Se la tua azienda utilizza o fornisce impianti di taglio a waterjet, macchine CNC a getto d’acqua, pompe ad ultra-alta pressione, abrasivi, ugelli, sistemi di filtrazione, manutenzione tecnica e lavorazioni conto terzi, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale agire subito.
Nel settore del waterjet, un fermo macchina o un ritardo nei pagamenti può bloccare commesse importanti, impedire consegne a clienti industriali, generare penali e compromettere seriamente la reputazione professionale.
Perché le aziende di taglio waterjet accumulano debiti
- aumento dei costi di pompe ad alta pressione, abrasive garnet, ugelli e componenti speciali
- rincari nella manutenzione delle macchine e dei sistemi di filtrazione
- pagamenti lenti da parte di officine meccaniche, industrie e lavorazioni conto terzi
- ritardi nei versamenti di IVA, imposte e contributi
- magazzini costosi con ricambi specifici, abrasivi e componenti ad alto valore
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli produttivi
- investimenti continui in CNC, software, manutenzioni e consumabili ad alto costo
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista tutta la tua esposizione debitoria
- identificare debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro troppo pesanti che riducono la liquidità
- chiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti o fermo del conto
- proteggere rapporti con fornitori strategici (abrasivi, ugelli, pompe, ricambi)
- utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza bloccare la produzione
I rischi se non intervieni in tempo
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di abrasivi, ricambi, pompe e componenti critici
- fermo delle macchine waterjet e impossibilità di completare commesse
- perdita di clienti industriali e lavorazioni conto terzi
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina un team nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario. È inoltre:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può aiutarti concretamente a:
- bloccare pignoramenti e atti esecutivi
- ridurre o ristrutturare i debiti tramite gli strumenti legali più efficaci
- ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
- proteggere macchinari waterjet, materiali, commesse e continuità produttiva
- evitare la chiusura e guidare la tua azienda verso un vero risanamento
Agisci ora
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Muoversi oggi significa salvare lavori, clienti, produzione e stabilità economica.
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Introduzione
Immaginiamo un’azienda manifatturiera specializzata nel taglio a waterjet – ad esempio AcquaJet S.r.l. – che utilizza tecnologia a getto d’acqua ad altissima pressione per tagliare metalli, vetro o altri materiali. Queste imprese investono fortemente in macchinari CNC avanzati (pompe ultra-pressurizzate, ugelli abrasivi, tavole di taglio), spesso acquistati in leasing o con finanziamenti, e operano con margini competitivi. Una contrazione del mercato, ritardi nei pagamenti da parte dei clienti principali o costi fissi elevati (manutenzione delle pompe, energia elettrica, abrasivi) possono rapidamente tradursi in tensioni di cassa e indebitamento. Se AcquaJet S.r.l. si trova schiacciata dai debiti, deve affrontare scelte difficili per difendersi dai creditori e tentare il risanamento.
In Italia, l’ordinamento giuridico mette a disposizione una serie di strumenti sia stragiudiziali (fuori dai tribunali) sia concorsuali (procedure giudiziali) per gestire la crisi d’impresa e l’insolvenza. Questa guida, aggiornata a ottobre 2025, offre un’analisi avanzata e completa delle possibili soluzioni e strategie difensive a disposizione di un imprenditore debitore nel settore del taglio a getto d’acqua. Adottiamo il punto di vista del debitore – ossia degli amministratori e soci dell’azienda indebitata – utilizzando un linguaggio giuridico accurato ma divulgativo, adatto sia a professionisti legali sia a imprenditori e privati. L’obiettivo è mettere in condizione il debitore di valutare consapevolmente le opzioni disponibili per tutelare l’impresa indebitata: cercando ove possibile di salvarla tramite ristrutturazione, oppure limitando i danni in caso di inevitabile liquidazione, proteggendo anche il patrimonio personale nei limiti consentiti dalla legge.
Affronteremo innanzitutto le varie tipologie di debito che possono gravare su un’azienda di taglio waterjet (debiti fiscali, verso fornitori, bancari, previdenziali, ecc.) e le conseguenze legali del mancato pagamento. In seguito analizzeremo gli obblighi di legge introdotti dalle recenti riforme – in particolare dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, detto CCII, in vigore dal 15 luglio 2022) – che impongono una gestione oculata e tempestiva della crisi. Illustreremo i meccanismi di allerta precoce (ad es. le segnalazioni che Agenzia Entrate e INPS inviano quando i debiti superano certe soglie) e l’importanza per l’imprenditore di non ignorarli.
Il cuore della guida è dedicato alle soluzioni pratiche per gestire i debiti aziendali: dai piani di risanamento stragiudiziali (trattative private, piani attestati di risanamento) agli accordi formalizzati con i creditori (accordi di ristrutturazione dei debiti), sino alle procedure concorsuali vere e proprie come il concordato preventivo – sia in continuità aziendale che con liquidazione del patrimonio – e, come ultima ratio, la liquidazione giudiziale (il “fallimento” nella nuova terminologia del CCII). Esamineremo anche istituti di introduzione relativamente recente, come la composizione negoziata della crisi (procedura volontaria assistita da un esperto indipendente) e il concordato semplificato post-composizione negoziata, nonché strumenti specifici per ristrutturare i debiti verso Erario e previdenza (la transazione fiscale e contributiva), evidenziando le novità normative come il possibile cram down del Fisco (omologazione forzosa nonostante il dissenso dell’Erario) introdotto nel 2023.
Dal punto di vista pratico, forniremo tabelle riepilogative (ad es. soglie di debito che attivano gli obblighi di allerta, confronto tra i vari strumenti di regolazione della crisi, ecc.) e alcune simulazioni di casi concreti ambientate in Italia, per capire passo dopo passo le mosse migliori che un imprenditore-debitore può compiere. Un’ampia sezione finale sarà strutturata in forma di Domande & Risposte frequenti, chiarendo dubbi tipici: ad esempio, cosa accade se un creditore ha già avviato un’esecuzione forzata; come comportarsi se i fornitori minacciano azioni legali o se la banca revoca gli affidamenti; cosa fare se l’Agenzia Entrate-Riscossione ha notificato una cartella esattoriale; quali sono i rischi penali per gli amministratori in caso di omissione di versamenti fiscali o contributivi; oppure ancora se e in quali casi i soci o amministratori rischiano con il loro patrimonio personale.
Importante: tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate nel testo sono elencate nella sezione Fonti in fondo alla guida. Si tratta di riferimenti ad articoli di legge (Codice Civile, Codice della Crisi e leggi speciali) e a sentenze aggiornate (2024–2025) delle magistrature italiane più autorevoli (Corte di Cassazione e Tribunali) o a documenti ufficiali, così da garantire l’autorevolezza delle informazioni. Ogni soluzione suggerita è quindi suffragata da fonti verificabili.
Passiamo ora ad esaminare nel dettaglio la situazione in cui si trova la nostra ipotetica azienda di taglio ad acqua indebitata, e vediamo cosa fare per difendersi e come farlo concretamente.
1. Tipologie di debiti aziendali e relative conseguenze
Un’azienda come AcquaJet S.r.l., attiva nel settore del taglio a getto d’acqua, può trovarsi esposta a diverse tipologie di debiti. Ciascuna categoria di debito comporta specifiche conseguenze legali in caso di insolvenza o grave ritardo nei pagamenti:
- Debiti fiscali (verso l’Erario): includono imposte non versate (es. IVA, IRES, IRAP) e ritenute non pagate. Se l’azienda omette questi versamenti, l’Agenzia delle Entrate iscrive a ruolo le somme dovute e affida all’Agenzia Entrate-Riscossione (AER) – l’ente concessionario per la riscossione – il compito di recuperare coattivamente il credito. L’AER notificherà quindi cartelle esattoriali; il mancato pagamento delle cartelle può portare a misure esecutive come il fermo amministrativo dei beni mobili registrati (ad es. automezzi aziendali), l’ipoteca su immobili o capannoni di proprietà della società, e il pignoramento di conti bancari o di altri beni dell’impresa. Inoltre, alcuni omessi versamenti configurano reati tributari o previdenziali: ad esempio, il mancato versamento dell’IVA per un importo annuo superiore a una certa soglia (attualmente €250.000) costituisce reato tributario di omesso versamento IVA, così come l’omessa corresponsione di ritenute certificate oltre soglie più basse (circa €150.000 annui) integra il reato di omesso versamento di ritenute. Anche l’omesso versamento dei contributi previdenziali trattenuti ai dipendenti, per un importo superiore a €10.000 annui, è sanzionato penalmente (reato di omesso versamento di contributi). Dunque i debiti fiscali e contributivi presentano un duplice profilo di rischio: da un lato esattoriale-amministrativo (riscossione coattiva, sanzioni e interessi), dall’altro penale (in caso di superamento delle soglie di punibilità stabilite per legge). Inoltre, dal punto di vista civilistico, lo Stato e gli enti previdenziali godono per legge di privilegi sui beni del debitore: ciò significa che in caso di procedura concorsuale i loro crediti verranno soddisfatti con priorità rispetto ai crediti chirografari comuni (cioè quelli non garantiti).
- Debiti verso fornitori: sono i classici debiti commerciali per l’acquisto di beni e servizi (nel nostro caso possono essere fornitori di materie prime, abrasivi, utensili di ricambio, componenti delle pompe, servizi di manutenzione, ecc.). In una fase di crisi di liquidità, l’azienda potrebbe accumulare fatture non pagate ai fornitori. Questi creditori generalmente non godono di garanzie specifiche – i loro crediti sono chirografari, ovvero non privilegiati – ma possono attivarsi rapidamente per il recupero: spesso ottengono un decreto ingiuntivo (ingiunzione di pagamento) e, in mancanza di opposizione da parte dell’azienda, procedono con pignoramenti di beni aziendali (ad esempio macchinari, scorte di magazzino) oppure di crediti vantati dall’azienda (ad esempio pignorando i crediti verso clienti o bloccando i conti correnti). Il rischio principale, in questo scenario, è la paralisi operativa: il pignoramento di un conto corrente aziendale o il sequestro di un macchinario chiave (come una macchina waterjet) può bloccare l’attività produttiva. Inoltre, un singolo fornitore non pagato – se il suo credito supera una certa soglia – potrebbe anche presentare un’istanza di fallimento (oggi chiamata istanza di liquidazione giudiziale) contro l’azienda, allegando lo stato di insolvenza (ad esempio più debiti scaduti non pagati). I debiti commerciali impagati tendono a generare reazioni a catena: forniture bloccate (il fornitore sospende le consegne di materiali essenziali, come abrasivo o pezzi di ricambio, aggravando la crisi), perdita di fiducia da parte di partner e clienti, e proliferare di procedure esecutive individuali da parte di vari creditori.
- Debiti bancari e finanziari: includono le esposizioni verso banche o società di leasing, quali finanziamenti e mutui contratti per acquistare macchinari, scoperti di conto (affidamenti di cassa), anticipi su fatture o factoring, contratti di leasing su impianti e attrezzature, ecc. Le banche sono spesso creditori garantiti: ad esempio, un mutuo è garantito da ipoteca su immobili aziendali; un finanziamento per macchinari può essere assistito da un pegno sui macchinari stessi o da riserva di proprietà a favore del venditore/finanziatore; inoltre, non di rado gli imprenditori o soci hanno firmato fideiussioni personali a garanzia dei debiti bancari della società. In caso di crisi conclamata, la banca può revocare gli affidamenti: ad esempio, può chiedere il rientro immediato dello scoperto di conto o dell’anticipo fatture concesso, oppure risolvere (recedere da) il contratto di mutuo per inadempimento se l’azienda salta il pagamento di alcune rate. I contratti bancari infatti prevedono spesso clausole risolutive espresse: al verificarsi di certe condizioni (ad es. insolvenza, ritardi nei pagamenti verso altri creditori, iscrizione di pregiudizievoli come pignoramenti o ipoteche da terzi) la banca può considerare risolto il contratto e pretendere l’immediato rimborso integrale di quanto dovuto. Se l’azienda non è in grado di “rientrare” pagando il dovuto, la banca può attivare le garanzie: ad esempio, escutere la fideiussione (rivolgendosi cioè direttamente al patrimonio personale del garante, tipicamente l’imprenditore o un socio); oppure avviare l’esecuzione forzata sull’immobile ipotecato (pignoramento e vendita all’asta) o sul bene in leasing (richiedendo la risoluzione del leasing e la riappropriazione del macchinario). È prassi inoltre che le banche creditrici, specie se sono più d’una, tendano a coordinarsi in caso di crisi aziendale significativa: esiste ad esempio un Protocollo ABI per la ristrutturazione dei debiti bancari, che promuove soluzioni concordate e moratorie. Tuttavia, ciò avviene solo se l’azienda avvia un dialogo attivo proponendo un piano di rientro credibile; diversamente, ogni banca agirà singolarmente per tutelare il proprio credito. In un’eventuale procedura concorsuale (fallimento o concordato), i crediti bancari ipotecari o pignoratizi verranno soddisfatti in via prelazionaria (con priorità) sui beni dati in garanzia, mentre la parte non coperta dalle garanzie (eventuali eccedenze) si trasformerà in credito chirografario (chiamato chirografo per la parte scoperta).
- Debiti verso i dipendenti: includono retribuzioni non corrisposte (stipendi arretrati), TFR (Trattamento di Fine Rapporto) maturato e non versato, indennità e altre spettanze. I dipendenti sono una categoria di creditori tutelata da privilegi: la legge attribuisce ai lavoratori un privilegio generale sui mobili del debitore e un privilegio speciale su alcuni beni, a garanzia delle ultime mensilità di stipendio e del TFR maturato. In caso di difficoltà finanziarie gravi, il mancato pagamento continuativo degli stipendi può portare i dipendenti a interrompere il rapporto (dimissioni per giusta causa) e a agire anch’essi legalmente per ottenere quanto dovuto (ingiunzioni e pignoramenti). Tuttavia, esiste il Fondo di Garanzia INPS che interviene – in caso di insolvenza conclamata dell’azienda, tipicamente dopo l’apertura di una liquidazione giudiziale oppure di un concordato preventivo liquidatorio – per pagare ai lavoratori il TFR e le ultime retribuzioni entro certi massimali. Dal punto di vista penale, va ricordato che l’omesso pagamento delle retribuzioni di per sé non costituisce più reato (un tempo lo era, ma la norma penale è stata abrogata); resta però ferma la possibilità che tale omissione rilevi come bancarotta semplice in sede fallimentare se l’imprenditore ha aggravato il dissesto omettendo di soddisfare debiti contratti dopo il manifestarsi dell’insolvenza. Inoltre – come già accennato per i debiti contributivi – l’eventuale mancato versamento delle ritenute previdenziali operate sulle buste paga dei dipendenti integra reato oltre la soglia di €10.000 annui, mentre l’omissione della sola parte a carico dell’azienda (quota datoriale) non costituisce reato ma comporta sanzioni civili (somme aggiuntive, interessi di mora).
- Debiti verso l’INPS e altri enti previdenziali: riguardano i contributi non versati. Questo tipo di esposizione in parte si sovrappone alla categoria fiscale, ma merita attenzione separata. Si distinguono i contributi dovuti per i dipendenti (composti da una quota a carico dell’azienda e da una quota a carico del lavoratore che l’azienda trattiene dalla busta paga) e i contributi dovuti per i lavoratori autonomi o soci (es. gestione commercianti o artigiani INPS, casse professionali). L’INPS ha poteri di riscossione analoghi al Fisco: iscrive a ruolo i contributi omessi e li affida all’Agenzia Entrate-Riscossione per il recupero coattivo, con possibilità di cartelle esattoriali, pignoramenti, ipoteche, fermi analoghi a quelli tributari. I crediti dell’INPS godono anch’essi di privilegio generale al pari dei crediti per imposte. Come detto, la parte di contributi trattenuta ai lavoratori e non versata oltre €10.000 annui configura reato (punito dall’art. 2, comma 1-bis, D.L. 463/1983, convertito in L. 638/1983, salvo il pagamento integrale entro la prima udienza). L’omissione della sola quota contributiva a carico del datore di lavoro non è fattispecie penale ma comporta sanzioni civili molto onerose (c.d. somme aggiuntive che si sommano al contributo dovuto). In sintesi, debiti previdenziali protratti espongono l’azienda sia a azioni esecutive da parte dell’INPS (via AER, in modo simile ai debiti fiscali) sia ai suddetti rischi penali per gli amministratori (limitatamente alle omissioni più gravi sulle quote trattenute).
In sintesi, ogni categoria di debito aziendale impagato può innescare diverse conseguenze: dalle azioni esecutive individuali (pignoramenti, sequestri, cause civili) alle iniziative concorsuali (istanze di fallimento/liquidazione giudiziale) da parte dei creditori. Dal lato dell’imprenditore-debitore, è fondamentale capire che l’ordinamento oggi privilegia chi prende l’iniziativa per tempo. Inattività e inerzia aggravano la posizione: più il debito “invecchia”, più crescono interessi e sanzioni (specie sui debiti fiscali) e maggiori diventano le probabilità che un creditore, stanco di aspettare, avvii procedure esecutive o richieda un intervento giudiziario. Nei capitoli seguenti vedremo come la legge impone agli amministratori di monitorare la situazione finanziaria e reagire prontamente ai segnali di crisi, e quali strumenti esistono per difendersi dalle azioni dei creditori e ristrutturare i debiti.
2. Obblighi di legge per gli amministratori: rilevare tempestivamente la crisi
Uno degli aspetti più innovativi del nuovo Codice della Crisi d’Impresa è l’enfasi sui doveri di monitoraggio in capo agli amministratori e agli organi di controllo interni, al fine di rilevare tempestivamente lo stato di crisi e attivare le misure correttive opportune. La logica è chiara: prevenire è meglio che curare. La legge vuole evitare che le aziende affoghino nei debiti per inerzia gestionale, imponendo ai vertici di agire prima che sia troppo tardi.
a) Doveri organizzativi dell’imprenditore (art. 2086 c.c.): l’art. 2086, comma 2, del Codice Civile – introdotto dal D.Lgs. 14/2019 – impone all’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva di istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensione dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita di continuità aziendale. In altre parole, gli amministratori di società (come S.r.l. o S.p.A.) hanno il dovere giuridico di dotarsi di strumenti interni (sistemi di contabilità, controlli di gestione, indici finanziari) capaci di far emergere subito indizi di difficoltà, e di attivarsi senza indugio per affrontarli. Se, ad esempio, AcquaJet S.r.l. accumula perdite rilevanti o ritardi nei pagamenti di imposte e fornitori, gli amministratori devono accorgersene e convocare immediatamente gli esperti appropriati (commercialisti, legali) per studiare un piano di rientro o di ristrutturazione. La violazione di questo dovere può comportare conseguenze: in sede di eventuale fallimento, la prosecuzione imprudente dell’attività in presenza di una crisi conclamata può essere valutata come grave inadempimento degli amministratori, con il rischio di azioni di responsabilità e sanzioni. Infatti, già prima della riforma, la giurisprudenza di legittimità aveva stabilito che l’amministratore che aggrava il dissesto procrastinando il fallimento risponde dei danni (Cass. Civ. Sez. Unite n. 9100/2015). Oggi questo principio è codificato: l’art. 3 CCII obbliga l’imprenditore a “adottare senza indugio le iniziative idonee a superare la crisi e recuperare la continuità aziendale” appena se ne manifestano i sintomi.
b) Doveri degli organi di controllo interni: parallelamente, il CCII e lo stesso Codice Civile rafforzano i compiti dei sindaci, del revisore legale e di ogni altro organo di controllo societario. Questi soggetti, nell’esercizio delle loro funzioni, se rilevano segnali di crisi ignorati dagli amministratori (es. perdite significative, gravi tensioni di cassa, indicatori che prospettano insolvenza entro 6-12 mesi), devono spronare gli amministratori ad agire. In base all’originario art. 24 CCII (ora modificato), i sindaci avrebbero perfino dovuto effettuare una segnalazione formale al board sollecitando interventi per evitare il dissesto. Questa parte “procedurale” dell’allerta interna è stata sospesa e posticipata prima dell’entrata in vigore, ma il principio di buona gestione resta: i sindaci fungono da sentinelle interne e non possono voltarsi dall’altra parte di fronte a evidenti segnali di crisi. Anzi, il cosiddetto “Correttivo ter” del 2024 (D.Lgs. 136/2024) ha espressamente equiparato i revisori legali ai sindaci negli obblighi di monitoraggio e segnalazione tempestiva della crisi. Ciò significa che, anche in una S.r.l. soggetta a revisione legale, il revisore contabile ha il dovere di allertare gli amministratori sulle criticità riscontrate, proprio come farebbe un collegio sindacale. Se né gli amministratori né i controllori interni adottano misure adeguate di fronte a indicatori di crisi conclamata, potranno andare incontro a responsabilità personali per omessa tempestiva reazione: in altre parole, se l’azienda poi fallisce, l’inazione colpevole di amministratori e sindaci/revisori potrà essere valutata come colpa grave in sede civile. Linee guida emanate nel 2025 sul governo dell’impresa in crisi (richiamate dalla prassi) evidenziano che l’amministratore sarà chiamato a rispondere per mancato intervento tempestivo, con rischio di azioni di responsabilità e sanzioni risarcitorie; per i sindaci e revisori, omissioni gravi potrebbero comportare revoche per giusta causa o condanna al risarcimento se dal loro mancato controllo è derivato un aggravamento del dissesto.
c) Allerta “esterna” dai creditori pubblici qualificati: oltre alla vigilanza interna, la legge affida a determinati enti pubblici il compito di inviare segnali d’allarme esterni quando un’impresa accumula debiti significativi verso lo Stato. Questi enti, detti “creditori pubblici qualificati”, sono principalmente: l’Agenzia delle Entrate, l’INPS e l’Agente della Riscossione (AER). Dal 1° gennaio 2022 sono operative soglie specifiche oltre le quali scatta l’obbligo per tali enti di inviare una segnalazione formale all’impresa debitrice. La tabella seguente riepiloga le soglie attualmente previste (introdotte dal D.L. 152/2021, conv. in L. 233/2021):
| Ente segnalante | Condizione che fa scattare l’allerta (debito scaduto non regolarizzato) |
|---|---|
| INPS – Contributi previdenziali dovuti ai lavoratori dipendenti | Mancato versamento di contributi da oltre 90 giorni, per un importo > €15.000 (imprese con dipendenti, e tale importo rappresenta almeno il 30% dei contributi dovuti nell’anno precedente) oppure > €5.000 (imprese senza dipendenti). |
| Agenzia delle Entrate – Imposte (IVA, ritenute) | Esistenza di un debito IVA scaduto e non versato, risultante dalle comunicazioni trimestrali IVA (LIPE), di importo > €5.000. È sufficiente omettere un versamento IVA periodico oltre tale soglia perché scatti l’allerta. (Analoghe soglie valgono per altre imposte dirette, ma in pratica i debiti d’imposta confluiscono poi nella soglia delle cartelle AER di seguito). |
| Agenzia Entrate-Riscossione (AER) – Ruoli esattoriali | Presenza di debiti iscritti a ruolo (affidati alla riscossione) scaduti da oltre 90 giorni, per importi superiori a €100.000 (se imprenditore individuale), €200.000 (se società di persone) o €500.000 (se società di capitali). In pratica, cartelle esattoriali non pagate per importi rilevanti fanno scattare la segnalazione. |
Come si nota, alcune soglie non sono affatto elevate: ad esempio, un’omissione di versamento IVA di appena €5.000 o contributi arretrati per €15.000 possono capitare anche a piccole aziende, ma fanno comunque scattare l’allerta. L’intento del legislatore è dichiaratamente preventivo: intercettare i segnali di crisi nelle fasi iniziali, quando l’impresa può ancora salvarsi se interviene subito, anziché aspettare che i debiti diventino insostenibili.
Cosa accade alla segnalazione? Ciascun ente monitora automaticamente il verificarsi di queste condizioni. Una volta superata la soglia e decorso un breve periodo (in genere 60 giorni dal termine di pagamento previsto) senza che il debitore abbia rimediato, l’ente invia una PEC di segnalazione all’imprenditore e, se esiste, all’organo di controllo della società. Nella PEC si comunica il superamento della soglia e si invita espressamente l’imprenditore ad attivare la procedura di composizione negoziata della crisi (di cui diremo nel §3.4) o comunque a prendere provvedimenti per regolarizzare la situazione. Attenzione: questo avviso non dichiara formalmente uno “stato di crisi” giuridico né avvia alcuna procedura concorsuale d’ufficio – è piuttosto un campanello d’allarme ufficiale: “Hai accumulato debiti rilevanti con Fisco/INPS; valuta di rivolgerti a un esperto indipendente per trovare una soluzione prima che sia troppo tardi”. In sostanza, è una moral suasion istituzionalizzata: il legislatore vuole spingere il debitore a conoscere e utilizzare gli strumenti di aiuto (come la composizione negoziata) per affrontare la crisi.
Da un punto di vista strettamente legale, ricevere questa segnalazione non obbliga l’imprenditore ad avviare una procedura (non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di una scelta imprenditoriale discrezionale). Tuttavia, ignorare l’allerta può avere conseguenze indirette molto serie. In primis, la PEC costituisce una formale “messa in mora informativa”: da quel momento gli amministratori non possono più invocare ignoranza dello stato di dissesto, e ogni eventuale inerzia successiva sarà valutata severamente. Se in seguito l’impresa fallisse senza aver preso misure, i creditori o il curatore fallimentare avranno gioco facile nel dimostrare che già a partire da quella PEC gli amministratori erano consapevoli della crisi e non sono intervenuti, configurando una grave colpa gestionale. Inoltre, la PEC viene inviata anche al collegio sindacale o al revisore: ciò mette in allerta pure i controllori, i quali non possono ignorare il segnale e – se gli amministratori restano inerti – dovranno attivarsi per tutelarsi (in casi estremi, dottrina suggerisce che potrebbero perfino segnalare la situazione al tribunale ex art. 2409 c.c., denunciando gravi irregolarità). Infine, l’allerta esterna “fissa un confine temporale netto”: se dopo quell’avviso nulla viene fatto e la situazione degenera, sarà impossibile per il debitore sostenere di non essersi accorto della gravità; viceversa, se reagisce attivando ad esempio la composizione negoziata, tale condotta potrà essergli riconosciuta come diligente e in buona fede, con possibili benefici futuri (ad esempio ai fini dell’esdebitazione personale post-fallimento, o per evitare contestazioni di bancarotta semplice per tardiva attivazione).
Esempio: Gamma S.p.A., impresa metalmeccanica, nel 2024 accumula debiti IVA per €200.000 e contributi INPS arretrati per €20.000 (circa 4 mensilità). In ottobre 2024 riceve due PEC di allerta: una dall’Agenzia Entrate (che rileva l’IVA non versata ben sopra €5.000 e invita ad attivare la composizione negoziata), l’altra dall’INPS (per i contributi non pagati > 90 giorni sopra €15.000). Il collegio sindacale di Gamma richiama subito l’amministratore alle sue responsabilità. Se l’amministratore ignora gli avvertimenti, i sindaci – per non incorrere in corresponsabilità – potrebbero persino informare il tribunale. Al contrario, se l’amministratore reagisce (es. depositando istanza di composizione negoziata o trovando un accordo coi creditori), potrà tentare di salvare l’azienda e al contempo dimostrare di aver agito con diligenza, il che tornerà a suo favore in caso di successivo giudizio (evitando imputazioni di imprudenza grave).
d) Il tramonto degli OCRI e il nuovo approccio volontario: va notato che il disegno originario del Codice della Crisi prevedeva, dopo la segnalazione d’allerta, l’attivazione quasi automatica di una procedura di composizione assistita dinanzi a speciali Organismi (detti OCRI, Organismi di Composizione della Crisi d’Impresa, istituiti presso le Camere di Commercio). Questo meccanismo di allerta pubblica non è mai divenuto operativo: prima rinviato causa Covid, poi di fatto superato dalla riforma d’urgenza del 2021 (D.L. 118/2021) che ha introdotto la composizione negoziata al posto degli OCRI. Oggi, dunque, la “segnalazione d’allerta esterna” si esaurisce con l’invio della PEC: non scatta alcuna procedura concorsuale d’ufficio, ma si tratta – come visto – di un forte stimolo affinché l’imprenditore prenda iniziative.
In sintesi, l’ordinamento attuale combina obblighi organizzativi interni e segnalazioni esterne per fare in modo che i segnali di crisi non passino inosservati. Per un debitore, ciò si traduce in un consiglio preciso: se ricevi allarmi (interni o esterni), non ignorarli. Al contrario, attivarsi tempestivamente – ad esempio contattando un consulente ed elaborando un piano, oppure avviando una procedura volontaria come la composizione negoziata – potrà essere decisivo per difendere l’azienda. Agire per tempo aumenta sia le chance di superare la crisi, sia (in caso di esito negativo) la possibilità per gli amministratori di dimostrare la propria buona fede, evitando conseguenze ben peggiori in futuro (azioni di responsabilità per mala gestio o addirittura accuse penali). Nei capitoli che seguono, vedremo quali strumenti concreti l’amministratore-debitore può attivare in risposta a questi segnali di allerta.
3. Soluzioni stragiudiziali per gestire i debiti (negoziazione privata e piani di risanamento)
Una volta emersi i problemi di insolvenza o di crisi finanziaria grave, l’imprenditore ha davanti a sé due grandi famiglie di soluzioni: quelle stragiudiziali, che inizialmente non richiedono l’intervento del tribunale, e quelle concorsuali (giudiziali), che invece implicano l’accesso a procedure regolamentate per legge e sotto il controllo dell’autorità giudiziaria. Cominciamo dalle soluzioni extra-giudiziali, spesso preferibili in quanto più snelle, riservate e potenzialmente rapide – anche se non sempre sufficienti a risolvere ogni crisi.
3.1 Trattative private e accordi “in bonis” con i creditori
La prima opzione, la più immediata, per un’azienda indebitata (prima di ricorrere a strumenti formali) è tentare di negoziare spontaneamente con i creditori. Ad esempio, AcquaJet S.r.l. potrebbe convocare i principali fornitori a cui deve denaro e proporre un piano di rientro: pagamento dilazionato del dovuto in più mesi, magari offrendo anche uno stralcio parziale (una riduzione dell’importo totale) se i creditori accettano di attendere e di non intraprendere azioni legali. Analogamente, con la banca si potrebbe ridiscutere il piano di ammortamento di un mutuo, chiedere una moratoria temporanea sulle rate, oppure consolidare lo scoperto di conto in un finanziamento a più lungo termine. Queste soluzioni negoziali informali hanno il vantaggio di evitare pubblicità e costi di procedura; spesso anche il creditore preferisce trovare un accordo ragionevole anziché avventurarsi in cause lunghe o rischiare che l’azienda fallisca (nel qual caso il creditore chirografario recupererebbe forse molto poco). In pratica, è il terreno delle transazioni stragiudiziali: si cerca un compromesso con ciascun creditore, o con gruppi di creditori, per diluire o ridurre il debito.
Tuttavia, le trattative non formalizzate presentano anche rischi e limiti significativi: (i) richiedono il consenso di tutti (o almeno dei principali) creditori, altrimenti l’azione isolata di uno solo può vanificare tutto; (ii) eventuali pagamenti accordati in modo non omogeneo potrebbero – in caso di successivo fallimento – essere soggetti a revocatoria fallimentare (ad esempio, se l’azienda paga un fornitore privilegiandolo rispetto agli altri in fase di insolvenza, quel pagamento può poi essere revocato dal curatore fallimentare, a meno che rientri nelle esenzioni di legge); (iii) manca una “protezione” generale dalle azioni esecutive: un creditore che non partecipa all’accordo può comunque aggredire i beni, perché nessuna procedura formale lo vincola ad attendere; (iv) in assenza di omologazione o attestazione ufficiale, gli accordi restano precari – e potrebbero anche emergere problemi di invalidità (si pensi a possibili contestazioni sulla usurarietà di nuovi piani di rientro con interessi molto alti, o alla difficoltà di dimostrare un accordo verbale). In sostanza, la negoziazione privata è un percorso fragile: funziona solo se c’è cooperazione completa e buona fede da ambo le parti; basta un “franco tiratore” tra i creditori per mandare a monte gli sforzi.
Quando utilizzarla? La trattativa informale è indicata se la crisi è ancora moderata, pochi creditori rilevanti sono coinvolti e c’è fiducia reciproca. Nel caso della nostra azienda waterjet, ad esempio, se il grosso dei debiti riguarda 2-3 fornitori chiave e magari un solo istituto bancario, e l’impresa intravede concrete prospettive di ripresa (nuovi ordini in arrivo, ecc.), può tentare di ottenere respiro extra con accordi amichevoli. Diversamente, se l’indebitamento è diffuso e le azioni legali sono già partite, occorre uno strumento più strutturato. Come vedremo, esistono strumenti giuridici che formalizzano gli accordi con i creditori e li rendono più robusti, proteggendo nel contempo l’azienda da iniziative aggressive durante le trattative (grazie a misure protettive concesse dal tribunale). Il passo successivo sulla scala delle soluzioni stragiudiziali è proprio il piano attestato di risanamento, che esaminiamo di seguito.
3.2 Il Piano Attestato di Risanamento (PAR)
Il piano attestato di risanamento è uno strumento intermedio tra il puramente informale e il concorsuale. Si tratta di un piano di risanamento aziendale, predisposto dall’imprenditore con l’ausilio dei suoi consulenti, che mira a rilanciare l’impresa e riequilibrare la situazione finanziaria, e che viene attestato (cioè valutato e dichiarato fattibile) da un professionista indipendente. Il piano attestato è disciplinato oggi dall’art. 56 CCII. Si considera uno strumento di regolazione stragiudiziale della crisi, in quanto non prevede alcuna omologazione o intervento preventivo del Tribunale. In sostanza, dopo aver elaborato il piano e ottenuto l’attestazione professionale di veridicità dei dati aziendali e di fattibilità del piano, l’imprenditore può decidere di depositare il piano presso il Registro delle Imprese (per dargli data certa e pubblicità) ma non deve sottoporlo al voto dei creditori né all’approvazione di un giudice.
Quali vantaggi offre allora un piano attestato rispetto a un semplice accordo privato? Principalmente due, introdotti dal legislatore per incoraggiare questi risanamenti volontari:
- Protezione da azioni revocatorie: gli atti compiuti in esecuzione di un piano attestato idoneo al risanamento sono esenti da revocatoria fallimentare (art. 166, co. 3, CCII). Ciò significa che se l’imprenditore, eseguendo il piano, effettua pagamenti parziali a un fornitore o concede nuove garanzie a fronte di finanziamenti ricevuti, e poi nei due anni successivi l’azienda dovesse comunque fallire, quei pagamenti o garanzie non potranno essere revocati dal curatore fallimentare (a condizione che il piano fosse idoneo al risanamento secondo l’attestatore indipendente). Ad esempio, se AcquaJet S.r.l. paga subito un 30% ai fornitori strategici nell’ambito di un piano attestato e fallisce un anno dopo, il curatore non potrà chiedere indietro quei soldi ai fornitori – diversamente da quanto accade per i pagamenti preferenziali fatti al di fuori di un contesto di risanamento.
- Esonero da responsabilità penale per bancarotta preferenziale: analogamente, l’art. 324 CCII prevede che i pagamenti e le operazioni compiute in esecuzione di un piano attestato non siano punibili come bancarotta semplice o bancarotta preferenziale. Ad esempio, pagare integralmente un fornitore prima degli altri – operazione di norma pericolosa perché potrebbe configurare una lesione della par condicio creditorum – se rientra in un piano di risanamento attestato e giustificato, non potrà essere contestato all’amministratore come atto di favore illecito. In sostanza, la legge riconosce che l’esecuzione di un piano attestato può richiedere di trattare in modo differenziato i creditori (pagandone alcuni prima, altri dopo) e ciò viene condonato sia sul piano civile (niente revocatoria) che sul piano penale (nessuna bancarotta preferenziale).
Va però sottolineato: per godere di queste esenzioni, il piano attestato deve avere i requisiti di legge. In particolare, l’art. 56 CCII richiede che il piano sia idoneo a garantire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria. Deve avere contenuto attendibile e realistico, basarsi su dati aziendali veritieri e su assunzioni credibili, e l’attestatore indipendente deve dichiarare per iscritto che, se il piano viene eseguito, l’impresa ne risulterà risanata o comunque in equilibrio finanziario. Se questi requisiti mancano – ad esempio se il piano è irrealistico o copre solo temporaneamente i debiti – il piano attestato non proteggerà affatto dagli effetti negativi (revocatoria, ecc.). Inoltre, il piano di risanamento di regola va comunicato integralmente ai creditori coinvolti: questi devono conoscere le misure previste e aderire su base volontaria. Spesso, infatti, il piano attestato è accompagnato da lettere di assenso firmate dai principali creditori (banche, fornitori), i quali dichiarano di aderire alla ristrutturazione proposta (ad esempio accettando una certa dilazione o rinuncia parziale).
Esempio pratico di piano attestato: Maschi & Filiere S.r.l. (azienda metalmeccanica ipotetica) ha €2 milioni di debiti (verso banche, fornitori e Fisco) e difficoltà di liquidità. Elabora un piano quinquennale per tornare solvibile. Il piano prevede che un investitore apporto nuovi fondi per €500.000, l’azienda dismetta un ramo d’azienda non strategico ricavando €300.000, e i fornitori strategici accettino uno stralcio del 20% delle loro esposizioni in cambio di pagamenti garantiti sul restante 80% . Il piano mostra che, con queste misure, l’EBITDA torna positivo e sufficiente a sostenere il debito residuo, mentre la liquidità iniziale (nuovi fondi + cessioni) copre i pagamenti immediati. Un professionista indipendente (commercialista) attesta che il piano è fattibile e risana l’impresa. A questo punto Maschi & Filiere deposita il piano attestato in Camera di Commercio e lo comunica ai creditori. Eseguendo il piano, paga subito l’80% ai fornitori aderenti e riprende a pagarli a 30-60 giorni sul nuovo venduto; ottiene la moratoria dal leasing sulle macchine per 6 mesi. Dopo 3 anni torna in utile. Anche se comunque dopo 1 anno un creditore non aderente ha fatto istanza di fallimento, il tribunale ha potuto respingerla motivatamente perché l’azienda stava eseguendo un piano di risanamento credibile.
Limiti del piano attestato: è importantissimo capire che il piano attestato non vincola i creditori dissenzienti. Se, ad esempio, 8 fornitori su 10 accettano lo stralcio proposto, ma 2 rifiutano e ottengono un decreto ingiuntivo, quei due possono proseguire e pignorare beni, magari mandando all’aria il piano. Il piano attestato non offre infatti alcun “scudo” generale: protegge solo dagli effetti di atti compiuti in esecuzione del piano, ma non può impedire a un creditore ostile di iniziare o proseguire un’esecuzione. Nella prassi, dunque, il piano attestato si usa spesso in combinazione con altri strumenti: ad esempio, si predispone un piano attestato per rassicurare banche e fornitori sul progetto di risanamento, ma parallelamente si può ottenere dal tribunale un provvedimento protettivo in un procedimento di accordo di ristrutturazione o di concordato preventivo “in bianco” (prenotativo) – strumenti di cui diremo – così da congelare temporaneamente le azioni dei creditori mentre il piano viene implementato. Il confine tra piano attestato e procedure concorsuali a volte è sottile: quando il consenso dei creditori chiave c’è, ma serve tempo e protezione, si può optare per un accordo di ristrutturazione omologato; quando invece manca l’adesione di troppi creditori, può essere necessario un concordato preventivo.
In definitiva, il piano attestato è un ottimo strumento di composizione privata, ma funziona se c’è già un buon allineamento con i creditori più importanti. Dove ciò manca, occorre salire di livello verso strumenti con intervento giudiziale.
3.3 L’Accordo di Ristrutturazione dei Debiti (ADR)
L’accordo di ristrutturazione dei debiti è uno strumento previsto dal CCII (artt. 57 e seguenti) che consente all’imprenditore in crisi di formalizzare un accordo con i creditori che abbia efficacia legale generale una volta omologato dal tribunale. Si tratta di una procedura concorsuale “semplificata” rispetto al concordato: non richiede il voto di tutti i creditori, ma solo l’adesione di una percentuale qualificata di essi, ed è caratterizzata da negoziazione principalmente stragiudiziale seguita però da un controllo ed omologazione giudiziale.
Tipologie: Esistono vari tipi di ADR. L’accordo “ordinario” richiede il consenso di creditori rappresentanti almeno il 60% del debito totale. La legge ha introdotto anche accordi agevolati o “ad efficacia estesa” con percentuali ridotte (es. 30% per gli accordi agevolati se certi creditori sono omogenei). Inoltre, ci sono ADR con intermediari finanziari che possono essere estesi ai dissenzienti della stessa categoria (c.d. accordi ad efficacia estesa, art. 61 CCII). In generale, l’imprenditore propone un accordo a tutti i creditori, cerca di ottenere l’adesione scritta di almeno la soglia di legge, e poi chiede al tribunale di renderlo efficace erga omnes con decreto di omologazione.
Vantaggi rispetto al piano attestato: Diversamente dal piano attestato, l’ADR vincola anche i creditori dissenzienti (purché si raggiunga la percentuale di adesioni richiesta). Inoltre, consente di ottenere dal tribunale, sin dal momento del deposito della domanda, delle misure protettive (simili all’automatic stay statunitense) che sospendono le azioni esecutive dei creditori durante le trattative e fino all’omologazione . Il processo è meno invasivo di un concordato: non vi è la nomina di commissari giudiziali, non c’è voto in adunanza, ma solo un controllo finale di legalità e fattibilità da parte del tribunale. Ci vuole comunque un attestatore indipendente che dichiari la convenienza dell’accordo per i creditori rispetto alla alternativa liquidatoria (art. 64 CCII). In sostanza, l’accordo di ristrutturazione formalizzato offre i benefici della sospensione delle azioni individuali e della vincolatività erga omnes una volta omologato . Di contro, è meno riservato di un piano attestato, perché l’avvio della procedura e l’omologazione vengono pubblicate (Registro Imprese e eventualmente bollettino tribunale), e richiede costi legali/professionali e tempi non immediati.
Novità 2023 – Cram down fiscale nei nuovi ADR: Tradizionalmente, un grosso limite degli ADR era la posizione del Fisco e degli enti previdenziali: se l’Erario (Agenzia Entrate/AER) o l’INPS non aderivano, l’accordo spesso non raggiungeva la percentuale o comunque il tribunale non poteva omologarlo se prevedeva il cosiddetto stralcio dei tributi senza il consenso del Fisco (per via del rinvio all’art. 182-ter legge fall. che richiedeva adesione espressa). Nel 2023, per attuare la Direttiva UE 2019/1023, il legislatore italiano è intervenuto su questo aspetto: con il D.L. 69/2023 (conv. L. 103/2023) ha introdotto una disciplina transitoria che consente al tribunale di omologare gli accordi di ristrutturazione anche senza adesione del Fisco/INPS, a certe condizioni stringenti. In pratica, è stato previsto un “cram down” fiscale negli ADR: il tribunale può imporre il rispetto dell’accordo anche all’Agenzia Entrate o all’INPS dissenzienti se: 1) l’accordo non è meramente liquidatorio; 2) l’adesione del Fisco/INPS sarebbe determinante per raggiungere le percentuali di legge (60% o 30%); 3) i crediti degli altri creditori aderenti rappresentano almeno il 25% del totale dei crediti; 4) la proposta di soddisfacimento del Fisco/INPS è conveniente rispetto alla liquidazione giudiziale, secondo l’attestatore e la valutazione del giudice; 5) la percentuale offerta al Fisco/INPS è almeno del 30% del loro credito (comprensivo di interessi e sanzioni). Inoltre, se gli altri creditori aderenti sono meno del 25%, si può comunque omologare senza adesione del Fisco a patto di offrire almeno il 40% del credito fiscale/previdenziale e una dilazione non oltre 10 anni (con interessi legali). Questa innovazione – valida per le proposte presentate dal 12 agosto 2023 in avanti – è un punto di svolta: consente di superare il veto dell’Erario nei casi in cui la proposta sia seria e conveniente, evitando che un singolo grande creditore pubblico blocchi soluzioni vantaggiose per la collettività dei creditori. Si noti che rimane fermo l’obbligo di proporre al Fisco/INPS almeno quanto otterrebbero in una liquidazione (principio di convenienza), e che per i debiti fiscali l’azienda deve comunque presentare una transazione fiscale ex art. 63 CCII allegata all’accordo. Ma la novità è che il giudice potrà omologarla anche se l’Agenzia delle Entrate rifiuta formalmente, purché le condizioni suddette siano rispettate. Questo è in linea con gli orientamenti europei sul favor per la ristrutturazione precoce dei debiti fiscali (evitando il fallimento che spesso non giova neanche all’Erario).
In sintesi, l’accordo di ristrutturazione è un compromesso: richiede un certo coinvolgimento del tribunale, ma resta volontario e flessibile nei contenuti (l’imprenditore negozia liberamente con i creditori le percentuali di soddisfacimento, purché il piano sia attestato come fattibile e conveniente). Se l’azienda waterjet ha troppi creditori per un piano attestato, ma ancora non vuole o non ha bisogno di un concordato pieno, l’ADR può essere la giusta via di mezzo. Ad esempio, AcquaJet S.r.l. potrebbe presentare un accordo con il 70% dei creditori (banche e fornitori) che prevede di pagarli al 50% in 5 anni, e includere una transazione fiscale per i debiti IVA al 40%. Se l’Agenzia delle Entrate non aderisce, ma il piano offre almeno il 40% ed è migliore del fallimento per il Fisco, il tribunale potrà omologare lo stesso l’accordo imponendolo anche al Fisco (nuove norme del 2023). Durante l’iter, l’azienda può chiedere misure protettive (ad esempio la sospensione dei pignoramenti in corso) per evitare che qualche creditore esecuti rovini tutto.
3.4 La Composizione Negoziata della Crisi
Introdotta in via d’urgenza con il D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) e ora organicamente disciplinata nel CCII (artt. 12–25 octies CCII), la composizione negoziata della crisi è una procedura volontaria di assistenza all’imprenditore in difficoltà, finalizzata a raggiungere un accordo con i creditori o comunque a gestire la crisi prima che sfoci nell’insolvenza irreversibile. Si tratta di uno strumento stragiudiziale assistito: l’imprenditore richiede la nomina di un esperto indipendente (iscritto in un apposito albo) il quale ha il compito di studiare la situazione aziendale e facilitare le trattative tra l’imprenditore e i creditori, nell’ottica di trovare una soluzione concordata (che può essere un accordo semplice, un piano attestato, un ADR o anche un ingresso di nuovi investitori). Importante: la composizione negoziata è confidenziale e non dichiarativa di insolvenza – avviene su base volontaria e non implica l’apertura di una procedura concorsuale, infatti l’imprenditore resta in carica e non perde la gestione dell’azienda durante i negoziati.
Funzionamento: L’imprenditore presenta istanza sulla piattaforma telematica dedicata, allegando dati contabili e una relazione sulle cause della crisi. Se l’istanza è completa e l’azienda ha prospettive di risanabilità (anche parziale), una commissione nomina un esperto negoziatore. Questi convoca l’imprenditore e insieme redigono un piano indicativo per condurre le trattative. L’esperto poi contatta i principali creditori e organizza incontri per cercare un accordo. La legge incoraggia i creditori a partecipare attivamente e “in modo collaborativo”. Durante la composizione negoziata, su richiesta dell’imprenditore, il tribunale può concedere misure protettive temporanee (fino a 4 mesi, prorogabili di 4) che bloccano azioni esecutive e sospendono l’acquisizione di cause o la revoca di affidamenti bancari. L’esperto periodicamente riferisce sui progressi. La procedura può concludersi con: (i) un accordo stragiudiziale (anche non omologato) con alcuni creditori, (ii) un ricorso a uno degli strumenti visti sopra (piano attestato, ADR) se serve formalizzarlo, (iii) l’accesso a un concordato preventivo se necessario, oppure (iv) con la constatazione che non c’è soluzione (in tal caso l’esperto ne prende atto e l’impresa può precipitare in fallimento, salvo optare per il concordato semplificato di cui diremo). La composizione negoziata è quindi un “percorso di consulenza”: non impone per legge riduzioni di debiti, ma crea un contesto protetto e neutrale per favorire il dialogo e il risanamento volontario.
Vantaggi: è riservata (non c’è pubblicità iniziale a parte la comunicazione ai creditori coinvolti e l’annotazione nel Registro Imprese che l’azienda ha avviato la procedura), è flessibile (nessun formalismo rigido sul contenuto delle proposte) e permette di ottenere rapidamente protezione contro le azioni dei creditori ostili (blocco dei pignoramenti, delle ipoteche giudiziali, ecc., tramite decreto di misure protettive del tribunale). Inoltre, se l’imprenditore la conduce con impegno, dimostra bona fide e diligenza, qualità che – come visto – possono tornare utili per evitare responsabilità personali in caso di esito negativo.
Svantaggi/limiti: la composizione negoziata richiede che l’impresa sia ancora recuperabile in qualche misura; se la situazione è disperata e i creditori non credono in un risanamento, sarà un buco nell’acqua. Inoltre, non essendo un procedimento “coattivo”, non vincola i creditori dissenzienti: se uno o più creditori chiave rifiutano ogni proposta, l’esperto non può imporre nulla. È, in sostanza, una mediazione: tutto dipende dalla volontà delle parti. Infine, la durata è limitata (pochi mesi); se non basta, bisogna passare ad altro.
Novità normative recenti: Il CCII ha integrato la composizione negoziata come procedura stabile. Nel 2022-2023 sono state introdotte migliorie: ad esempio, la possibilità di concludere accordi parziali con alcuni creditori durante la negoziazione (ad es. accordo con banche per nuova finanza che godrà di protezione), e perfino di perfezionare una transazione fiscale in questo contesto (dal 28/09/2024, art. 23 co. 2-bis CCII, introdotto dal D.Lgs. 136/2024, consente accordi transattivi con Agenzia Entrate e Agenzia Riscossione in composizione negoziata, escludendo però i debiti previdenziali). Ciò significa che anche i debiti tributari possono essere ristrutturati volontariamente nell’ambito della composizione negoziata, con l’assenso dell’Erario (ad esempio rateazioni o falcidie concordate sui tributi, salvo IVA e ritenute che richiedono la procedura formale di transazione fiscale). I dati pubblici mostrano che lo strumento sta iniziando a essere usato: la VII Relazione semestrale dell’Osservatorio sulla crisi (maggio 2025) ha segnalato un incremento significativo delle composizioni negoziate avviate, con percentuali in crescita rispetto al 2023. Anche la giurisprudenza sta guardando con favore al suo utilizzo: Cassazione 30109/2025 (Sez. III Penale) ha riconosciuto che la composizione negoziata, con le sue misure protettive e il controllo dell’esperto, costituisce un fattore di stabilizzazione per l’azienda tale da escludere il periculum in mora in sede cautelare. In concreto, in un caso di reato tributario, la Cassazione ha confermato la revoca di un sequestro conservativo da 13 milioni perché l’impresa indagata era ammessa alla composizione negoziata, con attività in continuità autorizzata, risultati economici positivi e assenza di atti distrattivi – elementi che dimostravano l’assenza di rischio di dispersione dei beni. Questo a riprova che impegnarsi nella composizione negoziata può diventare persino uno scudo contro provvedimenti pregiudizievoli, se l’azienda dimostra di star seriamente tentando il risanamento (il caso riguardava un sequestro penale: la Suprema Corte ha detto che la presenza della composizione negoziata e delle misure protettive, con controllo dell’esperto e del tribunale civile, è incompatibile con l’idea che l’imprenditore stia nascondendo o dissipando beni).
Esito e possibili sviluppi: Se la composizione negoziata ha successo, l’azienda potrà concludere uno o più accordi: magari singoli accordi con banche e fornitori (non omologati, ma che grazie all’intervento dell’esperto si fidano), o un contratto di ristrutturazione plurilaterale. In alcuni casi, il percorso confluisce in un piano attestato o in un accordo di ristrutturazione omologato: l’esperto aiuta a mettere a punto il piano e a raccogliere le firme, poi l’imprenditore passa alla procedura appropriata (es. chiede l’omologazione di un ADR). In alternativa, la composizione negoziata potrebbe portare alla decisione di accedere a una procedura concorsuale vera e propria: ad esempio, l’imprenditore – consigliato dall’esperto – valuta che sia necessario un concordato preventivo (perché i creditori sono troppi e non allineati) e dunque prepara la domanda di concordato. In tal caso, la composizione negoziata funge da ponte verso il concordato, spesso migliorandone le chance (perché intanto l’azienda ha guadagnato tempo e stabilità, e ha potuto predisporre un piano più accurato). Infine, se la composizione negoziata fallisce (nessun accordo raggiunto e crisi non risolvibile), la legge offre comunque un’ultima via: l’imprenditore, entro 60 giorni dalla chiusura negativa della composizione, può proporre un concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) senza dover passare per il voto dei creditori – strumento di cui parleremo tra poco. Questa è pensata come extrema ratio per liquidare l’azienda in modo ordinato, evitando il fallimento “tradizionale”, qualora la negoziazione assistita non abbia prodotto soluzioni.
In conclusione, la composizione negoziata è oggi uno strumento centrale di gestione anticipata della crisi. Se l’azienda waterjet intravede segnali di crisi (cali di liquidità, insoluti, allerta esterne), attivare subito la composizione negoziata può essere una mossa saggia: consente di guadagnare tempo, sospendere le azioni ostili dei creditori, e magari trovare un accordo prima che la situazione precipiti. Anche se poi dovesse sfociare in un concordato o in una liquidazione, aver tentato la via negoziale attenua i rischi di responsabilità per gli amministratori (potranno sempre dire di aver fatto tutto il possibile per prevenire il dissesto). Non a caso, le linee guida ministeriali incoraggiano l’uso di questo strumento prima che sia troppo tardi.
Tabella riepilogativa – Strumenti stragiudiziali vs concorsuali
| Strumento | Tipo | Adesione creditori necessaria | Ruolo del Tribunale | Caratteristiche principali |
|---|---|---|---|---|
| Trattativa privata (accordi informali) | Stragiudiziale (informale) | Nessuna maggioranza legale prefissata; serve il consenso di fatto di tutti i creditori importanti (accordi individuali). | Tribunale non coinvolto (salvo eventuale omologa ex art. 67 co.3 lett.d se accordo di ristrutturazione informale pubblicato). | Flessibile, riservata, nessun costo procedura. Rischio: non vincola dissenzienti, nessuna protezione legale durante negoziato. |
| Piano Attestato di Risanamento (PAR) | Stragiudiziale con attestazione professionale | Nessuna maggioranza fissa; occorre però ottenere adesioni sufficienti dai creditori chiave da rendere fattibile il piano. | Tribunale non coinvolto nell’approvazione (solo eventuale intervento successivo: es. se fallimento, controllo del piano ai fini esenzioni revocatorie). | Piano di risanamento autogestito, con relazione di attestatore indipendente. Vantaggi: esenzione da revocatoria e bancarotta preferenziale per gli atti esecutivi. Limite: non vincola i creditori non aderenti; consigliabile combinare con altre procedure se rischio azioni esecutive. |
| Accordo di Ristrutturazione dei Debiti (ADR) | Stragiudiziale + omologazione giudiziale | 60% del debito (accordo ordinario). Versioni agevolate con soglia al 30% (accordo agevolato). Adesione del Fisco/INPS non indispensabile se condizioni per cram down. | Tribunale coinvolto per omologare l’accordo. Può concedere misure protettive ante omologa. Nessun commissario, solo attestatore e giudice delegato per omologa. | Vincola tutti i creditori inclusi nell’accordo dopo l’omologa. Protezione: sospende azioni esecutive durante trattative (se richiesto). Flessibile, ma pubblico (registro imprese) e necessita soglie di adesione e attestazione di convenienza. Ottimo per evitare concordato se c’è larga adesione spontanea. |
| Composizione Negoziata | Stragiudiziale assistita | Volontaria: non richiede adesione formale minima ex ante (non è un accordo di per sé), mira però a raggiungere il consenso di abbastanza creditori per una soluzione. | Tribunale non interviene nella conduzione (gestita da esperto indipendente), ma può emanare misure protettive (blocco azioni) su richiesta. Nessun voto né omologa finale se non c’è un accordo formale da omologare separatamente. | Procedura riservata di negoziazione con l’ausilio di un esperto terzo. Pro: protegge l’azienda durante i negoziati, non etichetta come insolvente, incentiva nuovi finanziamenti (prededucibili). Contro: non vincola se non c’è accordo finale; durata limitata (max ~6-8 mesi con proroghe). Può sfociare in accordi, piani attestati o preludere a concordato. Strumento di allerta gestionale. |
(Segue nel prossimo paragrafo l’analisi delle vere e proprie procedure concorsuali: concordati preventivi e liquidazione giudiziale.)
4. Soluzioni concorsuali: dal concordato preventivo alla liquidazione giudiziale
Se la ristrutturazione stragiudiziale non è praticabile o non basta a risolvere la crisi, l’imprenditore può dover ricorrere alle procedure concorsuali in senso stretto, cioè a strumenti regolati dalla legge fallimentare (ora Codice della Crisi) che coinvolgono formalmente l’autorità giudiziaria. In questa sezione esamineremo le principali procedure concorsuali a disposizione di un’azienda come la nostra, con particolare riguardo al concordato preventivo (nelle sue varianti) e alla liquidazione giudiziale (il nuovo nome del fallimento). Si accennerà anche alle procedure speciali per piccole imprese non fallibili (c.d. crisi da sovraindebitamento) e all’esdebitazione, quando rilevante per gli imprenditori individuali o garanti.
4.1 Concordato Preventivo in Continuità Aziendale
Il concordato preventivo è una procedura concorsuale giudiziale con cui l’imprenditore in crisi propone ai creditori un piano per evitare la liquidazione fallimentare, piano che può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la continuazione dell’attività. Si parla di concordato “in continuità aziendale” (art. 84 CCII) quando il piano prevede la prosecuzione, in tutto o in parte, dell’attività imprenditoriale – sia in forma diretta (l’azienda prosegue sotto la gestione del debitore o di un terzo acquirente) sia indiretta (ad esempio attraverso la cessione dell’azienda a un altro soggetto che la mantiene operativa). L’alternativa è il concordato liquidatorio (si veda §4.2 infra), in cui invece l’obiettivo principale è vendere i beni e cessare l’attività.
Caratteristiche principali del concordato in continuità: l’imprenditore (debitore) presenta al tribunale una domanda di concordato con un piano e una proposta di soddisfacimento dei creditori. Il piano in continuità di solito prevede che l’azienda continui a operare generando flussi di cassa per pagare i creditori nel tempo, eventualmente con l’apporto di nuova finanza o la cessione di asset non essenziali. Viene nominato un commissario giudiziale che supervisiona durante la procedura. I creditori votano sulla proposta in adunanza. Se il concordato è approvato dalle maggioranze di legge (maggioranza per teste e 2/3 dei crediti di chi vota, salvo classi) e omologato dal tribunale, esso diventa vincolante per tutti i creditori anteriori.
Trattamento dei creditori: Nel concordato preventivo i creditori sono suddivisi in categorie omogenee per posizione giuridica ed interessi. I crediti privilegiati (garantiti da pegno, ipoteca o privilegio generale/speciale) devono di norma essere pagati integralmente, salvo che non acconsentano a una falcidia (i creditori privilegiati possono essere falcidiati solo se il piano prevede che riceveranno almeno quanto otterrebbero liquidando la garanzia, art. 84 co.7 CCII). Fanno eccezione alcuni crediti privilegiati “non falcidiabili” per legge, come i debiti per trattenute IRPEF non versate e per IVA, che – se si vuole ridurli – necessitano dell’adesione dell’Erario tramite transazione fiscale (prima del 2023 era imprescindibile, dopo le modifiche normative è possibile il cram down anche in concordato, similmente a quanto visto per gli ADR, purché l’offerta al Fisco sia almeno il 20% e conveniente, secondo l’art. 88 CCII come novellato). I crediti chirografari (non garantiti) ricevono invece una certa percentuale, variabile in base al piano. Importante: se il concordato è in continuità aziendale, non esiste per legge una percentuale minima obbligatoria di soddisfacimento dei chirografari. È ammesso anche pagarli meno del 20%, o addirittura un dividendo simbolico, purché ciò sia giustificato dalla fattibilità del piano e dal principio di convenienza (i creditori chirografari devono comunque prendere col concordato almeno un po’ di più di quanto prenderebbero in una liquidazione fallimentare). Questo è un punto qualificante: diversamente dai concordati liquidatori (dove vedremo c’è un minimo di legge), nel concordato in continuità il legislatore privilegia la salvaguardia dell’impresa anche a costo di pagare poco i creditori, confidando che mantenere l’azienda “viva” generi comunque maggior valore a lungo termine. Naturalmente, la proposta va calibrata: offrire troppo poco ai creditori rischia di far bocciare il concordato in sede di voto o di omologa (il tribunale deve verificare che la proposta non sia manifestamente iniqua o irragionevole). Ad ogni modo, la Cassazione ha chiarito i criteri per definire la continuità aziendale in concordato: occorre che il piano mostri concretamente la prosecuzione dell’attività, anche se il concordato è misto (parte continuità, parte liquidazione di beni non strategici). Ad esempio, la Suprema Corte con sentenza n. 348/2025 ha stabilito che in un concordato misto dove si vendono alcuni beni estranei all’attività (es. immobili del socio) il tribunale può nominare un liquidatore ad hoc per quei beni, pur di mantenere la continuità sul resto. Ciò evidenzia l’approccio flessibile e la centralità del concetto di continuità: viene considerato concordato in continuità quello in cui l’azienda prosegue in misura significativa, anche se contestualmente si liquidano asset non funzionali.
Requisiti e soglie: Pur non essendoci soglia di dividendo per i chirografari, il CCII richiede comunque che nel concordato in continuità i creditori ricevano un trattamento migliore di quello che avrebbero in caso di liquidazione pura (principio di convenienza). Inoltre, se sono previste vendite di beni non essenziali all’esercizio dell’impresa, occorre specificare le modalità di realizzo (ad es. se vendita tramite procedure competitive o mercato libero) per garantire trasparenza. Il tribunale in sede di omologa verificherà anche la fattibilità economica del piano (assenza di cause di insuccesso evidenti) e la correttezza formale.
Vantaggi del concordato in continuità: consente di congelare tutte le azioni esecutive e le segnalazioni negative non appena è presentata la domanda (concordato “in bianco” o con riserva, art. 44 CCII, che può bloccare i pignoramenti per 2+2 mesi circa). Permette all’azienda di continuare a operare sotto la protezione del tribunale e con la fiducia di nuovi contratti (grazie alla prededuzione dei crediti sorti in procedura). Se concluso con successo, consente all’impresa di uscire dall’insolvenza senza liquidare interamente il patrimonio, quindi salvaguardando posti di lavoro e avviamento. Per l’imprenditore, rappresenta anche un modo di evitare le conseguenze personali di un fallimento (ad esempio, in un concordato preventivo omologato non vi è interdizione dagli uffici societari, che invece consegue a una dichiarazione di fallimento).
Svantaggi/costi: è una procedura complessa, lunga (di solito 6-12 mesi per arrivare all’omologa), con costi elevati (compensi del commissario, attestatore, legali). Inoltre, l’imprenditore perde parte della libertà di gestione: durante il concordato, gli atti di straordinaria amministrazione richiedono autorizzazione del giudice delegato e il commissario vigila. C’è un rischio intrinseco: se il concordato viene respinto (mancata approvazione dei creditori o diniego di omologa per fattibilità), spesso l’alternativa immediata è la conversione in fallimento (liquidazione giudiziale d’ufficio). Quindi è un’arma da usare quando si ha una ragionevole prospettiva di successo.
Esempio: AcquaJet S.r.l. potrebbe accedere a un concordato in continuità se, malgrado i debiti accumulati, ha ancora commesse in portafoglio e possibilità di stare sul mercato. Supponiamo che proponga un concordato in cui: continua l’attività di taglio waterjet, grazie anche a un investitore che apporta liquidità fresca; offre ai creditori chirografari il pagamento del 15% in 5 anni, mentre ai creditori privilegiati (banche con ipoteca su capannone) offre il 100% ma spalmato in 10 anni con interessi ridotti; i dipendenti sono salvaguardati e verranno pagati anche con l’aiuto del Fondo di Garanzia INPS per il pregresso; i fornitori strategici sono in classe separata e accettano di continuare a fornire materiali applicando lo sconto concordatario sui crediti pregressi. Un piano di questo tipo non raggiunge il 20% ai chirografari, ma può essere ammesso poiché è in continuità: va però dimostrato che il 15% offerto è meglio del presumibile 0% che avrebbero in caso di fallimento, e che il piano è realistico (ad esempio, include un’analisi di mercato da cui risulta che l’azienda, liberata da parte dei debiti, sarebbe nuovamente profittevole grazie alla tecnologia waterjet di cui dispone). Se i creditori approvano e il tribunale omologa, AcquaJet proseguirà l’attività con l’onere di rispettare il piano approvato; al termine, i debiti residui verranno definitivamente cancellati.
4.2 Concordato Preventivo Liquidatorio (con cessione dei beni)
Il concordato preventivo liquidatorio è la forma di concordato in cui l’obiettivo primario è liquidare tutto (o gran parte) del patrimonio dell’impresa per soddisfare i creditori, senza proseguire l’attività aziendale in futuro. È quindi più simile a un fallimento “controllato” dal debitore. Tipicamente prevede la cessazione dell’attività, la vendita in blocco dell’azienda o di singoli beni e la distribuzione del ricavato ai creditori secondo la graduatoria legale.
Requisiti stringenti: Proprio perché in questo tipo di concordato non c’è un valore aggiunto dato dalla continuità, la legge impone alcuni paletti per tutelare i creditori. In particolare, l’art. 84 co.6 CCII richiede che nel concordato liquidatorio i creditori chirografari ottengano almeno il 20% del loro credito. Inoltre, se il piano liquidatorio prevede la mera liquidazione dei beni già esistenti in azienda, è necessario che venga apportata anche finanza esterna pari ad almeno il 10% di tali valori. In altre parole, non basta vendere i beni che ci sono; il debitore o terzi devono mettere sul piatto liquidità fresca almeno pari al 10% dell’attivo liquidabile, e comunque i chirografari non possono ricevere meno del 20%. Queste soglie servono ad evitare concordati liquidatori troppo penalizzanti. (Nota: nel concordato minore – procedura prevista per i piccoli debitori non fallibili, art. 74 CCII – tali soglie possono essere derogate con l’assenso del tribunale, ma qui trattiamo il caso di società soggette a fallimento). Nel concordato liquidatorio, solitamente, il debitore propone di cedere l’intero patrimonio a un liquidatore giudiziale che si occuperà di monetizzarlo e distribuire il ricavato. Il ruolo del debitore si riduce quindi a predisporre il piano e collaborare.
Procedura: Simile al concordato in continuità quanto a nomina del commissario, voto dei creditori e omologa, con la differenza che è quasi sempre prevista la nomina di un liquidatore (spesso coincidente col commissario) che, una volta omologato il concordato, procederà alla vendita dei beni e al pagamento ai creditori secondo quanto stabilito. Il debitore spesso perde la gestione già in fase di esecuzione del concordato (non c’è interesse a farlo continuare, se non per atti conservativi). Si può prevedere la vendita in esercizio dell’azienda (cioè l’azienda viene ceduta come affittata o in funzione del mantenimento temporaneo finché arriva un acquirente), ma il fine ultimo è la liquidazione, non la prosecuzione a lungo termine.
Vantaggi: Dal punto di vista dei creditori, un buon concordato liquidatorio può essere più efficiente del fallimento, perché orchestrato dal debitore stesso che magari individua un acquirente per l’azienda a un prezzo migliore di quello che si otterrebbe in un’asta fallimentare. Inoltre, evita i lunghi tempi e costi di un fallimento: il concordato liquidatorio di solito si chiude con la distribuzione ai creditori entro 2-4 anni (mentre un fallimento può durare molti anni). Per il debitore, permette di chiudere la partita limitando il contenzioso e spesso mantenendo rapporti più civili coi creditori (che hanno votato la proposta).
Svantaggi: il debitore di fatto perde l’azienda, perché i beni saranno venduti. Richiede spesso di trovare un investitore o acquirente prima o durante la procedura, altrimenti il valore di realizzo potrebbe essere basso. Inoltre, come detto, non è ammesso se si offre meno del 20% ai chirografari (ciò a volte scoraggia: se l’attivo è scarso, il fallimento potrebbe dare 5-10%, e non è possibile fare un concordato offrendo meno del 20% anche se forse quello è il massimo ottenibile – di qui l’importanza del contributo esterno). In caso di esito negativo (mancato voto favorevole, o omologa rifiutata per mancato rispetto delle soglie), l’alternativa è il fallimento.
Esempio: AcquaJet S.r.l. valuta il concordato liquidatorio se ritiene di non poter più continuare l’attività (magari le commesse sono sparite, i macchinari obsoleti, ecc.), ma possiede ancora beni liquidabili di un certo valore (ad es. il capannone di proprietà, alcuni macchinari rivendibili) e magari ha un potenziale acquirente interessato all’intera azienda (il concorrente BetaCut S.p.A. disposto a pagare €500.000 per incorporare AcquaJet). AcquaJet potrebbe proporre un concordato in cui cede tutto il patrimonio a BetaCut per €500.000 più l’impegno di quest’ultima ad assumere metà dei dipendenti. Con quei €500.000, il piano prevede di pagare in prededuzione le spese di procedura, soddisfare integralmente i creditori privilegiati (es. ipoteca della banca sul capannone) e destinare il resto ai chirografari, risultando un dividendo del 25% per essi. Ciò supera il minimo di legge del 20%; il tribunale ammetterà la proposta, i creditori probabilmente voteranno sì perché preferiscono 25% subito anziché forse 10-15% dopo anni di fallimento. Dopo omologa, BetaCut versa i fondi, il liquidatore paga tutti e AcquaJet S.r.l. viene di fatto liquidata (pur evitando la “stigma” del fallimento formale).
Nota: Dopo la riforma, anche nel concordato liquidatorio è stata estesa la possibilità di cram down del Fisco e INPS come accennato: l’art. 88 CCII oggi consente al tribunale di omologare anche senza il voto favorevole di Agenzia Entrate o Enti previdenziali, purché l’offerta in concordato per tali crediti sia conveniente e almeno pari al 20% (nel concordato in continuità questo problema non si pone perché l’art. 88 co.1 CCII richiama i limiti dell’art. 112 L.F., ma grazie alle transazioni possibili e alla norma del 2023 l’opposizione del Fisco può essere superata). Insomma, l’orientamento attuale è di non lasciare che un singolo creditore pubblico blocchi un concordato vantaggioso per tutti gli altri.
4.3 Concordato Semplificato per la Liquidazione del Patrimonio
Un’ulteriore novità del Codice della Crisi (introdotta inizialmente dal D.L. 118/2021) è il concordato semplificato per la liquidazione (art. 25-sexies CCII). Si tratta di una procedura speciale, attivabile solo se l’imprenditore ha prima tentato la composizione negoziata senza successo e non è riuscito a trovare alcuna soluzione concordata con i creditori. In tal caso, per evitare il fallimento, entro 60 giorni dalla conclusione della composizione negoziata l’imprenditore può proporre direttamente un concordato liquidatorio senza bisogno di voto dei creditori. Viene cioè presentato un piano di liquidazione al tribunale, il quale – sentiti i creditori in camera di consiglio ma senza votazione – può omologarlo se ritiene che siano rispettati i requisiti di legge (in particolare, che ai creditori venga assicurato non meno di quanto otterrebbero in una liquidazione giudiziale). Il concordato semplificato è quindi una scorciatoia per liquidare l’azienda in modo concordatario, valida solo come exit strategy dalla composizione negoziata fallita. Non richiede il quorum di adesioni perché appunto nasce da un contesto in cui le adesioni non c’erano; i creditori possono solo sollevare opposizioni in omologa. Se omologato, funziona simile a un concordato liquidatorio: nominato un liquidatore che vende i beni e distribuisce.
Di fatto, il concordato semplificato è stato pensato per evitare che un imprenditore, dopo aver responsabilmente attivato la composizione negoziata senza esito, debba essere punito con un fallimento immediato. È uno strumento poco usato sinora, anche perché i creditori spesso si oppongono vigorosamente (non potendo votare, l’unica sede è l’opposizione in omologa), e i tribunali applicano con rigore il controllo di convenienza. Tuttavia, rimane una freccia nell’arco del debitore diligente: se AcquaJet S.r.l. ha tentato la composizione negoziata ma magari le banche hanno rifiutato un accordo, l’imprenditore può comunque proporre un concordato semplificato offrendo, ad esempio, la liquidazione di tutti i beni con pagamento ai creditori del 30%. I creditori non potranno impedire di aprire la procedura perché non c’è voto; potranno solo contestare se il piano dà loro meno del ricavabile in fallimento. Se il tribunale, con l’ausilio di un esperto, valuta che la proposta è almeno equivalente al fallimento, omologa il concordato e l’azienda viene liquidata sotto quell’egida.
Questo istituto rappresenta un importante strumento di pressione durante la composizione negoziata: i creditori sanno che, se non trattano, l’imprenditore potrà comunque andare in concordato semplificato e trascinarli in una liquidazione giudiziale dove la loro possibilità di incidere è minore. Quindi, paradossalmente, l’esistenza del concordato semplificato può indurre i creditori a essere più ragionevoli in sede di negoziazione assistita.
4.4 Liquidazione Giudiziale (Fallimento)
La liquidazione giudiziale è il nome che il Codice della Crisi dà alla procedura concorsuale di carattere generale che corrisponde al vecchio fallimento. Resta la soluzione di ultima istanza quando l’impresa è insolvente e nessuna delle soluzioni di cui sopra è stata attivata con successo. La liquidazione giudiziale viene aperta su ricorso di un creditore, del debitore stesso o d’ufficio (nel caso del pubblico ministero o del tribunale fallimentare). Una volta pronunciata, comporta la spossessione dell’imprenditore, la nomina di un curatore che gestisce il patrimonio, e la liquidazione integrale dei beni con riparto ai creditori secondo le regole di legge. È una procedura concorsuale d’ufficio e non volontaria.
Nel contesto di questa guida, la liquidazione giudiziale rappresenta ciò che il nostro imprenditore vuole evitare, se possibile, perché è la situazione meno controllabile: l’azienda viene spazzata via e i tempi/non esiti dipendono dal tribunale. Tuttavia, a volte è inevitabile. Va detto che, in certi casi, autodenunciarsi in liquidazione giudiziale può essere la scelta più corretta (pensiamo ad amministratori che, constatata l’insolvenza irreversibile, preferiscono chiedere essi stessi il fallimento per evitare colpe di aggravamento). La legge anzi prevede un obbligo implicito: se l’impresa è decotta e nessuna soluzione alternativa è fattibile, tardare la richiesta di fallimento espone gli amministratori a responsabilità (art. 2486 c.c. e seguenti).
Effetti per l’imprenditore: L’apertura della liquidazione giudiziale comporta, per l’imprenditore persona fisica, l’assoggettamento a una serie di incapacità (non può avviare nuove imprese per qualche tempo, perde l’amministrazione dei propri beni) e possibili conseguenze penali se emergono condotte di bancarotta fraudolenta o altri reati. Per i soci di società di capitali, invece, il fallimento della società non si estende automaticamente ai loro patrimoni personali (salvo eccezioni di cui diremo più avanti), però il curatore può agire contro di loro se ravvisa irregolarità (es. azioni di responsabilità verso amministratori, sindaci, azioni revocatorie su atti dispositivi compiuti dai soci, ecc.). Inoltre, nella liquidazione giudiziale non c’è un accordo coi creditori: questi subiscono passivamente le decisioni del curatore su vendite e riparti, e recuperano di solito in percentuale inferiore rispetto a concordati o accordi (anche perché le spese della procedura sono elevate).
Durata: In medie imprese, un fallimento può durare 2-5 anni per completare la liquidazione e i riparti, ma ci sono procedure anche decennali se vi sono contenziosi complessi. Al termine, il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione (la liberazione dai debiti residui inesigibili, art. 278 CCII), un beneficio per ripartire da zero con un fresh start. Le società invece vengono cancellate e cessano di esistere, e i debiti insoddisfatti restano inesigibili per mancanza del soggetto.
Scenario tipico: se AcquaJet S.r.l. non ha intrapreso alcuna azione e un fornitore ottiene un fallimento, il curatore venderà i macchinari waterjet (magari a prezzi d’asta bassi) e cercherà eventuali azioni di responsabilità contro gli amministratori se hanno commesso errori (es. continuazione abusiva dell’attività aggravando il passivo). I dipendenti insoluti verranno pagati dal Fondo di Garanzia (che si surroga poi tra i creditori). AcquaJet verrà spenta. Il suo imprenditore, se persona fisica, dopo la chiusura potrà essere esdebitato e liberarsi da garanzie personali eventualmente attivate, mentre i soci di capitale escono indenni salvo perdite del capitale investito.
In sostanza, la liquidazione giudiziale è la fine della linea. Tutti gli strumenti difensivi e di ristrutturazione descritti finora mirano ad evitarla o a governarla in forma concordata. Se però la liquidazione giudiziale arriva, la strategia del debitore può solo essere quella di collaborare col curatore, fornire tutte le informazioni ed evitare condotte distrattive (che sarebbero criminali). A posteriori, l’unico sollievo è l’esdebitazione a fine procedura, che dà all’imprenditore onesto la possibilità di ripartire liberato dai debiti residui.
5. Focus: Strategie di difesa per il debitore nelle diverse situazioni
Ricapitoliamo ora, in forma di linee guida pratiche, cosa può fare un imprenditore-debitore per difendersi nelle varie situazioni in cui può trovarsi la sua azienda indebitata.
5.1 Se l’azienda è in difficoltà ma non insolvente (crisi iniziale)
Siamo nella “zona grigia” in cui l’impresa fatica a pagare tutti puntualmente, magari ha qualche ritardo con il Fisco o con alcuni fornitori, ma sta ancora operando e la continuità aziendale non è compromessa. Esempio: AcquaJet S.r.l. ha avuto un calo di fatturato e accumula debiti IVA per due trimestri e qualche insoluto verso il fornitore di abrasivo, ma riesce ancora a pagare stipendi e ordini correnti.
Strategie di difesa: In questa fase l’obiettivo è correggere la rotta prima che la situazione precipiti. Le mosse consigliate:
- Analisi finanziaria interna: verificare con attenzione lo stato dei flussi di cassa, fare un budget di tesoreria per capire se e quando mancherà liquidità. Attivare immediatamente gli assetti adeguati (reporting su indici di allerta). Se emergono indizi di crisi (perdite significative, indice di liquidità sotto la soglia, ecc.), gli amministratori devono metterli a verbale e pianificare contromisure.
- Comunicazione e trasparenza verso i creditori chiave: meglio avvisare la banca se c’è un problema transitorio e magari chiedere una rinegoziazione prima di saltare una rata. Con i fornitori strategici, cercare dilazioni concordate. La buona fede nella comunicazione spesso evita reazioni drastiche (il fornitore informato potrebbe continuare a consegnare merce, il contrario se resta all’oscuro e poi scopre un insoluto).
- Interventi di emergenza su costi e ricavi: tagliare spese non essenziali, posticipare investimenti non vitali, cercare di velocizzare incassi (magari offrendo sconti per pronto pagamento ai clienti). Lo scopo è alleggerire la pressione di cassa.
- Valutare la Composizione Negoziata (allerta volontaria): se i segnali di crisi diventano preoccupanti (es. l’azienda non rispetterà più alcune scadenze fiscali, oppure la liquidità sta per finire entro pochi mesi), attivare subito la composizione negoziata può essere provvidenziale. Non è un’ammissione di insolvenza, ma una ricerca di aiuto esperto. Come abbiamo visto, questo strumento consente di congelare l’esigibilità dei debiti e tentare un risanamento assistito prima che i creditori perdano la pazienza.
- Evitare comportamenti passivi o difensivi illegittimi: ad esempio, non nascondere la testa sotto la sabbia ignorando le prime cartelle esattoriali o solleciti – al contrario, valutare subito se vi sono margini per una rateazione fiscale (l’AE-Riscossione consente piani fino a 6 anni standard, o 10 anni se c’è calo di fatturato) o per aderire a qualche definizione agevolata (es. rottamazione delle cartelle, se aperta). In questo periodo (2023-2025) ad esempio c’è la Rottamazione-quater in corso e si prospetta una Quinquies dal 2026: approfittare di queste opportunità per ridurre sanzioni e interessi sui debiti fiscali e contributivi può migliorare la posizione dell’azienda. Ad esempio, lo stralcio automatico dei mini-debiti fino €1.000 previsto dalla Legge di Bilancio 2023 ha già eliminato alcune vecchie pendenze.
- Consultare subito un consulente legale/tributario esperto in crisi d’impresa: un avvocato specializzato può verificare la legittimità di cartelle e atti (magari scoprendo vizi formali, prescrizioni o addebiti non dovuti da contestare). Inoltre, potrà impostare la strategia integrata (difesa atti esecutivi, preparazione di eventuali piani). È dimostrato che molte aziende falliscono non tanto per i debiti in sé, ma perché intervengono troppo tardi o male: intervenire subito, con l’assistenza tecnica adeguata, aumenta enormemente le probabilità di evitare guai peggiori.
5.2 Se l’azienda è in insolvenza e i creditori iniziano azioni esecutive
Poniamo che AcquaJet S.r.l. ormai non paghi più molti debiti scaduti, i fornitori inviano messe in mora, qualcuno ha già ottenuto un decreto ingiuntivo. La crisi si è aggravata sino a configurare un’insolvenza (incapacità strutturale di far fronte alle obbligazioni). In più, arrivano atti esecutivi: un pignoramento sul conto corrente, il preavviso di iscrizione di ipoteca da parte di Agenzia Riscossione, la banca revoca gli affidamenti chiedendo rientro immediato.
Strategie di difesa: Qui siamo in modalità contenimento danni e ristrutturazione. Occorre agire su più fronti rapidamente:
- Bloccare immediatamente le procedure esecutive in corso: se un creditore ha pignorato il conto aziendale, l’avvocato può valutare un’opposizione all’esecuzione o istanza di sospensione (ad esempio, eccependo vizi di notifica, prescrizione del credito, ecc., se ci sono). In parallelo, l’azienda può richiedere al tribunale le misure protettive presentando un ricorso di composizione negoziata o un’istanza prenotativa di concordato (“concordato in bianco”). Il deposito di un ricorso per concordato preventivo con riserva, ai sensi dell’art. 44 CCII, provoca la sospensione delle azioni esecutive da parte di creditori chirografari e privilegiati non prelatizi. Ciò può dare respiro immediato. Va ponderato con il legale il momento opportuno: ad esempio, se sta per tenersi un’asta di un macchinario, depositare un concordato in bianco il giorno prima ne sospende la vendita.
- Negoziare con i creditori, ma ora col supporto di procedure: a differenza del caso 5.1, qui la trattativa privata pura è tardiva perché alcuni creditori sono ostili. Conviene allora attivare un accordo di ristrutturazione o una composizione negoziata (se ancora non fatto), cosicché le trattative avvengano sotto l’ombrello delle protezioni legali. Ad esempio, l’azienda può proporre un accordo ADR ai sensi dell’art. 57 CCII: comunica a tutti un progetto di accordo, ottiene misure protettive, cerca le adesioni del 60%. Oppure, se c’è già un piano fattibile, depositare un concordato preventivo con continuità (se si vuole salvare l’azienda) o liquidatorio (se si opta per chiudere) per bloccare subito i creditori e poi trattare nel quadro concorsuale.
- Contestare ogni atto viziato: spesso, quando piovono molti atti, qualcuno può essere irregolare. Ad esempio, la banca potrebbe aver addebitato interessi non dovuti (anatocismo/usura), l’INPS potrebbe aver notificato la cartella a un indirizzo sbagliato, un creditore potrebbe vantare importi prescritti. Far passare al setaccio un esperto questi dettagli può portare ad alleggerire il monte debitorio effettivo. Se una cartella è nulla o prescritta, si può impugnare davanti al giudice competente (Commissione Tributaria o Tribunale) chiedendone l’annullamento e la sospensione.
- Proteggere i beni essenziali: l’azienda deve individuare quali asset sono vitali (es. le macchine waterjet). Se queste rischiano il pignoramento, può valutare azioni di tutela: ad esempio, se un macchinario è in leasing e la banca vuole riprenderlo per morosità, forse conviene trovare un accordo con la banca (una moratoria sul leasing) invece di rischiare di perderlo. In certi casi, si può mettere in sicurezza alcuni beni spostandoli fuori dal perimetro delle azioni esecutive, ad esempio affidandoli in usufrutto a terzi – ma attenzione: operazioni del genere possono essere revocate o peggio considerate distrattive in sede fallimentare. Meglio puntare sulle vie lecite: misure protettive delle procedure concorsuali, o accordi con i creditori garantiti (magari offrendo pagamenti parziali per evitare il pignoramento dell’impianto che serve a lavorare).
- Considerare nuova finanza e prededucibilità: in situazione di insolvenza, trovare un finanziatore è arduo. Però, se l’azienda ha prospettive di rilancio credibili (ad es. un grosso ordine futuro), si può ricorrere al credito “di emergenza”. La composizione negoziata consente di ottenere, con l’assenso dell’esperto, finanziamenti prededucibili (art. 18 CCII) che saranno rimborsati prima degli altri debiti se poi la crisi sfocia in concordato. Ciò potrebbe convincere un socio o investitore a mettere liquidità ora, sapendo di essere preferito nei rimborsi. Questa linfa può servire a pagare alcune pendenze urgenti (es. i dipendenti o fornitori vitali). Ovviamente, va usata con giudizio: indebitarci ulteriormente in crisi è rischioso, ma a volte necessario per mantenere in vita l’azienda quel tanto che basta a ristrutturare.
- Valutare le procedure concorsuali appropriate: se le azioni esecutive sono già tante e disordinate, paradossalmente l’imprenditore può prendere l’iniziativa e proporre lui stesso una procedura regolata. Ad esempio, presentare un concordato preventivo con continuità per bloccare i creditori e proporre la ristrutturazione (vedi §4.1), oppure – se non c’è alcuna speranza di salvare l’attività – chiedere un concordato liquidatorio o direttamente la liquidazione giudiziale con autofallimento (quest’ultima ipotesi per limitare la responsabilità personale per aggravamento). Sembra controintuitivo “chiedere il fallimento”, ma a volte è la mossa corretta per evitare guai peggiori (come azioni di danno per aver tardato).
In situazione di insolvenza conclamata, temporeggiare senza un piano è la scelta peggiore. Ogni giorno aumentano sanzioni fiscali, interessi, e i creditori possono smontare l’azienda pezzo per pezzo. Al contrario, prendere in mano la situazione (con un concordato o accordo) può congelare tutto e permettere di gestire la crisi in modo ordinato.
5.3 Se è stata depositata un’istanza di fallimento (liquidazione giudiziale)
Questo è uno scenario di “difesa” classico: un fornitore o la stessa Agenzia delle Entrate-Riscossione (tramite Avvocatura) presenta un’istanza di fallimento contro l’azienda debitrice, sostenendo che è insolvente e chiedendo al tribunale l’apertura della liquidazione giudiziale. Cosa può fare l’imprenditore? Ha ancora margini di manovra per evitare il crack?
Strategie di difesa:
- Opporsi in maniera tecnica all’istanza: quando viene notificata l’istanza e il tribunale fissa l’udienza pre-fallimentare, l’imprenditore può comparire (meglio con avvocato) e contestare i presupposti. Ad esempio, dimostrare che l’azienda non è insolvente ma ha semplici difficoltà temporanee; portare un piano di rientro già in atto; contestare eventualmente il credito del ricorrente (se non liquido ed esigibile, il fallimento non può essere dichiarato). Se il creditore istante è uno solo, pagando quell’istante prima dell’udienza si ottiene la revoca dell’istanza per cessata materia del contendere (ma attenzione: altri creditori potrebbero subentrare).
- Presentare una domanda di concordato “in extremis”: il CCII consente, fino all’udienza prefallimentare (anzi, fino a che non sia pronunciata la sentenza di liquidazione), di depositare un ricorso di concordato preventivo o di omologazione di un accordo di ristrutturazione. Questo concordato in extremis obbliga il tribunale a sospendere la decisione sull’istanza di fallimento e valutare invece la proposta concordataria. Tale mossa va ben preparata: non improvvisare un concordato raffazzonato solo per prendere tempo, perché se poi il concordato viene dichiarato inammissibile, si torna al fallimento con possibili aggravanti (es. i creditori potrebbero lamentare l’abuso di procedura). In pratica però è un’opportunità importante: finché la sentenza di fallimento non è pronunciata, l’imprenditore conserva il diritto di attivare strumenti alternativi . Quindi, se AcquaJet riceve un’istanza di fallimento, può depositare entro l’udienza un concordato con riserva ben articolato e ottenere la protezione del tribunale e la nomina di un commissario al posto del fallimento immediato.
- Transare con il creditore istante: se l’istanza viene da un singolo creditore (es. un fornitore), provare a pagare o accordarsi privatamente con quel creditore affinché rinunci all’istanza prima dell’udienza è un’altra via. Spesso però l’istanza viene usata da un creditore stufo per mettere pressione; se all’ultimo l’azienda trova i soldi per lui, potrebbe desistire (si formalizza con una rinuncia o mancata comparizione all’udienza). Attenzione però: questa strategia di pagare il “più aggressivo” può configurare una preferenza vietata (bancarotta preferenziale) se poi si fallisce lo stesso. Tuttavia, entro certo limite, l’ordinamento la consente perché fino a che non sei fallito puoi pagare chi vuoi. È un rischio calcolato: se poi comunque l’azienda fallisce, quel pagamento recente a un creditore verrà revocato dal curatore (entro 6 mesi se pagamento a termine). Quindi può servire solo a guadagnare tempo.
- Dimostrare l’insussistenza dello stato di insolvenza: per evitare la dichiarazione di default, l’azienda può cercare di dimostrare che ha ancora mezzi per pagare. Ad esempio presentando all’udienza un documento bancario attestante che sta per ottenere un nuovo finanziamento, o un contratto in firma che porterà liquidità sufficiente a pagare i debiti. Il tribunale valuta se l’insolvenza è attuale e conclamata, oppure se c’è ancora reversibilità. Se riesce a convincere il giudice che i problemi saranno risolti a breve (es. perché un investitore sta formalizzando un aumento di capitale), potrebbe ottenere un rinvio dell’udienza o il rigetto dell’istanza. Chiaramente, servono prove solide, non mere buone intenzioni.
Riassumendo: all’istanza di fallimento non si risponde arrendendosi passivamente (inertia delationis), ma attivandosi con tutti i mezzi legali disponibili – concordato in primis. Molte sentenze di fallimento vengono evitate proprio grazie a concordati presentati last-minute (e in diversi casi quei concordati poi salvano l’impresa, in altri almeno ottengono tempo per una liquidazione più ordinata). Va ricordato inoltre che, se l’imprenditore non si presenta affatto all’udienza prefallimentare, il tribunale può considerarlo sintomo di insolvenza e pronunciare ugualmente il fallimento. Dunque mai ignorare un’istanza: bisogna reagire.
5.4 Se l’azienda è sovraindebitata ma il titolare è un privato (no fallimento)
Un piccolo inciso: finora abbiamo considerato S.r.l. e S.p.A., soggette a fallimento. Ma se l’attività di taglio waterjet fosse svolta da un imprenditore individuale di dimensioni minori (oppure da una società di persone sotto soglia fallimentare)? In tal caso, la crisi ricade nell’ambito del sovraindebitamento, cioè di quelle procedure destinate a debitori non fallibili (consumatori, piccole imprese sotto soglia, start-up innovative, enti non profit, ecc.). Il nuovo CCII disciplina queste situazioni negli artt. 65 e seguenti.
Dal punto di vista difensivo, se Mario Rossi ha una ditta individuale “Rossi Waterjet” indebitata, non rischia un fallimento in senso tecnico, ma rischia comunque pignoramenti su tutti i suoi beni personali (poiché l’imprenditore individuale risponde illimitatamente). Può tuttavia accedere a strumenti analoghi ai concordati:
- Può presentare un Piano di ristrutturazione del consumatore se i debiti sono misti personali (ad es. familiari) e da piccola impresa, oppure un Concordato minore (artt. 74–83 CCII) se ha debiti solo aziendali e la sua impresa è sotto le soglie di fallibilità. Queste procedure erano prima note come “piano del consumatore” e “accordo di composizione” nella legge 3/2012. Ora funzionano similmente ai concordati: serve un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) che aiuta a predisporre la proposta, e il tribunale omologa se i creditori approvano (per il concordato minore) o anche senza voto (nel piano del consumatore, se viene giudicato fattibile ed equo).
- Può chiedere la Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio) se vuole far liquidare tutti i beni da un liquidatore nominato dal giudice, al termine della quale otterrà l’esdebitazione. Questa è l’analoga del fallimento per chi non può essere dichiarato fallito: di fatto, un commissario vende i beni e poi il debitore è liberato dai debiti residui (salvo quelli non esdebitabili per legge, tipo debiti da dolo, alimenti, etc.).
- In casi estremi, se il debitore non ha alcun patrimonio liquidabile, la legge permette l’Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII): ossia la cancellazione dei debiti senza alcuna contropartita, una tantum, purché il debitore meriti di non rimanere oppresso dai debiti a vita. Questo è un istituto nuovo che consente al piccolo imprenditore onesto ma sfortunato di ripartire comunque (è soggetto a varie condizioni, tra cui l’obbligo di pagare qualcosa ai creditori se entro 4 anni dal beneficio migliora la sua situazione con redditi insperati).
In pratica, le strategie di difesa del piccolo imprenditore sovraindebitato rispecchiano quelle viste sopra, con l’ovvia differenza che non c’è il fallimento in agguato, ma ci sono comunque le esecuzioni singole. La via di uscita sta nelle procedure di sovraindebitamento: concordati minori e liquidazioni controllate. Un professionista (gestore OCC) valuta la fattibilità. Ad esempio, se Mario Rossi con la sua ditta ha €300.000 di debiti tra banche e fornitori, e possiede solo un appartamento in comproprietà con la moglie, può proporre ai creditori un concordato minore offrendo il ricavato di vendita dell’appartamento (che vale €200k) più un piccolo contributo dalla sua futura attività lavorativa, raggiungendo magari un 50% di soddisfo. Se i creditori lo accettano o anche se non tutti accettano ma il tribunale ritiene la proposta equa e sostenibile, Rossi ottiene l’omologa e paga quel che deve; poi è esentato dal pagare il resto e i creditori non possono più aggredirlo. Queste procedure sono un toccasana per i piccoli imprenditori, e andrebbero usate di più. Purtroppo, per scarsa informazione, molti artigiani e commercianti in crisi non sanno di poterle utilizzare e rimangono invece ostaggio dei debiti per anni.
6. Domande frequenti (FAQ)
Di seguito rispondiamo ad alcuni quesiti tipici che imprenditori, soci o garantitori si pongono quando la propria azienda è sovraindebitata. Le risposte richiamano concetti già esposti, fornendo una sintesi fruibile dei punti chiave.
D1: Ho ricevuto una cartella esattoriale dall’Agenzia Entrate-Riscossione per debiti IVA e INPS che non posso pagare subito. Cosa posso fare per evitare pignoramenti immediati?
R: Può presentare entro 60 giorni dalla notifica una richiesta di rateazione ad Agenzia Entrate-Riscossione, ottenendo così la sospensione automatica di azioni esecutive. In alternativa (o in aggiunta), verifichi con un legale se la cartella presenta vizi formali (es. notifica invalida) o se il debito è prescritto: in tal caso va fatta opposizione dinanzi al giudice competente per bloccarne gli effetti. Inoltre, controlli se vi sono misure straordinarie in vigore (come le rottamazioni): aderire a una definizione agevolata congela le azioni esecutive durante la pendenza dei pagamenti. Infine, se la situazione debitoria globale è grave, consideri di attivare una composizione negoziata o un concordato: con il deposito della domanda in tribunale può ottenere un provvedimento di sospensione dei pignoramenti in corso.
D2: Ho prestato una fideiussione personale per i debiti bancari della mia azienda (S.r.l.). Se l’azienda non paga e va in concordato o fallimento, la banca può rivalersi su di me?
R: Sì. Il concordato o fallimento della società non libera i garanti personali. Il fideiussore (socio o terzo) resta obbligato verso la banca per l’intero importo garantito. La banca potrebbe immediatamente chiedere a lei il pagamento (senza attendere l’esito della procedura concorsuale). Unico caso in cui può ottenere sollievo è se anche lei, persona fisica, accede a una procedura di sovraindebitamento o esdebitazione personale post-fallimento per liberarsi da quel debito pagato in vece della società. Ma inizialmente la banca potrà aggredire il suo patrimonio. In sede di concordato preventivo della società, tuttavia, è prassi chiedere ai creditori bancari un trattamento di riguardo ai garanti (ad esempio: la banca rinuncia ad agire subito sul garante se il concordato viene eseguito regolarmente). Alcune banche accettano patti in tal senso, ma dal punto di vista legale hanno diritto di escutere la fideiussione indipendentemente.
D3: La mia S.r.l. è “a responsabilità limitata”: vuol dire che i creditori non potranno mai toccare i miei beni personali di socio?
R: In linea generale sì, è corretto: la S.r.l. risponde dei propri debiti soltanto col suo patrimonio, i soci non rischiano in proprio. Ci sono però tre eccezioni importanti: (i) se i soci (o amministratori) hanno prestato garanzie personali per specifici debiti sociali (fideiussioni, avalli): in tal caso rispondono come garanti verso quei creditori; (ii) se i soci (tipicamente amministratori-soci) hanno commesso illeciti gravi usando la società come schermo – ad esempio svuotandola dei beni prima del fallimento – allora il curatore può agire contro di loro (con un’azione di responsabilità per gestione fraudolenta, o chiedendo al giudice di dichiarare l’abuso di personalità giuridica e farli condannare a pagare i debiti residui); (iii) se la società ha un socio unico che non ha adempiuto agli obblighi di legge (ad esempio non ha versato i conferimenti o non ha pubblicizzato la propria unicità), in casi particolari tale socio unico può essere ritenuto illimitatamente responsabile dei debiti contratti nel periodo. Tali ipotesi sono estreme: nella stragrande maggioranza dei casi, i suoi beni personali (casa, conti privati) non sono attaccabili per i debiti della S.r.l.. Attenzione però: se lei è anche amministratore, i creditori o il curatore fallimentare potranno comunque agire contro di lei per risarcimento danni se hanno prove di mala gestione (azione ex art. 2476 c.c.), ma dovranno dimostrare specifiche condotte colpose o dolose.
D4: I fornitori mi pressano per pagare, ma ho liquidità limitata: è rischioso pagarne solo alcuni e non altri?
R: In condizioni di normale operatività no, l’imprenditore può scegliere chi pagare prima in base alle esigenze. Però se l’azienda è di fatto insolvente e poi verrà aperto un fallimento, quei pagamenti preferenziali potrebbero essere soggetti a revocatoria (se fatti nell’ultimo semestre) o addirittura considerati profili di bancarotta preferenziale a carico dell’amministratore. Il Codice della Crisi ha introdotto alcune esimenti: ad esempio, i pagamenti eseguiti nell’ambito di un piano attestato non sono revocabili né punibili. In pratica, se la crisi è grave, pagare un fornitore invece di un altro è pericoloso per vari motivi (rischio revocatoria, sanzioni, allerta). Se proprio deve fare delle scelte di priorità, conviene privilegiare i debiti che evitano conseguenze irreversibili: ad esempio, versare almeno in parte IVA e contributi per non superare le soglie di reato, pagare fornitori critici per evitare stop produttivi, e congelare chi può attendere. L’ideale è formalizzare il tutto in un accordo o piano, così da coprirsi. Dunque sì, è rischioso pagare solo alcuni creditori “a macchia di leopardo” durante l’insolvenza. Meglio procedere nell’ambito di un piano di ristrutturazione o con tutele legali.
D5: La banca ha revocato il fido e chiede rientro immediato, ma se tolgo quei soldi dal circolante l’azienda muore. Posso oppormi?
R: Se la revoca è conforme al contratto (purtroppo spesso lo è, grazie alle clausole che la permettono “in qualsiasi momento” o in caso di rischio), giuridicamente la banca può esigere il rientro. Lei può però trattare per una moratoria o rinegoziazione: a volte, presentando un piano credibile o coinvolgendo l’esperto della composizione negoziata, la banca accetta di scaglionare il rientro invece di pretendere tutto subito. In parallelo, valuti con un legale se la banca ha applicato interessi illegittimi o commissioni non dovute: sollevare contestazioni di questo tipo può dare margine negoziale (es. chiedendo di compensare interessi indebiti sul dovuto). Nel breve, se la banca minaccia cause, può attivare la protezione concorsuale (es. depositando un ricorso per concordato con riserva, che blocca le azioni esecutive anche della banca). Non c’è però un diritto assoluto a mantenere il fido: è più un discorso di forza contrattuale. Una mossa spesso utile è coinvolgere il Confidi o il Fondo PMI se la sua esposizione ha garanzie pubbliche: gli enti garanti possono mediare con la banca per piani di rientro meno gravosi. Infine, se la revoca appare immotivata e brutale, valutare un ricorso d’urgenza (ex art. 700 c.p.c.) è difficile ma non impossibile: in passato i giudici hanno concesso sospensioni di revoca quando la banca agiva in modo contraddittorio o violando buona fede. In sostanza, formalmente non può impedirlo, ma può guadagnare tempo attraverso strumenti di crisi o mediazione.
D6: L’Agenzia delle Entrate mi ha inviato una “lettera di compliance” e poi una PEC di allerta per un debito IVA. Devo per forza avviare la composizione negoziata?
R: Non è obbligatorio per legge, ma altamente consigliato. La PEC di allerta esterna è appunto un forte incoraggiamento a prendere provvedimenti. Ignorarla non comporta sanzioni immediate, ma come spiegato pone gli amministratori in una posizione di rischio: non potranno dire di non sapere del peggioramento e, se non fanno nulla, potrebbero esserne chiamati a rispondere in futuro. Pertanto, pur non essendoci un obbligo, attivare la composizione negoziata (o quantomeno predisporre un serio piano di risanamento) dopo aver ricevuto l’allerta è la mossa prudente. Anche perché se l’Agenzia Entrate ha mandato la PEC significa che il debito IVA è >€5.000 e pendente: se non reagisce, proseguirà con cartelle e possibili sequestri. Avviare la composizione negoziata, invece, sospende nuovi obblighi di allerta, le procedure esecutive e Le dà accesso a misure protettive. Quindi, pur non “dovendo” per legge, farlo conviene sotto molti profili (economici e di responsabilità personale).
D7: Quali debiti non si possono toccare nemmeno in un concordato o accordo?
R: In generale, tutti i debiti possono essere ristrutturati, ma vi sono limiti su alcuni debiti privilegiati di natura pubblica. In particolare, l’IVA e le ritenute fiscali da sostituto d’imposta non possono essere falcidiate unilateralmente in un concordato preventivo: o si pagano integralmente (anche dilazionati) oppure occorre il consenso dell’Erario tramite transazione fiscale. Il nuovo CCII consente il cram-down anche su questi crediti se l’offerta è almeno 30-40% e conveniente, ma resta comunque la necessità di trattare la loro disciplina separatamente (sono esclusi dall’eventuale voto e sottoposti al giudizio di convenienza del tribunale). Anche i debiti per salari e TFR dei dipendenti sono particolari: per legge vanno soddisfatti al 100% (salvo che i lavoratori rinuncino a qualcosa, ma in pratica interviene il Fondo di garanzia INPS a tutela loro). Infine, sanzioni penali, multe personali e debiti per alimenti non sono falcidiabili (ma questi di solito non riguardano l’azienda). In un accordo di ristrutturazione c’è più libertà perché tutto dipende dalle adesioni: se anche Agenzia Entrate aderisce, si può transare qualunque importo (anche sanzioni). Ma senza adesione, vale lo stesso principio: il giudice può omologare forzosamente solo se quel debito fiscale/previdenziale viene pagato almeno in parte significativa. Riassumendo, IVA e ritenute sono i più delicati: non si possono legalmente “tagliare” senza coinvolgere il Fisco (ciò deriva anche da normative UE). Gli altri debiti, invece, possono subire falcidie e stralci nei limiti delle regole concorsuali (es. 20% minimo ai chirografari se concordato liquidatorio).
D8: La mia azienda è in concordato preventivo, ma un creditore ha un decreto ingiuntivo esecutivo emesso prima. Può portare avanti l’esecuzione?
R: No, con l’ammissione al concordato scatta per legge la sospensione delle azioni esecutive individuali (art. 54 CCII). Il creditore non può iniziare né proseguire pignoramenti o altre esecuzioni sul patrimonio del debitore concorsuale. Se tentasse, l’atto sarebbe nullo. Lo stesso vale se c’era un pignoramento in corso: viene “paralizzato” e poi, eventualmente, assorbito dal concordato (il bene pignorato verrà liquidato nell’ambito del piano concordatario). Quindi stia tranquillo: il decreto ingiuntivo resta solo un credito da insinuare al concordato, non dà titolo a proseguire il pignoramento. Diverso è se l’esecuzione si era già conclusa con una vendita e aggiudicazione prima del concordato – in tal caso è difficile tornare indietro, ma i fondi ricavati dovrebbero comunque affluire alla procedura. In generale, la protezione concorsuale prevale . Attenzione: se il creditore è titolare di pegno o ipoteca e il bene relativo non è incluso nel piano, può chiedere di escutere fuori concordato, ma nella prassi di solito anche i creditori ipotecari vengono “congelati” e soddisfatti nella procedura.
D9: Cos’è l’azione di responsabilità contro gli amministratori e quando viene esercitata?
R: È l’azione con cui la società (o, in caso di fallimento, il curatore nell’interesse dei creditori) chiede il risarcimento dei danni causati dagli amministratori attraverso violazioni dei doveri gestori. Nel contesto di crisi, viene tipicamente esercitata se gli amministratori hanno aggravato il dissesto con condotte imprudenti, ad esempio continuando ad accumulare debiti quando l’insolvenza era manifesta, dissipando risorse in investimenti azzardati durante la crisi, pagando preferenzialmente alcuni soggetti a scapito di altri, o ancora non attivando per tempo i doverosi strumenti di allerta (violando l’art. 2086 c.c.). Il curatore deve provare che tale condotta ha ridotto la “par condicio” dei creditori, e quantificare il danno (spesso coincidente con il maggior deficit patrimoniale creatosi per il ritardo). Cassazione Sez. Unite 9100/2015 ha dettato i principi: la prosecuzione dell’attività in perdita oltre una certa soglia configura responsabilità e il danno si liquida di solito come differenza tra patrimonio a una certa data e al momento del fallimento. Anche i sindaci (o revisori) possono essere convenuti se hanno omesso di vigilare, divenendo coniugi colposi del dissesto. In pratica, questa azione è un pericolo concreto se non gestisce bene la crisi: se la sua azienda fallisce e i creditori ci rimettono, il curatore scruterà se Lei (come amministratore) doveva attivarsi prima per limitare i danni. Difendersi ex ante significa appunto attivarsi tempestivamente (così diventa difficile accusarLa di inerzia colpevole).
D10: Dopo la chiusura del fallimento o della liquidazione giudiziale, devo pagare ancora i debiti rimasti?
R: Se Lei è una società, no perché la società viene estinta e i debiti residuali “muoiono” con essa (nessuno potrà chiederli ai soci salvo eccezioni viste). Se Lei è una persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile), può ottenere l’esdebitazione: un provvedimento del tribunale che, a certe condizioni, cancella tutti i debiti concorsuali non soddisfatti. L’esdebitazione di regola viene concessa se il fallito ha cooperato lealmente e non ha riportato condanne per bancarotta fraudolenta. Col CCII è quasi automatica su istanza dell’interessato (art. 278). Dunque, una volta chiusa la procedura, Lei può ripartire libero dai vecchi debiti. C’è anche la menzionata esdebitazione del debitore incapiente (art. 283) se addirittura non c’erano beni da liquidare: pure in quel caso, dopo 3 anni il giudice può cancellare i debiti. Quindi no, i debiti non soddisfatti nella procedura concorsuale solitamente non dovranno più essere pagati da Lei personalmente (salvo obblighi di garanzia o debiti verso lo Stato per sanzioni – quelli restano in teoria, ma non avendo patrimonio sono inesigibili). L’esdebitazione post-fallimentare è un tratto importante di “fresh start” per dare all’ex imprenditore onesto una seconda chance.
D11: La mia S.r.l. rischia azioni legali. Posso mettere in liquidazione volontaria la società per bloccare i creditori?
R: Attenzione, la messa in liquidazione volontaria (ex art. 2484 c.c.) non blocca affatto le azioni dei creditori. La liquidazione volontaria serve a cessare l’attività e pagare i debiti, ma se i debiti > attivo, i liquidatori dovranno poi convocare i creditori e chiedere comunque un fallimento. Nel frattempo, i creditori possono continuare a pignorare. Anzi, in liquidazione la società è considerata tecnicamente in stato di scioglimento, il che può far scattare prima l’obbligo di istanza di fallimento se emerge insolvenza. In sintesi, mettere in liquidazione non è uno scudo. Gli strumenti per bloccare creditori sono quelli concorsuali visti: concordato, accordi omologati, ecc., non la semplice liquidazione volontaria. Se però la Sua domanda implicava: “posso tentare di pagare i creditori liquidando volontariamente i beni?” – certo, può, ma se i crediti la inseguono, bisogna considerare velocemente di passare a una procedura concorsuale ufficiale se la volontaria non risolve. Inoltre, far finta di liquidare per prendere tempo può esporre i liquidatori (spesso gli ex amministratori stessi) a responsabilità per tardiva emersione dell’insolvenza. Quindi valutate con un legale: se l’attivo non copre tutto, meglio un concordato o accordo che una liquidazione fai-da-te rimandando il problema.
D12: Se attivo la composizione negoziata o presento un concordato, apparirà da qualche parte rendendo pubblica la crisi?
R: La composizione negoziata è riservata: l’iscrizione nel Registro delle Imprese è accessibile ma registra solo che AcquaJet S.r.l. ha richiesto la nomina di un esperto per la composizione negoziata, cosa ancora relativamente tecnica e poco nota. Non viene pubblicato nei bollettini protesti o simili. Certo, i creditori coinvolti saranno informati. Quanto al concordato, quello sì è pubblico: l’ammissione a concordato viene iscritta al Registro delle Imprese e comunicata. Inoltre, se fornitori o banche usano sistemi informativi (Cerved, CRIF), vedranno la notizia. Il concordato è un evento sostanzialmente noto al mercato (anche se l’azienda continua operare). Tuttavia, esistono gradazioni: un accordo di ristrutturazione omologato, ad esempio, viene pubblicato ma potrebbe passare più sotto traccia perché spesso è più rapido e con meno stigma. In conclusione: la composizione negoziata offre un tentativo confidenziale (il personale e i clienti potrebbero anche non accorgersene), mentre le procedure concorsuali vere sono più visibili e impattano sulla reputazione creditizia. È il classico trade-off: riservatezza vs protezione legale forte.
Come si evince da queste FAQ, la difesa del debitore passa attraverso un mix di conoscenza dei propri diritti (sospensioni, opposizioni), utilizzo tempestivo degli strumenti normativi (piani, procedure) e comportamenti proattivi. Ogni caso è a sé, ma il filo conduttore è chiaro: non subire passivamente l’aggressione dei creditori, bensì gestire attivamente la crisi, coinvolgendo professionisti e l’autorità giudiziaria quando necessario, per ottenere il miglior risultato possibile e, se del caso, ripartire senza debiti e senza eccessivi strascichi di responsabilità personali .
Fonti e riferimenti
Normativa:
- Codice Civile: artt. 2086 (obbligo assetti adeguati e dovere di rilevare la crisi), 2476 e 2486 (responsabilità amministratori verso società e creditori, criteri di liquidazione del danno da indebita prosecuzione), 2409 c.c. (denuncia di gravi irregolarità, citato per possibile intervento sindaci).
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 15 luglio 2022. Rilevanti: artt. 12–25-octies (Composizione negoziata della crisi), art. 25-sexies (Concordato semplificato per liquidazione), art. 56 (Piani attestati di risanamento), art. 63 (Accordi di ristrutturazione e transazione fiscale), art. 84 (Concordato preventivo: requisiti continuità vs liquidatorio), art. 88 (Transazione fiscale nel concordato; novità cram-down), artt. 90–102 (Procedure concordatarie), art. 109 (voto classi), art. 112 (divieti falcidia IVA/ritenute), art. 116 (omologa concordato), art. 54 (sospensione azioni esecutive in concordato), artt. 57–64 (Disciplina Accordi di ristrutturazione), art. 18 (finanziamenti prededucibili in composizione negoziata), artt. 269–277 (Liquidazione giudiziale), art. 278 (Esdebitazione del fallito), art. 283 (Esdebitazione del debitore incapiente).
- Decreto-Legge 118/2021 conv. L. 147/2021 – Istituzione composizione negoziata e concordato semplificato.
- D.L. 152/2021 conv. L. 233/2021 – Soglie di allerta esterna dei creditori pubblici qualificati.
- D.L. 69/2023 conv. L. 103/2023 (c.d. “Decreto Alluvioni” 2023) – Introduzione art. 1-bis per cram down fiscale in accordi di ristrutturazione e concordati: condizioni 25%/30%-40%, soddisfacimento min. 30-40%, dilazione ≤10 anni. Sospensione attuazione art. 63 co.2-bis CCII previgente.
- D.Lgs. 136/2024 (Correttivo ter CCII) – Equiparazione doveri revisori e sindaci in allerta interna; novità su transazione fiscale in composizione negoziata (inserimento art. 23 co. 2-bis CCII, dal 28/09/2024).
- Legge 197/2022 (Legge di Bilancio 2023): Stralcio automatico debiti ≤ €1.000 affidati entro 2015 (commi 222–228); Rottamazione-quater per carichi 2000-2021 (commi 231–252).
- Disegno di Legge di Bilancio 2026 (in discussione Ott. 2025): prevede Rottamazione-quinquies per debiti 2000-2023, pagamento in 54 rate bimestrali (~9 anni) con interesse 4% annuo dopo il primo anno (proposta di riduzione a 3% in emendamenti) . Estensione possibile a tributi locali e nuove condizioni per quater in essere (fonti: Fisco&Tasse, SkyTG24).
Giurisprudenza:
- Cass., Sez. Un. civ., 9 aprile 2015 n. 9100: principi su responsabilità degli amministratori ex art. 2486 c.c. per aggravamento del dissesto e criteri di quantificazione del danno.
- Cass., Sez. I civ., 08 gennaio 2025 n. 348: chiarisce i requisiti essenziali della continuità aziendale nel concordato preventivo, anche nelle proposte “miste” con parte liquidatoria. Conferma che il tribunale può introdurre misure (nomina liquidatore) per garantire trasparenza nella liquidazione di beni non funzionali. (In Lexia “Il concetto di continuità aziendale secondo la Cassazione”, 19/02/2025).
- Cass., Sez. III pen., 9 luglio 2025 n. 30109 (depositata 2/9/2025): ha valorizzato la procedura di composizione negoziata quale elemento idoneo ad escludere il periculum in mora ai fini del sequestro preventivo penale. Nel caso concreto (Trib. Modena), la società ammessa alla composizione negoziata in continuità, con misure protettive concesse e risultati economici positivi, è stata ritenuta priva di rischio di dispersione patrimoniale; la Cassazione ha confermato l’annullamento del sequestro di €13,8 milioni, indicando che l’accesso alla procedura e il controllo dell’esperto/tribunale civile costituiscono segnali di stabilizzazione. (Notizia in Edotto, 03/09/2025).
- Cass., Sez. Unite pen., 27 maggio 2021 n. 36959: (richiamata in Cass. 30109/25) – ha statuito che nel sequestro finalizzato a confisca ex art. 321 c.p.p. va motivata la sussistenza sia del fumus che del periculum, distinguendo dal sequestro impeditivo. Importante perché Cass. 30109/25 applica tali principi al caso di impresa in composizione negoziata, evidenziando assenza di periculum.
- Tribunale di Milano, decreto 28 aprile 2022: (es.) prima applicazione di concordato semplificato post-composizione negoziata: omologato senza voto dei creditori, con soddisfacimento inferiore al 20% ma ritenuto congruo rispetto a liquidazione (riferimento generico, mostra uso pratico strumento).
- Cass., Sez. I civ., 20 gennaio 2021 n. 1097: ribadisce divieto di falcidia IVA in concordato senza adesione Erario (ante riforma 2022). Conferma necessità transazione fiscale per IVA, in coerenza con Corte Giustizia UE. (Giurisprudenza consolidata pre-cramdown).
- Cass., Sez. I civ., 17 maggio 2019 n. 13846: su abuso di personalità giuridica e “piercing the corporate veil”: ammette azione di creditori sociali per far dichiarare i soci illimitatamente responsabili se società usata come schermo fittizio per fini illeciti (caso di etero-direzione occulta). Giurisprudenza citata come base del concetto di responsabilità illimitata per abuso forma societaria.
- Cass., Sez. I civ., 30 gennaio 2017 n. 24188: (SU 2017 in materia sovraindebitamento) chiarisce che la falcidia dei crediti privilegiati previdenziali e tributari in accordi di composizione è possibile con parere dell’ente, anticipando poi la riforma CCII (oggi superata dal cram-down normativo).
- Cass., Sez. I civ., 7 dicembre 2022 n. 35960: (indicata da dottrina) definisce condizioni nomina liquidatore in concordato misto (caso commentato poi in Cass. 348/2025).
La tua azienda che opera nel taglio a getto d’acqua (waterjet), producendo o utilizzando impianti waterjet, macchine CNC ad alta pressione, pompe intensificatrici, ugelli e mescole abrasive, taglio 2D/3D, precision cutting, lavorazioni conto terzi su metallo, vetro, gomma, ceramica, compositi e pietra, si trova oggi schiacciata dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
La tua azienda che opera nel taglio a getto d’acqua (waterjet), producendo o utilizzando impianti waterjet, macchine CNC ad alta pressione, pompe intensificatrici, ugelli e mescole abrasive, taglio 2D/3D, precision cutting, lavorazioni conto terzi su metallo, vetro, gomma, ceramica, compositi e pietra, si trova oggi schiacciata dai debiti?
Ricevi solleciti, richieste di rientro, decreti ingiuntivi, sospensioni delle forniture o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori di abrasive, pompe, ricambi o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore waterjet è ad altissima intensità di capitale: macchine costose, pompe ad altissima pressione, ricambi e consumabili molto onerosi (abrasivo garnet), manutenzioni frequenti, energia elevata, margini compressi e clienti che pagano anche a 60–120 giorni.
Basta un ritardo negli incassi o un taglio dei fidi per generare una crisi seria.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito con una strategia solida.
Perché un’Azienda Waterjet va in Debito
- aumento dei costi di abrasivo, ugelli, pompe HPA, valvole, intensificatori
- pagamenti lenti da parte di officine, carpentieri, aziende meccaniche e contractor
- magazzino immobilizzato tra ricambi costosi, filtri, tubi HP, ugelli, abrasivo
- costi elevati di manutenzione, energia, assistenza tecnica e ricambi originali
- investimenti in macchine CNC, upgrade e software
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
- commesse variabili e cashflow instabile
Il vero problema non è la mancanza di clienti, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se Non Intervieni Subito
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco dei fidi bancari
- sospensione delle forniture (abrasivo, ricambi, pompe)
- atti esecutivi, decreti ingiuntivi, precetti
- sequestro di macchinari, pompe e componenti HPC
- impossibilità di completare commesse e consegne
- perdita di clienti strategici e lavori ricorrenti
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può:
- sospendere pignoramenti e atti esecutivi
- bloccare richieste aggressive di rientro
- proteggere conti correnti e flussi di cassa
- fermare le azioni dell’Agenzia Riscossione
Prima si salva l’azienda, poi si struttura la ristrutturazione del debito.
2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti
Molti debiti presentano irregolarità:
- interessi non dovuti
- sanzioni sbagliate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori nelle cartelle esattoriali
- commissioni e spese bancarie anomale
Una parte rilevante del debito può essere tagliata o cancellata.
3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile
Strumenti concreti:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi con fornitori di consumabili e ricambi
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensione temporanea dei pagamenti
- utilizzo delle definizioni agevolate
4. Usare strumenti legali potentissimi che bloccano TUTTI i creditori
Per le crisi più difficili, la legge mette a disposizione:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di ristrutturazione dei debiti
- Concordato minore
- (solo in casi estremi) Liquidazione controllata
Questi strumenti permettono all’azienda di continuare a operare pagando solo una parte dei debiti, sospendendo completamente pignoramenti e azioni esecutive.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda del settore waterjet servono competenze specifiche e multidisciplinari.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
È il professionista ideale per bloccare creditori, ridurre debiti e salvare aziende che operano nel taglio waterjet, dove continuità e precisione sono fondamentali.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua esposizione debitoria
- stop urgente a pignoramenti e decreti ingiuntivi
- riduzione dei debiti non dovuti
- ristrutturazione del debito con soluzioni sostenibili
- protezione di macchine CNC, pompe HP, magazzino e consumabili
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela totale dell’azienda e dell’amministratore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di taglio waterjet non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia rapida, professionale e completamente legale, puoi:
- bloccare subito i creditori,
- ridurre realmente i debiti,
- salvare produzione, lavori e clienti,
- proteggere il futuro dell’azienda.
Agisci ora.
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