Se la tua azienda produce, importa o distribuisce reggiatrici, reggiatrici automatiche e semiautomatiche, reggiatrici a batteria, sistemi di reggiatura per linee di confezionamento, tendireggia, sigilli, nastri in PP/PET, ricambi tecnici e soluzioni per imballaggio industriale, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale intervenire subito per impedire fermi di produzione, blocchi delle forniture e perdita di clienti strategici.
Nel settore packing & imballaggio, un ritardo nella fornitura o assistenza delle reggiatrici può bloccare intere linee produttive dei clienti, generare penali, ritardi nelle spedizioni e perdita immediata di commesse.
Perché le aziende di reggiatrici accumulano debiti
- aumento dei costi di elettronica, motori, sensori, nastri in PP/PET e parti meccaniche
- rincari delle forniture importate e shortage di componenti
- pagamenti lenti da parte di industrie, magazzini logistici e integratori di linea
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con ricambi, motori, schede e componenti specifici
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli produttivi
- investimenti elevati in R&D, collaudi, software e certificazioni
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista l’intera esposizione debitoria
- identificare debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro troppo onerosi che compromettono la liquidità
- richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
- proteggere rapporti con fornitori strategici e componenti critici
- utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza bloccare produzione e assistenza
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di ricambi, motori, sensori e materiali di reggiatura
- impossibilità di completare interventi tecnici, installazioni e manutenzioni
- perdita di clienti logistici, industriali, e-commerce e integratori
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina su tutto il territorio nazionale un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
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- bloccare pignoramenti e procedure esecutive
- ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti legali più efficaci
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- proteggere materiali, ricambi, macchine e continuità produttiva
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Introduzione
L’azienda di reggiatrici (macchinari per l’imballaggio con reggia) è un’impresa manifatturiera che potrebbe trovarsi a fronteggiare diverse tipologie di debiti – fiscali, contributivi, bancari, verso fornitori, ecc. – con il concreto rischio di cadere in insolvenza. Nell’ultimo decennio la disciplina italiana delle crisi d’impresa è stata rivoluzionata dal D.Lgs. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), che ha introdotto nuovi obblighi di allerta per gli amministratori e una gamma di strumenti concorsuali volti a preservare il valore aziendale . In questa guida – rivolta ad avvocati, imprenditori e privati – analizziamo dal punto di vista del debitore le possibili vie d’uscita da uno stato di crisi, le responsabilità del management e le strategie difensive. Verranno esaminate tutte le categorie di debiti (tributari, contributivi, bancari, commerciali, ecc.) e gli istituti giuridici più efficaci per risanare l’azienda o gestirne l’insolvenza. La trattazione è aggiornata a ottobre 2025 e si basa sulle normative italiane vigenti e sulle più recenti sentenze delle corti superiori, con un linguaggio giuridico ma divulgativo.
Contesto normativo e crisi d’impresa
Il punto di partenza è il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), entrato definitivamente in vigore nel 2022 . Esso ha sostituito la vecchia legge fallimentare (R.D. 267/1942), introducendo nuovi strumenti orientati a prevenire l’insolvenza e favorire la continuità aziendale. In particolare sono nati istituti come la composizione negoziata della crisi, il piano attestato di risanamento, nuovi tipi di accordi di ristrutturazione, oltre a significative modifiche al concordato preventivo (ad es. introduzione del “cram down fiscale”) . Parallelamente, sono state ampliate le tutele per il debitore in crisi (ad es. possibilità di omologare il concordato anche senza il voto favorevole del Fisco) e inasprite le responsabilità degli amministratori, i quali ora hanno il dovere di attivarsi tempestivamente in presenza di squilibri aziendali, pena possibili sanzioni civili e penali . In sintesi, il sistema odierno impone un approccio proattivo: l’imprenditore in difficoltà deve individuare per tempo la soluzione più appropriata per regolarizzare i debiti o ristrutturare la società, altrimenti rischia contestazioni sulla propria gestione (es. per violazione del dovere di diligenza o responsabilità verso i creditori).
Va ricordato che non tutte le imprese possono essere sottoposte alle stesse procedure: il Codice distingue tra imprese soggette a liquidazione giudiziale (già “fallibili”) e imprese minori escluse dalla procedura maggiore. In base all’art. 121 CCII, possono aprirsi procedure di liquidazione giudiziale solo verso imprenditori insolventi che superano almeno uno dei limiti dimensionali dell’“impresa minore” (attivo annuo > €300.000, ricavi annui > €200.000, debiti > €500.000) . Inoltre è richiesto un debito scaduto, certo e liquido di almeno 30.000 € complessivi . Se l’impresa soddisfa congiuntamente tutti e tre i limiti dimensionali (attività molto piccola) e/o i debiti scaduti sono inferiori a €30.000, essa non è soggetta a liquidazione giudiziale ordinaria: in caso d’insolvenza dovrà ricorrere alle procedure “minori” previste (come il concordato minore o la liquidazione controllata del patrimonio) . Le imprese di dimensioni rilevanti rientrano invece nelle procedure concorsuali ordinarie (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, ecc.). Da notare che nel 2024 è stato emanato un “terzo correttivo” (D.Lgs. 136/2024) al Codice, che ha introdotto varie migliorie tecnico-procedurali senza però alterare i presupposti essenziali di accesso alle procedure concorsuali (insolvenza, limiti dimensionali, soglie di debito) .
Tipologie di debito
Un’accurata analisi dei debiti è il primo passo per organizzare una difesa efficace. In una S.r.l. come l’azienda di reggiatrici si possono distinguere diverse categorie di debiti, ciascuna con proprie caratteristiche giuridiche e margini di manovra:
- Debiti tributari: comprendono imposte sui redditi, IVA, IRAP, ritenute fiscali, tributi locali non pagati, ecc. Questi crediti vantati dal Fisco (Agenzia delle Entrate) e dagli enti di riscossione hanno privilegio generale sui beni mobili del debitore e vanno trattati con particolare attenzione nelle procedure concorsuali . Oggi il trattamento dei debiti fiscali può avvalersi di strumenti più flessibili: ad esempio, in sede di concordato preventivo è ammessa la transazione fiscale, ossia un accordo che prevede il pagamento parziale delle imposte con eventuale dilazione e l’eliminazione di interessi e sanzioni . Inoltre, grazie a un importante sviluppo giurisprudenziale, dal 2024 è possibile ottenere l’omologazione forzata di un concordato anche senza il voto favorevole dell’Agenzia delle Entrate, purché il piano garantisca al Fisco un soddisfacimento almeno pari a quello ottenibile in caso di liquidazione fallimentare . La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27782/2024, ha infatti confermato la legittimità di questo “cram down” fiscale, aprendo la strada a concordati approvati dal tribunale nonostante il dissenso del Fisco quando il piano offre ai creditori pubblici un trattamento non inferiore alla liquidazione . Ciò consente all’imprenditore di proporre un taglio o una dilazione dei debiti tributari anziché essere costretto al fallimento. Va comunque ricordato che i debiti IVA, ritenute non versate e altri tributi presentano anche profili penali se gli importi evasi superano determinate soglie (es. omesso versamento IVA oltre €250.000 annui configura reato): queste evenienze richiedono un’attenzione ulteriore, poiché un concordato preventivo correttamente eseguito può evitare accuse di bancarotta fraudolenta per il mancato pagamento integrale di tali imposte .
- Debiti previdenziali: sono quelli verso enti come INPS e INAIL (contributi obbligatori per dipendenti, contributi pensionistici, premi assicurativi), oltre al TFR dovuto ai lavoratori. Anche questi crediti godono generalmente di privilegio (sono talora detti crediti “di massa” nei concordati) e vanno inseriti correttamente nelle procedure concorsuali . In caso di crisi, l’azienda debitrice può chiedere all’INPS la certificazione del debito contributivo e negoziare un piano di rientro simile a quello fiscale. Ad esempio, per accedere alla composizione negoziata della crisi (vedi oltre) occorre allegare una situazione debitoria certificata dall’INPS . I debiti contributivi, al pari di quelli fiscali, possono essere inclusi in una transazione fiscale nell’ambito di un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione, prevedendo il pagamento parziale e dilazionato anche di contributi previdenziali . Attenzione: l’omesso versamento di contributi trattenuti ai dipendenti (es. quote di stipendio) oltre soglie modeste (€10.000) è penalmente sanzionato, e gli amministratori possono essere ritenuti personalmente responsabili per questi omessi versamenti in alcune circostanze . Pertanto, anche per i contributi vale la regola di ricorrere tempestivamente a strumenti di regolazione della crisi, evitando accumuli di debiti che potrebbero generare sia privilegi insormontabili sia conseguenze penali.
- Debiti bancari e finanziari: includono esposizioni verso banche e società finanziarie, come mutui, affidamenti di conto corrente, leasing, finanziamenti soci, ecc. In assenza di garanzie reali (ipoteche, pegni) o personali, questi crediti sono in genere chirografari (non privilegiati). In situazioni di crisi, la banca può revocare gli affidamenti concessi e pretendere il rientro immediato, fino ad avviare azioni esecutive sui beni aziendali o chiedere il fallimento se il credito è significativo. Tra le soluzioni praticabili rientrano: (1) la ristrutturazione del debito bancario mediante un accordo formale con gli istituti (il classico “accordo di ristrutturazione” ex art. 182-bis L.F., ora art. 57 e ss. D.Lgs. 14/2019) , che richiede l’adesione di una maggioranza dei creditori finanziari e l’omologazione del tribunale; (2) il rifinanziamento dell’azienda, cioè l’ottenimento di nuova finanza (da soci o nuovi investitori, o tramite nuovi prestiti) destinata a ripianare i debiti esistenti eventualmente nell’ambito di un concordato preventivo o di un piano attestato . In alcuni casi, il debito bancario può essere rinegoziato con moratorie o rimodulazioni del piano di ammortamento – talvolta con il supporto di garanzie statali o confidi – specialmente se l’impresa dimostra prospettive di risanamento credibili. Va però considerato che spesso i finanziamenti bancari sono assistiti da fideiussioni personali degli imprenditori o garanzie reali su beni della società: ciò significa che l’inadempimento dell’azienda può ripercuotersi sul patrimonio personale (escussione del garante) o sugli asset strategici (es. ipoteca su capannone). Anche per questo è cruciale affrontare per tempo il dialogo con le banche all’emergere della crisi.
- Debiti verso fornitori e altri creditori terzi: sono i debiti commerciali derivanti dall’acquisto di materie prime, merci, servizi, utenze, nonché eventuali anticipi ricevuti da clienti per forniture non ancora evase. Nelle procedure concorsuali ordinarie (fallimento, concordato) questi crediti sono di norma chirografari, ossia senza cause di prelazione particolari, salvo rari casi (ad es. privilegio per il venditore di macchinari con patto di riservato dominio, ecc.) . In pratica i fornitori vengono soddisfatti dopo i crediti privilegiati (fisco, INPS, dipendenti) e dopo quelli garantiti da ipoteca . Ciò non significa che siano irrilevanti: anzi, spesso sono proprio i fornitori insoddisfatti a presentare istanze di fallimento o decreti ingiuntivi. Per difendersi, l’imprenditore indebitato dovrebbe mantenere il dialogo con i principali fornitori sin dalle prime difficoltà, cercando accordi stragiudiziali (piani di rientro rateali, ricontrattazione dei termini di pagamento, eventuali accordi transattivi con stralcio parziale del credito) che possano evitare azioni legali . In un eventuale concordato preventivo o accordo omologato dal giudice, il trattamento dei fornitori sarà stabilito dal piano: di regola ai chirografari viene proposta una certa percentuale di pagamento (es. 20-40%) oppure una dilazione pluriennale, e gli stessi hanno diritto di voto sull’approvazione del piano (aggregati per classi omogenee) . Se la maggioranza dei creditori (per valore) approva, il concordato viene omologato e vincola anche i dissenzienti. Dunque, se alcuni fornitori si mostrano intransigenti, il ricorso a uno strumento concorsuale permette di imporre comunque una soluzione equa erga omnes, purché il piano rispetti la par condicio (nessun fornitore può essere favorito indebitamente rispetto agli altri della stessa classe). Naturalmente, prima di arrivare a ciò, sarà auspicabile tentare ogni soluzione amichevole: pagamenti parziali immediati a fronte di rinuncia al resto, nuove commesse assegnate al fornitore per consentirgli margini futuri, ecc. Il fornitore spesso preferisce evitare lunghe cause o perdere un cliente, quindi può accettare accomodamenti. In definitiva, comunicazione e buona fede possono prevenire molte azioni legali dei creditori commerciali.
- Altre passività: eventuali debiti verso enti locali (ad es. TARI, IMU o altri tributi comunali), esposizioni su strumenti finanziari derivati, penali contrattuali dovute a clienti, risarcimenti danni, ecc. Questi debiti vanno valutati caso per caso. In linea di massima, nel fallimento o concordato essi seguono le regole generali: ad esempio, i crediti degli enti locali per tasse vengono spesso assimilati ai tributi erariali come grado di privilegio; i debiti da risarcimento possono essere chirografari o privilegiati se derivanti da danni a persone (che la legge privilegia); gli importi dovuti su derivati potrebbero essere oggetto di contestazione giudiziale a parte. È importante mappare tutte queste passività “atipiche” con l’aiuto di un professionista, per decidere come affrontarle (transazione, inclusione in piano concorsuale, ecc.) caso per caso.
Una volta completata la mappatura dei debiti, l’azienda potrà comprendere l’entità del proprio dissesto. Un’impresa sommersa dai debiti rischia non solo l’illiquidità, ma anche l’iniziativa dei creditori su vari fronti: decreti ingiuntivi, pignoramenti, iscrizioni di ipoteche giudiziali, fino alle procedure concorsuali che sottraggono il controllo dell’azienda ai soci. Per questo, sin dai primi segnali di squilibrio finanziario – perdite di bilancio rilevanti, cronici ritardi nei pagamenti, revoca di fidi bancari, solleciti e ingiunzioni ricevuti – è consigliabile attivarsi immediatamente. Le opzioni possibili sono negoziare con i creditori (per guadagnare tempo e magari ottenere dilazioni) e soprattutto ricorrere agli strumenti di regolazione della crisi previsti dalla legge, prima che la situazione degeneri al punto da non lasciare scelta.
Strumenti di risanamento aziendale
Per difendersi dai debiti e salvare l’azienda, l’imprenditore può ricorrere a una o più delle seguenti strategie previste dal Codice della crisi, a seconda della gravità del passivo e delle dimensioni dell’impresa:
- Composizione negoziata della crisi: è un istituto relativamente nuovo (introdotto dal D.Lgs. 118/2021 e ora disciplinato dagli artt. 23-43 CCII) operativo dal 2021 . Consiste in una procedura volontaria in cui l’imprenditore, su istanza presentata alla piattaforma delle Camere di Commercio, viene affiancato da un esperto indipendente nominato da una commissione apposita presso la CCIAA . L’esperto aiuta a negoziare con i creditori (pubblici e privati) un accordo stragiudiziale per il risanamento, valutando la ragionevole perseguibilità del risanamento stesso . La composizione negoziata non richiede l’omologazione preventiva di un tribunale ed è coperta da riservatezza; l’imprenditore rimane alla guida dell’azienda durante le trattative. Per accedervi occorre dimostrare uno stato di crisi incipiente (squilibrio patrimoniale o economico) ma con concrete prospettive di recupero, e allegare informazioni sulla situazione patrimoniale, finanziaria e debitoria (incluse certificazioni dei debiti fiscali e contributivi) . Vantaggi principali: rapidità e flessibilità, con la possibilità durante le trattative di richiedere al tribunale misure protettive (su richiesta dell’imprenditore) per sospendere o impedire azioni esecutive individuali dei creditori . Inoltre, nell’ambito della negoziazione assistita possono perfezionarsi accordi come la transazione fiscale con il Fisco o una moratoria con le banche. La composizione negoziata non comporta automaticamente stralci di debito, ma può servire da cornice per raggiungere intese con i creditori chiave. Se l’accordo riesce, si evita l’avvio di procedure concorsuali maggiori. In caso di esito negativo, l’esperto relaziona sull’operato delle parti; l’imprenditore potrà comunque accedere ad altri strumenti (es. concordato) eventualmente beneficiando di una corsia preferenziale. Da notare che durante la composizione negoziata l’imprenditore non può essere dichiarato fallito su istanza dei creditori (le eventuali istanze sono sospese) , salvo eccezioni, e resta libero di decidere se concludere o meno accordi. Di contro, questo strumento richiede cooperazione: se i creditori (o alcuni di essi, in posizioni cruciali) non collaborano, la negoziazione può fallire. Inoltre, non vincola i creditori che non sottoscrivono accordi: ad esempio, un creditore estraneo può comunque agire separatamente se non è soggetto a misure protettive. Spesso, infatti, la composizione negoziata funziona meglio come preludio a un vero accordo formale o concordato, piuttosto che come soluzione definitiva, specialmente per crisi di media-grande portata.
- Piano attestato di risanamento: è uno strumento unilaterale messo a punto dal debitore, con rilievo giuridico seppur in ambito stragiudiziale. Introdotto già dalla legge fallimentare (art. 67 L.F.) e confermato nel Codice (artt. 56-64 CCII), consiste in un piano di rientro dal debito, preparato dall’imprenditore con l’ausilio di un professionista indipendente che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano . Il piano può prevedere la ristrutturazione dell’assetto aziendale, la rateizzazione dei debiti, il reperimento di nuova finanza e ogni misura utile al risanamento, il tutto delineato in un documento consegnato ai creditori. Non richiede adesione formale dei creditori ex ante né omologazione del tribunale, quindi è uno strumento rapido e riservato. Può tuttavia essere pubblicato nel Registro delle Imprese per conferire effetti di pubblicità e per accedere ad alcuni benefici (ad es. esenzione fiscale parziale su sopravvenienze attive da riduzione del debito) . I vantaggi del piano attestato sono: la rapidità (nessun iter giudiziale), la flessibilità nei contenuti, la possibilità di evitare lo stigma di procedure concorsuali formali. Inoltre, la legge gli riconosce un’importante tutela: gli atti, i pagamenti e le garanzie compiuti in esecuzione di un piano attestato idoneo a risanare l’impresa non sono soggetti ad azione revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento . Ciò significa che i creditori che vengono pagati secondo il piano non rischiano che quei pagamenti siano annullati come preferenziali se l’azienda fallisce in seguito, e l’amministratore non rischia accuse di bancarotta preferenziale per averli eseguiti . Di contro, il limite principale è che i creditori non sono formalmente vincolati dal piano attestato se non lo condividono: il piano, in sé, impegna solo il debitore; i creditori potranno decidere se aderire (ad esempio accettando le nuove scadenze di pagamento proposte) ma in mancanza di adesione restano liberi di agire. In sostanza, il piano attestato è efficace soprattutto quando l’imprenditore ha pochi creditori ben individuati e ragionevolmente disponibili a collaborare, oppure come documento base da sottoporre ai creditori per ottenere consensi informali. Bisogna infine considerare la sostenibilità finanziaria: il piano attestato funziona se l’azienda ha prospettive di generare flussi sufficienti o se riceve nuova finanza per attuare il risanamento. Senza risorse nuove o tagli del debito concordati, resta un proposito unilaterale. In pratica, comunque, predisporre un piano attestato con attestazione professionale è spesso un segnale positivo di trasparenza verso i creditori e può stabilire una base realistica per trattative.
- Accordi di ristrutturazione dei debiti: si tratta di strumenti di natura concorsuale (giudiziale) che consentono all’impresa in crisi di concludere un accordo vincolante con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti, sottoponendolo poi all’omologazione del tribunale (ex art. 182-bis L.F., ora art. 57 e ss. CCII). Tali accordi, che includono anche la possibilità di convenzioni di moratoria o accordi estesi a creditori dissenzienti con specifiche maggioranze (c.d. accordi ad efficacia estesa), sono pensati per situazioni in cui si riesce a ottenere il consenso di una larga parte dei creditori senza passare per il voto formale di tutti come nel concordato . Un caso particolare è l’accordo di ristrutturazione dei debiti tributari previsto dall’art. 63 CCII, che consente di includere l’Agenzia delle Entrate in un accordo di ristrutturazione con l’assenso del Fisco su un piano di pagamento dei debiti tributari. Se però il Fisco non aderisce, si applica il meccanismo del cram-down fiscale di cui sopra: secondo la Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 8504/2021) la decisione sul diniego del Fisco spetta sempre al giudice fallimentare nell’ambito dell’omologazione, e non al giudice tributario . In altri termini, l’accordo può essere omologato anche senza l’adesione dell’Erario se il tribunale ritiene soddisfatte le condizioni di legge. Gli accordi di ristrutturazione offrono un quadro più flessibile del concordato preventivo classico: non c’è voto di tutti i creditori, ma solo consenso individuale di una parte qualificata; si possono trattare separatamente categorie di creditori (ad es. fare accordi con le banche per primi, poi coinvolgere fornitori). Una volta omologato, però, l’accordo vincola solo i creditori che vi hanno aderito (tranne nei casi di estensione legale a dissenzienti in percentuale limitata). I vantaggi per il debitore sono la maggiore snellezza e riservatezza (spesso l’accordo è poco pubblicizzato rispetto a un concordato), tempi più rapidi e minori costi procedurali, e la possibilità di ottenere nuova finanza con protezioni (i nuovi finanziamenti previsti dall’accordo omologato godono di esenzioni da revocatoria e privilegi in caso di successivo fallimento, ex art. 90 CCII). Gli svantaggi rispetto al concordato sono che richiedono un’adesione molto ampia dei creditori in termini percentuali (almeno 60% del totale crediti) e che i creditori non aderenti non sono forzati ad accettare tagli di credito (se non tramite eventuale cram-down fiscale per il Fisco). Inoltre, l’azienda deve comunque predisporre un piano di ristrutturazione e farlo attestare da un esperto indipendente, similmente al concordato, per dimostrare la fattibilità dell’accordo. Questo strumento è stato utilizzato soprattutto da imprese medio-grandi o gruppi societari, spesso in combinazione con moratorie bancarie. Con il Codice della crisi sono state introdotte varianti come gli accordi di ristrutturazione agevolati (soglia di adesione ridotta al 30% ma con efficacia solo per i aderenti) e quelli ad efficacia estesa (che legano anche dissenzienti di una certa categoria con percentuale di adesione elevata nella stessa categoria): soluzioni di nicchia che però segnalano la volontà del legislatore di offrire strumenti modulabili per evitare il fallimento.
- Concordato preventivo: è lo strumento concorsuale classico con cui l’imprenditore insolvente (o in stato di crisi) propone ai creditori un piano che può prevedere la ristrutturazione dei debiti e, se possibile, la continuazione dell’attività aziendale (concordato in continuità), in alternativa alla liquidazione dei beni (concordato liquidatorio). Il concordato è soggetto a procedura giudiziale: il tribunale, verificati i presupposti, ammette l’azienda alla procedura, quindi i creditori votano il piano proposto e infine, in caso di approvazione delle maggioranze richieste, il tribunale omologa l’accordo rendendolo vincolante per tutti i creditori anteriori. Con il nuovo Codice della crisi, l’istituto del concordato è divenuto più flessibile e orientato al salvataggio: ad esempio, è ammesso prevedere l’apporto di finanza esterna (denaro fresco da soci o terzi) da destinare ai creditori con priorità; è possibile far partecipare al piano anche creditori futuri; i finanziatori dell’azienda in concordato godono di protezioni (non scattano automaticamente responsabilità per aiuti tardivi); inoltre è previsto l’automatic stay delle azioni esecutive individuali una volta presentata la domanda (nessun creditore può iniziare o proseguire pignoramenti durante il concordato) . Un aspetto cruciale riguarda i crediti pubblici (Erario, INPS): come già visto, grazie alla sentenza Cass. n. 27782/2024 il tribunale può omologare il concordato anche senza il voto favorevole di questi enti, purché il piano garantisca loro un trattamento non deteriore rispetto al fallimento . In pratica, si supera il “veto fiscale” che in passato spesso bloccava i concordati: oggi, se il piano offre al Fisco/INPS almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione giudiziale, il loro dissenso non impedisce l’omologa. Questo mutamento (detto cram down fiscale) è una svolta decisiva per molti piani, perché permette di dilazionare o ridurre il debito tributario e contributivo nel concordato, imponendo la soluzione anche all’Erario . Dal punto di vista dell’imprenditore, il concordato preventivo presenta vantaggi importanti: la possibilità di ridurre il debito totale pagando solo una percentuale ai chirografari, di suddividere i creditori in classi e trattarli in modo differenziato (nel rispetto delle prelazioni), di mantenere l’operatività aziendale (nel concordato in continuità) evitando l’interruzione dell’attività, e infine di ottenere – a concordato eseguito – l’esdebitazione dell’azienda, cioè la cancellazione dei debiti residui insoddisfatti (per le società, l’esdebitazione opera nei limiti in cui restano attive, mentre per l’imprenditore persona fisica vi è un vero e proprio “fresh start” dopo la procedura) . Gli svantaggi e rischi del concordato sono: la procedura è relativamente lunga e costosa (vi sono spese di giustizia, compenso del commissario giudiziale nominato, costi per attestatore e consulenti, ecc.); durante il concordato l’impresa è sotto controllo del tribunale e dei creditori (che votano, eventualmente divisi in classi); gli amministratori vedono limitati i propri poteri (nel concordato in continuità agiscono sotto vigilanza del commissario; nel concordato liquidatorio spesso cedono la gestione a un liquidatore nominato); infine, l’esito è incerto perché serve comunque l’approvazione delle maggioranze di creditori (in genere la maggioranza semplice dei crediti ammessi al voto, salvo maggioranze rafforzate per classi dissenzienti). In caso di esito negativo (mancata approvazione o omologa), l’azienda rischia direttamente il fallimento. Per le piccole imprese, il Codice prevede una variante semplificata detta concordato minore (riservato ai debitori sotto soglia non fallibili): è simile al concordato preventivo ma adattato a realtà minori, con iter più snello e senza voto dei creditori (il tribunale decide sull’omologa sentiti i creditori) . Inoltre, una novità per le crisi più gravi è il concordato semplificato per la liquidazione: se una composizione negoziata fallisce senza accordo, l’imprenditore può proporre entro 60 giorni un concordato “semplificato” liquidatorio, senza voto dei creditori, da omologare per liquidare i beni sotto controllo del tribunale (strumento pensato per evitare il fallimento quando la negoziazione non ha prodotto soluzioni, introdotto col D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021). In definitiva, il concordato preventivo rimane la procedura di regolazione della crisi più completa e garantita, ma va affrontato con un piano serio e sostenibile.
- Liquidazione giudiziale (ex fallimento): rappresenta il rimedio finale quando non sia possibile attuare alcuna ristrutturazione. Viene aperta dal tribunale con sentenza dichiarativa su ricorso del debitore stesso, di un creditore o del Pubblico Ministero, qualora l’imprenditore si trovi in stato di insolvenza accertato e ricorrano i requisiti soggettivi (impresa commerciale non piccola) e oggettivi (debito scaduto ≥ €30.000) di cui si è detto . Con la liquidazione giudiziale gli amministratori vengono spossessati: il tribunale nomina un curatore fallimentare che gestisce e liquida il patrimonio aziendale, sotto la supervisione di un giudice delegato, distribuendo poi il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione . Gli effetti per il debitore sono estremamente penalizzanti: perdita della disponibilità dei beni dell’impresa, scioglimento dei contratti pendenti salvo esercizio del curatore, possibilità di azioni revocatorie che colpiscono atti compiuti prima del fallimento (es. pagamenti preferenziali fatti nei mesi antecedenti), e in prospettiva possibili azioni di responsabilità contro amministratori e organi sociali . I creditori, dal canto loro, vedono i loro crediti “cristallizzati” alla data di apertura: diventano crediti concorsuali da far valere tramite insinuazione al passivo, e saranno soddisfatti pro quota in base al realizzo e al grado di privilegio. In genere, in una liquidazione giudiziale i creditori chirografari recuperano solo una percentuale molto ridotta (spesso pochi centesimi per euro). La legge impone una soglia di €30.000 di debiti scaduti per evitare fallimenti per importi irrisori . Se in istruttoria il totale dei debiti scaduti risulta inferiore a tale soglia, la domanda di liquidazione va rigettata. Tuttavia, per debitori “sotto soglia”, i creditori possono richiedere l’apertura di una liquidazione controllata (procedura concorsuale minore prevista per i non fallibili) purché i debiti scaduti raggiungano almeno €50.000 . In ogni caso, subire una liquidazione giudiziale è di solito l’ultima spiaggia: significa la fine dell’azienda come entità operativa (salvo rare ipotesi di esercizio provvisorio per cedere l’azienda in funzionamento) e comporta anche un forte impatto reputazionale e personale sugli imprenditori coinvolti . Attualmente, grazie agli strumenti introdotti dal Codice, un imprenditore sotto pressione dovrebbe fare di tutto per evitare la liquidazione giudiziale, privilegiando soluzioni alternative. Spesso, infatti, chi arriva al fallimento ha esaurito tutte le opzioni di risanamento senza successo o non le ha attivate per tempo.
In sintesi, la scelta migliore per un imprenditore indebitato è muoversi per tempo ed evitare di arrivare al fallimento non assistito. Le prime misure consigliate sono: coinvolgere i creditori chiave in trattative informali o tramite un piano attestato, valutare la composizione negoziata se vi sono margini di accordo, e solo in ultima istanza preparare un concordato preventivo o accordo giudiziale da sottoporre ai creditori e al tribunale . La decisione tra composizione negoziata, accordo di ristrutturazione o concordato dipende da vari fattori: la dimensione dell’azienda, la gravità dei debiti, l’urgenza (quanto tempo prima che i creditori agiscano), la necessità di trovare nuova finanza o investitori, ecc. Ad esempio, un piccolo produttore di reggiatrici in Lombardia con fatturato di 3 milioni e debiti per 1 milione potrebbe tentare inizialmente un piano attestato o una composizione negoziata coinvolgendo banche locali e fornitori principali, mentre un gruppo industriale con centinaia di dipendenti, stabilimenti e debiti per decine di milioni probabilmente dovrà optare per un concordato preventivo con riserva (il cosiddetto concordato “in bianco”) per congelare subito le azioni dei creditori e poi presentare un complesso piano di ristrutturazione in continuità . Ogni situazione va valutata con cura, preferibilmente con l’ausilio di consulenti specializzati in crisi d’impresa.
Di seguito proponiamo una tabella riepilogativa dei principali strumenti di regolazione della crisi d’impresa, con le modalità di accesso, i vantaggi per il debitore e i rischi/limiti di ciascuno:
| Strumento | Accesso (come si avvia) | Vantaggi per il debitore | Svantaggi / Rischi |
|---|---|---|---|
| Composizione negoziata | Istanza volontaria alla Camera di Commercio; nomina di un esperto indipendente; no omologa giudiziale iniziale. | – Rapida e riservata (niente tribunale nella fase iniziale). <br> – Possibilità di misure protettive (stop a fallimento e pignoramenti durante le trattative). <br> – Può includere transazione fiscale su debiti erariali e contributivi. <br> – Imprenditore resta in carica e guida le scelte con l’ausilio dell’esperto. | – Richiede cooperazione dei creditori: senza accordo si deve passare ad altra procedura. <br> – Non vincola i creditori dissenzienti che non sottoscrivono accordi. <br> – Non prevede automaticamente uno sconto sui debiti (dipende dalla volontà dei creditori). <br> – Può sfociare in fallimento se usata solo per ritardare senza prospettive reali. |
| Piano attestato di risanamento | Piano redatto dal debitore con attestazione professionale; nessuna approvazione giudiziale (eventuale pubblicazione in Registro Imprese). | – Rapido e flessibile (procedura stragiudiziale). <br> – Nessun coinvolgimento pubblico, minore impatto reputazionale. <br> – Protezione dagli effetti di revocatoria fallimentare per atti e pagamenti eseguiti secondo il piano . <br> – Niente accusa di bancarotta preferenziale per pagamenti previsti nel piano (se attestato e rispettato) . <br> – Può essere base di trattative: mostra ai creditori un impegno serio. | – Non vincolante per i creditori che non collaborano: ciascuno può ignorare il piano e agire per conto proprio. <br> – Richiede comunque risorse sufficienti per attuare il risanamento: se il piano non è credibile finanziariamente, fallirà. <br> – Necessita di un attestatore indipendente: costi professionali e responsabilità penale in caso di false attestazioni. <br> – Se il risanamento fallisce e interviene un fallimento, i creditori non pagati per intero potrebbero contestare l’idoneità del piano ex post. |
| Accordo di ristrutturazione | Negoziazione privata con creditori chiave (≥60% dei crediti) + ricorso al tribunale per omologa. | – Consente di rimodulare i debiti con effetti vincolanti una volta omologato. <br> – Possibile includere anche debiti fiscali (con transazione) . <br> – Procedura più rapida e discreta del concordato; il voto non è assembleare ma per adesione individuale. <br> – Vincola tutti i creditori aderenti e può prevedere esenzione da revocatoria per atti eseguiti (simile a piano attestato). <br> – Maggior flessibilità nel trattare separatamente categorie di creditori (accordi ad hoc). | – Complesso da concludere: serve adesione di larga parte (60%+) dei creditori per legge, spesso di più nella pratica. <br> – I creditori non aderenti restano estranei e possono creare problemi (tranne eccezioni di efficacia estesa limitate). <br> – Necessaria attestazione di fattibilità del piano e controllo del tribunale sull’equilibrio dell’accordo (costi e tempi non trascurabili). <br> – Se un creditore chiave rifiuta, l’accordo può saltare (a meno di cram-down fiscale per l’Erario in certe condizioni). <br> – Non sospende le azioni esecutive automaticamente se non chiedendo misure protettive al tribunale. |
| Concordato preventivo | Ricorso al tribunale per ammissione; nomina di commissario; voto dei creditori e decreto di omologa. | – Ristrutturazione globale dei debiti con possibili stralci (tagli) significativi per chirografari. <br> – Automatic stay: blocco di pignoramenti e altre azioni dei creditori dopo il deposito del ricorso (tutela del patrimonio in crisi). <br> – Possibilità di continuare l’attività (concordato in continuità) mantenendo posti di lavoro e valore aziendale. <br> – Cram down fiscale: possibilità di imporre il piano anche senza consenso del Fisco/INPS se trattati adeguatamente . <br> – Accesso a esdebitazione finale: l’azienda esce dalla procedura alleggerita dai debiti residui non pagati. <br> – Eventuali nuovi finanziamenti in piano sono protetti (prededucibili). | – Procedura lunga e costosa (intervento di giudice, commissario, spese legali). <br> – Esito incerto: serve il voto favorevole di maggioranza dei creditori (salvo concordato minore per piccoli debitori). <br> – Durante la procedura, l’impresa è sotto controllo: atti straordinari richiedono autorizzazione, c’è perdita parziale di autonomia. <br> – Se il concordato fallisce (non omologato o non eseguito), rischio immediato di fallimento aggravato dal tempo perso. <br> – Impatto reputazionale e commerciale: fornitori e clienti possono perdere fiducia durante il concordato se non ben gestito. |
| Liquidazione giudiziale | Ricorso di creditore/debitore o iniziativa PM; sentenza del tribunale che dichiara il fallimento. | – Permette una chiusura ordinata dell’impresa sotto supervisione, evitando atti di aggressione scoordinati. <br> – Sospende tutte le azioni individuali: i creditori possono soddisfarsi solo nella procedura, con parità di trattamento. <br> – Possibilità (per l’imprenditore persona fisica) di ottenere l’esdebitazione personale dopo 3 anni dalla chiusura, se ha collaborato lealmente . <br> – I dipendenti possono attivare il Fondo di Garanzia INPS per TFR e stipendi impagati. <br> – Il curatore può far valere azioni di responsabilità e revocatorie per recuperare risorse a beneficio dei creditori. | – Estrema ratio: l’azienda viene spossessata e cessano le attività (salvo esercizio provvisorio limitato). <br> – Gli amministratori perdono i poteri e possono subire azioni di responsabilità dal curatore e dai creditori . <br> – Distribuzione spesso irrisoria per i creditori chirografari; rischio di lungaggini (una liquidazione dura in media diversi anni). <br> – Stigma sul debitore: perdita di reputazione, interdizioni legali temporanee (es. divieto di ricoprire cariche per gli amministratori, ecc.). <br> – Se l’insolvenza non è totale (azienda ancora parzialmente sana), il fallimento distrugge valore che un concordato avrebbe potuto salvare (macchinari venduti all’asta a basso prezzo, avviamento perso, etc.). |
Ruolo degli amministratori e responsabilità
Un tema cruciale nella gestione della crisi è il comportamento degli amministratori (e, in parte, dei soci) della società. Gli amministratori di una S.r.l. devono gestire con lealtà e diligenza (artt. 2392 e 2476 c.c.) nell’interesse della società e nel rispetto della parità tra i creditori, evitando conflitti d’interesse e atti di dissipazione del patrimonio sociale. La giurisprudenza più recente è diventata particolarmente severa verso gli amministratori che, in situazione di crisi, effettuano pagamenti preferenziali a taluni creditori (magari parti correlate) aggravando il dissesto a danno della massa degli altri creditori . Ad esempio, la Cassazione civile ha affermato nel 2025 che un amministratore “avrebbe dovuto evitare esborsi in favore di [una] società non solvibile” a lui riconducibile, giudicando tale condotta scorretta e dannosa per la massa creditoria . In termini generali, la Suprema Corte ha ribadito che l’amministratore di S.r.l. è tenuto ad agire con la diligenza dovuta, senza incorrere in conflitti di interesse, ed egli compie un atto illecito se fa prevalere un interesse extra-sociale in pregiudizio della società e dei creditori . Quindi, già nella fase pre-concorsuale (quando ancora si tenta il risanamento) l’imprenditore deve tenere una condotta prudente: evitare di soddisfare in modo sproporzionato alcuni creditori lasciandone scoperti altri (a meno che ciò rientri in un piano di risanamento strutturato), vigilare sui segnali di perdita nei bilanci, non aggravare l’esposizione con operazioni azzardate o distrazioni di beni. Operazioni come pagare debiti a società collegate, rimborsare finanziamenti a soci o concedere garanzie solo ad alcuni creditori in extremis possono essere poi sindacate come preferenziali o dolose.
Dal lato delle conseguenze, se la società precipita in liquidazione giudiziale, il curatore fallimentare (ed eventualmente i creditori, se il curatore non agisce) potranno promuovere azioni di responsabilità verso gli amministratori. In particolare: l’azione ex art. 2476 c.c. (in S.r.l.) o 2393 c.c. (in S.p.A.) mira al risarcimento del danno alla società causato da atti di mala gestione; e l’azione ex art. 2394 c.c. è rivolta al risarcimento del danno ai creditori sociali causato dalla mancata conservazione del patrimonio sociale . Quest’ultima si configura tipicamente quando, al momento del fallimento, il patrimonio risulta insufficiente a pagare i debiti a causa di atti o omissioni degli amministratori (es. hanno continuato l’attività aggravando il dissesto invece di attivare tempestivamente gli strumenti di tutela) . Il Codice della crisi ha rafforzato questi principi prevedendo in capo agli amministratori l’obbligo di istituire assetti organizzativi adeguati (art. 2086 c.c.) proprio per rilevare tempestivamente la crisi: la violazione di tale dovere e la prosecuzione imprudente dell’attività in perdita possono costituire presupposto di responsabilità personale verso i creditori . Inoltre, gli amministratori rispondono in solido dei debiti per mancato versamento di ritenute e contributi previdenziali, quando tale omissione sia frutto di dolo o colpa grave: ad esempio l’INPS, dopo la chiusura infruttuosa di una società, può pretendere dagli amministratori il pagamento in proprio di contributi non versati, qualificandolo come obbligo personale (in quanto violazione di obblighi di legge) .
Un’altra sfera delicata è la responsabilità penale: se la crisi degenera in fallimento, alcuni comportamenti degli amministratori tenuti prima del fallimento possono costituire reati di bancarotta (fraudolenta o semplice). Ad esempio, distrarre o occultare beni societari, falsificare le scritture contabili, pagare alcuni creditori a scapito di altri in prossimità del fallimento sono condotte punite penalmente. Anche l’omesso versamento di IVA o contributi, come visto, può portare a responsabilità penali. Tuttavia, la legge premia in qualche misura chi adotta strumenti di risanamento: l’omologazione di un piano attestato o di un concordato preventivo può esonerare l’imprenditore da alcune fattispecie di bancarotta relative agli atti compiuti in esecuzione del piano approvato . In altre parole, se talune operazioni (es. pagamenti parziali) sono autorizzate in un concordato o previste da un piano attestato certificato, esse non saranno successivamente considerate reati fallimentari. Questa è un’ulteriore ragione per agire nei binari di legge: seguire le procedure di composizione della crisi mette l’imprenditore al riparo dall’accusa di aver favorito qualcuno illegittimamente, purché si muova con trasparenza e nell’ambito degli strumenti previsti.
Va infine considerato il ruolo dei soci (proprietari) nelle S.r.l.: di regola, grazie all’autonomia patrimoniale perfetta, i soci di S.r.l. non rispondono con il proprio patrimonio personale dei debiti sociali . Ciò resta vero anche in caso di insolvenza grave e fallimento: i creditori sociali possono rivalersi solo sul patrimonio della società, non sui beni dei soci. Questo principio conosce però alcune eccezioni importanti, per lo più legate a comportamenti anomali dei soci o a fasi di scioglimento della società. Una prima eccezione classica riguarda le fideiussioni personali: se un socio (spesso l’imprenditore di riferimento) ha garantito personalmente un debito della società, quel creditore potrà escutere il socio-garante in caso di inadempimento della società . È il caso tipico dei finanziamenti bancari in cui la banca chiede la garanzia personale dei soci: la limitazione di responsabilità cade per obbligo volontario del socio stesso garante, il quale dovrà pagare con i propri beni qualora la società non paghi. Una seconda eccezione attiene alla fase di liquidazione volontaria della società: se, al termine della liquidazione, avanzano dei debiti insoddisfatti, i creditori possono agire contro i soci ma solo nei limiti di quanto questi hanno ricevuto in sede di riparto finale (art. 2495 c.c.) . In pratica, se i soci hanno incassato somme o beni dalla società in chiusura, devono restituirli ai creditori insoddisfatti fino a concorrenza del valore ricevuto. Ad esempio, se una S.r.l. è stata liquidata distribuendo 50.000 € ai soci e rimane un debito di 100.000 €, ciascun socio potrà essere chiamato a versare pro-quota parte di quei 50.000 € ai creditori, ma non di più . Questa responsabilità verso i creditori post-liquidazione si prescrive in 5 anni dalla cancellazione della società e vale anche per i debiti fiscali . Per di più, le Sezioni Unite della Cassazione hanno interpretato estensivamente tale principio, stabilendo che – specie per debiti tributari – i soci possono essere chiamati a rispondere dei debiti sociali residui anche se non hanno ricevuto nulla dalla liquidazione, qualora la società sia stata volutamente estinta lasciando insoluti i debiti . Questo orientamento (Cass. S.U. nn. 6070 e 6072/2013; Cass. n. 9672/2018) configura una sorta di “abuso della personalità giuridica” o piercing the corporate veil: se la società è stata usata per contrarre debiti e poi sciolta per non pagarli, i creditori (soprattutto l’Erario) possono agire contro i soci anche oltre il limite del riparto finale. Si tratta però di situazioni limite, legate a comportamenti fraudolenti. Un’ulteriore eccezione si verifica con l’art. 2467 c.c. sul finanziamento dei soci: se i soci hanno finanziato la società in un momento in cui sarebbe stato ragionevole un apporto di capitale (cioè la società era sottocapitalizzata o in crisi), quei finanziamenti sono postergati rispetto agli altri crediti; inoltre, in caso di mancata tempestiva liquidazione della società ormai decotta, una parte della giurisprudenza ammette che i creditori possano rivalersi sui soci che hanno procrastinato la chiusura continuando ad operare in perdita. Infine, in circostanze di illeciti commessi dai soci (es. distrazione di beni sociali a proprio vantaggio, uso della società come schermo per frodi), i tribunali possono applicare la dottrina del piercing the veil ritenendo i soci illimitatamente responsabili: è un rimedio raro, ma da tenere presente . In conclusione, pur non rispondendo di regola dei debiti sociali, i soci farebbero bene a prevenire la crisi e sostenere l’azienda, perché lasciare incancrenire i debiti può portare anche loro a subire azioni (come visto, l’ordinamento tende a evitare che si faccia uso strumentale della responsabilità limitata per sottrarsi dolosamente ai creditori).
Riassumendo, agli amministratori è richiesto di agire in modo proattivo e corretto di fronte alla crisi: essi dovrebbero attivare subito gli strumenti previsti (piani, concordati, ecc.), comunicare con chiarezza ai creditori in buona fede e astenersi da atti di favoritismo o occultamento. In caso contrario, oltre al probabile fallimento della società, rischiano in proprio azioni risarcitorie e, se emergono profili di dolo, anche imputazioni penali.
Domande frequenti (Q&A)
- D: Quando è obbligatorio attivare una procedura di crisi?
R: Il Codice della crisi (artt. 13-14 CCII) impone agli amministratori di segnalare tempestivamente lo stato di difficoltà e di adottare senza indugio le misure idonee quando emergono indizi di crisi. Non esiste una soglia fissa e universale di indebitamento oltre la quale scatta automaticamente l’obbligo di procedura concorsuale, ma vi sono indicatori tipici: ad esempio perdite di bilancio consistenti (specie se superano il terzo del capitale sociale, obbligando a ricapitalizzazione ex art. 2447/2482-ter c.c.), ripetute insolvenze (assegni protestati, rate di mutuo impagate), gravi ritardi nei pagamenti di imposte o fornitori, esposizioni scadute da oltre 90 giorni superiori a determinate percentuali del debito totale, ecc. Alla comparsa di questi segnali, la gestione diligente richiede di consultare immediatamente un esperto (commercialista o avvocato d’impresa) per valutare un piano di ristrutturazione o almeno attivare un serio negoziato con i creditori . Continuare l’attività business as usual sperando in un miglioramento senza alcuna azione può aggravare la crisi e anche la posizione personale degli amministratori. In sintesi: appena la società non riesce regolarmente a far fronte alle obbligazioni, occorre prendere provvedimenti (piani di risanamento, ricerca di investitori, procedure concorsuali minori) prima di scivolare nell’insolvenza conclamata. - D: Cosa accade se ignoro i segnali di insolvenza e continuo ad accumulare debiti?
R: Se la società continua ad accumulare debiti senza reagire, i creditori prima o poi agiranno per tutelarsi. All’inizio potranno notificare decreti ingiuntivi, pignorare conti bancari o beni aziendali, iscrivere ipoteche giudiziali su immobili e macchinari, o richiedere il fallimento (liquidazione giudiziale) della società . Un tribunale dichiarerà la liquidazione giudiziale se accerta che la società è insolvente e i debiti superano la soglia di legge (tipicamente su istanza di uno o più creditori rilevanti). In tal caso, tutti i creditori dovranno partecipare alla procedura concorsuale per essere soddisfatti in proporzione; la gestione dell’impresa passerà al curatore nominato dal giudice, con cessazione dell’attività salvo eventuale esercizio provvisorio; i beni aziendali saranno liquidati coattivamente. Per l’imprenditore, il fallimento rappresenta l’epilogo peggiore: oltre a perdere l’azienda, dovrà subire le conseguenze legali della procedura (dichiarazioni al curatore, possibili revocatorie, interdizioni). Inoltre, come detto, gli amministratori potrebbero essere chiamati a rispondere personalmente se la loro inattività ha aggravato il dissesto (violazione dei doveri di tempestiva reazione). Dunque, ignorare i segnali di insolvenza è la scelta più pericolosa: si rischia di arrivare a un punto di non ritorno dove le soluzioni volontarie non sono più attuabili e la situazione viene “presa in mano” dai creditori e dal tribunale, con esiti spesso molto penalizzanti per l’imprenditore . - D: Come vengono trattati i debiti fiscali e contributivi se la società fallisce?
R: In caso di fallimento (oggi liquidazione giudiziale), tutti i debiti della società diventano crediti concorsuali, ossia crediti da far valere nella procedura. I debiti fiscali e contributivi non fanno eccezione: l’Agenzia delle Entrate, l’INPS e gli altri enti dovranno insinuare i propri crediti al passivo. Tuttavia, essi godono in larga parte di privilegi, il che significa che nel riparto dell’attivo verranno soddisfatti prima dei crediti chirografari comuni. In particolare, i crediti previdenziali (contributi dovuti all’INPS, premi INAIL) hanno privilegio generale sui mobili e spesso privilegio speciale su determinati beni; i crediti tributari hanno anch’essi privilegio generale ma entro certi limiti (ad es. l’IVA dovuta per l’anno antecedente la procedura, le ritenute non versate, alcune imposte locali godono di prelazione, mentre altre parti di imposte dirette possono rimanere chirografarie) . Più precisamente, il Codice dell’insolvenza agli artt. 111-113 e le norme speciali prevedono un ordine di distribuzione: hanno precedenza assoluta le spese di giustizia della procedura; poi vengono i crediti prededucibili (come certi crediti sorti durante la procedura stessa); quindi alcuni crediti privilegiati tra cui rientrano i contributi lavoro dipendente e le imposte sul lavoro (ritenute) non versate, poi gli altri crediti privilegiati (tra cui i crediti tributari privilegiati, i crediti dei dipendenti per retribuzioni, ecc.), poi i crediti ipotecari, e infine i crediti chirografari . In pratica, Fisco e INPS in fallimento vengono soddisfatti in percentuale insieme agli altri creditori privilegiati e chirografari, secondo il loro grado. Se l’attivo è scarso, è possibile che non vengano pagati integralmente neppure loro. Di contro, se l’impresa riesce ad avviare un concordato preventivo o altro accordo prima del fallimento, può trattare i debiti fiscali e contributivi in modo più vantaggioso: ad esempio prevedendo pagamenti rateali nel tempo o un stralcio parziale di imposte e sanzioni , il tutto come parte di un piano approvato. In sintesi, nel fallimento il Fisco e gli enti previdenziali partecipano alla distribuzione concorrendo con gli altri creditori privilegiati (di solito recuperando una frazione del dovuto), mentre in un concordato vi è la chance di concordare termini migliori, purché i creditori pubblici ricevano almeno quanto spetterebbe loro nel fallimento. - D: Quali creditori vengono pagati per primi in una liquidazione giudiziale?
R: Come accennato, la legge prevede un preciso ordine di priorità nel pagamento dei creditori nel fallimento (artt. 111 e 111-bis LF, ora 223-230 CCII). In estrema sintesi, l’ordine è: (1) Spese di procedura (costi amministrativi, compenso del curatore, ecc.), che sono prededucibili e pagate per prime sul realizzo ; (2) Crediti prededucibili diversi (ad es. nuovi finanziamenti autorizzati in esercizio provvisorio, forniture effettuate al fallimento per continuare attività, ecc.); (3) Crediti privilegiati di rango superiore, tra cui rientrano – per disposizione di legge – i crediti verso lo Stato per ritenute operate su stipendi e non versate, l’IVA dell’ultimo anno, i contributi INPS relativi alle retribuzioni, e in generale i contributi obbligatori dei lavoratori (questi sono privilegi “di massa” che vengono soddisfatti subito dopo le spese) ; (4) Altri crediti privilegiati: ad esempio, crediti per risarcimento danni da morte o lesioni personali, crediti per alcuni tributi locali, crediti degli agricoltori, crediti pignoratizi, ecc., ognuno con il proprio grado secondo il Codice Civile; (5) Crediti ipotecari e pignoratizi: quelli garantiti da ipoteca su immobili o pegno su beni mobili dell’azienda, che vengono soddisfatti col ricavato di quei beni con precedenza rispetto ai crediti non garantiti ; (6) infine i crediti chirografari, cioè tutti i creditori non coperti da garanzie o privilegi speciali (tipicamente fornitori senza riserva di proprietà, banche per fidi scoperti non garantiti, il residuo dei debiti fiscali che eccede la parte privilegiata, ecc.) . I creditori chirografari ricevono solo quel che resta dopo aver soddisfatto tutte le classi prioritarie, spesso poco o nulla. Da notare che anche tra i privilegiati vi è un ordine (privilegi generali mobiliari vs speciali vs immobiliari) e regole tecniche, ma nella sostanza l’INPS e i lavoratori hanno i primi posti (per tutelare salari e contributi), seguono alcuni tributi con privilegio, poi banche garantite da ipoteche, e ultima la schiera di fornitori, fisco non privilegiato, banche chirografarie, soci finanziatori, ecc. Ad esempio, i dipendenti per stipendi arretrati e TFR vantano privilegi che li fanno pagare prima (entro certi limiti di importo e periodo) ; l’IVA dovuta per l’anno in corso al fallimento è privilegiata mentre l’IVA più vecchia è chirografaria; e così via. Questo ordine di priorità spiega perché, se possibile, è preferibile per l’imprenditore tentare una soluzione concordataria: nel concordato preventivo può riprogrammare i pagamenti anche alterando tale ordine previo consenso dei creditori o utilizzando risorse esterne. In fallimento, invece, l’ordine è rigido e non consente ad esempio di pagare integralmente un fornitore prima di aver soddisfatto tutti i crediti privilegiati. Perciò, gli amministratori dovrebbero considerare l’effetto di queste regole: ad esempio, onorare per primi i debiti verso i dipendenti in situazione di crisi, oltre ad essere un atto eticamente e socialmente doveroso, ha senso anche giuridicamente perché tali debiti avrebbero comunque priorità in caso di concorso . Viceversa, pagare anticipatamente un chirografario (es. un fornitore) lasciando indietro l’INPS o altri privilegiati espone il pagamento a revocatoria e l’amministratore a contestazioni. - D: I soci di S.r.l. rispondono mai personalmente dei debiti sociali?
R: In generale, no: una S.r.l. ha personalità giuridica e patrimonio separato, quindi i soci non rispondono con i propri beni dei debiti della società. Neppure in caso di fallimento i creditori possono chiedere ai soci il pagamento dei debiti sociali residui . Fanno eccezione alcune situazioni: (1) se i soci hanno rilasciato garanzie personali (fideiussioni) a favore di un creditore, in tal caso quel creditore potrà agire contro il socio-garante in base al contratto di fideiussione, indipendentemente dalla responsabilità limitata ; (2) se la società viene liquidata e cancellata dal registro imprese con attivo ripartito tra i soci, i creditori insoddisfatti possono agire verso gli ex soci per ottenere quanto questi hanno ricevuto in sede di liquidazione, nei limiti di tale somma (art. 2495 c.c.) ; (3) in alcune ipotesi di illecito grave, come l’uso della società come schermo per frodi (fenomeno del piercing the veil), il giudice può decidere di non riconoscere la limitazione e chiamare i soci a rispondere illimitatamente: è un caso molto raro e di solito legato a comportamenti fraudolenti accertati . A ciò va aggiunto che la Cassazione ha permesso azioni di responsabilità anche verso ex soci che abbiano tratto indebiti vantaggi da operazioni societarie a danno dei creditori: ad esempio, prelevamenti di cassa ingiustificati prima del fallimento, restituzioni di finanziamenti ai soci in violazione della postergazione, ecc. In una recente pronuncia del 2023, la Cassazione (ord. n. 17103/2023) ha confermato che i soci che abbiano beneficiato indebitamente di risorse societarie in danno dei creditori possono essere chiamati a rifonderle . In sintesi, il socio non risponde dei debiti sociali soltanto in quanto tale; tuttavia, prestare garanzie personali, ricevere distribuzioni di attivo in liquidazione o compiere abusi societari può far ricadere su di lui parte dell’onere. Il modo migliore per i soci di tutelarsi è prevenire la crisi e favorire soluzioni equilibrate: sostenere la ricapitalizzazione quando serve, evitare di drenare liquidità dalla società in difficoltà e rispettare la separazione patrimoniale. Così facendo, resteranno al riparo da rivalse dirette nella quasi totalità dei casi. - D: Come è opportuno comportarsi con i fornitori in caso di difficoltà di pagamento?
R: La regola d’oro è mantenere il dialogo aperto e la correttezza. Un fornitore informato sulla situazione di crisi dell’azienda – magari con trasparenza sui problemi incontrati – sarà più incline a cercare soluzioni condivise, piuttosto che agire immediatamente in via legale. Quindi, è consigliabile: contattare i principali fornitori, spiegare (per quanto possibile) la natura temporanea delle difficoltà, proporre un piano di rientro dei pagamenti arretrati (ad esempio con rate mensili sostenibili) e magari offrire qualche garanzia per il futuro (come impegnarsi a pagare una parte contestualmente a nuovi ordini, oppure riconoscere un piccolo interesse di mora concordato). In molti casi i fornitori, se vedono buona fede e impegno, accettano di dilazionare. Qualora l’azienda stia predisponendo un piano concorsuale (es. concordato o accordo omologato), i fornitori saranno inclusi come creditori chirografari: in sede di voto dovranno essere convinti della convenienza del piano. È utile quindi anticipare loro quale trattamento avranno (es.: “Nel concordato prevediamo di pagarvi il 40% del credito in 3 anni”). Una volta in procedura, i fornitori voteranno per classi omogenee: se la maggioranza della classe approva il piano, i dissenzienti restano comunque vincolati . Se invece i fornitori non vogliono sentir ragioni e minacciano azioni legali immediate, l’imprenditore deve valutare l’opportunità di attivare egli stesso una procedura concorsuale (come un concordato con riserva) per congelare le iniziative individuali. Infatti, con la pendenza di una procedura concorsuale, i creditori non possono proseguire pignoramenti o cause individuali e devono confrontarsi nell’ambito della procedura collettiva. In questo modo, l’azienda può “guadagnare tempo” ed evitare che un singolo fornitore aggressivo paralizzi l’attività con un pignoramento sui conti o sui macchinari. In conclusione: comunicare, negoziare e – se necessario – proteggersi con strumenti legali. Mai ignorare le richieste dei fornitori lasciandoli all’oscuro: il silenzio o le promesse vaghe finiscono per far perdere la fiducia e spingere il creditore in tribunale. - D: La liquidazione controllata o altre procedure minori possono essere un “piano B”?
R: Sì, esistono procedure concorsuali “alternative” per particolari tipologie di debitori. La liquidazione controllata del patrimonio è la procedura prevista dal Codice per i debitori non fallibili (piccoli imprenditori, professionisti, consumatori) che siano insolventi. È in sostanza analoga a un fallimento ma semplificata e su misura di realtà minori. Può essere aperta su ricorso del debitore o dei creditori; se sono i creditori a chiederla, è necessario che i debiti scaduti siano almeno €50.000 . Nella liquidazione controllata viene nominato un liquidatore e i beni del debitore (inclusi eventuali beni personali, dato che spesso si applica a persone fisiche) sono liquidati per pagare i creditori. Per un’azienda di reggiatrici di piccole dimensioni che risultasse non fallibile per limiti dimensionali, la liquidazione controllata sarebbe l’equivalente del fallimento. In alternativa, per imprese di rilevante interesse nazionale (es. grandissime aziende con migliaia di dipendenti) esiste la procedura di amministrazione straordinaria (L. 270/1999 e D.Lgs. 270/1999, cosiddetta “Legge Prodi-bis” o “Legge Marzano” per grandi imprese insolventi): è un procedimento concorsuale speciale volto a salvaguardare la continuità tramite una gestione commissariale statale e il tentativo di ristrutturazione o cessione unitaria dei complessi aziendali. Questo però riguarda pochissimi casi (grandi gruppi in crisi). In contesti più comuni, la liquidazione controllata può essere considerata un “piano B” se l’azienda non ha prospettive di risanamento né requisiti per un concordato, ma vuole comunque evitare il caos di un fallimento ordinario. Attenzione: la liquidazione controllata, seppur meno onerosa, comporta comunque la perdita dell’azienda e l’intervento di un commissario nominato dal giudice . Potrebbe essere utilizzata come soluzione di transizione: ad esempio, se un piccolo imprenditore non fallibile ha debiti insostenibili, i creditori (o il debitore stesso) possono chiederla per liquidare i beni sotto controllo giudiziale invece di procedere con molteplici esecuzioni individuali scoordinate . In alcuni casi, i tribunali hanno convertito istanze di fallimento in liquidazioni controllate quando l’impresa era sotto soglia. In generale, però, dal punto di vista dell’imprenditore, la liquidazione controllata non offre vantaggi sostanziali rispetto al fallimento – è anch’essa una cessazione dell’attività – se non che può essere percepita come meno “infamante” per dimensioni e con adempimenti semplificati. Conclusione: esistono procedure speciali (concordato minore, liquidazione controllata, amministrazione straordinaria) che possono costituire un’alternativa in situazioni specifiche. In ogni caso, se c’è margine di salvataggio, è sempre preferibile perseguire un accordo o un concordato che preservi in tutto o in parte l’azienda, piuttosto che rassegnarsi a una liquidazione (controllata o fallimentare che sia). - D: Se decidiamo di sciogliere e liquidare volontariamente la S.r.l., i debiti residui si estinguono?
R: No, la scelta di liquidare volontariamente la società (cioè avviare una liquidazione ordinaria ex artt. 2484 ss. c.c. con un liquidatore nominato dai soci) non comporta l’automatica estinzione dei debiti, né mette al riparo da iniziative dei creditori. Durante la liquidazione volontaria, la società continua ad esistere e i creditori possono comunque agire (a meno che non ottengano soddisfazione dal liquidatore). Se al termine della liquidazione la società viene cancellata dal registro delle imprese, ma restano debiti insoluti, si applica l’art. 2495 c.c.: i creditori insoddisfatti possono far valere le loro pretese verso i soci, limitatamente però alle somme da questi ricevute in sede di riparto finale . Questo significa che se i soci non hanno ricevuto nulla (perché non c’era attivo da distribuire), in teoria i creditori non avrebbero azione diretta – salvo il caso in cui la chiusura della società sia stata un mezzo per frodarli. Come detto, la Cassazione ha esteso la responsabilità dei soci anche oltre i limiti di legge quando la cancellazione della società appare abusiva (cioè fatta allo scopo di non pagare i creditori) . Inoltre, è previsto dalla legge (art. 322 CCII) che se entro un anno dalla cancellazione dal registro imprese risulta che la società era insolvente, il tribunale può ancora dichiararne il fallimento (liquidazione giudiziale) su istanza dei creditori o d’ufficio . In pratica, i creditori possono chiedere il fallimento “postumo” dell’ex società entro un anno dalla chiusura. Se ciò accade, la procedura concorsuale si apre comunque (anche se la società non esiste più giuridicamente) e il curatore potrà far valere responsabilità verso liquidatori e soci per averli eventualmente danneggiati. Quindi, liquidare volontariamente la società può essere utile se si dispone di attivo sufficiente per pagare tutti i debiti: in tal caso si evitano procedure concorsuali giudiziali. Ma se lo si fa senza poter pagare i creditori, i problemi si ripresenteranno – anzi, si rischia di peggiorare la posizione dei soci e del liquidatore, che potrebbero essere accusati di non aver rispettato la par condicio o di aver cagionato un danno ai creditori. È sempre preferibile, in caso di insolvenza conclamata, affrontare la situazione con trasparenza: o attraverso un accordo con i creditori, o ricorrendo direttamente a un concordato preventivo o, se inevitabile, chiedendo la liquidazione giudiziale. Una liquidazione informale fatta unilateralmente dai soci senza soddisfare i creditori è solo un rinvio del problema e non offre alcuna protezione reale dai debiti. - D: Un creditore ha ottenuto un decreto ingiuntivo o ha pignorato beni aziendali: come posso difendermi?
R: Se un creditore ottiene un decreto ingiuntivo per un certo importo, la società ha 40 giorni dalla notifica per proporre opposizione se ritiene che il debito non sia dovuto (in tutto o in parte) o che l’importo sia errato. L’opposizione inizia un giudizio ordinario in cui si potrà far valere le proprie ragioni (es. contestare la fornitura, eccepire prescrizione, chiedere compensazioni). Se però il decreto è provvisoriamente esecutivo o se i 40 giorni sono trascorsi senza opposizione, il creditore potrà procedere con l’esecuzione forzata. In caso di pignoramento di un bene (conto corrente, automezzo, macchinario, ecc.), ci sono poche opzioni: o trovare un accordo pagando il creditore per fargli ritirare il pignoramento, oppure – se vi sono vizi di procedura o l’atto è illegittimo – proporre un’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi per motivi formali. In pratica, quando si arriva al pignoramento, la difesa è spesso limitata. Una strategia di difesa generale è quella di, appena la situazione lo consente, inserire il creditore procedente in una procedura concorsuale: ad esempio, se si presenta un ricorso per concordato preventivo dopo un pignoramento, quel pignoramento rimane sospeso e il bene pignorato rientra nella massa attiva gestita dal commissario. Analogamente, se si accede alla composizione negoziata e si ottengono misure protettive dal tribunale, i procedimenti esecutivi in corso possono essere sospesi. Da notare che se più creditori agiscono in via esecutiva, può divenire inevitabile la soluzione concorsuale per evitare la frammentazione dell’attivo. Cosa fare dunque: appena ricevuto un decreto ingiuntivo, valutarne la fondatezza con un legale. Se vi sono contestazioni sostanziali (il debito è contestabile) allora proporre opposizione entro 40 giorni, chiedendo eventualmente la sospensione della provvisoria esecutorietà. Se il debito è effettivamente dovuto, meglio cercare un accordo col creditore (una dilazione, un pagamento parziale immediato in cambio di ritiro dell’ingiunzione) prima che scada il termine, perché dopo potrebbe iniziare il pignoramento. Se il pignoramento è già in corso, valutare se ci sono vizi per opporsi (non comune) oppure cercare urgentemente un accordo transattivo. Una soluzione drastica ma talvolta necessaria è l’avvio di un concordato con riserva: depositando la domanda di concordato in bianco, il Codice prevede la sospensione delle azioni esecutive e cautelari dei creditori per la durata del procedimento (salvo autorizzazione del tribunale a specifiche azioni) . Ciò può bloccare sul nascere l’esecuzione e costringere il creditore a trattare all’interno della procedura concorsuale. Ovviamente questa mossa va ponderata, perché implica l’ingresso formale in una procedura concorsuale. Riassumendo, la difesa contro decreti ingiuntivi e pignoramenti passa attraverso: (a) l’analisi tecnica e l’opposizione legale se ci sono motivi; (b) la negoziazione (pagare qualcosa per fermare l’azione); (c) l’uso strategico degli strumenti concorsuali per congelare le azioni e riportare tutti i creditori su un tavolo comune. È fondamentale agire tempestivamente, perché dopo certe scadenze (40 giorni per ingiunzione, 20 giorni dopo atto di pignoramento per eventuali opposizioni) le possibilità si riducono.
Principali fonti normative e giurisprudenziali
A titolo di sintesi, elenchiamo le principali fonti normative italiane che regolano i temi trattati e le più recenti pronunce giurisprudenziali in materia:
- D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (in vigore dal 15 luglio 2022). È la fonte primaria sulla regolazione della crisi, contenente tra l’altro la composizione negoziata (artt. 23-43 CCII), il piano attestato (art. 56 CCII), gli accordi di ristrutturazione (artt. 57-64 CCII) e il concordato preventivo (artt. 84-120 CCII), nonché la liquidazione giudiziale (artt. 121-270 CCII) e le procedure minori (artt. 65-83 e 268-270 CCII sul sovraindebitamento). Include anche disposizioni sulla responsabilità degli amministratori (es. art. 3 sugli assetti e allerta).
- R.D. 16 marzo 1942, n. 267 – Vecchia Legge Fallimentare (abrogata, ma utile come riferimento storico e per i principi consolidati). Alcuni concetti come l’azione di responsabilità verso gli amministratori o la transazione fiscale trovavano spazio già qui (art. 182-ter L.F.), e la giurisprudenza formatasi su di essa resta valida salvo modifiche espresse.
- D.Lgs. 24 agosto 2021, n. 118 – Ha introdotto in via anticipata la composizione negoziata della crisi (poi confluita nel Codice) e differito l’entrata in vigore del Codice della crisi al 2022, apportando anche la possibilità del concordato semplificato post-composizione negoziata.
- L. 27 gennaio 2012, n. 3 – Legge sul sovraindebitamento (ormai abrogata e sostituita dal Codice, ma significativa perché ha originato le procedure per debitori non fallibili come il piano del consumatore, accordo del debitore e liquidazione del patrimonio, ora ridenominate nel CCII).
Per quanto riguarda la giurisprudenza più recente, vanno ricordate alcune pronunce di legittimità di particolare rilievo:
- Cass. civ. Sez. I, 28/10/2024 n. 27782: ha affermato la legittimità dell’omologazione forzata del concordato preventivo (c.d. cram down fiscale) nonostante il voto contrario dell’Agenzia delle Entrate, purché il piano garantisca al Fisco un soddisfacimento almeno pari a quello ottenibile in una liquidazione . Questa sentenza rimuove di fatto il potere di veto del Fisco nei concordati, privilegiando la continuità aziendale quando il piano è conveniente per l’Erario quanto un fallimento.
- Cass. civ. Sez. I, 27/08/2025 n. 23963: ha ribadito il dovere di diligenza e lealtà dell’amministratore di S.r.l. nelle fasi di crisi, affermando la responsabilità personale di un amministratore che aveva effettuato pagamenti preferenziali a società a lui riconducibili aggravando il dissesto . In sostanza, la Corte ha sanzionato la violazione dell’obbligo di parità di trattamento dei creditori e il conflitto di interessi dell’organo amministrativo, confermando un orientamento severo verso gli atti distrattivi o preferenziali compiuti prima del fallimento.
- Cass. Sez. Unite, 25/03/2021 n. 8504: ha risolto un contrasto stabilendo che, negli accordi di ristrutturazione dei debiti, la valutazione sulla mancata adesione del Fisco (e dunque sull’eventuale cram down fiscale) spetta al tribunale fallimentare nell’ambito dell’omologazione, e non al giudice tributario . Ciò conferma l’unitarietà della cognizione in capo al giudice concorsuale e integra il quadro normativo del cram down sui crediti erariali anche fuori dal concordato.
- Cass. civ. Sez. I, 15/06/2023 n. 17103: (in tema di responsabilità degli amministratori verso i creditori). Ha confermato la possibilità per i creditori sociali di agire contro gli amministratori di S.r.l. ex art. 2476 c.c. quando questi, con colpa, hanno aggravato il dissesto non preservando il patrimonio sociale. La sentenza evidenzia che l’azione dei creditori (ex art. 2394 c.c., estesa alle S.r.l.) diviene improcedibile solo se il curatore fallimentare esercita l’azione sociale di responsabilità, ma fino a quel momento i creditori possono anche avviare o proseguire l’azione individuale . Questo a tutela dei creditori soprattutto nelle situazioni in cui il fallimento non viene dichiarato (ad es. archiviazione per sotto soglia) ma il danno da mala gestio esiste.
Queste decisioni, unitamente all’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi, segnano una chiara tendenza: favorire la continuità aziendale e le soluzioni negoziali, rimuovendo alcuni ostacoli tradizionali (come il veto erariale) e al contempo rendendo gli amministratori più responsabili di una gestione tardiva o scorretta. Il legislatore e la giurisprudenza stanno cercando di bilanciare l’interesse pubblico del Fisco con quello privato dei creditori e dei lavoratori, nell’ottica di salvare il tessuto imprenditoriale quando possibile . Dal punto di vista del debitore, oggi esiste un ventaglio di opzioni per evitare esiti distruttivi: sta al buon consulente (commercialista o avvocato d’impresa) individuare per tempo la strada migliore, tagliata su misura per il caso concreto. In definitiva, per difendersi da un eccesso di debiti l’imprenditore deve adottare un piano razionale e tempestivo, basato su dati reali, comunicare onestamente con i creditori e coinvolgere senza indugio professionisti esperti in crisi d’impresa . Solo così potrà massimizzare le chance di risanare l’azienda o quantomeno di chiudere la vicenda debitoria nel modo meno traumatico possibile.
Fonti normative e giurisprudenziali utilizzate
- D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Codice CCII). Entrata in vigore definitiva dal 15/7/2022, comprese modifiche correttive fino al D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024.
- R.D. 16 marzo 1942, n. 267 – Regio Decreto – Legge Fallimentare (abrogata dal Codice della crisi, restano rilevanti i principi giurisprudenziali formatisi sotto di essa).
- D.Lgs. 24 agosto 2021, n. 118 – Introduzione della composizione negoziata della crisi e nuove disposizioni sull’entrata in vigore del CCII; istituto del concordato semplificato per la liquidazione.
- L. 27 gennaio 2012, n. 3 – Legge sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento (abrogata dal CCII, costituiva il quadro per debitori civili e piccoli imprenditori non fallibili).
- Cass., Sez. I civ., ord. 27 agosto 2025, n. 23963 – Responsabilità dell’amministratore di S.r.l. per pagamenti preferenziali a soggetti collegati, violazione doveri di lealtà e diligenza .
- Cass., Sez. I civ., 28 ottobre 2024, n. 27782 – “Cram down fiscale” nel concordato preventivo: omologa possibile anche senza voto favorevole dell’Erario se il piano soddisfa il Fisco almeno quanto la liquidazione .
- Cass., Sez. Un., 25 marzo 2021, n. 8504 – Accordi di ristrutturazione dei debiti: la mancata adesione del Fisco va valutata dal tribunale fallimentare in sede di omologa (giurisdizione esclusiva concorsuale) .
- Cass., Sez. I civ., 15 giugno 2023, n. 17103 – Azione dei creditori sociali verso amministratori di S.r.l.: conferma dei presupposti di responsabilità per aggravamento del dissesto e coordinamento con azione del curatore (mala gestio e abuso di credito).
- Cass., Sez. Un., 12 marzo 2013, nn. 6070 & 6072 – Cancellazione della società e debiti tributari: affermata la responsabilità post-liquidazione dei soci anche in assenza di attivo distribuito, in caso di estinzione volontaria dell’ente elusiva dei debiti erariali .
- Cass., Sez. V civ., 20 aprile 2018, n. 9672 – In linea con SS.UU. 2013, conferma che i soci rispondono verso l’Erario dei debiti fiscali non soddisfatti anche se non hanno percepito somme dalla liquidazione, allorché la società sia stata estinta in frode al Fisco.
- Tribunale di Lucca, 12 giugno 2023 – (pronuncia di merito) Esclusa la dichiarazione di fallimento per debiti inferiori a €30.000; confermata possibilità di liquidazione controllata in alternativa per il debitore non fallibile .
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Ricevi solleciti, richieste di rientro, sospensioni delle forniture, decreti ingiuntivi o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori tecnici o Agenzia Entrate-Riscossione?
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