dibattuta .
- Tribunale di Brescia, 7 ottobre 2025: ha chiarito che, in caso di composizione negoziata, la competenza per confermare misure protettive resta del tribunale della sede originaria dell’impresa (se la sede è stata trasferita entro l’anno prima) e l’eventuale trasferimento non consente di “forum-shop” altrove .
- Prassi e dottrina specialistica:
- Relazione Illustrativa al Codice della Crisi (2018) – utile per comprendere finalità di istituti nuovi (allerta, composizione negoziata).
- Linee Guida CNDCEC per l’attestazione dei piani – definiscono best practice per contenuto del piano attestato e verifica dell’attestatore.
- Osservatorio Crisi d’Impresa CNDCEC – checklist per composizione negoziata: documenti da allegare e criteri di verifica (Decr. Dir. Min. Giustizia 28/9/2021 e D.M. 21 marzo 2023 su test pratico) .
- Massime Commissioni Tribunali (es. Commissione Milano su concordati) – es. Massima sulla falcidiabilità dell’IVA previa transazione fiscale, o sull’attestazione tardiva (cfr. Trib. Cosenza 9/7/2025: attestazione tardiva da parte di professionista iscritto sanabile, mera irregolarità formale) .
La tua azienda che progetta, produce o distribuisce sistemi di pesatura automatica, bilance industriali, celle di carico, sistemi checkweigher, dosatori ponderali, pesatura in linea, piattaforme di pesatura, bilance per nastri trasportatori, sistemi di dosaggio gravimetrico, strumentazione per logistica, alimentare, farmaceutico e packaging, oggi è schiacciata dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
La tua azienda che progetta, produce o distribuisce sistemi di pesatura automatica, bilance industriali, celle di carico, sistemi checkweigher, dosatori ponderali, pesatura in linea, piattaforme di pesatura, bilance per nastri trasportatori, sistemi di dosaggio gravimetrico, strumentazione per logistica, alimentare, farmaceutico e packaging, oggi è schiacciata dai debiti?
Ricevi solleciti, richieste di rientro, decreti ingiuntivi, blocchi delle forniture o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori elettronici/meccanici o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore della pesatura automatica è ad alto livello tecnico: celle di carico costose, elettroniche avanzate, sistemi modulati, software proprietario, calibrazioni da eseguire, assistenza in campo, magazzino complesso e clienti che spesso pagano a 60–120 giorni. Basta un ritardo negli incassi per far saltare la liquidità.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con metodo.
Perché un’Azienda di Sistemi di Pesatura Automatica va in Debito
- aumento dei costi di celle di carico, indicatori, elettroniche, motori e hardware
- pagamenti molto lenti da parte di industrie, logistiche, alimentari e farmacologiche
- magazzino immobilizzato tra bilance, moduli, sensori, ricambi e software
- costi elevati di installazione, calibrazione, collaudi e assistenza tecnica
- investimenti in sviluppo software, firmware e affidabilità metrica
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
Il problema reale non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se non intervieni subito
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco dei fidi
- sospensione delle forniture di componenti critici
- decreti ingiuntivi, precetti, atti esecutivi
- sequestro di strumenti, celle, moduli e ricambi
- impossibilità di completare installazioni e verifiche di calibrazione
- perdita di clienti chiave e contratti ricorrenti
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può:
- sospendere pignoramenti già avviati
- bloccare richieste di rientro urgenti
- proteggere i conti correnti aziendali
- fermare le iniziative dell’Agenzia Riscossione
Prima si mette in sicurezza la tua azienda, poi si lavora sul debito.
2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti
Spesso emergono irregolarità che possono alleggerire drasticamente l’esposizione:
- interessi non dovuti
- sanzioni sbagliate o gonfiate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori dell’Agenzia Riscossione
- commissioni bancarie anomale
Una parte importante del debito può essere cancellata o ridotta.
3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile
Strumenti concreti:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi di rientro con fornitori strategici
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensione temporanea dei pagamenti
- accesso alle definizioni agevolate
4. Usare strumenti legali che bloccano TUTTI i creditori
Se la crisi è più avanzata la legge consente di attivare:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di Ristrutturazione dei Debiti
- Concordato Minore
- (nei casi estremi) Liquidazione Controllata
Questi strumenti bloccano completamente i creditori e permettono all’azienda di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda che opera nella pesatura industriale servono competenze tecniche e giuridiche specialistiche.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Un profilo ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende che lavorano con sistemi di pesatura automatica, dove precisione e continuità sono essenziali.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua esposizione debitoria
- sospensione urgente di pignoramenti e decreti ingiuntivi
- riduzione del debito non dovuto
- creazione di un piano di ristrutturazione sostenibile
- protezione di celle di carico, moduli, elettroniche e magazzino
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela completa dell’azienda e dell’amministratore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di sistemi di pesatura automatica non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia mirata, rapida e completamente legale, puoi:
- bloccare subito i creditori,
- ridurre davvero i debiti,
- salvare installazioni, collaudi e contratti,
- proteggere il futuro della tua impresa.
Agisci ora.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
la difesa e il rilancio della tua azienda possono iniziare oggi stesso.