Se la tua azienda produce, importa o distribuisce rilevatori gas portatili, strumenti multi-gas, sensori per ossigeno, CO, CO₂, H₂S, VOC, dispositivi ATEX, pompe di aspirazione, calibrazioni, ricambi e soluzioni per sicurezza industriale, ambientale e manutentiva, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale intervenire subito per evitare blocchi nelle forniture e perdita di clienti strategici.
Nel settore della sicurezza gas, ritardi nelle consegne o nella calibrazione possono fermare attività industriali, impedire accessi in ambienti confinati e generare penali e gravi responsabilità operative.
Perché le aziende di rilevatori gas portatili accumulano debiti
- aumento dei costi di sensori, celle elettrochimiche, componenti elettronici e certificazioni ATEX
- rincari delle importazioni e shortage di chip e parti tecniche
- pagamenti lenti da parte di imprese di manutenzione, industrie e contractor
- ritardi nei versamenti di IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con modelli diversi, ricambi, sensori soggetti a scadenza
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista l’intera posizione debitoria
- verificare quali debiti possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro troppo pesanti che riducono la liquidità
- richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
- proteggere rapporti con fornitori strategici e sensori critici
- usare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti in modo efficace
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di sensori, pompe, elettronica e dispositivi ATEX
- impossibilità di effettuare consegne, calibrazioni e manutenzioni
- perdita di clienti industriali, aziende di sicurezza e manutentori
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti specializzati in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può aiutarti concretamente a:
- bloccare pignoramenti e atti esecutivi
- ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti più efficaci previsti dalla legge
- ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
- proteggere apparecchiature, sensori, magazzino e continuità operativa
- evitare la chiusura e accompagnare la tua azienda verso un risanamento reale
Agisci ora
Le aziende non falliscono per i debiti, ma per il ritardo con cui intervengono.
Agire oggi significa salvare forniture, clienti e continuità tecnica.
👉 La tua azienda è indebitata?
Richiedi subito una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo e proteggi la tua azienda di rilevatori gas portatili.
Introduzione
Se la tua azienda produce, importa o distribuisce rilevatori di gas portatili – dispositivi per la sicurezza industriale e ambientale impiegati per rilevare gas tossici o infiammabili – e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate-Riscossione, INPS, banche o fornitori, è essenziale intervenire rapidamente per evitare il blocco dell’attività.
Nel settore dei rilevatori portatili di gas, ritardi nelle forniture di componenti o nel servizio di manutenzione possono compromettere la sicurezza dei clienti e comportare penali contrattuali, reclami e perdite di commesse. Di seguito evidenziamo alcuni punti chiave iniziali.
Perché le aziende di rilevatori gas accumulano debiti:
- Alti costi tecnologici: componenti elettronici specializzati e sensori di gas hanno costi elevati, spesso aggravati da certificazioni di sicurezza obbligatorie e dall’aumento dei prezzi delle materie prime high-tech.
- Pagamenti dilazionati: i clienti (es. imprese industriali o enti pubblici) pagano con ritardi significativi (90+ giorni), creando squilibri di cassa.
- Strettoie finanziarie: investimenti in ricerca e sviluppo o scorte di magazzino (ricambi, batterie, calibrazioni) drenano liquidità; ottenere fidi bancari adeguati può essere difficile in assenza di garanzie.
- Obblighi tributari e contributivi: in periodi di flessione del fatturato, l’azienda può rinviare i versamenti di IVA, imposte o contributi, accumulando debiti con l’Erario e gli enti previdenziali.
Cosa fare subito:
- Analisi professionale del debito: far esaminare da un consulente esperto la posizione finanziaria e debitoria complessiva, per avere un quadro chiaro.
- Individuare possibili contestazioni o soluzioni: capire quali addebiti possono essere contestati o ridotti, e quali debiti possono essere rateizzati o ristrutturati con accordi.
- Evitare accordi improvvisati insostenibili: non sottoscrivere piani di rientro troppo gravosi solo per guadagnare tempo – potrebbero aggravare la situazione se non sostenuti da flussi adeguati.
- Frenare le azioni esecutive in corso: se ci sono già pignoramenti o bloccaggi di conti, valutare strumenti legali per chiederne la sospensione immediata.
- Salvaguardare fornitori e asset critici: identificare i fornitori strategici (es. di sensori o componenti essenziali) e assicurarsi di mantenere quei rapporti, magari garantendo pagamenti per le forniture correnti.
- Usare gli strumenti normativi di difesa: informarsi sulle procedure legali disponibili per rinegoziare o ristrutturare i debiti (dettagliate in questa guida) e prepararsi ad attivarle tempestivamente.
I rischi se non intervieni immediatamente:
- Pignoramento dei conti e dei beni: un creditore potrebbe ottenere un decreto ingiuntivo e pignorare il conto corrente aziendale, prosciugando la liquidità necessaria alle operazioni quotidiane . Possono anche colpire veicoli aziendali o macchinari essenziali (fermi amministrativi), paralizzando l’attività .
- Blocco delle forniture critiche: fornitori chiave di sensori, ricambi o software potrebbero interrompere le consegne a causa di fatture non pagate . Senza componenti, la produzione o manutenzione dei rilevatori si ferma, causando l’insoddisfazione dei clienti e ulteriori perdite economiche.
- Perdita di clienti e reputazione: ritardi nelle consegne o nell’assistenza tecnica per mancanza di fondi possono far perdere contratti importanti (es. con imprese chimiche o enti che usano questi dispositivi per la sicurezza). Una volta persi, riconquistare tali clienti diventa difficile, soprattutto se si attivano penali contrattuali per inadempimento.
- Rischio di chiusura forzata: il cumularsi di azioni legali e mancati pagamenti può condurre alla liquidazione giudiziale (il “fallimento” in termini giuridici) su istanza dei creditori . In mancanza di reazione, l’epilogo rischia di essere la cessazione dell’attività, con dispersione del know-how aziendale e delle risorse umane specializzate.
Introduzione
Le aziende manifatturiere e tecnologiche – come un’impresa specializzata in rilevatori portatili di gas – possono ritrovarsi esposte a debiti significativi verso banche, fornitori, Fisco o altri creditori. Nel contesto economico attuale, caratterizzato da mercati altalenanti e costi crescenti, molte imprese di questo tipo stanno affrontando difficoltà finanziarie che rischiano di comprometterne la continuità operativa. Cosa può fare l’imprenditore o l’amministratore di un’azienda di rilevatori gas indebitata per difendersi dalle azioni dei creditori e salvare l’impresa?
In questa guida esamineremo in dettaglio le strategie difensive e gli strumenti giuridici a disposizione del debitore, aggiornati alla normativa italiana di ottobre 2025, tenendo conto dei più recenti interventi legislativi e orientamenti giurisprudenziali. L’approccio sarà dal punto di vista del debitore (imprenditore o legale rappresentante), con un linguaggio tecnico-giuridico ma accessibile, adatto sia a professionisti (avvocati, commercialisti) sia a imprenditori e privati interessati. Faremo riferimento al nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019) e successive modifiche , che hanno introdotto strumenti innovativi per la gestione della crisi.
Obiettivo della guida: fornire un quadro avanzato e completo su come gestire i debiti aziendali verso banche, fornitori, enti pubblici (Erario, INPS) o lavoratori, illustrando le possibili soluzioni – dalle trattative stragiudiziali alle procedure concorsuali – per evitare il fallimento (oggi chiamato liquidazione giudiziale) o almeno minimizzarne gli effetti negativi. Saranno incluse le ultime novità normative, come la composizione negoziata della crisi d’impresa introdotta nel 2021 e i correttivi del 2022-2024, nonché sentenze aggiornate che delineano principi chiave emersi dalla giurisprudenza più recente. Troverete inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di domande e risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più frequenti.
Importante: agire tempestivamente è spesso la chiave per il successo. La legge italiana oggi offre diversi strumenti per la risoluzione delle crisi aziendali, ma è fondamentale saperli attivare prima che la situazione degeneri troppo. Con una strategia adeguata e l’assistenza di professionisti esperti, anche un’azienda produttrice di dispositivi di sicurezza come i rilevatori di gas può sperare di risanarsi, difendersi efficacemente dai creditori e tornare su basi finanziarie solide.
Debiti verso le banche e istituti finanziari
I debiti bancari comprendono esposizioni derivanti da mutui, finanziamenti, scoperti di conto corrente, anticipi fatture o leasing finanziari. Spesso tali crediti sono assistiti da garanzie reali: ad esempio, la banca può aver iscritto un’ipoteca su immobili aziendali o un pegno su apparecchiature e macchinari di proprietà dell’impresa . In presenza di garanzie reali, la banca è un creditore privilegiato o garantito, il che significa che, in caso di insolvenza dell’azienda, avrà diritto di prelazione sul ricavato dei beni dati in garanzia.
Un elemento cruciale è il cosiddetto privilegio processuale del credito fondiario previsto dall’art. 41 del Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993): le banche titolari di ipoteca su un immobile possono iniziare o proseguire l’esecuzione forzata sull’immobile ipotecato anche se l’azienda entra in procedura concorsuale . In altre parole, se la tua azienda avvia un concordato preventivo o altra procedura, la banca con mutuo ipotecario non è tenuta a fermare il pignoramento dell’immobile dato in garanzia, potendo proseguire la sua azione separatamente. La Corte di Cassazione ha confermato, con sentenza n. 22914/2024, che questo privilegio opera sia nella liquidazione giudiziale (il “nuovo fallimento”) sia nella liquidazione controllata per i debitori minori . Ciò rende la posizione della banca molto forte rispetto ad altri creditori, perché il bene ipotecato rimane aggredibile dalla banca anche durante le procedure concorsuali.
Oltre alle garanzie reali, spesso i finanziamenti bancari sono assistiti da fideiussioni personali degli imprenditori o da garanzie fornite da soci o terzi. Questo significa che, se l’azienda non paga, la banca può rivalersi direttamente anche contro i garanti (es. l’imprenditore stesso o i soci garanti), aggredendo il loro patrimonio personale . È frequente infatti che per concessioni di credito importanti la banca chieda ai soci di una S.r.l. o ai titolari di una ditta individuale di garantire personalmente il rimborso: attenzione quindi alle fideiussioni – approfondiremo più avanti le implicazioni, ma in sintesi chi ha garantito con beni propri rischia il pignoramento di quegli stessi beni se la società non paga.
Le banche dispongono di risorse e consulenti legali capaci di muoversi con rapidità: in caso di tensione finanziaria, la banca può revocare gli affidamenti (fidi di cassa, anticipo fatture) e dichiarare la decadenza dal beneficio del termine, richiedendo il rientro immediato di tutto il capitale residuo del prestito. Dopodiché, può agire giudizialmente in tempi brevi: ottenere un decreto ingiuntivo e, se l’azienda non paga né si oppone entro 40 giorni, avviare il pignoramento di beni aziendali, conti correnti o crediti verso terzi . È evidente che i debiti verso le banche richiedono priorità assoluta nella gestione della crisi: un istituto di credito insoddisfatto può precipitarti nel dissesto con mosse repentine.
Va segnalato però che, in presenza di una procedura di composizione della crisi o concorsuale, anche le banche subiscono alcune limitazioni. In particolare, se l’azienda attiva una composizione negoziata della crisi e ottiene dal tribunale misure protettive, le banche non potranno avviare o proseguire azioni esecutive né, novità introdotta nel 2024, revocare o ridurre le linee di fido durante il periodo di protezione . Il terzo correttivo al Codice della crisi (D.Lgs. 83/2023 convertito in D.Lgs. 136/2024) ha infatti stabilito espressamente che, nelle misure protettive concesse nell’ambito della composizione negoziata, anche le banche devono mantenere operativi gli affidamenti in essere, salvo eccezioni legate a obblighi di vigilanza prudenziale . Tradizionalmente, appena percepivano un peggioramento della situazione finanziaria, le banche tendevano a tagliare i fidi, spesso provocando il collasso finale dell’impresa; ora la legge impone un freno a queste revoche almeno per il periodo coperto dal “ombrello” protettivo, dando respiro all’impresa in crisi. In pratica, se hai ricevuto una lettera di revoca fidi ma riesci tempestivamente ad avviare una procedura di composizione negoziata e ad ottenere le misure protettive, la banca deve sospendere gli effetti della revoca per la durata stabilita dal tribunale . Ciò non significa che la banca tornerà a erogarti nuovo credito (non esiste un obbligo a finanziarti ulteriormente), ma blocca la richiesta di rientro immediato e mantiene accessibili le linee esistenti per qualche mese, finché lavori al risanamento.
In assenza di tutele formali, la banca resta il creditore con maggiore capacità di pressione. Può anche presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) se il credito supera le soglie di legge ed evidenzia lo stato d’insolvenza dell’impresa . Attualmente, la soglia per istanza di liquidazione giudiziale da parte dei creditori è di 30.000 € di credito scaduto (salvo casi particolari come crediti alimentari o di lavoro). Pertanto, una banca creditrice di importo rilevante, se non vede prospettive di rimborso, può attivare essa stessa la procedura concorsuale chiedendo al tribunale la liquidazione dell’azienda debitrice.
Implicazioni per il debitore: di fronte a ingenti debiti bancari, è indispensabile agire con rapidità e pianificazione. Bisogna negoziare con la banca un eventuale standstill (sospensione temporanea delle azioni) o ristrutturazione del debito, possibilmente presentando un piano credibile su come si intende rientrare (anche parzialmente). Se la situazione è già compromessa e la banca mostra segni di impazienza (revoca fidi, solleciti legali), può diventare necessario ricorrere immediatamente a uno strumento concorsuale per congelare la situazione (es. depositare una domanda di concordato preventivo con riserva, o avviare la composizione negoziata chiedendo misure protettive). Approfondiremo oltre queste soluzioni. In sintesi, la banca va considerata un “super-creditore” nella crisi: ha mezzi per agire subito e spesso garanzie robuste; il debitore deve quindi dedicarle particolare attenzione nelle strategie difensive.
Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali
Accanto alle banche, un’azienda industriale o commerciale accumula spesso debiti verso i fornitori di materie prime, componenti, servizi e altri creditori commerciali. Questi debiti commerciali di solito hanno scadenze a breve termine (30-90 giorni) e, se i pagamenti ritardano, i fornitori possono reagire in vari modi: alcuni sospendono le forniture future (blocco delle consegne), altri richiedono modalità di pagamento più stringenti (ad esempio pagamento anticipato prima di spedire nuove merci), altri ancora si rivolgono a un legale per il recupero del credito.
Diversamente dalle banche, i fornitori raramente dispongono di garanzie reali: i loro crediti sono generalmente chirografari (non privilegiati), salvo eccezioni particolari (ad esempio, fornitori che abbiano riserva di proprietà sulla merce venduta, o artigiani con privilegio su beni da loro riparati ai sensi dell’art. 2762 c.c.). Ciò significa che, in un’eventuale procedura concorsuale, i fornitori verrebbero soddisfatti dopo i creditori privilegiati (lavoratori, Fisco, banche ipotecarie, ecc.) e solo in proporzione all’attivo residuo disponibile . In pratica, sono ultimi nell’ordine di pagamento in caso di liquidazione fallimentare, il che li rende creditori deboli dal punto di vista concorsuale.
Tuttavia, sul piano delle azioni individuali, un fornitore impagato ha strumenti relativamente rapidi ed efficaci: può ottenere un decreto ingiuntivo di pagamento (spesso basato su fatture non contestate, DDT firmati, ordini, ecc.) e – decorso il termine di 40 giorni senza che l’azienda debitrice proponga opposizione – quel decreto diventa esecutivo, consentendo al fornitore di procedere con pignoramenti di conti correnti, beni mobili aziendali o crediti verso terzi (es. crediti che la nostra azienda vanta presso i suoi clienti) . Inoltre, anche un singolo fornitore (così come qualunque creditore chirografario) può provocare il fallimento dell’impresa presentando ricorso al tribunale, se il suo credito supera la soglia di legge di 30.000 € ed è sintomatico di uno stato d’insolvenza non transitorio . Quindi non bisogna sottovalutare il potere di pressione dei fornitori: il blocco delle forniture può fermare la produzione e le consegne, e un pignoramento su un conto bancario può paralizzare la gestione ordinaria.
Detto questo, i fornitori in genere sono più flessibili delle banche nella negoziazione. Spesso hanno interesse a mantenere la relazione commerciale con l’azienda cliente (soprattutto se specializzata in un settore di nicchia come quello dei rilevatori gas). Pertanto, molti fornitori sono disposti a rinegoziare le condizioni di pagamento in cambio di garanzie di futura collaborazione: ad esempio possono accettare dilazioni (piani di rientro rateali, magari garantiti da cambiali o da fideiussioni personali), oppure, se temono di non recuperare nulla in caso di fallimento, possono concordare uno sconto a saldo e stralcio (rinuncia a una parte del credito in cambio di un pagamento immediato parziale) . Queste soluzioni stragiudiziali vanno gestite con attenzione e trasparenza.
Un rischio da evitare è quello di fare accordi occulti con alcuni fornitori a scapito di altri quando la crisi è conclamata. Pagare “sottobanco” solo alcuni creditori (magari quelli più aggressivi) lasciando a secco gli altri può portare, oltre che a comprensibili tensioni e perdita di fiducia, a problemi legali: in caso di successivo fallimento, i pagamenti preferenziali effettuati nell’ultimo periodo (6 mesi prima del fallimento per i chirografari, un anno per i privilegiati) possono essere revocati dal curatore , costringendo il fornitore a restituire quanto ricevuto. Dunque, è sconsigliabile “favorire” arbitrariamente un fornitore a scapito di un altro in situazione di insolvenza imminente. Meglio adottare un approccio equo e documentato: raggruppare i creditori omogenei per categoria e proporre condizioni analoghe a tutti i membri di ciascun gruppo . Ad esempio, offrire lo stesso piano di rientro (stessa percentuale e tempistiche) a tutti i fornitori chirografari; condizioni uniformi a tutte le banche chirografarie; riservare trattamenti migliori solo a chi ha cause di prelazione oggettive (ad es. i fornitori con riserva di proprietà potrebbero essere pagati di più poiché altrimenti riprenderebbero la merce). Ciò evita disparità eccessive e riduce il rischio di liti tra creditori che potrebbero far naufragare un accordo complessivo.
Implicazioni e difese: la gestione dei debiti verso fornitori richiede negoziazione attiva e pianificazione. Il debitore dovrebbe stilare un elenco dei fornitori chiave, del loro credito e del ruolo che rivestono (fornitore strategico o secondario). Con i fornitori strategici conviene attivare un dialogo franco: spiegare la situazione di crisi, illustrare un piano di ristrutturazione in corso e assicurare che avranno un trattamento equo rispetto agli altri. In molti casi, i fornitori preferiscono concedere respiro all’azienda (pur di non perderla come cliente) piuttosto che essere essi stessi causa del suo fallimento e recuperare solo una minima parte del dovuto. Ad esempio, si potrebbe proporre: “Continuate a rifornirci – vi paghiamo regolarmente il nuovo fornito – e per l’arretrato vi includiamo in un piano di rientro che vi assicura il pagamento di una percentuale (es. 30-40%) in tot mesi”. Se tale proposta viene formalizzata all’interno di una procedura (concordato o accordo omologato), i fornitori avranno anche la certezza giuridica del suo rispetto, poiché l’esecuzione del piano sarà vigilata da un organo terzo (commissario/giudice).
Da notare infine che gli strumenti concorsuali offrono protezioni specifiche per i contratti in corso con fornitori essenziali: durante una composizione negoziata con misure protettive attive, i creditori non possono risolvere unilateralmente i contratti in essere per inadempienze pregresse . Ciò significa, ad esempio, che se hai un contratto quadro continuativo con un fornitore di sensori e sei in composizione negoziata con protezione, quel fornitore non può interrompere la fornitura adducendo i vecchi insoluti (salvo diversa autorizzazione del tribunale). Analogamente, nel concordato preventivo in continuità puoi chiedere al giudice di autorizzare la continuazione dei contratti essenziali e il pagamento in prededuzione delle forniture correnti . In sostanza, la legge tutela la continuità aziendale impedendo ai fornitori di usare i debiti pregressi come motivo per bloccare forniture vitali durante la procedura. Dovrai però onorare puntualmente le forniture correnti, altrimenti il giudice può autorizzare la risoluzione del contratto . Inoltre i crediti dei fornitori per forniture effettuate dopo l’apertura di concordato/composizione negoziata sono prededucibili, cioè saranno soddisfatti con precedenza su quelli anteriori : comunica questo ai tuoi fornitori, perché è un’informazione rassicurante (se anche la tua procedura finisse in liquidazione, i crediti sorti durante la procedura verrebbero pagati prima degli altri). Insomma, tra leva legale (divieto di recesso dai contratti) e leva negoziale (garanzie e pagamenti regolari sul nuovo), hai strumenti per convincere i fornitori a continuare il rapporto durante il risanamento.
Debiti verso il Fisco (Erario) e gli enti previdenziali (INPS)
Le posizioni debitorie verso l’Erario – in particolare Agenzia delle Entrate (imposte dirette) e Agenzia delle Entrate-Riscossione (la ex Equitalia, per le cartelle) – comprendono imposte non versate (IVA, IRES, IRAP), eventuali ritenute fiscali operate sulle retribuzioni dei dipendenti ma non versate, nonché interessi e sanzioni risultanti da cartelle esattoriali impagate. Analogamente, i debiti verso l’INPS riguardano contributi previdenziali non pagati (contributi dovuti sui dipendenti, sui soci lavoratori o sul titolare in caso di ditta individuale).
Questi debiti godono di uno status privilegiato: in caso di procedure concorsuali, vantano privilegi generali sui mobili dell’impresa, e talvolta privilegi speciali su determinati beni, ai sensi del Codice Civile (artt. 2752 e 2753 c.c. per imposte dirette, IVA e contributi previdenziali). Ciò li colloca in alta priorità di pagamento, subito dopo i crediti dei lavoratori per retribuzioni e TFR . In particolare, l’IVA non versata e le ritenute operate e non versate sono crediti privilegiati che la legge considera “sensibili”: tradizionalmente è stato vietato il loro stralcio totale nelle soluzioni concordate, a meno di seguire procedure ad hoc di transazione fiscale (ne parleremo a breve). Questo significa che in un concordato il Fisco ha una posizione di forza, pretendendo il pagamento integrale di IVA e ritenute quantomeno nella misura garantita dal realizzo sui beni su cui ha privilegio.
Dal lato della riscossione coattiva, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione dispone di ampi poteri. In mancanza di pagamento spontaneo, vengono notificate le cartelle di pagamento; decorsi i termini di legge (60 giorni) senza che il debitore paghi né presenti ricorso, la cartella costituisce titolo esecutivo e la Riscossione può procedere senza ulteriore avviso a misure cautelari ed esecutive: ad esempio iscrivere fermi amministrativi sui veicoli aziendali, ipoteche su immobili dell’azienda, e infine attivare pignoramenti su conti correnti, stipendi o altri beni, anche senza passare dal giudice per alcuni atti . Questa possibilità discende dal fatto che la cartella non opposta equivale a una sentenza definitiva. Le azioni esecutive del Fisco possono colpire duramente l’operatività aziendale: pensiamo al pignoramento del conto corrente (liquidità bloccata) o al fermo degli automezzi aziendali (impossibilità di effettuare consegne o assistenza tecnica).
Come difendersi? Fuori dalle procedure concorsuali, il debitore può tentare soluzioni amministrative per gestire il debito fiscale/previdenziale: ad esempio, è possibile richiedere una rateizzazione ordinaria delle cartelle fino a 72 rate mensili (6 anni) ex art. 19 DPR 602/1973 . Per importi fino a €60.000 la dilazione viene concessa con semplice richiesta; sopra €60.000 occorre documentare una temporanea situazione di difficoltà; per debiti molto elevati (oltre €120.000) servono ulteriori documenti a supporto . In questo contesto, se l’azienda sta percorrendo la via della composizione negoziata, l’esperto indipendente nominato potrebbe aiutare a predisporre l’istanza di rateazione fornendo un’attestazione sulla situazione di crisi, facilitando l’ottenimento del piano di dilazione . Negli ultimi anni, inoltre, il legislatore ha introdotto misure di definizione agevolata dei carichi fiscali – ad esempio le varie edizioni della rottamazione delle cartelle – che consentono di estinguere i debiti con lo Stato con sconti su sanzioni e interessi. Ad esempio, la rottamazione-quater 2023 ha permesso a molte imprese di ridurre il debito fiscale pagando solo l’imposta e gli interessi legali, senza sanzioni né interessi di mora . Tali strumenti straordinari dipendono da scelte politiche contingenti e sono disponibili in finestre temporali limitate: è importante monitorare se vi siano opportunità del genere e, se possibile, integrarle nel piano di risanamento. Aderire a una definizione agevolata può, ad esempio, ridurre l’ammontare delle cartelle e rendere più fattibile un successivo accordo con gli altri creditori (debito fiscale “scontato” e già rateizzato).
Quando però si arriva all’avvio di una procedura concorsuale (concordato preventivo, accordo omologato, ecc.), scattano regole specifiche. La presentazione di una domanda di concordato preventivo sospende per legge le azioni esecutive dei creditori per tutta la durata della procedura (salvo eccezioni come i crediti fondiari visti prima): ciò vale anche per il Fisco, che dunque non può proseguire pignoramenti o altre misure una volta notificata l’ammissione al concordato. Un problema tipico riguarda la sorte delle rateazioni già in corso: se l’azienda aveva ottenuto un piano di rateizzazione con Agenzia Entrate o INPS e poi ricorre al concordato, deve continuare a pagare le rate durante la procedura? La Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito il punto con l’ordinanza n. 4081/2023: dopo il deposito di una domanda di concordato preventivo, il debitore può sospendere il pagamento delle rate di un piano fiscale precedente, senza decadere dal beneficio e senza incorrere in sanzioni . Questo perché durante la procedura concordataria i pagamenti ai creditori anteriori sono atti di straordinaria amministrazione che richiedono l’autorizzazione del tribunale; dunque l’azienda non è tenuta a proseguire i versamenti rateali mentre è protetta dal concordato, e l’ente non può revocare la dilazione né applicare sanzioni per il mancato pagamento in pendenza di procedura . In pratica, se hai una dilazione con l’Agente della Riscossione e presenti concordato, puoi sospendere le rate: non perderai automaticamente la rateazione e qualsiasi provvedimento del Fisco che ti dichiari dec decaduto o ti sanzioni in quel periodo è illegittimo . Questo principio tutela il patrimonio del debitore in crisi e impedisce al Fisco di provocare la decadenza da un piano proprio mentre l’impresa sta cercando di ristrutturarsi.
All’interno delle procedure concorsuali, esistono strumenti negoziali specifici col Fisco e gli enti previdenziali, noti come transazione fiscale e contributiva (oggi disciplinata dall’art. 63 CCII, ex art. 182-ter L.Fall.). Si tratta della possibilità, in concordato preventivo o nell’ambito di un accordo di ristrutturazione, di proporre al Fisco/INPS un pagamento parziale e/o dilazionato dei loro crediti privilegiati, in deroga al principio del pagamento integrale . Fino a pochi anni fa la legge vietava di falcidiare IVA e ritenute: in un concordato, queste dovevano essere soddisfatte al 100%, pena l’inammissibilità. Le riforme recenti hanno invece ampliato gli spazi di manovra. Oggi, se il piano proposto garantisce all’Erario almeno l’equivalente di quanto otterrebbe in caso di liquidazione fallimentare, il tribunale può omologare l’accordo o il concordato anche senza il voto favorevole del Fisco (è il cosiddetto cram-down fiscale) . In altre parole, la legge consente al giudice di “superare” l’eventuale dissenso dell’Erario, omologando comunque la proposta, purché siano rispettati certi requisiti di convenienza minima. Questo è stato espressamente previsto dal nuovo Codice della crisi recependo la Direttiva UE 2019/1023 . Un esempio applicativo: la Corte d’Appello di Milano, con sentenza 25 maggio 2025, ha persino applicato retroattivamente questo principio di cram-down fiscale a un concordato aperto prima dell’entrata in vigore della norma, ritenendo che sia un rimedio di ordine pubblico economico e che il tribunale possa omologare forzosamente il concordato nonostante il voto contrario di Agenzia Entrate o INPS, se il piano è in continuità ed equo . Questa interpretazione estensiva (ancora in evoluzione) mostra una tendenza pro-debitore: l’inerzia o l’irragionevole rigidità del creditore pubblico viene sanzionata, pur di salvare imprese con piani validi.
In sintesi, i debiti fiscali e contributivi rappresentano una categoria delicata: da un lato le Agenzie hanno poteri forti di riscossione individuale, dall’altro in sede concorsuale la legge offre strumenti per diluirli o ridurli, ma sempre garantendo un trattamento minimo. Il consiglio per il debitore è duplice: a) utilizzare fin da subito gli istituti deflattivi disponibili (rateazioni, rottamazioni, compensazioni se possibili) per limitare l’esposizione; b) in prospettiva concorsuale, strutturare con cura la transazione fiscale, in modo da rendere appetibile la proposta per l’Erario (pagando almeno parte di IVA/ritenute) e rispettando i parametri di legge, così da potersi far omologare il piano anche in caso di voto contrario del Fisco. Approfondiremo nella parte sulle procedure come integrare la transazione fiscale nel concordato o accordo.
Debiti verso i dipendenti (retribuzioni e TFR)
Un capitolo a parte riguarda i debiti verso i dipendenti dell’azienda: stipendi arretrati, mensilità aggiuntive (tredicesima, quattordicesima) non corrisposte, e Trattamento di Fine Rapporto (TFR) maturato e non versato. Questi crediti dei lavoratori sono altamente tutelati dalla legge. In caso di insolvenza, i dipendenti vantano privilegi speciali molto forti: ad esempio, le retribuzioni degli ultimi 3 mesi di lavoro (entro un certo massimale mensile) e le indennità di fine rapporto rientrano tra i crediti con super-privilegio, che vengono soddisfatti con precedenza persino rispetto ad alcune garanzie reali. In particolare, i crediti per stipendi degli ultimi tre mesi godono di privilegio generale mobiliare che prevale sulle ipoteche già iscritte, entro i limiti fissati dall’art. 2751-bis c.c. . Ciò significa che, in un fallimento o liquidazione giudiziale, una parte consistente dei crediti dei dipendenti viene pagata prima di qualunque altro creditore (fatta eccezione per le spese di giustizia della procedura stessa, che sono prededotte).
Inoltre, esiste il Fondo di Garanzia INPS che interviene a tutela dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro: se viene aperta una procedura concorsuale (fallimento/liquidazione giudiziale, o anche un concordato preventivo che preveda la cessazione dell’attività), i dipendenti possono chiedere al Fondo di anticipare loro il TFR e le ultime retribuzioni impagate. Il Fondo, una volta liquidate queste somme, subentra come creditore privilegiato nella procedura, sostituendosi ai lavoratori nei relativi diritti . Questo meccanismo garantisce ai lavoratori di non restare privi di mezzi di sostentamento per un periodo prolungato: il costo sociale dell’insolvenza viene in parte assorbito dal Fondo pubblico, che poi si insinua al posto loro nel concorso.
Dal punto di vista del debitore: i debiti verso dipendenti vanno maneggiati con estrema attenzione, sia per ragioni legali che etiche. Un imprenditore che non paga regolarmente gli stipendi rischia di perdere rapidamente la fiducia della forza lavoro, con possibili dimissioni in massa (magari per giusta causa, con conseguente richiesta di disoccupazione a carico dell’azienda) e agitazioni sindacali che possono ulteriormente danneggiare l’attività . Sul piano giuridico, il mancato versamento delle retribuzioni e dei contributi può portare a vertenze di lavoro individuali (ingiunzioni di pagamento promosse dai dipendenti) e persino a conseguenze penali. Ad esempio, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali oltre una certa soglia (attualmente €10.000 annui) costituisce reato ai sensi dell’art. 2 D.Lgs. 8/2016; analogamente, l’omesso versamento delle ritenute fiscali (IRPEF) o dell’IVA oltre le soglie di €150.000 e €250.000 annui rispettivamente configura reato tributario ex D.Lgs. 74/2000 . Dunque, accumulare debiti verso dipendenti e Fisco non espone solo a cause civili ma anche al rischio di imputazioni penali a carico degli amministratori (specie per IVA e contributi non versati).
Nell’ambito di un eventuale concordato preventivo, i crediti dei dipendenti godono di una protezione particolare: la legge e la prassi richiedono generalmente che essi vengano soddisfatti integralmente, o al massimo con lievi dilazioni. Infatti, l’art. 109, comma 4, CCII impone il pagamento integrale dei crediti di lavoro che beneficiano del super-privilegio entro i limiti di capienza del privilegio stesso, salvo che il debitore dimostri che in caso di liquidazione fallimentare i dipendenti non riuscirebbero comunque a essere pagati integralmente . In pratica, poiché grazie al Fondo di Garanzia INPS i lavoratori sarebbero comunque soddisfatti (entro i tetti di legge) anche nel fallimento, un concordato che non preveda il pagamento pressoché completo di salari e TFR difficilmente supera il vaglio del tribunale (a meno di circostanze eccezionali) . Nei piani di concordato, di norma si prevede che i crediti da lavoro siano pagati al 100% (magari subito dopo l’omologa, o con breve rateo) proprio per assicurare l’omologazione. Nel concordato in continuità, inoltre, è fondamentale pagare regolarmente i dipendenti per mantenere operativa l’azienda: non avrebbe senso tentare di proseguire l’attività senza poter contare sul personale motivato e presente . Il mancato pagamento degli stipendi durante il concordato potrebbe portare il tribunale a revocare l’autorizzazione alla continuità.
Implicazioni pratiche: il debitore che ha debiti verso i dipendenti dovrebbe innanzitutto tentare di contenere l’esposizione (ad esempio, se la crisi si manifesta, evitare di accumulare troppe mensilità arretrate magari ricorrendo a strumenti come la Cassa Integrazione Guadagni, ove applicabile, per alleviare il costo del personale). Se esistono mensilità non pagate, i lavoratori possono mettere in mora l’azienda e anche dimettersi per giusta causa, aggravando la crisi; dunque conviene dialogare con loro, spiegando che si sta approntando una soluzione (un piano, un concordato) che garantirà il pagamento almeno di una parte di quanto dovuto. Ricordiamo che in caso di procedura concorsuale aperta, i dipendenti possono accedere al Fondo di garanzia: questo spesso tranquillizza un po’ gli animi, sapendo che almeno TFR e stipendi arretrati saranno coperti (seppur con i tempi tecnici del Fondo). Dal lato dell’imprenditore, va evitato qualsiasi comportamento che possa configurare reati di bancarotta in danno dei lavoratori: distrarre beni dell’azienda privandola di risorse che potevano pagare i dipendenti, o favorire altri creditori lasciando impagati i lavoratori, sono condotte che in un successivo fallimento verrebbero perseguite severamente. La legge, viceversa, tutela l’imprenditore onesto: chi, pur in difficoltà, agisce con correttezza (non occulta beni, non falsifica le scritture contabili, attiva per tempo gli strumenti di allerta) potrà godere dei benefici dell’esdebitazione e generalmente non subirà sanzioni personali per il mero fatto di aver dovuto cessare l’attività . Dunque pagare i dipendenti (almeno in parte) deve essere una priorità, ma se proprio non si riesce a farlo immediatamente, occorre usare gli strumenti legali per salvaguardarli (Fondo di garanzia, concordato, etc.) e mai agire in malafede a loro danno.
Dopo aver tracciato la “mappa” dei debiti tipici di un’azienda (banche, fornitori, fisco, contributi, lavoratori) e compreso chi ha la priorità e quali poteri esercita ciascun creditore, è possibile predisporre una strategia di difesa efficace. Nella tabella seguente riepiloghiamo le principali categorie di creditori, indicando il loro ordine di priorità in caso di liquidazione e alcune note sul loro potere di azione individuale:
| Tipo di creditore | Esempi | Priorità nel pagamento (in caso di liquidazione) | Potere di azione individuale (in bonis) |
|---|---|---|---|
| Dipendenti (salari, TFR) | Stipendi ultimi mesi; TFR maturato | Super-privilegio per 3 mensilità di retribuzione e TFR (art. 2751-bis c.c.): pagati prima degli altri crediti privilegiati, prevalendo anche sulle ipoteche entro i limiti di legge . Eventuale restante parte dei crediti di lavoro ha privilegio generale sui mobili (dopo imposte). | Possono agire con decreto ingiuntivo per salari non pagati. Se si apre una procedura concorsuale, possono chiedere al Fondo di garanzia INPS il pagamento di TFR e ultime 3 mensilità (il Fondo poi si insinua al loro posto) . In caso di reato (es. mancato versamento contributi > soglia) possono sporgere denuncia (azioni penali a carico dell’amministratore) . |
| Erario (Fisco) | IVA non versata; ritenute non versate; imposte dirette (IRES, IRAP) | Privilegio generale sui beni mobili, privilegio speciale su beni specifici (merci in magazzino per IVA, ecc.), posizionati dopo i crediti di lavoro ma prima dei chirografari . IVA e ritenute in particolare hanno privilegio di massimo grado (non falcidiabili se non tramite transazione) . | Riscossione tramite cartelle esattoriali; può iscrivere ipoteche e fermi, e pignorare senza passare dal tribunale (se la cartella non è stata opposta) . Può chiedere il fallimento dell’azienda se vanta > €30.000 . In concordato, può opporsi se il piano non offre almeno il valore di liquidazione; tuttavia il tribunale può imporre il concordato anche senza il suo consenso se il piano è equo (cram-down fiscale) . |
| Enti previdenziali (INPS) | Contributi dipendenti non versati; contributi IVS soci lavoratori | Privilegio generale simile a quello erariale, immediatamente dopo i crediti erariali. | Hanno poteri di riscossione analoghi al Fisco: emissione avvisi di addebito (titolo immediatamente esecutivo), iscrizione a ruolo, pignoramenti. Possono chiedere il fallimento. Possono aderire a transazioni fiscali nelle procedure. Per omessi versamenti contributivi oltre soglia, segnalano all’Autorità Giudiziaria (reato) . |
| Banche (garantite da ipoteca/pegno) | Mutuo ipotecario; leasing con patto di riscatto; finanziamento con pegno su macchinari | Privilegio speciale/reale sui beni dati in garanzia: verranno soddisfatte per prime dal ricavato di quei beni (es.: vendita all’asta dell’immobile ipotecato va prima a coprire il credito bancario) . Il credito fondiario gode di privilegio processuale: la banca ipotecaria può proseguire l’esecuzione sull’immobile anche dopo l’apertura di una procedura concorsuale . | Azioni rapide: possono revocare fidi e chiedere rientro immediato (decadenza dal termine). Possono ottenere decreto ingiuntivo e pignorare beni e conti. Se hanno ipoteca già iscritta: possono iniziare o proseguire l’esecuzione sul bene ipotecato anche durante il concordato/liquidazione (art. 41 TUB) . Possono presentare istanza di fallimento se credito > €30.000. Durante le misure protettive della comp. negoziata o il concordato, non possono revocare i fidi né iniziare pignoramenti (salvo eccezioni di vigilanza). |
| Banche (chirografarie) | Scoperto di c/c non garantito; finanziamento senza garanzie | Chirografari (nessuna prelazione): saranno soddisfatte pro-quota insieme agli altri chirografari, di solito dopo tutti i privilegiati. | Azioni come i fornitori: decreto ingiuntivo e pignoramenti di beni aziendali o crediti verso clienti . Possono chiedere il fallimento (> €30.000). Non avendo garanzie reali, tendono a essere più attivi legalmente per non restare indietro. |
| Fornitori (chirografari) | Fatture per merci e servizi forniti; professionisti non pagati | Chirografari puri: ultimi nell’ordine di soddisfazione (salvo eventuali piccoli privilegi come art. 2762 c.c. per artigiani su beni riparati, o patto di riservato dominio su beni forniti). I soci finanziatori “postergati” sono addirittura subordinati a tutti gli altri chirografari (art. 2467 c.c.). | Possono interrompere forniture future in caso di insoluti. Possono agire con decreto ingiuntivo e attivare pignoramenti (conti correnti, merci, crediti) . Possono chiedere il fallimento (se credito > €30.000) . I soci postergati non possono chiedere rimborsi finché tutti gli altri creditori non sono pagati integralmente (obbligo legale). |
Nota: La tabella semplifica l’ordine di distribuzione in un fallimento. L’ordine effettivo è disciplinato dal Codice Civile e dal Codice della Crisi: per esempio, i crediti prededucibili (spese della procedura, finanziamenti autorizzati in concordato, ecc.) hanno precedenza assoluta e vengono pagati prima di ogni altro; seguono i crediti assistiti da privilegi speciali sui beni (ipoteche, pegni) e i privilegi generali (lavoro, imposte); infine i chirografari . In questa sede, l’obiettivo è far capire in modo pratico chi viene “prima” e chi “dopo” e come ciò influenzi le leve di negoziazione: ad esempio, un creditore ipotecario sa di avere ottime chance di recuperare dal bene in garanzia e sarà meno incline a fare sconti, mentre un fornitore chirografario – essendo ultimo in graduatoria – sa di dipendere dalla fortuna e potrebbe essere più disposto a transigere .
Strategie di difesa e soluzioni alla crisi debitoria dell’azienda
Passiamo ora al cuore della guida: quali soluzioni ha a disposizione un’azienda di rilevatori gas portatili (o qualsiasi impresa in difficoltà finanziaria) per far fronte ai debiti e difendersi dalle azioni dei creditori? Possiamo suddividerle in due macro-categorie:
- Soluzioni stragiudiziali (o extra-giudiziali): accordi privati e volontari con i creditori, senza il coinvolgimento formale del tribunale.
- Procedure concorsuali o para-concorsuali, che operano sotto l’egida della legge fallimentare o – più correttamente oggi – del nuovo Codice della Crisi, con un certo grado di intervento dell’autorità giudiziaria.
La scelta tra l’una o l’altra dipende dal grado di crisi, dalla tipologia di debiti e dalla fattibilità di un risanamento. Di seguito illustreremo i vari strumenti in ordine crescente di complessità e formalità, partendo dai rimedi volontari meno strutturati fino ad arrivare alle procedure giudiziali più articolate. Per ciascuno valuteremo quando usarlo, come funziona, vantaggi e svantaggi, con cenni alle normative pertinenti aggiornate al 2025.
Approcci stragiudiziali informali (trattative private e piani di rientro)
Nei primi stadi di una crisi, o comunque quando il debitore preferisce evitare la pubblicità e i costi di una procedura formale, si può tentare la via delle trattative private con i creditori. Questo approccio richiede abilità negoziali e spesso l’assistenza di consulenti esperti (advisor finanziari o legali) per convincere i creditori ad accettare un piano volontario. Le forme possibili includono:
- Accordi individuali di dilazione o riduzione del debito: l’azienda contatta singolarmente ciascun creditore (o almeno quelli principali) proponendo soluzioni su misura. Esempi: “ti pago subito il 50% del dovuto a saldo e stralcio” (quindi uno sconto del 50% in cambio di pagamento immediato), oppure “ti pago il 100% ma in 12 rate mensili con interessi ridotti” (dilazione del debito). Tali intese vanno formalizzate per iscritto (scritture private) e spesso vengono garantite da titoli di credito (cambiali) o da nuove garanzie collaterali. Vantaggi: massima flessibilità – si possono tagliare o spostare i debiti in base a ciò che ciascun creditore è disposto a concedere. Svantaggi: nessun effetto vincolante verso chi non partecipa: se anche l’80% dei fornitori accetta uno stralcio ma il 20% rifiuta, questi ultimi possono comunque agire giudizialmente e “far saltare il banco”, pignorando beni o portando l’azienda al fallimento . Inoltre, negoziare separatamente con decine di soggetti può essere lungo e complesso, e richiede di presentare a ciascuno un piano credibile senza avere la certezza di adesione collettiva.
- Moratoria o standstill plurilaterale: se l’azienda ha molti creditori (es. varie banche), a volte si riesce a far sottoscrivere a tutti (o alla maggior parte) un accordo comune di moratoria: tutti si impegnano a non agire legalmente per un certo periodo e a congelare le pretese, mentre l’impresa elabora un piano di rilancio. Ciò avviene spesso con pool di banche (talvolta aderendo a moratorie promosse dall’ABI in situazioni di crisi settoriali o emergenziali) . Con i fornitori è meno strutturato, ma in aziende medio-grandi talora si costituiscono comitati di principali fornitori per trovare soluzioni comuni (es. tutti accettano pagamenti dilazionati secondo un calendario concordato, a condizione che ciascuno faccia la sua parte). Lo standstill funziona solo se c’è fiducia nell’azienda e una concreta prospettiva di recupero: altrimenti, ogni creditore preferirà agire individualmente prima degli altri. È uno strumento utile per guadagnare tempo ed evitare azioni disordinate, ma richiede un elevato grado di consenso iniziale.
- Piano di rientro unilaterale (autonomo): l’impresa, magari con l’aiuto di un consulente finanziario, può redigere di propria iniziativa un piano finanziario di rientro, indicando come intende ripagare i debiti nel tempo (ad esempio utilizzando i flussi di cassa futuri o vendendo asset non strategici). Questo piano, sebbene non certificato né omologato, può essere condiviso informalmente con i creditori sperando nella loro adesione spontanea. Non ha valore legale vincolante (è una mera proposta), ma può essere un utile strumento di dialogo: aiuta l’imprenditore stesso a fare chiarezza sulla propria capacità di rimborso e costituisce una base concreta per discussioni con i creditori. Tuttavia, finché resta un piano unilaterale, non offre garanzie di successo – ciascun creditore resta libero di accettare o meno e di agire per conto proprio.
È importante tenere presente un problema classico delle trattative stragiudiziali: il cosiddetto free-rider. Ogni creditore, sapendo che forse gli altri aderiranno a un sacrificio, potrebbe avere l’incentivo a non aderire sperando di essere pagato per intero (o di attivarsi individualmente per primo) mentre gli altri accettano tagli. Senza un vincolo legale collettivo, dunque, questi accordi rischiano di fallire se non si raggiunge un consenso quasi unanime tra i creditori rilevanti . Per superare questo ostacolo, il nostro ordinamento prevede strumenti giuridici che, se certi quorum di adesione vengono raggiunti, rendono gli accordi vincolanti anche per i dissenzienti (lo vedremo trattando degli accordi di ristrutturazione omologati e del concordato preventivo).
Attenzione alla trasparenza e parità di trattamento: l’imprenditore in crisi deve evitare favoritismi occulti tra creditori. Come già accennato, pagare uno e lasciare indietro un altro può minare irreparabilmente la fiducia e far naufragare l’intera negoziazione. Oltre al rischio legale di azioni revocatorie, c’è un tema di equità: i creditori comunicano tra loro e se uno scopre di aver accettato di perdere il 50% mentre un altro è stato pagato al 100%, si sentirà comprensibilmente tradito . Una best practice è raggruppare i creditori in categorie omogenee e offrire condizioni analoghe all’interno di ciascun gruppo, modulando differenze solo in base a oggettive differenze di garanzie o rango . Ad esempio: proporre a tutti i fornitori chirografari uno stralcio del 30% pagabile in 12 mesi; offrire a tutte le banche chirografarie la stessa percentuale magari dilazionata 5 anni; riconoscere ai creditori ipotecari condizioni migliorative (es. pagamento integrale del capitale e parziale degli interessi) data la loro posizione garantita. Questo approccio evita disparità eccessive e rende più probabile che i creditori si muovano compatti.
- Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII, ex art. 67 L.Fall.): uno strumento particolare, a metà tra il puramente stragiudiziale e il formale, è il piano attestato di risanamento. Consiste in un piano di risanamento aziendale redatto dall’impresa, con contenuto dettagliato (analisi della situazione, misure proposte per riequilibrare i conti, tempistiche di adempimento), asseverato da un esperto indipendente circa la sua fattibilità e l’idoneità a risanare l’esposizione debitoria entro un termine ragionevole . Il piano, corredato dell’attestazione, viene poi pubblicato nel Registro delle Imprese.
Dal punto di vista dei creditori, il piano attestato non li vincola automaticamente: ciascun creditore dovrà comunque decidere volontariamente se aderire alle proposte in esso contenute (ad es. accettando le dilazioni o gli stralci previsti). Tuttavia, la pubblicazione e l’attestazione conferiscono al piano una credibilità e soprattutto alcuni effetti legali importanti. In particolare, i pagamenti e le operazioni compiute in esecuzione di un piano attestato regolarmente pubblicato non sono soggetti ad azione revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento . Ciò significa che, se un fornitore aderisce al piano e viene pagato, potrà trattenere quei soldi anche se dopo un anno l’azienda dovesse fallire; il curatore non potrà chiedergli la restituzione di quel pagamento sostenendo che era preferenziale. Questo ovviamente rende i creditori più disponibili ad aderire, sapendo di avere questa tutela. Inoltre, l’esperto indipendente funge da “garante super partes” sulla veridicità dei dati e sulla realizzabilità del piano, aumentando la fiducia.
Il piano attestato è utile quando l’azienda non è ancora insolvente conclamata ma in situazione di crisi (squilibrio finanziario) e vuole a tutti i costi evitare procedure concorsuali giudiziali, pur avendo necessità di ridefinire le proprie esposizioni in maniera strutturata. Bisogna però considerare che, come ogni soluzione volontaria, se alcuni creditori chiave non collaborano, il piano attestato rischia di non risolvere completamente la situazione, poiché non li obbliga. Rimane comunque un’opzione apprezzata per ridare fiducia ai creditori disponibili, soprattutto le banche, le quali sanno che le operazioni compiute in base a quel piano non potranno essere successivamente attaccate. Da notare che il piano attestato non prevede automaticamente protezioni dalle azioni esecutive: non essendo una procedura concorsuale, un creditore estraneo potrebbe comunque agire. Per questo spesso il piano attestato viene usato in congiunzione con accordi standstill o inserito in un quadro più ampio di negoziazione.
La composizione negoziata della crisi d’impresa
Tra le novità più rilevanti introdotte dal Codice della crisi (come modificato dal D.L. 118/2021, convertito in L. 147/2021, e integrato dai correttivi D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 83/2023 e D.Lgs. 136/2024) vi è la composizione negoziata della crisi, uno strumento concepito per affrontare la crisi aziendale in fase precoce mediante l’assistenza di un esperto indipendente. Si tratta di un percorso volontario e riservato, attivabile inizialmente senza l’intervento del tribunale (se non se ne richiedono le misure protettive), pensato per negoziare con i creditori una soluzione di risanamento prima che l’insolvenza diventi irreversibile. Vediamone i punti chiave.
Cos’è e quando si può usare: la composizione negoziata è accessibile a qualsiasi impresa commerciale o agricola, di qualunque dimensione – anche le cosiddette imprese “sotto-soglia” (tradizionalmente non fallibili) possono avvalersene . La condizione per accedervi è che l’imprenditore si trovi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza, ma che esistano prospettive di risanamento concrete . Non occorre quindi essere già insolventi conclamati; anzi, l’idea è di utilizzarla appena emergono segnali di difficoltà, quando ancora si può salvare l’azienda. Questo differenzia la composizione negoziata dalle procedure concorsuali tradizionali (che richiedono almeno lo stato di crisi o insolvenza conclamata). In pratica, se la nostra azienda di rilevatori gas inizia ad accumulare ritardi nei pagamenti e vede tensioni di liquidità, ma ritiene di poterne uscire con opportuni interventi (ristrutturazione del debito, ingresso di nuovi soci finanziatori, riorganizzazione aziendale), può attivare la composizione negoziata prima di precipitare nel dissesto.
Come si attiva e ruolo dell’esperto: l’imprenditore presenta un’istanza tramite una piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio, allegando informazioni economico-patrimoniali e un primo check-up della situazione (è previsto anche un test di autodiagnosi predisposto dal sistema camerale per valutare la sostenibilità). Entro pochi giorni, una commissione nominata presso la CCIAA designa un esperto indipendente tra gli iscritti a un apposito elenco (in genere dottori commercialisti o avvocati esperti in ristrutturazioni), il quale deve accettare l’incarico . L’esperto funge da facilitatore: analizza i dati aziendali, ascolta l’imprenditore e i creditori, e guida le trattative per trovare una soluzione concordata. Durante la composizione negoziata, l’imprenditore mantiene la gestione dell’azienda (non c’è spossessamento dei beni), ma deve operare in buona fede, informando regolarmente l’esperto e astenendosi da atti di straordinaria amministrazione gravemente pregiudizievoli senza averlo consultato .
Durata: la composizione negoziata ha una durata iniziale di 180 giorni (6 mesi), prorogabile di ulteriori 180 su richiesta motivata se ci sono trattative promettenti in corso. Il correttivo del 2024 ha chiarito che la durata massima dell’incarico dell’esperto è in generale 6 mesi + proroga, salvo eccezioni di particolare complessità, per evitare che la negoziazione si trascini troppo a lungo . L’obiettivo è bilanciare l’esigenza di dare tempo sufficiente per concludere un accordo con quella di non lasciare i creditori in una incertezza protratta indefinitamente.
Misure protettive: uno dei pilastri della composizione negoziata è la possibilità per l’imprenditore di chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive del patrimonio. In pratica, depositando un ricorso (che può essere contestuale all’istanza di nomina dell’esperto o successivo) l’imprenditore può ottenere che i creditori – o alcune categorie di essi – siano temporaneamente bloccati dal compiere o proseguire azioni esecutive o cautelari. L’istanza e la sua concessione vengono pubblicate nel registro imprese; da quel momento, se il tribunale le conferma, scatta una protezione simile a quella del pre-concordato: niente nuovi pignoramenti, e quelli in corso vengono sospesi . Come accennato prima, il correttivo 2024 ha esplicitamente esteso questa tutela anche ai rapporti bancari: è ora chiarito che il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive vale anche per le banche, e in più le banche non possono revocare o ridurre le linee di credito durante le misure protettive (a meno che la revoca non sia imposta da norme di vigilanza prudenziale) . Questa previsione è fondamentale: come visto, tradizionalmente le banche, appena “annusavano” la crisi, tagliavano i fidi, innescando spesso il crollo definitivo; ora, invece, la legge le obbliga temporaneamente a mantenere le linee, fornendo all’impresa un ombrello per negoziare. Chiaramente, se la situazione creditizia dell’azienda è talmente deteriorata da imporre alla banca di classificare la posizione a sofferenza (per obblighi Banca d’Italia), la banca potrà sospendere nuovi utilizzi per ragioni prudenziali, ma non potrà ridurre unilateralmente i plafond esistenti solo perché dissente dal piano di risanamento finché c’è il “congelamento” .
L’effetto pratico è che, se l’istanza di misure protettive viene accolta, l’azienda ha un “ombrello” di alcuni mesi (tipicamente 4 mesi rinnovabili, entro il limite massimo di 12) durante i quali nessun creditore può iniziare né proseguire azioni di recupero né acquisire nuove garanzie sui beni del debitore . Inoltre, i contratti in essere non possono essere risolti dal contraente in base a inadempienze pregresse: il Codice prevede espressamente che, durante le misure protettive, i creditori non possano sospendere o sciogliere unilateralmente i contratti in corso per mancati pagamenti anteriori . Abbiamo già fatto cenno a questo aspetto a proposito dei fornitori: grazie a tale norma, un fornitore essenziale non può interrompere la fornitura durante la trattativa protetta. Questo incoraggia i fornitori e controparti contrattuali a continuare a collaborare e, in generale, i creditori a sedersi al tavolo con l’esperto per trovare una soluzione negoziale, poiché l’alternativa – aspettare la fine delle protezioni e poi aggredire i beni – potrebbe far perdere tempo prezioso e magari ridurre il valore di recupero (si pensi a macchinari fermi per mesi in attesa di pignoramento, o a merci deperibili bloccate in magazzino).
Cosa si può ottenere con la composizione negoziata: l’esito auspicabile della composizione negoziata è il risanamento dell’impresa, cioè il superamento dello stato di crisi e la continuazione dell’attività su basi sostenibili. La legge non impone un esito predeterminato: la trattativa può portare a diverse soluzioni (“plurimi approdi”, li chiama l’art. 23 CCII). Ad esempio:
- Rinegoziazione dei debiti: l’imprenditore può concludere accordi con uno o più creditori modificando le condizioni dei debiti (riduzione degli importi, nuovi piani di ammortamento, remissione parziale). Questi accordi, se funzionali a riportare l’azienda in bonis, sono il risultato più immediato. Possono includere anche nuovi apporti di capitale (ad es. l’ingresso di un socio finanziatore), la conversione di debiti in quote societarie (debt-equity swap), la cessione di rami d’azienda a terzi investitori, ecc. Il correttivo 2024 ha chiarito che tali contratti possono essere conclusi anche con soggetti interessati al risanamento e non solo con i creditori in senso stretto . Ciò include potenziali investitori o soci che intervengano nel piano (es. un nuovo socio che apporta finanza per aiutare a pagare i debiti in cambio di quote societarie).
- Accordo stragiudiziale con effetti ex art. 25-bis: se la trattativa ha successo con una massa significativa di creditori, è possibile formalizzare un accordo di ristrutturazione “in composizione”, sottoscritto dai creditori aderenti insieme all’esperto, e semplicemente pubblicato nel Registro delle Imprese (senza passare dall’omologazione del tribunale). Questo accordo, pur non essendo omologato, produce alcuni effetti protettivi previsti dall’art. 25-bis CCII: in particolare, i pagamenti eseguiti in sua esecuzione non sono soggetti a revocatoria e l’accordo beneficia di agevolazioni fiscali (le rinunce dei creditori non sono tassate come sopravvenienze attive per il debitore, e i creditori possono emettere note di credito IVA per le perdite su crediti) . Il correttivo 2024 ha reso più agevole utilizzare questo strumento, stabilendo che non serve più l’adesione unanime di tutti i creditori: basta la maggioranza di quelli aderenti, purché rappresentino una parte significativa del debito . Inoltre, è previsto che l’esperto possa formalizzare l’accordo anche subito dopo la conclusione della procedura negoziata, se l’intesa viene finalizzata poco oltre il termine (ultrattività del suo ruolo) . In sintesi, l’accordo ex art. 25-bis consente all’imprenditore e ai creditori che si sono accordati di cristallizzare i termini dell’intesa con alcune tutele di legge, senza dover coinvolgere il tribunale per l’omologa, riducendo tempi e costi. Ovviamente, resta un accordo che vincola solo i partecipanti e non impone nulla agli eventuali creditori estranei.
- Ricorso a strumenti concorsuali semplificati: se dalla composizione negoziata emerge che, nonostante gli sforzi, serve comunque uno strumento giudiziale per vincolare tutti i creditori o per accedere a finanza esterna, l’imprenditore può optare, anche al termine della negoziazione, per una vera e propria procedura concorsuale. In particolare:
– presentare un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (artt. 57 e segg. CCII), sfruttando magari il fatto che durante la negoziazione i creditori abbiano già discusso e concordato i termini con l’aiuto dell’esperto. In tal caso, depositando l’istanza di omologazione entro 60 giorni dalla chiusura della composizione negoziata, la percentuale di adesione richiesta per certi tipi di accordo viene ridotta: ad esempio, per l’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa verso le banche può bastare il 60% (invece del 75% usuale) dei crediti finanziari, se l’accordo viene proposto subito dopo la composizione . Questo incentivo premia chi passa rapidamente dalle trattative informali all’omologazione formale.
– oppure proporre un concordato preventivo (in continuità aziendale o liquidatorio), depositando il piano e la proposta secondo le regole concorsuali. Il vantaggio di arrivarci dopo una composizione negoziata è che molte questioni saranno già state esplorate e l’esperto avrà segnalato la fattibilità del piano. In particolare, se durante la negoziazione l’imprenditore individua un investitore disposto a rilevare l’azienda o ad immettere finanza, potrà predisporre un concordato in continuità con l’apporto di risorse esterne già delineato .
– in caso estremo, se non si trovano soluzioni di risanamento ma occorre evitare il caos di un fallimento “improvviso”, l’imprenditore può accedere al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII), previsto proprio come exit strategy di ripiego quando la composizione negoziata fallisce. Questo concordato semplificato è peculiare: non c’è voto dei creditori; l’imprenditore propone direttamente al tribunale un piano di liquidazione dei beni con ripartizione del ricavato ai creditori, e il tribunale – sentito l’esperto – può omologarlo nonostante l’assenza di consenso dei creditori . Nel concordato semplificato, mancando un accordo con i creditori (che non votano, possono solo fare opposizione all’omologa), il legislatore originariamente non aveva previsto una transazione fiscale al suo interno. Ci si è chiesti se fosse possibile falcidiare (ridurre) i debiti IVA anche in questo contesto. La giurisprudenza recente ha teso per la risposta positiva: ad esempio, la Corte d’Appello di Lecce con sentenza del 26 marzo 2025 ha chiarito che anche nel concordato semplificato il debitore può proporre il pagamento parziale delle imposte, purché sia rispettato l’ordine delle cause di prelazione e garantito ai creditori almeno quanto otterrebbero in caso di liquidazione giudiziale . Questa pronuncia ha colmato un vuoto normativo, confermando che anche IVA e tributi possono essere stralciati se il piano lo giustifica e conviene ai creditori nel loro complesso.
– infine, se l’impresa è molto piccola (sotto-soglia ex art. 2 CCII: attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k) e la negoziazione fallisce, potrà aprirsi una liquidazione controllata (l’equivalente del fallimento per i debitori minori, art. 268 CCII). Inoltre, un imprenditore sotto-soglia persona fisica potrebbe valutare un concordato minore (art. 74 CCII) o un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore se la sua è una situazione mista impresa/personale, ma questi strumenti esulano dal nostro focus aziendale. Basti sapere che anche le imprese minori, dopo la composizione negoziata, possono optare per un concordato minore o la liquidazione controllata con modalità semplificate .
In sintesi, la composizione negoziata è un contenitore flessibile: l’importante è trovare una soluzione per superare la crisi, non importa se tramite accordi privati, accordi omologati o concordati – l’essenziale è evitare la morte dell’impresa quando questa può essere evitata. Se si risolve tutto con accordi privati, bene; se serve passare per l’omologa di un accordo o di un concordato, la negoziazione avrà spianato la strada (i termini saranno spesso già stati discussi con i creditori, e l’esperto avrà certificato la bontà del piano). Nel peggiore dei casi, se il risanamento risulta impossibile, la composizione negoziata avrà comunque preparato il terreno per una liquidazione più ordinata e meno traumatica (ad esempio attraverso il concordato semplificato).
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ex art. 57 e segg. CCII)
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (spesso abbreviati in ARD) sono uno strumento concorsuale introdotto nell’ordinamento fallimentare sin dal 2005, ora disciplinato dagli artt. 57-64 del Codice della crisi. Si tratta di accordi che devono coinvolgere una percentuale qualificata di creditori e che, a differenza delle semplici transazioni private, vengono omologati dal tribunale, acquistando efficacia vincolante erga omnes nei confronti dei creditori coinvolti . In sostanza, l’accordo di ristrutturazione è un compromesso formale tra il debitore e una porzione consistente dei creditori, che viene poi dichiarato valido ed efficace dal giudice, con effetti anche verso eventuali creditori estranei nei limiti previsti dalla legge.
Requisiti generali: l’impresa (commerciale o agricola) in stato di crisi o insolvenza può proporre ai creditori un accordo che deve essere sottoscritto da creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali (percentuale calcolata sul totale del passivo) . Questo è l’accordo standard ex art. 57 CCII (corrispondente all’ex art. 182-bis L.Fall.). Raggiunto tale livello di consenso, il debitore può chiedere al tribunale l’omologazione dell’accordo. Il tribunale verifica che siano rispettati i presupposti di legge e valuta la relazione di un attestatore indipendente sull’attuabilità dell’accordo e sulla capacità di soddisfare integralmente i creditori estranei, quindi procede all’omologa se tutto è regolare .
I creditori che hanno aderito sono vincolati ai nuovi termini concordati (dilazioni, stralci, ecc. secondo quanto previsto dall’accordo). I creditori estranei (che non hanno firmato) in linea di massima restano fuori e conservano i loro diritti originari – tuttavia, l’accordo per essere omologabile deve prevedere che essi vengano pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologazione (se i loro crediti sono già scaduti) o dalla scadenza naturale (se non ancora esigibili) . In pratica, l’accordo di ristrutturazione “classico” vincola solo i partecipanti e impone comunque di garantire ai non aderenti il 100% entro tempi brevi. Questo spesso implicava, in passato, la necessità per il debitore di procurarsi risorse esterne per pagare tutti i dissenzienti fuori dall’accordo (ad esempio mediante finanziamenti terzi, cessioni di asset, ecc.) .
Perché utilizzarlo? I motivi principali sono due: (a) l’accordo consente di ristrutturare la gran parte del debito con il consenso qualificato (60%) dei creditori, riducendo l’esposizione e rimodulandola; (b) offre alcuni benefici legali, come la protezione nelle more dalle azioni individuali dei creditori (anche negli accordi infatti il debitore può chiedere le misure protettive al tribunale, analoghe a quelle del concordato, per evitare che creditori impazienti pregiudichino le trattative) e l’esenzione da revocatoria per gli atti compiuti in esecuzione dell’accordo omologato . Infatti, pagamenti e garanzie concessi ai sensi dell’accordo non sono soggetti a revocatoria fallimentare ex post (art. 59 CCII). Inoltre, può essere integrata nell’accordo la transazione fiscale (art. 63 CCII), coinvolgendo il Fisco e l’INPS nell’accordo con il loro assenso; il tribunale in sede di omologa valuta la convenienza per l’Erario. Con le riforme 2020-2022, se l’accordo prevede la continuità aziendale ed è soddisfatto il test di convenienza (i crediti pubblici ottengono almeno quanto avrebbero in un fallimento), il tribunale può omologare l’accordo anche senza il voto favorevole del Fisco/INPS – il già citato cram-down fiscale – salvo casi di abuso. In pratica, il nuovo art. 61 CCII consente al giudice di estendere gli effetti dell’accordo anche ai creditori pubblici dissenzienti, se ricorrono le condizioni previste (piano in continuità e rispetto del trattamento minimo per Erario/INPS).
Varianti degli accordi di ristrutturazione: negli anni sono state introdotte varianti per ampliarli e flessibilizzarli:
- Accordi di ristrutturazione agevolati (art. 60 CCII): richiedono una percentuale di consenso più bassa, pari al 30% dei crediti, ma presentano limitazioni. In particolare, non permettono misure protettive generalizzate (possono ottenerle solo se il debitore prevede comunque di pagare integralmente gli estranei entro 120 giorni dall’omologa) e non possono contenere una transazione fiscale . Sono pensati come accordi “light” quando c’è un numero limitato di creditori rilevanti e si vuole ridurre il quorum, ma di contro il debitore deve comunque garantire i non aderenti in tempi brevi con mezzi propri. È una soluzione percorribile se, ad esempio, su 10 creditori totali, 2 detengono il 70% del debito e sono d’accordo (quindi si raggiunge il 30% del totale con altri minori): in tal caso con l’accordo agevolato si potrebbe ristrutturare il grosso e pagare gli altri 8 in pochi mesi. Resta però poco usata, proprio per le sue restrizioni.
- Accordi ad efficacia estesa (art. 61 CCII): riguardano casi specifici, in particolare la ristrutturazione dei debiti verso intermediari finanziari (banche e similari). Se l’accordo è approvato da almeno il 75% dei crediti finanziari (soglia ridotta al 60% in certi casi, come visto sopra per accordi successivi a composizione negoziata) , il debitore può chiedere al tribunale di estendere gli effetti anche alle banche non aderenti, purché queste siano state informate e invitate alla trattativa con pari opportunità. Questo meccanismo serve a superare il problema del “holdout” di una minoranza: tipicamente, se quasi tutte le banche accettano una rinegoziazione (ad es. allungamento delle scadenze o riduzione interessi) ma una sola si oppone, il giudice può comunque omologare l’accordo e vincolare anche quella banca dissenziente, a patto che la sua posizione non sia peggiorata rispetto a quella che avrebbe al di fuori dell’accordo. Ci sono condizioni tecniche: ad esempio, l’accordo deve prevedere che i creditori finanziari estranei ottengano almeno il 90% di quanto sarebbe spettato loro se avessero aderito alle stesse condizioni , e la fattibilità del piano deve essere attestata da un professionista indipendente. Come accennato, il correttivo 2024 ha abbassato dal 75% al 60% la soglia di adesione richiesta se l’accordo viene presentato subito dopo una composizione negoziata conclusa senza successo, ed ha esteso questa facilitazione anche ad altri crediti oltre quelli finanziari in alcune ipotesi . Lo scopo è incentivare l’uso dell’accordo dopo aver provato la via negoziata assistita.
- Accordi nei confronti di creditori pubblici (art. 62 CCII): prevedono che l’accordo possa produrre effetti anche se alcuni enti pubblici (diversi da Erario e INPS, che rientrano nella transazione fiscale) non aderiscono, purché vengano soddisfatti in misura almeno pari a quella di una liquidazione. Ad esempio, debiti verso un Comune per IMU o TARI: non essendoci una transazione fiscale specifica per quei crediti (che sarebbero chirografari), l’accordo può includerli e il giudice può omologare anche se il Comune non firma, a condizione che il trattamento offerto non lo ponga in posizione peggiore che nel fallimento . Questa è una novità del Codice: consente di gestire nel perimetro dell’accordo anche crediti di enti locali o altri enti pubblici minori, superando la rigidità precedente che imponeva di escluderli o pagarli integralmente.
In generale, gli accordi di ristrutturazione si posizionano a metà strada tra il piano attestato (del tutto volontario) e il concordato preventivo (collettivo e giudiziale). Rispetto al concordato, l’accordo è più snello: non c’è un voto di tutti i creditori (contano solo le firme raccolte), non c’è l’obbligo di rispettare la par condicio tra tutti (si possono modulare trattamenti diversi per creditori diversi, purché chi resta fuori sia pagato integralmente). È uno strumento più contrattuale, cucito su misura del caso concreto. Ma proprio per questo è praticabile se pochi creditori o pochi gruppi di creditori detengono la maggior parte del debito – ad esempio, se 3 banche rappresentano il 70% del debito e accettano di firmare, il residuo 30% di fornitori verrà pagato per intero e il lavoro è fatto. Se invece il debito è frammentato tra molti piccoli fornitori, raggiungere il 60% di adesioni può essere arduo; potrebbe convenire a quel punto il concordato, dove vige il voto a maggioranza per somme, e i dissenzienti vengono comunque coinvolti se la maggioranza approva .
Adempimenti e procedura per l’accordo di ristrutturazione: il debitore deve predisporre: – un piano di ristrutturazione dettagliato; – un elenco dei creditori con indicazione di chi aderisce e chi no; – una relazione di un professionista indipendente (attestatore) che confermi la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, nonché la convenienza per gli eventuali creditori estranei (in particolare deve attestare che il piano garantisce il pagamento integrale dei creditori estranei contrattualizzati entro i termini di legge – per “estranei contrattualizzati” si intendono quei creditori che non sottoscrivono l’accordo ma che magari hanno concesso dilazioni separate concordate bilateralmente) . La Cassazione ha chiarito nel 2023 (sent. Cass. civ. Sez. I n. 13154/2023) che l’attestatore deve verificare puntualmente anche queste posizioni, non limitarsi a valutazioni generali di convenienza . Raggiunte le firme necessarie (≥60%), il debitore deposita tutto in tribunale con ricorso per omologa.
Il tribunale può concedere, su istanza, misure protettive ante omologa per tenere “calmi” i creditori durante il periodo in cui l’accordo viene finalizzato e presentato – ad esempio per bloccare azioni esecutive dei creditori estranei durante l’attesa dell’omologa – anche se in teoria questi ultimi dovrebbero essere pagati a breve e quindi raramente agirebbero se vedono un accordo depositato e una prospettiva di pagamento prossimo. L’omologazione viene pronunciata dopo un’eventuale udienza se non ci sono opposizioni fondate (i creditori estranei possono opporsi se si ritengono pregiudicati – ad es. se contestano che saranno realmente pagati al 100% nei termini). Una volta omologato, l’accordo è efficace e vincolante fra le parti. Se successivamente l’azienda non rispetta l’accordo (inadempimento), i creditori tornano liberi di agire individualmente; oppure, se la situazione peggiora nuovamente, possono chiedere la risoluzione giudiziale dell’accordo e la conseguente apertura della liquidazione giudiziale (fallimento).
Effetti in caso di insolvenza sopravvenuta post-accordo: domanda comune: cosa accade se l’azienda, dopo aver omologato un accordo di ristrutturazione, fallisce comunque perché non riesce a rispettare gli impegni dell’accordo? La giurisprudenza ha affrontato il tema. Di recente, la Cassazione (Sez. I civ. n. 32996/2024) ha stabilito che qualora venga dichiarata la liquidazione giudiziale (fallimento) dopo un accordo omologato, i creditori che erano parte dell’accordo possono insinuarsi al passivo solo per i crediti residui secondo l’accordo omologato, e non per l’originario maggiore importo . In pratica, l’omologazione cristallizza la nuova misura del debito: se un creditore aveva 100 e ha accettato 50 nell’accordo (falcidiando quindi 50), e magari prima del fallimento ha ricevuto pagamenti scendendo il dovuto a 30, in fallimento potrà insinuare solo i 30 residui, non tornare a chiederne 80 come se l’accordo non ci fosse mai stato . Questo principio tutela la parità tra i creditori: chi ha fatto lo sconto non può “rimangiarselo” all’ultimo per avvantaggiarsi sugli altri nella distribuzione fallimentare. D’altro canto, la pronuncia ricorda che l’accordo non garantisce il successo al 100%: se il piano non viene poi eseguito, si può comunque finire in insolvenza.
Recap sintetico: l’accordo di ristrutturazione dei debiti è uno strumento flessibile e confidenziale, utile quando si ha l’adesione dei principali creditori. Vantaggi: negoziazione privata e mirata, struttura contrattuale adattabile al caso, tempi spesso più rapidi di un concordato preventivo, nessun voto di massa (bastano le firme necessarie), possibilità di ottenere misure protettive e di inserire transazioni fiscali . Svantaggi: obbligo di pagare integralmente i non aderenti nel caso standard (impegno finanziario non indifferente), soglia di adesione elevata (60% o 30% nelle varianti) da raggiungere, impossibilità di imporre riduzioni ai dissenzienti salvo i casi speciali (banche con efficacia estesa, creditori pubblici ex art. 62) . Con le modifiche del 2022-24, integrarlo con la composizione negoziata è più fruttuoso: se l’accordo segue immediatamente la trattativa assistita dall’esperto, può beneficiare di soglie ridotte e di una preparazione già svolta con i creditori (molti nodi saranno stati affrontati durante i mesi di negoziazione protetta).
Il concordato preventivo (in continuità o liquidatorio)
Il concordato preventivo è storicamente la procedura concorsuale per eccellenza a disposizione delle imprese che cercano di evitare il fallimento offrendo ai creditori un accordo collettivo sotto controllo del tribunale. Nel Codice della crisi ha mantenuto questo ruolo centrale, con alcuni aggiustamenti. Vi sono due principali tipologie di concordato: in continuità aziendale (quando l’impresa – o parte di essa – prosegue l’attività, sia direttamente sia tramite un terzo) e liquidatorio (quando l’obiettivo è liquidare il patrimonio e cessare l’attività, distribuendo il ricavato ai creditori).
Quando utilizzarlo: il concordato preventivo si utilizza quando l’impresa è in stato di crisi o insolvenza e serve coinvolgere tutti i creditori in un’unica soluzione vincolante, soprattutto se è necessario falcidiare (ridurre) i crediti anche dei dissenzienti. È lo strumento appropriato se non si riesce ad avere un consenso extragiudiziale sufficiente (come in un accordo) e/o se l’impresa ha bisogno di sfruttare strumenti propri del concordato come la moratoria generalizzata (blocco dei pagamenti e delle azioni esecutive per tutti i creditori) e la possibilità di differenziare il trattamento tra classi di creditori con il voto a maggioranza.
Iter in breve: l’impresa presenta un ricorso al tribunale chiedendo l’ammissione al concordato, allegando una proposta dettagliata ai creditori, un piano industriale/finanziario e una relazione giurata di un attestatore indipendente che certifichi la veridicità dei dati e la fattibilità del piano (inclusa la convenienza del concordato rispetto alla liquidazione fallimentare) . In alternativa, se l’azienda ha urgente bisogno di protezione e tempo per definire il piano, può presentare un ricorso “con riserva” (il cosiddetto concordato in bianco), depositando poi la proposta completa entro i termini concessi dal tribunale (fino a 120 giorni + proroga 60) . Una volta depositata la proposta definitiva, il tribunale la valuta e, se non la ritiene inammissibile (cioè se supera un primo vaglio di fattibilità e legalità), ammette l’azienda alla procedura, nominando un commissario giudiziale che vigilerà sull’impresa durante la procedura . I creditori vengono informati e raggruppati eventualmente in classi omogenee (a seconda della posizione giuridica ed economica). Successivamente i creditori votano sulla proposta di concordato (in adunanza o per via telematica). Serve, di regola, la maggioranza dei crediti ammessi al voto (in valore) per l’approvazione . Se sono previste più classi, occorre la maggioranza in ogni classe o, se alcune classi votano no, è possibile comunque l’omologa tramite il cram-down interclassi introdotto dal nuovo Codice (recependo la direttiva europea) . In sintesi: generalmente la maggioranza semplice dei crediti votanti è sufficiente se c’è una sola classe; con più classi, bisogna avere il voto favorevole della maggioranza delle classi (in numero) e dei crediti (in valore), con possibilità per il tribunale di approvare ugualmente se alcune classi dissentono ma certe condizioni sono rispettate (nessuna classe dissenziente ottiene meno di quanto avrebbe in liquidazione e nessuna discriminazione ingiustificata tra classi) . Infine, il tribunale omologa il concordato, rendendolo vincolante per tutti i creditori anteriori (anche quelli che non hanno votato o hanno votato no), salvo eccezioni (es. crediti esclusi per legge come le sanzioni pecuniarie se non previste) . Una volta omologato, il concordato viene eseguito: se è in continuità, l’impresa continua l’attività secondo il piano, pagando i creditori nei modi e tempi promessi; se è liquidatorio, si procede a vendere i beni e distribuire il ricavato secondo quanto previsto.
Concordato in continuità aziendale: è il caso in cui si vuole salvare l’impresa come attività in funzionamento. La continuità può essere diretta (la stessa società prosegue la gestione) o indiretta (l’azienda viene affittata o venduta a una newco o a un terzo, e i proventi della cessione vanno ai creditori concordatari) . La legge incoraggia il concordato in continuità perché preserva posti di lavoro e valore economico. I requisiti includono che il piano preveda la continuità per almeno 2 anni e che dalla continuità derivi un utile migliore per i creditori rispetto alla liquidazione immediata . Ad esempio, se proseguendo l’attività per qualche anno l’azienda può generare utili o vendere prodotti che consentono di pagare i creditori al 40%, mentre liquidando subito i beni si otterrebbe solo il 20%, ciò giustifica il concordato in continuità. Nel concordato in continuità, l’impresa può mantenere in essere i contratti (previa autorizzazione del tribunale per quelli non ancora completamente eseguiti), può richiedere finanziamenti durante la procedura (finanza interinale) o per l’esecuzione del piano con privilegio prededucibile, e soprattutto ha maggiore libertà nel proporre pagamenti parziali anche ai creditori privilegiati, purché rispetti certe condizioni. Una differenza importante rispetto al liquidatorio: mentre il concordato liquidatorio impone per legge il pagamento di almeno il 20% ai creditori chirografari (salvo il caso di rilevante apporto di finanza esterna), il concordato in continuità non ha una soglia minima prestabilita di pagamento per i chirografari . Si presume infatti che la continuità massimizzi già di per sé la soddisfazione dei creditori (offrendo più di quanto darebbe la liquidazione). Ciò rende possibili concordati in continuità anche molto “spinti” in termini di falcidia: in teoria il piano potrebbe prevedere meno del 20% ai chirografari se quello è il massimo ricavabile tenendo viva l’azienda, a patto sempre di superare il test di convenienza (i creditori chirografari dissenzienti devono ricevere almeno quanto otterrebbero in un fallimento) . Inoltre, i creditori privilegiati non possono essere degradati a chirografari se non per la parte incapiente rispetto al valore dei beni su cui insiste il loro privilegio (la parte coperta dalla garanzia va pagata integralmente, quella eccedente può essere falcidiata).
Nel concordato in continuità, un aspetto cruciale è la gestione dell’azienda durante la procedura: l’imprenditore rimane in possesso dei beni (salvo eventuali limitazioni o nomina di un amministratore giudiziario in casi di irregolarità), sotto la vigilanza del commissario giudiziale . Può continuare ad operare, fare ordini, incassare crediti e pagare le spese correnti. I fornitori posteriori alla domanda di concordato (che continuano a fornire beni/servizi) godono di prededuzione, quindi hanno la quasi certezza di essere pagati (sono debiti della massa concordataria). Il tribunale può autorizzare l’azienda a contrarre finanziamenti urgenti, che saranno anch’essi prededucibili; può anche autorizzare – come detto – il pagamento di creditori pregressi “strategici” (ad esempio fornitori indispensabili che altrimenti interromperebbero forniture cruciali) in prededuzione per assicurare la continuità, ex art. 100 CCII . Tutto ciò per fare in modo che l’azienda arrivi all’omologa nelle migliori condizioni possibili. Anche i contratti di lavoro proseguono, salvo facoltà di recesso per i dipendenti se non vengono pagati gli stipendi correnti (ma in concordato generalmente si cerca di mantenerli in regola proprio per non perdere il personale chiave).
Concordato liquidatorio: questa forma di concordato prevede invece la cessazione dell’attività e la liquidazione di tutto il patrimonio dell’impresa, con distribuzione del ricavato ai creditori. In pratica, è una liquidazione “guidata” dall’imprenditore mediante un piano, quale alternativa al fallimento. La legge impone alcune condizioni aggiuntive per poter accedere a un concordato liquidatorio, proprio per evitare un uso eccessivamente elusivo: ad esempio, l’art. 84 CCII richiede che nel concordato liquidatorio vi sia un apporto di risorse esterne che aumenti di almeno il 10% l’attivo disponibile per i creditori, oppure, in mancanza di apporto esterno, che si assicuri comunque il pagamento di almeno il 20% ai chirografari . In sostanza, il legislatore vuole che il concordato liquidatorio offra qualcosa in più rispetto a un fallimento standard – un “incentivo” per i creditori e un filtro di ammissibilità. Dunque, se un imprenditore vuole semplicemente liquidare i beni, deve garantire un beneficio minimo ai chirografari (20%) oppure far entrare nel piano nuovi valori (denaro fresco di terzi, garanzie aggiuntive, ecc.) a vantaggio della massa.
Nel concordato liquidatorio l’attività cessa: spesso il tribunale nomina un liquidatore giudiziale (spesso lo stesso commissario) che, dopo l’omologa, esegue materialmente la vendita dei beni secondo il piano . L’imprenditore durante la procedura di solito perde la gestione operativa (anche se formalmente rimane in carica fino all’omologa); di fatto, su autorizzazione del giudice delegato, il commissario/liquidatore può essere incaricato di gestire la fase di liquidazione (specie se l’azienda cessa subito l’attività) . I dipendenti vengono licenziati (godranno poi delle tutele del Fondo di garanzia per TFR e ultime mensilità). Questa forma di concordato è quindi più simile a un fallimento concordato: viene preferita quando non ci sono prospettive di salvare l’azienda come going concern, ma c’è magari l’opportunità di vendere il complesso aziendale o alcuni beni in modo ordinato e sotto controllo del debitore, evitando la dispersione di valore e i costi maggiori di un fallimento puro. Una variante introdotta di recente, come visto, è il concordato semplificato, utilizzabile solo dopo il fallimento di una composizione negoziata e con regole particolari (assenza di voto dei creditori).
Trattamento dei creditori nel concordato: in concordato (sia esso in continuità o liquidatorio) vige la regola del rispetto delle cause di prelazione: i creditori privilegiati devono essere pagati integralmente per la parte coperta dai beni oggetto di privilegio, salvo rinuncia volontaria o transazione fiscale per imposte/contributi . Significa che, ad esempio, un credito ipotecario va soddisfatto almeno fino a concorrenza del valore di stima dell’immobile ipotecato. Si possono falcidiare i privilegi solo sulla parte “scoperta” (se l’immobile vale meno del debito, la differenza può essere trattata come chirografo) o se i creditori privilegiati accettano la falcidia votando a favore. Per i creditori chirografari, come detto, nel concordato liquidatorio c’è una soglia minima del 20% (salvo apporto esterno equivalente al 10% attivo); nel concordato in continuità non c’è soglia fissa ma bisogna comunque offrire loro il massimo possibile compatibile con la prosecuzione, e in ogni caso almeno quanto otterrebbero in liquidazione .
In definitiva, il concordato preventivo è lo strumento più potente per ristrutturare l’impresa quando serve l’adesione di tutti i creditori o quando il debito è troppo frammentato per soluzioni parziali. Esso consente di cancellare una parte significativa dei debiti (mediante il voto a maggioranza e l’omologa), liberando l’azienda dal fardello del passato. A fronte di ciò, è una procedura più formale e lunga rispetto alle soluzioni fin qui esaminate.
Liquidazione giudiziale (Fallimento): è doveroso un cenno alla procedura di fallimento, ora detta liquidazione giudiziale, che rappresenta l’extrema ratio. In liquidazione giudiziale, un curatore nominato dal tribunale spossessa l’imprenditore, gestisce e vende tutti i beni e distribuisce il ricavato secondo le priorità di legge, per poi chiudere l’impresa. È di fatto la “morte” giuridica dell’azienda, che a fine procedura viene cancellata. Per un imprenditore individuale o per i soci illimitatamente responsabili di società di persone, i debiti residui non soddisfatti in fallimento rimangono a loro carico personalmente (salvo ottenere l’esdebitazione); per una società di capitali (S.r.l., S.p.A.), i debiti residui di norma si estinguono con la società stessa che cessa di esistere .
La liquidazione giudiziale si apre su istanza di uno o più creditori, o su istanza dello stesso debitore, quando ricorrono le condizioni di insolvenza. Per le imprese sotto-soglia (microimprese), come visto, non è applicabile: al loro posto c’è la liquidazione controllata. In ogni caso, fallire non significa automaticamente che l’imprenditore sia rovinato a vita: l’ordinamento prevede la possibilità per il fallito persona fisica di ottenere la esdebitazione – la cancellazione di tutti i debiti residui non pagati in procedura. L’esdebitazione oggi è pressoché automatica per il fallito “meritevole” (cioè che ha collaborato col curatore e non ha commesso frodi) , ma va comunque attivata con ricorso entro 1 anno dalla chiusura del fallimento . Se concessa, i debiti si estinguono e l’ex imprenditore può ripartire pulito. Se negata (casi rari di dolo o frode conclamata), quei debiti formalmente restano e potrebbero essere azionati su eventuali nuovi beni futuri (anche se, di fatto, i creditori raramente intraprendono azioni dopo anni).
Il fallimento di una società di capitali, invece, porta alla cancellazione della società a fine procedura, quindi i debiti insoddisfatti rimangono “senza soggetto” e non sono più azionabili (salvo garanzie personali dei soci). Dunque dal punto di vista pratico per la società i debiti muoiono con essa, mentre per i garanti e per gli imprenditori individuali c’è bisogno dell’esdebitazione per liberarsene .
A volte avviare la liquidazione giudiziale può persino essere parte di una strategia: ad esempio, se l’azienda è completamente decotta ma si vuole far proseguire parti sane, si può pensare di vendere prima del fallimento alcuni rami d’azienda redditizi (attenzione però: tali vendite potrebbero essere revocate se fatte sottoprezzo o a favore di parti correlate). Oppure, in alcuni casi, aprire la procedura fallimentare e lasciare che sia il curatore a vendere l’azienda a un soggetto terzo può risultare più efficiente e dare all’acquirente la garanzia di prendere l’attività pulita dai debiti (che restano nel fallimento) . In effetti, esiste uno strumento dedicato per le grandi imprese insolventi – l’amministrazione straordinaria – che segue logiche simili per salvare aziende di rilevanza strategica; per le PMI, invece, la strada classica per salvare il salvabile è un concordato con continuità indiretta (affittare l’azienda a un nuovo soggetto che poi la compra, usando il prezzo per pagare i creditori concordatari). Il fallimento di per sé raramente massimizza il valore, ma in assenza di alternative rimane l’ultimo baluardo per gestire l’insolvenza in modo ordinato.
Durata delle procedure: una composizione negoziata dura al massimo 6 mesi + 6 mesi (quindi fino a 1 anno) , ma molte si chiudono anche in 3-4 mesi se si raggiunge un accordo . Un accordo di ristrutturazione standard, dal lancio alla omologa, può chiudersi in 6-8 mesi (4 mesi circa per l’omologa + tempi per raccogliere adesioni) . Un concordato preventivo è più lungo: mediamente tra 8 e 12 mesi dall’inizio all’omologa (può protrarsi oltre un anno per casi complessi, o chiudersi in 6 mesi se semplificato) . Durante questo tempo però l’impresa opera protetta, quindi l’importante è reggere fino all’omologa. La liquidazione giudiziale è la più lunga: può durare da 1-2 anni per casi semplici a 5-6 anni o oltre per casi complessi; la media storica in Italia è 5-7 anni . Dal punto di vista dei creditori, il fallimento è la via più lenta; dal punto di vista del debitore, egli perde subito l’azienda (quindi per lui “finisce” all’inizio), ma la definizione finale (esdebitazione) arriva solo a procedura conclusa, quindi anni dopo .
Riassumendo tempi e scelte: se vuoi risolvere rapidamente e mantenere il controllo, meglio puntare sulla trattativa stragiudiziale o sulla composizione negoziata; il concordato è intermedio (quasi un anno, ma con protezione nel frattempo); il fallimento è il più lungo ma una volta aperto non dovrai più gestirlo tu (ci penserà il curatore, anche se dovrai attendere per l’esdebitazione) . In ogni caso, agire in anticipo aiuta: predisporre un piano di risanamento richiede qualche mese di analisi e negoziato, quindi prima inizi, prima potrai concludere con successo .
Micro-imprese non fallibili: hai menzionato che la tua azienda è molto piccola (ad es. meno di 5 dipendenti e fatturato 200k €). Sappi che le piccolissime imprese che non superano i parametri di legge (attivo €300k, ricavi €200k, debiti €500k) sono escluse dalla liquidazione giudiziale classica . Ciò non significa che siano esenti dai debiti, ma semplicemente che non può essere dichiarato il loro fallimento ordinario. In caso di insolvenza di queste micro-imprese (o di imprenditori individuali sotto-soglia), il Codice della crisi prevede le procedure di sovraindebitamento, oggi integrate nel sistema: in particolare la liquidazione controllata del sovraindebitato (analoga al fallimento, ma con un liquidatore nominato e qualche formalità in meno) e il concordato minore (art. 74 CCII), che è una versione semplificata del concordato preventivo pensata per i debitori minori . Inoltre esiste il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore per le persone fisiche non imprenditori (non il caso tuo se hai un’azienda, ma utile se hai debiti personali extra-attività).
Nel tuo caso, se la tua ditta individuale o piccola società non fallibile ha troppi debiti e non riesce a pagarli, puoi comunque: – accedere alla composizione negoziata (vale per tutte le imprese, anche le minime – anzi il correttivo 2024 ha allineato le regole per imprese sotto-soglia, prevedendo poi per queste la possibilità di concordato minore o liquidazione controllata come esito della composizione) ; – proporre un concordato minore (art. 74 CCII), che è simile al vecchio “piano del consumatore” ma per l’imprenditore minore: ha regole più snelle, ma prevede normalmente comunque il pagamento di almeno il 20% ai chirografari, analogamente al concordato liquidatorio ordinario (salvo dispensa motivata); si svolge davanti al giudice con l’ausilio di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) invece che di un commissario; – oppure, se non vuoi o non puoi fare un piano, subire (o chiedere tu stesso) la liquidazione controllata dei tuoi beni. In tal caso, un liquidatore nominato venderà i beni e distribuirà il ricavato ai creditori. Tu come persona fisica potrai poi ottenere l’esdebitazione anche se i creditori non vengono pagati per intero, purché la tua insolvenza non sia dovuta a frodi o mala gestio grave . Inoltre, per il sovraindebitato persona fisica meritevole in totale dissesto c’è un istituto speciale di esdebitazione: l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 282 CCII), dove il debitore persona fisica senza alcun patrimonio né reddito liquidabile può essere liberato dai debiti immediatamente, impegnandosi a pagare solo se e quanto potrà nei 4 anni successivi . È un fresh start molto forte, concesso una volta sola nella vita. Significa che, ad esempio, se un piccolo imprenditore ha chiuso l’attività, non possiede immobili né altri beni significativi, può chiedere di essere esdebitato subito, dimostrando di essere meritevole (cioè di non aver colposamente causato il dissesto) e promettendo ai creditori che, se entro 4 anni dovesse migliorare la sua condizione oltre una certa soglia, verserà loro l’eventuale surplus .
In conclusione, “non fallibile” non significa “invulnerabile ai creditori”: vuol dire solo che seguirai percorsi diversi. I creditori non possono portarti in tribunale per farti fallire, ma possono comunque fare pignoramenti individuali. Per evitarli in modo coordinato, devi rivolgerti all’OCC (Organismo di Composizione della Crisi, istituito presso la Camera di Commercio o gli Ordini professionali locali) per avviare un concordato minore o una liquidazione controllata. Queste procedure, se attivate per tempo, bloccano le azioni esecutive individuali analogamente al concordato preventivo . Inoltre offrono la possibilità di esdebitazione finale. Insomma, non fallibile non vuol dire che i creditori non possano attaccarti: vuol dire però che hai a disposizione strumenti ad hoc per sistemare la situazione, che coinvolgono sempre un giudice ma con iter semplificati e su misura delle piccole realtà.
Domande frequenti (FAQ)
D: Cosa si intende esattamente per “stato di crisi” e “stato di insolvenza”?
R: Il Codice della crisi fornisce una definizione. Per crisi si intende lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza (in prospettiva futura) . È una situazione di squilibrio (patrimoniale o di liquidità) che, se non affrontata, può degenerare. L’insolvenza, invece, è lo stato del debitore che non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, manifestandosi con inadempimenti o altri fatti esteriori indicativi di una strutturale carenza di liquidità (art. 2, co.1 lett. b, CCII) . In parole più semplici, la crisi è la fase in cui l’azienda inizia a barcollare (ma può ancora salvarsi con interventi correttivi), l’insolvenza è la caduta conclamata, in cui da sola non riesce più a rialzarsi. La composizione negoziata si può attivare già in fase di crisi (prima dell’insolvenza conclamata), mentre il concordato preventivo richiede almeno lo stato di crisi o l’insolvenza; la liquidazione giudiziale richiede l’insolvenza conclamata .
D: L’azienda ha ricevuto un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo da una banca e alcuni pignoramenti dai fornitori: come posso fermarli?
R: Se la tua azienda è già oggetto di esecuzioni forzate (pignoramenti in corso) o minacce concrete, l’unico modo per sospendere simultaneamente tutte le azioni esecutive è ottenere delle misure protettive previste dalla legge concorsuale. Puoi farlo in due modi: o presentando un ricorso per concordato preventivo (anche con riserva, il “concordato in bianco”) al tribunale, oppure attivando la composizione negoziata della crisi e chiedendo al giudice le misure protettive . In entrambi i casi, una volta che il tribunale concede la protezione, nessun creditore può proseguire o iniziare pignoramenti per tutta la durata dell’“ombrello” protettivo . Nel concordato preventivo, il divieto opera dall’ammissione (o dall’eventuale provvedimento sulle misure cautelari se sei in fase di pre-concordato); nella composizione negoziata, opera dalla pubblicazione dell’istanza di misure protettive e dura per il periodo stabilito (inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili fino a 12 in totale) . Nel tuo caso, se la banca ha già avviato un’esecuzione ipotecaria o un pignoramento, presentando immediatamente domanda di concordato oppure ottenendo misure protettive nella composizione negoziata, potresti ottenere la sospensione di quell’esecuzione prima che vada a termine . Tieni però presente che queste misure hanno durata temporanea: ad esempio, nella composizione negoziata durano inizialmente fino a 4 mesi (prorogabili, con l’esperto che riferisce sui progressi); nel concordato durano fino all’omologa (mediamente 8-12 mesi). Allo scadere, se non si è raggiunto un accordo o aperta un’altra procedura, le azioni riprendono. Quindi è fondamentale sfruttare quella finestra per concludere un accordo o presentare un piano credibile.
D: Posso essere costretto a vendere la casa o i miei beni personali per pagare i debiti della mia azienda?
R: Dipende dalla forma giuridica dell’azienda e dalle garanzie personali che potresti aver prestato. Se operi tramite una società di capitali (es. una S.r.l. di cui sei socio), la regola generale è che i debiti della società restano a carico della società: tu come socio (o amministratore) non rispondi con il tuo patrimonio personale, salvo situazioni particolari. Quindi i tuoi beni (casa, conto personale) sono in linea di principio al sicuro dai creditori sociali. Ci sono però due importanti eccezioni: (1) se hai firmato delle fideiussioni personali verso qualche creditore – caso molto comune con le banche, che spesso chiedono la garanzia personale dei soci o degli amministratori – allora per quei debiti garantiti la banca (o altro creditore) può aggredire anche la tua casa o i tuoi beni personali se la società non paga, in base al contratto di garanzia ; (2) se hai commesso illeciti gestionali gravi, potresti incorrere in responsabilità personale: ad esempio, se hai distratto beni sociali confondendoli col tuo patrimonio, o hai continuato l’attività in modo abusivo nonostante gravi perdite violando gli obblighi di legge, oppure hai aggravato il dissesto con atti dolosi – in tali casi estremi, un giudice potrebbe “revocare” la limitazione di responsabilità e far rispondere te direttamente (si pensi all’azione di responsabilità per mala gestio o, in rarissimi casi, all’abuso della personalità giuridica). Ma sono ipotesi eccezionali nell’ordinamento italiano. In generale, finché ti attieni alla legge, la S.r.l. fa da schermo: i creditori possono rivalersi solo sul patrimonio sociale .
Se invece l’azienda è una ditta individuale o una società di persone (S.n.c., S.a.s.), tu (titolare o socio accomandatario) rispondi personalmente e illimitatamente dei debiti d’impresa: significa che, se i beni aziendali non bastano, i creditori possono pignorare i tuoi beni personali (casa, auto, conto bancario personale) . Dunque, il rischio sulla casa c’è eccome in quel caso. Anche qui però c’è il rimedio dell’esdebitazione: se ad esempio la tua ditta individuale fallisce, dopo la chiusura della procedura puoi ottenere la cancellazione dei debiti residui e ripartire senza che i creditori possano più toccare i beni futuri (ovviamente quelli già pignorati/venduti nella procedura sono andati) . In sintesi: con una società di capitali, di norma i creditori non possono aggredire i tuoi beni personali (salvo tue garanzie o casi di mala gestio); con una ditta individuale o società di persone, sì, il tuo patrimonio è confuso con quello aziendale. Ricorda infine che, se hai prestato fideiussione personale per un debito sociale (ad es. il mutuo bancario della S.r.l.), quella è efficace a prescindere dal tipo di società: il creditore potrà rivalersi su di te come garante secondo i termini del contratto .
D: L’azienda non riesce a pagare le imposte e soprattutto l’IVA: rischio conseguenze penali?
R: Alcuni omessi pagamenti di imposte possono avere rilevanza penale se superano determinate soglie previste dal D.Lgs. 74/2000 (che disciplina i reati tributari). In particolare: l’omesso versamento di IVA per un importo superiore a €250.000 per periodo d’imposta costituisce reato tributario; analogamente, l’omesso versamento di ritenute certificate (le ritenute fiscali operate su stipendi o compensi) oltre €150.000 annui è reato . Dunque, se la tua azienda, per mancanza di liquidità, non versa l’IVA dichiarata o le ritenute, e gli importi accumulati superano quelle soglie in un anno, puoi essere chiamato a risponderne penalmente in qualità di legale rappresentante. Va detto che c’è una possibilità di “ravvedimento operoso” prevista dall’art. 13 D.Lgs. 74/2000: se paghi integralmente il dovuto (imposta + interessi + sanzioni) entro la scadenza della presentazione della dichiarazione dell’anno successivo, scatta una causa di non punibilità . Ad esempio, se non hai versato IVA 2024 per €300.000, hai tempo fino al termine di presentazione della dichiarazione IVA 2025 per metterti in regola ed evitare il processo penale. Chiaramente però questo richiede risorse che potresti non avere. In sede di concordato preventivo, una volta presentata domanda, i pagamenti di debiti fiscali richiedono autorizzazione del tribunale, quindi difficilmente potresti colmare quell’omissione durante la procedura (il tribunale di norma non autorizza il pagamento integrale di un debito IVA pregresso al di fuori del piano). In compenso, la legge fallimentare e il CCII prevedono che, se esegui il concordato integralmente, pagando almeno il 10% dell’IVA e il 30% delle ritenute (soglie riferite ai casi in cui oltre la metà del tuo fatturato non è verso consumatori privati), il reato di omesso versamento IVA si estingue . È un meccanismo introdotto per incentivare il risanamento: se attraverso la procedura concorsuale riesci comunque a pagare una parte significativa dell’imposta evasa (10% IVA, 30% ritenute) e completi il concordato, non sarai punito penalmente. In sintesi: il rischio penale c’è per IVA e ritenute non versate oltre soglia, ma hai strumenti per mitigarlo: pagamenti tardivi integrali (se riesci a trovare le risorse) o inserimento del debito in un concordato con le percentuali di legge. Al di fuori di questi casi (es. IRES o IRAP non versate) non c’è penale, solo sanzioni amministrative. Attenzione però anche ai reati di bancarotta: se si arriva al fallimento, comportamenti come la distrazione di beni aziendali, i pagamenti preferenziali a taluni creditori poco prima del fallimento, l’occultamento di scritture contabili, possono configurare reati fallimentari a tuo carico . Il consiglio è di mantenere una condotta trasparente, documentare tutto e non fare movimenti opachi: la legge premia l’imprenditore che affronta la crisi onestamente (persino con l’esdebitazione di fine procedura) e punisce invece chi adotta comportamenti fraudolenti .
D: La banca ha revocato i fidi e vuole rientrare subito, causando il collasso della liquidità. Posso obbligarla a ripristinare il credito?
R: Non esiste un modo per costringere contrattualmente una banca a mantenere aperte linee di fido “revocabili a discrezione” se, in base alle condizioni contrattuali, ha deciso di revocarle legittimamente. Però, grazie alle nuove norme, durante una procedura di composizione negoziata o un concordato preventivo si può ottenere una tutela. Come già detto, in composizione negoziata le banche non possono revocare o ridurre le linee di credito durante le misure protettive concesse . Quindi, ad esempio, se la banca ha inviato la revoca ma tu riesci ad attivare subito la composizione negoziata con misure protettive, la banca dovrebbe sospendere la revoca per il periodo protetto (salvo giustificazioni di vigilanza). Nel concordato preventivo, già con il solo deposito della domanda (il “concordato con riserva”), la banca deve astenersi da azioni esecutive e non può compensare forzatamente i saldi di conto oltre certi limiti (la legge vieta, in pendenza di concordato, le compensazioni tra crediti e debiti se il debitore non era in bonis al momento del deposito), quindi di fatto si entra in fase protetta. Detto ciò, non puoi obbligarla a ridarti il fido tolto: puoi però cercare di ottenere nuovi finanziamenti con prededuzione se trovi altri accordi (ad es. art. 22 CCII in composizione negoziata prevede la possibilità di autorizzare accordi di moratoria con banche e di garantire nuovi utilizzi come crediti prededucibili, e art. 99 CCII per i finanziamenti in concordato) . In pratica, quello che puoi fare è: appena vedi la banca ostile, anticiparla attivando uno strumento di crisi che la vincoli a congelare la situazione. Durante la composizione negoziata, potresti anche negoziare con la banca un mantenimento temporaneo delle linee presentando un piano credibile (l’esperto indipendente spesso aiuta a convincere la banca a non strozzare la liquidità, anche proponendo di rendere prededucibili gli utilizzi futuri) . Ma un obbligo legale di rifinanziarti purtroppo non c’è. Riassumendo: puoi fermare la richiesta immediata di rientro entrando sotto il cappello protettivo di una procedura (concordato o composizione), però non puoi pretendere che la banca ripristini l’affidamento se l’ha revocato. Dovrai cercare fonti alternative di liquidità (altre banche, nuovi soci, ecc.) oppure ridurre il fabbisogno modulando i pagamenti ad altri (fornitori, Fisco) sempre però muovendoti in un quadro legale (ad es. con un accordo approvato dall’esperto), per evitare atti pregiudizievoli.
D: Qual è la differenza tra concordato preventivo e fallimento (liquidazione giudiziale) per quanto riguarda i debiti residui?
R: Come accennato, nel concordato preventivo, se la procedura va a buon fine (omologa e poi completa esecuzione del piano), l’azienda esce dalla procedura avendo pagato quanto stabilito e i creditori non possono più avanzare pretese per la parte di credito che è stata tagliata . In altre parole, il concordato preventivo ha effetto liberatorio: ciò che non è stato pagato perché falcidiato dal piano è definitivamente perdonato (diversamente da quanto accade in alcune giurisdizioni anglosassoni, qui non c’è bisogno di un atto separato di discharge: è l’omologa e l’esecuzione del piano stesso a liberare il debitore). L’azienda quindi continua ad esistere senza quei debiti (si dice che “stralcia” i debiti eccedenti). Dal punto di vista giuridico, si può dire che il concordato è un accordo novativo: i creditori accettano di sostituire ai vecchi crediti le nuove condizioni del piano, e una volta adempiute queste, null’altro è dovuto.
Nel fallimento (liquidazione giudiziale), invece, non c’è un accordo di remissione volontaria da parte dei creditori. Quindi, tecnicamente, se dopo aver liquidato tutto il patrimonio i creditori ricevono (es.) il 20%, il restante 80% del credito rimane insoddisfatto. La società fallita, però, viene cancellata dal registro imprese e cessa di esistere – quindi quei debiti residui rimangono solo “sulla carta” senza un soggetto giuridico da perseguire . Tuttavia, per un imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile, quei debiti residui (80% nell’esempio) restano debiti personali suoi finché non ottiene l’esdebitazione . L’esdebitazione nel fallimento è l’atto che cancella i debiti residui del fallito onesto: va chiesta a fine procedura e generalmente viene concessa se il fallito ha cooperato e non ha commesso irregolarità gravi . Se concessa, quei debiti si estinguono e il fallito riacquista la capacità patrimoniale liberata (può acquisire nuovi beni senza che i vecchi creditori possano aggredirli). Se l’esdebitazione è negata (casi di frode, dolo, ecc.), quei debiti formalmente restano e potrebbero teoricamente essere azionati su eventuali beni futuri dell’ex imprenditore – anche se, di fatto, è raro che i creditori lo facciano, perché la procedura ha già sancito che nulla c’era da prendere.
In conclusione: concordato = l’azienda, se esegue il piano, esce pulita dai vecchi debiti (che sono stati stralciati e non sono più esigibili) ; fallimento = la procedura liquida tutto e chiude la vita dell’impresa, i debiti per la parte non pagata si estinguono di fatto con la fine del soggetto giuridico (o vengono cancellati con l’esdebitazione del fallito persona fisica) . Aggiungiamo che, dopo un concordato eseguito, l’azienda di solito può anche ottenere attestazioni ufficiali di avvenuto risanamento (ai sensi dell’art. 14 CCII) utili per partecipare a gare pubbliche, superando lo stigma del passato: la legge riconosce che dopo l’omologa e l’esecuzione il debitore è risanato . Ad esempio, un’azienda che ha concluso con successo un concordato non è esclusa per sempre dagli appalti pubblici; deve dimostrare di aver superato la crisi e a quel punto può di nuovo concorrere. Anche eventuali protesti (assegni o cambiali non pagate) si cancellano dal registro informatico dopo un certo periodo. In sostanza l’ordinamento e la prassi permettono di tornare affidabili.
D: Quanto tempo ci vuole per risolvere la situazione debitoria con queste procedure?
R: I tempi variano molto a seconda dello strumento scelto e della complessità del caso. Indicativamente: – Una composizione negoziata dura al massimo 6 mesi prorogabili di altri 6 (quindi fino a 1 anno) . Molte composizioni, se la situazione è affrontabile, si chiudono in 3-4 mesi con un accordo privato o con l’accesso ad altra procedura (es. si chiude la negoziazione e si deposita un concordato). Se poi sfocia in un accordo omologato o in un concordato, vanno aggiunti i tempi di quelle fasi successive. – Un accordo di ristrutturazione standard richiede il tempo per raccogliere le adesioni (da poche settimane a qualche mese, a seconda del numero di creditori da convincere) e poi l’omologazione in tribunale. La legge prevede che il tribunale decida sull’omologa entro 4 mesi dal deposito (salvo proroghe per opposizioni). Quindi in totale, diciamo, 6-8 mesi si può chiudere, a volte meno se c’è urgenza e consenso alto. – Un concordato preventivo è più lungo: dalla presentazione all’omologa spesso passano tra 6 e 12 mesi . Ci sono vari passaggi: se presenti prima il concordato in bianco, hai fino a 120-180 giorni per il piano; poi l’istruttoria, l’adunanza dei creditori (di solito fissata 60-90 giorni dopo l’ammissione), il voto, eventuali opposizioni e infine la sentenza di omologa . In pratica, la media nazionale per un concordato è attorno a 8-10 mesi. Per aziende molto grandi e piani complessi si può sforare oltre un anno; per piccole imprese con concordati semplificati si può anche chiudere in 5-6 mesi . Durante questo tempo, comunque, l’impresa se in continuità opera (anche se sotto vigilanza) e i creditori sono congelati, quindi l’importante è sopravvivere fino all’omologa. – Una liquidazione giudiziale (fallimento) è notoriamente la più lunga e aleatoria: dipende dall’attivo da liquidare e dalle cause legali eventualmente da affrontare (revocatorie, cause di responsabilità, ecc.). Può durare da 1-2 anni per casi semplici con pochi beni, fino a 5-6 anni o oltre per casi complessi . La media storica dei fallimenti in Italia è intorno a 5-7 anni . Ci possono essere riparti parziali nel frattempo, ma la chiusura completa richiede tempo. Dal punto di vista del creditore, il fallimento è spesso la via più lenta; dal punto di vista del debitore, lui perde subito l’azienda (quindi per lui in un certo senso “finisce” subito), ma la definizione finale (esdebitazione) arriva solo a procedura conclusa anni dopo .
Riepilogando: se vuoi risolvere rapidamente e mantenere il controllo della situazione, le strade migliori sono la trattativa stragiudiziale (se fattibile) o la composizione negoziata; il concordato è una via intermedia (richiede diversi mesi, ma offre protezione nel frattempo e una soluzione definitiva); il fallimento è il più lungo, ma tu personalmente smetti di occupartene all’apertura (sarà il curatore a gestire, anche se dovrai aspettare anni per la chiusura e l’eventuale esdebitazione) . In ogni caso, muoversi per tempo aumenta le chance: predisporre un piano serio richiede mesi, quindi prima coinvolgi professionisti e attivi gli strumenti (es. la composizione negoziata), prima potrai concludere positivamente.
D: I fornitori non mi consegnano più materiale a causa di fatture arretrate. Come posso convincerli a continuare a rifornirmi mentre risolvo la crisi?
R: Questa è una situazione comune nelle crisi: la mancanza di liquidità porta ritardi nei pagamenti, i fornitori perdono fiducia e minacciano di interrompere le forniture essenziali, mettendo ancora più a rischio la continuità aziendale. Ci sono alcuni strumenti utili: – Nel contesto di una composizione negoziata, come già detto, puoi individuare i contratti di fornitura essenziali e chiedere al tribunale di autorizzarti a pagarli regolarmente in prededuzione oppure di escludere la loro risoluzione per i debiti pregressi . L’art. 19 CCII prevede infatti che, se hai ottenuto misure protettive, i creditori non possono sospendere o sciogliere unilateralmente i contratti pendenti per inadempienze pregresse . Ciò significa che, se esiste un contratto di fornitura continuativa (per esempio un accordo quadro per la consegna mensile di sensori o componenti necessari ai tuoi rilevatori) e tu sei in composizione negoziata con misure protettive attive, il fornitore non può risolvere il contratto adducendo che non hai pagato le fatture precedenti. Puoi quindi informarlo di questa tutela legale e chiedergli di continuare a fornire. Naturalmente dovrai però pagare regolarmente le forniture correnti (quelle durante la procedura) perché quelle sono coperte da prededuzione ma vanno onorate, altrimenti il giudice può autorizzare la risoluzione del contratto . – Analogamente, in un concordato preventivo con continuità, puoi chiedere al tribunale un provvedimento che obblighi i contraenti a rispettare i contratti pendenti: la legge (art. 108 CCII) consente, in continuità, di mantenere in essere i contratti necessari e i fornitori non possono rifiutarsi di eseguire la loro parte contrattuale solo perché vantano crediti pregressi non pagati (anche qui, salvo che tu non paghi le forniture correnti autorizzate in prededuzione). – Puoi anche offrire ai fornitori delle garanzie migliorative per le forniture nuove: ad esempio, proporre pagamenti anticipati all’ordine (se hai un po’ di liquidità per l’acquisto corrente) oppure pagamenti contestuali alla consegna (cash on delivery), o ancora far sì che i pagamenti correnti siano autorizzati dal tribunale come prededucibili (cosa che avviene di diritto se il fornitore continua a fornire durante un concordato) . In questo modo il fornitore sa che verrà pagato prima degli altri crediti in caso di procedura (infatti i crediti per forniture post domanda concordato sono prededucibili ex lege). – Dal punto di vista relazionale, comunicazione onesta: spiega ai fornitori la tua situazione e che stai predisponendo un piano di ristrutturazione con l’aiuto di professionisti (magari mostrando che hai già un esperto nominato nella composizione negoziata o che sei ammesso al concordato). I fornitori spesso, se vedono serietà e una prospettiva di recuperare almeno una parte dei loro crediti pregressi, preferiscono mantenere il cliente in crisi piuttosto che perderlo e incassare poco/nulla . Potresti proporre loro: “continuate a fornirmi, vi pago il nuovo puntualmente, e per il vecchio vi includo nel piano di rientro che sto preparando, offrendovi ad esempio il 30% in 2 anni”. Se fai questa proposta dopo aver depositato un concordato, i fornitori hanno la certezza che non potrai deviare da quel piano (perché sarà controllato dal tribunale) . – In estrema sintesi: la legge tutela la continuità aziendale prevedendo che i fornitori essenziali non possano interrompere le forniture solo per i debiti pregressi durante la fase protetta . Usa questa norma a tuo favore: metti per iscritto al fornitore (magari con l’aiuto di un legale) che hai avviato la procedura X, che il contratto in essere è protetto e che sei disponibile a onorare regolarmente le forniture correnti se lui rispetta il contratto . Contestualmente, rassicuralo offrendo condizioni sicure per il nuovo (pagamenti per contanti, garanzie) e includendolo equamente nel piano per il pregresso. Spesso, combinando aspetti legali e goodwill, si riesce a mantenere i flussi: dopotutto anche al fornitore conviene continuare a vendere (magari perde qualcosa sul vecchio credito ma salva il cliente per il futuro).
D: Se riesco a far approvare un concordato o un accordo, la mia azienda sarà “pulita” dai debiti? Potrò ottenere nuovi fidi in futuro o rimarrò marchiato?
R: Una volta eseguito con successo un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione omologato, l’azienda risulta liberata dai debiti residui antecedenti (a meno che tu non abbia volutamente lasciato fuori qualche credito particolare, ma di solito non accade) . Legalmente, quei creditori non possono più avanzare pretese oltre quanto ricevuto secondo il piano. La società può quindi ripartire con una struttura patrimoniale risanata. Dal punto di vista pratico, però, la reputazione creditizia può restare temporaneamente compromessa: – Le banche e le centrali rischi avranno segnalato la precedente sofferenza o ristrutturazione. Tuttavia, se il risanamento riesce, col tempo (diciamo qualche anno di bilanci positivi e storico di pagamenti regolari) l’azienda può riconquistare la fiducia. In genere, molte banche considerano un concordato eseguito come un fatto negativo storico ma superato: dopo ad esempio 2-3 anni di buona gestione e rispetto dei nuovi covenants, possono tornare a concedere credito, specie se c’è stato magari un ricambio nella compagine sociale o nel management (che indica una discontinuità positiva) . – I fornitori potrebbero, almeno inizialmente, pretendere pagamenti anticipati o a vista per riprendere a darti fiducia, oppure chiedere garanzie (come un’assicurazione del credito). Sta a te ricostruire la credibilità: onorando scrupolosamente tutti i nuovi impegni e mostrando che l’azienda è risanata. Spesso, dopo un concordato, le imprese operano per un po’ solo su basi di cassa (pagano tutto all’ordine o alla consegna) finché i partner non allentano le condizioni . – Dal punto di vista legale, sì: l’effetto esdebitatorio dell’omologa – e soprattutto dell’adempimento – del concordato è che i creditori chirografari perdono definitivamente la parte falcidiata e i privilegiati anche per l’eventuale parte non coperta . Quindi l’azienda è pulita dai debiti anteriori. Nel caso di accordo di ristrutturazione, similmente: l’accordo omologato ha forza di legge tra le parti e se prevedeva stralci, quelli sono definitivi . Ovviamente c’è la condizione che tu esegua l’accordo o il concordato secondo i patti: se non lo fai e la procedura viene risolta o annullata, allora si torna al punto di partenza (anzi, probabilmente peggio, finendo in liquidazione giudiziale come dicevamo). Ma supponendo che tutto vada bene: la legge e i giudici riconoscono la seconda chance. Ad esempio, un’azienda che ha subito un concordato non è per sempre esclusa dagli appalti pubblici; può certificare l’avvenuto risanamento e tornare a concorrere (il Codice degli Appalti richiede appunto di provare di aver superato la crisi) . Anche il casellario informatico dei protesti, se c’erano assegni o cambiali non pagati, si “pulisce” dopo un certo periodo. Insomma, l’ordinamento e la prassi permettono di tornare affidabili. In conclusione, sì: dopo l’omologa e soprattutto dopo l’esecuzione completa del piano di risanamento, la tua azienda potrà considerarsi liberata dai vecchi debiti ed essere nuovamente affidabile sul mercato. Non sarai marchiato a vita (non esiste un casellario giudiziario per le società, e comunque l’importante è dimostrare il cambiamento). Sarà compito tuo, con risultati concreti, dimostrare a banche e partner commerciali che la crisi è alle spalle. Spesso, coinvolgere un nuovo investitore o socio apportatore di capitali dopo il concordato aiuta molto, perché segnala discontinuità e rafforza il patrimonio . Anche dotarsi di bilanci certificati, rispettare pienamente tutti i nuovi obblighi fiscali/contributivi e magari migliorare la governance societaria sono segnali che possono rassicurare i finanziatori. In altre parole, il passato inciderà per un po’, ma non sarà un marchio indelebile: se l’azienda torna a performare e a gestire bene la finanza, la fiducia verrà gradualmente ripristinata.
Conclusioni: difendersi dai debiti è possibile, con strategia e tempestività
Affrontare una situazione di indebitamento grave può sembrare un compito schiacciante per l’imprenditore, ma la legislazione attuale offre una serie di strumenti sofisticati per farlo in modo ordinato e persino incentivato. La chiave del successo sta nella tempestività: prima si agisce, più opzioni sono sul tavolo. Un’azienda di rilevatori gas in difficoltà dovrebbe anzitutto analizzare – con l’aiuto di professionisti – la propria situazione finanziaria, quindi scegliere la strada più adatta: iniziando magari con negoziazioni assistite (composizione negoziata) e tenendo in riserva l’opzione del concordato se serve un intervento più deciso.
Dal punto di vista pratico: – Non isolarsi: comunicare con i creditori, mostrando un atteggiamento collaborativo e trasparente. Spesso i creditori preferiscono trovare un accordo (anche se comporta rinunce) piuttosto che spingere un’impresa alla rovina e recuperare poco o nulla. Il nuovo Codice incoraggia anche i creditori finanziari ad avere un comportamento corretto in trattativa, e sanziona l’inerzia col rischio di preclusioni (ad esempio, nel cram-down fiscale se il Fisco rifiuta senza motivo viene bypassato dal giudice) . – Farsi assistere da esperti: la materia è complessa (lo dimostra la lunghezza di questa guida!). Commercialisti, avvocati d’affari, advisor finanziari sono figure cruciali per valutare la fattibilità di un piano di rientro e per condurre efficacemente le trattative . Inoltre, alcune procedure richiedono obbligatoriamente il loro coinvolgimento (l’attestatore nel concordato o accordo, l’esperto indipendente nella composizione negoziata, l’OCC nel sovraindebitamento) . Anche interfacciarsi con il sistema bancario per ristrutturare i debiti è più efficace se si hanno advisor che parlano la stessa lingua delle banche. – Considerare l’impatto di ogni scelta: ad esempio, preferire un accordo extragiudiziale “discreto” a un concordato potrebbe ritorcersi contro se poi pochi creditori lo rispettano e la situazione degenera ulteriormente; all’opposto, lanciare subito un concordato senza aver sondato i creditori potrebbe portare a un voto negativo. Quindi la strategia spesso è progressiva: sondaggio informale dei principali creditori -> se c’è apertura, magari composizione negoziata assistita -> se c’è sufficiente consenso, accordo omologato; se non c’è ma l’azienda è salvabile, concordato preventivo; se l’azienda non è salvabile, allora concordato liquidatorio o liquidazione controllata piuttosto che il caos di un fallimento puro . – Sfruttare eventuali moratorie fiscali e previdenziali: ricordarsi sempre di verificare se normative temporanee offrono scorciatoie. Ad esempio, nel 2023-2024 abbiamo avuto la rottamazione-quater e lo stralcio dei mini-debiti: un’azienda in crisi poteva ridurre drasticamente la propria esposizione col Fisco aderendo a queste misure . Integrare tali opportunità in un piano di risanamento è segno di abilità: un creditore pubblico sarà più ben disposto a una transazione se vede che hai già fatto tutto il possibile per ridurre il debito (es. aderendo alla rottamazione per togliere sanzioni e interessi). – Tutela dell’imprenditore onesto: la legge oggi tutela chi dimostra correttezza e iniziativa. Se l’imprenditore adempie agli obblighi di allerta (ad esempio attiva subito la composizione negoziata appena scattano gli indizi di crisi) e non compie atti dissipativi, difficilmente subirà sanzioni personali. Anzi, se malgrado gli sforzi la situazione degenererà in liquidazione giudiziale, potrà ottenere l’esdebitazione e non verrà punito per la “sfortuna” imprenditoriale . Viceversa, chi tenta di fare il furbo (occultare beni, pagare solo alcuni “amici”, frodare il Fisco, distrarre attivi) finirà quasi certamente per aggravare la propria posizione: i creditori non faranno sconti e i giudici nemmeno, potendo anche negare i benefici (ad es. l’esdebitazione è esclusa a chi ha tenuto comportamenti dolosi o di frode) . – Soluzioni creative: a volte, salvare l’azienda dai debiti significa trasformare il debito in qualcos’altro. Ad esempio, convincere alcuni creditori a diventare soci – convertendo crediti in capitale – (debt-to-equity swap), oppure cedere asset non core per abbattere l’esposizione (vendere un ramo d’azienda secondario per fare cassa e pagare debiti) . Queste operazioni sono possibili e anzi facilitate dentro una cornice negoziale o concordataria. Quindi non pensare solo in termini di “quanto cash pago su 100 di debito”, ma anche “posso offrire in cambio qualcosa di diverso dal denaro?” (quote societarie, immobili, macchinari). Certi fornitori potrebbero accettare macchinari o scorte in pagamento parziale, certe banche potrebbero gradire immobili a saldo. L’importante è che tutto sia valutato correttamente e, se in procedura, attuato rispettando la par condicio (es.: con perizie sul valore dei beni dati in pagamento, e offrendo questa opzione a tutti i creditori della stessa classe) .
In definitiva, difendersi dai debiti non significa sfuggire alle proprie responsabilità, ma anzi affrontarle di petto con gli strumenti giuridici predisposti e con il supporto di figure esperte. Da quanto esposto emerge un messaggio di fondo: la legge non vuole più che il fallimento sia la fine inevitabile, bensì l’extrema ratio quando ogni altra via è impercorribile. Vi sono costanti incentivi al risanamento e alla continuazione, perché è interesse di tutti – debitori, creditori, lavoratori, Stato – che le imprese economicamente sostenibili non spariscano per mere difficoltà finanziarie transitorie .
Un’azienda specializzata in dispositivi di sicurezza come i rilevatori di gas, con il suo know-how tecnico e il personale qualificato, rappresenta un valore economico e sociale: se il mercato di riferimento ha ancora prospettive, vale la pena tentare tutte le soluzioni per salvarla dai debiti. Questa guida, con oltre 10.000 parole di approfondimento, ha voluto fornire gli strumenti conoscitivi per intraprendere quel percorso di salvataggio in modo consapevole e aggiornato alle ultime norme e sentenze. Il debitore informato è un debitore più forte, capace di difendersi e – auspicabilmente – di tornare a prosperare lasciandosi la crisi alle spalle.
Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate a ottobre 2025)
Normativa di riferimento:
– Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), come modificato dai successivi decreti correttivi (D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 83/2023 e D.Lgs. 136/2024) .
– Decreto-Legge 24 agosto 2021, n. 118, conv. in L. 147/2021 – Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e risanamento aziendale (ha introdotto la composizione negoziata) .
– Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio (c.d. Direttiva Ristrutturazioni e Insolvenza), recepita nel CCII (principi generali, es. cram-down interclassi e protezione dei nuovi finanziamenti) .
– Codice Civile – artt. 2446-2447, 2482-bis, 2486 c.c. (obblighi degli amministratori in caso di perdita del capitale sociale e responsabilità per gestione non conservativa durante la crisi); artt. 2740-2741 c.c. (responsabilità patrimoniale e par condicio creditorum); principali privilegi mobiliari e immobiliari rilevanti: es. art. 2751-bis c.c. (crediti di lavoro), art. 2752 c.c. (crediti tributari), art. 2753 c.c. (crediti contributivi), art. 2777 c.c. (ordine dei privilegi immobiliari).
– Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993) – art. 41, comma 2 (credito fondiario e privilegio processuale per le banche su beni ipotecati) .
– Legge Fallimentare R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (abrogata dal CCII, ma rilevante per principi generali e per procedimenti pendenti iniziati prima del 15 luglio 2022).
– D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – art. 19 (rateizzazione delle cartelle esattoriali fino a 72 rate; condizioni per debiti > €60.000 e > €120.000) .
– D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) – art. 88, comma 4-ter e art. 101, comma 5 (previsione che le rinunce ai crediti conseguenti ad accordi di ristrutturazione o concordati preventivi omologati non sono imponibili per il debitore; le perdite dei creditori su crediti in procedure concorsuali sono deducibili).
– D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Decreto IVA) – art. 26 (note di variazione IVA in caso di procedure concorsuali: consente ai fornitori di emettere note di credito per IVA su crediti non riscossi a seguito di concordato, fallimento e ora anche composizione negoziata, grazie alle modifiche del D.L. 73/2021) .
– D.Lgs. 74/2000 – artt. 10-bis e 10-ter (reati di omesso versamento di ritenute e di IVA oltre soglie di €150k e €250k rispettivamente); art. 13 (cause di non punibilità per integrale pagamento del debito tributario prima del dibattimento) .
– Codice Penale (rinvii della legge fallimentare e del CCII) – artt. 216-217 R.D. 267/42 (reati di bancarotta fraudolenta e semplice, ora trasfusi negli artt. 322-323 CCII); art. 236 L.F. (ricorso abusivo al credito); art. 218 L.F. (esonero da punibilità per concordato preventivo eseguito con pagamento minimo 10% IVA e 30% ritenute, introdotto da D.Lgs. 83/2022) .
Principali sentenze giurisprudenziali citate:
– Cass., Sez. I civ., 15 maggio 2023, n. 13154: in tema di accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis L.Fall., ha stabilito che la relazione dell’attestatore deve verificare specificamente l’idoneità del piano a garantire il pagamento integrale dei creditori estranei contrattualizzati entro i termini di legge . (Attestazione puntuale sui creditori estranei con accordi bilaterali).
– Cass., Sez. V trib., 29 novembre 2023, n. 33303: ha dichiarato cessata la materia del contendere in un giudizio tributario quando, nelle more del ricorso per cassazione, è intervenuta l’omologazione di un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale ex art. 182-ter L.Fall., che ha di fatto definito il debito oggetto di lite . (Effetto dell’accordo omologato sui debiti fiscali litigiosi: estinzione del contenzioso per sopravvenuta definizione).
– Cass., Sez. I civ., 19 agosto 2024, n. 22914: ha confermato che il privilegio processuale del credito fondiario ex art. 41 TUB si applica anche alle nuove procedure introdotte dal CCII: tanto nella liquidazione giudiziale (ex fallimento) quanto nella liquidazione controllata del sovraindebitato . La pronuncia richiama l’art. 150 CCII e l’art. 270 co. 5 CCII (che sostituiscono i termini “fallimento” con “liquidazione giudiziale” in tutte le norme vigenti, incluso l’art. 41 TUB) .
– Cass., Sez. I civ., 17 dicembre 2024, n. 32996: (richiamata in dottrina, v. Diritto Bancario, 3/2/2025) sul destino degli accordi di ristrutturazione omologati in caso di successivo fallimento: ha affermato che l’apertura della liquidazione giudiziale risolve l’accordo e i creditori aderenti possono insinuarsi al passivo solo per la parte di credito residua secondo l’accordo omologato, senza poter reclamare l’intero originario . (Principio di cristallizzazione degli effetti dell’accordo fino alla risoluzione per fallimento).
– Cass., Sez. Un. civ., 9 febbraio 2023, n. 4081: (Ordinanza) ha ribadito che dal momento della presentazione di una domanda di concordato preventivo il debitore è in regime di protezione: gli atti di pagamento di debiti fiscali scaduti senza autorizzazione del tribunale non sono consentiti, perciò il debitore non decade da un piano di rateizzazione fiscale per il solo fatto di aver sospeso i pagamenti dopo il deposito della domanda di concordato . Conseguentemente, sono illegittime le sanzioni e la decadenza comminate dal Fisco per il mancato pagamento in pendenza di concordato. (Tutela del debitore che sospende i pagamenti al Fisco durante il concordato).
– Corte d’Appello di Lecce, 26 marzo 2025: ha statuito che nel concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) è ammissibile la falcidia dei debiti tributari anche in assenza di una specifica transazione fiscale, purché sia garantito il rispetto della causa di prelazione e della convenienza rispetto alla liquidazione . Ciò colma un vuoto normativo del concordato semplificato, chiarendo che anche IVA e tributi possono essere stralciati se il piano lo giustifica e rispetta l’ordine dei crediti.
– Corte d’Appello di Milano, 25 maggio 2025: (menzionata da Unijuris) ha applicato retroattivamente il principio del cram-down fiscale introdotto dal D.Lgs. 136/2024 anche a concordati in continuità aperti prima della riforma, ritenendo che il tribunale possa omologare forzosamente il concordato nonostante il voto contrario di Fisco/INPS, se il piano è in continuità e soddisfa le condizioni di legge (estensione analogica della nuova norma) . (Interpretazione evolutiva pro-debitore: subito applicabile il cram-down sui crediti pubblici in continuità).
– Tribunale di Forlì, 14 agosto 2025: (Unijuris) ha ritenuto ammissibile, in un accordo di ristrutturazione ex art. 63 CCII, una transazione fiscale che preveda lo stralcio anche di crediti tributari locali (es. IMU), purché l’ente locale interessato abbia stipulato separato accordo col debitore. Ciò conferma la possibilità di inserire nel perimetro dell’accordo anche crediti di enti diversi dall’Agenzia Entrate (es. Comuni), coordinando più tavoli negoziali . (Flessibilità nell’accordo per includere tributi locali con accordi ad hoc).
– Cass., Sez. I civ., 11 novembre 2025, n. 29746: ha precisato i confini della definizione di “consumatore” nel Codice della crisi. In particolare, ha escluso che possa qualificarsi consumatore la persona fisica che abbia garantito, come fideiussore, i debiti di un’impresa altrui con cui ha un coinvolgimento funzionale: prestare fideiussione per un’attività d’impresa è un atto strumentale all’attività economica del debitore principale, quindi il garante non agisce per scopi personali estranei all’attività imprenditoriale . Ne consegue che tali fideiussori non possono accedere al piano del consumatore ex art. 67 CCII, dovendo semmai ricorrere ad altri strumenti (concordato minore, ecc.). (Dal testo: “La prestazione di fideiussione costituisce atto strumentale all’attività del debitore ove il garante sia coinvolto … La definizione di consumatore nel CCII non estende automaticamente la qualifica ai soci o garanti di debiti d’impresa”).
La tua azienda che produce, importa, distribuisce o manutiene rilevatori gas portatili, gas detector, sensori catalitici ed elettrochimici, rilevatori monogas o multigas, strumenti ATEX, calibratori, cartucce e bombole di calibrazione, accessori per spazi confinati, dispositivi per sicurezza industriale, si trova oggi in difficoltà a causa dei debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
La tua azienda che produce, importa, distribuisce o manutiene rilevatori gas portatili, gas detector, sensori catalitici ed elettrochimici, rilevatori monogas o multigas, strumenti ATEX, calibratori, cartucce e bombole di calibrazione, accessori per spazi confinati, dispositivi per sicurezza industriale, si trova oggi in difficoltà a causa dei debiti?
Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, sospensioni delle forniture, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori di sensoristica e accessori ATEX o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore dei rilevatori gas è uno dei più sensibili e costosi della sicurezza industriale: sensoristica ad alta precisione, certificazioni ATEX, calibrazioni periodiche, magazzino tecnico complesso, importazioni costose e clienti che pagano spesso a 60–120 giorni. Bastano pochi mesi di tensione finanziaria per iniziare una crisi seria.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con una strategia adeguata.
Perché un’Azienda di Rilevatori Gas va in Debito
- aumento dei costi di sensori, celle elettrochimiche, fotometria IR, display, batterie e moduli ATEX
- ritardi nei pagamenti da parte di aziende industriali, contractor, petrolchimico, cantieri e manutentori
- magazzino immobilizzato tra rilevatori, sensori, bombole di calibrazione, accessori e ricambi
- costi elevati di calibrazione, manutenzione, certificazioni e assistenza tecnica
- investimenti in ricerca, firmware, test e normative
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
In quasi tutti i casi, il problema non è la mancanza di richieste, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se Non Intervieni Subito
- pignoramento del conto aziendale
- blocco dei fidi
- sospensione delle forniture di sensori e accessori ATEX
- atti esecutivi, decreti ingiuntivi, precetti
- sequestro di rilevatori, sensori e attrezzature di calibrazione
- impossibilità di completare installazioni, manutenzioni e consegne
- perdita di clienti strategici e contratti ricorrenti
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può:
- sospendere pignoramenti e ogni atto esecutivo
- bloccare richieste di rientro urgenti
- proteggere conti correnti e liquidità aziendale
- fermare le azioni dell’Agenzia Riscossione
Prima si mette in sicurezza l’azienda, poi si interviene sui debiti.
2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti
Nella maggior parte dei casi emergono errori come:
- interessi non dovuti
- sanzioni sbagliate o gonfiate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori nelle cartelle esattoriali
- commissioni bancarie anomale
Una parte importante del debito può essere ridotta o cancellata.
3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile
Strumenti disponibili:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- nuovi accordi con fornitori strategici (sensoristica, moduli, bombole)
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensione temporanea dei pagamenti
- accesso alle definizioni agevolate
4. Usare strumenti legali potentissimi che bloccano TUTTI i creditori
Nei casi più complessi si può ricorrere a:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di ristrutturazione
- Concordato minore
- (nei casi limite) Liquidazione controllata
Queste soluzioni permettono all’azienda di continuare a operare pagando solo una parte dei debiti, fermando completamente ogni aggressione dei creditori.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda che opera nella sicurezza industriale servono competenze elevate e specifiche.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012) – negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Un profilo ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende del settore gas detection, dove affidabilità e continuità operativa sono vitali.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi completa e immediata dell’esposizione debitoria
- blocco urgente di pignoramenti e decreti ingiuntivi
- riduzione dei debiti non dovuti
- ristrutturazione del debito con un piano sostenibile
- protezione di rilevatori, sensori, bombole e materiali critici
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela totale dell’azienda e dell’amministratore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di rilevatori gas portatili non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, tecnica e completamente legale, puoi:
- fermare immediatamente i creditori,
- ridurre davvero i debiti,
- salvare consegne, manutenzioni e continuità operativa,
- proteggere il futuro della tua impresa.
Agisci adesso.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
il percorso di salvataggio può iniziare oggi stesso.