Azienda Di Termosigillatrici Industriali Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se la tua azienda produce, importa o distribuisce termosigillatrici industriali, saldatrici automatiche e semiautomatiche, sigillatrici per packaging alimentare, medicale o industriale, ricambi tecnici, resistenze, teflonature, sensori e componenti elettronici, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale intervenire subito per evitare blocchi produttivi e perdita di clienti strategici.

Nel settore del packaging termico, anche un ritardo minimo può bloccare linee di confezionamento, creare fermi macchine, generare penali e causare perdita immediata di contratti.

Perché le aziende di termosigillatrici industriali accumulano debiti

  • aumento dei costi di resistenze, motori, elettronica, teflon, ricambi e materiali speciali
  • rincari di componenti importati e shortage di parti elettroniche
  • pagamenti lenti da parte di industrie alimentari, farmaceutiche, cosmetiche e integratori di linea
  • ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
  • magazzini complessi con resistenze, sensori, schede e componentistica delicata
  • difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli produttivi
  • investimenti elevati in collaudi, R&D, aggiornamenti software e sicurezza

Cosa fare subito

  • far analizzare da un professionista l’intera posizione debitoria
  • individuare debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
  • evitare piani di rientro troppo onerosi che prosciugano la liquidità
  • chiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
  • proteggere fornitori strategici e materiali critici per la produzione
  • utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza fermare la produzione

I rischi se non intervieni tempestivamente

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco delle forniture di componenti indispensabili (resistenze, sensori, schede)
  • impossibilità di effettuare manutenzioni, collaudi o consegne
  • perdita di clienti industriali e contractor del packaging
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Come può aiutarti l’Avvocato Monardo

Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina un team nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
  • iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

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  • bloccare pignoramenti e atti esecutivi
  • ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti legali più efficaci
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  • proteggere materiali, componenti, ricambi, macchinari e continuità operativa
  • evitare la chiusura e accompagnare la tua azienda verso un vero risanamento

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Introduzione

Le aziende produttrici di termosigillatrici industriali – macchinari utilizzati per sigillare termicamente imballaggi, spesso impiegati nei settori alimentare, farmaceutico e del packaging – rappresentano un comparto di eccellenza nell’industria meccanica italiana. Queste imprese, per la natura tecnica dei loro prodotti, affrontano cicli produttivi lunghi e costosi, con investimenti elevati in ricerca, sviluppo e attrezzature specializzate. Operano talvolta su commessa, fornendo macchinari su misura per grandi clienti, e possono essere esposte a ritardi nei pagamenti o cancellazioni di ordini. In anni recenti, l’aumento dei costi delle materie prime e dei componenti elettronici, nonché la concorrenza internazionale, hanno ulteriormente ridotto i margini. La combinazione di investimenti iniziali elevati, complessità contrattuali e tempi di incasso prolungati rende queste aziende vulnerabili sul piano finanziario. Se sopraggiungono crisi economiche generali (ad es. recessioni o pandemie) o shock specifici (come il repentino rialzo dei tassi d’interesse), è frequente che anche imprese solide si trovino a fronteggiare debiti significativi verso fornitori, banche, fisco e dipendenti.

Questa guida, redatta con un taglio giuridico‐divulgativo e aggiornata ad ottobre 2025, fornisce a imprenditori, professionisti e avvocati uno strumento di orientamento avanzato sulle strategie legali per affrontare la crisi d’impresa nel settore delle termosigillatrici industriali. Verranno analizzate le procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza previste dall’ordinamento italiano – in particolare dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) – e le possibili azioni di difesa che un’azienda indebitata può intraprendere per tutelare la continuità aziendale o, se necessario, per gestire un’uscita ordinata dal mercato. La trattazione adotta il punto di vista del debitore (la società in crisi), illustrando come prevenire il dissesto, come gestire i rapporti con i creditori (privati e pubblici) e con le istituzioni, quali strumenti giuridici utilizzare per ristrutturare i debiti e quali condotte evitare per non incorrere in responsabilità civili o penali personali.

L’approfondimento è basato su fonti normative e giurisprudenziali aggiornate, con particolare attenzione alle novità introdotte dai più recenti interventi legislativi (incluso il D.Lgs. 136/2024, cd. Correttivo-ter del Codice della crisi ) e alle pronunce della Corte di Cassazione degli anni 2024-2025. Nel corso della guida saranno incluse tabelle riepilogative, domande e risposte frequenti (FAQ) sui dubbi più comuni, nonché simulazioni pratiche di scenari tipici per le aziende di termosigillatrici in difficoltà. In fondo al documento è presente una sezione con i riferimenti normativi e le sentenze più autorevoli citate. L’obiettivo è offrire un quadro completo e avanzato – ma al contempo comprensibile – delle vie legali percorribili per un’azienda indebitata, sia nell’ottica di un risanamento con prosecuzione dell’attività, sia nella prospettiva di una liquidazione ordinata che minimizzi i rischi per l’imprenditore.

1. Inquadramento normativo: dal fallimento al Codice della crisi

1.1 L’evoluzione della disciplina: dalla legge fallimentare al CCII

Per decenni, la gestione delle crisi d’impresa in Italia è stata regolata dalla vecchia legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267). Essa prevedeva principalmente la procedura di fallimento (liquidazione giudiziale dei beni del debitore insolvente) e pochi strumenti di composizione negoziale (es. il concordato preventivo in una forma molto limitata). A partire dal 2005, una serie di riforme parziali ha modernizzato il sistema introducendo nuove soluzioni: il concordato preventivo con continuità aziendale (per favorire il risanamento delle imprese in esercizio), gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati dal tribunale (art. 182-bis L.F.) e i piani attestati di risanamento (art. 67 L.F.), tra gli altri. Tuttavia, fino a pochi anni fa la struttura portante restava quella di una normativa emergenziale plasmata su un’economia del dopoguerra.

Nel 2019 il legislatore ha operato una svolta epocale emanando il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) con il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 . L’intento dichiarato era di raccogliere in un testo unico organico tutte le procedure concorsuali e, soprattutto, di introdurre strumenti innovativi di prevenzione e gestione precoce della crisi. L’entrata in vigore del Codice, inizialmente fissata per agosto 2020, è stata posticipata più volte (anche a causa della pandemia) fino alla data definitiva del 15 luglio 2022 . Da quel momento, la nuova normativa ha sostituito integralmente la legge fallimentare del 1942 , mandando “in pensione” perfino il termine stesso di fallimento (ora ridenominato liquidazione giudiziale nel linguaggio giuridico ). Le procedure avviate prima di luglio 2022 restano soggette alle vecchie regole, ma per tutte le nuove situazioni si applica il CCII.

Il Codice della crisi rappresenta una riforma strutturale ispirata anche ai principi della Direttiva UE 2019/1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva . Tra gli aspetti più innovativi si segnalano: (i) l’introduzione di obblighi organizzativi a carico degli imprenditori per rilevare tempestivamente gli indizi di crisi e attivarsi per tempo (cfr. art. 3 CCII e art. 2086 c.c., v. infra); (ii) un approccio che privilegia le procedure volte a consentire la prosecuzione dell’attività in continuità aziendale rispetto a quelle meramente liquidatorie ; (iii) la previsione di strumenti negoziali stragiudiziali o ibridi che permettono di evitare l’ingresso immediato in una procedura concorsuale pubblica, quali la composizione negoziata della crisi (strumento volontario e confidenziale) e vari tipi di accordi con i creditori omologati senza dover ricorrere al fallimento.

Successivamente, il CCII è stato oggetto di alcuni interventi correttivi per perfezionarne il funzionamento. In particolare, il Governo ha emanato tre decreti legislativi integrativi nel 2020, 2022 e 2024. L’ultimo in ordine di tempo è il D.Lgs. 27 settembre 2024, n. 136 (c.d. Correttivo-ter), in vigore dal 28 settembre 2024, che ha affinato diverse parti del Codice . Tra le modifiche più rilevanti per le imprese vi sono: l’ampliamento dell’accesso alla composizione negoziata e chiarimenti sui poteri dell’esperto; il potenziamento degli obblighi di segnalazione dei creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS) per far emergere precocemente situazioni di insolvenza; la semplificazione del procedimento unitario di accesso alle varie procedure; miglioramenti alla disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti (in particolare introducendo gli accordi agevolati al 30% e il meccanismo del cram-down sull’Erario) e al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO); nonché innovazioni nel concordato preventivo (es. meglio definito l’istituto del concordato semplificato liquidatorio ex art. 25-sexies CCII, di cui diremo oltre).

In sintesi, il quadro normativo attuale (2025) offre un ventaglio di strumenti molto più ampio rispetto al passato, con l’obiettivo di favorire il risanamento delle imprese in difficoltà ove possibile, ovvero di gestirne la liquidazione in modo ordinato e rapido quando il salvataggio non è fattibile. Nei paragrafi seguenti esamineremo dapprima le diverse tipologie di debiti che possono gravare su un’azienda manifatturiera come una produttrice di termosigillatrici, evidenziando i relativi rischi. Quindi passeremo in rassegna le strategie di ristrutturazione del debito, sia in via stragiudiziale che attraverso gli strumenti concorsuali previsti dal CCII (composizione negoziata, piani attestati, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo, ecc.). Dedicheremo poi attenzione alle responsabilità dell’organo amministrativo, incluse le possibili conseguenze penali (es. bancarotta) in caso di gestione illecita della crisi. Infine, saranno proposte simulazioni pratiche di casi aziendali tipici, alcuni schemi di atti utili e una sezione FAQ con le domande più frequenti sul tema.

1.2 Obblighi di allerta interna e doveri degli amministratori nella crisi

Uno dei pilastri del nuovo approccio introdotto dal Codice della crisi è il concetto che la prevenzione è la miglior difesa. Il legislatore ha imposto agli imprenditori (soprattutto a quelli organizzati in forma societaria) di dotarsi di assetti organizzativi adeguati a rilevare segnali di difficoltà e ad agire tempestivamente. L’art. 2086 del Codice Civile, come modificato dal D.Lgs. 14/2019, stabilisce che l’imprenditore collettivo ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e dimensione dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della salvaguardia della continuità aziendale . In parallelo, l’art. 2475 c.c. affida agli amministratori la responsabilità esclusiva di attuare tali assetti , mentre l’organo di controllo (sindaci o revisori) deve vigilare sul loro adeguato funzionamento (art. 2403 c.c.) . La mancata adozione di assetti adeguati è oggi considerata a tutti gli effetti una grave irregolarità gestionale: diverse pronunce di merito hanno disposto la revoca giudiziaria di amministratori inadempienti su questo fronte , e la Cassazione ha chiarito che tale omissione non rientra nella business judgment rule (cioè non è una scelta discrezionale insindacabile, bensì una violazione di legge) .

Il CCII, all’art. 3, elenca specifici indicatori di allerta che segnalano lo stato di crisi e dovrebbero spingere gli amministratori ad attivarsi senza indugio. Tra questi: ritardi di oltre 30 giorni nel pagamento di stipendi per un ammontare superiore alla metà del monte salari mensile; debiti verso fornitori scaduti da oltre 90 giorni di importo superiore ai debiti non scaduti; esposizioni verso banche scadute da oltre 60 giorni per più del 5% del totale; e segnali dai creditori pubblici (Agenzia Entrate, INPS) quali il superamento di determinate soglie di debito fiscale o contributivo . Se tali indizi si manifestano, l’imprenditore è tenuto ad attivarsi prontamente, con l’ausilio di professionisti, per valutare le possibili soluzioni. Lo stesso Codice prevede che alcuni creditori pubblici (creditori pubblici qualificati) debbano inviare segnalazioni all’impresa debitrice al superamento di certe soglie di esposizione, invitandola a prendere misure per regolamentare la crisi (ad esempio, ricorrere alla composizione negoziata). Questo sistema di early warning – in parte modificato e reso meno “invasivo” rispetto al progetto originario di procedura di allerta poi accantonato – riflette l’idea che intervenire precocemente possa evitare il tracollo e massimizzare le chance di risanamento.

Dal punto di vista civilistico, quando la società versa in condizione di patrimonio netto negativo o comunque si verifica una causa di scioglimento (es. perdita di oltre 1/3 del capitale sociale nelle S.r.l. ex art. 2482-ter c.c. o nelle S.p.A. ex art. 2447 c.c.), gli amministratori assumono precisi obblighi di condotta. Devono limitare la gestione agli atti conservativi, evitando nuove operazioni che aggravino il passivo, e procedere senza indugio a informare i soci e, se del caso, attivare una procedura concorsuale o la liquidazione. L’art. 2486 c.c. comma 1 espressamente dispone che dal verificarsi di una causa di scioglimento e sino alla liquidazione, gli amministratori operano solo ai fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale . In caso di violazione di questo dovere (ad esempio proseguendo l’attività d’impresa “come se nulla fosse” nonostante il capitale azzerato), essi possono essere chiamati a rispondere dei danni causati. Il novellato art. 2486 c.c. comma 2 infatti li rende personalmente e solidalmente responsabili verso la società, i creditori e i terzi per gli atti o le omissioni compiuti in violazione delle finalità conservative .

Degno di nota è che la riforma ha introdotto un criterio facilitato per quantificare tali danni. L’art. 2486 c.c. comma 3 (introdotto dall’art. 378 CCII) stabilisce che, accertata la responsabilità degli amministratori, salvo prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data della cessazione degli amministratori (o all’apertura della procedura concorsuale) e il patrimonio netto alla data in cui si è verificata la causa di scioglimento, depurati i costi della gestione ordinaria nel frattempo . Se le scritture contabili mancano o sono inattendibili, il danno è quantificato nella differenza tra l’attivo e il passivo accertati nella procedura concorsuale . In altre parole, la legge presume come danno l’aggravamento del dissesto occorso durante la “continuazione indebita” dell’attività. Questo meccanismo alleggerisce l’onere probatorio a carico del curatore o dei creditori che agiscono contro gli amministratori, in quanto non serve provare nel dettaglio ogni atto dannoso: è sufficiente dimostrare che gli amministratori hanno protratto l’attività dopo il momento in cui avrebbero dovuto liquidare, e sarà poi loro onere (difficile) dimostrare che ciò non ha aggravato il dissesto. La giurisprudenza ha confermato l’applicabilità anche ai giudizi tuttora pendenti di questo criterio presuntivo, ritenendolo norma sostanziale di immediata applicazione in quanto attuativa di principi già presenti (es. Cass. civ. sez. I, 20 aprile 2023, n.11041) .

Infine, va ricordato che in uno scenario di crisi conclamata i doveri fiduciari degli amministratori subiscono un’evoluzione: ai sensi dei principi introdotti dalla citata Direttiva UE e recepiti nell’ordinamento, quando è probabile l’insolvenza essi devono orientare le scelte nell’ottica prioritaria di tutelare gli interessi dei creditori e non più soltanto dei soci . Ciò significa, ad esempio, evitare qualsiasi operazione che possa pregiudicare la par condicio creditorum o causare ulteriore detrimento ai creditori (come pagare in via preferenziale taluni creditori a scapito di altri, occultare attivi, ecc.). Ignorare questi obblighi espone gli amministratori non solo all’azione civile di responsabilità, ma – come vedremo – anche a possibili imputazioni penali (in primis il reato di bancarotta).

2. Tipologie di debiti e rischi per un’impresa di termosigillatrici

Le imprese che producono termosigillatrici industriali operano spesso in filiere complesse e interdipendenti: acquistano componenti meccanici, elettronici e materiali da fornitori specializzati, talvolta importandoli; impiegano personale tecnico qualificato; vendono i macchinari a clienti che possono essere grandi aziende alimentari, logistiche o farmaceutiche, sia in Italia sia all’estero, con formule di pagamento dilazionato. Ne consegue che la loro posizione finanziaria può vedere varie forme di indebitamento. Le tipologie di debiti che più frequentemente gravano su tali imprese includono:

  • Debiti verso banche e intermediari finanziari: derivanti da finanziamenti per l’acquisto di materie prime e componenti, da mutui per i capannoni o i macchinari di produzione, da leasing su impianti industriali o dal fido in conto corrente per anticipo fatture. In periodi di tassi d’interesse crescenti, gli oneri finanziari possono diventare molto onerosi, comprimendo la liquidità dell’azienda . La revoca improvvisa di linee di credito (ad esempio per rating peggiorato) può a sua volta innescare una crisi di liquidità.
  • Debiti verso fornitori: nascono dall’acquisto di pezzi, materiali (es. acciaio, componenti elettronici) e servizi (progettazione, subfornitura) necessari alla produzione delle termosigillatrici. Spesso l’azienda produttrice paga i fornitori a 60-90 giorni, confidando di incassare nel frattempo dai propri clienti. Tuttavia, ritardi nei pagamenti da parte dei committenti (ad es. se il cliente finale dilaziona oltre il previsto o insolvenze a monte) generano insoluti verso i fornitori . I fornitori insoddisfatti potrebbero sospendere le forniture essenziali o agire legalmente per recuperare i crediti.
  • Debiti tributari: comprendono in primis l’IVA sulle vendite, le imposte dirette sui redditi (IRES/IRPEF) e l’IRAP, oltre a tributi locali. In situazioni di difficoltà finanziaria, l’imprenditore può essere tentato di omettere alcuni versamenti fiscali per far fronte ad altre spese urgenti (stipendi, fornitori). Tuttavia l’omesso versamento di IVA o di ritenute fiscali oltre determinate soglie costituisce reato tributario (cfr. art. 10-bis e 10-ter D.Lgs. 74/2000) . Ad esempio, il mancato versamento dell’IVA per importi superiori a €250.000 per periodo d’imposta integra un reato punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni , salvo che il debito sia successivamente regolarizzato. Inoltre, su tutti i debiti fiscali maturano sanzioni amministrative e interessi, e l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate–Riscossione) può attivare procedure esecutive (fermi amministrativi, ipoteche, pignoramenti) mettendo a rischio i beni aziendali e la continuità operativa.
  • Debiti previdenziali e verso enti assistenziali: riguardano i contributi obbligatori dovuti all’INPS per i dipendenti e i contributi assicurativi all’INAIL. La mancata regolarità contributiva comporta sanzioni e, soprattutto, l’impossibilità di ottenere il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva). Un DURC irregolare impedisce all’azienda di partecipare a gare d’appalto pubbliche e può portare alla sospensione di lavori in corso, con grave danno reputazionale e finanziario . Inoltre, il mancato versamento di contributi previdenziali trattenuti ai dipendenti (es. contributi INPS a carico del lavoratore) oltre una certa soglia è anch’esso sanzionato penalmente.
  • Debiti verso i lavoratori: includono retribuzioni arretrate, ratei di tredicesima o quattordicesima non corrisposti, TFR (trattamento di fine rapporto) maturato e non versato alle casse previdenziali, ecc. Questi crediti dei dipendenti godono per legge di privilegio generale sui beni mobili dell’impresa e di privilegio speciale sugli immobili destinati all’azienda (per gli ultimi tre mesi di retribuzioni) in caso di insolvenza. Inoltre, in caso di fallimento o liquidazione giudiziale, interviene il Fondo di Garanzia INPS a pagare ai lavoratori i salari non percepiti e il TFR, surrogandosi poi nelle pretese verso l’azienda. Un accumulo di stipendi non pagati può portare a dimissioni per giusta causa, vertenze di lavoro e decreti ingiuntivi individuali. Sul piano penale, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali (i contributi trattenuti al dipendente) oltre €10.000 annui configura reato (art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983 conv. L. 638/1983).
  • Debiti verso la Pubblica Amministrazione per forniture o contratti: se l’azienda di termosigillatrici ha contratti con enti pubblici (es. fornitura di macchinari a ASL, ecc.), potrebbe trovarsi a dover pagare penali contrattuali per ritardi o inadempimenti, oppure a rimborsare anticipazioni in caso di risoluzione contrattuale. Inoltre, le cauzioni prestate su appalti pubblici potrebbero essere escusse generando ulteriore indebitamento. Questi debiti verso la PA sono meno comuni ma comunque possibili (pensiamo a contenziosi su collaudi di macchinari difettosi, ecc.).

È fondamentale che il debitore mappi con precisione tutte le posizioni debitorie, distinguendo tra debiti a breve termine (che richiedono immediata liquidità) e debiti a medio-lungo termine. L’analisi dello stato di crisi deve considerare non solo i debiti ma anche i crediti esigibili (per esempio i crediti verso clienti per macchine già consegnate o lavori fatti) e valutarne la probabilità di incasso. Spesso, infatti, il ritardo di pagamento da parte di uno o due grandi clienti può essere la causa scatenante della crisi di un produttore di termosigillatrici; recuperare quei crediti (anche tramite azioni legali se necessario) può essere parte della soluzione.

2.1 Conseguenze dell’inadempimento e azioni esecutive dei creditori

Il mancato pagamento dei debiti sopra elencati può innescare una serie di reazioni a catena, aggravando rapidamente la crisi dell’impresa. I principali rischi ed effetti dell’inadempimento comprendono:

  • Decreti ingiuntivi e pignoramenti: i creditori commerciali (fornitori, banche) possono ottenere dal tribunale un decreto ingiuntivo per i crediti non pagati; se l’azienda non salda entro i termini (40 giorni dall’ingiunzione, salvo opposizione), si passa all’esecuzione forzata. I beni aziendali – macchinari, automezzi, merci in magazzino – possono essere pignorati e venduti all’asta . Il pignoramento di macchinari vitali (come le apparecchiature CNC o le termosaldatrici stesse) può paralizzare la produzione. Anche i conti correnti aziendali possono essere pignorati, congelando la liquidità. La sola notifica di un atto di pignoramento spesso spinge altri creditori a muoversi per timore di restare indietro, innescando una “corsa al patrimonio” che accelera il dissesto.
  • Ipoteca legale e fermi amministrativi: l’Agenzia delle Entrate–Riscossione, in presenza di cartelle esattoriali non pagate, ha il potere di iscrivere ipoteca sugli immobili dell’azienda a garanzia dei crediti tributari (art. 77 D.P.R. 602/1973). Inoltre può disporre fermi amministrativi sui veicoli aziendali (impedendone la circolazione) e successivamente procedere a espropriazione degli stessi. Tali misure cautelari (ipoteche e fermi) vengono spesso attuate al superamento di determinate soglie di debito e costituiscono un serio ostacolo: l’ipoteca complica eventuali rinegoziazioni con le banche o vendite di immobili, mentre il fermo di un furgone o camion aziendale ne impedisce l’utilizzo nella consegna dei macchinari.
  • Revoca dei fidi e segnalazioni in Centrale Rischi: una volta che l’azienda inizia a non pagare le rate di finanziamenti o gli scoperti di conto, le banche normalmente revocano le linee di credito ancora attive e classificano l’esposizione come “incaglio” o “sofferenza” nella Centrale dei Rischi di Banca d’Italia. La revoca improvvisa dei fidi bancari (anticipi fatture, castelletto SBF, ecc.) sottrae all’impresa la liquidità di rotazione necessaria alla gestione corrente . Inoltre la segnalazione a sofferenza pregiudica la reputazione creditizia, rendendo impossibile ottenere nuovi finanziamenti da qualunque istituto (tutte le banche vedono la posizione CR). Si crea dunque un credit crunch che spesso precipita l’azienda in insolvenza conclamata.
  • Sospensione del DURC e interdizioni: come accennato, il mancato pagamento di contributi e premi assicurativi determina l’irregolarità del DURC. Questo ha conseguenze specialmente per chi lavora con la Pubblica Amministrazione: un appalto può essere sospeso o revocato se l’azienda perde la regolarità contributiva in corso d’opera . Inoltre, non potrà partecipare ad altre gare fino a regolarizzazione. Anche alcuni grandi committenti privati richiedono contrattualmente il DURC regolare dei fornitori: l’irregolarità può far scattare penali o risoluzioni contrattuali.
  • Azioni giudiziarie individuali dei lavoratori: se stipendi e TFR non vengono pagati, i dipendenti possono adire il giudice del lavoro ottenendo ingiunzioni immediate (provvisoriamente esecutive) e pignorare a loro volta conti o beni. In caso di dimissioni per giusta causa, potrebbero inoltre chiedere indennità sostitutive. Va notato che i crediti di lavoro hanno priorità assoluta: anche un concordato preventivo, per essere approvato, deve prevedere il pagamento integrale dei crediti per salari e TFR (salvo diversi accordi sindacali) oppure l’intervento del Fondo di garanzia INPS. Quindi debiti verso il personale non facilmente negoziabili in riduzione.
  • Iniziative cautelari o penali: alcuni comportamenti dell’imprenditore durante la crisi potrebbero sfociare in guai giudiziari. Ad esempio, se reagisce alle difficoltà occultando o distraendo beni aziendali per sottrarli ai creditori, rischia denunce per atti di frode ai creditori e prefigurazione di reati di bancarotta fraudolenta. L’emissione di fatture false o l’uso di documentazione contabile artefatta per ottenere credito o differire pagamenti integra reati tributari e societari. In generale, atti di spoliazione del patrimonio a ridosso del fallimento, preferenze accordate ad alcuni creditori a scapito di altri, o false comunicazioni in bilancio, sono tutte condotte che i giudici potrebbero valutare come indice di malafede, con possibili misure cautelari (sequestri, interdizione) e poi contestazioni penali (si veda il par. 8).

Riassumendo, l’insolvenza di un’azienda porta rapidamente a perdere il controllo della situazione: i creditori agiscono ognuno per proprio conto, erosione le risorse residue e spesso compromettendo definitivamente la possibilità di recupero. Per questo il CCII enfatizza la necessità di intervento tempestivo e, come vedremo, mette a disposizione strumenti per congelare le azioni esecutive individuali mentre si cerca una soluzione unitaria. Nei prossimi capitoli analizzeremo proprio tali strumenti.

2.2 Importanza della prevenzione e dell’autodiagnosi della crisi

Come si è detto, la miglior difesa di un imprenditore è giocare d’anticipo. Un’azienda produttiva dovrebbe dotarsi di sistemi di controllo di gestione in grado di monitorare costantemente gli indicatori finanziari e cogliere i segnali di stress. Il nuovo Codice della crisi impone agli amministratori di rilevare tempestivamente gli indizi di crisi (art. 3 CCII) e raccomanda di adottare misure organizzative adeguate (v. art. 2086 c.c. già citato) . In pratica, ciò significa tenere aggiornata la contabilità, predisporre piani finanziari previsionali e verificare periodicamente parametri come: il rapporto tra mezzi propri e indebitamento, l’andamento dei flussi di cassa prospettici, l’indice di liquidità, eventuali tensioni sul circolante, ecc. Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ha elaborato degli indici di allerta settoriali che possono segnalare una probabile crisi (ad esempio, per l’industria meccanica potrebbe essere il rapporto Ebitda/Oneri finanziari, l’indice di indebitamento, ecc.). Gli amministratori di una PMI dovrebbero calcolare tali indici almeno annualmente e, se emergono valori critici, attivarsi senza indugio.

Un concetto chiave introdotto dalla riforma è quello di adeguato assetto organizzativo. In un’azienda di termosigillatrici, ciò potrebbe tradursi nell’avere: un sistema di contabilità industriale per commessa che evidenzi marginalità negative; un responsabile finanziario che tenga sotto controllo scadenziari e cash flow; procedure interne per approvare solo ordini con adeguate garanzie; audit regolari su crediti scaduti e su giacenze di magazzino obsolescenti. Tali misure permettono di individuare precocemente se l’attività sta generando perdite strutturali o se un progetto è in difficoltà economica.

Se l’azienda è più strutturata (es. una S.p.A. di dimensioni medio-grandi), gli obblighi di assetto sono ancora più stringenti: dal 2022 è obbligatoria la nomina di un organo di controllo (collegio sindacale o revisore) nelle S.r.l. che superino certi parametri dimensionali, proprio per assicurare un monitoraggio indipendente. Inoltre, gli amministratori potrebbero dover attivare procedure specifiche: ad esempio, convocare l’assemblea dei soci per gli opportuni provvedimenti quando il capitale è eroso oltre 1/3 o al di sotto del minimo legale, come richiesto dagli artt. 2482-bis/ter c.c. e 2446/2447 c.c. In tali situazioni, non far nulla espone a gravi rischi di responsabilità personale.

In concreto, cosa deve fare l’imprenditore se emergono segnali di crisi? Prima di tutto, non negare la realtà né tantomeno tentare scorciatoie illecite. È consigliabile rivolgersi prontamente a professionisti esperti in risanamento aziendale (commercialisti, avvocati d’impresa) per effettuare una diagnosi approfondita della situazione finanziaria e legale. Spesso la crisi ha cause individuabili (ad es. un grosso cliente in default, un investimento andato male, un eccesso di scorte invendute, contenziosi in corso, etc.): comprenderne la natura è fondamentale per scegliere la strategia. Gli advisor potranno aiutare a stilare un piano di emergenza che tipicamente include: ricerca di finanza fresca (es. tramite soci o banche), taglio dei costi non essenziali, dismissione di asset non strategici per fare cassa, rinegoziazione immediata dei debiti con i principali creditori.

Parallelamente, andranno valutati gli strumenti giuridici di regolazione della crisi offerti dal CCII, di cui parleremo nei capitoli seguenti. Si va dalle soluzioni più soft e confidenziali, come la composizione negoziata, a quelle intermedie come i piani attestati o gli accordi di ristrutturazione, fino alle procedure concorsuali vere e proprie (il concordato preventivo in varie forme) e, quale extrema ratio, la liquidazione giudiziale (ex fallimento). Ogni strumento ha requisiti e implicazioni diverse: la scelta dipende dalla gravità del dissesto e dalle prospettive di recupero dell’impresa. L’importante, da parte del debitore, è non aspettare passivamente che siano i creditori o il tribunale a prendere l’iniziativa (ad esempio con un’istanza di fallimento); piuttosto, muoversi in anticipo consente di mantenere più controllo sul processo di crisi e magari salvare l’azienda o almeno limitare i danni.

Nei prossimi paragrafi, dunque, entreremo nel vivo delle strategie di ristrutturazione del debito, iniziando dagli strumenti volontari e stragiudiziali (negoziazione assistita, piani attestati), per poi passare agli strumenti concorsuali formali (accordi omologati, concordati, ecc.). La discussione presuppone che l’obiettivo primario dell’imprenditore sia evitare la dispersione disordinata del patrimonio e, se vi sono basi solide, preservare la continuità aziendale. Diversamente, si valuterà come impostare un’uscita ordinata dal mercato con la liquidazione.

3. Strumenti stragiudiziali e “pre-concorsuali” di ristrutturazione del debito

Quando un’azienda indebitata intuisce di non poter onorare regolarmente le proprie obbligazioni, non sempre la soluzione immediata deve essere un tribunale. Al contrario, l’ordinamento incoraggia il debitore a cercare soluzioni negoziali con i creditori, possibilmente sotto la supervisione di professionisti, per evitare il tracollo. In questa sezione esamineremo due importanti strumenti non giudiziali o para-giudiziali introdotti di recente: la composizione negoziata della crisi, e il piano attestato di risanamento. Queste opzioni permettono di tentare un risanamento in modo riservato e flessibile, senza le formalità (e la pubblicità negativa) di una procedura concorsuale vera e propria. Sono particolarmente indicate per situazioni temporanee o reversibili, in cui l’impresa ha buone prospettive di ripresa purché si ristrutturi il debito e si ottenga un po’ di respiro.

3.1 La composizione negoziata della crisi (CNC)

Origine e finalità: la composizione negoziata è uno strumento nuovissimo nel panorama italiano, introdotto inizialmente con il D.L. 118/2021 (convertito con L. 147/2021) e poi confluito nel CCII (artt. 12–25-quinquies). Si tratta di una procedura volontaria e stragiudiziale pensata per l’imprenditore che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o finanziario ma crede di poter risanare l’azienda con un accordo rinegoziato coi creditori . La caratteristica principale è la nomina di un esperto indipendente che affianca il debitore nel tentativo di mediazione con i creditori. La CNC non comporta l’apertura di una procedura concorsuale pubblica né la perdita automatica della gestione dell’impresa: l’imprenditore rimane al timone, sotto la guida dell’esperto negoziatore, e può continuare l’attività durante le trattative . In questo senso la CNC mira a individuare soluzioni di risanamento prima che lo stato di crisi degeneri in insolvenza irreversibile e prima di dover coinvolgere ufficialmente il tribunale.

Accesso e presupposti: possono accedere alla composizione negoziata tutti gli imprenditori commerciali e agricoli, di qualsiasi dimensione (dalle micro-imprese alle società di capitali maggiori). Inizialmente l’istituto era precluso alle imprese agricole, ma dal 2023-2024 ne è stato esteso l’utilizzo anche a queste ultime . Non è necessario essere già insolventi per accedere: anzi, la CNC è concepita per situazioni di pre-crisi o crisi reversibile. I requisiti richiesti sono: che l’impresa sia in condizione di difficoltà economica o finanziaria tale da far prevedere l’insolvenza (ma non ancora insolvenza conclamata irreversibile), e che vi sia una ragionevole prospettiva di risanamento. È escluso chi è già sottoposto a procedure concorsuali o ha fatto concordati/accordi nei 5 anni precedenti (per evitare abusi) . L’imprenditore deve effettuare un’autodiagnosi preliminare servendosi di un test disponibile sulla piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio: si tratta di verificare alcuni indicatori economico-finanziari (indici forniti dal CNDCEC) caricando dati di bilancio, debiti, ecc. Se il test evidenzia la possibilità di risanamento, l’imprenditore può procedere con la domanda di nomina dell’esperto.

Presentazione dell’istanza: la domanda di composizione negoziata si presenta tramite una piattaforma telematica nazionale (accessibile dal sito camere di commercio o dal portale dedicato). Nella pratica, molti professionisti predispongono un’istanza offline come bozza, contenente: i dati identificativi dell’impresa, l’esposizione delle cause della difficoltà e la manifestazione di volontà di avviare la procedura; la richiesta di nomina di un esperto indipendente; la dichiarazione di non trovarsi in procedure concorsuali pendenti né di averne già utilizzate di recente; e l’allegazione di una serie di documenti finanziari . Tra gli allegati obbligatori vi sono gli ultimi bilanci depositati, le dichiarazioni fiscali, una situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata, l’elenco dettagliato di tutti i creditori con indicazione della natura dei debiti (chirografari, privilegiati, ecc.), un certificato dei debiti fiscali e contributivi (c.d. estratto di ruolo da Agenzia Entrate-Riscossione e il DURC), l’elenco di eventuali contenziosi, e un’attestazione antimafia . La completezza e veridicità di questa documentazione è essenziale: l’esperto valuterà su di essa la situazione e inoltre essa servirà in futuro per eventuali misure protettive richieste al tribunale.

Nomina dell’esperto e fase delle trattative: una volta presentata l’istanza, il Segretario Generale della Camera di Commercio (o un suo delegato) nomina entro pochi giorni un esperto indipendente scelto da un apposito elenco di professionisti qualificati (in genere commercialisti, avvocati o consulenti esperti in ristrutturazioni) . L’esperto fisssa un primo incontro con l’imprenditore e poi progressivamente coinvolge i principali creditori in riunioni o contatti bilaterali. La timeline tipica è la seguente: entro 5 giorni dalla domanda viene nominato l’esperto; entro circa 10 giorni avviene il primo incontro formale; il periodo di negoziazione dura inizialmente fino a 180 giorni, prorogabili di altri 180 con adeguata motivazione . Durante questo periodo, l’imprenditore mantiene la gestione ma deve aggiornare costantemente l’esperto sull’andamento aziendale e sulle trattative in corso. Qualora vi sia il rischio di azioni esecutive da parte dei creditori, il debitore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive (ovvero la sospensione delle azioni esecutive e cautelari individuali) per la durata della composizione . Tali misure protettive, se concesse, vengono pubblicate nel registro delle imprese e impediscono, ad esempio, pignoramenti o istanze di fallimento nel frattempo. Il tribunale può anche, su richiesta, concedere misure cautelari volte a conservare il patrimonio o autorizzare specifici atti di straordinaria amministrazione (ad es. vendere beni deperibili, ottenere finanziamenti urgenti).

Esito della procedura: la composizione negoziata può concludersi essenzialmente in tre modi: con un accordo stragiudiziale di risanamento, con l’accesso a una procedura concorsuale formalizzata (se l’accordo non si trova) oppure, nel peggiore dei casi, con la constatazione dell’insuccesso e l’avvio della liquidazione. In particolare, gli esiti positivi possibili sono: (a) un contratto o accordo bilaterale con uno o più creditori (ad esempio un accordo individuale con la banca per riscadenzare i mutui, o con alcuni fornitori chiave per dilazionare i pagamenti); (b) un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII, da omologare in tribunale, se si riesce a coinvolgere una maggioranza qualificata di creditori (si veda sez. 4); (c) un piano attestato di risanamento pubblicato nel registro delle imprese (si veda infra sez. 3.2); (d) la presentazione di un concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) oppure, per le piccole imprese, di un concordato minore o – come introdotto di recente – di un concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII; (e) infine, qualora nessuna soluzione di risanamento sia praticabile, l’imprenditore può optare per la liquidazione, ad esempio con una procedura di liquidazione controllata se si tratta di soggetto non fallibile o con la liquidazione giudiziale classica .

Vantaggi della composizione negoziata: dal punto di vista del debitore, la CNC presenta numerosi vantaggi. Primo, la procedura è riservata: non c’è pubblicità iniziale della situazione di crisi (a parte l’eventuale pubblicazione delle misure protettive, che però non menziona dettagli). Questo consente all’azienda di continuare a presentarsi sul mercato come operativa e “solvente” mentre dietro le quinte lavora al risanamento, evitando il pregiudizio reputazionale di un pubblico ingresso in concordato o fallimento . Secondo, l’imprenditore mantiene la gestione corrente: non c’è un commissario che si sostituisce, l’esperto ha un ruolo di facilitatore ma non amministrativo. Terzo, tramite l’esperto e con il “cappello” della CNC, è spesso più facile instaurare un dialogo costruttivo con i creditori, i quali vedono la presenza di un soggetto terzo imparziale come garanzia di serietà (specie se l’imprenditore fornisce massima trasparenza di dati). Quarto, su richiesta, il debitore può ottenere un blocco delle azioni esecutive (stay) per qualche mese , guadagnando tempo prezioso per negoziare senza subire il tracollo. Quinto, durante la CNC l’impresa può essere autorizzata a contrarre finanziamenti prededucibili (ossia che verranno rimborsati con priorità) ai sensi dell’art. 22 CCII, per alimentare la continuità aziendale . Tali finanziamenti, se autorizzati dal tribunale o dall’esperto, non saranno soggetti a revocatoria nemmeno se poi si dovesse fallire . Ciò incentiva banche o soci a immettere liquidità fresca sapendo di avere tutela.

Svantaggi e limiti: la composizione negoziata non è una bacchetta magica e presenta anche limiti. In primis, essa richiede la collaborazione volontaria dei creditori: se uno o più creditori importanti non sono disposti a trattare e adottano una linea dura (ad esempio rifiutando qualsiasi dilazione o stralcio), la CNC non può imporre loro nulla . A differenza del concordato, non c’è voto a maggioranza vincolante per la minoranza (salvo si passi ad un accordo omologato). Pertanto, anche un solo grande creditore dissenziente può far naufragare la trattativa e magari, passato il periodo protetto, attivare azioni esecutive. Secondo limite: l’imprenditore deve essere disposto a mettere tutte le carte in tavola. Documentazione incompleta o infedele compromette la fiducia e l’esperto stesso può decidere di chiudere la procedura segnalando l’irresponsabilità del debitore. La trasparenza è fondamentale. Terzo: la CNC non è adatta a situazioni di insolvenza irreversibile o disperata. Se l’azienda è decotta e senza prospettive (casi in cui mancano del tutto ordini, mercato, o l’indebitamento supera di molto ogni possibile valore recuperabile), difficilmente l’esperto potrà costruire una soluzione – in questi casi è più onesto e utile procedere direttamente a un concordato liquidatorio o a una liquidazione giudiziale . Infine, le misure protettive che il tribunale concede durante la CNC hanno durata limitata (tipicamente 2-4 mesi rinnovabili fino al max 6 mesi circa) e richiedono di dimostrare che le trattative stanno effettivamente progredendo: non è pensabile tenere sospesi i creditori per oltre sei mesi senza presentare concrete proposte . Quindi l’imprenditore deve agire con rapidità durante la CNC.

Risultati pratici finora: nei primi due anni di applicazione (2021-2023) la composizione negoziata è stata utilizzata da centinaia di imprese in Italia. Alcune decine di esse sono riuscite effettivamente a evitare il fallimento attraverso accordi raggiunti con successo . In particolare, si registrano casi di PMI manifatturiere che, ricevuti avvisi di irregolarità da Agenzia Entrate e INPS, hanno attivato la CNC, ottenuto uno stay di 3 mesi che ha impedito il rientro immediato delle banche, e nel frattempo hanno negoziato una moratoria pluriennale sui mutui e un piano di rientro sul debito fiscale . Questo ha permesso loro di riprendersi. Di converso, vi sono stati anche molti casi in cui la CNC non ha prodotto accordi vincolanti: alcuni debitori l’hanno usata per prendere tempo ma poi sono comunque approdati al concordato preventivo o al fallimento. Un aspetto critico emerso riguarda l’accordo sui debiti fiscali durante la CNC (il c.d. accordo transattivo ex art. 23 comma 2-bis CCII introdotto nel 2022): benché ora sia possibile proporre al Fisco di pagare solo parzialmente le imposte nell’ambito della CNC, in pratica tale strumento ha visto pochissime adesioni da parte dell’Erario (solo 3 accordi chiusi su 169 proposte nel primo anno) , a causa di alcune rigidità procedurali. Ciò significa che spesso per ridurre il carico fiscale si deve comunque passare da un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione (vedi par. 7.2 sulla transazione fiscale).

In definitiva, la composizione negoziata è uno strumento prezioso da tentare prima di arrendersi all’insolvenza conclamata, a patto che l’impresa abbia ancora prospettive di sopravvivenza industriale. Va considerata come una “camera di compensazione” in cui, se c’è volontà di soluzione da entrambe le parti (debitore e creditori), si può costruire un piano consensuale. Se invece le posizioni sono inconciliabili, la CNC servirà comunque ad avere un quadro chiaro che faciliterà il passo successivo (ad esempio predisporre un concordato). Ricordiamo inoltre che, se la CNC fallisce, l’imprenditore ha la possibilità unica di accedere al concordato semplificato liquidatorio ex art. 25-sexies CCII (par. 5.4), un’opportunità legislativa per evitare il fallimento dopo aver tentato la via negoziale.

3.2 Il piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)

Il piano attestato di risanamento è uno strumento di matrice privatistica, di lunga data nella prassi italiana, ora disciplinato dall’art. 56 CCII (già art. 67, co.3, lett. d) L.F.). In sostanza, consiste in un accordo volontario tra il debitore e uno o più creditori fondato su un piano industriale e finanziario di risanamento, il quale viene asseverato da un professionista indipendente (attestatore) che ne certifica la veridicità dei dati e la fattibilità . A differenza degli accordi di ristrutturazione o del concordato, il piano attestato non richiede omologazione da parte del tribunale: è quindi un percorso totalmente fuori dal tribunale, sebbene il piano venga pubblicato nel registro delle imprese (su base volontaria) per godere di certe protezioni.

Struttura del piano tipico: un piano attestato di risanamento ben fatto è in pratica un documento complesso che illustra come l’azienda uscirà dalla crisi. Secondo la prassi, di solito il piano contiene vari capitoli : (1) una premessa con gli obiettivi e l’impegno al risanamento; (2) la descrizione dell’azienda e l’analisi delle cause della crisi (ad es. calo di fatturato per perdita di commesse, incremento costi materie prime, errata gestione finanziaria, ecc.); (3) la fotografia della situazione economico-patrimoniale attuale (bilanci recenti, indebitamento dettagliato verso banche/fornitori/fisco, eventuali garanzie prestate); (4) l’illustrazione degli indicatori di crisi e dell’entità dello squilibrio (perdita esercizio, flussi di cassa negativi, ecc.); (5) un vero e proprio business plan di rilancio, con misure operative (es. riduzione dei costi, dismissione di rami d’azienda, efficientamento produttivo, nuovi prodotti) e ipotesi di ricavi futuri; (6) la cosiddetta manovra finanziaria, ossia l’insieme delle proposte di ristrutturazione rivolte ai creditori: ad esempio, quali banche rifinanzieranno o allungheranno i prestiti, quali fornitori accetteranno un saldo a stralcio o una dilazione, se i soci apporteranno nuova finanza o garanzie, se si venderanno asset non strategici per fare cassa; (7) le proiezioni economico-finanziarie a medio termine (tipicamente 3-5 anni) con scenari best case e worst case; (8) la relazione attestativa del professionista indipendente, che certifica che i dati aziendali sono veritieri e che, sulla base delle ipotesi formulate, il piano è realisticamente idoneo a risanare l’impresa; (9) gli aspetti legali, richiamando la norma di legge (art. 56 CCII) e dichiarando l’intenzione di pubblicare il piano ai fini di opponibilità; (10) eventuali condizioni sospensive, clausole risolutive, etc., ad es. il piano può prevedere che se non si realizza la vendita di un certo immobile, esso verrà rivisto.

Vantaggi del piano attestato: il principale punto di forza è la flessibilità e riservatezza. Non essendo una procedura concorsuale, non c’è coinvolgimento del tribunale né pubblicità “negativa” oltre alla (eventuale) pubblicazione del piano nel registro imprese. La gestione resta integralmente in capo all’imprenditore. L’attestazione di un professionista conferisce però credibilità all’operazione di risanamento, il che può rassicurare i creditori coinvolti. Inoltre, la legge riconosce una protezione importante: tutti gli atti, pagamenti e garanzie poste in essere in esecuzione del piano e coerenti con esso, se il piano è pubblicato, non sono soggetti ad azione revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento . Ciò significa, ad esempio, che se una banca aderisca al piano e riceve un rimborso parziale di credito, quel pagamento non potrà essere attaccato dal curatore come preferenziale se la società fallisce poi, purché rispetti il piano pubblicato. Questo scudo revocatorio è fondamentale per convincere i creditori a collaborare.

Un ulteriore vantaggio è che il piano attestato non vincola i creditori dissenzienti: è di fatto un accordo tra le parti che lo sottoscrivono. Ciò può essere un pro (nessuna imposizione esterna), ma anche un limite: per funzionare davvero, occorre il consenso di tutti i creditori coinvolti. Se ci sono creditori fuori dal piano, continuano ad avere le loro pretese intatte. Perciò il piano attestato funziona meglio quando il numero di creditori è limitato e gestibile (ad esempio 2-3 banche e pochi fornitori strategici) . Se invece l’indebitamento è frammentato tra decine di soggetti, sarà arduo ottenere adesioni unanimi. In questi casi si valuterà di passare ad un accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII con omologazione, che permette di vincolare anche i non aderenti di una stessa categoria (vedi par. 4).

Limiti del piano attestato: come anticipato, il piano attestato non ha efficacia concorsuale: non può imporre tagli o dilazioni a chi non sia d’accordo. Quindi resta un contratto privato. Se c’è anche un solo grande creditore ostile, il piano potrebbe non essere sufficiente a salvare l’azienda. Inoltre, il piano attestato non sospende automaticamente le azioni esecutive: non c’è una protezione legale come nel concordato. L’azienda potrebbe chiedere ai creditori una moratoria informale “in attesa di implementare il piano”, ma se un creditore rompe le righe, può pignorare. In tal senso, a volte si usa il piano attestato in combinazione con una composizione negoziata o con accordi moratori per guadagnare il tempo necessario.

In sintesi, il piano attestato di risanamento è uno strumento ideale per crisi circoscritte dove c’è fiducia reciproca tra debitore e un numero ristretto di creditori cruciali. Ad esempio, se un’azienda di termosigillatrici ha soprattutto debiti verso le sue 2 banche principali, e queste sono disposte a ristrutturare i crediti concedendo respiro (magari perché credono nel rilancio industriale), un piano attestato può formalizzare tale intesa con l’ombrello dell’attestazione e della protezione anti-revocatoria. In caso di platee creditorie più ampie o di necessità di falcidiare fortemente i debiti, sarà più indicato ricorrere agli strumenti concorsuali che vediamo oltre.

4. Accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR) omologati

Quando la situazione di indebitamento è troppo complessa per essere risolta con accordi puramente privati (come il piano attestato) o quando si vuole assicurare efficacia erga omnes all’intesa con i creditori, entra in gioco lo strumento degli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati dal tribunale. Tali accordi, disciplinati dagli artt. 57–64 CCII, rappresentano una soluzione intermedia tra il piano privatistico e il concordato preventivo: sono accordi negoziati con i creditori ma acquisiscono forza legale vincolante attraverso un decreto di omologazione del tribunale. In sostanza, se si raggiunge l’adesione di una certa percentuale di creditori, l’accordo viene sottoposto al giudice che – verificatane la regolarità e fattibilità – lo rende efficace anche verso eventuali creditori dissenzienti appartenenti alle categorie coinvolte.

4.1 Nozione generale e tipologie di ADR

Un accordo di ristrutturazione (ADR) è formalmente un contratto tra il debitore e una maggioranza qualificata di creditori, avente ad oggetto la ristrutturazione dei debiti. Il contenuto può essere molto vario: dilazioni di pagamento, stralcio parziale di crediti, conversione di debiti in capitale, cessione di beni ai creditori, ecc. Quello che caratterizza l’ADR è che, raggiunto l’accordo con la maggioranza prescritta, il debitore chiede al tribunale di omologarlo, dopodiché l’accordo diviene vincolante anche per i creditori che non hanno firmato (limitatamente però ai creditori appartenenti alla stessa categoria dei firmatari, come spiegheremo) .

La legge prevede varie tipologie di accordi di ristrutturazione, introdotte anche di recente dal CCII:

  • Accordi “ordinari” (art. 57 CCII): richiedono l’adesione di almeno il 60% dei creditori (in valore sul totale dei crediti) . Questa era la forma classica già prevista dalla legge fallimentare (art. 182-bis L.F.). Con il 60% di consensi il tribunale può omologare l’accordo, a condizione che vengano comunque pagati integralmente i creditori estranei entro 120 giorni (se già scaduti) o 120 giorni dalla scadenza (se non scaduti) – per tutelare i non aderenti. Nella pratica, talvolta i creditori estranei vengono pagati fuori dall’accordo per poter ottenere la liberatoria.
  • Accordi “agevolati” (art. 60 CCII): introdotti dal Codice nel 2022, prevedono una soglia di adesione abbassata: è sufficiente il 30% dei crediti per poter richiedere misure protettive e iniziare il procedimento, e resta il 60% per l’omologazione finale . La novità sta nel fatto che con soli 1/3 di consensi si possono congelare le azioni esecutive durante le trattative. Questo strumento è pensato per incentivare l’imprenditore a iniziare un dialogo anche in presenza di accordo ancora parziale.
  • Accordi ad efficacia estesa (art. 61 CCII): riguardano situazioni con categorie di creditori omogenee (tipicamente banche). Se si ottiene un’adesione molto alta da parte di una categoria (almeno il 75% dei crediti di quella categoria), il tribunale può estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori non aderenti di quella medesima categoria . Questo è noto come cram-down di classe: per esempio, se il 80% delle banche finanzatrici accetta di ristrutturare i debiti, l’accordo può essere reso vincolante anche per le banche dissenzienti minoritarie, purché ne vengano rispettate certe condizioni di omogeneità di trattamento.
  • Accordi con transazione fiscale e “cram-down” erariale (artt. 63-64 CCII): il CCII ha razionalizzato la possibilità di includere i debiti fiscali e contributivi negli ADR. In un accordo di ristrutturazione si può proporre una transazione fiscale all’Erario e agli enti previdenziali, cioè il pagamento parziale/dilazionato di imposte e contributi . L’adesione dell’Erario conta come adesione di quella percentuale di credito. Inoltre, se l’Erario (o INPS) rifiuta ma la proposta è migliore di quanto essi otterrebbero in liquidazione, il tribunale può omologare l’accordo nonostante il dissenso del Fisco, estendendolo coattivamente (meccanismo di cram-down fiscale) . Questo importante potere, introdotto per superare rigidità del passato, richiede comunque che all’accordo aderisca almeno il 30% dei crediti complessivi e che ci sia il voto favorevole della maggior parte dei crediti di natura diversa dall’erariale.

In tutti i tipi di ADR, è obbligatoria la relazione di un attestatore indipendente che certifichi la veridicità dei dati e la fattibilità del piano sottostante all’accordo . Tale relazione accompagna il ricorso di omologazione.

4.2 Procedimento di omologazione e effetti dell’accordo

Il percorso di un accordo di ristrutturazione prevede diversi passi formali:

  1. Negoziazione con i creditori: inizialmente l’imprenditore, con l’aiuto dei consulenti, individua i creditori rilevanti e abbozza proposte di ristrutturazione. Spesso l’accordo comporta ad esempio la conversione dei debiti a breve in finanziamenti a medio termine, la rinuncia da parte dei creditori a interessi e sanzioni, o un haircut (taglio) sull’ammontare dovuto . È fondamentale raggruppare i creditori per categorie omogenee (banche, fornitori chirografari, erario, ecc.) e cercare di capire che percentuale di adesione è raggiungibile in ciascuna categoria. Una volta raccolte adesioni informali, si prepara il testo dell’accordo e la relazione attestatrice.
  2. Deposito del ricorso: l’imprenditore deposita al tribunale competente un ricorso per omologazione dell’accordo, allegando il testo dell’accordo firmato dai creditori aderenti, la documentazione contabile e la relazione dell’attestatore. Il CCII (art. 48 e 53) prescrive che prima del deposito il ricorso sia pubblicato nel registro delle imprese . Questa pubblicità serve a datare ufficialmente l’accordo e far scattare eventuali misure protettive. Attenzione: la giurisprudenza ha ritenuto inammissibile un ricorso non preceduto da tale pubblicazione .
  3. Misure protettive: contestualmente al deposito, il debitore può chiedere al tribunale di sospendere per un certo periodo le azioni esecutive e cautelari dei creditori (misure protettive). Se è un accordo agevolato, già con il 30% di adesioni il tribunale può concedere la protezione . Le misure protettive durano inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili. Durante questo periodo, l’azienda beneficia di uno stay simile a quello del concordato, potendo operare senza l’assillo di pignoramenti.
  4. Decreto di apertura (nomina del commissario giudiziale): se la documentazione è in ordine, il tribunale emette un decreto che dichiara aperta la procedura di omologazione. Spesso nomina un commissario giudiziale (lo stesso che nelle procedure di concordato), il quale ha il compito di vigilare sulla gestione nel frattempo e di esprimere un parere sull’accordo . Il decreto fissa un termine entro cui eventuali creditori possono ancora aderire all’accordo (di solito 20-30 giorni) prima della decisione finale.
  5. Omologazione: trascorso il termine, il tribunale fissa l’udienza di omologazione. In tale sede verifica il raggiungimento delle percentuali di legge, la regolarità formale della procedura e soprattutto la convenienza dell’accordo per i creditori. In particolare, deve accertare che i creditori estranei non siano pregiudicati (devono essere pagati come detto per intero) e che l’accordo sia attuabile. Se tutti i requisiti sono soddisfatti, emette il decreto di omologazione che rende l’accordo efficace erga omnes secondo i suoi termini.

Una volta omologato, l’accordo di ristrutturazione dispiega alcuni effetti simili al concordato: sospende e poi estingue eventuali procedure esecutive individuali in corso; impedisce nuove azioni per i crediti ristrutturati nei confronti dell’impresa (i creditori potranno agire solo per l’esecuzione dell’accordo se inadempiuto). Inoltre, analogamente al piano attestato, atti e pagamenti eseguiti in adempimento dell’accordo omologato sono esenti da revocatoria (art. 59 CCII). In più, in caso di successivo fallimento, i creditori non possono far valere nei confronti dell’attestatore pretese risarcitorie salvo dolo o colpa grave.

Gli accordi di ristrutturazione sono stati uno strumento molto utilizzato negli ultimi 15 anni dalle imprese medio-grandi per evitare il fallimento, specie in contesti con poche banche. L’introduzione delle varianti agevolate e ad efficacia estesa li rende ora appetibili anche per PMI con diffusa base creditoria, benché la procedura richieda comunque tempo e costi (serve un attestatore, un eventuale commissario, spese di giustizia). Un eventuale tallone d’Achille è la posizione del Fisco e degli enti pubblici: se l’Erario è un creditore significativo e non aderisce, l’accordo salta a meno di utilizzare il meccanismo del cram-down fiscale (che però richiede di dimostrare la convenienza per l’Erario stesso). In un’azienda di termosigillatrici, se ad esempio i debiti fiscali sono molto elevati, sarà opportuno includere una proposta di transazione fiscale convincente nel piano, oppure valutare di procedere con un concordato (dove la transazione fiscale è integrata automaticamente).

Nota: esiste anche la figura della convenzione di moratoria (art. 62 CCII), simile agli ADR, in cui una maggioranza di creditori (75%) concorda di congelare i crediti per un certo periodo vincolando anche i dissenzienti. È tipica tra banche che decidono una moratoria sui debiti (accordi ABI). Non comporta stralci ma solo sospensioni temporanee. È uno strumento meno utilizzato ma utile in situazioni di stress temporaneo. Nel contesto di una ristrutturazione profonda, comunque, si preferisce formalizzare un ADR con modifica delle condizioni dei crediti.

5. Concordato preventivo: continuità aziendale e liquidazione

Il concordato preventivo è la più nota procedura concorsuale utilizzabile dall’imprenditore in crisi per evitare la liquidazione fallimentare, e costituisce una sorta di “tribunale in proprio” per proporre ai creditori un piano di soluzione della crisi. Con il concordato, il debitore chiede al tribunale di essere ammesso a una procedura concorsuale regolata dalla legge, presentando un piano che può prevedere la prosecuzione dell’attività (concordato in continuità) oppure la cessione/liquidazione dei beni (concordato liquidatorio). In entrambi i casi c’è un controllo giudiziale e un voto dei creditori.

Il CCII disciplina il concordato preventivo agli artt. 84–118, introducendo diverse innovazioni rispetto alla vecchia legge fallimentare. Ad esempio, viene formalizzata la suddivisione dei creditori in classi con trattamenti differenziati, è ammessa la falcidia di crediti privilegiati in caso di continuità indiretta (vendita d’azienda), si prevedono moratorie più ampie per i crediti privilegiati, e sono introdotte varianti semplificate (come il concordato minore e quello semplificato) per adattarsi alle diverse dimensioni d’impresa .

5.1 Nozione e finalità del concordato

Il concordato preventivo è una procedura concorsuale giudiziale: si apre con un decreto del tribunale, sotto la supervisione di un giudice delegato e di un commissario giudiziale, e si conclude con una sentenza di omologazione (se approvato) o di fallimento (se non approvato). La finalità è di consentire al debitore di proporre un piano di soddisfacimento dei creditori alternativo alla liquidazione fallimentare integrale . In cambio, se il piano è approvato dalle maggioranze di legge e omologato, l’imprenditore evita la dichiarazione di fallimento e può dare esecuzione al piano concordatario che di solito prevede il pagamento parziale dei debiti e l’esdebitazione finale della società (anche se, tecnicamente, la società di capitali non “risorge” oltre il concordato – ma per quelle in continuità c’è prosecuzione).

Esistono due macro-tipologie di concordato: concordato in continuità aziendale, dove l’impresa prosegue (direttamente o indirettamente tramite cessione/affitto a terzi) e i creditori vengono soddisfatti col flusso di cassa generato dall’attività in prosecuzione; e concordato liquidatorio, dove invece l’azienda cessa l’attività e i beni vengono liquidati in favore dei creditori. Il CCII incoraggia l’uso della continuità ogniqualvolta sia possibile, in quanto preserva meglio il valore aziendale e l’occupazione, ma stabilisce anche paletti stringenti per garantire che i creditori non stiano peggio che in una liquidazione.

5.2 Presupposti di accesso e procedimento concordatario

Requisiti di ammissione: può chiedere il concordato preventivo l’imprenditore (società o ditta individuale) che si trova in stato di crisi o insolvenza. Lo stato di crisi (concetto introdotto dal CCII) include anche la semplice probabile insolvenza, quindi il concordato può teoricamente essere chiesto anche prima di diventare insolventi conclamati, sebbene in pratica spesso vi si ricorra quando l’insolvenza è già manifesta. Sono esclusi i soggetti non fallibili (consumatori, imprenditori minori se vogliono usare piuttosto le procedure di sovraindebitamento) e pochi altri (es. enti pubblici).

Domanda e documentazione: la domanda si presenta con ricorso al tribunale, accompagnato da una serie di documenti obbligatori : l’ultimo bilancio depositato, una relazione sulla situazione economico-patrimoniale, l’elenco nominativo dei creditori con importi e cause di prelazione, l’elenco dei beni (una stima valutativa dell’attivo), l’inventario o lista delle attività, il piano concordatario e la proposta ai creditori, nonché la relazione di un attestatore indipendente che certifichi veridicità dei dati e fattibilità del piano . Tutti questi allegati sono cruciali e la loro mancanza o incompletezza può portare all’inammissibilità del concordato. In alternativa, è ammessa la domanda di concordato “in bianco” o con riserva (art. 44 CCII), dove si presenta un ricorso iniziale essenziale e ci si riserva di depositare piano e documenti entro un termine (normalmente 60-120 giorni). Questa strategia serve per proteggersi subito con misure protettive e guadagnare tempo per completare il piano.

Fase iniziale e votazione: il tribunale, ricevuta la domanda, verifica innanzitutto la completezza formale e la sussistenza dei requisiti. Se ammette la procedura, emette un decreto di ammissione e contemporaneamente concede le misure protettive (il blocco dei pagamenti dei debiti anteriori e delle azioni esecutive dei creditori) e nomina un commissario giudiziale . Quest’ultimo è un professionista (generalmente un commercialista) che funge da occhi del tribunale, vigilando sull’operato del debitore durante la procedura e predisponendo una relazione per i creditori. Il debitore in concordato mantiene l’amministrazione ordinaria ma per gli atti straordinari deve essere autorizzato dal giudice delegato. Si forma lo stato passivo: i creditori vengono invitati a insinuare i propri crediti, o comunque il commissario verifica l’elenco presentato dal debitore. Poi il piano viene sottoposto a votazione: i creditori vengono suddivisi in classi omogenee secondo posizione giuridica ed interesse economico (es. una classe per banche ipotecarie, una per fornitori chirografari, ecc.) . Ogni classe vota separatamente; perché il concordato sia approvato, occorre il voto favorevole dei 2/3 dei crediti ammessi al voto in ciascuna classe (o, se preferite, la maggioranza semplice delle classi purché in ciascuna i 2/3 in valore votino sì) – il meccanismo esatto è un po’ complesso ma semplificando: serve la maggioranza qualificata di crediti in ogni classe. Se una classe boccia la proposta, il tribunale può comunque omologare tramite cram-down interclassi ma solo se la classe dissenziente è soddisfatta al 20% minimo e nessuna classe inferiore riceve più di essa (principio di assoluta priorità rispettato).

Omologazione: a seguito del voto, il tribunale tiene l’udienza di omologazione in cui valuta: esito delle votazioni, regolarità della procedura e fattibilità/convenienza del piano. La regola fondamentale è che il concordato omologabile deve assicurare ai creditori (anche dissentienti) una soddisfazione non inferiore a quella che avrebbero in caso di liquidazione giudiziale (c.d. best interest test dei creditori). Inoltre, nel concordato liquidatorio puro la legge richiede un soddisfacimento minimo del 20% per i chirografari (salvo eccezioni) e un apporto di risorse esterne se si falcidiano i privilegiati. Se tutto è in regola, il tribunale emette il decreto di omologazione e il piano diviene vincolante per tutti i creditori anteriori.

Vediamo ora le peculiarità dei due tipi di concordato (continuità vs liquidazione), e poi le varianti per PMI e il concordato semplificato.

Concordato con continuità aziendale: disciplinato dall’art. 84 CCII e seguenti, prevede che l’impresa prosegua la propria attività durante e dopo la procedura. La continuità può essere diretta (lo stesso debitore prosegue l’esercizio dell’azienda) oppure indiretta, ad esempio se è prevista la cessione o l’affitto dell’azienda a un terzo che la manterrà in esercizio . La continuità spesso consente di generare maggior valore rispetto a una liquidazione spezzatino, perché l’azienda “viva” vale di più (si preservano avviamento, posti di lavoro, contratti, know-how). Nel concordato in continuità, per legge, i creditori privilegiati (p.es. le banche con garanzia o i fornitori con privilegio) devono essere pagati almeno quanto otterrebbero liquidando i beni su cui hanno privilegio , ma si consente di pagarli anche dilazionatamente entro un termine (moratoria fino a 2 anni dall’omologazione per i privilegiati non soddisfatti integralmente subito) . Se la continuità è indiretta (cioè l’azienda viene trasferita a un terzo che la esercita), è possibile anche falcidiare i crediti con privilegio generale (falcidia del capitale su crediti fiscali e contributivi in particolare) purché venga prevista una transazione fiscale e la soddisfazione minima di legge . Insomma, la continuità consente anche di ridurre l’ammontare dovuto ai privilegiati se ciò è funzionale alla prosecuzione, mentre nel liquidatorio puro i privilegiati andrebbero soddisfatti in base ai beni su cui vantano prelazione. Dal punto di vista pratico, il concordato in continuità spesso implica che l’azienda necessita di finanziamenti interinali per operare durante la procedura (che il tribunale può autorizzare come prededucibili) e di accordi con fornitori e clienti per mantenere rapporti stabili. La giurisprudenza è rigorosa nell’esaminare i piani in continuità: occorre dimostrare che il piano è credibile e che i ricavi attesi copriranno i costi di esercizio e pagheranno i creditori in misura almeno pari alla alternativa liquidatoria .

Concordato liquidatorio: è la forma in cui l’azienda riconosce di non poter proseguire, quindi propone di liquidare tutti i beni e ripartire il ricavato tra i creditori. In sostanza, è un fallimento autogestito: il debitore dice “vendo io i miei beni tramite la procedura concordataria, così controllo io il processo invece di farlo fare al curatore”. I creditori concorsuali (chirografari e privilegiati insoddisfatti) ricevono un dividendo proporzionale dall’attivo liquidato . Il CCII, come detto, richiede in questo caso delle soglie minime: se i chirografari prendono meno del 20%, il piano non sarebbe ammissibile (salvo soddisfazione integrale dei privilegiati e altre eccezioni). Inoltre, l’art. 84 impone un apporto di risorse esterne (cioè soldi nuovi dall’esterno, tipicamente dai soci) pari ad almeno il 10% dell’attivo distributo, se si falcidiano i privilegiati: ciò per far avere ai creditori qualcosa in più rispetto alla semplice liquidazione. Il concordato liquidatorio è scelto quando la continuità non è più possibile o conveniente. Un vantaggio per il debitore è che, se il piano è approvato, la procedura concordataria è più rapida e meno stigma rispetto al fallimento. Tuttavia, gli amministratori devono fare attenzione: in passato alcuni pensavano che fare un concordato liquidatorio li esonerasse da responsabilità, ma la Cassazione ha stabilito che anche nel concordato preventivo gli amministratori possono rispondere di bancarotta fraudolenta per eventuali distrazioni commesse prima . Ciò è stato affermato perché, pur non essendoci dichiarazione di fallimento, se emergono atti distrattivi gravi, questi integrano ugualmente il reato (si parla di bancarotta in procedura concordataria nei casi più fraudolenti). Quindi il concordato liquidatorio va gestito con la massima trasparenza.

5.3 Concordato “minore”

Il CCII ha introdotto una versione semplificata del concordato preventivo per le imprese di dimensioni minori, chiamata concordato minore (artt. 74–83 CCII). Si rivolge agli imprenditori cosiddetti sotto-soglia (ovvero che per dimensioni non sarebbero soggetti a fallimento ordinario: ricavi sotto €200mila, attivo sotto €300mila, debiti sotto €500mila, come da art. 2, co.1, lett. d) CCII). Questi piccoli imprenditori – spesso ditte individuali, società di persone, artigiani – prima avevano accesso solo alle procedure di sovraindebitamento (legge 3/2012). Ora possono proporre un vero concordato seppur con regole alleggerite.

Nel concordato minore non è obbligatoria la suddivisione in classi di creditori (dato che tipicamente i creditori non sono numerosissimi). Il voto dei creditori avviene tramite consenso espresso individuale (non assemblee, non calcolo di maggioranze per classi) . È quindi un meccanismo più informale: il commissario chiede a ciascun creditore se accetta la proposta. Per l’approvazione occorre la maggioranza semplice dei crediti ammessi al voto (50%+1). Altro aspetto: il piano deve comunque garantire ai creditori un risultato non inferiore alla liquidazione e prevedere il pagamento anche solo parziale dei creditori (non esiste soglia fissa del 20%, ad esempio) . Però normalmente si richiede un apporto esterno se i creditori chirografari sono pagati in misura ridotta, in analogia al concordato ordinario.

La nomina del commissario giudiziale c’è anche qui, ma l’intera procedura è più snella e spesso affidata allo stesso tribunale fallimentare in composizione monocratica. Da segnalare una pronuncia del Tribunale di Milano (marzo 2025) la quale ha chiarito che nel concordato minore la verifica dei crediti ai fini del voto ha natura sommaria e non definitiva: serve solo a determinare la maggioranza ma non pregiudica eventuali contestazioni successive . Inoltre i giudici hanno ribadito che anche nel concordato minore bisogna prevedere risorse esterne adeguate se si vuole ottenere l’omologazione, specie a beneficio dei creditori chirografari (questo perché nelle piccole imprese spesso i debiti superano di molto l’attivo realizzabile, dunque senza un apporto dei soci il piano sarebbe iniquo).

Il concordato minore è dunque uno strumento pensato per artigiani, piccole società che vogliano evitare la liquidazione totale e trovare un accordo semplificato con i creditori. Per un’azienda di termosigillatrici industriali, a meno che non sia una piccolissima s.n.c. o simili, probabilmente non rientra nelle soglie del “minore” e dovrà seguire il concordato ordinario. Ma è utile saperlo, soprattutto se l’imprenditore individuale del settore (magari un artigiano costruttore di macchinari su misura) volesse accedere a una soluzione concorsuale senza la rigidità del concordato classico.

5.4 Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio

Una novità assoluta, introdotta dal D.L. 118/2021 e confermata dal Correttivo 2024, è il cosiddetto concordato semplificato (art. 25-sexies CCII). Questo strumento è peculiare perché non è liberamente accessibile a qualsiasi imprenditore: è riservato al caso in cui la composizione negoziata della crisi (par. 3.1) sia stata avviata ma non ha prodotto alcun accordo. Se la CNC fallisce, l’imprenditore – invece di finire direttamente in liquidazione giudiziale – può presentare una proposta di concordato liquidatorio “semplificato” entro 60 giorni dalla relazione finale negativa dell’esperto.

Le caratteristiche principali di questo concordato semplificato sono:

  • È esclusivamente liquidatorio: non contempla la continuazione dell’attività di impresa. Il debitore propone la vendita di tutto il patrimonio residuo, eventualmente nominando un liquidatore concordatario che si occuperà delle dismissioni . È quindi una via per chiudere in tempi rapidi.
  • Niente voto dei creditori: a differenza del concordato ordinario, qui i creditori non votano la proposta. Il piano viene sottoposto direttamente al tribunale per l’omologazione. Ovviamente i creditori possono opporsi in sede di omologa, ma non c’è un voto per classi . Questa è una deroga notevole, giustificata dal fatto che l’imprenditore ha già tentato invano una soluzione concordata (CNC) e ora serve chiudere il più speditamente possibile.
  • Devono essere rispettate le cause di prelazione: il piano semplificato può prevedere stralci dei crediti, ma deve rispettare l’ordine delle cause di prelazione (privilegiati prima dei chirografari) . Ciò significa che non si possono ad esempio pagare i chirografari lasciando insoddisfatti i privilegiati; ogni classe di grado inferiore può prendere qualcosa solo se quella di grado superiore è soddisfatta almeno proporzionalmente a quanto otterrebbe in liquidazione.
  • Tempi rapidi: l’idea è di concludere rapidamente la procedura. Essendo liquidatorio e senza voto, il tribunale valuta solo la legalità e la fattibilità e se tutto è regolare omologa in tempi brevi, nominando il liquidatore che in pochi mesi liquida i beni e ripartisce il ricavato.
  • Vantaggio per l’imprenditore: evitando il fallimento, il debitore (soprattutto se imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile) potrà poi accedere più facilmente all’esdebitazione (liberazione dai debiti residui) secondo le regole delle procedure minori. Tuttavia, attenzione: il concordato semplificato non prevede automaticamente l’esdebitazione dell’imprenditore persona fisica, a meno che questi non paghi interamente i crediti privilegiati. L’art. 25-sexies specifica infatti che l’esdebitazione post-concordato semplificato è subordinata al soddisfacimento integrale dei crediti privilegiati, il che spesso non avviene . Rimane però la possibilità di chiedere l’esdebitazione “classica” di cui all’art. 282 CCII in sede di eventuale successiva liquidazione controllata.

Il concordato semplificato è pensato come ultima spiaggia. Nel contesto di un produttore di termosigillatrici, immaginiamo che abbia provato la CNC senza accordo: con questo strumento può presentare un piano di liquidazione, ad esempio prevedendo che un liquidatore venda i macchinari rimasti, il magazzino e incassi i crediti, distribuendo il tutto ai creditori (magari garantendo il pagamento di una certa percentuale). I creditori non possono opporsi con il voto, ma solo contestare in udienza se ritengono il piano iniquo o infruttuoso. Il tribunale, se vede che il piano rispetta le regole di prelazione e che è l’unica via per chiudere, lo omologa. L’azienda viene liquidata senza passare per il lungo iter di un fallimento e l’imprenditore evita anche lo stigma di un fallimento dichiarato.

Va detto che il legislatore ha previsto questo istituto proprio per incentivare l’imprenditore a tentare prima la composizione negoziata, sapendo che in caso di esito negativo non sarà abbandonato ai creditori ma avrà una via di uscita più rapida del fallimento. Naturalmente resta ferma la responsabilità penale per eventuali reati: se ad esempio l’insuccesso della CNC è dovuto al fatto che l’imprenditore aveva sottratto beni, quest’ultimo potrà comunque essere perseguito per bancarotta fraudolenta a seguito del concordato semplificato.

5.5 Revoca e risoluzione del concordato; cenno alle responsabilità

Chiudiamo la parte sul concordato con un cenno alla revoca dell’ammissione e alla risoluzione del concordato, aspetti da cui derivano potenziali guai per gli amministratori.

Durante la procedura, se emergono comportamenti scorretti del debitore, il tribunale può revocare l’ammissione al concordato (art. 95 CCII, che richiama l’art. 173 L.F.). Questo succede tipicamente se si scopre che l’imprenditore ha occultato attivo, aggravato dolosamente il dissesto, fornito dati falsi ai creditori, o compiuto atti di frode. La Cassazione in una pronuncia del 2025 ha ribadito che la revoca non è una “sanzione morale” ma uno strumento oggettivo per garantire la legalità della procedura: quindi deve scattare anche in assenza di concreto pregiudizio per i creditori, se sono stati riscontrati atti in frode . In pratica, basta l’intento fraudolento. La conseguenza della revoca è immediata e drammatica: il tribunale dichiara il fallimento (liquidazione giudiziale) dell’imprenditore. Perciò, amministratori e soci devono astenersi da qualunque mossa opaca durante il concordato, pena il perdere il beneficio della procedura.

Dopo l’omologazione, invece, il concordato può andare incontro a risoluzione (art. 121 CCII) se il debitore non adempie agli obblighi assunti. Ad esempio, se prometteva di pagare il 40% ai chirografari in due anni ma non versa le rate, ciascun creditore può chiederne la risoluzione. La risoluzione riapre la strada al fallimento, con l’aggravante che a quel punto c’è stato ulteriore tempo perso e magari attivo depauperato. Inoltre, l’art. 122 CCII prevede la annullamento del concordato se si scopre che fu dolosamente esagerato il passivo o diminuito l’attivo per ingannare i creditori (ulteriore tutela anti-frode).

Per completare, menzioniamo la responsabilità degli amministratori nel concordato: se la procedura va a buon fine e l’azienda prosegue, gli amministratori potrebbero conservare il loro ruolo (nel concordato in continuità). Ma qualora emerga successivamente che durante la gestione in concordato hanno compiuto atti oltre i limiti o in violazione dei doveri, essi ne rispondono. Inoltre, se poi la società fallisce, nulla impedisce al curatore di esercitare l’azione di responsabilità per gli atti di mala gestio precedenti al concordato (anzi, spesso un concordato mal gestito finisce in fallimento e allora i creditori, tramite il curatore, chiamano i manager a rispondere).

In conclusione, il concordato preventivo è uno strumento potente che consente di imporre ai creditori una soluzione, ma è anche impegnativo: richiede preparazione accurata, comporta controlli rigidi e non tollera opacità. Nella logica di chi “deve difendersi” dai debiti, è l’arma da usare quando le negoziazioni private falliscono o sono impraticabili, e si vuole evitare il default puro.

6. Altre procedure: liquidazione giudiziale, liquidazione controllata e sovraindebitamento

Abbiamo finora discusso delle strade percorribili per tentare il risanamento o almeno un concordato con i creditori. Completiamo il quadro con le procedure che intervengono quando l’insolvenza non può essere evitata: la liquidazione giudiziale (nuovo nome del fallimento) per le imprese di maggiori dimensioni, e le procedure di sovraindebitamento (liquidazione controllata, ristrutturazione dei debiti del consumatore, ecc.) per i soggetti minori o non fallibili.

6.1 Liquidazione giudiziale e liquidazione controllata

La liquidazione giudiziale (artt. 121 e ss. CCII) è la procedura concorsuale d’ufficio che viene aperta su istanza di creditori, del debitore stesso o del pubblico ministero, quando un imprenditore si trova in stato di insolvenza accertato e non ha attivato altre soluzioni. Essa corrisponde sostanzialmente al vecchio fallimento: il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale, nomina un curatore che prende in mano la gestione dell’impresa, spossessando l’imprenditore, e provvede a liquidare il patrimonio distribuendo il ricavato ai creditori secondo le prelazioni. La liquidazione giudiziale comporta varie conseguenze per l’imprenditore (come possibili sanzioni interdittive, la perdita dell’autonomia gestionale, e implicazioni sul piano penale come vedremo nel prossimo paragrafo). Dal punto di vista difensivo, va segnalato che il debitore può opporsi ad un’istanza di fallimento cercando di dimostrare di non essere insolvente o proponendo in extremis un concordato (fino all’udienza pre-fallimentare). Ma se l’insolvenza è conclamata e non ci sono piani credibili, il fallimento/liquidazione giudiziale è inevitabile.

Per le imprese di termosigillatrici, essendo tipicamente imprese commerciali sopra certe soglie, la liquidazione giudiziale è la procedura destinata in caso di default. Non ci dilunghiamo oltre poiché è un iter ben noto: inventario, stato passivo, vendita beni, riparto dell’attivo, ecc.

Merita invece attenzione l’analogo per i soggetti minori e non fallibili: la liquidazione controllata (artt. 268–277 CCII). Questa è l’erede della “liquidazione del patrimonio” prevista dalla legge 3/2012 per i sovraindebitati. Vi possono accedere: gli imprenditori sotto-soglia (che non possono essere liquidati giudizialmente), i professionisti, le startup innovative, le società agricole, le persone fisiche consumatori. La liquidazione controllata si apre su richiesta del debitore sovraindebitato oppure su istanza dei creditori o del PM in caso di insolvenza di un non fallibile . Il tribunale nomina un liquidatore (analogo al curatore) che liquida tutti i beni (tranne quelli impignorabili per legge o necessari al sostentamento minimo). La procedura dura al massimo 4 anni (prorogabili a 6) , durante i quali il debitore collabora ma perde la disponibilità dei suoi beni.

La finalità principale qui è consentire anche ai piccoli di liberarsi dai debiti: infatti, al termine della liquidazione controllata, il debitore persona fisica può ottenere la esdebitazione dei debiti rimasti insoddisfatti (salve eccezioni per debiti fiscali gravissimi o risarcimenti da illeciti). Il Correttivo 2024 ha ulteriormente facilitato l’esdebitazione per l’imprenditore meritevole, ossia colui che non ha frodato i creditori e ha collaborato lealmente. Ciò significa che, ad esempio, se un artigiano produttore di termosigillatrici fallisce e liquida tutto il poco che ha, potrà ripartire da zero senza debiti residuali.

In conclusione, la liquidazione (giudiziale o controllata) è ovviamente l’epilogo meno desiderabile perché implica la fine dell’azienda. Tuttavia, come misura difensiva, a volte dichiarare tempestivamente il fallimento (o la liquidazione controllata per i minori) può limitare i danni: si cristallizza la situazione evitando ulteriore aggravamento e i creditori vengono soddisfatti secondo legge. Inoltre, cessata l’attività, l’imprenditore onesto avrà la chance di essere esdebitato (per le società ciò significa semplicemente la chiusura senza ulteriori pretese verso i soci, mentre per le persone fisiche è la liberazione integrale dalle obbligazioni). Dunque, non sempre il fallimento è “la fine del mondo”: in certi casi, affrontarlo di petto è la scelta migliore per voltare pagina, anziché trascinare un’agonia finanziaria con rischio di responsabilità maggiori per gli amministratori.

6.2 Strumenti per il consumatore e il piccolo imprenditore (Cenni)

Oltre alla liquidazione controllata, il Codice prevede altre due procedure per soggetti non fallibili (ex legge sul sovraindebitamento):

  • Ristrutturazione dei debiti del consumatore: se il soggetto sovraindebitato è un consumatore (debiti privati, non da attività di impresa), può proporre un piano di ristrutturazione ai creditori, simile a un concordato minore. È omologato dal tribunale e vincola tutti i creditori se c’è il voto favorevole della maggioranza. Questo però esula dal contesto aziendale.
  • Concordato minore e accordo del debitore civile: per completezza, oltre al concordato minore già trattato, esiste anche l’accordo di ristrutturazione del debitore non fallibile (ex accordo di composizione), destinato a imprenditori minimi o enti non commerciali, che richiede il 60% di consensi dei creditori.

Nel contesto delle aziende di termosigillatrici industriali, queste procedure per sovraindebitati entrano in gioco soprattutto qualora i soci o garanti siano persone fisiche che, a seguito del dissesto della società, si trovano a loro volta schiacciati dai debiti personali (pensiamo a un piccolo imprenditore che ha garantito in proprio i debiti bancari e fallendo la società rimane esposto). In tal caso, il socio persona fisica potrebbe utilizzare i rimedi del sovraindebitamento (es. un piano del consumatore per i debiti personali estranei all’azienda, oppure una liquidazione controllata personale) contestualmente alla gestione concorsuale della società. Ciò è stato illustrato in una delle simulazioni pratiche al paragrafo 9.2.

7. Profili fiscali e previdenziali: come gestire i debiti verso Erario e INPS

Nel panorama della crisi d’impresa, un capitolo delicato riguarda i debiti verso il Fisco e gli enti previdenziali. Questi crediti godono spesso di privilegi speciali (es. il privilegio generale sui mobili per l’IVA e ritenute non versate, privilegio sui beni per imposte ipotecarie, ecc.) e rivestono anche implicazioni di ordine pubblico. Inoltre, l’amministrazione finanziaria ha poteri di riscossione coattiva particolari (cartelle esattoriali, iscrizione a ruolo). Pertanto, per un’azienda di termosigillatrici indebitata, è fondamentale sapere quali strumenti esistono per gestire o ridurre i debiti fiscali e contributivi. Ne esamineremo tre: il trattamento dei crediti pubblici in ambito concorsuale (privilegi e transazione fiscale), le possibilità di rateazione amministrativa fuori dalle procedure, e gli effetti sul DURC.

7.1 Privilegi dei crediti pubblici e trattamento in concorso

I debiti verso Agenzia delle Entrate, Agenzia Riscossione e INPS presentano una caratteristica: una parte significativa di essi è privilegiata. In particolare, i debiti per IVA, ritenute fiscali (IRPEF dipendenti), contributi previdenziali e premi assicurativi vantano un privilegio generale mobiliare ex art. 2752 c.c. Questo significa che, in caso di fallimento o concordato, tali crediti devono essere pagati con precedenza sui crediti chirografari, fino a capienza del patrimonio mobiliare. All’atto pratico, ciò riduce la quota disponibile per i chirografari nel piano di riparto. Ad esempio, se un’azienda ha €100 di attivo e €50 di debiti IVA privilegiati, quei €50 andranno prima a IVA (probabilmente non integralmente soddisfatti perché il privilegio si estende solo ai mobili, non agli immobili – per gli immobili l’Erario non ha privilegio ma solo ipoteca se iscritta). Inoltre, su imposte e contributi spesso gravano sanzioni e interessi: le sanzioni pecuniarie (multe amministrative) in ambito concorsuale sono degradate al chirografo (non sono privilegiate), mentre gli interessi maturati dopo l’apertura di una procedura concorsuale non sono dovuti (si cristallizzano al giorno di apertura).

Nei piani di concordato, per legge è possibile proporre di falcidiare (ridurre) anche i crediti privilegiati dell’Erario e degli enti previdenziali, ma solo a certe condizioni: se il concordato è in continuità, previa transazione fiscale; se è liquidatorio, in teoria bisognerebbe pagarli per intero salvo il valore dei beni oggetto di privilegio insufficiente (qui c’è un dibattito tecnico: il CCII consente la falcidia dei privilegi solo in continuità indiretta, mentre nel liquidatorio puro no, salvo insufficienza del collaterale, ovvero se i beni su cui insiste il privilegio non coprono l’intero credito, la parte scoperta diventa chirografa e si può falcidiare quella). Dunque, i crediti pubblici hanno un trattamento di favore ma non sono intoccabili: la chiave è la cosiddetta transazione fiscale di cui parliamo tra poco.

Va notato che, in sede di liquidazione fallimentare, i crediti erariali e contributivi privilegiati concorrono come tutti gli altri privilegiati. Qualora però il patrimonio sia insufficiente a pagarli integralmente, essi rimangono insoddisfatti (lo Stato subisce il concorso). Non esiste un diritto assoluto dell’Erario ad avere tutto, ma certamente la sua posizione è più tutelata che in passato grazie anche alla normativa sui reati tributari che funge da deterrente all’omesso pagamento.

7.2 La transazione fiscale e contributiva: ristrutturare i debiti con il Fisco

Lo strumento centrale per gestire i debiti fiscali in una procedura concorsuale è la transazione fiscale. Introdotta inizialmente nel 2006 e oggi regolata dagli artt. 63–64 CCII, consente al debitore di proporre a Agenzia delle Entrate e agli enti previdenziali una falcidia o dilazione delle imposte e contributi dovuti .

In ambito di accordo di ristrutturazione (ADR), l’art. 63 CCII prevede espressamente che si possono includere i debiti tributari sorti fino alla data di presentazione della proposta . La proposta deve indicare il trattamento di tali debiti (ad esempio: pagamento del 60% in 5 anni delle imposte, stralcio totale di sanzioni e interessi). Deve essere corredata da specifica documentazione: un’attestazione di convenienza del piano per l’Erario rispetto alla liquidazione, e – novità – una relazione sulla veridicità dei dati aziendali redatta dal revisore legale dell’azienda o da altro professionista designato . Questo adempimento, previsto dal comma 2-bis dell’art. 23 CCII per la CNC e replicato per gli ADR, serve a dare fiducia alla controparte pubblica sul fatto che i numeri presentati siano attendibili.

La transazione fiscale può comprendere tutte le imposte amministrate dalle agenzie fiscali (non solo IVA e ritenute, ma anche IRES, IRAP) e i contributi previdenziali INPS e premi INAIL . Tipicamente, si propone di pagare solo una parte del debito (soprattutto di stralciare sanzioni e interessi) e di rateizzare il resto nel tempo. È importante evidenziare che le sanzioni tributarie possono essere sempre stralciate integralmente nel concordato o ADR, perché non godono di privilegio e la loro natura afflittiva consente un trattamentum speciale.

Nel concordato preventivo, la transazione fiscale è integrata nella proposta concordataria stessa (non c’è un accordo separato). Il debitore specifica quale percentuale propone per IVA, ritenute e contributi. L’Erario partecipa al voto in classe separata. Se vota sì o se comunque la maggioranza approva e il tribunale rileva che la proposta è più conveniente del fallimento, il concordato viene omologato e vincola il Fisco. Inoltre, come detto, se l’Erario vota no ma la proposta è conveniente, il tribunale può omologare lo stesso applicando il cram-down fiscale .

Purtroppo, nella prassi recente ci sono state alcune difficoltà: l’istituto dell’accordo fiscale nella composizione negoziata, nonostante l’avvio nel settembre 2024, ha visto pochissimi casi di successo (solo 3 su 169 proposte) . Questo perché le Agenzie spesso richiedono ulteriori garanzie, come un’attestazione di fattibilità del piano anche se non obbligatoria per legge , e ci sono stati dubbi interpretativi su quali debiti includere (ad esempio, la norma non chiariva se si potessero includere debiti fiscali formatisi fino alla domanda o fino alla conclusione dell’accordo, ma per analogia con l’art. 63 CCII si includono quelli fino alla data della proposta) .

Tuttavia, per un’azienda indebitata con il Fisco, l’arma della transazione fiscale è cruciale: consente di ridurre (anche significativamente) il carico fiscale, ad esempio condonando interessi di mora e sanzioni che spesso gonfiano il debito ben oltre il capitale. Inoltre, grazie al meccanismo del cram-down, il Fisco non ha più un veto insuperabile come avveniva prima del 2020 (quando se votava no faceva fallire l’accordo).

Un aspetto importante: l’Erario valuterà la convenienza economica della proposta. Per legge, non può accettare meno di quanto stimerebbe di incassare in caso di fallimento. Quindi, il debitore deve preparare una perizia che confronti: scenario concordato (quanto percentualmente paghiamo al Fisco) vs scenario liquidatorio (quanto incasserebbe il Fisco vendendo i beni). Se nel concordato il Fisco prende di più, la proposta è per definizione conveniente e dovrebbe essere accettata (o imposta col cram-down). Se il Fisco percepirebbe di più dal fallimento, non si può pretendere che accetti di perdere di più in concordato – in tal caso, la proposta va rivista al rialzo.

Un altro vincolo: certe tipologie di debiti erariali cosiddetti “qualificati” (IVA e ritenute non versate) possono essere falcidiate nel concordato solo se il piano prevede la continuità aziendale (diretta o indiretta) . Nel concordato liquidatorio, tali debiti vanno soddisfatti per intero salvo la parte eventualmente chirografaria (questo per proteggere l’interesse pubblico sull’IVA e le ritenute). Questa distinzione è frutto di un bilanciamento politico: l’IVA è considerata una imposta di cui l’imprenditore si fa custode per conto dello Stato, quindi falcidiarla è un’eccezione ammessa solo se serve a tenere in vita l’azienda (pagandola in parte col reddito futuro). Comunque, con l’intervento del 2022, il legislatore ha reso più chiaro che anche IVA e ritenute possono essere oggetto di transazione fiscale, purché nel rispetto di quell’alternativa (continuità vs liquidazione).

In sintesi, come difendersi da debiti fiscali ingenti? Nella fase stragiudiziale, si può tentare una definizione agevolata (rottamazione delle cartelle, se prevista dalla legge di bilancio, per abbattere sanzioni e interessi) e chiedere la rateazione amministrativa (vedi paragrafo successivo). Se però questi strumenti ordinari non bastano e si imbocca la via concorsuale, è fondamentale includere una transazione fiscale nel piano di risanamento (ADR o concordato). Ad esempio: proporre di pagare il 50% dell’IVA in 5 anni, stralciando il resto. Se ciò è più di quanto i creditori chirografari riceverebbero dal fallimento, l’Erario potrà essere obbligato ad accettare . Sottolineiamo che, una volta omologato l’accordo o il concordato, gli uffici fiscali sono vincolati: i ruoli esattoriali vengono rettificati secondo l’accordo e l’agente della riscossione non può procedere oltre. Ciò offre un sollievo concreto all’azienda.

7.3 Rateazioni e piani di rientro con l’Agente della Riscossione

Fuori dall’ambito concorsuale, il legislatore consente comunque al debitore di negoziare dilazioni per i debiti fiscali iscritti a ruolo, evitando misure esecutive immediate. Ogni imprenditore in temporanea difficoltà dovrebbe conoscere queste opzioni perché sono il primo livello di difesa.

L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER), su istanza del debitore, può concedere una rateizzazione amministrativa delle cartelle esattoriali fino a 72 rate mensili (6 anni) per importi fino a €120.000, e fino a 120 rate (10 anni) per importi maggiori o in caso di comprovata situazione di grave difficoltà . I piani a 72 rate sono ottenibili con relativa facilità (entro certi importi non serve neppure dimostrare la difficoltà, è automatica la dilazione standard). Quelli a 120 rate richiedono di provare che la rata minima sostenibile in base al reddito è inferiore alla rata standard.

Durante la rateazione, l’ADER sospende ogni azione esecutiva: quindi niente fermi né pignoramenti, a patto di pagare puntualmente le rate . Se poi il debitore salta il pagamento di 5 rate (anche non consecutive), la rateazione decade e il debito residuo diventa immediatamente esigibile per intero.

Negli ultimi anni, in considerazione delle crisi generali, il legislatore ha introdotto varie definizioni agevolate (c.d. rottamazioni delle cartelle) che permettono di pagare solo il capitale delle imposte, scontando sanzioni e interessi. Ad esempio, la “rottamazione-quater” nel 2023. Approfittare di queste misure può ridurre drasticamente l’esposizione fiscale. Certo, bisogna poi pagare le rate pattuite, altrimenti si decade dai benefici.

È importante sapere che, con l’entrata in vigore del CCII, ora anche durante una procedura concorsuale come il concordato, se il debitore aveva una rateazione in corso con ADER e la rispetta, il reato di omesso versamento IVA non si perfeziona . La recente riforma dei reati tributari (D.Lgs. 75/2020 e D.Lgs. 87/2024) ha infatti previsto che la punibilità per omesso versamento di IVA oltre soglia scatta solo se alla data di accertamento il debito non è in regolare rateazione . Quindi, mantenere una rateazione attiva è anche scudo penale. Se poi l’azienda entra in concordato, la Cassazione Penale ha stabilito che la procedura concorsuale esclude la punibilità per l’omesso versamento nel frattempo, perché non è più fatto imputabile al contribuente il mancato pagamento integrale quando c’è un concordato omologato che lo riduce (principio del cessato elemento soggettivo per causa non imputabile al debitore).

In pratica, cosa fare appena arrivano cartelle o accertamenti fiscali? Una linea difensiva intelligente è: se ci sono vizi formali o sostanziali, valutarne l’impugnazione presso la Giustizia Tributaria (il ricorso sospende la riscossione fino a sentenza); altrimenti, chiedere subito la rateizzazione di legge , ottenendo lo stand-by delle azioni di recupero e diluendo l’esborso. Se poi la crisi persiste e si attiva una procedura come la CNC o il concordato, comunicare all’ADER di essere in trattativa o procedura concorsuale in corso: spesso questo porta l’Agente a congelare ulteriormente le azioni in attesa dell’esito.

Infine, si può cercare un accordo transattivo diretto con l’ADER (dilazione extra-lege): talvolta, per importi rilevanti e situazioni meritevoli, l’ADER può (previa autorizzazione dell’ente creditore) concordare piani ad hoc o accettare parziali pagamenti (ma questo ormai avviene formalmente solo via transazione fiscale nel concorsuale).

Il messaggio chiave: mai ignorare le cartelle esattoriali sperando che scompaiano. Al contrario, usare gli strumenti di legge per guadagnare tempo (rate, ricorsi) e poi eventualmente includerle in un piano più ampio di ristrutturazione. Come recita un avviso tipico: “ignorare cartelle o accertamenti fiscali può portare a pignoramenti, blocco dei conti, fermi e sequestri compromettendo la sopravvivenza dell’impresa; molte situazioni possono invece essere risolte o attenuate se affrontate tempestivamente con difesa legale e fiscale competente” .

7.4 Impatto del DURC e rapporti con enti previdenziali

Abbiamo già toccato il tema del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) parlando dei debiti contributivi. Vale la pena ribadire qualche punto, perché per un’azienda meccanica che magari partecipa a fiere, ottiene finanziamenti pubblici o lavora come fornitore in appalti, la regolarità contributiva è un requisito esistenziale.

Il DURC viene rilasciato se l’azienda è in regola con il versamento di contributi INPS, premi INAIL e Cassa Edile (se applicabile) per i dipendenti e collaboratori. In caso di ritardi o inadempienze anche minime, viene emesso DURC irregolare. Ciò comporta: impossibilità di partecipare a nuove gare d’appalto pubbliche; nei cantieri aperti, la stazione appaltante può sospendere i pagamenti e eventualmente rescindere il contratto se la regolarità non viene ripristinata entro 90 giorni . Inoltre, per erogare alcuni incentivi o crediti d’imposta (ad es. iper-ammortamento, Nuova Sabatini) le autorità richiedono il DURC regolare; un DURC negativo può far perdere il beneficio.

Durante una procedura concorsuale (concordato, accordo, ecc.), grazie all’art. 8 D.L. 91/2014, l’impresa può ottenere un DURC in regola per procedura: se è ammessa a concordato o ha un accordo omologato, il DURC viene rilasciato “in regola” per favorirne la prosecuzione attività, ancorché abbia debiti contributivi (che saranno poi trattati nel concordato). Ciò evitò in passato molte revoche di appalti.

Nella fase pre-procedura, invece, conviene segnalare all’INPS eventuali difficoltà e magari rateizzare anche i debiti contributivi (stesso discorso dell’ADER: l’INPS concede dilazioni su contributi). Il Fondo di Garanzia INPS copre i dipendenti per stipendi e TFR in caso di insolvenza conclamata (fallimento), ma in un concordato in continuità i salari devono essere comunque pagati correntezza.

Riguardo ai rapporti con INPS, se l’azienda non paga i contributi dei dipendenti, rischia (oltre al DURC negativo e sanzioni civili) anche il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali sopra soglia (art. 2, comma 1-bis D.L. 463/83): soglia oggi €10.000 annui. Questo reato è estinto automaticamente se entro il termine per l’esercizio del diritto di difesa (nel processo penale) si pagano i contributi dovuti. Altrimenti si rischia fino a 3 anni di carcere. Tuttavia, il D.Lgs. 8/2016 ha depenalizzato le omissioni fino a €10.000.

In un contesto di crisi, se si deve scegliere il male minore, meglio essere in regola col DURC anche a costo di fare debiti altrove: la perdita del DURC può far saltare commesse vitali. Perciò spesso in un piano di risanamento si dà priorità a regolarizzare i contributi (anche perché i lavoratori, come visto, sono i primi da tutelare). Un approccio proattivo consiste nel coinvolgere anche l’INPS in eventuali tavoli di trattativa, spiegando che magari l’azienda ha bisogno di un po’ di tempo ma intende onorare i contributi.

In conclusione su Fisco e contributi: dalla prospettiva dell’imprenditore, i debiti verso lo Stato sono tra i più insidiosi ma al contempo gestibili con gli strumenti giusti. Un mix di difesa tecnico-legale (ricorsi ove c’è margine), dilazioni, definizioni agevolate e poi transazioni fiscali nelle procedure può ridurre drasticamente l’impatto sul patrimonio aziendale, pur garantendo allo Stato una parte del dovuto. L’importante è non trascurare questi aspetti e affidarsi a professionisti (avvocati tributaristi, consulenti del lavoro) che curino in parallelo la posizione fiscale e contributiva mentre l’azienda affronta la ristrutturazione generale.

8. Profili penali: bancarotta e altri reati connessi alla crisi d’impresa

Dal punto di vista dell’imprenditore e degli amministratori, una delle preoccupazioni maggiori quando l’azienda precipita nella crisi è il rischio di incorrere in responsabilità penali. La legislazione italiana prevede infatti una serie di reati specifici legati all’insolvenza e al comportamento dell’imprenditore durante la gestione della crisi. Su tutti primeggia il reato di bancarotta (declinato in varie forme: fraudolenta, semplice, documentale, ecc.) che può colpire gli amministratori di società dichiarate fallite (liquidazione giudiziale) o coinvolte in concordati revocati. Inoltre, vi sono i reati tributari connessi ai mancati versamenti di imposte, che come visto possono interessare gli stessi soggetti. In questo capitolo passiamo in rassegna i principali reati concorsuali e tributari, così che un imprenditore-debitore sappia cosa evitare assolutamente e quali condotte potrebbero portarlo dal tribunale fallimentare al tribunale penale.

8.1 Bancarotta: tipologie e soggetti attivi

Il reato di bancarotta è previsto dal R.D. 267/1942 (vecchia legge fallimentare) agli artt. 216–217 per la bancarotta fraudolenta e semplice, e ora trasfuso nel CCII agli artt. 322–323 (bancarotta fraudolenta) e 324 (bancarotta semplice). Si configura quando un imprenditore, dichiarato fallito (o liquidato giudizialmente, per usare il nuovo termine), ha posto in essere prima o durante la procedura determinati comportamenti illeciti che offendono gli interessi dei creditori. Le figure di bancarotta principali sono:

  • Bancarotta fraudolenta patrimoniale: l’amministratore (o il titolare) ha distratto, occultato, dissipato o sottratto beni del patrimonio sociale prima o dopo il fallimento, con l’intento di recare pregiudizio ai creditori . Esempi: preleva ingenti somme dalla cassa spacciandole per compensi senza giustificazione, vende beni a prezzo vile a un complice prima del fallimento, nasconde merci in magazzini non dichiarati, si appropria di incassi aziendali per scopi personali. È punita con pene severe (da 3 a 10 anni di reclusione) perché è un comportamento doloso gravemente lesivo della massa creditoria.
  • Bancarotta fraudolenta documentale: l’amministratore ha nascosto, manomesso o tenuto in modo falso le scritture contabili, rendendo impossibile ricostruire il patrimonio e le movimentazioni . Ad esempio, brucia i libri contabili, altera i bilanci per far sparire debiti, tiene due contabilità parallele. Anche questa è punita con 3-10 anni, perché impedire ai creditori di capire dov’è finito il patrimonio è considerato fraudolento quanto distruggere i beni.
  • Bancarotta semplice: è la forma colposa o meno grave. Comprende vari casi (art. 324 CCII, ex art. 217 L.F.), ad esempio: l’imprenditore ha aggravato il dissesto con spese personali eccessive o operazioni azzardate, oppure non ha tenuto i libri in ordine per negligenza, oppure non ha richiesto il fallimento in tempo per ostinazione “testarda” senza prospettive . È punita più lievemente (fino a 2 anni di reclusione) ed è l’unica figura di bancarotta che non richiede il dolo: basta la colpa grave. Esempio tipico: l’amministratore continua l’attività in perdita per due anni senza informare nessuno, aumentando il buco (aggravamento del dissesto). Non c’è malafede, ma c’è imprudenza punibile.
  • Bancarotta impropria: quando soggetti diversi dall’imprenditore cagionano il fallimento con dolo (es. i soci che con operazioni dolose causano l’insolvenza, art. 323 CCII, ex art. 223 L.F.). Ad esempio, la falsa comunicazione sociale aggravata che porta al dissesto può far incorrere in bancarotta impropria i dirigenti o amministratori.

Va chiarito che soggetti attivi di questi reati sono principalmente gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori e i soci di fatto che abbiano gestito la società. Anche il c.d. amministratore di fatto può essere perseguito: se una persona esercita in concreto i poteri di gestione pur senza carica formale, risponde come amministratore . Ad esempio, Cassazione 19402/2025 ha condannato un amministratore di fatto che prelevava fondi spacciandoli per compensi senza delibera, qualificando quei prelievi come distrazioni punibili . Dunque, non ci si illuda di poter manovrare dietro le quinte e sfuggire ai reati: conta la sostanza.

Il reato di bancarotta scatta solo se c’è una dichiarazione di fallimento o apertura di liquidazione giudiziale (o concordato preventivo poi revocato per frode). Se l’azienda riesce a evitare il fallimento (ad es. con concordato omologato e adempiuto), gli amministratori non potranno essere accusati di bancarotta, anche se avessero commesso irregolarità (potrebbero casomai rispondere di altri reati come appropriazione indebita o frodi fiscali, ma non bancarotta). Questo è un motivo in più per cercare di risolvere la crisi in modo concordato: in caso di esito positivo, l’ombrello concorsuale preserva dal marchio di bancarottiere. Inoltre, il CCII all’art. 324 ultimo comma prevede la non punibilità della bancarotta semplice per l’imprenditore che abbia tempestivamente presentato una domanda di concordato o accordo e poi sia stato dichiarato fallito: se ha agito per tentare la regolazione della crisi, questo esclude la colpa grave di aver tardato . In altre parole, c’è una causa di non punibilità per l’imprenditore che “ci ha provato” in buona fede.

8.2 Intersezione tra reati tributari e bancarotta

Quando un’impresa in crisi ha anche debiti tributari di rilievo, la vicenda penale può intersecare sia la disciplina fallimentare sia quella tributaria. Alcuni reati tributari tipici in questi contesti: l’omesso versamento IVA e l’omesso versamento di ritenute certificate (già citati, soglie €250k e €150k rispettivamente, art. 10-ter e 10-bis D.Lgs. 74/2000), e il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art. 11 D.Lgs. 74/2000), che consiste nel compiere atti dispositivi sul proprio patrimonio per evadere il fisco (es. simulare vendite di beni per evitare pignoramenti).

Una domanda che sorge: se un imprenditore compie atti distrattivi per non pagare il Fisco e poi fallisce, rischia la doppia incriminazione? Oppure un reato assorbe l’altro? La Cassazione Penale, sentenza n. 10750/2025 ha chiarito che i reati tributari come la sottrazione fraudolenta e il reato di bancarotta impropria non si assorbono l’uno nell’altro in automatico, perché tutelano beni giuridici diversi (uno l’interesse fiscale erariale, l’altro la par condicio dei creditori) . Hanno inoltre elementi soggettivi differenti. Pertanto un medesimo fatto (es. alienare un macchinario in leasing per sottrarlo a ipoteca fiscale) può dar luogo a due procedimenti: uno per il reato fiscale, uno per bancarotta fraudolenta, senza violare il ne bis in idem, purché vi sia fallimento dichiarato . Insomma, il cattivo imprenditore rischia il doppio binario.

Ciò detto, nella prassi spesso i giudici coordinano le due cose: se l’azienda è fallita, i fatti di sottrazione di beni vengono normalmente contestati come bancarotta fraudolenta patrimoniale; se non c’è fallimento, li contestano come art. 11 (sottrazione al Fisco). Ma se c’è fallimento ed emerge che l’imprenditore ha sottratto beni con specifico fine di non pagare le imposte, potrebbe subire entrambe le accuse, perché – come spiegato – il dolo specifico verso il Fisco è elemento costitutivo di art. 11, e parallelamente il venir meno di quel bene al patrimonio lede i creditori (bancarotta).

Un altro punto d’intersezione: la presentazione di dichiarazioni fraudolente (artt. 2 e 3 D.Lgs. 74/2000, false fatture o false rappresentazioni) può portare a condanna penale tributaria; se poi l’azienda fallisce e quelle condotte hanno nascosto l’insolvenza, può configurarsi bancarotta impropria per operazioni dolose.

Da difensore del debitore, conviene sottolineare che impegnarsi in una procedura concorsuale virtuosa può evitare alcuni guai: ad esempio, se l’IVA non viene pagata ma l’azienda presenta concordato e lo omologa, come detto la Cassazione tende a escludere il dolo di evasione – almeno per omesso versamento (cosa diversa è se c’erano artifizi). Comunque, la lezione generale: non commettere ulteriori reati nel tentativo di salvare l’azienda. Tagliare imposte in modo fraudolento, usare fatture false per gonfiare costi, spostare beni a parenti: sono tutte mosse disperate che aggravano solo la posizione giudiziaria.

8.3 Altri reati comuni in contesti di crisi: appropriazione indebita, false comunicazioni, ecc.

Oltre alla bancarotta e ai reati fiscali, ci sono alcuni reati “classici” del diritto penale societario che spesso emergono quando un’impresa è prossima al collasso:

  • Appropriazione indebita (art. 646 c.p.): se un amministratore si appropria di beni o denaro sociali in assenza di legittimazione, commette appropriazione indebita aggravata (perché commessa su patrimonio altrui affidato, punibile fino a 5 anni). Questo può avvenire anche senza fallimento, quindi attenzione: se il socio sottrae soldi dalla società e la società non fallisce, la condotta non cadrà sotto bancarotta ma può essere perseguita su denuncia come appropriazione. Nei fallimenti, di solito tali condotte vengono assorbite nella bancarotta fraudolenta patrimoniale. Ad esempio, l’amministratore di fatto del caso Cass. 19402/2025 che prelevava incassi come propri stava commettendo appropriazione indebita – poi contestata come bancarotta perché la società è fallita .
  • False comunicazioni sociali (artt. 2621-2622 c.c.): la redazione di bilanci falsi per nascondere perdite o far apparire una situazione diversa è un reato. È perseguibile d’ufficio se cagiona danno rilevante a soci o creditori (art. 2622 c.c.); quindi in un contesto di insolvenza, un bilancio fasullo potrebbe attivare la Procura. Inoltre, un bilancio falso che nasconde la perdita di capitale può essere visto come operazione dolosa che ha ritardato il fallimento, quindi rilevante anche come bancarotta impropria.
  • Reati finanziari connessi: se l’azienda, pur in dissesto, fa ricorso al credito bancario fornendo garanzie fittizie o dati falsi, potrebbe configurarsi il reato di insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.) o truffa ai danni della banca. Analogamente, l’emissione di assegni senza provvista o l’uso distorto di finanziamenti pubblici (se ricevuti contributi e distratti) possono avere rilievi penali.
  • Omessi versamenti contributivi e assicurativi: ne abbiamo parlato – se sopra soglia, sono contravvenzioni penali. Un amministratore in crisi potrebbe anche incorrere in reati minori come il mancato versamento delle imposte previdenziali dei dipendenti (punito in via penale per la parte eccedente la soglia, come detto).
  • Reati di bancarotta societaria: la legge punisce come bancarotta impropria anche altre condotte, ad esempio il pagamento preferenziale di un creditore a scapito di altri in prossimità del fallimento (la c.d. bancarotta preferenziale, art. 323 CCII), oppure il fatto di aver proseguito l’attività a dispetto della perdita di capitale (bancarotta semplice). Anche i soci o terzi che hanno concorso nelle distrazioni (es. il prestanome che riceve beni) rispondono di concorso in bancarotta.

Per un amministratore è dunque essenziale, dal momento in cui sente odore di crisi, comportarsi in modo cristallino e prudente. I consigli pratici fondamentali includono :

  • Tenere la contabilità in modo regolare e aggiornato: niente doppi fondi, registrare tutto, conservare i documenti. Una contabilità trasparente è la prima linea di difesa contro l’accusa di bancarotta documentale.
  • Evitare operazioni distrattive o simulate: non vendere a parenti a 1 euro i macchinari, non spostare la cassa in conti esteri non dichiarati, non occultare stock di magazzino. Queste mosse possono sembrare furbe nell’immediato ma quasi sempre vengono a galla e configurano reati dolosi.
  • Non distribuire utili o compensi extra se la società è in perdita e non ha riserve; non prelevare denaro se non come stipendio legittimo deliberato. Qualunque prelievo straordinario senza base può essere visto come appropriazione o distrazione .
  • Attivarsi tempestivamente: ritardare il fallimento sine spe aggravando il buco può farti accusare di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto . Meglio presentare per tempo un concordato: come visto, questo esonera dalla bancarotta semplice per ritardo.
  • Non fare preferenze indebite: se decidi di pagare qualche fornitore durante lo stato di insolvenza, fallo con cautela. Pagare solo l’amico e lasciare gli altri a bocca asciutta può essere bancarotta preferenziale (che è considerata fraudolenta se c’è intenzione dolosa). Se devi pagare, assicurati che sia a fronte di prestazioni essenziali alla continuità e secondo criteri oggettivi.
  • Non falsificare i bilanci: piuttosto ammetti la perdita e convoca i soci. Un falso in bilancio scoperto poi porta solo rogne, oltre a distruggere la credibilità in concordato.
  • Non compiere operazioni di “azzardo morale” con l’idea “o la va o la spacca” sperando di recuperare: esempio, indebitarsi ulteriormente sperando in un miracolo, oppure vendere merci sotto costo per fare cassa immediata. Se poi fallisci, quelle scelte potrebbero essere giudicate imprudenti e punibili.

In positivo, come già detto, attivare le procedure legali di crisi è la condotta più virtuosa e può persino proteggere penalmente. L’art. 324 CCII dichiara non punibile la bancarotta semplice se prima del fallimento l’imprenditore ha tempestivamente presentato un ricorso di concordato o ADR . Quindi usare gli strumenti concorsuali serve anche a sterilizzare eventuali accuse di ritardo colposo.

Infine, se malauguratamente si arriva al penale, la collaborazione con gli organi della procedura (curatore, giudice) e l’impegno a risarcire i danni possono essere valutati positivamente. Ad esempio, un amministratore fallito che, anziché ostacolare il curatore, lo aiuta a recuperare attivo, potrà sperare in attenuanti in sede di giudizio.

8.4 Reato di aggravamento del dissesto e ritardo nel fallimento

Abbiamo già menzionato questo aspetto sotto la bancarotta semplice, ma è bene metterlo a fuoco: continuare l’attività imprenditoriale in condizioni disperate può diventare un illecito penale se configura colpa grave. L’art. 324, co.1 n.4 L.F. (ora trasfuso nell’art. 324 CCII) punisce l’imprenditore dichiarato fallito che ha aggravato il dissesto ritardando la richiesta di fallimento. Qui la condotta incriminata è l’inerzia o l’ostinazione oltre il limite del ragionevole.

Ad esempio, la Cassazione ha affermato che emettere fatture per operazioni inesistenti o non recuperabili, accumulando crediti fasulli in bilancio e sperando di coprire le perdite, è condotta di grave imprudenza integrativa di bancarotta semplice . In sostanza, proseguire l’attività “gonfiando la bolla” può costituire colpa grave. Anche continuare a indebitarsi sapendo di non poter pagare, oppure contrarre nuovi debiti verso fornitori quando il capitale è già perso, rientra nel concetto di aggravamento del dissesto.

Chiaramente qui si punisce la colpa (negligenza, imprudenza) e non il dolo. Non si pretende che l’imprenditore infallibile preveda ogni crisi; ma se la situazione è manifestamente irreversibile e lui persevera bruciando risorse altrui, allora la sanzione penale (pur lieve) appare giustificata.

Per evitare questa accusa, l’amministratore deve dimostrare di aver fatto il possibile per contenere i danni: ad esempio, appena compreso che non c’era più nulla da fare, ha convocato i soci, ha bloccato l’attività salvo l’indispensabile, ha evitato di contrarre nuovi debiti, magari ha egli stesso chiesto il fallimento o aderito a un accordo. Se invece emerge che ha tirato a campare irresponsabilmente (magari sperando in eventi miracolosi), e ciò ha aumentato il passivo, il giudice penale potrebbe ravvisare la bancarotta semplice.

Nota: oggi, come detto, c’è quella causa di non punibilità se l’imprenditore ha presentato tempestivamente una domanda concordataria. Questo è un forte incentivo a rivolgersi al tribunale non appena si capisce che non si può più pagare tutti. Anche presentare un’istanza di composizione negoziata (che non è citata in quell’articolo, perché riferito a procedure concorsuali) potrebbe essere valutata come elemento esimente di fatto, indicando che non c’era inerzia.

8.5 Sommario dei consigli per evitare responsabilità penali

Per ricapitolare in forma di elenco pratico, dal punto di vista di un amministratore di azienda indebitata i dos and don’ts per difendersi da guai penali sono:

  • Tenere i libri in ordine – una contabilità regolare è la miglior prova di buona fede . Conservare fatture, estratti conto, registrare tutto, anche e soprattutto nei momenti di difficoltà.
  • Non sottrarre o occultare nulla – anche se la tentazione di salvare beni per sé è forte, ricordare che quei beni “spariti” sono oggetto di reato (bancarotta fraudolenta se poi c’è fallimento, appropriazione se non c’è). Meglio usarli per pagare debiti o lasciarli al loro posto.
  • Non creare falsi crediti o operazioni inesistenti – la tentazione di “abbellire” bilanci con crediti fittizi per ottenere fidi aggiuntivi porta a reati di falso in bilancio e possibili truffe.
  • Non fare pagamenti preferenziali sospetti – se in stato di insolvenza conclamata, astenersi dal pagare solo alcuni creditori (specie se parti correlate) a scapito di altri. Se è necessario pagare qualcuno (es. fornitore vitale), annotare bene la ragione (es. garantire continuità) per poter giustificare che non era intenzione preferenziale ma necessità.
  • Non distrarre beni personali dall’azienda all’ultimo – ad esempio, restituirsi finanziamenti soci o liquidare riserve ai soci in prossimità dello stato di insolvenza è molto pericoloso (bancarotta preferenziale o distrattiva).
  • Mantenere trasparenza con gli organi societari – convocare l’assemblea per informare i soci in caso di perdite oltre 1/3 o capitale sotto il minimo, come richiesto per legge. Questo mette a verbale la situazione e scarica responsabilità se i soci decidono di continuare senza ricapitalizzare (in taluni casi può configurare responsabilità dei soci stessi).
  • Rivolgersi subito a esperti e valutare procedure formali – questo è stato ripetuto: attivarsi con composizione negoziata, accordi o concordato dimostra di non star aggravando volontariamente la situazione .
  • Documentare le cause della crisi – se la crisi deriva da cause di forza maggiore (cliente insolvente, pandemia, ecc.), predisporre un memorandum, raccogliere evidenze (es. insolvenza del cliente, calo ordini) per far vedere che il management ha subito la situazione e non l’ha colposamente provocata.
  • Cooperare con eventuali procedure concorsuali – se si arriva al fallimento, consegnare subito i libri al curatore, fornire spiegazioni e assistenza. La fuga o l’ostruzionismo peggiora la posizione (ci sono reati di mancata consegna libri, art. 327 CCII).

Seguendo queste linee guida, un imprenditore in difficoltà può ridurre drasticamente il rischio di subire condanne penali. In fondo, la legge punisce più la malafede o la negligenza grossolana, non la sfortuna. Dimostrare di aver agito con diligenza e correttezza, e di aver privilegiato la trasparenza e il rispetto delle regole, è la migliore difesa anche di fronte a eventuali inchieste.

9. Simulazioni pratiche per aziende di termosigillatrici

Per meglio comprendere l’applicazione concreta degli istituti descritti, presentiamo alcune simulazioni basate su casi tipici che un’azienda di termosigillatrici industriali potrebbe incontrare. Ogni scenario propone una situazione di crisi differente, le possibili scelte percorribili e le relative conseguenze. L’obiettivo è illustrare quali strumenti risultano più appropriati nelle diverse circostanze e quale potrebbe essere l’esito plausibile in ciascun caso.

9.1 Caso A: Crisi di liquidità temporanea dovuta a insoluto di un grande cliente

Scenario: Alfa S.r.l. produce termosigillatrici per il packaging alimentare. Ha sempre avuto bilanci in attivo, ma nell’ultimo anno uno dei suoi maggiori clienti esteri (che rappresenta il 30% del fatturato) non ha pagato un grosso ordine da €500.000 a causa di problemi legali. Ciò ha causato un buco di liquidità: Alfa ha debiti elevati verso banche (mutuo macchinari e scoperto di c/c) e fornitori, accumulati confidando nell’incasso. I fornitori iniziano a minacciare decreti ingiuntivi, le banche revocano gli affidamenti. Tuttavia Alfa ha un portafoglio ordini robusto per l’anno prossimo (nuove commesse in arrivo) e margini operativi positivi. Il DURC è ancora regolare (i contributi sono pagati), ma l’azienda teme pignoramenti imminenti su conto e magazzino.

Scelte possibili:

  1. Composizione negoziata della crisi: Alfa potrebbe attivare la piattaforma CNC, ottenere la nomina di un esperto, e chiedere subito al tribunale misure protettive per bloccare ingiunzioni e pignoramenti . Con l’aiuto dell’esperto, contatterebbe le banche per negoziare una moratoria di 12 mesi sui mutui e fidi, e i fornitori chiave per una dilazione. Potrebbe anche prevedere la cessione di un cespite non strategico (un vecchio macchinario inutilizzato) per fare cassa. Dopo 3-4 mesi di trattative, si formalizzerebbe un accordo con i creditori – ad esempio sotto forma di piano attestato di risanamento, certificato e pubblicato . Allo scadere del periodo, con i nuovi incassi da ordini futuri, Alfa recupererebbe la normalità. In questo percorso l’impresa conserva la continuità e non entra in procedura concorsuale formale.
  2. Accordo di ristrutturazione agevolato: supponiamo che i creditori di Alfa siano parecchi. Alfa potrebbe puntare a un accordo ex art. 60 CCII: inizialmente raccoglie l’adesione del 35% dei crediti (banche e alcuni fornitori) così da ottenere subito le misure protettive . Poi lavora per arrivare almeno al 65% delle adesioni totali. Nel piano propone una transazione fiscale con l’Erario (nel caso abbia debiti IVA, ad esempio dilazione in 10 anni del dovuto) . Raggiunto il 65%, deposita il ricorso di omologa. Il tribunale nomina un commissario e in pochi mesi omologa l’accordo. Alfa quindi prosegue l’attività con un peso del debito ridotto (grazie alle rinunce negoziate) e senza il marchio di fallita.
  3. Concordato preventivo in continuità: se, per ipotesi, le trattative informali non avessero successo (magari qualche creditore si oppone), Alfa potrebbe comunque depositare un concordato preventivo con continuità aziendale. Nel piano prevederebbe di pagare integralmente i creditori privilegiati (banche) ma nel tempo, chiedendo la moratoria, e di soddisfare i chirografari (fornitori) ad esempio al 40% in 2 anni. Suddividerebbe i creditori in classi (banche, fornitori piccoli, fornitori strategici) e offrirebbe l’80% ai fornitori strategici e il 30% ai non strategici, ecc. L’esito dipenderebbe dal voto: se i creditori approvano a maggioranza, la continuità è salva; se il concordato non passasse, si finirebbe in liquidazione .

Risultato consigliato: Dato che la crisi appare temporanea e circoscritta (un singolo grosso insoluto, a fronte di un futuro promettente con nuovi ordini), la composizione negoziata è l’opzione preferibile . Permette di agire rapidamente (bloccando i creditori) e di trovare un accordo senza passare per un concordato lungo e pubblico. In più, Alfa ha prospettive di continuità solide, quindi vale la pena evitare procedure concorsuali per non danneggiare la reputazione presso i clienti. Lo scenario 1, in cui Alfa dopo 180 giorni esce dalla CNC con un piano attestato e torna in bonis, sembra il migliore. Il concordato resterebbe un piano B solo se le trattative fallissero del tutto.

9.2 Caso B: Sovraindebitamento misto di società e soci garanti

Scenario: Beta S.n.c. è una società di persone che installa impianti elettrici industriali (nel settore packaging). Ha accumulato debiti sia aziendali sia personali dei soci. In particolare, i due soci illimitatamente responsabili hanno contratto mutui personali per ristrutturare le loro case, e nel contempo hanno prestato fideiussioni personali per i debiti bancari della società. Ora l’azienda è in difficoltà: debiti verso fornitori e banca per €200.000, mentre i soci hanno debiti personali (mutui casa residui €100.000 ciascuno). La società Beta è sotto-soglia per fallire (piccola impresa artigiana), ma i creditori potrebbero aggredire direttamente i soci (responsabilità illimitata). Quindi la crisi coinvolge sia l’azienda che le persone fisiche socie.

Scelte possibili:

  1. Concordato minore per la società: Beta, come impresa minore non fallibile, può proporre un concordato minore. Presenterebbe un piano dove si impegna a pagare, ad esempio, il 50% dei debiti verso fornitori e banca in 3 anni . Come? Vendendo un magazzino di proprietà della società e con l’aiuto dei soci che apportano liquidità esterna (raccolta magari rifinanziandosi sulla casa). Il tribunale nomina un commissario ma niente classi di voto: i creditori esprimono consenso individuale . Se la maggioranza in valore dice sì, Beta esce dalla crisi pagando metà dei debiti e salva l’attività. Il piano potrebbe prevedere la continuazione dell’attività con la metà dei debiti in meno, usando risorse dei soci come contributo .
  2. Procedura per i debiti personali dei soci: i soci hanno due tipi di debiti personali: mutui per la casa (debiti “di consumo”) e potenziali debiti di garanzia (fideiussioni attivate se la banca non recupera tutto dalla società). Per i mutui abitativi, i soci potrebbero chiedere un piano del consumatore (se quei mutui non sono legati all’attività imprenditoriale) . Ma attenzione: le fideiussioni personali non sono “debiti da consumo”, sono collegate all’impresa. Quindi quelle non possono essere incluse nel piano del consumatore . Pertanto, per i debiti derivanti da garanzie legate all’impresa, i soci dovranno o attendere l’esdebitazione a fine concordato minore, oppure se la società non fallisce (perché non fallibile), potrebbero valutare la liquidazione controllata personale. In pratica, i soci se restano con debiti personali (es. la casa ipotecata) possono a loro volta fare una procedura di sovraindebitamento (liquidazione controllata del loro patrimonio personale). D’altra parte, i debiti “puramente personali” (mutui casa) potrebbero essere gestiti separatamente in un piano del consumatore, salvo che il legame con l’impresa li escluda in parte .

Risultato consigliato: suddividere i due ambiti: affrontare i debiti aziendali con un concordato minore per Beta S.n.c., e trattare i debiti personali dei soci con strumenti di sovraindebitamento appropriati . I soci potrebbero, ad esempio, mettere in liquidazione i loro beni non essenziali in una procedura di liquidazione controllata e ottenere l’esdebitazione per i debiti residui verso le banche personali. Questo consente di salvare l’azienda come entità (riducendo i suoi debiti con il concordato) e al contempo ridurre il peso sui soci/famiglie (liberandoli dai debiti personali eccedenti tramite sovraindebitamento). È fondamentale coordinare le due cose: ad esempio, nel concordato minore della società, indicare che parte dei fondi deriva dall’apporto dei soci ottenuto liquidando alcuni loro beni (coerente con la loro liquidazione personale). Così si riesce a preservare la continuità aziendale e a mettere i soci in condizione di ripartire senza essere strozzati dai debiti, proteggendo anche le loro abitazioni con procedure ad hoc se possibile.

9.3 Caso C: Insolvenza grave senza prospettive e patrimonio ridotto

Scenario: Gamma Impianti S.p.A. produce macchinari termosigillatori ma ha subito perdite per tre anni di fila (pandemia, poi rincaro materie, calo ordini). Ha accumulato debiti per €5 milioni verso fornitori e banche. Non ha nuovi ordini e il mercato del suo prodotto è calato. Il patrimonio è composto solo da qualche macchinario usato e dal capannone industriale, sul quale grava però un’ipoteca della banca. L’azienda è di fatto ferma e gli amministratori ammettono che non c’è una via di rilancio credibile. Siamo di fronte a un’insolvenza grave e irreversibile.

Scelte possibili:

  1. Concordato semplificato liquidatorio: visto che Gamma ha tentato magari senza successo di negoziare (diciamo che aveva provato la composizione negoziata, ma nessun investitore o accordo è emerso), ora potrebbe utilizzare la procedura “residuale” del concordato semplificato . Presenta un piano dove affida a un liquidatore la vendita dei beni: il capannone ipotecato sarà venduto e il ricavato andrà alla banca ipotecaria e poi eventualmente un piccolo surplus ai chirografari; i macchinari saranno liquidati all’asta e anche lì il ricavato ripartito in ordine di privilegi. Il piano non prevede pagamento integrale dei debiti, ma promette di distribuire tutto l’attivo secondo legge e in tempi brevi. Non c’è voto dei creditori , ma essi possono far presenti osservazioni al giudice. Il tribunale verifica che il piano segua l’ordine delle prelazioni e che il liquidatore proposto sia idoneo. Se omologa, in pochi mesi Gamma viene liquidata e si chiude la procedura . I creditori ricevono ciascuno pro-quota quel poco che c’è, ma almeno la vicenda si conclude senza passare per anni di fallimento.
  2. Liquidazione controllata per non fallibili: ipotizziamo che Gamma per assurdo fosse sotto-soglia (non nel nostro esempio, essendo S.p.A., ma se fosse stata piccola): in tal caso l’alternativa era la liquidazione controllata, simile al fallimento. Comunque, se Gamma fosse fallibile, un’alternativa al concordato semplificato è anche dire: “Signori, non ho prospettive, dichiaro il fallimento/mi faccio fallire subito”. Ma allora addio controllo su nomina liquidatore ecc. Quindi meglio il concordato semplificato se possibile.

Risultato consigliato: in presenza di patrimonio minimo e assenza totale di prospettive di risanamento, la soluzione migliore è la procedura liquidatoria – nella forma più rapida e “indolore” disponibile . Per un soggetto fallibile come Gamma, che ha fallito la CNC, il concordato semplificato appare tagliato su misura: consente di evitare la lunga procedura di liquidazione giudiziale e chiudere la partita in modo ordinato. L’imprenditore deve però mettere in conto eventuali responsabilità penali pregresse: se ad esempio negli anni scorsi Gamma ha effettuato distrazioni per salvare la holding di famiglia, gli amministratori potranno essere indagati per bancarotta fraudolenta. È bene quindi che, all’avvio del concordato semplificato, collaborino pienamente con il liquidatore e la giustizia, magari evidenziando di voler rimediare (quanto possibile) alle irregolarità precedenti. Ad ogni modo, per salvare il salvabile in termini di tempo e costi, e dare una chiusura “pulita”, il concordato semplificato in questo scenario è la via preferibile. Se Gamma non potesse accedervi (ad es. perché non aveva fatto CNC), allora meglio comunque un concordato preventivo liquidatorio subito piuttosto che attendere istanze di fallimento dai creditori.

10. Modelli di atti: esempi di documenti per composizione negoziata e accordi

In questa sezione forniamo schemi orientativi di atti utilizzabili nell’ambito delle procedure discusse, da adattare al caso concreto. Si tratta di fac-simile a fini illustrativi: ricordiamo che molte procedure ormai richiedono depositi telematici tramite portali dedicati (come per la CNC o il concordato), quindi questi modelli servono soprattutto a comprendere la struttura delle istanze. È sempre opportuno farsi assistere da un professionista nella redazione di documenti ufficiali.

10.1 Fac-simile di istanza per la nomina dell’esperto nella composizione negoziata

Da presentare mediante piattaforma online, ma riportiamo qui il possibile contenuto in forma libera:

Oggetto: Istanza di nomina dell’esperto indipendente per la composizione negoziata della crisi ex art. 17 D.Lgs. 14/2019

Istante: TermoPack S.r.l., C.F. 01234567890, con sede legale in … (PI), iscritta al Registro Imprese di … al n. …, capitale sociale …, rappresentata da …, in qualità di amministratore unico.

Premesso che:
– TermoPack S.r.l. svolge attività di produzione di macchinari termosigillatori industriali;
– La società versa in condizioni di difficoltà economico-finanziaria, con squilibrio patrimoniale reversibile dovuto a … (esporre cause della crisi: es. insoluti da parte di clienti esteri per €…, incremento costi materie prime, ecc.);
– L’organo amministrativo ha valutato che sussistono ragionevoli prospettive di risanamento mediante ristrutturazione dell’indebitamento e riequilibrio finanziario, come da analisi degli indici predisposti e allegati;
– L’istante intende perseguire la composizione negoziata della crisi ai sensi degli artt. 12-15 CCII, essendo la situazione di difficoltà reversibile e meritevole di tentativo di accordo con i creditori;
– (Se applicabile) La società non è attualmente parte di procedure concorsuali né ha fatto ricorso ad strumenti di regolazione della crisi nei cinque anni precedenti.

Tutto ciò premesso, la società istante

**CHIEDE**

la nomina di un Esperto indipendente che la assista nella composizione negoziata della crisi d’impresa.

A tal fine, ai sensi dell’art. 17 CCII, si dichiara che:
– L’impresa si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza, ma appare ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’attività;
– Vi è la volontà dell’organo amministrativo di accedere al percorso di composizione negoziata per il tramite di un esperto indipendente designato dalla Commissione presso la CCIAA.

Si allegano i seguenti documenti (art. 17, co.3, CCII):
1. Ultimi tre bilanci di esercizio (201, 202, 202…);
2. Situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata al … (data recente);
3. Elenco nominativo dei creditori, con indicazione dei rispettivi importi e cause di prelazione;
4. Certificato dei carichi pendenti tributari (estratto di ruolo Equitalia/ADER) e documento attestante la regolarità contributiva (DURC) ovvero l’entità dell’irregolarità contributiva;
5. Una relazione contenente le principali cause della difficoltà e le prospettive di recupero, con l’indicazione delle strategie di risanamento che si intendono perseguire;
6. (eventuali) Situazione di cash flow previsionali per i prossimi 6 mesi;
7. Dichiarazione dell’organo amministrativo attestante l’assenza di precedenti procedure concorsuali o, in caso contrario, l’indicazione di quali procedure e quando utilizzate;
8. Dichiarazione antimafia (art. 17, co.3 lett. f CCII).

L’istante si impegna a cooperare con l’esperto che verrà nominato e a fornirgli ogni ulteriore informazione necessaria.
Si resta in attesa del decreto di nomina da parte del Segretario generale della CCIAA competente.

Luogo, data
Firma del legale rappresentante
(nome e carica)

Note: Questo modello è semplificato. In via telematica, la piattaforma guida l’inserimento dei dati e l’upload dei documenti. È importante che tutte le dichiarazioni siano veritiere – ricordiamo che dichiarazioni false potrebbero avere conseguenze anche penali. Spesso la piattaforma chiede anche di effettuare il test di autodiagnosi con indicatori: l’esito (score) di tale test viene allegato.

10.2 Schema di ricorso per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis (57 CCII)

Tribunale competente: Ill.mo Tribunale di [città] – Sezione Fallimentare/Crisi d’impresa

Ricorso per omologazione di accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII

Procedimento n. ___/2025 R.C.C. (se già iscritto)

Promosso da: TermoPack S.r.l., con sede in …, C.F…, in persona del legale rapp. pro tempore …, rappresentata e difesa dall’Avv. … (CF …), elettivamente domiciliata in …, come da procura in calce/allegata.

Ricorrente –

Premesso che:

  • In data … TermoPack S.r.l. si è trovata in stato di crisi/insolvenza (descrivere sinteticamente le circostanze: es. “a causa di un rilevante calo di commesse e insoluti di clienti, accumulava debiti per €…, entrando in tensione finanziaria”).
  • Al fine di evitare la liquidazione giudiziale, la società ha elaborato un piano di ristrutturazione dei debiti e del rilancio aziendale, con l’ausilio dell’attestatore Dr. … e dei propri consulenti.
  • Sono stati avviati negoziati con i principali creditori, sfociati nella sottoscrizione di un Accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII in data … (indicare data di sottoscrizione).
  • In particolare, l’Accordo prevede l’adesione di creditori rappresentanti il …% dell’ammontare complessivo dei debiti dell’impresa (superiore al 60%), e consiste nei seguenti punti essenziali: … (descrivere in bullet points, ad es. “le banche Alfa e Beta, titolari di crediti ipotecari per €…, acconsentono a prorogare le scadenze e ridurre il tasso al …%; il fornitore Gamma S.p.A. accetta uno stralcio del 30% sul credito di €…, ecc.”).
  • L’accordo è accompagnato dalla relazione di un professionista indipendente (attestazione ex art. 56 CCII) – allegata – che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano sottostante.
  • In data … il ricorrente ha provveduto a pubblicare l’accordo e il piano attestato nel Registro delle Imprese di … come risultante da visura (allegare visura).
  • Si intendono coinvolgere nell’accordo anche i crediti tributari e contributivi dell’Erario e di INPS: a tal fine è stata avanzata proposta di transazione ex art. 63 CCII, come parte integrante dell’accordo, prevedendo il pagamento parziale delle imposte e contributi (dettagliare brevemente: es. “Agenzia Entrate: pagamento 50% dell’IVA dovuta (€…) in 5 anni; stralcio totale sanzioni e interessi” – e allegare attestazione di convenienza per il Fisco).
  • Alla data del … il tribunale ha concesso misure protettive (se applicabile) con decreto n… (allegare se del caso).
  • Risulta rispettata la condizione di cui all’art. 48 CCII, co. 2, in quanto i creditori estranei all’accordo saranno integralmente soddisfatti entro 120 giorni dall’omologa (impegni assunti dall’istante: …).
  • Non sussistono atti di frode nei confronti dei creditori.

Tutto ciò premesso, TermoPack S.r.l., come sopra rappresentata,

RICORRE

a codesto Tribunale affinché Voglia: 1. Dichiarare aperta la procedura di omologazione dell’accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII depositato; 2. Omologare, ai sensi dell’art. 48 CCII, l’Accordo di ristrutturazione dei debiti sottoscritto in data … tra TermoPack S.r.l. e i creditori aderenti elencati nell’allegato A, i cui termini essenziali sono stati sopra descritti, dichiarandone l’efficacia anche nei confronti dei creditori non aderenti (nei limiti di legge); 3. Conseguentemente, dichiarare improcedibili/estingue le eventuali azioni esecutive individuali pendenti e dare atto della esenzione da revocatoria degli atti compiuti in esecuzione dell’accordo.

In via istruttoria, si deposita sin d’ora la seguente documentazione a supporto: – Elenco creditori con evidenza di quelli aderenti e relative percentuali (doc. 1); – Testo integrale dell’Accordo sottoscritto in data … (doc. 2); – Piano di ristrutturazione e relazione attestativa del Dott. … in data … (doc. 3); – Estratto RI attestante la pubblicazione ex art. 48 CCII (doc. 4); – Situazione patrimoniale aggiornata e bilancio ultimo (doc. 5 e 6); – Eventuale certificato Agenzia Entrate e INPS su debiti fiscali/contributivi (doc. 7); – Relazione integrativa del Commissario giudiziale (se nominato in sede protettiva) (doc. …).

Si dichiara che non vi sono atti di straordinaria amministrazione non autorizzati successivi alla pubblicazione dell’accordo.

[Luogo], lì [data].

Firma Avv. … Firma Legale Rappresentante TermoPack S.r.l. “`

Note: Questo schema è semplificato, ma rispecchia i punti chiave di un ricorso per omologa ADR. Nei punti premessa vanno inseriti i dettagli rilevanti: percentuali, eventuali classi di creditori (anche se non c’è voto, a volte si menzionano), transazione fiscale proposta, ecc. È fondamentale allegare la prova della pubblicazione al registro imprese e l’attestazione. Se alcuni creditori non hanno aderito, indicare che saranno pagati fuori accordo come richiesto dalla legge.

Al deposito del ricorso, il tribunale emanerà un decreto di apertura e nominerà verosimilmente un commissario per controllo. Quindi fisserà udienza per eventuali opposizioni prima dell’omologa.

11. Tabelle riepilogative

Di seguito proponiamo alcune tabelle di sintesi per confrontare i diversi strumenti di regolazione della crisi e per riepilogare le responsabilità penali discusse. Queste tabelle aiutano ad avere un colpo d’occhio sulle caratteristiche fondamentali e sulle differenze tra le varie opzioni.

11.1 Confronto tra principali strumenti di regolazione della crisi

StrumentoCos’è (natura)Chi lo decideCoinvolgimento TribunaleEffetti sui creditoriVantaggi per debitoreLimitazioni
Composizione negoziata (CNC)Procedura stragiudiziale volontaria con esperto indipendenteImprenditore attiva; creditori aderiscono su base volontariaTribunale solo se richieste misure protettiveNon vincolante per dissenzienti; misure protettive sospendono azioni per max 6-12 mesiRiservatezza; mantiene gestione; possibile blocco azioni esecutiveRichiede cooperazione creditori; nessun voto a maggioranza (unanimità di fatto)
Piano attestato di risanamentoAccordo privato su base pianificata, asseverato da espertoDebitore e creditori coinvolti (100% di quelli interessati)No omologa; solo pubblicazione Registro ImpreseVincola solo i sottoscrittori; atti esecutivi del piano esenti da revocatoriaCompletamente riservato; semplice da attuare; no stigma concorsualeNon vincola creditori non aderenti ; nessun stay automatico
Accordo di ristrutturazione (ADR)Accordo con percentuale di creditori omologato dal tribunaleDebitore negozia; omologa tribunaleSì, con nomina commissario e decreto di omologaVincolante per aderenti; poss. estensione a non aderenti in categoria (75%) ; creditori estranei da pagare entro 120ggFlessibile; meno costoso del concordato; può includere transazione fiscaleNecessario 60% adesione (o 30% per protettive); pubblicità registro imprese; occorre attestazione
Concordato preventivo (continuità o liquidatorio)Procedura concorsuale giudiziale con voto creditoriDebitore propone; creditori votano; tribunale omologaSì, procedura formale con G.D. e commissarioVincolante erga omnes se omologato; creditori divisi in classi, maggioranza 2/3 per classeEffetto stay automatico; possibile falcidia debiti anche dissenzienti; esdebitazione società di fattoPubblico (Registro imprese); tempi medi 6-12 mesi; costi professionali elevati; requisiti di legge stringenti (20% min ai chirografari se liquidat.)
Concordato minore (per non fallibili)Concordato semplificato per PMI sotto sogliaDebitore propone; creditori esprimono consenso individualeSì, ma procedura semplificata; commissario nominatoVincolante se approvato da >50% crediti; nessuna classe formaleAdatto a piccole imprese; meno formalità (consenso espresso invece di voto assembleare)Riservato a soggetti non grandi; comunque serve fattibilità piano e apporto esterno se falcidie
Concordato semplificato (post-CNC)Procedura liquidatoria senza voto creditoriDebitore, entro 60gg da fallimento CNC, chiede a tribunaleSì, tribunale omologa direttamente; nomina liquidatoreVincolante per tutti i creditori; niente voto ; rispetto ordine prelazioniRapidissimo (liquidazione diretta); evita fallimento; chiude crisi in tempi breviAccessibile solo se CNC fallita; solo liquidazione, no continuità; richiede soddisfazione cause prelazione prima
Liquidazione giudiziale (fallimento)Procedura concorsuale liquidatoria d’ufficioDecisa dal tribunale su istanza creditori/PMSì, curatore gestisce; G.D. controlla; durata anniTutti creditori concorrono su attivo; stop azioni esecutive individualiProcedura ordinaria per chiusura definitiva; curatore professionale gestisce venditeDebitore spossessato; stigma reputazionale; possibili conseguenze penali per amministratori

Legenda: G.D. = Giudice Delegato. Stay = sospensione azioni esecutive.

11.2 Tipologie di reati fallimentari e connessi: quadro sintetico

ReatoNormaCondotta tipicaElemento soggettivoMassime giurisprudenziali rilevanti
Bancarotta fraudolenta patrimonialeArt. 322 CCII (ex art. 216 L.F.)Distrazione, occultamento, dissipazione di beni sociali prima o durante fallimentoDolo specifico (volontà di recare pregiudizio ai creditori)Cass. Pen. n. 35589/2017: vendite sottocosto a terzi compiacenti configurano distrazione dolosa. <br>Cass. Pen. n. 19402/2025: prelievi di cassa senza giustificazione da parte di amministratore di fatto = distrazione punibile .
Bancarotta fraudolenta documentaleArt. 322 CCII (ex art. 216 L.F.)Sottrazione o falsificazione di libri e scritture contabiliDolo generico (consapevolezza di impedire ricostruzione patrimonio)Cass. Pen. n. 1256/2020: tenuta “parallela” di contabilità occulta integra bancarotta documentale fraudolenta.
Bancarotta sempliceArt. 324 CCII (ex art. 217 L.F.)Imprudenza grave aggravante dissesto (spese personali eccessive, ritardo nell’istanza di fallimento, mancanza libri)Colpa grave (negligenza)Cass. Pen. n. 11632/2018: ritardo nel depositare istanza di fallimento punibile solo se causa aggravamento sensibile del passivo . <br>Cass. Pen. n. 18027/2019: mancata tenuta libri per incapacità = bancarotta semplice, salvo causa non imputabile.
Sottrazione fraudolenta al FiscoArt. 11 D.Lgs. 74/2000Compiere atti simulati o fraudolenti per sottrarsi al pagamento di imposteDolo specifico (fine di evadere il pagamento)Cass. Pen. n. 10750/2025: art. 11 D.Lgs. 74/2000 e bancarotta fraudolenta impropria tutelano beni giuridici diversi, concorso di reati possibile .
Omesso versamento IVAArt. 10-ter D.Lgs. 74/2000Mancato versamento IVA dovuta annualmente oltre soglia €250kDolo generico (consapevole inadempimento)Cass. Pen. Sez. III n. 18029/2023: rateizzazione in corso esclude elemento materiale del reato (non perfezionato il reato se debito IVA in regolare dilazione) .
Omesso versamento contributiArt. 2 co.1-bis D.L. 463/1983Mancato versamento ritenute INPS lavoratori > €10k annuiDolo generico (consapevolezza omissione)Cass. Pen. n. 3355/2021: crisi di liquidità non esclude reato, salvo cause forza maggiore; tuttavia riforma 2022 prevede non punibilità se cause non imputabili (es. mancati pagamenti da terzi).
False comunicazioni socialiArtt. 2621-2622 c.c.Esposizione di fatti materiali falsi in bilancio, relazioni o comunicazioni societarieDolo intenzionale (volontà di ingannare soci/terzi)Cass. Pen. Sez. Unite n. 22474/2016: per configurare il reato non è più necessario il “danno”, basta la falsità rilevante. Se fallimento segue, può concorrere con bancarotta impropria se il falso bilancio ha aggravato dissesto.
Bancarotta impropria da reato societarioArt. 323 CCII (ex art. 223 L.F.)Cagionare dissesto con operazioni dolose (es. falso in bilancio, operazioni imprudenti)Dolo generico nella condotta societaria dolosaCass. Pen. n. 37305/2014: falso in bilancio che occulta perdite impedendo ai creditori di attivarsi = bancarotta impropria.

Nota: La normativa penale fallimentare è ora in parte rifusa nel CCII (Libro VII), ma la giurisprudenza formatasi sul R.D. 267/42 resta applicabile per continuità interpretativa. L’art. 330 CCII prevede inoltre specificamente la punibilità degli amministratori che violando gli obblighi gestionali (es. mancata adozione assetti adeguati) abbiano causato o aggravato il dissesto (bancarotta semplice impropria) .

12. Domande e risposte frequenti (FAQ)

Di seguito una serie di domande comuni che imprenditori, amministratori o professionisti ci pongono riguardo alle aziende indebitate, con le relative risposte, allo scopo di chiarire i dubbi più ricorrenti.

D: Il titolare (imprenditore) di una S.r.l. risponde con il suo patrimonio personale dei debiti dell’azienda?
R: In generale no, se parliamo di società di capitali (S.r.l., S.p.A.) vige la separazione patrimoniale: i debiti sociali si soddisfano sul patrimonio della società, non su quello personale di soci o amministratori. Quindi il titolare non rischia di perdere casa o risparmi personali per i debiti contratti dalla società . Eccezioni: 1) Se il socio/amministratore ha prestato garanzie personali (fideiussioni bancarie, cambiali firmate a titolo personale), quei creditori possono rivalersi anche sul patrimonio personale in forza di tali garanzie . 2) Debiti verso Fisco/INPS in caso di violazioni: non c’è responsabilità patrimoniale diretta, ma l’amministratore che non versa IVA o ritenute può subire sanzioni penali e sequestri di beni personali a fini di confisca . Inoltre, in presenza di frodi fiscali gravi, l’Agenzia Entrate talora avvia azioni di responsabilità patrimoniale (ad esempio per abuso di diritto o reati tributari gravi). 3) Nelle società di persone (snc, sas) e ditte individuali non c’è schermo patrimoniale: i soci illimitatamente responsabili e l’imprenditore individuale rispondono illimitatamente con tutti i propri beni dei debiti aziendali . Questi soggetti però possono accedere alle procedure di sovraindebitamento e all’esdebitazione analogamente alle società (come visto sopra). 4) Responsabilità per mala gestio: se la società fallisce e risulta che gli amministratori hanno aggravato il dissesto con atti imprudenti o illeciti, il curatore può agire contro di loro chiedendo danni. In tal caso il patrimonio personale dell’amministratore è aggredibile in sede di azione di responsabilità . Questo non serve a ripagare specifici debiti contratti, ma a rifondere il danno causato alla massa dei creditori (esempio: aver proseguito l’attività con capitale azzerato aumentando il “buco” può generare un danno presunto pari all’aggravamento del passivo, di cui gli amministratori rispondono ex art. 2486 c.c. ). 5) Reati concorsuali: in caso di bancarotta fraudolenta, il giudice penale può disporre la confisca per equivalente sui beni personali del responsabile, colpendo quindi il suo patrimonio per un valore pari al maltolto.

In sintesi, in una S.r.l./S.p.A. il socio di regola perde al massimo il capitale investito. Tuttavia, in fase di crisi spesso le banche chiedono fideiussioni personali ai soci, e se la gestione è scorretta possono scattare responsabilità risarcitorie. Il socio onesto che non abbia garantito personalmente in genere non perde nulla oltre al capitale investito .

D: Cosa rischia penalmente e civilmente l’amministratore se l’azienda fallisce?
R: Sul piano civile, l’amministratore può essere citato dal curatore fallimentare con azione di responsabilità per atti di cattiva gestione precedenti. Se il tribunale accerta violazioni dei doveri (es. non ha convocato i soci dopo perdita capitale, ha favorito alcuni creditori su altri poco prima del fallimento, ha dissipato risorse in spese personali), può condannarlo a risarcire i creditori del danno causato . La legge, come visto, semplifica la prova del danno con criteri presuntivi: ad esempio, la differenza tra patrimonio netto al momento della perdita capitale e al fallimento (il c.d. “differenziale dei netti”) può essere presa come danno . Ciò significa che l’amministratore rischia concretamente di dover rispondere con centinaia di migliaia (se non milioni) di euro se ha tardato troppo a dichiarare insolvenza o ha compiuto atti aggravanti. Di contro, se ha operato diligentemente e la crisi deriva da fattori esterni, difficilmente verrà ritenuto responsabile in sede civile (onus probandi sta al curatore).

Sul piano penale, i rischi principali sono legati ai reati di bancarotta. Riassumiamo: – Bancarotta fraudolenta (artt. 322-323 CCII, ex art. 216 L.F.): punisce con 3-10 anni di reclusione l’amministratore che, prima o durante il fallimento, ha sottratto/occultato beni (bancarotta patrimoniale), falsificato la contabilità (documentale), simulato crediti o distratto attivo, favorito intenzionalmente qualche creditore a scapito di altri (bancarotta preferenziale) . È un reato molto grave ma purtroppo non raro nelle crisi. Per evitarlo, l’amministratore deve astenersi da qualunque operazione di spoliazione del patrimonio e tenere contabilità regolare e trasparente . – Bancarotta semplice (art. 324 CCII, ex art. 217 L.F.): punisce con pene più lievi (fino 2 anni) condotte meno dolose ma colpose, come: aver aggravato il dissesto con spese personali eccessive, aver ritardato il fallimento per testardaggine senza prospettive, non aver tenuto i libri in ordine . È meno infamante ma sempre una condanna penale. – Altri reati connessi: false comunicazioni sociali (bilancio falso), omesso versamento contributi (oltre €10k), omesso versamento IVA (oltre €250k) – questi possono concorrere, ovvero aggiungersi alle bancarotte .

Dunque, se l’azienda va in fallimento, l’amministratore deve fare estrema attenzione a non compiere passi falsi: non “salvare il salvabile” per sé lasciando vuota la società (sarebbe distrazione punibile), non pagare solo amici o parenti garantiti a scapito degli altri a insolvenza conclamata (bancarotta preferenziale), non abbandonare la contabilità al disordine (bancarotta documentale), non perseverare nell’attività con azzardo morale (bancarotta semplice per aggravamento) . Molto meglio, invece, attivare le procedure di legge (concordato, accordo) e gestire la crisi alla luce del sole: così, anche se poi si finisse in fallimento, il comportamento sarà considerato virtuoso e difficilmente scatteranno imputazioni penali. Anzi, l’art. 324 CCII prevede la non punibilità per bancarotta semplice se il debitore ha fatto tempestivo ricorso agli strumenti di regolazione della crisi .

D: L’azienda ha debiti fiscali ingenti: è possibile ridurli o ottenere “sconti” su IVA, tasse e contributi?
R: Sì, oggi è possibile ristrutturare anche i debiti verso Fisco e INPS nell’ambito di procedure concorsuali omologate. Le vie sono: – Nel concordato preventivo o negli accordi di ristrutturazione (ADR), il debitore può proporre una transazione fiscale: in pratica il pagamento parziale e/o dilazionato delle imposte e contributi . Lo Stato può accettare di prendere, ad esempio, il 30-50% delle imposte dovute anziché il 100%, se la proposta è migliorativa rispetto a quanto otterrebbe dal fallimento . Tipicamente vengono stralciate sanzioni e interessi (spesso al 100%) e si paga una quota del tributo. – Con la transazione fiscale, se i creditori privati approvano il concordato, il Fisco può essere obbligato ad adeguarsi (il tribunale può omologare anche col voto contrario dell’Erario, se la sua soddisfazione è almeno pari a quella in fallimento, c.d. cram-down fiscale ). – Fuori dalle procedure concorsuali, esistono comunque le “rottamazioni” delle cartelle (definizioni agevolate varate con leggi speciali) e le rateizzazioni standard fino a 120 rate . Ad esempio, nel 2023 c’è stata la rottamazione-quater che permetteva di pagare solo imposte senza sanzioni né interessi di mora. Queste misure straordinarie vanno colte quando disponibili. – Inoltre, se è in corso una rateizzazione presso Agenzia Entrate-Riscossione e la si onora, l’eventuale reato di omesso versamento IVA non si perfeziona (per la normativa recente) .

Quindi sì, lo Stato è disposto a transigere in contesti di crisi seri: è meglio incassare qualcosa in concordato che nulla da un fallimento. Importante: bisogna presentare perizie che dimostrino la convenienza della proposta per l’Erario . E occorre includere tutti gli enti (Agenzia Entrate, Riscossione, INPS) per avere un quadro completo. Un professionista preparerà il “pacchetto fiscale” da inserire nel piano di concordato/ADR.

D: Conviene far chiudere subito l’azienda se non può pagare dipendenti e fornitori?
R: Dipende. “Chiudere subito” inteso come liquidare volontariamente la società può essere saggio se davvero non c’è alcuna prospettiva di recupero dell’equilibrio. Ad esempio, se l’azienda non ha più mercato, continuare operatività peggiorerebbe solo i debiti. In tal caso, iniziare una liquidazione (assemblea che nomina un liquidatore volontario) può limitare i danni. Tuttavia, attenzione: se l’azienda è già insolvente (non paga sistematicamente stipendi, fornitori, ecc.), la liquidazione volontaria non protegge dalle azioni dei creditori – i quali potrebbero comunque chiederne il fallimento. Quindi la liquidazione volontaria funziona bene se c’è ancora un margine di solvibilità e si vuole sciogliere la società con ordine. Se invece siamo già nel red zone, è spesso preferibile ricorrere direttamente a una procedura concorsuale (concordato o liquidazione giudiziale). Vantaggio del concordato liquidatorio rispetto alla liquidazione volontaria: nel concordato c’è lo stay (blocco) dei creditori e un piano organizzato, mentre nella liqu. volontaria no e rischi assalti disordinati. Quindi, se “chiudere subito” = fare concordato liquidatorio, può essere la scelta corretta per cristallizzare la situazione e evitare aggravamenti.

D: Cosa succede se l’azienda non paga gli stipendi o i contributi ai dipendenti?
R: Omettere pagamenti ai lavoratori ha implicazioni serie: – Sul piano giuslavoristico, i dipendenti possono dimettersi per giusta causa (mancato pagamento stipendio = causa immediata), e fare causa per le retribuzioni arretrate . Il giudice del lavoro può emettere ingiunzioni veloci e far pignorare i conti aziendali. – Esiste il Fondo di Garanzia INPS che in caso di insolvenza del datore (fallimento o anche concordato in alcuni casi) paga TFR e ultime 3 mensilità ai dipendenti, surrogandosi poi nel credito. Ma affinché intervenga serve una procedura concorsuale aperta o un verbale di tentativo di esecuzione negativo. – Il mancato versamento dei contributi previdenziali (trattenuti dal dipendente) oltre €10.000 annui è reato, come detto. – Operativamente, un’impresa che non paga stipendi perde rapidamente la forza lavoro e vede crollare la fiducia e la produttività residua. – Sul fronte DURC: come spiegato, se i contributi non sono versati il DURC diventa irregolare, precludendo appalti e causando possibili sospensioni di lavori in corso .

Dunque, se un’azienda non riesce a pagare gli stipendi, è un segnale che la crisi è gravissima e probabilmente irreversibile senza interventi esterni. È il momento di considerare procedure concorsuali immediatamente, perché proseguire accumulando mensilità arretrate condurrà quasi certamente a un fallimento su istanza di dipendenti (oltre che immorale verso i lavoratori). In procedure come il concordato, i lavoratori sono protetti: generalmente occorre pagarli in prededuzione o comunque prevedere il pagamento integrale dei loro crediti (o l’intervento del Fondo di Garanzia). Quindi il consiglio: mai lasciare cronicamente i dipendenti non pagati; meglio sospendere l’attività e attivare gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, se accessibile) o la procedura concorsuale, piuttosto che sfruttare il loro lavoro senza remunerazione.

D: Se faccio un accordo stragiudiziale con le banche, gli altri creditori sono vincolati?
R: No, un accordo privato vincola solo chi lo sottoscrive. Ad esempio, se la tua azienda sigla un accordo di moratoria con l’80% delle banche, quelle banche sospenderanno le azioni esecutive secondo intesa, ma i fornitori o altre banche non partecipanti potranno comunque agire liberamente . Solo strumenti omologati (accordi di ristrutturazione con efficacia estesa o concordato) possono vincolare anche i non aderenti. Dunque, se l’azienda ha un accordo privato con una categoria di creditori ma ne rimane fuori anche un solo creditore rilevante, quest’ultimo potrebbe “tirare il grilletto” e far saltare il banco. È per questo che nei piani stragiudiziali si cerca di coinvolgere tutti i principali creditori: per evitare che qualcuno, restando estraneo, possa pignorare e mandare a monte l’intesa.

In sintesi: accordi stragiudiziali = efficaci inter partes. Per avere efficacia erga omnes serve passare dal tribunale (omologazione).

D: Posso proteggere alcuni beni dell’azienda (o personali) dal rischio di esecuzione o fallimento?
R: Durante la crisi è molto difficile “mettere al riparo” beni senza incorrere in rischi di revocatoria o peggio, di bancarotta. Ad esempio: trasferire beni aziendali a terzi o a una newco a crisi già emersa può configurare atti in frode ai creditori, revocabili e potenzialmente penalmente rilevanti. Allo stesso modo, creare vincoli (tipo fondi patrimoniali, trust) sul proprio patrimonio personale dopo che i debiti sono sorti può essere considerato atto in frode al Fisco o ai creditori (specie se fatto senza conservare patrimonio sufficiente) . Gli istituti come i fondi patrimoniali non proteggono da debiti dell’attività d’impresa contratti per esigenze familiari.

L’unica “protezione” lecita è, ex ante, una buona pianificazione: ad esempio tenere separato il patrimonio personale (non dare garanzie personali se non necessario), costituire leasing invece di proprietà diretta per i beni, ecc. Ma a crisi conclamata, tentare spostamenti di beni è in genere controproducente. Molto meglio usare gli strumenti legali: con la composizione negoziata o il concordato, puoi chiedere al giudice misure protettive che sospendono temporaneamente le esecuzioni sui beni, mantenendoli in azienda fintanto che si cerca un accordo. Oppure, nel concordato, puoi prevedere di liquidare tu certi beni salvando quelli necessari alla continuità (per es., vendere immobili inutilizzati e tenere quelli produttivi se funzionali al piano).

Per i beni personali, se temi aggressioni, l’unica via lecita è eventualmente cercare un accordo transattivo con i creditori (dare in pegno qualcosa in cambio di moratoria? rischioso) o, in extremis, se sei persona fisica sovraindebitata, avviare tu stesso una procedura liquidatoria personale così da congelare le azioni e poi liberarti del debito residuo.

In conclusione, a crisi in atto non esistono scorciatoie legali per mettere beni al sicuro se servirebbero a pagare debiti. La strada giusta è inserirli in un piano concordato (magari vendendone alcuni per pagare i creditori e salvarne altri necessari).

Queste FAQ coprono solo alcune delle domande più frequenti. Ogni situazione presenta peculiarità che richiedono un esame specifico e consulenza professionale.

Fonti e riferimenti normativi e giurisprudenziali

  • Codice Civile, artt. 2086 (obbligo di assetti adeguati) , 2446–2447 (perdita del capitale nelle S.p.A.), 2482-bis/ter (perdita del capitale S.r.l.), 2484–2487 (cause scioglimento e liquidazione), 2485–2486 (doveri amministratori dopo scioglimento) .
  • D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), in vigore dal 15 luglio 2022 ; come modificato dai decreti correttivi D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024 (Correttivo-ter ).
  • Art. 3 CCII: obblighi di rilevazione tempestiva della crisi e indicatori di allerta .
  • Art. 12–25-quinquies CCII: Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021 conv. L.147/2021 integrato nel Codice) .
  • Art. 56 CCII: Piano attestato di risanamento (non soggetto ad omologa) .
  • Artt. 57–64 CCII: Accordi di ristrutturazione dei debiti (percentuali 60%, accordi agevolati 30% , efficacia estesa 75% , transazione fiscale e cram-down erariale ).
  • Art. 84–120 CCII: Concordato preventivo, incl. concordato in continuità e liquidatorio , requisiti e classi , concordato minore (artt. 74–83 CCII) , concordato semplificato (art. 25-sexies CCII) .
  • Art. 120-ter CCII: Esdebitazione dell’imprenditore insolvente meritevole (liberazione debiti residui post liquidazione).
  • Art. 208 CCII e ss.: Liquidazione giudiziale (ex fallimento).
  • Art. 268–277 CCII: Liquidazione controllata del sovraindebitato e art. 282 CCII esdebitazione sovraindebitato meritevole.
  • Artt. 318–340 CCII: reati concorsuali (bancarotta, ecc.), inclusi: Art. 322 CCII Bancarotta fraudolenta (richiama condotte ex art. 216 L.F.) ; Art. 324 CCII Bancarotta semplice e art. 324 co.2 (non punibilità se ricorso tempestivo agli strumenti concorsuali) ; Art. 323 CCII Bancarotta impropria e preferenziale. Art. 330 CCII: bancarotta semplice impropria per violazione obblighi (es. mancata adozione assetti) .
  • Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (vecchia Legge Fallimentare) – per riferimenti giurisprudenziali ai vecchi articoli: art. 216 L.F. (bancarotta fraudolenta) , art. 217 L.F. (bancarotta semplice) , art. 223 L.F. (bancarotta impropria da reato societario).
  • D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021 – Istituzione composizione negoziata e concordato semplificato (art. 25-sexies CCII) .
  • Legge 3/2012 (vecchia legge sovraindebitamento) – sostituita dal Codice, ma concetti ripresi: accordo di composizione, piano del consumatore, liquidazione patrimonio ora “controllata”.
  • D.Lgs. 74/2000 (reati tributari): Art. 10-bis (omesso versamento ritenute > €150k), Art. 10-ter (omesso versamento IVA > €250k) , Art. 11 (sottrazione fraudolenta al pagamento imposte) .
  • D.L. 463/1983 conv. L. 638/1983: Art. 2, comma 1-bis (omesso versamento contributi previdenziali > €10k).
  • Cassazione Civile:
  • Cass. civ. Sez. I, 29/05/2024 n. 15054: Responsabilità di amministratori e sindaci per atti di mala gestio, applicazione criteri di quantificazione ex art. 2486 c.c. (conferma danno da differenza netti patrimoniali) .
  • Cass. civ. Sez. I, 27/04/2023 n. 11041: Onere degli amministratori di provare finalità liquidatoria di atti compiuti dopo scioglimento .
  • Cass. civ. Sez. Un. 06/05/2015 n. 9100: in tema di azione di responsabilità, ammessa liquidazione equitativa del danno secondo criterio differenza attivo/passivo fallimentare .
  • Cass. civ. Sez. I, 18/07/2023 n. 20979: conferma criterio “differenza netti patrimoniali” ex art. 2486 c.c. per quantificare danno da ritardata liquidazione .
  • Cass. civ. Sez. I, 20/11/2024 n. 29844: responsabilità anche di amministratori non esecutivi se non vigilano su adeguatezza assetti e continuità (rafforzamento dovere ex art. 2086 c.c.) .
  • Cassazione Penale:
  • Cass. pen. Sez. V, 15/09/2023 n. 37826: (Ministero delle Finanze) – inadempimento cliente causa crisi di liquidità non esclude dolo per omesso versamento IVA se omissione imputabile (no causa forza maggiore) .
  • Cass. pen. Sez. III, 04/05/2023 n. 18029: Rateizzazione in corso blocca perfezionamento reato omesso versamento IVA (D.Lgs. 87/2024) .
  • Cass. pen. Sez. V, 07/04/2025 n. 10750: Sottrazione fraudolenta al Fisco e bancarotta impropria non si assorbono, concorso materiale di reati distinto .
  • Cass. pen. Sez. V, 15/04/2025 n. 19402: Condannato amministratore di fatto che prelevava somme spacciandole per compensi senza delibera – è bancarotta fraudolenta patrimoniale (distrazione di incassi) .
  • Cass. pen. Sez. V, 01/03/2019 n. 8975: Configura bancarotta preferenziale il pagamento selettivo di taluni creditori in prossimità del fallimento con consapevolezza del dissesto.
  • Cass. pen. Sez. I, 13/01/2022 n. 1075: Nei reati di bancarotta semplice per ritardata richiesta fallimento, la punibilità sussiste solo se il ritardo è connotato da colpa grave e produce aggravamento del dissesto .
  • Cass. pen. Sez. Unite, 27/05/2016 n. 22474: False comunicazioni sociali: abolito requisito del danno, punibilità per il falso di per sé; possibile concorso con bancarotta impropria se falso bilancio ha ritardato dissesto.
  • Tribunale di Milano, decr. 29/02/2024: Mancata adozione assetti adeguati = grave irregolarità ex art. 2409 c.c., disposta revoca organo amministrativo .
  • Tribunale di Milano, 03/2025: (citato in testo) – in concordato minore, accertamento crediti per voto non ha natura definitiva e piano deve prevedere apporto esterno sufficiente .
  • Il Sole 24 Ore, 1/12/2025, articolo “Composizione negoziata, il flop dell’accordo sui debiti fiscali” – dati su numero accordi fiscali chiusi (3 su 169) e problemi interpretativi (richiesta attestazione fattibilità non obbligatoria) .
  • Confindustria, nota 18/10/2024 sul Correttivo-ter – evidenzia modifiche a composizione negoziata, segnalazioni precoci, accordi ristrutturazione, PRO e concordato .
  • Indicazioni CNDCEC su allerta – indici crisi elaborati ai sensi art. 13 CCII (turnover netti/PN, DSCR, ecc.), integrati dal D.M. 28/09/2021.
  • Fonti dottrinali online: Diritto.it (Ott. 2022) “Responsabilità gestione in caso di crisi” – sottolinea obblighi ex 2086 c.c. ; GiustiziaCivile.com (2023) – danno risarcibile ex 2486 c.c. criteri presuntivi ; Iusletter (LaScala) articoli 2024 su liquidazione equitativa del danno ; DirittoBancario (Musso et al., Sett. 2022) – sintesi novità CCII e recepimento Dir. UE .
  • Materiali del Ministero della Giustizia – Relazione illustrativa al CCII (espone ratio criteri danno art. 2486 c.c.: risolvere contrasti giurisprudenziali) .
  • Prassi Agenzia Entrate-Riscossione: modulistica rateazione, soglie 120k; Circolari in tema di sospensione obblighi DURC in concordato (INPS Messaggio n. 2884/2020).

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Ricevi solleciti, richieste di rientro, sospensione delle forniture, decreti ingiuntivi o persino minacce di pignoramento da parte di banche, fornitori tecnici, Fisco, INPS o Agenzia Entrate-Riscossione?

Il settore delle termosigillatrici è tecnico e costoso: elettroniche delicate, resistenze e piastre su misura, manutenzioni continue, consumabili da tenere in stock, clienti che pagano tardi e margini sotto pressione. Bastano poche settimane di ritardi negli incassi per generare una crisi di liquidità.

La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con la strategia corretta.


Perché un’Azienda di Termosigillatrici va in Debito

  • aumento dei costi di componenti elettrici, resistenze, termostati, motori, teflonature
  • pagamenti lenti da parte di aziende alimentari, farmaceutiche e di confezionamento
  • magazzino immobilizzato tra ricambi, resistenze, piattine, teflon, elettroniche
  • costi elevati di manutenzione, installazione e assistenza in campo
  • investimenti in macchine più performanti, revisioni e software
  • riduzione o revoca delle linee di credito bancarie

Il problema quasi sempre non è la mancanza di lavoro, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi se Non Intervieni Subito

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco dei fidi
  • sospensione delle forniture di ricambi e consumabili critici
  • atti esecutivi, decreti ingiuntivi, precetti
  • sequestro di macchinari, ricambi e materiali tecnici
  • impossibilità di effettuare installazioni e manutenzioni
  • perdita di clienti strategici e contratti continuativi

Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato esperto può:

  • sospendere pignoramenti in corso
  • bloccare richieste urgenti di rientro
  • proteggere conti correnti e liquidità aziendale
  • interrompere le azioni di Agenzia Riscossione

Prima si mette in sicurezza l’azienda, poi si procede con il risanamento.


2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti

Nella maggior parte dei casi emergono errori significativi:

  • interessi non dovuti
  • sanzioni sbagliate
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori nelle cartelle esattoriali
  • commissioni bancarie anomale o illegittime

Una parte importante del debito può essere ridotta o cancellata.


3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile

Soluzioni efficaci:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi di rientro con fornitori strategici
  • rinegoziazione dei fidi bancari
  • sospensioni temporanee dei pagamenti
  • utilizzo delle definizioni agevolate quando disponibili

4. Attivare strumenti legali che bloccano TUTTI i creditori

Per situazioni più critiche:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • Accordi di Ristrutturazione
  • Concordato Minore
  • (nei casi estremi) Liquidazione Controllata

Questi strumenti permettono di continuare a operare pagando solo una parte dei debiti, mentre ogni atto esecutivo viene sospeso.


Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo

Per salvare un’azienda del packaging industriale servono competenze specifiche.
L’Avv. Monardo è:

  • Avvocato Cassazionista
  • Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

È il profilo ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende del settore termosigillatrici e macchine packaging.


Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo

  • analisi immediata della tua esposizione debitoria
  • stop urgente ai pignoramenti
  • riduzione dei debiti non dovuti
  • ristrutturazione del debito con piani personalizzati
  • protezione di ricambi, macchinari e magazzino
  • trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • tutela totale dell’azienda e dell’imprenditore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di termosigillatrici industriali non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, tecnica e completamente legale, puoi:

  • bloccare subito i creditori,
  • ridurre davvero i debiti,
  • proteggere commesse, clienti e continuità operativa,
  • salvare il futuro della tua azienda.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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