Se la tua azienda produce, importa o distribuisce resine epossidiche, indurenti, primer, resine autolivellanti, formulati bicomponenti, sistemi per pavimentazioni industriali, rivestimenti tecnici, adesivi strutturali o prodotti per cantieri e industria, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, devi intervenire subito per evitare fermi di produzione e perdita di clienti strategici.
Nel settore delle resine epossidiche, ritardi nelle forniture possono bloccare lavori in corso, cantieri industriali, pavimentazioni, rivestimenti tecnici e applicazioni ad alta criticità. Penali, disdette e danni di immagine arrivano in fretta.
Perché le aziende di resine epossidiche accumulano debiti
- aumento del costo di resine, additivi, cariche, pigmenti e indurenti
- rincari di solventi, trasporti e materie prime importate
- pagamenti lenti da parte di imprese edili, applicatori, industrie e contractor
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con molti lotti, scadenze e formulazioni
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai volumi di acquisto
- investimenti in certificazioni, sicurezza chimica, smaltimento e conformità REACH/CLP
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista tutta la situazione debitoria
- identificare quali debiti possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro troppo pesanti che peggiorano la liquidità
- richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
- proteggere rapporti con fornitori chiave e materiali critici
- usare strumenti legali efficaci per rinegoziare o ristrutturare i debiti senza bloccare la produzione
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di resine, indurenti, primer e materiali indispensabili
- impossibilità di rispettare consegne e lavori programmati
- perdita di clienti, applicatori, imprese e contractor
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina un team nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario. È inoltre:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
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- bloccare pignoramenti e procedure esecutive
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- guidare la tua azienda verso un risanamento reale, evitando la chiusura
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Introduzione
Un’azienda produttrice di resine epossidiche che si trova sommersa dai debiti affronta una situazione complessa ma non insolubile. In Italia, l’ordinamento giuridico ha introdotto strumenti avanzati per la gestione della crisi d’impresa, volti sia a prevenire l’aggravarsi dell’insolvenza sia a difendersi dalle azioni dei creditori in fase avanzata. Dal punto di vista del debitore, è fondamentale conoscere le opzioni disponibili – dagli accordi stragiudiziali alle procedure concorsuali – per proteggere l’azienda e tentare un risanamento, oppure, se necessario, minimizzare i danni in caso di liquidazione. Questa guida, aggiornata a ottobre 2025, fornisce un quadro completo delle soluzioni previste dal diritto italiano per un’azienda indebitata, con un taglio pratico ma giuridicamente rigoroso. Si affronteranno i vari tipi di debiti (fiscali, bancari, verso fornitori, previdenziali), le procedure di ristrutturazione del debito, gli strumenti negoziali e concorsuali – inclusi i più recenti come la composizione negoziata della crisi – nonché strategie preventive (per evitare di cadere in una crisi irreversibile) e difensive (per reagire efficacemente quando i debiti sono già fuori controllo). Verranno fornite tabelle riepilogative, una sezione di domande e risposte frequenti, oltre a esempi pratici (simulazioni) riferiti all’ordinamento italiano. Il tutto è elaborato con linguaggio giuridico divulgativo, adatto sia a professionisti legali sia a imprenditori o privati che vogliano orientarsi in un ambito così delicato.
La disciplina italiana della crisi d’impresa ha subito un’importante riforma con il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), Decreto Legislativo 14/2019, entrato in vigore definitivamente nel 2022 e più volte modificato sino ai decreti correttivi del 2024 . Questo nuovo assetto normativo ha modernizzato gli strumenti di gestione dei debiti aziendali, privilegiando la continuità aziendale e le soluzioni concordate con i creditori, e riservando la liquidazione giudiziale (il vecchio fallimento) come ultima ratio . L’approccio attuale incentiva l’emersione tempestiva delle difficoltà finanziarie e l’utilizzo di procedure negoziali prima che la situazione degeneri . In parallelo, sono stati previsti obblighi per gli amministratori di attivarsi senza indugio quando emergono segnali di crisi, al fine di adottare strumenti per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale .
In questa guida procederemo come segue: (1) analizzeremo le tipologie di debiti aziendali più comuni e i rischi connessi; (2) illustreremo le procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza disponibili in Italia – da quelle stragiudiziali (es. piani di risanamento attestati, accordi con i creditori) a quelle concorsuali (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, soluzioni per sovraindebitati) – con attenzione alle ultime novità normative e giurisprudenziali; (3) forniremo strategie preventive che un imprenditore può adottare per evitare o limitare l’indebitamento eccessivo, e strategie difensive per tutelarsi quando i debiti sono già conclamati; (4) risponderemo a una serie di domande frequenti (FAQ) dal punto di vista del debitore; (5) presenteremo tabelle riepilogative che confrontano strumenti e procedure; (6) infine, proporremo alcune simulazioni pratiche ambientate nel contesto italiano, per mostrare come potrebbe evolversi la situazione di un’azienda di resine epossidiche indebitata a seconda delle scelte compiute.
È fondamentale sottolineare che ogni caso ha le sue peculiarità: il quadro normativo offre varie opzioni e va applicato tenendo conto della situazione specifica dell’impresa (dimensioni, natura giuridica, struttura del debito, prospettive di mercato, ecc.). Per questo motivo, oltre alla conoscenza della legge e delle sentenze aggiornate, è consigliabile farsi assistere da professionisti esperti in crisi d’impresa (avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro) sin dalle prime avvisaglie di difficoltà. La guida fornirà i riferimenti normativi essenziali e citerà le fonti più autorevoli (leggi, decreti, sentenze di Cassazione, linee guida istituzionali) , raccolte in fondo al documento per eventuali approfondimenti. L’obiettivo è offrire un orientamento avanzato – ma comprensibile – a chi voglia difendere attivamente la propria azienda indebitata, sfruttando tutte le opportunità che l’ordinamento mette a disposizione per ristrutturare i debiti, salvare l’attività quando possibile, oppure chiuderla in modo ordinato e ripartire senza rimanere oppressi dai debiti residui.
Tipologie di debiti aziendali e relativi rischi
Non tutti i debiti sono uguali: a seconda della loro natura, possono comportare differenti rischi per l’azienda debitrice e richiedere strategie di gestione diverse. In questa sezione esaminiamo i principali tipi di debiti che un’azienda di resine epossidiche (o qualsiasi impresa commerciale) può accumulare – debiti fiscali, debiti bancari/finanziari, debiti verso fornitori commerciali, debiti previdenziali e contributivi – evidenziando per ciascuno le conseguenze del mancato pagamento e le possibili azioni difensive. Conoscere la “mappa” del proprio indebitamento è il primo passo per decidere come intervenire.
Debiti fiscali (Erario e tributi)
I debiti fiscali includono imposte non pagate (IVA, imposte sui redditi, IRAP, tasse locali, ecc.) e relativi accessori come interessi e sanzioni. Per un’azienda manifatturiera (ad esempio nel settore delle resine epossidiche) gli importi IVA possono essere consistenti, e il mancato versamento di tali tributi comporta conseguenze severe. L’Agenzia delle Entrate e l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione, ex Equitalia) hanno poteri esecutivi ampi: l’emissione di cartelle esattoriali, iscrizione di ipoteche su immobili aziendali, fermi amministrativi su veicoli, e in ultima istanza pignoramenti di beni o crediti. I debiti tributari godono spesso di privilegi nel fallimento (hanno una posizione preferenziale nel soddisfo) e alcune componenti – come l’IVA o le ritenute non versate – sono tradizionalmente considerate “inestricabili”, ossia difficilmente falcidiabili al di fuori di procedure concorsuali .
Difendersi dai debiti fiscali: innanzitutto, è importante non ignorare le comunicazioni dell’Erario. Se l’azienda non riesce a pagare un’imposta, può richiedere una rateizzazione al concessionario della riscossione (tipicamente fino a 72 rate mensili, estensibili a 120 rate in casi di comprovata difficoltà) secondo le norme vigenti. Dal 2016 in poi il legislatore ha varato diverse edizioni della “rottamazione delle cartelle” (definizione agevolata dei carichi fiscali), l’ultima delle quali – la cosiddetta rottamazione-quater – è stata aperta nel 2023, consentendo di stralciare sanzioni e interessi su cartelle esattoriali antecedenti a certe date. Verificare l’accesso a queste misure straordinarie può ridurre il debito fiscale complessivo. Tuttavia, tali sanatorie hanno finestre temporali specifiche e requisiti definiti per legge.
In ottica concorsuale, il CCII ha introdotto la possibilità di proporre una transazione fiscale all’interno di accordi di ristrutturazione o piani di concordato . Ciò significa che l’azienda in crisi può offrire al Fisco un pagamento parziale e/o dilazionato dei tributi dovuti, a patto che un professionista indipendente attesti che quanto offerto è almeno pari a quanto l’Erario otterrebbe in una liquidazione giudiziale . Se l’Agenzia delle Entrate (o l’INPS, per i contributi) approva la proposta, questa diventa parte integrante dell’accordo o del concordato. Una novità importante del 2023-2024 è che, in caso di rifiuto ingiustificato da parte dell’ente fiscale, il tribunale può ugualmente omologare l’accordo (cram down fiscale) , superando così uno dei maggiori ostacoli che storicamente impedivano soluzioni negoziate quando vi erano rilevanti debiti tributari. Ad esempio, una sentenza della Corte di Cassazione del 29 novembre 2023 ha confermato che l’omologazione di un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale rende cessata la materia del contendere in un parallelo giudizio tributario: in pratica, se si raggiunge un accordo omologato sul debito tributario, le liti fiscali pendenti su quel debito vengono chiuse .
Va evidenziato che alcune tipologie di debiti fiscali “qualificati” (in particolare l’IVA dovuta e le ritenute operate e non versate) rimangono di trattamento delicato: nelle procedure di sovraindebitamento del consumatore, ad esempio, la legge richiede tuttora il pagamento integrale di IVA e ritenute quale condizione di ammissibilità . Nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione per imprese, invece, è possibile falcidiare anche l’IVA, ma solo attraverso la transazione fiscale e con le cautele sopra dette. Pertanto, per difendersi efficacemente dai debiti fiscali, l’azienda debitrice dovrà: i) valutare strumenti deflattivi (rateazioni, definizioni agevolate) per congelare o ridurre l’esposizione; ii) se la situazione è più grave, incorporare i debiti fiscali in un piano di ristrutturazione del debito, avvalendosi della transazione fiscale affinché il Fisco sia parte della soluzione negoziata. Ignorare i debiti tributari o lasciarli crescere è estremamente pericoloso: non solo per le aggressive azioni esecutive pubbliche, ma anche perché gli amministratori possono incorrere in responsabilità personali o addirittura penali (si pensi all’omesso versamento di IVA oltre soglie di punibilità, reato ex art. 10-ter D.Lgs. 74/2000, o all’omesso versamento di ritenute ex art. 10-bis). Agire tempestivamente sui debiti fiscali è quindi cruciale sia per la continuità aziendale sia per evitare guai maggiori al debitore e ai suoi gestori.
Debiti bancari e finanziari
I debiti verso banche o altri finanziatori (leasing, società di factoring, obbligazionisti se presenti) derivano tipicamente da mutui, finanziamenti, scoperti di conto, anticipazioni su crediti, leasing di macchinari o immobili. Tali crediti sono spesso assistiti da garanzie: ad esempio un mutuo bancario può essere garantito da ipoteca su un capannone, un fido di cassa da un pegno su beni o da una fideiussione personale dei soci. Il rischio principale del debito bancario è il decadimento del beneficio del termine: se l’azienda entra in difficoltà e salta anche una sola rata significativa o infrange i covenant contrattuali, la banca può revocare gli affidamenti e chiedere il rimborso immediato di tutto il capitale residuo. Di fronte a insolvenza conclamata, la banca potrà attivare le garanzie (es. escutere la fideiussione, escutere il pegno, avviare esecuzione immobiliare sull’immobile ipotecato) o procedere con decreto ingiuntivo e pignoramenti.
Una caratteristica dei crediti bancari è la possibilità di cessione a terzi (società di recupero crediti, fondi speculativi) nel mercato degli NPL; ciò significa che l’azienda debitrice potrebbe trovarsi a trattare con nuovi creditori più aggressivi nella riscossione. Inoltre, il mancato pagamento di un credito bancario comporta la segnalazione alla Centrale Rischi di Banca d’Italia (per importi rilevanti) o in banche dati private (CRIF, Experian), danneggiando gravemente la reputazione creditizia dell’impresa e dei suoi garanti.
Difendersi dai debiti bancari: la strategia qui punta a guadagnare tempo e ristrutturare il debito finanziario in modo sostenibile. In una fase iniziale di tensione finanziaria, è consigliabile aprire un dialogo con la banca per rinegoziare le condizioni del prestito: ad esempio, ottenere un periodo di pre-ammortamento (sospensione temporanea delle quote capitale), un allungamento del piano di rimborso (riducendo l’importo delle rate) o una moratoria temporanea. Negli anni 2020-2021, anche grazie a interventi normativi durante la pandemia, molte imprese hanno beneficiato di moratorie sui prestiti bancari. Anche se oggi queste misure straordinarie sono terminate, nulla impedisce alle parti di accordarsi privatamente per una moratoria o un riscadenzamento del debito. È nell’interesse della banca evitare default formali, pertanto se l’impresa anticipa le difficoltà e presenta un piano credibile di risanamento, spesso gli istituti di credito concedono aggiustamenti (anche su impulso delle Linee Guida dell’EBA e normative che incoraggiano la ristrutturazione delle esposizioni creditizie deteriorate).
Quando però il debito bancario è fuori controllo, serve un quadro più strutturato: l’azienda può avvalersi di un Piano Attestato di Risanamento (art. 56 CCII, già art. 67 LF) o di un Accordo di Ristrutturazione dei Debiti omologato (art. 57 CCII, ex art. 182-bis LF) per rinegoziare globalmente le proprie esposizioni finanziarie. In un piano attestato, si predispone un piano industriale e finanziario di rilancio, attestato da un esperto indipendente, e lo si presenta alle banche per ottenere un consenso individuale: se tutte (o la gran parte) delle banche accettano, il piano viene eseguito privatamente. Il vantaggio del piano attestato è di evitare la procedura giudiziale e di proteggere le operazioni compiute in esecuzione del piano dall’azione revocatoria fallimentare (qualora poi la situazione precipitasse) . L’accordo di ristrutturazione, invece, è una procedura omologata dal tribunale: occorre il consenso di creditori rappresentanti almeno il 60% dei debiti , e i dissenzienti restano comunque vincolati dal tribunale purché siano pagati integralmente fuori accordo. Questo strumento è utile se la maggior parte delle banche è d’accordo a ristrutturare (ridurre il tasso, abbattere parte del credito, posticipare le scadenze) ma qualcuno dissente – con l’omologazione, la ristrutturazione diviene efficace erga omnes e si evita che un singolo finanziatore “tiri giù” l’azienda. Recenti riforme hanno introdotto varianti come l’accordo di ristrutturazione agevolato (debiti ristrutturati non oltre il 30% del totale, debiti estranei pagati integralmente senza dilazione, nessuna misura protettiva richiesta – in tal caso basta il consenso di soli 30% dei creditori) e l’accordo ad efficacia estesa (in cui se il 75% di una certa categoria omogenea di creditori – tipicamente le banche – aderisce, l’accordo viene esteso forzosamente anche al restante 25% dissenziente di quella categoria) . Ad esempio, se 3 banche su 4 accettano una proposta di ristrutturazione e la quarta no, ma le prime tre rappresentano più del 75% del credito totale verso le banche, il tribunale può estendere l’accordo anche alla quarta banca . Ciò impedisce a piccoli creditori finanziari di bloccare una ristrutturazione altrimenti condivisa dalla maggioranza.
In concreto, difendersi dai debiti bancari significa anche evitare l’inerzia: se l’azienda intuisce che non riuscirà a rispettare i covenants o le rate, meglio attivarsi subito anziché attendere la revoca delle fidi. Con l’entrata in scena della composizione negoziata (che vedremo più avanti), è persino possibile ottenere dal tribunale misure protettive che congelano le azioni esecutive delle banche e addirittura inibiscono segnalazioni a Centrale Rischi durante le trattative . In un caso recente, alcuni tribunali hanno disposto, su richiesta dell’esperto nominato nella composizione negoziata, che le banche sospendessero sia le richieste di rientro sia la segnalazione a sofferenza, al fine di non compromettere le trattative in corso . Ciò è estremamente rilevante: tradizionalmente, la paura della segnalazione a sofferenza spingeva molte aziende a fare pagamenti disperati alle banche “a scapito” di altri creditori (generando possibili profili di revocatoria o bancarotta preferenziale). Ora l’ordinamento offre strumenti per cristallizzare la posizione e negoziare più serenamente con gli istituti di credito, evitando reazioni a catena distruttive.
Debiti verso fornitori (debiti commerciali)
I debiti commerciali verso fornitori e altri creditori trade (es. fornitori di materie prime, servizi, logistica) sono fisiologici in ogni impresa. Tuttavia, quando un’azienda è in crisi di liquidità, spesso smette di pagare regolarmente i fornitori, accumulando scaduti. I rischi principali in questo caso sono: la perdita di forniture essenziali (i fornitori bloccano ulteriori consegne finché non ricevono i pagamenti arretrati, mettendo a rischio la continuità produttiva dell’azienda debitrice), l’azione legale individuale (i fornitori possono ottenere decreti ingiuntivi e pignorare conti correnti, beni mobili o crediti verso terzi), e l’eventuale insinuazione di dubbi reputazionali nella filiera (se si sparge voce che l’azienda non paga, altri partner commerciali possono irrigidirsi nei rapporti contrattuali, chiedere pagamenti anticipati, ecc.). Inoltre, alcuni fornitori potrebbero aver tutelato le proprie forniture con clausole di riserva di proprietà: in caso di mancato pagamento, possono rivendicare la proprietà dei beni forniti (ad esempio impianti o grandi attrezzature) se la clausola è valida e i beni ancora identificabili.
Difendersi dai debiti verso fornitori richiede una gestione accorta dei rapporti commerciali durante la crisi. Prima di tutto, è opportuno classificare i fornitori in base alla loro importanza strategica: quelli critici (per es. il fornitore unico di una materia prima fondamentale) vanno tutelati e possibilmente tenuti pagati almeno in parte, negoziando piani di rientro ad hoc, magari offrendo garanzie reali su nuovi ordini o coinvolgendoli in accordi di fornitura-creditore (ad esempio accordando loro un trattamento di favore in un eventuale concordato, come credito in prededuzione sui futuri conferimenti). I fornitori meno essenziali, o con cui l’azienda può sostituire agevolmente la controparte, potranno essere temporaneamente lasciati a credito, cercando però di evitare che qualcuno prenda l’iniziativa di aggredire legalmente l’azienda. La comunicazione è fondamentale: un imprenditore in difficoltà dovrebbe – per quanto possibile – dialogare apertamente con i propri fornitori chiave, spiegando la situazione e prospettando un piano di ristrutturazione, anziché “sparire”. Ci sono casi in cui i fornitori, pur di non perdere un cliente e vederlo fallire, accettano di dilazionare i crediti o falcidiarli parzialmente in una soluzione concordataria.
Dal punto di vista legale, i debiti verso fornitori non privilegiati rientrano nei crediti chirografari in caso di procedure concorsuali, quindi rischiano di essere soddisfatti in misura ridotta. Paradossalmente, questo può essere un argomento persuasivo per convincerli a supportare un piano di ristrutturazione: “meglio accettare il 40% in concordato ora, che rischiare il 10% (o nulla) in un fallimento dopo anni”. Nei concordati preventivi, di regola i crediti chirografari ricevono un soddisfacimento parziale (una falcidia) in percentuale stabilita dal piano; la legge oggi non fissa più un minimo di legge (in passato era il 20%), ma va dimostrato che tale percentuale è migliorativa rispetto alla liquidazione . In alternativa, l’azienda potrebbe proporre ai fornitori un accordo stragiudiziale di ristrutturazione debiti (es: un saldo e stralcio collettivo): se tutti o gran parte dei fornitori accettano di ridurre i loro crediti in cambio di pagamenti certi e magari condizioni commerciali future, si può formalizzare un accordo transattivo. Attenzione però: accordi puramente stragiudiziali non omologati potrebbero essere vulnerabili a eventuali fallimenti successivi (per es. pagamenti preferenziali verso alcuni fornitori potrebbero essere revocati dal curatore, se effettuati nel periodo sospetto precedente al fallimento). Per questo, a volte conviene “istituzionalizzare” tali accordi in un concordato preventivo o un accordo ex art.57 CCII, che copre tutti i creditori e mette al riparo dalle revocatorie.
In sintesi, la difesa dai debiti commerciali consiste nel: i) evitare che i fornitori critici interrompano forniture (anche offrendo qualche pagamento immediato a fronte di una moratoria sul resto); ii) prevenire azioni legali individuali convincendo i creditori che si sta approntando una soluzione collettiva (eventualmente ottenendo dal tribunale misure protettive che sospendano le azioni esecutive – nel concordato e nella composizione negoziata ciò è possibile); iii) includere i fornitori in un piano complessivo di ristrutturazione, assicurando loro trasparenza e un trattamento equo. In un concordato in continuità aziendale, ad esempio, può essere previsto che i fornitori strategici vengano pagati parzialmente in prededuzione per assicurarsi il proseguimento delle forniture, col beneplacito del commissario e del tribunale. Ogni azione deve comunque evitare favoritismi non giustificabili, che potrebbero essere censurati successivamente (pagare un fornitore non strategico e lasciare altri a bocca asciutta potrebbe configurare atti di favore revocabili). La parola d’ordine per il debitore commerciale è equilibrio e pianificazione: trattare tutti i fornitori in modo ragionato, spiegare che un sacrificio concordato ora conviene a tutti rispetto a un tracollo disordinato dopo.
Debiti previdenziali e contributivi
Tra i debiti che più spesso mettono in difficoltà le PMI italiane ci sono quelli verso gli enti previdenziali (INPS, casse professionali) e assicurativi obbligatori (INAIL). Questi debiti sorgono principalmente dal mancato versamento dei contributi previdenziali dovuti per i dipendenti o per i titolari (contributi INPS su retribuzioni, contributi alla gestione artigiani/commercianti per l’imprenditore, premi INAIL). Quando un’azienda è in crisi di liquidità, può trovarsi costretta a scegliere se pagare gli stipendi netti ai dipendenti (per evitare tensioni sociali) o versare i contributi: spesso la scelta (sbagliata ma comprensibile) è di pagare i lavoratori e rinviare i contributi, accumulando debiti con l’INPS. Questi debiti hanno alcune peculiarità: l’INPS e gli altri enti hanno poteri di riscossione coattiva analoghi al Fisco (utilizzano cartelle esattoriali e ingiunzioni, con privilegi sui beni del debitore analoghi a quelli tributari) e in più, il mancato versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti oltre una certa soglia e per oltre 3 mesi è sanzionato penalmente (art. 2, comma 1-bis D.L. 463/1983, conv. in L. 638/1983). Occorre però ricordare che la norma penale esclude il reato se il datore di lavoro paga le ritenute omesse entro il termine della contestazione o comunque prima del giudizio – quindi una forma di “ravvedimento operoso” è possibile fino all’ultimo (purché si paghino anche le sanzioni civili).
I debiti previdenziali, come quelli fiscali, beneficiano di privilegio generale sui mobili e crediti dell’azienda, il che li rende debiti preferenziali in caso di concorso. Ciò implica che, ad esempio, in un concordato preventivo con liquidazione, se l’attivo è sufficiente, i crediti INPS e INAIL devono essere soddisfatti prima dei fornitori chirografari. Se l’attivo non basta a pagarli integralmente, possono essere parzialmente falcidiati solo mediante l’adesione dell’ente a una transazione contributiva, similmente a quanto detto per il Fisco . Anche l’INPS storicamente è stata poco incline ad accettare riduzioni, preferendo riscuotere per intero (magari dilazionato). Per questo la riforma ha esteso il cram down anche ai contributi: oggi il giudice può omologare un accordo o concordato anche senza l’adesione formale di INPS, se ritiene che l’offerta ai contributi è equa e almeno pari a quanto avrebbero in liquidazione . Ciò risponde alle “resistenze” note degli enti previdenziali nel prendere decisioni discrezionali (spesso gli funzionari temevano la responsabilità erariale nell’abbuonare contributi ).
Difendersi dai debiti previdenziali significa, come per i fiscali, sfruttare le dilazioni e le sanatorie disponibili. L’INPS consente piani di rateazione di regola fino a 24 mesi, estensibili in casi eccezionali. Periodicamente, il legislatore ha incluso i contributi nelle definizioni agevolate (ad es. la rottamazione cartelle include anche crediti INPS in cartella). Un’azienda in crisi dovrebbe attivarsi per ottenere un DURC interno (documento di regolarità contributiva) attraverso la rateazione: se infatti il debito è rateizzato e la prima rata pagata, l’INPS rilascia il DURC regolare, consentendo all’impresa di continuare a partecipare ad appalti o ottenere pagamenti dalla PA. Questo è vitale: perdere il DURC (perché non si pagano i contributi) può far estromettere l’azienda da lavori pubblici o bloccare i saldi su contratti pubblici, aggravando la crisi. Quindi, mai ignorare il DURC: meglio una rateazione anche sofferta che risultare irregolari.
Se l’azienda ha dipendenti, una crisi profonda spesso la costringe a ridurre il personale. Attenzione: i TFR e le ultime tre mensilità dei dipendenti hanno super-privilegio e in caso di insolvenza vengono pagati dal Fondo di Garanzia INPS (che poi si insinua al posto dei lavoratori). Ma l’INPS può farlo solo se c’è stata un’apertura di procedura concorsuale (concordato o liquidazione) o un tentativo di esecuzione infruttuoso. Dunque, se l’azienda non è più in grado di pagare stipendi e liquidazioni, forse è il segnale che occorre attivare una procedura concorsuale anche nell’interesse dei dipendenti (per far intervenire il Fondo di Garanzia). Trattenere i dipendenti senza pagarli aggrava debiti e responsabilità: i crediti di lavoro maturano interessi e rivalutazione, e l’amministratore rischia denunce. Meglio eventualmente ricorrere a strumenti come la cassa integrazione guadagni (se crisi temporanea) o accordi sindacali per ridurre il personale con incentivo all’esodo, prima che la situazione degeneri.
Nel contesto del Codice della crisi, i debiti contributivi rientrano nelle possibili transazioni. Ad esempio, in composizione negoziata, con la riforma 2024 è ora possibile proporre una transazione contributiva anche senza essere in procedura concorsuale . Pertanto l’imprenditore può, durante le trattative assistite dall’esperto, cercare un accordo con l’INPS per pagare parzialmente i contributi dovuti, ottenendo il consenso dell’ente. L’esperienza insegna che tali accordi sono delicati, ma l’orientamento normativo attuale è di includere anche il pubblico nelle soluzioni negoziate, per evitare che la presenza di debiti previdenziali/fiscali precluda ogni via d’uscita diversa dal fallimento .
In sintesi, per difendersi dai debiti previdenziali il debitore deve: i) regolarizzare per quanto possibile la posizione (rateazioni) per non compromettere il DURC; ii) includere l’INPS e gli altri enti nelle eventuali proposte di ristrutturazione, offrendo loro il massimo sostenibile, consapevole che oggi il giudice può imporglielo se è comunque la soluzione più vantaggiosa; iii) evitare comportamenti omissivi prolungati (il non versare contributi per anni, oltre a generare debito, può far scattare controlli, cartelle esattoriali cumulative e sanzioni altissime – si ricordi che le sanzioni civili per omesso versamento contributi possono arrivare al 30% annuo). Meglio quindi affrontare il problema subito: se l’azienda ha un calo di commesse e non riesce a sostenere l’organico, è più responsabile ridurre i costi del lavoro tempestivamente (magari con accordi per CIG o licenziamenti incentivati) piuttosto che accumulare debiti contributivi che poi strangolano la possibile ripresa.
Riepilogo dei rischi per tipologia di debito
Possiamo riassumere i rischi principali e le strategie difensive per ciascuna categoria di debito in una tabella riepilogativa:
| Tipologia di debito | Rischi se insoluto | Strategie difensive / Soluzioni |
|---|---|---|
| Fiscale (Erario) | – Aggressiva riscossione coattiva (cartelle, ipoteche, pignoramenti) <br> – Accumulo di interessi e sanzioni <br> – Possibile responsabilità penale per IVA/ritenute omesse | – Rateizzazioni fino a 72/120 mesi; adesione a eventuali rottamazioni <br> – Transazione fiscale in piani concordatari/accordi (pagamento parziale con attestazione) <br> – Cram down fiscale (omologazione forzata nonostante dissenso Fisco) dal 2023 <br> – Evitare inadempimenti su IVA/ritenute per non incorrere in reati; privilegiare versamenti essenziali o ravvedimento operoso. |
| Bancario/Finanziario | – Revoca fidi e richiesta immediata dell’intero debito (decadenza dal termine) <br> – Escussione garanzie (ipoteche, pegni, fideiussioni) <br> – Segnalazione in Centrale Rischi (pregiudica credito futuro) | – Rinegoziazione bilaterale (moratorie private, allungamento piani di rientro) <br> – Piano attestato di risanamento (accordo stragiudiziale con attestazione, tutela da revocatorie) <br> – Accordo di ristrutturazione omologato (vincola anche dissenzienti se ≥60% consenzienti) <br> – Misure protettive in composizione negoziata (sospensione azioni esecutive e segnalazioni CR) <br> – Coinvolgimento del ceto bancario in piani concordatari con eventuale accordo ad efficacia estesa (cram-down intra-categoria al 75%) . |
| Fornitori (Commerciali) | – Azioni legali individuali (decreti ingiuntivi, pignoramenti) <br> – Interruzione forniture essenziali (blocca produzione) <br> – Perdita fiducia e reputazione commerciale | – Negoziare piani di rientro bilaterali, mantenendo fornitori strategici operativi <br> – Misure protettive in concordato/composizione negoziata per sospendere azioni esecutive <br> – Concordato preventivo con continuità: pagamento parziale dei chirografari, ma continuità delle forniture cruciali (fornitori strategici pagati in prededuzione su nuove forniture) <br> – Accordi stragiudiziali collettivi (es. accordo firmato da molti fornitori per saldo e stralcio) con eventuale omologa ex art. 48 CCII per renderli sicuri. |
| Previdenziali (INPS/INAIL) | – Azioni esattoriali analoghe al Fisco (cartelle, fermi) <br> – Perdita regolarità DURC (esclusione da appalti, sospensione pagamenti PA) <br> – Sanzioni civili elevatissime su omessi contributi <br> – Rischio penale per omesso versamento ritenute previdenziali (oltre soglie) | – Rateizzazioni presso INPS (tipicamente 24-36 mesi) e mantenimento DURC regolare <br> – Sanatorie se previste (es. inclusione in rottamazione cartelle) <br> – Transazione contributiva in piani/accordi (simile a transazione fiscale) <br> – Cram down contributivo con omologa giudiziale in caso di dissenso ente <br> – Attivare ammortizzatori sociali (CIG) o ridurre personale per evitare accumulo di nuovi contributi insoluti <br> – In procedure liquidatorie, ricorso al Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime mensilità (tutela dipendenti, evita ulteriori vertenze). |
(Le fonti normative e giurisprudenziali citate sono indicate in dettaglio nella sezione “Fonti” in fondo alla guida.)
Procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza
Passiamo ora in rassegna gli strumenti giuridici che l’ordinamento italiano mette a disposizione di un imprenditore indebitato per gestire e risolvere la crisi. Questi strumenti vanno dalle soluzioni pre-concorsuali e negoziali – finalizzate a evitare l’apertura di una procedura concorsuale tramite accordi e ristrutturazioni – fino alle procedure concorsuali vere e proprie (concordato preventivo, liquidazione giudiziale ex fallimento) e alle procedure per i soggetti non fallibili (sovraindebitamento, ora ricomprendente istituti come il concordato minore e la liquidazione controllata). Ciascuno di questi strumenti ha presupposti di accesso, finalità e conseguenze diverse, che analizzeremo in un’ottica pratica ma avanzata. L’obiettivo è chiarire “cosa fare” e “come difendersi” nelle varie fasi: dalla prevenzione (allerta tempestiva e composizione negoziata) alla ristrutturazione (piani attestati, accordi, concordati) fino, se tutto il resto fallisce, alla liquidazione ordinata dell’azienda con possibilità di esdebitazione finale del debitore.
Prima di iniziare, è utile ricordare alcune definizioni chiave date dal Codice della crisi (art. 2 CCII): lo stato di crisi è “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi” . L’insolvenza vera e propria è invece “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni” . In parole semplici, la crisi è una situazione di difficoltà finanziaria che lascia intravedere un rischio concreto di futura insolvenza (esempio: liquidità insufficiente secondo le proiezioni), mentre l’insolvenza è la conclamata incapacità di pagare man mano i debiti alle scadenze (esempio: stipendi e fornitori non pagati da mesi, esposizioni scadute ecc.). Questa distinzione è importante perché alcuni strumenti possono (o devono) essere attivati prima che l’insolvenza si materializzi, ovvero in fase di “semplice” crisi, in un’ottica di prevenzione. Altri invece operano in presenza di insolvenza conclamata. Inoltre, il CCII definisce il sovraindebitamento come “lo stato di crisi o insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative […] e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale” . In pratica sono sovraindebitati coloro che, pur essendo insolventi o in crisi, non possono essere dichiarati falliti (liquidazione giudiziale) perché sono consumatori o piccoli imprenditori sotto le soglie di fallibilità (vedremo tra poco quali) o altri soggetti esclusi.
Tenendo a mente queste categorie, procediamo a illustrare i diversi percorsi.
Strumenti di allerta precoce e assetti preventivi
Un aspetto innovativo della riforma è l’attenzione alla prevenzione: invece di intervenire solo a disastro avvenuto, il legislatore ha introdotto meccanismi per intercettare i segnali di crisi e agire prima che diventi insolvenza conclamata. Due pilastri in tal senso sono: gli obblighi organizzativi degli imprenditori e le segnalazioni d’allerta (queste ultime per ora limitate).
Adeguati assetti organizzativi: l’art. 2086 comma 2 del codice civile, come modificato dal Codice della crisi, obbliga l’imprenditore che opera in forma societaria o collettiva a dotarsi di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale . Inoltre impone agli amministratori di attivarsi senza indugio per adottare uno degli strumenti di superamento della crisi appena questa risulti dalle rilevazioni . In altre parole, la legge pretende che le aziende (anche PMI) abbiano sistemi interni di controllo di gestione, budgeting, indicatori finanziari (come l’indice DSCR – Debt Service Coverage Ratio – o altri parametri) per capire se tra 6-12 mesi potrebbero avere problemi a pagare i debiti. Se questi sistemi segnalano per tempo un rischio di insolvenza, i vertici aziendali devono immediatamente studiare contromisure (ristrutturazione del business, ricerca di nuovi capitali, oppure attivare procedure come la composizione negoziata). Questo dovere è presidiato anche da sanzioni indirette: un amministratore che non predispone adeguati assetti e lascia aggravare il dissesto potrebbe essere ritenuto responsabile verso i creditori sociali per aver aggravato il passivo (ex art. 2486 c.c. e giurisprudenza correlata). Ad esempio, la Cassazione ha affermato che la violazione dei doveri organizzativi e di conservazione del patrimonio sociale in prossimità della crisi può dar luogo a responsabilità per il danno ai creditori . Dunque, già prima che i debiti vadano fuori controllo, la legge spinge il debitore a “mettere i sensori” e muoversi per tempo.
Segnalazioni di allerta esterne: il CCII originariamente prevedeva un sistema di “allerta esterna” mediante segnalazioni obbligatorie da parte di alcuni creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, Agente Riscossione) al verificarsi di certi ritardi nei pagamenti fiscali/previdenziali sopra soglie predeterminate, e da parte degli organi di controllo societari (collegio sindacale, revisori) al manifestarsi di indizi di crisi. Queste segnalazioni sarebbero dovute confluire in un invito rivolto all’imprenditore a presentare istanza di composizione negoziata o altra misura. Tuttavia, l’entrata in vigore di questo sistema di allerta è stata più volte rinviata e solo in parte attuata. In particolare, le segnalazioni esterne dei creditori pubblici sono ora disciplinate ma rese operative dal 2024: ad esempio, l’Agenzia delle Entrate invierà una segnalazione se risultano debiti IVA significativi e non pagati, l’INPS per contributi non versati oltre soglie, ecc., invitando l’impresa a intervenire . In ogni caso, il perno rimane la composizione negoziata della crisi come vedremo nel prossimo paragrafo: più che un allerta “pubblico” punitivo, si è preferita una strada che aiuti le imprese a trovare soluzioni volontarie con la guida di esperti.
In pratica, un imprenditore oculato non dovrebbe mai aspettare le “spie rosse” esterne: se i flussi di cassa prospettici indicano che tra qualche mese non si riuscirà a far fronte alle uscite, è il momento di attivarsi spontaneamente. Tra gli strumenti utili c’è il c.d. check-up aziendale o test pratico di autodiagnosi. Unioncamere, ad esempio, ha reso disponibile sul portale della composizione negoziata un test pratico di autovalutazione della probabilità di risanamento: circa il 35% delle imprese che hanno approcciato la composizione negoziata ha utilizzato tale test . Se il test (basato su indicatori come patrimonio netto, DSCR, posizione finanziaria, ecc.) segnala che la crisi è affrontabile, è incoraggiante proseguire; se invece indica gravità, meglio forse prepararsi a soluzioni più drastiche. A conferma dell’importanza dell’approccio preventivo, recenti modifiche normative (D.Lgs. 83/2022) hanno chiarito che gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza possono essere preceduti dalla composizione negoziata : segno che il legislatore vede la fase negoziale assistita come naturale preludio per evitare la liquidazione giudiziale.
Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa
La composizione negoziata della crisi d’impresa (CNC) è uno dei capisaldi della riforma introdotti a partire dal 2021 (D.L. 118/2021, conv. L. 147/2021) e ora integrata nel CCII (artt. 12-25 quinquies). Si tratta di una procedura volontaria, riservata e stragiudiziale che consente all’imprenditore in condizioni di squilibrio (patrimoniale o economico-finanziario) che rendono probabile la crisi o l’insolvenza di tentare il risanamento dell’impresa con l’assistenza di un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione presso la Camera di Commercio. È aperta a tutte le imprese, di qualsiasi dimensione o settore, incluse le agricole e quelle “sotto soglia” (piccoli imprenditori) . A differenza delle procedure concorsuali classiche, nella composizione negoziata l’imprenditore mantiene la gestione dell’impresa (nessuno spossessamento), e l’obiettivo è agevolare trattative con i creditori per trovare una soluzione concordata alla crisi, che può variare: nuovo finanziatore o investitore, rinegoziazione dei debiti, conferimento d’azienda, accordi transattivi, ecc. L’esperto nominato funge da facilitatore imparziale, cercando di trovare un equilibrio tra le parti.
Quando e come si accede: l’imprenditore (o gli amministratori, se società) decidono di presentare istanza tramite la piattaforma telematica dedicata (gestita da Unioncamere) . Devono allegare una serie di documenti: situazione economico-patrimoniale aggiornata, elenco creditori, piano finanziario a 6 mesi, etc., e dichiarare se necessitano di misure protettive. La decisione di accedere alla CNC, se si tratta di società, deve essere deliberata dagli amministratori e verbalizzata da notaio, con deposito al Registro Imprese . Questo aspetto sottolinea la serietà dell’iniziativa: è un atto formale dell’organo gestorio. Una volta presentata domanda, una commissione presso la Camera di Commercio designa un esperto scelto da un apposito elenco nazionale di professionisti (avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro con formazione specifica) che abbia competenze nel settore e nessun conflitto d’interessi. L’esperto accetta l’incarico e da quel momento iniziano le trattative.
Effetti e misure protettive: su richiesta del debitore, l’autorità giudiziaria può confermare misure protettive temporanee che scattano con la domanda: in particolare, i creditori non possono, per il momento, iniziare o proseguire azioni esecutive né acquisire diritti di prelazione sul patrimonio del debitore . Ciò equivale a uno “standstill” legale: i fornitori non possono pignorare, le banche non possono escutere le garanzie, nessuno può ipotecare nuovi beni. Tali misure di protezione, concesse in via d’urgenza, devono essere confermate dal tribunale entro breve (entro 30 giorni prorogabili) dopo aver sentito le parti . Inoltre – e questa è una peculiarità introdotta nel 2022 – l’imprenditore in composizione negoziata può chiedere di sospendere temporaneamente le norme societarie che obbligherebbero alla ricapitalizzazione o scioglimento per perdite (art. 20 CCII): in sostanza, se ha perdite che erodono il capitale di oltre 1/3 o sotto il minimo legale, può non adottare subito provvedimenti ex artt. 2447/2482-ter c.c., se la CNC è in corso . Questo evita di dover mettere la società in liquidazione mentre si tenta il salvataggio. Ancora, sul fronte finanziamenti, la legge incentiva la concessione di finanza esterna ponte: i nuovi finanziamenti erogati durante la CNC con il placet dell’esperto possono ottenere privilegio in un eventuale successivo concorso (prededucibilità), così da incoraggiare banche o soci a immettere liquidità per traghettare l’azienda fuori dalla crisi .
Durante le trattative, l’esperto convoca le parti (creditori principali, soci, eventuali investitori interessati) e cerca di facilitare un accordo. Egli redige relazioni periodiche sullo stato delle trattative. Ha anche il potere di segnalare eventuali atti in frode o comportamenti scorretti dell’imprenditore (in tal caso può rinunciare all’incarico e fare una relazione al tribunale). L’imprenditore resta alla guida ma deve agire in buona fede e tenere informato l’esperto. Importante: non vi è una predeterminata soluzione in CNC – non è come il concordato che ha regole di proposta. In CNC le parti sono libere di trovare qualsiasi soluzione, purché lecita, e se raggiungono un accordo questo può essere di vari tipi: un semplice accordo stragiudiziale con tutti o alcuni creditori, un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (si può “convertire” la CNC in un accordo ex art.57 CCII), un concordato preventivo (la CNC può sfociare nel deposito di un concordato), o ancora un cosiddetto piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) introdotto dalla riforma 2022, o infine, se proprio non c’è altra via, un concordato semplificato per la liquidazione. Di fatto, la CNC funge da “porta d’accesso” a tutte le soluzioni della crisi d’impresa . Le statistiche Unioncamere indicano come esiti positivi della CNC: la stipula di accordi con creditori (anche non formalizzati come 182-bis), il deposito di concordati, il raggiungimento di piani attestati, ecc., tutti conteggiati come casi di crisi risolta grazie alla CNC . Al crescere del suo utilizzo (oltre 2.469 istanze cumulative entro marzo 2025) , la composizione negoziata si è guadagnata la fama di “regina delle ristrutturazioni aziendali” in questa fase storica .
Novità del 2024: il correttivo ter (D.Lgs. 136/2024) ha reso la CNC ancora più appetibile. Ha introdotto incentivi fiscali (le cosiddette misure premiali): ad esempio, se un’impresa avvia la CNC, alcune sanzioni tributarie eventualmente irrogate possono essere ridotte se si paga il dovuto entro certi termini ; inoltre, sono sospese durante la procedura alcune cause di scioglimento societario per perdite (come già detto). Soprattutto, ha esteso la transazione fiscale alla CNC: ora durante la composizione negoziata è possibile proporre all’Agenzia delle Entrate e agli enti previdenziali il pagamento parziale/dilazionato di imposte e contributi (prima questo era dubbio), e se la trattativa riesce l’accordo raggiunto può essere omologato dal tribunale con procedura semplificata . Significa che l’imprenditore, col supporto dell’esperto, potrebbe chiudere la CNC avendo anche “pacificato” la posizione col Fisco senza passare per un formale concordato preventivo. Sono dettagli tecnici innovativi, ma che hanno un forte impatto pratico: molte crisi aziendali in Italia vanno a monte perché l’Erario è insoddisfatto; includerlo già in sede di CNC è un passo avanti. Infine, il correttivo ha chiarito vari aspetti procedurali, ad esempio sui doveri delle banche durante la CNC (devono valutare proposte di rinegoziazione in buona fede, pena possibili valutazioni negative del loro comportamento). E la durata: la CNC dura inizialmente 180 giorni, prorogabili su richiesta motivata. Non può trascinarsi troppo a lungo, perché la ratio è di trovare una soluzione in tempi rapidi se c’è margine.
Quando conviene la CNC? Certamente quando l’impresa è ancora economicamente viva ma finanziariamente in difficoltà. Se l’azienda di resine epossidiche ha ordini e un mercato, ma è oppressa dai debiti pregressi o da uno shock temporaneo (es. aumento materie prime che ha eroso la liquidità), la CNC è lo strumento ideale per evitare di arrivare al fallimento: consente di congelare per un po’ i creditori e intavolare accordi, magari ottenere nuova finanza e ripartire. Le statistiche mostrano che inizialmente le microimprese erano restie ad utilizzarla (solo 4% di “imprese sottosoglia” tra le istanze) , ma nel 2024-25 anche aziende più strutturate hanno iniziato ad usarla e con buoni successi (diversi casi noti: es. la squadra di calcio Sampdoria è stata risanata tramite CNC nel 2023 con ingresso di nuovi investitori, casi industriali come Trussardi o Rizzani de Eccher idem) . L’aumento dell’utilizzo, triplicato nel 2025 rispetto al 2023, indica che professionisti e imprese stanno prendendo confidenza con lo strumento . Quindi, dal punto di vista del debitore, la composizione negoziata è oggi un’opzione da valutare seriamente non appena i primi indicatori di crisi compaiono: può essere intrapresa prima che qualche creditore depositi istanza di fallimento o prima che si accumulino troppi decreti ingiuntivi. È riservata (non c’è pubblicità iniziale, salvo la pubblicazione di un avviso se si chiedono misure protettive, ma i dettagli rimangono riservati) e relativamente flessibile. Se funziona, l’azienda esce dai riflettori giudiziari; se non funziona, si potrà comunque ripiegare su concordato o altre soluzioni senza aver perso troppo tempo.
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)
Il piano attestato di risanamento è uno strumento di natura contrattuale, già previsto dalla vecchia legge fallimentare (art. 67 co.3 lett. d) e ora regolato dall’art. 56 CCII. Non si tratta di una procedura concorsuale né prevede l’omologazione da parte del tribunale; è in sostanza un piano di risanamento aziendale predisposto dall’imprenditore in crisi e asseverato da un professionista indipendente (attestatore), il quale certifica che il piano è realistico e idoneo a riportare l’azienda in bonis. Il vantaggio principale di questo strumento è che gli atti e pagamenti compiuti in esecuzione del piano attestato sono esentati dall’azione revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento (art. 166 CCII, ex art. 67 LF) . Ciò dà sicurezza ai terzi che partecipano al piano (es. banche che acconsentono a ristrutturare il debito, nuovi finanziatori, fornitori che accettano un saldo e stralcio): non dovranno temere che, se l’azienda poi fallisce comunque, il curatore venga a chiedere indietro i pagamenti ricevuti o contesti le garanzie concesse.
Contenuto del piano: non è rigidamente tipizzato dalla legge, se non nel fine: deve avere l’obiettivo di ristrutturare i debiti e riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa, assicurandone la continuità (o anche la cessione dell’azienda, volendo). Può quindi prevedere di tutto: dilazioni di pagamento, stralci concordati con alcuni creditori, aumento di capitale, dismissione di asset non strategici, conversione di debiti in capitale, ecc. L’attestatore – solitamente un commercialista esperto in crisi – verifica i numeri e le ipotesi e rilascia una relazione di attestazione in cui afferma che il piano è fattibile e che verosimilmente eviterà l’insolvenza. Non occorre il consenso di tutti i creditori, anzi il piano può coinvolgerne solo alcuni (tipicamente le banche) e lasciarne fuori altri, a differenza di accordi e concordati dove bisogna considerare la massa creditoria. Questa libertà è utile per interventi chirurgici. Tuttavia, attenzione: gli eventuali creditori estranei al piano non subiscono effetti dal piano stesso (possono comunque agire per conto loro, a meno che il debitore non ottenga un accordo anche con loro). Dunque il piano attestato funziona bene nelle situazioni in cui la crisi si può risolvere con accordi con determinate controparti cruciali, e i restanti debiti non sono allarmanti o possono essere pagati regolarmente.
Procedura: praticamente, il debitore redige il piano, incarica un attestatore, e una volta ottenute le necessarie adesioni contrattuali dei creditori coinvolti, esegue il piano. Non c’è deposito in tribunale né pubblicità, tranne la possibilità – introdotta dal D.Lgs. 83/2022 – di pubblicare il piano attestato nel Registro delle Imprese (su base volontaria) per cristallizzare la data ed estendere gli effetti protettivi sui pagamenti. Se pubblicato, infatti, i pagamenti e le garanzie concesse in esecuzione del piano successivi alla pubblicazione sono protetti dalle revocatorie . La pubblicazione può servire anche per comunicare al mercato che l’impresa ha un piano di risanamento in corso, magari per prevenire istanze di fallimento da creditori impazienti (non esiste però una vera automatic stay come nel concordato).
Quando utilizzarlo: il piano attestato è indicato per crisi di relativamente lieve entità o iniziali, dove l’imprenditore confida di uscirne con misure rapide e accordi con pochi stakeholder (es: rinegoziazione solo con banche e soci). È uno strumento molto flessibile e riservato, ma richiede di base che non tutti i creditori premano allo stesso modo. Se invece c’è già un ceto creditorio ampio in fibrillazione, il piano attestato rischia di non contenere le azioni legali indesiderate, perché il creditore estraneo non è vincolato. Ad esempio, se ho 50 fornitori non pagati e ne attesto un piano ristrutturando debiti solo con banche, quei fornitori potrebbero farmi fallire comunque con istanze. Quindi il suo campo d’elezione è la pre-crisi o le ristrutturazioni finanziarie appunto. Notiamo che, grazie all’attestazione, questo piano gode di una fiducia: molti contratti di finanziamento bancario includono clausole di “risanamento”: la banca può accettare modifiche al credito solo se l’azienda presenta un piano attestato. Dunque, è un istituto ben visto anche dagli istituti di credito. Nell’arsenale del debitore, il piano attestato è la prima opzione, quella “meno invasiva” e meno pubblica. Se c’è tempo e modo di usarlo, bene. Ma se la situazione è già grave, potrebbe non bastare.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) sono il passo successivo in termini di formalità. Previsti ora dall’art. 57 CCII (corrispondente all’art. 182-bis L. Fall.), sono accordi che il debitore conclude con una percentuale qualificata di creditori (almeno il 60% dei crediti totali) e che vengono sottoposti all’omologazione del tribunale . A differenza del piano attestato, qui l’autorità giudiziaria interviene per dichiarare vincolante l’accordo anche rispetto ai creditori non aderenti (purché soddisfatti integralmente fuori dall’accordo). Sono quindi un ibrido: negoziali nella formazione, giudiziali negli effetti. L’accordo omologato ha efficacia esecutiva e preclude azioni individuali dei creditori rispetto ai crediti ristrutturati secondo i termini pattuiti.
Iter procedurale: il debitore deve presentare ricorso al tribunale allegando l’accordo firmato dai creditori che rappresentano almeno 60% dell’esposizione, una relazione di un professionista attestatore sull’attuabilità dell’accordo e sulla capacità di pagare i creditori estranei nei termini (non oltre 120 giorni dalla scadenza originaria o dall’omologazione) . Il tribunale, valutati i requisiti, omologa l’accordo rendendolo efficace erga omnes. Durante il procedimento può anche concedere misure protettive simili a quelle del concordato (sospensione delle azioni esecutive). I creditori estranei, come detto, devono essere pagati integralmente entro stretti termini per legge, altrimenti l’omologazione non può essere data . Questo per tutelare chi non ha partecipato: in sostanza, l’accordo di ristrutturazione non può peggiorare la loro situazione (se subiscono ritardi, devono accettare; se non accettano, l’azienda deve comunque pagarli come da scadenze massime previste).
Negli ultimi anni gli ARD si sono arricchiti di varianti, come accennato: – Accordi agevolati (30%): Introdotti dal 2022 (recependo la direttiva UE 2019/1023), permettono – in casi di indebitamento limitato – di omologare un accordo con soli creditori rappresentanti il 30% del totale debiti . Le condizioni sono stringenti: il debito da ristrutturare deve essere non superiore al 30% dell’indebitamento complessivo, i creditori estranei (quindi il 70% non toccato) vanno pagati per intero e senza dilazioni (non oltre le normali scadenze) , e il debitore non deve richiedere misure protettive (quindi niente congelamento delle azioni: a sottolineare che l’azienda non è in insolvenza grave ma anticipa la soluzione). In pratica, è pensato per crisi iniziali in cui con un accordo su una fetta minoritaria di debiti (es. un pool bancario) si risolve il problema – si evita di coinvolgere tutti i creditori in procedura. – Accordi ad efficacia estesa (cram down di classe): Previsti dall’art. 61 CCII, consentono che l’accordo ristrutturi anche i creditori dissenzienti appartenenti a una certa categoria omogenea, se al suo interno si raggiunge il 75% di consensi . Questo deriva dall’ex art. 182-septies L.F., inizialmente per le banche, ora generalizzato: immaginando di raggruppare i creditori per classi (ad es. tutte le banche in una classe, i bondholder in un’altra), se in una classe l’accordo lo sottoscrivono almeno i 3/4 dei crediti, il tribunale può estenderne gli effetti anche al 1/4 contrario . Ciò serve a evitare opposizioni opportunistiche di minoranze. Sono previsti obblighi informativi rigorosi a tutti i membri della categoria dissenzienti (devono essere messi a conoscenza adeguata delle trattative sin dall’inizio) e garanzie: ad esempio, i creditori cramdownati non possono subire obblighi nuovi (non gli si può imporre di dare nuovi soldi, mantenere fidi, ecc., contro la loro volontà) . Questo strumento è molto potente se ben usato: permette di chiudere una ristrutturazione anche con qualche “franco tiratore” contrario.
Transazione fiscale e contributiva nell’accordo: come già evidenziato, se l’accordo tocca debiti fiscali o contributivi, si può inserire una proposta di transazione ex art. 63 CCII . L’adesione delle Agenzie fiscali e dell’INPS è determinante, ma con il correttivo 2024 se anche non aderiscono, il debitore può chiedere al tribunale di omologare lo stesso (“omologazione forzosa”) a condizione che l’attestatore dichiari che il trattamento proposto a fisco/enti è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria . Le ultime prassi nel 2025 vedono tribunali iniziare ad applicare questo meccanismo, superando il veto degli enti quando sono irragionevolmente rigidi . Dunque, un accordo di ristrutturazione ben congegnato oggi può affrontare tutti i tipi di debito: privati e pubblici.
Pregi e difetti per il debitore: il vantaggio degli ARD è che, pur essendo relativamente rapidi e riservati (vengono pubblicati solo all’omologazione, a differenza di un concordato che pubblica subito la domanda), offrono una maggiore vincolatività e protezione rispetto a piani attestati: si possono bloccare i creditori dissenzienti durante la pendenza (chiedendo le misure protettive ex art. 54 CCII), e dopo l’omologa quelli ristrutturati devono rispettare l’accordo. Inoltre, c’è flessibilità: non serve il 100% di adesioni, ma almeno il 60%. Lo svantaggio è che comunque serve un grado di consenso elevato; inoltre l’iter comporta costi (va pagato l’attestatore, le spese legali, contributo unificato, ecc.) e tempi di tribunale (qualche mese almeno). Se l’azienda è già insolvente (incapace di pagare regolarmente i creditori estranei per intero), un accordo di ristrutturazione puro potrebbe non essere utilizzabile, perché presuppone di pagare tutti gli estranei regolarmente (al più entro 120 giorni): se non si è in grado, bisogna optare per il concordato. In pratica, l’ARD è indicato per situazioni di crisi grave ma non catastrofica: c’è insolvenza sì, ma con l’accordo e magari un po’ di finanza nuova si può far fronte almeno ai piccoli creditori per tenerli buoni. Ad esempio, un’azienda con 10 milioni di debiti, di cui 8 verso banche e 2 verso vari fornitori: se le banche (80%) accordano dilazione e riduzione e l’azienda può comunque pagare i fornitori 100% (magari con nuovi apporti), un ARD è la via giusta. Se invece quell’azienda non riesce neanche a pagare i fornitori integralmente, serve un concordato preventivo dove anche i fornitori accettino un sacrificio.
Una volta omologato l’accordo, il debitore deve eseguirlo fedelmente. Se non lo fa, i creditori possono agire (l’accordo di per sé non nomina un commissario o altro: l’esecuzione è vigilata dai creditori stessi). Ci sono norme per la risoluzione dell’accordo in caso di inadempimento, similmente a un contratto.
Concordato preventivo (artt. 84 e ss. CCII)
Il concordato preventivo è probabilmente la procedura concorsuale di regolazione della crisi più nota e utilizzata storicamente. È una procedura giudiziale che consente al debitore insolvente (o in stato di crisi) di proporre ai creditori un piano per il soddisfacimento, alternativo alla liquidazione giudiziale, ed evitare così il fallimento, a patto di ottenere l’approvazione dei creditori e l’omologazione del tribunale. Il concordato può essere con continuità aziendale (quando prevede che l’attività dell’impresa prosegua, sia direttamente dal debitore sia da un eventuale acquirente/affittuario) oppure liquidatorio (quando prevede solo la liquidazione del patrimonio ma in modo concordato e con qualche beneficio rispetto al fallimento, come ad esempio un apporto esterno o la scelta del debitore del liquidatore). Nel nuovo Codice, il concordato preventivo rimane centrale e ne vengono delineate con precisione le condizioni.
Presupposti di accesso: può accedere al concordato ogni imprenditore commerciale insolvente o in crisi che sia assoggettabile a liquidazione giudiziale (cioè sopra le soglie di fallibilità) , nonché l’imprenditore minore e agricolo in determinate ipotesi (in realtà per essi ora c’è il concordato “minore”, di cui diremo). In pratica le società di capitali e le imprese medio-grandi. La domanda può essere presentata anche in riserva (il cosiddetto “concordato in bianco”, art. 44 CCII, ex art. 161 co.6 LF) depositando inizialmente solo la richiesta di concordato e ottenendo un termine per presentare il piano dettagliato . Il concordato “in bianco” serve a bloccare immediatamente le azioni dei creditori (viene concesso uno stay provvisorio) mentre si perfeziona il piano e la proposta; è spesso usato come mossa difensiva quando c’è il rischio di un’istanza di fallimento imminente: depositando la domanda di concordato con riserva si ottiene la sospensione della procedura prefallimentare e ci si compra tempo (fino a 120 giorni prorogabili di 60) per predisporre un piano . Oggi, tuttavia, come notava l’Avvocato Greggio, il “concordato in bianco” è molto meno frequente perché è stato di fatto sostituito dalla composizione negoziata come approccio iniziale alla crisi . Rimane comunque uno strumento a disposizione.
Struttura del concordato: la proposta di concordato deve garantire ai creditori un soddisfacimento non inferiore a quello ottenibile in caso di liquidazione giudiziale (principio del best interest of creditors), come attestato da un perito indipendente . Questo è fondamentale: il concordato non può mettere i creditori in posizione peggiore rispetto al fallimento. Inoltre, nel concordato liquidatorio puro, la legge richiede (art. 84 CCII) che venga apportata risorsa esterna o valore aggiuntivo tale da elevare di almeno il 10% il soddisfacimento dei chirografari rispetto a quanto avrebbero in fallimento – questa regola per stimolare l’uso del concordato solo se porta un beneficio in più (una sorta di “premio” ai creditori per l’accordo). Nel concordato in continuità, invece, non vige la regola del 10% ma la continuità stessa deve offrire prospettive migliori (es: mantenendo l’azienda in esercizio, i creditori potranno recuperare di più grazie a utili futuri o alla vendita dell’azienda come going concern).
Il piano di concordato normalmente suddivide i creditori in classi secondo posizione giuridica ed interessi omogenei (classazione obbligatoria se ci sono creditori con cause di prelazione o se trattamenti differenziati). Ad esempio, si fa la classe dei fornitori chirografari, la classe delle banche chirografarie, la classe dei privilegiati degradati, ecc. I creditori privilegiati devono essere soddisfatti integralmente, salvo che votino a favore di un trattamento inferiore (falcidia del privilegio) – possibile se la garanzia non copre interamente il credito e se così prevede la legge (es: l’IVA è privilegio generale sui mobili, spesso degrada in parte a chirografo e può subire falcidia come tale). I creditori chirografari ricevono una certa percentuale (che può variare da classe a classe) e/o altre utilità (quote di equity se c’è conversione, strumenti partecipativi, etc., la riforma consente soluzioni variegate). Il cuore del concordato è che i creditori votano sulla proposta: serve la maggioranza di crediti approvanti, calcolata sul totale ammesso al voto (maggioranza semplice >50%, oppure maggioranza per classi se ci sono classi). Se la proposta è approvata dalle maggioranze richieste e il tribunale la reputa conforme alla legge e fattibile, viene omologata e diventa vincolante per tutti i creditori anteriori.
Procedure e tutela del debitore: depositata la domanda di concordato (con o senza piano), il tribunale nomina un commissario giudiziale (figura di controllo) e fissa l’adunanza dei creditori. Nel frattempo, il debitore continua la gestione sotto la supervisione del commissario e dei giudici, e tutte le azioni esecutive individuali restano bloccate (divieto di iniziare o proseguire esecuzioni, come in CNC, e invalidità di ipoteche giudiziali iscritte dopo la domanda) . Questo dà respiro e difende l’azienda dalle aggressioni dei creditori mentre si prepara il risanamento. In più, i contratti pendenti possono essere, con autorizzazione del tribunale, sciolti o sospesi se la prosecuzione risulta d’intralcio al concordato (strumento utile ad esempio per liberarsi da locazioni troppo onerose, contratti svantaggiosi). Il debitore in continuità può anche ottenere finanziamenti prededucibili autorizzati dal giudice per portare avanti l’attività sino all’omologa. Insomma, il concordato fornisce uno scudo protettivo notevole (superiore a CNC, perché qui c’è l’ombrello del tribunale dall’inizio alla fine).
Differenza concordato in continuità vs liquidatorio: Nel concordato in continuità, l’impresa prosegue la sua attività durante e dopo la procedura, e i creditori vengono soddisfatti col ricavato della gestione corrente o di operazioni straordinarie (es. un aumento di capitale sottoscritto da un investitore, la cessione di un ramo d’azienda in esercizio, ecc.). È frequente che in tali concordati i creditori chirografari vengano soddisfatti parzialmente ma conservino il rapporto commerciale per il futuro – ad esempio, il fornitore vota sì a prendere il 40% del suo credito pregresso perché sa che l’azienda sopravviverà e continuerà ad essere cliente pagando i nuovi ordini regolarmente (quindi recupererà col tempo). Nel concordato liquidatorio, invece, l’azienda cessa l’attività e tutti i beni vengono liquidati (venduti) per distribuire il ricavato ai creditori. È simile a un fallimento ma, come detto, di solito prevede un qualche valore aggiunto (tipo: l’imprenditore ci mette soldi personali, oppure un terzo compra l’azienda a un prezzo migliore di quello d’asta, ecc.) e comunque è concordato coi creditori (evitando anni di incertezza). Dal 2022 è prevista anche la figura del concordato semplificato per la liquidazione (art. 25-sexies CCII) applicabile solo come esito infruttuoso di una composizione negoziata: in quel caso, se la CNC fallisce nel risanare l’impresa, il debitore può proporre entro 60 giorni un concordato liquidatorio senza voto dei creditori, che il tribunale può omologare se ritiene comunque che i creditori non subiscano pregiudizio . È uno strumento eccezionale e di recentissima introduzione (D.L. 118/2021) per evitare il fallimento quando le trattative non salvano l’azienda ma c’è comunque un piano di liquidazione più efficiente del fallimento (ad es. vendita unitaria dell’azienda a un soggetto individuato): i creditori in tal caso possono fare opposizione ma non votano. Ad esempio, il Tribunale di Lecce nel 2025 ha omologato un concordato semplificato in cui venivano falcidiati anche debiti tributari senza formale transazione fiscale, ritenendo che il piano fosse comunque migliorativo per l’Erario rispetto alla liquidazione ordinaria . Questo indica come la giurisprudenza stia utilizzando anche questo strumento quando opportuno.
Perché scegliere il concordato (dal punto di vista del debitore): se l’azienda ha tanti creditori eterogenei e non è possibile pagare integralmente quelli estranei a un accordo (ad es. tanti fornitori che non possiamo soddisfare al 100%), il concordato è spesso l’unica via per evitare la catastrofe della liquidazione giudiziale. È l’unico strumento che permette di imporre delle perdite (haircut) ai creditori chirografari senza il loro consenso individuale ma con una votazione a maggioranza. Quindi, quando serve falcidiare il debito diffuso, il concordato è la soluzione. Dal lato difensivo, presentare un concordato prima che i creditori ottengano sentenze o pignoramenti evita che i singoli si avvantaggino a scapito della par condicio: tutto viene congelato e portato dentro il piano comune . Inoltre, come detto, consente al debitore di liberarsi di contratti onerosi e di predisporre la cessione dell’azienda in modo ordinato se necessario. Un concordato ben fatto può salvare l’attività (direttamente o trasferendola a terzi) e contemporaneamente liberare il debitore dai debiti residui: dopo l’omologazione, il debitore esegue il piano e alla fine ottiene l’esdebitazione per la parte di crediti chirografari non soddisfatta (lo stesso effetto della liberazione da debiti del fallito, ma qui ottenuto in bonis). Ad esempio, se in concordato i creditori prendono il 30%, il restante 70% è inesigibile nei confronti dell’azienda e dei coobbligati per legge.
Approvazione e omologa: come notato, serve almeno il 50% dei crediti votanti a favore (o 2/3 se si calcola per classi, ma senza addentrarci troppo). Se ci sono classi dissenzienti, oggi il tribunale può ugualmente omologare il concordato (cram down interclassi) a certe condizioni dettate dalla direttiva Insolvency recepita col D.Lgs. 83/2022: ad esempio, che nessuna classe dissenziente riceva meno di quanto riceverebbe in liquidazione e che le classi in cui c’è consenso siano “ragionevoli” . La Corte d’Appello di Milano nel 2025 ha statuito che questo cram-down interclassi si applica anche ai concordati aperti prima delle ultime modifiche, in ossequio alla direttiva . Quindi ormai il tribunale ha strumenti per forzare l’omologa anche con qualche opposizione minoritaria.
Ruolo dell’imprenditore durante il concordato: a differenza della liquidazione giudiziale, nel concordato l’imprenditore (o i suoi amministratori) restano in carica e amministrano l’impresa sotto vigilanza. Solo in caso di abusi o gravi irregolarità il tribunale potrebbe revocare l’ammissione o nominare un amministratore giudiziario. Dunque, per l’imprenditore-debitore il concordato è un modo di conservare il controllo (seppur vigilato) del destino dell’azienda, contrariamente al fallimento dove subentra il curatore. Dal punto di vista emotivo e reputazionale, inoltre, il concordato porta meno stigma: già il legislatore ha cambiato i termini per attenuare l’infamia del “fallimento” (non si parla più di “fallito” ma di “debitore in liquidazione giudiziale” ), tuttavia per un imprenditore salvare la ditta con un concordato di successo è ovviamente preferibile che vederla fallire.
Va tuttavia considerato che preparare un buon concordato è impegnativo: occorre elaborare un piano industriale serio, ottenere spesso il supporto di un partner finanziario, convincere i creditori della convenienza. È costoso (compensi di commissari, attestatori, legali; cauzioni da versare a garanzia spese) e richiede trasparenza: il debitore dovrà aprire i libri contabili al commissario, le sue mosse saranno sindacate. Se l’imprenditore ha commesso irregolarità gravi prima, il concordato potrebbe essere respinto (ad es. se scoperti atti in frode ai creditori). Quindi non è una panacea né un diritto “facile”: ma rimane un potente strumento di difesa contro la dispersione del patrimonio nell’esecuzione collettiva incontrollata.
Strumenti per il sovraindebitamento (concordato minore, ristrutturazione dei debiti del consumatore, liquidazione controllata)
Finora abbiamo parlato di procedure destinate agli imprenditori soggetti a fallimento (liquidazione giudiziale). Ma se la nostra “azienda di resine epossidiche” fosse in realtà una piccola impresa sotto le soglie di fallibilità (es. un artigiano individuale con pochi dipendenti, o una SNC familiare di piccole dimensioni), oppure se i debiti fossero in capo all’imprenditore persona fisica non fallibile, entrerebbe in gioco la disciplina del cosiddetto sovraindebitamento, oggi contenuta nel CCII all’interno del Titolo IV Capo II. La legge 3/2012 (vecchia legge sul sovraindebitamento) è stata abrogata e sostituita da tre procedure nuove: il concordato minore, il piano di ristrutturazione del consumatore, e la liquidazione controllata.
Chi rientra in queste? Come accennato nella definizione di “sovraindebitamento” , sono ammesse: il consumatore sovraindebitato (debiti personali estranei ad attività di impresa), l’imprenditore minore (cioè l’imprenditore commerciale sotto soglia, i cui numeri non superano attivo €300k, ricavi €200k, debiti €500k ), l’imprenditore agricolo (esonerato da fallimento per sua natura), i professionisti e altri debitori non fallibili (es. enti non commerciali). Nel nostro esempio, se l’azienda di resine è una ditta individuale con fatturato di €150.000 annui e debiti totali €400.000, quell’imprenditore è “minore” e non subirebbe liquidazione giudiziale, bensì potrà ricorrere al concordato minore o alla liquidazione controllata.
Concordato minore: è l’equivalente dell’accordo di composizione della crisi ex L.3/2012, rivolto ai debitori non fallibili diversi dal consumatore . In pratica, l’imprenditore minore (o anche un professionista) può presentare al tribunale una proposta di concordato molto simile al concordato preventivo, con un piano che prevede la ristrutturazione dei debiti e il soddisfacimento parziale dei creditori . La differenza è che qui non c’è distinzione tra fallibile e non: il piccolo imprenditore, pur non essendo fallibile, può comunque rivolgersi al tribunale per far omologare un accordo con i creditori. Proceduralmente, c’è l’intervento di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) che assiste il debitore nella predisposizione della domanda , e il giudice nomina un professionista gestore che svolge funzioni simili a quelle del commissario (ma con compiti un po’ più operativi). I creditori votano la proposta e serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto per approvarla . Se approvata, il giudice omologa e il piano viene eseguito sotto controllo del OCC. È interessante notare che nel concordato minore, essendo per definizione il debitore “minore”, le masse sono ridotte e spesso non si formano classi; il voto è per teste di credito. La esdebitazione (liberazione dai debiti insoddisfatti) è garantita a fine procedura se il debitore ha adempiuto il piano. Una caratteristica del concordato minore (e delle procedure da sovraindebitamento in genere) è l’accento sulla meritevolezza del debitore: un comportamento gravemente colposo o frodelevo nell’indebitamento può portare a diniego dell’omologa. Ad esempio, se l’imprenditore ha dissipato attivi o contratto debiti spropositati sapendo di non poterli pagare, il giudice può non concedere l’esdebitazione finale per indegnità. Nella prassi, però, l’orientamento è abbastanza benevolo verso chi prova a risolvere con buona fede.
Piano di ristrutturazione del consumatore: questo è destinato esclusivamente al consumatore persona fisica, cioè chi ha debiti per scopi estranei ad attività imprenditoriali. Nel nostro caso, quindi, non riguarda l’azienda in sé ma, ipoteticamente, se il titolare avesse debiti personali (es. fideiussioni escusse, debiti di famiglia). Il piano del consumatore permette di proporre al giudice un pagamento parziale dei creditori, senza necessità di voto da parte loro – era così anche nella legge 3/2012: niente voto, decide tutto il tribunale valutando convenienza e meritevolezza. Ciò riflette la tutela del consumatore considerato parte debole. Ovviamente, deve essere garantito che il piano dà ai creditori almeno quanto otterrebbero altrimenti. Ad esempio, un consumatore insolvente con 100k di debiti può proporre di pagarne 30k in 5 anni, se quella è la sua sostenibilità, e se il giudice valuta che tanto avrebbero in liquidazione, omologa il piano e il debitore paga 30k e poi è liberato. Il Codice ha mantenuto sostanzialmente questo schema. Nel contesto aziendale, rileva se l’imprenditore è anche consumatore per alcune esposizioni: ad esempio, i debiti personali del socio di una s.n.c. (che risponde personalmente) non possono essere trattati come “consumatore” se sono connessi all’attività; lì andrà col concordato minore o la liquidazione.
Liquidazione controllata del sovraindebitato: sostituisce la vecchia “liquidazione del patrimonio” ed è analoga al fallimento ma in miniatura. Il debitore sovraindebitato (sia esso consumatore, piccolo imprenditore, ex imprenditore) può chiedere o subire la liquidazione controllata dei suoi beni da parte di un liquidatore nominato dal tribunale. Tutto il patrimonio viene venduto e il ricavato distribuito secondo le cause di prelazione. La differenza col fallimento classico è che qui la procedura è semplificata, non ci sono dichiarazioni di fallimento pubbliche (ma un’apertura di liquidazione), e alla fine è previsto di diritto l’esdebitazione dopo 3 anni dall’apertura per il debitore persona fisica . Questo ultimo punto è notevole: il nuovo art. 282 CCII stabilisce che il debitore meritevole che si sia spogliato di tutto in liquidazione ottiene automaticamente lo “scarico” dei debiti insoddisfatti trascorsi 3 anni dall’apertura, senza dover attendere la chiusura . In pratica, una liberazione anticipata per dargli modo di ripartire. Anche il debitore non meritevole può chiedere esdebitazione, ma solo dopo la chiusura e con condizioni.
Nell’ottica dell’azienda indebitata, queste procedure di sovraindebitamento entrano in gioco se l’impresa è troppo piccola per il concordato preventivo. Un vantaggio è che si usano gli OCC (Organismi di composizione della crisi) che aiutano il debitore a predisporre le istanze e fanno un po’ da guida – ciò è pensato per debitori non strutturati che non hanno consulenti interni. Il punto debole è che spesso le percentuali di soddisfo sono bassissime, e convincere creditori a votare un concordato minore può essere arduo se vedono che è quasi tutto perso. A tal proposito, la Cassazione a Sezioni Unite nel 2020 (sent. 320/2021) stabilì che nel sovraindebitamento non serve offrire una percentuale minima ai chirografari, basta la convenienza rispetto alla liquidazione. Questo principio rimane: se in liquidazione i creditori prenderebbero zero, anche offrire 5% può andare. Dal lato del debitore, il sovraindebitamento è un salvagente per liberarsi dai debiti anche se non si possiedono beni o risorse per fare offerte sostanziose. In casi estremi, c’è pure la procedura di esdebitazione del debitore incapiente (introdotta nel 2021) che consente al debitore persona fisica privo di ogni possibilità di pagare, di ottenere l’esdebitazione una tantum pur senza soddisfare i creditori (a certe condizioni). Questa è proprio l’ultima spiaggia, per evitare il cosiddetto debitore a vita.
Tornando alla nostra azienda di resine epossidiche: se fosse “piccola” e individuale, il titolare potrebbe percorrere il concordato minore per ristrutturare (ad esempio pagando i creditori al 30% con l’aiuto dei familiari) e continuare l’attività. Se invece l’impresa è ormai decotta, lui opterebbe per la liquidazione controllata per chiudere baracca e liberarsi dai debiti residui dopo 3 anni, eventualmente conservando l’abitazione come prevede la legge (la casa non ipotecata del debitore civile può essere esclusa dalla liquidazione in certi casi per esigenze abitative). In generale, l’apparato del sovraindebitamento riflette l’orientamento di politica legislativa: dare una seconda chance al debitore onesto ma sfortunato, senza più lasciarlo alla “morte civile” come succedeva decenni fa. L’Italia su spinta europea ha accolto questo concetto, bilanciandolo con le garanzie per i creditori (che comunque hanno voce in capitolo e richiedono trasparenza).
Liquidazione giudiziale (ex fallimento)
Nonostante tutti gli strumenti preventivi e negoziali, può accadere che l’impresa non riesca a evitare il default e si arrivi alla liquidazione giudiziale – il procedimento concorsuale che ha preso il posto del fallimento. La liquidazione giudiziale viene aperta dal tribunale su ricorso di un creditore, del debitore stesso o d’ufficio in rari casi, quando l’imprenditore insolvente non offre o non è in grado di perseguire soluzioni alternative . È la procedura liquidatoria per eccellenza: lo scopo è raccogliere e liquidare tutti i beni dell’impresa insolvente e distribuire il ricavato tra i creditori secondo la par condicio e le cause di prelazione .
Effetti e funzionamento: con la sentenza di apertura di liquidazione giudiziale, l’imprenditore viene spossessato dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, che passano in gestione a un Curatore nominato dal tribunale . Cessa l’attività d’impresa salvo esercizio provvisorio autorizzato (raro e breve, solo se serve vendere meglio l’azienda). Tutti i creditori concorrono nel procedimento e devono presentare domanda di insinuazione al passivo; i debiti vengono cristallizzati alla data di apertura (gli interessi si fermano per i chirografari). Gli organi della procedura (Giudice Delegato, Curatore, Comitato dei creditori) gestiscono l’attivo: vendono i beni mobili, immobili, crediti, eventuali rimanenze, e ripartiscono le somme secondo l’ordine delle cause di prelazione (prima prededucibili, poi privilegiati, infine chirografari pro quota). È un processo che può durare anni, specie se ci sono beni di difficile liquidazione o cause legali da seguire (azioni revocatorie, responsabilità contro amministratori, ecc.). Per il debitore è un periodo molto difficile: perde completamente il controllo dell’azienda, viene privato di eventuali poteri di firma, la società in sostanza muore come entità economica (salvo rare ipotesi di esercizio provvisorio per cedere l’azienda intera). Il nome del debitore viene iscritto in un registro dei debitori insolventi tenuto dalle Camere di Commercio. Tuttavia, la riforma ha voluto attenuare l’aspetto punitivo: come citato, la stessa terminologia “fallito” è abolita per legge . Inoltre, all’esito della procedura, l’imprenditore persona fisica ha diritto all’esdebitazione (art. 283 CCII): se ha cooperato e non ha commesso irregolarità gravi, otterrà dal tribunale la cancellazione dei debiti rimasti insoddisfatti (salvo quelli espressamente esclusi, ad es. debiti da risarcimento danni per illecito extracontrattuale o obblighi di mantenimento, che restano). Questa liberazione avviene su istanza e di regola dopo la chiusura della procedura, ma – come detto – per i sovraindebitati è anticipata dopo 3 anni. Dunque anche il fallimento oggi non è più per sempre: c’è vita dopo, a patto di aver agito correttamente.
Differenze con il passato: con il CCII il procedimento di liquidazione giudiziale è più organizzato rispetto al vecchio fallimento. Ad esempio, c’è un termine tendenziale di chiusura: entro 3 anni (prorogabili a 4 in casi complessi) si dovrebbero concludere le operazioni . In passato fallimenti trascinati per decenni erano comuni; oggi il legislatore cerca di evitarlo, anche se le proroghe sono possibili. Un’altra differenza è che oggi tutte le imprese commerciali sopra soglia possono essere assoggettate: prima c’erano esenzioni per alcune categorie (es. l’imprenditore che aveva pagato i creditori sociali). Oggi conta solo il criterio dimensionale: se superi le soglie di “impresa minore” e sei insolvente, rientri. Altra novità: le procedure si svolgono in modo telematico per buona parte (depositi su portale, ecc.), e vi è un procedimento unitario per insolvenza: se durante un concordato preventivo risulta che non va, il tribunale può dichiarare la liquidazione giudiziale senza far partire un nuovo iter (principio di unicità del procedimento) .
Dal punto di vista del debitore indebitato: la liquidazione giudiziale è ovviamente ciò che si vorrebbe evitare. Tuttavia, può diventare inevitabile se l’impresa è irreversibilmente insolvente e nessuna proposta di accordo o concordato è fattibile. In tal caso, prepararsi alla liquidazione può essere l’ultima forma di “difesa responsabile”: ad esempio, il debitore può presentare egli stesso ricorso per liquidazione giudiziale in proprio, chiedendo magari contestualmente misure per preservare alcuni aspetti (es: istanza di esercizio provvisorio per completare commesse pagabili, evitando danni maggiori ai creditori, oppure scelta condivisa del curatore se la legge locale lo consente). Presentarsi spontaneamente può evitare accuse di aggravamento del dissesto e spesso viene visto come condotta collaborativa (che facilita poi l’esdebitazione). Inoltre, anticipando il fallimento, l’imprenditore può predisporre i libri in ordine, un rapporto iniziale per il curatore, così da rendere la procedura più spedita. Questo è un consiglio pragmatico: se sai di non poter sfuggire al fallimento, meglio non arrivarci trascinato dai creditori quando magari il patrimonio è già diminuito e col rischio di querele; meglio governare la transizione con ordine.
Una volta aperta la procedura, il debitore (persona fisica) deve collaborare: ha obbligo di essere presente, fornire informazioni, consegnare documenti e non ostacolare il curatore. La mancata collaborazione è sanzionata (anche penalmente come bancarotta semplice, art. 217 L.F. ancora applicabile via rinvio) e comporta rigetto dell’eventuale esdebitazione. Quindi, la strategia difensiva qui è la cooperazione trasparente. Qualsiasi speranza di salvare qualcosa (per esempio, se emergono atti viziati da colpe di terzi, potresti collaborare con il curatore per fare cause e magari ricavarne qualcosa che eccede i crediti e ti ritorna) dipende dalla fiducia che costruisci.
Effetti sui garanti e soci: da ricordare che la liquidazione giudiziale di una società non copre i soci garanti: se i soci avevano garantito personalmente debiti sociali, i creditori possono attaccarli nei loro patrimoni (salvo anch’essi vadano in procedura di sovraindebitamento). Quindi l’azienda finisce, ma il rischio si sposta sulle persone. Frequentemente, fallita la s.r.l., i soci amministratori vengono coinvolti in cause di responsabilità o in reati fallimentari (bancarotta fraudolenta se hanno distratto beni, preferenziale se hanno pagato qualcuno preferendo altri, ecc.). Dal punto di vista “difesa legale”, è qui che entra il ruolo dell’avvocato penalista: evitare di commettere reati nelle fasi di crisi è fondamentale. Atti come sottrarre merce dai magazzini, vendere macchinari a parenti a prezzo vile, pagare solo il fornitore amico prima del fallimento, o peggio tenere doppie scritture, sono tutte condotte che possono portare in carcere l’imprenditore per bancarotta. Una difesa consapevole è dunque anche non fare mosse azzardate nei mesi di pre-fallimento. In Italia i reati fallimentari sono severamente puniti (bancarotta fraudolenta patrimonio o documentale può arrivare a 6-10 anni di reclusione). Ci sono stati casi in Cassazione (es. Cass. 34809/2025) che ribadiscono che per la bancarotta fraudolenta non occorre nemmeno il nesso tra distrazione e dissesto: basta l’atto distrattivo e il fallimento avvenuto, anche se quell’atto non fu causa diretta . Quindi non c’è scusa: meglio evitare qualunque operazione opaca e consegnarsi alla procedura con dignità.
Chiusura e post-fallimento: la procedura di liquidazione giudiziale si chiude con un decreto di chiusura una volta esaurito l’attivo. Se c’è stato qualche riparto ai creditori, bene; se no, viene chiusa per insufficienza (anche se in realtà il CCII scoraggia l’apertura di procedure se non c’è almeno un po’ di attivo per coprire costi). Il debitore persona fisica può subito dopo chiedere l’esdebitazione (liberazione dai debiti residui). Ciò significa che, dopo la chiusura, egli potrà riprendere iniziative imprenditoriali senza la zavorra dei vecchi debiti (restano esclusi solo quelli impignorabili o ex lege non esdebitabili). Per l’ex imprenditore, questo è il momento di imparare dagli errori e ripartire, magari come lavoratore dipendente o con un nuovo progetto ma con più cautela.
In sintesi, la liquidazione giudiziale è l’extrema ratio: difendersi e come in questo contesto significa ridurre i danni (cooperando) e sfruttare i meccanismi di fresh start (esdebitazione) post-chiusura per non restare schiacciati a vita dai debiti.
Strategie preventive vs strategie difensive: come muoversi da debitore
Dall’analisi svolta emergono due macro-approcci che un imprenditore indebitato deve combinare: le strategie preventive (prima e al manifestarsi dei primi segnali di crisi) e le strategie difensive (quando la crisi è conclamata e si rischiano azioni dei creditori o l’insolvenza). Vediamole separatamente dal punto di vista pratico.
Strategie preventive (anticipare la crisi)
- Implementare adeguati sistemi di controllo: Come già detto, dotarsi di sistemi di monitoraggio finanziario è un obbligo di legge per le società , ma è soprattutto un’arma di autotutela. Tenere d’occhio indici come il DSCR (debt service coverage ratio), l’EBITDA rispetto agli oneri finanziari, il capitale circolante netto, permette di capire se l’azienda sta entrando in stress finanziario. Ad esempio, se le previsioni a 6-12 mesi mostrano cash flow negativi o incapienza nel ripagare debiti in scadenza, questo è il segnale di allerta. Un imprenditore prudente, magari con l’aiuto del suo commercialista o CFO, dovrebbe predisporre report trimestrali e forecast annuali e confrontarli con covenant contrattuali e soglie di legge. Appena vede trend negativi (es. aumento eccessivo dei debiti vs. calo fatturato, erosione margini, ecc.), deve attivarsi.
- Capitalizzare e patrimonializzare l’impresa: Spesso le crisi derivano da sottocapitalizzazione cronica. Una strategia preventiva è rafforzare i mezzi propri in tempi buoni, trattenendo utili a riserva, evitando prelievi eccessivi dei soci, valutando aumenti di capitale anche con l’ingresso di nuovi investitori quando possibile. Un’azienda con patrimonio netto solido ha più capacità di assorbire perdite temporanee e più credibilità nel chiedere finanziamenti ponte in caso di crisi. Inoltre, ai sensi del codice civile, se il capitale scende sotto il minimo per perdite occorre ricostituirlo o liquidare; farlo per tempo evita di arrivare a ridosso con l’acqua alla gola.
- Diversificare le fonti di finanziamento: Dipendere da un unico grande fornitore di credito (es. una sola banca) o da un unico fornitore commerciale può essere letale se quel rapporto si incrina. Per prevenzione, è bene avere linee di credito con più istituti (compatibilmente con i costi), così da potersi rifinanziare da altri se uno chiude i rubinetti. Stessa logica con i fornitori: contrattare clausole di fornitura flessibili, evitare di accumulare debiti eccessivi con uno solo (che se interrompe la fornitura blocca la produzione). Anche stipulare contratti di assicurazione del credito commerciale può mitigare l’impatto di insoluti di clienti e quindi proteggere la liquidità aziendale.
- Mantenere buona comunicazione con stakeholder: Un imprenditore lungimirante costruisce rapporti di fiducia con banche, fornitori, dipendenti, in modo che, se arriva un momento difficile, questi soggetti siano più disponibili a pazientare o aiutare. Per esempio, un direttore di banca informato onestamente delle sfide aziendali è più propenso a proporre una rimodulazione del debito prima che la posizione diventi past due. Il “capitale reputazionale” si accumula in tempi normali e torna utile in crisi.
- Formarsi e farsi assistere da professionisti esperti: Un investimento preventivo è coinvolgere periodicamente esperti di ristrutturazione aziendale per stress-testare la situazione. Far fare un “tagliando” finanziario annuale da un advisor esterno può far emergere criticità latenti e soluzioni. Inoltre, conoscere in anticipo gli strumenti legali (ad esempio questa guida serve a questo) consente di non improvvisare sotto pressione. Far parte di associazioni di categoria, seguire seminari su crisi d’impresa, può dare all’imprenditore gli strumenti concettuali per reagire lucidamente quando serve.
- Evitare prassi scorrette: Sul fronte “igiene” aziendale, prevenzione è anche non incorrere in irregolarità che poi aggravano la crisi: tenere contabilità ordinata e aggiornata (per poter presentare subito situazioni contabili realistiche a banche o tribunale, e per non incorrere in bancarotta documentale in caso di fallimento); non confondere patrimonio azienda e personale (prelievi ingiustificati, spese personali su conti aziendali, ecc., indeboliscono l’impresa e creano rischi legali); rispettare per quanto possibile le scadenze tributarie e contributive, o se impossibile almeno utilizzare gli strumenti di dilazione invece di accumulare morosità lunghe (per evitare interessi e sanzioni enormi che poi schiacciano). Insomma, buona amministrazione ordinaria è la prima difesa: molte crisi, specie nelle PMI, sono figlie di gestione confusa o dissennata più che di sfortuna.
- Piani d’emergenza (contingency plan): Come ogni impresa dovrebbe avere un piano di emergenza per calamità, così dovrebbe prevedere scenari di crisi finanziaria. Cosa fare se perdiamo il 30% del fatturato? Se fallisce il nostro maggior cliente e non ci paga? Se l’energia raddoppia? Avere già predisposto un mini-piano di tagli costi, cessioni attivi non core, ricerca di soci, può far guadagnare tempo prezioso. Spesso la crisi colpisce veloce e chi è preparato regisce meglio.
In definitiva, la strategia preventiva chiave è non negare la realtà: se i segnali di crisi ci sono, vanno riconosciuti e affrontati tempestivamente, anche con misure impopolari (tagli di personale, dismissione di rami d’azienda non redditizi, ristrutturazione del debito). L’ordinamento oggi spinge proprio in questa direzione: far emergere la crisi con anticipo , tanto che ha messo in campo meccanismi come la composizione negoziata perché “prima si interviene, più chance ci sono di salvare l’impresa” . E per l’imprenditore onesto che agisce presto, c’è indulgenza: ad esempio, un concordato aperto prima di diventare insolvente conclamato ha più probabilità di riuscire e di evitare problemi giudiziari (perché magari non ci sono state distrazioni, non si è fatta la corsa a pagare qualcuno preferendo altri, ecc.).
Strategie difensive (gestire la crisi conclamata)
Quando l’azienda è ormai in crisi seria o insolvente e si profilano azioni dei creditori, occorre mettere in atto strategie difensive per limitare i danni, proteggere l’integrità del patrimonio residuo e giocare al meglio le proprie carte nelle procedure. Ecco le principali:
- Attivazione immediata di uno strumento concorsuale/negoziale: La difesa numero uno è prendere l’iniziativa prima che lo facciano i creditori. Ciò significa: se la situazione è fuori controllo (p.es. non si pagano stipendi e fornitori da 2 mesi, arrivano pignoramenti), bisogna senza indugio presentare un’istanza di composizione negoziata o un ricorso per concordato preventivo (anche in bianco), o se non c’è prospettiva di salvezza, valutare la liquidazione volontaria o il fallimento in proprio. Questo blocca l’escalation del caos. Un concordato (o anche solo la domanda in bianco) fa scattare la protezione del tribunale: inibisce i pignoramenti e gli interessi, dando respiro . Una composizione negoziata, come visto, consente misure protettive simili . Se invece il debitore resta passivo, i creditori aggressivi faranno man bassa dei beni più facilmente escutibili (conto in banca, merci), lasciando magari solo macerie per gli altri e per l’azienda.
- Negoziare standstill informali con i creditori: Una fase difensiva importante è ottenere dai creditori tempo e sospendere le azioni in corso. Se ancora non si è sotto procedura formale, si può provare a stipulare un accordo di moratoria con il ceto creditorio – specie banche e grandi fornitori. La legge prevede la figura della “convenzione di moratoria” (art. 62 CCII) dove una maggioranza di creditori finanziari può accordarsi per congelare le pretese per un periodo, vincolando anche minoranze. Questo è un istituto relativamente nuovo e simile ai “standstill agreements” internazionali . Anche senza formalizzarlo ai sensi di legge, un debitore può convocare i principali creditori e dire: “Facciamola finita con la guerra, datemi 3 mesi di tempo senza azioni legali e vi presento un piano serio o trovo un investitore”. Se credibile, molti accettano, perché l’alternativa è spesso peggiore per tutti (pignorare magari copre solo una parte e poi fallisce e si perde il resto). Formalizzare questi standstill per iscritto con tutti i creditori chiave è strategico: congela la situazione e dà modo di organizzare un concordato o un accordo.
- Conservare il valore aziendale: Nel pieno della crisi, l’imprenditore dovrebbe cercare di preservare il più possibile la continuità aziendale e il valore dei beni, in vista di una soluzione. Ciò vuol dire, ad esempio, evitare di interrompere bruscamente l’attività se esiste la possibilità di proseguirla in concordato o vendere l’azienda come going concern. Anche in liquidazione giudiziale, un’azienda che ha cessato del tutto l’attività perde valore (clienti, avviamento, know-how disperso). Quindi, in sede difensiva, può convenire chiedere al tribunale l’esercizio provvisorio di tutta o parte dell’impresa – benché sia misura più tipica del fallimento, può essere richiesta anche in concordato liquidatorio. Oppure attivarsi per trovare un acquirente interessato all’azienda come un blocco funzionante, da proporre eventualmente in concordato o in esecuzione di accordo. Questa strategia difende il valore residuo a vantaggio di creditori e anche dell’imprenditore (che magari spera di continuare a lavorare nell’azienda ceduta). Ad esempio, se la nostra azienda di resine ha macchinari specializzati e una clientela, venderla come complesso può dare ai creditori il 40%, smembrarla in asta magari solo il 10%. Dunque, difendere la “vita” aziendale finché c’è speranza è un atto dovuto, salvo che le perdite di esercizio aggravino il dissesto (bisogna valutare caso per caso, evitando però l’inerzia: il confine tra continuità utile e “tirare a campare” a spese dei creditori è sottile e sta al buon senso e alla perizia dei consulenti capire quando spegnere le macchine definitivamente).
- Proteggere il patrimonio personale legale: Molti imprenditori hanno intrecci tra patrimonio aziendale e personale (garanzie, coobbligazioni, immobili dati in ipoteca). In fase difensiva, ci si deve preoccupare anche di proteggere, per quanto permesso, ciò che è personale. Esempio: se il socio ha dato ipoteca sulla sua casa per un mutuo aziendale, un concordato che ristruttura quel mutuo aiuta anche lui ad evitare l’escussione della casa (almeno finché il concordato viene eseguito). Oppure, valutare se è opportuno avviare procedure di sovraindebitamento personali parallele al concordato della società (specialmente nel caso di ditte individuali o soci di società di persone). Ci sono casi in cui si coordinano un concordato preventivo per la società e un piano del consumatore per i soci fideiussori, in modo da risolvere tutto il quadro. Queste mosse richiedono finezza e coinvolgimento di legali esperti, ma rientrano nella strategia difensiva integrata: non trascurare il tuo “fortino” personale. Attenzione però: non si possono fare atti dispositivi per salvare i beni personali all’ultimo momento (es. donare la casa alla moglie) perché sarebbero facilmente revocati o peggio integrerebbero reati (distrazione patrimoniale). La difesa lecita del patrimonio personale si fa entro i confini della legge: ad esempio, se la legge consente di tenere fuori dalla liquidazione fallimentare alcuni beni impignorabili (vestiti, cose di casa, ecc.), se ne prende atto. Se c’è possibilità di esdebitazione, la si persegue per pulire le obbligazioni personali di garanzia dopo la fine del concorso.
- Comunicazione e gestione del personale: Un aspetto spesso sottovalutato è la gestione delle risorse umane in crisi. I dipendenti possono diventare alleati o detonatori. In una difesa efficace, l’imprenditore dovrebbe spiegare (nei limiti del possibile e con trasparenza controllata) la situazione al personale chiave, rassicurando sulle prospettive se c’è un piano o concordato in corso. Questo per evitare che se ne vadano in massa o che facciano azioni giudiziarie (che, se in corso di concordato, vengono comunque sospese, ma il morale interno è importante per tenere in piedi quel minimo di operatività). Quindi, coinvolgerli magari in forme di sacrifici temporanei (riduzioni orario, cassa integrazione concordata) assicurando che è per evitare il peggio. Sul fronte fornitori/clienti esterni, la comunicazione va calibrata: troppo allarmismo li spaventa, troppe bugie li portano a fidarsi e poi restare delusi. Comunicare che “siamo in procedura concordataria, ma l’azienda continua e abbiamo l’ok del tribunale a portare avanti i contratti” è difendere il mercato dell’impresa. Molte aziende in concordato riescono a mantenere le commesse solo perché comunicano efficacemente che c’è un piano e verranno rispettati i nuovi impegni (i debiti pregressi li liquiderà la procedura, ma i nuovi vengono pagati regolarmente in prededuzione).
- Assistenza legale multiprofessionale: Una crisi avanzata tocca vari ambiti: civile, concorsuale, penale, lavoro, fiscale. Una strategia difensiva vincente è coinvolgere un team di professionisti: l’avvocato fallimentarista per la procedura concorsuale, il penalista per vigilare su potenziali profili di reato e consigliare comportamenti leciti, il consulente del lavoro per gestire licenziamenti o CIG in modo corretto, il tributarista per eventuali transazioni fiscali e per la gestione del DURC. Giocare su tutti i tavoli evita sviste (es: dimenticarsi di versare l’IVA corrente durante il concordato può causare revoca del concordato per inadempimento delle obbligazioni fiscali correnti – succede!). Quindi coordinamento e visione olistica: difendere l’azienda significa difendere anche l’imprenditore sul piano giuridico a 360°.
- Prepararsi al worst case (piano B): Anche durante la fase difensiva in cui si punta a salvare l’azienda, un buon generale prepara l’eventualità della sconfitta. Ciò vuol dire: se sto provando un concordato ma ho il sentore che potrei non farcela (ad es. un creditore importante è ostile e potrebbe farlo saltare), in parallelo mi preparo allo scenario di liquidazione. Questo può significare ad esempio: mettere in sicurezza i documenti contabili, predisporre relazioni per il futuro curatore su situazioni aperte, non assumere impegni sproporzionati che potrei non onorare se fallisco, predisporre magari risorse personali per attivare la mia esdebitazione poi (nel senso di mettere da parte documentazione che attesti la mia buona fede). In pratica, sperare per il meglio ma prepararsi al peggio. Questo non è arrendevolezza, è pragmatismo che consente, se il piano A fallisce, di passare al B senza panico. Ad esempio, un imprenditore che ha tentato la composizione negoziata e non ha trovato l’accordo, invece di farsi travolgere dalle istanze di fallimento altrui, aveva già pronto il ricorso per concordato semplificato o per liquidazione controllata, e lo deposita subito, guadagnando posizione di attore e non di passivo.
In tutte queste strategie, c’è un elemento comune: tempestività. Una volta che la crisi è conclamata, il fattore tempo diventa come l’ossigeno. Ogni giorno perso può significare più interessi, più decreti ingiuntivi, più creditori arrabbiati, più asset che si svalutano. Quindi, la mentalità difensiva giusta è: agire ora, non domani. Il legislatore lo ha scritto chiaramente: l’imprenditore deve attivarsi tempestivamente per trovare soluzioni idonee . Questo non solo è un dovere giuridico, ma conviene al debitore stesso.
Domande Frequenti (FAQ)
Di seguito una serie di domande comuni che un imprenditore debitore o un privato possono porsi di fronte a una situazione di crisi debitoria dell’azienda, con risposte sintetiche basate su quanto esposto nella guida.
- Domanda: Qual è il segnale che distingue una semplice difficoltà finanziaria temporanea dallo “stato di crisi” vero e proprio?
Risposta: La crisi si manifesta quando i flussi di cassa prospettici non sono adeguati a coprire le obbligazioni nei successivi 12 mesi . In pratica, se le previsioni finanziarie mostrano che tra qualche mese l’azienda non riuscirà a pagare debiti e spese correnti, siamo in stato di crisi (anche se ancora non ci sono insoluti gravi oggi). Una difficoltà temporanea, invece, è un gap di liquidità che si riesce a colmare (es. ritardo di un pagamento di pochi giorni coperto da riserve o fidi disponibili). Gli indicatori usati dal CCII – come il DSCR < 1 – segnalano una crisi probabile . Inoltre, la crisi spesso si accompagna a perdita della continuità aziendale (es. perdite di bilancio). È sempre prudente considerare “stato di crisi” un insieme di segnali: ritardi persistenti nei pagamenti, utilizzo massimo dei fidi, capitale quasi azzerato da perdite, difficoltà a incassare crediti, ecc. - Domanda: La mia azienda ha debiti per 50.000 € con il fisco: possono chiedere il fallimento per un importo così?
Risposta: Non c’è più nel nuovo codice un minimo importo di debito per presentare istanza di liquidazione giudiziale (in passato c’era la soglia di €30.000 per fallimenti d’ufficio, ora abolita) . Quindi, tecnicamente, anche per 50.000 € l’Agenzia delle Entrate-Riscossione o un qualunque creditore può chiedere la liquidazione giudiziale se l’azienda è insolvente. Tuttavia, il tribunale valuta la complessiva insolvenza: se avete solo un debito fiscale rateizzabile e per il resto pagate, difficilmente si arriverebbe a fallimento. Inoltre, spesso l’Agenzia delle Entrate prima sfrutta tutti gli strumenti di riscossione (pignoramenti) e ricorre al fallimento solo se vede che l’impresa è di fatto insolvente conclamata e non c’è patrimonio liquidabile con esecuzioni ordinarie. In ogni caso, nessuna soglia di legge vi protegge automaticamente: conviene attivarsi (ad es. chiedendo una rateazione o aderendo a definizioni agevolate) per non far precipitare la situazione . - Domanda: I debiti IVA e INPS possono essere tagliati in un concordato o accordo? Ho sempre sentito dire che “lo Stato va pagato per intero”.
Risposta: In passato, IVA e ritenute non versate dovevano essere pagate integralmente nei piani del consumatore (e ancora è così) , e nei concordati c’era il veto del Fisco se non venivano soddisfatti al meglio. Oggi però esiste la transazione fiscale: potete proporre di pagare solo una parte di IVA, imposte e contributi, dilazionando il resto . Se l’Agenzia Entrate e l’INPS accettano, bene; se non accettano, dal 2023 il tribunale può anche omologare forzosamente se dimostrate che offrivate già il massimo possibile (almeno quanto avrebbero preso nel fallimento) . Quindi sì, è possibile falcidiare IVA e contributi in concordato/accordo, purché un esperto attesti la convenienza e seguiate la procedura di transazione. Resta escluso invece lo stralcio totale di IVA/ritenute in un piano di consumatore o sovraindebitamento: in quel caso la legge richiede il pagamento integrale salvo rare eccezioni. Ma in un concordato preventivo o accordo del codice della crisi, la falcidia è ammessa se autorizzata. - Domanda: Se la mia azienda va in concordato preventivo, io come amministratore/socio sono protetto? O i creditori possono rivalersi su di me?
Risposta: Il concordato preventivo protegge la società e il suo patrimonio. I creditori sociali, durante il concordato, non possono agire né sul patrimonio della società (bloccato) , né su eventuali garanti per obbligazioni garantite prima del concordato (la legge prevede la sospensione anche delle azioni verso i coobbligati o fideiussori per lo stesso debito durante il concordato, art. 69 CCII). Tuttavia, se Lei ha prestato fideiussioni personali ai creditori, attenzione: in concordato preventivo (diversamente dal fallimento) il codice non prevede automaticamente la sospensione delle azioni verso i fideiussori. Alcuni tribunali la concedono come misura cautelare, ma non è garantita. Quindi i creditori bancari potrebbero agire sul suo patrimonio di garante anche se la società è in concordato, a meno che il tribunale non estenda la tutela (spesso lo fa se vede rischio di depauperamento del garante che poi non può apportare risorse al piano). In un accordo di ristrutturazione, invece, si può contrattare con le banche la liberazione o il non escutere le garanzie personali, ma è da negoziare. Dunque, Lei come amministratore non risponde dei debiti sociali se è società di capitali, però come socio garante potrebbe essere attaccato. Inoltre, se emergono condotte di mala gestio, i creditori (tramite il commissario) potrebbero promuovere un’azione di responsabilità contro di Lei. Ma se ha agito correttamente e non ha garanzie personali, il concordato “tiene fuori” il suo patrimonio personale. In caso di dubbi, può valutare un concordato minore o liquidazione personale parallela per proteggersi, se ne ha i requisiti. - Domanda: Ho dato un’occhiata alla composizione negoziata: posso usarla anche se la mia impresa è piccolissima (artigiano individuale con 2 dipendenti)? O è solo per aziende grandi?
Risposta: Si può utilizzare: la composizione negoziata è aperta a tutte le imprese, indipendentemente da dimensioni e natura . Anche l’imprenditore “sottosoglia” (piccolo) può accedere, e anzi la legge gli concede qualche facilitazione (ad esempio, paga meno compenso all’esperto, e può essere assistito da un tutor OCC). Tuttavia, come notato dalle statistiche, finora poche microimprese l’hanno usata (solo 4% circa) , forse per scarsa conoscenza o timore di costi. In realtà, se la sua è un’impresa artigiana con debiti modesti, forse può risolvere con un semplice accordo coi creditori o con le procedure di sovraindebitamento (concordato minore). La CNC tende ad essere più utile per imprese che hanno vari creditori e necessitano di regia. Comunque, nessun divieto: lei può presentare istanza di composizione negoziata anche come ditta individuale artigiana. Si prepari a presentare i dati contabili e a seguire le indicazioni dell’esperto. Se l’esito è negativo, potrà ripiegare sul concordato minore o liquidazione controllata. - Domanda: Cosa rischio a livello penale se la mia azienda fallisce? Posso andare in carcere per i debiti?
Risposta: Non si va mai in carcere “per i debiti” in quanto tali – l’insolvenza civile non è reato. Tuttavia, esistono i reati fallimentari: se la sua società viene dichiarata in liquidazione giudiziale (fallimento) e Lei, prima o durante, ha compiuto atti fraudolenti (es. distrarre beni dell’azienda, falsificare le scritture contabili, preferire taluni creditori con intenti dolosi), può essere incriminato per bancarotta fraudolenta, punita severamente (fino a 10 anni) . Se invece ha solo gestito male senza dolo (es. ha fatto spese imprudenti, non ha tenuto i libri aggiornati), al massimo può configurarsi la bancarotta semplice, che è contravvenzione meno grave (fino a 2 anni, spesso convertibile in pena pecuniaria). Quindi, il rischio penale c’è solo se emergono condotte irregolari. Ecco perché consigliamo di evitare qualsiasi atto di distrazione o occultamento di beni alla vigilia dell’insolvenza: è la tipica bancarotta. Anche pagare un creditore invece che altri poco prima del fallimento configura bancarotta preferenziale. La composizione negoziata o il concordato, se usati per tempo, evitano di incorrere in questi reati, perché mettono ordine. In conclusione: non si viene puniti perché l’impresa fallisce, ma per come ci si comporta. Un imprenditore onesto, collaborativo col curatore, otterrà l’esdebitazione e non avrà conseguenze penali (salvo abbia altri reati estranei). Occhio però a debiti verso l’Erario: omessi versamenti IVA sopra soglia e omessi contributi dipendenti sono reati tributari a parte; se li regola entro certi termini, estingue il reato. Valuti con un legale ogni posizione. - Domanda: Nel concordato preventivo, i contratti in corso (ad esempio forniture continuative, leasing) che fine fanno?
Risposta: La regola generale (art. 94 CCII) è che i contratti in corso di esecuzione non si risolvono per effetto dell’apertura del concordato: restano validi e il debitore (in concordato) può chiedere al tribunale l’autorizzazione a sciogliersi o sospenderli se utile . Ad esempio, se avete un contratto di leasing di un macchinario molto oneroso che non serve più, potete chiedere l’autorizzazione a sciogliervi: il lessor avrà un credito da danno contrattuale che viene ammesso al concordato come chirografo. Viceversa, contratti che sono vantaggiosi li mantenete (previa autorizzazione del GD per nuove obbligazioni). Quindi c’è flessibilità. Nel concordato in continuità, anzi, in genere si prosegue con la maggior parte dei contratti (affitti, forniture) perché l’azienda deve continuare operare. I fornitori post-domanda saranno pagati in prededuzione (cioè fuori dal concorso). Quelli pregressi restano fermi e prendono quanto da piano. Attenzione: contratti con Pubbliche Amministrazioni (appalti) prevedono spesso la risoluzione in caso di concordato “liquidatorio”. Ma nel concordato con continuità aziendale, la legge ora consente all’impresa di partecipare a gare e proseguire contratti PA, con qualche formalità, proprio per non perdere commesse importanti durante la procedura. Dunque, ogni contratto va valutato singolarmente con il commissario: alcuni si tengono, alcuni si chiudono. - Domanda: Che differenza c’è tra concordato preventivo e accordo di ristrutturazione? Perché scegliere l’uno o l’altro?
Risposta: In sintesi: il concordato preventivo coinvolge tutti i creditori e prevede un voto delle maggioranze, può imporre anche tagli significativi ai chirografari e offre ampie protezioni (sospensione azioni, ecc.), ma è più lungo e complesso (richiede percentuali, omologa giudiziale formale). L’accordo di ristrutturazione dei debiti coinvolge solo i creditori che il debitore vuole includere (minimo 60% del totale) , e vincola gli estranei solo nel senso che vanno pagati integralmente fuori da esso. Viene omologato dal tribunale ma senza voto dei creditori (conta la percentuale di adesione). È più rapido e riservato (pubblicazione solo a omologa) e flessibile, ma presuppone che l’azienda riesca comunque a soddisfare regolarmente i creditori non aderenti. Diciamo che: se l’impresa è in uno stadio di crisi non troppo profondo, dove basta l’accordo con banche e pochi altri, conviene l’accordo 182-bis (meno oneroso e “stigma” minore). Se invece serve coinvolgere e falcidiare anche i fornitori, il concordato è inevitabile, perché è l’unico che permette di imporre perdite ai dissenzienti. A volte si parte con un accordo in composizione negoziata e, se non si raggiunge la soglia 60% di consensi, si ripiega sul concordato. Scegliere l’accordo è indicato quando c’è consenso diffuso e vuoi evitare la procedura lunga; scegliere il concordato serve se devi forzare la mano a molti creditori o hai bisogno della moratoria generale. Si noti che oggi i confini sono un po’ sfumati: l’accordo può avere classi e qualche cram-down , e il concordato può essere approvato con cram-down interclassi anche con opposizioni. Ma la differenza di base sta in “quanti e come devono aderire”. - Domanda: Dopo un fallimento o liquidazione controllata, i debiti verso fornitori e banche non pagati si estinguono? O mi resteranno addosso come persona fisica?
Risposta: Se l’azienda è una società di capitali, i debiti sociali insoddisfatti restano a carico della società, ma dopo la liquidazione la società di fatto si estingue e quei crediti inesigibili vanno perduti per i creditori (salvo garanzie personali). I soci di s.r.l. non ne rispondono (a meno di fideiussioni date). Quindi indirettamente sì, “si estinguono” col fallimento, anche se tecnicamente è la società che muore (e i creditori possono dedurre la perdita). Se l’imprenditore è individuale o i soci erano illimitatamente responsabili, allora i debiti residui rimarrebbero su di loro, ma possono ottenere l’esdebitazione: nel fallimento, il tribunale a fine procedura libera il fallito persona fisica da tutti i debiti chirografari rimasti . Nel sovraindebitamento, come detto, addirittura dopo 3 anni dall’apertura della liquidazione controllata c’è l’esdebitazione di diritto . Alcuni debiti non si cancellano nemmeno con esdebitazione (obblighi di mantenimento, debiti da dolo verso terzi, multe), ma quelli commerciali e fiscali sì (fisco e contributi per la parte non soddisfatta, purché non vi sia stato comportamento fraudolento). Quindi nella grande maggioranza dei casi, sì, dopo la procedura concorsuale il debitore persona fisica può ripartire senza quei debiti. Attenzione: se un creditore è garantito da ipoteca su un tuo bene personale non incluso in procedura (perché non pignorato), formalmente il credito su quell’ipoteca può sopravvivere sull’ipoteca. Ma situazioni così sono rare e tecniche. In pratica, l’esdebitazione è la chiusura del capitolo debiti. È fondamentale però comportarsi bene: un debitore che non collabora o nasconde beni può vedersi negare l’esdebitazione per indegnità. In tal caso i debiti residui “resuscitano” e può essere incubo. Ma se fai le cose secondo le regole, la legge ti offre la fresh start. - Domanda: Quali sono le ultime novità normative (2022-2025) sulle crisi d’impresa di cui dovrei essere a conoscenza come imprenditore?
Risposta: Le più rilevanti: (a) Entrata in vigore del Codice della Crisi (15 luglio 2022) con la nuova terminologia (liquidazione giudiziale al posto di fallimento , concordato semplificato, strumenti di allerta, ecc.). (b) Composizione Negoziata introdotta nel 2021 e potenziata nel 2022-2024, che rappresenta un nuovo approccio non giudiziale alla crisi – oggi considerata la via primaria per tentare il risanamento . (c) Direttiva UE 2019/1023 recepita con D.Lgs. 83/2022: grazie a essa abbiamo nuovi istituti come il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO), i nuovi accordi agevolati 30%, il cram-down sui creditori pubblici (reso permanente col D.L. 69/2023 e D.Lgs 136/2024) , e regole più flessibili per concordati in continuità (classi, cram down interclassi) . (d) D.Lgs. 136/2024 (“correttivo-ter”) entrato in vigore a fine settembre 2024: ha limato molti aspetti, tra cui incentivato la composizione negoziata (transazione fiscale in CNC, misure premiali) , chiarito obblighi di segnalazione (attivi da fine 2024), migliorato il coordinamento fra procedure. (e) Novità fiscali: proroghe di rottamazioni cartelle (ad esempio la definizione 2023 dei carichi fino al 2017); (f) Sul fronte sovraindebitamento: l’unificazione nel CCII e l’introduzione dell’esdebitazione di diritto dopo 3 anni . Queste novità tracciano un sistema più organico, orientato a salvare l’impresa e dare un’altra opportunità al debitore onesto. In parallelo, segnalo giurisprudenza importante: Cassazione SU 2023 n.22699 ha chiarito che un ex imprenditore cancellato non può accedere a concordato o accordo (deve usare liquidazione controllata) ma ha diritto all’esdebitazione in 3 anni ; varie pronunce di Corti d’Appello 2025 hanno applicato per la prima volta i cram-down fiscali nei concordati (es. CA Roma e L’Aquila 2025). Insomma, il quadro è in evoluzione, ma i punti focali sono: allerta precoce, negoziazione assistita, maggior coinvolgimento del giudice solo se necessario, favoritismo per continuità aziendale e tutela dell’onestà del debitore. - Domanda: La mia società è molto indebitata ma l’attività potrebbe essere redditizia se liberata dai debiti: ha senso farla fallire e aprirne un’altra pulita?
Risposta: Questa tentazione (“phoenix company”) è comune ma pericolosa e spesso illecita. Se trasferisce l’attività (clienti, asset) a nuova società lasciando i debiti in quella vecchia avviata al fallimento, rischia azioni revocatorie e accuse di bancarotta fraudolenta distrattiva (per aver svuotato la vecchia società a danno creditori). Il curatore fallimentare potrebbe far annullare la cessione d’azienda o chiedere i beni indietro, e l’amministratore incorrere in reato. Invece, la via legittima per “liberare” l’azienda dai debiti mantenendo l’attività è il concordato in continuità o la ristrutturazione: qui i creditori accettano un sacrificio e l’azienda prosegue. Oppure, vendere l’azienda a terzi al giusto valore in una procedura trasparente, usando il ricavato per pagare i creditori parzialmente. Questo è lecito (anzi, un concordato può consistere proprio nella cessione dell’azienda a un nuovo soggetto che la continua, pagando un prezzo che va ai creditori). Ma far fallire “strategicamente” e ricominciare uguale con altro nome è altamente rischioso. Le conseguenze potrebbero vanificare il suo scopo: la nuova società potrebbe essere ritenuta responsabile (in qualche caso, se è mera continuazione, i giudici possono estendere il fallimento o usare l’azione di abuso di personalità giuridica), lei personalmente incorrere in sanzioni. Ci sono casi in cui, dopo il fallimento, l’ex imprenditore ricompra gli asset dal fallimento stesso e riparte pulito – ma ciò avviene sotto controllo del tribunale e pagando il valore di mercato ai creditori (es: tramite un affitto d’azienda in esercizio provvisorio poi acquisto in concordato fallimentare). Quindi, più che far “finta” di fallire e fregare i creditori, conviene utilizzare gli istituti legali per ottenere l’esdebitazione e magari riprendere l’attività sotto altra forma in modo trasparente. Se l’attività è valida, potrebbe convincere un investitore a finanziare un concordato: il debito vecchio si taglia e la società continua. In conclusione: fare un “volto nuovo” lasciando i debiti dietro è scorretto e legalmente sanzionabile; meglio risolvere il passato in tribunale e poi ricominciare veramente da zero (dopo esdebitazione).
Tabelle riepilogative
Di seguito presentiamo alcune tabelle che riassumono e confrontano i principali strumenti e soluzioni discussi, per una consultazione veloce e comparativa.
Tabella 1 – Strumenti per la gestione della crisi: confronto generale
| Strumento | Tipo | Chi può accedere | Come si attiva | Coinvolgimento tribunale | Effetti principali | Esito finale |
|---|---|---|---|---|---|---|
| Composizione negoziata (CNC) | Procedura negoziale stragiudiziale assistita da esperto | Tutte le imprese (commerciali o agricole, di qualsiasi dimensione, incl. “sottosoglia”) | Istanza volontaria dell’imprenditore su piattaforma CCIAA | Giudice conferma misure protettive e autorizza atti ma non dirige le trattative | – Sospensione azioni esecutive su richiesta (81% dei casi) <br>– Esperto facilita accordi con creditori<br>– Impresa continua attività sotto vigilanza esperto | “Esiti di successo” possibili: accordo stragiudiziale, accordo ex art.57 CCII, piano attestato, concordato preventivo o anche cessazione attività con eventuale concordato semplificato . Se fallisce: possibile apertura liquidazione giudiziale. |
| Piano attestato di risanamento | Accordo stragiudiziale con attestazione professionista | Imprese in crisi reversibile (inclusi fallibili e non) | Elabora piano + relazione attestatore; facoltativa pubblicazione RI | Non c’è omologazione, solo eventuale pubblicazione | – Atti/pagamenti in esecuzione esenti da revocatoria <br>– Nessun stay automatico (creditori non aderenti possono agire) | Se il piano riesce, l’impresa risanata prosegue. Se non riesce e l’impresa insolvente: probabile passaggio a procedura concorsuale (concordato o fallimento). |
| Accordo di ristrutturazione (ARD) | Accordo misto (privato + omologa) | Imprese soggette a fallimento (anche esteso a non fallibili ex art.61 CCII?) Nota: in pratica usato da medio-grandi | Ricorso tribunale con accordo firmato ≥60% crediti e attestazione | Sì, tribunale omologa e può concedere misure protettive ex art.54 | – Vincola solo creditori aderenti + eventuale cram-down su dissenzienti stessa categoria al 75% <br>– Creditori estranei: vanno pagati integrali entro 120 gg scadenza/omologa <br>– Possibile transazione fiscale e contributiva all’interno | Impresa prosegue secondo i nuovi accordi. Se accordo non eseguito -> creditori riacquistano diritti originari e possibili istanze concorsuali. |
| Concordato preventivo | Procedura concorsuale giudiziale | Imprenditori commerciali assoggettabili a liqu. giud. (fallibili). Anche imprese agricole se vogliono accedervi (facoltativo). | Ricorso tribunale; possibile in bianco (riserva) | Sì, forte controllo: nomina commissario, approvazione creditori, omologa giudice | – Sospensione azioni esecutive dei creditori durante la procedura <br>– Il debitore resta alla guida ma vigilato (commissario)<br>– Possibile continuità aziendale autorizzata oppure liquidazione beni sotto controllo<br>– Pagamenti nuovi in prededuzione | Se omologato e adempito: azienda risanata (in continuità) oppure patrimonio liquidato ordinatamente (liquidat.) con eventuale apporto terzi. Debitore esdebitato dai debiti concorsuali residui . Se non omologato -> probabile fallimento. |
| Concordato minore | Procedura concorsuale minore (sovraindebitamento) | Debitori non fallibili non consumatori (imprenditori minori, professionisti, enti non profit, ecc.) | Ricorso tribunale con piano e proposta elaborati col ausilio OCC | Sì, ma tramite Organismo Composizione Crisi (gestore nominato) + omologa giudice | – Sospende azioni esecutive come concordato preventivo <br>– Necessaria approvazione creditori ≥50% crediti ammessi al voto <br>– Debitore mantiene gestione sotto controllo OCC | Se omologato e eseguito: debitore esdebitato residui (come consumatore). Se non passa: possibile conversione in liquidazione controllata (o fallimento se nel frattempo superate soglie). |
| Liquidazione giudiziale (ex fallimento) | Procedura concorsuale liquidatoria | Imprenditori commerciali sopra soglie, in stato d’insolvenza (d’ufficio eslcuso < 500k debiti, etc.) | Ricorso creditore, pubblico o debitore; sentenza dichiara apertura | Sì, totale: nominato curatore che gestisce patrimonio, spossessamento debitore | – Stop azioni individuali (tutti i crediti concorrono) <br>– Attività d’impresa cessata (salvo esercizio provvisorio autorizzato) <br>– Vendita beni e riparto secondo prelazioni<br>– Possibili azioni revocatorie e di responsabilità per recuperare attivo | Beni liquidati, società estinta. Persona fisica: dopo chiusura può ottenere esdebitazione . Procedura chiusa idealmente entro 3-4 anni . |
| Liquidazione controllata (sovraindebitamento) | Procedura concorsuale liquidatoria “minore” | Debitori sovraindebitati non soggetti a liqu. giud. (consumatori, impr. minori, ecc.) | Ricorso debitore o istanza creditori (limitata); nomina liquidatore da OCC | Sì, ma semplificato: liquidatore + giudice sovrintendono, meno formalità | – Simile a fallimento: stop azioni, vendita beni, soddisfo creditori secondo prelazioni<br>– Nessun assoggett. a incapacità civile (non è “infamante”) | Dopo 3 anni dall’apertura, debitore persona fisica ottiene esdebitazione di diritto (se meritevole). Procedura chiusa quando finito attivo. |
Tabella 2 – Preventivo vs Difensivo: comportamenti chiave del debitore
| Fase | Obiettivi per il debitore | Azioni chiave (riassunto) |
|---|---|---|
| Pre-crisi / prevenzione | – Evitare che uno squilibrio temporaneo degeneri in insolvenza conclamata<br>– Preservare continuità aziendale e valore<br>– Adempiere a doveri di allerta ex lege (evitare responsabilità) | – Istituire assetti adeguati (controllo di gestione, indicatori) per rilevare segnali precoci <br>– Rafforzare patrimonializzazione (capitali propri) e diversificare fonti finanziamento<br>– Tagliare costi e razionalizzare attività non redditizie ai primi segnali<br>– Dialogare con finanziatori e partner per rinegoziare preventivamente condizioni (ad es. chiedere moratoria prima del default)<br>– Usare strumenti come composizione negoziata appena si configura uno “squilibrio” gestibile (non aspettare l’insolvenza!)<br>– Non aggravare esposizioni: evitare di accumulare nuovo debito se già emergono difficoltà (disciplina degli atti urgenti prudenti) |
| Crisi conclamata / difesa | – Proteggere il patrimonio aziendale dalla dispersione<br>– Fermare l’escalation di azioni esecutive individuali<br>– Gestire ordinatamente il passaggio attraverso procedure concorsuali | – Attivare subito procedura appropriata: es. depositare domanda di concordato preventivo o accordo ristrutturazione per ottenere lo stay <br>– Negoziare standstill coi principali creditori in attesa di procedura (accordo di moratoria) <br>– Conservare la continuità aziendale se utile (chiedere esercizio provvisorio, proporre concordato in continuità) per preservare valore avviamento <br>– Se inevitabile liquidazione: cooperare con curatore/gestore OCC, consegnare libri e informazioni (evitare condotte distrattive o reticenti che pregiudicano anche esdebitazione)<br>– Tutelare la posizione personale legalmente: valutare proprie procedure di sovraindebitamento se coobbligato; evitare qualunque atto di frode (bancarotta) e anzi documentare trasparenza (verbali CDA, comunicazioni ai creditori del tentativo fatto)<br>– Tenere unito il team interno e stakeholder con comunicazione franca sulla procedura scelta (per mantenere supporto durante concordato o evitare ostruzionismi inutili) |
Tabella 3 – Debiti e trattamenti nelle procedure concorsuali
| Tipo di debito | Nel concordato/accordo | In liquidazione giudiziale | Note |
|---|---|---|---|
| Chirografari (fornitori, banche unsecured) | Subiscono falcidia secondo piano. Votano nel concordato; se approvato prendono ad es. una percentuale (anche < 20% se >liquidazione) . Negli accordi 182-bis, se estranei devono esser pagati 100% se non aderiscono . | Pagati pro-quota con quanto resta dopo privilegi. Storicamente recuperi bassi (spesso sotto 10%). Residuo post-liquidazione non più esigibile verso società; verso persona fisica esdebitabile. | Concordato consente imposizione di sacrificio ai chirografari dissenzienti con maggioranza. Liquidazione li penalizza massimamente ma con par condicio. |
| Privilegiati (Fisco, INPS, dipendenti, banche ipotecarie) | Devono ricevere integrale soddisfo del loro diritto salvo consenso a diversa misura. Possibile pagamento dilazionato o parziale solo se valore garanzia/beni insuff. <br>- Transazione fiscale: permette riduzione di imposte/contributi privilegiati con adesione AE/INPS (o cram down). <br>- I dipendenti: crediti lavoro privilegiati si pagano 100% (o al Fondo di garanzia INPS per TFR). | Privilegiati prelevano su realizzo beni secondo grado. Se attivo non basta, rimangono insoddisfatti in parte (diventano chirografari per il residuo). <br>- Debiti lavoro, imposte, ipoteche: seguono ordine legale (es. ipoteche su immobili prima, privilegio generale Fisco su mobili ecc.). | Concordato di solito prevede classi separate per privilegiati (possono anche rinunciare a parte del privilegio per votare come chirog.). Liquidazione segue strettamente par condicio e prelazioni. Transazione fiscale e contributiva agevola gestione privilegi erariali. |
| Garanti e coobbligati | – Concordato preventivo: di regola non libera i coobbligati (salvo esito specifico di trattativa). Creditori potrebbero agire su fideiussori, anche se spesso tribunale estende protezione di fatto. <br>– Accordo ristrutturazione: si può pattuire estensione effetti liberatori ai garanti (se creditori acconsentono). <br>– Concordato minore/consumatore: possibili effetti su coobbligati se previsti dal piano. | Liquidazione giudiziale: non coinvolge garanti terzi. Creditori possono agire su fideiussori o soci illimitatamente responsabili indipendentemente. <br>Tuttavia, se il garante paga, surroga nel concorso. Persona fisica in liquidazione controllata: coobbligati no, a meno che anch’essi entrino in procedura. | Il trattamento di garanti è più una questione contrattuale. L’art. 88 LF vecchio liberava coobbligati in concordato se credito soddisfatto almeno 20%; nel CCII c’è art. 270 che estende a codebitori la liberazione solo in sovraindebitamento del consumatore con certi limiti. Situazione varia a seconda procedure. |
| Nuovi debiti contratti durante procedura | (Prededuzione) – Spese e forniture post-domanda concordato autorizzate: debiti di massa prededucibili da pagare integralmente. In CNC: nuovi finanziamenti autorizzati = prededotti . | – Spese di procedura (compensi curatore, spese, ecc.) e debiti contratti dal curatore per esercizio provvisorio o continuazione attività sono prededucibili e pagati prima di privilegi. | La regola generale: ciò che serve a portare avanti la procedura è pagato prima. Attenzione per debitore: non pagare indebitamente debiti pregressi durante concordato (rischio revoca autorizzazione e bancarotta preferenziale). |
(Le percentuali di recupero sono indicative e dipendono da caso a caso. Le fonti normative: art. 109-110 CCII per ordine distribuzione; art. 6 co.1 CCII per prededuzioni; art. 84 per soddisfacimento concordato, art. 63 CCII transazione fiscale.)
Simulazioni pratiche (casi esemplificativi)
Per comprendere meglio “sul campo” come le strategie e le procedure descritte possano applicarsi, presentiamo due brevi casi pratici simulati, ispirati al contesto di un’azienda manifatturiera di resine epossidiche indebitata. I nomi sono di fantasia e l’ambientazione è in Italia, nel quadro normativo attuale.
Caso A: Risanamento tramite composizione negoziata e concordato in continuità
Azienda Alpha S.r.l. – produce resine per pavimentazioni industriali. Negli ultimi anni ha investito molto in macchinari (leasing onerosi) e l’aumento del costo delle materie prime ha eroso i margini. Nel 2024 accumula debiti: €300.000 con banche (mutuo ipotecario su capannone e scoperto di c/c), €200.000 con fornitori di chimica (di cui €50k scaduti da >120gg), €150.000 di arretrati IVA e INPS. L’organico è di 15 dipendenti. Gli amministratori notano che il DSCR a 6 mesi è sceso sotto 1 e che, senza interventi, tra 4 mesi mancherà liquidità per pagare tutti. Decidono di muoversi tempestivamente: a gennaio 2025, anziché aspettare decreti ingiuntivi, inoltrano istanza di composizione negoziata . Tramite la piattaforma ottengono la nomina di un esperto. Nel frattempo chiedono e ottengono dal tribunale misure protettive – le banche non possono revocare i fidi né escutere l’ipoteca, e i fornitori non possono iniziare pignoramenti . L’esperto li aiuta ad analizzare i costi: scoprono che l’attività è profittevole al lordo degli oneri finanziari, ma il debito pregresso la soffoca. Si valuta di cercare un investitore. L’esperto convoca le banche: propone di unificare i debiti bancari in un solo mutuo a lungo termine, con riduzione del tasso, e intanto chiede al Fondo di Garanzia MCC di garantire parzialmente il nuovo mutuo (possibile grazie alle norme a sostegno PMI). Le banche, vedendo il piano industriale attestato come sostenibile, accettano in linea di massima (grazie anche all’opera dell’esperto e al fatto che, per ora, l’azienda è ferma nelle segnalazioni CR – il tribunale aveva inibito segnalazioni negative temporaneamente ). Con i fornitori, l’azienda offre – sempre con l’assistenza dell’esperto – di pagarli per intero sul venduto futuro: essi continueranno a fornire le materie prime e ogni mese una parte della fornitura sarà gratuita fino a colmare l’arretrato, in cambio si impegnano a non agire legalmente. I fornitori chiave, che rischierebbero di perdere un cliente, accettano l’accordo privato. Resta il nodo Fisco: €150k tra IVA e contributi non si possono pagare in un colpo. Qui la Alpha S.r.l. sfrutta la novità del D.Lgs 136/2024: propone una transazione fiscale in sede di composizione negoziata . Tramite l’esperto, inoltra all’Agenzia Entrate la proposta: “pagheremo €80k in 5 anni, stralciando sanzioni e interessi, con apporti dei soci e risparmi generati dal piano”. L’Agenzia, esaminate le relazioni (c’è l’attestazione dell’esperto che in fallimento vedrebbero forse €30k, quindi conviene), aderisce formalmente. Si forma così un accordo quadro: le banche ristrutturano i loro crediti (dilazionandoli), i fornitori ottengono pagamento integrale ma dilazionato indirettamente, il Fisco accetta €80k su €150k. L’esperto conclude che c’è accordo su oltre 75% dei crediti complessivi e redige relazione finale positiva. A luglio 2025 l’azienda Alpha esce dalla composizione negoziata con esito positivo (successo). Per dare stabilità e vincolatività a tutto l’accordo, decidono di “cristallizzarlo” in un concordato preventivo in continuità: presentano domanda al tribunale con un piano che recepisce esattamente l’accordo raggiunto con banche, fornitori e Fisco (che insieme rappresentano ~90% dei crediti). I creditori votano compatti sì (nessuno subisce perdite drastiche tranne il Fisco che però è consenziente grazie alla transazione) e in autunno 2025 il concordato viene omologato . L’azienda prosegue l’attività: i debiti verso fornitori e Fisco vengono pagati nelle misure e nei tempi concordati (con il controllo del commissario/esperto fino a fine). Dopo due anni, Alpha S.r.l. è tornata in bonis: generando utili, ha rispettato i pagamenti ridotti, i fornitori sono soddisfatti e continuano il rapporto, le banche incassano regolarmente le nuove rate. L’impresa ha evitato il fallimento, e i creditori hanno evitato perdite peggiori. Chiave del successo: attivazione precoce (prima di diventare insolvente), uso combinato di CNC e concordato, sacrifici moderati distribuiti (nessuno escluso del tutto dai pagamenti, riduzione debito comunque su basi di sostenibilità reale) . I soci hanno dovuto apportare €20k di liquidi extra per convincere sul piano (misura aggiuntiva che ha alzato recovery >10% rispetto fallimento, come richiesto). L’esperto CNC è stato poi nominato commissario nel concordato, assicurando continuità di gestione della crisi. La Alpha S.r.l. ha inoltre beneficiato di premialità fiscale: poiché ha rispettato il piano, alcune sanzioni tributarie pendenti le sono state condonate e gli interessi ridotti (ex art.25-bis CCII). Questo caso mostra che un’azienda anche indebitata per oltre 600k (superiore al suo fatturato annuo) può salvarsi se c’è un nucleo economico sano e se tutti collaborano ad una soluzione negoziata.
Caso B: Liquidazione giudiziale con esdebitazione del piccolo imprenditore
Beta di Rossi Marco & C. S.n.c. – un’impresa familiare (padre e figlio) che produce resine per rivestimenti in edilizia. Purtroppo perde un’importante commessa estera nel 2023 e accumula debiti su debiti: €120.000 con fornitori, €50.000 di affitti arretrati del capannone, €80.000 di debiti bancari (scoperto di conto e prestito artigiano garantito personalmente dai soci), €60.000 con il Fisco (IVA di due anni non versata) e €20.000 con dipendenti (TFR di due operai e ultime mensilità). L’attività è praticamente ferma: pochi ordini, margini negativi. I soci ci provano – tardivamente – a vendere qualche macchinario per fare cassa, ma commettono l’errore di svenderne alcuni a un amico per €10.000 senza interpellare formalmente i creditori (valevano almeno 30.000). Questo atto toglie garanzie ai creditori. Ormai insolvente, Beta S.n.c. riceve un’istanza di fallimento dal proprietario del capannone (stanco di aspettare affitti). A questo punto i soci consultano un avvocato: capiscono che non c’è modo di recuperare l’azienda perché il mercato è perduto e i debiti troppo alti. Decidono di non opporsi all’istanza e anzi depositano bilanci e elenco creditori in tribunale per facilitare. Nell’aprile 2025 il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale di Beta S.n.c. (società di persone): nomina un curatore e apre la procedura . Effetti: i soci perdono la gestione, l’azienda cessa l’attività, i dipendenti sono licenziati ma possono attivare il Fondo di Garanzia INPS per ricevere TFR e 3 mensilità (il curatore li assiste in questo, così i lavoratori vengono soddisfatti rapidamente per quelle quote). Il curatore trova solo pochi beni: rimangono un furgone e un mixer, che vende all’asta ricavando €15.000. Inoltre, revoca (annulla) la vendita a prezzo vile dei macchinari fatta all’amico, recuperandoli nell’attivo (questo perché l’aveva eseguita il debitore insolvente poco prima della procedura: atto revocabile come bancarotta). Vendendo anche quei macchinari, incassa altri €25.000. Totale attivo €40.000. Dopo aver pagato le spese (procedura costata €5.000 tra compensi e oneri vari), rimangono €35.000 da distribuire: vanno prima in parte al Fisco e INPS (privilegi per €15.000) e il resto un 20% circa ai creditori chirografari. La procedura si chiude nel 2026. I creditori chirografari (fornitori, locatore, banca per parte non coperta da garanzie) hanno perso la maggior parte dei loro crediti; i soci di Beta S.n.c., essendo illimitatamente responsabili, sarebbero ancora debitori per tutte le somme non soddisfatte. Tuttavia, i due (padre e figlio) ottengono dal tribunale l’esdebitazione personale : hanno collaborato, depositato documenti, non commesso atti dolo (la vendita macchinari era criticabile, ma revocata; rischiano semmai sanzione per bancarotta semplice, ma hanno patteggiato una pena lieve). Con l’esdebitazione, i creditori non possono più pretendere nulla da loro sui debiti residui. I soci perdono i conferimenti e beni aziendali, ma riescono a tenere le loro modeste proprietà personali (una casa ciascuno, non ipotecate, e protette come bene di famiglia in parte). Il figlio, dopo un anno da dipendente altrove, decide nel 2027 di riprovarci: apre una nuova ditta individuale Beta 2, usando in leasing un piccolo laboratorio. Il padre lo aiuta ma come consulente esterno per non rischiare. Questa volta tengono i conti in ordine e niente debiti folli; e grazie alla lezione imparata, l’attività rimane più prudente. Certo, la famiglia ha subito una perdita economica, ma non è perseguitata a vita dai debiti grazie all’esdebitazione. I creditori sono rimasti in parte insoddisfatti – cosa che probabilmente sarebbe successa comunque perché l’azienda non aveva più valore – ma almeno la procedura concorsuale ha ripartito quel poco equamente e chiuso la vicenda in tempi relativamente brevi (1-2 anni). Una nota: l’amico che aveva comprato i macchinari a basso prezzo è finito indagato con il socio per bancarotta preferenziale/distrattiva, ma poiché ha restituito i beni e c’era amicizia senza dolo di frodare, se la cavano con una sospensione condizionale. Questo caso mostra la situazione di liquidazione giudiziale come difesa residuale: quando non c’è nulla da salvare, arrendersi all’ordinata liquidazione consente di voltare pagina, purché si accetti la supervisione giudiziaria e la par condicio. Se Beta avesse cercato soluzioni in anticipo forse poteva vendere l’azienda come attivo funzionante e ottenere risultati migliori, ma ignorando la crisi ha peggiorato l’outcome. Per il piccolo imprenditore individuale o socio fallito onesto, comunque, la legge offre adesso un’uscita di sicurezza (fresh start) , rendendo la sconfitta non definitiva.
Conclusione
Affrontare una situazione di sovraindebitamento aziendale in Italia richiede una combinazione di lucidità, conoscenza degli strumenti legali disponibili e tempismo. La vicenda di un’azienda di resine epossidiche indebitata può concludersi in modi molto diversi a seconda delle scelte del debitore: dall’uscita virtuosa tramite un accordo di ristrutturazione o un concordato che la rimette in carreggiata, fino alla liquidazione forzata con chiusura dell’attività. Negli ultimi anni il quadro normativo si è evoluto per privilegiare le soluzioni negoziali e conservative – segno che l’ordinamento vuole dare alle imprese in difficoltà più opportunità di salvezza e limitare i costi sociali dei fallimenti. I nuovi istituti (composizione negoziata, concordato semplificato, esdebitazione accelerata) forniscono al debitore onesto strumenti di difesa efficaci, purché vengano attivati con rapidità e competenza.
Dal punto di vista del debitore, “difendersi” dai debiti aziendali non significa sottrarsi illegittimamente alle proprie obbligazioni, bensì governare la crisi prima che siano i creditori o il caso a farlo in modo caotico. Significa saper negoziare con i creditori una soluzione equa e sostenibile (e il diritto mette a disposizione procedure per farlo in modo trasparente e tutelato ), oppure, se non c’è alternativa, significa affrontare la liquidazione con dignità e collaborazione, per poter ripartire senza lo stigma del fallimento. Ogni strategia ha i suoi pro e contro: la negoziazione stragiudiziale mantiene più riservatezza ma richiede consenso alto; le procedure giudiziali garantiscono stay e possono imporre sacrifici a dissenzienti, però sono più lunghe e pubbliche. Un buon consulente saprà indirizzare verso la combinazione giusta (spesso, come visto, si inizia negoziando e se serve si chiede l’ombrello del tribunale).
È fondamentale sottolineare l’importanza di farsi affiancare da professionisti specializzati in crisi d’impresa: avvocati, commercialisti, advisor finanziari con esperienza specifica. La materia è divenuta altamente tecnica, e le conseguenze di un errore (come presentare tardi una domanda di concordato, o formulare male una proposta ai creditori) possono compromettere la buona riuscita. Gli imprenditori devono anche vincere un certo stigma culturale: oggi utilizzare uno strumento di allerta come la composizione negoziata non è infamante, anzi viene considerato segno di buona gestione (meglio un risanamento tempestivo che un fallimento tardivo). Allo stesso modo, per un piccolo debitore, chiedere l’esdebitazione non è “fare il furbo”, ma esercitare un diritto a una seconda opportunità riconosciuto dalla legge .
In conclusione, un’“azienda di resine epossidiche con debiti” ha di fronte a sé un ventaglio di opzioni per difendersi dalle aggressioni creditorie e al contempo ristrutturare il proprio debito. Dalle strategie preventive (che idealmente evitano di giungere sull’orlo del baratro) alle soluzioni difensive (che scattano quando si è già sul ciglio), l’importante è agire con cognizione di causa e tempestività. Come recita un principio ormai cardine: la crisi d’impresa non è una colpa, ma va gestita responsabilmente. Il quadro normativo aggiornato a ottobre 2025 offre gli strumenti, la giurisprudenza fornisce linee guida interpretative , e il sistema coinvolge figure esperte (esperti negoziali, OCC, commissari) per aiutare l’imprenditore. Il debitore che saprà avvalersene in buona fede potrà, nella maggior parte dei casi, evitare gli esiti più nefasti (la perdita integrale dell’azienda e un futuro segnato dai debiti) e magari trasformare una crisi in un’occasione di rilancio su basi più solide.
Fonti e riferimenti normativi
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n.14) – Articoli rilevanti: art. 2 (definizioni di crisi, insolvenza, sovraindebitamento) ; art. 3 (obblighi di rilevazione tempestiva e assetti adeguati) ; Titolo II artt.12-25-quinquies (Composizione negoziata della crisi) ; art. 56 (Piani attestati di risanamento) ; artt.57-64 (Accordi di ristrutturazione, inclusi accordi agevolati e ad efficacia estesa) ; art.63 (Transazione su crediti tributari e contributivi) ; art. 84 e ss. (Concordato preventivo, condizioni e classi); art. 90 (Misure protettive nel concordato) ; art. 94 (Contratti pendenti nel concordato) ; art. 100 (Voto dei creditori); art. 109 (Omologazione anche in caso di classi dissenzienti) ; artt. 117-118 (Concordato semplificato per liquidazione); Titolo V artt.121-270 (Liquidazione giudiziale, organi, effetti) ; art. 270 (Esdebitazione del sovraindebitato meritevole in 3 anni) ; Titolo IV Capo II artt.65-81 (Procedure da sovraindebitamento: piano del consumatore, concordato minore , liquidazione controllata) – Fonte: testo vigente al 28/09/2024 (aggiornato con D.Lgs.83/2022 e D.Lgs.136/2024).
- Codice Civile, art. 2086 comma 2 – Dovere per imprenditori societari di assetti adeguati e attivazione strumenti di superamento crisi (introdotto da D.Lgs.14/2019, art.375).
- Decreto Legge 24 agosto 2021 n.118, conv. in L.147/2021 – Introduzione anticipata della Composizione Negoziata per la Crisi d’Impresa e del Concordato semplificato post-CNC. Linee guida e check-list per esperti (MISE, CCIAA). – Riferimento: Relazione illustrativa e dati Unioncamere 2022-2025 .
- D.Lgs. 17 giugno 2022 n.83 (c.d. “correttivo insolvenza”) – Attuazione Direttiva UE 2019/1023: ha modificato il CCII introducendo Piani di ristrutturazione soggetti a omologazione (PRO), Accordi agevolati al 30% , Accordi ad efficacia estesa (art.61 CCII) , Cram-down fiscale transitorio (poi reso permanente) , e norme su classi e voti nel concordato preventivo. – Fonte: Notariato, Studio 71-2024/C (E. Cavuoto, “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti dopo il d.lgs.136/2024”, apr.2025) .
- D.Lgs. 13 settembre 2024 n.136 (correttivo-ter) – Ulteriori disposizioni integrative al CCII: rafforzamento composizione negoziata (transazione fiscale ammessa , premialità tributarie , incentivazione misure protettive per banche ), chiarimenti su obblighi segnalazione (entrati vigore ott.2024) , coordinamento tra procedure. – Fonte: Relazione Ministeriale 2024 (cfr. R. d’Alonzo, “La composizione negoziata nell’era del terzo correttivo”, DirittodellaCrisi.it, sett.2024) .
- Cassazione Civile, Sezioni Unite, 26 luglio 2023 n.22699 – Sovraindebitamento: ha affermato che l’imprenditore cancellato dal registro imprese non può accedere a concordato preventivo né a accordi di ristrutturazione, ma può ricorrere agli strumenti da sovraindebitamento; e che la esdebitazione nel nuovo Codice è un diritto dopo 3 anni dall’apertura liquidazione controllata, senza dover attendere chiusura . – Fonte: Cass. SU 22699/2023, in Professionistidellacrisi.it (post 6/9/2023) .
- Cassazione Civ., Sez.V, 29 novembre 2023 n.33303 – Accordo di ristrutturazione con transazione fiscale: omologazione sopravvenuta ad una sentenza tributaria impugnata determina cessazione materia del contendere . Conferma che l’accordo omologato vincola anche Fisco rispetto a pretese oggetto di contenzioso. – Fonte: Unijuris.it (osservatorio) .
- Corte Appello di Milano, 25 maggio 2025 – Concordati in continuità ante D.Lgs.136/2024: ha applicato comunque il cram-down interclassi previsto dalla nuova norma, ritenendo trattasi di principio generale (recepimento direttiva) applicabile anche a procedure pendenti . – Fonte: Unijuris (news) .
- Corte Appello di Roma, 10 aprile 2025 – Accordi di ristrutturazione con transazione fiscale: precisati i presupposti per chiedere l’omologazione forzosa in caso di mancata adesione enti pubblici . Sottolineata necessità di adeguata informativa a tutti i creditori per estensione ex art.61 CCII (accordo ad efficacia estesa).
- Tribunale di Lecce, 26 marzo 2025 – Concordato semplificato post-CNC: ha ritenuto ammissibile la falcidia dei debiti tributari nel piano liquidatorio semplificato anche in assenza di formale transazione fiscale , purché il trattamento non sia inferiore a quanto otterrebbero in liquidazione ordinaria. Ciò in linea con favor soluzione concordata.
- Dati statistici Unioncamere (Osservatorio CNC) – 2.469 istanze di composizione negoziata al 1° marzo 2025; aumento dimensione media imprese coinvolte; circa 81% richiedono misure protettive ; solo 4% imprese “sottosoglia” coinvolte finora ; tasso successo in aumento con 38 imprese risanate nel 2024 (Rapporto Unioncamere VIII ed., nov.2025) . – Fonte: Unioncamere, Rapporto semestrale CNC (Nov.2025) .
- Assonime – circolari / Il Sole 24 Ore – Speciale Crisi 2022-2023: vari commenti sull’entrata in vigore del CCII, con enfasi su obblighi di segnalazione e assetti amministrativi. V. ad es. Il Sole 24 Ore 15/07/2022 (“Codice della crisi al via: allerta interna già operativa”) e 20/10/2024 (“Crisi d’impresa, correttivo-ter incentiva la composizione negoziata”).
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Perché un’Azienda di Resine Epossidiche va in Debito
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- riduzione o revoca dei fidi bancari
Il problema principale non è la mancanza di vendite, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se Non Agisci Subito
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco dei fidi bancari
- sospensione delle forniture di resine, indurenti e packaging
- atti esecutivi, decreti ingiuntivi, precetti
- sequestro di prodotti, fusti, attrezzature e magazzino
- impossibilità di evadere ordini e lavori già programmati
- perdita di clienti fondamentali e rivenditori storici
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può:
- sospendere pignoramenti in corso
- bloccare richieste aggressive di rientro
- proteggere conti aziendali e flussi di cassa
- fermare le iniziative dell’Agenzia Riscossione
Prima si mette in sicurezza l’azienda, poi si interviene sui debiti.
2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti
Molte posizioni debitorie presentano irregolarità:
- interessi non dovuti
- sanzioni sbagliate o gonfiate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori dell’Agenzia Riscossione
- commissioni bancarie anomale
Una parte consistente del debito può essere ridotta o cancellata.
3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile
Soluzioni efficaci:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi di rientro con fornitori strategici (chimici, packaging, trasportatori)
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensione temporanea dei pagamenti
- accesso a definizioni agevolate e riduzioni fiscali
4. Usare strumenti legali potenti che bloccano TUTTI i creditori
Per crisi più profonde la legge consente di accedere a:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di Ristrutturazione
- Concordato Minore
- (nei casi estremi) Liquidazione Controllata
Questi strumenti permettono all’azienda di continuare a operare pagando solo una parte del debito, con protezione totale da pignoramenti e blocchi.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda chimica servono esperti veri.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Un profilo perfetto per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende che lavorano con resine epossidiche e prodotti tecnici.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata e approfondita della tua esposizione debitoria
- stop ai pignoramenti e ai decreti ingiuntivi
- riduzione dei debiti non dovuti
- creazione di un piano di ristrutturazione sostenibile
- protezione di magazzino, fusti, attrezzature e forniture critiche
- trattative dirette con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela completa dell’azienda e dell’imprenditore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di resine epossidiche non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia rapida, tecnica e completamente legale, puoi:
- bloccare immediatamente i creditori,
- ridurre realmente i debiti,
- salvare produzione, clienti e continuità operativa,
- proteggere il futuro della tua attività.
Agisci ora.
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