Se la tua azienda produce, installa o distribuisce gru a bandiera, paranchi elettrici, colonne porta-gru, carriponte leggeri, bracci girevoli, sistemi di sollevamento, carrucole, accessori e componenti per officine, magazzini, cantieri e impianti industriali, e oggi si trova con debiti verso il Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è essenziale intervenire subito per evitare blocchi delle forniture, fermi impianto e perdita di clienti strategici.
Nel settore del sollevamento industriale, un ritardo nelle consegne o nell’installazione può bloccare intere linee produttive, fermare magazzini automatizzati e generare penali contrattuali dolorose.
Perché le aziende di gru a bandiera accumulano debiti
- aumento dei costi di acciaio, carpenterie, paranchi, motori e accessori certificati
- rincari nei trasporti, materiali importati e componentistica elettrica
- pagamenti lenti da parte di officine, magazzini, aziende industriali e integratori
- ritardi nei versamenti di IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con molte varianti di bracci, colonne, accessori e ricambi
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli produttivi
- investimenti elevati in certificazioni, sicurezza, verifiche periodiche e collaudi
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista tutta la tua situazione debitoria
- individuare debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro troppo onerosi e insostenibili
- richiedere la sospensione immediata di pignoramenti e atti esecutivi
- proteggere rapporti con fornitori strategici e componenti critici per il sollevamento
- utilizzare strumenti legali efficaci per rinegoziare o ristrutturare i debiti senza bloccare le attività
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di paranchi, bracci, colonne e materiali essenziali
- impossibilità di completare installazioni, manutenzioni o consegne
- perdita di clienti industriali, integratori, imprese e magazzini
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina un team nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
È inoltre:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può aiutarti concretamente a:
- bloccare pignoramenti e procedure esecutive in corso
- ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti più efficaci previsti dalla legge
- ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
- proteggere materiali, impianti di sollevamento, ricambi e continuità produttiva
- evitare la chiusura e accompagnare la tua azienda verso un autentico risanamento
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Introduzione
Gestire un’azienda – ad esempio un’impresa che produce o commercia gru a bandiera industriali – può diventare estremamente difficile quando i debiti si accumulano. Molte imprese in Italia, specie dopo anni di crisi economiche e cambi normativi, si trovano sommerse da debiti fiscali, bancari o verso fornitori. Questa guida (aggiornata a ottobre 2025) offre un quadro completo e avanzato delle soluzioni legali disponibili per difendersi dai creditori e affrontare una situazione debitoria grave, dal punto di vista dell’imprenditore debitore. Verranno esaminati gli strumenti di risanamento aziendale (come concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, transazione fiscale), le strategie per proteggere il patrimonio personale dell’imprenditore e le possibili responsabilità penali, il tutto con riferimenti alla normativa italiana vigente e alle più recenti sentenze.
Negli ultimi anni il quadro normativo italiano in materia di crisi d’impresa è stato rivoluzionato. Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), introdotto con il D.Lgs. 14/2019 ed entrato in vigore a regime nel 2022, ha sostituito la vecchia legge fallimentare unificando le procedure concorsuali e introducendo principi più flessibili e orientati alla continuità aziendale . Successive modifiche – in particolare il D.Lgs. 147/2020, il D.Lgs. 83/2022 (attuativo della direttiva UE 2019/1023) e il recentissimo D.Lgs. 136/2024 (cd. “Correttivo-ter”) – hanno ulteriormente perfezionato il Codice, introducendo nuovi strumenti e limando gli aspetti applicativi . L’obiettivo del legislatore è duplice: intercettare per tempo lo stato di crisi prima che sfoci in insolvenza irreversibile, e fornire procedure efficaci per il risanamento dell’impresa oppure, quando necessario, per una liquidazione ordinata e il giusto soddisfacimento dei creditori .
In questa guida adotteremo un linguaggio giuridico ma divulgativo, adatto sia a professionisti del diritto (avvocati, consulenti) sia a imprenditori e privati che vogliono capire come muoversi. Organizzeremo gli argomenti in modo sistematico, con tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte frequenti. Il focus è sul punto di vista del debitore: come un imprenditore può difendersi da azioni esecutive, quali strumenti legali può attivare per ristrutturare o ridurre i debiti, come evitare (per quanto possibile) che i debiti aziendali intacchino il patrimonio personale e quali comportamenti adottare per non incorrere in responsabilità civili o penali. Tutto sarà riferito al contesto normativo italiano e supportato da riferimenti normativi e dalle più recenti pronunce giurisprudenziali (sentenze di Cassazione e di merito fino al 2024-2025) .
Affronteremo anzitutto le tipologie di debiti aziendali e i rischi che ciascuna comporta, per poi distinguere le strategie da adottare a seconda che l’azienda sia ancora operativa o già in fase di liquidazione/fallimento. Esamineremo quindi i principali strumenti di risanamento previsti dal Codice della crisi (piani attestati, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo, procedure da sovraindebitamento per le imprese minori), senza tralasciare le novità come la composizione negoziata della crisi. Dedicheremo spazio alle tutele del patrimonio personale dell’imprenditore – dalla scelta della forma societaria alle difese come il fondo patrimoniale o il trust, evidenziandone limiti e rischi – e analizzeremo le possibili responsabilità penali connesse alla gestione dell’azienda indebitata (reati fallimentari, fiscali, ecc.). Infine, una sezione di FAQ (domande frequenti) e alcuni casi pratici simulati aiuteranno a chiarire gli aspetti più concreti.
Nota: le soluzioni illustrate richiedono spesso il supporto di professionisti (commercialisti, esperti della crisi, legali). Ogni situazione ha le sue specificità: questa guida offre un orientamento avanzato, ma non sostituisce una consulenza mirata sul caso concreto. Nei paragrafi seguenti faremo continuo riferimento a norme (Codice Civile, Codice della Crisi, leggi tributarie) e citeremo pronunce giurisprudenziali di rilievo per dare fondamento autorevole ai concetti esposti. Passiamo dunque ad esaminare, in dettaglio, cosa fare quando un’azienda di gru a bandiera industriali – o qualsiasi impresa commerciale – si trova schiacciata dai debiti.
Tipologie di debiti aziendali e relativi rischi
Non tutti i debiti sono uguali: la natura del credito e del creditore condiziona le azioni che possono essere intraprese contro l’azienda debitrice e le conseguenze per l’imprenditore. È fondamentale per un debitore conoscere le diverse categorie di debito che gravano sulla propria impresa, così da valutare priorità, rischi e possibili strategie di intervento. Esaminiamo le principali tipologie di debiti che un’azienda può accumulare – fiscali, bancari, verso fornitori, previdenziali, ecc. – evidenziando per ciascuna i profili critici.
- Debiti fiscali e tributari (Erario): includono imposte come IVA, IRES/IRPEF, IRAP, tasse locali, nonché ritenute fiscali non versate. Questi debiti sono particolarmente insidiosi perché l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) dispone di poteri di riscossione coattiva molto incisivi. In caso di mancato pagamento, il Fisco può iscrivere ipoteca su immobili dell’azienda, disporre il fermo amministrativo di automezzi e macchinari, oppure avviare pignoramenti sia sui beni aziendali che – in taluni casi – sui beni personali dell’imprenditore (specie se si tratta di ditte individuali o soci garanti) . Inoltre, i debiti tributari generano sanzioni e interessi che fanno lievitare l’importo dovuto e possono sfociare, se superano certe soglie, in responsabilità penale a carico degli amministratori (si pensi al reato di omesso versamento IVA oltre la soglia di legge, v. infra). Va segnalato che l’amministrazione finanziaria ha privilegi legali: ad esempio, in un eventuale fallimento, l’Erario è un creditore privilegiato (per la parte di imposte relativa a IVA e ritenute) e viene soddisfatto prima dei crediti chirografari (non garantiti). D’altro canto, esistono strumenti specifici per gestire i debiti fiscali: la rateizzazione ordinaria (fino a 72 o 120 rate in casi di temporanea difficoltà), le definizioni agevolate (“rottamazione” delle cartelle) se previste da norme temporanee, e soprattutto la “transazione fiscale” nell’ambito di procedure concorsuali, che consente di proporre il pagamento parziale e dilazionato dei tributi . Affronteremo più avanti le possibilità di stralcio dei debiti fiscali e le condizioni per ottenere l’omologazione di piani che prevedano un trattamento parzialmente soddisfacente per il Fisco (c.d. cram down fiscale, recentemente confermato dalla Cassazione ).
- Debiti verso istituti bancari e finanziari: comprendono mutui, finanziamenti, scoperti di conto o leasing. Le banche sono creditori particolarmente attenti e spesso garantiti: il più delle volte i finanziamenti bancari sono assistiti da garanzie reali (ipoteca su immobili, pegno su beni) o da garanzie personali (fideiussioni dei soci o dell’imprenditore). In caso di insolvenza, la banca può avviare rapidamente azioni esecutive: ad esempio, escutere le garanzie, chiedendo il pignoramento e la vendita dell’immobile ipotecato, oppure agire contro il fideiussore sul suo patrimonio personale. I debiti bancari scaduti comportano anche la segnalazione a Centrale Rischi di Bankitalia, che compromette l’accesso al credito. Per difendersi, l’azienda può tentare una rinegoziazione del debito con l’istituto (ad esempio un accordo di moratoria, o un “piano di rientro”), oppure includere i crediti bancari in un piano di ristrutturazione o in un concordato preventivo. Da notare che le banche, essendo spesso garantite, in sede concorsuale vantano crediti privilegiati (fino a capienza della garanzia) e potrebbero votare contro un concordato se il piano non offre loro almeno il valore di realizzo del bene dato in garanzia. Tuttavia, anche per i creditori finanziari esistono strumenti di composizione della crisi: accordi stragiudiziali assistiti da Piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari (talvolta facilitati dalla presenza del mediatore della composizione negoziata), o conversione dei loro crediti in capitale (debt-equity swap) all’interno di piani di rilancio. L’imprenditore deve inoltre prestare attenzione alle fideiussioni personali: se ha garantito col proprio patrimonio il debito bancario, il mancato pagamento espone direttamente i suoi beni (case, conti personali) all’azione della banca, a meno di accordi transattivi che liberino il fideiussore.
- Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari: sono i debiti commerciali (fatture non pagate a fornitori di merci o servizi), i debiti verso professionisti, i canoni di locazione arretrati, le bollette di utenze non saldate, ecc. Questi creditori sono chirografari, ossia privi di garanzie specifiche e in genere ultimi a essere soddisfatti in caso di insolvenza. Tuttavia, possono fare pressione significativa: un fornitore strategico potrebbe sospendere le forniture se non viene pagato, mettendo in crisi l’operatività aziendale. Inoltre, molti fornitori non esitano a ricorrere al decreto ingiuntivo e al successivo pignoramento di beni aziendali o crediti verso clienti. Anche se i fornitori non hanno privilegi generali, alcuni crediti possono essere assistiti da titoli di prelazione (ad esempio, il locatore di immobile ha privilegio sui beni mobili nell’immobile per i canoni dovuti). In mancanza di garanzie, comunque, il principale potere di questi creditori sta nelle azioni esecutive individuali: pignoramento di conti correnti, attrezzature, merci in magazzino, oppure istanza di fallimento (se il credito supera una certa soglia, storicamente ~30.000€, e l’azienda manifesta insolvenza). Per difendersi, l’impresa può cercare accordi transattivi individuali (es. saldo e stralcio, pagando una parte del dovuto in cambio della rinuncia alle azioni legali) oppure convogliare tutti questi debiti chirografari in un’unica procedura concorsuale (concordato o accordo) dove spesso viene proposto un pagamento parziale (stralcio) in percentuale. Da segnalare che, in sede concorsuale, i fornitori chirografari saranno generalmente i più sacrificati (possono subire decurtazioni anche significative del credito), ma d’altro canto nessun singolo fornitore potrà opporsi isolatamente se la maggioranza approva il piano.
- Debiti previdenziali e verso dipendenti (INPS, stipendi): qui rientrano i contributi previdenziali obbligatori non versati (INPS, casse di previdenza) e le retribuzioni arretrate dovute ai lavoratori dipendenti, inclusi il TFR e le indennità. Si tratta di debiti particolarmente “sensibili”: i dipendenti hanno tutele speciali (possono agire in via privilegiata e, in caso di insolvenza, il loro TFR e ultime retribuzioni vantano privilegio generale mobiliare ex art. 2751-bis c.c.). L’INPS e gli enti previdenziali, dal canto loro, agiscono similmente al Fisco attraverso cartelle esattoriali e hanno anch’essi privilegi sui contributi dovuti. Il mancato versamento di contributi previdenziali può comportare conseguenze anche penali: ad esempio, omissioni contributive sopra determinate soglie (oggi modulate in base all’importo e alla percentuale omessa) costituiscono reato. Nel 2023 il legislatore ha peraltro modificato la disciplina penale dei contributi omessi: attualmente, se il datore di lavoro regolarizza il pagamento delle ritenute previdenziali entro determinati termini (anche tramite rateazione), evita il rilievo penale, e solo un debito contributivo residuo oltre €10.000 dopo la scadenza di legge può portare a condanna . Per difendersi dai debiti verso dipendenti e INPS, l’azienda in crisi può attivare strumenti come la rateazione dei contributi (piani con l’ente previdenziale) e, nell’ambito di procedure concorsuali, includere i crediti contributivi in una transazione analoga a quella fiscale. Inoltre, il Fondo di Garanzia INPS interviene a tutela dei lavoratori in caso di fallimento o concordato dell’azienda, assicurando il pagamento dei TFR e degli stipendi arretrati (nei limiti di legge): questo non solleva l’imprenditore dall’obbligo di pagare, ma trasferisce la pretesa sul Fondo, che diventa creditore surrogandosi ai dipendenti pagati.
- Debiti verso l’Erario per sanzioni amministrative: un cenno va fatto anche alle multe, sanzioni e ammende comminate da enti pubblici (es. sanzioni tributarie, multe stradali intestate all’azienda, sanzioni dell’Autorità Garante, ecc.). Questi importi, se non pagati, vengono anch’essi iscritti a ruolo e riscossi tramite cartelle esattoriali. Pur essendo chirografari in sede concorsuale (le sanzioni pecuniarie non godono di privilegio), rappresentano comunque un aggravio. In procedure come il concordato, spesso le sanzioni tributarie vengono falcidiate integralmente (legalmente è possibile ridurle fino allo zero, trattandole come credito chirografario ). Ciò offre un’opportunità di sollievo non trascurabile: ad esempio, in un concordato preventivo l’azienda può proporre di pagare una percentuale dei tributi dovuti ma azzerare le sanzioni e ridurre gli interessi, cosa che normalmente con l’Agenzia delle Entrate non sarebbe ottenibile al di fuori di una procedura concorsuale.
Questa panoramica delle tipologie di debito evidenzia come alcuni creditori abbiano “armi” più affilate di altri: il Fisco e l’INPS possono attaccare velocemente con le cartelle esattoriali e godono di privilegi; le banche hanno garanzie e possono aggredire anche il patrimonio personale del garante; i fornitori e altri chirografari, pur essendo ultimi in graduatoria, possono però inceppare l’attività corrente e avviare azioni esecutive individuali o istanze di fallimento. Nella tabella seguente riassumiamo le principali categorie di debito e i relativi rischi e strumenti di difesa dal punto di vista dell’impresa debitrice.
Tabella 1 – Principali categorie di debito aziendale, rischi e rimedi per il debitore
| Tipo di debito | Esempi tipici | Poteri del creditore | Rischi per l’azienda/debitore | Possibili difese/soluzioni |
|---|---|---|---|---|
| Fiscale (Erario, IVA, imposte) | IVA non versata, IRPEF/IRES, tributi locali | Cartella esattoriale; ipoteche; pignoramenti; fermi amministrativi . Privilegio in fallimento. Possibile denuncia penale se superate soglie (es. IVA) | Blocco beni aziendali; aggravio di sanzioni e interessi; rischio di procedimento penale per omessi versamenti . | Rateizzazioni; definizioni agevolate (“rottamazioni”); transazione fiscale in accordo/concordato (stralcio parziale di tributi, sanzioni azzerate) ; procedure concorsuali con cram down fiscale (possibile omologa senza assenso Fisco se condizioni di legge) . |
| Previdenziale (INPS, INAIL) | Contributi dipendenti non versati, premi assicurativi | Cartella esattoriale (ruolo); iscrizione di ipoteca; pignoramenti. Privilegio generale sui contributi. Reato per omesso versamento contributi oltre soglie . | Aggressione beni aziendali; azioni esecutive come per il Fisco; responsabilità personale dell’amministratore per mancato versamento ritenute previdenziali; possibili sanzioni penali se contributi omessi superano €10.000 dopo termini di legge . | Rateizzazioni contributive (piani di dilazione con INPS); transazione contributiva in ambito concorsuale (analoga alla fiscale); utilizzo del Fondo di Garanzia INPS per pagare TFR e stipendi in caso di procedure, alleggerendo il debito verso dipendenti. |
| Bancario/Finanziario | Mutuo bancario, fido di cassa, leasing operativo | Azione esecutiva immediata su garanzie (esecuzione immobiliare su ipoteca, escussione pegno); segnalazione a Centrale Rischi; se c’è fideiussione, escussione sul patrimonio personale del garante. | Perdita di asset dati in garanzia (es. immobili); conto bancario revocato o fido ridotto; esposizione diretta del patrimonio personale del socio garante (es. casa pignorata) se l’azienda non paga . | Negoziazione bancaria (moratoria, piano rientro); accordo stragiudiziale o Piano attestato di risanamento coinvolgendo le banche; inserimento dei crediti bancari in un accordo di ristrutturazione o concordato (con possibile conversione debito in equity, o vendita beni a soddisfo del credito garantito); se garanzie personali attivate, possibile trattativa di saldo e stralcio con banca per liberare il garante. |
| Commerciale (Fornitori, affitti, utenze) | Fatture fornitori non pagate, canoni leasing o locazione scaduti, bollette | Decreto ingiuntivo e pignoramento beni aziendali o crediti verso clienti; possibilità di chiedere fallimento se crediti rilevanti; sospensione forniture o rescissione contratto per inadempimento. | Paralisi operativa (fornitori bloccano consegne; servizi essenziali interrotti); beni strumentali pignorati; reputazione compromessa presso altri partner; rischio di esecuzioni multiple disordinate. | Accordi bonari individuali con i creditori (dilazione, saldo e stralcio parziale); composizione negoziata coinvolgendo fornitori chiave per accordi globali; consolidamento dei debiti chirografari in un unico concordato preventivo o accordo di ristrutturazione dove proporre un pagamento parziale e dilazionato a tutti (evitando iniziative individuali). |
| Dipendenti (salari e TFR) | Stipendi non pagati, TFR maturato non versato | Decreto ingiuntivo e pignoramento conti azienda; azione presso ITL (ispettorato lavoro); in caso di fallimento, privilegio su attivo e intervento Fondo di Garanzia INPS. | Malcontento e abbandono del personale chiave; vertenze di lavoro; pignoramento rapido del conto aziendale (stipendi dovuti godono di procedure accelerate); se procedura concorsuale, insinuazione con privilegio che riduce risorse disponibili per altri creditori. | Negoziare dilazioni con i dipendenti (es. pagamento rateale degli arretrati se concordato con le RSA/RSU); ricorrere al Fondo di Garanzia per TFR e mensilità in caso di insolvenza conclamata; includere il debito verso dipendenti in un piano concordatario assicurando il pagamento integrale delle ultime mensilità prededucibili e una percentuale adeguata del resto; evitare il più possibile di accumulare debiti sui salari per non perdere forza lavoro e fiducia. |
| Sanzioni e multe (Debiti verso enti pubblici non tributari) | Multe stradali intestate alla società; sanzioni amministrative (es. GDPR, Antitrust); sanzioni tributarie o contributive aggiuntive. | Cartella esattoriale per importi iscritti a ruolo; altrimenti, azioni esecutive individuali come un normale creditore chirografo (ingiunzione). | Aggravio di costi per sanzioni e interessi di mora; possibile iscrizione a ruolo con conseguenti azioni di riscossione coattiva equiparate a quelle dei tributi; tuttavia, in caso di insolvenza concorsuale, queste sanzioni saranno pagate solo dopo i crediti privilegiati, e spesso in misura ridotta o nulla. | Definizioni agevolate se previste (es. condono di interessi su multe); in concordato preventivo o accordo di ristrutturazione, trattare le sanzioni come crediti chirografari da falcidiare anche integralmente ; richiedere la rinuncia o riduzione delle sanzioni negli accordi transattivi con gli enti, evidenziando che un recupero integrale metterebbe a rischio la continuità aziendale. |
(Legenda: privilegio = diritto di prelazione sul ricavato dei beni rispetto ai crediti chirografari; prededuzione = pagamento prioritario perché credito sorto durante una procedura concorsuale; falcidia/falciare = ridurre l’importo dovuto a un creditore in sede di piano; saldo e stralcio = accordo transattivo per estinguere un debito pagando una parte di esso.)
Come si evince, un’azienda indebitata subisce pressioni diversificate: ciascun creditore agirà secondo le leve giuridiche a sua disposizione. L’imprenditore che intende “difendersi” deve giocare su più fronti, ad esempio: bloccare temporaneamente le azioni esecutive più aggressive (magari ricorrendo a una procedura concorsuale che congela i debiti), trattare con i creditori disponibili a un accordo e assicurarsi di non commettere passi falsi che possano aggravare la situazione (ad esempio pagamenti preferenziali ad alcuni creditori rischiando poi azioni revocatorie, o continuare ad accumulare IVA non versata rischiando il penale). Nei capitoli successivi vedremo come queste strategie si concretizzano a seconda dello stato dell’impresa (in attività o meno) e attraverso quali strumenti giuridici è possibile risanare l’esposizione debitoria o, quantomeno, chiudere la crisi limitando i danni.
Stato dell’impresa debitrice: azienda attiva vs. in liquidazione o insolvenza
Le mosse difensive e le opportunità di ristrutturazione variano sensibilmente a seconda della condizione in cui si trova l’impresa indebitata. Possiamo distinguere due scenari principali:
- Azienda ancora operativa (in bonis, seppur in crisi): l’impresa, pur trovandosi in difficoltà finanziaria, è ancora in attività, produce fatturato e vorrebbe evitare di fermarsi. In questo scenario l’obiettivo primario del debitore è evitare che la crisi degeneri in insolvenza irreversibile e salvare la continuità aziendale. La legge mette a disposizione strumenti di allerta precoce e di composizione stragiudiziale per intervenire tempestivamente, nonché procedure concorsuali “minori” che permettono di risanare l’azienda senza cessarne l’attività. Gli amministratori hanno il dovere di attivarsi subito: ignorare i segnali di crisi potrebbe costituire una violazione dei propri doveri (come vedremo, la mancata adozione di adeguati assetti organizzativi e il ritardo nell’affrontare la crisi espongono gli organi amministrativi a responsabilità personali ). Se l’azienda è ancora “viva”, le soluzioni puntano alla ristrutturazione del debito e al recupero dell’equilibrio economico-finanziario, tramite accordi con i creditori o procedure concorsuali che consentano di proseguire l’attività (ad esempio il concordato preventivo in continuità). In questa fase, misure protettive temporanee (stay delle azioni esecutive) possono essere ottenute con l’accesso a strumenti come la composizione negoziata o con il deposito di una domanda di concordato, guadagnando tempo per elaborare un piano di risanamento.
- Azienda in fase di liquidazione o insolvenza conclamata: qui l’impresa ha già cessato (o sta cessando) l’attività, oppure la sua situazione è talmente compromessa che l’obiettivo realistico diventa gestire in modo ordinato la liquidazione dei beni e la chiusura. Ciò può avvenire volontariamente (liquidazione volontaria della società disposta dai soci, ad esempio per eccesso di passività) oppure in forma giudiziale, attraverso il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) dichiarato dal Tribunale. In questo scenario, dal punto di vista del debitore, le priorità sono: minimizzare le conseguenze personali (es. evitare azioni di responsabilità o penali), assicurarsi eventualmente l’esdebitazione finale (la “liberazione” dai debiti residui a fine procedura) e, se possibile, influenzare il processo liquidatorio tramite proposte concordate (ad es. un concordato liquidatorio o un accordo con i creditori in corso di fallimento). Un’azienda in liquidazione non mira più alla continuazione del business ma alla chiusura delle pendenze: strumenti come il concordato preventivo liquidatorio possono evitare la dichiarazione di fallimento, mentre se il fallimento è già stato aperto, l’imprenditore può valutare di presentare un concordato fallimentare (una proposta di concordato ai sensi dell’art. 240 CCII durante la liquidazione giudiziale) per chiudere prima la procedura con soddisfazione parziale dei creditori.
È importante riconoscere in quale situazione si ricade, perché il tempismo è cruciale. La normativa incoraggia gli imprenditori ad attivarsi prima che l’insolvenza diventi irreversibile. Dal 2019 in poi il Codice della crisi ha introdotto l’obbligo per ogni impresa di dotarsi di “adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili” funzionali a rilevare tempestivamente gli indizi di crisi (art. 2086, comma 2, c.c.). I tribunali stanno già sanzionando duramente la gestione negligente: ad esempio, il Tribunale di Torino nel marzo 2024 ha condannato un amministratore a risarcire i danni al fallimento proprio per non aver adottato in tempo gli assetti adeguati che avrebbero permesso di intercettare la crisi e forse evitare il dissesto . Analogamente, il Tribunale di Milano (decreto luglio 2024) ha persino disposto la revoca degli amministratori e la nomina di un amministratore giudiziario in un’azienda dove mancavano del tutto controlli di gestione, con gravi pregiudizi per soci e creditori . Queste decisioni recenti segnalano che non è più ammesso “tirare a campare” senza affrontare la crisi: se l’imprenditore non agisce, i creditori o il tribunale stesso possono intervenire.
Riassumendo:
- Se l’azienda è ancora in piedi e operativa, il debitore ha a disposizione un ventaglio di opzioni per risanare o ristrutturare il debito mantenendo in vita l’impresa: occorre però muoversi presto, predisporre piani credibili e possibilmente negoziare con i creditori prima di perdere del tutto la fiducia del mercato.
- Se l’azienda è già in liquidazione o fallimento, le possibilità di salvataggio del business praticamente non ci sono più, ma restano strumenti per gestire la chiusura nel modo meno doloroso possibile: proposte concordatarie di liquidazione, richieste di esdebitazione per ripartire senza debiti a fine procedura, e misure per proteggere il patrimonio personale residuo dell’imprenditore.
Nei paragrafi successivi esamineremo dapprima gli strumenti di allerta e composizione stragiudiziale che aiutano l’imprenditore a intervenire quando la crisi è agli inizi, e successivamente i veri e propri strumenti di risanamento o liquidazione concordata previsti dalla legge. Ciascuno strumento verrà analizzato nei suoi requisiti, modalità di funzionamento ed effetti, tenendo conto degli aggiornamenti normativi sino al 2025.
Allerta precoce e composizione stragiudiziale della crisi
Uno degli aspetti chiave della riforma introdotta con il Codice della crisi d’impresa è l’enfasi sull’allerta precoce e sulle soluzioni negoziali prima di ricorrere alle procedure concorsuali giudiziali. L’idea è creare un “cuscinetto” temporale in cui l’imprenditore in difficoltà possa cercare un accordo con i creditori o correggere la rotta senza subire immediatamente le conseguenze del default. Vediamo quali sono gli strumenti principali in questa fase.
Adeguati assetti e obblighi di segnalazione
Come anticipato, l’art. 2086 c.c. impone agli amministratori di società di attuare adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, calibrati sulla natura e dimensione dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della continuità aziendale. Ciò significa dotarsi di sistemi di controllo di gestione, indicatori e procedure interne che facciano emergere segnali di squilibrio (ad es. indici di liquidità, di indebitamento eccessivo, ritardi nei pagamenti, ecc.). Se questi segnali vengono ignorati e la crisi si aggrava, gli amministratori rischiano azioni di responsabilità civile (per aver aggravato il dissesto) e, in casi estremi, anche provvedimenti come la revoca giudiziaria . Sul fronte pubblico, il Codice prevedeva anche un sistema di segnalazioni esterne: alcuni creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, Agenzia Riscossione) devono avvisare l’impresa e l’Organismo di Composizione quando i debiti scaduti superano soglie rilevanti (p.e. debiti IVA o contributivi oltre certi importi). Tali norme sulle segnalazioni esterne sono entrate in vigore gradualmente (dopo rinvii, sono operative dal luglio 2022 per alcune soglie): ad esempio, l’INPS ha l’obbligo di segnalare l’inadempimento quando il debitore ha più di €5.000 di contributi non versati e non ha regolarizzato dopo sollecito; l’Agenzia delle Entrate segnala se vi sono debiti IVA oltre €5.000 e la dichiarazione IVA non è stata presentata, ecc. L’effetto delle segnalazioni è stimolare l’imprenditore a prendere provvedimenti (attivare la composizione negoziata) entro 90 giorni, prima che i creditori possano procedere ad azioni più drastiche.
In pratica, oggi un imprenditore diligente deve monitorare costantemente la propria azienda: non aspettare che arrivi un’istanza di fallimento, ma muoversi appena vede cumulare debiti che non riesce a pagare regolarmente. Il legislatore non obbliga a denunciare sé stessi in Tribunale alla prima difficoltà, ma mette a disposizione un percorso guidato: la composizione negoziata della crisi.
La composizione negoziata della crisi d’impresa
La composizione negoziata è uno strumento introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora disciplinato dagli artt. 12-25 CCII, pensato per assistere le imprese in potenziale crisi attraverso un processo di negoziazione riservato e stragiudiziale, con l’ausilio di un esperto indipendente. Contrariamente alle vecchie “procedure di allerta” obbligatorie (mai entrate in vigore), la composizione negoziata è volontaria: l’imprenditore che percepisce uno stato di squilibrio economico o patrimoniale può presentare istanza sulla piattaforma telematica dedicata, ottenendo la nomina di un esperto (gestore della crisi) che lo affiancherà nel tentativo di trovare un accordo con i creditori .
Caratteristiche principali: la procedura è riservata (non viene pubblicato né comunicato ai terzi il suo avvio, per evitare allarmismi) e l’imprenditore mantiene la gestione ordinaria della sua azienda . L’esperto ha un ruolo di facilitatore: analizza la situazione, convoca i creditori principali e cerca di favorire soluzioni consensuali (come rinegoziazioni di debiti, accordi di moratoria, riduzioni concordate). Non c’è una “autorità” che impone decisioni: i creditori partecipano volontariamente e possono accettare o meno le proposte. Tuttavia, la cornice normativa offre alcuni supporti fondamentali:
- L’imprenditore può chiedere al Tribunale delle misure protettive temporanee: ad esempio, la sospensione delle azioni esecutive dei creditori per la durata delle trattative (normalmente fino a 4 mesi, prorogabili di 4 in circostanze eccezionali) . Se accordate, queste misure impediscono ai creditori di pignorare beni o interrompere forniture essenziali mentre si negozia, creando una “tregua”.
- Per compiere atti di straordinaria amministrazione durante la composizione (es. vendere un immobile, contrarre nuovi finanziamenti garantiti, cedere l’azienda), l’imprenditore deve ottenere un’autorizzazione del Tribunale . Ciò tutela i creditori da operazioni pregiudizievoli e rassicura eventuali controparti.
- Sono previsti incentivi e protezioni: ad esempio, il Tribunale può autorizzare la contrazione di finanza nuova prededucibile (nuovi prestiti per la continuità, che verranno rimborsati prima di altri debiti, così da incoraggiare finanziatori a sostenere l’impresa in questa fase) . Può anche autorizzare il pagamento di fornitori strategici (fuori dall’ordinario) se necessario a proseguire l’attività . Tali atti autorizzati non potranno essere successivamente revocati in caso di fallimento, eliminando il timore di claw back per chi li accetta.
- Fiscalmente, l’adesione alla composizione negoziata sospende alcuni termini (ad es. non scattano automaticamente le segnalazioni di sofferenza in Centrale Rischi come default, e si congelano i termini per le istanze di fallimento dei creditori pubblici). Inoltre, se necessario, l’imprenditore può chiedere che il Tribunale autorizzi una transazione fiscale “in deroga”: in pratica, durante le trattative l’azienda potrebbe raggiungere un accordo con l’Agenzia Entrate su un piano di rientro con stralcio, e il giudice può rendere efficace tale accordo anche senza le formalità di un concordato . Queste possibilità rendono la composizione negoziata un ambiente flessibile.
La durata della composizione negoziata è variabile; tipicamente l’esperto chiude il suo lavoro entro 180 giorni, relazionando sull’esito. Gli esiti possibili sono: (a) accordo stragiudiziale con alcuni o tutti i creditori (che rimane riservato, eventualmente soggetto a riservatezza); (b) nessun accordo raggiunto; (c) in alternativa, l’imprenditore può rendersi conto, grazie alle trattative, che serve una soluzione più incisiva e optare per una procedura concorsuale (concordato preventivo o liquidazione) immediatamente dopo.
Per l’imprenditore debitore, la composizione negoziata presenta vantaggi significativi: evita il “marchio” di insolvenza (non è pubblica come un fallimento o un concordato), mantiene la fiducia di clienti e fornitori più facilmente, e permette soluzioni su misura (magari coinvolgendo solo alcuni creditori chiave). I costi procedurali sono relativamente contenuti rispetto a un concordato, e non c’è voto formale dei creditori – si tratta di trovare un compromesso con ognuno di essi, eventualmente in parallelo. Di contro, la composizione negoziata funziona se c’è ancora margine di recupero e se i creditori mostrano collaborazione: se l’azienda è già bersagliata da decreti ingiuntivi e pignoramenti o se alcuni creditori importanti sono totalmente contrari a concessioni, il rischio è di “perdere tempo” in trattative vane . In quei casi potrebbe essere preferibile avviare subito un concordato, che offre protezioni più forti (moratoria generale dei debiti, effetti anche contro i dissenzienti).
In sintesi, la composizione negoziata è lo strumento principe quando l’impresa è in una fase iniziale di crisi – ad esempio, calo di liquidità ma ordine produttivo ancora in piedi – e si vuole giocare la carta del dialogo con i creditori prima di passare al “tribunale”. Essa incarna il moderno approccio “preventivo” alla crisi d’impresa e, non a caso, è stata concepita recependo le indicazioni europee di favorire ristrutturazioni early stage.
(Per inciso, anche le imprese minori e gli imprenditori agricoli, seppur non fallibili, possono liberamente accedere alla composizione negoziata: lo strumento è aperto a tutte le imprese, di qualunque dimensione.)
Accordi stragiudiziali e piani di risanamento privati
Accanto alla composizione negoziata, che è un percorso formalizzato ma stragiudiziale, l’imprenditore può tentare di negoziare privatamente coi creditori un piano di risanamento senza passare dal tribunale. Tali soluzioni vanno dalla semplice ristrutturazione dei debiti in forma contrattuale (es. accordi individuali di dilazione o riduzione, spesso documentati in scritture private) fino al più strutturato Piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII.
- Il Piano attestato di risanamento è un istituto già presente nella vecchia legge (art. 67 l.f.) e ora regolato dall’art. 56 CCII: consiste in un piano finanziario e industriale predisposto dall’impresa per il risanamento dei debiti, accompagnato dalla relazione di un attestatore indipendente che certifica la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano stesso . Il piano rimane un accordo privato tra l’impresa e i creditori che volontariamente aderiscono (non c’è omologazione né coinvolgimento diretto del tribunale) . Qual è allora il vantaggio? Principalmente, il fatto che eventuali atti esecutivi del piano – ad esempio pagamenti preferenziali o concessione di garanzie a taluni creditori – non potranno essere revocati in un successivo fallimento, a condizione che il piano abbia avuto successo e sia idoneo al risanamento . In altre parole, la legge premia l’imprenditore (e i creditori che lo sostengono) che tenta un risanamento serio: se poi qualcosa andasse storto, i pagamenti fatti in esecuzione del piano non verranno “ripresi indietro” dal curatore fallimentare. Il piano attestato si addice a situazioni in cui l’impresa ha pochi creditori chiave o una crisi ancora moderata e risolvibile con alcune mosse (ad es. nuova finanza, dismissione di un asset, rifinanziamento bancario) – tanto che i creditori sono disposti a collaborare sulla fiducia del piano asseverato. Mancando un coinvolgimento formale di tutti i creditori, questo strumento non offre protezione contro i dissenzienti: se un creditore non è d’accordo, potrebbe comunque agire per conto proprio. Dunque, il piano attestato funziona soprattutto quando c’è un consenso quasi totale in via di fatto o quando i creditori estranei al piano sono poco rilevanti e possono essere pagati regolarmente.
- Gli accordi stragiudiziali semplici: nulla vieta poi che l’imprenditore tenti di rinegoziare i debiti uno per uno con i propri creditori anche senza attivare procedure formali. Ad esempio, potrebbe accordarsi con alcuni fornitori per allungare i termini di pagamento, con la banca per consolidare il debito, con il fisco per dilazionare le cartelle (utilizzando gli strumenti ordinari). Spesso però, quando la crisi è seria, questi accordi “fai da te” tamponano solo temporaneamente la situazione e presentano due rischi: (a) i creditori non coordinati tra loro potrebbero farsi avanti improvvisamente, vanificando i sacrifici fatti con altri (il classico caso in cui si paga un fornitore strategico e un altro nel frattempo pignora il conto); (b) si rischia di incorrere in profili di responsabilità (pagamenti preferenziali, eccessivo indebitamento ulteriore, ecc.) se poi la situazione precipita. Pertanto, di solito, quando la rinegoziazione privata non è palesemente sufficiente, conviene passare a strumenti come la composizione negoziata o le procedure concorsuali minori, che assicurano una visione d’insieme e un trattamento equo di tutti i creditori.
Abbiamo esaminato le misure “pre-concorsuali”. Se la crisi è contenuta, una soluzione privatistica o una composizione negoziata può bastare. Ma se il debito è troppo grande o diffuso, o se serve comunque l’intervento dell’autorità giudiziaria per rendere vincolante un accordo sui dissenzienti, occorre accedere alle procedure concorsuali di regolazione della crisi previste dal Codice. Nel capitolo seguente analizzeremo proprio questi strumenti: il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione del debito e le procedure per i debitori “minori”. Tutti questi meccanismi condividono l’obiettivo di cristallizzare i debiti e gestirli in modo collettivo, evitando la frammentazione delle azioni esecutive e cercando soluzioni che massimizzino la soddisfazione dei creditori compatibilmente con le possibilità del debitore.
Strumenti di risanamento del debito e procedure concorsuali
Quando i rimedi stragiudiziali non bastano o non sono praticabili, l’ordinamento offre una serie di procedure concorsuali in cui il debitore può ristrutturare o liquidare il proprio debito sotto la supervisione (e con l’autorità) del tribunale. Si tratta di procedure formalizzate, con regole precise, che mirano a coinvolgere tutti i creditori in una soluzione unica, evitando corse individuali al recupero forzoso. Nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) le principali procedure di questo tipo – destinate alle imprese fallibili (ossia sopra le soglie di legge) – sono: gli Accordi di ristrutturazione dei debiti e il Concordato preventivo (nelle varianti in continuità o liquidatorio). Per le imprese non fallibili (imprenditori minori, piccoli commercianti, etc.) esistono procedure analoghe nell’ambito del cosiddetto sovraindebitamento, in particolare il Concordato minore. Analizziamo i vari strumenti, ricordando che spesso il debitore può trovarsi a valutare l’uno o l’altro a seconda delle circostanze; non di rado, una trattativa avviata in composizione negoziata sfocia poi in un concordato preventivo “semplificato” o in un accordo di ristrutturazione omologato.
Accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD)
L’Accordo di ristrutturazione (disciplinato dagli artt. 57-64 CCII) è essenzialmente un accordo contrattuale tra il debitore e una parte consistente dei suoi creditori, che viene poi omologato dal tribunale per estenderne taluni effetti a tutti. È uno strumento “a metà” tra il piano stragiudiziale e il concordato: richiede infatti il consenso di almeno il 60% dei crediti (in valore) per legge , ma una volta raggiunta questa maggioranza qualificata e ottenuto il sigillo del giudice, l’accordo può diventare vincolante anche per i creditori non aderenti. In sostanza, se il debitore riesce a convincere una larga parte dei creditori (ad esempio le banche e alcuni fornitori principali) a sottoscrivere un piano di rientro/ristrutturazione, il tribunale può omologare l’accordo rendendolo efficace erga omnes . I creditori dissenzienti o estranei all’accordo ne rimangono vincolati nei limiti previsti: tipicamente l’accordo può prevedere che vengano pagati integralmente ma in forma dilazionata secondo il piano, oppure che ricevano lo stesso trattamento (percentuale) dei creditori aderenti.
Procedura: il debitore deposita in Tribunale la proposta di accordo, unitamente a tutta la documentazione (bilanci, elenco creditori) e a una relazione di un professionista attestatore circa la fattibilità del piano e la convenienza per i creditori che non aderiscono (deve attestare che costoro ricevono almeno quanto otterrebbero in un’alternativa liquidatoria). Durante la trattazione, il debitore può chiedere misure protettive (come nel concordato) per evitare azioni esecutive nell’attesa. Se i creditori rappresentanti il 60% del debito totale hanno firmato, il tribunale – valutata la regolarità e la meritevolezza – omologa l’accordo. Da quel momento, l’accordo produce effetti anche sui non firmatari secondo i termini pattuiti.
Vantaggi: l’ARD è meno formalistico del concordato, non richiede votazione in classi né il coinvolgimento di tutti i creditori in trattative (il che può essere un vantaggio se si vogliono tenere fuori piccoli creditori pagandoli per intero in scadenza naturale). È più rapido e riservato (l’istruttoria in tribunale è solitamente più snella). Inoltre, può essere modulato: la legge negli ultimi anni ha introdotto varianti come l’accordo ad efficacia estesa (che consente, se certe categorie di creditori aderenti raggiungono percentuali alte, di estendere l’accordo anche ai dissenzienti di quella categoria, ad es. banche dissenzienti se il 75% delle banche ha aderito) e l’accordo agevolato (con soglia di adesioni ridotta al 30% in alcuni casi, introdotto dal 2022). Importante: nell’ARD, a differenza del concordato, i creditori pubblici (Erario e INPS) devono aderire per essere falcidiati; se non aderiscono e l’accordo prevede un loro pagamento parziale, si deve far ricorso alla disciplina speciale del cram-down fiscale in sede di omologa.
Novità 2023-2024 sul cram-down fiscale negli accordi: con l’attuazione della direttiva UE, il legislatore ha previsto che un accordo di ristrutturazione possa essere omologato anche senza il consenso dell’Erario/INPS, purché siano rispettate alcune condizioni rigorose. In particolare, se i creditori aderenti diversi dal Fisco rappresentano almeno il 25% dei crediti, allora è sufficiente offrire al Fisco (e ad INPS) almeno il 30% del loro credito complessivo perché il tribunale possa ugualmente omologare l’accordo nonostante il loro dissenso . Se invece la parte di altri creditori aderenti è inferiore al 25%, la soglia sale al 40% (e la dilazione non oltre 10 anni) . Inoltre, l’accordo in questione non deve essere di puro realizzo liquidatorio ma prevedere elementi di continuità. Questi paletti sono stati confermati anche dalla giurisprudenza di merito: ad esempio, il Tribunale di Vasto con provvedimento dell’11 dicembre 2024 ha applicato proprio i criteri del 30-40% per consentire l’omologazione forzosa di un accordo in cui l’Agenzia delle Entrate era dissenziente . Ciò rappresenta un grosso passo avanti: in passato un “no” del Fisco bloccava qualsiasi accordo, ora invece se il piano è conveniente e rispetta quelle percentuali, si può procedere comunque.
In sostanza, l’accordo di ristrutturazione è indicato quando l’impresa ha già un’intesa di massima con i principali creditori e vuole renderla stabile e opponibile a tutti. Se invece manca il consenso di una quota rilevante, bisogna considerare il concordato preventivo, dove la decisione passa attraverso il voto per maggioranze.
Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio)
Il concordato preventivo è la procedura concorsuale per eccellenza, erede della tradizione fallimentare ma volta, nelle intenzioni, a evitare il fallimento mediante un accordo “giudiziale” con i creditori. Si chiama “preventivo” proprio perché mira a prevenire la dichiarazione di fallimento, congelando la situazione e proponendo una soluzione concordata. Nel concordato, a differenza dell’accordo di ristrutturazione, tutti i creditori sono chiamati a partecipare e ad essere vincolati, con o senza il loro consenso individuale, secondo le regole di maggioranza.
Requisiti principali: qualsiasi imprenditore fallibile (vedi soglie sopra) può proporre concordato se si trova in stato di crisi o insolvenza. Va depositata in tribunale una proposta di concordato con un piano dettagliato, corredato da relazione di un attestatore indipendente che certifichi la fattibilità del piano e che i creditori non riceverebbero di meno in caso di fallimento (best interest test). Il tribunale, verificati i requisiti, ammette la società alla procedura e nomina un Commissario Giudiziale che vigila nell’interesse dei creditori. I creditori vengono informati e convocati a esprimersi sulla proposta in adunanza o per voto scritto.
Classi e voto: il debitore può dividere i creditori in classi secondo posizione giuridica omogenea (es. separare banche ipotecarie, fornitori chirografari, etc.). I creditori votano per classe o, se non classati, tutti insieme: serve il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto (esclusi i privilegiati soddisfatti integralmente). Se ci sono classi, la maggioranza si calcola per ciascuna classe e servono il sì della maggioranza delle classi, salvo cram-down interclassi possibile se almeno una classe ha votato sì e le altre sono trattate equamente.
Tipologie: esistono due macro-tipi di concordato: – Concordato in continuità aziendale: quando il piano prevede la prosecuzione dell’attività dell’azienda (sia direttamente dal debitore, sia tramite un terzo che subentra, ad esempio affitto o cessione d’azienda ma mantenendo i posti di lavoro, ecc.). In questo caso la legge consente maggior flessibilità (ad esempio, è permesso pagare i creditori privilegiati parzialmente se il valore di continuità non consente di soddisfarli interamente, a patto che non ricevano meno del valore che avrebbero in liquidazione). – Concordato liquidatorio: quando invece l’impresa intende solo liquidare il patrimonio e chiudere. In passato la legge richiedeva in tal caso una soglia minima del 20% di pagamento ai chirografari. Oggi il CCII non prevede più espressamente quella soglia fissa, ma impone comunque che il piano liquidatorio garantisca ai creditori un’utilità congrua e non inferiore al ricavabile dalla liquidazione giudiziale. In pratica, anche senza soglia di legge, un concordato puramente liquidatorio deve dare sufficienti garanzie (spesso mediante un apporto di finanza esterna al patrimonio da liquidare) per essere approvato.
Effetti della domanda: il concordato attiva una forte protezione: dalla data di pubblicazione della domanda, i creditori non possono iniziare né proseguire azioni esecutive individuali né acquisire privilegi sul patrimonio del debitore (art. 54 CCII, ex art. 168 l.f.) . Questo “automatic stay” tutela l’impresa dal caos dei pignoramenti e congelando le posizioni. Inoltre, i contratti pendenti non si risolvono ipso iure (a meno di specifiche clausole, molte delle quali peraltro inefficaci grazie alla legge anti-ipotesi risolutive automatiche in concordato). L’impresa continua ad operare sotto la supervisione del Commissario; operazioni straordinarie necessitano di autorizzazione del giudice delegato. È anche possibile chiedere di essere autorizzati a ottenere nuova finanza prededucibile o a pagare fornitori essenziali prima dell’omologa per evitare danni immediati.
Esito: se i creditori approvano e il tribunale ritiene rispettati i requisiti di legge, si arriva all’omologazione. Da quel momento, il piano concordatario diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, anche per quelli che hanno votato contro o non si sono presentati. I debiti vengono cancellati o ridotti secondo quanto previsto nel piano; se il debitore adempie al piano, alla fine potrà dirsi esdebitato per la parte falcidiata.
Transazione fiscale e nuove norme sul Fisco: un aspetto delicato è il trattamento dei debiti erariali nel concordato. Storicamente, il Fisco aveva un potere di veto di fatto: se votava no e rappresentava da solo la maggioranza, tutto saltava, e la legge richiedeva comunque il suo assenso esplicito per ridurre IVA e ritenute (le quali non potevano essere falcidiate senza consenso, secondo la disciplina previgente). Il CCII ha innovato inserendo la possibilità del cosiddetto cram-down fiscale: oggi il tribunale può omologare un concordato preventivo anche senza il voto favorevole dell’Agenzia delle Entrate o dell’INPS, a condizione che la proposta assicurI a tali crediti un trattamento non inferiore a quello che avrebbero in una liquidazione fallimentare e che venga garantito almeno un pagamento minimo del 20% del loro ammontare . In particolare, l’art. 88 CCII stabilisce che per omologare nonostante il dissenso del Fisco il piano deve prevedere il pagamento di almeno il 20% dei crediti chirografari erariali e contributivi (includendo in tale conteggio anche l’IVA e le ritenute, che quindi possono essere falcidiate purché sia corrisposto almeno quel 20%). Questa è una novità enorme: per decenni l’IVA era ritenuta intoccabile, ora invece la Cassazione stessa ha riconosciuto la legittimità di questa impostazione, sancendo in una recente sentenza (Cass. civ. Sez. I n. 27782 del 28/10/2024) che il giudice può approvare il concordato contro il parere dell’Erario se tale condizione di convenienza è rispettata . La Suprema Corte ha sottolineato come ciò sia in linea con lo spirito del nuovo Codice: non ha senso far fallire un’azienda se il concordato offre al Fisco più di quanto otterrebbe dal fallimento stesso . In altre parole, viene superato il vecchio “favor fisci” a favore di un principio di maggior ragionevolezza e conservazione del valore sociale dell’impresa.
Da notare che, in ogni caso, per predisporre un concordato con stralcio di tributi, il debitore deve presentare un’apposita proposta di transazione fiscale all’ente (una sorta di sottopiano all’interno del concordato) e ottenere un trattamento di favore solo se l’offerta è conveniente. Le linee guida dell’Agenzia Entrate (Circolare 34/E 2020) indicano che l’Erario di solito accetta di votare sì se il piano mostra che il Fisco prende almeno quanto gli altri chirografari e non meno di quanto riceverebbe in liquidazione . Anche senza il voto, comunque, col cram-down la soglia del 20% va rispettata.
Concordato in continuità: merita qualche considerazione in più. Se l’impresa vuole proseguire l’attività, il concordato deve dimostrare la sostenibilità della continuità. Spesso si tratta di concordati “misti”, in cui parte dei beni non essenziali viene liquidata e parte dell’azienda continua a operare (magari venduta a un investitore, oppure mantenuta dal debitore stesso). La legge incentiva la continuità perché preserva valore (posti di lavoro, know-how, ecc.): infatti, permette di soddisfare crediti con i flussi di cassa futuri e consente di trattare meglio i creditori strategici. Ad esempio, eventuali fornitori indispensabili possono essere pagati in prededuzione (cioè integralmente e prioritariamente) se la loro prestazione è funzionale alla riuscita del piano. Anche i finanziatori che apportano denaro fresco durante il concordato possono ottenere la prededuzione, a patto di autorizzazione giudiziale.
Concordato “in bianco” (prenotativo): è una modalità procedurale in cui l’imprenditore deposita inizialmente solo la domanda di concordato con riserva di presentare il piano e la proposta in un secondo momento (entro termini concessi dal giudice, di norma 60-120 giorni). Questo consente di ottenere subito la protezione dello stay sulle azioni dei creditori , guadagnando tempo per finalizzare accordi e predisporre la proposta. È uno strumento prezioso quando c’è urgenza di bloccare i pignoramenti, evitando però di presentare un piano raffazzonato: si chiede al tribunale una chance di preparare il piano sotto la sua ala protettrice. Ovviamente va usato in buona fede (il debitore deve poi sfruttare il tempo per lavorare davvero al piano, altrimenti rischia la inammissibilità e un aggravio di responsabilità).
Esecuzione del concordato ed esdebitazione: una volta omologato, il concordato viene eseguito sotto il controllo del Commissario (che diventa Liquidatore giudiziale se c’è liquidazione di beni). Se è in continuità, l’azienda continua e si pagano i creditori come da piano. Se è liquidatorio, i beni vengono venduti e il ricavato distribuito secondo il piano. Al termine, se il debitore adempie correttamente, ottiene l’esdebitazione automatica residua (cioè è liberato dai debiti anteriori non soddisfatti integralmente, salvo eccezioni per eventuali debiti personali non concorsuali).
Concordato semplificato per la liquidazione: segnaliamo infine che il CCII, per evitare che la composizione negoziata fallita porti direttamente a fallimento, ha introdotto una procedura particolare: se la composizione negoziata non ha successo e non vi sono alternative, l’imprenditore può richiedere entro 60 giorni un concordato semplificato (art. 25-sexies CCII). Si tratta di un concordato liquidatorio puro senza voto dei creditori: il tribunale, su proposta del debitore e sentiti comunque i creditori, può omologare un piano di liquidazione dei beni con riparti ai creditori, anche se questi non votano . È una misura estrema per chiudere la crisi comunque in modo concordato. Lo svantaggio è che, non essendoci voto, l’Agenzia Entrate considera il condono dei debiti in questo concordato come sopravvenienza attiva tassabile (perché l’art. 88 TUIR non lo menziona) – una pecca normativa ancora da correggere. Ad ogni modo, col concordato semplificato l’imprenditore può ottenere l’esdebitazione (liberazione dai debiti residui) a fine liquidazione, però potrebbe paradossalmente dover pagare tasse sull’importo dei debiti cancellati (un paradosso fiscale attuale evidenziato da prassi dell’Agenzia Entrate ).
Tabella 2 – Confronto sintetico tra principali procedure di regolazione del debito (imprese fallibili)
| Procedura | Adesione creditori necessaria | Ruolo del tribunale | Effetti | Quando usarla |
|---|---|---|---|---|
| Accordo di ristrutturazione (ARD) | Consenso di ≥60% dei creditori (in valore) richiesto . Dissenzienti vincolati dopo omologa, con limiti (devono ricevere almeno quanto in fallimento). | Omologa da parte del Tribunale necessaria; verifica attestazione e consenso richiesto. Nessun commissario (salvo richiesta misure protettive). | Azioni esecutive sospese solo se richiesto e concesso dal giudice (misure protettive interim). Dopo omologa, piano vincolante. Procedura riservata (pubblicazione solo decreto omologa). | Quando c’è già accordo con creditori principali e si vuole estenderlo e cristallizzarlo legalmente. Meno costoso e più rapido del concordato; flessibile se il dissenso è limitato. Non adatto se molti creditori ostili o frammentati. |
| Concordato preventivo (continuità o liquidatorio) | Approvazione dei creditori tramite voto: >50% dei crediti votanti favorevoli (per classi, maggioranza classi) necessari per l’approvazione. Anche dissenzienti sono vincolati dopo omologa (cram-down interclassi possibile con criteri). | Tribunale ammette alla procedura, nomina Commissario; omologa finale necessaria (valuta legalità e convenienza minima). Procedimento formale e pubblicato. | Sospensione automatica delle azioni dei creditori dall’ammissione . Gestione sotto controllo del Commissario. Dopo omologa, il piano sostituisce le obbligazioni originarie. Previste esdebitazione finale e chiusura concorsuale. | Strumento generale di composizione della crisi, adatto a casi complessi con molti creditori. Utile se serve bloccare subito le azioni (domanda prenotativa). Indicato quando serve imporre una ristrutturazione anche ai contrari (forza della maggioranza). Richiede sostenibilità e trasparenza elevate. |
| Concordato semplificato (post-composizione) | Nessun voto dei creditori; procedura d’ufficio su proposta debitore post-composizione fallita. Creditori sentiti ma non votano. | Tribunale valuta e omologa direttamente il piano di liquidazione proposto. | Sospensione azioni se è stata chiesta in composizione prima. Liquidazione beni sotto controllo giudice, senza voto creditori. Debitore ottiene esdebitazione a fine procedura. | Caso particolare: quando composizione negoziata non ha prodotto accordo e l’impresa è decotta. Usato per evitare fallimento “classico” imponendo una liquidazione concordata. Ultima spiaggia se non c’è tempo/via per concordato ordinario. |
| Liquidazione giudiziale (ex fallimento) | Procedura involontaria (o richiesta dal debitore stesso). Non c’è accordo con creditori: è coercitiva. | Tribunale dichiara l’insolvenza, nomina curatore; giudice delegato sovrintende. | Impresa spossessata, curatore liquida tutto; creditori soddisfatti secondo prelazioni. Possibile esdebitazione persona fisica dopo chiusura (se meritevole). | Quando nessun accordo è possibile o tentato, e l’impresa è insolvente. È il default finale se non si attivano soluzioni concordate. Da evitare se c’è alternativa, perché distrugge valore e comporta potenziali azioni di responsabilità e reati concorsuali a carico degli amministratori. |
(N.B.: Per le imprese minori non fallibili, le procedure corrispondenti sono: Concordato minore al posto del concordato preventivo, e Liquidazione controllata al posto del fallimento. Vedasi paragrafo successivo.)
Procedure per imprenditori minori (sovraindebitamento)
Non tutte le imprese possono accedere alle procedure sopra descritte. Se l’imprenditore è sotto le soglie di fallibilità (attivo ≤ €300.000, ricavi ≤ €200.000, debiti ≤ €500.000) , oppure è un imprenditore agricolo o un professionista, rientra nell’ambito dei debitori civili disciplinati dalla legge sul sovraindebitamento, ora incorporata nel CCII. In tal caso non potrà proporsi un concordato preventivo “ordinario” né essere assoggettato a liquidazione giudiziale, ma esistono procedure speciali semplificate: – Concordato minore: è l’equivalente del concordato preventivo per i piccoli. Funziona in modo simile (proposta di un piano ai creditori, voto per maggioranza, omologa) , ma con iter più snello e spesso gestito dall’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) anziché da un commissario giudiziale. Non è richiesta la soglia del 20% ai chirografari (che vigeva nella vecchia legge 3/2012) e si possono falcidiare anche IVA e ritenute – vincoli ormai rimossi anche qui. L’obiettivo è dare una chance di accordo ai piccoli imprenditori senza passare dal fallimento. Dopo l’omologa del concordato minore, il debitore esegue il piano e ottiene l’esdebitazione residua come in un concordato normale. – Piano di ristrutturazione del consumatore: rilevante per persone fisiche non imprenditori (consumatori) – lo citiamo solo per completezza, nell’ambito aziendale interessa poco se non per l’imprenditore cessato che abbia debiti personali estranei all’attività. – Liquidazione controllata: è la procedura liquidatoria per i non fallibili, analoga al fallimento ma svolta dall’OCC e dal tribunale civile. Serve a liquidare il patrimonio del debitore minore in modo ordinato, ripartendo il ricavato ai creditori. Al termine, se il debitore persona fisica si è comportato correttamente, può chiedere l’esdebitazione del sovraindebitato, ossia la cancellazione dei debiti residui. – Esdebitazione del debitore incapiente: novità importante introdotta dal CCII (art. 282). Se un debitore persona fisica sovraindebitato non ha alcun patrimonio liquidabile e viene comunque aperta la liquidazione controllata, può ottenere subito la cancellazione dei debiti senza attendere la fine, impegnandosi però – se nei 4 anni successivi dovesse migliorare la sua condizione economica – a pagare ai creditori una parte di quei miglioramenti . È una sorta di “fresh start” immediato per chi è veramente nullatenente, per evitare procedure inutili.
Va detto che le procedure di sovraindebitamento sono gestite spesso dagli OCC (istituiti presso gli ordini professionali o enti pubblici) e sono pensate per costare poco e risolvere situazioni di piccola crisi in modo informale. Ad esempio, nel concordato minore i creditori non vengono raggruppati in classi elaborate e il piano può essere meno sofisticato, ma comunque serve l’attestazione di fattibilità e l’approvazione con il 60% dei crediti (sì, per analogia si applica la soglia di maggioranza anche lì, salvo che i crediti sono pochi).
Anche sui debiti fiscali nel sovraindebitamento valgono oggi criteri analoghi al concordato preventivo: non ci sono più debiti “infalciabili” per principio. L’IVA può essere trattata al pari degli altri, purché si offra almeno quanto il Fisco otterrebbe da una liquidazione e il tutto sia attestato. La Corte Costituzionale nel 2022 (ord. n. 97/2022) ha dichiarato infondate le questioni di legittimità sulla falcidia IVA nel sovraindebitamento, aprendo la via a queste soluzioni. Anche tribunali di merito hanno dato via libera a omologazioni forzose: ad esempio, il Tribunale di Vasto nel dicembre 2024, oltre al caso ARD citato, ha confermato che pure in un concordato minore si può applicare analogicamente il meccanismo di cram-down fiscale col 30-40% se il Fisco dice no .
In pratica, l’imprenditore sotto-soglia ha gli strumenti per uscirne in modo ordinato come un grande imprenditore, solo con procedure più snelle. Deve rivolgersi a un OCC o al tribunale per attivarle. Il beneficio è che anche lui, se tutto va bene, ottiene la liberazione dai debiti (salvo quelli non toccabili tipo alimenti, risarcimenti da dolo, ecc.) e può ricominciare.
Protezione del patrimonio personale dell’imprenditore
Un aspetto cruciale, dal punto di vista del debitore, è capire come proteggere il proprio patrimonio personale dagli effetti della crisi aziendale. In Italia vige il principio della separazione patrimoniale per le società di capitali: ad esempio, se l’azienda è una S.r.l. o S.p.A., dei debiti sociali risponde solo la società con il suo patrimonio, non i singoli soci (salvo abbiano prestato garanzie personali o si siano resi colpevoli di particolari condotte). Viceversa, nelle imprese individuali o società di persone, il patrimonio dell’imprenditore o dei soci è promiscuo e aggredibile dai creditori aziendali. Anche nelle società di capitali, tuttavia, ci sono situazioni in cui i beni personali possono essere colpiti: pensiamo alle fideiussioni dei soci per debiti bancari, o alle responsabilità personali per debiti tributari (ad es. l’obbligo del sostituto d’imposta di versare le ritenute, la cui violazione può portare a pretese sul patrimonio personale dell’amministratore). Inoltre, in caso di condotte distrattive o irregolari, l’autonomia patrimoniale può essere “forata” da azioni revocatorie o risarcitorie.
Esaminiamo alcune tecniche e cautele per proteggere il patrimonio personale e i relativi limiti:
- Scelta della forma giuridica adeguata: sembra banale ma è fondamentale. Un imprenditore che opera come ditta individuale o in S.n.c./S.a.s. risponde illimitatamente con tutti i suoi beni. Convertire l’attività in una società di capitali (S.r.l. ad esempio) può circoscrivere il rischio ai soli beni della società. Tuttavia, le banche spesso chiedono comunque al socio/amministratore di firmare garanzie personali, vanificando in parte il beneficio. Inoltre, la giurisprudenza ha elaborato la teoria dell’abuso di personalità giuridica: se la società è usata in modo scorretto (es. per frodare creditori, mescolando conti personali e sociali), si possono coinvolgere i soci sul piano risarcitorio. Ma in situazioni ordinarie, la responsabilità limitata è un primo scudo.
- Fondo patrimoniale: i soggetti coniugati possono aver costituito un fondo patrimoniale ex art. 167 c.c., vincolando determinati beni (tipicamente immobili o titoli) ai bisogni della famiglia. I creditori per debiti estranei ai bisogni familiari non potrebbero aggredire tali beni. Ciò significa che se un imprenditore aveva messo ad esempio la casa di famiglia in un fondo patrimoniale, teoricamente i creditori aziendali non dovrebbero poterla ipotecare o pignorare a meno che provino che il debito è stato contratto per scopi inerenti ai bisogni familiari. In realtà, la giurisprudenza fiscale ha spesso considerato i debiti tributari come debiti per i bisogni della famiglia (sul presupposto che il pagamento delle imposte è dovere di solidarietà; Cass. 15862/2019), quindi l’Erario riesce comunque a colpire quei beni . Anche altri creditori, se dimostrano che il debito era funzionale (ad es. un mutuo dato alla famiglia), possono attaccare. Inoltre, se il fondo è costituito in prossimità della crisi, c’è il rischio di azione revocatoria: i creditori (o il curatore fallimentare) possono chiedere l’annullamento dell’atto istitutivo del fondo se fatto nei due anni precedenti l’insolvenza con intento di frodarli (e spesso l’intento è presunto per legge quando si tratta di atti a titolo gratuito). Quindi il fondo patrimoniale offre protezione limitata e solo se costituito ante tempore e usato correttamente.
- Trust o vincoli di destinazione: alcuni imprenditori costituiscono un trust o un vincolo ex art. 2645-ter c.c. su determinati beni, per segregarli a beneficio di certi familiari o finalità. Il trust, se genuino, crea un patrimonio separato in mano al trustee e può rendere quei beni fuori dalla portata dei creditori personali del disponente. Tuttavia, anche qui l’elemento temporale e causale è tutto: un trust creato quando già ci sono debiti insostenibili verrà quasi certamente attaccato come atto in frode. La legge fallimentare (ora art. 322 CCII) punisce addirittura come bancarotta per distrazione l’aver costituito trust per sottrarre beni ai creditori in prossimità del default. In sede civile, un trust può essere revocato se istituito fino a 2 anni prima del fallimento come atto a titolo gratuito. Se il trust è a titolo oneroso o con beneficiari terzi non meritevoli, c’è comunque la revocatoria ordinaria entro 5 anni se c’era dolosa preordinazione di nuocere ai creditori (art. 66 l.f. richiamava l’art. 2901 c.c., ora CCII simile). Dunque, il trust è strumento di asset protection efficace solo se pianificato molto prima che i problemi emergano e con finalità legittime, non meramente di spoliazione (altrimenti i giudici lo dichiarano sham, fittizio, e lo ignorano).
- Divisione dei beni in ambito familiare: c’è chi ricorre a vendite o donazioni di beni a parenti stretti (coniuge, figli) quando iniziano i guai, per “salvarli”. Anche questa tattica è rischiosa: le donazioni e gli atti a titolo gratuito sono i primi ad essere revocati in caso di fallimento (se fatti entro 2 anni prima) o annullati ex art. 2929-bis c.c. su istanza dei creditori se fatti con riserva di usufrutto. Le vendite a familiari a prezzo irrisorio pure sono revocabili come atti a titolo gratuito o a prezzo vile (entro 1 anno se a terzi consapevoli o parenti). Persino intestare i beni a prestanome (fiduciari) può non servire, perché se si prova il finto – magari tramite indagini patrimoniali – i creditori possono aggredire comunque (pignorando le quote societarie fiduciarie o facendo azione revocatoria su intestazioni simulate). Inoltre, cedere beni potrebbe configurare reati (distrazione) se si è già insolventi.
- Esenzione prima casa da pignoramento fiscale: una nota positiva per le persone fisiche è che, per legge, l’Agente della Riscossione non può pignorare l’unico immobile ad uso abitativo del debitore se vi risiede anagraficamente, salvo che sia di lusso (art. 76 DPR 602/73 modificato). Ciò significa che se un imprenditore individuale ha debiti fiscali, la sua prima casa (non di pregio) è protetta da esecuzione esattoriale. Attenzione: ciò vale solo per il Fisco; i creditori privati invece possono pignorare la casa anche se unica abitazione (non esiste analogo divieto generale per loro). Comunque, questo scudo limita un po’ l’aggressività di Agenzia Entrate Riscossione verso gli imprenditori che non hanno altri immobili. Resta però possibile l’iscrizione di ipoteca sulla casa (che non porta alla vendita immediata ma vincola l’immobile per il futuro).
- Assicurazioni sulla vita e previdenza integrativa: alcuni strumenti finanziari godono di impignorabilità entro certi limiti. Ad esempio, le polizze vita e i fondi pensione sono, per legge, non sequestrabili né pignorabili fino al momento in cui vengono liquidati. Un imprenditore che avesse accumulato somme in un fondo pensione potrebbe vederle al sicuro dai creditori finché restano nel fondo. Ovviamente, smobilizzare risorse dall’azienda per metterle lì all’ultimo non sarebbe lecito (potrebbe essere revocabile come atto in frode se fatto quando i creditori già premono).
- Procedure concorsuali come difesa: paradossalmente, avviare una procedura concorsuale (concordato o fallimento) può servire a proteggere ciò che resta del patrimonio personale. Nel concordato, ad esempio, l’imprenditore può destinare solo alcune risorse dell’azienda al pagamento dei creditori e tenere fuori i beni personali se non garantiti (purché i creditori li votino favorevolmente consapevoli di quello scenario). Nel fallimento delle società, i soci non sono toccati se non garanti, e se invece fallisce l’imprenditore individuale, egli potrà chiedere l’esdebitazione a fine procedura liberando le eventuali future eccedenze di reddito. Inoltre, il fallimento sospende le azioni esecutive sui beni, evitando assalti disordinati e, tramite il giudice delegato, l’ex imprenditore può concordare vendite più profittevoli dei propri beni che magari lascino margini per lui (ad esempio, vendendo la casa a un prezzo di mercato, con eventuale surplus che gli torna dopo pagati i creditori ipotecari, anziché subire un’asta a ribasso). In sintesi, una procedura concorsuale ordinata può talora salvare valore rispetto a una liquidazione forzosa frammentaria.
- Attenzione alle garanzie personali: se l’imprenditore ha firmato fideiussioni o ha coobbligazioni, la difesa del patrimonio personale passa per la rinegoziazione di quelle garanzie. Ad esempio, in un accordo di ristrutturazione si potrebbe pattuire che la banca rinunci ad escutere il garante se il piano va a buon fine. Oppure se un socio ha ipotecato casa per un mutuo aziendale, si può cercare di inserire nel concordato un pagamento integrale del mutuo garantito (col ricavato di una vendita, per dire) così da liberare l’ipoteca sulla casa. Ogni caso è specifico: è fondamentale mappare tutte le garanzie prestate e vedere come neutralizzarle con il piano di crisi. In mancanza, la protezione offerta dalla forma societaria può essere vanificata.
In conclusione, proteggere il patrimonio personale è possibile fino a un certo punto e soprattutto con azioni tempestive e lecite. Le vie “furbe” (nascondere beni all’ultimo) sono quasi sempre scoperte e sanzionate. Piuttosto, l’imprenditore prudente dovrebbe separare i suoi asset privati da quelli d’impresa in tempi non sospetti, tenere un profilo corretto (non confondere conti, non fare spese personali con i soldi della società e viceversa), e usare strumenti giuridici chiari (società di capitali, patti come il fondo patrimoniale se appropriato, ecc.). In fase di crisi conclamata, le procedure di concordato o accordo possono offrire scudi legali (ad es. impedire ai creditori di attaccare il patrimonio finché la procedura è in corso, e poi liberarli dei debiti residui).
Va anche ricordato che alcuni comportamenti dell’imprenditore tesi a sottrarre il patrimonio ai creditori potrebbero integrare estremi di reato (oltre alla bancarotta fraudolenta già citata, anche ad esempio la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, art. 11 D.Lgs. 74/2000, punisce chi aliena simulatamente beni per evadere le imposte). Quindi ogni mossa deve essere ponderata col supporto di un legale esperto in crisi.
Responsabilità penale dell’imprenditore e dell’amministratore
La gestione di un’azienda in forte indebitamento può avere risvolti penali. Non pagare i debiti in sé non è reato (salvo casi particolari come il mancato versamento di taluni tributi o contributi), ma alcune condotte connesse alla crisi finanziaria possono configurare fattispecie penali, specialmente se poi l’impresa viene dichiarata fallita (liquidazione giudiziale). Occorre dunque che l’imprenditore in crisi sia consapevole dei principali reati in cui potrebbe incorrere, sia per evitarli con comportamenti corretti, sia per capire le conseguenze qualora la situazione precipitasse.
Ecco una panoramica dei reati più rilevanti:
- Reati fallimentari (bancarotta): se l’impresa viene assoggettata a liquidazione giudiziale (fallimento), gli amministratori e titolari possono rispondere di bancarotta fraudolenta o semplice a seconda dei comportamenti tenuti prima e durante la crisi. La bancarotta fraudolenta (artt. 322-323 CCII, già art. 216 l.f.) si realizza ad esempio quando l’imprenditore dissipa o distrae beni della società sottraendoli ai creditori, oppure quando occulta/falseggia le scritture contabili per ostacolare la ricostruzione del patrimonio . È un reato molto grave, punito con la reclusione sino a 5-6 anni (fraudolenta patrimoniale) e pene ulteriori se coinvolge documenti falsi, ecc. La bancarotta preferenziale è una forma di bancarotta fraudolenta in cui, prima del fallimento, l’imprenditore paga intenzionalmente un creditore a danno degli altri in situazione di insolvenza (favorendo un creditore anziché rispettare la par condicio) . La bancarotta semplice (art. 324 CCII, ex art. 217 l.f.) punisce condotte meno dolose ma comunque imprudenti, come aver aggravato il dissesto con spese personali eccessive, oppure non aver tenuto i libri in ordine per negligenza. Anche continuare ad accumulare debiti quando l’insolvenza è manifesta può portare a imputazioni di bancarotta semplice (per aver aggravato il buco).
- Esempio: se un amministratore percepisce che l’azienda è sull’orlo del fallimento e, anziché avviare una procedura concorsuale, cede a titolo gratuito un magazzino a un amico, oppure distrugge le fatture perché non si sappia dove sono finiti i soldi – queste sono tipiche bancarotte fraudolente. Se invece ha solo sottovalutato la situazione e continuato a lavorare aumentando i debiti, può essere bancarotta semplice.
- Omesso versamento di IVA e ritenute certificate: al di fuori del fallimento, esistono reati tributari propri dell’amministratore che scattano se la società non versa certe imposte. In particolare, l’omesso versamento IVA oltre soglia di legge (attualmente €250.000 per anno d’imposta) è reato (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000). Analogamente l’omesso versamento di ritenute fiscali operate sui dipendenti (IRPEF trattenuta in busta paga) oltre soglia €150.000 annui è reato (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000). Questi sono reati contravvenzionali puniti con reclusione fino a 2 anni. Importante: recenti riforme (D.Lgs. 87/2024) hanno esteso il termine per ravvedersi e pagare, spostando il momento di consumazione del reato al 31 dicembre dell’anno successivo alla dichiarazione IVA . In pratica, per l’IVA 2023 dichiarata nel 2024, si ha tempo fino al 31/12/2025 per pagare e non incorrere in reato (prima il termine era il 27/12 dell’anno seguente) . Inoltre, se si è in regola con una rateizzazione del debito IVA, il reato non è configurabile; e se si decade dalla rateazione, il reato scatta solo se il residuo supera €75.000 . Quindi la normativa ha mitigato un po’ questi reati, dando più chance di evitare il penale pagando entro certi termini. Resta ferma la regola che se prima dell’apertura del dibattimento (cioè prima del processo) il debito tributario viene integralmente pagato, il reato non è punibile . Dunque, un imprenditore che omette dei versamenti IVA per necessità di cassa deve sapere che, se l’importo è rilevante, rischia un procedimento penale, ma che può salvarsi saldando il dovuto prima del processo (o ora, addirittura, riducendo sotto soglia entro fine anno successivo).
- Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte: menzionata sopra, l’art. 11 D.Lgs. 74/2000 punisce chi compie atti fraudolenti sui propri beni al fine di evitare il pagamento di imposte o sanzioni. Ad esempio, se l’imprenditore aliena o simula vendite di suoi immobili perché sa che sta arrivando una cartella esattoriale milionaria, può incorrere in questo reato (anche se non è in fallimento). La pena arriva fino a 4 anni se l’importo sottratto supera €100k. Quindi attenzione a spogliarsi dei beni sotto gli occhi del Fisco.
- Reati societari: in fase di crisi, alcuni amministratori ricorrono a falsificare i bilanci per mascherare le perdite o ottenere credito aggiuntivo. Ciò integra il reato di false comunicazioni sociali (falso in bilancio, art. 2621 c.c. e seguenti) se le falsità sono rilevanti. Anche presentare documenti falsi in tribunale (es. nella domanda di concordato) sarebbe reato (falso ideologico, ecc.). Inoltre, ottenere finanziamenti ingannando i creditori sullo stato dell’azienda può portare al reato di truffa contrattuale o alla configurazione come bancarotta preferenziale se poi quei soldi vengono persi.
- Usura bancaria e reati finanziari: non tanto in capo all’imprenditore, ma a volte l’imprenditore tenta strade rischiose come rivolgersi a finanziatori non regolamentati e può egli stesso diventare vittima di reato (usura). Sebbene non sia colpa sua, indebitarsi con usurai peggiora drammaticamente la situazione: qui il consiglio è di denunciare tali fenomeni e attivare i canali di supporto statale (fondi antiusura), anziché essere intrappolato in debiti illegali.
- Responsabilità penale per violazioni in materia di lavoro: infine, segniamo che una crisi di liquidità può indurre a violare normative come sicurezza sul lavoro (es. tagliare costi sulla sicurezza – reato se provoca pericolo), oppure a continuare l’attività senza pagare contributi e stipendi per mesi, configurando anche intermediazione illecita se sfrutta i lavoratori in nero. Questi aspetti esulano un po’ dalla gestione debitoria, ma fanno capire che la crisi finanziaria può far scivolare in condotte sanzionate penalmente anche indirettamente.
Cosa fare dunque per non incorrere nel penale?
La risposta in parte è già delineata nelle condotte virtuose suggerite: – Agire con trasparenza: tenere contabilità regolare, denunciare correttamente i debiti, non occultare informazioni. In caso di concordato o accordo, presentare dati veritieri (l’attestatore e il giudice vigilano, e dichiarazioni mendaci sarebbero perseguibili). – Non aggravare la situazione dolosamente: appena ci si accorge che non si potrà pagare tutto, evitare di spogliare l’azienda o sé stessi dei beni, evitare di pagare solo alcuni preferiti lasciando altri al palo senza un piano. Meglio congelare e trattare nell’ambito di una procedura collettiva. – Versare per quanto possibile i tributi con priorità alle ritenute dei dipendenti (queste hanno anche implicazioni morali oltre che penali). Se proprio non c’è liquidità, predisporre uno schema di rientro e rispettarlo; utilizzare la chance della rateazione per bloccare il reato di omesso versamento IVA. – Documentare sempre le ragioni delle scelte: se si decide di pagare un fornitore prima di altri perché indispensabile alla continuità, farlo emergere (ad es. nelle comunicazioni col CdA o col professionista che segue la crisi), così da potersi difendere da eventuale accusa di preferenza ingiustificata, mostrando che era per salvare l’azienda e dunque potenzialmente interesse di tutti. – Ricorrere alla composizione negoziata e concordataria in tempo utile: una volta ammessi a concordato, l’imprenditore di fatto mette la gestione sotto vigilanza giudiziaria; ciò gli evita successivamente accuse di condotte distrattive postume (ogni atto straordinario dovrà essere autorizzato dal giudice, quindi di per sé le operazioni autorizzate non potranno costituire reato). È un paradosso ma “mettersi in concordato” in tempo può ridurre il rischio di scivolare in bancarotta fraudolenta, perché da quel momento in poi tutto è monitorato e finalizzato a un piano. – Infine, collaborare con le autorità in caso di procedura: non nascondersi, non rendersi irreperibili. Il Codice penale punisce anche la mancata collaborazione (ad esempio, l’omessa dichiarazione di beni in inventario fallimentare, art. 325 CCII). Mostrare atteggiamento proattivo e buona fede può fare la differenza, anche processualmente (ad es. evitare custodia cautelare, ottenere attenuanti generiche).
Vale la pena citare una recentissima sentenza per un aspetto peculiare: la Cassazione penale n. 44519/2024 ha stabilito che se, in pendenza di un procedimento per omesso versamento IVA, l’imprenditore riesce a omologare un accordo di ristrutturazione o concordato che riduce quel debito IVA, allora il sequestro/confisca che il giudice penale aveva disposto deve essere ridotto proporzionalmente alla parte di debito effettivamente ancora dovuta . In pratica, la Cassazione ha riconosciuto che la transazione fiscale concorsuale ha effetto anche sul penale: il “profitto del reato” (che sarebbe l’IVA evasa) diminuisce se una parte di quell’IVA è stata legalmente condonata nell’accordo omologato. Ciò non estingue il reato in sé, ma evita al debitore la confisca per la quota condonata. Questo incoraggia ancor di più a risolvere i debiti fiscali in sede concorsuale, perché non solo evita fallimenti ma mitiga anche le conseguenze penali .
In conclusione, la dimensione penale è il lato più duro della crisi d’impresa: amministratori e imprenditori possono subire indagini e processi che, in aggiunta al disastro economico, portano sanzioni personali (fino alla detenzione). Pianificare bene le mosse, agire entro i confini della legge e con trasparenza è l’unico scudo. E se si teme di aver commesso irregolarità, rivolgersi tempestivamente a legali penalisti ed eventualmente valutare l’accesso a riti premiali (ad es. patteggiamenti con risarcimento) può contenere i danni.
Dopo questo lungo excursus normativo e giurisprudenziale, passiamo ora ad una sezione più discorsiva: risponderemo ad alcune domande frequenti che un imprenditore indebitato potrebbe porsi, e proporremo casi pratici simulati per vedere come le regole si applicano nella realtà.
Domande frequenti (FAQ) sulla difesa del debitore d’impresa
D: La mia società è sommersa dai debiti. Posso evitare il fallimento e continuare l’attività?
R: Sì, è possibile evitare la liquidazione giudiziale utilizzando strumenti di ristrutturazione del debito. Se l’azienda ha prospettive di recupero, conviene avviare subito una composizione negoziata della crisi o presentare una domanda di concordato preventivo in continuità. La composizione negoziata ti consente di trattare con i creditori in modo riservato mantenendo la gestione ordinaria . Se però i creditori sono molti e già aggressivi (pignoramenti in corso, rifiuto di dialogare), è spesso preferibile il concordato: con il deposito della domanda ottieni un blocco immediato di tutte le azioni esecutive e puoi imporre una moratoria generale. In concordato in continuità, l’azienda continua a operare sotto la supervisione del Commissario e puoi proporre di pagare i debiti secondo un piano pluriennale, eventualmente riducendo la parte chirografaria. Se i creditori votano a favore (o comunque raggiungi le maggioranze richieste), il fallimento viene scongiurato e l’impresa può proseguire con una struttura finanziaria più leggera. Molte imprese in crisi sono riuscite a salvarsi in questo modo, magari affiancando alla procedura un investitore che apporta capitali freschi. L’importante è agire prima che l’insolvenza diventi ingestibile: più aspetti, meno liquidità avrai per gestire un concordato e minori saranno le chance di convincere i creditori.
D: Ho debiti con il Fisco e l’INPS molto alti. Se propongo un concordato o un accordo, cosa succede se l’Agenzia delle Entrate o l’INPS non accettano la mia proposta? Il giudice può omologare lo stesso?
R: Dipende dalla procedura e dalle condizioni offerte. Nel concordato preventivo, la legge oggi consente al tribunale di omologare il piano anche senza il voto favorevole dell’Erario o degli enti previdenziali, ma solo a certe condizioni stringenti . In pratica devi garantire a questi crediti privilegiati un trattamento congruo, cioè almeno pari a quello che avrebbero in caso di fallimento (liquidazione giudiziale) e comunque almeno il 20% del loro importo . Se offri meno del 20%, l’Erario mantiene un diritto di veto. Quindi, supponiamo tu abbia €100.000 di debiti IVA: nel concordato devi prevedere di pagarne almeno €20.000 (anche dilazionati) affinché il giudice possa bypassare l’eventuale voto contrario del Fisco. Questa soglia è stata introdotta per legge e confermata in giurisprudenza recente. Negli accordi di ristrutturazione (ARD), le regole sono leggermente diverse: se i creditori che ti sostengono rappresentano almeno il 25% del totale dei debiti, è sufficiente offrire al Fisco/INPS almeno il 30% del loro credito perché il tribunale possa omologare l’accordo senza il loro assenso . Se invece il supporto degli altri creditori è inferiore al 25%, devi alzare l’offerta al 40% . Inoltre l’accordo non deve essere puramente liquidatorio (ci vuole prospettiva di continuità). In sintesi, oggi c’è la possibilità del cosiddetto cram-down fiscale sia nel concordato sia negli accordi, ma devi rispettare quei parametri di pagamento minimo. Se li rispetti e dimostri con l’attestatore che il Fisco prende dal tuo piano più di quanto realizzerebbe da un fallimento, allora il giudice può approvare il concordato o l’accordo anche con il “no” del Fisco . Naturalmente, tentare di coinvolgere positivamente l’Agenzia delle Entrate è sempre preferibile: se accettano la transazione fiscale, magari anche con percentuali inferiori perché considerano il tuo piano valido, avrai un’omologazione più agevole. Ma se proprio l’Erario si oppone pregiudizialmente, sappi che non ha più un veto assoluto: il tribunale guarda alla convenienza economica e può decidere ugualmente a favore del piano.
D: Durante la composizione negoziata della crisi, resto io al comando della mia azienda? L’esperto nominato può obbligarmi a fare scelte o può amministrare lui?
R: No, l’esperto non sostituisce l’imprenditore nella gestione. Tu rimani in carica e continui a gestire l’attività ordinaria come prima . L’esperto ha un ruolo di assistenza e supervisione: analizza i dati, propone soluzioni, facilita le trattative con i creditori, ma non ha poteri di firma o decisionali sulla tua azienda. Solo in caso tu voglia compiere atti di straordinaria amministrazione (ad esempio vendere un bene importante, fare un nuovo mutuo garantito, cedere l’intera azienda) devi chiedere un’autorizzazione al tribunale , sentito l’esperto, per evitare abusi. Ma l’ordinario – pagare dipendenti, proseguire la produzione, vendere i tuoi prodotti – lo fai liberamente. L’idea della composizione negoziata è proprio quella di non allarmare il mercato: se si sapesse pubblicamente che c’è una procedura di crisi, fornitori e clienti potrebbero fuggire; invece qui tutto avviene in modo riservato e l’azienda opera “normalmente” mentre cerca l’accordo . Anzi, se hai bisogno di finanziamenti o di pagare fornitori strategici durante la composizione, puoi chiedere al giudice di autorizzarlo e questi pagamenti autorizzati sono protetti (nessuno poi li potrà contestare) . Quindi puoi stare tranquillo: l’esperto ti guiderà, ma non ti esautora. Diverso è il caso in cui poi passassi a un concordato: lì c’è un commissario giudiziale, ma anche in quel caso, se il concordato è “in continuità”, resti gestore sotto vigilanza (nel concordato liquidatorio invece in genere la gestione passa a un liquidatore). Solo in scenari estremi di abusi il tribunale può togliere la gestione (es. se durante il concordato commetti gravi irregolarità). In composizione negoziata questo non accade: se non ti fidi più, puoi sempre rinunciare e stop (con i pro e contro del caso).
D: La mia società è in liquidazione volontaria ma i debiti superano l’attivo. Come imprenditore/socio, posso essere dichiarato fallito personalmente?
R: Se la tua società è di capitali (S.r.l. o S.p.A.), solo la società può essere dichiarata in liquidazione giudiziale (fallimento), non tu personalmente, a meno che tu abbia commesso reati o abbia garanzie personali. I soci di S.r.l./S.p.A. non falliscono per estensione. Tuttavia, se hai fideiussioni personali, la banca potrebbe chiedere il tuo fallimento come imprenditore individuale (qualora tu sia considerabile tale e l’esposizione derivi da attività d’impresa personale). In genere però il socio persona fisica non fallisce per i debiti sociali. Discorso diverso se l’azienda era una ditta individuale: in tal caso, liquidazione volontaria non impedisce il fallimento, e falliresti tu stesso come persona (estendendo agli eventuali beni personali non liquidati). Se la società di capitali viene dichiarata fallita e il patrimonio non basta, i creditori sociali non possono aggredire direttamente i beni dei soci, salvo: – abbiano garanzie personali (allora agiscono extra-fallimento su quelle), – oppure il curatore eserciti azioni di responsabilità contro gli amministratori/soci (per esempio, se hai fatto prelievi ingiustificati di denaro, il curatore può chiederti i danni). In pratica, come socio limitatamente responsabile non sei assoggettabile a fallimento solo perché la società è insolvente. Però, attenzione: se sei socio di fatto di una società di persone occulta, o hai confuso i patrimoni, potresti essere coinvolto. Ma in linea generale, il fallimento resta circoscritto all’impresa. Ciò non toglie che tu subisca le conseguenze indirette: se la società non paga e chiude, i creditori insoddisfatti potrebbero colpire eventuali beni sociali che hai ricevuto indietro in liquidazione (revocatoria di atti di riparto ai soci prima del fallimento) o, come detto, citarti per mala gestione.
D: I debiti residui dopo un fallimento o un concordato andato male resteranno per sempre a mio carico?
R: Dipende. Se si tratta di una società di capitali, dopo il fallimento della società i debiti residui della società muoiono con essa: i creditori non soddisfatti non possono pretendere nulla dai soci, e la società una volta cancellata cessa di esistere (a meno di riapertura fallimento per attivi sopravvenuti). Se invece sei un imprenditore individuale (o socio illimitatamente responsabile) e fallisci personalmente, teoricamente i debiti non soddisfatti nel fallimento rimarrebbero a tuo carico. Tuttavia, l’ordinamento prevede l’esdebitazione del fallito: una volta chiusa la procedura, se hai cooperato e non sei stato condannato per bancarotta fraudolenta, puoi chiedere al tribunale di cancellare tutti i debiti residui pregressi . È una liberazione che ti consente di ripartire da zero (fresh start). Dal 2020 l’esdebitazione è quasi automatica se ricorrono le condizioni di meritevolezza. Nel nuovo Codice, addirittura per i sovraindebitati nullatenenti c’è l’esdebitazione “immediata” come visto. Quindi, in generale, sì, puoi ottenere la cancellazione dei debiti residui dopo una procedura liquidatoria formale. Se invece fai un concordato preventivo e lo porti a termine regolarmente, i debiti sono già cancellati dall’omologa secondo quanto previsto dal piano, dunque non c’è nemmeno bisogno di ulteriore esdebitazione (è implicita). Se invece il concordato fallisce (viene risolto) allora si apre di solito il fallimento e si torna al caso precedente. In ogni caso, la legge non vuole che un ex imprenditore resti indebitato a vita: fornisce questo istituto di esdebitazione per dargli una seconda chance, in cambio però di una procedura trasparente e di aver messo a disposizione tutto il proprio patrimonio. Fanno eccezione ovviamente i debiti che per legge non si cancellano (obblighi di mantenimento, multe penali, debiti da dolo verso terzi), ma quelli commerciali, bancari, fiscali sì (anche se per i fiscali alcuni discutono se l’esdebitazione li copra al 100% – la risposta è sì, li estingue, salvo che talvolta il Fisco li “resuscita” se trovi nuovi beni entro 10 anni, ma è un dettaglio tecnico).
D: Ho messo la casa come garanzia (ipoteca) per un debito bancario dell’azienda. Cosa posso fare per non perderla?
R: La presenza di un’ipoteca significa che il creditore (banca) ha un diritto reale sul bene. Se il debito non viene pagato, la banca può agire per espropriare l’immobile, indipendentemente dal fatto che l’azienda faccia procedure o meno. Per salvare la casa ci sono poche soluzioni: 1. Rinegoziare con la banca – Ad esempio, includendo nel piano di ristrutturazione un pagamento integrale (o comunque soddisfacente) del loro credito, magari dilazionato o con interessi ridotti, in cambio della rinuncia all’esecuzione. Se la banca aderisce a un accordo, può sospendere l’azione esecutiva. Potresti offrire di vendere tu stesso la casa a condizioni migliori e pagare la banca, evitando l’asta giudiziaria. 2. Finanziamento sostitutivo – A volte si cerca un altro finanziatore che saldi la banca (liberando l’ipoteca) e costituisca un nuovo debito magari più sostenibile. Però se sei già in difficoltà, trovare nuovi creditori non è facile. 3. Concordato preventivo – Nel concordato puoi proporre che l’immobile ipotecato venga venduto nell’ambito della procedura e il ricavato (o parte) vada alla banca. Se il ricavato copre il debito, bene; se no, la banca prenderà quel che c’è e poi parteciperà come chirografa per l’eventuale insufficienza. La casa però in ogni caso verrebbe venduta (perché ipotecata). Difficilmente si salva la proprietà se la garanzia eccede. Unica speranza: un parente o terzo che offra nella procedura di rilevare l’immobile pagando la banca – così la casa resta in famiglia. 4. Esdebitazione post-fallimento – Se proprio perdi la casa all’asta, ricorda che dopo il fallimento puoi esdebitarti, quindi almeno non dovrai ancora soldi alla banca oltre il ricavato di asta (il debito residuo ipotecario viene spazzato via dall’esdebitazione).
Purtroppo, l’ipoteca è uno strumento molto forte per il creditore. L’unico modo di disinnescarla è pagare o convincere il creditore a rinunciare parzialmente (cosa che farà solo se vede che guadagna di più accontentandosi che insistendo). In un accordo di ristrutturazione, ad esempio, potresti mostrare alla banca che vendendo tu la casa sul mercato potrai dargli, poniamo, il 70% del credito subito, mentre all’asta rischia di recuperare solo il 50% in anni: se è furba, accetta e molla l’ipoteca. Assicurati di avere valutazioni realistiche dell’immobile e magari un acquirente in vista, per rendere credibile la proposta.
D: Quali debiti conviene pagare per primi in una situazione di crisi e quali posso temporaneamente trascurare?
R: In linea di massima, conviene prioritizzare i debiti che possono provocare danni irreversibili immediati: – Stipendi e contributi: pagarli il più possibile, perché dipendenti motivati tengono in vita l’azienda e in più eviti vertenze e reati (omesso versamento contributi). – Fornitori essenziali e utenze: se senza una fornitura chiave ti fermi, devi cercare di pagare quel fornitore almeno parzialmente o dargli garanzie (anche qui, la composizione negoziata può aiutare chiedendo al giudice di autorizzare tali pagamenti). – Tributi correnti: paradossalmente, può convenire pagare l’IVA corrente e magari ritardare altre cose, perché l’IVA non versata genera poi guai penali e interessi forti. Se devi scegliere, meglio accumulare debiti verso fornitori che con l’Erario (anche perché i fornitori li puoi mettere in un concordato con taglio, l’IVA come visto va garantita almeno al 20%). – Banche: qui è delicato. Se hai affidamenti che la banca può revocare, cercare di rispettare le rate può evitarti la revoca dei fidi (che sarebbe un colpo mortale). Però se il rapporto è già compromesso e hai grosse rate, magari cerchi un dialogo piuttosto che pagare a tutti i costi una rata per poi comunque finire insolvente il mese dopo.
Debiti che “possono attendere” (in senso relativo): – Piccoli fornitori non strategici: potrebbero non agire subito legalmente per costi di causa vs importo dovuto. – Soci: se devi restituire prestiti soci, quello sicuramente può aspettare (anzi, in crisi non devi rimborsare soci pena revocatoria). – Il fisco sulle cartelle vecchie: paradossalmente se hai cartelle già emesse, l’Agenzia Riscossione prima di arrivare a pignorare passa un po’ di tempo e procedure (intimazioni, ipoteche…). Forse hai qualche mese di respiro, soprattutto se sotto soglia. Però attenzione a eventuali ganasce fiscali (fermo auto) e soprattutto se hai crediti dallo Stato che possono compensare.
In generale però, entrare in “chi pago e chi no” è pericoloso: rischi azioni legali dai trascurati e accuse di discriminazione. La soluzione migliore è coinvolgere tutti in una moratoria generale (tramite concordato o accordo). Pagamenti mirati fuori dalle procedure andrebbero fatti solo se strettamente necessari alla sopravvivenza immediata (ad es. pago la bolletta sennò mi staccano la luce) e possibilmente con trasparenza (in concordato queste cose vanno autorizzate). Ricorda anche che pagare alcuni creditori e non altri, se poi fallisci entro 6 mesi, espone quei creditori a revocatoria fallimentare (dovranno restituire quanto incassato), a meno che rientri nelle eccezioni. Quindi anche per il loro interesse sarebbe meglio fermare tutti i pagamenti e ripartirli in sede concorsuale. So che nella prassi l’imprenditore in crisi fa un po’ lo stratega della coperta corta, ma bisogna stare attenti a non oltrepassare il limite che poi configura preferenze illecite.
D: Uscirò mai da questa situazione di debiti o sarò rovinato a vita?
R: Questa è la domanda più umana. La risposta è che, grazie agli strumenti giuridici attuali, c’è quasi sempre una luce in fondo al tunnel. Puoi uscirne, anche se con sacrifici. Se riuscirai a salvare l’azienda ristrutturando i debiti (tramite accordo o concordato), potrai continuare l’attività più leggero e col tempo dimenticare questa fase. Se invece l’azienda non si può salvare e finirà liquidata, tu personalmente non resterai marchiato per sempre: hai la possibilità di ripartire da zero tramite l’esdebitazione post-fallimento . Certo, perderai probabilmente parte del patrimonio, ma potrai ricominciare senza i vecchi debiti a gravarti. La normativa italiana oggi, in linea con quella anglosassone, offre al debitore onesto ma sfortunato una seconda opportunità. Molti imprenditori falliti sono tornati di successo dopo qualche anno. L’importante è affrontare la situazione legalmente e non scappare dai problemi: se cerchi scorciatoie (fuga all’estero dei capitali, ecc.) rischi di compromettere la possibilità di esdebitarti e incorrere in guai peggiori. Se invece collabori con i creditori per quanto possibile e segui le procedure, in pochi anni potrai lasciarti i debiti alle spalle. È dura, ma non sei rovinato a vita: le leggi ti danno una via d’uscita, sfruttala con l’aiuto di professionisti seri.
Casi pratici simulati
Vediamo ora in concreto come potrebbero applicarsi i principi discussi, attraverso alcuni brevi scenari ipotetici riguardanti un’azienda di gru industriali in difficoltà. Questi esempi aiutano a comprendere le strategie da intraprendere.
Caso 1: “Gru Alfa S.r.l.” – Ristrutturazione con continuità aziendale
Situazione: Gru Alfa S.r.l. produce gru a bandiera per capannoni. A causa di un calo degli ordini e di investimenti errati, accumula €800.000 di debiti: €200k con fornitori (acciaio, componentistica), €150k con la banca (mutuo macchinari, garantito da ipoteca su il capannone di proprietà), €300k di debiti tributari (IVA non versata di due anni, ritenute dipendenti), €50k di affitti arretrati e €100k verso l’INPS. L’azienda ha ancora commesse e un fatturato annuo di €1 milione, ma la liquidità è azzerata. I fornitori minacciano stop consegne, la banca ha segnalato sconfinamenti e l’Agenzia Entrate Riscossione ha inviato intimazioni di pagamento. Tuttavia, c’è un nuovo potenziale contratto importante all’orizzonte e la proprietà vorrebbe evitare la chiusura.
Soluzione: I soci decidono di attivare subito la composizione negoziata. Viene nominato un esperto che verifica le prospettive: il backlog ordini e il nuovo contratto fanno sperare in un recupero se si diluisce il debito. Si ottiene dal tribunale una misura protettiva per 3 mesi che blocca i pignoramenti: questo dà respiro. Con l’aiuto dell’esperto, Gru Alfa tratta con i fornitori: propone di pagare i debiti pregressi al 50% in 24 mesi, continuando però a pagarli per le nuove forniture a pronta cassa (così loro continuano a fornire). La maggior parte accetta perché preferisce mantenere il cliente e incassare metà del dovuto piuttosto che rischiare il fallimento e prendere forse zero. La banca, vedendo lo sforzo in corso, accetta di non escutere l’ipoteca e di allungare il mutuo di 5 anni (riducendo la rata) in cambio di un pegno su un brevetto che l’azienda possiede. Con Fisco e INPS si negozia una transazione fiscale/contributiva interna: l’azienda, con l’autorizzazione del tribunale, propone di pagare integralmente l’IVA di un anno e falcidiare del 30% sanzioni e interessi, dilazionando il resto in 5 anni. L’Agenzia Entrate, visto che i fornitori accettano un 50%, concorda su questa linea (specialmente alla luce del fatto che in un fallimento vede stimati solo 20% di recupero). L’esperto redige una relazione positiva: c’è un accordo con l’80% dei creditori. A questo punto Gru Alfa opta per un accordo di ristrutturazione dei debiti formale: avendo adesioni ben oltre il 60%, deposita l’accordo in tribunale con le firme raccolte. Il tribunale omologa l’accordo; i pochi fornitori dissenzienti sono comunque tenuti a rispettarlo (riceveranno il 50% in 24 mesi come gli altri). L’Agenzia delle Entrate, che aveva aderito alla transazione, è vincolata. L’azienda esce dalla procedura senza essere fallita, prosegue l’attività, ottiene il nuovo contratto e torna in utile. Dopo 2 anni paga puntualmente le rate secondo l’accordo; la banca a quel punto rimuove la segnalazione negativa. I soci hanno mantenuto la proprietà del capannone (ipotecato ma mai espropriato). L’imprenditore ha anche evitato conseguenze penali sull’IVA perché, grazie alla diligenza nel seguire l’accordo, completa i versamenti dovuti prima dell’apertura di un eventuale dibattimento . Questo caso mostra come, con tempestività e collaborazione, uno strumento negoziale può salvare la continuità aziendale.
Caso 2: “Gamma SNC” – Piccola impresa familiare in sovraindebitamento
Situazione: Gamma SNC è una società di persone (due fratelli soci) che effettua manutenzione di gru. Ha debiti relativamente contenuti ma comunque insostenibili per €120.000 totali: principalmente €50k con fornitori, €20k con Equitalia (IVA e IRAP arretrata), €30k con una banca locale (scoperto di conto garantito però da fideiussione personale dei fratelli), €20k verso un ex dipendente per vertenza. L’attività si è ridotta molto e i soci decidono di cessarla. Tuttavia, non riescono a pagare tutti i creditori sciogliendo semplicemente la società. Come persone fisiche, rischiano di rispondere dei debiti sociali illimitatamente (trattandosi di SNC). Non sono tecnicamente fallibili perché sotto soglia.
Soluzione: Si rivolgono all’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) locale e attivano una procedura di sovraindebitamento. Presentano un concordato minore: propongono di liquidare tutti i beni della società (pochi macchinari e un furgone, stimati €30k) e aggiungere €10k che un cugino presta loro, per pagare circa €40k in totale ai creditori, pari a circa il 33% di ogni credito. Offrono quindi una soddisfazione del 33%. L’OCC nominato attesta che, se si procedesse con liquidazione forzata, i creditori forse prenderebbero solo un 20%, quindi la proposta è migliorativa. I creditori vengono convocati: la banca e Equitalia votano a favore (sono il 50% dei crediti), alcuni piccoli fornitori non si presentano (valgono un altro 20%, considerati consenzienti se non votano negativamente). Si raggiunge la maggioranza semplice richiesta. Il tribunale omologa il concordato minore. A quel punto, Gamma SNC liquida i beni e versa le somme secondo il piano: ogni fornitore prende un terzo del suo credito, il dipendente pure (ma quest’ultimo essendo privilegiato sul TFR prende magari il 100% del suo TFR dal Fondo di Garanzia e il 33% sul resto della vertenza, accomodandosi). Equitalia incassa 33% dei tributi, ma notiamo che nel concordato minore non c’è soglia fissa: quell’importo è stato ritenuto ok perché meglio del fallimento. Dopo l’esecuzione, i due fratelli soci ottengono l’esdebitazione: i debiti residui (il restante 67%) vengono cancellati. La banca escute la fideiussione per il 33% che ha ottenuto (cioè di fatto il cugino con i €10k ha indirettamente pagato anche la banca). Nessun altro bene personale dei soci è stato toccato. I fratelli, chiusa la società, aprono dopo un anno una ditta individuale ciascuno, liberi dai debiti vecchi. Questo caso illustra le procedure “minori” per non fallibili: con l’aiuto dell’OCC, hanno risolto tutto pagando un terzo circa, evitando di subire decreti ingiuntivi a raffica. Se non avessero fatto nulla, Equitalia avrebbe potuto pignorare i loro conti e stipendî, e i fornitori magari avrebbero fatto esecuzioni; inoltre avrebbero avuto addosso quei debiti per anni. Così invece ne sono usciti in maniera relativamente indolore in pochi mesi.
Caso 3: “Industrie Beta S.p.A.” – Fallimento e azioni di responsabilità
Situazione: Industrie Beta S.p.A. (settore gru e impianti) ha accumulato perdite per anni, ma gli amministratori hanno continuato a indebitarsi sperando in una ripresa. La società arriva ad avere €5 milioni di debiti, con gravi insoluti verso banche e fisco. Ormai il valore azienda è compromesso; i principali clienti sono persi. I fornitori ottengono decreti ingiuntivi, la società non reagisce. A un certo punto, tre creditori presentano istanza di fallimento. Il tribunale accerta lo stato di insolvenza conclamata e apre la liquidazione giudiziale (fallimento) di Beta S.p.A. I libri contabili risultano tenuti in modo caotico, mancano registrazioni degli ultimi 6 mesi; inoltre si scopre che un anno prima il CEO aveva ceduto a una nuova società (aperta dalla moglie) un ramo d’azienda redditizio per una somma irrisoria.
Conseguenze: Il curatore nominato avvia subito un’azione revocatoria per annullare la cessione di ramo d’azienda (considerata a titolo gratuito/sottovalore entro 2 anni). Il ramo torna nella massa fallimentare. Inoltre, il curatore promuove un’azione di responsabilità contro gli amministratori per aver aggravato il dissesto non adottando assetti adeguati e non fermando l’attività in tempo: chiede €2 milioni di danni (pari all’incremento del passivo negli ultimi due anni in cui l’azienda operava in perdita sistemica). Parallelamente, la Procura indaga e rinvia a giudizio il CEO e il CFO per bancarotta fraudolenta documentale (hanno tenuto i libri in modo da non far capire il buco) e bancarotta fraudolenta patrimoniale (per la cessione del ramo d’azienda alla società della moglie, chiaramente fatto per sottrarre valore ai creditori). Gli amministratori rischiano pene detentive significative. I soci di Beta S.p.A., pur non falliti personalmente, vedono andare distrutto il capitale investito e perdono la proprietà di tutti i beni sociali.
Epílogo: Dopo 3 anni, il fallimento chiude: i creditori chirografari recuperano solo il 10%. Il curatore però vince la causa di responsabilità: il tribunale condanna il CEO e CFO a risarcire €1 milione alla massa per mala gestio (non tutto il danno, perché in parte c’era crisi di settore inevitabile, ma hanno comunque colpe). Questi soldi (se riscossi, ad es. rivalendosi sulle case personali degli amministratori) saranno ripartiti ai creditori tardivamente. Penalmente, il CEO patteggia 3 anni di reclusione, il CFO 2 anni, per bancarotta fraudolenta. Entrambi, in quanto condannati per reati fallimentari, non potranno ottenere l’esdebitazione per eventuali debiti personali e vengono inabilitati a esercitare cariche societarie per 5 anni.
Commento: Questo scenario, pur drammatico, evidenzia cosa accade quando non si attiva alcuna difesa e si lascia arrivare il fallimento passivamente: i creditori prendono il controllo tramite il curatore, e l’imprenditore subisce le massime conseguenze (perdite patrimoniali e legali). Forse, se Beta S.p.A. avesse intrapreso un concordato due anni prima, avrebbe potuto salvare il ramo d’azienda e ridurre i danni, evitando almeno le conseguenze penali più gravi. Ma con i “se” e i “ma” la storia non si fa: è un monito sull’importanza di agire prima che sia troppo tardi.
Conclusioni
Affrontare una situazione in cui un’azienda di gru a bandiera industriali (o qualsiasi impresa) è gravata dai debiti richiede una combinazione di sangue freddo, competenza tecnica e strategia legale. Come abbiamo visto, l’ordinamento italiano nel 2025 offre numerosi strumenti per difendersi dai creditori e tentare il risanamento: dalle trattative stragiudiziali facilitate (composizione negoziata) alle procedure concorsuali vere e proprie (accordi di ristrutturazione, concordato preventivo), fino alle soluzioni per i più piccoli (concordato minore) e alle opportunità di esdebitazione. La chiave di volta è la tempestività: prima si riconosce la crisi e ci si attiva, maggiori sono le chance di successo e minori i rischi di incorrere in violazioni gravi.
Dal punto di vista del debitore, “difendersi” non significa opporsi ciecamente ai creditori, ma piuttosto canalizzare le loro pretese entro un percorso ordinato che consenta di trovare un accordo o, nella peggiore delle ipotesi, di liquidare il possibile riducendo al minimo le conseguenze personali. Difendersi vuol dire anche conoscere i propri diritti: ad esempio, il diritto di proporre un concordato ed evitare che singoli creditori sfascino quel che resta; il diritto, a fine procedura, di essere liberati dai debiti onestamente non pagabili. Ma significa anche conoscere i propri doveri: dovere di gestione prudente (adeguati assetti, segnalazione tempestiva), dovere di non aggravare il dissesto, dovere di trattare paritariamente i creditori nella cornice legale.
Questa guida, attraverso fonti normative aggiornate e riferimenti a sentenze recentissime, ha cercato di fornire un quadro avanzato e completo di come un imprenditore debitore possa muoversi. Si è posto l’accento sulle soluzioni pratiche: rateizzare, negoziare, usare il tribunale quando serve, ma sempre con cognizione di causa. Abbiamo anche sottolineato l’importanza di farsi assistere da professionisti esperti in crisi d’impresa: le procedure concorsuali sono complesse e un errore formale può compromettere un buon piano.
In definitiva, un’azienda indebitata non è automaticamente un’azienda spacciata. Esistono vie di uscita legali – talora tortuose, ma reali – per difendersi dai debiti e, se possibile, ripartire. L’esperienza dimostra che molte imprese, anche attraverso il “passaggio doloroso” di un concordato, sono tornate in bonis e hanno proseguito la loro attività. Altre, se proprio destinate a chiudere, lo hanno fatto in maniera ordinata evitando all’imprenditore la rovina totale.
La normativa di ottobre 2025 è probabilmente la più favorevole di sempre al risanamento e al debitore meritevole, pur bilanciando l’interesse dei creditori (si pensi al cram-down fiscale che rimuove vecchi ostacoli , o all’esdebitazione facilitata). L’importante è saperla usare con correttezza. Speriamo che questa guida, con il suo taglio giuridico divulgativo, abbia reso più chiari i concetti chiave e possa fungere da riferimento per imprenditori, professionisti e chiunque si trovi ad affrontare la complessa situazione di un’azienda schiacciata dai debiti.
Fonti (normativa e giurisprudenza)
- Codice Civile, art. 2086 c.c. (obbligo di assetti adeguati introdotto dal D.Lgs. 14/2019)
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII, D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14), aggiornato con: D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 136/2024 (Correttivo-ter) – Disciplina organica di composizione negoziata, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, sovraindebitamento, nonché Titolo IX sulle disposizioni penali (artt. 322-341 CCII sulle fattispecie di bancarotta, ecc.) .
- D.Lgs. 74/2000 (reati tributari), art. 10-bis, 10-ter (omesso versamento ritenute e IVA) – come modificati dal D.Lgs. 75/2020 e dal D.Lgs. 87/2024 (riforma sanzioni tributarie) .
- D.P.R. 602/1973, art. 76 (limiti a pignoramento prima casa da parte dell’Agente Riscossione).
- Circolare Agenzia Entrate 34/E 2020 – Criteri di valutazione nelle transazioni fiscali .
- Cass. civ. Sez. I, 28 ottobre 2024 n. 27782 – Principio di cram-down fiscale nel concordato preventivo: il tribunale può omologare nonostante il voto contrario del Fisco se il piano offre a Erario/Enti previdenziali almeno il 20% ed è più conveniente del fallimento .
- Cass. civ. Sez. I, 9 aprile 2024 n. 9522 – Sulla decorrenza del divieto di pagamenti ex art. 168 l.fall./54 CCII in concordato preventivo (divieto di azioni esecutive e cautelari) .
- Cass. civ. Sez. I, 15 gennaio 2021 n. 755 – Legittimità della falcidia dell’IVA nel concordato preventivo in presenza di transazione fiscale e convenienza per il Fisco (pronuncia che anticipa la svolta normativa) .
- Corte Costituzionale, ord. 97/2022 – Rigetto questione su divieto di falcidia IVA nelle procedure di sovraindebitamento, confermando la possibilità di trattare l’IVA come gli altri crediti purché soddisfatto il best interest test .
- Cass. pen. Sez. III, 22 novembre 2024 n. 44519 – In tema di reato di omesso versamento IVA: riduzione del sequestro/confisca per equivalente se interviene un accordo di ristrutturazione omologato che stralcia parte dell’IVA dovuta (riconoscimento effetti penali della transazione fiscale concorsuale) .
- Tribunale di Torino, sent. 29 marzo 2024 – Condanna di amministratore per mala gestio ex art. 2086 c.c.: mancata adozione di assetti adeguati e tempestiva rilevazione della crisi, con danno aggravato al patrimonio sociale .
- Tribunale di Milano, decreto 10 luglio 2024 – Revoca degli amministratori di società ex art. 2409 c.c. per gravi irregolarità: assenza di controlli di gestione e assetti adeguati, pregiudizio a soci e creditori .
- Tribunale di Vasto, decreto 11 dicembre 2024 – Omologazione forzosa di accordo di ristrutturazione/concordato minore nonostante il voto contrario del Fisco, applicando analogicamente le soglie del 30-40% introdotte dal CCII (pionieristica applicazione nelle procedure da sovraindebitamento) .
- Cass. civ. Sez. Un., 25 novembre 2021 n. 36755 – (Implicita negli sviluppi successivi) sul tema della fattibilità economica nei concordati e poteri del giudice.
- Cass. civ. Sez. I, 26 maggio 2021 n. 14311 – Conferma che nel concordato preventivo in continuità non si applica più il limite del 20% minimo ai chirografari (previsto solo per liquidatorio “puro” ante CCII).
- Cass. pen. Sez. V, 24 maggio 2019 n. 21932 – Debiti tributari e fondo patrimoniale: l’omesso versamento di imposte è obbligazione per necessità familiari, dunque pignorabile su beni in fondo patrimoniale (orientamento sul “credito per imposte” come debito di bisogno familiare) .
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Ricevi solleciti, richieste di rientro, blocchi delle forniture, decreti ingiuntivi o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori meccanici ed elettrici o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore delle gru a bandiera è tecnico, costoso e regolamentato: acciai, componenti di sollevamento, paranchi certificati, normative severe, installazioni impegnative, collaudi e clienti che spesso pagano a 60–120 giorni.
Un calo di liquidità o un ritardo negli incassi può far esplodere una crisi immediata.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con la strategia corretta.
Perché un’Azienda di Gru a Bandiera va in Debito
- aumento dei costi di acciai strutturali, paranchi, motori, inverter e componenti di sollevamento
- pagamenti lenti da parte di industrie, carpenterie e contractor
- magazzino immobilizzato tra bracci, colonne, paranchi, motori, ricambi, accessori
- costi elevati di installazione, collaudo, verifiche periodiche e trasferta tecnica
- investimenti in progettazione, sicurezza e aggiornamenti normativi
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
Il vero problema non è la mancanza di lavoro, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se Non Agisci Subito
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco dei fidi bancari
- sospensione delle forniture di acciaio, paranchi e componenti
- decreti ingiuntivi, precetti e atti esecutivi
- sequestro di materiali, bracci, colonne e attrezzature
- impossibilità di completare installazioni e manutenzioni
- perdita di clienti strategici e contratti ricorrenti
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato esperto può:
- sospendere pignoramenti
- bloccare le richieste di rientro
- proteggere conti correnti e flussi finanziari
- fermare le azioni dell’Agenzia Riscossione
Prima si mette al sicuro l’azienda, poi si lavora sui debiti.
2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti
Molti debiti presentano errori importanti:
- interessi non dovuti
- sanzioni sbagliate o gonfiate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori di notifica
- commissioni bancarie anomale
Una parte consistente del debito può essere tagliata o cancellata.
3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili
Soluzioni disponibili:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi di rientro con fornitori (acciai, paranchi, elettriche)
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensioni temporanee dei pagamenti
- utilizzo di definizioni agevolate
4. Usare strumenti legali potentissimi che bloccano TUTTI i creditori
Nelle crisi più gravi puoi ricorrere a:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di ristrutturazione dei debiti
- Concordato minore
- (solo in casi estremi) Liquidazione controllata
Questi strumenti permettono di pagare solo una parte dei debiti e continuare a lavorare senza pignoramenti.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda del settore sollevamento servono competenze elevate e specifiche.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
È il profilo ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende che lavorano con gru a bandiera, carriponte e sistemi di sollevamento industriale.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della situazione debitoria
- stop urgente a pignoramenti e atti esecutivi
- riduzione dei debiti non dovuti
- ristrutturazione del debito con piani personalizzati
- protezione di materiali, paranchi, bracci e cantieri aperti
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela completa dell’azienda e dell’amministratore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di gru a bandiera industriali non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, efficace e completamente legale, puoi:
- fermare subito i creditori,
- ridurre davvero i debiti,
- salvare installazioni e manutenzioni,
- proteggere il futuro della tua impresa.
Agisci ora.
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