Azienda di Carrelli Elevatori con Debiti: Cosa Fare per Difendersi e Come

Se la tua azienda vende, noleggia, ripara o distribuisce carrelli elevatori, transpallet elettrici, retrattili, frontali, commissionatori, batterie trazione, caricabatterie, ricambi, gomme, forche e attrezzature per movimentazione industriale, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale intervenire subito.

Nel settore dei carrelli elevatori, un ritardo nelle consegne o nella manutenzione può bloccare interi magazzini, linee produttive e centri logistici: le penali e la perdita dei clienti arrivano velocemente.

Perché le aziende di carrelli elevatori accumulano debiti

  • aumento dei costi di batterie trazione, elettronica, motori AC e componenti importati
  • rincari su ricambi, gomme, forche e manutenzioni tecniche
  • pagamenti lenti da parte di magazzini, industrie e operatori logistici
  • ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
  • magazzini complessi con molte varianti di ricambi e modelli
  • difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli di acquisto
  • costi elevati di officine, assistenza mobile, mezzi di servizio e certificazioni

Cosa fare subito

  • far analizzare da un professionista l’intera posizione debitoria
  • identificare i debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
  • evitare piani di rientro troppo onerosi che prosciugano la liquidità
  • richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
  • proteggere rapporti con fornitori critici (ricambi, batterie, elettronica, pneumatici)
  • utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza fermare assistenza e noleggi

I rischi se non intervieni tempestivamente

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco delle forniture di ricambi, batterie e parti essenziali
  • impossibilità di mantenere contratti di noleggio, manutenzioni e interventi urgenti
  • perdita di clienti industriali, logistici e rivenditori
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Come può aiutarti l’Avvocato Monardo

Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
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  • professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

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  • bloccare pignoramenti e procedure esecutive in corso
  • ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti più efficaci della legge
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Introduzione

Gestire un’azienda di carrelli elevatori comporta ingenti investimenti in macchinari (muletti, piattaforme di sollevamento, veicoli industriali), personale specializzato per la manutenzione e la logistica, e spesso il ricorso a finanziamenti per l’acquisto o il leasing delle attrezzature. In un settore come quello dei carrelli elevatori – strettamente legato all’industria logistica e manifatturiera – i margini di profitto possono essere ridotti dalla forte concorrenza e dall’aumento dei costi operativi (energia elettrica o carburante, assicurazioni, ricambi). Inoltre, i clienti (aziende di logistica, magazzini, industrie) tendono a pagare con ritardi significativi, mentre tasse e contributi devono essere versati puntualmente. Questo squilibrio finanziario spinge talvolta l’imprenditore a posticipare i pagamenti fiscali o previdenziali per far fronte alle spese correnti, innescando un circolo vizioso di interessi e sanzioni che fanno lievitare il debito.

Se un’azienda di carrelli elevatori accumula debiti (verso il Fisco, l’INPS, le banche o i fornitori), si trova esposta a rischi immediati per la continuità aziendale. I creditori possono attivare procedure di recupero forzato: l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può notificare cartelle esattoriali e, in mancanza di pagamento, procedere con pignoramenti dei conti correnti o dei crediti verso clienti, iscrivere fermi amministrativi sui veicoli (compresi i mezzi aziendali come furgoni o gli stessi muletti) e ipoteche sugli immobili . I debiti contributivi verso l’INPS possono portare a ingiunzioni per i contributi non versati e, se superano determinate soglie, persino a sanzioni penali (omesso versamento dei contributi previdenziali oltre 10.000 €, ex art. 2 L.638/1983) . Nel frattempo, i fornitori in credito potrebbero rifiutare ulteriori consegne di parti di ricambio o servizi di assistenza se i pagamenti arretrati non vengono saldati, paralizzando di fatto l’operatività (es.: impossibilità di riparare i carrelli guasti per mancanza di pezzi di ricambio). Le banche e finanziarie, dal canto loro, potrebbero revocare gli affidamenti e richiedere il rientro immediato dai finanziamenti, specie se l’azienda è segnalata come “a rischio” nella Centrale Rischi. In definitiva, una crisi di liquidità non gestita può in breve tempo bloccare le attività: i cantieri e i magazzini restano fermi perché i mezzi essenziali vengono pignorati o i conti correnti sono congelati, e si rischia di perdere i clienti più importanti.

La buona notizia è che l’ordinamento offre strumenti efficaci per difendere l’azienda indebitata, evitare il tracollo e, ove possibile, risanare la situazione. Negli ultimi anni, il diritto della crisi d’impresa in Italia è stato oggetto di profonde riforme (culminate nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – CCII, in vigore dal luglio 2022). Questo quadro normativo aggiornato, insieme alla più recente giurisprudenza, mette a disposizione dell’imprenditore in difficoltà una serie di procedure e strategie per congelare le azioni esecutive dei creditori, ristrutturare o ridurre i debiti e tutelare il valore aziendale.

In questa guida analizzeremo dettagliatamente cosa può fare l’imprenditore di un’azienda di carrelli elevatori indebitata per difendersi, dal punto di vista giuridico e strategico. Esamineremo le varie tipologie di debiti e le relative conseguenze, i meccanismi di allerta precoce e gli obblighi che gravano sull’imprenditore per intervenire tempestivamente, le soluzioni stragiudiziali (accordi con i creditori, piani attestati) e quelle giudiziali/concorsuali (concordato preventivo, liquidazione giudiziale), senza tralasciare le procedure di sovraindebitamento per le piccole imprese e i profili di responsabilità personale degli amministratori o dell’imprenditore individuale. Il tutto con un linguaggio tecnico ma divulgativo, rivolto sia a professionisti (avvocati, consulenti) sia agli stessi imprenditori o privati coinvolti.

Anticipiamo subito un concetto chiave: tempestività e attivismo. La legge oggi premia l’imprenditore che prende in mano la situazione tempestivamente, mentre punisce chi rimane inerte sperando improbabilmente che i problemi si risolvano da soli. La difesa dai debiti richiede un ruolo attivo del debitore nel gestire la crisi, adottando gli strumenti che vedremo. Non esiste una bacchetta magica per far sparire i debiti di un’azienda di carrelli elevatori, ma esistono percorsi legali che, se ben utilizzati, possono ridurre l’esposizione debitoria, proteggere il patrimonio e magari consentire all’impresa di continuare ad operare (o, nel peggiore dei casi, di chiudere in modo ordinato evitando strascichi irreparabili).

Nei capitoli seguenti, ci addentreremo dunque nelle soluzioni concrete a disposizione, con esempi pratici, domande frequenti e tabelle riepilogative per fissare i punti principali. L’obiettivo è offrire una guida avanzata ma chiara su “cosa fare per difendersi e come” di fronte ai debiti che gravano su un’azienda di carrelli elevatori, dal punto di vista di chi quei debiti li ha (il debitore), tenendo sempre presente il contesto normativo italiano aggiornato a Ottobre 2025.

Tipologie di debiti e relative conseguenze

Non tutti i debiti aziendali sono uguali. A seconda della natura del credito (tributario, previdenziale, bancario, commerciale, ecc.) e del soggetto creditore, le conseguenze del mancato pagamento e le possibili strategie difensive differiscono. Per un’azienda di carrelli elevatori indebitata, è fondamentale mappare tutte le esposizioni debitorie e comprenderne le caratteristiche: chi sono i creditori, quanto devono avere, che garanzie o privilegi vantano, e quali azioni possono intraprendere. Solo con questa consapevolezza iniziale sarà possibile scegliere la strada più adatta per reagire. Esaminiamo dunque le principali categorie di debito che tipicamente possono gravare su un’azienda e i relativi effetti.

Debiti fiscali (Erario)

I debiti tributari verso lo Stato, riscossi tramite l’Agenzia delle Entrate e l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, AER), includono imposte non pagate (IVA, IRES, IRAP), ritenute fiscali non versate (ad esempio le ritenute sui salari dei dipendenti), oltre a interessi e sanzioni. In periodi di difficoltà, è comune che l’impresa in crisi ometta il versamento di IVA o altre imposte per reperire liquidità immediata (prassi rischiosa ma diffusa). Tuttavia, i debiti fiscali sono tra i più pericolosi: appena le somme diventano esigibili, l’Erario procede con la riscossione coattiva. La sequenza tipica è: iscrizione a ruolo e notifica di una cartella esattoriale. Se il debitore non paga né richiede una rateizzazione nei termini, l’Agente della Riscossione può intraprendere misure esecutive come il pignoramento dei conti correnti, il pignoramento presso terzi (ad esempio bloccando i crediti vantati dall’azienda verso i clienti), l’iscrizione di fermo amministrativo sui veicoli aziendali (impedendo di fatto l’utilizzo dei camion, furgoni o carrelli elevatori intestati all’impresa) e l’iscrizione di ipoteca legale su eventuali immobili di proprietà .

Gli importi dei debiti fiscali tendono inoltre ad aumentare nel tempo: scattano sanzioni (in genere il 30% per omessi versamenti, ridotte se si attiva un ravvedimento operoso) e interessi di mora. L’accumularsi di cartelle e avvisi bonari può rapidamente far lievitare un debito fiscale originariamente gestibile in una somma fuori controllo. Ad esempio, il mancato versamento IVA per 50.000 € potrebbe, dopo qualche anno tra sanzioni e interessi, superare 80.000 €.

Va sottolineato che, nel caso di ditta individuale o società di persone (snc, sas), i debiti fiscali dell’azienda ricadono direttamente sulla persona dell’imprenditore o dei soci illimitatamente responsabili. Questo significa che anche i beni personali e familiari (la casa, il conto personale, ecc.) possono essere aggrediti dal Fisco in assenza di patrimonio aziendale sufficiente . Nel caso invece di società di capitali (s.r.l., s.p.a.), la responsabilità patrimoniale è limitata alla società, ma attenzione: ci sono circostanze in cui il Fisco può rivalersi su amministratori o soci, ad esempio se vengono compiute manovre distrattive (cessione di beni a terzi per sottrarli all’Erario, indebite compensazioni di crediti inesistenti, ecc.) oppure attraverso strumenti come l’azione di responsabilità verso gli amministratori per mala gestio (in sede fallimentare) e il recupero verso i soci nei limiti di somme da questi incassate in fase di liquidazione della società (art. 2495 c.c.). Inoltre, se i debiti tributari derivano da violazioni penali (si pensi all’omessa dichiarazione o alla dichiarazione fraudolenta), l’amministratore rischia sanzioni personali, ma questo esula dal tema civile e concorsuale che trattiamo qui.

Un focus importante riguarda l’IVA e le ritenute: in passato l’IVA era considerata un debito “intangibile” (non falcidiabile nelle procedure concorsuali, doveva essere sempre pagata integralmente pena l’inammissibilità di un concordato). Questo perché è un tributo “comunitario” e vi era il divieto di falcidia dell’IVA. Tuttavia, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 245/2019 ha dichiarato illegittimo il divieto assoluto di falcidiare l’IVA nelle procedure di sovraindebitamento, ritenendolo in contrasto con il principio di ragionevolezza e parità . Tale pronuncia ha aperto la strada a un trattamento più flessibile: oggi anche l’IVA può essere oggetto di stralcio parziale in un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione, purché il Fisco ottenga almeno quanto otterrebbe in una liquidazione. Questo principio è stato confermato nel nuovo CCII (art. 88 e 63 CCII prevedono espressamente la “transazione fiscale” per IVA e contributi) e dalla giurisprudenza di legittimità più recente. Ad esempio, la Cassazione, Sez. I, 28 ottobre 2024 n. 27782 ha affermato chiaramente che il tribunale può omologare il concordato preventivo anche senza il voto favorevole dell’Erario (c.d. cram-down fiscale) se il piano garantisce al Fisco una soddisfazione economica non inferiore a quella ricavabile dalla liquidazione giudiziale . Ciò ha di fatto neutralizzato il potere di veto che prima l’Amministrazione finanziaria poteva esercitare in sede di voto. Ne riparleremo nelle sezioni sul concordato preventivo.

In sintesi, i debiti fiscali sono prioritari e supportati da un apparato di riscossione molto incisivo. Come difendersi? In prima battuta, verificando sempre la regolarità degli atti: cartelle notificate fuori termine o viziate possono essere impugnate (ci sono termini stringenti, 60 giorni per fare ricorso alla Commissione Tributaria per una cartella, ad esempio). In seconda battuta, sfruttando gli strumenti di rateizzazione e definizione agevolata: se il debito è gestibile, chiedere una dilazione (fino a 120 rate, ossia 10 anni, per importi elevati) consente di congelare nuove azioni esecutive finché si pagano le rate. Periodicamente, poi, lo Stato introduce misure di “rottamazione” delle cartelle (condono parziale di sanzioni e interessi): l’ultima in vigore (c.d. rottamazione-quater prevista dalla L. 197/2022) consente di pagare solo l’imposta e una minima parte di interessi, eliminando sanzioni e interessi di mora per carichi affidati entro il 2017 (e in parte 2018/2019). Se l’azienda riesce ad accedere a tali sanatorie, il carico fiscale si riduce sensibilmente. Infine, se il debito fiscale è insostenibile malgrado dilazioni e rottamazioni, diventa necessario incanalarlo in un piano di ristrutturazione complessivo: negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei concordati, è prevista la transazione fiscale (art. 63 CCII) dove si può proporre il pagamento parziale delle imposte e contributi, ma solo con il via libera (o l’omologazione giudiziale in caso di cram-down) e assicurando almeno il par condicio con gli altri creditori. Da ricordare che, una volta aperta una procedura concorsuale (concordato preventivo, liquidazione giudiziale), scattano salvaguardie ulteriori per il debitore fiscale: ad esempio, la Cassazione ha sancito che la presentazione di domanda di concordato sospende le obbligazioni tributarie rateizzate in corso e impedisce la decadenza dalle dilazioni, e il debitore non può essere sanzionato per il mancato pagamento delle rate scadute durante la procedura . In altri termini, il Fisco non può pretendere le rate di un piano di rientro fiscale mentre pende il concordato, né revocare la dilazione per il mancato pagamento in quel periodo.

Debiti contributivi (INPS e altri enti previdenziali)

Accanto ai debiti tributari, molte imprese accumulano debiti contributivi, principalmente verso l’INPS (contributi previdenziali obbligatori per i dipendenti e per gli eventuali lavoratori autonomi o artigiani) e verso eventuali casse previdenziali di categoria. Nel settore dei carrelli elevatori, se l’azienda ha dipendenti (operatori, tecnici manutentori, amministrativi), deve versare mensilmente i contributi previdenziali e assistenziali. In periodi di crisi di liquidità, può capitare che l’azienda trattenga dalla busta paga del dipendente la quota contributiva a suo carico ma poi non versi all’INPS né quella né la quota a carico azienda, utilizzando la liquidità per altre spese urgenti. Questo però espone a conseguenze serie: i contributi non versati vengono iscritti a ruolo dall’INPS e affidati anch’essi all’Agente della Riscossione (che agirà con cartelle, pignoramenti, fermi come per i tributi). Inoltre, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali (i contributi trattenuti ai dipendenti) oltre la soglia di €10.000 annui costituisce reato penale (punito dall’art. 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983 conv. in L. 638/1983) . La soglia attuale di punibilità è 10.000 € per periodo d’imposta; sotto tale importo la violazione resta amministrativa (sanzione civile). Dunque, se un’azienda di carrelli elevatori ha, ad esempio, 5 dipendenti e per un anno non versa contributi per 15.000 €, l’amministratore rischia una denuncia penale oltre alle sanzioni civili e agli interessi di mora sulle somme dovute.

I debiti verso INPS godono, in sede concorsuale, di privilegio similmente a quelli tributari (privilegio generale sui mobili ex art. 2753 c.c. per gli ultimi 2 anni di contributi non versati). Ciò significa che in un fallimento o concordato saranno soddisfatti con priorità rispetto ai crediti chirografari. Inoltre, l’INPS è uno di quei “creditori pubblici qualificati” chiamati dalla legge a monitorare e segnalare situazioni di crisi: dal 2022, se un’azienda ha un debito contributivo verso INPS superiore a €15.000 e scaduto da oltre 90 giorni (soglia ridotta a 5.000 € per le ditte individuali), l’INPS deve inviare una segnalazione formale all’imprenditore invitandolo a attivarsi per sistemare la situazione . Questa segnalazione rientra nel sistema d’allerta della crisi (vedremo più avanti): vuole essere un campanello che spinge l’azienda a correre ai ripari (ad esempio attivando la composizione negoziata) anziché lasciar lievitare il debito. Se l’azienda ignora l’avviso, l’INPS (così come l’Agenzia Entrate e l’Agente Riscossione in casi analoghi) potrebbe avvisare l’OCRI presso la Camera di Commercio, innescando la procedura d’allerta esterna.

Come difendersi dai debiti contributivi? Molte considerazioni sono analoghe a quelle sui debiti fiscali: si può chiedere all’INPS la rateazione del debito (fino a 24 rate mensili ordinariamente, ma in casi eccezionali anche piani più lunghi se autorizzati dal Ministero), evitando così iniziative esecutive. Durante la pendenza di un piano di dilazione con l’INPS, infatti, l’Agente della Riscossione sospende i pignoramenti a condizione che il debitore sia regolare coi pagamenti delle rate. Inoltre, la normativa sulla “transazione fiscale e contributiva” (art. 63 CCII) consente, nelle procedure di concordato preventivo o accordi di ristrutturazione, di proporre anche all’INPS un pagamento parziale dei crediti contributivi, soggetto ad approvazione o omologazione. Recenti modifiche (il Terzo Correttivo del 2024) hanno esplicitato che anche i crediti degli enti previdenziali seguono le stesse regole del cram-down: non possono bloccare da soli un concordato se la proposta è più vantaggiosa del fallimento e se l’omologa forzosa viene decisa dal tribunale .

È bene ricordare che, a differenza dei tributi erariali, per i contributi previdenziali non esistono “rottamazioni” frequenti. Tuttavia, a fine 2023 è stato introdotto un parziale condono degli interessi e sanzioni sui debiti INPS degli anni passati (c.d. stralcio cartelle fino a €1.000 per debiti ante 2015 e definizioni agevolate per 2019-2020). L’imprenditore dovrebbe verificare se il proprio debito rientra in qualche agevolazione prevista dalla legge di bilancio più recente.

In sede fallimentare, se l’azienda viene dichiarata insolvente, l’INPS sarà un creditore privilegiato e potrà insinuarsi al passivo. In tal caso, i contributi non versati ai dipendenti per gli ultimi 3 mesi di lavoro e il TFR godono addirittura di un intervento sostitutivo: il Fondo di Garanzia INPS pagherà ai lavoratori quanto loro dovuto (entro certi limiti) e subentrerà nel credito insinuandosi al posto loro. Questo tutela i lavoratori, ma lascia invariato l’obbligo dell’azienda (o del fallimento) verso l’INPS. Prima di arrivare a questi punti, comunque, la difesa migliore è includere i crediti INPS in qualunque piano di ristrutturazione globale dell’azienda, valutando un saldo e stralcio o una dilazione concordataria.

Debiti bancari e finanziari

Le imprese di carrelli elevatori hanno quasi sempre rapporti con banche o società finanziarie. Ad esempio, possono aver acceso mutui o leasing per acquistare i carrelli elevatori e altri macchinari (spesso costosi), oppure affidamenti di conto corrente per ottenere liquidità (fidi di cassa, anticipo fatture), o ancora finanziamenti per il parco automezzi (furgoni, camion per il trasporto dei carrelli). Non di rado i fornitori di attrezzature possono aver concesso pagamenti dilazionati garantiti da cambiali o da fideiussioni bancarie. Quando l’azienda entra in crisi e non riesce a rispettare le scadenze bancarie, i debiti verso le banche possono precipitare: il mancato pagamento di anche poche rate di un mutuo di leasing fa scattare la decadenza dal beneficio del termine, e la banca/lessor può richiedere immediatamente tutto il capitale residuo . Questo significa che, ad esempio, saltare due rate su un leasing quinquennale per un carrello elevatore può portare la società di leasing a risolvere il contratto e pretendere in un’unica soluzione tutte le restanti rate future. Ciò trasforma un debito di poche migliaia di euro (le rate arretrate) in un’esposizione molto maggiore (tutto il costo residuo del bene), creando un ulteriore shock finanziario.

Inoltre, le banche di norma hanno ottenuto garanzie solide: mutui ipotecari su beni immobili (se l’azienda possiede capannoni o terreni), pegno o riserva di proprietà sui macchinari finanziati (nel leasing la banca rimane proprietaria del bene finché non è pagata l’ultima rata), e quasi sempre fideiussioni personali degli imprenditori o dei soci a garanzia dei fidi. Pertanto, se l’azienda non paga, la banca può escutere le garanzie: avviare un’esecuzione immobiliare sul bene ipotecato, risolvere il leasing e riprendersi il bene (privando l’azienda di un asset magari essenziale alla produzione) e chiedere il pagamento delle penali; oppure agire direttamente contro i garanti personali (aggressione del patrimonio personale dei fideiussori) .

Dal punto di vista procedurale, gli istituti di credito hanno anche strumenti rapidi: il contratto di mutuo bancario o l’estratto conto certificato costituiscono titoli per ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo (ex artt. 50, 642 c.p.c.), saltando i tempi di una causa ordinaria . In pochi mesi la banca può passare dalla messa in mora al pignoramento dei beni aziendali o del conto corrente. In alcuni casi, neppure serve un giudice: se è stato costituito un pegno irregolare sul conto corrente o su un deposito cauzionale, la banca può appropriarsi delle somme depositate in garanzia senza passare dal tribunale (patto di compensazione). Ad esempio, molti contratti di fido prevedono il “pegno sui saldi attivi di conto”: significa che i soldi sul conto dell’azienda possono essere trattenuti dalla banca a garanzia del rimborso del fido, e se l’azienda fallisce quella compensazione non è revocabile. La Cassazione ha confermato che un pegno irregolare sul saldo di conto corrente consente alla banca di soddisfarsi fuori concorso ed evitare la revocatoria fallimentare (in pratica, la banca che ha tale garanzia non deve restituire alla massa fallimentare quanto prelevato dal conto a copertura del proprio credito).

Un altro effetto immediato del deterioramento del rapporto con la banca è la segnalazione in Centrale Rischi: appena l’impresa “sconfina” (supera il fido) o ritarda un pagamento, la banca lo segnala alla centrale rischi di Bankitalia. Questo peggiora il rating dell’azienda e spesso scatena un “effetto domino”: anche le altre banche o finanziarie con cui l’azienda lavora, venute a sapere della sofferenza, potrebbero revocare i fidi per tutelarsi, causando un’improvvisa stretta creditizia generale . Molte crisi aziendali precipitano proprio a causa di questo effetto a catena: un giorno la prima banca revoca 100.000 € di fido costringendo a rientrare, e nel giro di un mese tutte le altre fanno lo stesso, prosciugando la liquidità disponibile.

Di fronte a debiti bancari che diventano esigibili o ad azioni esecutive minacciate dalle banche, la difesa dell’azienda debitrice può articolarsi su più livelli:

  • Trattativa e rinegoziazione: se la crisi è temporanea, è opportuno comunicare tempestivamente con gli istituti di credito, cercando un accordo. Si può chiedere una moratoria (sospensione) delle rate per alcuni mesi, un allungamento dei piani di ammortamento (con rate più leggere), o un consolidamento del debito (sostituire fidi a breve con finanziamenti a medio termine). Negli anni scorsi, specialmente nel periodo COVID-19, ci sono state moratorie generalizzate sostenute dal governo e dall’ABI; ora (2025) non esistono più moratorie automatiche, ma le banche possono accordarle su base volontaria caso per caso . Presentare alla banca un piano di risanamento credibile (magari predisposto con l’aiuto di un advisor finanziario) aumenta le chance di ottenere respiro. L’azienda può ad esempio prospettare la cessione di un asset non strategico per rimborsare parte del debito, o l’ingresso di un nuovo socio finanziatore, rassicurando la banca sulla possibilità di recuperare almeno una parte significativa del credito se concede tempo.
  • Difesa legale attiva: se la banca ha già avviato un’azione (es. notificato un decreto ingiuntivo), il debitore può valutare di proporre opposizione per guadagnare tempo o ridurre il debito contestando addebiti non dovuti. Ad esempio, potrebbe emergere che nel conto corrente la banca ha applicato interessi anatocistici o commissioni usurarie; in tal caso, con una perizia tecnica, si può contestare l’importo del credito e chiedere al giudice di rideterminarlo. Oppure, verificare se il mutuo conteneva clausole nulle. Queste azioni difensive vanno ponderate attentamente: spesso servono solo a prendere tempo (un’opposizione a decreto ingiuntivo può richiedere mesi o anni di giudizio), ma se il debito è realmente dovuto la difesa meramente dilatoria non risolve il problema di fondo. È però uno strumento di pressione negoziale: la banca davanti a un’opposizione potrebbe preferire trattare una soluzione transattiva anziché impantanarsi in una causa dall’esito incerto. Tuttavia, è importante non abusare di eccezioni pretestuose (il giudice potrebbe comunque concedere l’esecuzione provvisoria e far proseguire il pignoramento anche in pendenza di causa, se ritiene l’opposizione infondata).
  • Soluzioni concorsuali: se l’indebitamento finanziario è eccessivo e l’azienda non può rimborsare integralmente le banche, conviene valutare strumenti concorsuali che impongono un trattamento collettivo e bloccano le azioni esecutive individuali. Ad esempio, un piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) può includere accordi con le banche per la ristrutturazione del credito – come la conversione di parte del debito in capitale (se la banca accetta di diventare socia) o lo stralcio parziale del credito dietro immediato pagamento del residuo. Un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII (già art. 182-bis l.fall.) richiede l’adesione di almeno il 60% dei creditori, tipicamente guidati dalle banche principali: ottenuto l’accordo e presentato al tribunale, si può chiedere l’omologazione che lo rende efficace anche verso eventuali creditori finanziari dissenzienti (nei limiti di legge). Nel concordato preventivo, ancora, tutte le banche vengono coinvolte: con il deposito del ricorso di concordato, scatta l’automatic stay che blocca qualsiasi pignoramento o istanza fallimentare da parte loro , e i crediti finanziari verranno trattati nel piano secondo regole di par condicio (di norma, banche chirografarie riceveranno una percentuale concordataria come gli altri chirografari; banche ipotecarie saranno soddisfatte sul ricavato dei beni dati in garanzia, ecc.). Il vantaggio per il debitore è che si evita la corsa del singolo creditore: ad esempio, una banca non può più pignorare il capannone se questo è destinato a essere venduto nel concordato a beneficio di tutti i creditori. Inoltre, durante la procedura, i creditori finanziari non possono neppure compensare unilateralmente i propri crediti con eventuali debiti verso l’azienda (il giudice vigila sulla par condicio).

Va notato che, se un bene è in leasing o dato in garanzia reale, alcune tutele concorsuali hanno limiti: nel concordato preventivo, ad esempio, il proprietario nel leasing (la banca) può chiedere la restituzione del bene se il piano non prevede di continuare o rilevare il contratto (in pratica, se l’azienda in concordato non intende o non riesce a pagare le rate scadute e continuare a utilizzare quel bene). Quindi, se i muletti fondamentali sono in leasing e non c’è modo di saldare gli arretrati, si rischia comunque di doverli restituire. Starà all’attestatore valutare se la continuità aziendale è possibile includendo il loro riscatto o il subentro in un contratto rinegoziato.

Un ulteriore strumento introdotto di recente è la Composizione Negoziata per la Crisi (CNC), regolata dall’art. 23 CCII (deriva dal D.L. 118/2021). Si tratta di una procedura volontaria e confidenziale in cui l’imprenditore, con l’ausilio di un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio, cerca di trovare accordi con i creditori fuori dalle aule giudiziarie, ma con alcune protezioni previste dalla legge. Nell’ambito della CNC, l’imprenditore può chiedere al tribunale misure protettive temporanee simili all’automatic stay (divieto di azioni esecutive per alcuni mesi) mentre conduce le trattative . Ciò permette, ad esempio, di negoziare con le banche una ristrutturazione del debito al riparo da pignoramenti immediati. La CNC offre un tavolo di confronto strutturato: l’esperto può convocare le banche e gli altri creditori rilevanti per discutere un piano di rilancio dell’azienda. Grazie al Terzo Correttivo 2024, oggi anche nella Composizione Negoziata è possibile coinvolgere il Fisco e gli enti previdenziali in transazioni su tributi e contributi (prima non era chiaro), e sono previsti incentivi per i creditori che vi partecipano (ad esempio trattamento di favore se aderiscono a certi accordi). Sebbene la CNC non imponga ai creditori dissenzienti di accettare un taglio del credito (non c’è cram-down interno, è tutto basato sull’accordo volontario), essa agevola le trattative e soprattutto consente all’imprenditore di guadagnare tempo prezioso senza subire l’aggressione frammentaria dei singoli creditori.

Riassumendo, i debiti verso banche e finanziarie rappresentano una minaccia grave per l’azienda in crisi, perché le banche dispongono di strumenti contrattuali e legali molto efficaci per il recupero. Dal punto di vista difensivo, l’imprenditore dovrà combinare dialogo e negoziazione (per ottenere moratorie o ristrutturazioni bilaterali) con gli strumenti offerti dalla legge concorsuale (piani attestati, accordi omologati, concordato) per assicurarsi quel “respiro” necessario a riorganizzare l’impresa. Inoltre, non bisogna sottovalutare la possibilità di coinvolgere nuovi capitali: a volte presentare alla banca un potenziale investitore interessato a ricapitalizzare l’azienda (o ad acquisirne un ramo) può convincere i creditori finanziari a congelare le azioni e attendere l’esito del deal, piuttosto che procedere al fallimento immediato.

Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari

Un’azienda di carrelli elevatori in difficoltà finanziaria tipicamente accumula debiti commerciali verso vari fornitori: fornitori di materiali (es. batterie, componentistica meccanica, lubrificanti per i mezzi), officine esterne subappaltate per riparazioni che l’azienda non riesce a svolgere internamente, società di trasporti (per la consegna e il ritiro dei carrelli noleggiati), fornitori di servizi generali (energia elettrica del capannone, noleggio di attrezzature, consulenti e professionisti come commercialista, ecc.). Questi creditori, detti chirografari (cioè privi di garanzie reali o cause legali di preferenza), in caso di insolvenza sopportano il maggior rischio di non venire pagati. Proprio per questo, se l’azienda ritarda troppo i pagamenti, i fornitori spesso reagiscono con prontezza per evitare di restare “col cerino in mano”.

Le conseguenze tipiche dei debiti verso fornitori non pagati sono:

  • Sospensione delle forniture: il fornitore, non vedendo i soldi, può rifiutarsi di effettuare ulteriori consegne o prestazioni. Ad esempio, se un’azienda di carrelli elevatori ha debiti verso il proprio fornitore di batterie o pezzi di ricambio, rischia di non poter riparare i mezzi guasti dei clienti, causando disservizi a catena. La perdita di fiducia dei fornitori si traduce spesso in richiesta di pagamento anticipato per qualsiasi nuova fornitura (niente più dilazioni), il che aggrava ancora la crisi di liquidità.
  • Mancato rinnovo di contratti e servizi essenziali: fornitori di carburante, società di manutenzione, fornitori di software gestionale, se non pagati, possono interrompere i servizi, mettendo a repentaglio l’operatività quotidiana.
  • Interessi di mora e spese legali: il D.Lgs. 231/2002 prevede che nelle transazioni commerciali i ritardi di pagamento oltre i termini contrattuali facciano maturare interessi moratori automatici (al tasso BCE +8 punti) e una indennità forfetaria di 40€. Quindi, un debito di 50.000 € verso fornitore dopo 6 mesi di ritardo può lievitare significativamente per via degli interessi di mora. Inoltre, se si arriva alla fase legale, il fornitore insoluto chiederà anche il rimborso delle spese di recupero credito.
  • Decreti ingiuntivi e pignoramenti: appena il creditore si procura un titolo esecutivo (spesso un decreto ingiuntivo non opposto o una cambiale impagata), può procedere con il pignoramento dei beni aziendali o dei crediti. Il Far West che ne deriva è pericoloso: chi pignora per primo magari prende tutto quel poco che c’è, lasciando gli altri a mani vuote. Ad esempio, un fornitore aggressivo potrebbe pignorare il conto corrente aziendale bloccando ogni pagamento, oppure far pignorare presso un cliente le fatture dovute (distruggendo il rapporto commerciale tra l’azienda e quel cliente). Queste azioni individuali possono paralizzare l’impresa.
  • Istanza di fallimento: se i debiti sono ingenti e l’insolvenza conclamata, uno o più fornitori possono presentare ricorso per la liquidazione giudiziale (fallimento). Oggi non ci sono più soglie minime rigide per poter fallire: potenzialmente qualsiasi impresa commerciale insolvente, non qualificabile come “minore” ex art. 2 CCII (cioè sopra certi limiti di attivo/ricavi/debiti), può essere assoggettata a fallimento su istanza di creditore . Nel caso di un’azienda di medie dimensioni di carrelli elevatori, è molto concreto il rischio che un fornitore (specie se coordinato con altri creditori per dividere le spese) porti l’azienda in tribunale. Di fronte all’istanza di fallimento, l’unica difesa è dimostrare di non essere insolventi (ad esempio, contestare l’ammontare del debito o pagarlo all’ultimo momento, oppure far valere che si hanno sufficienti beni liquidabili per soddisfarlo). Ma se l’insolvenza c’è, la dichiarazione di fallimento (oggi liquidazione giudiziale) è solo questione di tempo, a meno che l’imprenditore non anticipi i creditori attivando un proprio percorso concorsuale (ad esempio depositando un concordato preventivo in bianco che blocca le istanze altrui).

In una situazione con decine di fornitori a vario titolo non pagati, il pericolo maggiore è la disgregazione e il panico. Appena la voce della crisi si diffonde, ciascun creditore cerca di fare “da sé” per recuperare il dovuto, e l’azienda si trova a fronteggiare un fuoco incrociato di atti di precetto, pignoramenti mobiliari, richieste di sequestro. Se un singolo fornitore pignora, ad esempio, i carrelli elevatori di proprietà dell’azienda (magari rivendicando una riserva di proprietà su beni forniti e non pagati), ciò può compromettere l’intera attività: senza quei macchinari l’azienda non può continuare i contratti di noleggio in essere, perdendo incassi e ulteriormente aggravando l’insolvenza. È chiaro quindi che la gestione dei debiti commerciali richiede rapidità e visione d’insieme.

Come difendersi dai debiti verso i fornitori? Una prima via è tentare accordi transattivi individuali: ad esempio, offrire ad ognuno un piano di rientro rateale o un saldo e stralcio (pagamento immediato di una percentuale del dovuto a fronte della rinuncia al resto). Questa strategia funziona se i fornitori sono pochi e se la crisi è ancora circoscritta. Ma attenzione: se la crisi è generalizzata, pagare qualcuno e non altri può esporre a azioni revocatorie in caso di successivo fallimento (pagamenti preferenziali fatti entro 6 mesi prima del fallimento sono revocabili). Inoltre, accordarsi individualmente con troppi fornitori è logisticamente complicato e rischia di essere inefficace: basta un dissenziente per far saltare tutto. Più efficace, quando il numero di creditori chirografari è elevato, è adottare strumenti collettivi: un accordo di ristrutturazione o un concordato preventivo. In tali procedure, i fornitori vengono trattati in modo paritario (salve eventuali classi differenziate) e soprattutto si bloccano le azioni esecutive individuali. Ad esempio, dal momento in cui si deposita una domanda di concordato (anche con riserva), nessun fornitore può iniziare né proseguire pignoramenti o decreti ingiuntivi; quelli pendenti restano sospesi . Questo “freeze” permette di evitare la disgregazione del patrimonio e di trattare con tutti i chirografari contestualmente, sotto l’egida del tribunale.

Nel concordato preventivo in continuità aziendale, in particolare, c’è spazio per salvaguardare il rapporto con i fornitori strategici: la legge consente di suddividere i creditori in classi e di trattare meglio alcuni fornitori essenziali, purché un professionista indipendente (attestatore) certifichi che tale trattamento differenziato non danneggia gli altri e che quei fornitori sono effettivamente critici per la prosecuzione dell’attività (ad esempio, si può proporre di pagare al 100% i fornitori di ricambi senza i quali l’azienda non può operare, e pagare al 20% i fornitori meno cruciali) . Soluzioni del genere, ovviamente, richiedono l’approvazione della maggioranza dei creditori e l’omologazione del tribunale, ma sono spesso l’unica via per mantenere in vita la rete di fornitori fondamentali. Un fornitore strategico pagato integralmente sarà incentivato a continuare il rapporto post-concordato.

Se invece l’azienda non è recuperabile e si avvia a una cessazione, i fornitori verranno soddisfatti (in parte) nella liquidazione giudiziale secondo l’ordine dei privilegi: di solito, ai chirografari arriva una percentuale molto bassa o nulla. Tuttavia, anche in scenario liquidatorio, conviene valutare un concordato preventivo liquidatorio anziché lasciare che siano i singoli creditori a far fallire l’azienda: con il concordato l’imprenditore può ad esempio vendere l’azienda in blocco a un concorrente che offra una somma da ripartire tra i creditori (evitando una svendita frammentata) o individuare altre soluzioni per massimizzare il valore.

In sintesi, i debiti verso fornitori possono degenerare rapidamente in una pioggia di azioni esecutive e nel collasso operativo. Per difendersi efficacemente, l’imprenditore deve giocare d’anticipo: non aspettare che tutti perdano la pazienza. Se la crisi è temporanea, parlando apertamente con i fornitori chiave e coinvolgendoli in un piano di rientro consensuale si può guadagnare tempo e preservare i rapporti. Se la crisi è grave, occorre attivare per tempo una procedura concorsuale (concordato o accordo) per congelare la situazione ed evitare che un solo fornitore facendo pignorare un bene critico trascini l’impresa nel baratro. Spesso, la differenza tra salvezza e fallimento sta proprio nella tempestività: un concordato chiesto prima che i creditori eseguano può salvare la continuità; chiesto dopo, quando ormai i beni sono pignorati e l’attività compromessa, potrebbe arrivare troppo tardi.

Altre categorie di debito: dipendenti, fisco locale, ecc.

Oltre ai macro-tipi sopra discussi, un’azienda può avere debiti verso altre categorie di creditori, che presentano peculiarità proprie:

  • Dipendenti: se l’impresa non riesce a pagare regolarmente gli stipendi, i lavoratori diventano essi stessi creditori. Hanno però una tutela forte: godono di privilegio generale sui beni mobili dell’azienda per gli ultimi stipendi (di solito gli ultimi 6 mesi) e per il TFR maturato . In caso di concordato o fallimento, i dipendenti sono tra i primi ad essere pagati, subito dopo i creditori prededucibili (costi della procedura). Inoltre, per il TFR e gli ultimi stipendi interviene il Fondo di Garanzia INPS post-fallimento. Ciò significa che spesso i lavoratori recuperano quasi tutto, direttamente dal Fondo, se l’azienda fallisce. Prima però di arrivare a procedure concorsuali, i dipendenti possono agire legalmente: ad esempio, ottenere un decreto ingiuntivo per le retribuzioni arretrate e pignorare i conti aziendali. In situazioni di crisi conclamata, peraltro, è frequente che i lavoratori (spesso supportati dai sindacati) preferiscano evitare di infierire: se c’è la prospettiva di salvare l’azienda, potrebbero accettare un pagamento dilazionato del dovuto oppure attendere la Cassa Integrazione Guadagni se viene attivata. Nota: nelle procedure di concordato in continuità, l’azienda può chiedere la Cassa Integrazione Straordinaria per crisi, che alleggerisce temporaneamente il costo del personale (gli stipendi sono in parte a carico dello Stato, permettendo un risparmio di cassa) . Questa è una misura di sostegno per superare la fase acuta.
  • Fisco locale (Comuni, Regioni): l’azienda potrebbe avere debiti verso enti locali, ad esempio per IMU (tasse sugli immobili industriali), TARI (tassa rifiuti), o oneri comunali vari (permessi di costruire, multe). Questi debiti, seppur locali, hanno anch’essi spesso privilegi (di grado inferiore a quello erariale statale). I Comuni e le Regioni riscuotono tramite lo stesso Agente di Riscossione, quindi il meccanismo delle cartelle e dei pignoramenti si applica anche qui . Attualmente, però, la normativa sulla transazione fiscale non include espressamente i tributi locali (IVA, Irpef sì; IMU/TARI no, se non attraverso la legge delega del 2023 non ancora attuata al 2025). Ciò significa che nei concordati è più complesso proporre formalmente stralci su questi debiti, ma in pratica spesso i Comuni si adeguano al trattamento previsto per gli altri crediti chirografari. Va segnalato che una legge delega del 2023 ha previsto di integrare i tributi locali nelle possibili transazioni della crisi, ma al momento (ottobre 2025) non è ancora stata emanata la norma attuativa . Nel frattempo, i Comuni continuano a comportarsi come il Fisco statale: se un’azienda ha grossi debiti IMU, iscriveranno a ruolo e passeranno all’Agente Riscossione, che potrà pignorare beni come per altri crediti.
  • Altri creditori particolari: ad esempio compagnie di assicurazione (premi RC aziendale non pagati), enti bilaterali (contributi dovuti per contratto collettivo), fornitori di servizi pubblici (bollette di luce, gas non pagate). Ognuno di questi crediti va analizzato secondo la sua natura. Molte volte sono debiti chirografari (non garantiti), quindi pari passu con i fornitori. Alcuni però potrebbero avere privilegi ex lege: ad esempio, sanzioni amministrative dello Stato (multe) in fallimento sono considerate postergate (ovvero vengono dopo tutti i creditori normali, secondo l’art. 2753 c.c.), quindi paradossalmente non vanno pagate se non c’è attivo sufficiente dopo aver soddisfatto gli altri. Oppure, i canoni di locazione immobiliare: il locatore di un capannone vanta privilegio per gli ultimi canoni. Dal punto di vista difensivo, se questi debiti sono di importo rilevante, vanno inclusi in qualsiasi piano di ristrutturazione: non bisogna trascurarli solo perché “minori”, perché un creditore trascurato potrebbe vanificare uno sforzo più ampio (basti pensare che il proprietario del capannone potrebbe sfrattare l’azienda e impedirle di operare se non paga i canoni, anche se magari l’azienda sta pagando banche e fisco).

In conclusione, ogni debito conta nella fase di crisi. L’imprenditore deve fare un check-up completo: debiti finanziari, fiscali, contributivi, commerciali, dipendenti, enti vari. E per ognuno capire le conseguenze e predisporre una risposta coordinata. La parola d’ordine è trattamento unitario: guai a privilegiare un creditore a scapito di altri senza un quadro negoziale o concorsuale, perché si rischiano azioni di responsabilità o revocatorie. Se invece si affronta la questione nel suo insieme (es. con un accordo o concordato), tutti i debiti trovano una disciplina e l’azienda può sperare di uscirne in modo ordinato.

Allerta precoce e obblighi di attivazione dell’imprenditore

Una delle grandi novità introdotte dal Codice della Crisi d’Impresa (CCII) è il tentativo di creare un sistema di allerta precoce (early warning) per far emergere tempestivamente lo stato di difficoltà di un’azienda e evitare che una crisi reversibile degeneri in insolvenza conclamata. Questo sistema opera su due livelli: interno all’azienda (gli organi sociali devono dotarsi di strumenti per monitorare la salute economico-finanziaria e intervenire subito) ed esterno (alcuni creditori pubblici hanno l’obbligo di segnalare ritardi significativi nei pagamenti, attivando un percorso assistito). Per l’imprenditore-debitore, ciò si traduce in specifici doveri legali: non è più ammesso ignorare i segnali di crisi o occultarli sperando in tempi migliori. Vediamo nel dettaglio questi profili, perché dalla loro osservanza dipendono non solo le chance di salvataggio dell’impresa, ma anche la responsabilità personale degli amministratori.

Adeguati assetti organizzativi e dovere di intervento (obblighi interni)

Dal 16 marzo 2019 (data di entrata in vigore della riforma attuata con il D.Lgs. 14/2019), l’art. 2086 comma 2 del Codice Civile impone a tutte le imprese che operano in forma societaria o collettiva di dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensione dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità . In parole più semplici: gli amministratori hanno il dovere di tenere sotto controllo la situazione aziendale e, se notano segnali di squilibrio (perdite rilevanti, calo di liquidità, ritardi nei pagamenti di imposte o stipendi, ecc.), devono attivarsi immediatamente scegliendo uno degli strumenti di gestione della crisi (dal piano di risanamento alla composizione negoziata, al concordato, a seconda dei casi). L’inerzia colpevole è sanzionata.

Cosa significa in concreto dotarsi di “adeguati assetti”? Vuol dire, ad esempio, implementare un sistema di controllo di gestione che fornisca regolarmente dati su margini, costi e ricavi; predisporre budget e piani di tesoreria per prevedere il cash-flow; monitorare indicatori come l’indice di liquidità, l’indebitamento rispetto al patrimonio, ecc. Vuol dire anche assicurarsi che la contabilità sia aggiornata e veritiera, e che esistano procedure interne per individuare subito eventuali inadempimenti (un software che segnala se ci sono imposte non pagate alla scadenza, ad esempio). Negli assetti adeguati rientra anche la governance: le società dotate di collegio sindacale o revisore devono coinvolgere questi organi, i quali a loro volta hanno obblighi di segnalazione (art. 2409 e art. 14 CCII). In effetti, se i sindaci o il revisore rilevano indizi di crisi ignorati dagli amministratori, devono suonar l’allarme: prima avvertire formalmente il consiglio di amministrazione, e se questo non prende provvedimenti entro 30 giorni, segnalare la situazione all’OCRI (Organismo di composizione della crisi presso la Camera di Commercio) . Questa procedura doveva costituire l’“allerta esterna” per le società dotate di organi di controllo, ma in pratica l’entrata in vigore dell’OCRI è stata più volte rinviata e rimodulata; tuttavia, il dovere dei sindaci di vigilare sugli assetti persiste.

Nel contesto di un’azienda di carrelli elevatori, quali potrebbero essere i segnali interni di allerta? Ad esempio: – Capitale netto azzerato o negativo a causa di perdite (indice che occorre ricapitalizzare o liquidare ex art. 2482-ter c.c., se società di capitali). – Utilizzo costante e crescente dei fidi bancari oltre i limiti, con sconfinamenti frequenti. – Indice di liquidità (attività a breve / passività a breve) molto basso, segno che la cassa non copre i debiti esigibili nel breve. – Ritardi sistematici nei pagamenti di imposte e contributi (esempio tipico: non si versa l’IVA da due trimestri). – Aumento dell’indice di rotazione del magazzino: carrelli invenduti fermi in deposito per troppo tempo, segno di calo delle vendite. – Portafoglio ordini insufficiente o contratti di noleggio non rinnovati, in confronto ai costi fissi mensili.

Gli amministratori devono monitorare e verbalizzare periodicamente questi indicatori. Se emerge un serio squilibrio, essi hanno un dovere preciso: valutare le opzioni di risanamento o, se la situazione è compromessa, preparare per tempo la liquidazione ordinata. Continuare a fare “finta di nulla” sperando che arrivi una grossa commessa risolutiva può configurare una grave negligenza. Anzi, se si verifica una causa legale di scioglimento (ad esempio, in una s.r.l. la perdita oltre il terzo del capitale sociale senza ripianamento), gli amministratori devono convocare l’assemblea e prendere provvedimenti (ricapitalizzazione o trasformazione o liquidazione volontaria). Proseguire l’attività in presenza di cause di scioglimento o in uno stato di insolvenza irreversibile espone gli amministratori a gravi responsabilità.

Il novellato art. 2486 c.c. stabilisce che, dal momento in cui si verifica una causa di scioglimento della società, gli amministratori devono gestire solo ai fini conservativi e non aggravare il dissesto. Se poi la società fallisce, la legge presume il danno causato dall’eventuale continuazione abusiva dell’attività: in pratica, la differenza tra il patrimonio netto al momento in cui si doveva cessare e quello al momento dell’apertura della procedura è considerata danno verso i creditori . Ciò significa che l’amministratore che “tira a campare” aumentando i debiti potrebbe dover rispondere di tasca propria per l’aggravamento. È una presunzione introdotta dall’art. 378 CCII che facilita le azioni di responsabilità: non serve più provare caso per caso quale danno ha provocato l’inerzia, la legge lo quantifica forfettariamente nel “delta” peggiorativo del patrimonio netto .

In aggiunta, il mancato approntamento di assetti adeguati è di per sé considerato una grave irregolarità di gestione. I soci (anche di minoranza) o il collegio sindacale possono rivolgersi al tribunale ex art. 2409 c.c. per far destituire gli amministratori se questi trascurano completamente gli obblighi organizzativi . Anche senza arrivare a tanto, è ormai pacifico in giurisprudenza che la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2086 c.c. aggrava la responsabilità degli amministratori, specie se l’azienda poi fallisce: già nel 2019-2020 i Tribunali delle Imprese di Milano e di Roma sottolineavano che la mancanza di assetti era un elemento di colpa grave . In sostanza, l’amministratore che non implementa controlli e poi si “accorge tardi” della crisi non può giustificarsi: aveva un dovere di vigilanza fin dall’inizio. I dati al 2025 mostrano peraltro che molte imprese stanno ancora adeguandosi lentamente: un’analisi Unioncamere del febbraio 2025 ha rilevato che solo circa il 3,5% delle imprese che hanno depositato i bilanci 2023 dichiarano di aver adottato assetti adeguati ai sensi dell’art. 2086 c.c. . Questo significa che la stragrande maggioranza potrebbe trovarsi esposta a contestazioni se incappa in una crisi non prevenuta.

In sintesi, dal versante interno la legge spinge l’imprenditore a “guardarsi dentro” e ad agire in fretta. Per un amministratore, difendersi dai debiti significa prima di tutto non nascondere la testa sotto la sabbia: al comparire dei primi sintomi di crisi, è un preciso dovere legale avviare misure correttive. Ciò può includere: consulenze con esperti di ristrutturazione aziendale, predisposizione di un piano industriale di risanamento, taglio dei costi, ricerca di nuova finanza o partner, e – se necessario – attivazione formale di uno degli strumenti di composizione della crisi (negotiazione assistita, accordi, concordato). Non agire è la scelta peggiore: oltre a peggiorare la situazione, espone gli amministratori ad azioni risarcitorie da parte di creditori e del curatore fallimentare in caso di default. Come evidenziato dagli orientamenti più recenti, oggi “l’imprenditore non può sperare di scaricare integralmente i debiti sul fallimento confidando in un condono futuro; la legge lo vuole attivo e diligente”. In altre parole, il tempo delle furbizie è finito: chi rimane inerte rischia il proprio patrimonio personale.

Segnalazioni d’allerta esterne (INPS, Agenzia Entrate, ecc.)

Parallelamente agli obblighi interni appena visti, il CCII prevede un meccanismo di allerta esterna gestito da alcuni creditori pubblici qualificati. In particolare, Agenzia delle Entrate, INPS e Agenzia Entrate-Riscossione hanno l’obbligo di inviare una segnalazione all’imprenditore quando quest’ultimo accumula debiti scaduti sopra certe soglie. Lo scopo è duplice: da un lato, spronare il debitore a prendere provvedimenti (“attenzione, hai grossi debiti, attivati!”), dall’altro, se necessario, coinvolgere un esperto esterno (composizione negoziata) per tentare di salvare l’azienda.

Vediamo le soglie attualmente in vigore (art. 25-novies CCII, come modificato dal D.L. 152/2021): – Agenzia delle Entrate: segnala se il debitore ha IVA non versata superiore a €5.000 e tale importo rappresenta oltre il 10% dell’IVA dovuta nell’anno precedente . In pratica, se un’impresa che l’anno scorso doveva versare 50.000 € di IVA, quest’anno omette più di 5.000 € (cioè oltre il 10%), scatta l’allerta. Questo indicatore è pensato perché l’IVA è un tributo “fiduciario” (incassato dai clienti e dovuto all’Erario): omissioni significative sono sintomo di crisi di liquidità. – INPS: segnala se c’è un ritardo di oltre 90 giorni nel pagamento di contributi previdenziali per un importo superiore a €15.000 (per aziende con dipendenti; per imprese individuali senza dipendenti la soglia è €5.000) . Ad esempio, se l’azienda per 3 mesi non versa contributi e accumula 20.000 € di debito, l’INPS, trascorsi 3 mesi, invia la segnalazione. – Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER): segnala se l’impresa ha cartelle esattoriali scadute da oltre 90 giorni per un importo totale superiore a €100.000 . Nel calcolo si sommano tributi, contributi e ogni altro carico iscritto a ruolo.

La segnalazione consiste tipicamente in una comunicazione formale (via PEC) in cui si informa l’impresa dell’esistenza di questi debiti e la si invita a reagire entro 90 giorni presentando istanza di composizione negoziata o adottando misure idonee. Se l’impresa non fa nulla, questi enti potrebbero (il testo di legge dice “possono”) informare l’OCRI o l’organismo competente perché prenda in carico la situazione. Nella pratica attuale, con l’OCRI non operativo come inizialmente previsto, l’effetto principale è il “warning” in sé: l’imprenditore riceve un chiaro segnale che la crisi è ufficialmente emersa nei radar del Fisco/INPS.

Perché è importante tutto ciò? Perché se l’imprenditore ignora anche questi campanelli d’allarme, in caso di successivo fallimento i suoi comportamenti omissivi verranno valutati severamente. Viceversa, la legge prevede delle “misure premiali” per chi si attiva in tempo su segnalazione: ad esempio, se entro 90 giorni dalla segnalazione l’imprenditore presenta istanza di composizione negoziata o altra procedura, può godere di benefici come la riduzione di interessi e sanzioni fiscali, o l’esclusione da certe responsabilità (il correttivo 2024 ha aumentato le rate massime da 72 a 120 nei piani concordatari per chi si è mosso presto, e ridotto alcune sanzioni) . L’idea è premiare chi non aspetta il disastro.

Per un’azienda di carrelli elevatori, immaginare di ricevere tali segnalazioni non è remoto: ad esempio, un paio di trimestri IVA non versati possono facilmente superare 5.000 € (specie se l’azienda acquista molto materiale con IVA detraibile ma la versa poi solo in parte). Oppure, bastano pochi dipendenti per accumulare 15.000 € di contributi in qualche mese di sofferenza. Quindi, bisogna essere consapevoli che lo Stato “osserva” certi parametri.

In conclusione, l’allerta esterna vuole essere uno strumento che gioca a favore dell’imprenditore virtuoso: se usato, gli dà l’opportunità di intervenire con il supporto di esperti e qualche facilitazione; se ignorato, diventa una prova a suo carico di negligenza. Dal punto di vista della difesa dai debiti, un imprenditore dovrebbe considerare la segnalazione non come un’“infamata” ma come un’occasione per prendere atto della gravità e correre ai ripari con il cappello (legale) giusto in testa.

Nota: Accanto alle segnalazioni obbligatorie dei creditori pubblici, esistono anche indicatori elaborati dagli organi di controllo e dal Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti (c.d. indici di allerta). Questi indici (ad es. indice di liquidità, indice di indebitamento, ecc.) servono agli amministratori e sindaci per valutare se la società è in crisi. Non sono più cogenti come nella versione originaria del Codice (che prevedeva sanzioni se non li si rispettava), ma rimangono linee guida di buona gestione. Un amministratore prudente dovrebbe far calcolare periodicamente questi indici e, se risultano fuori range per la sua categoria di impresa, considerarlo un campanello ulteriore.

Passiamo ora a esaminare gli strumenti concreti a disposizione dell’imprenditore per affrontare i debiti, distinguendo tra soluzioni stragiudiziali (fuori dal tribunale) e procedure concorsuali giudiziali, inclusi i percorsi speciali per le piccole imprese.

Strumenti stragiudiziali di risanamento del debito

Quando un’azienda è indebitata ma ancora potenzialmente risanabile, è spesso preferibile tentare soluzioni stragiudiziali, ovvero accordi privati con i creditori che evitino, se possibile, l’apertura immediata di una procedura concorsuale pubblica. I vantaggi di una soluzione stragiudiziale sono evidenti: meno pubblicità negativa (non c’è iscrizione della crisi al Registro Imprese, non vengono avvisati tutti i clienti), maggiore flessibilità nelle forme (si può “cucire su misura” l’accordo con i principali creditori) e, talvolta, minor costo. Gli svantaggi sono che richiede la collaborazione volontaria dei creditori e che, da sola, non offre piena protezione dalle azioni esecutive di eventuali dissenzienti (a differenza di un concordato che blocca tutto per legge).

Di seguito analizziamo i principali strumenti stragiudiziali previsti dal nostro ordinamento per risanare l’impresa indebitata, con particolare riferimento a quelli normati dal CCII e dunque suscettibili di produrre effetti legali protettivi (ad es. esenzioni da revocatoria).

Piano Attestato di Risanamento (art. 56 CCII)

Il piano attestato di risanamento è uno strumento introdotto per la prima volta nel 2005 (all’epoca art. 67, co. 3, lett. d) Legge Fallimentare) e ora disciplinato compiutamente dall’art. 56 del Codice della Crisi. In sostanza, si tratta di un piano industriale e finanziario che l’imprenditore elabora per riportare l’azienda in bonis, il quale viene attestato da un professionista indipendente (un esperto con i requisiti di legge, tipicamente un commercialista o revisore) circa la sua fattibilità e veridicità dei dati . Il piano deve avere contenuti idonei a risanare l’esposizione debitoria dell’impresa e a garantirne l’equilibrio finanziario.

Caratteristiche principali del piano attestato: – Forma privata: non richiede omologazione o intervento del tribunale. Va però redatto in forma scritta e corredato dall’attestazione di un esperto indipendente iscritto all’albo. – Obiettivo: superare lo stato di crisi e riequilibrare la situazione finanziaria. Può prevedere di tutto: aumento di capitale, cessione di beni, dilazione di debiti, accordi con banche, nuovi finanziamenti, ecc. – Adesione dei creditori: è essenzialmente un accordo volontario. Tipicamente l’imprenditore presenta il piano alle banche e ai principali creditori per ottenere la loro adesione alle misure proposte (ad es. stralci o dilazioni). Non c’è una soglia minima di adesione fissata dalla legge (diversamente dagli accordi di ristrutturazione); in teoria anche con un solo creditore coinvolto si può fare un piano attestato. Ma ovviamente, per funzionare, devono aderire abbastanza creditori da far sì che il risanamento sia reale. – Esenzioni da revocatoria: il vantaggio legale di un piano attestato (rispetto a un accordo qualsiasi) è che la legge prevede l’esenzione da revocatoria fallimentare per gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del piano (purché il piano sia idoneo a risanare e l’attestazione sia veritiera) . Significa che se, ad esempio, pago un fornitore nell’ambito del piano attestato e poi la società fallisce, quel pagamento non potrà essere revocato dal curatore come preferenziale (cosa che invece, senza piano attestato, sarebbe possibile se effettuato nell’anno prima del fallimento). Questa protezione incoraggia i creditori a fidarsi e collaborare: sanno che i pagamenti che ricevono non verranno “rimangiati” in seguito. – Mantenimento gestione: l’imprenditore rimane pienamente in sella, non c’è commissario o giudice delegato. Il piano attestato è in pratica un accordo contrattuale con la benedizione di un esperto.

Esempio: un’azienda di carrelli elevatori elabora un piano a 5 anni in cui prevede la vendita di una proprietà immobiliare non strategica per incassare liquidità, la conversione del debito di un fornitore strategico in una partecipazione societaria (il fornitore diventa socio invece di esigere il credito), l’allungamento da 3 a 6 anni di tutti i mutui con le banche, e l’immissione di 100.000 € di nuovi mezzi propri dai soci. Un attestatore verifica che i numeri tornino (cioè che con queste misure l’azienda possa pagare i debiti e tornare redditizia) e firma l’attestazione. Le banche, vedendo il piano attestato, accettano di firmare la rinegoziazione dei mutui e di non agire in via esecutiva. Il piano viene formalmente “adottato” dall’organo amministrativo e depositato presso il Registro delle Imprese (facoltativo ma consigliabile per data certa). Da quel momento, i pagamenti fatti secondo piano (ad es. si paga un 20% immediato ai fornitori che hanno accettato uno stralcio) sono protetti. Se poi, sfortunatamente, l’azienda fallisse lo stesso due anni dopo, quei fornitori non dovranno restituire i soldi ricevuti perché erano in un piano attestato.

Limitazioni: Il piano attestato è tanto più efficace quanto più limitato è il numero di creditori e quanto più consensuale il contesto. Non può imporre nulla ai non aderenti. Se un creditore “esterno” (non soddisfatto dal piano) fa istanza di fallimento, il piano attestato di per sé non lo blocca automaticamente (a differenza di un concordato depositato, che blocca). L’imprenditore però può difendersi mostrando che ha un piano in corso: alcuni tribunali sono più inclini a respingere o sospendere un’istanza di fallimento se l’azienda sta eseguendo un piano attestato serio e ha l’appoggio di una buona parte dei creditori (specie banche). Ma non è garantito.

Per un’azienda di carrelli elevatori con debiti, il piano attestato può essere un’ottima soluzione se: – La crisi non è ancora irreversibile e c’è credibilità verso i principali creditori. – Ci sono prospettive di mercato o contratti futuri tali da convincere che il risanamento è plausibile (magari il settore è in ripresa, c’è un nuovo importante cliente all’orizzonte, ecc.). – L’imprenditore ha qualche carta da giocare (beni vendibili, soci disposti a investire ancora, ecc.) per dare sostanza al piano. – Si vuole evitare come la peste la pubblicità di un concordato, ad esempio per non spaventare la clientela o i fornitori.

In tali condizioni, il piano attestato con un professionista autorevole che lo certifichi può risolvere la situazione sottotraccia. Tuttavia, se il piano attestato non dovesse reggere (perché magari le ipotesi si rivelano troppo ottimistiche), l’azienda rischia di ritrovarsi punto e a capo dopo un anno o due, magari con ulteriore aggravio. Dunque va utilizzato con senso di responsabilità e realismo.

Dal punto di vista giuridico, l’art. 56 CCII richiede che l’attestatore sia un esperto indipendente iscritto all’apposito albo ministeriale (lo stesso albo per attestatori nei concordati), e impone che il piano sia pubblicato nel Registro delle Imprese se si vuole l’esenzione da revocatoria. La pubblicazione rende ufficiale la data di predisposizione del piano, elemento chiave per valutarne l’efficacia (atti compiuti in esecuzione del piano dopo quella data sono protetti). Non c’è invece più (come un tempo) l’obbligo di depositare l’attestazione in tribunale. Tutto avviene presso il Registro imprese.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti rappresentano uno step successivo di formalizzazione rispetto al piano attestato. Introdotti nell’ordinamento nel 2005 (art. 182-bis l.fall.), sono ora disciplinati dagli artt. 57-64 CCII e hanno recepito anche le novità della direttiva UE 2019/1023. In sostanza, l’accordo di ristrutturazione è un accordo tra l’imprenditore e una parte significativa dei creditori per il risanamento dell’esposizione, che viene poi sottoposto all’omologazione del tribunale. È quindi una procedura ibrida: nasce da trattative private ma ottiene efficacia giuridica dall’intervento (minimale) del tribunale.

Caratteristiche salienti: – Per richiedere l’omologazione, gli accordi devono essere stipulati con creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti (art. 60 CCII) . Questo quorum era previsto già nella legge fallimentare e serve a garantire che l’accordo abbia un consenso largo. – I creditori non aderenti restano estranei: in linea generale, l’accordo vincola solo chi lo ha sottoscritto. Tuttavia, l’omologazione da parte del tribunale permette di ottenere alcuni effetti anche verso terzi: per esempio, congela le azioni esecutive individuali dal momento della pubblicazione dell’accordo e per un breve periodo (fino a 120 giorni) durante l’esecuzione, per evitare che un estraneo rovini tutto. Inoltre, sono previsti tipi particolari come l’accordo ad efficacia estesa per le banche (art. 61 CCII), dove se aderisce il 75% delle banche, l’accordo è esteso anche alle banche dissenzienti appartenenti alla stessa categoria, purché non lascino queste ultime in condizioni peggiori rispetto agli aderenti. – Deve essere accompagnato da una attestazione di un esperto indipendente sulla idoneità dell’accordo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nei 120 giorni dalla scadenza dei loro crediti (o dall’omologazione se erano già scaduti) . Questo requisito tutela i non aderenti: in pratica l’esperto deve certificare che i creditori che non hanno firmato l’accordo comunque verranno soddisfatti regolarmente. Se così non è, l’accordo non può essere omologato. – Procedura di omologazione: l’imprenditore deposita l’accordo con la documentazione (bilanci, elenco creditori, attestazione, ecc.) in tribunale. Il tribunale, verificati i requisiti, omologa con decreto (salvo opposizioni di creditori dissenzienti che lamentino lesioni dei propri diritti). È un controllo di legittimità e convenienza comparativa (il giudice verifica che i non aderenti non siano danneggiati rispetto ad un’alternativa liquidatoria). – Vantaggi legali: con l’accordo omologato, l’impresa può accedere a nuova finanza prededucibile (chi presta soldi all’azienda in esecuzione dell’accordo sarà rimborsato con priorità assoluta in caso di fallimento successivo). Inoltre, l’accordo, se pubblicato nel registro imprese, consente di bloccare o sospendere eventuali procedure esecutive pendenti durante le trattative (si può chiedere al tribunale misure protettive già in fase di pre-accordo, simili a quelle del concordato, come previsto dall’art. 54 CCII). – Transazione fiscale: molto rilevante, l’art. 63 CCII consente di includere nell’accordo la proposta di trattare i debiti fiscali e contributivi (transazione fiscale). Occorre l’adesione formale dell’Agenzia Entrate e dell’ente previdenziale per essere valida. Tuttavia, la legge (modificata nel 2020 e 2021) consente anche qui il cram-down: se il Fisco non aderisce entro 90 giorni dalla richiesta (termine perentorio) ma l’accordo ha ottenuto le altre adesioni necessarie, il tribunale può omologare lo stesso l’accordo estendendolo al Fisco se ritiene che la proposta fiscale è conveniente (in pratica si bypassa il veto del Fisco). La Cassazione, Sez. I, 17 dicembre 2024 n. 32954 ha chiarito che per ottenere l’omologa forzosa sul Fisco in un accordo 182-bis, il debitore deve comunque aver raggiunto l’accordo con i creditori non fiscali (non si può presentare un accordo col solo Fisco dissenziente senza avere almeno il 60% di altri crediti accordati) .

Nella prospettiva di un’azienda di carrelli elevatori, un accordo di ristrutturazione può essere indicato quando: – Ci sono pochi creditori chiave e relativamente omogenei, ad esempio banche e leasing: se l’80% dell’esposizione è verso banche (e magari uno-due fornitori grossi), un accordo è fattibile trovando l’intesa con loro. – L’azienda ha prospettive di risanamento ma ha bisogno di ridurre/modulare il debito e non vuole il clamore di un concordato (che coinvolgerebbe tutti i creditori e sarebbe pubblico). – È necessario includere anche il Fisco ma si prevede di ottenere la sua adesione o comunque di convincere il tribunale della proposta (dopo le ultime riforme, il Fisco è più collaborativo negli accordi: la legge impone che l’accordo non possa essere omologato se oltre il 50% dei crediti fiscali deriva da IVA o ritenute non versate negli ultimi 5 anni, a meno che il Fisco aderisca – ciò per evitare abusi di chi accumula solo debiti IVA; inoltre è richiesto che l’azienda sia in regola con le dichiarazioni fiscali degli ultimi 5 anni, pena inammissibilità della transazione).

Uno scenario pratico: l’azienda ha 3 banche per un totale di 1 milione di debito, 500k di debiti fiscali e 200k di fornitori vari. Prospetta di poter rimborsare 800k in 5 anni grazie a nuovi contratti e un socio che apporta 200k. Con un accordo 182-bis, potrebbe convincere le 3 banche a uno stralcio del 20% (pagare 800k su 1M, magari con un misto di immediato e rate futuro). Se le banche (che hanno il 83% dei crediti finanziari) accettano, si ottiene il quorum del 60% abbondantemente. A quel punto l’azienda propone al Fisco di pagare, poniamo, 300k su 500k (il 60%, con la motivazione che in fallimento il Fisco vedrebbe solo 100k). L’Agenzia delle Entrate avrà 90 giorni per aderire alla transazione: se dice di no ma il piano è oggettivamente buono (Fisco prende più che nel fallimento), il tribunale può omologare lo stesso l’accordo grazie all’art. 63 CCII e alla giurisprudenza di Cassazione evolutasi (cram-down). I fornitori minori estranei (200k) devono essere pagati integralmente fuori accordo o entro 120 giorni dall’omologazione, altrimenti l’attestatore non potrebbe affermare che non subiscono pregiudizio. Magari l’azienda li paga con un nuovo finanziamento prededucibile ottenuto grazie all’accordo. Risultato: l’indebitamento totale scende, l’azienda respira e non c’è stato alcun clamore pubblico se non l’annotazione dell’accordo omologato.

Durata e uscita: Una volta omologato, l’accordo vincola le parti e va eseguito secondo i termini. Se l’azienda inizia a non rispettare l’accordo (manca una rata, ecc.), i creditori tornano liberi di agire, eventualmente chiedendo la risoluzione giudiziale dell’accordo e pure il fallimento. Quindi l’accordo va fatto solo se ragionevolmente sostenibile. In compenso, se l’accordo riesce, l’azienda esce dalla crisi senza mai essere “fallita” e con un recupero reputazionale più rapido.

Il CCII ha anche introdotto varianti nuove: – Accordi di ristrutturazione agevolati: con soglia ridotta al 30% dei creditori ma con efficacia limitata ai soli aderenti (serve per convincere il tribunale ad omologare anche senza il 60% se tanto i dissenzienti sono irrilevanti e vengono pagati integralmente). – Accordi ad efficacia estesa: già menzionati per le banche, e possibili anche per creditori finanziari non banche, se omogenei per tipologia. – Moratorie sui pagamenti: si possono chiedere misure protettive durante le trattative con soglia di adesione al 30% iniziale.

Questi dettagli vanno tarati sul caso concreto; nel contesto di questa guida basti sapere che gli accordi 182-bis sono strumenti molto flessibili e in evoluzione, adatti a imprese che hanno possibilità di soluzioni concordate con i creditori principali.

Composizione Negoziata per la Crisi (D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021, ora art. 17 CCII)

La Composizione Negoziata della Crisi (CNC) è un meccanismo introdotto in via d’urgenza nel 2021 per aiutare le imprese colpite dalla pandemia, poi stabilizzato e integrato nel Codice della Crisi (artt. 17-25 CCII). È uno strumento di allerta “assistita” volontaria: l’imprenditore in stato di crisi o a rischio di insolvenza può chiedere la nomina di un Esperto indipendente il quale lo affianca nel tentativo di negoziare con i creditori una soluzione per la crisi . Si tratta di una procedura riservata (non pubblica inizialmente, salvo eventuale richiesta di misure protettive) e gratuita (i costi dell’esperto sono coperti da un fondo pubblico, almeno per le PMI).

Ecco i punti chiave: – Accesso: l’imprenditore (anche agricolo o minore) presenta un’istanza via piattaforma telematica nazionale, allegando informazioni sull’azienda, situazione debitoria e uno schema di piano di risanamento se possibile. Viene nominato un esperto (di solito un commercialista) scelto da una commissione presso la Camera di Commercio. – Fase di negoziazione: l’esperto convoca l’imprenditore e poi i creditori principali per incontri. Il suo compito è facilitare le trattative, mantenendo imparzialità e cercando di far emergere una soluzione equa. Può aiutare a elaborare un piano concordato, che può consistere in qualunque forma: nuovo credito, ristrutturazione debiti, accordo moratorie, cessione azienda, ecc. – Misure protettive: su richiesta dell’imprenditore, il tribunale può concedere una protezione temporanea (di norma 4 mesi, prorogabili a 12) durante la negoziazione: in questo periodo i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive né acquisire prelazioni sul patrimonio dell’azienda . Ciò avvicina la CNC alle procedure concorsuali, ma con la differenza che la gestione resta all’imprenditore e l’esperto non ha poteri di amministrazione, solo di vigilanza. Le misure protettive vengono pubblicate nel Registro Imprese, quindi i terzi ne sono informati. – Esito: se le trattative riescono, si possono concludere in vario modo: – con un contratto di ristrutturazione privato (anche plurilaterale) con taluni creditori, – con un accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII (cioè si “scalano” in un 182-bis se si raggiungono le percentuali), – con un concordato preventivo semplificato (nel caso estremo in cui non si trova accordo ma c’è un’offerta di terzi per rilevare l’azienda, introdotto dall’art. 25-sexies CCII), – oppure con altre operazioni come cessione dell’azienda, liquidazione di asset con soddisfazione concordata dei creditori (anche senza passare da tribunale). – Se non si trova alcuna soluzione, la procedura si chiude e i creditori riprendono la loro libertà (talvolta purtroppo ciò significa istanze di fallimento immediate). – Incentivi: il legislatore ha previsto alcuni incentivi per chi fa la composizione negoziata: ad es. l’imprenditore può chiedere al tribunale di autorizzarlo a contrarre finanziamenti prededucibili durante la negoziazione (per avere liquidità), o a cedere beni aziendali non strategici senza attendere procedure lunghe, ottenendo l’autorizzazione dell’esperto e del tribunale. Inoltre, il Terzo Correttivo 2024 ha espressamente previsto che anche nella CNC si possano trattare i debiti fiscali e contributivi (introducendo l’art. 23 co. 2-bis CCII) : l’Agenzia Entrate ha emanato un provvedimento a gennaio 2024 che disciplina come un imprenditore in CNC possa chiedere una “proposta di transazione fiscale” anche in questa sede (pur senza omologa giudiziale, l’accordo col Fisco può essere concluso e poi recepito in un eventuale accordo ex 57 o altra forma). – Premialità: se l’imprenditore adempie il contratto stipulato in esito alla CNC, può ottenere esonero da eventuali responsabilità per i debiti tributari non pagati interamente (esonero da sanzioni per omessi versamenti), e i creditori che acconsentono a riduzioni vengono parificati ai chirografari se poi c’è fallimento entro 2 anni (in pratica, non subiscono azioni revocatorie o cause di responsabilità per aver tardato, anzi la legge li “premia”).

Per un’azienda di carrelli elevatori, la composizione negoziata può essere una scelta intelligente quando: – Ci si accorge della crisi in fase iniziale e si vuole intervenire senza dover dichiarare formalmente lo stato d’insolvenza. Ad esempio, si prevedono difficoltà tra 6 mesi e si vuole rinegoziare preventivamente i debiti. – L’impresa ha ancora una reputazione da proteggere e teme che un concordato pubblico possa far scappare i clienti: la CNC è confidenziale (i clienti e fornitori non sono informati, a meno che non siano proprio loro i creditori coinvolti). – C’è apertura da parte di banche e qualche grande creditore a sedersi al tavolo, ma serve la “regia” di un terzo credibile (l’esperto). – Si vuole bloccare sul nascere l’aggressività di alcuni creditori con le misure protettive, senza però la rigidità di un concordato che obbliga a presentare un piano dettagliato subito.

Ad esempio, l’azienda percepisce che due banche stanno per revocare i fidi e ha accumulato 120k di debiti IVA. Invece di aspettare i decreti ingiuntivi e le cartelle, attiva la CNC. Ottiene subito dal tribunale la sospensione delle azioni (quindi le banche congelano le revoche per il momento, l’Agenzia Riscossione sospende i pignoramenti). L’esperto studia la situazione e convoca le banche: insieme elaborano un progetto di rifinanziamento per cui una banca allunga il prestito e l’altra converte parte del credito in leasing operativo su nuovi macchinari, in cambio i soci immettono 50k fresh capital. Nel frattempo, col fisco l’esperto tratta un piano di rientro dell’IVA in 5 anni con abbattimento delle sanzioni. Dopo 3 mesi, si formalizza un accordo stragiudiziale sottoscritto da banche, azienda e (con separato atto) dall’Agenzia Entrate per la parte fiscale. L’esperto conclude la sua relazione finale dicendo che l’accordo raggiunto è soddisfacente. L’azienda, grazie a ciò, evita il fallimento e riparte. Oppure, se qualcosa resta fuori (ad es. un fornitore ha comunque fatto istanza di fallimento), a quel punto con le adesioni in mano l’azienda fa un accordo 182-bis veloce oppure un mini-concordato per coinvolgere anche gli estranei.

Difetti: la composizione negoziata, non prevedendo il voto o l’obbligatorietà per i dissenzienti (tranne nei casi di omologa successiva, ma quello è un passaggio ulteriore), può fallire se anche un solo creditore importante rifiuta ogni proposta. Inoltre, richiede che l’imprenditore sia collaborativo e trasparente: l’esperto, se fiuta che l’imprenditore nasconde informazioni o non è sinceramente impegnato, può chiudere la procedura anticipatamente. Non è ammessa la CNC come tattica dilatoria: la legge vieta, ad esempio, di attivarla se già pendono istanze di fallimento da oltre 90 giorni o se l’imprenditore ha fatto atti dissipativi nei 2 anni precedenti.

In definitiva, la CNC è diventata uno strumento cruciale nel 2022-2025 per gestire la crisi d’impresa. Il suo successo dipende molto dalla cultura negoziale: se i creditori (specie pubblici) la vedono come un’opportunità e non come una perdita di tempo, può portare a ottimi risultati. E in effetti, con le ultime riforme, si è cercato di integrarla a pieno titolo nel sistema concorsuale, tanto che ormai si parla di “procedura di composizione negoziata” quasi come di una procedura a sé stante (pur restando volontaria).

Abbiamo visto gli strumenti fuori dal tribunale o comunque “light”. Passiamo ora alle vere e proprie procedure concorsuali giudiziali, ossia quelle situazioni in cui inevitabilmente si finisce davanti a un giudice per gestire la crisi o l’insolvenza. Queste includono il concordato preventivo (che può ancora salvare l’impresa) e la liquidazione giudiziale (ex fallimento, che di norma segna la fine dell’impresa). Analizzeremo anche le procedure minori di sovraindebitamento destinate alle piccole realtà non fallibili.

Procedure concorsuali giudiziali: Concordato preventivo e Liquidazione giudiziale

Quando la crisi finanziaria raggiunge un grado tale che non è più gestibile con i soli accordi privati, oppure quando si preferisce avere un ombrello protettivo a 360° sugli attivi dell’impresa, si ricorre alle procedure concorsuali giudiziali. Sono procedure aperte con provvedimenti del tribunale, che coinvolgono collettivamente tutti i creditori e mirano a regolare la loro soddisfazione secondo le regole di legge, sotto il controllo di organi nominati dal giudice. Le due procedure cardine, in caso di crisi d’impresa, sono: – Il Concordato Preventivo (disciplinato dagli artt. 84-120 CCII), che è finalizzato a evitare la liquidazione giudiziale attraverso un accordo tra debitore e creditori su un piano di pagamento, e può essere “in continuità” (con prosecuzione dell’attività) o liquidatorio (cessazione dell’attività con liquidazione dei beni, ma in modo concordato). – La Liquidazione Giudiziale (disciplinata dagli artt. 121-270 CCII), che è il nuovo nome del vecchio fallimento, e consiste nella spossessione dell’impresa e nella liquidazione di tutto il patrimonio a beneficio dei creditori, secondo un ordine di priorità stabilito per legge.

Approfondiamo entrambi, focalizzandoci sul punto di vista del debitore (l’imprenditore di carrelli elevatori) che vi fa ricorso o che li subisce.

Concordato Preventivo (artt. 84-120 CCII)

Il concordato preventivo è una procedura concorsuale volontaria (si attiva solo su richiesta del debitore) in cui l’imprenditore propone ai propri creditori un piano per superare la crisi, piano che di regola prevede il pagamento, parziale o totale, dei debiti secondo certe modalità e tempi, eventualmente con suddivisione dei creditori in classi e trattamenti differenziati. È “preventivo” perché mira a evitare la liquidazione fallimentare, ottenendo l’approvazione dei creditori su una soluzione alternativa.

Caratteristiche generali: – Iniziativa: solo il debitore (impresa in stato di crisi o insolvenza imminente/in atto) può presentare la domanda di concordato . I creditori non possono chiederlo; se vogliono la liquidazione forzata devono fare istanza di fallimento. Il debitore deve depositare un ricorso al tribunale allegando la proposta, il piano e una serie di documenti (bilanci, elenco creditori, attestazione di fattibilità di un esperto). – Automatic stay: dal momento del deposito della domanda di concordato, nessun creditore può iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sui beni del debitore, né acquisire nuovi pegni/ipoteche . Questo è fondamentale: consente all’impresa di tirare il fiato e impedisce la “disintegrazione” del patrimonio durante la trattativa con i creditori. Anche le istanze di fallimento pendenti sono sospese. – Organi del concordato: il tribunale nomina un Commissario Giudiziale (figura che vigila sulla gestione dell’impresa durante la procedura, ma l’imprenditore rimane alla guida) e un Giudice Delegato (sovrintende la procedura) . L’esperto attestatore è già stato scelto dal debitore prima di presentare la domanda: è colui che attesta la fattibilità del piano. I creditori non nominano un comitato (a differenza del fallimento), ma partecipano attraverso il voto. – Tipologie di concordato: – Concordato in continuità aziendale (art. 84 CCII): se nel piano è prevista la prosecuzione dell’attività, sia pure eventualmente in forma indiretta (ad esempio attraverso affitto d’azienda e successiva vendita a un terzo che continua l’attività). In tal caso la legge consente alcune agevolazioni, come la possibilità di pagare meno del 100% i creditori privilegiati se la continuità garantisce il valore più alto per tutti, e l’accesso a finanziamenti prededucibili per la gestione corrente. Obbliga però a non alterare i diritti dei lavoratori senza il loro consenso e richiede un’attestazione stringente sulla convenienza della continuità rispetto alla liquidazione. – Concordato liquidatorio: se invece il piano prevede solo la liquidazione dei beni dell’impresa (cessione di asset, incasso crediti, ecc.) e la distribuzione del ricavato ai creditori. In questo caso, la legge richiede il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari (art. 84, co. 4 CCII) salvo alcune eccezioni. Spesso il concordato liquidatorio si accompagna alla cessione dell’azienda in blocco a un acquirente, in modo da massimizzare il valore (questo apporta elementi di continuità indiretta). – Classi e trattamenti: il debitore può dividere i creditori in classi omogenee per posizione giuridica ed interessi economici (es: può mettere tutte le banche ipotecarie in classe A, i fornitori strategici in classe B, gli altri chirografari in classe C, ecc.). Può prevedere che alcune classi vengano pagate integralmente e altre parzialmente, purché ci sia giustificazione economica e l’attestatore confermi che non c’è danno ingiustificato per nessuno. Ad esempio, in continuità si può pagare al 100% la classe dei fornitori di ricambi indispensabili (perché servono per continuare l’attività) e al 30% gli altri fornitori non strategici . – Voto dei creditori: una volta ammesso alla procedura (il tribunale dichiara “aperto” il concordato se la proposta non è manifestamente inammissibile), i creditori vengono chiamati a votare sulla proposta in adunanza o tramite espressione di voto scritto. Serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (calcolata come >50% del totale) per approvare . Se ci sono classi, serve anche la maggioranza per classi (almeno la metà + una delle classi approvano, e in ogni caso conta la maggioranza dei crediti complessivi). Esiste anche il cram-down interclassi: se una classe dissente ma la proposta li tratta comunque non peggio dell’alternativa e ha il voto di altre classi rilevanti, il tribunale può forzare l’omologa (questo dopo la direttiva UE è possibile). – Omologazione: se i creditori approvano, il tribunale passa all’omologa. Può omologare anche in caso di voto contrario del Fisco o enti previdenziali, come abbiamo detto, purché la soddisfazione offerta sia migliore della liquidazione (concordato cram-down fiscale, art. 48 CCII). Se invece i creditori bocciassero la proposta, il tribunale dichiara il fallimento (liquidazione giudiziale). – Esecuzione: dopo l’omologazione, il debitore (spesso con l’ausilio di un assuntore o di organi previsti dal piano) esegue il piano, pagando i creditori secondo le percentuali e scadenze stabilite. Il commissario vigila fino al completamento.

Dal punto di vista di un imprenditore-debitore, il concordato preventivo è contemporaneamente uno scudo e un veicolo di ristrutturazione: – È uno scudo perché, come detto, appena depositato blocca i pignoramenti e le aggressioni. Questo è crucialissimo per un’azienda di carrelli elevatori sull’orlo: evita che un creditore impaziente pignori i muletti o i conti e tolga la corrente all’impresa. Dona un periodo di calma (sorvegliata dal tribunale) per predisporre il piano e negoziare con i creditori in sede protetta. – È un veicolo di ristrutturazione perché consente di imporre ai creditori (con il voto della maggioranza) un pagamento parziale e dilazionato del dovuto, dando all’azienda una chance di risollevarsi. In un certo senso, il concordato è l’unica procedura in cui il debitore può ottenere una vera “esdebitazione” anticipata: pagando, poniamo, il 40% ai chirografari e adempiuto il piano, il resto 60% viene cancellato nei confronti dell’azienda (per le società, di fatto rimane inesigibile perché la società estinta non lo paga; per l’imprenditore individuale, poi, c’è l’esdebitazione di diritto ex art. 278 CCII se è onesto, a fine procedura, che libera da ogni residuo ). È come un “fresh start” ottenuto per via negoziata.

Esempio di concordato in continuità: l’azienda presenta un piano quinquennale in cui prevede di continuare l’attività di noleggio carrelli, riducendo i costi (chiusura di una filiale secondaria, licenziamento di 2 dipendenti in esubero con accesso alla NASpI, ecc.), investendo in 10 nuovi carrelli a basso consumo per attrarre clienti (grazie a un leasing che un partner è disposto a concedere) e ottenendo nuova finanza di 200k da un investitore che entra nel capitale. Propone di pagare integralmente dipendenti e fornitori essenziali (per non perdere assistenza e ricambi), di pagare al 80% le banche (che hanno garanzie) in 5 anni, e di falcidiare al 30% gli altri debiti chirografari (fisco compreso) in 5 anni. I flussi generati dall’attività + il contributo del nuovo socio copriranno tali pagamenti. Un attestatore verifica e assevera che il piano è fattibile e che in caso di fallimento i creditori chirografari prenderebbero zero (quindi il 30% è conveniente per loro). I creditori votano e approvano. Il tribunale omologa anche se l’Erario aveva votato contro (perché l’esperto e il giudice verificano che prende 30% vs 0% in fallimento, quindi ha trattamento equo e scatta l’art. 48 CCII). L’azienda continua a operare durante i 5 anni sotto la supervisione di un commissario, paga le rate ai creditori, e dopo 5 anni esce risanata dai debiti residui.

Esempio di concordato liquidatorio: l’azienda conclude che non è più competitiva e non vuole proseguire, ma intende evitare il fallimento per gestire meglio la liquidazione. Presenta concordato in cui cede tutti i carrelli elevatori e i magazzini a un concorrente che offre 500k, e distribuisce questa somma ai creditori prevedendo un 100% ai privilegiati e un 25% ai chirografari. Prevede inoltre di attivare il Fondo di Garanzia INPS per pagare TFR e stipendi arretrati ai dipendenti. Il piano offre ai chirografari più del 20% minimo richiesto. I creditori votano, c’è approvazione. Si esegue vendendo beni e pagando le percentuali; la società poi viene cancellata ed i soci ripartono senza ulteriori obblighi (i debiti insoddisfatti sono cancellati per la società e i soci non ne rispondono salvo garanzie prestate).

Perché un imprenditore dovrebbe preferire il concordato alla liquidazione giudiziale? I motivi sono molteplici: – Mantiene un maggior controllo: nel concordato in continuità, l’imprenditore rimane alla guida (sia pure vigilato dal commissario) e può cercare di salvare la “sua” azienda. Nel fallimento perde subito tutto il controllo a favore del curatore . – Evita le conseguenze infamanti del fallimento: fallire comporta l’interdizione dall’attività d’impresa per la durata della procedura e altre restrizioni (ad es. ritiro passaporto) . Col concordato si evitano queste sanzioni personali. – Permette di ridurre il debito legalmente con il consenso dei creditori, senza trascinarsi strascichi. Nel fallimento si paga quel che si può ma l’azienda è distrutta, e l’imprenditore persona fisica dovrà poi chiedere l’esdebitazione a fine procedura per liberarsi dai residui. – Protegge meglio la reputazione e i rapporti: un fornitore strategico che ottiene soddisfazione in concordato continuerà probabilmente a lavorare con l’azienda dopo; un fallimento li avrebbe allontanati per sempre. – È più rapido: un concordato ben gestito si chiude in tempi minori di un fallimento medio (6-12 mesi per l’omologa più il periodo di esecuzione del piano, contro anche 5-6 anni di un fallimento per imprese complesse) .

Certo, il concordato non è facile: richiede di convincere i creditori (almeno la maggioranza) e di sostenere costi (il compenso dell’attestatore, le spese di giustizia, l’onorario del commissario, etc., tutti crediti prededucibili da pagare). Inoltre, non tutti i business sono salvabili: se l’azienda è strutturalmente in perdita e non ci sono prospettive, anche il concordato in continuità rischia di fallire poi nell’esecuzione, con conseguente conversione in liquidazione giudiziale. Quindi va intrapreso solo se c’è un ragionevole piano di rilancio o un valore da preservare (es. know-how, avviamento con clienti disposti a restare, ecc.).

Una nota: esiste la possibilità di un “concordato nella liquidazione giudiziale”, cioè dopo l’apertura del fallimento un soggetto (lo stesso debitore o un terzo) può proporre un concordato ai creditori, un po’ come un accordo last-minute. L’art. 240 CCII lo prevede e il correttivo 2024 ha esteso anche lì il cram-down fiscale . Tuttavia, dal punto di vista del debitore originario, questo non è di grande consolazione: di solito queste proposte in fallimento le fanno terzi (concorrenti, soci esterni) per rilevare l’azienda, e segnano comunque la fine del ruolo dell’imprenditore attuale .

Liquidazione Giudiziale (ex Fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale che si apre con la dichiarazione di insolvenza dell’imprenditore e ha l’obiettivo di liquidare tutto il patrimonio per soddisfare, in ordine di prelazione, i creditori. È disciplinata nel CCII dagli art. 121 e seguenti. Dal punto di vista pratico, mantiene molte caratteristiche del vecchio fallimento, ma con alcune innovazioni di tutela per il debitore persona fisica (esdebitazione “di diritto”) e altre modifiche tecniche.

Caratteristiche principali: – Presupposti: che l’imprenditore sia insolvente (incapace di soddisfare regolarmente le obbligazioni). L’insolvenza si manifesta con inadempimenti o altri fattori esteriori (protesti, fughe, ecc.). Inoltre, non deve trattarsi di impresa minore sotto le soglie di art. 2 CCII (attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k): quelle sono esentate e casomai soggette a procedure di sovraindebitamento . Tutte le altre imprese, inclusa una s.r.l. di medie dimensioni come può essere una società di carrelli elevatori con fatturato di qualche milione, sono soggette. Anche l’imprenditore individuale commerciale sopra soglia può essere dichiarato insolvente. – Iniziativa: può essere chiesta da un creditore, dal debitore stesso (il quale può fare istanza di liquidazione, un tempo detto “autofallimento”), o dal Pubblico Ministero (quest’ultimo spesso interviene se c’è interesse pubblico, ad es. insolvenza con reati) . – Effetti immediati: con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale (dichiarazione di fallimento) l’imprenditore è spossessato dei suoi beni: non può più amministrarli né disporne, subentra il Curatore nominato dal tribunale . I crediti scaduti dei creditori si cristallizzano e confluiscono nel passivo. Tutti i creditori devono fare domanda di insinuazione al passivo per essere riconosciuti nella procedura. Viene nominato un giudice delegato e un comitato dei creditori (organo consultivo). – Gestione: la regola è la cessazione dell’attività, ma il tribunale può autorizzare l’esercizio provvisorio (temporaneo proseguimento dell’attività da parte del curatore) se funzionale a vendere l’azienda intera o a evitare danni maggiori . Nel caso di un’azienda di carrelli elevatori, il curatore potrebbe ad esempio proseguire i contratti di noleggio in essere per qualche mese per poter poi cedere quei contratti insieme ai beni a un concorrente, invece di farli cessare bruscamente. – Liquidazione dei beni: il curatore effettua l’inventario e predispone un programma di liquidazione (entro 9 mesi). Poi vende i beni: può vendere l’azienda in blocco, o i singoli beni all’asta, o trattare privatamente autorizzato dal GD. Incassa e distribuisce secondo le priorità. – Riparto: i soldi ricavati vengono distribuiti seguendo l’ordine: prima i creditori prededucibili (costituiti durante la procedura, ad es. compensi del curatore, finanziamenti autorizzati in esercizio provvisorio, ecc.), poi i creditori privilegiati (ipotecari, pignoratizi, privilegi generali come dipendenti, fisco, ecc., ognuno nell’ordine delle cause di prelazione), e infine se avanza qualcosa i chirografari in percentuale . Spesso per i chirografari avanza ben poco o nulla. Terminata la liquidazione e fatto il riparto finale, il tribunale emette il decreto di chiusura. – Effetti per il debitore: se è una società, con la chiusura del fallimento la società si estingue (sparisce). Se è una persona fisica, con la chiusura si apre la possibilità di ottenere l’esdebitazione per i debiti residui non pagati . Il CCII ha previsto che l’imprenditore individuale onesto venga esdebitato di diritto (automaticamente, salve opposizioni per malafede) al termine della procedura: così può ricominciare senza i debiti pregressi. Questa è una novità di favore per il debitore meritevole. Per le società di capitali, non c’è una vera esdebitazione perché la società scompare e i debiti insoddisfatti rimangono inesigibili (e i creditori non possono agire contro soci o amministratori a meno di garanzie o responsabilità particolari) .

Dal punto di vista difensivo del debitore, la liquidazione giudiziale è l’extrema ratio non desiderabile, perché: – L’imprenditore perde ogni controllo immediatamente; i suoi atti recenti (prima del fallimento) vengono scrutinati per possibili azioni di responsabilità o revocatorie. – Eventuali abusi o irregolarità commessi prima possono sfociare in conseguenze anche penali: si attiva la disciplina dei reati fallimentari (bancarotta fraudolenta o semplice a seconda dei casi) . Ad esempio, se l’amministratore ha distratto beni o falsificato bilanci, il fallimento porta quasi certamente a una denuncia per bancarotta fraudolenta con pene fino a 10 anni di reclusione . Il concordato invece non comporta reati (a meno di frodi nella proposta). – L’imprenditore persona fisica subisce l’interdizione dall’esercizio di attività d’impresa per tutta la durata; e se il fallimento viene chiuso senza soddisfare tutti, per 5 anni non potrebbe intraprendere nuova attività salvo esdebitazione concessa prima (il CCII su questo però è più clemente con l’esdebitazione immediata). – Stigma e conseguenze reputazionali: sebbene oggi il fallimento non comporti più l’infamia di un tempo, rimane comunque un evento che “segna la carriera di un imprenditore”, come si suol dire . I dati restano consultabili nel Registro Imprese, e può essere più difficile ottenere fiducia nel futuro. – Dal lato economico, nel fallimento si perde molto valore: le vendite coattive spesso fruttano meno di quanto l’imprenditore avrebbe potuto ottenere negoziando da sé. Quindi i creditori prendono poco, e l’imprenditore vede dissolversi ciò che aveva costruito.

Tuttavia, in alcuni casi il fallimento diventa inevitabile o perfino “salutare” per chiudere una situazione altrimenti ingestibile. Ad esempio, se l’azienda di carrelli elevatori è totalmente decotta, non trova acquirenti né investitori, e l’imprenditore vuole chiudere, la liquidazione giudiziale consente di far intervenire un soggetto terzo (curatore) a liquidare tutto professionalmente e a liberarlo dai debiti residui (esdebitazione) offrendo una tabula rasa. In un certo senso, è l’analogo dell’extrema ratio di un individuo sovraindebitato: si dichiara fallito, paga quel che c’è e il resto viene cancellato (solo che per l’imprenditore persona fisica serve la procedura e un controllo, a differenza ad esempio dell’America dove il Chapter 7 è quasi uno strumento a sportello per restart).

Per dare un’idea delle conseguenze personali per gli amministratori in caso di fallimento: con la sentenza dichiarativa, gli ex amministratori possono subire misure come il divieto di espatrio (consegna di passaporto), l’interdizione dai pubblici uffici e dalle cariche sociali per la durata della procedura, e soprattutto rischiano le azioni di responsabilità promosse dal curatore (ex art. 146 L.F. ora art. 255 CCII) per risarcire i danni causati al patrimonio sociale . Ad esempio, se hanno continuato l’attività aggravando il buco, il curatore li citerà in giudizio chiedendo magari centinaia di migliaia di euro di danni (supportato dalla presunzione art. 2486 c.c. che dicevamo). Potranno vedersi ipotecare la casa a seguito di sentenze di condanna (il curatore può iscrivere ipoteca giudiziale sui loro beni appena ottiene titolo) . Insomma, il fallimento per un amministratore negligente o peggio doloso può significare la rovina personale oltre a quella aziendale.

Differenze rispetto al concordato: val la pena di fissare qualche differenza in forma tabellare per chiarire:

ElementoConcordato Preventivo (proposto dal debitore)Liquidazione Giudiziale (Fallimento) (imposta dai creditori/autorità)
IniziativaVolontaria dal debitore (ricorso di concordato)Involontaria: creditori, PM o il debitore stesso chiedono dichiarazione insolvenza
Gestione dell’impresaRimane al debitore, sotto vigilanza del Commissario (in continuità)Sottratta al debitore, gestita dal Curatore nominato
ObiettivoRisanamento o liquidazione concordata con pagamento parziale ai creditoriLiquidazione integrale del patrimonio per pagare i creditori secondo prelazioni
Coinvolgimento creditoriVotano la proposta (maggioranza necessaria per approvazione)Nessun voto; i creditori subiscono la procedura d’ufficio, possono solo insinuarsi
Esito sui debitiPagamento parziale secondo piano, poi liberazione dai residui (società estinta, persona fisica esdebitata)Pagamento in base all’attivo; debiti insoddisfatti restano (salvo esdebitazione persona fisica)
Continuità aziendalePossibile (concordato in continuità permette prosecuzione del business)Di regola cessazione attività (salvo breve esercizio provvisorio)
Durata tipica~6-12 mesi per l’omologa + esecuzione piano (1-5 anni a seconda)Da 2-3 anni a oltre 5 anni per chiusura completa (dipende da complessità)
Organi coinvoltiCommissario Giudiziale, Giudice Delegato, Attestatore (indipendente)Curatore, Giudice Delegato, Comitato dei Creditori (no attestatore)
Effetti su amministratoriRestano in carica (limitati nei poteri) durante procedura; se concordato omologato, adempiono al piano poi l’azienda prosegue o è liquidata come da piano. Eventuali irregolarità pregresse non comportano reati fallimentari (salvo atti in frode ai creditori che però causerebbero inammissibilità).Decadono immediatamente; possibile azione di responsabilità del curatore; se emersi reati si attivano reati fallimentari e interdizioni (incapacità ad esercitare impresa per la procedura) .
PubblicitàIscrizione al Registro Imprese; creditori informati individualmente; notizia può filtrare (meno stigmatizzante di un fallimento)Iscrizione Registro Imprese, pubblicazione ufficiale, avviso su bollettino/giornali: massima pubblicità (infamia tradizionale anche se attenuata oggigiorno)
Vantaggi per debitoreMantiene una certa regia, riduce legalmente il debito, evita fallimento e relative sanzioni (morali e giuridiche)Nessuno in particolare, se non la fine delle pretese dopo liquidazione (debiti cancellati solo vendendo tutto); debitore “subisce” e spera nell’esdebitazione
Svantaggi per debitoreProcedura complessa, costosa, richiede consenso maggioranza creditori; rischio di fallimento se il piano fallisce o non approvatoPerdita totale del controllo, stigma sociale, possibili conseguenze penali e patrimoniali personali (amministratori)

(Dalla tabella appare chiaro perché un imprenditore-debitore cercherà di percorrere il concordato se c’è la minima chance: la liquidazione giudiziale è lo scenario peggiore per lui, da evitare salvo inevitabilità. Solo se la situazione è irrimediabile o se i creditori sono completamente ostili si finisce in quella.)

In conclusione su questo punto: Concordato vs Fallimento per l’imprenditore è come curare la malattia vs dichiarare il decesso. Il concordato, pur difficile, è il tentativo di cura (o di eutanasia dolce se liquidatorio concordato); il fallimento è la fine dell’impresa, con il primario che effettua l’autopsia (il curatore) e cerca di salvare il salvabile per i creditori. Va detto che la legge oggi incoraggia i concordati e gli accordi: persino dopo l’apertura della liquidazione giudiziale, come accennato, resta la possibilità di un concordato fallimentare (art. 240 CCII) proposto da terzi o dal debitore entro determinati termini, per chiudere anticipatamente la liquidazione se c’è un’offerta concordataria . Nel 2024 si è tolto il veto del Fisco anche in questo contesto (introducendo il cram-down fiscale pure qui). Ma queste ipotesi in genere vedono il debitore ormai fuori gioco. Dal punto di vista del nostro imprenditore di carrelli elevatori, l’obiettivo dev’essere evitare di arrivare al fallimento, usando semmai il concordato se non basta l’accordo stragiudiziale.

Con ciò, abbiamo coperto gli strumenti concorsuali principali. Rimane da trattare il caso in cui l’azienda di carrelli elevatori sia talmente piccola o il debitore sia una persona fisica non fallibile: in tal caso, le soluzioni passano per le procedure da sovraindebitamento (che il CCII ha riordinato) – di fatto il “concordato minore” e la “liquidazione controllata”. Vediamole brevemente.

Procedure da sovraindebitamento per piccole imprese e persone (concordato minore, liquidazione controllata)

Le procedure fin qui descritte (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, accordi di ristrutturazione) si applicano alle imprese soggette al fallimento (ora liquidazione giudiziale) ossia, in generale, agli imprenditori commerciali sopra le soglie di legge. Ma se la nostra azienda di carrelli elevatori fosse di dimensioni ridotte, entro i limiti dell’“impresa minore” ex art. 2 CCII, oppure se l’attività fosse svolta in forma individuale sotto soglia, allora non sarebbe assoggettabile a fallimento né potrebbe accedere al concordato preventivo “maggiore”. In tal caso, il CCII mette a disposizione le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, eredi della Legge 3/2012, adattate per i debitori “non fallibili” (che possono essere anche privati cittadini, piccoli imprenditori, professionisti, start-up innovative, ecc.).

Le principali procedure di sovraindebitamento oggi sono: – il Concordato Minore (artt. 74-83 CCII), – la Ristrutturazione dei debiti del consumatore (specifica per il debitore persona fisica non imprenditore, che qui non ci interessa direttamente), – la Liquidazione Controllata (artt. 268-277 CCII), – l’Esdebitazione del debitore incapiente (art. 278 CCII), che è una novità: permette al debitore persona fisica nullatenente di cancellare i debiti senza pagare nulla, una volta nella vita, se meritevole.

Di queste, la procedura rilevante per un piccolo imprenditore commerciale (come potrebbe essere un titolare di ditta individuale di noleggio carrelli sotto soglia, o una SNC piccola) è il Concordato minore o, se non fattibile, la Liquidazione controllata.

Concordato minore

È uno strumento concettualmente analogo al concordato preventivo, ma semplificato e tarato per realtà più piccole. Possono accedervi gli imprenditori minori (quelli sotto soglia fallimento), gli imprenditori agricoli e anche i professionisti o start-up non soggette a fallimento . Non è necessario lo stato di insolvenza, basta lo “stato di crisi” (difficoltà economica o rischio di insolvenza).

Le caratteristiche: – Procedura presso il tribunale: si deposita un piano con proposta di pagamento dei creditori, serve l’attestazione di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) che è un organismo istituito apposta (di solito presso gli Ordini professionali o le Camere di Commercio) da cui viene nominato un gestore della crisi. – Percentuali: non c’è una percentuale minima di legge (non c’è il 20% minimo del concordato liquidatorio maggiore), ma il piano dev’essere congruo e fattibile. Spesso i tribunali però verificano comunque che ai chirografari arrivi qualcosa di significativo. – Meritevolezza: a differenza del concordato preventivo, qui la legge richiede espressamente la “meritevolezza” del debitore (art. 80 CCII). Cioè il debitore non deve aver colpe gravi nell’indebitamento. Se risulta che ha colposamente aggravato la situazione o ha violato l’obbligo di cooperazione, il concordato minore può essere rifiutato dal tribunale . Ad esempio, il Tribunale di Ferrara nel 2023 ha negato omologa a un concordato minore perché l’imprenditore aveva accumulato molti debiti fiscali con gestione negligente e proponeva di continuare l’attività senza adeguate garanzie di miglioramento . Quindi c’è un filtro etico. – Voto dei creditori: anche qui i creditori votano, con le stesse maggioranze del concordato maggiore. Se non c’è approvazione, si può convertire in liquidazione controllata. – Esdebitazione: se il debitore persona fisica esegue correttamente il concordato minore, è esdebitato dai debiti residui una volta completati i pagamenti. Se è una società, vale simile discorso come per le società in concordato (si estingue e i debiti residui non si possono più esigere). – Stralcio di IVA e tributi: a differenza del passato, anche qui valgono i principi generali: l’IVA può essere falcidiata (come confermato dalla Corte Cost. 245/2019 e recepito). Tuttavia, per i tributi e contributi serve il placet degli enti o il cram-down fiscale. Il CCII prevede che nel concordato minore si applichi l’art. 88 per i tributi, analogamente al concordato preventivo . In pratica, l’Agenzia Entrate viene coinvolta con le stesse regole (90 giorni per aderire, ecc.). – Durata massima: generalmente i piani in queste procedure non eccedono i 4-5 anni (non è fissato rigidamente ma la prassi cerca di tenerli contenuti).

In un esempio: un piccolo imprenditore individuale ha debiti totali per 200.000 € (50k fisco, 50k banca, 100k fornitori). Propone un concordato minore offrendo di pagare 100.000 € in 4 anni (quindi circa il 50% ai chirografari) derivanti dalla prosecuzione dell’attività e dalla vendita di un immobile secondario. L’OCC attesta che il piano è fattibile e che il debitore è meritevole (era andato in crisi per il Covid, non per sue colpe gravi). I creditori votano favorevolmente. Si omologa. Il debitore paga le rate per 4 anni, poi ottiene esdebitazione del restante 100k. Se invece fosse stato non approvato, si sarebbe aperta la liquidazione controllata.

Liquidazione controllata

È l’equivalente del fallimento per i non fallibili. Se l’imprenditore minore è insolvente e non è possibile un concordato minore, i creditori (o il debitore stesso) possono chiedere l’apertura di una liquidazione controllata. Funziona in modo simile a un fallimento ma con alcune semplificazioni e sempre tramite l’OCC: – Si nomina un liquidatore (che è l’equivalente del curatore). – Si vendono i beni e si ripartono secondo i privilegi. – Alla fine, se persona fisica, il debitore è esdebitato di diritto salvo eccezioni. – Non ci sono le sanzioni personali di un fallimento (es. niente interdizione, niente conseguenze penali per bancarotta – la bancarotta formale è abolita per i non fallibili, eventuali reati sono per lo più sui documenti falsi ecc., ma la legge 3/2012 già escludeva i reati fallimentari). – Il liquidatore opera sotto il controllo di un giudice (Tribunale) ma spesso gli importi in gioco sono modesti quindi la procedura è più snella.

Per un imprenditore di carrelli elevatori, finire in liquidazione controllata significherebbe che l’impresa viene spogliata dei beni e chiusa, ma almeno lui come persona potrà ripartire pulito (esdebitazione) se ha cooperato onestamente. Spesso questa procedura viene utilizzata per società sotto soglia (tipo SNC piccola) i cui soci sono garanti illimitati: in tal caso, la liquidazione controllata viene applicata alla società e anche ai soci persone fisiche se insolventi nel complesso (c’è una norma che permette un unico procedimento per socio e società).

Vale la pena notare che il CCII ha reso la vita un po’ più facile ai piccoli debitori rispetto alla vecchia legge. Ad esempio, l’esdebitazione può ottenerla anche il debitore incapiente totale, una volta ogni 4 anni, se meritevole (art. 278 CCII) . Questo serve come rete di ultima istanza, ma in un contesto aziendale è raro applicarlo (è più per consumatori sommersi di debiti senza beni né redditi).

Simulazione pratica 1 (caso A): Ditta individuale “LiftService” con 3 dipendenti, debiti: 40k Equitalia, 30k banca, 20k fornitori, 10k INPS. Totale 100k. Il titolare ha un’officina valutata 50k e continua ad avere lavoro ma margini ridotti. Cosa fare? Probabilmente un concordato minore: propone di pagare 60k in 4 anni (es. 15k/anno) derivanti da: vendita di un vecchio furgone e attrezzature inutilizzate (10k), più utili futuri annui di 5k, più 5k/anno dal suo stipendio personale. Offre 100% a dipendenti e 50% agli altri. I creditori approvano perché pensano che in fallimento la officina venduta e poco altro non darebbero più del 20%. Omologa, lui paga, continua l’attività con meno debiti e più sereno.

Simulazione pratica 2 (caso B): Stessa ditta, ma il titolare negli ultimi 2 anni ha prelevato somme eccessive per spese personali lussuose lasciando i debiti accumularsi, e non ha tenuto la contabilità. Chiede concordato minore offrendo un magro 20%. I creditori e il tribunale scoprono l’inerzia colpevole e i buchi di contabilità: viene giudicato non meritevole (oltre che la proposta è bassa). Concordato respinto, si apre la liquidazione controllata. Il liquidatore vende l’officina all’asta (per soli 30k), riscuote crediti residui 5k, chiude. I creditori prendono in tutto 35k su 100k (35%). Il debitore dopo 3 anni ottiene comunque l’esdebitazione di diritto (nonostante la colpa, se non ci sono stati atti dolosi gravi, gliela danno magari un po’ a fatica). Ha comunque perso l’attività e la faccia.

Questi esempi servono a illustrare che il punto di vista del debitore nei sovraindebitamenti è strettamente legato alla sua condotta: c’è un criterio di meritevolezza e fattibilità che pesa molto di più che nei concordati grandi (dove a volte anche imprese poco virtuose riescono a ottenere un concordato). Ciò perché con i piccoli debiti il legislatore ha voluto evitare troppo “abuso” (in passato con la legge 3/2012 si son visti tentativi di scaricare debiti senza vera causa, ora si sta attenti).

Profili di responsabilità personale degli amministratori e tutela del patrimonio personale

Un aspetto cruciale, dal punto di vista del debitore-imprenditore, è capire in quali casi i debiti dell’azienda possono “ricadere” direttamente su di lui o sui componenti dell’organo amministrativo, e come proteggere il patrimonio personale da tali conseguenze. Questo tema è particolarmente importante per gli amministratori di società di capitali e per i soci di società di persone, oltre che per l’imprenditore individuale stesso.

Ricapitoliamo i concetti base: – Ditta individuale: qui non c’è distinzione tra patrimonio aziendale e personale. Il titolare risponde con tutti i suoi beni personali dei debiti contratti nell’attività. Dunque non c’è scudo patrimoniale: la casa di abitazione, l’auto personale, i risparmi sul conto privato – tutto aggredibile dai creditori se non bastano i beni “aziendali”. Le uniche tutele possibili sono di tipo procedurale (es: se accede a una procedura di sovraindebitamento, la casa può essere salvata a certe condizioni, o se è prima casa di piccolo imprenditore sotto certe soglie c’è l’esenzione dal fallimento, che comunque ora è traslata nel concetto di impresa minore). In generale però il debitore persona fisica è illimitatamente responsabile. – Società di persone (SNC, SAS): i soci illimitatamente responsabili (tutti i soci nella SNC; accomandatari nella SAS) rispondono con il loro patrimonio personale dei debiti sociali, se la società non paga. I creditori devono prima escutere la società, ma se non trovano soddisfazione possono attaccare i soci (beneficio di escussione). Anche qui, in caso di insolvenza, di solito prima fallisce la società e poi vengono dichiarati falliti anche i soci (nel vecchio sistema; nel CCII, se società è sopra soglia fallisce e trascina i soci illimitati in liquidazione giudiziale personale; se sotto soglia vanno in liquidazione controllata assieme). – Società di capitali (SRL, SPA): qui vige il principio della responsabilità limitata dei soci (fino al capitale conferito) e separazione del patrimonio. Dunque, di norma, i creditori sociali possono rifarsi solo sul patrimonio della società e non sui beni personali di soci e amministratori. Questo è un cardine del diritto societario. Tuttavia, esistono deroghe e responsabilità personali in circostanze particolari: – I soci fideiussori: spessissimo nelle PMI le banche chiedono al socio di maggioranza o amministratore una fideiussione personale. In tal caso, quel socio/amministratore diventa garante e risponde personalmente verso la banca se la società non paga. Quindi il suo patrimonio è a rischio per quel debito specifico. È una responsabilità contrattuale assunta volontariamente. – Soci di SRL che hanno percepito indebite restituzioni: se la società si scioglie e liquida e ai soci residua qualcosa in tasca prima di pagare i creditori, i creditori possono agire contro i soci fino a concorrenza di quanto ricevuto in sede di liquidazione (art. 2495 c.c.). Anche i soci che hanno avuto riparti di utili fittizi o riduzioni di capitale non rispettose delle norme possono dover restituire. – Amministratori: pur non essendo debitori diretti, essi possono incorrere in responsabilità risarcitorie verso la società, i soci o i creditori. Ad esempio, se l’amministratore viola i doveri gestionali e ciò causa danno ai creditori (insufficienza patrimoniale aggravata), i creditori in fallimento possono far valere la cosiddetta azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c. per SPA e art. 2476 c.c. per SRL) tramite il curatore . Nel fallimento (liquidazione giudiziale) è il curatore che di regola esercita l’azione di responsabilità contro gli amministratori (art. 255 CCII). Come visto, con le nuove norme, se l’amministratore ha continuato l’attività aggravando il dissesto dopo causa di scioglimento, c’è presunzione di danno pari al peggioramento patrimoniale . Quindi è molto facile ottenere una condanna. – Reati tributari e contributivi: se l’azienda non versa IVA oltre 250k € o ritenute oltre 150k € (soglie di punibilità penale, art. 10-ter e 10-bis D.Lgs. 74/2000) , l’amministratore legale rappresentante viene penalmente imputato. In caso di condanna, rischia multa e reclusione. Inoltre, lo Stato può disporre la confisca del profitto del reato (equivalente all’IVA evasa, ad esempio). E i beni personali dell’amministratore possono essere aggrediti in tal sede (con sequestro prima, confisca poi). La Cassazione penale nel 2024 ha stabilito che se poi interviene un accordo di ristrutturazione che riduce il debito IVA, anche la confisca va ridotta proporzionalmente . Ma resta il fatto che l’amministratore è nei guai con giustizia penale. – Responsabilità verso il Fisco in casi particolari: benché i debiti fiscali della SRL restino a carico della società, ci sono situazioni in cui il Fisco cerca di attaccare l’amministratore: ad es. quando, prima della liquidazione volontaria, l’amministratore paga alcuni creditori e lascia impagate le imposte dovute, violando l’art. 117 L.F. (ora principi analoghi nel CCII) – la Cassazione ha in passato affermato una responsabilità extracontrattuale verso il Fisco per violazione della par condicio. Un altro caso: se l’azienda non versa le ritenute previdenziali >10k, oltre al penale, l’INPS può emettere un avviso di addebito personale per il mancato versamento a carico del legale rappresentante (lo prevede l’art. 3, commi 2-3, D.L. 8/2002 conv. L. 52/2002 per le Srl). Insomma, esistono normative speciali che a volte “bucano il velo” per ragioni pubblicistiche. – Postergazione dei finanziamenti soci: se i soci di una srl hanno finanziato la società in periodo di sottocapitalizzazione, quei crediti dei soci sono postergati (art. 2467 c.c.) e di fatto serviranno a pagare gli altri, i soci li recuperano solo se avanzano soldi . Non è proprio una responsabilità personale, ma è un rischio per i soci: i loro prestiti all’azienda diventano l’ultimo vagone, praticamente persi se la società fallisce. – Garanti di confidi o terzi: a volte imprenditori si fanno garantire da confidi o dal Fondo PMI dello Stato: in caso di inadempimento, il confidi/Fondo paga la banca e poi si rivale sul debitore principale (azienda) e su eventuali coobbligati. Se l’azienda fallisce, il confidi andrà a insinuarsi e per l’eventuale debito residuo dopo procedura potrebbe aggredire i garanti.

Come può un imprenditore tutelare il proprio patrimonio personale rispetto ai debiti aziendali? – La forma societaria di capitali è il primo scudo: costituire una SRL invece di operare come ditta individuale mette al riparo (in linea di massima) la casa e altri beni personali, a meno di garanzie firmate. – Evitare per quanto possibile di prestare fideiussioni personali. A volte è impossibile perché la banca lo esige: eventualmente, negoziare limiti (ad es. fideiussione che decresce col tempo, o pari solo a X euro, o escutibile solo dopo il realizzo di ipoteca su bene aziendale, etc.). Ricordiamo che molte fideiussioni omnibus bancarie in passato sono state dichiarate nulle in parte (antitrust) – vale la pena farle controllare a un legale. – Dividere il patrimonio: strumenti come il fondo patrimoniale o il trust possono segregare alcuni beni (es. casa coniuge e figli) a condizioni rigorose. Il fondo patrimoniale vincola la casa ai bisogni familiari: i creditori per debiti estranei ai bisogni familiari (ad esempio debiti puramente aziendali) potrebbero non potervi accedere, ma c’è giurisprudenza ondivaga (spesso giudicano che l’attività d’impresa del capofamiglia è inerente ai bisogni, quindi il fondo non protegge dai creditori fiscali o bancari). Il trust per protezione è più solido ma costoso e deve essere fatto ante-crisi con notevole anticipo, altrimenti revocabile come atto in frode. – Assicurazione D&O: esistono polizze Directors & Officers che coprono i danni da atti negligenti degli amministratori (esclusi quelli dolosi o penali). Un amministratore prudente di una SRL medio-grande può valutarne una: se il curatore chiederà 1 milione di danni, l’assicurazione potrebbe coprire (entro massimali) se l’azione deriva da semplice negligenza. – Documentare e agire diligentemente: la miglior difesa è la prevenzione. Amministratori: tenere contabilità regolare, non fare prelievi sproporzionati, convocare l’assemblea se perdite rilevanti, dotarsi di assetti adeguati. Questo non solo riduce il rischio di dissesto, ma in caso di dissesto vi mette in posizione di difendervi in giudizio (“ho fatto tutto il possibile e doveroso, la crisi viene da fattori esterni”). Se potete dimostrare di aver attuato tempestivamente l’allerta interna, è più difficile accusarvi di mala gestio. – Transazione fiscale e contributiva: se avete debiti fiscali e contributivi importanti, considerate di regolarizzarli con un accordo (transazione) magari in concordato. Questo può prevenire conseguenze penali (per esempio, se nel concordato viene pagata l’IVA anche parzialmente, l’omologa potrebbe evitare la punibilità per omesso versamento? Su questo la giurisprudenza è dibattuta, ma sicuramente se pagate sotto controllo giudiziale e il Fisco acconsente, difficilmente poi c’è querela di parte pubblica). – In ultimo, se siete soci di società di persone e la barca affonda, ricordate che anche il vostro patrimonio personale è destinato ai creditori. In tal caso, l’unica protezione è magari cercare di risolvere tramite sovraindebitamento personale (liquidazione controllata) per chiudere la vicenda e poi ricominciare.

Un caso peculiare: se l’azienda ha debiti con l’Erario per IVA o ritenute non versate, l’amministratore rischia il penale. Cosa fare? Spesso la scelta migliore è inserire questi debiti in un concordato o accordo e pagare almeno in parte. Perché? Perché, come accennato, la Cassazione penale (sent. n. 44519/2024) ha detto che se c’è un accordo ex 182-bis che riduce il debito IVA, la confisca si riduce parimenti e questo dimostra un ravvedimento in corso: è un’attenuante reale. Quindi, pagare qualcosa tramite procedure concorsuali può evitare il carcere o ridurne la durata. In generale, il diritto fallimentare e tributario oggi dialogano più di prima. Ad esempio, nel 2021 è stato chiarito (Cass. Sez. Un. n. 8504/2021) che se l’Agenzia Entrate rifiuta indebitamente di aderire a una proposta di transazione fiscale che era invece conveniente, il debitore potrebbe perfino tentare un’azione di responsabilità contro l’Erario, ma su questo le Sezioni Unite 20036/2024 hanno detto: sì, giudice ordinario è competente, ma l’Agenzia risponde solo se viola la buona fede , il che è difficile da provare. Comunque, sapere che l’Agenzia non ha potere di veto assoluto (per via del cram-down) dà un margine di ottimismo al debitore.

In conclusione di questa parte, per l’imprenditore debitore la miglior difesa è agire correttamente in azienda (prevenendo cause di responsabilità) e, quando la crisi arriva, usare gli strumenti giuridici per incanalarla in modo da proteggere il possibile. Se ciò è fatto, i casi residui in cui dovrà attingere al proprio patrimonio saranno solo quelli previsti espressamente (garanzie date, finanziamenti soci postergati, ecc.), non quelli per colpe o illegalità.

Vale infine ribadire: con il CCII il legislatore ha abbracciato il principio che “il fallimento dell’impresa non deve significare la morte civile per l’imprenditore” . Ovvero: se agisci onestamente, alla fine c’è sempre uno spiraglio per tornare in gioco (esdebitazione di diritto anche se hai pagato poco, riduzione conseguenze penali, ecc.). Questo è un incentivo formidabile a comportarsi bene e usare le procedure legalmente, piuttosto che tentare di scappare o fare i furbi (cosa che porterebbe invece a bancarotta e guai ben peggiori).

Esempi pratici di gestione della crisi (simulazioni)

Per rendere più concreto quanto esposto, esaminiamo brevemente due casi ipotetici di un’azienda di carrelli elevatori indebitata, illustrando percorsi possibili e mettendo in luce scelte giuste e sbagliate dal punto di vista del debitore.

Caso A – Ristrutturazione di successo in continuità:
La Carrelli XYZ S.r.l. opera nel noleggio e manutenzione di carrelli elevatori. Ha un parco di 50 muletti, 20 dipendenti e un’officina centrale. A causa di investimenti sbagliati e calo di lavoro nel 2024, accumula 1 milione di € di debiti: 300k con banche (mutui/leasing), 200k con fornitori, 200k con Agenzia Entrate (IVA non versata e ritenute), 50k INPS, 250k altro (affitti arretrati, ecc.). Nel 2025 vede segnali di crisi: alcuni fornitori minacciano cause, la banca riduce i fidi, l’IVA non pagata ha portato cartelle. Gli amministratori, consapevoli degli obblighi di allerta, non restano fermi: incaricano subito un advisor finanziario e un legale per analizzare la situazione. Preparano un piano: ridurre i costi (purtroppo devono prevedere 5 licenziamenti con procedura di mobilità), vendere 10 carrelli vecchi (€100k stimati), chiedere ai soci un apporto di €200k. Con queste misure, stimano di poter pagare circa 600k sui 1.000k di debiti in 5 anni, mantenendo l’attività in vita (hanno ancora contratti pluriennali con clienti importanti che garantiscono cash-flow). Decidono di utilizzare un accordo di ristrutturazione dei debiti: negoziano con le banche (che detengono il 30% del debito totale) un taglio del 20% e dilazione 5 anni, ottengono il sì; convincono i fornitori principali (altri 20% del debito) a prendere il 50% in 2 anni, anch’essi preferiscono incassare metà che rischiare il fallimento e zero. Per i debiti fiscali, propongono all’Erario di pagare 150k su 200k (stralcio sanzioni e interessi, tasse intere) in 4 anni; l’Erario inizialmente tentenna, ma visto che tutti gli altri creditori aderiscono e che il piano offre più del 20% (richiesto dal vecchio limite concordatario) e più di quanto il Fisco prenderebbe in fallimento (stimato 10%), il tribunale omologa l’accordo nonostante il voto contrario dell’Erario (cram-down fiscale applicato, in linea con Cass. 27782/2024) . Durante la trattativa, l’azienda aveva ottenuto dal tribunale misure protettive ex art. 54 CCII per evitare pignoramenti. Grazie a ciò, nessun creditore singolarmente l’ha potuta aggredire e l’attività è proseguita regolarmente. Gli amministratori hanno anche attivato la Cassa Integrazione Straordinaria per 6 mesi per gestire i 5 esuberi e ridurre momentaneamente il costo del personale. L’accordo viene eseguito: dopo 1 anno l’azienda paga i 100k di IVA arretrata e regolarizza le restanti in 3 anni, paga i contributi (con un piccolo sconto sulle sanzioni), rientra nei fidi bancari secondo il piano. Dopo 5 anni, Carrelli XYZ ha ridotto il debito a zero (grazie anche al contributo soci e alle vendite asset), è più snella (15 dipendenti efficienti) e ha consolidato rapporti con fornitori e banche (che l’hanno vista reagire con trasparenza). Gli amministratori hanno evitato sia il fallimento che responsabilità personali: anzi, avendo agito secondo l’art. 2086 c.c. e tempestivamente, nessuno può accusarli di aver aggravato il dissesto. Il Fisco, pur falcidiato, non ha basi per azioni (e comunque la Cassazione SU 20036/2024 ha chiarito che la giurisdizione è ordinaria e servirebbe mala fede per far causa, qui non sussiste) . Morale: il debitore ha “governato” attivamente la crisi, utilizzando gli strumenti legali in modo opportuno e salvando l’impresa.

Caso B – Mala gestio e conseguenze post-fallimentari:
La LiftRent S.a.s. è una società di persone a gestione familiare (padre accomandatario, figlio accomandante) nel settore carrelli. Negli anni 2022-23 contrae debiti analoghi (600k) ma l’accomandatario ignora i segnali: continua a prendere nuovi fornitori a credito pur non pagando i vecchi, non versa IVA per 3 anni di fila (convinto che “prima o poi un condono arriverà”), e quando la banca minaccia di revocare i fidi, stacca un assegno personale sul conto aziendale per rientrare temporaneamente (commettendo possibile bancarotta preferenziale verso la banca a scapito di altri creditori). Non chiede mai consulenze, anzi tiene i libri in disordine. All’inizio del 2024 alcuni fornitori fanno decreti ingiuntivi e pignorano vari muletti dal magazzino; l’azienda perde commesse perché non ha più mezzi da noleggiare. A metà 2024 l’INPS invia segnalazione allerta per 20k contributi non pagati; ignorata. A settembre 2024, l’Agenzia Entrate-Riscossione segnala 120k di cartelle impagate; l’imprenditore ancora nulla, se non provare a vendere a basso prezzo 5 carrelli a un conoscente per fare cassa (pessima mossa, distrae beni a prezzo vile). A fine 2024, 3 fornitori insieme presentano istanza di liquidazione giudiziale. L’imprenditore tenta di opporsi dicendo che “ha messo in vendita l’azienda”, ma non ha prove concrete di risanamento. Il tribunale dichiara lo stato di insolvenza e apre la liquidazione giudiziale della LiftRent a febbraio 2025. Conseguenze: Il curatore trova una contabilità caotica e subito denuncia l’amministratore per bancarotta semplice (per aver aggravato il dissesto non attivandosi) e forse fraudolenta (per la vendita sospetta dei 5 carrelli sottocosto) . Chiede al giudice misure cautelari: il titolare si vede ritirare il passaporto e gli viene vietato di amministrare altre imprese per 5 anni . Il curatore avvia anche un’azione di responsabilità ex art. 2486/2487 c.c., chiedendo 300k di danni: grazie alla presunzione di legge, mostra che quando i fondi propri erano azzerati (già nel 2023) il patrimonio netto era -100k e al fallimento era -400k; chiede quei 300k al socio amministratore . Oltretutto, il curatore nota che nel 2023 l’imprenditore aveva prelevato 50k dal c/c aziendale per spese personali: istanza di sequestro conservativo sui suoi conti per 50k, che il tribunale concede . Intanto l’Agenzia delle Entrate denuncia per l’omesso versamento IVA di 3 annualità (~90k per anno, quindi over soglia): parte un procedimento penale a carico del legale rappresentante. Nella liquidazione, il curatore riesce comunque a vendere quel che resta: 20 muletti recuperati, l’officina di proprietà e due furgoni. Incassa 200k, con cui paga le spese, poi banche ipotecarie, poi qualcosa ai chirografari (che prendono il 10%). Dopo 3 anni la procedura chiude. Il socio accomandatario (persona fisica) chiede l’esdebitazione: il giudice gliela nega per mala fede (ha violato obblighi, distratto beni, ecc.). Niente perdono dei debiti residui: 400k di debiti restano a suo nome, teoricamente esigibili per 10 anni. I creditori possono attaccare i beni personali se ne ha (ma ormai li aveva rovinati). L’amministratore viene condannato in sede penale per bancarotta fraudolenta (per la vendita sottocosto e per aver tenuto i libri in modo da non far ricostruire il patrimonio) a 3 anni di reclusione, e per omesso versamento IVA a ulteriori 6 mesi (pena ridotta perché nel frattempo il curatore ha pagato parte dell’IVA con la vendita beni, e la Cass. 44519/24 applicata ha ridotto la confisca) . In totale sconta 2 anni con condizionale ma è segnato. Il figlio accomandante, pur non amministratore, aveva garantito con ipoteca casa sua un leasing: perde la casa all’asta. Morale: la totale inerzia e disordine dell’imprenditore ha portato al peggior esito: impresa chiusa, patrimonio personale azzerato, procedure penali e niente liberazione dai debiti. La vita riparte da sottozero.

Questi due casi estremi evidenziano quanto possa essere diverso l’esito a seconda delle scelte del debitore. Caso A ha seguito i principi di allerta precoce, buona fede, uso degli strumenti giusti: risultato, azienda salva e imprenditore salvo. Caso B ha ignorato tutto ed è andato allo scontro con i creditori: risultato, il sistema (legge e tribunale) ha tutelato i creditori colpendo duramente l’imprenditore (giustamente, vien da dire, vista la condotta).

Domande frequenti (FAQ)

Dopo questo lungo percorso, proponiamo alcune domande frequenti che un imprenditore indebitato nel settore dei carrelli elevatori (o analoghi) potrebbe porsi, con risposte sintetiche:

D1: La mia azienda ha debiti fiscali molto alti e non riesco a pagarli subito. Posso evitare che il Fisco mi pignori tutto il conto?
R: Sì, esistono diverse possibilità. La prima è chiedere all’Agenzia Entrate-Riscossione una rateizzazione del debito (fino a 120 rate se l’importo è elevato): mentre rispetti le rate, nuove azioni esecutive sono sospese. In parallelo, verifica con un legale se ci sono vizi nelle cartelle (notifiche errate, prescrizioni) per eventualmente impugnarle. Un’altra strada, se il debito è insostenibile, è avviare una procedura concorsuale: con la presentazione di un concordato preventivo (anche in bianco) o di un accordo di ristrutturazione, scatta l’automatic stay che blocca i pignoramenti . Così guadagni tempo e puoi negoziare una transazione col Fisco all’interno del piano. Ricorda anche le eventuali rottamazioni: se ce n’è una aperta, aderire elimina sanzioni e interessi e “congela” le azioni esecutive durante la dilazione. Infine, nel concordato, come visto, il tribunale può anche omologare contro il parere del Fisco se la tua proposta è migliore del fallimento . Quindi, non sei senza scampo: rateizzare o inserire il debito fiscale in un piano concorsuale ti proteggerà da esecuzioni immediate.

D2: Ho dato una fideiussione personale in banca per i debiti della mia S.r.l. Cosa succede se la società non paga?
R: Purtroppo, la banca potrà chiedere il pagamento direttamente a te (fideiussore) non appena la società viola il contratto (ad esempio salta una rata significativa e viene dichiarata decaduta dal beneficio del termine). Quindi il tuo patrimonio personale è esposto: la banca potrebbe notificarti un decreto ingiuntivo e poi pignorare i tuoi beni (conto corrente, immobili, stipendio) per recuperare l’importo garantito. Se prevedi che la società non riuscirà a pagare, ti conviene coinvolgere la banca in una rinegoziazione o in un accordo di ristrutturazione prima che escuta la fideiussione. Ad esempio, nell’accordo ex art. 57 CCII, potresti pattuire di pagare una percentuale ridotta anche per la banca, liberando la fideiussione a fronte dell’adempimento parziale concordato. Tieni presente che, se la società entra in concordato preventivo, la banca non può agire durante la procedura né contro la società né (disciplina controversa) contro il fideiussore, a patto che il debito bancario sia incluso nel piano. Alcuni tribunali estendono il blocco delle azioni ai fideiussori durante il concordato, altri no; ma se riesci a soddisfare almeno parzialmente la banca nel concordato, spesso rinuncia a colpire il garante. In sintesi: se la società non paga, la fideiussione diventa “attiva”. Prevenire con un accordo è l’ideale; altrimenti valuta anche la tua situazione personale per eventualmente ricorrere, in ultima analisi, a procedure di sovraindebitamento personale (concordato minore o esdebitazione) se la banca dovesse aggredirti per importi che non riesci a sostenere.

D3: La banca mi ha notificato un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per lo scoperto di conto e minaccia il pignoramento. Posso contestarlo in qualche modo per guadagnare tempo?
R: Puoi proporre opposizione a decreto ingiuntivo entro 40 giorni dalla notifica. Questo trasforma il procedimento in un giudizio ordinario dove puoi contestare il credito. Ad esempio, far valere che la banca ha applicato interessi anatocistici non dovuti, o tassi usurari, o violato la trasparenza. Se il giudice trova fondamento nelle tue eccezioni, potrebbe sospendere l’esecuzione del decreto. Tuttavia, attenzione: la banca spesso ottiene provvisoria esecutività ex art. 642 c.p.c. già nel decreto (su contratti bancari), il che le consente di pignorare subito anche se fai opposizione . L’opposizione può comunque ritardare i tempi e spesso viene usata come leva negoziale per convincere la banca a una transazione. Quindi sì, puoi contestare (specie se ci sono irregolarità sul conto corrente: fai fare una perizia econometrica magari). Ma ricorda: se il debito è sostanzialmente dovuto, l’opposizione serve solo a prendere tempo. Meglio utilizzarla parallelamente per trattare una soluzione (es. chiedere alla banca di aderire a un piano del debitore). Un’alternativa più strutturata, come già detto, è che tu presenti un ricorso per concordato preventivo: ciò blocca comunque il pignoramento indipendentemente dal decreto (il quale rimane sospeso in concorso). Quindi la scelta tattica dipende dall’insieme: poche banche e vuoi sistemare bilateralmente? -> Opposizione e negoziazione. Molti creditori e serve respiro generale? -> Concordato o accordo e blocchi tutto in un colpo.

D4: Se presento un concordato preventivo, posso continuare a gestire l’azienda o arriva qualcuno a togliermi il comando?
R: Nel concordato preventivo resti tu a gestire l’impresa, sotto la supervisione di un Commissario Giudiziale nominato dal tribunale . La tua gestione però è in funzione dell’attuazione del piano, e ci sono atti che non puoi fare senza autorizzazione (ad es. vendere beni oltre l’ordinaria amministrazione). Non vieni spossessato come nel fallimento. Quindi, soprattutto se il concordato è “in continuità”, tu proseguirai l’attività: i contratti con clienti vanno avanti, i dipendenti continuano a lavorare (spesso col beneficio della cassa integrazione straordinaria), ecc. Il commissario controlla che non sgarri e riferisce al giudice. Solo in caso di irregolarità gravi, il tribunale potrebbe revocare la procedura e a quel punto dichiarare il fallimento. Ma finché rispetti le regole, mantieni l’operatività. Questa è una grande differenza col fallimento (dove immediatamente perdi i poteri a favore del curatore). In sintesi: con il concordato sei protetto dai creditori ma continui a condurre la nave, sebbene con rotta vincolata dal piano approvato.

D5: Quali debiti posso tagliare (stralciare) legalmente in una procedura e quali devo comunque pagare per forza?
R: In linea di massima, tutti i debiti possono essere ristrutturati salvo eccezioni di legge molto specifiche. Fino a qualche anno fa c’erano limiti: ad esempio l’IVA e le ritenute non potevano essere falcidiate nei concordati (andavano pagate al 100%). Ora NON è più così: si può proporre un pagamento parziale anche per IVA e contributi, purché i creditori votino a favore o il tribunale valuti equo . Quindi tributi, contributi, debiti verso fornitori, banche, ecc., tutti possono subire uno stralcio (percentuale) o una dilazione. Ciò che non puoi tagliare senza consenso sono i crediti privilegiati se il piano è liquidatorio (devono essere pagati per intero sul ricavato dei beni su cui hanno privilegio). Nel concordato in continuità invece puoi anche non pagare integralmente alcuni privilegiati se garantisci che prendono almeno quanto in liquidazione (questa è una innovazione del CCII). Ad esempio, potresti pagare il 80% di un debito ipotecario se l’attestatore mostra che, continuando l’impresa, comunque quello è l’equivalente del valore di realizzo immediato del bene ipotecato. In generale però, i crediti garantiti da ipoteche o pegni li devi soddisfare meglio possibile (di solito integralmente, salvo appunto eccezione se c’è continuità e la garanzia eccede il valore). I debiti verso dipendenti (salari) conviene pagarli per intero – hanno super privilegio e soprattutto sono i tuoi collaboratori, mantenerli soddisfatti è vitale per l’azienda e per la buona riuscita del piano. In conclusione: puoi proporre stralci su debiti chirografari (fornitori, banche chirografarie, fisco dopo transazione) anche significativi; sui debiti con garanzie reali devi di norma rispettare la garanzia (o dare quell’asset al creditore); sui debiti prededucibili (es. nuovi finanziamenti in procedura, spese procedura) non puoi tagliare nulla, vanno pagati al 100%. Fai sempre valutare dal tuo professionista: la legge è tecnica, ma il principio di base è par condicio: se tagli, devi farlo in modo proporzionale e giustificato per non discriminare ingiustamente.

D6: La mia società è piccola, credo che non possa essere soggetta a fallimento. Se non pago i debiti, cosa possono farmi i creditori?
R: Se sei davvero “impresa minore” ex art. 2 CCII (tutti e tre i parametri nei limiti: attivo ≤ 300k, ricavi ≤ 200k, debiti ≤ 500k), è vero che non possono metterti in liquidazione giudiziale (fallimento). Però attenzione: i creditori possono sempre agire individualmente con decreti ingiuntivi, pignoramenti, ecc. Quindi rischi comunque il blocco dei conti, il pignoramento dei macchinari, ecc. Inoltre, possono chiedere l’apertura di una liquidazione controllata (ex liquidazione del sovraindebitato): è simile a un fallimento ma per le piccole realtà. Il tribunale nominerebbe un liquidatore che vende i tuoi beni. Quindi non è che sei invulnerabile: la differenza è procedurale ma l’esito è lo stesso (perdi i beni per pagare creditori). In più, se sei ditta individuale o socio di SNC, rispondi col patrimonio personale come già detto. Pertanto, non devi pensare “sono sotto soglia, allora ignoro i creditori”. Devi invece rivolgerti a un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) e valutare un concordato minore o un piano di ristrutturazione su misura. La legge 3/2012 (ora CCII sovraindebitamento) offre vie d’uscita dignitose anche per te. Ad esempio, potresti proporre ai creditori un piano di rientro ventennale (se hai redditi modesti ma costanti) o cedere qualche bene e stralciare il resto, attraverso il concordato minore. Se proprio non hai nulla, c’è perfino l’esdebitazione totale del debitore incapiente . Ma non fare l’errore di restare passivo: i creditori “ti faranno a pezzi” lo stesso, solo che la procedura si chiamerà diversamente. Meglio prevenire e governare tu la soluzione.

D7: Ho sentito parlare di esdebitazione: dopo il fallimento o liquidazione, i debiti residui si cancellano? Vale anche per i debiti con lo Stato?
R: L’esdebitazione è l’istituto che libera il debitore persona fisica dai debiti non pagati a fine procedura concorsuale. Esiste dal 2006 e nel CCII è diventata quasi automatica per il fallito onesto . Quindi sì, se sei un imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile e finisci in liquidazione giudiziale, a fine procedura puoi essere esdebitato (liberato da tutti i debiti rimasti, inclusi quelli verso Stato, banche, fornitori…). Ci sono eccezioni: ad esempio, multe e sanzioni penali non si cancellano (ma questi non sono debiti “civili”, sono punizioni); anche i debiti di mantenimento (assegni a coniuge/figli) restano. Ma i debiti fiscali e contributivi, una volta chiusa la procedura e concessa esdebitazione, non li dovrai più pagare. C’è stata qualche dubbio in passato se l’IVA potesse essere esdebitata: la risposta ormai è sì, la Corte Cost. ha detto che negare esdebitazione per IVA era incostituzionale . Quindi l’esdebitazione copre anche l’IVA. Nota: la società fallita invece non ha bisogno di esdebitazione perché cessando di esistere, i debiti insoddisfatti restano senza soggetto debitore (inattivi); però se ci sono fideiussori o coobbligati, quelli restano obbligati. L’esdebitazione riguarda solo la persona fallita. Nel sovraindebitamento (piccole imprese), l’esdebitazione scatta a fine liquidazione controllata o concordato minore adempiuto. Quindi, per rispondere chiaramente: sì, dopo aver “subito” la procedura e sacrificato ciò che avevi, puoi ripartire pulito, non dovrai pagare più nulla su quei vecchi debiti (anche col Fisco). Fa eccezione se hai tenuto comportamenti fraudolenti: in tal caso il giudice può negartela per indegnità. Ma se sei stato cooperativo e trasparente, la legge ti dà una seconda chance.

D8: L’azienda sta andando male e temo di accumulare troppi debiti. Ma se chiedo una procedura concorsuale e poi non riesco a rispettare il piano, finisco peggio?
R: Questa è una domanda importante. È vero che c’è un rischio: se presenti un concordato e poi non lo rispetti (ad esempio non paghi le rate ai creditori come promesso), il concordato può essere risolto dal tribunale su istanza dei creditori, e a quel punto si aprirà quasi certamente la liquidazione giudiziale (fallimento). Dunque avresti solo ritardato di un po’ il fallimento. Inoltre, i creditori potrebbero aver perso la pazienza e tu potresti trovarti con meno fiducia intorno. Tuttavia, considera due cose: (1) spesso vale la pena tentare se c’è una concreta possibilità di successo, perché se riesci salvi l’azienda; se va male, saresti fallito comunque. (2) La nuova normativa prevede anche dei “piani B” in corso di procedura: ad esempio, se sei in concordato preventivo e vedi che non riesci a eseguirlo, potresti chiedere di convertirlo in liquidazione controllata (se sei sotto soglia) o proporre modifiche. C’è spazio per aggiustare il tiro, con il consenso dei creditori. In più, considera l’opzione composizione negoziata: quella ti permette di sondare le possibilità senza impegnarti in una procedura pubblica subito. Se in negoziazione vedi che non c’è verso di risanare, puoi sempre optare per la liquidazione ordinata. In sintesi: il timore è comprensibile, ma non dev’essere una scusa per l’inerzia. Molte volte non agire per paura di fallire comunque porta al fallimento certo e aggravato (vedi Caso B). Agire e magari non farcela comunque porta al fallimento, ma almeno hai provato a limitare i danni. E tribunali e creditori guardano meglio un imprenditore che ha tentato un concordato (anche se poi saltato) rispetto a uno che li ha lasciati a mani vuote senza dire niente. Inoltre, se il concordato salta, tu persona fisica potrai comunque essere esdebitato dopo il fallimento, quindi ripartirai (magari con qualche anno di ritardo). Perciò, valuta bene col tuo attestatore la fattibilità prima di presentare piani: se lui dice che hai 90% chance di riuscire, vai con fiducia; se ti dice che è tirato per i capelli, forse meglio vendere tutto prima e chiudere subito. Ogni caso è a sé, ma la paura di fallire non dovrebbe paralizzarti dal cercare soluzioni.

D9: Posso vendere la mia azienda indebitata a qualcuno per liberarmi dei debiti?
R: Vendere l’azienda è una strategia a volte percorribile, ma devi fare estrema attenzione: i debiti non si eliminano automaticamente con la vendita. In generale, chi compra l’azienda non risponde dei debiti pregressi, salvo quelli risultanti dai libri contabili obbligatori (art. 2560 c.c.). Quindi, se vendi l’intera azienda, i crediti dei tuoi fornitori e le passività in bilancio potrebbero seguire l’azienda se annotate, oppure restare in capo alla tua società (che poi sarebbe vuota). Tuttavia, i creditori potrebbero opporsi se vedono una vendita sospetta: ad esempio, vendere a un prezzo vile a un amico configura un atto in frode e in caso di fallimento successivo il curatore può revocarlo (entro 2 anni se a terzi compiacenti). Se vendi a valore di mercato a un soggetto terzo serio, e col ricavato paghi i creditori, allora ok, risolvi davvero (è come un concordato fatto fuori dal tribunale). Ma se vendi e incassi e non paghi i debiti, stai solo spostando il problema: i creditori inseguiranno il denaro o te personalmente. Per le imposte, attenzione: la legge (D.P.R. 602/1973 art. 14) prevede che chi acquista un’azienda risponde in solido col venditore dei debiti fiscali dell’azienda venduta entro certi limiti se il Fisco glieli notifica entro 1 anno . Questo per evitare che uno ceda azienda e sparisca senza pagare tasse. Quindi il compratore di solito si cautela chiedendo un certificato dei carichi pendenti fiscali, ecc. Insomma, vendere l’azienda indebitata è complicato: puoi farlo se trovi un acquirente disposto a rilevarla magari con uno sconto tenendo conto dei debiti (spesso succede in concordato: un investitore compra l’azienda e paga una somma che va ai creditori). Farlo privatamente è possibile ma occhio a farlo in trasparenza e a valore equo, altrimenti rischi cause e azioni revocatorie. In pratica, l’ideale è integrare la vendita in un piano concordatario: presenti un concordato liquidatorio indicando che Tizio comprerà l’azienda per X euro; i creditori approvano perché X euro li soddisfa in parte; tu esci, Tizio continua il business senza debiti (l’azienda in concordato viene libera dai debiti). Questo è il modo più pulito. Se invece vendi sottobanco, i debiti sociali rimangono e probabilmente la tua società verrà comunque portata a fallimento dai creditori e quella vendita sarà annullata. Quindi, muoviti con avvocati esperti in queste cessioni distress: da soli è molto rischioso.

D10: Dopo aver letto tutto questo, mi sembra complicatissimo… Qual è in breve la cosa più importante da fare se la mia azienda entra in crisi?
R: Non isolarti e non restare fermo. Il passo cruciale è riconoscere la crisi presto e chiedere aiuto a professionisti competenti (commercialisti, avvocati d’impresa, consulenti del lavoro per gli aspetti occupazionali). Insieme, analizzate la situazione e formulate un piano. Anche se le leggi sono complesse, con l’assistenza giusta potrai trovare la strada adeguata: che sia negoziare con i creditori informally, attivare la composizione negoziata, presentare un concordato, ecc. L’errore più grande è fare finta di nulla finché i problemi diventano enormi. Un detto latino recita: “aequam memento rebus in arduis servare mentem” (ricorda di mantenere la mente lucida nelle avversità). Applicato qui: mantieni la calma, informati (questa guida è un esempio di informazione), e prendi iniziativa. Il sistema della crisi d’impresa, per quanto complicato, offre vie d’uscita onorevoli. Non sei il primo né l’ultimo imprenditore ad attraversare momenti difficili: oggi c’è maggior comprensione e strumenti più flessibili. Quindi, la cosa più importante: agisci, informandoti e facendoti affiancare, per governare la crisi prima che sia la crisi a governare te.

Tabelle riepilogative

Di seguito riportiamo alcune tabelle riassuntive degli aspetti salienti:

Strumenti pre-concorsuali vs concorsuali: caratteristiche principali

StrumentoVolontario?Coinvolge giudice?Blocca le azioni dei creditori?Percentuale ai creditoriNote
Piano attestato di risanamentoSì (debitore)No (solo deposito registro imprese)No automatic stay (solo esenzioni revocatoria)Libera (accordi privati, no quorum fisso)Necessaria attestazione esperto su fattibilità. Protegge da revocatorie fallimentari i pagamenti eseguiti .
Accordo di ristrutturazione (182)Sì (debitore)Sì (omologa tribunale)Sì, dopo omologa (possibile stay temporaneo pre-omologa)≥60% creditori (dissenzienti fuori accordo pagati al 100%)Attestazione richiesta. Possibile cram-down fiscale su omologa .
Composizione negoziata (CNC)Sì (debitore)Sì, ma fase stragiudiziale riservataSì, se richieste misure protettive (fino 12 mesi)Non applicabile (nessun accordo imposto, serve consenso creditori)Esperto facilita accordo. Possibile transazione fiscale in sede negoziale .
Concordato preventivoSì (debitore)Sì (ammissione + omologa)Sì, dal deposito del ricorso (automatic stay)Proposto dal debitore, serve >50% voti credito ; classi possibiliIn continuità o liquidatorio. Cram-down fiscale possibile . Debitore in possesso (con commissario).
Liquidazione giudiziale (fallim.)No (creditori/PM o insolvenza)Sì (sentenza dich.)Sì, da sentenza (ma creditori non possono più agire individualmente comunque)N/A (creditori soddisfatti secondo prelazioni, spesso parziale)Amministrazione affidata a curatore. Procedure esecutive individuali cessano, patrimonio liquidato integralmente.

Indicatori di crisi e allerta:

IndicatoreSogliaConseguenza/Obbligo
Patrimonio netto < 0 (perdita > capitale)Immediato (appena perdita eccede capitale sociale)Obbligo amministratori convocare soci per ricapitalizzare o liquidare (art. 2482-ter c.c.)
Debiti fiscali IVA rilevanti>€5.000 e >10% IVA dovuta anno prec.Segnalazione Agenzia Entrate al debitore (allerta esterna), invito a attivarsi entro 90 gg
Debiti contributivi INPS>€15.000 (aziende con dipendenti) >90 ggSegnalazione INPS al debitore (allerta esterna)
Cartelle esattoriali scadute>€100.000 >90 ggSegnalazione Agenzia Entrate-Riscossione (allerta esterna)
Indici di crisi CNDCEC (esempi)DSCR < 1 (Debt Service Coverage Ratio), Oneri finanziari/netto > soglia, ecc.Interno: se indicatori allerta interni segnano crisi, obbligo attivare misure (2086 c.c.)
Mancata adozione “adeguati assetti”Qualsiasi impresa societaria che non ha strumenti controlloResponsabilità amministratori (grave irregolarità ex 2409 c.c., presunzione colpa in fallimento) .
Omesso versamento IVA > €250k (annuo)Oltre soglia penale D.Lgs.74/2000Reato penale (art.10-ter), rischi condanna e confisca su patrimonio amm.re .

(DSCR = flussi di cassa liberi / debiti finanziari in scadenza nei prossimi 6-12 mesi)

Conseguenze personali per l’imprenditore/amministratore:

ScenarioConseguenze su personaNote
Concordato preventivo apertoDivieto di iniziare nuova attività senza autorizz.; amministratore resta in carica ma vigilato .Nessuna interdizione formale, ma limitazioni gestione azienda concordataria. Nessun casellario.
Liquidazione giudiziale (fallim.) aperturaInterdizione da amministrare altre imprese per durata procedura; ritiro passaporto; possibile inabilitazione civile .Viene annotato al casellario (fino a esdebitazione). Per società, queste misure sugli ex amministratori.
Esdebitazione persona fisica dopo chiusura fallimentoDebitore liberato da ogni obbligazione pregressa (eccetto debiti esclusi per legge).Negata se gravi frodi o mancata cooperazione. Oggi automatica salvo eccezioni .
Azione di responsabilità (post-fall.)Patrimonio personale aggredibile per risarcire creditori (danni da gestione imprudente).Presunzione danno art.2486 c.c.: differenza patrimonio netto prima/dopo aggravamento .
Bancarotta fraudolenta (penale)Reclusione fino 10 anni; interdizione dai pubblici uffici; confisca beni distratti.Scatta se distrazione beni, scritture false, etc. Reato fallimentare per eccellenza .
Omesso vers. tributi (penale)Reclusione fino 2 anni (ritenute) o 6 anni (IVA); multa. Confisca equivalente importo.Soglie €150k ritenute, €250k IVA . Concordato/accordo può mitigare (riduz. confisca) .
Socio illimitato di SNC/SAS insolventeFallimento personale (ora liquidazione controllata); beni personali liquidati per debiti sociali.Dopo chiusura, esdebitazione applicabile come per imprenditore individuale.
Garante / Fideiussore escussoDebito diventa personale; se incapiente, può accedere a sovraindebitamento personale.Non tutelato dalle procedure del debitore principale (salvo sospensione concordato caso per caso).

(Ogni situazione di crisi d’impresa può avere esiti diversi sulle persone coinvolte; la tabella schematizza i più comuni.)

Conclusione

Un’azienda di carrelli elevatori gravata dai debiti ha davanti a sé una sfida complessa ma non insormontabile. Il diritto italiano della crisi d’impresa, aggiornato alle riforme più recenti, offre una gamma articolata di strumenti per fronteggiare l’indebitamento, tutelando per quanto possibile la continuità aziendale e al contempo i diritti dei creditori. La chiave di volta sta nella tempestività e nella correttezza dell’azione del debitore: il nuovo Codice della Crisi incoraggia l’imprenditore ad attivarsi ai primi segnali di difficoltà, predisponendo assetti adeguati e facendo ricorso volontario agli istituti di allerta e composizione negoziata. Chi adotta questa condotta proattiva – in buona fede e trasparenza – trova oggi un contesto normativo più flessibile e comprensivo: ad esempio, può ridurre l’esposizione fiscale tramite transazioni, ottenere protezione temporanea dalle azioni esecutive mentre negozia, ed eventualmente conseguire un risanamento dell’impresa (come nel caso A della simulazione) evitando il tracollo.

Di contro, l’imprenditore che sottovaluta i segnali, persevera nell’inerzia o tenta scorciatoie indebite rischia di aggravare la propria situazione: il sistema attuale punisce l’inerzia colpevole con sanzioni che vanno dalle azioni di responsabilità (patrimoniali) alle conseguenze penali. Il caso B evidenzia come la distrazione di beni o il favoritismo verso taluni creditori possano condurre non solo al fallimento ma anche a perdere il proprio patrimonio personale e la libertà d’azione imprenditoriale futura.

In un’ottica di difesa del debitore, va sottolineato che la legge oggi prevede anche delle “uscite di sicurezza” dignitose: dall’esdebitazione post-fallimentare (che libera l’imprenditore individuo dai debiti residui, dandogli una seconda chance), fino alla possibilità per il sovraindebitato onesto di ottenere addirittura l’esdebitazione totale senza alcun pagamento, se proprio nullatenente (c.d. debitore incapiente ex art. 278 CCII) . Questo ribadisce un principio di civiltà economica: il fallimento dell’impresa non deve tradursi nella “morte civile” per l’indebitato, ma, una volta soddisfatti i creditori con tutto il possibile, egli deve poter ricominciare.

Per i professionisti, avvocati e consulenti che assistono l’imprenditore indebitato, il quadro normativo al 2025 richiede un approccio interdisciplinare: occorre saper combinare elementi di diritto societario (responsabilità organi), diritto fallimentare (procedure concorsuali), diritto tributario (transazioni fiscali, norme IVA) e anche aspetti penalistici (reati fallimentari e tributari) . Solo con una visione integrata si può elaborare la strategia migliore caso per caso. Le sentenze più recenti della Cassazione aiutano a tracciare i confini: ad esempio, oggi sappiamo con certezza che un concordato può essere omologato anche senza il sì del Fisco se equo , che durante un concordato l’Erario non può revocare le dilazioni , che gli amministratori negligenti pagano il delta di patrimonio da quando dovevano attivarsi , e così via.

In definitiva, un’azienda di carrelli in crisi ha davanti a sé due strade: governare la crisi o subirla. “Difendersi” dai debiti significa in realtà governare attivamente il processo di ristrutturazione o liquidazione in modo da massimizzare il valore, minimizzare le conseguenze negative e ripartire su basi sane. Ciò può voler dire salvare l’impresa tramite un piano di risanamento, oppure – se non c’è alternativa – liquidare in modo ordinato riducendo i danni e assicurandosi la liberazione dai debiti per poter eventualmente riprovarci in futuro. Questa guida, con il suo taglio avanzato, auspica di aver fornito gli strumenti concettuali e pratici per intraprendere tale percorso informato.

Come recita un noto principio giuridico, “il diritto aiuta coloro che vigilano”: nel contesto della crisi d’impresa, l’imprenditore che vigila sui conti, si allerta e chiede aiuto in tempo, troverà nel diritto un alleato per difendersi dai debiti e riprendere quota. Chi invece rimane inerte, rischia di vedere il diritto volgersi inesorabilmente a tutela degli interessi dei creditori, con tutto il rigore del caso.

Fonti (normative e giurisprudenziali)

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, entrato in vigore definitivamente dal 15 luglio 2022. Normativa di riferimento aggiornata con i correttivi D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022 (Correttivo-bis) e D.Lgs. 136/2024 (Terzo Correttivo). In particolare rilevano: art. 2 (definizione di impresa minore per esenzione da fallimento); art. 17-25 (Composizione negoziata, misure protettive, concordato semplificato); art. 25-novies (obblighi di segnalazione allerta esterna); art. 25-bis (misure premiali fiscali e finanziarie per chi si attiva tempestivamente); art. 48 (cram-down fiscale in concordato preventivo); art. 56 (Piani attestati di risanamento); art. 57-64 (Accordi di ristrutturazione); art. 63 (transazione fiscale e contributiva negli accordi); art. 74-83 (Concordato minore); art. 80 (meritevolezza e buona fede nel concordato minore); art. 84-120 (Concordato preventivo: definizione continuità, atti in frode ai creditori, classi, omologazione anche in caso di voto negativo Fisco ex art. 109); art. 121-270 (Liquidazione Giudiziale, ex fallimento); art. 2086 c.c. comma 2 (obbligo assetti adeguati e attivazione strumenti crisi, introdotto da art. 375 CCII); art. 2476 c.c. (responsabilità amministratori S.r.l. verso soci/terzi); art. 2485-2486 c.c. (obblighi dopo perdita capitale e criteri di quantificazione danno da aggravamento, come modificati da art. 378 CCII); art. 2409 c.c. (intervento tribunale per gravi irregolarità di gestione su istanza sindaci o soci); art. 2467 c.c. (postergazione finanziamenti soci in S.r.l.). Testo vigente disponibile su portali normativi (es. Brocardi.it, Gazzetta Ufficiale).
  • Legge Fallimentare previgente – R. D. 16 marzo 1942, n. 267 (applicabile ai procedimenti iniziati prima del 15 luglio 2022). Rilevante per principi generali tuttora validi: art. 160 (richiesta di percentuale minima 20% in concordato liquidatorio, poi ripreso nel CCII art. 84); art. 168 (automatic stay nel concordato preventivo) – base del corrispondente art. 54 CCII; art. 182-ter (transazione fiscale nella L.F., ora integrata nel CCII); art. 67 (atto in frode ai creditori e atti esenti da revocatoria, inclusi piani attestati); art. 146 (azione di responsabilità del curatore contro amministratori); art. 217-bis (esdebitazione dell’imprenditore onesto post-fallimento, introdotta nel 2006, concetto ripreso nel CCII con automatismo). Spunti giurisprudenziali richiamati nel testo si basano su principi consolidati della L.F. applicabili anche sotto CCII.
  • Decreto Legge 118/2021, conv. da L. 147/2021 – Introduzione Composizione negoziata della crisi e concordato semplificato (artt. 2-17 D.L. 118 confluiti nel CCII; art. 18 D.L. 118 originario ha introdotto concordato semplificato, ora art. 25-sexies CCII). Questo decreto ha anticipato al 2021 l’entrata in vigore degli strumenti di allerta esterna (poi trasfusi nell’art. 25-novies CCII) e creato la piattaforma per la composizione negoziata. Rilevante per comprendere l’evoluzione normativa citata nel testo (es. cenno alle FAQ MEF sul “concordato biennale” in ambito fiscale, misure poi coordinate con i correttivi).
  • D.Lgs. 83/2022 (Correttivo-bis) – Ha attuato la Direttiva UE 2019/1023 sulle ristrutturazioni e insolvenza. Principali novità recepite: introduzione del concordato semplificato post composizione negoziata (art. 25-sexies CCII); riorganizzazione della composizione negoziata (esclusione accesso a chi ha già procedure concorsuali pendenti); disciplina sull’estensione degli accordi di ristrutturazione ai creditori dissenzienti (cram down per classi); precisazioni sul trattamento paritario del Fisco (eliminato il privilegio assoluto IVA in concordati) ecc. Citate nel testo come “correttivo 2022” per spiegare nuovi istituti.
  • D.Lgs. 13/2024 (attuazione L. 118/2022 delega fiscale) – Ha introdotto il concordato fiscale biennale per gli anni d’imposta 2023-2024: una sorta di accordo preventivo con il Fisco per PMI e forfettari, che congelando per due anni il reddito d’impresa garantisce certezza fiscale. Rilevante nel contesto perché consente a microimprese di avere uno scudo fiscale temporaneo; inoltre in caso di adesione, la normativa consente di includere anche tributi locali in falcidia (in deroga). Aggiornato poi da D.Lgs. 81/2025 per estendere al biennio successivo. Accennato tra le fonti per completezza. (Vedi anche Ministero Economia, FAQ concordato biennale del 8/10/2024, che chiarisce aspetti operativi).
  • D.Lgs. 136/2024 (Terzo correttivo CCII) – Entrato in vigore il 28 settembre 2024. Ha apportato chiarimenti e modifiche importanti: formalmente estesa la transazione fiscale e contributiva anche alla composizione negoziata (introdotto art. 23 comma 2-bis CCII) ; potenziate le misure premiali per chi ricorre tempestivamente (aumento possibili rate da 72 a 120 per transazioni tributi, riduzione sanzioni) (art. 25-bis CCII); introdotto principio di parità trattamento relativa per crediti fiscali (il Fisco non può ricevere meno in percentuale degli altri chirografari, salvo giustificazione) per evitare piani squilibrati; varie norme di coordinamento sul concordato nella liquidazione giudiziale (possibilità di cram-down fiscale anche nel concordato proposto in fallimento) e chiarimenti su rapporti con procedure di lavoro. Ha di fatto recepito gli orientamenti giurisprudenziali più avanzati (es. ha confermato per legge la possibilità di omologa forzosa fiscale che già Cass. ottobre 2024 aveva sancito). Citato diffusamente nel testo: es. allerta estesa a tributi locali ancora in delega; transazione fiscale in CNC; misure premiali.
  • Legge Delega 21 aprile 2023 n. 111 – Delega al Governo per ulteriori riforme in materia di insolvenza (recepimento direttiva UE 2021/2167 su crediti deteriorati e altri aggiustamenti). In particolare delega a includere i tributi locali nelle transazioni della crisi (non attuata a ottobre 2025) , e altre eventuali misure di raccordo. Citata nel testo in tema di tributi locali nella transazione.
  • Codice Civile (rilevanti per crisi d’impresa): art. 2086 co.2 (obbligo assetti adeguati e attivarsi per superare crisi) ; art. 2257, 2380-bis, 2475 c.c. (doveri amministratori di gestione, richiamati per obblighi assetti); art. 2394 c.c. (azione dei creditori sociali verso amministratori SPA per insufficienza patrimonio); art. 2476 c.c. (azione diretta soci/terzi vs amministratori SRL per danni) ; art. 2485-2486 c.c. (obblighi in caso di perdita capitale oltre soglie, e divieto di aggravare dissesto, con presunzione danno introdotta da art. 378 CCII) ; art. 2497 c.c. (responsabilità da direzione e coordinamento, per gruppi d’imprese); art. 2560 c.c. (debiti azienda ceduta: acquirente risponde se risultanti da libri contabili) ; art. 2641 c.c. (reato di false comunicazioni sociali in danno società/creditori). Questi articoli sono menzionati nel contesto di doveri e responsabilità degli amministratori e cessione d’azienda.
  • Normativa fiscale e contributiva: D.P.R. 602/1973 art. 14 (obbligo verifica carichi fiscali >5k per PA prima di pagare creditori, e responsabilità solidale acquirente d’azienda per debiti fiscali risultanti da certificato) ; art. 36 D.P.R. 602/73 (responsabilità liquidatore per debiti fiscali non soddisfatti in liquidazione volontaria – base di possibili azioni verso amministratori liquidatori); D.Lgs. 74/2000 art. 10-bis e 10-ter (reati di omesso versamento ritenute >€150k e IVA >€250k) ; L. 638/1983 art. 2 (reato omesso versamento contributi INPS >€10k annui, contravvenzione) ; D.L. 124/2019 conv. L.157/2019 (norme su ritenute negli appalti: per evitare frodi, l’appaltatore trattiene e se subappaltatore non versa committente è responsabile – cenno generico nel testo); Legge 3/2012 (vecchia legge sovraindebitamento, per principi sulla falcidiabilità IVA: base delle sentenze Corte Cost. nn. 225/2014 e 245/2019 che hanno dichiarato illegittimo vietare stralcio IVA e sanzioni) ; Circolare Agenzia Entrate 34/E del 29.12.2020 (linee guida su transazione fiscale post DL 125/2020 “Ristori”, conferma criteri valutazione convenienza piani e che durante concordato le sanzioni e interessi non si pagano fino a omologa); Risposta interpello Agenzia Entrate n. 443/2023 (conferma che nella composizione negoziata si possono includere tutti i debiti tributari, anche non a ruolo, con possibilità di piani di pagamento variabili – base normativa D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024) ; Provvedimento Agenzia Entrate 30.1.2023 e 29.1.2024 (procedure interne AdE per gestione transazione fiscale nella composizione negoziata, modulistica e coordinamento con misure protettive). Riferimenti utilizzati per inquadrare trattamento fiscale nei piani e responsabilità eventuali di amministratori.
  • Giurisprudenza (selezione):
  • Corte Costituzionale n. 245/2019: ha dichiarato illegittimo l’art. 7, co.1, secondo periodo, L. 3/2012 nella parte in cui escludeva la falcidia dell’IVA e delle ritenute nel concordato minore/piano del consumatore, per contrasto con artt. 3 e 97 Cost. Ha di fatto anticipato la riforma del CCII che consente il trattamento dei tributi “privilegiati assoluti” . Citata come svolta sulla falcidiabilità dell’IVA.
  • Cass. civ. Sez. Unite 22 luglio 2024 n. 20036: questione di giurisdizione: ha stabilito che l’azione di risarcimento danni contro Agenzia Entrate per mancata adesione a concordato con transazione fiscale rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, in quanto l’espressione del voto del Fisco in concordato è atto da creditore privato e non esercizio di potere pubblico . Tuttavia, ha chiarito che l’Agenzia risponde solo se viola la buona fede (implicito). Rilevante per indicare che il Fisco non ha immunità se rifiuta irragionevolmente, ma anche che è difficile imputargli mala fede. Citata indirettamente in tema di cause vs Fisco.
  • Cass. civ. Sez. I 28 ottobre 2024 n. 27782: ordinanza “storica” sul cram-down fiscale nel concordato preventivo. Ha confermato che il tribunale può omologare il concordato preventivo nonostante il voto contrario dell’Erario, se il piano garantisce al Fisco una soddisfazione economica superiore a quella ricavabile dalla liquidazione giudiziale . Di fatto, ha reso operativo l’art. 48 CCII ed eliminato il veto del Fisco in caso di proposta equa. Citata espressamente nel testo come pronuncia di riferimento. (V. anche Studio Bonanni, art. cit. in fonti secondarie) .
  • Cass. civ. Sez. I 24 dicembre 2024 n. 34377: in materia di accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis/ CCII art. 63, ha chiarito il coordinamento dei termini di adesione del Fisco (90 giorni dalla pubblicazione dell’accordo) con quello di eventuale opposizione di creditori. Ha inoltre confermato che, fino all’omologazione, il debitore che ha presentato un accordo di ristrutturazione non può effettuare pagamenti preferenziali a creditori pubblici, analogamente al divieto di pagamenti nel concordato (principio di par condicio) . Richiamata per evidenziare che durante trattative/omologa non si devono favorire il Fisco pagando fuori piano.
  • Cass. civ. Sez. Trib. 6 maggio 2024 n. 12174: ha sancito che la presentazione della domanda di concordato preventivo sospende le obbligazioni tributarie rateizzate in corso e impedisce la decadenza dalle dilazioni concesse, e che il debitore in concordato non può essere sanzionato per il mancato pagamento di rate scadute durante la procedura . Ciò tutela il debitore da richieste del Fisco di riprendere i pagamenti durante il concordato e preclude che l’Erario revochi piani rateali per morosità durante il concordato. Citata nel testo come importante tutela per il debitore in procedura.
  • Cass. civ. Sez. I ord. 9 febbraio 2023 n. 4081: di simile tenore alla precedente, ribadendo in via di principio che i pagamenti pregressi sospesi sono atti di straordinaria amministrazione vietati e che la morosità dovuta alla sospensione legale non comporta decadenze. Cita non riportata integralmente per evitare ridondanza, ma concetto incluso.
  • Cass. civ. Sez. I 17 dicembre 2024 n. 32954: riguardo all’accordo di ristrutturazione con transazione fiscale (art. 63 CCII), ha stabilito che per ottenere l’omologazione forzosa (cram-down) sul Fisco è necessario che il debitore abbia raggiunto accordi con i creditori non erariali tali da superare il 60% richiesto; non è ammissibile chiedere cram-down fiscale se non c’è la maggioranza di base con altri creditori . Citata per chiarire che serve comunque consenso maggioritario di altri per forzare il Fisco.
  • Cass. pen. Sez. III 5 dicembre 2024 n. 44519: in ambito penale tributario, ha stabilito che in caso di condanna per omesso versamento IVA, se interviene un accordo di ristrutturazione (182-bis) che riduce il debito IVA, l’ammontare della confisca per equivalente (pari all’IVA evasa) deve essere ridotto proporzionalmente . Riconosce l’impatto delle procedure concorsuali sul piano penale, incentivando il pagamento parziale come circostanza attenuante reale (riduzione della confisca). Citata per evidenziare un beneficio concreto sul piano penale derivante dal risanamento.
  • Cass. civ. Sez. I 15 novembre 2025 n. 30174: (ipotetica, data futura, ma inclusa nel testo del blog ponteggi) – in tema di pegno irregolare su somme e revocatoria fallimentare, ha affermato che se il pegno bancario su saldo di conto dava facoltà di immediata appropriazione alla banca, allora la banca che ha soddisfatto il proprio credito incamerando quel saldo non subisce revocatoria ex art. 67 L.F. (conferma che un pegno irregolare ben costituito è esente da revoca). Riferimento a caso di banca che evitò revoca rimesse grazie a pegno. Citata tramite parafrasi per sostenere la tesi sull’efficacia del pegno irregolare.
  • Tribunale di Ferrara 4 luglio 2023: in procedura di concordato minore, ha negato l’omologazione ritenendo obbligo per il debitore di mettere a disposizione tutto il patrimonio e valutando il piano inaffidabile perché il debitore aveva accumulato debiti fiscali per gestione negligente. Ha sottolineato i criteri di art. 80 CCII su fattibilità e meritevolezza, richiamando anche Cass. 2963/2024 sulla necessità di una prognosi favorevole seria. Citata nel testo come esempio di rigore nella valutazione del concordato minore (caso di meritevolezza negata) .
  • Tribunale di Monza 8 maggio 2025: su concordato minore, ha ritenuto atto in frode ai creditori (art. 77 CCII) l’aver manipolato informazioni patrimoniali e movimentato liquidità per sottrarre garanzie ai creditori; conseguenza: proposta dichiarata inammissibile . Usato come esempio che tentare di “fregare” i creditori in procedura porta al fallimento diretto.
  • Tribunale di Milano 25 settembre 2025: in opposizione allo stato passivo di un fallimento, ha confermato l’applicabilità dei principi di verifica dei crediti ex art. 201 CCII e affermato che l’estratto di ruolo esattoriale è documento sufficiente per ammettere un credito tributario al passivo (ma non con privilegio prededucibile). Ha anche ribadito che in sede di verifiche tardive non è ammesso mutare la causa della domanda (immutatio libelli). Questo riferimento appare nell’articolo come uno degli ultimi bullet delle fonti giurisprudenziali, poco rilevante per la guida pratica e omesso nel testo.
  • Protocollo Tribunale/Procura Spoleto 17 ottobre 2025: linee guida cooperative tra tribunale e procura su emersione tempestiva crisi e contrasto reati economici. Conferma importanza del coordinamento tra segnalazioni (dall’OCRI) e vigilanza su condotte illecite. Non giurisprudenza ma prassi. Incluso nelle fonti giurisprudenziali come best practice (segno che territorio e autorità collaborano per prevenire abusi). Non citato nel testo principale.

La tua azienda che vende, noleggia, ripara o distribuisce carrelli elevatori, forklift elettrici e diesel, stoccatori, transpallet elettrici, carrelli retrattili, frontali, AGV/AMR, batterie trazione, ricambi e manutenzione, oggi è schiacciata dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua azienda che vende, noleggia, ripara o distribuisce carrelli elevatori, forklift elettrici e diesel, stoccatori, transpallet elettrici, carrelli retrattili, frontali, AGV/AMR, batterie trazione, ricambi e manutenzione, oggi è schiacciata dai debiti?
Ricevi solleciti, richieste di rientro, blocchi dei fornitori, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, finanziarie, fornitori di ricambi o Agenzia Entrate-Riscossione?

Il settore dei carrelli elevatori è tra i più complessi e costosi:
• macchine molto care da acquistare o importare,
• batterie e ricambi che richiedono grosse disponibilità di magazzino,
• assistenza tecnica impegnativa,
• clienti che pagano tardi,
• leasing e finanziamenti pesanti da sostenere.

La liquidità può saltare da un mese all’altro.

La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se agisci subito e con un piano efficace.


Perché un’Azienda di Carrelli Elevatori va in Debito

  • aumento dei costi di macchine, batterie, elettroniche, ricambi e gomme
  • pagamenti lenti da parte di logistiche, aziende produttive, GDO e magazzini
  • magazzino immobilizzato tra carrelli usati, ricambi, batterie, accessori
  • costi elevati di officina, manutenzione, diagnosi e assistenza mobile
  • leasing e finanziamenti pesanti da rientrare
  • riduzione o revoca dei fidi bancari
  • concorrenza intensa che comprime i margini

Nel 90% dei casi, il problema non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi se Non Intervieni Subito

  • pignoramento dei conti correnti aziendali
  • blocco dei fidi e revoche improvvise
  • sospensione delle forniture di ricambi e batterie
  • atti esecutivi, decreti ingiuntivi, precetti
  • sequestro di carrelli, magazzino e attrezzature
  • impossibilità di rispettare contratti di noleggio e assistenza
  • perdita dei clienti più importanti e dei contratti ricorrenti

Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato specializzato può:

  • sospendere pignoramenti in corso
  • fermare richieste urgenti di rientro
  • proteggere conti correnti e flussi di cassa
  • bloccare le azioni dell’Agenzia Riscossione

Mettere in sicurezza l’azienda è la priorità.


2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti

In moltissimi casi emergono:

  • interessi non dovuti
  • sanzioni irregolari o gonfiate
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori dell’Agenzia Riscossione
  • commissioni bancarie anomale

Una parte consistente dell’esposizione può essere tagliata o cancellata.


3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile

Strumenti immediati:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi con fornitori strategici (ricambi, batterie, gomma)
  • rinegoziazione dei fidi bancari
  • sospensione temporanea dei pagamenti
  • uso delle definizioni agevolate

L’obiettivo è ristabilire respiro finanziario.


4. Attivare strumenti legali che bloccano TUTTI i creditori

Nei casi più critici puoi ricorrere a:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • Accordi di Ristrutturazione dei Debiti
  • Concordato Minore
  • (nei casi estremi) Liquidazione Controllata

Questi strumenti permettono all’azienda di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti, mentre tutte le azioni aggressive vengono sospese.


Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo

Per salvare un’azienda del settore movimentazione/logistica servono competenze specifiche e avanzate.
L’Avv. Monardo è:

  • Avvocato Cassazionista
  • Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

È il professionista ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende che lavorano con carrelli elevatori, transpallet e sollevamento industriale.


Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo

  • analisi immediata della tua esposizione debitoria
  • blocco urgente dei pignoramenti
  • riduzione dei debiti non dovuti
  • ristrutturazione del debito con un piano realmente sostenibile
  • protezione di carrelli, batterie, ricambi e officina
  • trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • tutela completa dell’azienda e dell’amministratore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di carrelli elevatori non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, mirata e completamente legale, puoi:

  • fermare subito i creditori,
  • ridurre davvero i debiti,
  • salvare manutenzioni, noleggi, vendite e clienti,
  • proteggere il futuro della tua impresa.

Agisci adesso.

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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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