Azienda Di Protezioni Telescopiche E A Soffietto Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se la tua azienda produce, importa o distribuisce protezioni telescopiche, soffietti in PVC o tessuto tecnico, protezioni per guide lineari, coperture per macchine utensili, mantici, schermi anti-truciolo, protezioni per CNC, robot e impianti industriali, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale intervenire subito per evitare blocchi produttivi e la perdita dei clienti.

Nel settore delle protezioni per macchine utensili, un ritardo nelle consegne può fermare intere linee di produzione, impedire manutenzioni e generare penali significative per i tuoi clienti.

Perché le aziende di protezioni telescopiche e a soffietto accumulano debiti

  • aumento dei costi di acciaio, PVC tecnico, poliuretani, tessuti speciali e componenti
  • rincari dei trasporti e delle forniture importate
  • pagamenti lenti da parte di officine meccaniche, integratori e industrie
  • ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
  • magazzini complessi con molti formati, geometrie, materiali e personalizzazioni
  • difficoltà ad ottenere fidi bancari adeguati ai cicli produttivi
  • investimenti in macchinari CNC, saldature, termosaldatura e materiali tecnici

Cosa fare subito

  • far analizzare in modo professionale l’intera esposizione debitoria
  • verificare quali debiti possono essere contestati, ridotti o rateizzati
  • evitare piani di rientro troppo pesanti che prosciugano la liquidità
  • richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
  • proteggere i rapporti con fornitori strategici e materiali tecnici
  • usare strumenti legali efficaci per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza bloccare la produzione

I rischi se non intervieni subito

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco delle forniture di materiali per soffietti e protezioni telescopiche
  • impossibilità di completare ordini e consegne personalizzate
  • perdita di clienti meccanici, CNC, integratori e rivenditori tecnici
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Come può aiutarti l’Avvocato Monardo

Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
  • iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Può aiutarti concretamente a:

  • bloccare pignoramenti e procedure esecutive
  • ridurre o ristrutturare i debiti in modo legale e vantaggioso
  • ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
  • proteggere materiali, attrezzature CNC, forniture e continuità operativa
  • evitare la chiusura e accompagnare la tua azienda verso un risanamento reale

Agisci ora

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Intervenire oggi significa salvare clienti, produzione e stabilità finanziaria.

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Introduzione

La società Alfa S.r.l., attiva nel settore delle protezioni telescopiche e a soffietto (componenti industriali per macchinari), si trova in una grave crisi finanziaria. Negli ultimi anni ha accumulato debiti fiscali, verso fornitori, banche e istituti previdenziali (INPS). La situazione genera comprensibile preoccupazione nei soci e negli amministratori: quali strumenti offre l’ordinamento italiano, aggiornato ad ottobre 2025, per difendere l’azienda debitrice dalle azioni dei creditori e tentare il risanamento? In questa guida approfondita (oltre 10.000 parole) esamineremo tutte le opzioni disponibili dal punto di vista del debitore, con un taglio giuridico avanzato ma dal tono divulgativo, adatto tanto a avvocati quanto a imprenditori e privati coinvolti nella crisi d’impresa.

A partire dal 15 luglio 2022, l’Italia ha completamente riformato la disciplina dell’insolvenza attraverso il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, come modificato) . Questa riforma – adottata anche per recepire la Direttiva UE 2019/1023 – ha introdotto nuovi strumenti concorsuali e stragiudiziali finalizzati a favorire la continuità aziendale delle imprese in difficoltà ed evitare, ove possibile, il fallimento (ora liquidazione giudiziale) . Tra le novità spiccano la composizione negoziata (procedura semi-stragiudiziale assistita da un esperto indipendente) e il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, riservato ai casi in cui la composizione negoziata non abbia successo .

In questa guida tratteremo in dettaglio:

  • Gli obblighi legali degli amministratori in caso di crisi (c.d. adeguati assetti ex art. 2086 c.c. e dovere di agire senza indugio).
  • Le diverse tipologie di debiti (erariali, previdenziali, bancari, commerciali) e i relativi rischi e peculiarità.
  • Gli strumenti di composizione della crisi d’impresa oggi disponibili: dai piani di risanamento attestati agli accordi di ristrutturazione dei debiti, dal concordato preventivo (anche in continuità) al nuovo concordato semplificato, fino alla liquidazione giudiziale (il classico fallimento).
  • Le tutele difensive per il debitore: ad esempio, come sospendere le azioni esecutive dei creditori, come evitare azioni revocatorie o responsabilità personali, e come gestire eventuali garanzie personali dei soci.
  • Tabelle riepilogative per confrontare procedure, obblighi e conseguenze.
  • Una sezione Domande & Risposte (FAQ) sui dubbi più frequenti (es. “Cosa succede se non pago l’IVA?”, “Posso evitare il fallimento?”, “Quali debiti posso tagliare?”).
  • Casi pratici e simulazioni con esempi numerici, riferiti al panorama italiano, per capire gli effetti concreti delle scelte possibili.

Nota Bene: Tutti i riferimenti normativi sono alla normativa italiana vigente (aggiornata al ottobre 2025). Le sentenze citate sono le più recenti e autorevoli, con preferenza per pronunce di Corte di Cassazione o Corti d’Appello, e provengono da fonti istituzionali accreditate. È fondamentale affrontare la crisi avvalendosi di consulenti legali e commerciali esperti: questa guida fornisce un inquadramento avanzato, ma ogni situazione concreta va valutata attentamente. Inoltre, tenere presente che la tempestività è spesso decisiva: il nostro ordinamento oggi impone all’imprenditore di attivarsi prontamente per gestire la crisi, pena conseguenze anche personali .

Passiamo ora all’analisi dettagliata, iniziando dai segnali di crisi e dagli obblighi di legge per l’impresa indebitata.

Segnali di crisi e obblighi degli amministratori (adeguati assetti e doveri nella crisi)

Ogni impresa può attraversare fasi di difficoltà economico-finanziaria. La crisi raramente esplode all’improvviso: più spesso è il frutto di un declino graduale, identificabile tramite alcuni segnali precoci (calo del fatturato, tensioni di liquidità, ritardi nei pagamenti ai fornitori, esposizioni bancarie in aumento, ecc.). Nel caso della nostra azienda di protezioni industriali, ad esempio, si sono accumulati insoluti verso fornitori di materie prime, rate di mutuo non pagate e un uso crescente degli affidamenti bancari fino al loro limite. I flussi di cassa prospettici risultano insufficienti a fronteggiare regolarmente le uscite e l’impresa rischia di perdere la continuità aziendale. In termini giuridici, siamo di fronte allo stato di crisi, inteso come “difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza” (art. 2, c.1, lett. a, D.Lgs. 14/2019).

Dovere di istituzione di assetti adeguati: Dal 16 marzo 2019 tutte le società hanno per legge l’obbligo di dotarsi di “un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato […] anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale”, nonché di “attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti […] per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” . Questa importantissima norma (art. 2086, comma 2, c.c., come modificato dal Codice della crisi) impone agli amministratori di monitorare costantemente l’andamento dell’impresa e di reagire prontamente ai primi segnali di crisi. In pratica, i vertici dell’azienda debitrice devono:

  • Rilevare tempestivamente eventuali squilibri patrimoniali o finanziari (es. perdite rilevanti sul capitale sociale, flussi di cassa negativi, indicatori di bilancio fuori norma).
  • Predisporre adeguati controlli interni e strumenti di reporting che segnalino la crisi (es. piani finanziari, budget, indici di allerta suggeriti dal CNDCEC).
  • Non aggravare il dissesto: adottare decisioni prudenti e conservative una volta emersa la crisi, evitando operazioni azzardate che possano peggiorare la situazione della società e dei creditori.
  • Attivarsi subito per cercare soluzioni: la legge parla di adottare “senza indugio” uno degli strumenti previsti per superare la crisi. Ciò significa che gli amministratori devono valutare e intraprendere quanto prima una delle procedure o rimedi (piani di risanamento, accordi, concordato, ecc. di cui parleremo) idonei a gestire la crisi. L’inazione o il ritardo colpevole sono comportamenti sanzionati.

Responsabilità in caso di inerzia o mala gestio: Se gli amministratori ignorano la crisi o, peggio, continuano a operare in modo imprudente aggravando il dissesto, possono andare incontro ad azioni di responsabilità per mala gestione. L’art. 2486 c.c. impone infatti la “gestione conservativa” dopo il verificarsi di una causa di scioglimento (come la perdita del capitale sociale): qualsiasi violazione di tale dovere può rendere gli amministratori responsabili dei danni verso la società, i creditori sociali o la procedura concorsuale. Il nuovo Codice della crisi ha anche facilitato la prova del danno causato dalla prosecuzione indebita: l’art. 378 del Codice ha introdotto criteri presuntivi di quantificazione del danno nel giudizio di responsabilità contro gli amministratori . In sintesi, salvo prova contraria, il danno risarcibile viene ora presunto pari:

  • Prima presunzione: Alla differenza tra il patrimonio netto alla data di apertura della procedura concorsuale (o di cessazione dell’amministratore) e il patrimonio netto alla data in cui si è verificata la causa di scioglimento (ad es. perdita del capitale), al netto dei costi normali nel frattempo . Questo parametro stima l’aggravamento del dissesto imputabile alla gestione successiva al momento in cui si sarebbe dovuto liquidare o ristrutturare l’azienda.
  • Seconda presunzione (sussidiaria): Se le scritture contabili mancano o sono inattendibili, il danno è pari alla differenza tra l’attivo e il passivo accertati nella procedura concorsuale . In altre parole, in mancanza di dati affidabili, il danno viene presunto uguale al deficit fallimentare complessivo.

Esempio: La Alfa S.r.l. chiudeva il bilancio 2023 con perdite che azzeravano il capitale sociale (causa di scioglimento ex art. 2484 c.c.). Gli amministratori tuttavia non prendevano provvedimenti, proseguendo l’attività nel 2024 e 2025, periodo in cui le perdite sono aumentate. Nell’ottobre 2025 la società viene dichiarata insolvente con un passivo di 2 milioni di euro e un attivo realizzabile di soli 500.000 €. In un’eventuale azione di responsabilità, il danno imputabile alla gestione oltre il 2023 potrebbe essere presunto pari al peggioramento patrimoniale subito: se al momento della perdita capitale (fine 2023) il patrimonio netto era -€100.000 e al fallimento (2025) risulta -€1.500.000, quella differenza (detratti i costi fisiologici nel frattempo) quantifica il danno . In mancanza di contabilità affidabile, potrebbe addirittura presumersi il danno pari a €1.500.000 (differenza tra 2M di debiti e 0.5M di attivo) . Gli amministratori potrebbero difendersi solo provando che un diverso importo di danno è più corretto, ma intanto l’onere probatorio è invertito a loro carico.

Inoltre, va ricordato che la prosecuzione indebita dell’attività in stato d’insolvenza può esporre gli amministratori anche a responsabilità penali (es. bancarotta semplice o preferenziale, se poi interviene il fallimento, oppure reati tributari per omissioni di versamenti dovuti).

Decisioni gestionali in tempo di crisi: Ci si chiede spesso fin dove arrivi la protezione del business judgment rule (insindacabilità delle scelte imprenditoriali) quando l’impresa è in bilico. La Cassazione ha chiarito che le scelte di gestione restano sindacabili se irragionevoli ex ante, in base alle informazioni disponibili al momento e alla diligenza esigibile . Ad esempio, un atto straordinario come l’acquisto di un ramo d’azienda indebitato senza predisporre un contestuale piano di rilancio e adeguate misure organizzative è stato ritenuto dalla Suprema Corte un atto di mala gestio grave . In altri termini, in situazione di crisi gli amministratori devono ponderare con estrema prudenza qualsiasi operazione rischiosa: investimenti avventati, nuove esposizioni senza prospettive concrete di recupero, o il pagamento preferenziale di alcuni creditori sacrificandone altri, possono tutti essere censurati in seguito. È preferibile concentrarsi su misure di contenimento dei costi, recupero di efficienza e ricerca di soluzioni negoziali con i creditori.

Riassumendo, di fronte ai segnali di crisi gli organi amministrativi di una società devono agire: dotarsi di assetti che segnalino il problema, prendere decisioni prudenti per non peggiorare la situazione, e soprattutto attivare prontamente i percorsi di composizione della crisi previsti dalla legge. Nel prossimo paragrafo analizzeremo le diverse tipologie di debiti che possono affliggere un’azienda indebitata (erariali, previdenziali, bancari, commerciali) e per ciascuna vedremo i rischi specifici e le prime possibili azioni difensive. Avere chiaro il quadro dei debiti è fondamentale per scegliere lo strumento di gestione della crisi più adatto.

Tipologie di debiti dell’impresa e rischi collegati

Una mappa dei debiti dell’azienda in crisi permette di capire le pressioni cui questa è sottoposta e le priorità di intervento. In genere, i debiti di un’azienda si classificano in alcune macro-categorie, ciascuna con caratteristiche giuridiche particolari:

  • Debiti fiscali (Erario): derivano da imposte non versate (IVA, IRES, IRAP) o da cartelle esattoriali emesse dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER, ex Equitalia) per tributi e sanzioni.
    Rischi: I debiti tributari godono spesso di privilegi (ad esempio l’IVA e le ritenute non versate sono crediti privilegiati) e l’Agente della riscossione ha poteri speciali di esecuzione (es. iscrizione di ipoteca su immobili aziendali, fermi amministrativi su veicoli, pignoramenti anche senza passare dal giudice). L’omesso versamento di talune imposte oltre soglie di legge costituisce reato (es. omesso versamento IVA oltre €250.000 annui, omesso versamento ritenute oltre €150.000) con responsabilità penale in capo agli amministratori. Inoltre, gli interessi moratori e le sanzioni possono far lievitare rapidamente l’importo dovuto.
    Come difendersi: Prima di tutto, verificare se il debito è corretto (eventuali errori o avvisi impugnabili). Se il debito è certo, un’impresa in difficoltà può chiedere all’Agenzia Entrate-Riscossione una rateazione del carico fiscale: normalmente si può ottenere una dilazione fino a 6 anni (72 rate mensili) o, per importi rilevanti, fino a 10 anni (120 rate) in presenza di grave situazione di temporanea difficoltà. Il beneficio è di bloccare le azioni esecutive purché si rispettino le rate. Periodicamente, il legislatore concede misure di definizione agevolata (“rottamazione” delle cartelle): ad esempio, la Legge n. 197/2022 (Bilancio 2023) ha introdotto la rottamazione-quater, permettendo di estinguere i debiti affidati all’AER prima del 30 giugno 2022 pagando solo imposte e interessi ridotti, senza sanzioni, in un massimo di 18 rate (dal 2023 al 2027). In caso di gravi crisi, l’azienda potrebbe valutare strumenti concorsuali che consentono la “transazione fiscale”: sia negli accordi di ristrutturazione omologati che nel concordato preventivo è possibile proporre il pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari, ottenendo il voto favorevole (o la cram-down) dell’Erario . Il Codice della crisi ha esplicitamente previsto che il tribunale possa omologare accordi e concordati anche senza il voto dell’Erario o degli enti previdenziali, purché la proposta non sia inferiore a quanto otterrebbero in caso di liquidazione giudiziale (art. 63 CCII): ciò ha superato le incertezze passate, assicurando maggiore fattibilità ai piani di ristrutturazione anche con taglio dei debiti fiscali. Infine, è bene ricordare che i debiti per IVA e ritenute, essendo “debiti della collettività” già riscossi dall’azienda presso terzi (clienti o dipendenti), vengono trattati con severità: gli amministratori non possono ignorarli sostenendo magari di aver privilegiato la continuità aziendale. Una recente pronuncia ha ribadito che “gli amministratori hanno l’obbligo di pagare i debiti tributari e previdenziali” e se non riescono a pagarli devono quantomeno attivarsi presso l’Erario e gli enti per proporre un piano di rientro, al fine di contenere sanzioni e oneri . In mancanza di ciò, i relativi interessi e sanzioni sono da considerarsi effetto diretto della loro omissione, con possibile responsabilità per danni.
  • Debiti previdenziali e verso dipendenti (INPS, INAIL, TFR): includono i contributi previdenziali obbligatori non versati (contributi INPS per i lavoratori dipendenti o artigiani/commercianti) e le altre somme dovute agli enti previdenziali, nonché eventuali stipendi arretrati e trattamento di fine rapporto (TFR) verso i dipendenti.
    Rischi: Anche questi debiti sono altamente sensibili. L’omesso versamento di contributi previdenziali trattenuti ai dipendenti (le ritenute previdenziali) oltre una certa soglia è reato (attualmente sopra €10.000 annui omessi, ex art. 2 D.L. 463/1983 conv. L. 638/1983). La soglia è bassa, quindi una piccola impresa con più dipendenti rischia subito l’illecito penale se non versa le ritenute sulle buste paga. Inoltre, l’INPS ha il potere di notificare avvisi di addebito immediatamente esecutivi; anch’esso può iscrivere ipoteche e procedere a pignoramenti tramite l’Agenzia di Riscossione. Da notare che per i contributi dei lavoratori dipendenti, la legge prevede la responsabilità personale degli amministratori in alcune circostanze: poiché le ritenute previdenziali appartengono al lavoratore, ometterne il versamento può comportare che l’ente richieda il pagamento direttamente al legale rappresentante se questo non prova di non aver potuto pagare per causa a lui non imputabile (art. 8 D.L. 338/1989). I debiti verso dipendenti (stipendi non pagati) possono portare ad ingiunzioni di pagamento rapide e, in caso di insolvenza conclamata, i dipendenti potrebbero chiedere essi stessi il fallimento dell’azienda per accedere al Fondo di Garanzia INPS (che interviene a pagare TFR e ultime mensilità in caso di insolvenza del datore di lavoro).
    Come difendersi: Sul piano extragiudiziale, è possibile chiedere all’INPS la rateazione dei contributi dovuti (simile a quella fiscale) per evitare misure esecutive e diluire il debito. Spesso i piani di rateizzo possono arrivare a 24-36 mesi a discrezione dell’ente, e vanno rispettati rigorosamente. Il legislatore ha assimilato i debiti previdenziali a quelli fiscali anche nelle procedure concorsuali: nelle proposte di concordato o accordo di ristrutturazione si può proporre una transazione previdenziale, con pagamento parziale dei contributi, purché si offrano almeno le somme che l’ente recupererebbe in caso di liquidazione (oltre al fatto che, per legge, i contributi relativi a lavoratori dipendenti devono avere un trattamento non deteriore rispetto agli altri crediti di pari rango). Un aspetto importante: nelle procedure concorsuali con continuazione dell’attività (es. concordato in continuità) è obbligatorio pagare regolarmente i contributi e gli stipendi correnti, pena la revoca della procedura – la continuità aziendale non può essere finanziata sulle spalle dei dipendenti. Se l’azienda ha personale, è fondamentale mantenere un dialogo trasparente: talvolta accordi individuali con i dipendenti (temporanea riduzione o dilazione nei pagamenti, cassa integrazione se disponibile) possono evitare vertenze immediate. In ogni caso, se si intravede il rischio di insolvenza grave, attivare per tempo il Fondo di Garanzia INPS tramite una procedura concorsuale può assicurare ai lavoratori il pagamento del TFR e delle ultime retribuzioni dovute senza attendere gli esiti della liquidazione.
  • Debiti bancari e finanziari: riguardano prestiti bancari (mutui, finanziamenti a breve termine, scoperti di conto, anticipi fatture), leasing, emissioni di obbligazioni o altri strumenti finanziari. Tipicamente, la nostra azienda Alfa S.r.l. potrebbe avere un mutuo bancario ipotecario sul capannone, un’apertura di credito in conto corrente e magari contratti di leasing su macchinari. Inoltre, i soci o l’imprenditore potrebbero aver rilasciato garanzie personali (fideiussioni omnibus) a favore della banca.
    Rischi: Le banche, in caso di insolvenza, vantano spesso garanzie reali (ipoteche, pegni) o personali. Un mutuo ipotecario impagato consente alla banca di avviare esecuzione forzata immobiliare sul bene ipotecato (ad es. la sede dell’azienda) senza bisogno di autorizzazioni particolari. I contratti di apertura di credito possono essere revocati dalla banca e il conto scoperto diventa immediatamente esigibile; simile discorso per gli anticipi su fatture o sul magazzino. Se vi sono fideiussioni dei soci/amministratori, la banca può escutere direttamente il garante, aggredendo il suo patrimonio personale (casa, conto corrente personale, ecc.), anche se la società è una S.r.l.: la garanzia infatti vanifica la separazione patrimoniale. Inoltre, a seguito del default l’azienda rischia di vedersi segnalata come cattivo pagatore nelle banche dati (Centrale Rischi Bankitalia), complicando qualsiasi ulteriore accesso al credito. In caso di concordato preventivo o fallimento, le banche con ipoteca o pegno saranno creditori privilegiati: potranno soddisfarsi sul ricavato dei beni dati in garanzia con precedenza sugli altri creditori. I creditori finanziari non garantiti (chirografari) invece concorreranno con gli altri.
    Come difendersi: Per i debiti bancari è cruciale negoziare tempestivamente con gli istituti: molte crisi aziendali si risolvono (o degenerano) proprio a seconda di come le banche gestiscono le esposizioni. Se l’azienda ha prospettive di ripresa, si può tentare un accordo di ristrutturazione del debito bancario: ad esempio allungare le scadenze dei mutui (riducendo le rate), ottenere periodi di moratoria (sospensione temporanea delle rate, spesso fino a 12 mesi), convertire fidi a breve in prestiti a medio termine, o ridurre i tassi. Negli ultimi anni il legislatore ha incentivato questi accordi bancari anche tramite il quadro normativo: nel Codice della crisi vi è la possibilità di accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa verso banche dissenzienti se aderisce la maggioranza (ciò recepisce la Direttiva UE) e la convenzione di moratoria (art. 69 CCII) in cui le banche che rappresentano 75% dei crediti finanziari possono concordare una moratoria che diviene obbligatoria anche per le banche minoritarie. Strumento di composizione negoziata: spesso le banche preferiscono trovare soluzioni concordate per evitare le perdite di un default conclamato; la composizione negoziata della crisi, che esamineremo tra poco, prevede il coinvolgimento attivo degli intermediari finanziari nelle trattative. In procedura concorsuale, i debiti bancari possono essere ristrutturati tramite concordato preventivo (es. pagando i mutui solo in parte, o liquidando l’immobile ipotecato e dando alla banca quel ricavato) o accordo di ristrutturazione (magari con nuove garanzie o equity apportata dai soci). Attenzione però: i creditori ipotecari in un concordato devono ricevere almeno il valore di mercato delle garanzie, altrimenti la loro approvazione è necessaria. In caso di presenza di più banche, può essere utile formare un “pool” per negoziare condizioni comuni invece di trattative separate. Sul fronte difensivo immediato, se una banca minaccia l’escussione delle garanzie o la risoluzione dei fidi, l’impresa può valutare di attivare misure protettive giudiziali (ad esempio chiedendo al tribunale la sospensione delle azioni esecutive presentando un ricorso per concordato preventivo o accordo ex art. 54 CCII): come vedremo, la presentazione di una domanda di concordato o di omologazione di accordo può, su autorizzazione del giudice, bloccare temporaneamente le azioni individuali (comprese quelle bancarie) . Un effetto importante previsto dal Codice della crisi (art. 64 CCII) è che i contratti essenziali in corso (ad es. il contratto di conto corrente o di fornitura di credito) non possono essere sciolti o modificati dalla banca solo perché l’impresa ha chiesto misure protettive o avviato una procedura : la banca non può revocare gli affidamenti appena apprende che l’azienda ha presentato domanda di concordato o accordo, né aggravare le condizioni. Ciò tutela la continuità aziendale nel momento delicato delle trattative. Infine, se il debitore o i soci avevano rilasciato fideiussioni personali, occorre prepararsi alla loro eventuale escussione: se l’azienda non paga, la banca chiederà ai garanti il saldo del debito. Il garante potrebbe a sua volta dover valutare strumenti di tutela personale (ad esempio, una procedura di sovraindebitamento o liquidazione del patrimonio, se l’importo è insostenibile). In sede di piano di ristrutturazione aziendale, è possibile coinvolgere le banche chiedendo la liberazione dei garanti in cambio di migliori condizioni di soddisfacimento (spesso i piani prevedono “stralcio del debito con liberazione fideiussioni” come incentivo per i soci a versare nuova finanza destinata ai creditori finanziari).
  • Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari: sono i debiti commerciali per forniture di beni e servizi, le fatture dei fornitori non pagate, i debiti verso consulenti, professionisti, fitti di locazione arretrati, utenze, ecc. In pratica, tutti i creditori non privilegiati (detti chirografari), il cui credito non è assistito da garanzie reali o cause legittime di prelazione. Nel caso della nostra azienda, ad esempio, ci saranno debiti verso i fornitori di acciaio, gomme per soffietti, fornitori di energia, ecc.
    Rischi: I fornitori insoddisfatti possono agire rapidamente con azioni legali: normalmente tramite decreto ingiuntivo (che ottengono in tempi brevi se hanno fatture scadute e non contestate) e successiva esecuzione forzata (pignoramenti su conti correnti aziendali, su beni mobili presenti in azienda, su crediti verso clienti, ecc.). A differenza di fisco e banche, i fornitori non godono di privilegi (salvo alcuni casi particolari, es. il creditore che ha ottenuto un sequestro conservativo prima del fallimento, poi convertito in pignoramento, oppure crediti assistiti da riserva di proprietà su beni forniti). Tuttavia, proprio perché non privilegiati, spesso i fornitori sono i più inclini a fare azioni rapide per non restare indietro rispetto ad altri creditori: si innesca il “far West” del primo che pignora prende, scardinando l’uguaglianza fra creditori. Inoltre, se l’impresa in crisi dipende da fornitori chiave, il rischio maggiore è che questi blocchino le forniture (es. il fornitore di componenti essenziali sospende le consegne per mancato pagamento): ciò può paralizzare l’attività prima ancora delle azioni legali. Un altro rischio concreto sono le azioni revocatorie fallimentari: se l’azienda poi fallisce, i pagamenti fatti a fornitori nei mesi precedenti possono essere revocati dal curatore (in generale, pagamenti di debiti chirografari entro 6 mesi dalla sentenza di fallimento, ex art. 166 e 167 CCII, salvo esenzioni). Dunque un fornitore che abbia ricevuto pagamenti preferenziali “a ridosso” della procedura rischia di dover restituire le somme, e ciò rende talvolta i fornitori reticenti a fornire merci a un cliente in odore di insolvenza (temono di essere pagati e poi dover restituire tutto al curatore).
    Come difendersi: Dal lato dell’impresa debitrice, la gestione dei fornitori richiede comunicazione e negoziazione. È spesso utile convocare i principali fornitori e spiegare la situazione, prospettando un piano di rientro. Si può tentare un accordo stragiudiziale con i fornitori: ad esempio, pagarli parzialmente a saldo (il classico “saldo e stralcio”), oppure concordare nuove dilazioni con impegni formali. Alcune imprese formalizzano tali accordi in scritture private che prevedono la rinuncia del fornitore ad agire esecutivamente purché i pagamenti concordati vengano rispettati. Tuttavia, questi accordi vincolano solo chi li sottoscrive: un fornitore non aderente potrebbe agire comunque. Per questo, quando i creditori sono molti, si ricorre agli strumenti concorsuali: un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, ad esempio, se vi aderiscono almeno il 60% dei creditori in valore, vincola i creditori aderenti e offre protezioni contro le azioni dei non aderenti sino all’omologazione (gli estranei restano liberi di agire, ma il tribunale può estendere gli effetti a certe categorie, come detto per le banche). In alternativa, il concordato preventivo vincola tutti i creditori chirografari (anche dissenzienti) una volta omologato, purché approvato dalle maggioranze di legge: è lo strumento per imporre un trattamento uniforme, ad esempio il pagamento parziale (percentuale) a tutti i fornitori. Durante il concordato, inoltre, vige lo stay generale: “dalla data di pubblicazione del ricorso, i creditori per titolo o causa anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive né cautelari sul patrimonio del debitore” (art. 54 CCII) , quindi i fornitori vengono bloccati. Un’altra tutela specifica introdotta dal Codice riguarda i contratti pendenti: i fornitori non possono risolvere i contratti di fornitura essenziali in corso solo perché il debitore è in ritardo nei pagamenti pregressi o perché accede a una procedura (divieto di esecuzione specifica ex art. 64 CCII) . Questo per evitare ricatti che farebbero crollare la continuità aziendale (ad es., il fornitore di energia non può staccare la luce per bollette pregresse non pagate se l’azienda è in concordato e continua l’attività, deve almeno mantenere il contratto corrente alle condizioni in essere, salvo garanzie sul pronto pagamento del consumo corrente). Dal lato pratico, è fondamentale stilare un piano di pagamento dei fornitori, distinguendo quelli strategici (da soddisfare almeno parzialmente subito per assicurarsi continuità di forniture) da quelli meno critici. Nei limiti del possibile, il debitore può ricorrere a forniture in contrassegno o pagate all’ordine per le nuove forniture, così i fornitori sono tranquilli e continuano a rifornire l’azienda durante la crisi. Da considerare anche la possibilità di fare accordi di fornitura con pagamento contestuale: l’art. 167 CCII esenta da revocatoria “i pagamenti di beni e servizi effettuati in funzione della continuità aziendale nel concordato preventivo”, quindi se l’azienda in concordato paga i fornitori per le forniture fatte durante la procedura, quei pagamenti non saranno soggetti a revoca. Questo li rassicura nel continuare a fornire. Infine, per i fornitori già insoddisfatti occorrerà prevedere nel piano di crisi una certa par condicio: il curatore fallimentare potrà revocare i pagamenti preferenziali fatti prima di una procedura se il fornitore conosceva lo stato d’insolvenza (presunzione di conoscenza 6 mesi prima per i chirografari). Tuttavia, se i pagamenti sono fatti nell’ambito di un piano attestato di risanamento pubblicato o di un accordo omologato, sono protetti dalla revocatoria (art. 166 CCII) . Dunque, un altro vantaggio di usare strumenti di soluzione della crisi è blindare i pagamenti necessari a far funzionare l’azienda, evitandone l’annullamento successivo.

Oltre a queste categorie principali, vi possono essere altri debiti: ad esempio debiti verso soci finanziatori (prestiti dei soci all’azienda), debiti per sanzioni amministrative, debiti verso il locatore dell’immobile, ecc. I finanziamenti soci in S.r.l. meritano una nota: se fatti in periodo di sottocapitalizzazione, sono postergati (art. 2467 c.c.), quindi nella crisi l’azienda non può rimborsare il socio prima di aver soddisfatto gli altri creditori. Ogni pagamento al socio eseguito in violazione della postergazione è suscettibile di revoca in caso di fallimento. Dunque, i soci-finanziatori non possono sperare di recuperare i propri crediti fintanto che gli altri creditori non siano stati soddisfatti.

Tabella riepilogativa – Tipi di debiti e strategie di gestione:

Tipo di debitoRischi per il debitorePossibili difese/soluzioni
Fiscali (Erario)– Privilegi su beni aziendali<br>– Azioni esecutive rapide (ipoteche, fermi, pignoramenti)<br>– Interessi e sanzioni in aumento<br>– Responsabilità penale oltre soglie (IVA, ritenute)– Richiesta rateizzazione (72-120 rate) per bloccare esecuzioni<br>– Definizioni agevolate (rottamazione) se previste<br>– Transazione fiscale in accordo/concordato (taglio/dilazione debito) <br>– Pagamento preferenziale di IVA/ritenute solo se parte di piano di risanamento (altrimenti rischi reato di preferenza fiscale)
Contributi (INPS) & Dipendenti– Privilegi (contributi) + azioni esecutive INPS<br>– Reato omesso versamento contributi > soglia<br>– Blocco DURC (no regolarità contributiva)<br>– Dipendenti possono chiedere fallimento per accedere a Fondo di garanziaRateazione INPS del dovuto<br>– Transazione previdenziale in concordato/accordo (simile a fiscale)<br>– Attivare ammortizzatori sociali (es. cassa integrazione) per ridurre oneri<br>– In caso di procedura, Fondo di garanzia INPS pagherà TFR e ultimi stipendi<br>– Mantenere pagati i contributi correnti durante procedure in continuità (obbligatorio)
Bancari (mutui, fidi)– Escussione garanzie reali (esecuzione immobiliare su ipoteche)<br>– Revoca fidi e scoperti (stretta liquidità)<br>– Escussione fideiussioni personali soci<br>– Segnalazione in Centrale Rischi (danneggia reputazione creditizia)Moratorie e rinegoziazioni: chiedere sospensione rate mutui, allungamento piani di ammortamento<br>– Accordi di ristrutturazione con banche (anche con effetti estesi su dissenzienti)<br>– Composizione negoziata: coinvolgere banche con esperto per trovare accordo prima della crisi conclamata <br>– Presentare concordato/accordo con misure protettive: blocco temporaneo esecuzioni <br>– Eventuale finanza nuova dai soci per pagare parzialmente banche in cambio liberazione garanzie personali
Fornitori (chirografari)– Decreti ingiuntivi e pignoramenti su conto, merci, crediti<br>– Blocco forniture essenziali (fermo produzione)<br>– Rischio azioni revocatorie se pagati prima del fallimento<br>– Maggiore aggressività per timore di essere ultimi nella filaAccordi bonari: piani di rientro, saldo e stralcio con fornitori disposti<br>– Piano attestato: esecuzione di pagamenti esentati da revocatoria <br>– Concordato preventivo: stop immediato a tutte le azioni (art.54 CCII) e pagamento parziale secondo un piano vincolante per tutti<br>– Contratti in corso: utilizzare tutela art. 64 CCII per impedire risoluzione forniture essenziali <br>– Pagare anticipatamente le forniture strategiche successive (cash on delivery) per assicurarsi continuità

(Legenda: CCII = Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza)

Come si nota, ogni categoria di debito ha strumenti specifici di gestione. Un’azienda indebitata deve mappare i propri debiti e adottare un approccio differenziato: ad esempio, evitare di non versare IVA o contributi (meglio ricorrere a rateazioni per scongiurare reati), trattare con le banche per ottenere respiro finanziario, tutelare la continuità dei rapporti con fornitori chiave magari pagando almeno il corrente. Prioritizzare è essenziale: mantenere operative le forniture e i servizi critici (energia, materie prime) spesso ha la precedenza, cercando intanto soluzioni generali per il pregresso (tramite accordi o procedure).

Nei prossimi paragrafi entreremo nel vivo dei “rimedi” previsti dal nostro ordinamento per un’azienda sovraindebitata. Partiremo dagli strumenti stragiudiziali (piani attestati di risanamento, accordi di ristrutturazione) e semi-stragiudiziali (composizione negoziata), per poi trattare quelli concorsuali giudiziali (concordato preventivo nelle sue forme, concordato semplificato e, da ultimo, la liquidazione giudiziale). Analizzeremo per ciascuno come funzionano, quali vantaggi offrono al debitore, quali condizioni richiedono e come sceglierli in base alla situazione. È cruciale comprendere bene queste opzioni, perché attivarsi con lo strumento giusto al momento giusto può fare la differenza tra salvare l’azienda (o parte di essa) oppure assistere passivamente al suo collasso.

Strumenti di composizione della crisi d’impresa

La normativa italiana, soprattutto dopo la riforma del Codice della crisi (in vigore dal 2022), mette a disposizione delle imprese indebitate una serie di strumenti per regolare la crisi o l’insolvenza evitando la mera liquidazione distruttiva. Tali strumenti vanno dal totalmente stragiudiziale (accordi privati con creditori, ma protetti dalla legge se attestati) al concorsuale giudiziale (procedure innanzi al tribunale). In questa sezione li esamineremo uno per uno, in ordine crescente di coinvolgimento dell’autorità giudiziaria e di formalità.

Composizione negoziata della crisi (strumento volontario e stragiudiziale assistito)

Una delle grandi novità introdotte prima col D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) e poi confluite nel Codice della crisi (Titolo II) è la composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa. Si tratta di un percorso volontario attivabile dall’imprenditore (sia società che ditta individuale) quando si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza, ma esistono ancora “concrete prospettive di risanamento”. In pratica, se l’azienda è in difficoltà ma recuperabile, il legislatore incentiva a usare questo strumento prima di precipitare nel default conclamato.

Caratteristiche chiave: La composizione negoziata è un percorso assistito da un esperto indipendente, nominato dalla Commissione presso la Camera di Commercio. L’imprenditore presenta istanza tramite una piattaforma telematica nazionale, allegando informazioni sullo stato dell’impresa (bilanci, elenco creditori, un piano d’azione ipotetico). Se la domanda è ammissibile, viene nominato un Esperto – di solito un commercialista, avvocato o consulente del lavoro con esperienza in ristrutturazioni – il cui compito è facilitare le trattative tra l’imprenditore e i creditori, per individuare una soluzione concordata. Importante: durante la composizione negoziata l’imprenditore mantiene la gestione dell’impresa (non c’è spossessamento), ma sotto la guida e vigilanza dell’esperto. Le trattative si svolgono in modo riservato (non c’è pubblicità iniziale nei registri, tranne eventuale richiesta di misure protettive) e volontario (nessun creditore è obbligato a partecipare, anche se è nell’interesse di tutti tentare un risanamento).

Vantaggi per il debitore: La composizione negoziata presenta diversi vantaggi evidenziati dai primi dati raccolti da Unioncamere, tanto da venir definita “lo strumento preferito” nel 2025 . Tra i benefici:

  • È stragiudiziale e flessibile: non è una procedura concorsuale formale, quindi meno rigidità e burocrazia. Le parti (debitore e creditori) hanno ampia libertà di trovare soluzioni creative (dilazioni, riduzioni debiti, conversione debiti in capitale, cessione azienda, ecc.), con la regia dell’esperto.
  • Ha costi contenuti rispetto a un procedimento giudiziale. L’esperto ha diritto a un compenso stabilito, ma non ci sono le spese di un commissario o curatore; inoltre l’assenza di formalità giudiziarie riduce costi legali.
  • Tempi brevi: la legge prevede una durata iniziale di 3 mesi, prorogabile di 3 in 3 fino a max 12 mesi. In media, secondo Unioncamere, servono circa 320 giorni per completare l’intero percorso, compresa l’implementazione eventuale degli accordi . Tempi rapidi sono essenziali per risanare prima che sia troppo tardi.
  • Riservatezza: all’inizio non c’è pubblicità. Ciò evita gli effetti negativi reputazionali immediati (fornitori e clienti spesso non vengono a sapere formalmente che l’impresa è in composizione negoziata). Solo se si richiedono misure protettive al tribunale (vedi sotto) l’apertura viene iscritta al Registro Imprese, ma le trattative restano coperte.
  • Continuità aziendale salvaguardata: l’impresa prosegue l’attività sotto la propria gestione. L’esperto può autorizzare atti di straordinaria amministrazione se necessari. Inoltre, la legge prevede facilitazioni come la possibilità di ottenere finanziamenti prededucibili (cioè privilegiati in un eventuale fallimento successivo) se autorizzati dal tribunale durante la composizione negoziata, per sostenere l’impresa.
  • Accesso a misure protettive: il debitore può richiedere al tribunale misure di protezione del patrimonio, ad esempio il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari mentre durano le trattative (questo corrisponde ad una moratoria generale simile a quella del concordato) . Il giudice le concede se ritiene che vi sia una trattativa in corso non manifestamente dilatoria e che le misure proteggano il patrimonio senza pregiudicare indebitamente i creditori. Una volta chieste, tali misure hanno efficacia immediata (salvo conferma entro 30 giorni) . Inoltre, come già accennato, i creditori non possono risolvere contratti essenziali né alterare condizioni solo per il fatto delle trattative . Ciò concede un po’ di respiro all’impresa, evitando aggressioni individuali mentre si negozia.
  • Esiti possibili diversificati: La composizione negoziata è un percorso, non un esito in sé. Può sfociare in varie soluzioni: contratti o accordi stragiudiziali con taluni creditori, accordi di ristrutturazione con omologazione (se si decide di formalizzarli in tribunale), concordato preventivo (l’esperto può suggerire di avviare un concordato se necessario), cessione dell’azienda (anche in continuità indiretta), o – nei casi estremi di esito negativo – la nuova procedura di concordato semplificato per liquidare i beni (vedi oltre). In 423 casi al 2025 l’esito è stato positivo, con l’azienda risanata o comunque salvata e 23.000 posti di lavoro tutelati . L’esperienza pratica mostra che quando c’è collaborazione dei creditori, la composizione negoziata può evitare il fallimento e permettere la prosecuzione dell’attività sotto nuove basi.

Quando e come attivarla: La nostra azienda Alfa S.r.l. dovrebbe considerare di attivare la composizione negoziata non appena rileva che i flussi di cassa prospettici non coprono più le uscite e che, pur essendoci difficoltà, l’azienda ha fondamenta sane (ad esempio un portafoglio ordini valido, know-how, clienti disposti a continuare). Tipicamente, è indicata prima che scatti l’insolvenza irreversibile. Se l’impresa è già decotta (senza alcuna prospettiva di risanamento), la composizione negoziata non è lo strumento giusto e l’esperto, dopo un esame, inviterà a passare ad altro (concordato o liquidazione). Invece, se c’è ancora possibilità di salvataggio, l’esperto approverà il test pratico sulla piattaforma e verrà nominato. Da quel momento, si redige insieme un piano di risanamento provvisorio, si contattano i creditori principali e si avviano riunioni negoziali. L’esperto è tenuto a condurre le trattative con imparzialità, tenendo conto degli interessi di tutti, e redigerà relazioni periodiche. Se una soluzione viene trovata, si formalizza (ad es. accordo con la maggior parte dei creditori, o magari un nuovo investitore rileva l’azienda) e l’esperto certifica l’esito.

Misure protettive e autorizzazioni durante la composizione: Come anticipato, il debitore può chiedere al tribunale di confermare misure protettive già dall’inizio (blocco delle azioni esecutive). Spesso, oltre al blocco generale, si possono chiedere misure specifiche (dette “atipiche”) verso singoli creditori, ad esempio sospendere un pignoramento già iniziato o impedire la revoca di un fido bancario . Il giudice, valutate la situazione e sentito l’esperto, può concedere tali misure per un iniziale periodo di 4 mesi, prorogabili fino a 12. I creditori protetti possono comunque interagire: possono presentare reclamo se ritengono ingiusta la misura o chiedere revoca se il debitore abusa (ad es. distrae beni durante la protezione) . In parallelo, l’impresa può chiedere al giudice autorizzazioni a compiere atti che normalmente sarebbero rischiosi: ad esempio accendere un finanziamento prededucibile (per ottenere liquidità fresca garantita dal privilegio di prededuzione in caso di fallimento) oppure vendere beni non strategici per fare cassa, ecc. L’esperto valuta la funzionalità di tali atti al risanamento e il tribunale può autorizzarli. Un caso tipico è la richiesta di autorizzazione a contrarre finanziamenti ponte: se un terzo (spesso i soci) vuole finanziare l’impresa in crisi durante la composizione negoziata, può farlo sapendo che quel credito sarà soddisfatto prima degli altri se poi, malauguratamente, l’azienda fallisse (purché il finanziamento sia autorizzato – art. 10, co.5 D.L. 118/2021, ora art. 22 CCII). Ciò incentiva l’apporto di risorse fresche per traghettare l’impresa fuori dalla secca .

Conclusione o uscita dalla composizione negoziata: La procedura può chiudersi in vari modi: – Accordo riuscito: debitore e creditori sottoscrivono uno o più contratti/accordi che risolvono la crisi (es. un accordo quadro di ristrutturazione con banche e fornitori principali). L’esperto fa una relazione finale positiva. Se è un accordo puramente stragiudiziale, il processo termina qui (ma è facoltativa la pubblicazione degli accordi raggiunti nel Registro Imprese, per avere effetti esimenti da revocatoria come vedremo nei piani attestati ). Se invece si tratta di un accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII (ossia si vuole l’omologazione in tribunale per estenderlo e blindarlo), si passa alla fase di omologazione con l’ausilio dell’esperto. – Soluzione alternativa individuata: ad esempio, dalle trattative può emergere che la via migliore è un concordato preventivo in continuità. In tal caso, l’esperto chiude la composizione negoziata e l’azienda deposita un ricorso per concordato (con magari l’esperto che può essere nominato commissario giudiziale data la conoscenza del caso). Oppure, se l’impresa è piccola e vuole usare la procedura di sovraindebitamento (concordato minore, vedi più avanti), si può dirottare lì. – Esito negativo senza accordo: se non si raggiunge un accordo e l’impresa è insolvente, l’esperto lo attesterà. A questo punto il debitore ha però ancora una chance per evitare il fallimento: può proporre il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio entro 60 giorni dalla relazione finale negativa . Ne parleremo in dettaglio, ma anticipiamo che questo concordato “speciale” non richiede il voto dei creditori, è deciso dal tribunale e serve a liquidare i beni in modo ordinato evitando la liquidazione giudiziale pura. – Recesso volontario: il debitore può anche interrompere la composizione negoziata se lo ritiene (non è obbligato a continuare 12 mesi se vede che è inutile), oppure l’esperto può dimettersi se rileva atti in frode del debitore o mancanza totale di prospettive. In tali casi, se l’insolvenza è ormai manifesta, il passo successivo sarà la richiesta di liquidazione giudiziale (fallimento) da parte del debitore stesso o dei creditori.

Dati di efficacia: Secondo i dati aggiornati ad ottobre 2025, la composizione negoziata mostra un utilizzo crescente e un tasso di successo incoraggiante. Unioncamere segnala oltre 3.600 istanze presentate dall’avvio (2021) al novembre 2025, di cui più di 2.000 archiviate (concluse) e 423 con esito positivo (azienda risanata), coinvolgendo 23.000 dipendenti salvaguardati . Nell’ultimo anno vi è stato un raddoppio degli esiti positivi rispetto all’anno precedente . Questo indica che, se ben utilizzata, la composizione negoziata è uno strumento davvero utile per evitare la dispersione di valori causata dai fallimenti. In particolare, sembra funzionare soprattutto per imprese di dimensioni medio-grandi (che hanno strutture organizzative e margini di recupero maggiori), mentre per le piccole micro-imprese l’uso è ancora limitato. L’esperto di Unioncamere suggerisce di semplificare ulteriormente le procedure per renderle più accessibili alle PMI minori .

In conclusione, la composizione negoziata rappresenta la prima linea di difesa e tentativo di risanamento per un’azienda in crisi che intenda difendersi dai debiti senza passare subito per il tribunale. È volontaria, riservata, rapida e sotto controllo dell’imprenditore – in poche parole, un’opportunità da cogliere se vi sono ancora speranze di ristrutturare il debito negoziando con i creditori su basi ragionevoli. Certo, richiede che l’imprenditore sia collaborativo e trasparente (un comportamento non corretto verso l’esperto e i creditori farebbe naufragare il tentativo e potrebbe portare direttamente al fallimento). D’altro canto, richiede anche creditori disponibili: se uno o più grossi creditori rifiutano di sedersi al tavolo, l’utilità dello strumento cala. Per questo, spesso la composizione negoziata viene accompagnata dalla possibilità per il debitore di chiedere misure protettive, così da incentivare tutti i creditori a partecipare (non potendo nel frattempo agire individualmente).

Nel caso pratico della nostra Alfa S.r.l., la composizione negoziata potrebbe essere la scelta giusta subito dopo aver riscontrato che la situazione stava precipitando: con l’aiuto di un esperto, l’azienda avrebbe potuto mettere in pausa i decreti ingiuntivi dei fornitori e le azioni delle banche, e proporre un piano di risanamento basato magari su: cessione di un ramo non strategico per ridurre debiti, dilazione pluriennale dei debiti tributari e contributivi, conversione a medio termine dei fidi bancari, e contestuale apporto di liquidità nuova dai soci per riprendere il ciclo produttivo. Se i creditori avessero visto la serietà e la fattibilità del piano (attestato dall’esperto), avrebbero potuto aderire, evitando la via giudiziale.

Passiamo ora ad esaminare gli strumenti di regolazione stragiudiziale veri e propri (utilizzabili anche autonomamente o nell’ambito di una composizione negoziata): piani attestati di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti.

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)

Il piano attestato di risanamento è uno strumento di composizione della crisi totalmente stragiudiziale, ma con alcuni effetti protettivi di legge se utilizzato correttamente. Esso era già presente nella vecchia legge fallimentare (art. 67, co.3, lett. d, L.F.) e il Codice della crisi lo ha “codificato” all’art. 56 CCII , confermandone la natura di strumento privatistico (non si svolge in tribunale né richiede omologa) finalizzato a risanare l’impresa.

Cos’è e come funziona: Si tratta essenzialmente di un piano di risanamento unilaterale predisposto dall’imprenditore, con l’ausilio di professionisti, che mira a riequilibrare la situazione economico-finanziaria dell’impresa e garantire la sua continuità. Il piano deve essere attestato da un professionista indipendente (un esperto iscritto nel registro dei revisori legali, indipendente dall’impresa) il quale verifica (a) la veridicità dei dati aziendali di partenza e (b) la fattibilità del piano stesso . Una volta predisposto e attestato, il piano viene eseguito dall’imprenditore, stipulando i necessari accordi con i creditori coerentemente a quanto previsto dal piano . Quindi, a differenza del concordato o degli accordi ex art. 57, qui non c’è un’unica “omologazione”: il successo dipende dal fatto che l’imprenditore riesca a ottenere che i vari creditori aderiscano spontaneamente al piano (ad esempio accettando di essere pagati in misura ridotta o in tempi dilazionati secondo quanto il piano prevede).

Esempio: la Alfa S.r.l. potrebbe elaborare, con un advisor finanziario, un piano di risanamento in cui si prevede: l’apporto di €200.000 di nuovi capitali dai soci, la vendita di un macchinario inutilizzato per €50.000, la dilazione dei debiti fiscali su 5 anni, il pagamento ai fornitori al 60% del valore in 12 mesi, e la rinegoziazione dei mutui per allungare la durata. Un professionista indipendente (es. un commercialista non legato all’azienda) attesterebbe che i dati di bilancio e debitori sono corretti e che le ipotesi del piano (nuovi capitali, vendite, capacità di rimborso) sono realistiche e sufficienti a risanare l’impresa. A quel punto, la società propone formalmente a ciascun creditore gli accordi esecutivi del piano: ai fornitori un accordo transattivo per il 60% entro 12 mesi (eventualmente condizionato all’adesione di una percentuale minima di essi), alla banca una scrittura di modifica dei piani di ammortamento, all’Erario un’istanza di rateazione ecc. Se la maggior parte accetta, il piano viene messo in atto.

Effetti protettivi: Perché fare tutto questo – piano formale e attestazione – se non c’è un’omologazione? Il motivo sono gli importanti effetti legali protettivi che la legge attribuisce ai piani attestati se pubblicati nel Registro delle Imprese (come facoltativamente consente l’art. 56, c.4 CCII) . In particolare:

  • Gli atti e pagamenti compiuti in esecuzione del piano attestato certificato e pubblicato non sono soggetti ad azione revocatoria in un eventuale fallimento successivo . Ciò significa che se poi la società fallisce, il curatore non potrà far annullare i pagamenti fatti ai creditori secondo il piano, né le garanzie concesse nel piano. È un’esenzione fondamentale (già prevista dall’art. 67 L.F. e ora trasfusa nell’art. 166 CCII). Questo rassicura i creditori che accettano il piano: non rischiano di dover restituire ciò che hanno incassato.
  • Sul piano penale, l’art. 324 CCII esclude la punibilità per bancarotta preferenziale e bancarotta semplice in relazione agli atti compiuti in esecuzione del piano . Ad esempio, pagare un fornitore lasciandone altri insoddisfatti normalmente sarebbe una preferenza punibile se l’azienda fallisce; ma se quel pagamento rientrava nel piano attestato regolarmente pubblicato, l’amministratore non potrà essere accusato di bancarotta preferenziale per averlo fatto. Allo stesso modo, aver continuato l’attività durante l’esecuzione del piano (anche se poi fallimentare) non sarà bancarotta semplice finché si rispettava un piano ragionevole. Attenzione: ciò vale solo per atti conformi e necessari all’esecuzione del piano di risanamento attestato e pubblicato. Fuori da questo perimetro, le azioni restano a rischio penale se il fallimento segue.
  • Vi è anche un vantaggio fiscale: la legge tributaria (art. 88, co.4-ter TUIR) prevede che le eventuali sopravvenienze attive da riduzione dei debiti in attuazione di un piano attestato pubblicato non concorrano interamente a formare reddito imponibile . Normalmente, se un creditore rinuncia a parte del credito (es. fornitore accetta 60% a saldo), la quota stralciata (40%) sarebbe un provento tassabile per l’azienda debitrice. Ma se il piano è pubblicato, quella sopravvenienza attiva è esclusa da imposizione nella misura in cui serve al risanamento. Ciò evita che l’azienda risanata si trovi pure a pagare tasse sul “guadagno” derivante dallo sconto dei debiti.

Caratteristiche e limiti: Il piano attestato è di fatto un contratto fra privati: non richiede percentuali di adesioni predeterminate dalla legge (come invece l’accordo di ristrutturazione al 60% o il concordato a maggioranza). Ciò lo rende flessibile: il debitore può decidere di portare avanti il piano anche se non tutti i creditori aderiscono, confidando che la situazione migliorerà a sufficienza. Tuttavia, proprio perché manca una forzatura sugli eventuali dissenzienti, il piano attestato funziona bene quando c’è un numero limitato di creditori cruciali e un consenso relativamente facile da costruire. Se ci sono troppi creditori e anche uno piccolo potrebbe far saltare il banco agendo esecutivamente, il piano attestato rischia di essere inadeguato. È importante capire che il piano attestato non offre di per sé uno stay generale: i creditori non aderenti possono agire liberamente. Il debitore di solito cerca di neutralizzarli ottenendo la maggior adesione possibile e magari pagando subito i piccoli creditori per evitare azioni (spesso nei piani attestati si preferisce soddisfare integralmente i creditori minori e chiedere sacrifici solo ai principali, in modo da ridurre il rischio di iniziative legali esterne).

Per questo motivo, talvolta il piano attestato viene combinato con altri istituti: ad esempio, l’impresa può presentare un ricorso al tribunale per ottenere misure protettive propedeutiche alla formalizzazione del piano (tramite la composizione negoziata o un concordato con riserva) e poi abbandonare la procedura una volta definito il piano extragiudiziale con i creditori. È un uso strategico, comunque delicato.

Requisiti formali: Il piano deve avere data certa (meglio se con atto notarile o PEC). Va predisposto in modo dettagliato, indicando tempi e modalità di superamento della crisi. Il professionista attestatore deve avere i requisiti di indipendenza e professionalità analoghi a quelli del commissario giudiziale di concordato. La sua relazione è cruciale: è la garanzia per creditori e stakeholder che il piano è credibile. Difatti, se poi l’impresa non risana e finisce in default, l’attestatore potrebbe rispondere di negligenza se l’attestazione fu imprudente.

Utilizzo in pratica: Molte ristrutturazioni in Italia sono avvenute mediante piani attestati (spesso noti anche come “piani di risanamento ex art. 67”). Sono preferiti in contesti dove l’azienda vuole evitare la pubblicità e la formalità del tribunale – ad esempio gruppi industriali che temono ripercussioni commerciali se dichiarano pubblicamente lo stato di crisi. I creditori bancari li accettano volentieri se convinti della serietà, perché evitano i tempi lunghi di concordati e mantengono il rapporto col cliente. A volte i piani attestati preludono a successivi concordati “in continuità”, se qualcosa va storto. In ogni caso, la raccomandazione è di usarli quando c’è concordia sufficiente con i creditori principali e la crisi è ancora gestibile con accordi volontari. Se invece c’è litigiosità o creditori non controllabili, può servire un passo ulteriore (accordo omologato o concordato).

Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-68 CCII)

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti rappresentano un gradino intermedio tra il piano attestato (del tutto privatistico) e il concordato preventivo (giudiziale e vincolante per tutti). Si tratta di accordi con i creditori che vengono però sottoposti all’omologazione del tribunale, acquistando così efficacia legale erga omnes in alcuni casi. Già previsti dall’art. 182-bis l.f., nel Codice della crisi sono disciplinati dagli artt. 57 e seguenti, che ne ampliano le tipologie.

Requisito di base: Per chiedere l’omologazione, l’imprenditore deve aver raggiunto un accordo con una percentuale qualificata di creditori. La legge fissa al 60% dei crediti il quorum ordinario (art. 57 CCII) . Significa che devono aderire creditori rappresentanti almeno il 60% dell’ammontare totale dei debiti. Non serve il consenso di tutti (a differenza del piano attestato, qui si può forzare una minoranza dissenziente, almeno chirografaria, se si raggiunge quella soglia). I creditori estranei all’accordo restano fuori: non sono obbligati a niente e formalmente potrebbero agire esecutivamente. Tuttavia, il debitore può chiedere al tribunale, sin dal deposito dell’accordo, di estendere a tutti i creditori la protezione temporanea (stay delle azioni) durante l’omologazione , simile a quella del concordato (art. 54 CCII).

Procedimento: L’imprenditore deposita l’accordo con i creditori aderenti (oltre al piano attestato da un professionista sulla sua fattibilità). Il tribunale verifica che l’accordo assicuri il pagamento integrale dei creditori estranei entro 120 giorni dalla scadenza (o dall’omologazione) per i debiti scaduti, e entro 120 giorni dalla scadenza originaria per i debiti non scaduti (requisito di legge), a meno che non si chieda l’estensione anche a essi (vedi oltre). Se tutto è regolare e non vi sono opposizioni rilevanti, il tribunale omologa l’accordo rendendolo efficace. I creditori aderenti sono vincolati ovviamente nei termini pattuiti (ad esempio, rinunciano al 30% del credito e ottengono il 70% dilazionato). I non aderenti, in linea di principio, restano dei creditori normali, liberissimi. Però, a tutela del debitore e del successo dell’accordo, la legge prevede che dalla presentazione della domanda di omologa scattino le misure protettive generali (su istanza del debitore): stop a esecuzioni e precauzioni (simile al concordato) . Queste misure vengono di norma confermate entro 30 giorni dal tribunale . Dunque, i dissenzienti non possono far fallire l’impresa durante l’omologazione. Una volta omologato, l’accordo non ha effetto diretto sui dissenzienti, se non in due casi particolari introdotti dalle norme recenti:

  1. Accordo con intermediari finanziari (banche) ad efficacia estesa: se l’accordo raggiunge il 75% dei crediti finanziari (banche, leasing), l’imprenditore può chiedere che l’omologazione sia resa efficace anche nei confronti delle banche non aderenti, purché esse abbiano possibilità di ottenere soddisfazione non inferiore a quella che avrebbero con una liquidazione (questa è una novità che recepisce l’idea del creditor cram-down in ambito finanziario). In tal modo si evitano sacche di resistenza di qualche banca minoritaria.
  2. Convenzione di moratoria: se i creditori finanziari che rappresentano 75% del credito di una certa categoria (es. banche) concordano di sospendere le azioni o prorogare le scadenze, tale moratoria può essere estesa dall’omologazione anche agli altri creditori di quella categoria non aderenti, per non premiare il free rider che non ha partecipato (art. 68 CCII).

Oltre a ciò, una innovazione del Codice (d.lgs. 83/2022) è il cosiddetto “accordo di ristrutturazione agevolato” (art. 60 CCII) : consente di omologare l’accordo con una percentuale di consensi inferiore al 60% (pare il 30%) purché il debitore paghi integralmente e tempestivamente i creditori estranei. In altre parole, se i dissenzienti sono protetti al 100%, la legge accetta un quorum più basso tra gli aderenti. Questa è una novità volta a facilitare ristrutturazioni in cui magari solo alcuni creditori devono sopportare sacrifici mentre altri vengono soddisfatti per intero.

Vantaggi degli accordi di ristrutturazione: Per il debitore, l’accordo omologato offre vari benefici:

  • Consente di ristrutturare i debiti senza passare per un vero e proprio fallimento né subire lo stigma di un concordato (che è pubblico e più complesso).
  • È più rapido di un concordato: non c’è una votazione di tutti i creditori e l’iter è semplificato (l’omologazione può arrivare anche in pochi mesi se non ci sono opposizioni).
  • Durante il pendente della domanda, il debitore può operare con una certa tranquillità grazie alle misure protettive automatiche . Ciò stabilizza l’azienda.
  • Gli effetti di protezione e le esenzioni da revocatoria sono analoghi a quelli del piano attestato per gli atti eseguiti in coerenza all’accordo . Quindi, niente revocatoria per pagamenti e garanzie dati in attuazione dell’accordo omologato (art. 166 CCII richiama questo beneficio anche per accordi).
  • L’accordo può prevedere finanziamenti prededucibili e trattamenti particolari, analoghi a quelli del concordato, con approvazione del tribunale. Ad esempio, si può chiedere al tribunale di autorizzare il pagamento di creditori estranei strategici (fornitori essenziali) prima dell’omologa, per evitare pregiudizi (simile all’istituto del provvedimento di urgenza ex art. 55 CCII durante accordi).
  • Come nel piano attestato, c’è esonero fiscale delle sopravvenienze attive da stralcio se l’accordo è omologato (il TUIR equipara gli accordi omologati ai concordati per questo beneficio).

Svantaggi e limiti: Di contro, l’accordo di ristrutturazione necessita di un grado di adesione elevato iniziale (60% in generale). Se il debitore non ha già la maggioranza dei crediti concordi, non può nemmeno presentarlo. Quindi, è uno strumento adatto quando l’impresa è già riuscita a convincere i creditori principali a una soluzione. Se c’è conflitto, bisognerà optare per il concordato. Inoltre, i creditori estranei – se non c’è estensione – restano un problema: vanno pagati integralmente entro certi termini, come detto, il che in sostanza significa che l’azienda deve avere la liquidità per soddisfarli (spesso con i soldi risparmiati grazie agli sconti dei creditori aderenti). Se non li paga, potranno agire appena scaduti i termini. Quindi un accordo funziona se anche i creditori non aderenti sono pochi o comunque sostenibili.

Accordi e composizione negoziata: Spesso, la composizione negoziata costituisce il preludio a un accordo di ristrutturazione omologato. Infatti, durante le trattative riservate con l’esperto, l’imprenditore può sondare le disponibilità dei creditori e raccogliere consensi, arrivando magari a superare il 60%. A quel punto, invece di rimanere in un piano puramente privato, gli conviene chiedere l’omologa per cristallizzare i risultati: eventuali creditori che tentennavano saranno più sereni sapendo che l’accordo è pubblico e vincolante, e che hanno le tutele di legge. D’altro canto, se un creditore firmatario provasse poi a tirarsi indietro, l’accordo omologato è titolo esecutivo: il debitore può farlo rispettare coattivamente (mentre un piano attestato non è “imposto” da un giudice, quindi un creditore che avesse firmato sotto condizione potrebbe creare contestazioni).

Varianti particolari: Il Codice prevede anche accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa a creditori estranei appartenenti a una categoria omogenea quando ne aderisce almeno il 75% (ex art. 61, per crediti fiscali e previdenziali, e art. 62, per fornitori di beni/servizi essenziali). Inoltre, per imprese di rilevante interesse economico, c’è la possibilità di omologazione nonostante il voto contrario dell’Erario o INPS se la proposta è conveniente (riflesso di normative emergenziali del 2020-21). Tutto ciò disegna un panorama piuttosto flessibile, che consente di adattare l’accordo alla situazione.

Conclusione: Gli accordi di ristrutturazione sono indicati quando l’impresa ha ancora un rapporto di fiducia con la maggioranza dei suoi creditori, tali per cui questi preferiscono definire una soluzione concordata e contrattuale invece di andare verso procedure concorsuali più invasive. Dal punto di vista del debitore, l’accordo consente di “pilotare” il risanamento, scegliendo con chi trattare e come pagare i diversi creditori, con minore intervento giudiziario rispetto a un concordato, ma con la sicurezza di un provvedimento di omologa che dà stabilità (anche contro eventuali azioni di minoranze).

Nel caso della nostra Alfa S.r.l., se ad esempio già l’80% dei debiti (banche e fornitori principali) fosse d’accordo su un piano di rientro e solo pochi piccoli creditori non allineati, un accordo ex art. 57 CCII sarebbe l’ideale: la società convincerebbe i “grandi” a firmare e a quel punto li omologherebbe, proteggendosi dai piccoli (che verrebbero comunque pagati per intero a scadenza come da legge). Se, viceversa, la frammentazione del consenso fosse maggiore, si dovrebbe pensare al concordato preventivo.

Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII)

Il concordato preventivo è la più nota tra le procedure concorsuali di ristrutturazione. Si tratta di una procedura giudiziaria vera e propria, aperta dall’imprenditore insolvente (o in crisi) per evitare la liquidazione giudiziale, attraverso una proposta di soddisfacimento parziale o differito dei creditori, approvata dagli stessi e omologata da un tribunale. Il Codice della crisi ne ha conservato l’impianto di fondo, con alcune modifiche e nuove previsioni (ad esempio, l’eliminazione del requisito dei 2 anni di iscrizione al registro imprese che vigeva nella vecchia legge fallimentare).

Tipologie di concordato: Occorre distinguere principalmente due figure: il concordato in continuità aziendale e il concordato liquidatorio. La differenza sta nel fatto che nel primo caso l’impresa, in tutto o in parte, prosegue l’attività (direttamente dal debitore o indirettamente tramite cessione a terzi), generando flussi che contribuiranno a pagare i creditori; nel secondo caso, invece, l’obiettivo è solo liquidare il patrimonio e distribuire il ricavato ai creditori, cessando l’attività. Questa distinzione esisteva già (il vecchio art. 186-bis L.F. per la continuità), ed è mantenuta: il concordato in continuità ha regole proprie per incoraggiare la prosecuzione dell’impresa, mentre il liquidatorio ha soglie più rigide per essere ammissibile (deve assicurare un pagamento minimo ai chirografari o un apporto esterno).

Iter procedurale (in sintesi): Il debitore presenta ricorso al tribunale, allegando la proposta di concordato, il piano dettagliato e i documenti contabili obbligatori (stato patrimoniale, elenco creditori, inventario, relazione giurata di un attestatore sulla fattibilità). Se la domanda è completa e ammissibile, il tribunale ammette il debitore alla procedura e nomina un Commissario Giudiziale (un professionista indipendente che supervisiona). Da quel momento, il debitore opera sotto vigilanza (non è spossessato dei beni, a differenza del fallimento: mantiene l’amministrazione ma sotto osservazione e con atti di straordinaria amministrazione soggetti ad autorizzazione). Si convoca quindi l’adunanza dei creditori, nella quale i creditori votano sulla proposta (possono anche esprimersi prima per via scritta). Servono delle maggioranze perché il concordato sia approvato: la maggioranza dei crediti ammessi al voto, calcolata come somma di crediti, ed eventualmente maggioranze per classi se sono previste. Se i creditori approvano, si passa all’udienza di omologazione: il tribunale verifica che tutto sia regolare, che il piano sia fattibile e conveniente per i creditori (nessun creditore riceve meno di quanto avrebbe in caso di liquidazione giudiziale – best interest test), e dichiara omologato il concordato con decreto. Da quel momento, il piano concordatario diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, anche per quelli che hanno votato contro o che non si sono attivati.

Effetti protettivi per il debitore: Fin dal deposito del ricorso di concordato e per tutta la durata della procedura si applica l’automatic stay: i creditori per fatti anteriori non possono avviare né proseguire esecuzioni sul patrimonio del debitore . Le prescrizioni rimangono sospese e così pure eventuali decadenze . In sostanza, l’azienda sotto concordato è al riparo da assalti individuali e tutto confluisce nella procedura collettiva. Inoltre, non si possono acquisire nuove cause di prelazione se non concordate col debitore (divieto di aggravare la posizione degli altri creditori). Se pendono pignoramenti, restano congelati. I crediti sorti durante la procedura (cosiddetti crediti prededucibili, ad esempio forniture effettuate in esercizio provvisorio autorizzato) potranno essere pagati regolarmente e comunque avranno prelazione in caso di successiva liquidazione, incentivando i terzi a contrattare col debitore in concordato. I contratti pendenti possono essere sciolti o sospesi dal tribunale su richiesta del debitore, se utile al piano (utile per liberarsi da contratti onerosi), oppure mantenuti ma i contraenti non possono risolverli per i soli inadempimenti anteriori o clausole ipso facto (art. 94 CCII, simile all’art. 169-bis L.F.). In un concordato in continuità, i contratti essenziali (energia, forniture vitali) restano in essere e i fornitori non possono interromperli per i vecchi debiti (concetto simile a quello visto nel contesto della composizione negoziata, qui normato esplicitamente).

Concordato in continuità: Il Codice (art. 84 e 85 CCII) dettaglia che c’è continuità se prevista la prosecuzione dell’attività, sia dal debitore stesso (continuità diretta) sia tramite cessione o conferimento dell’azienda a un terzo che la prosegue (continuità indiretta). Questo viene incoraggiato perché preserva valore e posti di lavoro. La normativa attuale elimina alcune rigidità precedenti, ma mantiene l’obbligo che nel concordato in continuità siano pagati integralmente i creditori pre-deducibili, i debiti per finanziamenti prededucibili eventualmente assunti e i debiti impagati con fornitori per prestazioni essenziali durante la procedura (questo per non accumulare altri debiti). Inoltre, i dipendenti devono essere pagati per gli stipendi maturati durante la procedura e, in caso di trasferimento d’azienda, il piano deve prevedere il rispetto delle norme sui rapporti di lavoro (con eventuali esuberi gestiti come per legge). Un vantaggio del concordato in continuità è che consente di trattenere i beni funzionali all’esercizio d’impresa (non si deve liquidare tutto) e di pagare i creditori col flusso di cassa generato, anche su medio termine. Si può anche prevedere di pagare i creditori in percentuale sul ricavato futuro. Il piano va comunque attestato come fattibile: l’attestatore deve attestare che la continuità è realistica e che i creditori riceveranno quanto promesso.

Concordato liquidatorio: È un concordato in cui l’azienda di fatto non continua e si mira a vendere attivo (immobili, beni, crediti, ecc.) per distribuire il ricavato. La legge qui richiede che il piano offra ai creditori chirografari (senza garanzie) almeno il 20% di soddisfazione (salvo apporti esterni) come soglia minima per l’ammissibilità (art. 84, co.6 CCII). Oppure, in alternativa, che vi sia un apporto di risorse esterne che aumenti di almeno il 10% l’attivo disponibile (es. i soci mettono nuovi fondi a beneficio dei creditori). Questo per evitare concordati “liquidatori” che diano percentuali irrisorie ai creditori: se non c’è almeno 20%, meglio il fallimento, in teoria. Il tribunale verifica questa condizione all’inizio.

Vantaggi dal punto di vista del debitore: Il concordato preventivo è spesso l’ultima spiaggia per evitare il fallimento puro. I suoi vantaggi sono: – Mantiene l’iniziativa in mano al debitore: è il debitore che propone come risolvere, al contrario del fallimento dove subentra il curatore. Anche se poi serve il voto dei creditori e l’ok del giudice, il debitore ha un certo margine di modellare il piano (ad es. decidere quali beni tenere, come suddividere i creditori in classi, come trattare categorie diverse). – Può ridurre in modo significativo il debito: a differenza di un piano attestato dove solitamente servono adesioni, qui si può imporre legalmente un taglio del debito (stralcio) anche a creditori non consenzienti, purché la maggioranza approvi. Ad esempio, la Alfa S.r.l. potrebbe proporre di pagare il 40% a tutti i chirografari in 2 anni, liberandosi del restante 60%. Se i creditori votano sì (magari perché convinti che altrimenti otterrebbero ancora meno da un fallimento), la società si libera legalmente di quel 60% di debiti non pagato. – Sospende le azioni dei creditori: come già evidenziato, nessun creditore può perseguire individualmente il patrimonio durante la procedura. Questo solo può dare all’impresa un respiro che altrimenti non avrebbe. – Possibilità di risanamento parziale: tramite il concordato in continuità, l’imprenditore può salvare l’azienda (o parte di essa) come going concern. In alcuni casi, il concordato viene usato per vendere l’azienda ad un investitore che la continui, liberandola dai debiti (il famoso concordato con continuità indiretta dove si fa un “affitto d’azienda” durante la procedura e poi la vendita all’omologa). Questo strumento è stato spesso usato per evitare che imprese in crisi venissero spezzettate, consentendo invece un passaggio di mano ordinato. L’acquirente ottiene l’azienda free from debts (libera dai debiti pregressi) e i creditori si soddisfano sul prezzo pagato. Il Codice della crisi mantiene questo meccanismo e anzi, nella composizione negoziata l’ha replicato con la possibilità di vendere l’azienda nell’ambito di un concordato semplificato (come vedremo). – Effetto esdebitatorio per l’imprenditore individuale: se la procedura si conclude regolarmente, il debitore persona fisica (imprenditore individuale) ottiene l’esdebitazione di diritto per i debiti residui non soddisfatti secondo il piano (questo valeva già nel vecchio concordato). Per le società, l’esdebitazione non serve in quanto la società una volta eseguito il concordato o liquidati i beni e cancellata, cessa di esistere e i crediti non pagati restano insoddisfatti senza ulteriori pretese possibili (salvo garanzie personali di terzi).

Svantaggi o oneri del concordato: Dal lato del debitore, il concordato è comunque una procedura complessa e onerosa. Bisogna predisporre documentazione corposa, pagare spese di giustizia e compensi (commissario, attestatore, legali). La procedura è pubblica: l’iscrizione nel registro imprese dell’ammissione a concordato è un marchio che può creare allarme in clienti e partner commerciali (anche se oggi è comune, comunque non è priva di stigma). Inoltre, c’è sempre l’incertezza del voto dei creditori: occorre convincere la maggioranza che la proposta è migliore delle alternative. Se i creditori bocciano la proposta, il tribunale dovrà dichiarare la liquidazione giudiziale (fallimento), con ovvi effetti negativi (perdita del controllo, possibili azioni di responsabilità, ecc.). Quindi presentare un concordato è un po’ come giocare una carta decisiva: va fatto con preparazione e con sensazione ragionevole di poter avere il consenso (negli ultimi anni, grazie alla composizione negoziata, è possibile “testare” prima la disponibilità dei creditori, riducendo il rischio di bocciatura).

Concordato con riserva (“in bianco”): Il Codice conferma anche la possibilità per il debitore di depositare una domanda di concordato senza allegare subito il piano e la proposta, chiedendo un termine (fino a 60-120 giorni, prorogabili) per presentarli: è il cosiddetto concordato con riserva (ex art. 44 CCII) . In tal modo, l’imprenditore ottiene immediatamente le misure protettive (lo stay sui creditori) e poi guadagna tempo per definire nei dettagli il piano e magari negoziare con creditori nel frattempo. Questo strumento è utile in situazioni di emergenza in cui c’è il rischio imminente di esecuzioni o azioni pregiudizievoli: depositando un “concordato in bianco”, l’azienda si mette sotto la protezione del tribunale mentre prepara la ristrutturazione. Deve comunque rispettare prescrizioni (divieti di atti oltre l’ordinaria amministrazione senza ok del giudice) e nominare un commissario provvisorio se il giudice lo ritiene. Se poi il piano non viene presentato nel termine, la procedura viene dichiarata improcedibile e spesso si innesca il fallimento. Ma se presentato, si prosegue come un concordato ordinario. Questa facoltà è stata molto usata per bloccare sul nascere iniziative aggressive di singoli creditori e guadagnare tempo per soluzioni più organiche.

Casi pratici d’uso: Il concordato preventivo è stato utilizzato per salvare aziende di ogni dimensione, da PMI familiari fino a grandi società (Alitalia, Ilva, etc. hanno utilizzato concordati o amministrazioni straordinarie analoghe). Nel contesto tipico di una PMI manifatturiera come la nostra Alfa S.r.l., un concordato può servire se la crisi è troppo avanzata per un accordo bonario ma si vuole evitare la rovina totale: ad esempio, la Alfa può proporre un concordato in continuità offrendo ai creditori il 30% in 5 anni, continuando a operare e magari vendendo un capannone non strategico per iniziare i pagamenti. I creditori votano sì perché preferiscono ottenere il 30% in prospettiva piuttosto che i forse 10-15% di un fallimento. L’azienda prosegue, magari ridimensionata ma salva, i posti di lavoro in parte mantenuti, e l’imprenditore evita le conseguenze peggiori. Oppure, se la continuità proprio non è possibile, la Alfa propone un concordato liquidatorio: vende macchinari, marchio, ecc. a un competitor interessato, e con quei soldi paga i creditori ad esempio al 25%, garantendo però che quell’offerta è massima e immediata (cosa che in fallimento non sarebbe sicuro di ottenere con uguale efficienza). I creditori accettano, e l’azienda viene liquidata ma in modo ordinato, senza fallimento e con tempi più rapidi.

Tabelle riassuntive – Concordato preventivo: caratteristiche principali

CaratteristicaConcordato in continuitàConcordato liquidatorio
ObiettivoRisanare l’impresa mantenendo attività produttiva in esercizio (direttamente o cedendola a terzi che la proseguono)Liquidare il patrimonio dell’impresa e cessare attività
Utilizzo dei beniI beni funzionali all’attività non vengono venduti subito; l’azienda continua a operare generando flussi per pagare i creditori<br>– Possibile cessione d’azienda in blocco (continuità indiretta)I beni sono venduti singolarmente o in blocco per ricavare liquidità da distribuire ai creditori; l’azienda di regola chiude
Pagamento creditoriDeriva in parte dai flussi reddituali futuri (utili, vendita prodotti, etc.) e in parte da dismissioni di beni non essenziali<br>– Pagamenti spesso dilazionati su anni<br>– Creditori strategici possono essere pagati in prededuzione se funzionali alla continuitàDeriva interamente dal ricavato della liquidazione di attivo esistente (immobili, crediti, magazzino, ecc.)<br>– Pagamenti generalmente in tempi più brevi (dopo realizzo beni), spesso in unica soluzione o poche tranche
Requisiti speciali– Dev’essere attestata la realistica perseguibilità della continuità e che i creditori riceveranno almeno quanto in liquidazione <br>– Debiti verso fornitori strategici durante procedura devono essere soddisfatti regolarmente<br>– Se cessione d’azienda: rispetto art. 2112 c.c. per lavoratori<br>– Possibile esenzione da responsabilità del cessionario per debiti tributari e previdenziali pregressi (art. 368 CCII) per facilitare vendita– Previsto minimo 20% di pagamento ai creditori chirografari, salvo apporti esterni significativi (art. 84 CCII)<br>– Se prevista cessione beni a terzi con offerte competitive, devono seguire regole di trasparenza (offerte concorrenti, ecc.)<br>– Necessario apporto di risorse esterne se pagamento chirografari <20% (almeno +10% attivo)
Vantaggi– Conserva valore aziendale, marchio, avviamento<br>– Maggior recupero occupazionale<br>– Creditori possono ottenere percentuali migliori grazie al proseguimento business<br>– Debitore rimane “sul mercato” e può tentare rilancio<br>– Meno dispersione di competenze e relazioni commerciali– Procedura più semplice (liquidare è più lineare che risanare)<br>– Durata potenzialmente più breve (se vendite beni spedite)<br>– Richiede minor complessità di pianificazione industriale (non serve piano industriale dettagliato oltre la liquidazione)<br>– Adatto se impresa priva di prospettive, ma con asset vendibili che possono soddisfare parzialmente i creditori
Svantaggi– Richiede un piano industriale solido e credibile, con fattibilità non scontata<br>– Necessita fiducia dei creditori nella capacità dell’impresa di generare utili futuri<br>– Controllo commissariale e obblighi informativi possono appesantire la gestione corrente<br>– Rischio di fallimento se la continuità poi non funziona<br>– Tempi di soddisfacimento creditori più lunghi (aspettano esecuzione piano)– Impresa perde la propria attività (fine dell’azienda come entità funzionante)<br>– Maggior impatto sociale (perdita di posti di lavoro, indotto)<br>– Spesso minor soddisfacimento complessivo per creditori (valore di realizzo forzato minore del valore in funzionamento)<br>– Necessità di procedure competitive di vendita, possibili ribassi sul valore stimato

In entrambi i casi, se il concordato viene omologato, il debitore ottiene la protezione definitiva: i creditori per debiti anteriori non possono più agire se non secondo il piano. Se invece la procedura di concordato fallisce (non approvazione o non omologa), si apre tipicamente la liquidazione giudiziale (ex fallimento) d’ufficio. Dunque, il concordato è un’arma da giocare con preparazione: per questo la legge incoraggia a esplorare prima soluzioni negoziate (come abbiamo visto) e spesso la presentazione del concordato avviene dopo aver pre-accordato con creditori chiave (pre-pack). Da notare che il Codice consente anche di convertire un procedimento di concordato in un accordo di ristrutturazione se durante il concordato si raggiunge un accordo con il 60% crediti (e viceversa).

Concordato preventivo “semplificato” per la liquidazione del patrimonio

Abbiamo accennato a questa particolare figura, introdotta nel 2021 e oggi prevista dagli artt. 25-sexies e 25-septies CCII , come valvola di sfogo della composizione negoziata. Il concordato semplificato è chiamato così perché differisce dal concordato ordinario sotto vari aspetti semplificativi:

  • Quando si applica: solo all’esito negativo di una composizione negoziata andata a vuoto. Cioè l’imprenditore può accedervi entro 60 giorni dalla comunicazione della relazione finale dell’esperto che attesta il fallimento delle trattative . Non è accessibile direttamente senza aver fatto la composizione negoziata .
  • Oggetto: è solo un concordato liquidatorio (cessione dei beni). Non può essere proposto in continuità. Infatti la norma parla di proposta di “concordato per cessione dei beni” . L’idea è: se hai provato a risanare ma non c’è accordo, invece di andare a fallimento puoi proporre tu stesso di liquidare i beni ai creditori tramite concordato, alle tue condizioni ma senza continuare l’impresa (salvo eventuale vendita unitaria). È un modo per evitare il fallimento pur quando l’azienda non è più salvabile come attività.
  • Semplificazioni: La differenza enorme è l’assenza di voto dei creditori. I creditori non votano sulla proposta . Il tribunale fissa comunque un’udienza in cui i creditori possono comparire per eventuali osservazioni o opposizioni, ma non c’è un meccanismo di voto/majority. Sarà il tribunale a valutare la proposta e decidere se omologarla o no. Questo ovviamente semplifica e velocizza: niente adunanza, niente conteggi di maggioranze, etc. D’altra parte, riduce il potere dei creditori (che possono solo eventualmente opporsi).
  • Contenuto della proposta: Deve essere presentato un piano di liquidazione dettagliato e una proposta di riparto ai creditori. Il debitore può proporre ad esempio di vendere immediatamente certi beni, nominare un liquidatore (di solito propone se stesso o persona di fiducia, ma il tribunale può modificare), e poi distribuire le somme con certe percentuali. Non c’è soglia minima di soddisfacimento legale (nel concordato ordinario liquidatorio era 20%, qui la norma non la ribadisce espressamente), ma il tribunale dovrà comunque verificare il rispetto del best interest test per ogni creditore (ossia che ottenga almeno quanto in un fallimento) e l’assenza di pregiudizi.
  • Ruolo dell’esperto: Data la continuità con la composizione negoziata, spesso la relazione finale dell’esperto e i suoi elementi saranno utilizzati dal tribunale. È prevista anche la possibilità che l’esperto stesso venga nominato ausiliario dal giudice per coadiuvare la procedura (fornendo i chiarimenti tecnici). Quindi c’è una sorta di staffetta: l’esperto aiuta a chiudere la vicenda in maniera semplificata.
  • Gestione: Non c’è commissario giudiziale standard, ma il tribunale può nominare un ausiliario (come detto, magari l’esperto di prima) per sovraintendere la liquidazione. La procedura è comunque concorsuale, quindi soggetta a controllo del giudice.
  • Vantaggio principale: evitare il fallimento (liquidazione giudiziale) e concludere in tempi relativamente rapidi. Il debitore magari riesce a concordare vendite più vantaggiose di quanto un curatore farebbe (ad es. ha un acquirente per l’azienda in blocco pronto). Inoltre, c’è minor stigma di fallito per l’imprenditore, e in teoria anche qui l’esdebitazione per residui non pagati dovrebbe applicarsi come nel concordato ordinario (per persona fisica).

Perché i creditori dovrebbero preferirlo a un fallimento? In mancanza di voto, contano le valutazioni del tribunale. Ma l’idea è: se il debitore propone un concordato semplificato, offre di solito qualcosa di migliore o equivalente a ciò che i creditori otterrebbero col fallimento, e con costi minori. Esempio: il debitore ha già un’offerta di acquisto di un bene a prezzo buono, mentre il fallimento all’asta potrebbe realizzare meno. Oppure il debitore offre un apporto di denaro dei soci che nel fallimento non ci sarebbe (per incentivare l’approvazione). Infatti, dottrina e primi casi pratici suggeriscono che per ottenere l’omologa il debitore deve dare un significativo quid pluris rispetto al fallimento, altrimenti i creditori (che possono fare opposizione in omologa) convinceranno il giudice che è meglio far fallire. Insomma, la proposta deve rispettare il principio di miglior soddisfazione dei creditori.

Situazione tipica d’uso: Impresa insolvente senza speranza di risanamento, ma ha condotto composizione negoziata sinceramente. Le banche/fornitori non hanno trovato accordo per salvare l’azienda come attività, però magari c’è la possibilità di vendere l’immobile aziendale, o l’impresa ha ancora lavori in corso che completati genereranno incassi per i creditori. Il debitore a questo punto propone: “Invece di fallire, lasciatemi vendere io questi asset/trarre questi crediti e vi do tutto il ricavato secondo queste percentuali; evitiamo i costi e la lentezza del fallimento”. Se il tribunale vede che la proposta è credibile e conveniente, la omologa. In caso contrario, rigetta e dichiara la liquidazione giudiziale. Il vantaggio, come detto, è di sistema: risparmiare costi ed evitare dispersione di valore (il concordato semplificato non prevede l’intero apparato fallimentare: niente stato passivo formale, niente giudizi, etc., sebbene i crediti e privilegi si considerino come risultano dai documenti prodotti).

Differenze con liquidazione giudiziale: Nella liquidazione giudiziale (ex fallimento) i creditori non hanno voce ma c’è un curatore che amministra e liquida secondo le sue scelte, con controllo del GD e comitato creditori. Nel concordato semplificato, il piano di liquidazione è predisposto dal debitore e in sostanza seguito sotto vigilanza. Quindi i creditori non decidono, ma perlomeno sanno ex ante come saranno liquidati. Non possono pretendere vendite all’asta pubblica (che a volte ottengono meno, a volte più; dipende). Diciamo che è un procedimento concorsuale “snello” cucito su misura alla specifica situazione.

Esempio scenario: La Alfa S.r.l. prova composizione negoziata ma i creditori non credono nel risanamento. L’esperto certifica che non si è trovata soluzione. Però magari c’è un immobile e qualche commessa in corso. L’azienda propone: “Nominate Tizio liquidatore, vendiamo l’immobile a 500.000€ (ho già una manifestazione d’interesse), incassiamo i crediti dai clienti per altri 200.000€, e vi distribuiamo il tutto, raggiungendo un 30% di soddisfacimento. I soci inoltre apportano 50.000€ extra da dividere pro-quota. Così avrete 35% circa. Se fallisco, l’immobile finirebbe all’asta con base 500k e probabilmente venduto a 350k dopo ribassi, i crediti clienti magari molti non pagheranno vedendo il fallimento, e i costi curatore eroderanno altro attivo: vi stimo un 20%. Quindi il concordato semplificato vi dà di più e subito.” Il tribunale, riscontrata la ragionevolezza, omologa. I creditori, pur non avendo votato, ottengono il 35% entro pochi mesi, meglio del 20% dopo anni di fallimento. Il debitore esce di scena senza fallire, i soci magari perdono tutto il capitale ma evitano azioni di responsabilità aggravate, ecc.

Stato dell’arte: Essendo nuova, la giurisprudenza su concordato semplificato è scarsa finora, ma i primi utilizzi indicano che i tribunali sono cauti nel concederlo, controllando bene l’assenza di abusi (non deve essere un modo per saltare i creditori, ma per massimizzare soddisfacimento). È uno strumento di “chiusura ordinata” delle crisi non risolvibili, potenzialmente utile anche per evitare troppi fallimenti di PMI che intasano i tribunali.

Liquidazione giudiziale (ex fallimento) e alternative minori

Se nessuno degli strumenti sopra funziona o è attivato, resta la liquidazione giudiziale, cioè la procedura concorsuale classica (il fallimento come denominazione precedente). Dal punto di vista del debitore, la liquidazione giudiziale è lo scenario che si vorrebbe evitare, essendo il più penalizzante: comporta la spossessione dell’imprenditore (i beni passano in mano al curatore), la chiusura dell’attività salvo esercizio provvisorio deciso dal tribunale, la dissoluzione della società (per le persone giuridiche), possibili conseguenze personali (interdizioni, impossibilità a fare impresa per alcuni anni, ecc.) e potenziali azioni di responsabilità o revocatorie che il curatore promuoverà. Inoltre, per l’imprenditore persona fisica, comporta la necessità di chiedere l’esdebitazione a fine procedura per liberarsi dai debiti residui (ora è quasi automatica per il debitore onesto, ma il percorso è lungo).

Dal punto di vista difensivo del debitore, se la liquidazione giudiziale sembra inevitabile, può essere paradossalmente meglio anticiparla volontariamente a certe condizioni. Infatti, l’imprenditore può presentare ricorso per la propria liquidazione giudiziale (auto-fallimento). Può sembrare controintuitivo, ma farlo spontaneamente (specie dopo una composizione negoziata fallita, ad esempio) può evitare accuse di ritardo e aggravamento del dissesto, e dare un segnale di trasparenza. Inoltre, può scegliersi un momento magari più favorevole (ad esempio dopo aver pagato certe spese per mettere in sicurezza l’azienda o aver consegnato le scritture in ordine). In caso di crisi irreversibile, continuare l’attività prolungando i debiti espone a rischi di responsabilità per aggravamento (come visto con art. 2486 c.c.). Quindi un debitore onesto ma sfortunato farebbe bene, raggiunto un punto di non ritorno, a non “tirare a campare” all’infinito: o trova accordi o procedure di cui sopra, o se no concorre a far aprire la liquidazione. Il Codice della crisi, non a caso, ha introdotto misure di favore per chi collabora: ad esempio, il debitore in liquidazione giudiziale meritevole avrà l’esdebitazione di diritto entro 3 anni dall’apertura (per le persone fisiche), mentre un tempo era necessario aspettare la fine della procedura e un’istanza separata.

Sovraindebitamento e procedure “minori”: Vale la pena citare, a completamento, che il Codice ha esteso strumenti simili al concordato anche a debitori non fallibili (consumatori, piccole imprese sotto soglie). Questi soggetti possono accedere al “concordato minore” (ex piano del consumatore/piccola impresa) e alla liquidazione controllata (ex liquidazione del patrimonio). Sono procedure analoghe al concordato preventivo e al fallimento, ma calibrate su soggetti piccoli. Ad esempio, se la nostra fosse una ditta individuale artigiana con pochi addetti, non soggetta a fallimento, potrebbe comunque fare un concordato minore presso l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) offrendo ai creditori un piano con percentuale, oppure subire/per chiedere una liquidazione controllata dei propri beni. Il Codice della crisi ha uniformato molti principi tra queste e le grandi procedure. Non approfondiamo oltre poiché l’azienda in esame (S.r.l.) è soggetta alle procedure maggiori, ma chiariamo che anche i piccoli imprenditori o i privati consumatori sovraindebitati hanno vie d’uscita legali (piano del consumatore, esdebitazione del sovraindebitato senza utilità – c.d. “fresh start” per il debitore incapiente, ecc.), introdotte già dalla L.3/2012 e ora parte integrante del sistema.

Domande frequenti (FAQ) sulla difesa dell’azienda debitrice

Di seguito riportiamo alcune delle domande più comuni poste da imprenditori e amministratori alle prese con una situazione di crisi aziendale, con risposte sintetiche basate sulla normativa vigente.

D: La mia azienda ha debiti con il fisco (IVA arretrata) e con le banche. Posso privilegiare alcuni pagamenti e ritardarne altri per tenere l’attività viva?
R: Bisogna fare molta attenzione. Pagare solo alcuni creditori e lasciarne indietro altri, se l’azienda poi fallisce, può costituire bancarotta preferenziale (un reato) e quei pagamenti possono essere annullati dal curatore (azione revocatoria). La legge però consente, se si segue un piano di risanamento ufficiale, di effettuare pagamenti selettivi senza incorrere in sanzioni. Ad esempio, attuando un piano attestato di risanamento pubblicato, i pagamenti eseguiti in coerenza col piano non sono bancarotta preferenziale . Fuori da un contesto di piano concordato, privilegiare arbitrariamente taluni creditori è pericoloso. Inoltre, non pagare IVA e ritenute per pagare altri costituisce reato se le soglie sono superate. È preferibile agire in modo trasparente: negoziare dilazioni con tutti, oppure avviare una procedura concorsuale (dove per legge i pagamenti anteriori si bloccano e si paga secondo il piano). In emergenza, la legge consente di pagare fornitori essenziali e dipendenti anche durante trattative, purché ciò sia autorizzato (ad es. nelle misure protettive o nel concordato con autorizzazione del tribunale). Il consiglio è di farsi assistere e predisporre un piano formalizzato: in quel contesto potrai destinare risorse a certi creditori (es. fornitori vitali) con il benestare legale, senza rischio penale .

D: Se presento un ricorso per concordato preventivo, posso continuare a gestire la mia azienda?
R: Sì, nel concordato preventivo l’imprenditore mantiene la gestione dell’azienda, sotto la vigilanza di un Commissario nominato dal tribunale. Non c’è spossessamento dei beni come nel fallimento. Tuttavia, gli atti di straordinaria amministrazione (es. vendere un macchinario importante, accendere nuovi finanziamenti, ecc.) richiedono autorizzazione del giudice delegato. Nella continuità aziendale, il debitore può proseguire l’attività ordinaria (acquistare materie prime, produrre, vendere prodotti) seguendo il piano, e il Commissario supervisiona che non si devino risorse indebitamente. In alcuni casi, il tribunale può imporre un controllo più stringente (amministrazione controllata) se c’è rischio di pregiudizio per i creditori, ma è raro. Dunque, la gestione rimane in mano all’imprenditore (autogestione assistita). Una volta omologato il concordato, se prevede continuità, l’imprenditore continua a operare e ad attuare il piano sotto vigilanza finché non ha eseguito gli obblighi verso i creditori.

D: Ho dato una fideiussione personale in banca per i debiti della mia S.r.l.: se la società fa concordato o fallisce, la banca può rivalersi su di me?
R: Sì. La fideiussione è un’obbligazione distinta: se la società non paga il suo debito per intero, la banca può chiedere a te (garante) di pagare il residuo. Questo vale anche se la società è ammessa a concordato e paga ad esempio il 40% al creditore: la banca potrà chiedere a te il restante 60% escluso dal concordato, perché la liberazione dai debiti in concordato riguarda solo la società debitore, non i coobbligati o garanti (art. 2858 c.c. e affini). Ci sono però accorgimenti: in fase di concordato, puoi prevedere che il piano soddisfi integralmente i crediti garantiti o che venga offerto qualcosa anche per liberare i garanti. Spesso, i soci-garanti contribuiscono al piano concordatario proprio per evitare di essere escussi personalmente, ad esempio versando nuova finanza destinata alle banche in cambio della liberazione della fideiussione. Se ciò non avviene e il concordato paga solo parzialmente la banca, il fideiussore sarà tenuto per la quota esclusa (anche durante il concordato stesso, la banca potrebbe agire contro di lui – il stay della procedura non copre i garanti). Nella liquidazione giudiziale, similmente, la banca può insinuarsi al passivo e contemporaneamente agire subito contro il garante senza aspettare (nel limite che non incasserà più del 100% sommando quanto prende dal fallimento e dal garante). In sintesi: la società di capitali non protegge i soci dalle garanzie personali prestate – quelle rimangono e anzi spesso vengono escusse. Dunque, se sei garante, dovresti partecipare attivamente alla soluzione della crisi: magari concordare con la banca una transazione sulla tua garanzia contestualmente al concordato della società. Nota: se versi tu come garante, subentrerai nei diritti della banca verso la società (surroga), ma in concordato o fallimento ciò ti fa diventare un creditore chirografario per la quota pagata, di solito con scarsa soddisfazione.

D: La mia S.r.l. è indebitata ma ha ancora mercato: meglio il concordato in continuità o cercare un accordo stragiudiziale con i creditori?
R: Dipende dal livello di consenso tra i creditori e dalla urgenza. Se hai ragionevoli chance di ottenere l’accordo di almeno il 60-70% dei crediti (in valore) senza passare dal tribunale – ad esempio le banche e i fornitori principali sono disponibili – puoi provare un accordo di ristrutturazione omologato (che richiede il 60%) oppure anche un piano attestato (che però non vincola i dissenzienti, ma se questi sono pochi gestibili, può bastare). Il vantaggio di restare stragiudiziale è la minore pubblicità e flessibilità. Tuttavia, se i creditori sono tanti e dispersi, o se temi azioni individuali e disaccordi, il concordato in continuità offre una protezione più robusta (tutti devono adeguarsi se passa) e lo stay immediato. Il rovescio della medaglia è la complessità e il tempo: un concordato può richiedere diversi mesi (anche 6-12 per completare omologa), durante i quali devi mantenere l’attività. Diciamo che se la situazione non è ancora sfuggita di mano, tenta prima la via negoziale: magari avvia una composizione negoziata con l’aiuto di un esperto – se durante quella fase capisci che un accordo è fattibile, concludilo; se vedi resistenze insormontabili da alcuni creditori, allora converti la procedura in un concordato così da imporre la soluzione. In generale, i concordati in continuità ben riusciti spesso derivano da un lavoro preparatorio di accordo con creditori chiave (pre-pack). Se invece l’azienda è già in gravi difficoltà operative e ha bisogno di respiro immediato dalle azioni esecutive, il concordato (o almeno il concordato “in bianco”) può dare quell’automatica sospensione che l’accordo stragiudiziale non dà. Conclusione: tenta l’accordo extragiudiziale quando c’è coesione e fiducia dei creditori; scegli il concordato (magari dopo aver sondato i creditori) se serve l’intervento dell’autorità per tenere a bada alcuni creditori o per includere tutti nelle stesse condizioni.

D: Che succede ai contratti in corso (affitti, contratti di fornitura, leasing) se la mia azienda entra in procedura concorsuale?
R: Nella composizione negoziata, i contratti proseguono normalmente, salvo che tu chieda di ridiscuterli: l’esperto può invitare le parti a rideterminare i contratti squilibrati (es. canone troppo alto) e le controparti non possono risolvere solo perché c’è la trattativa in corso . Nel concordato preventivo, la regola generale (art. 94 CCII) è che i contratti in corso con prestazioni corrispettive non ancora completamente eseguite non si sciolgono per il concordato. Puoi però chiedere al tribunale di scioglierne alcuni se ti sono onerosi e non essenziali (es. un affitto di ramo d’azienda improduttivo) oppure di sospenderli fino a 60 giorni prorogabili (utile se vuoi valutare). Il contraente, in caso di scioglimento autorizzato, ha diritto ad un indennizzo (danno) che diventa credito concorsuale (chirografario). Se il contratto prosegue, l’altra parte non può risolverlo per inadempienze pregresse né per clausole che dicono “se vai in concordato, il contratto si risolve” (queste clausole ipso facto sono nulle). Deve continuare a fornirti e tu devi pagare regolarmente le prestazioni fatte durante la procedura (questi pagamenti sono prededucibili). Per esempio, se sei in concordato e hai un contratto di leasing per un macchinario essenziale, potresti scegliere di mantenerlo: pagherai i canoni concordatari correnti in prededuzione, mentre gli arretrati saranno parte dei crediti concorsuali. Il locatore di un immobile non può sfrattarti solo perché hai arretrati pre-concordato, se tu paghi i canoni correnti. Discorso simile nel fallimento (liquidazione giud.): lì il curatore ha la facoltà di sciogliere o subentrare nei contratti; se subentra li esegue, se scioglie l’altro ha un credito. In accordo di ristrutturazione o piano attestato, non c’è potere unilaterale di scioglimento giudiziale, ma puoi contrattare modifiche con i contraenti. La normativa emergenziale del 2020 ha introdotto ad esempio la possibilità di rinegoziare i contratti di locazione in composizione negoziata. Quindi, riepilogando: in procedura concorsuale hai strumenti per liberarti di contratti svantaggiosi (concordato/fallimento) e nel contempo sei protetto contro risoluzioni opportunistiche delle controparti, specie per contratti essenziali per la continuità .

D: La mia azienda è sommersa dai debiti e credo sia insolvente senza rimedio. Cosa rischio personalmente come amministratore?
R: Se l’azienda è insolvente cronica, come amministratore hai il dovere di non aggravare il passivo e di attivarti (come visto con art. 2486 c.c. e art. 2086 c.c.). Se continui ad operare aggravando i debiti, i creditori o il curatore potranno citarti per azione di responsabilità e, in base al novellato art. 2486 c.c., il danno viene calcolato in base alle perdite incrementali subìte dopo il momento in cui avresti dovuto fermarti . Inoltre, se hai commesso atti distrattivi (vendita sottocosto di beni, prelievi ingiustificati di cassa, occultamento di attivo), incorreresti in bancarotta fraudolenta, reato gravissimo. Anche semplici omissioni (mancata tenuta delle scritture, pagamenti preferenziali come detti) costituiscono bancarotta semplice o preferenziale. Per mitigare rischi: agisci in modo trasparente, coinvolgi i creditori in possibili soluzioni, conserva la documentazione contabile in ordine, non fare movimenti anomali di beni o denaro personali con l’azienda (es. restituzione di finanziamenti soci all’ultimo momento, che sarebbe revocatoria e bancarotta preferenziale). Se proprio vedi che non c’è soluzione, valuta di richiedere tu stesso il fallimento: la legge non punisce l’imprenditore che spontaneamente deposita i libri in tribunale, anzi spesso lo considera indice di correttezza. Così eviterai l’aggravamento del dissesto e possibili accuse di aver tardato dolosamente. Potrai poi eventualmente beneficiare dell’esdebitazione a fine procedura. In sintesi, il rischio personale maggiore è se violi i doveri: se invece segui la legge (proponi un concordato se fattibile; se no, ti arrendi e collabobori col curatore), limiterai i danni. Importante: i debiti tributari non pagati possono generare responsabilità patrimoniale personale (ad esempio l’Agenzia può imputare a te, come amministratore, sanzioni per omesso versamento se hai commesso violazioni). Nei fallimenti, l’Erario e l’INPS spesso contestano agli amministratori anche il pagamento di contributi e ritenute non versate, in via di responsabilità solidale. Quindi, più che altro, rischi sul patrimonio personale se hai violato norme tributarie/previdenziali.

D: Cos’è l’esdebitazione e la posso ottenere per la mia società o per me come imprenditore?
R: Esdebitazione significa liberazione dai debiti residui non soddisfatti al termine di una procedura concorsuale. Per le società, non è necessaria: quando la società viene liquidata e cancellata dal Registro Imprese, essa si estingue e i crediti insoddisfatti restano senza soggetto debitore (i creditori non possono più nulla, salvo farli valere contro eventuali garanti o soci illimitatamente responsabili, se società di persone). L’esdebitazione è invece fondamentale per le persone fisiche (imprenditore individuale, socio illimitatamente responsabile, oppure chi abbia garantito personalmente): quella persona rimane viva dopo il fallimento e avrebbe ancora i debiti pendenti. La legge prevede che il fallito persona fisica che ha cooperato possa chiedere al tribunale, dopo la chiusura della procedura, di dichiararlo esdebitato: in pratica i debiti pregressi si cancellano (tranne debiti alimentari, risarcitori per danni da illecito extracontrattuale e poche eccezioni). Col Codice della crisi, l’esdebitazione per il fallito onesto è divenuta automatica (salvo opposizione) decorsi 3 anni dall’apertura della liquidazione , anche se la procedura non è chiusa (prima bisognava attendere la chiusura). Per i debitori civili non fallibili, esiste analogo meccanismo: il “fresh start” per il debitore meritevole incapiente, che cancella i debiti a chi proprio non ha nulla da offrire. Nel concordato preventivo, se persona fisica, l’omologazione funge già da esdebitazione per i debiti soggetti a falcidia (in pratica, paghi la percentuale concordataria e sei libero dal resto). Dunque, se tu sei socio amministratore e hai dato garanzie personali, purtroppo la società di capitali non ti protegge: potresti aver addosso debiti come privato. In quel caso, potrai valutare tue procedure (es. un concordato minore o liquidazione del patrimonio, o se sei consumatore un piano del consumatore). Se invece sei imprenditore individuale e fallisci, dopo 3 anni potrai ottenere l’esdebitazione (sempre che tu non abbia fatto irregolarità gravi). Questa è una importante opportunità di ripartenza: la legge vuole dare una seconda chance all’imprenditore onesto che ha fallito.

D: In conclusione, qual è la strategia migliore per “difendersi” dai debiti aziendali?
R: Prevenzione e tempestività. Il miglior modo per difendersi dai debiti è non accumularli oltre misura e cogliere i segnali di crisi con anticipo. Dal primo sintomo di tensione finanziaria, il management deve attivarsi (ricordiamo l’obbligo degli adeguati assetti e di attivarsi senza indugio ). Ciò significa: coinvolgere consulenti esperti, analizzare la situazione reale (spesso l’amministratore ottimista spera in una ripresa miracolosa che non arriva), predisporre un piano di emergenza. Questo piano potrebbe includere: taglio di costi, ricerca di nuova finanza (un socio finanziatore, un investitore esterno, la cessione di un ramo per far cassa), negoziazioni immediate con banche per moratorie, e con Fisco/INPS per dilazioni. Se il disequilibrio appare più grave, valutare subito l’accesso alla composizione negoziata: è uno strumento che, se attivato precocemente, può evitare l’insolvenza conclamata. Durante la composizione negoziata, adottare tutte le misure possibili (anche dolorose: vendere asset non strategici, ridurre personale se necessario con strumenti ammortizzatori, ecc.) per rendere credibile un risanamento. Se i debiti sono troppi rispetto alle possibilità, non ostinarsi a mantenerne il peso intero: sfruttare le procedure concorsuali per stralciare una parte dei debiti in modo legale e definitivo (tramite concordato o accordo omologato). Non temere di “andare in tribunale” se serve: come abbiamo visto, certe protezioni e cancellazioni del debito si ottengono solo con procedure formali, che oggi non sono più infamanti come un tempo ma strumenti fisiologici di gestione della crisi. Difendersi significa anche evitare mosse che peggiorano la posizione: ad esempio, evitare di garantire nuovi debiti con patrimonio personale quando l’azienda è già compromessa (a meno sia parte di un piano di salvataggio razionale), evitare di fare pagamenti preferenziali sconsiderati, non svuotare l’azienda di beni (oltre ad essere illecito, poi il curatore li farebbe revocare). Piuttosto, mantenere un dialogo con i creditori: molti fornitori e banche preferiscono una ristrutturazione concordata ad un fallimento conflittuale. Infine, proteggersi significa anche tutelare l’attivo aziendale da aggressioni: all’occorrenza, depositare per tempo un concordato con riserva per congelare le esecuzioni, oppure ottenere misure protettive dal giudice (questo è difendersi in senso tecnico, usando gli scudi legali disponibili). In sintesi, la strategia è: analisi precoce, scelta dello strumento adatto all’entità della crisi, e azione decisa e trasparente – così il debitore può massimizzare le chance di superare la crisi o quantomeno ridurre i danni per sé e i creditori.

Casi pratici di simulazione

Per consolidare quanto esposto, presentiamo di seguito due brevi simulazioni pratiche riferite alla nostra azienda tipo (Alfa S.r.l., produttrice di protezioni telescopiche e a soffietto), in due scenari diversi:

Caso 1: Concordato preventivo in continuità vs fallimento
Situazione: Alfa S.r.l. ha debiti totali per 1 milione di euro (500k verso banche di cui 300k garantiti da ipoteca su capannone, 300k verso fornitori, 100k debiti fiscali e 100k altri). L’attivo consta di: capannone del valore di mercato €400k, macchinari e magazzino €200k, crediti verso clienti €150k, cassa €50k. L’azienda ha ancora commesse e potrebbe generare utili futuri, ma servono investimenti in un nuovo macchinario. Senza risanamento, è insolvente.
Opzione A – Fallimento (liquidazione giudiziale): Il curatore liquiderebbe i beni: il capannone all’asta forse realizza €300k (vendita forzata), i macchinari e magazzino €100k, incassa crediti per €100k, cassa 50k. Incasso totale circa €550k. Devono essere pagati creditori ipotecari: la banca ipotecaria (credito €200k garantito da ipoteca primária sul capannone) prende €200k quasi integralmente dal ricavato capannone. Restano €350k per gli altri. Le spese procedura e prededucibili assorbono magari €50k. Restano €300k per chirografari su €800k di crediti chirografari: soddisfazione media 37,5%. I fornitori prendono circa 37,5%, Fisco pure (in parte privilegiato potrebbe aver qualcosa in più se privilegio su magazzino). Tempi: 3-4 anni di procedure, con incognite. L’azienda cessa subito, 10 dipendenti licenziati (prenderanno TFR dal Fondo). Il titolare rischia azioni per aver tardato (se tardò).
Opzione B – Concordato in continuità: Alfa prepara un piano: un investitore apporta €100k per comprare nuovo macchinario; con quello, in 3 anni prevede utile netto €200k. Propone: mantenere attività, pagare integralmente banca ipotecaria vendendo il capannone a un prezzo di mercato €400k (c’è un acquirente interessato a rilevare l’immobile e affittarlo all’azienda stessa), usare €200k di quella vendita per chiudere mutuo ipotecario (banca ipotecaria soddisfatta 100%), i restanti €200k della vendita più l’utile futuro €200k e la cassa iniziale €50k andranno ai creditori chirografari in 5 anni per totali €450k, cioè circa il 56% sui €800k chirografari. I debiti fiscali privilegiati (€80k su 100k) pagati 100% entro 2 anni grazie all’apporto soci e risparmi costi procedura. Totale ricavato utilizzato: €400k (vendita immobile) + €200k (utili) + €50k cassa + €100k nuovo investitore = €750k destinati. Di questi €200k banca, €80k fisco privil., €20k INPS privil., rimangono €450k per chirog. come detto = 56%. I creditori votano sì perché preferiscono 56% in 5 anni con azienda viva piuttosto che ~37% chissà quando con fallimento. I dipendenti mantengono il posto (azienda continua). L’imprenditore rimane alla guida, sotto vigilanza ma salva la sua impresa. Dopo 5 anni, eseguito il concordato, Alfa S.r.l. è risanata (ancorché senza immobile, ora in affitto). Il titolare ha evitato accuse di mala gestio, i creditori hanno avuto di più (specialmente i fornitori passano da 37 a 56%). Conclusione: il concordato in continuità ha permesso una soluzione win-win rispetto al fallimento, grazie al fatto che l’azienda aveva ancora vitalità. Naturalmente, questo scenario presuppone un investitore e credibilità nel piano industriale.

Caso 2: Composizione negoziata e concordato semplificato
Situazione: Beta S.r.l., stessa industria, ha debiti 800k, ma il mercato è in calo e l’imprenditore vorrebbe cessare l’attività senza perdere tutto. Attiva la composizione negoziata. L’esperto verifica che non c’è modo di proseguire l’attività in modo redditizio (macchinari obsoleti, nicchia di mercato ridotta). Però c’è un capannone e qualche attrezzatura vendibili. Durante le trattative, nessun investitore vuole rilevare l’azienda come attiva, e i creditori non accettano piani dilazionati perché non credono nella continuità. L’esperto dichiara esito negativo. Beta S.r.l. allora propone al tribunale un concordato semplificato: liquidare tutto il patrimonio, ma in proprio. Presenta un piano: vendere il capannone a €300k (ha già proposta condizionata), vendere macchinari via accordo privato a €50k, incassare crediti residui per €50k, incasso totale previsto €400k. Propone di distribuirli così: privilegio a banca ipotecaria €200k sul capannone (soddisfatta 100%), restanti €200k ai chirografari (che sono 600k) con soddisfo di circa 33%. Tempi: stima 6 mesi per vendere e pagare. I creditori, se fallimento, avrebbero forse ottenuto 25% in 2-3 anni. Il tribunale sente qualche opposizione (un fornitore dice che è poco), ma valuta che l’alternativa fallimentare è peggiore e che la vendita diretta del capannone a 300k è vantaggiosa (all’asta forse 250k). Omologa il concordato semplificato. Beta S.r.l. in pochi mesi vende i beni come da piano, e sotto controllo del liquidatore nominato dal giudice, distribuisce le somme. Dopo 8 mesi la società viene cancellata, i creditori hanno preso un terzo. L’imprenditore, pur avendo perso l’azienda, chiude la vicenda relativamente in fretta, e può dedicarsi ad altro. I creditori hanno evitato anni di attesa e percentuale ancor minore. Conclusione: la via semplificata ha offerto una soluzione rapida e (relativamente) efficiente per tutti, in un caso dove la prosecuzione non era un’opzione.

Questi esempi illustrano come, a seconda delle circostanze, si può scegliere l’approccio migliore: risanare se c’è base per farlo, oppure liquidare in modo controllato se l’importante è chiudere la crisi con meno danni possibili.

Conclusione

Affrontare un’impresa con debiti ingenti è una sfida complessa, ma l’ordinamento italiano oggi fornisce un vero arsenale di strumenti di tutela e di gestione, che il debitore può e deve utilizzare attivamente per “difendersi” dalle conseguenze peggiori. Il punto di vista del debitore in crisi è mutato: non più attesa passiva del fallimento, ma gestione proattiva della crisi. La legge impone responsabilità (adeguati assetti, dovere di attivarsi subito) ma al contempo offre opportunità: di rinegoziare i debiti, di liberarsi di parte di essi, di congelare le azioni esecutive mentre si cerca soluzione, di evitare sanzioni penali se ci si muove in un quadro trasparente, e perfino di ripartire puliti con l’esdebitazione.

Questa guida ha fornito una panoramica avanzata delle principali opzioni: dall’accordo bonario fino al concordato semplificato, passando per piani attestati, accordi omologati, concordati ordinari. Ogni impresa dovrà individuare, col supporto di professionisti, la roadmap più adatta al proprio caso. L’importante è non ignorare il problema: il tempo in questi frangenti spesso peggiora la situazione. “Difendersi” dai debiti significa, in ultima analisi, agire con razionalità e legalità per salvare il salvabile e ridurre al minimo le perdite per sé e per i creditori, perché – come ricorda una massima giurisprudenziale – “il fine della legislazione concorsuale non è punire il debitore, ma soddisfare nel miglior modo i creditori, compatibilmente con il risanamento dell’impresa se possibile”.

Il nostro ordinamento, aggiornato al 2025, incarna questo spirito: spinge il debitore onesto a venire allo scoperto presto e gli fornisce gli strumenti per comporre la crisi, anziché subirla. Aziende come quella del nostro esempio, produttrici di protezioni telescopiche e a soffietto o di qualsiasi altro settore, hanno oggi una via d’uscita: può essere stretta e richiede competenza nel percorrerla, ma c’è. Avvocati e consulenti specializzati sono le guide necessarie in questo percorso: come abbiamo visto, i tecnicismi sono molti e una mossa sbagliata può compromettere l’esito.

In definitiva, il messaggio per l’imprenditore debitore è: non sei condannato inevitabilmente al fallimento; hai delle carte legali da giocare per difenderti – giocale bene, con trasparenza e tempestività, e potrai trasformare la crisi in un capitolo superato della storia aziendale, anziché nella fine definitiva.

Fonti Normative e Giurisprudenziali (aggiornate a Ottobre 2025)

  • Codice Civile, art. 2086 c.c. (dovere di adeguati assetti e attivazione per superare la crisi) ; art. 2486 c.c. (gestione dopo scioglimento e criteri presuntivi di danno introdotti dall’art. 378 CCII) .
  • D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, CCII), come modificato dai correttivi D.Lgs. 147/2020, 83/2022 e 136/2024 . Parti rilevanti: definizioni di crisi/insolvenza, Titolo II (Composizione negoziata artt. 12-25 CCII, introdotti dal D.L.118/2021) , artt. 25-sexies e septies CCII (concordato semplificato) , art. 44 CCII (domanda di concordato con riserva) , art. 54-64 CCII (effetti della domanda di concordato/accordo: misure protettive) , art. 84-88 CCII (tipi di concordato e requisiti, continuità vs liquidatorio), art. 94 CCII (contratti pendenti nel concordato), art. 112 CCII (omologazione concordato), art. 63-64 CCII (transazione fiscale e trattamento crediti erariali/previdenziali nelle procedure) , art. 166 e 324 CCII (esenzioni da revocatoria e bancarotta per atti in esecuzione di piano attestato) , art. 88 co.4-ter TUIR (esonero tassazione sopravvenienze da concordati/accordi/piani pubblicati) .
  • Legge 19 ottobre 2017 n. 155 (Legge Delega Riforma Insolvenza) – principi delega, in particolare sugli strumenti di allerta e composizione stragiudiziale .
  • D.L. 24 agosto 2021 n. 118, convertito in L. 147/2021 (norma istitutiva composizione negoziata e concordato semplificato) .
  • Legge 30 dicembre 2022 n. 197 (Legge di Bilancio 2023), art. 1 commi 231-252 (Definizione agevolata 2023 “rottamazione-quater”) – regime di stralcio sanzioni e interessi per debiti fiscali .
  • Codice Penale e leggi tributarie speciali: D.Lgs. 74/2000 (reati tributari: art. 10-bis omesso versamento ritenute, art. 10-ter omesso versamento IVA), L. 638/1983 art. 2 (reato omesso versamento contributi previdenziali oltre soglia).
  • Corte d’Appello di Torino, 25 maggio 2020 – Sentenza su responsabilità amministratori per omessi versamenti tributari/previdenziali: obbligo di attivarsi per piani di rientro, danno emergente da interessi e sanzioni maturati .
  • Cassazione Civile, Sez. I, 24 gennaio 2023 n. 2172 – Mala gestio: limiti al business judgment rule, atto di acquisto azienda indebitata senza adeguate misure di rilancio è responsabile .
  • Cassazione Civile, Sez. VI, 3 gennaio 2023 n. 64 – Criteri valutazione stato di insolvenza: impossibilità strutturale di adempiere, non meramente temporanea; irrilevanza di singoli inadempimenti se non sintomatici .
  • Cassazione Penale, Sez. V, 5 marzo 2024 n. 573 (Trib. Torino) – Responsabilità penale amministratore per omesso versamento contributi (anche in contesti condominiali) – principio estensibile alle S.r.l.: l’amministratore in carica risponde del reato omissivo .
  • Massimario Corte di Cassazione – Relazione 1 febbraio 2025 (studio ufficioso): illustra novità Codice della crisi, composizione negoziata e concordato semplificato .
  • Unioncamere – Dati composizione negoziata (Comunicato 13/11/2025): oltre 3.600 istanze, 423 esiti positivi, strumento principale di soluzione crisi dal 2025 .
  • Camera dei Deputati – Dossier “Riforma delle procedure di insolvenza” (Giugno 2025): riassunto evoluzione normativa, incluso D.Lgs. 83/2022 e 136/2024 (secondo e terzo correttivo Codice) .
  • Camera di Commercio di Torino – Guida “Piano attestato di risanamento” (2023): definizione di piano attestato, requisiti (atto unilaterale, attestazione veridicità e fattibilità, accordi con i creditori), effetti protettivi (non revocabilità atti, esenzione bancarotta) .

La tua azienda che produce, progetta o distribuisce protezioni telescopiche, soffietti industriali, coperture per macchine utensili, protezioni per guide lineari, soffietti in PVC, TPU, gomma e tessuti tecnici, lamelle, protezioni per CNC e macchine di precisione, oppure fornisce servizi di riparazione, retrofit e ricambi, oggi è schiacciata dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua azienda che produce, progetta o distribuisce protezioni telescopiche, soffietti industriali, coperture per macchine utensili, protezioni per guide lineari, soffietti in PVC, TPU, gomma e tessuti tecnici, lamelle, protezioni per CNC e macchine di precisione, oppure fornisce servizi di riparazione, retrofit e ricambi, oggi è schiacciata dai debiti?
Ricevi solleciti, richieste di rientro, blocchi delle forniture, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o minacce di pignoramento da banche, Fisco, INPS, fornitori di materiali tecnici o Agenzia Entrate-Riscossione?

Il settore delle protezioni telescopiche e dei soffietti è impegnativo: materiali specifici, produzione artigianale o semi–industriale, lavorazioni personalizzate, magazzini ricchi di articoli su misura e clienti (meccanica, CNC, automazione) che spesso pagano a 60–120 giorni.
Un blocco della liquidità può trasformarsi rapidamente in una crisi grave.

La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con la strategia appropriata.


Perché un’Azienda di Protezioni Telescopiche e Soffietti va in Debito

  • aumento dei costi di PVC, TPU, nylon, acciai, tessuti tecnici e lavorazioni meccaniche
  • pagamenti lenti da parte di officine, costruttori di macchine utensili e integratori
  • magazzino immobilizzato tra soffietti, lamelle, protezioni su misura e componenti
  • costi elevati di produzione, taglio, termoformatura, incollaggio e cuciture tecniche
  • necessità di stock minimo per evadere richieste urgenti
  • riduzione o revoca delle linee di credito bancarie

Il problema non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi se Non Intervieni Subito

  • pignoramento dei conti correnti aziendali
  • blocco dei fidi bancari
  • sospensione delle forniture di materiali tecnici
  • decreti ingiuntivi, precetti e atti esecutivi
  • sequestro di soffietti, lamelle, protezioni e attrezzature di produzione
  • impossibilità di completare ordini e riparazioni
  • perdita di clienti strategici del settore meccanico

Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato specializzato può:

  • sospendere pignoramenti
  • fermare richieste di rientro urgenti
  • proteggere conti correnti e liquidità aziendale
  • bloccare le azioni dell’Agenzia Riscossione

Prima si mette in sicurezza l’impresa, poi si interviene sui debiti.


2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti

Spesso i debiti includono:

  • interessi non dovuti
  • sanzioni sbagliate o gonfiate
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori della Riscossione
  • commissioni bancarie anomale

Una parte consistente del debito può essere tagliata o cancellata.


3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile

Soluzioni possibili:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi di rientro con fornitori strategici (PVC, TPU, acciai, tessuti tecnici)
  • rinegoziazione dei fidi bancari
  • sospensione temporanea dei pagamenti
  • utilizzo delle definizioni agevolate se disponibili

4. Usare strumenti legali potentissimi che bloccano TUTTI i creditori

Quando la crisi è più avanzata, è possibile ricorrere a:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • Accordi di ristrutturazione dei debiti
  • Concordato minore
  • (nei casi più estremi) Liquidazione controllata

Queste procedure permettono all’azienda di continuare a lavorare pagando solo una parte del debito, sospendendo completamente tutte le azioni esecutive.


Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo

Per salvare aziende del settore meccanico–tecnico servono competenze specifiche.
L’Avv. Monardo è:

  • Avvocato Cassazionista
  • Coordinatore nazionale di un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012) – negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • Professionista fiduciario di un OCC
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

È il professionista ideale per bloccare creditori, ridurre debiti e salvare aziende che operano con protezioni telescopiche, soffietti e coperture per CNC.


Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo

  • analisi immediata della tua esposizione debitoria
  • stop a pignoramenti e decreti ingiuntivi
  • riduzione dei debiti non dovuti
  • ristrutturazione completa del debito
  • protezione del magazzino, delle protezioni e della produzione
  • trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • tutela totale dell’imprenditore e dell’azienda

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di protezioni telescopiche e a soffietto non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, efficace e completamente legale, puoi:

  • bloccare subito i creditori,
  • ridurre realmente i debiti,
  • salvare produzione, ordini e clienti,
  • difendere il futuro della tua attività.

Agisci ora.

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Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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