Se la tua azienda produce, importa o distribuisce nastro di tenuta per filetti in PTFE, nastri sigillanti, guarnizioni PTFE, materiali per idraulica, pneumatica, impianti industriali, serramentistica, forniture tecniche e ricambi, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è indispensabile intervenire subito per evitare blocchi alle consegne e perdita di clienti ricorrenti.
Nel settore della sigillatura industriale, la continuità delle forniture è essenziale: un ritardo nelle consegne può fermare installazioni idrauliche, impianti industriali, commesse edili e lavorazioni artigiane, con conseguenti penali e danni commerciali.
Perché le aziende di nastro PTFE accumulano debiti
- aumento dei costi delle materie prime fluorurate e dei materiali importati
- rincari nei trasporti internazionali
- pagamenti lenti da parte di idraulici, impiantisti, industrie e rivenditori
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con molte misure, densità e qualità di nastro PTFE
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai volumi di stock
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista tutta la situazione debitoria
- individuare quali debiti possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro insostenibili che drenano liquidità
- chiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
- proteggere rapporti con fornitori strategici e materiali essenziali
- utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti in modo efficace
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di nastro PTFE, guarnizioni e materiali tecnici
- impossibilità di servire idraulici, industrie e rivenditori tecnici
- perdita di clienti fidelizzati e contratti ricorrenti
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina un team nazionale di avvocati e commercialisti specializzati in diritto bancario e tributario. È inoltre:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può aiutarti concretamente a:
- bloccare pignoramenti e atti esecutivi
- ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti più efficaci previsti dalla legge
- ottenere rateizzazioni veramente sostenibili
- proteggere scorte, materiali, fornitori e continuità operativa
- evitare la chiusura e accompagnare la tua azienda verso un vero risanamento
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Introduzione
Un’azienda produttrice di nastri di tenuta in PTFE per filetti (ad esempio una S.r.l. specializzata in forniture tecniche) può trovarsi, come molte PMI italiane, a fronteggiare una situazione di crisi debitoria. I debiti possono accumularsi verso il Fisco (IVA, imposte dirette), verso l’INPS per contributi, nei confronti di banche per finanziamenti, verso fornitori, oppure anche verso i dipendenti o altri creditori. Dal punto di vista del debitore, l’obiettivo primario è evitare il fallimento (oggi tecnicamente denominato liquidazione giudiziale), negoziare i debiti in modo sostenibile e proteggere il patrimonio personale dei soci e degli amministratori. Questa guida – aggiornata a ottobre 2025 – fornisce un quadro avanzato delle soluzioni difensive disponibili nel quadro normativo italiano attuale, con linguaggio giuridico ma divulgativo, ricco di fonti normative e riferimenti a sentenze recenti.
Nel 2025 il tradizionale termine “fallimento” è stato abbandonato in favore di liquidazione giudiziale, introdotta dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) . Allo stesso tempo sono stati implementati strumenti innovativi per la gestione anticipata della crisi, come le procedure di allerta e la composizione negoziata della crisi, nonché nuovi istituti di ristrutturazione del debito (accordi, piani omologati) ispirati alla direttiva UE 2019/1023. Questi strumenti mirano a intercettare precocemente i segnali di difficoltà e a favorire soluzioni prima che l’insolvenza degeneri in liquidazione .
In questa guida esamineremo dapprima le principali tipologie di debiti aziendali (tributari, previdenziali, bancari, commerciali, ecc.), evidenziandone i rischi e le possibili azioni difensive. Successivamente tratteremo le strategie legali avanzate per gestire e risanare la crisi d’impresa: dagli strumenti stragiudiziali (piani attestati, accordi di ristrutturazione) alle procedure concorsuali vere e proprie (composizione negoziata, concordato preventivo, piano di ristrutturazione omologato PRO), fino alla liquidazione giudiziale e alle alternative riservate alle imprese minori. Un’enfasi particolare sarà data alle soluzioni per evitare il fallimento, incluse procedure introdotte di recente come la composizione negoziata della crisi e il concordato semplificato, nonché alle tecniche per tutelare il patrimonio personale dei soci e degli amministratori dalla aggressione dei creditori.
Troverete inoltre tabelle riepilogative che confrontano i vari strumenti disponibili e sezioni Domande&Risposte per chiarire i dubbi più frequenti (ad es. “Un socio deve pagare i debiti della S.r.l.?” oppure “Come funziona la transazione col Fisco?”). Verranno citate le norme rilevanti e le pronunce giurisprudenziali più aggiornate (Corte di Cassazione e altre) per fornire riferimenti solidi a professionisti (avvocati, commercialisti) ma anche a imprenditori e privati interessati. L’approccio è pratico e focalizzato sul debitore: esploreremo cosa fare (e cosa non fare) quando un’azienda è sovraindebitata, attraverso anche simulazioni di casi reali in Italia, in modo da comprendere come difendersi e tentare il risanamento evitando esiti distruttivi.
(Nota terminologica: per semplicità useremo talora il termine “fallimento” riferendoci alla liquidazione giudiziale, e parleremo di “azienda” o “impresa” per indicare la società debitrice in crisi. I termini sono da intendersi secondo la disciplina vigente del CCII.)
Panoramica sui debiti aziendali e relativi rischi
Una società a responsabilità limitata (S.r.l.) offre per sua natura una separazione tra patrimonio aziendale e personale dei soci (principio della responsabilità limitata ex art. 2462 c.c. ). Ciò significa che, in condizioni normali, i debiti della società dovrebbero gravare solo sul patrimonio sociale. Tuttavia, quando l’azienda è in crisi e non paga i creditori, sorgono una serie di rischi legali sia per la società sia, in alcuni casi, per i suoi esponenti (amministratori e soci). In questa sezione esamineremo le diverse categorie di debiti e le conseguenze tipiche del mancato pagamento, fornendo per ciascuna strategie di difesa o composizione.
Debiti tributari (Erario e Agenzia Entrate Riscossione)
I debiti tributari includono imposte non versate (es. IVA, IRES, IRAP), ritenute non pagate, oltre a sanzioni e interessi maturati. In Italia, la riscossione coattiva di gran parte di queste somme è affidata all’Agenzia delle Entrate–Riscossione (AdER) (ex Equitalia). I rischi principali in caso di debiti fiscali sono:
- Cartelle esattoriali e atti di riscossione: dopo l’accertamento fiscale, l’AdER emette cartelle di pagamento. Se la società non paga entro i termini, scattano misure come il fermo amministrativo di veicoli aziendali, l’ipoteca su immobili sociali, o il pignoramento di conti correnti e beni . Questi atti incidono sull’operatività dell’azienda (es., conto bloccato, impossibilità di disporre liberamente di macchinari o automezzi).
- Sanzioni e interessi: il debito fiscale cresce nel tempo per via di sanzioni (per omesso versamento) e interessi moratori. Ciò può rendere ancora più difficile il rientro. Tuttavia, va segnalato che periodicamente il legislatore introduce misure di definizione agevolata (“rottamazione” delle cartelle), con riduzione di sanzioni e interessi. Ad esempio, la Legge di Bilancio 2023 ha previsto una Rottamazione-quater per i ruoli fino al 2017, consentendo di pagarli senza sanzioni e con interessi ridotti in 18 rate . Aggiornamenti al 2025: il governo ha annunciato ulteriori possibili “tregue fiscali” per facilitare la regolarizzazione dei debiti pregressi, pertanto il debitore dovrebbe informarsi sulle eventuali nuove rottamazioni o sanatorie in vigore.
- Perdita di benefici e rating fiscale: un’impresa con cartelle esattoriali non regolate perde il DURC fiscale e può vedersi negare certificati di regolarità necessari per appalti pubblici o finanziamenti. Inoltre, l’agente della riscossione può iscrivere il debitore nell’elenco dei cattivi pagatori fiscali, con impatto reputazionale.
Come difendersi sui debiti tributari? In primo luogo, verificare sempre la legittimità delle pretese: è possibile presentare ricorso tributario contro avvisi di accertamento o cartelle se si ravvisano errori o indebiti. In tal caso, ottenendo la sospensione giudiziale, si congelano gli effetti esecutivi. Se invece il debito è certo, il rimedio tipico è chiedere una rateizzazione all’AdER: oggi si possono ottenere fino a 72 rate mensili (6 anni) per importi fino a €120.000, e fino a 120 rate (10 anni) per debiti maggiori o in caso di comprovata difficoltà . La rateazione, se concessa, blocca nuove azioni esecutive purché si rispettino le scadenze delle rate.
Un ulteriore strumento, introdotto di recente nel Codice della crisi, è la transazione fiscale all’interno di procedure concorsuali o di composizione. Tradizionalmente, solo in un concordato preventivo o in un accordo di ristrutturazione omologato il Fisco poteva accettare un pagamento parziale delle imposte (c.d. falcidia) e/o una dilazione più lunga. Nel contesto delle trattative di composizione negoziata, inizialmente non era ammesso proporre stralci del debito fiscale (salvo il mero differimento previsto dall’art. 25-bis CCII) . Tuttavia, una riforma del 2024 (D.lgs. 136/2024, c.d. “Correttivo ter”) ha introdotto la possibilità di concludere un “accordo transattivo” con l’Erario anche nell’ambito della composizione negoziata, consentendo di definire il debito tributario con un pagamento parziale e/o dilazionato concordato . Ciò include anche l’IVA (tradizionalmente di difficile falcidia), grazie a una recente apertura europea . Rimane invece esclusa per ora la falcidia dei debiti previdenziali (INPS) in tale sede – tema su cui si auspica un intervento normativo correttivo.
Infine, va menzionato il sistema di allerta fiscale: dal luglio 2022, se un’impresa accumula debiti tributari oltre certe soglie, gli enti pubblici inviano una segnalazione di allerta. Ad esempio, l’Agenzia Entrate–Riscossione deve avvisare una S.r.l. quando i ruoli affidati e scaduti da oltre 90 giorni superano €500.000 . La comunicazione (riservata, via PEC) invita formalmente l’imprenditore ad attivare la Composizione Negoziata o analoghi strumenti . Ignorare tali avvisi non comporta immediatamente sanzioni aggiuntive, ma è un serio campanello d’allarme: perseverare nell’inattività potrebbe spingere il Fisco ad azioni più aggressive (pignoramenti) e, nei casi estremi, perfino all’iniziativa d’ufficio del Pubblico Ministero per aprire una procedura concorsuale. Conviene dunque, al ricevimento di un’allerta, correre ai ripari: valutare un piano di rientro col Fisco, magari sfruttando la composizione negoziata che offre anche alcune “misure premiali” (ad esempio, esenzioni da responsabilità penale per alcuni reati tributari minori se ci si attiva tempestivamente).
Un cenno, infine, alla responsabilità personale di soci e amministratori per i debiti tributari sociali. In linea generale, la società di capitali risponde con il proprio patrimonio, ma esistono casi particolari: se la società viene dissolta e cancellata dal Registro Imprese con debiti tributari non pagati, l’Agenzia delle Entrate può perseguire gli ex soci entro il limite di quanto questi hanno riscosso in sede di liquidazione . La Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. 3625/2025) ha chiarito che gli ex soci non sono automaticamente responsabili per i debiti fiscali residui, salvo prova che abbiano ricevuto distribuzioni dall’attivo finale . In pratica, il Fisco può notificare avvisi agli ex soci, ma in un eventuale contenzioso dovrà dimostrare che essi si sono ripartiti utili o beni della società estinta, ed essi risponderanno solo entro tale importo . Inoltre, l’art. 36 del DPR 602/1973 prevede una responsabilità solidale specifica per soci e liquidatori che abbiano ricevuto assetti nei due anni precedenti la messa in liquidazione, a garanzia delle imposte dovute . Va infine ricordato che gli amministratori possono incorrere in responsabilità personali o penali se omettono di versare talune imposte: ad esempio, l’omesso versamento dell’IVA oltre soglie di legge (attualmente €250.000 annui) è reato, così come l’omesso versamento di ritenute previdenziali oltre €10.000. Queste sanzioni penali sono autonome rispetto al debito fiscale: ciò significa che attivarsi per tempo nelle procedure di composizione della crisi non solo aiuta a gestire il debito, ma può attenuare o evitare conseguenze penal-tributarie (la normativa sulle “misure premiali” del CCII prevede cause di non punibilità per alcuni reati tributari se entro certi termini si perfeziona un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione dei debiti con pagamento di almeno il 30% del debito tributario ). È dunque fondamentale, per difendersi da un debito fiscale, agire tempestivamente, con l’assistenza di esperti tributaristi, valutando sia i rimedi dilatori (ricorsi, sospensioni) sia le soluzioni di merito (piani di pagamento, transazioni fiscali in sede concorsuale).
Debiti verso enti previdenziali (INPS e INAIL)
I debiti previdenziali riguardano principalmente i contributi INPS dovuti per i lavoratori dipendenti o per i soci lavoratori, nonché i premi assicurativi INAIL. Queste obbligazioni hanno natura privilegiata (privilegio generale sui mobili ex art. 2753 c.c. per contributi) e il loro mancato pagamento comporta sia conseguenze amministrative che possibili profili penali.
Le conseguenze principali sono:
- Cartelle esattoriali INPS/INAIL: come per le imposte, anche i contributi non versati vengono iscritti a ruolo e affidati all’AdER. L’Agente della Riscossione può quindi agire con fermi, ipoteche e pignoramenti similmente a quanto descritto per i debiti fiscali. Ad esempio, il mancato versamento delle rate dei contributi previdenziali può portare al blocco dei beni aziendali o al pignoramento di crediti verso terzi (anche i crediti verso i clienti possono essere pignorati).
- DURC irregolare: la mancata regolarità contributiva risulta nel DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) negativo. Un’azienda senza DURC regolare è esclusa da appalti pubblici e non può, ad esempio, partecipare a gare o ottenere taluni benefici (finanziamenti agevolati, bonus edilizi ecc.). Inoltre, in alcuni settori (edilizia, metalmeccanica) fornitori e committenti richiedono il DURC prima di effettuare pagamenti, quindi l’irregolarità può congelare rapporti commerciali.
- Sanzioni civili: l’INPS applica sulle somme dovute sanzioni civili (interessi e soprassanzioni che possono arrivare al 9% annuo o più) per scoraggiare il ritardo nei versamenti. Tali importi aggiuntivi accrescono il debito iniziale.
- Reati: come accennato, esiste il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali (art. 2, D.L. 463/1983 conv. L. 638/1983) se l’omissione supera una certa soglia (€10.000 annui). Questo reato, a carico degli amministratori, prevede attualmente la pena della reclusione fino a 3 anni o multa, salvo estinzione se si paga il dovuto entro specifici termini (entro il pagamento integrale dei contributi prima dell’apertura del dibattimento). Anche in questo caso sono state introdotte cause di non punibilità se l’imprenditore attiva con successo strumenti di composizione della crisi versando almeno parte dei contributi dovuti entro determinati limiti temporali (norme anch’esse collegate alle “misure premiali” del Codice della crisi).
Come difendersi sui debiti INPS/INAIL? Diversi strumenti ricalcano quelli già visti per il Fisco:
- Rateazione del debito: l’INPS consente piani di dilazione fino a 24 rate mensili (estendibili eccezionalmente a 36) per debiti contributivi, se l’azienda dimostra temporanea difficoltà. Una volta ottenuta la rateazione e pagata la prima rata, l’INPS rilascia un DURC provvisorio regolare, così l’azienda può continuare l’attività senza esclusioni dagli appalti (purché si mantenga in regola con le rate) . Anche l’INAIL offre piani di rateazione simili per i premi assicurativi.
- Sgravio di sanzioni: in alcune definizioni agevolate (ad esempio i “saldo e stralcio” per contribuenti in difficoltà previsti nel 2019 e 2023) sono state incluse anche le sanzioni su contributi previdenziali. È importante verificare se la normativa vigente al 2025 include qualche possibilità di ridurre sanzioni o interessi su tali debiti (es. condoni o stralcio di mini importi sotto €1.000, che nel 2023 ha coinvolto anche contributi minori).
- Transazione dei contributi: all’interno di procedure concorsuali, come il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione, è prevista la cosiddetta transazione previdenziale, analogamente a quella fiscale. In pratica, l’INPS può accettare un pagamento parziale dei propri crediti privilegiati se la proposta del debitore garantisce almeno la quota di realizzo che otterrebbe in caso di fallimento (c.d. soddisfazione congrua e conveniente). Ad esempio, se dal piano risulta che in caso di liquidazione il credito INPS verrebbe pagato al 30%, l’ente potrebbe votare a favore di una proposta concordataria che prevede il pagamento di quella stessa percentuale (magari dilazionata). Ciò è reso possibile dall’art. 63 CCII che disciplina la trattazione unitaria di debiti tributari e contributivi nelle procedure, consentendo falcidie con il voto favorevole dell’ente. Va sottolineato però che, a differenza dell’Erario, attualmente in composizione negoziata non è possibile falcidiare i contributi (come visto sopra) , salvo includerli successivamente in un concordato o accordo omologato.
- Allerta INPS: anche l’INPS è un creditore pubblico qualificato soggetto all’obbligo di segnalazione. Come indicato dalle norme (art. 25-novies CCII), se un’azienda con dipendenti ha un debito contributivo >15.000 € e superiore al 30% del dovuto annuale, e persiste il mancato pagamento per oltre 90 giorni, l’INPS invia al legale rappresentante una lettera di allerta . Per aziende senza dipendenti, la soglia è 5.000 €. Ricevuta tale segnalazione, l’imprenditore dovrebbe attivarsi immediatamente (idealmente avviando la composizione negoziata o un altro strumento) per evitare sia l’aggravarsi del debito (ulteriori contributi continueranno a scadere) sia il deteriorarsi dei rapporti con l’ente. Ignorare ripetute segnalazioni può portare l’INPS a decidere di iscrivere ipoteche o avviare procedure esecutive con minore tolleranza.
In caso di crisi aziendale grave, i debiti contributivi spesso accompagnano quelli fiscali come sintomo dell’insolvenza. Per un amministratore, è fondamentale non aggravare la propria posizione: se la società non è in grado di pagare gli stipendi e relativi contributi, posticipare indefinitamente i versamenti INPS può generare responsabilità anche di tipo risarcitorio verso i dipendenti (che potrebbero subire danni dal mancato versamento ai loro fondi pensionistici) e rischi penali. Meglio piuttosto valutare l’ingresso in una procedura concorsuale: ad esempio, in caso di apertura di un concordato o fallimento, i dipendenti possono accedere al Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime retribuzioni, mitigando le conseguenze sociali. Inoltre, l’apertura tempestiva di una procedura evita l’accumularsi di ulteriori contributi non versati e circoscrive il periodo di esposizione penale per gli amministratori. In sintesi, per difendersi da debiti INPS/INAIL, l’approccio consigliato è: trasparenza con gli enti, adesione a piani di rientro se sostenibili, oppure ricorso ad una procedura concorsuale per gestire collettivamente la crisi includendo tali debiti in un piano.
Debiti bancari e finanziari
Molte PMI come la nostra ipotetica azienda di produzione nastri in PTFE operano facendo ricorso al credito bancario: fidi di conto corrente, mutui per macchinari, leasing, anticipo fatture, ecc. I debiti bancari possono rapidamente diventare critici se l’azienda entra in crisi di liquidità. Le banche, pur essendo creditori spesso “garantiti” (tramite ipoteche, pegni su beni o fideiussioni personali dei soci), in caso di inadempimento attivano procedure di recupero molto rigorose. Ecco i principali rischi e scenari in caso di insolvenza verso banche:
- Decadenza dal beneficio del termine e revoca degli affidamenti: se l’azienda salta una rata di mutuo o sconfina oltre i fidi concessi, la banca può revocare gli affidamenti e dichiarare la decadenza dal termine, chiedendo il rimborso immediato di tutto il capitale residuo. Questo mette l’impresa in default formale su tutto il debito bancario, spesso generando segnalazioni negative in Centrale Rischi (pregiudicando ogni ulteriore credito).
- Escussione delle garanzie: le banche tipicamente hanno garanzie reali (es. ipoteca su immobili aziendali o pegno su attrezzature, pegno su magazzino) e/o garanzie personali (fideiussioni) dei soci o di società collegate. In caso di mancato pagamento, dopo eventuali intimazioni di pagamento (decorsi i termini contrattuali di tolleranza), la banca può procedere ad iscrivere ipoteca giudiziale (se non c’è già ipoteca volontaria) e successivamente avviare una esecuzione forzata sui beni ipotecati (es. pignoramento immobiliare) o su quelli oggetto di pegno. Se vi sono fideiussori, la banca può agire in via immediata anche contro di loro, richiedendo il pagamento dell’intero debito garantito. Ciò significa che, se un socio ha garantito personalmente il mutuo aziendale, il suo patrimonio personale (es. casa, conti correnti personali) è a rischio di escussione.
- Interessi moratori e costi legali: la banca, accertato l’inadempimento, applica tassi di interesse di mora spesso molto elevati (anche >2-3 punti oltre il tasso ordinario) sull’importo scaduto, oltre a imputare all’azienda tutti i costi di recupero (spese legali, perizie, procedura esecutiva), che fanno lievitare ulteriormente l’esposizione dovuta.
Come gestire e difendersi da debiti bancari in fase di crisi? Alcune linee d’azione possibili sono:
- Rinegoziazione del debito: in ottica stragiudiziale, la società può aprire un dialogo con la banca prima che la situazione precipiti. Le banche, soprattutto se il debitore dimostra buona fede e trasparenza, possono valutare soluzioni di ristrutturazione del debito: ad esempio, una moratoria temporanea dei pagamenti (come avvenuto con l’accordo ABI durante l’emergenza Covid), un allungamento dei piani di ammortamento, o la concessione di un nuovo finanziamento per ripianare gli arretrati (magari assistito da garanzie statali tipo Fondo PMI). È essenziale presentare alla banca un piano di risanamento credibile, magari corredato da una perizia indipendente (questo approccio rientra nel piano attestato di risanamento, di cui diremo oltre). Se la banca intravede prospettive di recupero maggiore sostenendo l’impresa piuttosto che liquidandola, può aderire a un accordo.
- Accordo stragiudiziale con le banche (workout): se l’esposizione è verso più banche (pool di banche), può essere utile cercare un accordo coordinato. I c.d. “accordi di ristrutturazione dei debiti” ex art. 57 CCII (già art. 182-bis l.fall.) sono esattamente pensati per formalizzare un workout bancario: se si ottiene l’adesione di almeno il 60% dei crediti totali, l’accordo può essere omologato dal Tribunale e diventare vincolante per i creditori aderenti . In tali accordi è frequente la previsione di stralci (haircut) su parte di credito, conversione di credito in capitale (debt-equity swap), o consolidamento dei debiti in nuove linee a più lunga scadenza. Un vantaggio di questa procedura è la riservatezza (si evita il clamore di un concordato) e la rapidità, ma occorre coinvolgere una larga parte delle banche. Inoltre, il CCII prevede anche la possibilità di estendere gli effetti di un accordo ai creditori finanziari dissenzienti, se aderiscono almeno il 75% di quelli della stessa categoria (ad es. se 80% delle banche per valore accetta, il piano può essere reso efficace anche verso il 20% che rifiuta, purché siano banche con posizione giuridica omogenea e non privilegiate da trattamenti peggiori).
- Protezione tramite composizione negoziata: qualora la rinegoziazione informale non decolli e si tema un’azione immediata delle banche (pignoramenti, ecc.), l’azienda può attivare la Composizione Negoziata della Crisi. In questa procedura (approfondita più avanti) l’impresa può chiedere al tribunale misure protettive che sospendono le azioni esecutive dei creditori per la durata delle trattative (di norma 4 mesi) . Ciò impedisce alle banche di escutere le garanzie durante la composizione negoziata, dando respiro all’azienda. È chiaro che tale protezione è concessa solo se c’è una trattativa in corso e prospettive concrete di risanamento. Ad esempio, se l’imprenditore sta negoziando la cessione di un ramo d’azienda che permetterebbe di pagare parte dei debiti bancari, il Tribunale potrebbe confermare le misure protettive per evitare che una banca precipiti l’esecuzione e vanifichi la trattativa. In caso di composizione negoziata con misure protettive, le banche dovranno attendere e non potranno iscrivere nuove ipoteche né iniziare (o proseguire) pignoramenti sul patrimonio del debitore durante la moratoria autorizzata.
- Fideiussioni dei soci: un capitolo a parte riguarda la difesa del patrimonio personale dei soci garanti. Se uno o più soci (o gli amministratori personalmente) hanno firmato fideiussioni, la banca è libera di agire anche contro di loro in caso di default della società, senza bisogno di aspettare l’esito di concordati o procedure (la fideiussione di solito prevede la rinuncia al beneficio di preventiva escussione, quindi il fideiussore è immediatamente co-obbligato). Per proteggersi, il socio fideiussore può: (i) partecipare ai negoziati cercando di includere la liberazione (anche parziale) delle garanzie personali nella ristrutturazione – ad esempio offrendo un pagamento concordato “a saldo e stralcio” direttamente a fronte dell’esdebitazione; (ii) qualora la banca agisca legalmente contro di lui, valutare la possibilità di un accordo transattivo personale (magari coinvolgendo il patrimonio familiare, vendendo beni non strategici per chiudere l’esposizione); (iii) in caso estremo di escussione insostenibile, il socio persona fisica ha accesso alle procedure di sovraindebitamento (oggi concordato minore o liquidazione controllata – v. oltre) per cercare l’esdebitazione personale. Ad esempio, se la banca escute la fideiussione e ottiene un decreto ingiuntivo di €500.000 contro il socio, quest’ultimo – se privo di risorse per pagarla – potrebbe presentare un piano del consumatore (se il debito non è derivante da attività d’impresa propria) o una liquidazione controllata del patrimonio per liberarsi residualmente dal debito dopo la liquidazione dei suoi beni disponibili. Si tratta di situazioni delicate, che vanno affrontate con l’assistenza di legali: importante è non attendere passivamente il pignoramento della casa o del conto corrente personale, ma attivarsi per tempo, eventualmente anche chiedendo la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo in tribunale se ci sono trattative in corso.
In sintesi, i debiti bancari richiedono un approccio proattivo: riconoscere i segnali (tensione di cassa, covenants violati, richieste di rientro), dialogare con gli istituti per trovare soluzioni graduali e, se ciò non basta, ricorrere agli strumenti concorsuali che permettono una gestione unitaria dei crediti finanziari. Va ricordato che le banche, essendo spesso creditori muniti di privilegi o garanzie reali, giocano un ruolo determinante in ogni ristrutturazione: un piano di risanamento sostenibile dovrà prevedere come soddisfare (anche parzialmente) tali creditori privilegiati, perché ignorarli significherebbe quasi certamente subire iniziative aggressive. Più avanti vedremo come nei concordati e nei piani di ristrutturazione omologati (PRO) sia possibile anche “cramdown” dei creditori finanziari dissenzienti, ma ciò richiede il rispetto di regole rigorose e il voto favorevole di una maggioranza qualificata delle classi di creditori.
Debiti verso fornitori e altri creditori non privilegiati
I debiti commerciali verso fornitori di materie prime, servizi, utenze, ecc. costituiscono spesso una parte consistente del passivo di un’azienda manifatturiera. Quando la società smette di pagare alle scadenze pattuite, i fornitori (che in genere sono creditori chirografari, cioè non garantiti) possono attivare varie azioni:
- Solleciti e messa in mora: in prima battuta il fornitore insoluto invia solleciti e può notificare una formale diffida ad adempiere o mettere in mora il debitore. Questo atto interrompe la prescrizione e prelude a iniziative legali se il debitore non provvede.
- Decreto ingiuntivo e pignoramento: trascorso inutilmente il termine fissato nella diffida, il fornitore può richiedere un decreto ingiuntivo al giudice, ottenendo un titolo esecutivo (spesso provvisoriamente esecutivo in presenza di fatture non contestate). Con il decreto, può procedere a pignorare conti correnti aziendali, beni mobili (macchinari, merci in magazzino) e persino crediti dell’azienda verso i suoi clienti (pignoramento presso terzi). A differenza di banche e Fisco, i fornitori non godono di cause legittime di prelazione, per cui in sede di pignoramento concorrono proporzionalmente se ve ne sono più d’uno. Tuttavia, l’effetto destabilizzante per l’impresa è forte: ad esempio, un pignoramento del conto corrente da parte di un fornitore può bloccare tutta l’operatività finanziaria, oppure il pignoramento delle merci può impedire di evadere ordini, aggravando la crisi.
- Azioni revocatorie e risoluzione contratti: se la società in crisi continua a pagare alcuni fornitori e non altri, in caso di successivo fallimento i pagamenti preferenziali potrebbero essere revocati (azione revocatoria fallimentare) dal curatore entro 6 mesi/1 anno se il creditore conosceva lo stato di insolvenza. Ciò crea incertezza nei fornitori, che potrebbero rifiutare pagamenti parziali “a saldo” per timore di doverli restituire. Inoltre, i fornitori stessi possono recedere o risolvere i contratti di fornitura in caso di inadempimento, a volte aggravando la situazione (es. interrompendo la fornitura di materiali essenziali alla produzione, costringendo l’azienda quasi al fermo produttivo).
Come difendersi dalle azioni dei fornitori? Anzitutto, sul piano negoziale, è spesso possibile ottenere dilazioni informali dai fornitori, specie quelli interessati a mantenere il rapporto commerciale. Un fornitore preferirà magari essere pagato in 6 mesi piuttosto che far fallire il cliente e recuperare forse il 10% dopo anni. Dunque, l’imprenditore dovrebbe comunicare tempestivamente con i creditori commerciali, spiegando la situazione e magari proponendo un piano di rientro (rate mensili, emissione di cambiali agrarie, assicurazione di garanzie come pegno su certi beni, ecc.). Questa strada “bonaria” funziona se il numero di fornitori è limitato e la crisi appare superabile. In caso di pluralità di creditori con interessi divergenti, però, la gestione individuale diventa ardua.
Dal punto di vista legale, gli strumenti concorsuali offrono risposte più sistematiche:
- Concordato preventivo: l’apertura di un concordato preventivo (anche in bianco) sospende per legge le azioni esecutive dei creditori chirografari, fornendo un sollievo immediato. Nel concordato, i fornitori chirografari vengono inclusi in una classe e possono vedersi proporre un pagamento parziale (es: 30%) da soddisfarsi entro un certo termine. Se la maggioranza di questi creditori approva il piano e il tribunale omologa, tutti i fornitori (anche dissenzienti) sono vincolati a quanto deciso e non possono pretendere di più né agire oltre (ottenendo in cambio eventualmente delle percentuali di rimborso e la cessazione delle pretese per la parte eccedente, che viene falcidiata). Il concordato è quindi uno strumento potente per cristallizzare i debiti verso fornitori e ridurli in modo ordinato, evitando la gara a chi pignora per primo. Ha, di contro, tempi e costi e richiede il rispetto di certe condizioni (ad es., se è liquidatorio, offrire almeno il 20% ai chirografari , come vedremo).
- Composizione negoziata e accordi: se non si arriva al concordato, anche nella fase di composizione negoziata l’imprenditore può chiedere ai fornitori una moratoria o riduzione dei crediti, magari spiegando che in alternativa la società sarebbe costretta a portare i libri in tribunale. Non c’è un obbligo per i fornitori di aderire, ma la presenza di un Esperto indipendente (nominato nella composizione) spesso facilita una valutazione oggettiva: l’Esperto può far comprendere al fornitore che accettare, ad esempio, il 40% dilazionato conviene, perché in un fallimento prenderebbe forse il 5-10%. È possibile anche formalizzare un accordo di ristrutturazione esteso: se molti fornitori (rappresentanti almeno il 60% dei crediti chirografari) accettano un concordamento, lo si può omologare e vincolare tutti quelli aderenti (i fornitori dissenzienti rimangono fuori, ma se marginali il debito residuo verso loro può essere onorato con le risorse liberate).
- Misure cautelari difensive: in alcuni casi estremi, l’impresa può chiedere al tribunale misure d’urgenza per bloccare iniziative esecutive dei fornitori, se dimostra che un’azione individuale comprometterebbe la par condicio e un possibile salvataggio. Ad esempio, se un singolo fornitore strategico minaccia di pignorare un macchinario chiave, l’imprenditore potrebbe – una volta avviato un percorso concordatario o di composizione – chiedere al giudice un provvedimento che sospenda tale esecuzione, motivando che il macchinario serve a portare avanti un piano che paga tutti i creditori. Fuori da procedure, questo è difficile (normalmente ogni creditore ha diritto di agire), ma in itinere di una procedura concorsuale il giudice può intervenire nell’interesse collettivo.
Un aspetto importante: priorità e strategia di pagamento. Quando il denaro è poco, l’imprenditore potrebbe essere tentato di pagare solo i fornitori “critici” (quelli da cui dipende la prosecuzione dell’attività, es. il fornitore di materia prima senza cui la produzione si ferma) e trascurare gli altri. Dal punto di vista gestionale può avere senso nel breve periodo, ma dal punto di vista legale ciò comporta rischi di revocatoria fallimentare se poi l’azienda fallisce entro 6 mesi (pagamenti preferenziali a creditori chirografari sono revocabili). Inoltre, i fornitori esclusi dai pagamenti potrebbero sentirsi discriminati e attivarsi più in fretta legalmente. È quindi una strategia da maneggiare con cura. Un consiglio pratico: se c’è la prospettiva di un concordato, può essere utile non effettuare nel periodo precedente pagamenti consistenti “fuori dall’ordinario”, ma piuttosto inserire tutti i fornitori nel piano di concordato, eventualmente prevedendo classi differenziate (ad es., fare una classe separata per i fornitori essenziali e offrire loro una percentuale o trattamento migliore, giustificato dal fatto che servono a garantire la continuità aziendale). Il CCII consente di creare classi e trattare diversamente i creditori purché sussista una causa giustificatrice e non si violi la par condicio in modo arbitrario.
In ultima analisi, la difesa dai debiti commerciali passa da: comunicazione (per guadagnare tempo e mantenere forniture critiche), negoziazione (piani di rientro e transazioni, se possibile), e utilizzo tempestivo degli strumenti concorsuali per congelare le azioni esecutive e ridurre il debito in modo equo. Per un imprenditore indebitato, è meglio affrontare il problema insieme a tutti i creditori in un contesto regolato (accordo, concordato) piuttosto che subire passivamente il primo fornitore aggressivo che ottiene un pignoramento magari bloccando l’intera attività.
Debiti verso dipendenti e TFR
Un’azienda manifatturiera in crisi può accumulare anche debiti verso i propri dipendenti, ad esempio stipendi arretrati, ratei di tredicesima, o il TFR (Trattamento di Fine Rapporto) maturato e non versato nel fondo di tesoreria. I debiti verso i lavoratori hanno in parte una tutela privilegiata: le retribuzioni degli ultimi 12 mesi (fino a un massimale) e il TFR maturato sono crediti privilegiati di primo grado sui beni mobili e immobili (art. 2751-bis c.c.). Inoltre, in caso di fallimento o liquidazione giudiziale, interviene il Fondo di Garanzia INPS a pagare ai lavoratori quanto dovuto (nei limiti di legge), surrogandosi poi nelle loro pretese. Tuttavia, nel periodo pre-fallimentare l’inadempienza verso i dipendenti ha conseguenze gravi:
- Perdita di motivazione e contenziosi: i lavoratori non pagati possono innanzitutto astenersi dal lavoro (sciopero per giusta causa) o dare le dimissioni per giusta causa (che comportano comunque il diritto al TFR e all’indennità di disoccupazione NASpI). Possono inoltre adire il giudice del lavoro per ingiunzioni di pagamento veloci (il credito da lavoro è immediatamente esecutivo) e arrivare a pignorare beni aziendali. Spesso il sindacato supporta queste azioni. La presenza di contenziosi di lavoro è un segnale molto negativo per l’impresa, che rischia di perdere il capitale umano qualificato e di ritrovarsi con decreti ingiuntivi esecutivi difficilmente evitabili.
- Responsabilità penale: il mancato versamento di ritenute previdenziali sulle retribuzioni (come già visto) è reato sopra una soglia. Inoltre, l’omesso versamento delle trattenute fiscali sulle retribuzioni (le ritenute IRPEF operate in busta paga) configura un illecito amministrativo tributario (sanzioni) e, se accompagnato da altri illeciti, può concorrere al reato di indebita compensazione. Non esiste invece un reato specifico per il mancato pagamento dello stipendio in sé (a parte casi estremi di sfruttamento che possono configurare altre fattispecie), ma certamente l’inadempimento diffuso verso i dipendenti è spesso sintomo di una situazione vicina all’insolvenza conclamata.
- Interventi d’urgenza del Tribunale: in alcune circostanze, se i dipendenti non vengono pagati e l’impresa non reagisce, può addirittura capitare che il Tribunale, su istanza di un creditore o su segnalazione pubblica (es. ITL o INPS), nomini un custode giudiziario o apra una procedura concorsuale d’ufficio per tutelare i creditori. Ad esempio, il Pubblico Ministero potrebbe richiedere l’apertura della liquidazione giudiziale se l’abbandono dei lavoratori e il mancato pagamento evidenziano uno stato di insolvenza irreversibile e un pregiudizio grave. Ciò è raro, ma previsto dalla legge a tutela di interessi collettivi (d’altra parte, la crisi di un’azienda con molti dipendenti assume anche rilevanza sociale).
Come gestire questi debiti? Idealmente non dovrebbero accumularsi, perché pagare i dipendenti dovrebbe essere prioritario (anche moralmente). Ma in situazioni di cash flow critico a volte l’imprenditore è costretto a scelte drammatiche. Alcune possibili azioni:
- Accordi sindacali o interni: l’azienda può cercare un accordo con i dipendenti per dilazionare il pagamento degli arretrati. Ad esempio, promettendo di saldare le mensilità non pagate in X tranche nei mesi successivi, magari offrendo in garanzia beni aziendali o riconoscendo un’indennità extra futura. Questi accordi devono essere redatti con attenzione e preferibilmente con l’assistenza sindacale. In alcuni casi, i lavoratori potrebbero accettare una riduzione (stralcio) delle pretese se vedono un serio piano di rilancio, ma ciò è delicato perché i diritti retributivi sono indisponibili individualmente (eventuali rinunce possono essere dichiarate nulle se non fatte in sede protetta sindacale).
- Cassa integrazione o contratti di solidarietà: se la crisi ha anche un calo di lavoro, l’azienda può attivare ammortizzatori sociali (CIGO, CIGS, FIS) per ottenere copertura parziale degli stipendi dallo Stato, alleviando l’esborso diretto. Questo non paga gli arretrati, ma impedisce che ne maturino di nuovi per una parte di orario non lavorato. È comunque cruciale dare un segnale ai dipendenti di voler tutelare il loro reddito.
- Procedura concorsuale: l’ammissione a concordato preventivo o la stessa liquidazione giudiziale attivano il Fondo di Garanzia. Dunque, se l’impresa vede che non riuscirà mai a pagare gli arretrati, potrebbe (per quanto controintuitivo) valutare di attivare un concordato anche per consentire al Fondo di subentrare. Ad esempio, in concordato i dipendenti votano come classe separata e di solito vengono pagati al 100% o quasi (perché godono di privilegio); l’INPS anticipa loro TFR e ultime tre mensilità e poi si insinua al posto loro nel concordato. In tal modo, i lavoratori ricevono le somme dovute (con tempi burocratici, ma certi) e l’azienda scarica sul Fondo parte del debito (che però rimane privilegiato da pagare nel piano, se ci sono attivi). Anche nella composizione negoziata, l’azienda può chiedere all’Esperto di coinvolgere i rappresentanti dei lavoratori per studiare soluzioni: ad esempio, nel piano di risanamento si potrebbe prevedere la conversione di parte dei crediti da stipendio in strumenti partecipativi (azione permessa dal CCII per imprese in continuità: i dipendenti possono accettare di convertire credito in strumenti finanziari partecipativi dell’azienda, diventando di fatto creditori postergati con possibilità di guadagno futuro se l’azienda risale).
In generale, dal punto di vista del rischio legale personale, gli amministratori che mantengono lavoratori senza stipendio per lungo tempo rischiano accuse di malversazione (se hanno distratto fondi ad altri scopi) o quantomeno di mala gestio. In caso di fallimento, potrebbero essere citati per responsabilità dal Curatore per aver aggravato il dissesto non licenziando o mettendo in cassa integrazione il personale quando l’azienda non poteva più pagarli (danno corrispondente all’aumento del passivo per retribuzioni non pagate). Dunque per difendersi, il management dovrebbe: (i) non proseguire l’attività se non c’è ragionevole prospettiva di pagarli (obbligo di adottare assetti adeguati e di non aggravare il dissesto ex art. 2086 c.c.); (ii) cercare un intervento esterno (nuovi soci, vendite di asset) destinandone il ricavato prima ai lavoratori; (iii) se ogni tentativo fallisce, accompagnare i lavoratori verso gli ammortizzatori (CIGS, Naspi) e portare l’azienda in procedura concorsuale senza indugio.
Riepilogo rischi e difese per tipologia di debito: Di seguito una tabella riepilogativa che sintetizza, per ciascun tipo di creditore, le conseguenze del mancato pagamento e gli strumenti di difesa del debitore:
| Tipo di credito | Conseguenze del mancato pagamento | Strumenti di difesa/negoziazione |
|---|---|---|
| Erario (Fisco) | – Cartelle esattoriali; fermi, ipoteche, pignoramenti da AdER .<br>- Sanzioni e interessi in aumento.<br>- Segnalazione di allerta se debito > soglie (es. €500k per S.r.l.) .<br>- Possibile responsabilità post-liquidazione (ex soci) fino somme ricevute .<br>- Rischi penali (omesso versamento IVA > soglia). | – Ricorsi tributari (sospensiva) se contestabile.<br>- Rateizzazione fino 72/120 rate .<br>- Definizioni agevolate (rottamazioni) se previste dalla legge. <br>- Transazione fiscale in concordato/accordo (riduzione debito con voto AE).<br>- Novità 2024: Accordo transattivo fiscale anche in Composizione Negoziata (parziale pagamento IVA incluso).<br>- Attivazione composizione o concordato per bloccare esecuzioni e diluire pagamento.<br>- Utilizzo misure premiali CCII per evitare sanzioni penali (pagando almeno 30% prima del dibattimento). |
| INPS/INAIL | – Cartelle esattoriali; ipoteche e pignoramenti come sopra.<br>- DURC irregolare → esclusione da appalti/benefici.<br>- Sanzioni civili su contributi omessi (interessi elevati).<br>- Segnalazione allerta INPS se >15k€ e 90gg ritardo (imprese con dip.) .<br>- Rischi penali (omesso versamento contributi > €10k). | – Richiesta di dilazione contributiva (fino 24-36 mesi) con DURC provvisorio regolare.<br>- Eventuali condoni di sanzioni (verificare normative pro-tempore).<br>- Transazione contributiva in concordato/accordo (pagamento parziale contributi con voto INPS). NB: in Composizione Negoziata attuale no falcidia contributi .<br>- Attivazione concordato preventivo per coinvolgere Fondo di Garanzia INPS (pagamento TFR e ultime 3 mensilità ai dipendenti).<br>- Adozione di CIGS/ammortizzatori per non far crescere ulteriormente il debito contributivo. |
| Banche (finanziamenti) | – Revoca fidi e richiesta immediata rimborso (decadenza dal termine).<br>- Segnalazione Centrale Rischi (peggiora rating creditizio).<br>- Escussione garanzie reali: pignoramento beni ipotecati/pegno.<br>- Escussione garanzie personali: azione diretta contro fideiussori (soci/ammin.).<br>- Interessi moratori alti e spese legali aggiuntive. | – Negoziare moratorie o riscadenzamento del debito (eventualmente con supporto confidi o garanzie statali).<br>- Proporre piani attestati di risanamento alla banca (esperto indipendente attesta fattibilità di un piano di rientro) per riconquistare fiducia e tempo.<br>- Attivare Accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII se adesione ≥60% banche (omologato e vincolante per aderenti; possibile cram-down su finanziarie dissenzienti con ≥75% adesione ).<br>- Composizione Negoziata con misure protettive per congelare enforcement durante trattative .<br>- Concordato preventivo/PRO: classare banche come creditori privilegiati, offrire soddisfazione ≥ valore di garanzia o in continuità secondo piano; possibilità di cramdown interclasse se condizioni di legge (nel PRO).<br>- Per fideiussori: coinvolgerli nelle trattative (es. offrire pagamento parziale in cambio liberatoria) o, se escussi, accedere a procedure di sovraindebitamento personali (concordato minore, liquidazione patrimonio) per esdebitarsi residualmente. |
| Fornitori (trade) | – Azioni monitorie rapide: decreto ingiuntivo e pignoramenti (conti, beni, crediti) – rischio blocco operatività.<br>- Interruzione forniture essenziali e risoluzione contratti → difficoltà di produzione/servizio.<br>- Possibili azioni revocatorie su pagamenti preferenziali se fallimento entro 6 mesi.<br>- Pressione reputazionale (voce di insolvenza che si diffonde nel settore). | – Comunicazione e trasparenza: negoziare piani di rientro individuali (rate, cambiali) prima che intervengano legalmente.<br>- Valutare pagamenti selettivi solo per fornitori strategici, con accordi scritti per continuare forniture, ma consapevoli del rischio revocatoria (meglio se inseriti poi in concordato).<br>- Composizione Negoziata: persuadere fornitori chiave con l’ausilio dell’Esperto, mostrando convenienza di un accordo rispetto a fallimento (dove sarebbero chirografari).<br>- Concordato preventivo: congelare tutte le azioni esecutive; proporre percentuale ai chirografari (≥20% se liquidatorio) da soddisfare pro-quota, vincolando tutti con l’omologa.<br>- Accordi di ristrutturazione estesi: se si ottiene adesione della maggior parte dei fornitori (≥60%), omologare accordo che prevede pagamento parziale/dilazionato e tener fuori dal fallimento l’impresa.<br>- Eventuale finanziamento ponte prededucibile (DIP financing) in concordato per pagare forniture strategiche in corso e assicurare continuità (questi pagamenti, autorizzati dal tribunale, non sono revocabili). |
| Dipendenti (salari, TFR) | – Malumore, dimissioni di massa, calo produttività.<br>- Cause di lavoro individuali con decreti ingiuntivi immediatamente esecutivi (crediti alimentari privilegiati).<br>- Scioperi e intervento sindacale, pressione mediatica (caso di stipendi non pagati può attirare attenzione locale).<br>- Segnalazione all’ITL e possibile intervento PM per grave insolvenza su larga scala.<br>- Personale chiave che abbandona l’azienda, perdita know-how. | – Tentare accordi interni: piani di pagamento dilazionati degli arretrati con sottoscrizione in sede sindacale (per dare tutela ai lavoratori e validità all’accordo).<br>- Usare ammortizzatori sociali (Cassa Integrazione) per ridurre temporaneamente il costo del lavoro senza accumulare nuovi debiti salariali.<br>- Ove possibile, ricercare nuova finanza o vendere asset non core per pagare almeno parzialmente gli stipendi dovuti – mostrando ai dipendenti la buona fede e ottenendo tempo.<br>- Concordato preventivo: tutela i dipendenti dando accesso al Fondo di Garanzia INPS (che paga TFR e arretrati) e consentendo all’azienda di ripartire alleggerita di quel debito (che diventa del Fondo, privilegiato nel concorso).<br>- Concordato in continuità: prevedere il pagamento integrale dei dipendenti (magari in prededuzione se essenziali per prosecuzione attività) per mantenere forza lavoro operativa.<br>- Concordato minore (se piccola impresa): consente di evitare soglia 20% ai chirografari, ma i dipendenti comunque vanno soddisfatti almeno come in liquidazione (quindi pressoché integralmente dati i privilegi), con eventuale intervento del Fondo.<br>- NB: la tempestiva apertura di una procedura concorsuale può ridurre i profili di responsabilità degli amministratori verso i dipendenti, mostrando che non si è aggravato colpevolmente il debito salariale ma ci si è mossi per una soluzione collettiva. |
(Le soglie quantitative e gli esempi riportati sono aggiornati al 2025; possono essere soggetti a modifiche legislative successive.)
Evitare il fallimento: strategie generali e implicazioni
Evitare il fallimento (liquidazione giudiziale) è generalmente il primo obiettivo di ogni debitore in crisi. La liquidazione giudiziale – nuova denominazione dell’antico fallimento – comporta la spoliazione dell’impresa: un curatore nominato dal tribunale prende il controllo, cessa l’attività ordinaria (salvo esercizio provvisorio temporaneo in rari casi), liquida il patrimonio vendendo beni all’asta e distribuisce il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle prelazioni. Per la società ciò significa la fine dell’attività, la perdita di avviamento e mercato, nonché l’apertura di una procedura spesso lunga e complessa. Per gli imprenditori-soci, la liquidazione giudiziale comporta indirettamente la perdita del capitale investito e potenziali effetti collaterali: indagini da parte del curatore su eventuali responsabilità per il dissesto, azioni giudiziarie (come revocatorie, azioni di responsabilità) e anche possibili conseguenze personali (si pensi ai casi di bancarotta fraudolenta se emergono distrazioni di beni o scritture contabili irregolari). Inoltre, benché i soci di S.r.l. di regola non falliscano con la società, in alcune situazioni essi potrebbero essere coinvolti (ad es. soci illimitatamente responsabili di una supersocietà di fatto o soci di fatto, casi peraltro rari e complessi). In ogni caso, evitare la procedura concorsuale maggiore significa anche tutelare la reputazione dell’imprenditore: una liquidazione giudiziale è pubblica (viene iscritta al Registro delle Imprese) e comporta incapacità personali per l’ex fallito (ad es. divieto di ricoprire cariche in nuove società senza riabilitazione, ecc.).
Va precisato che non sempre l’azienda riuscirà a evitare la liquidazione: in situazioni di insolvenza irreversibile, la legge stessa impone di non proseguire l’attività in perdita. L’art. 3 CCII e il rinnovato art. 2086 c.c. obbligano gli amministratori ad attivarsi per superare la crisi o, se ciò non è possibile, a ridurre al minimo il pregiudizio per i creditori. Ciò si traduce nel dovere di non aggravare il dissesto: continuare ad accumulare debiti quando l’insolvenza è conclamata può esporre gli amministratori a responsabilità per le nuove obbligazioni contratte. Pertanto, “evitare il fallimento” non significa tenere in vita un’azienda decotta a tutti i costi, ma piuttosto scegliere percorsi alternativi che consentano di gestire la crisi in modo più vantaggioso per tutte le parti, rispetto alla liquidazione giudiziale pura e semplice.
Vediamo allora quali strategie e strumenti giuridici esistono per evitare la liquidazione giudiziale, o quantomeno differirla e controllarne gli esiti, con un focus particolare sulle procedure nuove o meno note introdotte dalla recente riforma.
Soglie di fallibilità: Prima di tutto, chiediamoci: la nostra S.r.l. può essere dichiarata fallita? La legge esclude dalle procedure di liquidazione giudiziale gli “imprenditori minori”, cioè quelli sotto determinati parametri. In base all’art. 2, c.1, lett. d) CCII, non sono assoggettabili a liquidazione giudiziale le imprese che, nei tre esercizi precedenti (o dall’inizio attività se minore) non hanno superato congiuntamente questi limiti: attivo di bilancio €300.000, ricavi €200.000, debiti €500.000 . Inoltre vige una soglia assoluta: nessun fallimento può essere aperto se i debiti scaduti sono inferiori a €30.000 . Ciò significa che, se la nostra azienda è veramente piccola (micro-impresa artigiana ad esempio) e i suoi numeri sono sotto soglia, i creditori non possono chiederne la liquidazione giudiziale; al più potranno agire individualmente (pignoramenti) o potrà attivare procedure di sovraindebitamento come il concordato minore o la liquidazione controllata. All’opposto, se la S.r.l. ha superato anche uno solo dei parametri dimensionali, è “fallibile” e dunque soggetta alle procedure ordinarie.
Esempio: la PTFE S.r.l. ha negli ultimi anni attivi di €800.000, ricavi di €1.000.000 e debiti totali per €700.000 – è chiaramente sopra soglia e dunque fallibile. Se invece fosse un’azienda più piccola, attivo €100.000, ricavi €150.000, debiti €400.000, risulterebbe sotto soglia e quindi non fallibile: i creditori non potrebbero chiederne la liquidazione giudiziale. In tal caso, però, resterebbe esposta a esecuzioni singole e potrebbe volontariamente accedere al concordato minore per risolvere la crisi.
Essere sotto soglia quindi protegge da un fallimento giudiziale, ma non risolve il problema dei debiti: semplicemente la crisi verrà gestita con strumenti “minori” (vedremo in seguito il concordato minore e la liquidazione controllata). Per le imprese sopra soglia, invece, l’unico modo di evitare il fallimento è attivare efficacemente una delle procedure di soluzione della crisi previste dal CCII.
Implicazioni del fallimento da evitare: Oltre alla perdita dell’azienda, il fallimento porta con sé: – Liquidazione forzata e dispersiva: i beni vengono venduti all’asta spesso a valori di realizzo molto bassi rispetto al valore d’uso che avrebbero mantenendoli in esercizio. Questo penalizza sia l’imprenditore sia i creditori (che recuperano poco). – Costi di procedura: la liquidazione giudiziale ha costi (compensi di curatore, spese legali, perizie) che erodono l’attivo disponibile ai creditori. In procedure alternative come gli accordi o i concordati, i costi ci sono ma possono essere inferiori in proporzione (e spesso l’azienda in continuità genera nuovo valore durante la procedura). – Tempistiche lunghe: un fallimento può durare anni. Un accordo di ristrutturazione o un concordato possono concludersi in pochi mesi con un piano di pagamento definito. – Investigazioni e azioni legali: il curatore fallimentare è obbligato per legge a scrutinare gli ultimi anni di gestione e, se trova irregolarità, promuove azioni di responsabilità contro amministratori e sindaci, azioni revocatorie di pagamenti a terzi, e trasmette gli atti alla Procura per eventuali reati. Evitando il fallimento, si riduce drasticamente la possibilità di questo scenario (anche se rimane la possibilità di indagini penali al di fuori, ma senza curatore a spingere è meno probabile per fatti non eclatanti). – Stigma e incapacità: se un imprenditore viene dichiarato fallito (liquidazione giudiziale), per la durata della procedura subisce incapacità personali (non può gestire altri affari, perde l’elettorato attivo e passivo finché non ottiene riabilitazione, ecc. – anche se queste incapacità sono state attenuate nel nuovo codice). In generale, però, nei rapporti con banche, fornitori, il “marchio” di un fallimento rimane un’ombra sul curriculum imprenditoriale. Ecco perché molti preferiscono soluzioni come il concordato preventivo, che pur essendo pubblico viene percepito come un tentativo onorevole di risanamento e non come una capitolazione disordinata.
Doveri degli amministratori in crisi: Un elemento chiave – specialmente per il taglio rivolto ad avvocati e professionisti – è capire che l’ordinamento oggi esige dagli amministratori una reazione pronta alla crisi. Se trascurano segnali di insolvenza imminente e lasciano che la situazione degeneri fino al fallimento, rischiano la responsabilità per aggravamento del dissesto. Ad esempio, la Cassazione ha affermato che gli amministratori che continuano ad operare accumulando debiti tributari e contributivi senza prospettive violano i doveri di diligente gestione e possono dover risarcire il danno ai creditori (quantificato nei nuovi debiti contratti oltre il punto di non ritorno). Il CCII ha rafforzato questi principi introducendo l’obbligo per l’organo amministrativo di dotarsi di assetti organizzativi adeguati a rilevare tempestivamente la crisi. Un segnale concreto: se scattano le soglie d’allerta di cui sopra (INPS, AE, ecc.), l’inerzia degli amministratori può essere valutata come colposa. Al contrario, attivare la composizione negoziata o proporre un concordato mostra ad eventiali giudici futuri che si è agito per tutelare i creditori, il che può esimere da colpe.
Riassumendo, evitare il fallimento implica: 1. Riconoscere se l’impresa è fallibile (sopra soglia) o meno, per sapere quali strumenti attivare. 2. Agire per tempo, prima che i creditori o il PM prendano l’iniziativa, usando gli strumenti di composizione della crisi. 3. Ricorrere a soluzioni concordate (accordi, piani, concordati) che, sebbene comportino sacrifici (pagamenti parziali ai creditori, cessione di controllo parziale dell’azienda nel caso di commissari, ecc.), permettono di mantenere un ruolo attivo e magari salvare la parte sana dell’azienda. 4. Proteggere il valore aziendale: spesso un fallimento tardivo arriva quando l’impresa è già ferma e “spolpata” dai pignoramenti; un concordato precoce magari consente di mantenere la continuità aziendale (produzione in corso, clienti) e quindi offrire ai creditori una soddisfazione migliore.
Nei capitoli seguenti analizzeremo in dettaglio i vari strumenti giuridici disponibili per gestire la crisi da debiti, tenendo presente questo filo conduttore: massimizzare il recupero per i creditori (così da ottenere il loro consenso) e minimizzare le conseguenze negative per l’imprenditore (in termini di responsabilità e perdita di valore).
Strumenti di gestione della crisi ed insolvenza (prima della liquidazione giudiziale)
Passiamo ora in rassegna le procedure e soluzioni legali che un’azienda debitrice può attivare per evitare la liquidazione giudiziale o quantomeno disciplinare il proprio dissesto in modo controllato. Le distingueremo in due categorie principali: – Strumenti stragiudiziali o para-giudiziali di risanamento: percorsi negoziali volontari, con o senza omologazione del tribunale, che permettono di ristrutturare i debiti mantenendo l’impresa in attività (ove possibile). Vi rientrano: il piano attestato di risanamento, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, la convenzione di moratoria e, all’intersezione tra volontario e giudiziale, la composizione negoziata della crisi (che pur non essendo una procedura concorsuale in senso stretto, coinvolge un esperto terzo e può beneficiare di protezioni legali). – Procedure concorsuali propriamente dette (di regolazione della crisi): che includono il concordato preventivo (nelle varie forme: liquidatorio, in continuità, semplificato), il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) introdotto dal 2022, e – per le imprese minori – il concordato minore. Scopo di queste procedure è vincolare tutti i creditori (anche dissenzienti) a una soluzione concordata o giudizialmente imposta, evitando la frammentazione delle azioni esecutive individuali.
Esamineremo anche la liquidazione controllata del sovraindebitato, che è l’equivalente del fallimento per i non fallibili, e che quindi rappresenta l’extrema ratio per le micro-imprese.
Composizione negoziata della crisi d’impresa
La Composizione Negoziata (CNC) è uno strumento innovativo introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021, conv. L. 147/2021) e ora disciplinato nel CCII (artt. 17-25-octies CCII) che consente all’imprenditore in difficoltà di avviare, su base volontaria e riservata, un percorso di negoziazione assistita con i propri creditori, guidato da un Esperto indipendente. Si tratta di una procedura non concorsuale (l’impresa non perde la gestione né viene dichiarata insolvente ufficialmente) ma che beneficia di alcuni supporti dell’ordinamento: in particolare la possibilità di ottenere dal Tribunale delle misure protettive e la presenza di questo Esperto terzo che facilita le trattative.
Quando attivarla? La composizione negoziata è pensata per le imprese che si trovano in uno stato di crisi o insolvenza reversibile, o anche di semplice squilibrio economico-finanziario che rende probabile la crisi . Può accedervi sia l’imprenditore commerciale sia, novità, l’imprenditore agricolo (tradizionalmente escluso dal fallimento), nonché le imprese minori sotto soglia. È uno strumento molto flessibile: la legge incoraggia ad attivarlo prima che l’insolvenza diventi conclamata. Anche imprese “in bonis” ma con previsioni di tensioni future possono volontariamente accedervi (la norma parla di imprese anche solo in squilibrio, con probabilità di insolvenza).
Come funziona? L’imprenditore presenta istanza tramite una piattaforma telematica nazionale, allegando informazioni sulla situazione aziendale (bilanci, elenco creditori, un piano iniziale di risanamento se disponibile). Un’apposita Commissione nomina un Esperto, scelto tra commercialisti, avvocati o consulenti iscritti in un elenco, dotati di specifica formazione. L’Esperto, entro 7 giorni dal conferimento dell’incarico, convoca l’imprenditore e analizza le prospettive dell’azienda. Da quel momento ha inizio un periodo di trattativa confidenziale con i creditori: l’Esperto contatta i principali creditori, organizza incontri, esamina le proposte e controposte.
Caratteristiche peculiari: – Rimessa in bonis contrattuale: l’accesso alla CNC di per sé non costituisce default contrattuale. Ciò significa che eventuali clausole di decadenza del termine o risolutive legate allo stato di crisi non possono essere attivate automaticamente dai creditori a causa dell’apertura della composizione negoziata. L’impresa dunque non viene considerata “fallita” o insolvente ufficialmente. – Misure protettive: l’imprenditore può chiedere al Tribunale di disporre misure protettive temporanee, in particolare il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio dell’impresa e il divieto di acquisire titoli di prelazione (es. vietato iscrivere ipoteca giudiziale) . Tali misure sono concesse se il Tribunale valuta che la prosecuzione delle trattative può ragionevolmente portare a un risanamento . Non è automatico: occorre convincere il giudice che c’è una prospettiva concreta (es. trattative avanzate con un investitore, ordini in portafoglio che potrebbero rilanciare l’azienda, ecc.). La giurisprudenza iniziale è stata altalenante: alcuni tribunali (Pavia, 2024) hanno negato misure protettive se il piano prospettato era meramente liquidatorio senza continuità , ritenendo che la CNC nasca per favorire la prosecuzione dell’attività. Altri tribunali (Bologna, 2022) hanno adottato un approccio più flessibile, ammettendo composizioni negoziate anche per imprese già in liquidazione purché esista una prospettiva di migliore soddisfacimento dei creditori rispetto al fallimento . Il Correttivo 2024 ha in parte chiarito la norma spostando l’attenzione sulla prospettiva di risanamento anche a partire da insolvenza, non solo pre-crisi . Durante le misure protettive, i creditori rimangono congelati: ad esempio non possono escutere pegni né proseguire pignoramenti. L’azienda però deve astenersi da atti straordinari non autorizzati e l’Esperto vigila sulla sua gestione (in caso di abusi, le protezioni possono decadere). – Esito: la Composizione Negoziata non ha un esito prestabilito. Può portare a varie soluzioni: – Un contratto di ristrutturazione privato con alcuni creditori (es. accordo con le banche per nuova finanza, accordo con fornitori per stralcio) – l’Esperto redige una relazione finale che certifica che l’accordo raggiunto è idoneo a risanare. Questo accordo può restare riservato oppure, se necessario, essere omologato come accordo di ristrutturazione dei debiti (qualora rientri nei parametri di cui all’art. 57 CCII). – Un piano di risanamento attestato (ex art. 56 CCII, già art. 67 l.fall.): se la soluzione consiste in un piano unilaterale dell’imprenditore, attestato da esperto (che può essere lo stesso nominato o un altro professionista), l’Esperto CNC può chiudere la procedura e lasciare l’imprenditore con il suo piano attestato eseguito autonomamente. – L’accesso a una procedura concorsuale: se le trattative individuano una strada percorribile ma che necessita di vincolare tutti i creditori, l’imprenditore può depositare un ricorso per concordato preventivo o un piano di ristrutturazione PRO, su impulso magari proprio del lavoro svolto in CNC (l’Esperto conclude che serve un accordo con voto dei creditori). In tal caso, la CNC funge da preludio al concorsuale. Notare che durante la CNC il debitore può già presentare una domanda di concordato “in continuità indiretta” semplificato, di cui tra poco. – Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio: questa è una novità introdotta in via transitoria nel 2021 e ora inserita nel CCII all’art. 25-sexies. Se le trattative non raggiungono un accordo e l’Esperto attesta che non ci sono soluzioni idonee al risanamento, l’imprenditore può proporre entro 60 giorni dal deposito della relazione finale un concordato “semplificato” di sola liquidazione, senza bisogno di votazione dei creditori . È una sorta di “liquidazione concordata” più snella: il tribunale valuta la proposta, sentiti i creditori (che possono fare osservazioni ma non votano) e, se la ritiene vantaggiosa rispetto al fallimento, la omologa. Questo strumento è pensato come premio all’imprenditore che, pur non essendo riuscito a risanare, ha tentato la CNC e vuole evitare il fallimento classico. La giurisprudenza però, come visto, ha temuto un abuso: taluni imprenditori avviavano CNC solo per arrivare al concordato semplificato ed eludere i requisiti severi del concordato liquidatorio normale (20% ai chirografari, ecc.) . Perciò c’è un certo controllo: se appare che la CNC è attivata solo per quella scorciatoia, i giudici possono interrompere le tutele. Il correttivo ha comunque mantenuto lo strumento, ritenendolo utile a chiudere in modo più ordinato le micro crisi.
- Premialità: la composizione negoziata offre anche incentivi: durante le trattative l’azienda può ottenere la sospensione temporanea di alcune cause di scioglimento societario (es. riduzione capitale sotto minimo), esenzioni da alcune responsabilità (come detto, non punibilità per alcuni reati tributari se poi si perfeziona accordo) e un regime protetto per eventuali finanziamenti nuovi (finanza interinale) che, se autorizzata, sarà prededucibile in un eventuale successivo fallimento. Inoltre, la legge prevede che i creditori che, informati dell’attivazione della CNC, rifiutano senza motivo le proposte e poi ottengono meno in un successivo fallimento possono andare incontro a una valutazione di mala fede in sede di riparto (in verità questa norma è più morale che di effettiva sanzione, ma indica l’intento di spronare i creditori a cooperare).
In sostanza, la Composizione Negoziata è uno strumento da provare quando l’impresa ha ancora chance di salvataggio e soprattutto quando c’è collaborazione possibile dei creditori. È confidenziale (non viene pubblicata al registro imprese finché non si chiedono misure protettive, e anche in quel caso la pubblicità è limitata), quindi non genera automaticamente quel panico nel mercato che un concordato creerebbe. Molti la paragonano alle procedure di “workout assistito” anglosassoni o alla procédure de conciliation francese.
Per il nostro imprenditore indebitato, la CNC rappresenta la prima tappa di un percorso graduale: provarci con le buone, con l’aiuto di un esperto mediatore, prima di entrare in tribunale con una procedura formale. Va anche detto che se la controparte principale del debito è il Fisco o l’INPS, fino a ieri la CNC aveva efficacia limitata (non poteva tagliare i loro crediti se non si convertiva in un concordato). Ma come visto, dal 2024 è possibile formalizzare accordi transattivi fiscali già in CNC , e probabilmente in futuro analoghe aperture verranno per i contributi. Quindi la CNC diventa sempre più un tavolo completo dove anche lo Stato può sedersi per trattare.
Esempio pratico (Composizione Negoziata): PTFE S.r.l. ha debiti per €2 milioni, di cui €800k con banche (mutuo ipotecario e scoperto c/c), €500k verso Fisco/INPS, €700k verso fornitori. L’azienda vede ordini in calo ma avrebbe un nuovo prodotto da lanciare che richiede un investimento. Il titolare, col supporto del suo legale, avvia la CNC. Viene nominato un esperto. Nel frattempo, due fornitori hanno ottenuto decreti ingiuntivi e minacciano pignoramenti, e la banca vorrebbe revocare il fido. La società chiede subito al tribunale misure protettive: il giudice le concede per 4 mesi, notando che c’è un piano credibile (nuovo prodotto, investitore interessato a entrare con capitale fresco a patto di ristrutturare i debiti). Sotto la regia dell’Esperto, la società presenta ai creditori una bozza di accordo: propone alle banche di non escutere le garanzie e prorogare i pagamenti interessi di 12 mesi, in cambio di un’ipoteca aggiuntiva su un capannone libero; offre ai fornitori chirografari il 40% del loro credito in 24 mesi; al Fisco chiede di dilazionare in 5 anni e abbuonare sanzioni e interessi. Grazie al nuovo comma 2-bis dell’art. 23 CCII, l’Agenzia Entrate accetta formalmente un accordo: l’azienda pagherà solo il 70% del debito fiscale in 4 anni, con rinuncia a sanzioni e interessi, e adesione alla rottamazione per le cartelle già emesse (l’IVA è inclusa nel taglio, essendo ora consentito in CNC per decisione UE ). I fornitori, vedendo che anche la banca e il Fisco sono della partita, accettano in gran parte la proposta (alcuni piccoli rifiutano, ma si resta sopra il 60% di adesioni totali). Dopo 3 mesi, l’Esperto redige relazione positiva: l’accordo ha ragionevoli prospettive di successo. La CNC si chiude con un accordo stragiudiziale sottoscritto, che viene poi brevemente portato all’omologazione come accordo di ristrutturazione dei debiti per renderlo incontestabile, visto che ha superato la soglia di legge (il 75% delle banche e il 65% dei fornitori ha aderito). In questo modo PTFE S.r.l. evita il fallimento, ottiene nuova finanza dall’investitore ed esce dalla crisi. Tutto ciò senza mai interrompere l’attività produttiva, grazie alle misure protettive che l’hanno messa al riparo durante i mesi critici.
Naturalmente, non tutti gli esiti sono così positivi: se le trattative fossero fallite (ad es. banca non disponibile e investitore ritiratosi), la società avrebbe potuto optare per un concordato, oppure – se ogni ipotesi di continuità era vana – per un concordato semplificato liquidatorio. In entrambi i casi, comunque, la CNC avrebbe fornito informazioni preziose e messo in luce la volontà di cooperare del debitore, fattori che contano poi davanti al tribunale.
Piani attestati di risanamento (art. 56 CCII)
Il piano attestato di risanamento è uno strumento tradizionale (già previsto dall’art. 67, co.3, lett. d) della vecchia legge fallimentare) che il nuovo Codice della crisi ha mantenuto e disciplinato nell’art. 56. Si tratta di una pianificazione unilaterale del debitore volta a riequilibrare la situazione finanziaria, la quale viene asseverata da un professionista indipendente (attestatore) circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità dell’obiettivo di risanamento.
Caratteristiche principali: – È uno strumento privatistico e non omologato dal Tribunale. Quindi non comporta alcuna automaticità di protezione contro i creditori né effetti diretti sui terzi dissenzienti. Allora, perché farlo? La sua utilità risiede principalmente in due aspetti: (i) consente all’impresa di disporre ugualmente di un piano credibile da presentare ai creditori (è come un business plan “certificato” da un esperto esterno, che aumenta la fiducia dei creditori nella sua realizzabilità); (ii) offre protezione in termini di esenzioni da revocatoria fallimentare per gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del piano. – In sostanza, se l’imprenditore A elabora un piano attestato e in base ad esso paga il fornitore B o concede ipoteca alla banca C, e poi nonostante tutto fallisce entro 2 anni, quei pagamenti o garanzie non potranno essere revocati dal curatore (a patto che il piano fosse idoneo al risanamento secondo l’attestatore). Questa “safe harbour” tutela i terzi che supportano il risanamento. – Requisiti: il piano deve mirare a riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa e garantirne la continuità (anche eventuale cessione d’azienda va bene se è parte del risanamento); deve essere specifico, con indicazione delle strategie (es. dismissioni di asset, rinegoziazione di debiti, aumento di capitale); l’attestatore (iscritto a un albo apposito) deve verificare i dati aziendali e attestare che esiste una ragionevole prospettiva di risanamento e che gli attivi prospettati copriranno le passività alle scadenze. – Il piano attestato in sé non vincola i creditori: serve ottenere il loro consenso singolarmente alle modifiche proposte (ad es., se il piano prevede che la banca allunghi il mutuo di 5 anni e rinunci a interessi di mora, bisognerà che la banca formalmente accetti un nuovo accordo in tal senso). Quindi è indicato soprattutto quando il numero di creditori è contenuto e c’è disponibilità negoziale. – Vantaggi: estrema flessibilità e riservatezza. Non si attiva alcuna procedura pubblica. I costi sono limitati al compenso dell’attestatore e consulenti. Si evitano gli stigma concorsuali. L’azienda continua come nulla fosse verso l’esterno. – Svantaggi: nessun effetto protettivo automatico – se un creditore decide comunque di agire giudizialmente, il piano attestato di per sé non lo può impedire. Inoltre, qualora il risanamento non riesca e si arrivi a fallimento, il piano attestato potrebbe essere sindacato dal curatore e dal tribunale, specialmente se appare che fu usato strumentalmente per ritardare la dichiarazione di insolvenza. In passato, alcuni casi di attestazioni “facili” hanno portato a procedimenti per falsi in attestazione.
Quando usarlo? Tipicamente, il piano attestato è utile nelle crisi iniziali dove l’impresa è ancora fondamentalmente sana ma ha uno squilibrio temporaneo (es. un calo di fatturato improvviso, un investimento grosso che genera tensione di cassa, ma con prospettiva di ripresa). In tali casi, i creditori potrebbero fidarsi di un piano serio certificato e preferire questa via soft rispetto a procedure giudiziali. Ad esempio, se PTFE S.r.l. avesse solo le banche da sistemare (diciamo due banche) e qualche fornitore grande, potrebbe incaricare un attestatore di redigere un piano che mostra come, con un certo nuovo fido e la dilazione di alcune linee, l’azienda tornerà redditizia entro 2 anni. Le banche, leggendo il piano attestato, decidono di assecondarlo firmando nuovi contratti di finanziamento e standstill. In tal modo, la crisi rientra e la società evita procedure formali.
In integrale sinergia con gli strumenti successivi: spesso un piano attestato può essere il risultato finale di una composizione negoziata (l’Esperto CNC alla fine attesta il piano e l’imprenditore lo esegue senza passare per voti) oppure può costituire la base di un accordo di ristrutturazione (vedi infra) – in quest’ultimo caso si parte dal piano attestato e si raccoglie l’adesione scritta dei creditori, e se si raggiungono le percentuali, lo si porta in tribunale per l’omologa.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ADR) sono accordi tra il debitore e una parte significativa dei creditori, finalizzati a regolare la posizione debitoria con l’ausilio (eventuale) di un’omologazione del tribunale che li rende efficaci erga omnes nei limiti di legge. Sono una sorta di “via intermedia” tra il piano puramente privato e il concordato preventivo.
Principali caratteristiche: – Adesione minima 60%: il debitore deve ottenere il consenso ad un accordo (che può consistere in dilazioni, riduzioni, ristrutturazioni del debito) da parte di creditori che rappresentino almeno il 60% del totale dei crediti . Raggiunta tale soglia, può chiedere al tribunale di omologare l’accordo. L’accordo va accompagnato da una relazione di un attestatore che dichiara che l’accordo assicura l’integrale pagamento dei creditori estranei nei 120 giorni dalla scadenza o dall’omologa (ovvero che i non aderenti saranno comunque pagati per intero nei termini di legge). Questo a tutela di chi non firma. – Vincolo sui aderenti (ed estensioni): a differenza del concordato, l’accordo di ristrutturazione vincola solo i creditori che lo hanno sottoscritto. I non aderenti restano fuori: conservano i loro diritti per intero e possono, in teoria, agire esecutivamente. Tuttavia, esistono varianti: – Accordo esteso ai creditori finanziari dissenzienti: se in una determinata classe di creditori finanziari (banche, obbligazionisti) si raggiunge il 75% di adesioni, l’accordo può essere esteso anche ai finanziari che non hanno aderito, imponendo loro le stesse condizioni . Questa è una novità introdotta dal 2016 e ripresa nel CCII (accordo ad efficacia estesa). – Accordo agevolato (minimo 30%?): il CCII prevede anche la figura dell’accordo di ristrutturazione agevolato con soglia di adesione ridotta (30%), ma questa soglia ridotta serve solo per ottenere misure protettive e convenzioni moratorie; ai fini dell’omologa serve comunque almeno il 60%. In pratica, un debitore che ha già il 30% di consensi può chiedere misure protettive come nel concordato, per poi cercare di arrivare al 60%. È un meccanismo per incentivare la partenza di negoziati. – Accordo sui crediti tributari e contributivi: finora, i debiti fiscali e contributivi potevano essere inclusi in un accordo di ristrutturazione solo attraverso una specifica “transazione fiscale” parallela, con necessaria adesione dell’Erario/INPS. Il Correttivo ter 2024 delega il Governo a integrare meglio questi aspetti, ma ad oggi l’aderenza delle Entrate è ancora necessaria (non c’è cramdown sui tributi in ADR se l’Erario non firma). Tuttavia, la giurisprudenza va nella direzione di ammettere l’omologazione forzosa anche se l’Erario dissente, purché la sua soddisfazione sia non inferiore all’alternativa liquidatoria (questo concetto è già applicato nel concordato minore). – Procedura: l’imprenditore deposita il ricorso per omologa al tribunale allegando l’accordo firmato dai creditori necessari e la relazione attestativa di un professionista. Il tribunale verifica i presupposti (percentuali raggiunte, convenienza per eventuali estranei, regolarità informativa) e omologa con decreto. Da quel momento, l’accordo omologato è pubblicato e i creditori aderenti non possono sottrarsi (diventa titolo esecutivo in caso di inadempimento del debitore). – Misure protettive e moratorie: il debitore che sta trattando un accordo può chiedere al tribunale di sospendere per 60-120 giorni le azioni esecutive anche prima di depositare l’accordo (cosiddetto accordo in pendenza). È un po’ come il concordato “in bianco”: serve a dare respiro mentre si negozia e si raccolgono le firme. Serve il 30% di consensi o comunque elementi per credere che l’accordo è fattibile. Inoltre, il debitore può chiedere che i creditori finanziari siano obbligati a non revocare le linee (convenzione di moratoria) se l’80% di essi ha già accettato di mantenerle. – Vantaggi: l’accordo è riservato (viene pubblicato solo all’omologa, a cose fatte). Non c’è votazione pubblica né adunanza dei creditori, quindi meno pubblicità negativa. È molto rapido da omologare rispetto a un concordato perché non c’è giudizio di cramdown di classi ecc. ed è meno complesso. È flessibile nel contenuto: può prevedere qualsiasi cosa (dalla ristrutturazione del debito puro a operazioni straordinarie come fusioni, apporti di equity, ecc.). – Svantaggi: non vincola i dissenzienti (tranne eccezioni per finanziari). Quindi, se restano fuori creditori importanti, possono far fallire l’accordo agendo per conto loro. Per questo l’accordo funziona bene se quasi tutti i principali creditori aderiscono. Se ho 100 fornitori e ne convinco 60%, il 40% fuori può ancora crearmi problemi seri. In tali casi è preferibile un concordato. Inoltre, per l’omologa dell’accordo occorre garantire che i creditori estranei vengano comunque pagati integralmente entro 120 giorni da scadenza (o da omologa) se sono scaduti: questo spesso impone di reperire finanza per soddisfare i piccoli creditori in tempi brevi. – Quando usarlo: tipicamente in crisi dove i creditori principali sono pochi e negoziabili. Caso classico: l’azienda ha 5 banche, tutte esposte, e pochi fornitori; si trova un accordo con le banche (magari scambio debito/capitale con qualche banca che diventa socia, altre prorogano, qualcuna accetta stralcio parziale). Raggiunto 60-70%, si omologa e quelle banche minoritarie dissenzienti vengono tirate dentro se finanziarie oppure restano fuori ma, essendo poche, l’azienda può anche decidere di pagare integralmente quelle estranee subito (con la nuova finanza raccolta).
Esempio pratico (Accordo di ristrutturazione): supponiamo che PTFE S.r.l. abbia 3 banche per complessivi €1M e 20 fornitori per €300k. Ha prospettive di recupero ma serve ridurre l’onere finanziario. Attraverso trattative (magari condotte prima informalmente o in composizione negoziata), ottiene che 2 banche (che rappresentano l’70% del credito finanziario) firmino un accordo in cui accettano di: consolidare i fidi in un mutuo 10 anni, rinunciare a €100k di interessi futuri e mantenere liquidità operativa. La terza banca (30% del credito finanziario) inizialmente rifiuta. Con il 70% firmato, l’azienda chiede l’omologa di un ADR e l’estensione alla terza banca dissenziente (superando 75% richiesto, quindi ammissibile): il tribunale, riscontrato che anche a quella banca viene offerto almeno quanto a quelle consenzienti, estende l’accordo anche ad essa . Per i fornitori: l’impresa decide di pagarli al 100% a scadenze naturali (quindi li considera estranei, ma promette – e l’attestatore certifica – che potrà farlo regolarmente grazie al respiro ottenuto dalle banche). L’accordo viene omologato. Risultato: tutte e 3 le banche sono vincolate dalle nuove condizioni (anche la dissenziente si trova il mutuo ristrutturato come se avesse firmato) e nessun fornitore ha motivo di agire perché vengono pagati regolarmente. L’azienda ha evitato il fallimento e anche un lungo concordato, risolvendo la crisi con un accordo custom.
Se invece ci fosse stata una percentuale di fornitori da falcidiare, l’accordo ADR avrebbe funzionato solo se costoro volontariamente firmavano (non c’è un meccanismo di cramdown per i chirografari non finanziari). In mancanza, il debitore avrebbe dovuto optare per un concordato per imporgli il taglio.
In definitiva, l’accordo di ristrutturazione è un’opzione appetibile quando c’è sostanziale consenso già costruito con i maggiori creditori. Non a caso spesso è l’esito finale di una composizione negoziata di successo (la legge 2022 ha introdotto l’accordo in esecuzione di una composizione negoziata con qualche semplificazione di attestazioni). Esso garantisce quell’ultima dose di sicurezza (omologazione) che consolida gli accordi pattuiti, rendendoli inattaccabili (non soggetti a revocatoria, efficaci erga omnes per la parte finanziaria, ecc.).
Concordato preventivo
Il concordato preventivo è la tradizionale procedura concorsuale mediante la quale l’imprenditore insolvente (o in crisi) propone ai creditori un piano per la soddisfazione, in alternativa alla liquidazione fallimentare. Se i creditori approvano a maggioranza e il tribunale lo omologa, il piano diviene vincolante per tutti i creditori anteriori (inclusi i dissenzienti). Il concordato è disciplinato dagli artt. 84-120 CCII.
Tipologie di concordato: – Concordato in continuità: quando prevede la prosecuzione dell’attività (in proprio o mediante cessione/affitto a terzi). L’impresa continua ad operare, generando flussi per pagare i creditori. È incentivato dalla legge perché preserva valore (mantenimento dei posti di lavoro, salvaguardia dell’avviamento). Non richiede soglie minime di pagamento ai chirografari, ma deve dimostrare la convenienza rispetto alla liquidazione e rispettare obblighi come il pagamento integrale dei creditori privilegiati (salvo consensuale falcidia per quelli degradabili) e la presenza di finanza esterna se prevede anche liquidazione di beni. Nel concordato in continuità diretta, il debitore rimane alla guida sotto vigilanza del commissario; nel concordato in continuità indiretta, l’azienda viene trasferita a un acquirente (che deve mantenere livelli occupazionali) e la continuità è garantita attraverso il terzo. – Concordato liquidatorio: quando prevede solo la liquidazione del patrimonio dell’ente per soddisfare i creditori, senza prosecuzione di attività. È sostanzialmente un fallimento negoziato: il debitore offre ai creditori di liquidare i beni e distribuire il ricavato secondo un piano. Poiché manca la prospettiva di generare nuova ricchezza, la legge impone requisiti più stringenti per ammetterlo, onde evitare concordati meramente dilatori o troppo penalizzanti per i creditori chirografari. In particolare, l’art. 84 CCII richiede: (i) che il piano liquidatorio assicuri ai chirografari almeno il 20% del loro credito , salvo che non tutti i creditori siano soddisfatti integralmente; (ii) che vi sia un apporto di risorse esterne (denaro o beni nuovi) che aumenti di almeno il 10% l’attivo da distribuire (questo per evitare che il debitore scarichi sui creditori l’intero costo della liquidazione senza contribuire in nulla). Inoltre, nel concordato liquidatorio ordinario è prevista la nomina di un liquidatore giudiziale che sovraintende alla vendita dei beni dopo l’omologa, in luogo del debitore . – Concordato misto: combinazione di continuità parziale e liquidazione parziale (ad es. l’azienda cede alcuni asset non strategici e continua con il core business). Si applicano requisiti variabili a seconda della prevalenza, ma di fatto il 20% minimo si applica alla parte di attivo liquidatorio destinato ai chirografari.
Procedimento (in breve): – Domanda: L’imprenditore può presentare domanda di concordato completa di piano, stati finanziari, attestazione di veridicità e fattibilità (redatta da un attestatore indipendente). In alternativa, può presentare una domanda “con riserva” (ex art. 44 CCII, ex “concordato in bianco”), indicando che entro max 120 giorni depositerà il piano. La domanda viene pubblicata al Registro Imprese e da quel momento i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali (c’è un automatic stay). – Apertura e ammissione: Il tribunale verifica i presupposti formali e la fattibilità iniziale del piano. Se li ritiene adeguati, ammette l’azienda al concordato, nominando un Commissario Giudiziale e fissando un termine per il voto dei creditori. – Voto dei creditori: i creditori vengono suddivisi in classi (obbligatorio se ci sono creditori con posizione giuridica diversa, facoltativo altrimenti). Tipicamente privilegiati in classi separate, chirografari in una o più classi (es. banche chirografarie separate da fornitori, ecc.). I creditori votano (per corrispondenza o in adunanza) l’accettazione della proposta. Serve il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto (>50% del totale dei crediti votanti e astenuti). Se ci sono classi, conta la maggioranza per ciascuna classe e poi complessiva. Con la riforma UE, è possibile confermare il concordato anche se una o più classi votano contro, a condizione che almeno una classe di creditori con diritto di voto approvi e che i dissenzienti siano trattati non peggio di quanto otterrebbero in liquidazione (principio del best interest test) e nel rispetto della priorità relativa o assoluta (temi tecnici di cramdown interclasse). Il CCII art. 112 ammette il cramdown interclassi in certi casi, recependo la Direttiva 2019/1023 in parte. – Omologazione: se la votazione riesce (o anche in caso di mancanza di maggioranza, il debitore può chiedere comunque l’omologa forzosa interclasse se ne ha i requisiti), il tribunale tiene un’udienza di omologa. Verifica la regolarità del procedimento, la conformità del trattamento dei creditori alla legge (privilegiati almeno pari a liquidazione salvo consenso, 20% ai chirografari se liquidatorio, ecc.), e decide sulle eventuali opposizioni dei creditori dissenzienti (che possono eccepire ad es. convenienza o violazione di legge). Se tutto è in regola, il giudice omologa il concordato con sentenza. Da quel momento il piano diviene vincolante e si apre la fase esecutiva. – Esecuzione: se concordato in continuità, l’imprenditore prosegue l’attività sotto vigilanza e deve eseguire i pagamenti secondo il piano (il Commissario può diventare Organismo di Vigilanza post-omologa per monitorare). Se concordato liquidatorio, i beni vengono liquidati: spesso viene nominato un Liquidatore Giudiziale che sostituisce l’imprenditore nelle vendite (soprattutto se c’è diffidenza verso l’onestà del debitore). Terminata l’esecuzione, il tribunale dichiara chiuso il concordato. La società ne esce risanata (o liquidata, se del caso).
Differenze con altre procedure: il concordato è più formalizzato e garantista per i creditori. Offre loro un voto e il potere di opporsi. Ciò significa che richiede preparazione meticolosa: prima di depositare il piano, il debitore dovrebbe sondare il terreno con i creditori principali, altrimenti rischia il voto contrario. È anche una procedura più costosa: vi sono organi da pagare (commissario, eventuale liquidatore, attestatore), pubblicità, ecc. Di contro, è onnicomprensiva: a differenza dell’accordo ADR, il concordato, se omologato, include tutti i creditori, anche quelli che non avrebbero mai accettato spontaneamente. Diventa quindi la via maestra quando la platea dei creditori è troppo frammentata o non si può raggiungere un consenso qualificato spontaneo.
Concordato “semplificato”: come accennato, esiste una forma particolare di concordato liquidatorio senza voto, utilizzabile però solo dopo composizione negoziata fallita (art. 25-sexies CCII). In pratica è l’unico caso in cui i creditori non votano: il tribunale omologa se ritiene la proposta vantaggiosa e non peggiorativa rispetto al fallimento. Tuttavia, i creditori possono partecipare all’udienza e fare osservazioni. Questo strumento è stato finora raramente applicato e con cautela perché toglie potere decisionale ai creditori; ma è un’opzione per concludere una crisi senza dover convincere centinaia di piccoli creditori uno ad uno.
Concordato minore: riguarda le imprese non fallibili e i debitori civili (diversi dal consumatore). Lo tratteremo più avanti, ma anticipiamo che è analogo al concordato preventivo quanto a meccanismo di voto e omologa, con due grandi differenze: non c’è soglia minima del 20% ai chirografari (basta offrire più di quanto avrebbero in liquidazione controllata) e si rivolge a soggetti sotto soglia.
Vantaggi del concordato per il debitore: – Sospende tutte le azioni esecutive e cautelari (respiro immediato). – Permette di sciogliere o sospendere contratti pendenti sfavorevoli con autorizzazione del tribunale, oppure di cederli. – Consente di ottenere finanziamenti prededucibili per la gestione in continuità (chi presta soldi durante il concordato, se autorizzato, verrà rimborsato prima degli altri). – Con la nuova legge, consente di stralciare anche crediti fiscali e contributivi senza necessità di consenso individuale di Agenzia Entrate/INPS se il piano rispetta le regole di priority (grazie alla possibilità di cramdown nelle classi, se per esempio la classe Erario dissente ma il piano dà loro almeno quanto la liquidazione, il tribunale può comunque omologare). – A fine concordato, se eseguito regolarmente, il debitore ottiene l’esdebitazione residua: le eventuali parti di debito chirografario non pagate si estinguono (salvo per coobbligati e fideiussori, che rimangono obbligati). Per una società, questo significa che i debiti sono definiti e la società può proseguire libera dai vecchi debiti. Se però il concordato fallisce (non eseguito), si finisce comunque in liquidazione giudiziale. – Dunque, per l’imprenditore onesto, il concordato è anche un modo per mettere un punto finale alla crisi, mentre il fallimento potrebbe lasciar strascichi (pensiamo a revocatorie e azioni per anni).
Svantaggi: lungo, costoso, complesso. Inoltre comporta inevitabilmente pubblicità che può minare la fiducia di clienti e fornitori (anche se la legge oggi consente in continuità di mantenere contratti essenziali: i contratti in corso non possono essere risolti solo perché c’è il concordato, clausole risolutive di questo tipo sono nulle). Per i soci, un concordato può voler dire perdita del controllo se, ad esempio, il piano prevede la ricapitalizzazione con nuovi investitori o la cessione dell’azienda. Ma questo potrebbe accadere anche in un fallimento con esercizio provvisorio venduto.
Esempio pratico (Concordato): supponiamo che PTFE S.r.l. non sia riuscita a trovare un accordo con creditori, è insolvente ma l’attività ha ancora valore. Decide per un concordato in continuità: propone di proseguire l’attività, mantenere i 10 dipendenti, e pagare i creditori come segue – banche (ipotecarie) 80% in 5 anni; Agenzia Entrate (IVA e imposte privilegiate) 50% in 4 anni; fornitori chirografari 30% in 5 anni; mantenere i contratti di fornitura essenziali e cedere un capannone inutilizzato per fare cassa. Un investitore esterno si impegna a immettere €200k di nuova finanza per supportare il piano (finanza esterna che andrà a prededuzione ma in parte destinata a elevare il recovery dei chirografari). Il piano soddisfa la regola del best interest: tutti prendono più del 0% che avrebbero forse in fallimento (i chirografari forse avrebbero 5%, qui ne hanno 30%). I creditori votano: banche e Fisco favorevoli, i fornitori all’assemblea in gran parte sì (qualcuno contrario ma la classe, che rappresenta magari il 100% dei chirografari, raggiunge il 60% di sì). Il tribunale omologa rilevando che: l’IVA viene pagata al 50% ma la classe Erario ha votato sì, quindi ok; i privilegiati prendono almeno pari a liquidazione; i chirografari prendono 30% > 20% quindi abbondante (qui era continuità quindi neanche obbligatorio, ma c’è comunque contributo esterno). Omologato il concordato, PTFE S.r.l. continua, paga le prime rate ai creditori, e dopo 5 anni esce dalla procedura adempiente e esdebitata dal restante 70% verso fornitori. I soci hanno mantenuto la proprietà ma con sacrifici (nessun utile distribuito per anni, e disciplina stretta; però hanno evitato di perdere tutto con un fallimento).
Al contrario, se l’azienda fosse andata in concordato liquidatorio, magari perché proprio non c’era modo di proseguire, i soci avrebbero proposto: liquidiamo beni e paghiamo i creditori: ipotecari 70%, Fisco 30%, fornitori 20%. Per rispettare la legge, avrebbero dovuto far entrare un contributo esterno (forse i soci mettono 50k di tasca loro come finanza esterna pari al 10% dell’attivo) . I creditori avrebbero votato, e se consenzienti il tribunale avrebbe nominato un liquidatore per vendere il magazzino e i macchinari e distribuire i proventi. I soci in tal caso avrebbero perso l’azienda comunque (liquidazione), ma almeno avrebbero evitato azioni di responsabilità e chiuso dignitosamente la vicenda pagando 20% ai chirografari (in fallimento forse avrebbero preso molto meno).
Conclusione su concordato: è lo strumento concorsuale di elezione per crisi complesse in cui serve l’imposizione di una cram-down sui creditori dissenzienti, soprattutto per includere i cosiddetti creditori ostativi (Es: piccoli creditori rancorosi, enti pubblici non collaborativi). Il concordato consente di superarli, a costo di un procedimento formale. Per un imprenditore indebitato che voglia difendersi dal fallimento, il concordato è spesso la carta da giocare quando i tentativi stragiudiziali falliscono. Richiede però un piano serio e credibile, altrimenti i creditori e il tribunale lo bocceranno.
Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO)
Il Piano di Ristrutturazione Omologato (PRO) è un istituto di recentissima introduzione (introdotto col D.Lgs. 83/2022, artt. 64-bis, ter, quater CCII) in attuazione della Direttiva UE 2019/1023. Esso si pone a metà strada tra l’accordo di ristrutturazione e il concordato preventivo , configurandosi come un procedimento giudiziale semplificato finalizzato ad omologare un accordo di ristrutturazione anche senza il voto unanime di tutte le classi di creditori, sfruttando il meccanismo del cram-down interclassi. In sostanza, il PRO permette di ottenere un’omologazione giudiziale di un piano di ristrutturazione basata sul consenso di una parte (qualificata) dei creditori, rendendolo vincolante per tutti. È uno strumento disegnato per imprese medio-grandi (soggette a fallimento, infatti le imprese sotto soglia non vi accedono ) e in particolare per quelle situazioni in cui c’è la necessità di derogare alle regole di distribuzione delle cause di prelazione grazie all’accordo della maggioranza dei creditori .
Caratteristiche principali: – Accesso: può proporre un PRO l’imprenditore in stato di crisi o insolvenza (anche già insolvente conclamato, a differenza di alcuni vecchi istituti, e anche durante composizione negoziata) purché soggetto fallibile (non piccolo). Non è richiesto il deposito del piano dei 20% chirografari come nel concordato liquidatorio classico, perché il PRO può prevedere classi dissenzienti falcidiate oltre quelle soglie, se altre classi approvano (il senso è appunto di consentire deviazioni dalle absolute priority rules con il consenso richiesto). – Contenuto del piano: massima flessibilità – può essere in continuità o liquidatorio , oppure misto. Può prevedere alterazioni dell’ordine dei privilegi, ad esempio concordare che i chirografari prendano quote del capitale al posto del pagamento mentre i privilegiati accettano un taglio, ecc. Qualsiasi struttura può essere proposta, purché si rispetti la condizione che almeno una classe “interessata” (impaired) approvi e che nessuna classe dissenziente riceva meno di quanto riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale (best interest test). – Votazione: diversamente dal concordato, nel PRO non c’è adunanza generale, bensì i creditori aderiscono al piano di ristrutturazione su base di classi. Il piano infatti deve obbligatoriamente formare classi di creditori secondo posizioni giuridiche ed interessi economici omogenei. Il piano si considera approvato se tutte le classi votano favorevolmente (con maggioranza interna del 75% dei crediti per classe). Tuttavia, se una o più classi votano contro, il debitore può chiedere comunque l’omologazione forzosa a condizione che: (i) almeno una classe di creditori non inferiore (non insider) abbia votato sì; (ii) le classi dissenzienti non siano trattate in modo deteriore rispetto ad una qualsiasi altra classe di pari rango e rispetto alla absolute priority rule salvo eccezioni consentite (il giudice può anche superare la APR se lo ritiene necessario altrimenti nessun concordamento sarebbe possibile – art. 64-ter); (iii) il piano non preveda discriminazioni ingiustificate e sia conveniente per i dissenzienti. – Procedura: l’imprenditore deposita il piano PRO con documentazione e una relazione di un attestatore sulla veridicità dei dati e fattibilità del piano. Può contestualmente chiedere misure protettive (identiche a quelle del concordato) per condurre le trattative al riparo da esecuzioni. Il tribunale fissa un’udienza di omologa. Prima di essa, i creditori manifestano la loro adesione al piano per iscritto (non è un voto in senso tecnico con assemblea, ma un’adesione negoziale). Il commissario (che viene nominato nel frattempo) relaziona sul risultato delle adesioni. Se la soglia di consenso richiesta per classe è raggiunta, bene; se no, si valuta il cram-down. – Omologazione: il tribunale omologa se riscontra il rispetto delle condizioni di legge (maggioranze, equità del trattamento, convenienza per dissenzienti etc.). L’omologa rende il piano vincolante per tutti i creditori interessati (anche quelli che non hanno aderito o votato contro) . Dopo l’omologa, la gestione rimane in capo al debitore (salvo nomina di un fiduciario per vigilare se previsto). – Differenze dal concordato: nel PRO non c’è l’obbligo del 20% ai chirografari (può essere anche meno, se giustificato e comunque se accettato da classi di creditori). Si può omologare anche con il dissenso di intere classi, cosa che in concordato è possibile solo in modo limitato. Non vi è richiesta di finanza esterna minima (anche se spesso per convincere classi serve offrirla). Non c’è una distinzione formale tra continuità e liquidazione: il PRO può essere utilizzato anche per piani prevalentemente liquidatori (purché magari almeno una classe accetti volontariamente un certo trattamento, il giudice può imporlo alle altre). – Esempio scenario PRO: immaginiamo un’azienda industriale con forti debiti bancari e obbligazionari, e debiti fiscali. Vuole ristrutturarsi cedendo uno stabilimento, convertendo i bond in equity e riducendo i debiti bancari a fronte di azioni e di nuova finanza di un investitore. Un piano PRO potrebbe creare classi: 1) obbligazionisti (a cui si offre il 30% in contanti + 20% in quote societarie); 2) banche chirografarie (a cui si offre il 40% in contanti, niente equity); 3) Erario privilegiato (a cui si offre 50% in 5 anni); 4) chirografari vari (fornitori, etc., a cui va il 20%). Alcune classi voteranno no (es. forse i fornitori non vogliono 20%). Se almeno una classe con creditori non parti correlate dice sì (es. le banche e obbligazionisti votano sì perché il piano conviene rispetto al fallimento), il tribunale può imporre l’accordo anche sui fornitori dissenzienti, constatando che il 20% è comunque maggiore di quel che prenderebbero in liquidazione (supponiamo 5%). L’Erario? Se vota contro (nel PRO originariamente non si prevedeva transazione fiscale esplicita), il tribunale potrebbe comunque omologare se l’Erario ottiene almeno il valore di liquidazione (grazie alla giurisdizione civile sulla contestazione del diniego, come notato in dottrina ). Nel Correttivo ter 2024, in realtà, si è aggiunta la possibilità di includere la transazione fiscale anche nel PRO, dunque se l’Erario è d’accordo meglio, se no il giudice può procedere se requisiti rispettati. Così il piano viene omologato e l’azienda esce con una nuova struttura patrimoniale. Senza il PRO, un concordato con quei numeri sarebbe stato difficile perché i fornitori avrebbero potuto far fallire il voto o l’Erario opporsi efficacemente.
In sintesi, il PRO è pensato per ristrutturazioni complesse di imprese medio-grandi dove è necessario convincere categorie di creditori differenti con soluzioni ad hoc e dove non si può ottenere il consenso di tutti, ma solo di una parte determinante. È un po’ l’equivalente delle Chapter 11 plans americane per grandi ristrutturazioni, introducendo la flessibilità di alterare la priorità con il consenso maggioritario.
Per l’imprenditore, il PRO è un’opportunità se: – Ha un piano industriale di rilancio solido e supporto di creditori chiave, ma qualche classe minoritaria potrebbe fare ostruzionismo. – Vuole evitare la lungaggine e la rigidità di un concordato tradizionale (es. obbligo 20%) pur avendo bisogno di una procedura giudiziale per bloccare le azioni e imporre il piano erga omnes. – È disposto a sottoporre a maggior controllo giurisdizionale il piano (i giudici scrutano più nel merito la convenienza, data la mancanza di unanimità).
Il PRO è ancora poco testato nella pratica (essendo nuovo), ma in questo 2023-2024 alcune pronunce emergenti di merito ne hanno sondato i limiti: ad esempio, Tribunale di Udine 9/2022 ha ammesso che nel PRO si possano falcidiare anche crediti fiscali e contributivi benché la legge non lo menzionasse, ritenendo il silenzio legislativo non un divieto ma una lacuna colmabile con i principi UE . Il correttivo ter ha poi chiarito alcune di queste possibilità. Dunque, il PRO sta diventando uno strumento effettivo anche per negoziare con il fisco in maniera forzosa.
Procedure minori per piccole imprese e persone (cenni)
Per completezza, accenniamo che le imprese sotto soglia (non fallibili) e i garanti persone fisiche possono accedere alle procedure previste dal Capo II del CCII, derivate dalla Legge 3/2012 sul sovraindebitamento. Trattasi del concordato minore, dell’accordo di ristrutturazione dei debiti del consumatore (piano del consumatore) e della liquidazione controllata del sovraindebitato. Nel contesto di una S.r.l., queste procedure diventano rilevanti se: (i) la S.r.l. stessa risulta non fallibile (piccolissima) – allora non può fare un concordato preventivo classico ma può chiedere un concordato minore, molto simile salvo l’assenza di soglia fissa di pagamento ai chirografari e alcune semplificazioni ; (ii) i soci o gli amministratori garanti, come persone fisiche sovraindebitate a causa dell’escussione, possono attivarle per risolvere la loro posizione personale.
Ad esempio, se PTFE S.r.l. fosse sotto soglia e dovesse liquidare, chiederebbe la liquidazione controllata (ex liquidazione del patrimonio) al tribunale competente per sovraindebitamento, nominando un liquidatore che farebbe in piccolo ciò che un curatore farebbe nel fallimento – vendere i beni e pagare i creditori secondo cause di prelazione. La differenza è che in liquidazione controllata, a fine procedura il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione di diritto (se meritevole) anche se i creditori non sono stati integralmente soddisfatti. Per una società di per sé l’esdebitazione non ha senso (cessando, cessa anche il debito in capo a lei); ma se i soci hanno garantito, la loro esposizione residua personale può essere alleviata.
Il concordato minore funziona come un mini-concordato: serve il voto dei creditori (maggioranza in percentuale del 50% circa), l’omologa del giudice, e vincola tutti. Non c’è l’obbligo del 20% ai chirografari, solo che prendano più che in liquidazione . Inoltre, spesso nel concordato minore opera l’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) che assiste il debitore (specie se persona fisica o società di persone). In prassi, questo strumento è usato per piccoli imprenditori individuali o società di persone. Una s.r.l. ne potrebbe usufruire solo se casualmente sotto soglia di non fallibilità.
Dato l’obiettivo e il taglio della guida, non ci dilunghiamo oltre su queste procedure di sovraindebitamento, ma è importante sapere che esistono e che un consulente deve valutarle se la situazione non rientra nel regime concorsuale ordinario.
Protezione del patrimonio personale di soci e amministratori
Un punto cruciale “dal punto di vista del debitore” è comprendere come difendere il patrimonio personale dei soggetti coinvolti – soci, amministratori, garanti – dalle aggressioni legate ai debiti dell’azienda. Come già evidenziato, la S.r.l. offre per definizione una barriera: soci non rispondono con i propri beni delle obbligazioni sociali . Tuttavia, questa regola soffre di eccezioni pratiche e giuridiche: 1. Fideiussioni personali e altre garanzie: se i soci (o l’amministratore) hanno garantito personalmente debiti sociali, quella distinzione salta. La gran parte delle banche in Italia, ad esempio, richiede la fideiussione dei soci per concedere credito a una piccola S.r.l.; lo stesso spesso fanno fornitori strategici (con “fideiussione omnibus” o avalli su cambiali). Tali garanzie comportano che il garante è obbligato in solido col debitore, e quindi i suoi beni possono essere immediatamente aggrediti al default aziendale. Difendersi qui significa: negoziare la liberazione o limitazione delle garanzie durante la ristrutturazione (ad es. se la banca accetta un accordo, far inserire la contestuale liberazione del garante all’esito dei pagamenti concordati); in alternativa, se la garanzia viene escussa e il socio non può pagare, dovrà valutare i rimedi personali (sovraindebitamento, come detto, per cercare l’esdebitazione). 2. Utilizzo personale di beni sociali e confusione patrimoni: se l’amministratore o il socio hanno di fatto confuso il patrimonio sociale col proprio (ad esempio prelevando denaro senza giustificazione, usando beni aziendali per fini privati senza regolarità), in sede di fallimento il curatore potrebbe agire con un’azione di responsabilità o revocatoria per recuperare quelle utilità. Inoltre, situazioni estreme di confusione possono portare i creditori a sostenere l’esistenza di una società di fatto tra socio e società, o un abuso di personalità giuridica tale da giustificare un’estensione di responsabilità (teorie più vicine al “piercing the corporate veil” anglosassone, non codificate ma a volte affioranti in giurisprudenza). Un esempio è la figura della supersocietà di fatto: se una S.r.l. è utilizzata solo come schermo di un socio unico e quell’unico socio compie atti d’impresa in proprio, un creditore potrebbe chiederne il fallimento come imprenditore di fatto insieme alla società (Cass. 5458/2023 ha discusso di “supersocietà di fatto” fallita insieme ai soci illimitatamente responsabili ). – Prevenzione: mantenere rigorosa separazione contabile e gestionale tra società e soci. Non utilizzare i conti sociali per spese personali, non farsi anticipare denaro senza titolo. Se la società sostiene spese per i soci, formalizzarle come finanziamenti o dividendi (se utili) prima di farle. In crisi, evitare di “svuotare” la società a favore dei soci: qualunque atto del genere (pagamenti a soci, restituzioni di finanziamenti soci, cessioni di beni ai soci) è altamente a rischio revocatoria (i pagamenti ai soci sono postergati per legge in caso di finanziamenti anomali). 3. Scioglimento e cancellazione della società con debiti: come visto, se i soci chiudono la S.r.l. con debiti insoddisfatti, questi non spariscono – i creditori possono agire contro i soci fino a concorrenza di quanto da essi riscosso in sede di liquidazione . Addirittura, in giurisprudenza prima della pronuncia unificatrice del 2025 c’era chi sosteneva che per i debiti fiscali, in caso di S.r.l. “a ristretta base”, si potesse presumere che i soci avessero comunque beneficiato indirettamente e ritenerli responsabili anche oltre il percepito . Ora la Cassazione SS.UU. ha escluso l’automatismo , ma resta il fatto che se un socio ha prelevato beni o utili, ne risponderà. Dunque, non è una strategia percorribile “far fallire” la società chiudendola volontariamente senza pagare nessuno, credendo di salvarsi: i creditori potranno comunque rifarsi su liquidatori e soci (nei limiti suddetti) e per di più i soci potrebbero vedersi dichiarare il fallimento personale entro 1 anno (art. 10 L.F.) se emerge lo stato di insolvenza al momento della cancellazione . – Suggerimento: se si vuole evitare la procedura concorsuale pubblica, una strada più sicura è cercare di definire stragiudizialmente i debiti con transazioni tombali e poi liquidare la società senza debiti. Chiudere con debiti è un azzardo che scarica responsabilità personali. 4. Responsabilità degli amministratori: questi, pur non essendo debitori principali, possono diventare bersaglio di azioni risarcitorie. Il curatore fallimentare (o i creditori in concordato) possono promuovere l’azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. (per S.r.l.) se ravvisano che la mala gestione ha causato danni al patrimonio sociale. Classici esempi: aver continuato a indebitarsi quando era palese l’impossibilità di recupero, causando un aumento del passivo; aver pagato preferenzialmente un creditore invece che altri (danno alla par condicio); aver omesso di versare imposte causando sanzioni poi cadute sul patrimonio sociale, ecc. In situazioni di crisi, gli amministratori devono muoversi con prudenza e trasparenza: documentare ogni scelta, consultare professionisti, evitare atti che possano essere interpretati come distrattivi o lesivi per i creditori. – Inoltre, esistono responsabilità specifiche: ad esempio, l’amministratore che non versa l’IVA compie reato, come detto. L’amministratore che non presenta i libri in tribunale entro il termine e aggrava il dissesto può essere colpevole di bancarotta semplice. E se aliena beni sottocosto o distrae valori, è bancarotta fraudolenta, con pene severe. – Protezione: la miglior protezione è la prevenzione. Quando la crisi appare irreversibile, meglio convocare un’assemblea e nominare un liquidatore o ricorrere subito a procedure concorsuali invece di continuare ad accumulare debiti (questo rientra anche nei doveri imposti dalle norme sull’allerta). Inoltre, è utile richiedere pareri e attestazioni da esperti: se un atto (es. vendere un ramo d’azienda sottovalore) è necessario per salvare l’impresa, fate stimare il valore da un perito e fate attestare l’operazione in un piano – in futuro, ciò potrà tutelare l’amministratore dimostrando che ha agito informato e nell’interesse della massa. – Un istituto importante introdotto dal CCII è l’esonero di responsabilità per finanziamenti dei soci o dei nuovi finanziatori in attuazione di un concordato o accordo omologato: se il piano omologato prevedeva certe azioni (es. vendere a un certo prezzo un immobile, o i soci conferiscono denaro per pagare i debiti), quelle sono scelte protette, non contestabili come dannose. 5. Strumenti di protezione patrimoniale: e se i soci volessero mettere al sicuro il proprio patrimonio prima che i creditori arrivino? Ad esempio, un socio potrebbe pensare di trasferire la casa alla moglie o in un trust appena capisce che la società va male. Bisogna qui essere chiari: qualsiasi atto dispositivo a titolo gratuito o sottovalore compiuto dopo che esistono debiti sarà con ogni probabilità soggetto ad azione revocatoria da parte dei creditori (entro 5 anni se atto gratuito, 2 anni se oneroso con malafede, ecc.) o, in caso di fallimento, ad azione revocatoria fallimentare (con termini leggermente diversi). Quindi, a meno di farlo molti anni prima e in assenza di debiti noti, spostare beni in extremis non funziona – anzi, può configurare anche reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte se si hanno debiti fiscali significativi. Lo stesso dicasi per la costituzione di un fondo patrimoniale: i creditori anteriori possono attaccarlo se il debito era pregresso e i beni sono stati conferiti dopo averli contratti. Soluzioni come il trust, se palesemente rivolte a defraudare creditori, vengono dichiarate inefficaci. – Dunque, la via lecita per proteggere il patrimonio personale è non impiegarlo come garanzia se non necessario e mantenere separate le sfere. Se il socio possiede immobili o liquidità, magari li tenga in una holding familiare separata che non sia coinvolta nelle operazioni della S.r.l. Così, se la S.r.l. cade, i beni della holding non sono aggredibili (salvo azioni revocatorie se la holding ha ricevuto trasferimenti anomali). – In situazioni pre-crisi, ci sono strumenti come i patti di famiglia o le donazioni ai figli, che se fatti in bonis e molti anni prima, possono riuscire a sottrarre beni dall’eventuale bufera (ma hanno implicazioni successorie e fiscali a considerare). Tuttavia, inserirli come “consigli” in piena crisi suonerebbe come istigazione a possibili condotte di frode verso i creditori, che non vogliamo promuovere.
Il punto fondamentale: se l’azienda è indebitata, anche soci e amministratori devono dotarsi di consulenza legale personale. A volte l’interesse della società (ad esempio fare un concordato con forti sacrifici per i creditori) non coincide con l’interesse del socio (che magari preferirebbe rischiare il fallimento e tentare di salvare in altro modo i suoi beni). Un amministratore deve agire per il bene dei creditori sociali quando la società è insolvente, anche a scapito del proprio. Ma come persona fisica ha il diritto di valutare se dimettersi, se negoziare la propria liberazione con banche, o se attivare procedure personali.
Ad esempio, un socio garante potrebbe dire: “Preferisco che la S.r.l. fallisca e poi faccio la liquidazione del mio patrimonio personale, così mi libero pure io”, mentre un altro socio preferirà il concordato della S.r.l. perché tiene all’azienda anche se dovrà pagare parte della garanzia. Non c’è risposta unica: dipende da valutazioni economiche e morali. L’importante è che siano scelte informate: valutare, con i numeri alla mano, cosa comporta ogni scenario per i vari stakeholder (ad esempio: con concordato, i soci versano X e mantengono l’azienda; con fallimento, i soci perdono azienda, rischiano azioni e pagano forse la garanzia intera, però esdebitazione personale dopo 4 anni; e così via).
La migliore difesa del patrimonio personale resta comunque rilanciare l’azienda o chiudere le pendenze in modo regolato. Se l’impresa viene risanata, i creditori non avranno ragione di aggredire i soci; se viene liquidata con procedura concorsuale, i soci pagheranno solo se obbligati per legge (fideiussioni, atti distrattivi).
Come case law aggiornato, abbiamo già citato Cass. SS.UU. 3625/2025 che rassicura i soci: senza utili incassati, niente responsabilità residua . Inoltre Cass. 32729/2023 (ordinanza) ha confermato che il socio unico non risponde dei debiti oltre quanto ricevuto, ribaltando una condanna di primo grado che lo aveva erroneamente condannato all’intero . Quindi oggi la giurisprudenza maggioritaria tutela il principio di responsabilità limitata. Ma attenzione: responsabilità limitata non significa irresponsabilità assoluta. Un socio può dormire sonni tranquilli solo se: non ha firmato garanzie, non ha drenato risorse indebitamente, e la società viene gestita (o liquidata) con correttezza.
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito, una serie di domande e risposte comuni che aiutano a chiarire ulteriormente i dubbi pratici sulla difesa dal sovraindebitamento aziendale, specialmente dal punto di vista di soci e amministratori:
- D: La mia S.r.l. può essere dichiarata fallita per qualsiasi importo di debito?
R: No. Oltre ai requisiti dimensionali (impresa commerciale non piccola), esiste una soglia di debito: attualmente i debiti scaduti e non pagati devono superare €30.000 perché il tribunale possa aprire la liquidazione giudiziale . Sotto tale importo, la legge presume che la crisi sia troppo esigua e tutela il debitore da procedure concorsuali (restano però possibili le azioni esecutive individuali). Inoltre, se l’impresa è sotto soglia (attivo ≤ 300k, ricavi ≤ 200k, debiti ≤ 500k), è non fallibile e al suo posto si applicherebbero le procedure di sovraindebitamento (concordato minore, liquidazione controllata, ecc.). - D: Se la S.r.l. fallisce, i soci falliscono anch’essi?
R: In generale no, i soci di società di capitali non falliscono per estensione. Fallisce solo la società. Il socio perde il capitale investito (le sue quote non valgono più nulla) ma i suoi beni personali restano al sicuro, salvo quanto segue: se un socio aveva obbligazioni personali (es. fideiussioni, coobbligazioni) potrà essere perseguito su quelle; se il socio aveva ricevuto dei beni o somme dalla società prima del fallimento, il curatore potrebbe agire per farle restituire (es. un finanziamento soci rimborsato nell’anno precedente può essere revocato). Fanno eccezione i soci di società di persone illimitatamente responsabili: in una SNC i soci falliscono con la società. Ma in una S.r.l., responsabilità limitata significa niente coinvolgimento automatico dei soci . Attenzione però: se si accerta che la società era mero schermo e i soci agivano come imprenditori di fatto, un creditore può tentare di far dichiarare il fallimento personale dei soci (casistica rara, richiede prova di confusione tra patrimonio sociale e personale). - D: Ho dato fideiussione in banca per la società: se la società non paga, possono toccare la mia casa?
R: Sì. Il garante fideiussore è obbligato in solido col debitore: la banca in caso di inadempimento può notificare precetto e pignorare direttamente i beni del fideiussore (casa, stipendio, conto, ecc.), nei limiti di quanto garantito. La casa: se è prima casa non ipotecata, può essere pignorata (diversamente dal Fisco che sulla prima casa non può iscrivere ipoteca né venderla, un privato sì). Se la casa è in comunione col coniuge estraneo, si può pignorare solo la quota del fideiussore. Per difendersi: valutare un accordo con la banca prima che si arrivi all’asta (ad esempio vendere volontariamente l’immobile per soddisfare il debito, o proporre alla banca una somma a saldo e stralcio). In parallelo, se l’importo è insostenibile, il fideiussore persona fisica può considerare le procedure di sovraindebitamento per evitare il pignoramento o comunque risolversi dopo (es. chiedere al tribunale un piano del consumatore per ristrutturare il debito di garanzia, o dopo l’escussione proporre la liquidazione controllata per liberarsi del debito residuo). Prevenzione migliore: non dare ipoteca sulla propria casa come garanzia; se inevitabile, almeno tentare di limitare l’importo garantito e negoziare con la banca una rinuncia all’azione di regresso (in modo che se paga il socio, poi non possa rifarsi sulla società – ma raramente concesso). - D: In caso di debiti fiscali elevati, il Fisco può aggredire i beni personali dei soci o amministratori?
R: Può farlo in alcune situazioni specifiche: - Se la società è ancora in essere, in linea di massima NO, aggredisce solo beni sociali (salvo situazioni di responsabilità solidale previste da norme speciali, es. amministratori per mancato versamento di ritenute previdenziali ex art. 2 L.638/83).
- Se la società viene cancellata con debiti tributari, allora l’Agenzia Entrate Riscossione può notificare ai soci avvisi di addebito per recuperarli entro i limiti di quanto dai soci riscosso in liquidazione . Quindi sì, in quel caso i soci rischiano i propri beni fino a concorrenza di utili/dividendi/quote di capitale ricevute. Se non hanno ricevuto nulla, dovranno difendersi dimostrando di non aver beneficiato (onere che comunque spetta prima al Fisco di provare distribuzioni, secondo Cassazione 2025 ).
- Gli amministratori/liquidatori possono essere chiamati in causa per il debito fiscale se hanno agito con colpa grave nel non pagarlo usando le risorse altrove (art. 36 DPR 602/73 prevede responsabilità solidale di liquidatori per il pagamento delle imposte dovute in caso di mal riparto dell’attivo ). Esempio: se il liquidatore paga i soci e lascia impagato un debito IVA, risponde verso il Fisco del danno.
- Inoltre, i beni dei soci/amministratori possono essere colpiti da misure cautelari penali: se ci sono reati tributari (tipo sottrazione fraudolenta al pagamento imposte, bancarotta, ecc.), il giudice penale può disporre sequestri sui beni personali per equivalente.
- Fuori da questi casi, in un concordato o fallimento, il Fisco non può chiedere ai soci di pagare i tributi sociali dovuti (li recupera nella procedura concorsuale). Neanche l’IVA: in passato vi era il cosiddetto “principio di solidarietà patrimoniale” poi rientrato. Quindi generalmente i soci non rischiano la casa per i debiti IVA della società (a meno che abbiano anche loro commesso il reato e vengano condannati a risarcire lo Stato).
- Amministratori però possono subire iscrizione al ruolo coattivo per sanzioni ad essi comminate (es. sanzioni amministrative tributarie se dichiaranti) o se sono stati liquidatori come detto.
- D: Se faccio un concordato preventivo, devo pagare per forza almeno il 20% di tutti i debiti?
R: Solo se il concordato è liquidatorio puro. La legge impone il minimo 20% ai creditori chirografari in caso di concordato liquidatorio , più un 10% di attivo esterno, per evitare concordati al ribasso. Ma se il concordato è in continuità aziendale, non esiste una percentuale minima fissa – si può proporre anche meno del 20% ai chirografari, purché si dimostri che è il massimo ricavabile e comunque più di quanto avrebbero in caso di fallimento (principio di convenienza). Ad esempio, nei concordati con continuità durante la pandemia sono stati omologati piani che davano anche solo il 5-10% ai chirografari, perché l’alternativa era il fallimento con zero. Inoltre, nelle imprese minori (concordato minore) non vige il 20% fisso, ma solo la convenienza rispetto alla liquidazione . Quindi, la risposta è: dipende dalla tipologia. Di base, se non si continua l’attività occorre raggiungere 20%, se la si continua si può scendere sotto, con giustificazione. Comunque, offrire una percentuale dignitosa è spesso tatticamente utile per ottenere il voto favorevole dei creditori. - D: Che differenza c’è tra concordato preventivo e accordo di ristrutturazione?
R: In sintesi: - Il concordato preventivo è una procedura concorsuale aperta a tutti i creditori, con voto di maggioranza e omologa che impone il piano anche ai dissenzienti (salvo eccezioni minoritarie). Richiede l’intervento attivo del tribunale in più fasi (ammissione, voto, omologa) e garantisce la sospensione delle azioni esecutive fin dall’inizio.
- L’accordo di ristrutturazione dei debiti è un accordo privato tra debitore e creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti , che su richiesta viene “omologato” dal tribunale ma senza coinvolgere i creditori non firmatari. È più snello: niente voto di tutti, solo adesioni individuali; niente requisiti di percentuale minima di soddisfo, se non il pagamento integrale garantito ai non aderenti (se lasciati fuori). Meno potere di cramdown: non può imporre condizioni ai creditori che non hanno aderito, a meno che siano creditori finanziari e si abbia quell’adesione del 75% che permette l’estensione .
- In pratica, se hai un ampio consenso (superiore al 60-75%) e pochi creditori fuori, l’accordo è preferibile perché più rapido e meno costoso. Se invece devi forzare la mano a molti dissenzienti, serve il concordato. A volte la scelta si fa ex ante: posso convincere abbastanza creditori? Se sì, vado di accordo ADR; se no, subito concordato. In altri casi, si prova prima a fare accordi e se non tutti aderiscono, si “scala” verso un concordato per includere i restanti.
- Un altro aspetto: nel concordato c’è un commissario e molta più trasparenza/pubblicità. Nell’ADR tutto può restare riservato fino all’omologa (che spesso passa sotto traccia).
- Esempio: se la mia crisi coinvolge 5 banche e tutte concordano su un piano, perché fare un concordato pubblico? Basta un ADR con 100% adesione banche, omologato e riservato. Ma se 2 banche su 5 non ci stanno, col 60% potrei omologare l’accordo vincolante per le 3 aderenti, ma le 2 fuori potrebbero attaccarmi => in tal caso meglio il concordato (così anche le 2 dissenzienti sono dentro per legge se la maggioranza approva).
- D: Posso salvare l’azienda trasferendola a una nuova società e far fallire la vecchia con i debiti?
R: Questa manovra – nota in termini non tecnici come “phoenix company” o “bad company” – è altamente rischiosa se fatta in modo non conforme alla legge. Se semplicemente sposti gli asset buoni (macchinari, avviamento, contratti) a una nuova società controllata dai medesimi soci, lasciando nella vecchia solo i debiti e poi la fai fallire, il curatore sicuramente contesterà l’operazione: agirà in revocatoria per riprendersi i beni trasferiti, oppure accuserà i vecchi amministratori di bancarotta (distrazione di beni a favore della newco). - Ci sono però modi legittimi di realizzare una transazione di questo tipo, ad esempio mediante un concordato con assuntore: il concordato preventivo prevede che un soggetto terzo (anche una NewCo) assuma il concordato, ossia rilevi l’azienda e/o paghi un certo dividendo ai creditori, ottenendo in cambio l’attività libera dai debiti. In tal caso, la vecchia società esce dal concordato liquidata e la nuova prosegue l’attività con gli asset acquistati e solo i debiti concordati. Questo è sostanzialmente una “phoenix” lecita perché fatta sotto supervisione del tribunale e a condizioni eque (i creditori ricevono qualcosa in cambio della cessione degli asset all’assuntore).
- Fuori da concordato, se proprio si vuole cedere l’azienda a una newco, occorre farlo a valore di mercato e con trasparenza: una cessione d’azienda contro corrispettivo congruo (meglio se stimato da perito) può essere opponibile, specialmente se i soldi vanno poi ai creditori. Se invece la vendi sottoprezzo alla newco dei tuoi familiari, è praticamente frode.
- Quindi, “salvare l’azienda in una nuova società e liquidare la vecchia” si può fare, ma farlo senza passare per procedure rischia di essere ribaltato. Molti casi di bancarotta fraudolenta nascono così. Dunque la via corretta è: concordato con cessione a newco come assuntore, oppure accordo col debitore dove la newco compra gli asset e il ricavato va a soddisfare i debitori (in tal caso i creditori dovrebbero essere d’accordo, altrimenti impugnano l’operazione).
- D: Dopo il concordato o la liquidazione fallimentare, i debiti residui della società verso i creditori vengono cancellati?
R: Sì, sostanzialmente. Se la società viene liquidata e cancellata dal registro imprese, essa si estingue e i debiti insoddisfatti non possono più essere fatti valere contro di essa (perché non esiste). Nel concordato, se viene omologato e adempiuto, la società adempiente è liberata dai debiti anteriori per la parte eccedente quanto pagato secondo il piano (questo viene talora chiamato impropriamente “esdebitazione della società”, sebbene tecnicamente l’esdebitazione è concetto riferito al debitore civile o fallito persona fisica). In pratica, se un fornitore aveva 100 e ne riceve 30 in concordato, non potrà pretendere il restante 70 in futuro: il concordato ha efficacia novativa e quei crediti si intendono soddisfatti. - Una volta terminato il concordato, la società può proseguire con solo i debiti eventualmente nuovi contratti post omologa. Quelli anteriori e falcidiati sono chiusi.
- C’è un caso particolare: se emergesse dopo l’omologa un creditore che non era stato considerato (per errore), in teoria quel credito non sarebbe stato falcidiato. Ma la legge prevede meccanismi per far valere tardivamente i crediti nel concordato; se pure ne spuntasse uno a procedura chiusa, la società potrebbe opporre l’avvenuta omologazione ed esdebitazione. In fallimento, i creditori che non hanno riscosso tutto partecipano alla ripartizione e poi la società muore: non possono fare altro (possono al più rivalersi su soci entro limiti art. 2495 c.c. come detto).
- Importante: l’esdebitazione automatica è prevista per le persone fisiche fallite (che possono chiedere di essere esdebitate dai debiti non pagati a fine procedura, salvo eccezioni). Le società non ne hanno bisogno perché, essendo estinte, quei debiti sono “cancellati” con loro.
- D: L’apertura di una procedura di concordato o simili può aiutare anche i garanti e coobbligati?
R: Dipende. La regola generale è che la liberazione del debitore principale in procedure concorsuali non libera i coobbligati e fideiussori (art. 88 L.F. e analoghe del CCII): questi rimangono obbligati per intero. E nemmeno la falcidia del debito principale si estende a loro (il fideiussore che paga poi può subentrare solo per la quota pagata, ma se ne paga solo una parte rimane l’obbligo per il resto). Questo per evitare che un concordato al 30% liberi anche il garante. Quindi, se la S.r.l. fa concordato al 30%, la banca può comunque chiedere ai soci fideiussori l’altro 70% (salvo che nel concordato stesso l’ente abbia rinunciato, ma in genere non lo fa). - Tuttavia, i garanti possono trarre beneficio indiretto: ad esempio, se il concordato paga il 30% alla banca, il debito residuo del garante verso la banca scende al 70% (perché la banca ha incassato 30% e va a ridurre l’obbligazione garantita). Poi la banca chiederà il 70% al fideiussore. Il fideiussore una volta pagato subentra contro la società, ma la società è esdebitata per quella quota, dunque il suo regresso non è esercitabile. In pratica il fideiussore paga e finisce lì. Quindi il garante non è liberato ex ante, ma se paga può rimanere incastrato a pagare da solo senza potersi rifare.
- È consigliabile, se possibile, includere nella proposta di concordato una clausola di liberazione totale dei garanti (qualche volta creditori la accettano, specie se il concordato offre quasi quanto avrebbero comunque ricavato escutendo il garante). Oppure il garante può negoziare a parte con il creditore la propria posizione (magari pagando una piccola percentuale extra per liberarsi).
- Caso speciale: nelle procedure di sovraindebitamento, il “piano del consumatore” omologato libera il consumatore coobbligato anche se il debitore principale non paga per intero (ma lì è invertita la prospettiva, non pertinente qui se il socio è consumatore e la società debitrice principale no, non si applica).
- D: Quanto dura una procedura di concordato o fallimento?
R: Un concordato preventivo oggi, con le riforme, può durare circa 6-12 mesi dall’ammissione all’omologa, più il tempo di esecuzione del piano che varia (alcuni piani durano anni nell’adempimento). La fase processuale è abbastanza rapida (specialmente se c’è accordo tra le parti). Un fallimento (liquidazione giudiziale) invece può durare diversi anni: mediamente in Italia 5-7 anni per chiudere, a volte di più se ci sono cause legali in mezzo. La liquidazione controllata dei piccoli debitori è più rapida, perché il patrimonio è limitato (1-2 anni). La composizione negoziata ha durata massima 6 mesi prorogabile di altri 6 (in media 3-4 mesi si cerca l’accordo). Quindi, il concordato può dare una soluzione definitiva in tempi relativamente brevi rispetto a un fallimento. - D: Cosa succede se il concordato non viene poi eseguito (l’azienda non riesce a rispettare il piano)?
R: In caso di inadempimento rilevante nel concordato, il tribunale su istanza dei creditori o del commissario può dichiarare la risoluzione del concordato. Ciò di norma comporta l’apertura della liquidazione giudiziale (fallimento) dell’azienda (non sempre automatica ma praticamente sì, perché l’insolvenza permane). I creditori riacquisiscono il diritto per intero ai crediti originari decurtati degli acconti ricevuti. Le garanzie reali riacquistano efficacia per la parte residua. Insomma, si torna a “zero” ma con patrimonio spesso ormai ridotto (per questo i giudici sono severi nel valutare la fattibilità del piano: un concordato non fattibile è un boomerang, rallenta solo l’inevitabile fallimento, peggiorando la situazione). - Anche l’accordo di ristrutturazione se non eseguito può condurre al fallimento su istanza dei creditori insoddisfatti.
- Da qui l’importanza di proporre piani prudenti, realizzabili anche con margine di sicurezza, e di monitorare l’andamento. Se post-omologa emergono difficoltà, è preferibile che l’imprenditore segnali al tribunale e magari chieda una modifica del piano (nei limiti ammessi) o una proroga, piuttosto che far finta di nulla e accumulare ritardi.
- Per i soci garanti, se il concordato salta, tornano esposti per intero (salvo aver pagato nel frattempo qualcosa che riduce il debito). Quindi un concordato non riuscito può essere la peggiore delle situazioni: si è perso tempo e magari asset senza risolvere nulla. Per questo bisogna prepararlo bene e garantirsi di poterlo sostenere.
Conclusioni
Affrontare una crisi debitoria in ambito aziendale richiede una visione chiara sia dei propri diritti sia dei doveri verso i creditori. Dal punto di vista del debitore (socio o amministratore di una S.r.l.), “difendersi” non significa eludere le proprie obbligazioni, ma piuttosto gestirle attivamente, scegliendo il percorso legale che massimizzi le chance di salvare l’impresa (se viabile) o, se ciò non è possibile, di limitare i danni e chiudere la vicenda con il minor sacrificio economico personale.
La normativa italiana, aggiornata al 2025, offre oggi un ventaglio di strumenti adatto a vari scenari: dalla composizione negoziata per le crisi precoce o reversibili, al concordato preventivo per i casi più complessi, passando per accordi e piani attestati per soluzioni mirate. Le ultime riforme (Codice della Crisi e correttivi) hanno introdotto flessibilità un tempo impensabili – si pensi alla possibilità di ristrutturare anche i debiti fiscali all’interno delle trattative , o di omologare piani di ristrutturazione anche con il dissenso di alcune classi di creditori grazie al nuovo PRO . Queste innovazioni, assieme a una giurisprudenza che sta delineando principi di tutela (come la Cassazione che ribadisce il limite alla responsabilità dei soci ), forniscono agli imprenditori onesti gli strumenti per evitare gli esiti distruttivi di un fallimento disordinato e per ripartire.
Naturalmente, la chiave del successo risiede nella tempestività e nella professionalità: muoversi presto – ad esempio non appena il Fisco o l’INPS inviano i primi segnali di allerta – e farsi assistere da professionisti esperti (commercialisti specializzati in crisi, avvocati fallimentaristi). Ogni decisione (pagare questo o quel creditore? attivare subito una procedura o aspettare? dare le dimissioni da amministratore?) va ponderata alla luce delle possibili conseguenze legali.
Infine, è importante avere un approccio realistico e trasparente verso la crisi: spesso il tentativo di nascondere i problemi o guadagnare tempo in modo scorretto peggiora la posizione del debitore (si pensi ad amministratori che continuano ad accumulare debiti sperando in un colpo di fortuna, per poi ritrovarsi imputati di bancarotta). Al contrario, chi affronta di petto la situazione – magari convocando i creditori, illustrando un piano di sacrifici condivisi – può trovare più comprensione di quanto si pensi e salvare il salvabile. Le procedure formali come il concordato non vanno viste come una “sconfitta”, ma come strumenti di gestione: molte aziende in Italia sono uscite dal concordato e hanno continuato l’attività con successo, liberate dal peso dei debiti passati.
In conclusione, un’azienda indebitata ha di fronte a sé diverse strade per difendersi legalmente: dal risanamento negoziato alla ristrutturazione giudiziale, fino alla liquidazione ordinata. Con le giuste scelte – calibrate sulle dimensioni e caratteristiche dell’impresa – è possibile evitare gli scenari peggiori (fallimento con dispersione totale dell’avviamento e aggressione dei patrimoni personali) e giungere o a un nuovo inizio per l’impresa risanata, oppure a una chiusura dignitosa e definitiva delle pendenze. Il tutto, tutelando per quanto possibile il patrimonio personale di chi ha investito nell’azienda, nella cornice delle responsabilità previste dalla legge.
Fonti e riferimenti normativi
- Codice Civile, artt. 2447-2484, disciplina delle S.r.l. e liquidazione (in particolare art. 2495 c.c. responsabilità di soci e liquidatori post estinzione) .
- D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 36, responsabilità di liquidatori e soci per pagamento imposte in liquidazione .
- Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, entrato in vigore definitivamente il 15 luglio 2022, come modificato da D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 147/2023 e 136/2024 (c.d. correttivi). Disposizioni rilevanti:
- art. 2 (definizioni di crisi, insolvenza, impresa minore non assoggettabile) .
- art. 17-25-octies (Composizione negoziata della crisi e allerta, misure protettive) .
- art. 25-sexies (Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio).
- art. 25-novies (Segnalazioni dei creditori pubblici qualificati: soglie INPS, IVA, AdER) .
- art. 44-54 (Procedure di concordato preventivo, domanda in bianco).
- art. 56 (Piani attestati di risanamento).
- art. 57-64 (Accordi di ristrutturazione dei debiti e varianti: accordi ad efficacia estesa, agevolati, convenzioni di moratoria).
- art. 63 (Transazione fiscale e contributiva nelle procedure di concordato/accordi).
- art. 64-bis/ter/quater (Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione – PRO).
- art. 84-120 (Concordato preventivo: requisiti, percentuale 20% chirografari art.84 co.4 , finanza esterna, classi, voto, omologa, esecuzione).
- art. 121-282 (Liquidazione giudiziale, effetti, azioni, responsabilità post-fallimentari, esdebitazione del debitore civile ex art.278).
- art. 283-292 (Concordato minore, omologo al concordato preventivo ma per non fallibili) .
- art. 65-73 (Disciplina particolari degli accordi di ristrutturazione).
- Cass., Sezioni Unite, 12 febbraio 2025 n. 3625 – Principi di diritto sulla responsabilità dei soci di società estinta per debiti tributari: “gli ex soci non sono automaticamente obbligati per i debiti fiscali sociali, salvo prova che abbiano percepito somme in sede di liquidazione” . Conferma necessità di avviso di accertamento specifico a ciascun socio e onere del Fisco di dimostrare il beneficio ricevuto .
- Cass., ord. 24 novembre 2023 n. 32729 – Caso di socio unico di S.r.l. cancellata: confermata l’inesistenza di responsabilità personale in assenza di distribuzione dell’attivo . Ribadito orientamento nomofilattico che l’onere della prova della percezione di somme grava sul creditore insoddisfatto .
- Cass., ord. 3 agosto 2023 n. 20840 – (in materia tributaria) aveva sostenuto che nella S.r.l. a ristretta base si possono presumere utili extracontabili distribuiti ai soci per debiti erariali, aprendo a una responsabilità anche oltre il bilancio di liquidazione se vi sono “presunzioni gravi”. Orientamento superato dalle SS.UU. 3625/2025 ma indicativo della tendenza del Fisco (fonte: AvvocatiCartelleSattoriali, 23/5/2025) .
- Cass., Sezioni Unite, 26 luglio 2021 n. 21970 – Ha stabilito che la fusione societaria comporta estinzione della incorporata con successione universale dell’incorporante (rilievo tributario: atti verso società estinta sono nulli, Fisco deve agire verso avente causa) .
- Cass., ord. 30 gennaio 2025 n. 2223 – (menzionata in dottrina ) conferma che l’importo minimo di €30.000 va considerato al momento della decisione di liquidazione giudiziale: sotto tale soglia, il fallimento è improcedibile.
- Cass., ord. 22 febbraio 2023 n. 5458 – (DirittoBancario) sul fallimento di società di fatto e “supersocietà” tra società e soci. Evidenzia come soci occulti o di fatto possano essere dichiarati falliti insieme alla società in certe circostanze (situazione estrema di confusione patrimoniale) .
- Cass., ord. 20 giugno 2025 n. 16523 – (Tuttonotifiche) in tema di effetti dell’estinzione post cancellazione, ribadisce differimento di 5 anni per accertamenti tributari verso società cancellate (art. 28 D.Lgs. 175/2014) e conferma possibilità di notifiche a ex soci entro tale termine (in linea con Cass. SS.UU. 6070/2013 sul death and taxes).
- Tribunale di Pavia, ordinanza 8 luglio 2024 – Ha negato misure protettive in composizione negoziata a una società in liquidazione che proponeva solo vendita beni senza continuità, ritenendo la CNC destinata a chi ha prospettive di risanamento con attività in esercizio .
- Tribunale di Bologna, decreto 8 novembre 2022 – Ha invece ammesso misure protettive in CNC anche per società in liquidazione, focalizzandosi sulla possibilità di un esito di risanamento (anche se impresa insolvente) e affermando che ciò che conta è la prospettiva finale e non lo stato iniziale .
- Tribunale di Udine, decreto 9 giugno 2022 – (citato in AvvocatidiCartelleSattoriali PRO guida 2025) primo orientamento su PRO: ha ritenuto ammissibile stralciare debiti fiscali e contributivi in un PRO nonostante la mancanza di esplicita menzione nel CCII, giustificando con lo spirito della direttiva UE e il potere del giudice di omologazione forzosa .
- Assonime – Circolare 4/2022 – in tema di segnalazioni d’allerta dei creditori pubblici, chiarisce che la ricezione della segnalazione non obbliga ad attivare la composizione negoziata ma invita a farlo, e che l’inerzia potrebbe portare a irrigidimento degli enti (confermato nella guida ).
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Ricevi solleciti, richieste di rientro, decreti ingiuntivi, sospensioni delle forniture o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori di PTFE o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore dei nastri PTFE ha margini ridotti, forte concorrenza internazionale, grandi lotti d’acquisto, stock impegnativi e clienti che pagano tardi. Bastano pochi mesi di tensione finanziaria per far esplodere una crisi.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e nel modo giusto.
Perché un’Azienda di Nastri PTFE va in Debito
- aumento dei costi di PTFE, imballaggi, logistica e importazione
- pagamenti lenti da parte di impiantisti, rivenditori e grossisti
- magazzino immobilizzato tra nastri PTFE, bobine, guarnizioni e stock a lungo termine
- margini ridotti e concorrenza da paesi extra-UE
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
- investimenti in certificazioni e test qualità
In quasi tutti i casi, il vero problema non è la mancanza di clienti, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se Non Intervieni Subito
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco dei fidi bancari
- sospensione delle forniture di PTFE e materiale tecnico
- atti esecutivi, precetti e decreti ingiuntivi
- sequestro del magazzino, bobine e stock
- impossibilità di rifornire i clienti e rispettare gli ordini
- perdita di clienti strategici nel settore impiantistico
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può:
- sospendere pignoramenti e bloccare atti esecutivi
- fermare richieste aggressive di rientro
- proteggere conti correnti e liquidità
- fermare le azioni dell’Agenzia Riscossione
Prima si mette al sicuro l’azienda, poi si interviene sui debiti.
2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti
Molti debiti contengono anomalie come:
- interessi non dovuti
- sanzioni calcolate male o gonfiate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori nelle cartelle esattoriali
- commissioni bancarie anomale
Una parte del debito può essere tagliata o cancellata.
3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile
Strumenti utili:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi con fornitori strategici di PTFE
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensioni temporanee dei pagamenti
- accesso alle definizioni agevolate
4. Usare strumenti legali che bloccano TUTTI i creditori
Nelle crisi più importanti, la legge consente di ricorrere a:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di ristrutturazione
- Concordato minore
- (nei casi estremi) Liquidazione controllata
Queste procedure consentono all’azienda di continuare a operare pagando solo una parte dei debiti, sospendendo completamente ogni aggressione dei creditori.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda del settore impiantistico/tecnico serve un professionista esperto.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento – negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Un profilo ideale per bloccare creditori, ridurre debiti e salvare aziende che operano nel mercato dei materiali per impianti, inclusi i nastri PTFE.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua esposizione debitoria
- blocco urgente di pignoramenti e decreti ingiuntivi
- riduzione dei debiti non dovuti
- ristrutturazione del debito con piani sostenibili
- protezione dello stock, dei nastri PTFE e delle forniture critiche
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela completa dell’impresa e dell’amministratore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di nastro di tenuta in PTFE non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, efficace e completamente legale, puoi:
- bloccare subito i creditori,
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