Azienda Di Nastri Trasportatori Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se la tua azienda produce, installa o distribuisce nastri trasportatori, nastri in PVC/PU, nastri in gomma, tappeti modulari, rulliere, mototamburi, curve motorizzate, sistemi di movimentazione per logistica, industria, alimentare e imballaggio, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale intervenire subito per evitare fermi impianto e perdita di clienti strategici.

Nel settore della movimentazione industriale, anche un guasto o un ritardo nella fornitura di un nastro può bloccare intere linee produttive, fermare la logistica e generare penali, reclami e danni economici significativi.

Perché le aziende di nastri trasportatori accumulano debiti

  • aumento dei costi di PVC, PU, gomma tecnica, acciaio, motori e componenti meccanici
  • rincari dei materiali importati e dei trasporti
  • pagamenti lenti da parte di industrie, magazzini logistici e integratori di automazione
  • ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
  • magazzini complessi con molte varianti di nastri, tappeti modulari e ricambi
  • difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli produttivi
  • investimenti elevati in macchinari, vulcanizzazioni, saldature e certificazioni

Cosa fare subito

  • far analizzare da un professionista l’intera esposizione debitoria
  • individuare debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
  • evitare piani di rientro troppo onerosi che tolgono liquidità all’azienda
  • chiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
  • proteggere rapporti con fornitori strategici (motori, tappeti, componenti)
  • utilizzare strumenti legali efficaci per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza bloccare la produzione

I rischi se non intervieni tempestivamente

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco delle forniture di nastri, mototamburi, rulli, ricambi e accessori
  • impossibilità di rispettare consegne verso industrie e logistiche
  • perdita di clienti di alto valore, integratori e contractor
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Come può aiutarti l’Avvocato Monardo

Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina su scala nazionale un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
È inoltre:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
  • iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Può aiutarti concretamente a:

  • bloccare pignoramenti e procedure esecutive in corso
  • ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti più efficaci previsti dalla legge
  • ottenere rateizzazioni veramente sostenibili
  • proteggere materiali, ricambi, impianti in manutenzione e continuità operativa
  • evitare la chiusura e guidare la tua azienda verso un risanamento reale

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Introduzione

Una azienda produttrice di nastri trasportatori in difficoltà finanziaria può trovarsi schiacciata dai debiti verso banche, fornitori, Fisco, enti previdenziali (INPS) e altri creditori. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale conoscere gli strumenti di difesa e le procedure di ristrutturazione del debito disponibili per evitare il tracollo. In questa guida avanzata ma divulgativa esamineremo cosa fare per difendersi dalle azioni dei creditori e come procedere per gestire o risolvere una situazione di indebitamento grave. Analizzeremo sia soluzioni extragiudiziali (ad es. trattative private, piani di risanamento) sia strumenti giudiziali (procedure concorsuali come concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, procedure di sovraindebitamento), con riferimenti normativi aggiornati al 2025, sentenze recenti, tabelle riepilogative, simulazioni pratiche e una sezione di Domande & Risposte frequenti.

La guida adotta un linguaggio giuridico accurato ma accessibile. Il focus sarà sulle strategie difensive del debitore: come evitare misure esecutive aggressive (pignoramenti, ipoteche, istanze di fallimento), come sfruttare le tutele offerte dalla legge per congelare i debiti e rinegoziarli, e come scegliere la procedura più adatta (dalla composizione bonaria fino al concordato o alla liquidazione) per proteggere l’azienda o quantomeno attenuare le conseguenze della crisi. Inizieremo con una panoramica dei diversi tipi di debito e delle rispettive conseguenze in caso di insolvenza, per poi esaminare in dettaglio le possibili soluzioni.

Valutare la situazione debitoria dell’azienda

Il primo passo per “difendersi” dai debiti è analizzare la situazione finanziaria dell’azienda in modo obiettivo. Bisogna mappare tutte le esposizioni debitorie, distinguendo per tipologia di creditore e priorità legale del debito. Ogni tipo di debito infatti comporta rischi e rimedi diversi. Ecco le principali categorie di debito per un’azienda e le loro caratteristiche:

  • Debiti fiscali (Erario): comprendono imposte non pagate (IVA, IRES, IRAP, ritenute fiscali su dipendenti, ecc.). Sono spesso iscritti a ruolo dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) e confluiscono in cartelle esattoriali. Se non pagati, questi debiti generano sanzioni e interessi e danno luogo a procedure di riscossione coattiva rapide. L’Agente della Riscossione può attuare misure cautelari ed esecutive speciali: ad esempio iscrivere ipoteca su immobili del debitore per importi dal 20.000 € in su , attivare il fermo amministrativo sui veicoli (blocco della circolazione, per qualsiasi importo in debito, non essendoci più soglie legali minime dopo la soppressione di Equitalia ) e procedere a pignoramenti mobiliari, presso terzi o immobiliari (su beni immobili si può procedere alla vendita all’asta solo oltre 120.000 € di debito ). I debiti tributari godono spesso di privilegio sui beni del debitore, quindi in caso di insolvenza verranno soddisfatti con precedenza rispetto ai crediti chirografari (non garantiti). Attenzione: alcune inadempienze fiscali configurano reati. In particolare, omessi versamenti di IVA o ritenute oltre determinate soglie sono penalmente sanzionati. Ad esempio, omettere il versamento di ritenute fiscali (IRPEF trattenuta ai dipendenti) per oltre 150.000 € annui costituisce reato punibile con reclusione . Analogamente, il mancato versamento dell’IVA dovuta oltre 250.000 € annui è reato tributario (art. 10-ter D.lgs. 74/2000). Questi reati sono estinguibili mediante integrale pagamento del dovuto prima del giudizio penale; è quindi cruciale, dal punto di vista difensivo, ridurre sotto soglia tali debiti (ad es. versando parzialmente le imposte dovute) o aderire a piani di rateizzo per evitare conseguenze penali .
  • Debiti previdenziali e contributivi (INPS e INAIL): riguardano contributi non versati per i lavoratori o per il titolare. Anche questi vengono riscossi tramite cartelle esattoriali dall’Agente della Riscossione. I contributi previdenziali dovuti ai dipendenti (trattenuti in busta paga) hanno natura di credito privilegiato e la loro omissione oltre una soglia di 10.000 € annui integra un illecito penale: il datore di lavoro rischia la reclusione fino a 3 anni e una multa . Sotto 10.000 € scatta invece solo una sanzione amministrativa, ma resta l’obbligo di pagamento . Questo reato (art. 2 co.1-bis D.L. 463/1983) si configura anche se i contributi non sono stati dichiarati, a differenza delle ritenute fiscali . È dunque essenziale dare priorità al versamento dei contributi trattenuti ai dipendenti, almeno entro i limiti che evitino il penale. Le somme dovute all’INPS possono essere rateizzate (tipicamente fino a 6 anni, o 10 anni in casi eccezionali), e il pagamento integrale prima dell’eventuale processo penale estingue il reato . In caso di insolvenza, i crediti contributivi, al pari di quelli tributari, hanno privilegio generale sui mobili dell’impresa e sui beni immobili (per contributi lavoratori).
  • Debiti bancari e finanziari: includono mutui, finanziamenti, scoperti di conto, leasing e altre esposizioni verso banche o società finanziarie. Spesso sono garantiti da pegno su macchinari o merci, da ipoteche su immobili aziendali, oppure da fideiussioni personali dei soci/amministratori. Se l’azienda non paga le rate, il creditore può avviare azioni esecutive: ad esempio, la banca può notificare un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo o, se ha già un titolo esecutivo (come una cambiale o un contratto di mutuo notarile), può procedere direttamente al pignoramento di beni o crediti (incluso pignoramento di conti correnti aziendali). In presenza di garanzie reali, il creditore può escutere il pegno (vendendo il bene dato in pegno) o avviare una esecuzione immobiliare sul bene ipotecato. I debiti bancari garantiti da ipoteca o pegno sono crediti privilegiati (prelazionari): ad esempio, il mutuo ipotecario sulla sede aziendale verrà soddisfatto con priorità sul ricavato della vendita dell’immobile. I debiti chirografari (non garantiti) verso banche rientrano invece tra i crediti ordinari, soddisfatti proporzionalmente insieme agli altri in assenza di garanzie. Dal punto di vista del debitore, con le banche spesso è possibile tentare rinegoziazioni: ad esempio ottenere una moratoria delle rate, un consolidamento del debito, o una rischedulazione più sostenibile. Tuttavia, le banche tendono ad agire tempestivamente se percepiscono insolvenza (possono revocare affidamenti in conto, escutere fideiussioni, ecc.). Una difesa tipica è muoversi prima di precipitare in default conclamato: comunicare con gli istituti per trovare accordi temporanei può evitare l’avvio di decreti ingiuntivi. Da un punto di vista legale, è possibile contestare in giudizio voci illegittime (es. interessi usurari o anatocistici) per guadagnare tempo o ridurre il dovuto, ma ciò richiede perizia tecnica e spesso si traduce in cause lunghe. L’approccio più efficace resta includere i crediti bancari in un piano generale di ristrutturazione, magari offrendo garanzie aggiuntive o coinvolgendo nuovi investitori, come vedremo nelle sezioni successive.
  • Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali: sono importi dovuti per forniture di materiali, servizi, bollette di utenze, affitti, ecc. Questi crediti normalmente sono chirografari (senza garanzie specifiche), salvo eccezioni pattizie (ad es. il fornitore può aver riservato la proprietà di un macchinario fino al pagamento completo, tutelandosi con una prelazione). I fornitori insoddisfatti possono sospendere le forniture, aggravando la crisi aziendale. Inoltre, trascorsi i termini di pagamento, possono attivarsi per vie legali – tipicamente ottenendo un decreto ingiuntivo dal giudice in base a fatture non pagate – e quindi procedere con pignoramenti (su conti correnti, merci in magazzino, crediti verso clienti, ecc.). Anche se singolarmente i debiti verso fornitori possono essere minori rispetto a banche o Fisco, la loro massa complessiva può risultare ingente e molti creditori commerciali agguerriti (es. fornitori strategici o creditori cessionari specializzati nel recupero) potrebbero presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) per costringere l’azienda a soddisfarli. In caso di procedura concorsuale, i fornitori saranno soddisfatti pro-quota dopo i privilegiati. Dal lato difensivo, con i fornitori è spesso possibile negoziare dilazioni o stralci (saldo e stralcio): molti preferiscono ottenere una percentuale a saldo del credito (es. 50%) piuttosto che nulla in un eventuale fallimento. È importante trattare con trasparenza, magari presentando un mini-piano di rientro credibile, e cercare di ottenere dai principali fornitori critici accordi di moratoria (impegno a non intraprendere azioni esecutive per un certo periodo) mentre si studiano soluzioni di ristrutturazione più ampie.
  • Debiti verso dipendenti: riguardano retribuzioni arretrate, TFR (trattamento di fine rapporto) non accantonati, ecc. Gli stipendi non pagati costituiscono per il lavoratore un titolo per dimissioni per giusta causa e successive pretese risarcitorie, nonché per ingiunzioni di pagamento. In una prospettiva concorsuale, i dipendenti vantano privilegi sui loro crediti: le retribuzioni degli ultimi 12 mesi e il TFR sono crediti privilegiati di grado molto elevato (secondo solo ad alcune spese di giustizia), il che significa che in caso di liquidazione saranno pagati prima di quasi tutti gli altri creditori . Inoltre, i lavoratori possono accedere al Fondo di Garanzia INPS che anticipa TFR e ultime mensilità in caso di insolvenza del datore (a seguito di fallimento o anche di concordato liquidatorio). Per l’imprenditore, difendersi da questo tipo di debito significa da un lato evitare vertenze di lavoro (che possono sfociare in decreti ingiuntivi e pignoramenti su conti aziendali), dall’altro tutelare il capitale umano dell’azienda. Spesso è prioritario pagare almeno parzialmente gli stipendi dovuti o trovare un accordo (ad esempio ferie forzate o sospensione temporanea, se consentito, oppure concordare pagamento differito) per non perdere maestranze chiave e non innescare reazioni a catena.
  • Debiti verso Agenzie di riscossione locali, enti e altri: possono esservi debiti verso enti locali (es. Tari, Irap regionale, canoni vari) che seguono procedure simili a quelle fiscali (ruoli esattoriali) e crediti assistiti da privilegio speciale (es. alcuni tributi locali sul bene cui si riferiscono). Inoltre, debiti derivanti da sanzioni amministrative, multe, ecc., che possono anch’essi essere iscritti a ruolo. Questi creditori, sebbene minori, possono comunque iscrivere fermi amministrativi o ipoteche secondo le regole generali della riscossione coattiva.

In sintesi, la situazione debitoria va valutata distinguendo i crediti prioritari (che hanno cause di prelazione o effetti più immediati) da quelli ordinari, e quelli che potrebbero comportare responsabilità personali o penali dall’insolvenza puramente civile. Una volta chiara la mappa dei debiti, si potranno definire le strategie: ad esempio dare precedenza al pagamento (o alla trattativa) di debiti che, se trascurati, attiverebbero conseguenze irreversibili (come il blocco dei conti aziendali, la chiusura di linee di credito o denunce penali). Si tenga presente che ignorare il problema è la scelta peggiore: più il tempo passa, più i creditori rafforzano le loro posizioni (interessi di mora, decreti ingiuntivi, pignoramenti, garanzie ex novo come ipoteche giudiziali) e diminuiscono le opzioni di salvataggio volontario dell’impresa.

Di seguito vedremo come difendersi attivamente, prima con strumenti stragiudiziali (fuori dal tribunale) e poi esaminando le procedure concorsuali previste dalla legge italiana per gestire la crisi d’impresa o del debitore civile.

Strategie difensive immediate (prima delle procedure)

Di fronte a ritardi nei pagamenti e minacce di azioni legali da parte dei creditori, l’imprenditore deve mettere in atto alcune strategie difensive immediate. L’obiettivo è guadagnare tempo e preservare il valore aziendale, evitando nel frattempo che singoli creditori dissipino le risorse con azioni esecutive disordinate. Vediamo le mosse iniziali possibili:

1. Valutare lo stato di crisi o insolvenza – Bisogna capire se l’azienda è già insolvente (incapace strutturalmente di pagare i debiti esigibili) oppure se è in semplice crisi di liquidità temporanea. L’insolvenza conclamata (incapacità non transitoria di far fronte alle obbligazioni) è presupposto per l’apertura delle procedure concorsuali giudiziali più severe (come la liquidazione giudiziale, ex fallimento). In base al nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII, D.Lgs. 14/2019), gli amministratori hanno l’obbligo di rilevare precocemente lo stato di crisi e attivarsi senza indugio per prevenirne l’aggravamento. Se ci sono indicatori chiari (es.: patrimonio netto azzerato o negativo, debiti scaduti verso fornitori o Fisco da molti mesi, creditori che minacciano istanze di fallimento), è il segnale che occorre passare a strumenti più strutturati (come un concordato) di cui parleremo più avanti. Se invece la difficoltà è temporanea ma l’azienda è ancora in bonis, si potrà operare con misure meno drastiche, puntando a un risanamento.

2. Comunicazione e trasparenza con i creditori – Un debitore informato e collaborativo ha maggiori chance di ottenere dilazioni. Evitare di “sparire”: se ad esempio l’Agenzia delle Entrate-Riscossione invia una comunicazione di preavviso di ipoteca o pignoramento, contattare subito l’ente per valutare un piano di rateizzazione può sospendere sul nascere l’azione (la presentazione di una domanda di rateazione entro i termini di legge generalmente blocca nuove azioni esecutive da parte del Fisco finché si rispettano le rate). Analogamente, se una banca segnala un’insolvenza incipiente, chiedere formalmente una moratoria o rinegoziazione del debito può temporaneamente congelare l’azione (spesso le banche aderiscono a protocolli ABI per la sospensione delle rate alle PMI in difficoltà, seppur temporanei e con criteri). Con i fornitori, riconoscere il debito e proporre un pagamento parziale immediato (se possibile) a fronte di un rinvio del saldo può evitare decreti ingiuntivi. La credibilità è fondamentale: presentare ai creditori una bozza di piano di risanamento o almeno dati sulla situazione può convincerli che collaborare conviene più che agire individualmente.

3. Difesa nelle azioni esecutive in corso – Se qualche creditore ha già avviato cause o pignoramenti, è fondamentale partecipare attivamente alla difesa legale. Ad esempio: – Se è stato notificato un decreto ingiuntivo, valutare con l’avvocato se vi siano motivi di opposizione (vizi formali, contestazioni sul credito, prescrizione, usura, ecc.). L’opposizione, se proposta entro 40 giorni, impedisce nel frattempo l’esecutorietà del decreto (salvo sia provvisoriamente esecutivo) e può guadagnare alcuni mesi di tempo tramite il processo ordinario. Anche un’opposizione solo parziale o dilatoria può servire per rinviare i tempi, in attesa di soluzioni negoziali. – Se è già iniziato un pignoramento (es. pignoramento mobiliare in azienda o presso terzi, come conti correnti), verificare possibili vizi della procedura per proporre un’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi (artt. 615 e 617 c.p.c.). Ad esempio, se un atto non è stato notificato regolarmente o il pignoramento riguarda beni impignorabili, l’azione esecutiva può essere sospesa dal giudice. Queste opposizioni vanno fatte tempestivamente. – Coordinamento con un eventuale percorso concorsuale: se si sta per imboccare una procedura di concordato preventivo o sovraindebitamento, potrebbe essere opportuno chiedere al tribunale provvedimenti d’urgenza per sospendere le esecuzioni in corso. Tuttavia, va chiarito che prima dell’apertura formale di una procedura concorsuale, il giudice dell’esecuzione e quello della crisi sono equiordinati: il giudice “concorsuale” (di un accordo di ristrutturazione o sovraindebitamento) può disporre un divieto generalizzato di iniziare o proseguire azioni esecutive, ma l’ordine di sospendere uno specifico pignoramento spetta al giudice dell’esecuzione . In pratica, se il tribunale della crisi emette un decreto di sospensione generale, il debitore dovrà comunicarlo ai vari giudici delle esecuzioni pendenti, i quali sospenderanno i procedimenti in base all’art. 623 c.p.c., purché ne ricorrano i presupposti . È dunque consigliabile, una volta ottenuto un provvedimento di protezione, farlo notificare immediatamente in tutte le sedi (ufficiale giudiziario, procedimenti pendenti) per paralizzare i pignoramenti in atto.

4. Salvaguardia del patrimonio aziendale – In una fase di emergenza, il debitore dovrebbe evitare atti che possano peggiorare la situazione o risultare poi contestabili come pagamenti preferenziali o distrazioni. Ad esempio, non “svuotare” i conti per pagare solo alcuni creditori lasciandone altri, o peggio trasferire beni a soci o familiari: questi atti potrebbero essere revocati in un successivo fallimento e far incorrere gli amministratori in responsabilità (anche penali, come bancarotta preferenziale o fraudolenta). Viceversa, è lecito (ed opportuno) impiegare le risorse disponibili per mantenere in vita l’impresa: pagare forniture essenziali, stipendi correnti, materie prime fondamentali, perché preservare la continuità aziendale può dare più opportunità di risanamento globale. La legge fallimentare e il nuovo Codice della Crisi proteggono alcuni pagamenti effettuati in esecuzione di un piano di risanamento o in prossimità di un concordato (non sono soggetti a revocatoria fallimentare se rientrano nell’ordinaria amministrazione o se autorizzati dal tribunale in pendenza di concordato). In sintesi, occorre congelare le uscite non indispensabili e dedicare le (poche) liquidità ai pagamenti che evitano l’interruzione dell’attività e alle iniziative che preparano la ristrutturazione (es. costi per consulenti, OCC, ecc., che in caso di procedura diventano peraltro crediti prededucibili).

5. Consulenza specializzata e nomina dell’OCC – Appena percepita la gravità della crisi, è raccomandabile coinvolgere professionisti esperti: un commercialista o advisor finanziario per stendere un piano di risanamento di massima, e un legale per valutare le azioni di difesa e le procedure attivabili. Per le imprese più piccole o i casi di sovraindebitamento, può essere utile rivolgersi a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC): si tratta di organismi istituiti presso gli Ordini professionali o le Camere di Commercio che, su istanza del debitore, nominano un esperto (gestore della crisi) che aiuta a predisporre piani e accordi con i creditori nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento. Anche per le imprese più grandi, dal 2022 esiste la figura dell’esperto indipendente nominato in sede di composizione negoziata della crisi (vedi oltre). Coinvolgere tempestivamente queste figure significa avere una guida nel dialogo coi creditori e, spesso, acquisire credibilità nelle trattative.

Ricorrendo a queste mosse immediate, l’azienda può prendere fiato e passare alla fase successiva: scegliere lo strumento di risanamento o regolazione della crisi più adatto. Nei capitoli seguenti illustreremo prima le soluzioni stragiudiziali (negoziali, senza l’intervento formale del tribunale) e poi le procedure giudiziali concorsuali, con i rispettivi vantaggi e limiti dal punto di vista del debitore.

Soluzioni extragiudiziali per gestire i debiti

Quando la situazione debitoria è seria ma non si è ancora giunti al punto di non ritorno, oppure quando si preferisce evitare l’ingresso immediato in procedura concorsuale, è opportuno tentare soluzioni extragiudiziali, ovvero accordi volontari con i creditori. Questi strumenti permettono maggiore riservatezza (spesso le procedure giudiziali diventano pubbliche e possono danneggiare la reputazione aziendale) e flessibilità nelle soluzioni concordate. Di contro, richiedono la collaborazione dei creditori: senza una percentuale significativa di adesioni, l’accordo stragiudiziale rischia di fallire, poiché i creditori dissenzienti potrebbero comunque agire in via individuale. Esaminiamo i principali strumenti extragiudiziali di difesa e ristrutturazione:

Trattativa privata e accordi bonari con i creditori

La forma più semplice (ma anche precaria) di soluzione è l’accordo stragiudiziale informale. Consiste nel negoziare individualmente con ciascun creditore o con gruppi di creditori una modifica consensuale delle condizioni di pagamento. Tipicamente si può puntare a: – Dilazioni di pagamento: il debitore chiede di spostare più in avanti le scadenze (ad esempio trasformare debiti esigibili subito in pagamenti rateali su 6-12 mesi). Questo può essere formalizzato con scritture private in cui il creditore si impegna a non procedere esecutivamente finché il debitore rispetta il nuovo piano di pagamento. – Riduzione (stralcio) del debito: in alcuni casi il creditore può accettare un pagamento parziale a saldo e stralcio del debito, specie se teme di non ottenere nulla in caso di fallimento del debitore. Ad esempio, un fornitore potrebbe accettare 30.000 € su un credito di 50.000 € dichiarando il debito estinto, se comprende che l’azienda è al collasso. – Transazioni su interessi o accessori: i creditori finanziari potrebbero eliminare interessi di mora maturati o ridurre tassi futuri, i creditori pubblici (Agenzia Entrate) in alcuni casi possono rinunciare a sanzioni se il pagamento è rapido (per esempio tramite ravvedimento operoso per i tributi). – Moratorie informali di gruppo: se l’impresa ha molti creditori, può convocarne i principali in un tavolo comune e proporre una “moratoria” collettiva: tutti sospendono azioni legali per un certo periodo, durante il quale l’azienda tenterà di risanarsi o trovare investitori. Tali accordi però non hanno effetti legali vincolanti su chi non li sottoscrive.

Vantaggi: la trattativa privata è rapida, flessibile e riservata. Non richiede procedure né omologhe, e l’azienda mantiene il controllo totale. Può funzionare se i creditori sono pochi o molto interessati alla sopravvivenza del debitore (es. fornitori per cui l’azienda è un cliente importante). Si evita il “marchio” di insolvenza pubblica e si può proseguire l’attività senza l’intervento di commissari o giudici.

Svantaggi: l’accordo puramente stragiudiziale non vincola i creditori dissenzienti. Basta un creditore che si sfila per far fallire l’intento: ad esempio, se su dieci fornitori nove accettano di attendere ma uno procede con un pignoramento, l’azienda rischia comunque il collasso. Inoltre, non c’è protezione dalle azioni esecutive: se anche un creditore aveva accettato un piano bonario, potrebbe cambiare idea e agire ugualmente (a meno che l’accordo stesso preveda clausole e sia formalizzato in modo da costituire titolo esecutivo, cosa complessa). Infine, un accordo extragiudiziale non sospende le eventuali procedure concorsuali: un altro creditore potrebbe comunque chiederne il fallimento. In sostanza, la via informale funziona solo se si riesce a ottenere un consenso pressoché unanime e se l’azienda ha prospettive concrete di riprendersi (cosicché i creditori abbiano fiducia nel rispetto delle nuove scadenze).

Spesso, l’accordo bonario è un ponte verso soluzioni più strutturate: si negozia una tregua breve, durante la quale l’imprenditore prepara un vero e proprio piano di risanamento da proporre in forma più organizzata.

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 LF)

Il piano attestato di risanamento è uno strumento previsto dalla legge per favorire la ristrutturazione volontaria dell’impresa, offrendo al contempo alcune tutele legali al debitore e ai terzi coinvolti. La disciplina attuale è contenuta nell’art. 56 del Codice della Crisi (riprendendo l’art. 67, co.3, lett. d) della vecchia Legge Fallimentare).

In sintesi, il piano attestato consiste in un programma di risanamento aziendale redatto dall’imprenditore in crisi, corredato da: – l’attestazione di un esperto indipendente (un professionista, solitamente un commercialista o revisore, iscritto in appositi elenchi) il quale dichiara che, sulla base dei dati forniti, il piano è idoneo a risanare l’esposizione debitoria dell’impresa e a garantirne l’equilibrio finanziario. Questo “visto” indipendente è ciò che qualifica il piano come “attestato”. – uno o più accordi con i creditori principali attuativi del piano. Non c’è un quorum prestabilito di creditori richiesto: idealmente il piano dovrebbe coinvolgere la totalità (o almeno la maggioranza significativa) dei creditori, ma potrebbe anche riguardare solo alcuni di essi, purché nel complesso consenta il risanamento.

Il piano in sé rimane un accordo privatistico, non sottoposto ad omologazione del tribunale. Va però pubblicato in Registro delle Imprese (in nota integrativa) per dare pubblicità se incide su posizioni di terzi.

Quali tutele offre?
La legge prevede che gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato non siano soggetti ad azione revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale) dell’impresa. Questo è fondamentale: i creditori che, fidandosi del piano, accettano magari di essere pagati parzialmente o a certe condizioni, non rischiano che quel che hanno ricevuto venga revocato dal curatore se poi la società fallisce. Inoltre, le operazioni deliberate dall’impresa nel piano (es. aumenti di capitale, finanziamenti soci, cessioni di asset) non sono considerate distrattive se fatte secondo il piano. Anche sul piano penale fallimentare, seguire un piano attestato aiuta a escludere ipotesi di bancarotta preferenziale o fraudolenta: pagare alcuni creditori in attuazione di un piano di risanamento certificato può essere considerato atto giustificato e non doloso.

Limiti: Il piano attestato non impone sacrifici ai creditori dissenzienti. Non c’è una moratoria legale: se un creditore non aderisce, può continuare azioni esecutive. Non c’è neppure vincolo per chi promette: in teoria, un creditore che aveva informalmente aderito potrebbe tirarsi indietro (a meno di un contratto firmato). In pratica quindi, il piano attestato funziona quando quasi tutti i creditori chiave aderiscono spontaneamente. Per convincerli, spesso l’imprenditore deve offrire un quid pluris, ad esempio: – Coinvolgere finanza esterna: nuovi capitali apportati dall’imprenditore stesso, da soci, o da terzi finanziatori, in modo che i creditori vedano concretezza. – Prevedere che i debiti dei fornitori strategici siano pagati integralmente col proseguire dell’attività, mentre si sacrificano magari parti meno importanti. – Fornire garanzie aggiuntive: ad esempio ipoteche su beni personali dell’imprenditore a garanzia delle nuove scadenze.

Una volta eseguito con successo, il piano attestato consente all’impresa di uscire dalla crisi senza essere passata per il tribunale e senza lo stigma di una procedura concorsuale aperta. Esempio pratico: la Alfa S.r.l. (produttrice di nastri trasportatori) elabora con un advisor un piano a 5 anni dove prevede la vendita di un immobile non strategico e l’ingresso di un socio investitore, con cui otterrà liquidità per pagare il 40% dei debiti chirografari e garantire nuova finanza per la continuità. Un esperto indipendente attesta che il piano è sostenibile. La società raggiunge accordi scritti con l’80% dei creditori (banche e fornitori maggiori) per una remissione parziale del debito (es. accettano 40% in 5 anni) e paga in via privilegiata i fornitori critici per continuare la produzione. Il tutto viene formalizzato e pubblicato: gli atti compiuti (cessione immobile, pagamenti parziali) non potranno essere revocati in futuro. L’azienda riesce così a risanarsi e proseguire l’attività.

Se invece il piano attestato fallisce perché qualche creditore importante rifiuta o perché la situazione peggiora, si dovrà ricorrere a strumenti più incisivi (accordi di ristrutturazione o concordati), come trattato oltre. Va evidenziato che un piano attestato non offre la protezione delle misure automatiche come il blocco dei pagamenti ai creditori dissenzienti – questo lo distingue dall’accordo di ristrutturazione dei debiti.

Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII, ex art. 182-bis LF)

L’accordo di ristrutturazione dei debiti è uno strumento intermedio tra il piano attestato privato e il concordato preventivo. Introdotto in origine nell’ordinamento nel 2005, oggi disciplinato dagli artt. 57 e seguenti del Codice della Crisi, consente al debitore di concludere un accordo vincolante con una maggioranza qualificata di creditori e di ottenere l’omologazione (approvazione) di tale accordo da parte del tribunale, che lo rende efficace anche verso eventuali creditori non aderenti.

Caratteristiche principali: – Per attivarlo, il debitore (anche non fallibile, purché diverso dal consumatore e dall’imprenditore minore – questi ultimi hanno procedure ad hoc) deve trovarsi in stato di crisi o insolvenza imminente. L’accordo coinvolge almeno il 60% dei crediti totali dell’impresa , nel senso che devono aderire creditori rappresentanti almeno il 60% dell’ammontare dei debiti. Questa soglia è stabilita dalla legge (art. 57 CCII) e mira a garantire che vi sia un consenso ampio. – I creditori aderenti sottoscrivono un accordo con il debitore sul piano di ristrutturazione (che può prevedere dilazioni, stralci, conversione di crediti in quote, ecc.). L’accordo, accompagnato da documentazione contabile e da una relazione di un esperto attestatore sulla fattibilità e convenienza dell’accordo per i creditori, viene sottoposto al tribunale per l’omologazione. – Omologazione: se sono rispettati i requisiti (quorum 60%, parità di trattamento dei creditori della stessa categoria, idoneità ad assicurare pagamento integrale dei creditori non aderenti equivalenti, ecc.), il tribunale omologa l’accordo. Da quel momento l’accordo di ristrutturazione diventa vincolante per tutti i creditori che vi hanno aderito e produce determinati effetti di legge.

Tutele ed effetti: Rispetto al piano attestato, l’accordo di ristrutturazione offre effetti più ampi : – Innanzitutto, a seguito del deposito della domanda di omologazione, il debitore può chiedere misure protettive analoghe a quelle del concordato: il tribunale può vietare o sospendere azioni esecutive e cautelari dei creditori sul patrimonio fino alla decisione . Dunque, presentare un ricorso per omologa di accordo congela eventuali pignoramenti in corso (previa pubblicazione nel Registro delle Imprese e notifica ai creditori). È una grossa difesa: il debitore ottiene uno stay temporaneo, in attesa che l’accordo diventi definitivo. – I finanziamenti eventualmente ottenuti per attuare l’accordo (o per presentare la domanda) possono essere dichiarati prededucibili dal tribunale , ossia avranno priorità di rimborso qualora si aprisse poi una procedura fallimentare. Ciò incoraggia banche o soci a finanziare la ripresa senza timore di perdere tutto se la cosa andasse male. – Come per il piano attestato, gli atti esecutivi dell’accordo godono di esenzione da revocatoria e di esimenti penali (non costituiscono pagamenti preferenziali illeciti). – Vincolo verso terzi: i creditori non aderenti, per legge, devono essere pagati integralmente entro i termini dell’accordo (salvo che il tribunale estenda loro gli effetti dell’accordo stesso in certi casi particolari). In generale, l’accordo classico non può imporre un sacrificio ai dissenzienti: quindi o li si soddisfa per intero fuori accordo, oppure non devono essere pregiudicati. Questa è una differenza chiave col concordato preventivo, dove si può imporre tagli anche ai dissenzienti se c’è il voto a maggioranza. Nel 2022 però, con l’attuazione della Direttiva UE, sono stati introdotti accordi di ristrutturazione con efficacia estesa, che permettono di estendere gli effetti anche a creditori non aderenti appartenenti a determinate categorie (es. finanziari) se ricorrono certe maggioranze qualificate (75%) . Inoltre esistono varianti come l’accordo “agevolato” (quorum ridotto al 30% in certi casi, ad es. pagando i restanti entro 120 giorni dall’omologa) e altre 5 varianti speciali citate dalla normativa (ad es. accordi ad efficacia estesa su crediti tributari/contributivi, accordi di gruppo, ecc., introdotti dal D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024). Queste varianti avanzate però esulano dal taglio pratico di questa guida, basti sapere che la tendenza attuale del legislatore è dare maggiore flessibilità a questo istituto. – Se un creditore non aderente tentasse comunque azioni esecutive post-omologa, esse sarebbero nulle per violazione del divieto sancito nel decreto di omologa.

Confronto con il piano attestato: come sintetizzato dagli esperti, l’accordo di ristrutturazione è soggetto al vaglio dell’autorità giudiziaria, a differenza del piano di risanamento che resta privato . Ciò comporta iter un po’ più lungo e formalità (deposito in tribunale, possibilità di opposizioni da parte di creditori o del PM prima dell’omologa), ma offre al debitore maggiore sicurezza giuridica: una volta omologato, l’accordo è “blindato” e i creditori dissenzienti dovranno rispettarlo. Lo svantaggio è che la procedura diventa pubblica e potrebbe richiedere qualche mese in tribunale, durante i quali però l’azienda è protetta dal divieto di azioni individuali.

Esempio pratico: Beta S.p.A., azienda di nastri trasportatori con 10 milioni di debiti, negozia con i creditori un accordo in cui il 65% di essi (banche e fornitori maggiori) accetta una ristrutturazione: pagamento del 80% dei crediti finanziari in 5 anni e del 40% dei crediti chirografari in 2 anni, con l’apporto di nuovi capitali dai soci. Presenta l’accordo in tribunale con l’attestazione di un esperto. Il tribunale concede subito, su richiesta, un decreto di misure protettive che blocca i pignoramenti in corso. Entro 60 giorni vengono depositate eventuali opposizioni (ad esempio un fornitore non aderente potrebbe opporsi sostenendo che non verrà pagato integralmente – ma l’azienda nel frattempo predispone risorse per saldarlo al 100% fuori accordo, neutralizzando l’opposizione). Il tribunale omologa l’accordo e da quel momento esso è vincolante: se Beta S.p.A. adempie, uscirà dalla crisi; se per ipotesi non rispetterà l’accordo, i creditori potranno allora attivarsi (e il successivo fallimento sarà probabile), ma almeno nel frattempo l’azienda ha avuto una chance di risanamento protetto.

Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa

Novità degli ultimi anni (introdotta con D.L. 118/2021, poi confluita nel Codice della Crisi), la composizione negoziata è una procedura volontaria e confidenziale in cui l’imprenditore in crisi, prima di essere insolvente irreversibile, chiede assistenza a un esperto terzo per negoziare con i creditori una soluzione. Si tratta, in sostanza, di una mediazione assistita della crisi, volta a prevenire il fallimento facilitando un accordo.

Come funziona: L’imprenditore presenta istanza tramite una piattaforma telematica nazionale (gestita dalle Camere di Commercio) . Un esperto indipendente viene nominato (di solito un professionista iscritto in un apposito elenco) e, valutata la situazione iniziale, convoca il debitore e i principali creditori. In incontri riservati, l’esperto cerca di facilitare un accordo: può proporre soluzioni come riscadenzamenti, aumento di capitale, cessione di asset per pagare debiti, conversione di crediti in partecipazioni, ecc., ottenendo il consenso dei creditori. La composizione negoziata può durare alcuni mesi (prorogabile), durante i quali l’impresa continua la gestione ordinaria sotto la supervisione dell’esperto.

Misure protettive e agevolazioni: Su richiesta dell’imprenditore, il tribunale può concedere durante la composizione negoziata delle misure protettive temporanee simili a quelle del concordato (blocco delle azioni esecutive, sospensione delle istanze di fallimento) per dare spazio alle trattative. Tali misure sono inizialmente concesse per un massimo di 4 mesi (prorogabili di ulteriori 4), e sono pubblicate nel Registro Imprese affinché tutti i creditori ne abbiano conoscenza. L’esperto, pur non avendo poteri gestori, vigila e può segnalare abusi. La legge incentiva l’imprenditore: se segue le indicazioni dell’esperto, eventuali finanziamenti nuovi godono di prededuzione, e sono previste protezioni anche da azioni revocatorie per atti compiuti in coerenza col piano di composizione.

Esito: Se le trattative hanno successo, l’imprenditore e i creditori formalizzano un accordo. Questo accordo può assumere forme diverse a seconda dei casi: – un contratto stragiudiziale (ad esempio un accordo transattivo plurilaterale firmato da tutti i creditori coinvolti), – oppure uno degli strumenti formali visti (es. un accordo di ristrutturazione omologato, se si decide di omologarlo per coinvolgere dissenzienti), – o ancora un ingresso di un investitore che risolve la crisi pagando i debiti.

Se invece la composizione negoziata non porta ad accordo, l’esperto ne prende atto. A quel punto l’impresa può scegliere altre vie: ad esempio può presentare concordato preventivo “semplificato” per la sola liquidazione (strumento transitorio introdotto nel 2021 per chi falliva la composizione negoziata, che consente di chiedere la liquidazione giudiziale con vendita dell’azienda senza voto dei creditori, ma oggi tale istituto è di fatto superato). Oppure, semplicemente, se tutto fallisce e l’azienda è insolvente, i creditori potranno chiedere la liquidazione giudiziale.

Vantaggi: La composizione negoziata è riservata (fino a che non si chiedono misure protettive, i terzi e il pubblico non ne sono a conoscenza) e snella. Mantiene l’azienda in vita, senza nominare liquidatori o commissari, e l’esperto lavora per una soluzione di continuità possibilmente. È uno strumento flessibile: non impone uno schema rigido di accordo, dipende dalla creatività delle parti. Inoltre, il quadro normativo incoraggia i creditori a negoziare, perché sanno che il passo successivo potrebbe essere il fallimento o un concordato, spesso peggiorativo per loro.

Svantaggi: Non è garantito il successo – soprattutto se ci sono troppi creditori o posizioni conflittuali, l’esperto può non riuscire a trovare un consenso. Inoltre, se l’imprenditore arriva troppo tardi, in insolvenza irreversibile, la negoziazione potrebbe essere inutile. Va anche detto che la composizione negoziata non offre automaticamente le tutele di un accordo omologato: i creditori non firmatari possono comunque sfilarsi. Tuttavia, l’aspetto temporale è importante: è pensata come un intervento preventivo (“negoziazione assistita per la soluzione della crisi” invece di attendere la crisi conclamata).

Quando sceglierla: La composizione negoziata è indicata per PMI che intravedono difficoltà ma hanno ancora prospettive di salvataggio, magari con l’aiuto di terzi. Esempio: Gamma S.r.l., piccola azienda manifatturiera di nastri trasportatori, vede calare gli ordini e accumula qualche ritardo con banche e fornitori, pur avendo buone tecnologie. Teme di non reggere ancora un anno. Attiva la composizione negoziata: un esperto la aiuta a redigere un nuovo piano industriale. L’esperto convoca la banca principale creditrice, i fornitori chiave e un investitore locale interessato. Si raggiunge un accordo: l’investitore immette liquidità per pagare i debiti bancari al 70% e per dare respiro all’azienda in cambio di quote societarie; i fornitori accettano pagamenti dilazionati su 12 mesi garantiti dall’investitore stesso. La crisi viene così risolta fuori dai tribunali. Se invece la banca si fosse rifiutata e avesse pignorato i macchinari, la Gamma S.r.l. sarebbe probabilmente fallita con soddisfazione minore per tutti.

Comparazione rapida tra strumenti extragiudiziali

Di seguito una tabella riepilogativa che confronta le caratteristiche dei tre strumenti negoziali principali (accordo bonario, piano attestato, accordo di ristrutturazione) dal punto di vista di un debitore:

CaratteristicaAccordo bonario privatoPiano attestato di risanamentoAccordo di ristrutturazione (omologato)
Base legaleNessuna formalità legale specifica; semplice intesa tra le parti.Previsto da art. 56 CCII (ex art. 67 LF); necessita attestazione esperto, ma senza omologa giudiziaria.Previsto da artt. 57-64 CCII (ex art. 182-bis LF); richiede omologazione tribunale.
Percentuale di creditori richiestaIdealmente 100% (basta un dissenziente per rischiare azioni legali).Nessun quorum fisso, ma serve ampia adesione pratica (l’attestazione valuta la globalità del piano).Minimo 60% dei crediti totali per validità (varianti speciali possono ridurre quorum in casi particolari).
Effetti protettiviNessuno garantito: i creditori possono agire se vogliono.Nessuno ex lege (salvo fiducia reciproca); atti in esecuzione non revocabili (protezione ex post).Sì: possibilità di misure protettive giudiziali (blocco azioni esecutive) durante la procedura ; una volta omologato, vincola i creditori aderenti e ferma esecuzioni.
Vincolo per creditori dissenzientiNessuno (dissenziente non legato dall’accordo altrui).Nessuno (devono essere soddisfatti fuori dal piano, o potrebbero agire).Creditori non aderenti devono essere pagati integralmente, salvo estensione accordo (per alcune categorie) se prevista . L’omologazione impedisce azioni contrarie.
PubblicitàRiservato (accordi privati, salvo comunicazioni volontarie).Deposito facoltativo in Registro Imprese (spesso necessario per opponibilità, ma non dichiara insolvenza).Procedura pubblica: ricorso e omologa iscritti in Registro Imprese, notifica ai creditori e possibili interventi del tribunale/P.M.
Durata tipicaVariabile (accordi bilaterali anche immediati).Relativamente breve per predisporre (poche settimane per piano + attestazione); esecuzione accordi con creditori in mesi/anni secondo piano.Iter di omologa 2-4 mesi circa, esecuzione secondo quanto previsto (può durare anni sotto vigilanza indiretta del tribunale).
CostiBassi (solo costi legali eventuali per scritture).Medi (costo dell’attestatore indipendente + consulenze; nessuna procedura giudiziaria però).Più alti (costi attestatore, advisor e spese legali di procedura; contributo unificato, eventuali compensi commissario se nominato per controlli come da legge).
Benefici principaliRapidità, semplicità, riservatezza.Tutela da revocatorie e protezione atti conforme al piano; flessibilità privata con “bollino” esperto che dà credibilità.Stay delle azioni esecutive; vincolo legale per aderenti; maggiore certezza del risultato; possibili cram down su categorie (come Fisco, vedi oltre).
RischiPrecarietà (basta uno strappo e salta); nessuna garanzia di riuscita.Necessita adesione spontanea ampia, altrimenti è inefficace; se fallisce, rischio emersione insolvenza.Formalità e pubblicità; rischio di opposizioni in tribunale; se non omologato l’azienda è esposta a dichiarazione di insolvenza.

Questa comparazione aiuta il debitore (magari assistito dal suo legale) a scegliere l’approccio iniziale. Se l’indebitamento non è eccessivo e c’è disponibilità dei creditori, si può tentare la via stragiudiziale pura; se serve un quadro più solido ma si vogliono evitare tribunali, il piano attestato è una buona opzione; se occorre mettere in sicurezza l’azienda da azioni unilaterali e coinvolgere la maggioranza lasciando indietro pochi dissenzienti, l’accordo di ristrutturazione omologato offre quel paracadute giuridico.

Va sottolineato che questi strumenti non sono mutuamente esclusivi: ad esempio, una trattativa privata può evolvere in un piano attestato, oppure una composizione negoziata può sfociare nella sottoscrizione di un accordo di ristrutturazione che verrà poi omologato dal tribunale.

Se però la situazione è talmente compromessa che non si riesce a trovare accordo volontario, occorre valutare le procedure concorsuali vere e proprie, cioè quelle giudiziali. Nella sezione seguente le esamineremo: concordato preventivo, liquidazione giudiziale (fallimento) e le procedure di sovraindebitamento per soggetti non fallibili.

Strumenti giudiziali (procedure concorsuali) per la crisi debitoria

Quando il risanamento extragiudiziale non è praticabile o sufficiente – ad esempio perché alcuni creditori chiave non collaborano, oppure perché il livello di insolvenza è troppo elevato – il debitore può (o deve) far ricorso alle procedure concorsuali previste dalla legge. Queste procedure, regolamentate dal Codice della Crisi (CCII) entrato in pieno vigore nel 2022, offrono un quadro legale per regolare i rapporti con tutti i creditori sotto la supervisione del tribunale, spesso con effetti di esdebitazione (cancellazione dei debiti insoddisfatti) a fine procedura. D’altro canto, comportano la perdita (totale o parziale) del controllo dell’impresa da parte dell’imprenditore e sono soggette a requisiti stringenti.

Le principali soluzioni concorsuali sono: – Concordato preventivo (per imprenditori commerciali sopra soglia “fallibilità”), – Liquidazione giudiziale (ex fallimento), – Procedure di sovraindebitamento per imprenditori minori (sotto soglia) e soggetti non fallibili, tra cui il concordato minore, il piano del consumatore e la liquidazione controllata.

Analizziamole singolarmente dal punto di vista del debitore.

Concordato preventivo

Il concordato preventivo è forse la più nota procedura concorsuale di risanamento. Consente all’imprenditore insolvente (o in crisi) di presentare ai creditori un piano per il soddisfacimento parziale o dilazionato dei loro crediti, ed evitare così la liquidazione fallimentare, subordinatamente all’approvazione dei creditori stessi e all’omologazione del tribunale.

Chi può accedere: tutti gli imprenditori commerciali assoggettabili a liquidazione giudiziale (cioè i soggetti “fallibili” secondo le soglie di legge: in generale società di capitali e imprese sopra determinati limiti dimensionali). Gli imprenditori più piccoli non accedono al concordato preventivo ma al concordato minore (descritto più avanti). Un’azienda di medie dimensioni come una s.r.l. manifatturiera rientra quasi sempre tra i soggetti che possono chiedere il concordato.

Tipologie di concordato: La legge distingue il concordato in continuità aziendale (se l’azienda prosegue l’attività, direttamente o tramite cessione/affitto a terzi, assicurando quindi continuità produttiva e occupazionale) dal concordato liquidatorio (se sostanzialmente ci si limita a liquidare tutto il patrimonio senza proseguire l’attività). Questa distinzione è importante: – Nel concordato in continuità, il piano prevede che la gestione d’impresa continui, generando valore con cui pagare i creditori in misura migliore di quanto avrebbero dalla cessazione immediata. Può includere interventi come la ristrutturazione del debito, la vendita di un ramo d’azienda a un soggetto terzo che garantisce i livelli occupazionali, o l’adempimento dei contratti in corso per portare a termine commesse profittevoli. Il nuovo Codice della Crisi incentiva fortemente le soluzioni in continuità, ritenendole preferibili per il sistema economico . Ad esempio, non viene più richiesto un pagamento minimo percentuale ai chirografari se c’è continuità, purché il piano offra un’utilità specifica ai creditori (es. maggior valore rispetto alla liquidazione) . – Nel concordato liquidatorio, invece, si procede alla vendita dei beni del debitore e alla distribuzione del ricavato ai creditori. Qui la legge (art. 84 CCII) pone condizioni più rigorose, perché un concordato liquidatorio rischia di essere un fallimento mascherato. Ad esempio, è richiesto che la proposta offra ai creditori chirografari almeno il 20% di soddisfazione (soglia che nella vecchia legge fallimentare era al 20%; il CCII inizialmente l’aveva abbassata al 10% con l’apporto di finanza esterna almeno pari al 10% dell’attivo, ma successive modifiche correttive l’hanno rimodulata). In pratica, il debitore deve garantire che i creditori senza garanzie riceveranno almeno 20 centesimi per euro di credito. Spesso per rispettare questa soglia si ricorre a finanza esterna (denaro nuovo da soci o terzi da aggiungere al ricavato della liquidazione). Inoltre, il CCII richiede nel liquidatorio che ci sia almeno un elemento di novità, ad esempio l’intervento di un soggetto terzo o il coinvolgimento del debitore nella cessione di beni, per evitare concordati puramente dilatori. – Esiste anche una forma di concordato “misto” o concordato con continuità indiretta, in cui l’azienda viene ceduta o affittata a un altro soggetto (che la prosegue), e il ricavato della cessione alimenta il piano concordatario: in parte è continuità (perché l’attività non muore), in parte liquidazione (perché il debitore originario liquida il suo patrimonio cedendo l’azienda).

Procedura: Il concordato preventivo si svolge sotto controllo del tribunale e con coinvolgimento dei creditori: 1. Domanda di concordato – L’imprenditore deposita un ricorso presso il tribunale competente, accompagnato da una proposta dettagliata ai creditori e da un piano industriale/finanziario, il tutto asseverato da una relazione di un attestatore indipendente che certifica la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. In alternativa, può iniziare presentando una domanda di concordato “in bianco” o con riserva (art. 44 CCII, ex art. 161 co.6 LF), cioè un’istanza in cui chiede l’ammissione al concordato ma si riserva di presentare piano e proposta dettagliata entro un termine fissato dal giudice (di solito 60-120 giorni). Questa pratica serve a ottenere subito le protezioni della procedura mentre si finalizza il piano. 2. Apertura della procedura – Il tribunale verifica i requisiti minimi (stato di crisi/insolvenza, completezza documenti, eventuale prospettiva non manifestamente inidonea). Se la domanda è in regola, dichiara aperto il concordato preventivo, nominando un giudice delegato e un commissario giudiziale (figura di controllo). Contestaualmente, vengono attivate le misure protettive: dal decreto di apertura nessun creditore può iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore (salvo autorizzazioni speciali) . Eventuali pignoramenti in corso restano sospesi e non si possono acquisire nuove ipoteche sui beni (pena nullità) . Questo “scudo” dura fino all’omologazione (o alla cessazione della procedura). Si tratta di una difesa potentissima per l’azienda debitrice: consente di bloccare assedi dei creditori e guadagnare tempo in un quadro ordinato. 3. Fase di votazione dei creditori – Il commissario giudiziale raccoglie le dichiarazioni di voto dei creditori sui contenuti della proposta. I crediti vengono suddivisi in classi omogenee se opportuno (obbligatorio separare privilegiati e chirografari; e i creditori con garanzie reali spesso rinunciano in parte al privilegio per votare). Per l’approvazione serve il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza semplice del valore; non è più richiesta la maggioranza anche nel numero di creditori, conta solo l’importo). Se ci sono più classi, serve il voto favorevole della maggioranza delle classi, ma se una classe dissente il tribunale può comunque omologare in cram down purché la classe dissenziente non riceva meno di quanto otterrebbe in liquidazione e il piano non la discrimini ingiustamente (questi concetti ispirati alla direttiva UE ora sono recepiti). 4. Omologazione – Se i creditori approvano, il tribunale tiene un’udienza e verifica la regolarità della procedura e la legittimità della proposta. In assenza di opposizioni rilevanti, emette il decreto di omologazione, che rende il concordato vincolante per tutti i creditori anteriori (anche quelli che non hanno votato o hanno votato contro) . Da notare: i crediti privilegiati e garantiti se non hanno aderito devono ricevere almeno quanto ricaverebbero liquidando la garanzia o il bene oggetto di privilegio, altrimenti possono opporsi. 5. Esecuzione del concordato – Il debitore, sotto la vigilanza del commissario/giudice, esegue il piano: paga le percentuali offerte, compie le operazioni promesse (es. cede beni, trova investitori). A conclusione, se tutto va bene, il tribunale dichiara chiusa la procedura; se invece il debitore non adempie, si può passare a liquidazione giudiziale (il che equivale al fallimento).

Cosa ottiene il debitore?
Il concordato permette di ridurre l’ammontare complessivo del debito (mediante falcidia dei crediti chirografari e talvolta anche privilegiati, come interessi o parti unsecured) e/o di dilazionarlo nel tempo, sotto protezione da aggressioni. Una volta omologato e correttamente eseguito, il debitore ottiene l’esdebitazione: i creditori per la parte eccedente quanto ricevuto non possono più pretendere nulla (il sacrificio è imposto dall’omologa). L’azienda, se è rimasta in continuità, prosegue la sua attività con un carico debitorio ridimensionato. Se invece il concordato era liquidatorio, l’azienda viene solitamente liquidata e cancellata, ma con la procedura concordataria si evitano molte conseguenze gravose del fallimento (ad esempio alcune incapacità personali per i titolari di ditte individuali, o l’onta reputazionale, ecc.). Anche sul fronte penale, l’ammissione al concordato blocca eventuali procedimenti penali per bancarotta semplice (ma non per eventuali reati precedenti come false comunicazioni sociali, ecc.).

Novità 2024: il “cram down” fiscale – Storicamente, uno dei maggiori ostacoli nei concordati era il veto del Fisco: se l’Agenzia delle Entrate o l’INPS (creditori privilegiati pubblici) votavano contro, il concordato spesso non otteneva l’omologa, poiché la legge richiedeva il loro voto favorevole per ridurre imposte e contributi (transazione fiscale). Questo scenario è cambiato recentemente. La Corte di Cassazione, Sez. I, con sentenza n. 27782 del 28 ottobre 2024 ha sancito che il tribunale può omologare forzosamente un concordato anche in presenza di voto contrario dell’Erario, a condizione che il piano assicuri ai crediti tributari/previdenziali un trattamento economicamente non inferiore a quello ottenibile in caso di fallimento . In altre parole, se il piano propone al Fisco una soddisfazione migliore di quella che otterrebbe dalla liquidazione giudiziale, il suo dissenso non può più bloccare il concordato. Questo principio – definito come cram down fiscale – è stato poi recepito normativamente: il D.Lgs. 136/2024 (correttivo al Codice della Crisi) ha allineato la disciplina del concordato a quella degli accordi di ristrutturazione, prevedendo espressamente che il giudice può omologare il concordato preventivo anche senza il voto favorevole dei creditori pubblici se ritiene il piano più vantaggioso della liquidazione . Si tratta di un cambiamento epocale: il debitore in concordato oggi può proporre la transazione fiscale (pagamento parziale/dilazionato di IVA, imposte, contributi) con la concreta speranza di omologa anche senza adesione formale degli enti, purché dimostri la convenienza della proposta. In passato un solo “no” del Fisco poteva far naufragare tutto, ora questo potere di veto è fortemente ridotto . Il risultato è che concordati che offrano un esito migliore del fallimento (going concern value superiore al liquidation value) possono essere approvati nell’interesse generale, nonostante la contrarietà del Fisco. Dal punto di vista pratico del debitore, ciò significa maggiore fattibilità dei piani di risanamento con taglio dei debiti tributari: un’arma in più per salvare l’azienda (e anche per spuntare condizioni da ADE, che sapendo del cram down potrebbe preferire trattare).

Conclusione sul concordato: È uno strumento potente ma impegnativo. L’imprenditore perde temporaneamente parte del controllo (il commissario vigila e autorizza atti straordinari) però rimane in possesso dell’azienda in continuità (non c’è spossessamento come nel fallimento). Richiede una preparazione professionale del piano e una trasparenza totale sulla situazione (altrimenti l’attestatore e il tribunale non danno via libera). Il concordato dal lato difensivo è soprattutto efficace per: – Congelare le azioni esecutive (appena presentata la domanda “in bianco” scatta lo stay ex lege). – Imporre una soluzione collettiva ai creditori, evitando la “corsa al patrimonio” individuale. – Ridurre l’esposizione debitoria a un livello sostenibile.

L’alternativa, se non si riesce ad impostare o far approvare un concordato, è la liquidazione giudiziale (procedura “liquidatoria” per eccellenza), che rappresenta l’ultima ratio.

Liquidazione giudiziale (ex Fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale che ha preso il posto del vecchio “fallimento” dal 15 luglio 2022 (data di entrata in vigore del Codice della Crisi). Per molti versi ricalca la disciplina del fallimento tradizionale, con alcuni aggiornamenti terminologici e procedurali. Dal punto di vista del debitore, la liquidazione giudiziale è ciò che si vuole evitare, ma talvolta può divenire inevitabile o persino conveniente dichiararla per chiudere definitivamente la crisi.

Quando interviene: si apre con sentenza del tribunale su ricorso del debitore stesso (istanza di auto-fallimento) oppure di un creditore, o su iniziativa del pubblico ministero. I presupposti sono: – Stato d’insolvenza accertato: l’imprenditore non è in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. – Impresa soggetta (non rientrante nei casi esclusi: es. piccolissima sotto soglie – imprenditore minore – o ente pubblico, ecc.).

Nel caso del nostro esempio (azienda industriale di nastri trasportatori), se non si è riusciti in altro modo, un fornitore o banca potrebbe presentare istanza di liquidazione giudiziale evidenziando i mancati pagamenti. Il tribunale sentirà il debitore e, se conferma l’insolvenza e l’assenza di piani alternativi seri, dichiarerà la liquidazione giudiziale.

Effetti per il debitore: – Si produce il cosiddetto spossessamento: la gestione dell’impresa e l’amministrazione del patrimonio passano al Curatore nominato dal tribunale. Gli amministratori perdono i poteri (nelle società) e il titolare non può disporre dei beni (nelle imprese individuali). – Tutti i creditori non possono più agire individualmente: i loro crediti vengono “cristallizzati” alla data di apertura e potranno essere soddisfatti solo nell’ambito della procedura, secondo la graduatoria dei privilegi. – Si forma lo stato passivo: un elenco ufficiale dei debiti ammessi, formato dal giudice delegato dopo l’esame delle domande dei creditori. – Il Curatore gestisce la vendita di tutti i beni aziendali (liquidazione dell’attivo) secondo un programma approvato dal comitato creditori. Può decidere di continuare temporaneamente l’esercizio d’impresa se utile per non perdere valore (ad esempio completare commesse in corso per vendere l’azienda come going concern). – Alla fine, il ricavato viene distribuito ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. I creditori chirografari spesso ricevono una percentuale molto bassa o nulla, i privilegiati e garantiti vengono soddisfatti fino a capienza delle garanzie.

Durata e complessità: la liquidazione giudiziale può durare anni, a seconda della complessità dell’attivo da liquidare e delle cause eventualmente da fare (es. azioni di responsabilità verso gli amministratori, azioni revocatorie per recuperare pagamenti preferenziali ante fallimento, ecc.). Durante questo periodo, l’imprenditore è in una posizione passiva: subisce la procedura, deve collaborare fornendo informazioni e documenti, ma non ha poteri decisionali.

Conseguenze personali: Per le società, al termine la società viene cancellata; per l’imprenditore individuale, la procedura incide sul patrimonio personale. Il debitore persona fisica, una volta terminata la liquidazione, può richiedere l’esdebitazione (prevista dall’art. 278 CCII, ex art. 142 LF): se ha cooperato e non ci sono ragioni ostative, il tribunale cancella i debiti residui non soddisfatti, dando al fallito una “fresh start”. Questo vale però solo per i debiti personali dell’imprenditore fallito. Ad esempio, se la ditta individuale di Mario fallisce con debiti per 1 milione e il curatore paga il 10%, Mario può ottenere l’esdebitazione per il restante 90%. Se però Mario era socio di una s.r.l. i cui debiti non aveva garantito personalmente, la s.r.l. liquidata estingue i propri debiti con la chiusura, ma Mario personalmente non aveva debiti (salvo fideiussioni).

Il nuovo CCII ha semplificato l’esdebitazione, rendendola più accessibile e quasi automatica in assenza di frodi, per incoraggiare il reinserimento dell’ex fallito nel tessuto economico.

Perché la liquidazione giudiziale è “difensiva” in certi casi?
Sebbene in genere sia il peggiore scenario per il debitore, talvolta chiedere volontariamente il proprio fallimento può essere una strategia ragionevole. Ad esempio: – Quando l’azienda non è più salvabile e continuare l’attività aggraverebbe i debiti (principio di non aggravamento del dissesto): gli amministratori hanno il dovere di non aggravare le perdite una volta consapevoli dell’insolvenza. Una richiesta tempestiva di liquidazione riduce i rischi di responsabilità per mala gestio o bancarotta. – Se il debitore è onesto ma totalmente soffocato dai debiti, il fallimento seguito da esdebitazione permette di azzerare i debiti residui e ripartire. Ad esempio un imprenditore individuale sovraindebitato che non può accedere al piano del consumatore potrebbe preferire la liquidazione giudiziale con esdebitazione piuttosto che rimanere perpetuamente insolvente con i creditori alle calcagna. – Il fallimento offre anche una certa “equità” di trattamento tra creditori e un ordine nella liquidazione, evitando che i primi ad agire prendano tutto e gli altri nulla. Dal punto di vista del debitore, ciò non è un vantaggio diretto, ma se ha garanzie personali verso alcuni creditori, può preferire un concorso ordinato.

In ogni caso, la liquidazione giudiziale resta l’ultima spiaggia. Il debitore perde l’azienda e i beni; eventuali atti anomali compiuti prima possono essere revocati; gli amministratori possono subire azioni di responsabilità; vi sono conseguenze anche reputazionali (la sentenza è pubblica). Fortunatamente, il nostro ordinamento oggi offre altre vie (concordati, accordi) per evitare questa soluzione drastica, ed è su quelle che il debitore deve concentrarsi prima che sia troppo tardi.

Strumenti per sovraindebitamento (piccole imprese e privati)

Accenniamo infine alle procedure rivolte ai soggetti non fallibili, ossia imprenditori minori sotto le soglie di fallibilità, piccoli imprenditori agricoli, professionisti, start-up innovative e privati consumatori. Tradizionalmente, queste erano regolate dalla Legge 3/2012 sul sovraindebitamento; dal 2022 sono state integrate nel Codice della Crisi mantenendo finalità simili. L’ottica è dare anche ai piccoli debitori una chance di accordo con i creditori o di liberarsi dai debiti tramite una liquidazione controllata.

Gli strumenti attuali principali sono: – Concordato minore (artt. 74-83 CCII): è l’analogo del concordato preventivo ma riservato ai debitori non fallibili (tranne i consumatori). Il funzionamento ricorda l’accordo di composizione della crisi ex L.3/2012: il debitore propone un piano ai creditori, soggetto ad approvazione della maggioranza in valore dei crediti e poi ad omologazione del tribunale . Deve assicurare un utilizzo integrale del patrimonio disponibile e può prevedere sia ristrutturazione che liquidazione parziale. Esempio: un piccolo imprenditore artigiano con debiti totali €300.000 può proporre di pagarne il 50% in 4 anni grazie ai proventi dell’attività, offrendo ai creditori quella percentuale, che è superiore a quanto otterrebbero in caso di liquidazione pura. Se i creditori che rappresentano oltre la metà dei crediti votano sì, il tribunale omologa e il piano diventa vincolante anche per i dissenzienti. Il concordato minore ha soglie più basse e un formalismo minore rispetto al concordato preventivo, ma analoghe protezioni: dall’apertura, il giudice può disporre il blocco delle azioni esecutive individuali fino all’omologazione (anche qui vale il divieto di iniziare o proseguire pignoramenti, di disporre sequestri o ipoteche, ecc.). Nel concordato minore c’è il coinvolgimento di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi): il piano va presentato con l’ausilio di un gestore nominato, che sovraintende alla procedura e vigila sull’esecuzione . Una particolarità: se il debitore è una società di persone, gli effetti del concordato minore si estendono ai soci illimitatamente responsabili salvo patto contrario . Questo consente di risolvere insieme la crisi della società e dei soci garanti. – Piano del consumatore (artt. 67-73 CCII, ex art. 12-ter L.3/2012): dedicato esclusivamente al consumatore sovraindebitato, cioè la persona fisica che ha debiti personali non relativi ad attività d’impresa. È una procedura molto favorevole al debitore: non richiede il voto dei creditori. Il consumatore, con l’ausilio dell’OCC, propone un piano di rientro sostenibile (es: pagamento del 30% dei debiti in 5 anni utilizzando il proprio stipendio, mantenendo per sé il minimo vitale). Il tribunale valuta la meritevolezza del consumatore (che non deve aver colposamente provocato la sua insolvenza, né aver assunto debiti in modo irresponsabile) e, se il piano è fattibile e non danneggia i creditori rispetto alla liquidazione, lo omologa d’ufficio. I creditori non possono opporsi sul merito (possono presentare osservazioni, ma la decisione finale spetta al giudice). Una volta omologato, il piano del consumatore vincola tutti i creditori inclusi e, se eseguito correttamente, porta all’esdebitazione completa del consumatore. Questa procedura è preziosa per chi, ad esempio, ha debiti personali da carte di credito, prestiti, magari fideiussioni per l’azienda dei familiari, e un reddito limitato: consente di ridurre il debito ad una misura compatibile col tenore di vita minimo. Ad esempio, un privato con €100.000 di debiti da prestiti e carte, stipendio €1.500/mese, propone di pagarne €30.000 in 5 anni (€500/mese) e ottiene liberazione del resto se il giudice, valutata l’assenza di colpa grave, approva. – Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII, ex “liquidazione del patrimonio” L.3/2012): è la procedura in cui il debitore cede tutto il proprio patrimonio disponibile ai creditori, similmente a un fallimento ma in versione semplificata e volontaria (può essere richiesta anche dal debitore stesso). Si nomina un liquidatore (spesso l’OCC funge da curatore) che vende i beni e ripartisce il ricavato. A differenza della liquidazione giudiziale, qui spesso il debitore è persona fisica e l’obiettivo finale è l’esdebitazione. Il CCII prevede che, chiusa la liquidazione controllata, il debitore persona fisica è liberato dai debiti residui salvo eccezioni (come per i falliti onesti) – concetto di “fresh start”. Una differenza introdotta è che il debitore meritevole può essere esdebitato anche senza nessuna distribuzione ai creditori (c.d. esdebitazione del debitore incapiente, art. 282 CCII) a certe condizioni, per evitare che resti schiacciato da debiti impagabili a vita. Questo è un aspetto di civiltà giuridica: dare un’opportunità di ripartenza anche a chi ha perso tutto. La Corte Costituzionale ha evidenziato l’importanza di garantire effettività al diritto di difesa del sovraindebitato anche se privo di attivo, dichiarando ad esempio l’illegittimità di norme che gli negavano l’accesso al patrocinio a spese dello Stato nella procedura di liquidazione controllata .

Nota sulle transazioni fiscali nel sovraindebitamento: Originariamente, la L.3/2012 vietava di falcidiare (ridurre) l’IVA e le ritenute nei piani del consumatore e accordi di sovraindebitamento, salvo solo dilazione. Questo poneva il Fisco in posizione di veto anche qui. Ma la Corte Costituzionale, sentenza n. 245/2019, ha dichiarato illegittimo tale divieto, equiparando il trattamento dell’IVA a quello degli altri crediti privilegiati . Ha stabilito che non è costituzionalmente sostenibile imporre sempre l’integrale pagamento dell’IVA nelle procedure minori, quando nelle procedure maggiori (concordato) la falcidia è ammessa . Quindi oggi anche nei piani di sovraindebitamento è possibile proporre stralci di IVA (purché, come sempre, il trattamento non sia inferiore a quello conseguibile altrimenti). Questa pronuncia ha eliminato una discriminazione che penalizzava i piccoli debitori e ha reso più efficaci le soluzioni da sovraindebitamento.

Quale procedura minore scegliere?
– Un imprenditore individuale non fallibile in crisi potrebbe optare per il concordato minore se vuole tentare di mantenere attiva l’azienda pagando parzialmente i creditori con i flussi futuri. Se invece l’attività è compromessa, potrebbe scegliere di liquidare tutto con la liquidazione controllata, sapendo di poter ottenere l’esdebitazione e magari ricominciare altrove. – Un privato consumatore sceglierà preferibilmente il piano del consumatore se ha un reddito con cui offrire qualcosa ai creditori; se non ha nulla, la liquidazione controllata con esdebitazione immediata (incapienza) può essere la via per cancellare i debiti.

Da notare che, mentre le procedure concorsuali per imprenditori richiedono spesso la soglia di maggioranza dei crediti, il piano del consumatore no; e in generale tutte queste procedure comportano il coinvolgimento attivo di un OCC/gestore che aiuta il debitore.

Tutte le procedure di sovraindebitamento (concordato minore, piano consumatore, liquidazione controllata) condividono una filosofia: dare soluzione anche a chi è escluso dal fallimento, mantenendo un equilibrio con i diritti dei creditori. Dal lato debitore, rappresentano efficaci strumenti di difesa contro il sovraindebitamento, perché una volta avviate consentono di bloccare i creditori (i provvedimenti di apertura prevedono il divieto di azioni esecutive analogamente al concordato ) e offrono una via d’uscita ordinata e legale dai debiti.

Simulazione pratica: il caso “Alfa Nastri S.r.l.”

Per comprendere come questi strumenti si applicano nella realtà, consideriamo una breve simulazione. Alfa Nastri S.r.l. è un’azienda di medie dimensioni (S.r.l. con 50 dipendenti) che produce nastri trasportatori industriali. A causa del calo ordini e di investimenti sbagliati, accumula i seguenti debiti: – €800.000 verso banche (due mutui ipotecari su capannone e macchinari, più fido scoperto), – €300.000 di debiti fiscali (IVA non versata degli ultimi 2 anni per €200k, ritenute dipendenti €50k, altre imposte minori), – €150.000 di contributi INPS non versati, – €400.000 verso fornitori vari (acciaio, componenti, servizi vari), – €100.000 verso dipendenti (due mensilità arretrate e TFR maturato), – Inoltre, l’amministratore ha prestato garanzie personali per €500.000 alle banche.

L’azienda ha un patrimonio composto da un capannone (valore €1M con ipoteca della banca), macchinari (valore €300k, in parte in leasing), magazzino e crediti verso clienti (€200k stimati recuperabili). Il fatturato è crollato da €5M a €2M annui. C’è però un potenziale investitore interessato a entrare in società se si riducono i debiti.

Vediamo i passaggi che Alfa Nastri S.r.l. potrebbe compiere: 1. Analisi e prime difese: l’amministratore si accorge che non riesce a pagare IVA e fornitori puntualmente. Avvia subito colloqui con le banche per evitare la revoca dei fidi: ottiene che per 3 mesi non venga chiesto rientro immediato, in attesa di un piano. Intanto presenta all’Agenzia Entrate-Riscossione istanza di rateizzazione delle cartelle per IVA e ritenute arretrate (ottenendo un piano in 72 rate, che temporaneamente blocca azioni esecutive del Fisco). Paga con priorità una mensilità ai dipendenti per ridurre le tensioni e promette il saldo del resto tramite un piano concordato coi sindacati. Contestualmente, contatta un advisor finanziario e un legale esperto in crisi. 2. Scelta dello strumento: constatato che i debiti totali (€1,75M) superano di gran lunga l’attivo liquidabile (€1,5M stimato) e che l’azienda, se ristrutturata, potrebbe recuperare mercato (magari con l’investitore che apporta €500k), decide di tentare un concordato preventivo in continuità. La complessità e la varietà dei creditori (banche, Fisco, fornitori, dipendenti) sconsigliano accordi puramente stragiudiziali perché sarebbe difficile avere tutti d’accordo informalmente. Il concordato darà uno scudo legale mentre si definisce il piano di rilancio con ingresso dell’investitore. 3. Deposito di concordato “in bianco”: Alfa Nastri, assistita dall’avvocato, deposita un ricorso di concordato con riserva presso il tribunale. Ciò attiva immediatamente le misure protettive automatiche: tutte le esecuzioni pendenti (es. un fornitore aveva appena notificato un pignoramento su conto, ora viene sospeso) sono congelate ; nessun creditore può iscrivere ipoteche giudiziali o iniziare nuovi pignoramenti. L’azienda ottiene fiato e può continuare l’attività giorno per giorno (sotto la vigilanza leggera di un commissario nominato dal tribunale). 4. Proposta concordataria: Entro 3 mesi, l’azienda presenta la proposta: il piano prevede continuità aziendale con ingresso dell’investitore X. In pratica, l’investitore apporta €500k in equity e rilancia la produzione. Con questi fondi e con i flussi dell’attività: – pagheranno integralmente i debiti privilegiati: dipendenti 100%, contributi 100%, e anche il Fisco 100% del capitale imposta ma solo 20% delle sanzioni/interessi (grazie alla transazione fiscale, confidando nel cram down per l’IVA se Erario fosse contrario). – alle banche (garantite da ipoteche) propongono di pagare il 80% del dovuto in 5 anni, con l’investitore che offre garanzia aggiuntiva; la banca principale è d’accordo perché in liquidazione forzata recupererebbe forse il 70%. – ai fornitori chirografari offrono 30% in 2 anni oppure 15% subito a saldo e stralcio; stimano di avere consenso perché in fallimento prenderebbero forse 5-10%. – l’investitore chiede di mantenere 40 dipendenti su 50; per i 10 in esubero si prevede Cassa Integrazione e TFR pagato dal piano. Un attestatore indipendente valuta che il piano è fattibile: con la capitalizzazione nuova e il taglio dei debiti, l’azienda genererà utili per sostenere i pagamenti promessi. Attesta inoltre che i creditori riceveranno più del 40% delle loro spettanze, mentre in liquidazione se va bene sarebbe il 20%. 5. Voto ed esito: I creditori votano. Banche e dipendenti approvano compatti (sono soddisfatti in larga misura, e l’alternativa fallimento è peggiore). I fornitori, raggruppati in una classe, approvano al 75% del valore (alcuni piccoli contrari, ma vengono trascinati dalla maggioranza). L’Agenzia delle Entrate purtroppo vota contrario perché la proposta prevede di tagliare sanzioni e interessi e dilazionare l’IVA; tuttavia, il commissario giudiziale evidenzia al tribunale che la satisfactio del Fisco è comunque superiore a quanto prenderebbe in caso di fallimento. In base alle nuove norme, il tribunale può procedere all’omologazione anche senza il voto favorevole del Fisco, giudicando la proposta equa e conveniente . Il concordato viene quindi omologato nonostante il dissenso erariale (cram down fiscale). 6. Implementazione: L’investitore immette i fondi, l’azienda esegue il piano: paga subito i dipendenti arretrati, regolarizza i contributi, versa l’IVA corrente e inizia a pagare le rate del debito concordatario ai fornitori. I creditori dissenzienti sono comunque vincolati dall’omologa: ad esempio, un fornitore che aveva votato no non può più pretendere l’intero credito ma deve accontentarsi del 30% offerto come per gli altri, ed è tenuto a rinunciare alle cause avviate. Dopo 2 anni, Alfa Nastri S.r.l. è tornata competitiva, con debiti ridotti e un nuovo socio; la procedura di concordato viene dichiarata chiusa dal tribunale. 7. Esdebitazione e garanzie personali: L’amministratore che aveva dato fideiussioni personali alle banche beneficerà anch’egli dell’esdebitazione indiretta: poiché le banche hanno accettato il 80% a saldo nel concordato, per la quota residua liberano anche il fideiussore (generalmente le transazioni con le banche includono la liberatoria per i garanti se l’accordo è adempiuto). Se così non fosse, l’amministratore persona fisica potrebbe pensare a una procedura di piano del consumatore per i debiti residui da fideiussione, ma in questo caso non serve.

In questo scenario, l’uso combinato di misure difensive (blocco delle azioni esecutive via concordato) e strumenti di ristrutturazione (transazione fiscale, nuovi investimenti, falcidia dei crediti) ha consentito di salvare l’azienda e contemporaneamente soddisfare i creditori in modo più efficiente che in un fallimento. La strategia del debitore – attivarsi presto, usare la protezione del tribunale e la leva del cram down per convincere anche il Fisco – è risultata vincente.

Domande frequenti (FAQ)

D: La mia società è sommersa dai debiti. Posso evitare il fallimento semplicemente chiudendola e aprendo una nuova società con altra partita IVA?
R: Chiudere una società indebitata (ad esempio mettendola in liquidazione volontaria e poi cancellandola) senza soddisfare i creditori non evita le conseguenze: i creditori potrebbero comunque chiederne il fallimento entro un anno dalla cancellazione, riaprendo di fatto i giochi. Inoltre, spostare l’attività su una nuova società lasciando i debiti nella vecchia potrebbe configurare illecito (bancarotta fraudolenta per distrazione, se si trasferiscono asset). Il sistema legale scoraggia le cosiddette “phoenix companies”. Meglio affrontare il problema con una procedura di ristrutturazione o un accordo, eventualmente prevedendo la cessione dell’azienda “pulita” a una NewCo, ma nell’ambito di un concordato o accordo che regoli i debiti pregressi in modo trasparente. In sostanza, non esiste uno scaricamento lecito dei debiti semplicemente aprendo una nuova impresa: i creditori (specie banche e Fisco) vi inseguiranno e potreste incorrere in responsabilità gravi.

D: Ho garantito personalmente i debiti della mia S.r.l. (fideiussioni bancarie). Se la società fa un concordato o fallisce, io come privato resto obbligato?
R: La fideiussione rimane valida a meno che il creditore non abbia rinunciato espressamente. Quindi, se la società non paga integralmente il debito, la banca potrà rivalersi sul garante per la parte non soddisfatta. Tuttavia, in molti concordati le banche accettano una percentuale a saldo e liberano i fideiussori come condizione dell’accordo (va negoziato esplicitamente). Se ciò non avviene e dopo la chiusura della procedura sociale il garante si trova con addosso l’intero debito residuo, il garante persona fisica ha comunque delle tutele: essendo un sovraindebitato civile, può attivare un piano del consumatore o una liquidazione controllata per gestire quel debito. La giurisprudenza ha riconosciuto che il socio-fideiussore può accedere a procedure da sovraindebitamento, purché il suo debito derivi da garanzia prestata e non da attività d’impresa propria . Dunque sì, se la società si libera ma il fideiussore no, quest’ultimo può a sua volta trovare sollievo con gli strumenti dedicati ai privati.

D: Quali debiti non si possono cancellare nemmeno con queste procedure?
R: In generale, tutti i debiti sono trattabili, ma alcune categorie godono di protezioni particolari. Ad esempio, stipendi e TFR dei dipendenti devono essere pagati integralmente in quasi tutte le procedure (o sopperisce il Fondo di Garanzia INPS, ma il piano deve prevederlo). Nel piano del consumatore, il giudice può escludere la falcidia di debiti per alimenti e mantenimento dovuti ex lege a coniuge o figli, ritenendoli intoccabili. Anche le multe penali o sanzioni per reati (ammende) in genere non sono falcidiabili e restano a carico. Quanto al debito fiscale, dopo gli interventi normativi e giurisprudenziali recenti, anche l’IVA e le ritenute possono essere trattate nei piani , quindi non sono più escluse dal taglio. Però, attenzione: se avete commesso reati tributari (omesso versamento IVA sopra soglia, ecc.), la procedura concorsuale non estingue di per sé il reato (che si estingue solo pagando interamente il dovuto prima del giudizio penale). Infine, l’esdebitazione post-fallimento esclude per legge alcuni debiti: obblighi di mantenimento, risarcimenti danni da fatto illecito extracontrattuale, sanzioni penali/amministrative pecuniarie (art.280 CCII). Quindi, ad esempio, una multa stradale o una pena pecuniaria non si cancellano con l’esdebitazione.

D: La società è in crisi ma credo sia risanabile. Quali vantaggi ci sono nel tentare un concordato preventivo rispetto a lasciare semplicemente fallire e magari ricomprare l’azienda dal curatore?
R: Il concordato preventivo in continuità consente di preservare l’operatività e il valore intangibile dell’azienda (clienti, know-how, posti di lavoro). Nel fallimento, anche se poi ricomprate i beni all’asta, l’attività subisce uno stop e spesso perde valore (clienti passano altrove, dipendenti qualificati se ne vanno, fornitori rescindono contratti). Inoltre, nel concordato potete disciplinare voi la ristrutturazione: proponete come pagare i debiti secondo le possibilità, e se ottenete le maggioranze e l’omologa, evitate ai creditori le lungaggini del fallimento. Dal lato imprenditore, il concordato permette di evitare le preclusioni personali tipiche del fallimento (ad esempio la vostra eventuale interdizione da cariche, o l’immagine negativa). Certo, il concordato comporta impegno e spesso la necessità di apportare nuova finanza (nessuno vi “regala” l’omologa, dovete convincere i creditori con un piano serio). In alcuni casi qualcuno pensa: “lascio fallire e poi prendo ciò che resta senza debiti”. Ma occhio: se come amministratore non provate almeno un risanamento, potreste incorrere in azioni di responsabilità per aver aggravato il dissesto, o addirittura in bancarotta preferenziale se avete pagato qualcuno prima del fallimento. Il concordato, se c’è margine di salvataggio, è sempre preferibile perché è un fallimento evitato o quantomeno gestito attivamente dall’imprenditore stesso.

D: Ho ricevuto una cartella esattoriale enorme e temo il pignoramento. Posso fare qualcosa di rapido per fermare l’Agenzia Entrate-Riscossione?
R: Sì. Se la cartella è legittima e non ci sono errori da impugnare, il modo più rapido per bloccare le azioni esecutive di Agenzia Entrate-Riscossione è presentare una richiesta di rateizzazione prima che scadano i termini (o anche dopo, se non è già iniziato il pignoramento). Con la domanda di dilazione, per legge, l’Agente della Riscossione sospende ogni azione esecutiva: non potrà iscrivere fermi o ipoteche né pignorare finché tu paghi regolarmente le rate . Attualmente si possono ottenere fino a 72 rate mensili standard (6 anni), o 120 rate in casi di grave e comprovata difficoltà. Un’altra possibilità, se rientri nelle normative emanate periodicamente, è aderire a eventuali “rottamazioni” o definizioni agevolate (nel 2023 c’è stata la Rottamazione-quater, chissà in futuro). Queste permettono di pagare senza sanzioni e interessi. Infine, se la somma è effettivamente inesigibile data la tua situazione, potresti valutare l’accesso a una procedura da sovraindebitamento per trattare anche quel debito fiscale (nei piani da sovraindebitamento, come visto, puoi proporre stralci anche di cartelle). Queste procedure però non sono immediate e richiedono l’intervento del tribunale. In sintesi: per agire subito, fai domanda di rateizzo (anche online) – spesso basta a placare Equitalia (AER).

D: Se faccio un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione, potrò continuare a firmare contratti e portare avanti l’attività durante la procedura?
R: In linea generale sì, ma con qualche limitazione. Nel concordato, dalla data di ammissione, tu (imprenditore) resti “in possesso” dell’azienda (non vieni spossessato come nel fallimento), però sei affiancato dal Commissario Giudiziale. Puoi compiere gli atti di ordinaria amministrazione liberamente (es: comprare materie prime, vendere prodotti a prezzo di mercato). Gli atti di straordinaria amministrazione (es: vendere un immobile, assumere mutui, cedere rami d’azienda) richiedono l’autorizzazione del tribunale o comunque il parere del Commissario. L’idea è che l’azienda prosegua l’attività normalmente per preservare il valore. Addirittura, il Codice della Crisi consente di pagare fornitori strategici o continuare contratti in corso, con l’autorizzazione del giudice, anche se anteriori, se funzionali alla continuità. Nell’accordo di ristrutturazione (prima dell’omologa) e nell’accordo in composizione negoziata, non c’è un commissario di default, quindi formalmente mantieni pieni poteri, ma se hai chiesto misure protettive è il tribunale che può porre condizioni (talora nomina un ausiliario o osservatore). Dunque, nel periodo di procedura dovrai agire con prudenza e trasparenza, coordinandoti con gli organi nominati. Ma , l’attività può continuare: l’obiettivo delle procedure moderne è proprio evitare di spegnere l’impresa.

D: La procedura di sovraindebitamento (tipo piano del consumatore o concordato minore) mi protegge subito dai creditori come il concordato preventivo?
R: Sì, le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento prevedono anch’esse la sospensione delle azioni esecutive individuali una volta accolta l’istanza. Per esempio, nel concordato minore il giudice, con il decreto di apertura, stabilisce che fino all’omologazione nessun creditore può iniziare o proseguire esecuzioni né iscrivere privilegi sui beni del debitore . Lo stesso vale per l’accordo di ristrutturazione dei debiti per i soggetti sovraindebitati (ex art. 11 L.3/2012) e per il piano del consumatore: il giudice, non appena ammette la proposta, sospende i pignoramenti in corso. Dunque, se sei un privato o piccolo imprenditore e depositi un piano fattibile tramite l’OCC, ottieni una tregua immediata; i creditori saranno costretti ad attendere la decisione del giudice sull’omologa. Attenzione però: come da Cassazione 2023 , il giudice concorsuale non ordina la sospensione della singola esecuzione (non può annullare direttamente un pignoramento in corso), ma decreta il divieto generale; sta poi al giudice dell’esecuzione prendere atto e sospendere, su istanza delle parti. In pratica, una volta depositato il ricorso per sovraindebitamento, è bene notificare quell’atto in ogni eventuale procedura esecutiva pendente per ottenerne la sospensione dal giudice competente. Ad ogni modo, la protezione c’è ed è analoga al concordato preventivo.

D: Cosa succede ai contratti in corso (affitti, leasing, forniture continuative) se l’azienda entra in concordato o fallisce?
R: Nel concordato, l’azienda può chiedere l’autorizzazione a sciogliersi da contratti pendenti particolarmente onerosi oppure a sospenderli (art. 94 CCII), se ciò aiuta il risanamento. Esempio: un leasing per un macchinario inutilizzato – il debitore in concordato può chiedere al giudice di scioglierlo e restituire il bene, pagando eventualmente un indennizzo contrattuale che diventa credito del lessor in concordato (di norma chirografo). I contratti essenziali invece verranno adempiuti (con prededucibilità delle forniture post-domanda). Nel fallimento (liquidazione giudiziale), i contratti in corso di esecuzione sono gestiti dal curatore: può scioglierli o subentrarvi. Di regola, li scioglie se all’attivo non servono; subentra (cioè li prosegue al posto del fallito) se generano utilità per la massa. Ad esempio, un contratto di affitto d’azienda nel fallimento del locatore continua se conviene far girare l’azienda in affitto, altrimenti la si riprende e vende. Gli appaltatori di forniture in corso nel concordato spesso proseguono, confidando nella prededuzione dei crediti post-apertura. Quindi, dal lato debitore, il concordato offre flessibilità: puoi eliminare contratti sfavorevoli. Nel fallimento deciderà il curatore in funzione della liquidazione.

D: Dopo un fallimento o una liquidazione dei beni, potrò un giorno ottenere mutui o finanziamenti o avrò il “marchio” a vita?
R: L’esdebitazione ti libera dai debiti residui legalmente, ma la segnalazione del fallimento subìto resterà nelle banche dati per un certo periodo (Centrale Rischi, registri pregiudizievoli). Tuttavia, col tempo e soprattutto con l’esdebitazione concessa dal tribunale, potrai ricostruirti un merito creditizio. Ormai la legge considera il fallito onesto alla stregua di qualcuno che ha avuto sfortuna ma a cui va data una seconda chance – tanto che la riabilitazione avviene in automatico con l’esdebitazione. In pratica, dopo la chiusura della procedura potrai tornare ad aprire attività e, trascorsi alcuni anni e mostrando redditività, anche ottenere credito (molte banche valuteranno il business plan più che la storia passata, specie per società di capitali nuove). Certo, nell’immediato dopo-fallimento, ottenere mutui personali è difficile: le segnalazioni in Crif/Cerved durano fino a 5-10 anni. Ma dal punto di vista legale, non c’è interdizione perpetua: anzi, il CCII elimina l’istituto della riabilitazione civile perché con l’esdebitazione non sei più considerato inadempiente civilmente. Inoltre, oggi esistono microcrediti e garanzie statali per chi, avendo avuto insolvibilità, vuole ripartire (misure antiusura, fondi di solidarietà). Quindi, no, non sei marchiato a vita: superata la fase critica, puoi difenderti ricostruendo una buona reputazione creditizia.

D: Come faccio a sapere qual è la procedura più adatta alla mia situazione specifica?
R: Serve un’analisi caso per caso. Ti consigliamo di rivolgerti a un professionista esperto in crisi d’impresa/sovraindebitamento (commercialista o avvocato) oppure a un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) se rientri nel sovraindebitamento. In generale: – Se sei imprenditore medio-grande con prospettive di salvare l’azienda: considera concordato preventivo (se continuità) o accordo di ristrutturazione. – Se sei imprenditore piccolo o professionista: valuta il concordato minore o un accordo di ristrutturazione minore, altrimenti la liquidazione controllata con esdebitazione. – Se sei un privato consumatore: il piano del consumatore è di solito preferibile (niente voto creditori). – Se hai solo debiti fiscali ma sostenibili con una dilazione: tenta prima la rateizzazione o definizione agevolata, e ricorri alle procedure concorsuali solo se hai anche altri debiti e sei in squilibrio complessivo. – Se l’azienda è decotta irreversibilmente: meglio predisporre una liquidazione guidata (concordato liquidatorio con qualche apporto esterno) oppure se non fattibile, arrendersi al fallimento ma preparandolo (ad es. non dissipare attivo, pagare dipendenti, raccogliere documenti) per ridurre complicazioni.

In ogni caso, far diagnosi precoce è la chiave: prima agisci (anche solo per un parere tecnico), più strumenti avrai per difenderti efficacemente dai debiti.

Conclusione

Affrontare una grave situazione debitoria aziendale è complesso, ma l’ordinamento italiano offre oggi una gamma di strumenti per il debitore onesto che vuole evitare la mera aggressione caotica dei creditori e trovare una soluzione equa e sostenibile. Dal dialogo extragiudiziale (utile nelle crisi minori) alle procedure concorsuali moderne (concordati con possibilità di cram down fiscale, accordi omologati, piani del consumatore senza veto creditori), passando per le negoziazioni assistite (composizione negoziata), il debitore può difendersi attivamente. Il denominatore comune del successo è la tempestività: muoversi prima che i problemi degenerino in azioni esecutive o chiusura forzata. Coinvolgere professionisti, predisporre piani realistici e sfruttare le protezioni legali (come il blocco delle esecuzioni) consentono di gestire i debiti in modo ordinato, spesso salvando l’azienda o almeno evitando al titolare conseguenze personali irreversibili.

Questa guida, aggiornata alle ultime novità normative (fino a ottobre 2025) e giurisprudenziali, ha illustrato cosa fare per difendersi dai debiti e come procedere nei vari scenari. In fondo, il messaggio chiave per l’imprenditore indebitato è: non subire passivamente. Organizzati, informati sui tuoi diritti, scegli lo strumento adatto e prendi in mano la ristrutturazione del tuo debito. I creditori, il tribunale e persino il legislatore guarderanno con favore il debitore che, con trasparenza e buona fede, propone una soluzione che massimizza la soddisfazione di tutti rispetto all’alternativa distruttiva del collasso aziendale. Difendersi dai debiti si può, con gli strumenti giusti e la volontà di risanare.

Fonti e riferimenti

Normativa:Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n.14 (come modificato dai D.Lgs. 147/2020, 83/2022 e 136/2024). In particolare, artt. 56 (piani attestati), 57-64 (accordi di ristrutturazione), 84-120 (concordato preventivo), 74-83 (concordato minore), 67-73 (piano del consumatore), 268-277 (liquidazione controllata) . – Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (vecchia “Legge sul sovraindebitamento”), per riferimenti storici e transitori. Art. 7 comma 1 come modificato dalla Corte Cost. 245/2019 (falcidiabilità IVA) . – Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (vecchia Legge Fallimentare) – abrogata nel 2022, rilevante per la giurisprudenza formatasi sotto il suo vigore (es. art. 182-ter LF sulla transazione fiscale, art. 160 LF su percentuali concordato). – D.L. 24 agosto 2021, n.118 conv. L.147/2021 – Introduzione della Composizione Negoziata per la crisi d’impresa. – D.P.R. 29 settembre 1973, n.602 – Disciplina della riscossione delle imposte (ruoli, cartelle, procedure esecutive). – D.Lgs. 18 dicembre 1997, n.472 e D.Lgs. 74/2000 – Sanzioni tributarie e reati tributari (art. 10-bis omesso versamento ritenute > €150k, art. 10-ter omesso versamento IVA > €250k) . – D.L. 12 settembre 1983, n.463 conv. L.638/1983 – Omesso versamento contributi INPS (soglia penale €10.000) . – Codice di Procedura Civile – Artt. 615 e 624 (opposizioni e sospensione esecuzione), art. 623 (sospensione per legge delle esecuzioni su istanza di parte in presenza di divieti concorsuali) .

Giurisprudenza:Cassazione Civile, Sez. I, 28/10/2024, n. 27782 – Concordato preventivo: omologazione nonostante voto contrario Fisco (cram down fiscale) . – Cassazione Civile, Sez. III, 26/07/2023, n. 22715 – Sovraindebitamento: rapporti tra giudice concorsuale e giudice dell’esecuzione; divieto di azioni esecutive e limiti (confermato che il GD del sovraindebitamento dispone il divieto generale, ma la sospensione del singolo pignoramento spetta al GE su istanza) . – Corte Costituzionale, 29/11/2019, n. 245 – Illegittimità costituzionale dell’art.7 co.1 L.3/2012 nella parte in cui vietava la falcidia dell’IVA nei piani di sovraindebitamento . – Corte Costituzionale, 4/07/2024, n. 121 – Illegittimità degli artt. 144 e 146 DPR 115/2002 nella parte in cui non ammettevano al patrocinio a spese dello Stato la procedura di liquidazione controllata senza attivo (estensione gratuito patrocinio alle procedure di sovraindebitamento) . – Cassazione Civile, Sez. Un., 13/05/2021, n. 8500 – (Principi generali concordato e transazione fiscale, ammissibilità cram down prima della riforma – giurisprudenza evolutiva che ha spinto al cambiamento normativo). – Tribunale di Milano (segnalazioni 2023) – Primi provvedimenti di omologa concordati con cram down fiscale in applicazione della Direttiva Insolvency e D.Lgs. 83/2022. – Cassazione Civ., Sez. I, 10/07/2024, n. 18826 – (In tema di proposte concorrenti nel concordato preventivo, principio sull’ammissibilità – riferimento avanzato, non trattato estensivamente nel testo ma rilevante per avvocati). – Cassazione Civ., Sez. VI, 14/02/2023, n. 4613 – Ammissibilità dell’accordo di composizione sovraindebitamento con falcidia creditori ipotecari (diritto bancario) . – Cassazione Civ., Sez. I, 24/12/2024, n. 34372 – Diritto di voto concordato preventivo: effetti dell’eventuale contestazione sul voto di un creditore (conferma formalismo voto) .

La tua azienda che progetta, produce, installa o manutiene nastri trasportatori, convogliatori, nastri modulari, trasportatori a rulli, nastri gommati, trasportatori per industria alimentare, logistica, packaging, cave, riciclaggio e metalmeccanica, oggi è schiacciata dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua azienda che progetta, produce, installa o manutiene nastri trasportatori, convogliatori, nastri modulari, trasportatori a rulli, nastri gommati, trasportatori per industria alimentare, logistica, packaging, cave, riciclaggio e metalmeccanica, oggi è schiacciata dai debiti?
Ricevi solleciti, richieste di rientro, blocchi delle forniture, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o minacce di pignoramento da banche, Fisco, INPS, fornitori di nastri, motoriduttori, strutture o Agenzia Entrate-Riscossione?

Il settore dei nastri trasportatori è costoso e complesso: acciai, rulli, motoriduttori, componenti speciali, nastri in gomma o PVC, installazioni difficili, interventi urgenti, trasporti pesanti e clienti che spesso pagano a 60–120 giorni.
La liquidità può bloccarsi rapidamente, mandando l’azienda in difficoltà.

La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con la strategia corretta.


Perché un’Azienda di Nastri Trasportatori va in Debito

  • aumento dei costi di acciai, rulli, motoriduttori, PVC, gomme speciali
  • pagamenti lenti da parte di cave, riciclaggio, industria, logistica e packaging
  • magazzino immobilizzato tra nastri, rulli, ricambi, telai e componenti
  • costi elevati di installazione, manutenzione e assistenza 24/7
  • investimenti in carpenteria, automatismi e sistemi su misura
  • riduzione o revoca delle linee di credito bancarie

Quasi sempre, il problema non è la mancanza di lavoro, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi se Non Intervieni Subito

  • pignoramento dei conti correnti aziendali
  • blocco dei fidi bancari
  • sospensione delle forniture critiche (nastri, rulli, motoriduttori)
  • atti esecutivi, decreti ingiuntivi e precetti
  • sequestro di materiali, attrezzature e ricambi
  • impossibilità di completare installazioni e manutenzioni
  • perdita di clienti strategici e commesse continuative

Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato specializzato può:

  • sospendere pignoramenti e atti esecutivi
  • bloccare richieste urgenti di rientro
  • proteggere conti correnti e flussi di cassa
  • fermare le azioni dell’Agenzia Riscossione

Mettere in sicurezza l’azienda è il primo passo indispensabile.


2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti

Molti debiti presentano irregolarità:

  • interessi non dovuti
  • sanzioni sbagliate o gonfiate
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori nelle cartelle esattoriali
  • commissioni bancarie anomale

Una parte significativa del debito può essere ridotta o cancellata.


3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili

Soluzioni pratiche:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi con fornitori strategici
  • rinegoziazione dei fidi bancari
  • sospensioni temporanee dei pagamenti
  • accesso alle definizioni agevolate quando disponibili

4. Usare strumenti legali potentissimi che bloccano TUTTI i creditori

Se la crisi è più grave, puoi attivare:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • Accordi di Ristrutturazione
  • Concordato Minore
  • (in casi estremi) Liquidazione Controllata

Queste procedure consentono all’azienda di continuare a operare pagando solo una parte dei debiti, con protezione totale da pignoramenti.


Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo

Per salvare un’azienda del settore movimentazione industriale servono competenze specialistiche.
L’Avv. Monardo è:

  • Avvocato Cassazionista
  • Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi ufficiali del Ministero della Giustizia
  • Professionista fiduciario di un OCC
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Il profilo perfetto per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende del settore dei nastri trasportatori, dove continuità e tempestività sono cruciali.


Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo

  • analisi urgente della posizione debitoria
  • stop immediato a pignoramenti e decreti ingiuntivi
  • riduzione dei debiti non dovuti
  • costruzione di un piano di ristrutturazione realmente sostenibile
  • protezione di nastri, rulli, telai, materiali e cantieri
  • trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • tutela completa dell’azienda e dell’amministratore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di nastri trasportatori non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, efficace e legalmente solida, puoi:

  • bloccare subito i creditori,
  • ridurre realmente i debiti,
  • salvare installazioni e clienti,
  • proteggere il futuro della tua attività.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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