Se la tua azienda produce, installa o distribuisce rulliere motorizzate, rulli folli, rulli con mototamburo, trasportatori a nastro, sistemi di movimentazione, automazioni per logistica, magazzini, imballaggio e linee produttive, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, devi intervenire immediatamente per evitare il blocco delle forniture e la perdita di commesse critiche.
Nel settore della movimentazione interna, un guasto o un ritardo nelle consegne può fermare l’intera logistica di un cliente, bloccare linee di confezionamento, generare ritardi nelle spedizioni e penali contrattuali.
Perché le aziende di rulliere motorizzate accumulano debiti
- aumento dei costi di acciaio, mototamburi, riduttori, elettronica e sensoristica
- rincari nei materiali importati e nei trasporti
- pagamenti lenti da parte di magazzini logistici, industrie e integratori di automazione
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con molte varianti di rulli, ricambi e componenti tecnici
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai volumi di produzione
- investimenti elevati in automazione, PLC, software, sicurezza e collaudi
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista l’intera situazione debitoria
- individuare quali debiti possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro non sostenibili che soffocano la liquidità
- richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
- proteggere rapporti con fornitori strategici (mototamburi, sensori, carpenterie)
- utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza bloccare la produzione
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di rulli, motori, elettronica e materiali essenziali
- impossibilità di rispettare tempi di consegna e installazioni
- perdita di clienti logistici, integratori e industrie
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina un team nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può supportarti concretamente nel:
- bloccare pignoramenti e procedure esecutive
- ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti legali più efficaci
- ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
- proteggere materiali, impianti, ricambi e continuità produttiva
- accompagnare la tua azienda verso un risanamento reale, evitando la chiusura
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Introduzione
Un’azienda manifatturiera specializzata in rulliere motorizzate (nastri e sistemi di movimentazione a rulli) può trovarsi improvvisamente schiacciata dai debiti. Che si tratti di esposizioni bancarie, cartelle esattoriali, contributi INPS non versati o fatture dei fornitori insolute, la crisi d’impresa impone decisioni rapide e informate. In Italia, la gestione di una situazione di insolvenza o sovraindebitamento aziendale è disciplinata dal nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), pienamente in vigore dal 2022 e aggiornato al 2025 . Questa guida avanzata – rivolta ad avvocati, imprenditori e privati coinvolti nella gestione di aziende indebitate – offre un quadro completo e aggiornato a ottobre 2025 delle strategie difensive a disposizione del debitore. Si adotta un linguaggio giuridico tecnico ma divulgativo, spiegando le norme italiane, le procedure legali e gli strumenti pratici per evitare il fallimento (ora liquidazione giudiziale), tutelare il patrimonio personale e aziendale, e gestire i debiti in modo ordinato. Verranno analizzati i diversi tipi di debito (bancari, fiscali, previdenziali, commerciali), i relativi rischi e rimedi, con riferimenti normativi puntuali, sentenze aggiornate e pronunce recentissime, nonché tabelle riepilogative, domande e risposte frequenti e simulazioni pratiche riferite al contesto italiano. L’ottica è sempre quella del debitore in difficoltà, per capire cosa fare per difendersi e come agire concretamente nel rispetto della legge.
Tipologie di debiti e rischi per l’azienda
Non tutti i debiti sono uguali: la natura del credito influisce sulle azioni che il creditore può intraprendere e sulle tutele di cui l’azienda debitrice può avvalersi. Esaminiamo le principali categorie di debito che un’azienda di rulliere motorizzate potrebbe aver accumulato – debiti bancari, fiscali, verso fornitori, previdenziali, ecc. – evidenziandone i rischi e le possibili contromisure dal punto di vista del debitore.
Debiti bancari e finanziari
Le esposizioni verso banche e finanziarie (mutui, finanziamenti, scoperti di conto, leasing su macchinari) rappresentano spesso la quota maggiore dell’indebitamento aziendale. Cosa rischia l’azienda debitrice? In caso di inadempimento, la banca può procedere alla risoluzione del contratto di finanziamento e all’escussione delle garanzie. Se il finanziamento è assistito da garanzie reali (es. ipoteche su capannoni o pegni su macchinari), l’istituto di credito può promuovere un’esecuzione forzata sui beni dati in garanzia: ad esempio, avviare un pignoramento immobiliare sull’immobile ipotecato o far vendere all’asta i macchinari dati in pegno. Se invece vi sono garanzie personali (fideiussioni) dei soci o dell’imprenditore, la banca potrà rivolgersi anche contro il patrimonio personale del garante, aggredendo i suoi beni personali (conti correnti, immobili, stipendio, ecc.). Va ricordato che la responsabilità dell’imprenditore individuale o dei soci illimitatamente responsabili (come nelle SNC) si estende ex lege ai debiti dell’azienda; al contrario, nelle società di capitali (Srl, Spa) vige la separazione patrimoniale, ma le fideiussioni prestate dai soci derogano a tale separazione, esponendo il loro patrimonio personale . Inoltre, l’azienda rischia la segnalazione a sofferenza in Centrale Rischi di Banca d’Italia, con impatto reputazionale e difficoltà future di accesso al credito.
Come difendersi? La parola chiave è negoziazione. Prima che il rapporto si deteriori irrimediabilmente, l’azienda dovrebbe dialogare con la banca per cercare un accordo di ristrutturazione del debito. Ciò può assumere forme diverse: ad esempio un piano di rientro concordato (ridistribuendo l’importo dovuto su rate più sostenibili), una moratoria temporanea delle rate, o persino un saldo e stralcio (estinzione anticipata a saldo di un importo ridotto, se la banca ritiene il credito difficilmente esigibile per intero). In un contesto di composizione negoziata della crisi, che approfondiremo più avanti, è possibile coinvolgere le banche in trattative assistite da un esperto indipendente al fine di ottenere la loro adesione a un piano di risanamento . Se l’esposizione è verso più banche (debiti bancari multipli), potrebbe rendersi necessario un accordo di più ampia portata (es. accordo di ristrutturazione con il 60% dei creditori finanziari ai sensi del CCII) o, in mancanza di adesione sufficiente, il ricorso a una procedura concorsuale come il concordato preventivo . Un vantaggio importante degli accordi omologati (sia accordi di ristrutturazione che concordato) è la protezione da azioni esecutive individuali e da istanze di fallimento durante le trattative e dopo l’omologazione: la legge prevede un automatic stay o misure protettive che bloccano le azioni dei creditori mentre si cerca una soluzione concordata. In sede di concordato preventivo, inoltre, eventuali ipoteche iscritte dalla banca la rendono creditore privilegiato; tuttavia la banca potrebbe subire una decurtazione del credito per la parte eventualmente chirografaria (non coperta dal valore del bene ipotecato) secondo le percentuali offerte nel piano di concordato. Dal lato pratico, è fondamentale evitare di provocare la banca (ad esempio evitando inadempienze protratte senza comunicazione): meglio affrontare subito il problema, magari con l’ausilio di un consulente legale/finanziario, e prospettare soluzioni prima che la banca attivi legali. Anche perché, una volta ottenuto un decreto ingiuntivo o una sentenza, la banca potrà procedere rapidamente con pignoramenti, riducendo il margine di manovra del debitore.
Debiti tributari con l’Agenzia delle Entrate
Un’azienda indebitata verso il Fisco (Irpef, Ires, Irap, IVA) deve fronteggiare poteri di riscossione particolarmente incisivi. In Italia, i debiti tributari vengono iscritti a ruolo e affidati all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER), che può notificare cartelle esattoriali e successivamente atti di precetto ed esecuzione forzata. Cosa rischia il debitore? L’AdER ha facoltà di attuare varie misure cautelari ed esecutive senza necessità di un giudizio ordinario: ad esempio, può iscrivere ipoteca sui beni immobili del debitore se il debito supera €20.000 , può procedere al fermo amministrativo di autoveicoli aziendali, o al pignoramento di conti correnti e crediti presso terzi (es. crediti verso clienti). In caso di debiti significativi, può scattare il pignoramento immobiliare: tuttavia, la legge offre una tutela speciale per la prima casa del debitore persona fisica quando il creditore è l’erario. In particolare, l’AdER non può pignorare la “prima casa” se sono soddisfatte tutte queste condizioni: l’immobile è l’unico di proprietà del debitore, è adibito a civile abitazione non di lusso (non accatastato A/8 o A/9) e costituisce la sua residenza anagrafica . Inoltre, la protezione si applica solo per debiti sotto una certa soglia: se il debito fiscale supera €120.000, anche la prima casa può essere pignorata dall’AdER . Al di fuori del caso “prima casa”, gli altri immobili dell’azienda o dell’imprenditore possono essere pignorati dall’AdER dopo che sia decorso un termine di 30 giorni dall’intimazione di pagamento e sia stata iscritta ipoteca da almeno 6 mesi (per debiti oltre €20.000) . Infine, l’Agente della riscossione può procedere al pignoramento presso terzi in modo molto rapido: ad esempio bloccando i saldi attivi sui conti correnti aziendali (ciò può paralizzare l’attività) o pignorando i crediti vantati dall’azienda verso i clienti (notificando ai clienti di pagare direttamente all’AdER le somme dovute all’azienda).
Come difendersi? Anche sul versante fiscale, la prima mossa è non restare inerti. L’ordinamento prevede possibilità di rateizzazione delle cartelle: se il debito è fino a €120.000 si può ottenere un piano di dilazione automatica fino a 72 rate (6 anni) presentando semplice istanza amministrativa; per importi superiori, si può richiedere una dilazione straordinaria fino a 120 rate (10 anni) provando una temporanea e grave difficoltà . Importante: ottenere la rateazione prima che parta un pignoramento consente di bloccare le azioni esecutive dell’AdER a condizione di rispettare il piano (la legge infatti vieta di iniziare o proseguire pignoramenti se è in corso e in regola un piano di dilazione). Inoltre, negli ultimi anni il legislatore ha varato strumenti di definizione agevolata (“rottamazione delle cartelle”): ad esempio la Rottamazione-quater 2023 ha consentito di estinguere i ruoli affidati fino al 30 giugno 2022 pagando solo l’imposta senza sanzioni né interessi. È bene verificare se esistono misure simili attive o in scadenza: aggiornato a ottobre 2025, dopo la Rottamazione-quater non risultano nuove finestra aperte, ma il debitore può tenersi informato su eventuali prossime iniziative legislative di sanatoria fiscale. Per debiti tributari molto ingenti e non sostenibili, la soluzione potrebbe risiedere in un accordo nell’ambito di una procedura concorsuale: ad esempio, presentando una proposta di transazione fiscale in sede di concordato preventivo o accordo di ristrutturazione, con cui si offre di pagare in parte i tributi (anche l’IVA e le ritenute, che ora possono essere falcidiate secondo la riforma del 2022) . Un’importante novità introdotta dal D.Lgs. 83/2022 (correttivo al CCII) e confermata dalla riforma 2024 è infatti la possibilità di trattare i debiti fiscali e previdenziali più liberamente nelle procedure di crisi: oggi il piano concordatario può prevedere il pagamento parziale di IVA e contributi, purché non inferiore a quanto il Fisco otterrebbe in caso di liquidazione . In aggiunta, grazie al D.Lgs. 136/2024 (Correttivo-ter), esiste ora anche la possibilità di raggiungere un accordo transattivo fiscale fuori dalle procedure concorsuali classiche, nel contesto della composizione negoziata: l’art. 23 comma 2-bis CCII consente all’imprenditore di formulare alle Agenzie fiscali e all’AdER una proposta di pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari (esclusi solo i tributi UE come dazi e parte dell’IVA) corredata da una relazione di un professionista indipendente che attesti la convenienza per l’Erario rispetto alla liquidazione . Se l’accordo viene approvato dagli enti e depositato in tribunale, il giudice ne autorizza l’esecuzione con decreto, rendendolo efficace e opponibile, a condizione che poi il debitore rispetti i pagamenti . Questo strumento, operativo da settembre 2024, offre una via intermedia per negoziare col Fisco evitando di passare subito per un concordato preventivo: in pratica, permette di tagliare e riscadenzare i debiti fiscali con il consenso delle autorità, ottenendo una “pace fiscale individuale” con valore legale. Da notare che, sebbene la composizione negoziata non sospenda automaticamente le azioni esecutive dei creditori, l’imprenditore può chiedere al tribunale misure protettive temporanee (ad es. il blocco dei pignoramenti da parte dell’AdER) durante le trattative . Infine, sul piano difensivo tecnico, è sempre doveroso valutare la legittimità delle cartelle e degli atti impositivi: fare ricorso contro una cartella illegittima o sprovvista di valida notifica può guadagnare tempo o annullare il debito. In sintesi, i debiti fiscali richiedono un approccio combinato: utilizzo degli strumenti di dilazione o definizione per congelare e ridurre il carico, e se necessario inserimento del debito tributario in un piano di ristrutturazione globale dell’azienda, negoziando col Fisco in maniera trasparente e proattiva.
Debiti previdenziali e verso i dipendenti
In una situazione di crisi, può accadere che l’azienda non riesca a versare con regolarità i contributi previdenziali obbligatori (es. contributi INPS dovuti per i dipendenti o per il titolare in caso di ditta individuale, contributi INAIL, ecc.). Inoltre potrebbero accumularsi debiti verso i dipendenti stessi, come stipendi arretrati, TFR non accantonato e altre spettanze. Queste categorie di debito presentano profili critici sia civili che – potenzialmente – penali.
Rischi e specificità: I contributi previdenziali non versati all’INPS vengono anch’essi iscritti a ruolo ed affidati all’Agente della Riscossione, comportando quindi i medesimi poteri esecutivi descritti per i debiti fiscali (ipoteca, pignoramenti, fermi amministrativi). In più, esistono soglie oltre le quali l’omesso versamento configura reato: il datore di lavoro che non versa le ritenute previdenziali trattenute ai dipendenti per un importo superiore a €10.000 annui, commette reato punibile con la reclusione fino a 3 anni (sotto tale soglia scatta invece una sanzione amministrativa pecuniaria). Ad esempio, se un’azienda non versa i contributi trattenuti dalle buste paga dei dipendenti e la somma supera 10.000 € nell’anno, il rappresentante legale rischia un procedimento penale per omesso versamento di ritenute previdenziali (art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983, convertito in L. 638/1983, come modificato dal D.Lgs. 8/2016). Allo stesso modo, stipendi e TFR non pagati possono portare a decreti ingiuntivi dei dipendenti e successivi pignoramenti. Inoltre, in caso di fallimento/liquidazione giudiziale dell’azienda, i dipendenti sono creditori privilegiati e possono attivare l’intervento del Fondo di Garanzia INPS per ottenere il TFR e gli ultimi stipendi impagati: il Fondo si sostituisce all’azienda insolvente, pagando i lavoratori e insinuandosi poi al passivo al loro posto. Tuttavia, se l’azienda non è (ancora) in procedura concorsuale, i lavoratori dovranno far valere i loro crediti attraverso azioni esecutive ordinarie. Il rischio reputazionale è notevole: morosità contributiva e verso i dipendenti può minare la fiducia del personale e dei sindacati, con possibili vertenze e mobilitazioni.
Come difendersi e rimediare: Sul piano previdenziale, l’INPS consente rateizzazioni dei debiti contributivi in modo analogo al Fisco. È possibile presentare istanza all’INPS per dilazionare il dovuto fino a 24 rate mensili (o più, in casi eccezionali autorizzati dal Ministero), evitando così misure esecutive se i pagamenti rateali sono puntuali. Anche le transazioni previdenziali rientrano nell’ambito della “transazione fiscale” nelle procedure concorsuali: ad esempio, in un concordato preventivo l’azienda può proporre di pagare parzialmente i contributi dovuti (la legge equipara i crediti contributivi ai tributari ai fini della falcidia). Nella composizione negoziata, la normativa 2024 menzionata sopra sembra riferirsi espressamente alle Agenzie fiscali e ad AdER per l’accordo transattivo , mentre i crediti degli enti previdenziali (INPS) potrebbero rientrare negli accordi di ristrutturazione tradizionali o essere oggetto di trattativa informale contestuale. In mancanza di basi normative esplicite per un “accordo transattivo” ad hoc con l’INPS fuori dal concordato, il debitore potrà comunque coinvolgere l’INPS nelle trattative della composizione negoziata, presentando piani di rientro e chiedendo contestualmente all’Agente della Riscossione la sospensione delle azioni esecutive (che tipicamente riguardano anche i contributi). Quanto ai dipendenti, è prioritario mantenere un dialogo aperto e sincero: se possibile, concordare con loro una dilazione nel pagamento degli arretrati, magari formalizzando un accordo sindacale o individuale (es. pagamento degli stipendi arretrati in più tranche, con l’impegno a saldare il dovuto entro una certa data). Un tale accordo non elimina la possibilità per i lavoratori di agire comunque in giudizio, ma se la relazione fiduciaria regge, può scongiurare vertenze immediate. Se l’azienda prevede di accedere a un concordato preventivo, i crediti dei dipendenti dovranno essere soddisfatti in prededuzione o comunque integralmente per le componenti di TFR e ultime retribuzioni dei 3 mesi precedenti (come richiede la legge), per cui occorre pianificarne la copertura nel piano. In ogni caso, va tenuto presente il possibile profilo penale: l’omesso versamento di ritenute previdenziali oltre soglia, come detto, è reato; inoltre il codice penale prevede il reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) se il datore si trattiene somme dovute ai dipendenti o all’Erario (ad esempio trattenute sindacali, o contributi dei dipendenti) distraendole a fini diversi. Dunque, anche per tutelare sé stessi, gli amministratori dovrebbero agire prontamente: chiedere consulenza al proprio consulente del lavoro per regolarizzare il più possibile le posizioni contributive (ad es. versando almeno parzialmente le ritenute entro l’anno di riferimento per non oltrepassare la soglia penalmente rilevante), e pianificare il soddisfacimento dei lavoratori – se necessario ricorrendo a strumenti straordinari (come un finanziamento ponte dedicato al pagamento stipendi, usufruendo del prededuzione se autorizzato dal tribunale in caso di concordato in bianco).
Debiti commerciali verso fornitori e altri creditori chirografari
Un’azienda in difficoltà potrebbe accumulare ritardi nei pagamenti ai fornitori di materie prime, ai fornitori di energia e servizi, ai subappaltatori, oppure verso altri creditori non garantiti (ad esempio consulenti, locatori dell’immobile aziendale per affitti arretrati, ecc.). Questi debiti chirografari (non privilegiati) espongono l’azienda a reazioni immediate: il fornitore insoddisfatto può sospendere ulteriori forniture (mettendo in crisi la produzione) e intraprendere vie legali per il recupero del credito. Strumenti tipici sono il decreto ingiuntivo – ottenibile dal fornitore in tempi rapidi se il credito è certo, liquido ed esigibile, spesso sulla base di fatture non contestate – e successivamente l’azione esecutiva (pignoramento) sui beni o sui conti aziendali. A differenza del Fisco, un creditore privato deve passare per il giudice per ottenere un titolo (ingiunzione o sentenza) prima di poter pignorare, ma una volta ottenuto il decreto ingiuntivo (provvisoriamente esecutivo) i tempi di azione sono brevi (20 giorni dopo la notifica, se non c’è opposizione, o immediatamente se il giudice ha concesso l’esecutorietà). Rischi per l’azienda debitrice: l’esecuzione da parte di fornitori può colpire le casse aziendali (pignoramento di conti correnti e crediti), e perfino i beni strumentali necessari all’attività (macchinari, automezzi) se i creditori mirano a pignorare beni mobili e attrezzature presenti in sede. La legge italiana tutela in parte i beni strumentali del debitore solo in casi molto limitati (ad es. gli strumenti indispensabili del mestiere del debitore persona fisica sono parzialmente impignorabili ai sensi dell’art. 515 c.p.c., ma per un’azienda ciò si applica in modo ristretto). Pertanto, un creditore munito di titolo può far pignorare macchinari e attrezzature e ottenerne la vendita all’asta, salvo che il debitore non reagisca in tempo.
Come difendersi? In primo luogo, gestire attivamente la crisi di liquidità con i fornitori: non lasciar passare mesi senza contatti. Meglio cercare di negoziare dilazioni o piani di rientro extragiudiziali: molti fornitori, pur di evitare le lungaggini e incertezze di un’azione legale, accettano un pagamento parziale immediato e la rateazione del resto. Un accordo transattivo stragiudiziale (possibilmente formalizzato per iscritto) può anche prevedere una rinuncia agli interessi di mora e una remissione di parte del debito (saldo e stralcio) se il fornitore teme di non ottenere di meglio da un’eventuale procedura concorsuale del debitore. Va però prestata attenzione: se si decide di pagare alcuni fornitori e non altri, esiste il rischio di incorrere, col senno di poi, in azioni revocatorie o contestazioni di pagamenti preferenziali in caso di successivo fallimento (i pagamenti effettuati nei sei mesi precedenti il fallimento a creditori chirografari possono essere revocati dal curatore se il creditore conosceva lo stato di insolvenza, art. 166 CCII già art. 67 L.F.). Dunque, è preferibile che eventuali accordi di pagamento avvengano nell’ambito di un piano di risanamento formalizzato o di una procedura negoziata, così da beneficiare di esenzioni dalla revocatoria . Ad esempio, i pagamenti eseguiti in esecuzione di un piano attestato di risanamento o di un accordo di ristrutturazione omologato non sono soggetti a revocatoria fallimentare (art. 166, co.3, lett. d CCII). Dal lato procedurale, se un fornitore ha già ottenuto un decreto ingiuntivo, l’azienda può presentare opposizione (entro 40 giorni dalla notifica) per guadagnare tempo, sollevando eventuali contestazioni (anche pretestuose, se necessario, purché non infondate in fatto) così da trasformare il recupero in un ordinario giudizio di cognizione più lungo. Ciò può dare respiro per cercare soluzioni di più ampio respiro (come un concordato preventivo). In caso di azioni esecutive già partite (pignoramento in corso), è possibile chiedere al giudice dell’esecuzione una sospensione se si prospetta un accordo o se emergono vizi; in parallelo, l’avvio di una procedura concorsuale da parte del debitore sospende automaticamente le esecuzioni in corso: la presentazione di una domanda di concordato preventivo comporta il cosiddetto automatic stay, così come la pubblicazione di una domanda di omologazione di accordo di ristrutturazione ha effetti protettivi sui creditori aderenti e sulla possibilità di misure protettive per gli altri . Un altro strumento contrattuale utile è la convenzione di moratoria (art. 62 CCII), accordo stipulato tra l’imprenditore e i creditori (rappresentanti almeno il 75% di una certa categoria) per dilazionare le scadenze: se firmato dalla maggioranza qualificata, vincola tutti i creditori della stessa categoria che abbiano avuto occasione di partecipare alla trattativa (ad esempio un gruppo di fornitori). Questo istituto, innovativo, consente di “congelare” temporaneamente i crediti di fornitori consenzienti per dare respiro all’impresa. In generale, dal punto di vista del debitore, frazionare il rischio è una strategia: evitare di accumulare troppi debiti verso un singolo fornitore strategico (per non rischiare che il suo eventuale ingiuntivo paralizzi l’attività bloccando forniture indispensabili) e, se un creditore minaccia cause, valutare di soddisfarlo almeno parzialmente. Infine, se vi sono molti fornitori insoddisfatti, può diventare inevitabile un approccio organico: ad esempio ricorrere a un concordato preventivo in continuità, in cui proporre il pagamento parziale dei debiti chirografari (tipicamente i fornitori) a fronte della prosecuzione dell’attività – evitando così la necessità di negoziare con ciascuno separatamente e superando l’impasse dei pochi eventualmente non disponibili.
Debiti bancari e tributari garantiti da fideiussioni o beni personali
Un caso particolare merita menzione: spesso l’imprenditore, i soci o soggetti terzi (es. società collegate) hanno prestato fideiussioni personali o garanzie ipotecarie su beni personali a garanzia dei debiti dell’azienda (soprattutto verso banche e talvolta verso fornitori strategici o il locatore dell’immobile aziendale). In tali casi, anche se l’azienda è una società di capitali, il patrimonio personale dei garanti è esposto. Rischi: il creditore, in caso di inadempienza dell’azienda, potrà escutere direttamente la garanzia. Ad esempio, se il socio ha ipotecato la propria casa a garanzia di un mutuo aziendale, la banca potrà iscrivere pignoramento e vendere la casa del socio garante, con le sole tutele previste per il debitore persona fisica (nel caso di ipoteca volontaria su casa di abitazione, non si applica il divieto di pignoramento prima casa, che vale solo per ipoteca esattoriale ). Parimenti, se c’è una fideiussione, il fideiussore è obbligato in solido e quindi aggredibile con le stesse modalità dell’azienda debitrice principale. Questo scenario implica che la tutela del patrimonio non può limitarsi al perimetro aziendale ma deve considerare strategie per proteggere i beni personali dei garanti.
Come difendersi? Le strategie includono: (i) Coinvolgere i garanti nelle trattative: ad esempio, in un accordo di ristrutturazione con la banca, far sottoscrivere anche al fideiussore l’accordo in modo che la rimodulazione del debito vincoli anche la sua obbligazione. Una rimodulazione del debito bancario omologata vincola infatti i creditori anche nei confronti dei coobbligati/fideiussori, salvo patto contrario . (ii) Considerare la possibilità di conversione del debito in strumenti partecipativi: ad esempio, se un socio ha prestato garanzie, potrebbe proporsi al creditore di escutere in cambio di quote societarie (strumento non comune ma previsto nell’ambito di alcuni piani di risanamento). (iii) Valutare strumenti di segregazione patrimoniale ante crisi: la costituzione di un fondo patrimoniale o di un trust per proteggere certi beni familiari. Attenzione però: tali atti, se compiuti quando già esistono debiti e difficoltà, possono essere facilmente revocati come atti in frode ai creditori (azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.). Ad esempio, la Cassazione 28593/2024 ha confermato che l’atto di costituzione di un fondo patrimoniale può essere revocato su istanza di un creditore, rendendo inefficace il vincolo di destinazione sui beni conferiti . Va però precisato che la revocatoria ha effetti relativi: la Suprema Corte ha chiarito che la revoca del fondo patrimoniale rende inopponibile il vincolo solo verso il creditore attore, ma non travolge gli eventuali atti di alienazione a terzi dei beni nel frattempo avvenuti . Ciò significa che se, ad esempio, il bene in fondo viene venduto a terzi prima del pignoramento, il creditore che ha revocato il fondo non può rivalersi sul terzo acquirente in buona fede. In sintesi, porre in essere trust o fondi patrimoniali “dell’ultima ora” è una mossa rischiosa e spesso inefficace, oltre a poter integrare gli estremi del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000) se il fine è evadere il Fisco. (iv) Infine, se i beni personali risultano comunque aggrediti dai creditori, l’unica via di difesa residua per la persona fisica garante potrebbe essere l’accesso a procedure di sovraindebitamento (si veda più avanti) o, in caso di fallimento dell’azienda, chiedere l’esdebitazione personale di ex socio/fideiussore fallito, ove applicabile.
Strumenti legali per evitare il fallimento e gestire la crisi
Quando i debiti diventano insostenibili e l’azienda si trova in stato di crisi o insolvenza, il diritto italiano offre una serie di strumenti – alcuni stragiudiziali (fuori dal tribunale), altri giudiziali (procedure concorsuali vere e proprie) – per regolare la crisi, evitando se possibile la soluzione peggiore, cioè la liquidazione fallimentare dell’impresa. L’obiettivo comune di questi strumenti è preservare la continuità aziendale quando c’è possibilità di risanamento, oppure gestire la liquidazione dei beni in modo ordinato e sotto controllo, con il corollario di liberare l’imprenditore dai debiti residui (fresh start). Di seguito presentiamo i principali istituti introdotti o riformati dal Codice della Crisi (CCII), evidenziando finalità, condizioni e benefici per il debitore.
Allerta interna e “adeguati assetti”
Prima di addentrarci nelle soluzioni vere e proprie, va menzionato che il CCII ha introdotto obblighi di prevenzione e allerta precoce della crisi. Ogni imprenditore collettivo ha il dovere di dotare la propria azienda di “assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi” (art. 2086 c.c., riformulato nel 2019). In sostanza, l’organo amministrativo deve attivare sistemi di monitoraggio della situazione finanziaria e indici di allerta (es.: indici di liquidità, sostenibilità dei debiti, ecc.), nonché procedere senza indugio a cercare soluzioni se emergono segnali di difficoltà . La mancata predisposizione di adeguati assetti costituisce una grave irregolarità che può giustificare anche provvedimenti come la revoca degli amministratori (Tribunale di Milano, decreto 29.2.2024) . Inoltre, se l’impresa ha organi di controllo (sindaci, revisori), questi hanno l’obbligo di segnalare per primi agli amministratori l’esistenza di fondati indizi di crisi. Il sistema di allerta esterna (segnalazioni da creditori pubblici qualificati come Agenzia Entrate, INPS, ecc.) previsto dal CCII non è ancora attivo al 2025 – essendo stato rinviato e in fase di revisione – ma rimane in vigore l’obbligo per sindaci e revisori di attivarsi. Per il debitore, tutto ciò si traduce in un principio chiaro: muoversi tempestivamente. Se si ignorano i segnali di crisi e si continua l’attività “come nulla fosse”, si rischia di aggravare il dissesto e incorrere in responsabilità per mala gestio. La regola d’oro emersa anche dalla giurisprudenza recente è che, una volta che il passivo eccede l’attivo, il patrimonio sociale è virtualmente dei creditori e gli amministratori devono evitare di compiere nuove operazioni che aggravino la situazione . In altre parole, chi dirige un’azienda in rosso deve adottare una gestione “conservativa” mirata a non peggiorare il deficit, oppure attivare subito strumenti di risanamento. La Cassazione penale ha peraltro affermato che l’amministratore che continua ad operare accumulando debiti fiscali senza prospettive può rispondere di bancarotta o altri reati (v. oltre) . Dunque l’allerta è sia un dovere che una tutela: prima si interviene (ad esempio nominando un esperto nella composizione negoziata, infra), più strumenti saranno disponibili e maggiori le chance di evitare la fine ingloriosa della liquidazione giudiziale.
Composizione negoziata della crisi d’impresa
La Composizione Negoziata della Crisi (CNC) è uno strumento stragiudiziale assistito introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora disciplinato nel CCII (artt. 12-25 quinquies CCII), concepito per favorire il risanamento delle imprese in difficoltà prima di dover ricorrere a procedure concorsuali. Si tratta di un percorso volontario: l’imprenditore in stato di crisi o a rischio insolvenza può chiedere tramite piattaforma telematica la nomina di un esperto indipendente (iscritto in un apposito albo) che lo assista nel tentativo di trovare un accordo con i creditori . La composizione negoziata è riservata a imprenditori commerciali e agricoli, di qualsiasi dimensione (a differenza delle vecchie procedure di allerta, non vi sono soglie di accesso). Una volta nominato, l’esperto analizza la situazione aziendale e, insieme all’imprenditore, elabora possibili soluzioni. Vantaggi per il debitore: la procedura è riservata (non è pubblica nei registri fino a eventuale richiesta di misure protettive o conclusione con accordo), consente di mantenere la gestione dell’impresa in capo all’imprenditore (l’esperto ha solo poteri di facilitazione e monitoraggio) e permette di usufruire di taluni benefici di legge. Tra questi, su istanza dell’imprenditore il tribunale può concedere misure protettive temporanee: tipicamente, il blocco delle azioni esecutive e cautelari dei creditori per la durata delle trattative (in genere 4 mesi, prorogabili) . Ciò offre un “ombrello” simile all’automatic stay del concordato, ma ottenuto in sede stragiudiziale. Durante la composizione negoziata, l’imprenditore conserva l’amministrazione, ma per atti di straordinaria amministrazione deve avere l’assenso dell’esperto o del tribunale, a tutela dei creditori. Il fine ultimo è trovare una soluzione di risanamento che può assumere varie forme: accordi stragiudiziali bilaterali o plurilaterali, piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione del debito o anche un concordato preventivo. L’art. 23 CCII elenca tutte le possibili soluzioni a cui l’imprenditore può accedere durante o al termine delle trattative : ad esempio, concludere contratti con singoli creditori per proseguire l’attività (anche nuovi finanziamenti, che godono di protezione dai fallimenti futuri ex art. 25-bis CCII), stipulare convenzioni di moratoria con categorie di creditori, sottoscrivere un accordo di ristrutturazione semplificato con l’esperto, predisporre un piano attestato o depositare domanda di concordato preventivo (anche nella forma speciale semplificata di cui infra). La composizione negoziata è quindi un “contenitore” flessibile entro il quale può maturare la migliore via d’uscita. Se le trattative hanno successo, il risultato può essere un accordo stragiudiziale che, grazie alla presenza dell’esperto, gode di alcune protezioni legali: l’accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori aderenti e dall’esperto, se il piano è coerente con la regolazione della crisi, produce effetti di esenzione da revocatoria (art. 166 c.3 lett. d CCII) e altre tutele . In alternativa, l’imprenditore può chiedere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII con maggioranza ridotta al 60% (anziché 75%) se l’accordo nasce dalla negoziazione . Oppure, se emerge che la continuità non è salvabile, può depositare concordato semplificato per la liquidazione. Va sottolineato che la composizione negoziata offre anche incentivi fiscali: l’art. 25-bis CCII prevede misure premiali come riduzione degli interessi legali sulle imposte durante le trattative, riduzione delle sanzioni al minimo se si paga il dovuto, dimezzamento di interessi e sanzioni sui debiti fiscali antecedenti, possibilità di rateizzare imposte non a ruolo fino a 120 mesi, nonché benefici tributari tipici dei concordati (esonero tassazione sopravvenienze da stralcio e note di variazione IVA) . Queste agevolazioni hanno lo scopo di alleggerire il carico fiscale durante il risanamento. Quando attivare la CNC? Il prima possibile, quando si ha anche solo il “sospetto” di avviarsi verso uno stato di crisi, ma l’azienda ha ancora margini di recupero. Ad esempio, se la nostra azienda di rulliere motorizzate vede calare il fatturato e accumula ritardi con banche e fornitori, ma ha ordini prospettici e un core business valido, la composizione negoziata può offrire la regia per ristrutturare debiti e magari reperire nuova finanza con la supervisione di un esperto. Dal punto di vista del debitore, non vi sono controindicazioni rilevanti: la procedura è riservata finché non si chiedano pubblicamente le misure protettive, e anche in quel caso la pubblicità è limitata. Unico rischio è il costo (l’esperto va pagato secondo tariffe ministeriali, ma è un costo modesto rispetto ai benefici) e il dover mettere a nudo i problemi aziendali di fronte a un terzo (ma è per un fine costruttivo). In caso di esito infruttuoso, l’esperto chiuderà la procedura con una relazione finale (che potrebbe essere poi letta dal tribunale in caso di procedure successive), ma il debitore avrà comunque guadagnato tempo e tentato il possibile, il che in sede di eventuale fallimento successivo è visto con maggior indulgenza.
Va infine ricordata la novità già citata: durante la CNC il debitore può concludere anche l’accordo transattivo fiscale ex art. 23 co.2-bis CCII , un meccanismo che arricchisce la composizione negoziata rendendola capace di risolvere anche il nodo dei debiti tributari fuori dal tribunale. Questo ulteriore strumento è entrato in vigore dal 28 settembre 2024 , segno di un continuo affinamento della normativa per rendere la gestione negoziata della crisi sempre più efficace.
Conclusione sulla CNC: la composizione negoziata è ormai il primo strumento consigliato al debitore in difficoltà che voglia evitare il fallimento e tentare un salvataggio della propria impresa. Se condotta correttamente, essa può condurre a esiti soddisfacenti (risanamento o accordi) oppure, nella peggiore delle ipotesi, preludere a una liquidazione più ordinata (tramite concordato semplificato) anziché a un caotico collasso. Gli amministratori che la attivano tempestivamente adempiono ai propri doveri e mettono in sicurezza sé stessi da accuse di inerzia .
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)
Il Piano Attestato di Risanamento è uno strumento stragiudiziale puro, già previsto dalla legge fallimentare (art. 67 co.3 lett. d L.F.) e ora regolato dall’art. 56 CCII. Consiste in un piano di risanamento aziendale predisposto dall’imprenditore in accordo coi propri creditori, accompagnato da una relazione di un professionista indipendente che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. Il piano può prevedere qualsiasi misura idonea a riequilibrare la situazione finanziaria: ristrutturazione dei debiti (allungamento scadenze, riduzioni), cessione di beni, nuova finanza, ricapitalizzazione, etc., concordata privatamente con i creditori coinvolti. Non richiede percentuali minime di adesione: è un accordo contrattuale, quindi vincola solo i creditori che vi aderiscono volontariamente (si cerca in pratica il 100% dei principali creditori, ma non è omologato da un giudice). Qual è il vantaggio allora? Il beneficio principale sta nelle protezioni legali che il legislatore gli riconosce per incentivarne l’uso: anzitutto, le azioni revocatorie fallimentari non colpiscono gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato . Ciò significa che, se poi l’azienda malauguratamente fallisse, il curatore non potrebbe chiedere indietro ai creditori le somme ricevute secondo il piano (cosa che invece accadrebbe per pagamenti preferenziali fatti fuori da un piano). Inoltre, la giurisprudenza ha spesso considerato che un piano attestato tempestivo, se fondato su dati veritieri, possa escludere la responsabilità degli amministratori per aggravamento del dissesto: in altre parole, chi adotta un piano di risanamento certificato sta diligentemente provando a evitare la crisi, dunque difficilmente sarà accusato di mala gestione in quegli atti. Un altro vantaggio è la riservatezza: il piano non viene reso pubblico (a differenza di un concordato) e l’azienda evita lo stigma di una procedura concorsuale. Naturalmente, mancando l’omologazione, il piano attestato non impone sacrifici ai creditori dissenzienti: occorre convincere ogni singolo creditore essenziale a partecipare. Per questo i piani attestati funzionano meglio quando il numero di creditori è ristretto e gestibile (tipicamente: ristrutturazioni bancarie bilaterali o con pochi istituti). Esempio: la nostra azienda di rulliere motorizzate ha debiti soprattutto verso 2 banche principali e 3 fornitori strategici; concorda privatamente con loro un pacchetto di interventi (ad es. le banche prorogano i mutui di 5 anni e rinunciano a metà degli interessi, i fornitori accettano il pagamento del 80% in 12 mesi) e redige un piano economico-finanziario che dimostra la sostenibilità; un esperto indipendente (ad es. un commercialista) valida il piano con relazione. In questo modo, l’azienda può attuare il risanamento con il consenso informale di questi creditori chiave. Nota: il professionista attestatore assume un ruolo delicato e deve essere indipendente e iscritto nel registro gestito dal Ministero. Un piano con attestazione “compiacente” è molto rischioso: se i dati non sono veritieri o la fattibilità è fantasiosa, potrebbero emergere responsabilità anche penali (falso in attestazioni) e, in caso di fallimento, i creditori danneggiati potrebbero citare in responsabilità sia l’attestatore che gli amministratori. Dunque il piano attestato va usato con serietà, per soluzioni fondate. In sintesi, il piano attestato è lo strumento di ristrutturazione extragiudiziale per eccellenza: flessibile, rapido, poco costoso (non c’è procedura, solo costi di consulenti), ma richiede la cooperazione dei creditori e non offre protezione automatica contro azioni esecutive (salvo eventualmente chiedere misure protettive temporanee attraverso la composizione negoziata, che può includere un piano attestato come esito). Spesso viene preferito quando l’impresa è in crisi incipiente, i creditori hanno fiducia e c’è volontà comune di evitare tribunali.
Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)
L’Accordo di Ristrutturazione dei Debiti (ADR) è una via di mezzo tra il piano attestato e il concordato: è un accordo volontario con i creditori, ma richiede l’omologazione del tribunale per diventare efficace e vincolante. Per presentare istanza di omologazione, l’imprenditore deve aver raggiunto un accordo con una percentuale qualificata di creditori: almeno il 60% dei crediti totali (il CCII, art. 61, conferma la soglia che già era 60% nell’art. 182-bis L.F.). I creditori che aderiscono sottoscrivono l’accordo sul piano di ristrutturazione proposto; i creditori non aderenti rimangono estranei (non sono forzosamente inclusi), salvo che l’accordo preveda di estenderne gli effetti a determinate categorie omogenee di creditori dissenzienti – meccanismo introdotto dal CCII come accordo ad efficacia estesa (ad es., se il 75% dei creditori finanziari aderisce, l’accordo può essere esteso anche al 25% non aderente, purché siano banche/finanziarie e abbiano trattamento uniforme ). Il tribunale, valutato che l’accordo assicura l’integrale pagamento dei creditori estranei nei 120 giorni dalla scadenza naturale o dall’omologazione (come da norma) e che il piano è fattibile, omologa l’accordo, rendendolo efficace erga omnes. I creditori aderenti sono vincolati a quanto pattuito (spesso si tratta di riduzione parziale dei crediti o dilazioni significative), mentre i creditori estranei restano liberi di essere pagati secondo le scadenze originarie, ma di fatto beneficiano indirettamente del risanamento. Vantaggi dell’ADR per il debitore: anzitutto, l’accordo omologato, analogamente al concordato, protegge le operazioni compiute: i pagamenti e le garanzie concessi in esecuzione dell’accordo omologato non sono soggetti a revocatoria . Inoltre, dalla pubblicazione della domanda di omologazione, il debitore può chiedere al tribunale misure cautelari e protettive, come il blocco o la sospensione delle azioni esecutive dei creditori estranei fino all’omologa (massimo 4 mesi). Un ulteriore beneficio è che l’accordo una volta omologato impedisce ai creditori (anche estranei) di presentare istanza di fallimento contro il debitore: l’azienda rimane al riparo da aggressioni fintanto che rispetta l’accordo. Rispetto al concordato, l’ADR è più rapido e snello: non c’è un voto formale dei creditori in procedura, perché il consenso è raccolto prima; l’udienza di omologazione verifica solo la percentuale raggiunta e la regolarità. Inoltre, non richiede l’assenso di tutti i creditori: è fattibile anche se una minoranza è contraria (basta il 60% di adesioni, e i contrari vengono pagati per intero fuori accordo). Limiti e condizioni: proprio perché tutela i non aderenti, l’accordo è spesso utilizzabile quando l’indebitamento è concentrato su pochi creditori principali disponibili a un’intesa, e vi è liquidità sufficiente per assicurare il pagamento integrale degli altri nei termini di legge. Se invece l’azienda non è in grado di pagare il 100% dei dissenzienti, occorrerà il concordato (dove anche i dissenzienti possono essere falcidiati con approvazione a maggioranza). Esistono varianti speciali: gli accordi agevolati (art. 60 CCII) riducono al 30% la soglia se il debitore offre ai non aderenti almeno il 30% del dovuto in tempi brevi – figura tuttavia poco utilizzata; gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa verso creditori finanziari o fornitori di beni/servizi essenziali, come accennato, con soglie al 75% in quella categoria (ridotte a 60% se l’accordo segue una composizione negoziata ). In tutti i casi serve l’attestazione di un professionista sulla veridicità dei dati e fattibilità del piano (è un requisito di ammissibilità). In pratica, l’ADR è molto usato per ristrutturare i debiti con le banche: se si ottiene l’accordo con la maggioranza delle banche esposte, il tribunale estende gli effetti anche alla minoranza eventualmente dissenziente (c.d. cram-down settoriale introdotto dal CCII). Ad esempio, se la nostra azienda ha 5 banche finanziatrici e 3 accettano la proposta (rappresentando diciamo il 70% dell’esposizione bancaria) e 2 no, l’accordo ad efficacia estesa consente di imporlo anche alle 2 dissenzienti, evitando che facciano azioni separate, purché sia garantito loro un trattamento non deteriore. Conclusione sull’ADR: è lo strumento ideale quando c’è sostegno della maggior parte dei creditori rilevanti. Offre un compromesso: evita la procedura lunga del concordato, ma dà certezza legale con l’omologazione. Dal lato del debitore, comporta comunque trasparenza (la domanda è pubblica, sebbene meno impattante del concordato) e necessita di un piano robusto e negoziato in anticipo. Spesso l’ADR viene utilizzato come evoluzione di un piano attestato che non riesce a ottenere il 100% di adesioni ma magari l’80%: per consolidare quell’80% e chiudere la partita, si fa omologare come ADR, gestendo i pochi creditori restanti a parte.
Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII)
Il Concordato Preventivo è la procedura concorsuale giudiziale più nota e completa attraverso cui l’imprenditore in stato di crisi o insolvenza propone ai creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti sotto il controllo del tribunale. A differenza degli strumenti visti finora, qui tutti i creditori sono coinvolti (non solo volontariamente aderenti) e vincolati dall’esito, secondo un meccanismo di voto a maggioranza e successiva omologazione giudiziaria. Il concordato può avere due anime: concordato in continuità aziendale se l’impresa prosegue, direttamente o indirettamente (es. affitto d’azienda), e i creditori sono soddisfatti col flusso di cassa generato dall’attività in esercizio; oppure concordato liquidatorio se prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione del patrimonio con ripartizione del ricavato ai creditori . Il CCII ha mantenuto questa distinzione sostanziale, prevedendo però requisiti diversi: nel concordato liquidatorio puro è richiesto un apporto di risorse esterne tale da assicurare almeno il 20% di soddisfo ai chirografari (creditori senza privilegio) , mentre nel concordato in continuità non c’è soglia minima ma è necessario dimostrare che il piano non sia peggiorativo per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria (principio del miglior soddisfacimento). Il procedimento di concordato è complesso: il debitore può presentare un ricorso prenotativo (c.d. concordato “in bianco”), ottenendo dal tribunale un termine (dal 60 ai 120 giorni) per presentare il piano e la proposta definitiva, durante il quale beneficia dell’automatic stay (blocco azioni esecutive) . Nominato un commissario giudiziale e depositato il piano, questo viene sottoposto a voto dei creditori suddivisi in classi (se vi sono classi) o categorie. Serve il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (calcolata per classi o, in mancanza di classi, sul totale). Se approvato (o imposto con cram-down in certi casi previsti), il tribunale omologa il concordato dichiarando i crediti definiti secondo la proposta. Vantaggi per il debitore: è l’unica via per imporre un sacrificio anche a creditori dissenzienti, compresi quelli privilegiati (che, se il piano lo prevede, possono essere soddisfatti parzialmente in deroga alla regola della priorità, purché si rispettino certe condizioni di legge e di equilibrio tra classi). In altre parole, tramite il concordato il debitore può tagliare il debito in modo unilaterale, nel senso che basta la maggioranza: per questo è lo strumento principe quando il debito è troppo diffuso per trovare un accordo consensuale unanime. Inoltre, la procedura offre al debitore protezione totale dalle azioni individuali: dal decreto di ammissione al concordato (o dalla pubblicazione della domanda con riserva) nessun creditore può iniziare o proseguire pignoramenti o ipoteche, e quelli in corso vengono sospesi (art. 54 CCII). L’azienda può quindi operare in un quadro di moratoria legale, eventualmente sotto la supervisione del commissario, per tentare il risanamento. Nel concordato in continuità, l’imprenditore rimane di regola in possesso dei beni (DIP – debtor in possession), salvo atti di straordinaria amministrazione che richiedono autorizzazione. Nel concordato liquidatorio, invece, spesso si prevede la nomina di liquidatori che vendono i beni. In entrambi, ma soprattutto nel liquidatorio, la conclusione positiva porta alla esdebitazione del debitore (specie se imprenditore persona fisica): significa che, una volta eseguito il concordato, l’imprenditore è liberato dai debiti residui non soddisfatti secondo la falcidia concordataria. Questo fresh start è fondamentale per poter ripartire senza l’ombra dei vecchi debiti. Costi e oneri: di contro, il concordato è procedura pubblica, lunga (dura diversi mesi se non anni nelle esecuzioni dei piani) e costosa (ci sono spese di giustizia, compensi dei commissari e liquidatori, ecc.). Richiede la maggioranza dei creditori: se la proposta non è abbastanza conveniente, i creditori potrebbero bocciarla, col risultato di aggravare la situazione (post-voto fallimento praticamente certo). Quindi è un’arma da usare con preparazione meticolosa. La legge punisce anche eventuali abusi: ad esempio, se si presenta un concordato manifestamente inidoneo al risanamento al solo scopo di prendere tempo e bloccare i creditori, il tribunale può dichiarare inammissibile la domanda e ciò spiana la strada al fallimento. Inoltre, durante il concordato, l’impresa deve rispettare regole di condotta e trasparenza: non può pagare creditori anteriori al di fuori del piano, né aggravare la sua posizione.
Novità del CCII: il nuovo codice, recependo la Direttiva UE 2019/1023, ha introdotto un particolare tipo di concordato in continuità detto Piano di Ristrutturazione Oggetto di Omologazione (PRO), disciplinato dall’art. 64-bis CCII . Questo strumento consente di derogare alla parità di trattamento fra creditori suddividendoli in classi con trattamenti differenziati, purché tutte le classi votino a favore. In pratica, il PRO è un concordato “a classi consensuali”: se il debitore riesce a convincere ogni singola classe (composta omogeneamente, ad es. fornitori chirografari in una classe, banche in un’altra) ad approvare, può realizzare un piano molto flessibile, anche non rispettando certe rigidità (come la soglia 20% ai chirografari se liquidatorio) . Tuttavia, basta il dissenso di una classe per far saltare il PRO; pertanto è una soluzione di nicchia, applicabile quando c’è larga condivisione tra creditori ma si vuole sfruttare il “contenitore” concordatario per avere effetti verso terzi e clausole di esdebitazione.
Un’altra importante introduzione è il Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) . Si tratta di una procedura riservata al caso in cui la composizione negoziata sia fallita senza trovare accordo, ma l’imprenditore intenda comunque evitare il fallimento offrendo ai creditori una liquidazione sotto controllo giudiziale. La peculiarità è che non c’è voto dei creditori: il debitore propone un piano liquidatorio e un tribunale può omologarlo direttamente, se lo ritiene più vantaggioso del fallimento, anche senza il consenso dei creditori. Il concordato semplificato è dunque una “exit strategy” rapida: niente adunanza dei creditori, niente commissario (di solito), il tribunale decide. Ovviamente i creditori possono opporsi e far presente le loro ragioni, ma non serve maggioranza deliberativa. Questa scorciatoia, introdotta in via sperimentale nel 2021 e ora assorbita nel CCII, serve ad accelerare la chiusura della crisi quando l’esercizio provato di composizione non ha prodotto soluzioni. Per il debitore è utile perché consente di evitare il marchio di fallito e di gestire la liquidazione con un proprio piano (ad esempio vendendo l’azienda in blocco a un prezzo concordato, soluzione spesso più efficiente). Resta però un’opzione subordinata al tentativo negoziato: non si può accedere direttamente a concordato semplificato senza aver prima fatto la composizione negoziata.
Il punto di vista del debitore sul concordato: dev’essere visto come l’ultima spiaggia attiva. Se la situazione è recuperabile in continuità, il concordato in continuità è uno strumento potente per ristrutturare anche pesantemente il debito (tagli importanti alle pretese dei creditori) mantenendo viva l’azienda. Molte aziende sono risorte da un concordato, magari con nuovi investitori. Se invece l’azienda è decotta, il concordato liquidatorio può almeno permettere una liquidazione controllata e più dignitosa, con la prospettiva dell’esdebitazione finale e salvaguardando ad esempio marchi o asset che possono essere ceduti a migliore profitto rispetto a quanto farebbe un curatore in fallimento. Dal 2022 i numeri dei concordati preventivi in Italia sono in aumento, complice la fine delle misure emergenziali: nei primi 8 mesi del 2024 le aperture di liquidazioni giudiziali sono aumentate del 16% rispetto al 2023 , segno che molte imprese ora ricorrono a tali procedure. Un debitore informato può cercare di governare il processo andando in concordato preventivo prima che un creditore lo trascini in liquidazione giudiziale, guadagnando l’iniziativa.
Strumenti per la crisi di imprese minori e sovraindebitamento
Non tutte le imprese accedono alle procedure sopra descritte: le imprese minori (quelle tradizionalmente “non fallibili” per dimensioni) e i soggetti non fallibili (privati cittadini, professionisti, start-up innovative, imprenditori agricoli fuori soglia) hanno a disposizione procedure ad hoc note come procedure di sovraindebitamento, oggi raccolte nel CCII (artt. 65-91 per il concordato minore e artt. 268-277 per la liquidazione controllata, più l’esdebitazione del sovraindebitato incapiente art. 278).
Per un imprenditore sotto-soglia (piccola impresa commerciale che nei tre esercizi precedenti non ha superato almeno uno dei parametri dell’art. 2 CCII, ex art. 1 L.F.: attivo di €300.000, ricavi di €200.000, debiti di €500.000), oppure per un imprenditore agricolo o una persona fisica non imprenditore, lo strumento principale è il Concordato minore. Si tratta di un concordato simile al preventivo ma semplificato e pensato per i sovraindebitati: non vi è soglia del 20% per i chirografari neanche se liquidatorio (basta offrire qualunque utilità ai creditori, anche prospettica), la proposta è valutata dal tribunale con l’ausilio di un Gestore della crisi nominato dall’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) . I creditori vengono convocati dall’OCC e si esprimono, con maggioranza del 50% dei crediti ammessi per approvare. Il vantaggio per il debitore minore è che i costi sono ridotti e la procedura più snella, inoltre c’è un approccio più “sociale”: ad esempio, nel concordato minore il tribunale può omologare anche in mancanza di voto se ritiene la proposta conveniente e l’opposizione dei creditori è pretestuosa (c.d. cram-down giudiziale). Lo scopo è dare chance di risanamento o liquidazione onorevole anche a chi non ha accesso al concordato grande.
Se invece non c’è possibilità né volontà di concordato, l’imprenditore minore (o il consumatore, professionista etc.) può optare per la Liquidazione controllata del sovraindebitato (erede dell’istituto della liquidazione del patrimonio ex L.3/2012). Qui siamo di fatto in un fallimento minore: il debitore mette a disposizione tutti i suoi beni (salve le eccezioni di legge, es. stipendio in parte, beni impignorabili) e un Liquidatore nominato dall’OCC li vende e ripartisce il ricavato tra i creditori. L’apertura della liquidazione controllata produce effetti simili al fallimento: spossessamento del debitore dai beni, cristallizzazione dei debiti, sospensione delle azioni esecutive, ecc., ma con formalità minori. Per il debitore, la convenienza sta nella sicura esdebitazione finale: al termine, egli ottiene la cancellazione dei debiti residui non soddisfatti (tranne alcune eccezioni come debiti alimentari o da dolo). Anzi, l’art. 278 CCII introduce la possibilità di esdebitazione immediata dell’incapiente: se il debitore persona fisica non ha nessun patrimonio liquidabile (il cosiddetto nullatenente), può chiedere comunque al tribunale di essere liberato dai debiti immediatamente, impegnandosi per 4 anni a versare ai creditori solo eventuali sopravvenienze reddituali oltre una certa soglia . Questa norma di fresh start “gratuito” riconosce che un debitore meritevole ma sfortunato non deve restare a vita schiacciato dai debiti senza via d’uscita. Ad esempio, se l’ex titolare dell’azienda di rulliere motorizzate ha chiuso l’attività, venduto tutto e rimane con un monte debiti verso Fisco e fornitori impossibile da pagare, potrebbe accedere a liquidazione controllata (se ha qualcosa da liquidare) oppure, se proprio non possiede nulla di rilevante, chiedere l’esdebitazione da incapiente, venendo esonerato dai debiti pregressi .
Il punto centrale per il piccolo debitore: le procedure di sovraindebitamento offrono soluzioni tagliate su misura per i casi in cui il fallimento tradizionale non si applica. Il CCII ha ampliato la platea, includendo anche le associazioni e fondazioni e i soci illimitatamente responsabili già escussi. Quindi, se l’azienda di rulliere motorizzate fosse ad esempio una ditta individuale sotto soglia, l’imprenditore potrebbe presentare un piano del consumatore (se i debiti sono prevalentemente personali e non d’impresa) o un concordato minore (se d’impresa) per offrire ai creditori un pagamento parziale con i flussi che potrà generare, mantenendo l’attività artigianale. Queste procedure richiedono la meritevolezza del debitore (non deve aver colposamente causato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave, pena inammissibilità), quindi conviene tenere una condotta corretta (niente atti in frode) per potervi accedere.
In definitiva, per il debitore sovraindebitato, il consiglio è di rivolgersi a un OCC o a un professionista esperto appena i debiti diventano ingestibili: la legge offre ora un ventaglio di soluzioni per dare una seconda chance, senza aspettare l’intervento punitivo dei creditori.
Riepilogo strumenti di gestione della crisi d’impresa
Di seguito, una tabella riepilogativa dei principali strumenti, con la loro natura, finalità e requisiti di consenso, per avere un quadro comparativo immediato:
| Strumento | Natura (giudiziale/stragiud.) | Finalità | Consenso dei creditori |
|---|---|---|---|
| Composizione negoziata (artt. 12-25 CCII) | Procedura stragiudiziale assistita da esperto | Risanare l’impresa con accordi volontari e/o preparare accesso a procedure | Volontario: nessun voto formale; accordi su base negoziale con chi aderisce. Misure protettive possibili dal tribunale. |
| Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) | Accordo privato con attestazione professionale | Ristrutturazione extragiudiziale con protezione da revocatorie | Integrale: necessario accordo con tutti i creditori coinvolti nel piano (contratto). Nessun coinvolgimento di terzi dissenzienti. |
| Accordo di ristrutturazione (artt. 57-64 CCII) | Accordo omologato dal tribunale (semi-concorsuale) | Ristrutturazione con efficacia legale e protezione per il debitore (stop azioni, esenzioni revocatorie) | 60% di adesioni sul totale dei crediti (salvo accordi speciali). Non aderenti: devono essere pagati integralmente (salvo efficacia estesa a categorie al 75%). |
| Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII) | Procedura concorsuale giudiziale completa | Risanamento in continuità o liquidazione concordata, con esdebitazione finale | Voto dei creditori: maggioranza per classi o categorie. Cram down possibile se requisiti. Omologazione del tribunale necessaria (può superare dissensi minoranze). |
| Concordato semplificato (art. 25-sexies CCII) | Procedura concorsuale speciale senza voto creditori | Liquidazione rapida post-composizione negoziata (evita fallimento) | Nessun voto: il tribunale decide sull’omologa, sentiti i creditori, valutando convenienza rispetto al fallimento. |
| PRO – Piano ristrutturazione omologato (art. 64-bis CCII) | Procedura concorsuale flessibile (deroga parità trattamento) | Ristrutturazione con accordo di tutte le classi di creditori (aderenza a Dir. UE) | Unanimità di classi votanti: tutte le classi di creditori devono approvare (maggioranza di credito in ciascuna classe). Omologazione confermativa finale. |
| Liquidazione giudiziale (artt. 121-270 CCII) | Procedura concorsuale liquidatoria (ex fallimento) | Liquidazione del patrimonio con spossessamento, chiusura dell’impresa | N/A: procedimento avviato d’ufficio o su istanza creditori, senza consenso del debitore. Creditori non votano, soddisfo secondo prelazioni. |
| Concordato minore (artt. 74-83 CCII) | Procedura concorsuale minore (sovraindebitamento) | Regolazione crisi di piccoli imprenditori, professionisti, consumatori etc., con eventuale continuità o liquidazione | Voto creditori: maggioranza semplice (50% crediti). Possibile omologa forzata se proposta conveniente anche senza maggioranza. |
| Liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII) | Procedura concorsuale minore (sovraindebitamento) | Liquidazione giudiziale per sovraindebitati non fallibili, con esdebitazione finale | N/A: procedura avviata su ricorso debitore o creditore, nessun voto. Liquidatore nominato dall’OCC, riparto tra creditori secondo prelazioni. |
Tabella 1 – Panoramica sintetica dei principali strumenti di regolazione della crisi d’impresa (CCII).
Evitare la liquidazione giudiziale (“fallimento”) e tutelare il patrimonio
Il denominatore comune di tutti gli strumenti fin qui esaminati è l’obiettivo di evitare la liquidazione giudiziale, ossia il fallimento in senso stretto (ora denominato liquidazione giudiziale dal CCII). Per il debitore infatti il fallimento rappresenta la sconfitta: si perde la gestione dell’azienda, i beni vengono venduti all’asta senza controllo, l’attività d’impresa cessa (salvo esercizio provvisorio deciso dal giudice in rari casi) e l’imprenditore subisce pesanti conseguenze personali (dall’inabilitazione all’esercizio di impresa per alcuni anni, alle possibili azioni di responsabilità e sanzioni penali connesse). Inoltre, prima della chiusura del fallimento, l’imprenditore fallito non può ottenere esdebitazione, restando vincolato ai debiti residui. Dunque evitare il fallimento è prioritario. Come si è visto, la legge offre ampie possibilità di iniziativa al debitore: concordati, accordi, piani. È importante sottolineare che l’imprenditore che prende l’iniziativa (ad esempio depositando un ricorso per concordato preventivo quando comprende di essere insolvente) generalmente si pone in posizione migliore rispetto a chi subisce passivamente l’iniziativa dei creditori. Ciò anche perché durante l’istruttoria pre-fallimentare il debitore può opporre che è in corso una trattativa o una procedura di composizione: per legge l’apertura di un concordato preventivo o l’omologa di un accordo impedisce la dichiarazione di liquidazione giudiziale. Perfino la pendenza di una composizione negoziata, se sfociata in domanda di concordato semplificato, prevale sul fallimento. Quindi un credito strategico per il debitore è il tempo: muoversi prima che i creditori ottengano una sentenza o una sentenza di fallimento permette di “congelare la scena” e impostare la soluzione.
Un altro aspetto cruciale è la tutela del patrimonio personale. Qui alcuni spunti pratici per il debitore:
– Separazione persona-impresa: se non l’ha già fatto, l’imprenditore valuti di esercitare l’attività in forma di società di capitali. Ciò non aiuta per i debiti già sorti, ma evita che futuri debiti coinvolgano automaticamente la persona fisica. Se tuttavia i debiti attuali sono personali o di una ditta individuale, potrebbe essere troppo tardi per “scappare” in una società (e comunque la trasformazione o conferimento d’azienda in società alla vigilia di un dissesto potrebbe essere revocato dai creditori come atto fraudolento).
– Evitare atti distrattivi o simulati: vendere o cedere beni personali a parenti a prezzo vile, prelevare liquidità dall’azienda per portarla all’estero, creare documenti falsi di credito, sono tutte mosse che oltre a poter essere annullate (azione revocatoria o revoca dei pagamenti) hanno riflessi penali (bancarotta fraudolenta, v. infra).
– Utilizzare istituti protettivi leciti: un esempio è il fondo patrimoniale per chi è sposato – sebbene come visto non sia opponibile per debiti estranei ai bisogni familiari, può ancora offrire un argomento di difesa. Ad esempio, se Equitalia pignora un bene in fondo patrimoniale per un debito tributario dell’azienda, il debitore può opporre che quel debito era estraneo ai bisogni familiari e tentare di far dichiarare improcedibile l’esecuzione. La Cassazione (sent. n. 19270/2014) ha chiarito che il divieto di pignorare la prima casa (L. 69/2013) si applica anche ai processi in corso al momento della sua entrata in vigore, evidenziando come la casa di abitazione del debitore meriti una tutela rafforzata . Tuttavia, come visto, il fondo patrimoniale non impedisce un’azione revocatoria da parte del curatore o di creditori se fu costituito in pregiudizio alle loro ragioni .
– Proteggere la casa di abitazione: se l’imprenditore è persona fisica e ha un’unica casa dove risiede, per debiti fiscali sussiste l’impignorabilità entro €120.000 di debito e anche oltre quella soglia se la casa è ipotecata da una banca si può tentare di dilazionare il credito in modo da evitare il pignoramento (le banche non hanno il vincolo della “prima casa impignorabile”, ma spesso in sede di procedura esecutiva la casa di abitazione attira meno acquirenti e i tempi sono lunghi, fattori che possono convincere la banca a trattare). In casi estremi, l’imprenditore potrebbe valutare di rinunciare alla proprietà dell’immobile vendendolo (a valore di mercato, le svendite sono sospette) per pagare i debiti, magari riservandosi un affitto: meglio vendere bene e pagare i creditori, che vederselo sottrarre all’asta a un prezzo irrisorio.
– Responsabilità degli amministratori: se l’azienda è societaria, ricordiamo che gli amministratori possono essere chiamati a rispondere coi propri beni in caso di mala gestio (azione di responsabilità ex art. 2476 o 2394 c.c. da parte di curatore fallimentare o creditori). Ma se l’organo amministrativo ha diligentemente attivato le procedure di crisi e non ha aggravato il dissesto, difficilmente sarà condannato. Anzi, il nuovo art. 2947 c.c. (come modif. dal D.Lgs 83/2022) prevede un limite al risarcimento per i sindaci in caso di colpa lieve, a indicare un favor per chi svolge correttamente i propri doveri . Perciò, dal punto di vista del debitore-amministratore, la miglior tutela è agire presto e bene, documentando di aver fatto “tutto il possibile” per evitare il danno ai creditori . Ciò può salvare il patrimonio personale da future cause.
Riassumendo, difendersi dai debiti significa: (a) utilizzare le procedure di composizione della crisi prima che i creditori precipitino l’azienda nel fallimento; (b) conoscere e far valere i propri diritti (dilazioni, esenzioni prima casa, ecc.); (c) non commettere passi falsi che possano portare conseguenze penali o responsabilità civili aggravate; (d) affidarsi a professionisti (avvocati, commercialisti, OCC) per pianificare strategicamente le mosse. A volte, salvare l’azienda non è possibile, ma si possono almeno limitare i danni: ad esempio optando per una liquidazione concordata invece di un fallimento rovinoso, oppure chiudendo l’attività e ripartendo come persona fisica liberata dai debiti via esdebitazione. Il debitore informato ha oggi molti più strumenti normativi dalla sua parte rispetto al passato, e le recenti riforme (fiscali, concorsuali) testimoniano la volontà di offrire soluzioni equilibrate per la gestione della crisi, senza indulgere su comportamenti fraudolenti ma aiutando chi vuole onestamente ristrutturare.
Aspetti penali in caso di insolvenza e indebitamento
La crisi d’impresa, se mal gestita, può sfociare non solo in responsabilità economiche ma anche in responsabilità penali per l’imprenditore e gli amministratori. È fondamentale, dal punto di vista del debitore, conoscere le fattispecie di reato più rilevanti per evitarle o attenuarne i rischi. Vediamo le principali:
- Reati fallimentari (bancarotta fraudolenta e semplice): con la dichiarazione di liquidazione giudiziale (fallimento), determinate condotte tenute prima o durante la procedura diventano penalmente rilevanti. La bancarotta fraudolenta (artt. 322-323 CCII, già art. 216 L.F.) punisce l’imprenditore (nonché gli amministratori, direttori, liquidatori) che abbia distratto, occultato, dissimulato o dissipato beni dell’azienda, o sottratto/liberato dolosamente beni spettanti ai creditori, ovvero che abbia tenuto i libri in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio (bancarotta documentale) . È il reato più grave, con pene fino a 6-10 anni di reclusione. Rientrano qui anche operazioni come la vendita sottocosto di macchinari a soggetti compiacenti prima del fallimento, il prelievo di cassa a proprio vantaggio lasciando i debiti, la costituzione di fondi all’estero con denaro aziendale, ecc. La bancarotta semplice (art. 324 CCII, ex art. 217 L.F.) sanziona invece condotte meno dolose ma comunque colpose che contribuiscono al dissesto: ad es. spese personali eccessive dell’imprenditore, negligenza grave nella gestione, aver aggravato il dissesto omettendo di presentare i libri in tribunale tempestivamente. Ha pene più lievi (fino a 2 anni). Difendersi da questi reati significa essenzialmente evitarli all’origine: non sottrarre beni ai creditori, non falsificare o distruggere la contabilità (che va tenuta regolarmente), e – cruciale – non procrastinare indebitamente il fallimento. Infatti, accumulare debiti su debiti per tirare a campare può configurare bancarotta preferenziale o semplice. Ad esempio, Cass. Pen. 38896/2024 ha ribadito che l’amministratore formale non può andare esente da responsabilità se ha consentito operazioni distrattive anche solo come prestanome . In pratica, anche se si cede la gestione di fatto a terzi, si rimane penalmente responsabili se si accetta consapevolmente di ricoprire la carica durante manovre fraudolente. Occorre dunque vigilare e, in caso di dissesto irreversibile, meglio aprire un concordato o lasciar fallire piuttosto che tentare salvataggi disperati svuotando l’azienda (questa sarebbe considerata bancarotta fraudolenta patrimoniale).
- Reati tributari connessi alla crisi: l’indebitamento fiscale può portare a violazioni penali specifiche del D.Lgs. 74/2000. Ne abbiamo accennati: l’omesso versamento di IVA oltre la soglia di €250.000 per periodo d’imposta è reato (art. 10-ter) punito con reclusione fino a 2 anni . Il superamento della soglia viene valutato dopo la scadenza del termine dell’acconto dell’anno successivo (in pratica, il 27 dicembre dell’anno successivo): se entro allora non hai versato l’IVA dovuta > €250.000, scatta il reato. Similmente l’omesso versamento di ritenute certificate (le ritenute fiscali su stipendi) oltre €150.000 annui è reato (art. 10-bis). E come detto, l’omesso versamento di contributi previdenziali oltre €10.000 annui è reato contravvenzionale (art. 2 D.L. 463/83). Un altro reato tributario che può emergere nelle crisi è l’indebita compensazione (art. 10-quater D.Lgs.74/2000): se l’azienda compensa debiti fiscali con crediti inesistenti o non spettanti per oltre €50.000, è punibile. E infine la già citata sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11): ad esempio simulare la vendita di beni o costituire vincoli (fondo patrimoniale, trust) per evitare il pagamento di imposte è reato con pene fino a 6 anni . Difesa: qui la condotta lecita è la miglior difesa. Se ci si accorge di aver omesso pagamenti oltre soglia, è possibile evitare il reato pagando il dovuto entro i termini di legge (spesso la norma prevede che il reato non sussiste se il pagamento avviene entro determinati termini, ad es. ravvedimento). Ad esempio, per IVA e ritenute, il reato “si consuma” il 27 dicembre dell’anno successivo: se l’imprenditore riesce, magari tramite un finanziamento, a ridurre il debito sotto soglia prima di tale data, non commette reato . Dunque, conoscere queste scadenze è importante: se sto a novembre e vedo che ho €300.000 di IVA non pagata dell’anno scorso, pagando almeno €50.001 entro dicembre scendo sotto €250k e mi salvo penalmente. Anche attivare una rateizzazione prima della scadenza può sospendere la punibilità (il decreto fiscale 2020 ha stabilito che la rateazione ottenuta prima della soglia fa venir meno il dolo di evasione, purché poi si paghi). Naturalmente, evitare di creare crediti fasulli o di occultare beni al Fisco è consigliabile non solo per non incorrere in reati, ma perché tali atti poi complicano ogni eventuale accordo col Fisco stesso.
- Altri reati societari: durante la crisi l’azienda potrebbe truccare i bilanci per nascondere perdite – ciò configura il reato di false comunicazioni sociali (falso in bilancio). Oppure, pagare alcuni creditori con preferenza e danno di altri poco prima del fallimento è bancarotta preferenziale (anch’essa punita come la fraudolenta). O ancora, l’imprenditore potrebbe ricorrere a finanziamenti a tassi usurari per tamponare: attenzione, perché il finanziatore può commettere reato di usura e il debitore stesso rischia di immettersi in circuiti criminali. La crisi può portare a scelte disperate ma pericolose: es. emettere assegni scoperti (che è illecito amministrativo ma reiterato può divenire bancarotta impropria se porta al fallimento), oppure fare denunce strumentali. Meglio mantenere la lucidità e agire nella legalità.
In positivo, usare gli strumenti di legge per la crisi aiuta anche sul piano penale: se un concordato preventivo va a buon fine, l’imprenditore evita la bancarotta (perché non c’è fallimento). Se durante la composizione negoziata l’imprenditore si comporta correttamente, documenta tutto e non distrae nulla, anche se poi finirà in liquidazione giudiziale potrà difendersi dimostrando di aver tentato tutto onestamente (potrebbe eventualmente rispondere di bancarotta semplice per ritardo, ma evitare quella fraudolenta). La Cassazione penale ha recentemente sottolineato la necessità di provare il dolo specifico per condannare per bancarotta fraudolenta documentale: non basta che un amministratore di fatto abbia assunto formalmente la carica per attribuirgli automaticamente il dolo, serve la prova che partecipò consapevolmente all’illecito . Ciò significa che chi collabora con gli organi della procedura, consegna i libri contabili in ordine e non ha occultato nulla, difficilmente verrà accusato di bancarotta fraudolenta.
In definitiva, “difendersi” dai risvolti penali significa: non oltrepassare la linea della legalità nelle scelte di gestione della crisi. È comprensibile l’istinto di proteggere la propria azienda e famiglia a ogni costo, ma certi costi (penali) sono troppo alti. Meglio utilizzare le vie consentite (dilazioni, concordati) anche se implicano sacrifici, anziché giocare d’azzardo con condotte illecite nella speranza di salvarsi. Un avvocato penalista esperto in reati fallimentari potrà consigliare, ad esempio, di denunciare tempestivamente eventuali irregolarità scoperte dal nuovo amministratore – come fece un amministratore di una srl nominato poco prima del fallimento, denunciando i precedenti gestori, il che lo ha aiutato ad evitare la condanna per bancarotta documentale . La trasparenza e collaborazione con le autorità, per quanto difficile in momenti di crisi, spesso mitigano o evitano le conseguenze penali.
Domande frequenti (FAQ) sulla gestione dei debiti aziendali
D: La mia azienda è sommersa dai debiti, quando rischio il fallimento?
R: Tecnicamente il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) si rischia quando l’impresa si trova in stato di insolvenza, ovvero non è più in grado di pagare regolarmente i propri debiti. Non c’è una soglia fissa di debito: conta la situazione di illiquidità. Un singolo grosso creditore impagato potrebbe presentare istanza di fallimento. In passato c’erano soglie di non fallibilità (aziende piccolissime esenti), ma il CCII ha reso fallibili anche le imprese minori tramite le procedure di sovraindebitamento. Quindi, se la tua azienda è in crisi di liquidità grave e i creditori si stanno muovendo (ingiunzioni, decreti), il rischio di una liquidazione giudiziale forzata è concreto. Per difenderti, anticipa i tempi: valuta un concordato preventivo o un accordo prima che un creditore ottenga una sentenza di fallimento. Ricorda anche che alcuni enti come l’INPS o l’Agenzia Entrate potrebbero segnalare la crisi (in futuro con l’allerta esterna); ma intanto, i creditori “qualificati” come Fisco e INPS hanno procedure esecutive speciali che possono paralizzare l’azienda senza passare dal fallimento (es. pignoramento conto).
D: Qual è la differenza tra concordato preventivo e accordo di ristrutturazione?
R: Entrambi servono a evitare il fallimento regolando i debiti, ma differiscono: il concordato preventivo è una procedura concorsuale completa, coinvolge tutti i creditori, con voto a maggioranza e omologazione, ed è pubblica. Puoi imporre tagli anche ai dissenzienti, ma devi rispettare regole formali e coinvolgere il tribunale fin dall’inizio. L’accordo di ristrutturazione invece è più simile a un contratto, richiede che tu ottenga l’adesione di almeno il 60% dei creditori (in base ai crediti) e poi chiedi al tribunale solo di omologarlo. I creditori non aderenti restano fuori (vanno pagati per intero, salvo forse qualche categoria in efficacia estesa). Quindi il concordato è più “forte” (vincola tutti) ma più lungo e complicato; l’accordo è più “consensuale” e agile, ma richiede che la maggior parte dei creditori sia d’accordo e non risolve il problema di eventuali piccoli creditori ostili (che però devi pagare). In pratica, se hai larghi consensi e vuoi procedura light, fai un accordo; se hai troppi creditori o devi tagliare molto il debito e non avrai mai 60% di consensi iniziali, allora serve il concordato.
D: Posso salvare la mia casa dai debiti della società?
R: Dipende. Se la società è di capitali e tu non hai dato garanzie personali, i debiti della società non dovrebbero intaccare la tua casa in proprietà personale, grazie alla separazione patrimoniale. Il “fallimento” della società non coinvolge automaticamente i beni dei soci (salvo soci illimitatamente responsabili nelle società di persone). Tuttavia, spesso gli istituti di credito o i locatori richiedono ai soci fideiussioni o ipoteche personali: in tal caso la tua casa è a rischio pignoramento da parte di quei creditori. Inoltre, se hai commesso irregolarità gravi come amministratore, un domani un curatore potrebbe farti causa e colpire il tuo patrimonio personale (casa compresa) per risarcimento. Per quanto riguarda i debiti fiscali personali (es. se sei anche titolare di ditta individuale o garante), l’unica casa di abitazione è impignorabile dall’Agenzia Entrate-Riscossione se soddisfa i requisiti: unica proprietà non di lusso, residenza anagrafica tua, e debito sotto €120.000 . Attenzione: questa tutela vale solo verso il Fisco. Una banca o un fornitore privato con ipoteca possono pignorare la prima casa (la legge prima casa salva solo dal fisco, non dai creditori privati) . In pratica, la strategia migliore per proteggere la casa è prevenire: non offrirla a garanzia se non strettamente necessario. Se ormai è ipotecata o a rischio, considera di rinegoziare il debito garantito (es. vendi la casa volontariamente per pagare il debito e liberarti dell’ipoteca, magari salvando parte dell’equity). Nei casi estremi di sovraindebitamento personale, come ultima risorsa esiste la possibilità di esdebitazione finale: potresti perdere la casa ma dopo la liquidazione essere liberato dai debiti residui, iniziando da zero.
D: I fornitori mi tempestano di richieste di pagamento minacciando decreti ingiuntivi: cosa posso fare subito?
R: Non restare fermo! Primo, cerca un contatto con i fornitori critici: spiega la situazione, mostra un piano di rientro realistico. Molti preferiscono un accordo (anche scritto) piuttosto che andare per vie legali dall’esito incerto. Secondo, se sai di non poter pagare a breve, valuta di rivolgerti a un OCC o a un professionista per magari attivare una composizione negoziata: con la nomina di un esperto potrai chiedere al tribunale di bloccare temporaneamente le azioni esecutive, guadagnando tempo e spazio per trattare . Terzo, se un decreto ingiuntivo è stato notificato, verifica con l’avvocato se c’è margine per un’opposizione (anche solo per prendere tempo). Spesso anche solo contestare qualche fattura o interessi applicati può aprire una causa di merito di mesi, durante i quali potresti trovare una soluzione generale. Quarto, se c’è il rischio di pignoramento dei conti, considera di minimizzare le giacenze (senza fare sparizioni illecite): tieni sul conto giusto il necessario o sposta la liquidità su conti non direttamente intestati all’azienda (attenzione però a non farti pagare su conti di terzi per eludere i creditori, sarebbe illecito). Quinto, se i fornitori sono tanti e insistenenti, forse serve un approccio di concordato preventivo: presentando una domanda di concordato “in bianco” puoi congelare tutti i loro tentativi ed evitare il fallimento su istanza esterna. È drastico, ma a volte necessario. In generale, comunica: il silenzio fa perdere la pazienza ai creditori e li spinge subito dal giudice; una chiamata o lettera in cui prospetti “ti pago il 20% ora e il resto in 6 mesi” potrebbe calmare le acque, almeno con alcuni.
D: Ho debiti con l’Erario e con le banche: a chi devo dare priorità?
R: Dilemma comune. Entrambi possono fare molto male (banca con ipoteca/pignoramento, Erario con cartelle e blocchi). Idealmente va costruito un piano complessivo (es. tramite concordato o accordo) dove nessuno dei due viene trascurato. Nell’immediato, considera che il Fisco ha alcuni strumenti che la banca non ha: può prendersi soldi dal conto senza passare da giudice, mentre la banca deve fare causa. Quindi se AdER ha già cartelle scadute, forse conviene prima attivare una rateizzazione fiscale per bloccare i fermi e ipoteche (evitando così il fermo camion o ipoteca capannone) e intanto con la banca trattare un piano di rientro. D’altro canto, la banca se ha ipoteca su un bene, potrebbe iniziare il pignoramento immobiliare che è pesante; però ha bisogno del decreto ingiuntivo prima. Quindi come priorità temporale: prevenire le mosse del Fisco (che scattano quasi automatiche) con una dilazione; contemporaneamente, aprire dialogo con la banca per evitare di far decadere il fido o evitare sofferenze segnalate. Se proprio devi scegliere chi pagare con le poche risorse, valuta chi è più incline a scatenare subito un’azione: a volte paradossalmente le banche sono più “comprensive” se vedono volontà di risanamento (possono rinegoziare), mentre il Fisco ha meccanismi rigidi ma sospendibili con istanze. Infine, tieni conto che nel concordato o accordo, i debiti fiscali e bancari possono essere falcidiati: non fare l’errore di pagare per intero tutti i debiti erariali se poi fallisci comunque – in concordato avresti potuto ridurli – e lasciare scoperte banche che poi ti portano al default. Serve una visione unitaria. Qui il consiglio di un advisor di crisi è prezioso per ponderare le mosse.
D: Posso ottenere nuovi finanziamenti o investitori durante la crisi?
R: Sì, ed è spesso determinante. La legge prevede che in composizione negoziata l’esperto possa attestare la necessità di finanziamenti prededucibili: in pratica, se un terzo (o socio) presta soldi all’impresa per sostenerla durante le trattative, tali somme saranno restituite con priorità (prededuzione) se poi si va in concordato . Anche in concordato, i nuovi finanziamenti autorizzati dal tribunale sono prededucibili per incentivare i creditori a dar fiducia. Quindi puoi cercare un socio o partner disposto a immettere liquidità: magari in cambio di una quota societaria (equity) o anche come debito assistito da prededuzione. Molte ristrutturazioni riescono solo con finanza esterna, perché coi flussi interni non paghi i debiti pregressi. Se hai un buon piano, prova a presentarlo a investitori (ci sono fondi specializzati in aziende in turnaround) o anche fornitori/cliente strategici che potrebbero finanziarti per non perderti come partner. Naturalmente, ottenere credito in crisi è duro: probabilmente nessuna banca ti farà prestiti (a meno di garanzie personali forti o Fondo centrale). Ma i soci sì – anzi dovrebbero – e i partner industriali potrebbero vedere opportunità. Da un punto di vista giuridico, formalizza bene questi nuovi finanziamenti con delibere e, se possibile, con omologa (ad esempio se fai concordato, inserisci che Tizio finanzia €100 e sarà rimborsato prededotto). Così eviti anche che vengano postergati (i finanziamenti soci in crisi sono postergati ex lege, ma se autorizzati nel piano possono scavalcare i chirografari).
D: Dopo la chiusura del concordato o del fallimento, dovrò comunque pagare i debiti residui?
R: Dipende. Se fai un concordato preventivo e lo adempi correttamente, sì, i debiti restanti si considerano estinti: ottieni una sorta di esdebitazione di diritto per quanto tagliato. Il concordato omologato e eseguito è vincolante e i creditori non possono pretendere oltre quanto ricevuto. Se invece la domanda è riferita al fallimento (liquidazione giudiziale), allora devi chiedere l’esdebitazione (art. 282 CCII) a fine procedura: il tribunale, su istanza, dichiara inesigibili i debiti non soddisfatti, liberando il fallito persona fisica. Ci sono condizioni (aver cooperato, non aver commesso irregolarità gravi, etc.), ma oggi viene concessa assai frequentemente ai falliti onesti. Quindi, superata la procedura, la persona può ripartire pulita dai debiti pregressi (non vale per società, che una volta liquidate cessano e basta). Per i sovraindebitati, l’esdebitazione è integrale a fine liquidazione controllata, anche senza pagamento di nulla, grazie all’istituto nuovo per il debitore incapiente . Quindi, ad esempio, un ex imprenditore individuale che liquida quel poco che ha e paga magari il 5% ai creditori, può ottenere di cancellare il restante 95%. In sintesi: l’ordinamento punta a dare al debitore persona fisica una seconda opportunità, purché abbia agito con correttezza. Nel caso di chiusura di un concordato, la liberazione è immediata secondo i termini del piano. Nel fallimento serve l’istanza di esdebitazione e alcuni anni di buona condotta. Nota: alcuni debiti non si cancellano comunque, es. le sanzioni penali o amministrative e i debiti alimentari.
D: La mia azienda è una SNC fallita, i creditori possono rivalersi su di me socio anche dopo?
R: Nelle società di persone (SNC, SAS) i soci hanno responsabilità illimitata: ciò significa che il fallimento della società comporta anche il fallimento personale dei soci. Infatti, nel fallimento SNC vengono dichiarati falliti anche i soci illimitatamente responsabili. Di conseguenza, i creditori sociali potranno soddisfarsi sul patrimonio dei soci in concorso con quello della società. Dopo la chiusura, i soci – essendo persone fisiche fallite anch’essi – possono chiedere l’esdebitazione come visto sopra. Se concessa, li libererà dai debiti residui. Ma se per qualche motivo la società viene liquidata e i soci non vengono escussi in procedura, i creditori potrebbero inseguire i soci illimitatamente responsabili anche dopo. Ad esempio, se la società evita il fallimento ma resta insolvente, i creditori possono fare causa ai soci per i debiti sociali. In pratica, in SNC la distinzione tra patrimonio azienda e soci non protegge questi ultimi. L’unica tutela è far partecipare i debiti alla procedura concorsuale per arrivare poi all’esdebitazione. Diverso è per i soci accomandanti (che sono limitatamente responsabili, non pagano oltre quota) e per i soci SRL/SpA (che non rispondono dei debiti societari, salvo garanzie). In sintesi, se sei socio di SNC e l’azienda è indebitata, preparati a rispondere con i tuoi beni; valuta se un concordato minore o liquidazione sovraindebitamento a tuo nome possa risolvere, includendo i debiti sociali se la società ormai è ferma.
D: L’aver fatto una composizione negoziata senza esito mi espone a responsabilità?
R: Al contrario, l’aver tentato la composizione è considerato indice di correttezza. Il CCII prevede alcune esenzioni di responsabilità per chi intraprende tempestivamente la negoziazione: ad esempio, le misure premiali in ambito fiscale (riduzione sanzioni/interessi) e in ambito civilistico si considera che le operazioni compiute con la supervisione dell’esperto difficilmente potranno essere contestate come atti distrattivi. Ovviamente se hai abusato dello strumento (ad esempio continuando ad accumulare debiti e non collaborando con l’esperto) qualche rilievo potrebbe emergere, ma principalmente sul piano concorsuale (es: revoca misure protettive, dichiarazione di insolvenza). Sul piano delle responsabilità verso i creditori, aver tentato la CNC è un punto a tuo favore: significa che non sei rimasto inerte. Anche gli amministratori che l’attivano per tempo difficilmente saranno accusati di colpa grave. Quindi direi no, non ti espone, anzi ti protegge se usata bene. L’importante è che durante la negoziazione tu abbia agito in buona fede: ad esempio non devi aver favorito taluni creditori di nascosto (violando la par conditio), o aggravato il passivo. Se l’hai fatto, quello è indipendente dalla CNC ed eventualmente potrà essere censurato. Ma la procedura in sé prevede la buona fede come obbligo reciproco, e l’esperto riporterà nel suo rapporto finale il tuo livello di collaborazione. Un rapporto finale negativo (tipo “l’imprenditore ha occultato informazioni, ha aggravato il dissesto…”) potrebbe essere usato dal curatore in seguito come prova a tuo sfavore. Viceversa, un rapporto che evidenzia la tua cooperazione e il fatto che la crisi non è risolvibile nonostante gli sforzi, ti tutela. Quindi, se intraprendi la composizione, giocala al meglio e non come una perdita di tempo.
D: Quali sono le sentenze più rilevanti e aggiornate in materia che posso citare?
R: Ecco alcune pronunce recenti di particolare interesse (le trovi anche nelle fonti in calce):
– Cassazione Civile, Sez. III, sent. n. 28593/2024: ha delineato l’efficacia dell’azione revocatoria sul fondo patrimoniale, chiarendo che rende inefficace il fondo solo verso il creditore attore ma non annulla le vendite a terzi già avvenute . Utile per capire limiti e potenzialità della revocatoria su atti di protezione patrimoniale.
– Cassazione Civile, Sez. VI-5, ord. n. 32759/2024: ha confermato l’applicabilità retroattiva del divieto di pignoramento prima casa introdotto nel 2013, a sottolineare la natura procedurale (quindi protezione ampia del debitore prima casa) .
– Cassazione Penale, Sez. V, sent. n. 38896/2024: ha ribadito che l’amministratore formale risponde sempre dei reati fallimentari salvo prova di estraneità, non potendo invocare la sola apparenza formale per esenzione . Ciò richiama l’attenzione dei prestanome di comodo.
– Cassazione Penale, Sez. V, sent. n. 12730/2024: ha configurato bancarotta post-fallimentare il fatto di creare una nuova società per proseguire l’attività svuotando la fallita, come distrazione di azienda (fenomeno “phoenix company”) . Monito per chi pensa di “far fallire la vecchia e aprire la nuova” senza conseguenze.
– Tribunale di Milano, decreto 29 febbraio 2024: ha qualificato la mancata adozione di adeguati assetti organizzativi come grave irregolarità ex art. 2409 c.c., aprendo a potenziali azioni di responsabilità verso amministratori inerti di fronte alla crisi . Questo avalla l’interpretazione rigida degli obblighi di allerta interna posti dal CCII.
– Corte di Cassazione, sent. n. 9479/2023: ha chiarito che la protezione della prima casa dall’espropriazione forzata non si estende alle misure cautelari penali (sequestro preventivo per reati tributari), quindi l’abitazione può essere sequestrata in caso di reati gravi nonostante il divieto di pignoramento esecutivo . Da tenere a mente per distinguere ambiti fiscale vs penale.
Questi sono solo alcuni esempi “autorevoli”. Le pronunce delle Sezioni Unite del passato (es. SU 30416/2018 sull’azione di responsabilità dei creditori sociali) e le novità del CCII commentate in giurisprudenza minore arricchiscono il quadro, ma abbiamo citato quelle a più alto impatto pratico aggiornate.
Simulazioni pratiche (casi ipotetici)
Per concretizzare le nozioni, immaginiamo alcune situazioni tipiche di un’azienda di rulliere motorizzate indebitata e vediamo quali strategie potrebbe adottare il debitore, applicando quanto detto:
Caso 1: Debiti bancari e rischio di revoca dei fidi
Situazione: La RulliTech S.r.l. ha un fido di cassa di €100.000 con la Banca Alfa e un mutuo residuo di €250.000 con la Banca Beta, garantito da ipoteca sul capannone. A causa di un calo di commesse, RulliTech ha utilizzato tutto il fido e non è riuscita a pagare le ultime due rate del mutuo. Banca Alfa minaccia di “segnalare a sofferenza” la società e revocare il fido se non rientra in breve; Banca Beta ha inviato lettera di Decadenza dal Beneficio del Termine per l’inadempimento, chiedendo il pagamento integrale del mutuo residuo, e preannuncia azioni legali.
Problemi: se Alfa revoca il fido, RulliTech perde la liquidità per la gestione corrente (stipendi, fornitori); se Beta agisce, potrebbe iscrivere pignoramento sul capannone, mettendo a rischio il bene fondamentale per la produzione. Inoltre, RulliTech ha i soliti debiti operativi e non può permettersi di far finire all’asta lo stabilimento.
Strategia difensiva: RulliTech convoca immediatamente i funzionari di entrambe le banche per aprire un tavolo di confronto. Prepara un piano di tesoreria che mostra come, con un prolungamento del fido e una moratoria di 6 mesi sul mutuo, l’azienda potrebbe riprendersi (magari ci sono ordini in arrivo). Offre a Banca Alfa maggiori garanzie temporanee: ad esempio, i soci mettono a pegno le loro polizze vita a favore della banca, chiedendo in cambio di non revocare il fido e anzi estenderlo a €120.000 per coprire fabbisogno temporaneo. A Banca Beta propone un accordo di ristrutturazione del mutuo: sospensione delle rate per 6 mesi e allungamento di 5 anni del piano di ammortamento, mantenendo l’ipoteca. Contestualmente, RulliTech avvia la procedura di composizione negoziata, così da avere un esperto neutrale che rassicuri le banche sulla fattibilità del piano. L’esperto certifica i dati e convoca le banche. RulliTech richiede al tribunale misure protettive, ottenendo il blocco temporaneo sia della revoca del fido (misura atipica che il giudice può concedere in via d’urgenza) sia di azioni esecutive sull’ipoteca. Durante i negoziati, Banca Beta accetta di ritirare la D.B.T. e stipulare un atto modificativo del mutuo con la nuova dilazione (anche perché l’esperto attesta che in caso di liquidazione giudiziale la banca recupererebbe sì e no il 50% del credito dal capannone, mentre col piano ne recupera il 100% seppur in più tempo). Banca Alfa, vedendo l’impegno dei soci (pegno polizze e immissione di €20.000 a riduzione scoperto) e la prospettiva che l’azienda resti viva (mantenendo così il conto fruttifero di commissioni e interessi), accetta di non revocare e anzi concorda un nuovo fido “autoliquidante” su fatture per sostenere le vendite. Il tutto viene formalizzato in un accordo sottoscritto in composizione negoziata dall’imprenditore, dalle banche e dall’esperto . L’accordo prevede anche che, se l’azienda per qualsiasi motivo non rispetterà i nuovi patti, le banche potranno attivare immediatamente le garanzie. Omologazione non è necessaria in quanto entrambe le banche (che rappresentano il 90% dell’esposizione totale) hanno aderito. Le poche altre banche fornitrici (esposizioni minori su leasing) vengono comunque inserite nel piano e pagate regolarmente. RulliTech quindi riesce a superare la crisi di liquidità senza procedure concorsuali, grazie a negoziazione e supporto dell’esperto, e nessun fallimento all’orizzonte. I soci hanno però “messo pelle” nell’operazione, impegnando parte del loro patrimonio a garanzia: ciò è stato giudicato necessario per convincere i finanziatori. Nota: se una delle banche non fosse stata d’accordo, RulliTech era pronta al piano B, ovvero presentare un accordo di ristrutturazione omologato col sì almeno di Alfa e Beta, e pagamento integrale dei piccoli creditori estranei. Fortunatamente, non è servito.
Caso 2: Debiti fiscali e contributivi, rischio di misure esecutive e penali
Situazione: La MoviRoll S.p.A., azienda individuale di un artigiano, ha debiti IVA per €300.000 riferiti a due anni di mancati versamenti, debiti IRPEF ritenute dipendenti per €180.000 e contributi INPS dipendenti per €50.000. Inoltre, ha ricevuto una multa dall’Agenzia delle Entrate per infedele dichiarazione (€80.000). Il totale col Fisco e enti è circa €610.000. L’Agente di Riscossione ha già notificato cartelle per IVA e ritenute e ha iscritto ipoteca su un piccolo magazzino (non prima casa) di proprietà dell’artigiano per €250.000 di debiti. L’IVA non versata eccede la soglia penale di €250.000 e la scadenza del 27 dicembre per il reato è vicina.
Problemi: Rischio concreto di pignoramenti (il magazzino ipotecato può essere espropriato dopo 6 mesi, e conti correnti bloccati), più il rischio di procedimenti penali per IVA e ritenute. Inoltre, l’artigiano teme l’arrivo di un’indagine della Guardia di Finanza per l’infedele dichiarazione.
Strategia difensiva: Prima mossa: presentare immediatamente un’istanza di rateizzazione all’AdER per l’intero importo iscritto a ruolo (ammesso che sia nei parametri). Se il debito a ruolo è €610.000, può chiedere una dilazione straordinaria fino a 120 rate, motivando la grave difficoltà. Pagando la prima rata, ottiene la sospensione di nuovi fermi o ipoteche e soprattutto guadagna tempo. Seconda mossa: l’artigiano reperisce risorse (anche chiedendo ai familiari) per versare almeno €60.000 prima di dicembre, in modo da ridurre l’IVA non versata quell’anno da €300k a €240k, sotto la soglia penale. Così, il reato di omesso versamento IVA non si perfeziona . Anche per le ritenute €180k, versa €40k per scendere a €140k, sotto soglia di €150k, evitando l’altro reato. Per i contributi INPS, i €50k sono ben sopra 10k: lì il reato c’è già stato ogni anno. Tuttavia, lui corre ai ripari inviando all’INPS i modelli di regolarizzazione e avviando la dilazione, per poter eventualmente invocare la causa di non punibilità (se paga tutto prima della sentenza, i reati contravvenzionali vengono dichiarati estinti). Terza mossa: attivare una composizione negoziata anche qui, oppure direttamente preparare un concordato minore (essendo artigiano sotto soglia). Dato l’importo, sceglie di rivolgersi all’OCC e avviare un concordato minore dove propone ai creditori (Fisco 610k, altri debiti 200k con fornitori) di pagare in 5 anni il 60% del debito totale, vendendo il magazzino ipotecato per destinare il ricavato. Nel piano offre a Fisco e INPS il pagamento falcidiato di circa il 50% dei loro crediti, evidenziando che in liquidazione prenderebbero forse il 30%. Grazie alle nuove norme, può includere anche l’IVA da falcidiare . L’AdER e l’INPS si mostrano disponibili in linea di principio (sanno che altrimenti l’artigiano potrebbe anche cessare e diventare nullatenente). Il concordato minore passa col voto favorevole del 60% dei crediti (il Fisco vota sì perché la prospettiva è migliore di un eventuale incasso coattivo frammentato). Il tribunale omologa. L’artigiano vende il magazzino (realizzando 200k) e con i proventi e la rateazione concordataria paga nei 5 anni il dovuto ridotto. Nel frattempo, nessun pignoramento è partito (grazie alle misure protettive chieste appena depositata la domanda di concordato) e l’attività è continuata. Sul fronte penale, avendo pagato abbastanza per scendere sotto soglia, non viene mai contestato il reato IVA/ritenute. Per i contributi già omessi prima, la Procura apre un fascicolo, ma l’artigiano mostra di aver incluso tutto nel concordato e di aver iniziato a pagare; alla fine, beneficiando dell’esdebitazione e dell’assenza di dolo (erano crisi di liquidità, non volontà di arricchirsi), ottiene l’archiviazione o al più una piccola multa per l’omesso contributi prima del 2016 (quando era reato). Importante: se invece non fosse riuscito a rientrare sotto soglia IVA, avrebbe valutato di optare per una definizione agevolata penale (pagare il dovuto prima del dibattimento per estinguere il reato), ma in questo scenario l’accortezza di ridurre l’esposizione fiscale in tempo lo salva dall’accusa. Questo caso mostra come bilanciare mosse civilistiche (concordato) e contabili (pagamenti mirati anti-penale) sia essenziale.
Caso 3: Sovraindebitamento del piccolo imprenditore, evitare il tracollo familiare
Situazione: Mario è un artigiano individuale (Ditta MarioRoll) che produce componenti di rulliere. Ha debiti verso fornitori e banche per €400.000, ma l’attività ormai è ferma e Mario vorrebbe chiudere e andare dipendente da un’altra azienda. Purtroppo, avendo forma individuale, tutti i debiti ricadono su di lui personalmente. Mario ha una casa (prima casa dove vive con la famiglia) e un furgone. La casa vale €200.000 ma su di essa c’è già un’ipoteca di 150k della banca per un mutuo residuo (che Mario non riesce più a pagare). Mario teme di perdere casa e restare con debiti a vita.
Problemi: Mario se non fa nulla verrà bersagliato: la banca ipotecaria inizierà pignoramento casa per il mutuo insoluto; i fornitori chiederanno decreti ingiuntivi e pignoreranno stipendio (se troverà lavoro) o il furgone. Inoltre Mario non potrà accedere ad altri crediti (segnalazioni CRIF etc.).
Strategia: Siccome l’attività è cessata, Mario opta per la liquidazione controllata del sovraindebitato. Attraverso l’OCC, deposita istanza di apertura liquidazione offrendo tutto quello che ha: la casa (gravata da ipoteca) e il furgone. Propone di vendere la casa, da cui la banca ipotecaria prenderà i primi 150k e il restante andrà agli altri creditori. Stima che vendendo forse a 180k (valore d’asta ribassato) i chirografari avranno poco (10-20%). Ma in questo modo Mario avrà soddisfatto i requisiti per chiedere l’esdebitazione. La liquidazione controllata viene aperta: un liquidatore OCC vende il furgone (5k) e cerca compratori per la casa. Durante la procedura, Mario gode dello stay (fornitori e banca non possono agire individualmente). Non trovando compratori a prezzo congruo, Mario e la banca ipotecaria concordano con il liquidatore di assegnare la casa direttamente alla banca a saldo del mutuo (datio in solutum), evitando l’asta. Così la banca si accontenta dell’immobile e rinuncia a pretese ulteriori (il mutuo era garantito e la banca in caso di insufficienza potrebbe restare chirografa per differenza, ma in liquidazione prenderebbe comunque pro-quota, tanto vale prendere la casa). Gli altri creditori ricevono un modesto riparto (dalle briciole rimaste, es. 5k dal furgone e un piccolo conguaglio della banca per l’assegnazione). Al termine, il giudice esdebita Mario: tutti i debiti di €400k che non hanno avuto copertura vengono cancellati. Mario perde la casa ma, data la tutela prima casa verso Fisco, riesce a stare in casa ancora qualche mese finché la banca non lo notifica (nel frattempo aveva cercato una sistemazione in affitto). Una volta esdebitato, Mario può ricominciare senza debiti: trova lavoro dipendente e il suo stipendio non è toccabile da vecchi creditori (non esistono più). Se la casa di Mario fosse stata di valore inferiore al mutuo (sott’acqua) o comunque invendibile, Mario avrebbe potuto perfino chiedere l’esdebitazione dell’incapiente subito, tenendo la casa se invendibile. Ma in questo scenario, la soluzione adottata – per quanto dolorosa (perdere l’immobile di famiglia) – è razionale: nessun creditore potrà inseguirlo oltre. Mario in qualche anno potrebbe risollevarsi e magari acquistare un’altra casa. Avessi lasciato fare, probabilmente la banca avrebbe pignorato e venduto casa all’asta a un prezzo stracciato, i fornitori avrebbero inseguito Mario e se fosse andato dipendente gli avrebbero pignorato un quinto stipendio per 20 anni. Invece in 1-2 anni di procedura concorsuale “minore”, Mario volta pagina.
Caso 4: Concordato preventivo in continuità per salvare l’azienda dai debiti
Situazione: Roll&Co S.p.A. è un’azienda più grande, con 50 dipendenti, leader in rulliere per logistica. A causa di investimenti sbagliati e di un grande cliente insolvente, Roll&Co accumula €5 milioni di debiti (banche €2M, fornitori €2M, Fisco €1M). Ha tuttavia un portafoglio ordini e know-how tali che l’attività è sana, solo appesantita dai debiti pregressi. I creditori iniziano ad agitarsi; alcuni fornitori chiave minacciano di interrompere le consegne per insoluti, le banche non rinnovano linee di credito.
Problemi: Se l’azienda non paga materie prime, si ferma la produzione e crolla; ma non può pagare perché le entrate sono appena sufficienti a mandare avanti la gestione corrente. Un classico blocco del circolante. Il rischio di istanze di fallimento è alto.
Strategia: Dopo aver esplorato (inutilmente) possibili accordi stragiudiziali – troppi creditori per metterli d’accordo rapidamente – Roll&Co decide per un concordato preventivo in continuità. Deposita una domanda con riserva (concordato in bianco), ottenendo dal tribunale lo stand-still: nessun creditore può iniziare o proseguire esecuzioni . Ciò ferma sul nascere i pignoramenti ed evita il fallimento. Intanto prepara un piano concordatario: individua un investitore (un concorrente estero) disposto a immettere €1,5M a titolo di equity per rilanciare, a condizione che i debiti pregressi vengano ridotti. Il piano prevede dunque la continuità diretta dell’attività, con l’apporto del nuovo socio, e offre ai creditori chirografari (fornitori e parte banche chirografarie) un pagamento del 40% in 4 anni. I debiti fiscali di €1M saranno pagati al 100% ma dilazionati in 4 anni (sfruttando la transazione fiscale per stralciare sanzioni e interessi e pagando il capitale per intero, ad esempio). I debiti privilegiati (banche con garanzie reali su immobili per €1M) saranno soddisfatti regolarmente (magari rifinanziati da una nuova banca portata dall’investitore). Il commissario giudiziale nominato dal tribunale valuta il piano e lo ritiene fattibile: l’azienda con quell’iniezione di capitali e liberata da parte dei debiti torna redditizia e può pagare il 40% promesso. Si va all’adunanza dei creditori: grazie anche al voto favorevole di gran parte dei fornitori (che preferiscono il 40% e continuare ad avere Roll&Co come cliente, piuttosto che rischiare fallimento e perdere quasi tutto), la maggioranza viene raggiunta (70% di voti favorevoli). Alcune banche chirografarie e qualche fornitore votano contro, ma sono minoranza. Il tribunale omologa il concordato. I creditori dissenzienti sono obbligati comunque a subire la falcidia: ricevono il 40% in 4 anni e stop, niente più pretese. Roll&Co esce dalla procedura, l’investitore versa i fondi in cambio di un aumento di capitale diventando socio di maggioranza, i debiti sono ridotti e schedulati. L’azienda è salva, i posti di lavoro mantenuti. I creditori hanno preso 40% invece di rischiare il 10% in fallimento – scelta razionale, e anzi molti continuano a vendere a Roll&Co generando nuovo fatturato.
Nota: un paio di creditori ipotecari (banche) in dissenso hanno contestato che il piano li paga solo parzialmente sul chirografo: il tribunale applica la regola del “cram-down” perché comunque ricevono non meno di quanto otterrebbero liquidando gli immobili (verificato con stima), e rigetta le loro opposizioni. Una volta omologato, se quelle banche provassero a esigere il 100%, Roll&Co opporrebbe l’efficacia esdebitativa del concordato: non possono. L’Erario, pure dissenziente in voto, non potendo essere obbligato in assenza di adesione per legge, viene tuttavia soddisfatto al 100% capitale come proposto e quindi non subisce danno.
Questo scenario mostra un uso virtuoso del concordato: l’impresa valida ma indebitata troppo riesce a rigenerarsi cancellando parte del debito con il benestare della maggioranza dei creditori. Nessun altro strumento avrebbe consentito di far pagare solo 40% ai contrari. Se si fosse tentato un accordo, bastava uno “no” per saltare tutto. Invece col concordato, vince la volontà della maggioranza e l’azienda prosegue. Dal lato debitore, certo c’è stato un sacrificio: l’ingresso di un socio esterno che ha diluito la proprietà. Ma è il prezzo per evitare la catastrofe del fallimento. Giuridicamente, l’operazione è robusta: un concordato votato e omologato è difficilmente attaccabile, e i creditori vengono soddisfatti il giusto secondo la legge.
Conclusione
Affrontare un indebitamento aziendale fuori controllo è una sfida complessa, ma non insormontabile. Come abbiamo visto, l’ordinamento italiano – specialmente dopo le riforme culminate nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – mette a disposizione del debitore una cassetta degli attrezzi completa per gestire la crisi, dal dialogo stragiudiziale assistito alla ristrutturazione formale, fino alla liquidazione con esdebitazione. La chiave di volta è la tempestività: l’imprenditore che riconosce per tempo i segnali di allarme (cali di liquidità, insoluti, esposizioni scoperte) e agisce subito, coinvolgendo professionisti e creditori in un piano di risanamento, massimizza le probabilità di salvare l’azienda o quantomeno di limitare i danni personali. Viceversa, l’immobilismo o le scorciatoie illecite possono portare rapidamente alla rovina finanziaria e legale (fallimento, azioni sui beni personali, procedimenti penali).
Dal punto di vista del debitore, “difendersi” dai debiti non significa sottrarsi alle proprie responsabilità, bensì utilizzare in modo intelligente gli strumenti di tutela predisposti dall’ordinamento per regolare la crisi in equilibrio tra i propri interessi e quelli dei creditori. Difendersi è, ad esempio, sapere che la prima casa è protetta entro certi limiti e quindi farli valere ; significa attivare una composizione negoziata e ottenere uno standstill invece di subire passivamente decreti ingiuntivi ; significa proporre un concordato o un accordo offrendo ai creditori il massimo sostenibile, per convincerli a evitare il peggio (la liquidazione disordinata). Vuol dire anche saper chiedere aiuto: coinvolgere un OCC, un advisor finanziario, un legale esperto di crisi d’impresa. La legislazione attuale tende la mano al debitore onesto e collaborativo: dalle misure premiali fiscali , alla possibilità di liberarsi dei debiti residui (fresh start), alle limitazioni di responsabilità per chi adempie ai doveri di gestione in crisi . Approfittarne è segno di buona gestione, non di debolezza.
In definitiva, un’azienda di rulliere motorizzate indebitata ha molte strade percorribili per difendersi: può negoziare con banche e fornitori, sfruttando magari la perizia di un esperto indipendente; può rimodulare i debiti fiscali dilazionandoli o transigendoli con l’Erario ; può proteggere il proprio patrimonio usando gli strumenti giuridici (senza abusarne); e se necessario può passare attraverso un concordato per tagliare i debiti e ripartire oppure una liquidazione controllata per chiudere in modo ordinato, senza strascichi infiniti. Ogni caso concreto richiede un mix mirato di tali strumenti, come evidenziato nelle simulazioni pratiche.
Dal lato normativo e giurisprudenziale, il contesto è in evoluzione: importanti pronunce (come quelle citate) integrano le regole scritte, chiarendo i confini (ad es. sulla revocabilità degli atti di protezione patrimoniale o sui doveri di amministratori e sindaci in crisi ). È essenziale per il professionista e l’imprenditore tenersi aggiornati fino all’ultima novità (ottobre 2025 in questa guida) perché la partita della crisi si gioca anche sulle ultime disposizioni (si pensi all’art. 23 co.2-bis CCII fresco di riforma ).
In conclusione, “cosa fare per difendersi” dai debiti aziendali significa adottare un atteggiamento proattivo e informato: conoscere i propri diritti e doveri, valutare lucidamente lo stato di salute dell’impresa, e scegliere lo strumento giusto al momento giusto (magari il male minore, come un concordato, pur di evitare l’irreparabile). Con il supporto di consulenti esperti e la leva di un quadro normativo sempre più orientato alla conservazione dei valori imprenditoriali, un debitore determinato può trasformare la crisi da evento distruttivo a occasione di ristrutturazione e rilancio, o quantomeno chiuderla in maniera dignitosa e ripartire da capo senza macerie irreversibili. Come recita un principio emerso nella prassi del nuovo Codice della Crisi, “la crisi d’impresa non è la fine del percorso, ma una fase da gestire con competenza per un nuovo inizio”.
Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate al 2025)
- Codice Civile, art. 2086 comma 2 – Dovere di adeguati assetti dell’imprenditore (introdotto dal D.L. 14/2019).
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14), e successive modifiche (D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024):
- artt. 12-25-quinquies CCII – Composizione negoziata della crisi (nomina esperto, misure protettive, conclusione delle trattative) . In particolare art. 23 CCII comma 2-bis introdotto nel 2024 (accordo transattivo con Erario durante CNC) .
- art. 25-bis CCII – Misure premiali fiscali per chi accede alla composizione negoziata .
- art. 56 CCII – Piano attestato di risanamento (esenzione da revocatoria per atti in esecuzione del piano) .
- artt. 57-64 CCII – Accordi di ristrutturazione dei debiti (requisito 60%; accordi agevolati; efficacia estesa al 75%) .
- artt. 84-120 CCII – Concordato preventivo (in continuità e liquidatorio; requisiti fattibilità, classi, voto dei creditori) .
- art. 64-bis CCII – Piani di ristrutturazione soggetti a omologazione (PRO) (deroghe, necessità unanimità classi) .
- art. 25-sexies CCII – Concordato semplificato per liquidazione (post-composizione negoziata, senza voto creditori) .
- artt. 65-73 CCII – Composizione della crisi da sovraindebitamento (norme generali).
- artt. 74-83 CCII – Concordato minore (procedure sovraindebitamento per imprese minori e altri debitori non fallibili) .
- artt. 268-277 CCII – Liquidazione controllata del sovraindebitato (equivalente al fallimento per non fallibili).
- art. 278 CCII – Esdebitazione dell’incapiente (debitore persona fisica meritevole privo di beni, liberazione dai debiti residui) .
- artt. 322-341 CCII – Reati concorsuali (bancarotta fraudolenta, semplice, preferenziale, documentale, ecc. riproducono artt. 216-217 L.F.) .
- artt. 318-321 CCII – Misure sanzionatorie interdittive conseguenti alla liquidazione giudiziale (inabilitazione esercizio impresa, ecc.).
- Legge 11/2015 (di conversione D.L. 83/2015) – ha modificato l’art. 182-ter L.F. consentendo il trattamento dell’IVA e ritenute nei concordati (norma antenata recepita ora nel CCII).
- D.P.R. 29 settembre 1973 n.602, art. 76 – Limiti alla riscossione esattoriale immobiliare (divieto pignoramento prima casa: unica, non lusso, residenza, debito < €120.000) .
- D.L. 21 giugno 2013 n.69 (conv. L.98/2013), art. 52 – Introdotto divieto pignoramento prima casa da parte di Equitalia (ora AdER).
- Decr. Lgs. 10 marzo 2000 n.74 (reati tributari):
- art. 10-bis – Omesso versamento ritenute certificate > €150.000 (penale) .
- art. 10-ter – Omesso versamento IVA > €250.000 (penale) .
- art. 10-quater – Indebita compensazione crediti non spettanti > €50.000 (penale).
- art. 11 – Sottrazione fraudolenta al pagamento imposte (es. distrazione beni per evadere) .
- D.L. 30 dicembre 2019 n.124 (conv. L.157/2019) – Riforma reati omesso versamento: innalzate soglie (IVA 250k, ritenute 150k) e introdotta causa non punibilità se accordi di rateazione in corso .
- D.Lgs. 8/2016, art. 3 – Depenalizzazione omesso versamento contributi fino 10k (soglia penalità) .
- Cassazione Civile, Sez. III, sentenza n. 28593/2024 (depositata 6-11-2024) – Azione revocatoria fondo patrimoniale: revoca inefficacia relativa del vincolo, ma non tocca atti di alienazione successivi ai terzi .
- Cassazione Civile, Sez. VI, ordinanza n. 32759/2024 (16-12-2024) – Divieto pignoramento prima casa retroattivo: la L.69/2013 si applica anche ai pignoramenti in corso al momento dell’entrata in vigore .
- Cassazione Civile, Sez. I, sentenza n. 30342/2021 – Pignorabilità prima casa e sequestro preventivo: conferma che il divieto di espropriazione forzata non si estende alle misure cautelari penali per reati tributari .
- Cassazione Civile, Sez. Unite, sentenza n. 8500/2021 – Transazione fiscale nei concordati: ha chiarito limiti e poteri del tribunale in caso di voto Fisco su proposta con falcidia IVA (ora superati da riforma CCII 2022).
- Cassazione Penale, Sez. V, sentenza n. 38896/2024 (deposito 11-09-2024) – Responsabilità amministratore formale: chi è amministratore di diritto non è automaticamente esente se c’è amministratore di fatto, ha comunque obbligo impedire eventi pregiudizievoli (caso bancarotta) .
- Cassazione Penale, Sez. V, sentenza n. 24365/2024 (deposito 20-06-2024) – Bancarotta documentale e prestanome: l’assunzione della carica di amm. unico come prestanome non basta a configurare dolo di bancarotta documentale senza prova partecipazione (annullata condanna a prestanome che denunciò irregolarità) .
- Cassazione Penale, Sez. V, sentenza n. 12730/2024 – Bancarotta fraudolenta post-fallimentare: costituire nuova società e trasferirvi l’azienda della fallita configura bancarotta fraudolenta per distrazione post fallimentare (no “phoenix” impunita) .
- Cassazione Penale, Sez. V, sentenza n. 8522/2024 (28-03-2024) – Azione revocatoria e effetti sui terzi: conferma che revoca ex art. 2901 rende l’atto inefficace vs creditore agente ma non obbliga terzi acquirenti a restituire bene (v. caso fondo patrimoniale) .
- Tribunale di Milano, sez. imprese, decreto 29/02/2024 – Adeguati assetti e grave irregolarità ex art.2409 c.c.: ha portato alla nomina di amministratore giudiziario in società per omessa istituzione di assetti adeguati, primo caso applicativo dopo CCII .
- Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza n. 9479/2023 – Misure cautelari penali vs divieto pignoramento: precisato che il sequestro preventivo per reato tributario può colpire immobile prima casa nonostante divieto espropriazione forzata (tutela è solo esecutiva).
- Cassazione Civile, Sez. I, sentenza n. 1869/2022 – Concordato preventivo liquidatorio e apporto di risorse esterne: ha sancito che il requisito 20% ai chirografari nel concordato liquidatorio CCII può essere soddisfatto anche con risorse esterne apportate dai soci (cristallizzando orientamento già noto).
- Cassazione Civile, Sez. Unite, sentenza n. 34447/2019 – Sovraindebitamento e falcidia IVA: prima dell’armonizzazione CCII, le SU stabilirono che nel piano del consumatore era falcidiabile l’IVA, aprendo la strada alla riforma.
- Direttiva UE 2019/1023 del Parlamento Europeo e Consiglio – Ristrutturazione e insolvenza: atto normativo che ha ispirato molte novità del CCII (PRO, esdebitazione più facile, allerta precoce), recepito dall’Italia con D.Lgs. 83/2022.
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La tua azienda che progetta, costruisce o distribuisce rulliere motorizzate, linee di trasporto, rulliere folli, nastri motorizzati, sistemi di movimentazione per logistica, convogliatori, motorulli, quadri elettrici, sensoristica, automazione per linee di produzione, oggi è schiacciata dai debiti?
Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, sospensioni dei fornitori, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori meccanici/elettrici o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore delle rulliere motorizzate è complesso e costoso: acciai e carpenterie in aumento, motorulli costosi, elettroniche delicate, sensori, quadri elettrici, installazioni impegnative, project management e clienti che pagano spesso a 60–120 giorni.
La liquidità può saltare rapidamente.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con una strategia mirata.
Perché un’Azienda di Rulliere Motorizzate va in Debito
- aumento dei costi di motorulli, ingranaggi, acciaio, carpenterie e componenti meccanici
- pagamenti lenti da parte di logistiche, industrie, magazzini automatici e integratori
- magazzino immobilizzato tra rulli, motorulli, sensori, quadri, carpenterie e ricambi
- costi elevati di installazioni, collaudi, trasferta tecnica e manutenzione
- investimenti in automazione, software e integrazione impiantistica
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
Il problema vero non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se Non Intervieni Subito
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco dei fidi bancari
- sospensione delle forniture critiche
- atti esecutivi, precetti, decreti ingiuntivi
- sequestro di rulliere, motorulli, quadri e componenti
- impossibilità di completare installazioni e collaudi
- perdita di clienti strategici e appalti ricorrenti
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può:
- sospendere pignoramenti
- bloccare richieste aggressive di rientro
- proteggere conti correnti e liquidità
- fermare le azioni dell’Agenzia Riscossione
Prima si salva l’azienda, poi si interviene sui debiti.
2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti
Nella maggior parte dei casi emergono irregolarità:
- interessi non dovuti
- sanzioni sbagliate o calcolate male
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori della Riscossione
- commissioni bancarie anomale
Una parte del debito può essere cancellata o ridotta.
3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili
Soluzioni efficaci:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- nuovi accordi con fornitori strategici (motorulli, carpenterie, elettriche)
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensione temporanea dei pagamenti
- accesso a definizioni agevolate
4. Attivare strumenti legali che bloccano TUTTI i creditori
Se la crisi è profonda, puoi attivare:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di Ristrutturazione dei Debiti
- Concordato Minore
- (nei casi estremi) Liquidazione Controllata
Queste procedure consentono all’azienda di continuare a operare pagando solo una parte dei debiti, sospendendo ogni azione esecutiva.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda del settore movimentazione/logistica servono competenze specifiche.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
È il professionista ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende che lavorano con rulliere motorizzate e sistemi di movimentazione.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua situazione debitoria
- stop urgente a pignoramenti
- riduzione dei debiti non dovuti
- ristrutturazione completa del debito
- protezione di rulliere, motorulli, quadri, ricambi e cantieri
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela totale dell’azienda e dell’amministratore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di rulliere motorizzate non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, tecnica e completamente legale, puoi:
- bloccare subito i creditori,
- ridurre realmente i debiti,
- salvare installazioni, collaudi e contratti,
- proteggere il futuro della tua attività.
Agisci ora.
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