Azienda di Molle Industriali con Debiti: Cosa Fare per Difendersi e Come

Se la tua azienda produce, importa o distribuisce molle industriali, molle a compressione, trazione, torsione, spirali, molle su disegno, fili armonici, minuteria elastica e componenti per meccanica, automotive, elettronica, utensili, impianti industriali e macchine automatiche, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, devi intervenire subito per evitare fermi di produzione e perdita di clienti strategici.

Nel settore delle molle industriali, anche un ritardo minimo nelle consegne può bloccare linee produttive dei clienti, generare penali e compromettere rapporti consolidati con officine meccaniche, OEM e integratori di automazione.

Perché le aziende di molle industriali accumulano debiti

  • aumento dei costi di acciaio armonico, inox, filo ad alta resistenza e materiali speciali
  • rincari delle lavorazioni, trattamenti termici e componenti tecnici
  • pagamenti lenti da parte di industrie meccaniche, automotive e rivenditori
  • ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
  • magazzini complessi con molte misure, diametri, spire e personalizzazioni
  • difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli di produzione
  • investimenti elevati in macchine avvolgitrici, CNC e controlli qualità

Cosa fare subito

  • far analizzare da un professionista tutta la posizione debitoria
  • identificare debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
  • evitare piani di rientro eccessivi che tolgono liquidità all’azienda
  • richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
  • proteggere fornitori strategici e materiali critici
  • utilizzare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti senza bloccare la produzione

I rischi se non intervieni immediatamente

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco delle forniture di filo armonico e materiali essenziali
  • fermo della produzione e perdita di commesse
  • impossibilità di rispettare consegne e specifiche tecniche
  • perdita di clienti importanti e rivenditori
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Come può aiutarti l’Avvocato Monardo

Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
È inoltre:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
  • iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Può aiutarti concretamente a:

  • bloccare pignoramenti e atti esecutivi
  • ridurre o ristrutturare i debiti tramite gli strumenti più efficaci della legge
  • ottenere rateizzazioni sostenibili
  • proteggere materiali, macchinari CNC, forniture e continuità operativa
  • evitare la chiusura e indirizzare l’azienda verso un risanamento reale

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Introduzione

Un’azienda produttrice di molle industriali (costituita in forma di S.r.l. o S.p.A.) che si trova schiacciata dai debiti si chiede: come difendersi e cosa fare? Questa guida approfondita (aggiornata a ottobre 2025) offre soluzioni avanzate dal punto di vista del debitore, con un taglio giuridico ma divulgativo adatto sia a professionisti del diritto sia a imprenditori e privati interessati. Affronteremo le diverse tipologie di debiti (fiscali, verso fornitori, bancari, previdenziali), gli strumenti di composizione della crisi d’impresa (come la composizione negoziata e il concordato preventivo), e i profili di responsabilità degli amministratori e di protezione del patrimonio personale in caso di insolvenza dell’azienda.

Seguendo una struttura chiara con domande e risposte, tabelle riepilogative e simulazioni pratiche riferite al contesto italiano, esamineremo:

  • Le tipologie di debiti che un’azienda può accumulare e le rispettive conseguenze e azioni dei creditori (ad esempio l’Erario, i fornitori, le banche, l’INPS).
  • Gli strumenti legali a disposizione dell’impresa in crisi per gestire o risolvere l’indebitamento: soluzioni stragiudiziali (accordi privati, piani attestati) e procedure concorsuali (composizione negoziata, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo, ecc.), fino alla liquidazione giudiziale (il nuovo termine per il fallimento).
  • Le responsabilità civili e penali degli amministratori di S.r.l./S.p.A. quando la società è indebitata o insolvente, e come tutelare il patrimonio personale degli imprenditori (nei limiti consentiti dalla legge) in presenza di garanzie personali o altre esposizioni.

Importante: I riferimenti normativi chiave (in particolare il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D.Lgs. 14/2019, e le relative modifiche del 2022 e 2024) e le sentenze più recenti della giurisprudenza saranno indicati e citati. Tutte le fonti utilizzate sono elencate in fondo alla guida. Questa trattazione fornisce dunque un quadro completo e aggiornato su “azienda di molle industriali con debiti: cosa fare per difendersi e come”, focalizzato sul debitore che voglia attivamente affrontare la crisi, minimizzando i rischi legali e massimizzando le chance di salvataggio dell’impresa.

Tipologie di Debiti e Conseguenze per l’Azienda

Non tutti i debiti pesano allo stesso modo sul futuro di un’azienda. È fondamentale distinguere le varie tipologie di creditori e obbligazioni perché le loro azioni di recupero e i rischi per l’impresa (e talvolta per i suoi amministratori) differiscono. Di seguito analizziamo i quattro grandi gruppi di debiti che tipicamente affliggono una PMI industriale: debiti fiscali, debiti verso fornitori, debiti bancari e debiti previdenziali (INPS). Per ciascuna categoria vedremo le caratteristiche principali, le conseguenze in caso di mancato pagamento e gli strumenti difensivi a disposizione.

Debiti Fiscali (Erario e tributi)

I debiti fiscali includono imposte dovute allo Stato (IVA, IRES, IRAP) e altri tributi (ad es. tasse locali se rilevanti). Sono debiti particolarmente insidiosi perché godono di privilegi sul patrimonio del debitore: in caso di insolvenza, il fisco è un creditore privilegiato che viene soddisfatto prima dei creditori chirografari (non garantiti). Inoltre, il mancato pagamento di talune imposte può comportare sanzioni amministrative, interessi di mora e perfino responsabilità penale per gli amministratori (ad es. l’omesso versamento IVA oltre soglie di legge è reato). Vediamo gli aspetti salienti:

  • Azioni di recupero: L’ente di riscossione (Agenzia Entrate Riscossione, ex Equitalia) può emettere cartelle esattoriali e atti di precetto in tempi relativamente rapidi. In difetto di pagamento o rateizzazione, procede con atti esecutivi come pignoramenti di conti correnti aziendali, fermo amministrativo di beni mobili registrati, ipoteche su immobili aziendali e così via. Se il debito fiscale supera certe soglie e l’azienda è insolvente, l’Erario può anche chiedere l’apertura della procedura fallimentare (liquidazione giudiziale) presso il Tribunale competente . In base alla normativa vigente, un imprenditore commerciale non può essere dichiarato fallito per debiti complessivi inferiori a €30.000 . Tale soglia di fallibilità (prevista dall’art. 15, c.9 L. Fall., ora richiamata nel Codice della Crisi) va accertata al momento della sentenza: se il debito scaduto verso tutti i creditori è sotto €30.000, il fallimento/liquidazione giudiziale non è dichiarabile . Questo non significa però che il fisco non possa procedere ad azioni esecutive ordinarie anche per importi minori (pignoramenti, fermi ecc.), quindi il rischio per l’azienda indebitata col fisco è concreto anche al di sotto di tale soglia, pur non potendo innescare da solo il fallimento.
  • Interessi, sanzioni e misure cautelari: I debiti tributari sono aggravati da interessi di mora giornalieri e sanzioni pecuniarie crescenti col ritardo. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione può altresì iscrivere ipoteca sugli immobili aziendali per crediti sopra €20.000 e disporre il fermo amministrativo dei veicoli aziendali per crediti sopra €1.000. Tali misure cautelari possono mettere in difficoltà operativa l’impresa (si pensi al fermo di mezzi necessari alla produzione o consegna). Pertanto, un monitoraggio continuo della posizione fiscale è cruciale: ignorare cartelle esattoriali significa esporsi a provvedimenti che possono paralizzare l’attività.
  • Possibili rimedi e difese: Per “difendersi” dal fisco occorre muoversi tempestivamente. Una prima opzione è chiedere una rateizzazione della cartella esattoriale, strumento che (entro certi limiti) l’Agenzia Riscossione concede automaticamente: ad esempio piani fino a 6 anni (72 rate) per debiti sotto €120.000, o fino a 10 anni (120 rate) se si prova una temporanea situazione di obiettiva difficoltà. La rateazione sospende le azioni esecutive, purché le rate siano pagate regolarmente. In alcuni periodi, il legislatore può offrire misure di definizione agevolata (rottamazione delle cartelle) che consentono di estinguere i debiti fiscali pagando solo l’imposta (con forte sconto su sanzioni e interessi): ad esempio, la “Rottamazione-quater” del 2023 ha permesso a molte imprese di ridurre il carico fiscale pendente pagando in forma dilazionata solo l’imposta e una quota ridotta di aggio. È importante verificare se simili opportunità sono attive. Un altro strumento, più strutturato, è la transazione fiscale all’interno di una procedura concorsuale: nel concordato preventivo o negli accordi di ristrutturazione omologati è possibile proporre al fisco un pagamento parziale dei tributi (anche IVA e ritenute) mostrando che è più conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare. La transazione fiscale è stata estesa di recente anche alla composizione negoziata (procedura stragiudiziale di cui parleremo oltre): il D.Lgs. 136/2024 ha introdotto l’art. 23, comma 2-bis CCII, permettendo all’imprenditore in composizione negoziata di concludere accordi con l’Agenzia delle Entrate, Riscossione e Dogane per ridurre o dilazionare i debiti tributari . Ciò rappresenta un’importante novità pro-debitore nel 2024: durante le trattative di composizione negoziata si può presentare una proposta di saldo e stralcio fiscale (corredata dal parere di un esperto indipendente che attesti la maggior convenienza per l’Erario rispetto al fallimento) . Se l’accordo viene approvato dall’Agenzia e validato dal Tribunale, diventa vincolante e consente all’impresa di risanarsi fiscalmente evitando la liquidazione giudiziale . Va notato però che questa transazione “preconcorsuale” in composizione negoziata non prevede il cosiddetto cram-down giudiziale: se l’Erario non accetta la proposta, il giudice non può omologarla d’ufficio contro il suo volere (a differenza di quanto avviene nel concordato preventivo, dove in alcuni casi recenti la Cassazione ha aperto a omologare il concordato anche con voto fiscale contrario, se il trattamento del fisco è comunque non inferiore a quello di legge ). Quindi la collaborazione con il Fisco resta fondamentale.
  • Rischi penali per gli amministratori: Mentre discuteremo più avanti in dettaglio la responsabilità degli amministratori, è bene qui ricordare che alcuni debiti fiscali rilevano penalmente. Il legale rappresentante che omette il versamento di IVA per importi superiori a €250.000 per anno d’imposta o che omette il versamento di ritenute fiscali certificate oltre €150.000 commette reato tributario (artt. 10-ter e 10-bis D.Lgs. 74/2000). In caso di crisi di liquidità, il rischio è concreto: se l’azienda non riesce a pagare IVA e ritenute, gli amministratori devono attivarsi per trovare soluzioni (dilazioni, concordati) perché altrimenti, oltre alle sanzioni amministrative, possono subire un procedimento penale. Anche l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi o l’infedele dichiarazione oltre soglie di imposta evasa sono reati. Dunque, difendersi dal debito fiscale vuol dire anche prevenire queste situazioni: un concordato o accordo omologato che includa l’IVA evita il sorgere del reato, così come la transazione fiscale approvata. La legge prevede altresì che se il debito IVA viene integralmente pagato (anche tardivamente, ma prima del giudizio) il reato è estinto; e se vi è un piano di rateazione in corso, il procedimento penale può essere sospeso in attesa del buon esito.

In sintesi, i debiti fiscali sono prioritari e pericolosi: l’azienda con elevata esposizione verso l’Erario deve farne un tema centrale del proprio piano di risanamento, utilizzando i meccanismi di dilazione o transazione per evitare sia il blocco dell’attività da parte degli agenti di riscossione sia l’aggravarsi delle responsabilità per gli organi societari. Nel seguito, vedremo come incastrare la gestione del debito fiscale all’interno dei più ampi strumenti di crisi d’impresa.

Debiti verso Fornitori

I debiti commerciali verso fornitori e altri creditori chirografari (cioè non assistiti da garanzie reali o privilegi) costituiscono spesso la parte più consistente del passivo di un’azienda manifatturiera. Si tratta ad esempio di fatture non pagate ai fornitori di materiali, ritardi nei pagamenti di consulenze, locazioni, utenze, ecc. Le conseguenze del mancato pagamento verso questi creditori privati dipendono in larga misura dalle loro iniziative e dalla situazione generale dell’impresa:

  • Azioni legali individuali: Un fornitore insoluto può innanzitutto agire in via ordinaria per il recupero del credito. Ciò comporta ottenere un decreto ingiuntivo o una sentenza di condanna e procedere a pignoramenti di beni aziendali (macchinari, merci), crediti verso terzi (es. pignoramento presso cliente dell’azienda debitrice) o del conto corrente. Se l’azienda è ancora in attività, l’esecuzione forzata di un singolo creditore può compromettere la liquidità necessaria a pagare altri fornitori o stipendi, innescando reazioni a catena. Tuttavia, spesso i fornitori cercano di negoziare piani di rientro (magari accettando pagamenti parziali o dilazionati) anziché avviare subito azioni legali costose e di esito incerto. Un dialogo aperto con i principali creditori commerciali è quindi una prima difesa: mostrando un piano credibile di rientro o offrendo piccole garanzie (cambiali, impegni formali) si può guadagnare tempo prezioso.
  • Istanza di fallimento (liquidazione giudiziale): Se l’impresa mostra segni di insolvenza grave (ad es. non paga più molti fornitori da mesi, ha pignoramenti infruttuosi, sede chiusa ecc.), i creditori – tra cui i fornitori – possono presentare al Tribunale un’istanza per la dichiarazione di fallimento (oggi liquidazione giudiziale). Questa è l’arma più forte del singolo creditore perché, se accolta, porta al blocco totale dell’attività e alla liquidazione di tutti i beni sotto la guida di un curatore, con i creditori soddisfatti secondo l’ordine delle prelazioni. Come visto, occorre che il debitore superi le soglie dimensionali previste dalla legge fallimentare (non sia “piccolo imprenditore” sotto certi limiti di attivo, ricavi e debiti) e che il debito scaduto superi €30.000 . In caso di una tipica S.r.l. industriale, questi requisiti spesso sussistono. Dunque, un creditore commerciale non pagato può attivarsi per provocare il fallimento dell’azienda. Tale minaccia è concreta soprattutto per crediti di importo elevato o quando c’è un consorzio di creditori che spinge in questa direzione (es. più fornitori si coordinano). Per difendersi da un’istanza di fallimento già presentata, l’imprenditore può fare due cose: contestare l’esistenza del debito o lo stato d’insolvenza (se vi sono fondati motivi per farlo, ad es. il debito è in contestazione, oppure dimostrare che nonostante alcuni ritardi l’azienda è ancora liquidamente solvibile) oppure attivarsi lui stesso in una procedura concorsuale alternativa (come un concordato preventivo) prima che l’udienza pre-fallimentare decida. Infatti, la legge consente al debitore di depositare un ricorso di concordato preventivo anche “in bianco” (con riserva) per ottenere una protezione immediata: ciò blocca le iniziative esecutive dei creditori e sospende la decisione sull’istanza di fallimento in attesa di vedere se il piano di concordato sarà presentato . Approfondiremo questo aspetto nella sezione sul concordato. In sintesi, la miglior difesa da istanze di creditori è giocare d’anticipo: non lasciare che i fornitori, esasperati, si rivolgano al giudice prima che l’azienda abbia messo in campo strumenti di ristrutturazione.
  • Negoziazione e stralcio del debito commerciale: Molti fornitori, specie se la relazione commerciale è di lungo periodo, preferiscono recuperare qualcosa e mantenere il cliente, piuttosto che spingerlo al fallimento dove i tempi di recupero sarebbero lunghi e l’esito incerto (i creditori chirografari spesso ricevono percentuali molto basse in fallimento, anche sotto il 10%). Ciò significa che l’azienda può negoziare con successo riduzioni del debito (saldo e stralcio) o dilazioni, soprattutto se prospetta un piano industriale di rilancio. Ad esempio, proporre di pagare subito il 40% del dovuto, e il restante 60% in 12 mesi, potrebbe essere accettabile per un fornitore se percepisce serietà e miglioramento all’orizzonte. Questi accordi, se formalizzati per iscritto, possono ridurre la pressione immediata. Attenzione però: se si pagano alcuni fornitori e altri no, si rischia di creare disparità di trattamento e alcuni potrebbero sentirsi incentivati a reagire aggressivamente. Meglio dunque ricercare soluzioni collettive e trasparenti, per quanto possibile. Un Piano Attestato di Risanamento (strumento che vedremo più avanti) è ad esempio un accordo privato rivolto a tutti (o la gran parte) dei creditori, con l’attestazione di un esperto che il piano può riuscire: esso consente di ristrutturare anche i debiti verso fornitori in modo ordinato e garantisce all’azienda benefici legali (protezione da revocatorie, ecc.) . Allo stesso modo un Accordo di ristrutturazione omologato dal tribunale può imporre anche ai fornitori dissenzienti le condizioni accettate da una maggioranza qualificata (di solito il 60% dei crediti) – una forma di cram-down contrattuale previsto dalla legge. Questi strumenti saranno discussi nella sezione successiva.
  • Crediti privilegiati di fornitori: Da notare che alcuni crediti di fornitori possono godere di privilegi speciali: ad es. il credito del fornitore per beni mobili venduti con riserva di proprietà, o il credito del locatore per i canoni, hanno privilegi sui beni oggetto del contratto. Anche i crediti dei dipendenti (stipendi, TFR) e dei professionisti hanno privilegio generale. Tali crediti privilegiati devono essere trattati con particolare attenzione, perché i titolari potrebbero procedere immediatamente ad esecuzioni sul bene oggetto di privilegio (ad es. rivendicare merce fornita con riserva di proprietà). In un concordato, i crediti privilegiati vanno pagati integralmente o si degradano a chirografari per la parte non soddisfatta (se il valore del bene su cui insiste la garanzia è inferiore al credito) . Questo dettaglio tecnico rileva per dire che l’azienda, nel formulare proposte di stralcio ai fornitori, deve considerare se essi abbiano possibili cause legali privilegiate.

Riassumendo, i debiti verso fornitori richiedono gestione diplomatica e tempestiva. La difesa consiste nel dialogo (per evitare l’azione giudiziale), nell’aggregazione dei creditori attorno a un piano di risanamento e, se necessario, nell’utilizzo di procedure concorsuali che congelino le azioni esecutive e consentano trattamenti paritari dei crediti.

Debiti Bancari e Finanziari

Le esposizioni verso banche e istituti finanziari (mutui, finanziamenti, scoperti di conto, leasing) rappresentano un’altra classe cruciale di debito. In una PMI manifatturiera, è frequente avere un mutuo per i capannoni, leasing su macchinari, linee di credito per liquidità e magari affidamenti per anticipo fatture. Le banche sono creditori particolari per varie ragioni:

  • Garanzie e privilegi: Tipicamente i debiti bancari sono assistiti da garanzie reali (ipoteche sugli immobili aziendali, pegni su macchinari o su stock) o personali (fideiussioni degli amministratori/soci, garanzie statali come il Fondo PMI). Questo significa che le banche, se l’azienda non paga, hanno strumenti rapidi per il recupero: ad esempio la banca con ipoteca può avviare un’esecuzione immobiliare sul capannone; la banca con pegno su macchinario può chiederne la vendita forzata. Inoltre, essendo creditori privilegiati (garantiti), in caso di procedura concorsuale essi verranno soddisfatti con precedenza sul ricavato del bene dato in garanzia, fino a concorrenza del credito. Ciò li rende meno incentivati ad accettare decurtazioni del credito rispetto a un fornitore chirografario, almeno finché la garanzia copre il debito. Tuttavia, se la garanzia non copre interamente l’esposizione (ad es. il valore attuale dell’immobile ipotecato è inferiore al debito residuo), la parte non coperta diventa credito chirografario degradato. Nelle procedure di concordato, le banche sono dunque spesso divise in due posizioni: creditore ipotecario fino a X, e chirografario per il surplus.
  • Decadenza dal beneficio del termine e rinegoziazione: Se l’azienda salta il pagamento di una o più rate di mutuo o leasing, la banca può revocare gli affidamenti e dichiarare la decadenza dal beneficio del termine su tutto il finanziamento (richiedendo l’immediato pagamento del capitale residuo). Questo mette formalmente l’azienda “a sofferenza” e può portare a segnalazioni negative in Centrale Rischi di Banca d’Italia. Spesso è un punto di non ritorno nei rapporti bancari. Per difendersi, appena si percepisce difficoltà, l’impresa dovrebbe negoziare con la banca una moratoria o rinegoziazione: ad esempio, chiedere sospensione temporanea delle rate (opzione a volte concessa, specie se ci sono misure legislative pro tempore come le moratorie COVID) oppure allungamento del piano di ammortamento per ridurre la rata. Alcune banche aderiscono a protocolli tipo ABI per ristrutturazione dei debiti PMI in difficoltà. Una volta che la banca revoca i fidi, si perde la fiducia e diventa arduo evitare azioni legali, se non inserendo il credito in un contesto di accordo più ampio (concordato o accordo di ristrutturazione).
  • Fideiussioni e rischio personale: Molto spesso i soci o amministratori di PMI rilasciano fideiussioni personali a garanzia dei debiti bancari della società. Ciò significa che, in caso di insolvenza della società, la banca può aggredire direttamente anche il patrimonio personale del garante (casa, conti personali), escutendo la fideiussione. Dal punto di vista del debitore (che in questo contesto è sia la società sia indirettamente l’imprenditore garante) difendersi dalle banche significa anche proteggere il proprio patrimonio familiare. Una difficoltà qui è che le procedure concorsuali della società non bloccano le azioni nei confronti dei garanti personali. Ad esempio, se la società accede a concordato preventivo o viene ammessa a composizione negoziata, la banca – salvo accordi specifici – può comunque fare causa al fideiussore. Eccezione: nella composizione negoziata c’è una novità interessante: se i garanti (es. il socio fideiussore) partecipano attivamente alla procedura mettendo a disposizione i propri beni per il risanamento, il Tribunale può estendere le misure protettive anche a loro, vietando ai creditori di escutere le garanzie personali . Un provvedimento di Tribunale Venezia del 6 febbraio 2023 ha proprio confermato questa possibilità: nell’ordinanza di conferma delle misure protettive ex art. 19 CCII, la società debitrice può chiedere che il divieto di iniziativa/esecuzione riguardi anche i garanti che abbiano messo i loro beni a disposizione dei creditori . Ciò consente di trattare con la banca uno standstill anche sul fronte personale, a condizione che il garante contribuisca alla soluzione della crisi. Al di fuori di questo caso, però, il fideiussore rischia l’escussione: per proteggere il patrimonio personale in tali frangenti, strumenti possibili includono rinegoziare la garanzia (a volte, se la società offre garanzie reali alternative, la banca può liberare il fideiussore), oppure ricorrere a procedure che coinvolgano anche il patrimonio personale (ad es. se il socio fideiussore è egli stesso sovraindebitato, può valutare la procedura di esdebitazione per sovraindebitati ex L. 3/2012).
  • Segnalazioni e crediti deteriorati: Quando l’esposizione bancaria diventa non performing (incaglio o sofferenza), oltre agli aspetti legali si attivano circuiti finanziari: la società verrà segnalata in Centrale Rischi, perdendo accesso ad ulteriore credito. La banca potrebbe cedere il credito ad una società di recupero (uno special situation fund), il che può alterare la trattativa (i fondi a volte acquistano a sconto e sono più disponibili a stralci, ma anche più aggressivi legalmente). Dunque, nel difendere l’azienda indebitata verso banche, bisogna monitorare queste dinamiche e magari, ove possibile, comprare tempo affinché eventuali garanzie pubbliche (es. se il prestito è garantito dal Fondo PMI) intervengano a pagare la banca, subentrando poi come creditore (lo Stato spesso è più gestibile come controparte nel concordato).
  • Strumenti di composizione del debito finanziario: I debiti verso banche possono essere ricompresi efficacemente in accordi di ristrutturazione. In particolare, il Codice della Crisi prevede alcune varianti di accordo dedicate ai creditori finanziari: ad esempio, l’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa può, a certe condizioni, estendere gli effetti anche alle banche dissenzienti se una percentuale alta di banche ha aderito; oppure il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), introdotto coi correttivi, consente di omologare un accordo anche senza la maggioranza del 60% se certi creditori sono soddisfatti in misura prevalente . Questi strumenti avanzati sono tecnici ma pensati proprio per gestire situazioni in cui vi sono molti creditori finanziari. Alternativamente, la via del concordato preventivo consente di imporre un trattamento ai creditori finanziari: nel concordato in continuità non c’è soglia minima di pagamento per i chirografari (banche senza garanzie o per la parte scoperta), mentre nel concordato liquidatorio occorre garantire almeno il 20% come vedremo . Le banche con ipoteca, se l’azienda prosegue in continuità, possono essere pagate in moratoria (posticipando il pagamento fino a 6 mesi dopo l’omologa per i crediti ipotecari, salvo quelli verso dipendenti) , consentendo all’azienda di respirare nel breve termine.

In conclusione, i debiti bancari richiedono un duplice approccio difensivo: finanziario, rinegoziando condizioni e evitando revoche, e legale, includendo le banche in un quadro di accordo più ampio (composizione, concordato) prima che agiscano in via esecutiva o escutano fideiussioni. Bisogna prestare massima attenzione alle garanzie date e, se esiste rischio per il patrimonio personale dei garanti, considerare misure protettive come quelle offerte dalla composizione negoziata .

Debiti Previdenziali e Contributivi (INPS)

Un capitolo a parte meritano i debiti verso gli enti previdenziali e assicurativi, in primis l’INPS (contributi pensionistici e assicurativi dovuti per i lavoratori dipendenti, o contributi IVS artigiani/commercianti per l’imprenditore stesso) e l’INAIL (premi assicurativi obbligatori). Queste somme, quando non versate, generano conseguenze specifiche:

  • Ruolo e avvisi di addebito: L’INPS ha la facoltà di iscrivere a ruolo i crediti contributivi scaduti ed emettere Avvisi di Addebito immediatamente esecutivi (che funzionano come le cartelle esattoriali). L’INPS si avvale anch’essa dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione per la fase esecutiva, quindi in pratica un debito INPS non pagato può portare a pignoramenti e misure cautelari analoghe a quelle fiscali (ipoteche, fermi amministrativi). Le soglie oltre le quali l’INPS procede a queste azioni sono relativamente basse (un debito contributivo di poche migliaia di euro protratto per oltre 90 giorni può far scattare segnalazioni e ingiunzioni) . Inoltre, le norme del Codice della Crisi hanno introdotto obblighi di segnalazione a carico di INPS: se un’impresa accumula debiti contributivi oltre una certa soglia (ad es. oltre €5.000 di contributi non pagati da più di 90 giorni ), l’ente deve inviare una comunicazione ufficiale all’imprenditore e all’organo di controllo della società, sollecitando la reazione (queste “segnalazioni dei creditori pubblici qualificati” mirano a far emergere la crisi prima che degeneri). Ricevere tale segnalazione è un chiaro campanello d’allarme: gli amministratori hanno l’obbligo di esaminarla e riferire entro 30 giorni le iniziative intraprese . Ignorarla potrebbe aggravare la loro responsabilità.
  • Privilegio e tutela dei dipendenti: I contributi non versati all’INPS hanno privilegio generale sui mobili del debitore (sono crediti privilegiati di rango elevato, subito dopo i crediti per retribuzioni) ai sensi dell’art. 2753 c.c. Ciò significa che in caso di procedura concorsuale, l’INPS verrà soddisfatta con preferenza rispetto ai fornitori e altri chirografari. Inoltre, il mancato versamento dei contributi entro certi termini priva l’azienda del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC). Senza DURC, l’impresa non può partecipare ad appalti pubblici e perde agevolazioni contributive. L’INPS blocca il DURC se anche una sola mensilità di contributi obbligatori è scaduta da oltre qualche mese. Questo può di fatto precludere lavori importanti, peggiorando la crisi.
  • Misure difensive e soluzioni: Analogamente al fisco, anche l’INPS consente dilazioni del debito contributivo. Un’impresa in temporanea difficoltà può chiedere una rateazione dei contributi scaduti (generalmente fino a 24 rate mensili, estensibili a 36 in casi eccezionali). Durante il pagamento rateale, il DURC può essere rilasciato in regola (DURC “provvisorio” positivo, purché tutte le rate siano puntuali). Tuttavia, non è ammesso ridurre per via transattiva l’importo dei contributi dovuti: a differenza delle imposte erariali, i contributi previdenziali non possono essere falcidiati nemmeno in concordato salvo limitate eccezioni (i crediti INPS per sanzioni e interessi potrebbero essere trattati diversamente, ma il contributo in sé va versato). Nella recente normativa, infatti, si è esplicitato che nella composizione negoziata non è possibile proporre una transazione sui debiti previdenziali e assicurativi – essi restano esclusi dalla procedura e possono solo essere oggetto di normale rateazione secondo le regole proprie di INPS/INAIL . Ciò significa che se l’azienda vuole includere l’INPS in un piano concordatario, l’unica via è attraverso un concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione dove però l’INPS difficilmente accetta una falcidia del contributo (spesso pretende 100% del dovuto, magari dilazionato). Ciononostante, strumenti concorsuali servono anche qui: ad esempio, nel concordato preventivo in continuità l’azienda può chiedere di mantenere le commesse pubbliche ottenendo un DURC provvisorio se il piano prevede la regolarizzazione del debito previdenziale. E nella composizione negoziata, come anticipato, il Tribunale può adottare misure per mitigare gli effetti del DURC negativo. Un caso concreto al riguardo: con ordinanza del 27 ottobre 2025, il Tribunale di Castrovillari ha accolto la richiesta di un’impresa in composizione negoziata disponendo il rilascio del DURC da parte dell’INPS nonostante i debiti contributivi, riconoscendo che la regolarità contributiva era indispensabile per la continuità aziendale e la riuscita del piano di risanamento . In altri termini, il giudice ha affiancato alle misure protettive (blocco delle azioni esecutive) una misura cautelare ad hoc ordinando all’INPS di emettere un DURC regolare per permettere all’azienda di partecipare a gare e proseguire l’attività . Questo provvedimento innovativo tutela la continuità e fa capire che, in situazioni di crisi, l’autorità giudiziaria può supportare l’azienda nel mantenere le certificazioni vitali se c’è la prospettiva concreta di risanamento.
  • Responsabilità e aspetti penali: L’omesso versamento di contributi previdenziali trattenuti ai dipendenti (le ritenute previdenziali operate in busta paga) oltre una soglia modesta – €10.000 annui – costituisce reato (art. 2 D.L. 463/1983 conv. L. 638/1983). Ciò riguarda i contributi a carico del lavoratore, che l’azienda trattiene ma non versa all’INPS: superati i €10.000, l’omissione, se non sanata entro termini, comporta la punibilità del legale rappresentante. Anche qui, dunque, l’amministratore rischia conseguenze penali se la situazione debitoria non viene affrontata. Il reato si estingue col pagamento integrale di quanto dovuto (anche tardivo), ma se l’azienda è in crisi potrebbe non riuscirci in tempo. Inserire il debito contributivo in un piano e rispettare le scadenze (ad esempio, pagare le ritenute non versate magari sfruttando il fondo di garanzia INPS o attraverso nuovi apporti) è fondamentale per evitare denunce. Un curatore fallimentare o un commissario giudiziale segnalerà comunque queste omissioni, quindi il miglior consiglio è di dare priorità ai contributi dei dipendenti (che sono anche i creditori socialmente più sensibili). Vale inoltre la pena menzionare che se l’azienda viene dichiarata fallita (liquidazione giudiziale), gli amministratori possono essere accusati di bancarotta semplice o fraudolenta anche per avere aggravato il dissesto ad esempio non pagando i contributi e facendoli aumentare: insomma, ogni omissione può entrare nel calderone delle condotte censurate.

Riassumendo, i debiti INPS sono spesso quelli che mettono in ginocchio le imprese labor-intensive, ma la legge offre vie di gestione: rateizzarli immediatamente per congelare sanzioni e ottenere un DURC regolare, e contestualmente inserirli in un piano di risanamento credibile. L’ordinanza sul DURC citata mostra che, se l’impresa dimostra di poter risanare, anche un DURC sospeso può essere riattivato su ordine giudiziale, il che è cruciale per “difendersi” dagli effetti paralizzanti di un debito contributivo. Nel frattempo, l’amministratore deve evitare di incorrere in condotte penalmente rilevanti legate a tali debiti. In definitiva, come per il fisco, la parola d’ordine è tempestività e trasparenza con l’ente: chiedere per tempo piani di rientro e non accumulare ritardi su ritardi.

Tabella riepilogativa – Tipi di debito e strategie di difesa

Per visualizzare in sintesi quanto sopra, riportiamo una tabella riepilogativa delle principali tipologie di debito di un’azienda, evidenziando le caratteristiche, i rischi/azioni dei creditori, e le possibili difese/soluzioni dal punto di vista dell’impresa debitrice:

Tipologia di DebitoCaratteristiche e Rischi per l’ImpresaAzioni dei Creditori & Difese del Debitore
Debiti Fiscali (Erario)– Crediti privilegiati (imposte, IVA, ritenute).<br>– Accumulano interessi di mora e sanzioni.<br>– Omessi versamenti IVA/ritenute oltre soglia = reato per l’amministratore.<br>– Mancato pagamento porta a cartelle esattoriali, ipoteche, fermi amministrativi.– Agenzia Riscossione può pignorare beni, conti.<br>– Possibile istanza di fallimento se debito > €30k e impresa insolvente .<br>Difese: Rateizzazione cartelle (fino 72-120 rate); adesione a rottamazioni per abbattere sanzioni; transazione fiscale nel concordato o accordo omologato (riduzione del debito con voto tribunale); dal 2024, proposta di accordo fiscale anche in composizione negoziata (ma senza cram-down) . Prevenire reati pagando IVA/ritenute o inserendole in piani approvati.
Debiti verso Fornitori– Crediti chirografari (nessuna garanzia, salvo patto di riservato dominio o simili).<br>– Rischio di azioni legali individuali (ingiunzioni, pignoramenti) che possono bloccare liquidità o beni.<br>– Se diffusi e non gestiti, possibili istanze di fallimento da creditori (soglia €30k cumulata).– Fornitori possono interrompere forniture essenziali o chiedere pagamento anticipato (peggiorando la crisi).<br>– Possono coordinarsi per istanza di fallimento.<br>Difese: Negoziare piani di rientro o saldo e stralcio volontario (pagamento parziale con liberatoria); coinvolgerli in un Piano attestato di risanamento (accordo stragiudiziale protetto da attestazione) ; se istanza di fallimento pendente, depositare ricorso per concordato preventivo per bloccare azioni . Mantenere trattamento equo tra fornitori per evitare ricorsi aggressivi di esclusi.
Debiti Bancari/Finanziari– Spesso garantiti da ipoteche/pegni (crediti privilegiati) o da fideiussioni personali.<br>– Inadempimento causa revoca fidi e richiesta immediata di rientro; segnalazioni in Centrale Rischi.<br>– Banche possono agire su garanzie (esecuzione immobiliare, escussione pegno) o sul patrimonio dei garanti personali.– Banche avviano esecuzioni sui beni dati in garanzia (vendita forzata immobile/macchinari) e recupero su garanti (causa vs soci garanti).<br>Difese: Richiedere moratorie o rinegoziazione del debito (allungamento piani di ammortamento) prima della revoca; usare garanzie statali (Fondo PMI) se attivabili per alleggerire esposizione; includere banche in accordo di ristrutturazione o concordato per disciplinare la soddisfazione del loro credito (in concordato liquidatorio assicurare almeno 20% ai chirografari inclusa parte scoperta delle banche) . Nella composizione negoziata, chiedere misure protettive estese ai garanti personali se questi contribuiscono (sospensione azioni su fideiussioni) .
Debiti Previdenziali (INPS)– Crediti privilegiati (contributi con privilegio generale).<br>– Omesso versamento contributi dipendenti > €10k = reato. <br>– Mancato pagamento = DURC irregolare → preclusione appalti e agevolazioni.<br>– INPS emette avvisi di addebito esecutivi, con pignoramenti rapidi tramite Agenzia Riscossione.– INPS può iscrivere ipoteche e fermi come il Fisco; segnalazione crisi se debiti > soglia (causa obbligo attivazione amministratori) .<br>Difese: Richiedere rateazione INPS (fino 24-36 mesi) per congelare sanzioni e ottenere DURC provvisorio regolare; considerare pagamento prioritario dei contributi dei dipendenti (anche utilizzando il Fondo di Garanzia INPS per TFR/salari in caso di insolvenza, che però poi surroga l’INPS come creditore). In procedure concorsuali, prevedere integrale pagamento contributi arretrati (l’INPS raramente accetta stralci sul dovuto principale); durante composizione negoziata, possibile ottenere provvedimento giudiziale per rilascio DURC temporaneo . Evitare condotte omissive protratte per non incorrere in responsabilità penali; sanare entro €10k annui per evitare soglia di punibilità.

(Legenda: “cram-down” = imposizione coattiva di un accordo ai creditori dissenzienti da parte del tribunale; “prededucibile” = spesa o credito che verrà pagato prima di ogni altro in caso di procedura; “saldo e stralcio” = accordo di chiusura del debito con pagamento parziale).

Come si evince dalla tabella, ogni tipologia di debito richiede un approccio mirato: ad esempio, il debito fiscale e contributivo impone di attivare strumenti formali di rateazione o transazione con l’Erario/INPS, mentre il debito bancario necessita di gestione delle garanzie e delle esposizioni personali collegate. Nel prosieguo, vedremo come mettere in pratica queste strategie attraverso gli strumenti di composizione della crisi previsti dalla normativa italiana aggiornata.

Strumenti di Composizione della Crisi d’Impresa

La legge italiana predispone vari strumenti – di natura stragiudiziale o concorsuale – per aiutare le imprese in difficoltà a ristrutturare i debiti ed evitare la chiusura traumatica dell’attività. Nel 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), che ha innovato profondamente la materia introducendo procedure come la Composizione Negoziata e aggiornando gli istituti tradizionali (concordato preventivo, accordi di ristrutturazione, ecc.). In questa sezione illustreremo i principali strumenti di regolazione della crisi d’impresa rilevanti per una S.r.l./S.p.A. industriale debitrice, spiegando cosa sono, come funzionano e in quali casi conviene attivarli. Gli strumenti chiave che esamineremo sono:

  • Composizione Negoziata della Crisi (procedura nuova, volontaria e stragiudiziale con assistenza di un esperto).
  • Concordato Preventivo (procedura giudiziale concorsuale che consente di evitare il fallimento attraverso un piano approvato dai creditori).
  • Altri strumenti di ristrutturazione previsti dal Codice: i piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, quali alternative flessibili, nonché il cosiddetto concordato semplificato (introdotto di recente).
  • Liquidazione Giudiziale (il nuovo nome del fallimento): capiremo in cosa consiste e perché rappresenta l’ultima ratio da evitare, pur menzionando come funziona per completezza e perché spesso conviene al debitore tentare strumenti diversi prima di arrivarci.

Per ognuno di questi, specificheremo vantaggi, rischi e recenti sviluppi normativi (comprese soglie e condizioni introdotte dai correttivi 2022 e 2024 al CCII). L’obiettivo è fornire all’imprenditore indebitato una cassetta degli attrezzi per scegliere consapevolmente la via più adatta al salvataggio della propria impresa o, se il salvataggio non è possibile, la via meno distruttiva per gestire la sua uscita.

Composizione Negoziata della Crisi (CNC)

La Composizione Negoziata è uno strumento innovativo introdotto con il D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) e ora disciplinato nel Codice della Crisi. Essa nasce con l’intento di offrire all’imprenditore in difficoltà una chance di risanamento “assistito” ma volontario e riservato, per evitare l’aggravarsi della crisi e magari scongiurare il fallimento. Vediamo i punti fondamentali:

  • Cos’è e a chi si rivolge: La composizione negoziata è una procedura stragiudiziale e confidenziale: non c’è immediata pubblicità come nelle procedure concorsuali classiche, e l’imprenditore rimane al timone della sua azienda durante le trattative. Può accedervi qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, anche di piccola dimensione e anche in forma individuale (ditta individuale) . Non ci sono soglie di attivo o fatturato minime: diversamente dalle vecchie procedure (dove le micro-imprese erano spesso escluse dal fallimento ma avevano la sola via del sovraindebitamento), qui anche una PMI o micro impresa può usare la Composizione Negoziata . Sono escluse solo le imprese che hanno già utilizzato procedure concorsuali di recente o che hanno cessato definitivamente l’attività senza prospettive . Questa ampia platea di accesso la rende uno strumento flessibile per la tipica azienda di molle industriali, che magari è una S.r.l. di medie dimensioni ma anche se fosse più piccola potrebbe comunque attivarla.
  • Come si attiva: L’attivazione avviene tramite una piattaforma telematica nazionale gestita da Unioncamere . L’imprenditore (o un professionista delegato, come un avvocato o commercialista) si registra e carica una serie di documenti: i bilanci ultimi, una situazione aggiornata dei debiti, un piano finanziario semplificato e ogni informazione utile a far comprendere la situazione . Viene quindi nomimato un esperto indipendente (entro 2 giorni dalla richiesta) da parte di una commissione presso la Camera di Commercio competente . L’esperto è un professionista terzo, iscritto in un apposito elenco nazionale, con competenze in ristrutturazioni aziendali. Il suo ruolo è centrale: affianca l’imprenditore nella gestione delle trattative con i creditori, valuta la fattibilità del risanamento e redige poi una relazione finale sugli esiti . Va sottolineato che la procedura in sé non coinvolge inizialmente il tribunale: tutto avviene fuori dalle aule di giustizia, salvo eventualmente alcune richieste specifiche che vedremo (come misure protettive o autorizzazioni a determinate operazioni straordinarie) . Questo approccio riservato limita i danni reputazionali: non c’è pubblicità della crisi sui registri ufficiali, dunque clienti e fornitori potrebbero non venire nemmeno a conoscenza dell’adesione alla CNC, a differenza di un concordato che è pubblico.
  • Le misure protettive: Uno strumento chiave offerto dalla composizione negoziata sono le misure protettive del patrimonio. L’imprenditore può chiedere, con l’istanza iniziale o anche successivamente, che il tribunale disponga il blocco temporaneo delle azioni esecutive e cautelari dei creditori . In pratica, una volta pubblicata l’istanza di misure protettive, i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti, sfratti, sequestri contro l’azienda per tutta la durata delle trattative (inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili fino a 12) . Queste misure vengono concesse molto rapidamente, con decreto del tribunale entro 5 giorni dalla richiesta . Sono quindi un potente “scudo” che consente all’impresa di negoziare con serenità, senza il fiato sul collo del singolo creditore aggressivo. Importante: non è automatico che scatti la protezione appena avviata la procedura – va richiesta e serve un decreto che la confermi. Una volta concesse, però, producono effetti rilevanti: oltre al divieto di pignoramenti, il CCII prevede che durante la protezione i creditori non possano neppure unilateralmente interrompere forniture essenziali o modificare contratti in essere per il solo fatto dei precedenti mancati pagamenti . In più, finché dura la protezione, l’impresa non è tenuta agli obblighi di ricapitalizzazione per perdite (gli articoli del codice civile su perdita del capitale sociale sono sospesi temporaneamente) . Ciò toglie pressione agli amministratori che, normalmente, se il capitale è azzerato dovrebbero convocare l’assemblea e sciogliere la società: con la CNC in corso e le misure protettive attive, questi obblighi sono sospesi . Quindi la composizione negoziata con misure protettive dà un periodo di respiro legale in cui l’azienda è protetta dai creditori e può cercare soluzioni. Si noti anche l’effetto automatico più rilevante: durante la protezione non può essere dichiarato il fallimento (liquidazione giudiziale) dell’imprenditore . Il tribunale infatti non può pronunciare sentenza di liquidazione o accertare lo stato di insolvenza finché le trattative sono in corso (salvo revoca delle misure) . Ciò risponde a quanto accennato prima: se i creditori presentano istanza di fallimento, ottenere l’accesso alla CNC con misure protettive “congela” quell’istanza.
  • Svolgimento delle trattative: Con l’esperto al fianco, l’imprenditore convoca i creditori principali e cerca di raggiungere con loro un accordo. L’esperto mantiene un approccio imparziale: il suo compito non è “tirare la giacchetta” ai creditori in favore del debitore, ma facilitare la comunicazione, fornire analisi neutre sulla situazione aziendale e sulle prospettive di risanamento. Egli redige relazioni periodiche sullo stato delle trattative. L’imprenditore rimane in possesso dei poteri di gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa durante la CNC (nessun commissario gli toglie la gestione come avverrebbe nel fallimento): ciò significa che può continuare ad operare, ovviamente sotto la vigilanza dell’esperto e con l’obbligo di operare in buona fede e con massima trasparenza. Le trattative possono avere diversi esiti possibili (approfonditi in dottrina ): i) un accordo stragiudiziale con alcuni o tutti i creditori, ii) un accordo di ristrutturazione dei debiti da sottoporre ad omologa del tribunale, iii) un concordato preventivo vero e proprio (il debitore può “convertire” la CNC in un concordato se capisce che serve una moratoria più ampia o l’accordo con i creditori non si trova consensualmente), iv) un’uscita positiva (azienda risanata con accordi individuali) o negativa (azienda non risanabile → l’esperto chiude la procedura). Una nota di rilievo: dal 2022 si è previsto che, se le trattative non portano a un accordo e l’esperto conclude che l’azienda è insolvente ma c’è una possibilità di realizzo migliore di quella di un fallimento tradizionale, l’imprenditore può accedere a un concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII) . Ne parleremo più avanti, ma è sostanzialmente una procedura veloce di liquidazione concordataria senza votazione dei creditori, ammessa solo come extrema ratio dopo una composizione negoziata fallita. Dunque la CNC costituisce ormai la porta di ingresso per varie soluzioni successive, anche giudiziali, se necessario.
  • Vantaggi e rischi della CNC: I pro della composizione negoziata sono molteplici: è riservata (niente iscrizione nel registro imprese dell’apertura, a meno di misure protettive, e comunque l’accesso non è di pubblico dominio inizialmente) , evita la pubblicità negativa di un fallimento o concordato tradizionale , consente di bloccare i pignoramenti con relativa facilità (previo decreto in pochi giorni) , mantiene la continuità aziendale (l’impresa prosegue l’attività e può anche essere ceduta o affittata in corso di procedura, se ciò aiuta il risanamento) , può fungere da “ponte” verso soluzioni più strutturate (come preludio a un concordato preventivo, preparandone il terreno) . Inoltre non richiede soglie dimensionali: anche la piccola impresa vi accede facilmente . Di contro, alcuni contro o rischi: la CNC non è una bacchetta magica – se l’azienda è priva di reali prospettive di risanamento, la procedura farà solo perdere tempo e accumulare ulteriori debiti . Richiede trasparenza totale: se l’imprenditore fornisce dati falsi o incompleti, perde la fiducia dell’esperto e dei creditori , rischiando di aggravare la propria posizione (anche in termini di responsabilità personale per eventuali aggravamenti). Inoltre, l’esito non è garantito: può sfociare comunque in una liquidazione giudiziale se le trattative falliscono e l’insolvenza permane . Non ultimo, c’è un costo: sebbene la procedura in sé sia a carico dello Stato (l’accesso alla piattaforma è gratuito), l’esperto negoziatore ha diritto a un compenso (stabilito con decreto dirigenziale in base a variabili come la dimensione dell’impresa e la durata, indicativamente qualche migliaio di euro) a carico dell’impresa ; inoltre l’azienda dovrà probabilmente farsi assistere da avvocati o consulenti nel percorso (altri costi professionali). Quindi la CNC va intrapresa con serietà e preparazione tecnica: è consigliabile avvalersi di consulenti esperti in crisi d’impresa per predisporre i documenti iniziali, seguire i confronti con l’esperto e con i creditori.
  • Esiti possibili della CNC: Se le trattative vanno bene, l’imprenditore potrebbe concludere un accordo stragiudiziale con tutti o i principali creditori. Questo accordo può assumere la forma che si vuole (da una moratoria informale, a un saldo e stralcio generalizzato, a intese bilaterali). La legge prevede che se si raggiunge un accordo che soddisfa tutti, la procedura si chiude con esito positivo. Tali accordi, per avere maggiore efficacia, possono essere “certificati” dall’esperto e, volendo, depositati presso il registro imprese per godere dell’esenzione da revocatorie (beneficio simile a quello dei piani attestati). In altri casi, l’esito potrebbe essere la predisposizione di un vero e proprio piano di concordato preventivo da presentare in tribunale: la CNC consente infatti all’imprenditore di chiedere l’omologa di un concordato semplificato (liquidatorio) se non c’è accordo coi creditori , oppure di passare a un concordato ordinario in continuità se intravede la possibilità di ristrutturare con l’accordo della maggioranza dei creditori. Durante la CNC l’imprenditore può anche proporre ai creditori misure come l’affitto dell’azienda a un terzo o la ricerca di un investitore: l’esperto aiuta anche a valutare queste opzioni. Ad esempio, potrebbe emergere l’opportunità di cedere un ramo d’azienda per fare cassa e pagare parte dei debiti. Tutto ciò può essere fatto all’interno della CNC, previa eventuale autorizzazione del tribunale se è un’operazione straordinaria protetta.

In sintesi, la Composizione Negoziata della Crisi è oggi uno strumento di elezione per l’impresa indebitata che voglia proattivamente affrontare la situazione, protetta dalle aggressioni immediate, con l’ausilio di un esperto e con la flessibilità di trovare soluzioni su misura. Conviene attivarla? Come regola generale, quando l’impresa ha ancora valore in sé (un business che potrebbe stare in piedi se alleggerito dai debiti o riorganizzato) e quando c’è volontà di negoziare dei creditori. Se invece l’azienda è decotta e i creditori hanno perso fiducia, la CNC rischia di essere un buco nell’acqua e far perdere tempo: in tal caso può essere più utile andare direttamente a un concordato liquidatorio pilotato o altre soluzioni. Ma per l’azienda di molle industriali con debiti, presumibilmente ancora operativa e con macchinari e personale specializzato, la composizione negoziata può rappresentare la prima mossa ideale per tentare il salvataggio evitando gli scenari peggiori.

Concordato Preventivo

Il Concordato Preventivo è la procedura concorsuale “classica” dell’ordinamento italiano, presente da molti decenni (era disciplinata dalla Legge Fallimentare del 1942, oggi sostituita dal Codice della Crisi). Si tratta di una procedura giudiziaria che consente all’imprenditore insolvente o in crisi di proporre ai creditori un piano di ristrutturazione o liquidazione del debito, sotto il controllo del tribunale e con il voto dei creditori stessi, per evitare la liquidazione fallimentare. È chiamato “preventivo” proprio perché mira a prevenire il fallimento, offrendo un’alternativa concordata. Esaminiamone i punti principali, con attenzione alle novità del CCII (aggiornato dai decreti correttivi del 2022 e 2024):

  • Tipologie di concordato: Il CCII prevede due grandi categorie: concordato in continuità aziendale e concordato liquidatorio (o con prevalente liquidazione). Nel concordato in continuità, l’azienda prosegue l’attività (direttamente o indirettamente tramite terzi) durante e dopo la procedura: l’obiettivo è risanare e continuare il business, pagando i creditori nel tempo coi flussi generati. Nel concordato liquidatorio, invece, l’azienda viene cessata e i beni sono venduti per distribuire il ricavato ai creditori, eventualmente con l’apporto di nuovi capitali esterni per migliorarne l’esito . La differenza è cruciale perché la legge impone requisiti diversi: nel concordato in continuità non c’è soglia minima di soddisfacimento dei chirografari, mentre nel concordato liquidatorio sì (almeno il 20% ai chirografari, oltre a un apporto di risorse esterne almeno pari al 10% dell’attivo liquidabile) . Questi paletti (20% e 10%) sono stati confermati anche dopo i correttivi: l’art. 84 CCII c.4 stabilisce tali condizioni per l’ammissibilità di un concordato puramente liquidatorio . In pratica, se un’azienda vuole andare in concordato offrendo solo la liquidazione dei beni, deve garantire ai creditori senza garanzie almeno un quinto di ciò che vantano (altrimenti il concordato non viene ammesso perché sarebbe troppo penalizzante rispetto al fallimento) . Se invece l’azienda propone la continuità (ad es. ristruttura debiti e continua a produrre molle), può anche offrire percentuali minori, purché dimostri che la proposta è migliorativa rispetto alla liquidazione fallimentare e assicuri il rispetto del principio di convenienza e par condicio.
  • Apertura della procedura: Per accedere al concordato, l’imprenditore (l’organo amministrativo della società) presenta un ricorso al tribunale allegando un piano dettagliato e una proposta di concordato per i creditori, oltre alla documentazione contabile e alla relazione di un professionista indipendente (attestatore) che assevera la fattibilità del piano e la veridicità dei dati . È possibile anche presentare un ricorso “con riserva” (il cosiddetto concordato in bianco): ossia chiedere l’ammissione indicando l’intenzione di proporre un concordato, ottenendo misure protettive immediate, e poi depositare il piano entro un termine (fino a 120 giorni prorogabili a 180) . Questo strumento serve per guadagnare tempo e bloccare i creditori se il piano non è ancora pronto. Una volta depositato il ricorso, il tribunale fa una valutazione di ammissibilità: deve verificare che ci siano i requisiti formali e una fattibilità minima (assenza di manifesta inidoneità a soddisfare i creditori) . Con il decreto di apertura del concordato, il tribunale nomina un Giudice Delegato e un Commissario Giudiziale (figura che vigila sull’operato del debitore e predispone una relazione sulla situazione dell’impresa e sulle cause della crisi). Inoltre, fissa le date di votazione dei creditori (non c’è più l’adunanza fisica, il voto avviene in forma scritta o telematica entro un certo periodo) . Da quel momento, l’azienda opera sotto la sorveglianza del Commissario: può compiere atti di ordinaria amministrazione, mentre per gli atti straordinari serve autorizzazione del tribunale (simile a come avviene nell’amministrazione controllata). Importante, scatta automaticamente il divieto di iniziativa individuale: ai sensi dell’art. 54 CCII, che riprende il vecchio art. 168 L.Fall., dal giorno di pubblicazione del ricorso concordatario i creditori non possono iniziare né proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore, né acquisire preferenze (pegni, ipoteche) su di esso . Questo automatic stay è un altro forte incentivo per un debitore a proporre concordato se vi sono pignoramenti imminenti: blocca tutto e congela la situazione dei debiti alla data di presentazione (non si possono più neanche pagare vecchi debiti, se non autorizzati: i pagamenti anteriori sono vietati per legge, salvo quelli per continuare l’attività) . Ciò spiega perché molte imprese, sotto minaccia di fallimento, presentano un concordato “all’ultimo minuto”: per ottenere questo scudo che la composizione negoziata invece dà solo su richiesta e decreto.
  • Classi e voto dei creditori: Il debitore può (e in certe situazioni deve) suddividere i creditori in classi a seconda della loro posizione giuridica e interessi economici omogenei . Ad esempio, può mettere tutti i fornitori chirografari in una classe, le banche chirografarie in un’altra, i creditori privilegiati in continuità magari li tratta a parte, etc. In un concordato liquidatorio le classi sono facoltative salvo alcune eccezioni (tributi e contributi non soddisfatti integralmente devono stare in classi separate) . Ogni classe vota separatamente sulla proposta. L’approvazione complessiva richiede il sì della maggioranza dei crediti ammessi al voto e, se ci sono classi, la maggioranza delle classi (voto favorevole nella maggior parte delle classi). I creditori privilegiati non votano se vengono pagati al 100% (sono considerati soddisfatti, a meno che rinuncino al privilegio) ; se invece vengono parzialmente pagati, la parte non pagata li fa votare come chirografari per quella quota . Ci sono meccanismi di cram-down giudiziale: se una classe vota no, ma il concordato è approvato dalle altre, il tribunale può comunque omologare superando il dissenso di quella classe se ritiene la proposta vantaggiosa e conforme (cram-down interclassi). Inoltre, il CCII prevede che se anche senza classi, un singolo creditore o un gruppo che rappresenti almeno 20% del passivo contesta la convenienza, il tribunale possa ugualmente omologare dimostrando che otterranno almeno quanto in liquidazione giudiziale (art. 112 CCII) . Questo è rilevante per l’Erario: prima c’era incertezza se il tribunale potesse forzare un concordato con voto fiscale contrario; ora pare che sia ammesso se il trattamento del fisco è pari o superiore al realizzo fallimentare (nel 2023 la Cassazione ha aperto al cosiddetto “cram-down fiscale” ).
  • Contenuto del piano concordatario: Che cosa può prevedere concretamente un piano di concordato? Molte cose, a seconda della creatività e delle risorse: può prevedere dilazioni di pagamento (es. pagare i creditori in 5 anni), falcidie (tagli) dei crediti chirografari (es. pagare solo il 30% a saldo), conversione dei crediti in strumenti finanziari (azioni, quote, obbligazioni), cessione di beni ai creditori (dare in pagamento un immobile), apporto di nuovi capitali da parte dei soci o di terzi, continuazione o affitto dell’azienda (in un concordato in continuità, l’impresa può continuare a lavorare sotto vigilanza, e i ricavi futuri servono per pagare i creditori secondo il piano). Nel concordato in continuità diretta, l’azienda prosegue con gli stessi proprietari; in continuità indiretta, c’è un terzo che subentra (ad es. acquista l’azienda in esercizio e la somma pagata va ai creditori). La legge incoraggia la continuità perché preserva meglio il valore aziendale. Nel piano vanno indicati nel dettaglio i tempi e le modalità di adempimento per ciascun creditore o classe , le eventuali risorse esterne e perché necessarie , un vero piano industriale con proiezioni finanziarie se c’è continuità , le azioni legali recuperatorie possibili (es. azioni di responsabilità verso amministratori precedenti, azioni revocatorie di pagamenti preferenziali) il cui eventuale esito positivo incrementerà il monte da distribuire . Tutto ciò viene vagliato dall’attestatore indipendente, che deve certificare che il piano è fattibile, che l’impresa in continuità sarà sostenibile e che i creditori non ricevono meno che nella liquidazione giudiziale .
  • Esecuzione e omologa: Se i creditori approvano la proposta alle condizioni di legge, si passa all’udienza di omologazione in tribunale. Qui eventuali creditori dissenzienti possono fare opposizione contestando la legittimità o la convenienza. Il tribunale verifica regolarità della procedura, esito del voto e fattibilità del piano . Se tutto è in ordine, omologa il concordato con decreto (o sentenza, a seconda dei casi) e da lì il piano diventa vincolante per tutti i creditori anteriori. L’impresa, spesso sotto la sorveglianza di un commissario o liquidatore nominato, dovrà eseguire puntualmente il piano (pagare le percentuali promesse nei tempi dovuti). Se lo esegue, otterrà l’esonero dai debiti residui verso i creditori concorsuali (viene esdebitata per la parte falcidiata). Se non lo esegue, si può arrivare a una risoluzione del concordato e conseguente fallimento. In particolare, se l’impresa in concordato non paga anche una sola rata nei termini, un creditore o il commissario possono chiedere al tribunale di dichiarare risolto il concordato e aprire la liquidazione giudiziale (questo si chiama fallimento omisso medio, su cui la Cassazione si è espressa nel 2024 per chiarirne le condizioni ). Quindi il concordato è un impegno serio: va intrapreso se si è ragionevolmente convinti di poterlo portare a termine.
  • Concordato “minore” per piccole imprese: Una nota: il nuovo Codice prevede per i soggetti non fallibili (piccoli sotto soglie di fallibilità) le procedure di sovraindebitamento, tra cui un concordato minore. Nel nostro caso, se l’azienda di molle industriali supera le soglie (attivo > €300k, ricavi > €200k, debiti > €500k, oppure comunque una S.r.l. sopra 30k debito), rientra nel concordato preventivo ordinario. Se fosse sotto, potrebbe fare un concordato minore (procedure semplificate per piccole imprese, simile al concordato ma in sede di sovraindebitamento). Tuttavia, la distinzione va oltre lo scopo di questa guida focalizzata su S.r.l./S.p.A. in generale.

In quali casi conviene il concordato preventivo? È lo strumento giusto quando l’azienda ha bisogno di una ristrutturazione formale vincolante per tutti i creditori, specie se c’è disaccordo: a differenza della composizione negoziata (che richiede consenso di ogni singolo creditore chiave), nel concordato basta la maggioranza. Se quindi alcuni creditori sono inflessibili, ma altri favorevoli a una soluzione di continuità, il concordato può imporre anche ai dissenzienti la soluzione (compreso la riduzione del loro credito) purché la maggioranza sia d’accordo . Inoltre, conviene quando serve una moratoria lunga che solo un giudice può assicurare: ad esempio, l’azienda ha urgentemente bisogno di bloccare i creditori e congelare la situazione per 1-2 anni per ristrutturarsi – il concordato offre questa protezione legale robusta per tutto il suo iter. È però una procedura complessa e costosa (ci sono spese di giustizia, compenso del commissario, costi dell’attestatore, possibili oneri di giurisdizione) e soprattutto comporta una pubblicità: la notizia del concordato finisce in Camera di Commercio, sui quotidiani se ci sono comunicazioni di legge, e la reputazione ne soffre. Clienti e fornitori di solito reagiscono negativamente alla notizia di un concordato, quindi è uno strumento da usare se necessario ma gestendone la comunicazione (talvolta conviene affiancare un’operazione di risanamento dell’immagine verso stakeholder spiegando che il concordato serve a salvare l’azienda e che questa continuerà). Nel contesto di un’azienda di molle in crisi profonda ma ancora operativa, un concordato in continuità può essere la via per tagliare una parte dei debiti e ripartire, se si hanno sufficienti prospettive di mercato e magari l’appoggio di nuovi finanziatori (ad esempio un socio disponibile a immettere capitali nuovi, che in concordato potrebbero andare a pagare parzialmente i debiti). Se invece il mercato è in calo e non c’è reale possibilità di continuare, allora un concordato liquidatorio pilotato potrebbe essere preferibile al fallimento perché consente di vendere l’azienda magari a un competitor a condizioni migliori e distribuire qualcosa in più ai creditori, evitando alcune conseguenze sanzionatorie del fallimento (es. l’imprenditore in concordato non subisce le stesse interdizioni legali di chi è dichiarato fallito, come l’incapacità di esercitare attività commerciale o cariche – il concordato non comporta queste sanzioni personali).

Infine, ricordiamo un aspetto per i soci dell’azienda: nel concordato in continuità può essere previsto che i vecchi soci mantengano la proprietà se ad esempio apportano capitali e i creditori accettano. Oppure i soci possono vedere la propria partecipazione diluita o azzerata se il piano prevede l’ingresso di nuovi investitori. Il correttivo 2024 ha toccato alcuni punti su soci e concordato, ma in linea generale nel concordato in continuità non è obbligatorio che i soci perdano tutto: se però i creditori non vengono soddisfatti integralmente, è comune che l’apporto di finanza nuova sia fatto dai soci a fondo perduto (come contributo senza rimborso) per condividere i sacrifici. Questo aspetto andrebbe valutato dagli imprenditori: un concordato può salvare l’azienda ma magari a costo di cedere il controllo o mettere nuovi capitali propri se si vuole mantenerlo.

Altri Strumenti: Piani Attestati di Risanamento e Accordi di Ristrutturazione

Oltre a composizione negoziata e concordato, l’ordinamento prevede soluzioni “intermedie” che possono risultare molto utili perché combinano flessibilità negoziale e alcuni effetti protettivi. In particolare:

  • Piano Attestato di Risanamento (ex art. 56 CCII): Si tratta di un piano di risanamento aziendale formulato dall’imprenditore e asseverato da un professionista indipendente (attestatore), che mira a riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa e ad evitare l’insolvenza o il fallimento, ottenendo in cambio alcuni benefici legali . In concreto, l’imprenditore predispone un piano dettagliato (simile a un piano di concordato, ma totalmente privatistico) che di solito coinvolge i principali creditori in accordi di ristrutturazione del debito (ad es. proroga delle scadenze, riduzione tassi, abbuono parziale del credito, conversione debiti in quote). Il professionista attestatore deve verificare la veridicità dei dati aziendali e giudicare la fattibilità del piano, ossia dichiarare che appare idoneo a risanare l’esposizione debitoria e riequilibrare la situazione economico-patrimoniale . L’attestazione conferisce credibilità e buona fede al piano. Una volta predisposto e attestato, il piano può essere pubblicato nel Registro delle Imprese (depositando l’attestazione e l’eventuale accordo con i creditori) per acquisire efficacia rispetto ai terzi. Il vantaggio principale è che gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato sono protetti dall’azione revocatoria fallimentare : in caso di successivo fallimento, i pagamenti fatti e le garanzie concesse secondo il piano non potranno essere annullati dal curatore, purché il piano fosse idoneo e attestato. Questo dà sicurezza ai creditori che aderiscono – sanno che se accettano il piano e poi l’azienda comunque fallisce, non dovranno restituire quanto incassato. Inoltre, il CCII ha chiarito meglio questo istituto dandogli cornice normativa propria (prima era regolato solo in negativo dall’art. 67 L.Fall come esenzione da revocatoria) . Oggi l’art. 56 CCII stabilisce i presupposti soggettivi (imprenditore in crisi o insolvente può farlo) e richiede la forma scritta con data certa e la pubblicazione per l’efficacia . Il piano attestato non passa dal tribunale: è totalmente contrattuale. Ciò significa che non c’è uno stay legale automatico: se un creditore non aderisce, potrebbe comunque agire. Per questo, in pratica, il piano attestato funziona bene quando la gran parte dei creditori è d’accordo o comunque nessuno ha convenienza a far saltare il banco. Un buon utilizzo è, ad esempio, quando l’azienda ha principalmente esposizione con le banche e queste, magari coordinate, accettano un piano di rientro pluriennale con qualche sacrificio: si fa attestare, e i pagamenti ai sensi di quel piano non saranno revocati. Oppure, come strumento per “mettere in sicurezza” un investimento nuovo: un socio finanzia l’azienda a condizione di un piano che riorganizzi i debiti – attestandolo, quell’apporto è protetto. In sostanza, il piano attestato è uno strumento rapido, flessibile e riservato (non c’è votazione dei creditori né pubblicità iniziale, a parte la pubblicazione finale dell’attestazione se si vuole la protezione legale). Lo svantaggio è che non vincola i creditori dissenzienti: occorre il consenso di ciascun coinvolto. Perciò funziona meglio in situazioni dove i creditori sono pochi o comunque collaborativi. Nel caso della nostra azienda, un piano attestato potrebbe essere indicato se, ad esempio, i principali creditori sono 2 banche e 3 fornitori grossi e tutti si dichiarano disponibili a un riscadenzamento: si formalizza tutto in un piano attestato e lo si esegue. Se invece c’è una pletora di piccoli creditori difficilmente raggiungibili per l’accordo, il piano attestato rischia di non scongiurare azioni di disturbo da parte di qualcuno.
  • Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (ex art. 57 e seguenti CCII): Sono accordi negoziati con una maggioranza qualificata di creditori (almeno il 60% del totale dei crediti, nella versione base) che vengono poi omologati dal Tribunale e così resi efficaci anche sui creditori non aderenti. Rappresentano un ibrido tra il piano attestato (perché è negoziale, modulabile in base agli accordi) e il concordato (perché c’è un intervento del giudice che li omologa e li rende vincolanti erga omnes). Esistono diverse varianti nel CCII: l’accordo “semplice” richiede il consenso di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti e lascia fuori gli altri (che vanno pagati integralmente fuori accordo, salvo l’Erario/INPS che possono anche loro stare nell’accordo con transazione fiscale/contributiva ex art. 63 CCII); poi ci sono gli accordi ad efficacia estesa che possono, con certe condizioni, estendere gli effetti anche ai creditori dissenzienti di una stessa categoria (p.es. tutte le banche, se il 75% di esse ha aderito, l’accordo può essere esteso al restante 25%); e infine i piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione (PRO), introdotti di recente, che permettono di ottenere l’omologa anche senza la percentuale del 60%, purché il piano non incida su certi creditori o rispetti certe priorità . In generale, l’accordo di ristrutturazione standard funziona così: l’azienda raggiunge l’intesa con i creditori rappresentanti almeno 60% del debito su un certo piano, deposita ricorso al tribunale, il tribunale può concedere misure protettive analoghe a quelle del concordato per evitare azioni esecutive nel frattempo, il giudice verifica che l’accordo sia conveniente e fattibile (c’è sempre la relazione di un professionista attestatore sulla veridicità dei dati e sull’attuabilità dell’accordo, con particolare riguardo al fatto che i creditori estranei all’accordo siano pagati per intero o comunque non pregiudicati) e infine omologa l’accordo, rendendolo efficace. Questo consente di cristallizzare un accordo parziale: non serve convincere il 100% come nel piano attestato, basta il 60%. È utile ad esempio quando le banche, che detengono il 70% del debito, sono d’accordo, ma alcuni fornitori minori no: con l’accordo omologato, le banche accettano una riduzione, i fornitori minori – se non vengono toccati – saranno pagati regolarmente ma magari in tempi dilazionati (consentito, purché non oltre 120 giorni dalla scadenza originaria, pena considerarli “toccati”). L’accordo è dunque molto tailor-made: può toccare solo alcuni creditori, lasciarne fuori altri (pagandoli integrali). È spesso usato come forma meno costosa e più semplice del concordato, soprattutto quando c’è un numero limitato di creditori chiave. Per una S.r.l. industriale, potrebbe essere una strada se, ad esempio, 4 banche e 2 leasing detengono il 65% del passivo e accettano uno stralcio del 30%; i fornitori minori (35% del passivo) verranno pagati regolarmente magari con un nuovo fido, e l’accordo riguarda solo le banche: depositato e omologato l’accordo, si impone anche a eventuali banche dissenzienti (che comunque essendo minoranza sarebbero vincolate). Per l’Erario e l’INPS, la legge consente di includerli in un accordo di ristrutturazione con la cosiddetta transazione fiscale e contributiva (art. 63 CCII): serve sempre la loro adesione, che ora può essere facilitata dalle norme (il fisco e gli enti devono motivare un eventuale diniego indicando perché la proposta non è conveniente rispetto al fallimento). La novità del 2024 è appunto l’integrazione con la composizione negoziata come visto: adesso persino in quell’ambito si può iniziare a fare accordi col fisco.

In sintesi, piani attestati e accordi di ristrutturazione offrono alternative più snelle rispetto al concordato: il piano attestato è 100% extragiudiziale (quindi zero pubblicità, ma consenso unanime richiesto), l’accordo di ristrutturazione è semi-giudiziale (pochi passi in tribunale, meno formalismi del concordato, e vincola con maggioranza). Quale scegliere dipende molto dalla configurazione del debito e dalla disponibilità dei creditori principali: se c’è allineamento tra i grandi creditori, un accordo è preferibile al concordato perché evita la votazione allargata e i costi elevati, e può essere confezionato in modo più “contrattuale”. Da notare: il CCII prevede anche la possibilità di richiedere le misure protettive come nel concordato (blocco esecuzioni) anche solo annunciando di voler negoziare un accordo di ristrutturazione (c.d. accordo in bianco), simile al concordato in bianco. Questo strumento (art. 44 CCII, concordato con riserva, richiamato per gli accordi) consente per esempio di depositare un’istanza dicendo: “sto trattando un accordo col 60%, datemi protezione per 4 mesi”. Ci sono già pronunce di tribunali che hanno concesso proroghe per depositare l’accordo se c’è serietà nelle trattative .

Infine, Concordato Semplificato per la Liquidazione del Patrimonio (art. 25-sexies CCII): lo menzioniamo perché è parte degli strumenti introdotti nel contesto della composizione negoziata. Se l’esperto nella sua relazione finale dichiara che le trattative sono state svolte correttamente ma non è stato possibile raggiungere un accordo e che la prosecuzione dell’attività non è fattibile, l’imprenditore – entro 60 giorni – può presentare un ricorso al tribunale per omologare un concordato “semplificato” di natura liquidatoria . Non c’è voto dei creditori in questo concordato: il tribunale valuta e, se ritiene che i creditori riceveranno dal piano semplificato non meno di quanto otterrebbero dal fallimento, può omologarlo d’ufficio . È insomma un ultimo rifugio per chi ha tentato la CNC senza successo: almeno, consente di fare una liquidazione ordinata, spesso con una vendita unitariamente dell’azienda o dei beni, evitando la procedura fallimentare classica. Il “prezzo” di questa scorciatoia è che il piano dev’essere solo liquidatorio (non è ammessa continuità) e i creditori non votano, quindi potrebbero percepirla come una forzatura (possono comunque presentare opposizioni all’omologa). Dato che la nostra guida è dal punto di vista del debitore, sapere di avere questa freccia nell’arco aiuta: l’imprenditore onesto che prova la composizione negoziata e non ce la fa, non è costretto a fallire subito, può proporre al giudice “prendi tu in mano la liquidazione seguendo questo mio piano semplificato” – generalmente il piano consisterà nel cedere rapidamente i beni o l’azienda in blocco a un acquirente già individuato e ripartire il ricavato tra i creditori. Il tribunale di Siena e altri hanno già omologato alcuni concordati semplificati nel 2022 e 2023, evidenziando che va usato con cautela e come extrema ratio .

Liquidazione Giudiziale (Fallimento)

Per completezza, spendiamo qualche parola sul fallimento, ora detto liquidazione giudiziale, pur trattandosi dell’evento che il debitore naturalmente vuole evitare. Comprendere le conseguenze del fallimento serve però a dare contesto alla “difesa”: molte delle misure discusse (concordato, accordi, ecc.) vengono intraprese proprio per scongiurare la liquidazione giudiziale e i suoi effetti. Ecco i tratti salienti della liquidazione giudiziale:

  • È una procedura concorsuale giudiziaria liquidatoria, avviata con sentenza del tribunale su istanza di uno o più creditori, del debitore stesso (istanza di auto-fallimento) o del pubblico ministero in casi particolari. Dichiarata l’apertura, l’imprenditore perde la gestione dell’azienda: viene nominato un curatore che amministra i beni dell’impresa e procede alla loro liquidazione (vendita), suddivide il ricavato tra i creditori secondo il grado dei loro crediti, e infine chiude la procedura. I creditori devono presentare domanda di ammissione al passivo e saranno soddisfatti in percentuale a seconda dell’attivo realizzato. Per un’azienda produttiva, la liquidazione giudiziale di norma implica l’immediata cessazione dell’attività (a meno che il curatore non la eserciti provvisoriamente per vendere l’azienda in esercizio, ma è discrezionale e temporaneo), con licenziamento dei dipendenti e dispersione del know-how.
  • Conseguenze per l’imprenditore e gli amministratori: la sentenza di liquidazione giudiziale comporta per gli amministratori (se persona fisica) l’interdizione dall’esercizio di imprese commerciali e la decadenza da cariche societarie per la durata della procedura (e successivamente fino all’esdebitazione); inoltre c’è l’ineleggibilità a cariche pubbliche e alcune restrizioni civili. Queste incapacità sono come una sanzione civile che si aggiunge al danno reputazionale. In più, il fallimento può esporre gli amministratori a azioni di responsabilità aggravate: il curatore quasi certamente valuterà di citarli in giudizio se ravvisa che con la loro gestione hanno aggravato il dissesto o commesso irregolarità (azione di responsabilità ex art. 255 CCII, che ricalca l’art. 146 L.Fall) . Frequentemente, i curatori agiscono contro gli amministratori per recuperare attivo a favore dei creditori. I parametri di condotta sono severi: ad esempio, continuare l’attività con perdite rilevanti senza reagire può costituire mala gestio e quindi responsabilità risarcitoria . La Cassazione nel 2023 (sent. n. 2172/2023) ha ribadito che l’insindacabilità delle scelte di gestione si ferma davanti a scelte imprudenti e non ragionevoli: nel caso di specie, l’acquisto di un ramo d’azienda già indebitato e dissestato, senza adeguate verifiche e contromisure, è stato considerato atto di mala gestio che comporta responsabilità personale degli amministratori . In sostanza, se dal fallimento emerge che gli amministratori hanno compiuto operazioni rischiose o non hanno adottato assetti adeguati per rilevare la crisi tempestivamente, essi possono dover rispondere dei danni verso i creditori. Il CCII ha anche introdotto criteri presuntivi per quantificare tali danni: l’art. 378 CCII (in vigore dal 2019) modifica l’art. 2486 c.c. prevedendo che, se accertata la responsabilità degli amministratori per aver violato il dovere di preservare il patrimonio sociale dopo il verificarsi di una causa di scioglimento (tipicamente perdita del capitale), il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data di apertura della liquidazione giudiziale e quello risultante alla data in cui la società avrebbe dovuto sciogliersi per perdite . Se mancano le scritture contabili affidabili, il danno è presunto pari all’intero deficit fallimentare (differenza tra attivo e passivo) . Ciò significa che, in sede fallimentare, l’onere probatorio verso gli amministratori inerti è pesantissimo: salvo prova contraria, devono risarcire il peggioramento del dissesto intervenuto continuando indebitamente l’attività . Questo serve come monito: ritardare inutilmente il fallimento può costare caro in termini di responsabilità.
  • Dal punto di vista patrimoniale, nel fallimento il patrimonio della società viene aggredito integralmente. I soci di una S.r.l. o S.p.A., in quanto tali, non perdono nulla più di quanto hanno investito (la responsabilità limitata li tutela: i creditori sociali non possono chiedere soldi ai soci per i debiti sociali, salvo casi eccezionali di abuso della personalità giuridica o di garanzie personali). Tuttavia, se i soci avevano dato fideiussioni o altre garanzie, quelle vengono escusse come abbiamo visto; e se i soci hanno ottenuto rimborsi o utili negli ultimi due anni, possono subire azioni restitutorie (revocatorie fallimentari: il curatore può chiedere la restituzione di certi pagamenti preferenziali ricevuti dai creditori entro 6 mesi o 1 anno prima, e di atti a titolo gratuito o acconti su utili ai soci in alcuni casi). L’azienda di solito viene venduta “a pezzi” nel fallimento, a meno che – ed è un’ipotesi non rara – un soggetto interessato (magari ex concorrente o un nuovo investitore) non faccia un’offerta al curatore per rilevare l’intera azienda o un ramo, spesso a prezzo molto più basso di quanto si sarebbe potuto ottenere in una trattativa pre-fallimentare.

In poche parole, la liquidazione giudiziale è ciò che la guida vorrebbe evitare. Difendersi dai debiti significa, in ultima analisi, evitare di arrivare al fallimento, oppure se proprio inevitabile, preparare il fallimento nel modo meno distruttivo possibile (ad esempio facilitando il compito al curatore con tenuta regolare delle scritture, conservazione del patrimonio, ecc., per evitare imputazioni di bancarotta fraudolenta). Il fallimento comporta inoltre per l’imprenditore (specie l’amministratore) possibili incriminazioni per reati concorsuali: bancarotta fraudolenta se ha distratto beni o falsificato scritture; bancarotta semplice se è stato negligente (es. ha aggravato il dissesto contravvenendo all’obbligo di gestire conservativamente in crisi). Ad esempio, l’art. 323 CCII (corrispondente al vecchio art. 217 L.F.) punisce per bancarotta semplice l’imprenditore che ha aggravato la crisi con spese personali eccessive o violando gli obblighi di legge (qui rientra il non aver attivato strumenti di allerta come l’obbligo degli assetti ex art. 2086 c.c.).

Dato questo quadro, appare chiaro perché un amministratore o socio farebbe di tutto per predisporre prima un concordato o un accordo, e solo se falliscono rassegnarsi al fallimento. Ed è anche evidente che agire presto è essenziale: l’art. 2086 c.c. impone agli amministratori di società di capitali di istituire assetti organizzativi adeguati per rilevare tempestivamente la crisi e attivarsi senza indugio per affrontarla. L’inadempimento a questo dovere è una grave irregolarità di gestione e può costituire fonte di responsabilità . Tradotto: se ignorano i segnali di allarme e arrivano tardi, i margini di manovra si riducono e loro incorrono in colpa grave.

Conclusione su questo punto: la liquidazione giudiziale è la fine della partita, con sconfitta pressoché certa per i soci (perdono l’investimento), i creditori (spesso recuperano poco) e i lavoratori (perdono il posto, anche se possono accedere al fondo di garanzia INPS per TFR e ultime 3 mensilità). Tutti gli strumenti discussi prima sono volti a evitarla o perlomeno a governarla diversamente. Se l’azienda di molle industriali arriva a questo, sarà compito dell’avvocato del debitore eventualmente contrattare con il curatore e difendere l’imprenditore da eventuali azioni di responsabilità o penali, argomentando ad esempio che egli aveva tentato in buona fede tutte le altre strade (un elemento che può mitigare giudizi negativi).

Responsabilità degli Amministratori e Protezione del Patrimonio Personale

Quando un’azienda sprofonda nei debiti, non solo il destino della società è in gioco, ma anche quello delle persone che la dirigono e la possiedono. In questa sezione analizziamo due aspetti cruciali dal punto di vista del debitore-imprenditore: da un lato le responsabilità legali degli amministratori di S.r.l. o S.p.A. in situazione di crisi o insolvenza, dall’altro le possibilità di protezione del patrimonio personale dei soci/amministratori rispetto ai debiti aziendali. Il tutto alla luce delle norme italiane (Codice Civile, Codice della Crisi) e delle più recenti sentenze.

Responsabilità degli Amministratori di S.r.l./S.p.A. in caso di crisi d’impresa

Le società di capitali (S.r.l., S.p.A.) offrono di regola la responsabilità limitata: la società risponde con il suo patrimonio dei debiti sociali, e gli amministratori rispondono alla società (e talvolta ai creditori) solo per atti illeciti o violazioni dei doveri gestori. Ciò significa che, diversamente dall’imprenditore individuale che risponde con tutti i suoi beni, l’amministratore di una S.r.l. non è automaticamente debitore per i debiti della società. Tuttavia, ci sono molteplici situazioni in cui l’amministratore può diventare personalmente responsabile, specialmente se la crisi non è gestita correttamente:

  • Violazione degli obblighi gestori e azione di responsabilità: Gli amministratori hanno il dovere generale di gestire la società con diligenza, prudenza e nell’interesse sociale, preservando l’integrità del patrimonio sociale. Se con atti di mala gestione arrecano danno alla società, possono essere chiamati a risarcirlo tramite la cosiddetta azione di responsabilità sociale (promossa dalla società stessa o dal curatore fallimentare se in procedura, ex art. 2476 c.c. per S.r.l. e 2393 c.c. per S.p.A., richiamati dall’art. 255 CCII in ambito concorsuale) . In caso di fallimento, questa azione viene esercitata dal curatore anche nell’interesse dei creditori, per recuperare attivo da distribuire. Le condotte tipiche contestate riguardano l’aggravamento del dissesto per aver proseguito l’attività oltre il dovuto, l’omessa vigilanza sull’andamento societario, la distrazione di beni, la tenuta irregolare delle scritture. Un esempio pratico, come già citato: la Cassazione n. 6893/2023 ha affrontato il caso di amministratori di S.r.l. che, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento (perdite che azzeravano il capitale), avevano continuato ad operare senza adottare provvedimenti: ciò è violazione del dovere di gestione conservativa e comporta responsabilità per il deterioramento patrimoniale successivo. La legge (art. 2486 c.c. comma 2 e 3 come modificato) ora presume il danno derivante da questa prosecuzione illegittima come detto: differenza di patrimonio netto tra quando avrebbero dovuto fermarsi e quando poi si sono fermati o sono falliti . Questa è una grave spada di Damocle: per discolparsi, gli amministratori devono dimostrare che anche fermandosi prima i creditori non avrebbero ricevuto di più (onere probatorio difficile). Quindi, primo messaggio: un amministratore che veda l’erosione rilevante del capitale e la probabile insolvenza deve agire senza indugio (ridurre i costi, cercare accordi, se necessario liquidare la società) altrimenti rischia in proprio. Anche scelte gestionali che esulano dalla ragionevolezza espongono a responsabilità: Cass. 2172/2023 citata ha affermato che l’insindacabilità del merito cessa se una scelta è manifestamente imprudente alla luce delle cautele normalmente richieste . Nel caso, acquisire un ramo d’azienda disastrato senza predisporre misure per rilanciarlo fu considerata colpa grave degli amministratori, condannati a risarcire il danno . Questo per dire che scelte “azzardate” in crisi possono venire giudicate col senno di poi e generare responsabilità.
  • Responsabilità verso i creditori sociali (azione dei creditori): Oltre all’azione sociale, esiste la azione dei creditori sociali (art. 2394 c.c. per S.p.A., ritenuta applicabile anche alle S.r.l.): i creditori di una società possono agire contro gli amministratori se il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfarli per fatti imputabili a mala gestio. In pratica, se la società è insolvente e i creditori ci rimettono, possono accusare gli amministratori di aver violato i loro obblighi di conservazione del patrimonio, causando quell’insufficienza. Questa azione però, in caso di fallimento, confluisce nell’azione del curatore che agisce per la massa. Se la società invece non fallisce ma i creditori subiscono un pregiudizio, possono intraprendere individualmente cause per atti specifici (ad es. se l’amministratore ha pagato solo alcuni creditori preferiti svuotando la cassa, gli altri potrebbero chiedergli i danni per comportamento lesivo della par condicio). Tale azione non è facile da vincere per i creditori, ma è prevista. Notare: se la società è in concordato preventivo, i creditori non possono proseguire cause risarcitorie singole per fatti anteriori perché confluiscono anch’esse nell’ambito concorsuale (post omologa, però, se emerge frode, potrebbero). Comunque, questo quadro serve a ribadire: gli amministratori non possono pensare di essere completamente al riparo dietro lo schermo societario – se non operano diligentemente, i creditori hanno strumenti per colpirli in persona.
  • Violazioni tributarie/previdenziali e altre figure di responsabilità personali: Ci sono casi in cui la legge attribuisce responsabilità patrimoniale diretta agli amministratori per specifiche inadempienze verso l’Erario o enti. Un esempio è l’art. 36 del D.P.R. 602/1973: se una società viene liquidata volontariamente e l’organo liquidatorio paga i soci distribuendo attivo, lasciando debiti tributari impagati, il liquidatore (e in certe condizioni gli amministratori precedenti) risponde in proprio dei tributi non pagati, entro i limiti di quanto distribuito. Questo perché la legge vuole evitare che si chiuda la società e i soci incassino qualcosa lasciando il fisco a bocca asciutta. Dunque un amministratore che chiude un occhio su debiti fiscali e dà dividendi potrebbe dover rifondere il fisco poi. Altro esempio: l’amministratore che non versa le ritenute previdenziali commette reato oltre 10k, ma se anche non penalmente rilevante sotto soglia, rimane debitore solidale per quelle somme verso INPS? In linea generale, la giurisprudenza ha escluso una responsabilità civile solidale per il semplice omesso versamento di contributi, ritenendo che il debitore è sempre la società. Però in alcuni casi l’INPS può escutere il TFR e ultime mensilità tramite il Fondo di Garanzia e poi surrogarsi verso la società e verso gli eventuali obbligati in solido (ad es. soci accomandatari, ma non il semplice amministratore di S.r.l.). Quindi sul piano civilistico puro, il ruolo di amministratore di per sé non crea obbligo di pagare i debiti sociali, salvo quanto detto su azioni di responsabilità per danni.
  • Obblighi di adeguatezza e tempestività – art. 2086 c.c.: Dal 2019 è in vigore l’art. 2086 co.2 c.c. che impone all’imprenditore collettivo di istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della continuità aziendale. Questo si traduce in pratica nel dovere di monitorare gli indici di crisi e prendere provvedimenti appena emergono segnali (indebitamento elevato, flussi negativi, ecc.). Non c’è un immediato meccanismo sanzionatorio se non l’azione di responsabilità: la mancata adozione di assetti adeguati è considerata una grave irregolarità di gestione. Ad esempio, può giustificare la revoca giudiziaria degli amministratori su ricorso dei soci o sindaci ex art. 2409 c.c., oppure, se la società fallisce, è un elemento usato dal curatore per dimostrare la negligenza degli amministratori. Anche penalmente, l’art. 322 CCII configura la bancarotta semplice impropria per violazione di obblighi di legge di cui all’art. 2086 c.c. (quindi non predisporre assetti e non attivarsi per la crisi può integrare bancarotta semplice). Insomma, la legge obbliga oggi gli amministratori a essere attenti ai segnali di allarme e ad attivare procedure di allerta (come la composizione negoziata, che è volontaria ma incoraggiata in presenza di certi indicatori).
  • Reati fallimentari: Se la crisi degenera nel fallimento, gli amministratori rischiano imputazioni pesanti: bancarotta fraudolenta patrimoniale (se hanno distratto risorse della società, ad es. vendendo sottocosto macchinari a un loro familiare prima del fallimento, o prelevando casse indebite), bancarotta documentale (se hanno tenuto contabilità falsa o l’hanno occultata), bancarotta preferenziale (se hanno pagato scientemente un creditore a discapito di altri in prossimità del fallimento), bancarotta semplice (se per colpa hanno aggravato il dissesto, ad esempio contratti speculativi, spese personali esorbitanti, o non tenuto la contabilità). La linea tra un tentativo onesto di salvataggio e una bancarotta può essere sottile: ad esempio, vendere merci sottocosto può essere giustificato dal tentativo di fare cassa, ma se appare una dissipazione sarà contestato. Questo scenario penale è un forte incentivo a agire in trasparenza e magari sotto egida del tribunale prima che sia troppo tardi: un concordato preventivo chiuso con omologa esclude i reati di bancarotta (perché non c’è fallimento); se però poi il concordato fallisce, i fatti antecedenti possono emergere.

In conclusione su questo punto, dal punto di vista del debitore-amministratore, “difendersi” significa anche adempiere scrupolosamente ai propri doveri durante la crisi per non trovarsi poi a rispondere personalmente. In pratica: predisporre bilanci chiari e veritieri, informare correttamente soci e creditori, non occultare lo stato di dissesto, non favorire alcuni creditori con atti pregiudizievoli per la massa (questo sarebbe anche revocabile), non aggravare il buco compiendo operazioni azzardate sperando in miracoli. E soprattutto, attivare tempestivamente gli strumenti di composizione (come la negoziata, piani, accordi, concordato) prima che la situazione diventi irreversibile. Un amministratore che, ad esempio, convoca un esperto per la composizione negoziata ai primi segni di insolvenza, anche se poi non salva l’azienda, potrà dimostrare di aver agito diligentemente e in buona fede, il che lo mette in una posizione migliore verso eventuali cause di responsabilità o indagini penali (anzi, il CCII prevede circostanze attenuanti se ha tempestivamente esperito le procedure di regolazione). Al contrario, chi “nasconde la polvere sotto il tappeto” sperando di farcela e arriva al fallimento con conti confusi e cassa svuotata, avrà altissima probabilità di essere chiamato a rispondere di persona.

Protezione del Patrimonio Personale del Socio/Amministratore

Data la situazione di debiti aziendali e responsabilità appena esposta, l’imprenditore vorrà anche capire come tutelare i propri beni personali dal tracollo della società. Qui c’è un delicato bilanciamento: la legge offre la separazione patrimoniale (società di capitali) per incentivare l’attività economica, ma stigmatizza gli abusi. Alcuni spunti per proteggere il patrimonio personale legalmente:

  • Non prestare garanzie personali inutilmente: La prima regola è preventiva. Molti imprenditori, per ottenere credito, firmano fideiussioni o ipoteche personali (ad esempio ipoteca sulla casa di proprietà a garanzia del mutuo aziendale). Ciò ovviamente espone direttamente i beni personali all’azione delle banche o di altri creditori garantiti. Se possibile, è meglio evitare di prestare garanzie personali; se proprio necessario (spesso lo è per banche), limitare l’importo garantito o farle scadere quando il debito scende. Ad esempio, contrattare con la banca che la fideiussione decresce man mano che il capitale viene rimborsato o che decade dopo tot anni. Inoltre, in fase di negoziazione di ristrutturazione, uno degli obiettivi può essere liberare il garante: in un accordo, il garante può offrire un pagamento extra a fronte della liberatoria dalla fideiussione. Attenzione: se l’azienda va in concordato, come detto, ciò non libera i garanti dal loro obbligo (salvo che il concordato preveda espressamente un trattamento per i garanti e i creditori accettino). In alcuni concordati si inserisce una clausola: se i creditori chirografari ricevono tot % di soddisfo, liberano i soci garanti. Non c’è obbligo per loro di accettare, ma può essere negoziato.
  • Separare patrimonio personale e aziendale: Sembra ovvio, ma è fondamentale mantenere distinte le finanze. I problemi nascono quando l’imprenditore mescola conti (es. paga spese personali con i soldi della società): questo può portare a azione revocatoria dei pagamenti ai soci o persino a chiedere l’estensione del fallimento ai soci per confusione di patrimoni (in casi estremi di sovrapposizione tra persona e società, la giurisprudenza ha dichiarato falliti anche i soci di S.r.l. – dottrina del “abuso della personalità giuridica”). Quindi, per proteggere i beni personali è necessario non farli confluire mai nella società senza ragione e viceversa. Ad esempio, se un socio ha immobili personali, tenerli completamente fuori da operazioni con la società (niente vendite sottoprezzo alla società, niente garanzie occulte). Se l’imprenditore ha beni intestati (casa, investimenti), questi di regola non sono attaccabili dai creditori sociali, a meno che questi dimostrino che la società era un mero schermo e chiedano di revocare atti con cui il socio ha separato i suoi beni. Un atto tipico da evitare in extremis è spogliarsi dei beni personali quando la crisi è già conclamata: es. trasferire la proprietà della casa al coniuge o ai figli appena arrivano i primi decreti ingiuntivi. Questo sarebbe facilmente attaccabile come atto in frode ai creditori: il creditore sociale potrebbe agire con azione revocatoria ordinaria (entro 5 anni dall’atto) per far dichiarare inefficace quel trasferimento e aggredire comunque la casa. Quindi, se la crisi è avanzata, muovere beni personali è più pericoloso che utile: meglio congelare la situazione e trattare. Semmai, prima di tempi sospetti, è possibile fare un ragionamento di pianificazione patrimoniale (ad esempio costituire un fondo patrimoniale per la famiglia, o un trust): però va detto chiaro, se questi strumenti vengono attivati quando già i debiti esistono e sono ingenti, il tribunale li farà cadere (revocandoli). La giurisprudenza è piena di revoche di fondi patrimoniali costituiti dall’imprenditore quando la società andava male: sono inefficaci verso i creditori anteriori. Possono reggere per crediti futuri estranei allo scopo del fondo, ma non per quelli noti.
  • Assicurazioni e strumenti finanziari protetti: Esistono dei prodotti assicurativi o previdenziali che per legge sono impignorabili e insequestrabili (entro certi limiti). Ad esempio, una polizza vita dove beneficiario è il coniuge o i figli: i creditori non possono aggredire il valore maturato finché l’assicurato è in vita, e nemmeno il capitale liquidato ai beneficiari alla morte dell’assicurato (non entra neanche in successione). Anche il trattamento di fine mandato (TFM) accantonato per un amministratore può avere un certo grado di protezione se fatto in modo conforme. Questi strumenti, se adottati con anticipo e coerenza, possono mettere al riparo qualche somma per la famiglia dell’imprenditore. Va però fatto con misura: versare contributi ingenti in un’assicurazione mentre si lasciano insoluti i creditori può essere visto come atto in frode. Ma contributi regolari e proporzionati, iniziati in bonis, non sono facilmente attaccabili.
  • Beneficio della responsabilità limitata e rischi di “filtro”: Come soci di S.r.l./S.p.A., ricordiamo, non si risponde dei debiti sociali oltre la quota conferita. Quindi i soci non amministratori in genere non rischiano il patrimonio (salvo aver dato garanzie). Un socio che non gestisce l’azienda potrebbe tuttavia incorrere in responsabilità se compie atti di ingerenza gestionale di fatto (amministratore di fatto) o se approva bilanci falsi consapevolmente, etc. Ma ordinariamente, il socio di capitale è al sicuro (perde al più il valore della quota). Anche l’amministratore, se non commette i fatti di mala gestio sopra discussi, non ha debiti personali: può succedere che i creditori tentino di citarlo per “trasformare” il titolo di credito, ma dovranno provare il suo illecito – non è semplice. Quindi la miglior protezione patrimoniale è gestire correttamente: se l’amministratore non viola doveri, i creditori non hanno appigli per colpirlo personalmente (a parte le garanzie date). In tal senso, affidarsi a professionisti (avvocati, consulenti del lavoro, commercialisti) per assicurarsi di rispettare scadenze fiscali, normative sicurezza, ecc., oltre a essere buona prassi, crea quell’argine di diligenza che mette l’amministratore in posizione difendibile se qualcosa va male. Ad esempio, se un amministratore può dimostrare: “ho segnalato subito la crisi ai soci, ho cercato consiglio da un advisor, ho avviato la composizione negoziata come la legge suggerisce”, difficilmente verrà considerato negligente.
  • Evitare operazioni “distrattive”: In nessun caso l’imprenditore dovrebbe cercare di sottrarre attivo ai creditori pensando di salvarlo per sé. Non solo è eticamente scorretto, ma giuridicamente porta a guai penali (bancarotta fraudolenta) e a revocatorie. Esempio: se vede che l’azienda crolla e decide di vendere un macchinario a una sua nuova società per poi far fallire la vecchia, sta commettendo un reato; se cerca di farsi restituire finanziamenti soci prima del fallimento, quel rimborso sarà revocato e anzi potrebbe configurare bancarotta preferenziale a suo favore. Insomma, bisogna resistere alla tentazione di furbizie dell’ultimo minuto. Molto meglio è, se si vuole ripartire altrove, farlo nelle forme legali: es. proporre un concordato con continuità indiretta dove si trasferisce l’azienda pulita (o parte di essa) a una NewCo, pagando il giusto prezzo ai creditori tramite il concordato. Questo è lecito e accade spesso: l’imprenditore crea una nuova società, che acquisterà (con soldi propri o di investitori) l’azienda vecchia dal concordato. I creditori accettano perché preferiscono incassare qualcosa subito dalla vendita piuttosto che gestire loro la liquidazione. In tal modo l’attività prosegue in mano alla nuova società (che può essere sempre dei vecchi soci, volendo) ma senza debiti. Questa operazione deve essere trasparente e approvata dal tribunale nel concordato, evitando conflitti di interesse. È un ottimo modo legale per “salvare il salvabile” e insieme i creditori. Diverso dal tentare di far sparire beni e aprire nuova ditta in parallelo: quel “phoenix” abusivo i giudici lo reprimono.
  • Esdebitazione personale: Se il socio/amministratore ha garantito debiti e si ritrova personalmente sovraindebitato a causa del fallimento aziendale, può accedere dopo la chiusura del fallimento all’esdebitazione (cancella i debiti residui non soddisfatti, su richiesta, se ha collaborato e non ci sono state condotte fraudolente) oppure, se non c’è fallimento per lui ma rimane pieno di debiti personali (dovuti a garanzie escusse, tasse personali, etc.), potrebbe valutare di avviare una procedura di sovraindebitamento (come il concordato minore o la liquidazione controllata del sovraindebitato per persone fisiche non fallibili) per liberarsi da quei debiti e ricominciare. Oggi l’ordinamento italiano prevede possibilità di esdebitazione anche per i soggetti non fallibili e per il debitore incapiente (che può chiedere di essere liberato dai debiti anche senza pagare nulla, se dimostra la meritevolezza e che non ha nessun patrimonio). È un estremo rimedio per tutelare la dignità personale dell’imprenditore onesto sfortunato.

In sintesi, la protezione del patrimonio personale ruota attorno a due cardini: prevenzione (non esporsi a responsabilità o garanzie più del necessario, pianificare il proprio patrimonio in tempi non sospetti) e condotta corretta (non fare passi falsi in crisi che possano essere ribaltati legalmente). Con questi, la struttura societaria di capitali offre già un buon scudo. Dove non arriva lo scudo (fideiussioni, ecc.), la via è negoziare: la composizione negoziata, l’accordo o il concordato possono includere trattamenti per liberare o alleggerire i garanti se i creditori sono soddisfatti adeguatamente .

Caso pratico: se la nostra “Azienda Molle s.r.l.” ha un debito bancario garantito dalla casa del socio, uno degli obiettivi del piano potrebbe essere far subentrare un nuovo finanziatore che estingua quel debito e ottenga dalla banca la liberatoria dell’ipoteca sul bene del socio. Oppure vendere la casa per pagare i debiti (a malincuore, ma preferibile farlo volontariamente e saldare la banca, piuttosto che farsela pignorare e vendere all’asta a valore inferiore). Questi ragionamenti a volte vanno affrontati: è meglio sacrificare una parte del patrimonio personale in modo controllato, piuttosto che perdere tutto in modo caotico. Un imprenditore prudente in crisi valuterà persino di mettere liquidità personale in azienda per chiudere un accordo con creditori (capitale fresco, magari in cambio di mantenere l’azienda). Se lo fa nell’ambito di una procedura, quell’apporto viene destinato ai creditori e l’imprenditore se ne priva, ma salva la sua fonte di reddito futura (l’azienda che continua). È anch’esso un modo di “proteggere” il patrimonio residuo: meglio spendere 100 oggi per evitare di doverne poi risarcire 300 domani con causa.

In conclusione, difendere il proprio patrimonio in una crisi d’impresa non significa nasconderlo, bensì gestire la crisi in modo professionale e leale, sfruttando la separazione societaria ma senza abusarne. Così facendo, nella maggior parte dei casi l’imprenditore onesto potrà uscire dalla crisi magari ridimensionato economicamente, ma senza essere rovinato del tutto né incorrere in sanzioni civili/penali personali.

Domande Frequenti (FAQ) sulla Gestione dei Debiti Aziendali

Di seguito, in formato domanda-risposta, affrontiamo alcuni dei quesiti più comuni che imprenditori e amministratori si pongono quando la loro azienda (nel nostro esempio una società di capitali produttrice di molle industriali) è gravata dai debiti. Le risposte sono basate sulla normativa italiana aggiornata a ottobre 2025 e sulla prassi, corredate di riferimenti alle fonti normative o giurisprudenziali pertinenti.

D: Quando un’azienda può considerarsi in “crisi” o insolvente?
R: Nel Codice della Crisi, per crisi si intende lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza (uno squilibrio patrimoniale o di liquidità prospettico), mentre l’insolvenza è l’incapacità attuale di far fronte regolarmente alle obbligazioni (es. non si pagano stipendi, fornitori, rate da tempo) . In pratica, se l’azienda inizia a non generare flussi sufficienti e accumula ritardi, è in crisi; se non paga più sistematicamente i debiti, è insolvente. Esempi: un debito scaduto importante non pagato per oltre 90 giorni, e mancanza di liquidità per pagare quelli correnti, sono segnali di insolvenza. Giuridicamente, l’insolvenza “qualificata” la dichiara il tribunale con sentenza (fallimento) o la constata aprendo un concordato; la crisi invece dovrebbe essere rilevata dagli amministratori in anticipo grazie agli indicatori (indici di bilancio, DSCR <1, ecc.) e tramite strumenti di allerta interna. Conviene non aspettare la formale dichiarazione di insolvenza: se l’azienda non riesce a pagare regolarmente, bisogna agire subito attivando procedure come la composizione negoziata per tentare il risanamento finché la crisi è reversibile .

D: La mia azienda non riesce più a pagare tutti: qual è la prima cosa che l’amministratore dovrebbe fare?
R: Fermarsi a valutare seriamente la situazione e consultare un esperto. La primissima cosa è ottenere un quadro chiaro: fare un elenco di tutti i debiti (fiscali, fornitori, banche, stipendi) e delle scadenze, confrontarlo con le disponibilità liquide e i crediti in arrivo. Se emerge che non si possono pagare stipendi o fornitori imminenti, l’amministratore deve evitare di fare pagamenti preferenziali disordinati (es. pagare solo qualcuno a caso): rischia sia responsabilità (pagamento preferenziale è revocabile in fallimento e può essere bancarotta) sia di peggiorare il caos. Invece, dovrebbe parlare subito con i professionisti: un commercialista o advisor per crisi d’impresa e un legale. In parallelo, iniziare un dialogo con i creditori principali spiegando la situazione e chiedendo tempo. Spesso la mossa successiva consigliata è attivare la Composizione Negoziata della Crisi: si nomina un esperto indipendente che aiuta a gestire l’emergenza e trattare con i creditori . In questo modo l’amministratore dimostra di agire tempestivamente e buona fede, e può ottenere misure di protezione (blocco dei pignoramenti) . Quindi, in sintesi: 1) fotografare la crisi (conti alla mano), 2) farsi assistere (non improvvisare da soli), 3) scegliere uno strumento (composizione negoziata se c’è speranza di risanamento, o concordato preventivo se la situazione è già compromessa e serve una moratoria formale). Non bisogna aspettare nella speranza che “qualcosa succeda”: ogni giorno di ritardo può aggravare il buco e la posizione di responsabilità dell’organo amministrativo .

D: Che cos’è esattamente la Composizione Negoziata e come si accede? Devo andare in tribunale?
R: La Composizione Negoziata per la soluzione della crisi d’impresa è una procedura volontaria, riservata e stragiudiziale introdotta nel 2021 . Non richiede di depositare un ricorso in tribunale per partire: si attiva online tramite la piattaforma di Unioncamere . Una volta caricati i documenti e fatta la domanda, un esperto indipendente viene nominato dalla Camera di Commercio . L’esperto contatta l’imprenditore e insieme elaborano un piano di risanamento e conducono trattative con i creditori. Non c’è l’apertura di una procedura concorsuale pubblica: la CNC rimane riservata, i creditori vengono coinvolti solo se e quando l’imprenditore lo decide (di solito a breve li contatta per negoziare). Solo in caso di richiesta di misure protettive si va in tribunale: il tribunale competente (dove l’azienda ha sede) emette un decreto che vieta temporaneamente le azioni esecutive dei creditori . Ma anche questo passaggio è a porte chiuse, non c’è udienza pubblica (a meno di opposizioni dei creditori). Quindi per accedere alla CNC basta registrarsi sulla piattaforma, non serve un avvocato obbligatoriamente (anche se è consigliato farsi assistere) . Tutto è molto rapido: in pochi giorni si ottiene l’esperto e si può subito, se serve, chiedere protezione al tribunale con un’istanza sintetica. Non è un fallimento né un concordato: l’imprenditore rimane al comando e può anche decidere in qualunque momento di interrompere la CNC se preferisce altre strade. In sintesi, è una procedura amichevole per provare a raggiungere un accordo coi creditori ed evitare il tribunale, ma con la possibilità di coinvolgerlo per misure protettive o se serve omologare un eventuale accordo con il fisco (dopo il correttivo 2024, l’accordo con Agenzia Entrate in CNC viene validato dal giudice) .

D: Quali vantaggi concreti mi dà la Composizione Negoziata rispetto a un concordato preventivo?
R: In estrema sintesi, la Composizione Negoziata (CNC) è più flessibile e discreta, mentre il concordato preventivo è più vincolante e pubblico. I principali vantaggi della CNC: 1) Riservatezza: non viene iscritta immediatamente sul registro imprese (a parte l’eventuale comunicazione dell’istanza di misure protettive, che però è pubblicata su registro imprese) e comunque la sua attivazione non è di dominio pubblico come un concordato (che deve essere pubblicato e comunicato a tutti i creditori per il voto, generando spesso notizie sulla stampa locale). 2) Nessun commissario: l’imprenditore mantiene la gestione, coadiuvato dall’esperto, mentre nel concordato c’è un commissario e servono autorizzazioni per atti straordinari. 3) Nessuna votazione formale dei creditori: nella CNC si negozia liberamente con ciascun creditore per trovare intese; nel concordato occorre il voto a maggioranza e c’è il rischio di dissensi di minoranze qualificate che bloccano tutto. 4) Costi inferiori: la CNC non ha contributo unificato, né spese di procedura significative (l’esperto è pagato ma con compensi calmierati e di solito contenuti rispetto alle spese di un concordato); niente “percentuale concordataria” da versare come fondo spese al tribunale (nel concordato devi depositare il 50% delle spese stimate di procedura) . 5) Misure protettive su misura: puoi attivarle e disattivarle, chiederle estese ai garanti , ecc., mentre nel concordato il blocco è generale ma non può mai coprire i garanti (quindi banca può escutere il fideiussore anche se c’è concordato, invece in CNC col trucco visto si può bloccare) . 6) Possibilità di esito flessibile: la CNC può sfociare in un accordo stragiudiziale, in un accordo di ristrutturazione, in un concordato semplificato, o anche nella chiusura per recupero spontaneo; il concordato preventivo ha un esito binario: omologa (con impegni rigidi da rispettare) o fallimento se non va. I rischi minori della CNC: se la situazione migliora, puoi semplicemente archiviare la procedura senza strascichi (nessun fallimento automatico, contrariamente al concordato dove se non depositi il piano o è inammissibile, il tribunale dichiara il fallimento quasi d’ufficio).
In breve, la CNC conviene se c’è speranza di accordo e risanamento consensuale. Il concordato serve se invece prevedi sin da subito che servirà un intervento autoritativo (perché magari sai che alcuni creditori non accetterebbero mai volontariamente la falcidia). Spesso la CNC è tentata prima; se fallisce, si passa al concordato (o liquidazione). Dal 2022, queste procedure sono pensate in continuità: prima provi la negoziata, poi hai sempre tempo a fare il concordato. Nel concordato hai vantaggi che la CNC non dà: ad esempio, stralciare i debiti anche senza consenso di tutti (basta la maggioranza) e liberarti definitivamente dall’eccedenza di debiti con l’omologa. Nella CNC, se un creditore non vuole sentir ragioni e ha il 5% del debito, puoi magari pagarlo per intero a parte, ma se è uno grosso e non aderisce, la CNC non potrà imporgli nulla e rischi di dover ripiegare sul concordato.

D: Ho ricevuto intimazioni di pagamento dal fisco e da fornitori: se avvio una Composizione Negoziata o un Concordato, i creditori possono comunque pignorare i beni della società?
R: Se avvii una Composizione Negoziata, i creditori possono ancora agire fino a che non ottieni le misure protettive. L’avvio in sé (nomina dell’esperto) non blocca automaticamente le azioni. Devi presentare un’istanza (telematica) al tribunale per ottenere il divieto temporaneo delle azioni esecutive . Una volta che il tribunale emette il decreto di conferma delle misure protettive, nessun creditore (per i debiti anteriori) potrà iniziare o proseguire pignoramenti e sequestri contro la società durante il periodo di protezione . Inoltre, come visto, non potranno neanche risolvere contratti essenziali o rifiutare adempimenti dovuti solo perché c’è un ritardo di pagamenti passati . Quindi è fondamentale, se ci sono intimazioni imminenti, richiedere subito le misure protettive all’atto di avvio della CNC. Il tribunale decide in 5 giorni , e il provvedimento viene pubblicato: da quel momento i pignoramenti sono vietati. Attenzione: se un pignoramento era già in essere (es. l’asta di un macchinario fissata), l’interpretazione prevalente è che resta sospesa finché dura la protezione . Le cartelle esattoriali e le ingiunzioni fiscali (fermo amministrativo, ipoteche) sono considerate azioni esecutive/cautelari? Sì, anche Agenzia Entrate Riscossione rientra nel divieto. Ad esempio, un tribunale (La Spezia 2023) ha chiarito che con le misure protettive attive non si applica l’art. 48-bis DPR 602/1973: gli enti pubblici non possono sospendere i pagamenti dovuti all’impresa per compensare debiti erariali . In pratica, la protezione è generale e vale anche verso Fisco e INPS. In un Concordato Preventivo, invece, la tutela parte automaticamente dal momento in cui depositi il ricorso: ex art. 54 CCII (vecchio 168 L.Fall) scatta il blocco di tutte le azioni esecutive e cautelari . Quindi se hai depositato il concordato, i creditori NON possono iniziare nuovi pignoramenti, e quelli pendenti restano fermi. Anche qui, l’effetto riguarda tutti i creditori chirografari e anche quelli privilegiati per la parte scoperta. I soli che potrebbero agire sono i titolari di crediti esclusi dal concordato (ad esempio, i crediti verso un coobbligato non in concordato – ma sulla società no). Quindi, in breve: sì, avviando una di queste procedure con le dovute accortezze, puoi impedire i pignoramenti sui beni sociali. Se però non chiedi le misure protettive in CNC o esiti troppo nel presentare concordato, i creditori possono approfittarne per agire. Quindi la tempistica è essenziale. Tra CNC e concordato, quello che dà immediatamente la protezione più solida è il concordato (anche “in bianco”), ma la CNC con decreto protettivo in tempi rapidi offre analogo scudo .

D: In caso di debiti tributari (IVA, tasse) o contributivi, è vero che non si possono ridurre e vanno pagati per forza al 100%?
R: Un tempo era quasi così, oggi meno. La regola generale era che l’IVA e le ritenute non versate fossero infalcidiabili fuori dal fallimento: cioè in un concordato potevi proporre di pagarle meno del 100% solo se aderivi alla cosiddetta transazione fiscale e l’Agenzia Entrate approvava. Questa regola è stata resa più flessibile: attualmente nel concordato preventivo si possono proporre stralci anche dell’IVA e contributi, purché l’Erario e gli enti vengano messi in una classe e votino a favore o comunque il tribunale omologhi nonostante il loro dissenso (cosa ora possibile, come detto, col nuovo orientamento, se la proposta è migliore del fallimento) . Inoltre, il D.L. 125/2020 ha eliminato il divieto di falcidia IVA espressamente, consentendo all’Agenzia di accettare anche tagli sull’IVA se giustificati. Quindi in concordato oggi è fattibile proporre di pagare, ad esempio, il 50% dell’IVA dilazionato, se però un professionista indipendente attesta che in caso di fallimento il Fisco prenderebbe meno ancora (cioè conviene accettare) . E l’Agenzia può dire di sì. Fuori dalle procedure, invece, nel contesto di trattative stragiudiziali (piano attestato, accordo privato) il Fisco non ha potere di abiurare ai tributi: non può firmare un accordo in cui rinuncia a imposte. Può tuttavia concedere dilazioni (72 rate standard, o piani straordinari 120 rate). Ecco perché di solito per ridurre i debiti fiscali bisogna passare da strumenti come l’accordo di ristrutturazione omologato o il concordato, cioè con omologa giudiziale. Ora, con la transazione fiscale nella Composizione Negoziata (CNC) introdotta nel 2024, c’è uno scenario nuovo: durante la CNC puoi fare una proposta all’Agenzia Entrate-Riscossione di pagamento parziale o dilazionato dei debiti fiscali . Serve l’attestazione di convenienza e l’accordo del direttore dell’Agenzia . Se l’Agenzia accetta, l’accordo viene autorizzato dal giudice e diventa efficace . Non è un obbligo per loro accettare, ma è un’apertura importante. Attenzione però: i debiti contributivi (INPS, INAIL) restano esclusi dalla transazione CNC . Significa che INPS non può ridurre gli importi dovuti (nemmeno sanzioni e interessi, per come è scritta la norma finora), può solo aspettare e rateizzare secondo le sue regole ordinarie . Dunque, se l’azienda ha grossi debiti contributivi, per tagliarli serve passare per un concordato preventivo dove si coinvolga l’INPS con transazione e si convinca il tribunale a omologare anche se formalmente l’INPS è contraria (non semplice – ad oggi l’INPS di solito vuole il 100% sul dovuto principale). In conclusione: non è vero che sempre vanno pagati al 100%, ma fuori da procedure concorsuali di fatto sì (salvo rottamazioni legislative). Dentro accordi o concordati, oggi c’è spazio per stralciare qualcosa su IVA, interessi e sanzioni, e dilazionare il resto, se ciò è l’unico modo di salvare l’azienda e se i creditori pubblici ottengono comunque il massimo ragionevole . L’importante è muoversi per tempo: se arrivi a debito altissimo di IVA, potrebbe essere già penale; meglio integrarlo in un concordato prima che scatti la denuncia, così magari eviti anche la punibilità.

D: Una società in crisi può usare strumenti di legge per evitare di pagare subito i fornitori (ad esempio sospendere i contratti)?
R: Sì, ci sono alcune possibilità. Ad esempio, se attivi la Composizione Negoziata con misure protettive, i fornitori non possono interrompere le forniture in corso né pretendere il pagamento immediato dei pregressi per continuare a fornirti . Questo è fondamentale: se hai un contratto di fornitura e sei indietro con i pagamenti, con l’istanza di misure protettive il fornitore non può rescindere unilateralmente né rifiutare di adempiere nuovi ordini solo perché non hai pagato le vecchie fatture . Ciò ovviamente per i contratti pendenti essenziali (fornitura di energia, materie prime, etc.). Ti consente di proseguire l’attività durante le trattative senza ritorsioni. Nel concordato preventivo, c’è un effetto simile: i contratti in corso non si risolvono per il solo fatto del deposito del concordato e il debitore può chiedere al giudice di autorizzarlo a pagarli regolarmente per proseguirli. Però se uno vuole proprio uscire da un contratto oneroso (es. un affitto troppo caro), nel concordato c’è la facoltà di sciogliersi dai contratti previa autorizzazione del tribunale (art. 97 CCII), pagando eventualmente un indennizzo contrattuale che sarà trattato come credito anteriore chirografario. Quindi, in concordato puoi scegliere quali contratti portare avanti e quali no, con ok del giudice. Nella CNC, non hai un potere di risoluzione “d’imperio”, però puoi negoziare col fornitore modifiche e lui, come detto, non può rescindere di colpo. Quanto a sospendere i pagamenti ai fornitori: una volta presentata domanda di concordato, vige il divieto di pagarli (moratoria legale) salvo autorizzazione per forniture essenziali post-filing . Quindi di fatto li sospendi per legge fino all’omologa (poi saranno pagati secondo piano). Nella CNC, non c’è un divieto di pagare, ma l’impresa solitamente sospende i pagamenti dei debiti anteriori per destinare risorse a quelli correnti e trattare sul resto; e grazie alle misure protettive, i fornitori non possono pignorare nel frattempo. Dunque, la legge consente una standstill (sospensione) sui debiti pregressi mentre si studia la soluzione. Nessuno strumento legale ti esonera dal pagare in assoluto (a meno che tu arrivi all’esdebitazione finale dopo fallimento), ma di certo esistono procedure per congelare la situazione debitoria e poi rideterminare i pagamenti.

D: Se un creditore (es. una banca o un fornitore) non aderisce ad alcun accordo, può far fallire l’azienda anche se la maggioranza degli altri è d’accordo per un concordato?
R: Nel concordato preventivo, per evitare il fallimento serve raggiungere l’approvazione della maggioranza dei creditori (in valore del credito) . Se un singolo creditore rilevante vota contro, ma tutti gli altri (superando il 50%) votano a favore, il concordato viene approvato comunque. Quindi il dissenso di una banca o di un grande fornitore non impedisce di per sé il concordato, a patto che tu abbia abbastanza voto favorevole dagli altri creditori. Es: banca A 30% no, altri creditori 70% sì -> concordato approvato e A è obbligata ad accettarne l’esito (subirà la falcidia) . Ci sono anche meccanismi per convincere il tribunale ad omologare se addirittura tutte le classi votano sì tranne una, o se un gruppo dissenziente contesta, come dicevamo con il cram-down . Quindi il potere di veto del singolo creditore nel concordato non c’è, se la maggioranza è dalla parte del piano. Nel fallimento, invece, basta un creditore (anche con piccolo credito ma sopra 30k) per chiederlo e ottenerlo se l’insolvenza è provata. Quindi se tu non fai nulla, un creditore qualunque potrebbe far fallire. Se però attivi un concordato o accordo e la maggioranza supporta quello, il tribunale non dichiarerà il fallimento su istanza isolata finché la procedura concordataria è in corso e ha chance. L’istanza di fallimento rimane sospesa durante il concordato (divieto ex lege) . In un accordo di ristrutturazione dei debiti (non concordato, ma accordo ex art. 57 CCII), serve il 60% di consenso. Se un creditore fuori accordo tenta il fallimento, il tribunale in genere valuta se l’accordo è vicino all’omologazione: può sospendere la decisione e dare priorità all’accordo omologabile. Una volta omologato, quell’accordo vincola anche i non aderenti (questi devono però essere pagati per intero o comunque non pregiudicati). Se invece l’azienda non fa né concordato né accordo e prova solo la via stragiudiziale con alcuni, il creditore non coinvolto potrebbe comunque spingerla al fallimento. Quindi, per “zittire” il creditore ostile, il miglior metodo è il concordato preventivo: una volta aperta la procedura e ottenuto il decreto di apertura, quell’istanza di fallimento resta in sospeso e se alla fine omologhi il concordato, l’istanza viene dichiarata improcedibile. Faccio notare che in casi estremi, se il creditore dissenziente rappresenta più del 50% (cioè la maggioranza in mano a uno solo), allora sì può bloccare il concordato votando no. Ad esempio, unica banca con 60% del debito: se vota contro e non c’è altra classe approvante, il concordato non passa. In tal caso, occorrerebbe o negoziare a tutti i costi con quella banca o usare l’alternativa dell’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa: se fosse un pool di banche e il 75% dice sì, il tribunale può estenderlo al 25% che dice no, ma se è una sola con >50% non c’è molto da fare salvo offrire trattamento migliore o trovare un terzo che la rileva (per es. un factor compra il credito di quella banca ostile e poi vota a favore). In conclusione: nessun singolo creditore ha potere di veto assoluto se il resto dei creditori è favorevole e l’impresa usa gli strumenti concorsuali appropriati .

D: I debiti verso i dipendenti (stipendi arretrati, TFR) che priorità hanno e come gestirli in una crisi?
R: I crediti dei dipendenti per retribuzioni degli ultimi 2 anni e per TFR hanno privilegio privilegiatissimo: sono tra i primi a essere pagati in caso di fallimento, subito dopo le spese di procedura (art. 2751-bis c.c.). Inoltre esiste il Fondo di Garanzia INPS che in caso di insolvenza del datore (fallimento o concordato liquidatorio) interviene a pagare ai lavoratori il TFR e le ultime tre mensilità di stipendio, surrogandosi poi nei loro crediti. In un concordato in continuità, i crediti dei lavoratori possono essere pagati con una certa moratoria (max 6 mesi dall’omologa) ma comunque integralmente . In pratica, non si può falcidiare gli stipendi nel concordato – vanno soddisfatti al 100% (salvo transazioni individuali se il lavoratore volontariamente accetta un minor importo, ma raramente). Quindi, i dipendenti sono creditori protetti. In caso di crisi, conviene dialogare apertamente con loro, magari concordare una dilazione per gli arretrati spiegando che stanno comunque in una categoria che li tutela. Ad esempio, se la cassa è zero, informare che verrà presentato un concordato e che il Fondo di Garanzia gli garantirà TFR e ultime mensilità, può calmare gli animi e evitare cause lavoro (che comunque in concordato e fallimento confluiscono). Se l’azienda prosegue, una priorità è riprendere il pagamento regolare dei salari correnti, perché altrimenti i dipendenti potrebbero legittimamente astenersi dal lavoro e l’attività crolla. Nel contesto di composizione negoziata, spesso si cerca di ottenere un’anticipazione dal Fondo di Garanzia (ma quest’ultimo paga solo a fallimento aperto o concordato omologato; però esistono accordi con banche per anticipare a tasso zero il TFR dietro garanzia che l’INPS poi rimborsa). In sintesi: i debiti verso lavoratori vanno considerati prioritari. In un piano di risanamento, li si paga integralmente (magari dilazionati su pochi mesi) e se non possibile, si attiva la procedura concorsuale cosicché intervenga il Fondo. Giuridicamente, se un concordato liquidatorio volesse falcidiare anche i dipendenti (cosa non ammessa se c’è attivo), il tribunale lo negherebbe; se l’attivo basta solo a pagare in parte i privilegiati tra cui i dipendenti, allora il concordato neanche passerebbe la soglia minima (bisognerebbe aggiungere finanza esterna). Quindi, all’atto pratico, il recupero dei dipendenti è quasi sempre al 100%. L’amministratore deve pure stare attento a versare le ritenute fiscali su stipendi pagati e i contributi, come detto, per evitare guai penali.

D: Se la società fallisce, possono portarmi via la casa di proprietà? (il socio amministratore chiede)
R: Dipende. Se la casa è intestata a te persona fisica e non hai prestato garanzie a nome tuo, i creditori sociali non possono aggredire i beni personali dei soci o amministratori per soddisfare i debiti della società (responsabilità limitata). Quindi, nel caso standard, la tua casa è al sicuro dal fallimento della società. Ci sono però importanti eccezioni: 1) se hai firmato una fideiussione per debiti della società (es. a favore della banca), allora la banca, indipendentemente dal fallimento, potrà agire contro di te e pignorare la casa (se necessario, iscrivendo ipoteca giudiziale e procedendo all’esecuzione). 2) se hai ipotecato volontariamente la casa a garanzia di un mutuo aziendale, quella ipoteca rimane valida e il creditore potrà escutere l’ipoteca (pignorare la casa, venderla all’asta e prendersi il ricavato fino a concorrenza del dovuto). 3) se hai compiuto atti in frode (ad es. hai venduto la casa a un familiare per sottrarla ai creditori poco prima del fallimento), il curatore può agire in revocatoria per far dichiarare inefficace la vendita e far tornare la casa aggredibile . 4) In casi estremi di sovrapposizione tra te e la società (società “schermo” senza autonomia), il tribunale potrebbe dichiarare il tuo fallimento personale come estensione di quello della società (accade raramente, serve dimostrare confusione patrimoniale e abuso della personalità giuridica). Se fossi dichiarato fallito personalmente, tutti i tuoi beni (casa inclusa) diverrebbero parte del fallimento personale. Ma ripeto, è scenario limite per gravi abusi. Se tu sei solo un amministratore onesto ma sfortunato, non fallirai come persona fisica (a meno che tu faccia istanza di sovraindebitamento volontario). Quindi, generalmente la casa è colpibile solo tramite le garanzie personali prestate. Va detto: se la casa è cointestata con il coniuge non debitore, il pignoramento può comunque avvenire ma riguarderà la tua quota. Il coniuge può poi eventualmente liquidare la tua quota per evitare la vendita.
In conclusione: se non hai dato garanzie personali, i creditori della società non possono toccare la tua casa; se le hai date, purtroppo – però puoi difenderti: ad esempio, in sede di esecuzione sulla casa, se è la tua prima casa e il debito è fiscale sotto 120k, Equitalia non può pignorarla per legge. E le banche di solito prima di mettere all’asta case di garanti cercano accordi (perché le aste danno pubblicità e tempi lunghi). In una composizione negoziata, potresti chiedere di includere la liberazione della garanzia su casa con un accordo ex art. 19 CCII (come visto, se metti la casa a disposizione volontariamente in un piano, il tribunale può proteggerti nel frattempo) . Oppure nel concordato potresti offrire che la casa venga venduta nell’ambito del piano (realizzando magari più valore) piuttosto che lasciarla al caos della banca: in questo modo sfrutti il concordato per vendere meglio e poi pagare la banca. In sintesi: senza garanzie personali la casa è protetta dalla “barriera societaria”; con garanzie personali bisogna negoziare con i creditori per salvarla o accettare di sacrificarla in modo controllato.

D: Dopo quanto tempo posso “lasciarmi alle spalle” i debiti se la mia società fallisce o va in liquidazione?
R: Per le società di capitali, i debiti insoddisfatti rimangono in capo alla società stessa. Se la società viene cancellata dopo la liquidazione/fallimento, i debiti si estinguono con essa (non c’è una persona fisica ex socio che ne risponde, salvo il caso di liquidazione volontaria malfatta in cui i soci hanno avuto attivo – vedi art. 2495 c.c., dove se il liquidatore non ha pagato un credito e ha distribuito attivo ai soci, il creditore può rivalersi su liquidatore e soci fino a concorrenza delle somme ricevute). Quindi, in generale, i soci dopo la chiusura del fallimento sono liberi dai debiti sociali residui. Gli amministratori pure, tranne che per eventuali condanne risarcitorie come visto (se viene accertata una responsabilità, quell’obbligo di risarcimento è un debito personale che rimane finché non viene soddisfatto). Se però parliamo di persona fisica fallita (es. un socio illimitatamente responsabile, o un’impresa individuale), c’è la procedura di esdebitazione: il fallito persona fisica può chiedere al tribunale, a chiusura del fallimento, di essere liberato dai debiti residui non pagati . Il tribunale concede l’esdebitazione se il soggetto ha collaborato e non ci sono stati atti in frode. Con l’esdebitazione (che di norma arriva con decreto un anno circa dopo la chiusura del fallimento, se i creditori non si oppongono) il debitore è definitivamente libero: i creditori non possono più perseguitarlo per quei debiti. Nel Codice della Crisi, l’esdebitazione è in automatico se nessuno fa opposizione, e viene negata solo per gravi ragioni (tipo bancarotta fraudolenta). Inoltre c’è la esdebitazione del debitore incapiente introdotta nel 2021: se una persona fisica non ha nulla da dare ai creditori, può chiedere comunque di essere esdebitata subito per ragioni umanitarie, con qualche condizione di meritevolezza. Quindi, i tempi: se la tua S.r.l. fallisce, tu socio/amministratore non hai bisogno di esdebitazione perché non sei debitore (salvo tu fossi garante: in tal caso, i debiti da garante restano tuoi personali, e potresti considerare procedure di sovraindebitamento per liberartene). Se invece sei un imprenditore individuale o socio fallito, in circa 1-2 anni post chiusura ottieni l’esdebitazione di legge. Concordato preventivo: se la società adempie il concordato, i creditori non possono avanzare ulteriori pretese per la quota falcidiata, è una sorta di esdebitazione concorsuale per la società (che però di per sé, essendo persona giuridica, non è che viva dopo l’adempimento: o continua l’attività con meno debiti o eventualmente viene liquidata solvente). In generale, come persona fisica coinvolta, se i tuoi debiti personali derivati dall’impresa ti opprimono, oggi il sistema consente una “ripartenza” abbastanza rapida tramite quelle procedure di esdebitazione/sovraindebitamento.

D: L’azienda è una S.r.l.: i soci sono al sicuro al 100% dai creditori? Ci sono casi in cui diventano personalmente responsabili dei debiti sociali?
R: I soci di S.r.l./S.p.A. di regola godono della responsabilità limitata, quindi non rispondono con il proprio patrimonio dei debiti sociali. Fanno eccezione: 1) i soci che hanno prestato garanzie personali (ma lì è per volontà loro contrattuale, non per legge societaria). 2) I soci che non hanno versato per intero i conferimenti promessi: sono responsabili verso la società per la quota non versata e, in fallimento, il curatore gliela chiederà subito (il cosiddetto richiamo dei decimi residui). 3) Nelle S.r.l., i soci possono essere chiamati a pagare i debiti tributari in particolari ipotesi: ad esempio l’art. 2495 c.c. prevede che se dopo la cancellazione della società spuntano debiti non saldati e c’era attivo distribuito, i soci ne rispondono fino a concorrenza di quanto riscosso in liquidazione. E nel Codice della Crisi, se viene aperta una procedura di liquidazione giudiziale entro un anno dalla cancellazione di una società a r.l., la procedura può essere estesa ai soci se hanno incassato attivo (art. 282 CCII). Insomma, se i soci si sono spartiti qualcosa lasciando debiti, possono dover restituire il maltolto per pagare quei debiti. 4) Nelle società di persone (snc, sas) i soci illimitatamente responsabili ovviamente rispondono, ma non è il caso di S.r.l. 5) Caso dell’abuso di personalità giuridica: se la S.r.l. è usata dai soci come schermo per attività illecite o confondendo conti sociali e personali, il giudice può “oltrepassare” il velo societario. Un esempio è la “supersocietà di fatto” tra una S.r.l. e il socio: si dichiara che in realtà operavano come un’unica impresa e si fa fallire anche il socio come imprenditore. Questo è raro e richiede frode o confusione patrimoniale accertata.
A parte queste situazioni, i creditori non possono aggredire i soci per i debiti sociali. Quindi se tu sei socio di S.r.l. al 50% e non hai altri ruoli, il peggior esito è perdere il capitale investito (quote ormai senza valore) e magari i finanziamenti soci che hai fatto (che non verranno rimborsati perché postergati e di fatto perduti). Ma non dovresti sborsare altro di tasca tua. Diverso se eri anche amministratore: lì potresti avere le responsabilità di cui sopra. In pratica, il socio “silente” è tutelato, quello attivo nella gestione deve stare attento alle regole. Un ultimo punto: i soci di S.r.l. possono volontariamente assumersi responsabilità, ad esempio firmando un contratto di prestazione accessoria in cui garantiscono obbligazioni sociali, o rilasciando patto di mantenimento patrimoniale (dove si impegnano a ricapitalizzare se c’è perdita). Questi sono accordi contrattuali che se esistono, li vincolano. Ma sono rari.

D: Se con un concordato preventivo abbattiamo i debiti, poi la società potrà tornare a indebitarsi per finanziarsi? O rimane “marchiata a fuoco”?
R: Dopo un concordato preventivo omologato e adempiuto, la società è libera dai debiti tagliati e continua ad esistere. Non c’è un’interdizione a contrarre nuovi finanziamenti, ma ovviamente la reputazione creditizia potrebbe essere compromessa per qualche tempo: le banche e fornitori sapranno che l’azienda è uscita da un concordato (perché l’iter è pubblico) e potrebbero essere più caute nel dare fido. Tuttavia, se il concordato è andato a buon fine e l’azienda ha realizzato il piano, significa che c’è stata ristrutturazione e spesso nuovi investitori. In tal caso, molti soggetti la vedranno come un’azienda “ripulita” e con nuovi equilibri, quindi affidabile. Ad esempio, alcuni fornitori chiave potrebbero riprendere a dare dilazioni, magari con riserva di proprietà sulle merci; le banche potrebbero concedere linee di credito ma probabilmente assistite da garanzie e a tassi più alti inizialmente. Dal punto di vista legale, dopo l’omologa del concordato, per alcuni anni (2 anni mi pare) l’azienda non può chiederne un altro se non versa almeno il 10% ai chirografari (c’è un divieto di accesso ripetuto a breve termine per concordati consecutivi, per evitare abusi). Inoltre, se l’azienda in futuro fallisse, i crediti falcidiati nel concordato e non pagati integralmente non “resuscitano” (sono cancellati), ma se il concordato è risolto per inadempimento, allora sì i debiti originali reviviscono al netto degli acconti ricevuti. Quindi è importante eseguire il concordato bene per chiudere i conti col passato. L’azienda sarà un soggetto “segnalato” nelle centrali rischi per un po’, però esistono esempi di imprese che dopo un concordato sono risorte e hanno nuovamente accesso a finanziamenti (spesso grazie a business plan solidi e al fatto che magari i vecchi soci escono e ne entrano di nuovi con capitali freschi, il che dà fiducia al mercato). Non c’è un marchio legale permanente. Certo, per appalti pubblici per 5 anni post-concordato c’è da dichiarare l’avvenuta procedura concorsuale, ma la normativa appalti consente comunque di partecipare dimostrando la ristrutturazione avvenuta. Un concordato adempito è anzi segno che l’azienda ha superato la crisi. Diverso se la società fosse stata liquidata: lì cessa proprio. Ma nel scenario di concordato in continuità riuscito, la società può assolutamente proseguire la sua attività e anche indebitarsi nuovamente se necessario (si spera in modo sostenibile). Ci sono imprese che dopo 5-6 anni dal concordato hanno perfino ottenuto nuovi prestiti bancari perché i bilanci erano tornati buoni. Quindi il “fire mark” è temporaneo.

Tabelle Riepilogative

Di seguito presentiamo due tabelle che sintetizzano rispettivamente: (1) le principali differenze tra gli strumenti di gestione della crisi d’impresa descritti (composizione negoziata, accordi, concordato preventivo, liquidazione) e (2) un esempio di confronto di esiti per i creditori in base allo strumento scelto, dal punto di vista del debitore che valuta le opzioni.

Tabella 1: Confronto tra Strumenti di Regolazione della Crisi d’Impresa

StrumentoNaturaCome si attivaCoinvolgimento del TribunaleEffetti PrincipaliQuando conviene
Composizione Negoziata <br>(CNC)Procedura volontaria stragiudiziale con assistenza di un esperto indipendente.Domanda online su piattaforma camerale; nomina di un esperto dal registro .Tribunale coinvolto solo su richiesta: per misure protettive (blocco esecuzioni) ; per autorizzazioni (es. finanziamenti urgenti) o omologa accordi col fisco . Nessun giudice delegato fisso, l’imprenditore resta alla guida.– Sospensione di azioni esecutive su decreto del giudice .<br>– Sospensione obblighi di ricapitalizzazione durante trattative .<br>– Trattative riservate; l’esperto media con i creditori per accordo stragiudiziale o per predisporre successiva procedura formale (accordo omologato, concordato ecc.).<br>– Possibile concordato semplificato se trattative falliscono .Crisi gestibile consensualmente: quando si stima che con negoziazioni mirate si possa trovare accordo con i creditori chiave evitando procedure più complesse.<br>– Necessità di rapidità e riservatezza: azienda ancora in attività che vuole evitare allarme sul mercato e trovare soluzione in pochi mesi con l’aiuto di esperto.<br>– Quando serve un breve stop alle azioni legali per riorganizzare (fino 12 mesi max di protezione).
Accordo di ristrutturazione <br>(60% creditori)Ibrido: accordo privatistico con alcuni creditori, reso effettivo da omologazione del tribunale (procedura “para-concorsuale”).Negoziazione privata con i creditori (≥60% del debito) e successivo ricorso al tribunale per omologa . Può essere anticipato da comunicazione ex art. 44 CCII per misure protettive mentre si perfeziona.Tribunale verifica solo legalità e fattibilità, e che i creditori estranei siano pagati al 100% (o comunque non pregiudicati) prima di omologare. Non c’è voto generale né commissario. Durante trattative e fino a omologa, possibili misure protettive simili a concordato, su istanza .Moratoria contrattuale per i creditori aderenti (pagamenti secondo accordo).<br>– Vincola anche eventuali dissenzienti della stessa categoria se condizioni di legge (ad es. banche dissenzienti se 75% consente, art. 61 CCII).<br>– Pagamento integrale dei creditori esclusi dall’accordo (fuori accordo) nei termini di legge.<br>– Esenzione da revocatoria per atti eseguiti in adempimento dell’accordo omologato (come per il concordato) ex art. 59 CCII.<br>– Procedura meno costosa del concordato, più veloce (omologa in 30-60gg dalla presentazione se tutto ok).Debito concentrato in pochi creditori principali disposti a trovare intesa (es. banche) mentre gli altri sono minoritari e verranno pagati regolarmente.<br>– Quando serve una forza legale per estendere l’accordo a sparuti dissenzienti, evitando voto allargato di un concordato.<br>– Azienda in crisi ma ancora fondamentalmente solvibile verso alcuni: può promettere pagamento integrale agli estranei all’accordo.<br>– Si vuole evitare la pubblicità e la rigidità di un concordato, mantenendo contrattualità (es. per non allarmare clienti).
Concordato Preventivo <br>(continuità o liquidatorio)Procedura concorsuale giudiziale a tutti gli effetti, sotto il controllo del tribunale, con partecipazione collettiva di tutti i creditori (con voto).Ricorso dell’imprenditore al tribunale con proposta di piano e atti. Oppure ricorso “con riserva” (in bianco) per ottenere subito protezione e poi presentare piano . Ammissibile se l’impresa è in stato di crisi o insolvenza (non necessariamente già irreversibile se in continuità).Forte coinvolgimento del tribunale:<br>– Decreto di apertura: nomina del Commissario Giudiziale e Giudice Delegato .<br>– Giudice autorizza atti di straordinaria amministrazione.<br>– I creditori votano la proposta (maggioranza >50% crediti) .<br>– Udienza omologa: Tribunale omologa se esito positivo e piano regolare; possibilità di cram-down se opposizioni .<br>– Se omologato, nomina eventuale Liquidatore Giudiziale (in caso di cessione beni) e Commissario mantiene vigilanza in esecuzione.Sospensione legale immediata di tutte le azioni dei creditori (stay) dal deposito del ricorso .<br>– Possibilità di sciogliersi o sospendere contratti onerosi pendenti con autorizzazione (art. 97 CCII).<br>– Possibile continuare l’attività (concordato in continuità) anche durante procedura, con autorizzazione a pagare forniture essenziali e nuova finanza prededucibile per far girare azienda. <br>– Falcidia dei debiti: si possono pagare parzialmente i chirografari (anche <20% se concordato in continuità; ≥20% se liquidatorio ) e ristrutturare i privilegiati (pagando almeno valore di realizzo dei beni).<br>– Possibile arresto di azioni individuali dei garanti? No, le misure protettive non si estendono ai coobbligati (salvo concordato minore, non qui). Garanti restano esposti (ma creditore può essere soddisfatto in parte dal concordato, riducendo l’importo residuo garantito).<br>– Esdebitazione: a esecuzione completata, l’azienda è liberata dai debiti pregressi secondo il piano e i creditori perdono la parte eccedente (per le società, debiti estinti con la procedura; per l’imprenditore persona fisica, possibilità di esdebitazione residua).Situazione di insolvenza conclamata o rischio elevato, dove serve un intervento che vincoli anche creditori contrari e offra una soluzione collettiva.<br>– Quando l’azienda ha prospettive di risanamento industriale ma non può pagare interamente i debiti: il concordato in continuità permette di tagliare debiti e continuare l’attività sotto un piano approvato .<br>– Oppure quando l’azienda non è più salvabile come attività, ma si vuole evitare il fallimento disordinato e proporre una liquidazione ordinata e più vantaggiosa ai creditori (concordato liquidatorio), magari con un apporto terzi e garanzia di una soglia minima del 20% .<br>– In generale, se ci sono molti creditori eterogenei e rischio di azioni esecutive multiple: il concordato unifica e sostituisce le loro pretese con il piano.<br>– Se un creditore o gruppo minoritario potrebbe bloccare accordi stragiudiziali, col concordato si supera il dissenso tramite voto a maggioranza.
Liquidazione Giudiziale <br>(Fallimento)Procedura concorsuale giudiziale liquidatoria d’ufficio, avviata su istanza di creditori, debitore o PM.Ricorso di creditore o altra parte, oppure conversione da concordato inammissibile. Ammissibile se insolvenza accertata e impresa non “minore” (superate soglie fallibilità: attivo > €300k, ricavi > €200k, debiti > €500k, oppure debiti > €30k).Giudice dichiara aperta la procedura con sentenza; nomina Curatore, Giudice Delegato e Comitato creditori. L’imprenditore è spossessato dei beni; curatore li amministra e liquida.<br>Creditori insinuano i crediti, si forma stato passivo. Niente voto: i creditori subiscono le decisioni sulla liquidazione. <br>Terminata la liquidazione, il tribunale approva il riparto finale e chiude la procedura.Stop definitivo attività: azienda normalmente cessa operare (salvo esercizio provvisorio limitato per vendere a migliore condizioni).<br>– Realizzo forzoso dei beni (aste, etc.) con possibili bassi ricavi. <br>– Scioglimento di diritto di tutti i contratti in corso (dipendenti licenziati, contratti forniture risolti, etc., salvo curatore decida subentro in taluni).<br>– Creditori soddisfatti secondo grado di privilegi. Di solito chirografari ricevono poco/niente.<br>– Possibili azioni revocatorie di pagamenti/garanzie pre-fallimento (2 anni o 6 mesi a ritroso a seconda dei casi) per recuperare asset . <br>– Azioni di responsabilità contro amministratori, sindaci e soci finanziatori per danni al patrimonio . <br>– Conseguenze per debitore: se persona fisica, interdizioni legali (sino a esdebitazione); se società, cessazione. Amministratori e liquidatori possono incorrere in reati concorsuali (bancarotta) se emerse irregolarità.Ultima ratio: quando nessuna ristrutturazione è praticabile, l’insolvenza è irreversibile e/o mancano proposte credibili ai creditori.<br>– Se l’imprenditore non prende iniziative e i creditori vogliono attaccare, può divenire inevitabile.<br>– A volte scelta strategica per liberare l’imprenditore persona fisica dai debiti tramite esdebitazione post-fallimento (accettando di perdere tutto l’attivo).<br>– Creditori preferiscono questa via se ritengono di ricavare di più o scoprire atti di malagestio perseguibili.<br>– Non conviene quasi mai al debitore perché perde il controllo sull’esito, subisce costi maggiori di procedura e rischi sanzionatori (civili e penali). Da considerare solo se mancano le condizioni per qualunque concordato/accordo (es. totale assenza di prospettive e collaborazione creditori).

(Legenda: “prededucibile” = spesa o credito che viene soddisfatto con precedenza assoluta; “stay” = periodo di sospensione delle azioni esecutive; “omologa” = provvedimento di approvazione del tribunale; “falcidia” = riduzione parziale di un credito; “apporto terzi” = nuovi fondi immessi da soggetti esterni per migliorare soddisfo creditori; “postergato” = che viene pagato dopo gli altri crediti).

Tabella 2: Esempio di Trattamento dei Creditori in Diversi Scenari

Scenario ipotetico: Alfa Molle S.r.l. ha 100 di attivo realizzabile e debiti per 200 (20 verso dipendenti, 50 verso Erario/INPS, 80 verso banche garantite da ipoteche su macchinari valutati 50, e 50 verso fornitori chirografari). L’azienda è insolvente. Di seguito, il confronto di come potrebbero essere soddisfatti i creditori nei vari percorsi:

CreditoriIn Concordato Preventivo (continuità)In Concordato LiquidatorioConcordato Semplificato (post-CNC fallita)Liquidazione Giudiziale (Fallimento)
Dipendenti (privilegiati) – 20Pagati 100% entro 6 mesi dall’omologa (obbligatorio, non falcidiabili se attivo sufficiente).Pagati 100% prima di altri crediti, grazie a privilegio (20 su 100 attivo).Pagati 100% ugualmente (primo rango).Pagati 100% tendenzialmente: privilegio altissimo + eventuale intervento Fondo di garanzia per TFR/salari.<br>(Se attivo < privilegi, vengono soddisfatti parzialmente ma in proporzione migliore di altri).
Erario (IVA, imposte) – 40 (su 50 debito tributario totale; residuo 10 sanzioni)Proposta transazione fiscale: es. pagamento 40% del dovuto in 5 anni . Se Agenzia aderisce o tribunale cram-down conferma (soddisfazione > liquidazione) , pagherebbero 20 su 50. (Iva dunque falcidiata al 40%).Nel liquidatorio, occorre offrire almeno 20% ai chirografari . Erario ha privilegio generale sui beni mobili per IVA/contributi. Presumendo attivo 100 e precedenze: ipoteche (50) + dipendenti (20) saturano 70. Restano 30 per chirografari inclusi fisco per parte non coperta da privilegio. Erario privilegiato su mobili magari prende quota su quei 30. In pratica almeno 20% assicurato come da legge, ergo circa 10 su 50.Concordato semplificato: giudice valuta proposta. Probabilmente simile al liquidatorio: Erario prenderebbe quanto in fallimento (stimato ad es. 8 su 50) – giudice omologa se riceve >=8. Quindi erario falcidiato pesantemente.Nel fallimento: Erario incassa da attivo residuo dopo privilegi superiori. Privilegio mobiliare del fisco viene dopo dipendenti ma parziale su beni mobili venduti. Possibile realizzo: dipendenti 20 pagati, beni mobili residui 30 per erario e fornitori: erario potrebbe prendere es. 15 su 50 (30%) e fornitori 15 su 50 (30%). (Cifre dipendono da asset, ma di solito fisco prende qualcosa grazie a privilegio, non tutto).
INPS (contributi) – 10Transazione contributiva non ammessa in concordato se non paga 100% contributi? Di solito si offre 100% su contributi dovuti e si può falcidiare sanzioni. Quindi ipotesi: 8 su 10 (differenza è sanzioni condonate).Come fisco: contributi privilegiati al pari del fisco, ma più in alto per quattro mensilità salari (non nel nostro scenario). Comunque privilegio generale. Verosimile ~20% anche per INPS se fosse chirografo in parte. Diciamo 2 su 10.Giudice tenderà a far pagare almeno il valore fallimentare. Se in fallimento era 2, qui 2 su 10.In fallimento: INPS parte privilegio generale come fisco. Recupero simile al fisco stimato: es. 3 su 10 (30%).
Banche garantite (ipoteca su macchinari) – 80 credito, garanzia valore 50Concordato continuità: si può proporre ad es. moratoria pagamento ipotecari per 2 anni e poi pagamento integrale di 50 (valore garanzia) + percentuale su parte scoperta (30 residuo trattato da chirografo). Se azienda regge, banca recupera vicino a 50 + ad es. 15% su 30 = 4.5. Totale ~54.5 su 80 (68%). Garanti personali: non protetti dalla procedura, ma si può negoziare liberatoria se piano soddisfa banca decentemente.Concordato liquidatorio: ipotecati vanno pagati almeno quanto ricaverebbero da vendita bene . Qui bene vale 50, quindi banca prendono 50 (soddisfatti 62.5% del credito) e su 30 scoperti prendono 20% = 6 (se rientrano nei chirografari da 20%). Totale ~56 su 80 (70%).Semplificato: curatore (liquidatore nominato) venderà i macchinari, banca prenderà ricavato effettivo (magari 40 invece di 50 se vendita rapida e scontata). + quota su scoperto. Esempio totale 45 su 80.Fallimento: Curatore vende macchinari (spese inc.) magari realizza 50 lordo, 45 netto. Banca ipotecaria prende 45 su 80, pari al valore realizzato meno spese . Parte residua 35 diventa chirografa: su eventuale riparto finale chirografo forse un 5% = 1.75. Totale ~46.75 su 80 (58%). Se garanti avevano ipoteca su casa anche, banca escute pure quella per differenza.
Fornitori chirografari – 50Continuità: possono essere suddivisi in classi. Dato che si cerca rilancio, magari proposta 30% in 5 anni . Quindi ~15 su 50. (Percentuale può variare; l’importante è dimostrare convenienza>liquidazione).Liquidatorio: per legge almeno 20% ai chirografari se no è inammissibile . Quindi minimo 10 su 50. (Nel nostro scenario, supponendo attivo 100 e privilegi saturano 70, rimane 30 -> 30/100=30%, quindi la condizione 20% è rispettata e fornitori prendono 30 distribuito tra fisco, INPS, fornitori residui, pro quota; ipotizzando fisco+INPS prendono 12, restano 18 ai fornitori -> 36%).Semplificato: giudice verifica soddisfo non inferiore a fallimento. Se in fallimento fornitori avrebbero preso ad es. 15%, il piano semplificato deve dare ≥15%. Quindi mettiamo offerta 8 su 50 (16%). Viene omologato se nessuno contesta e è > scenario fallimentare.Fallimento: fornitori concorrono sul residuo attivo dopo privilegi. Nel nostro esempio: attivo 100 – privilegio ipotecari 45 – dip 20 – privilegio fisco/INPS supponiamo 15 = rimangono 20 per chirografi totali di 85 (fornitori 50 + residui banche 35). Quindi dividendo 20/85 ~ 23.5% dividendo. Fornitore su 50 prende ~11.7. (Stima). Possono essere meno se spese procedura alte.

Lettura: Nello scenario ipotetico, si vede che i dipendenti vengono protetti quasi integralmente in ogni caso (e comunque possono ricorrere al Fondo di Garanzia). Le banche garantite recuperano in ogni ipotesi almeno il valore delle garanzie (50), leggermente di più se c’è un concordato dove magari l’azienda in continuità valorizza meglio i beni. L’Erario/INPS tende a subire decurtazioni più forti nei concordati (soprattutto in continuità dove si può chiedere uno stralcio significativo con transazione ), mentre in fallimento prende qualcosa grazie ai privilegi ma è lento e incerto. I fornitori chirografari tipicamente prendono di più in un concordato in continuità (dove si cerca di offrire una percentuale dignitosa, es. 30%) rispetto a un fallimento (dove potrebbe essere 20% o meno dopo anni). Nel concordato liquidatorio sono tutelati da una soglia di legge (20%). Nel concordato semplificato post-CNC fallita, i creditori potrebbero ricevere meno (non c’è voto, solo controllo di non inferiore al fallimento). Dunque, dal punto di vista del debitore, il concordato in continuità è lo strumento che massimizza le chance di salvare l’azienda e nel contempo può offrire ai fornitori qualcosa di competitivo, mentre il fallimento è il peggiore scenario per tutti tranne che forse per chi ha garanzie (che comunque preferirebbero evitare lungaggini e spese). Va anche notato che l’imprenditore in continuità mantiene i rapporti con i fornitori (che ricevono un 30% magari, ma continuano a lavorare con l’azienda salvata), mentre in fallimento i fornitori perdono il cliente e incassano spiccioli. Quindi, l’approccio concordatario negoziale ha vantaggi relazionali ed economici rispetto alla mera liquidazione giudiziale.

Simulazioni Pratiche

Per illustrare concretamente come un’azienda di molle industriali indebitata può agire, proponiamo alcune mini-simulazioni di strategie possibili. Si tratta di scenari ipotetici basati su casi reali, che mostrano l’applicazione degli strumenti discussi.

Caso 1: Risanamento tramite Composizione Negoziata e Accordo Stragiudiziale

Situazione iniziale: Beta Molle S.r.l., 40 dipendenti, vanta un buon portafoglio ordini ma è in crisi di liquidità. Debiti: €300k con fornitori, €200k con banche (mutuo ipotecario sul capannone), €150k di arretrati fiscali/contributivi. Ha anche 2 mensilità di stipendio arretrate. I macchinari e il magazzino valgono circa €500k, ma se l’azienda venisse liquidata perderebbe commesse importanti. I due soci amministratori hanno dato fideiussione per €100k alle banche. L’azienda è in tensione: alcuni fornitori minacciano azioni legali.

Azione intrapresa: Gli amministratori attivano subito la Composizione Negoziata . Sul portale, caricano bilanci e proiezioni: dimostrano che, con un po’ di respiro e una ristrutturazione del debito, l’impresa può tornare in utile (hanno un piano di riduzione costi e nuove commesse in arrivo tra 6 mesi). Viene nominato un esperto. Contestualmente, Beta Molle deposita al tribunale un’istanza per misure protettive ex art. 18 CCII : in 5 giorni ottiene decreto che vieta ai creditori di eseguire pignoramenti . Sospiri di sollievo: i fornitori sospendono le azioni e continuano a spedire materiali perché sanno che non possono interrompere i contratti pendenti (e Beta Molle intanto paga regolarmente le nuove forniture). L’INPS rilascia, su ordinanza del giudice, un DURC provvisorio regolare per 4 mesi perché l’azienda possa partecipare a una gara pubblica .

L’esperto negoziatore analizza i dati: suggerisce di coinvolgere le banche e i fornitori principali in un accordo. Con mediazione sua, Beta Molle propone ai fornitori uno strettoia: trasformare €300k di debiti commerciali in €150k da pagare in 24 mesi (quindi taglio 50% e dilazione). Offre in cambio un impegno: se l’azienda torna in utile nel 3° anno, riconoscerà un ulteriore 10%. I fornitori, valutata la prospettiva di perdere il cliente e forse incassare meno in un fallimento, aderiscono in gran parte. Alcuni piccoli (10% del totale) rifiutano, ma Beta Molle decide che li pagherà integralmente a parte (sono importi modesti) per tenerli fuori dall’accordo – può farlo perché è uno strumento flessibile. Con le banche: c’è un mutuo residuo €200k, valore capannone €250k. Le banche accettano di non escutere subito i garanti (soci) né ipotecare altro, concordano di allungare il mutuo da scadenza 5 anni a 10 anni, riducendo la rata, e di capitalizzare gli interessi; inoltre sospendono il pagamento delle rate per 12 mesi iniziali (moratoria). In parallelo, Beta Molle ottiene dal Fisco un piano di dilazione speciale per €100k di cartelle (il resto contava su una rottamazione quater in corso): 72 rate mensili (6 anni). L’INPS pure concede dilazione 24 mesi per contributi arretrati.

Dopo 3 mesi dall’inizio della negoziata, l’esperto redige una relazione finale positiva: le trattative hanno portato a un accordo con >75% dei creditori e l’impresa appare risanabile. Viene formalizzato un Piano Attestato di Risanamento che incorpora questi accordi: l’attestatore indipendente certifica che il piano è idoneo a risanare l’impresa e riequilibrare la situazione finanziaria . Il piano viene sottoscritto da tutti i creditori aderenti e pubblicato al registro imprese per l’esenzione da revocatorie . A questo punto Beta Molle esce dalla composizione negoziata con successo (l’esperto chiude la procedura).

Esito: L’azienda prosegue l’attività, onora gli impegni del nuovo piano: paga puntualmente i fornitori secondo il calendario ridotto (nel frattempo riesce a non interrompere la produzione, dunque fattura e genera cassa), riprende a pagare stipendi correnti e anche rateizza gli arretrati coi dipendenti (che grazie al fondo di garanzia hanno ottenuto il TFR di due pensionamenti). Dopo un anno ottiene una nuova linea di credito di cassa (€50k) grazie al miglioramento del rating. I soci garanti non hanno perso la casa né sono escussi, perché le banche hanno rinegoziato e confidano di essere soddisfatte col piano. Tutti i creditori chirografari aderiscono tranne pochi che però vengono pagati extra, quindi nessuno ha istanze di fallimento in piedi. L’impresa, dopo due anni, torna in utile e, come promesso, versa ai fornitori un bonus aggiuntivo (ciò rinsalda la fiducia).

Questo scenario mostra un salvataggio integrale tramite lo strumento più “morbido”: la CNC è servita a bloccare il disastro imminente e dare un quadro ordinato per l’accordo. Nessuna procedura concorsuale formale è stata aperta; l’azienda ha evitato il marchio del fallimento o del concordato pubblico, conservando rapporti e reputazione (quasi nessun cliente ha saputo delle difficoltà). Gli amministratori hanno adempiuto al dovere di agire tempestivamente evitando aggravamenti, dunque non subiranno verosimilmente azioni di responsabilità; anzi, se la situazione si fosse ugualmente deteriorata, quell’attestato e quell’accordo sarebbero stati una difesa nel dire “abbiamo fatto tutto il possibile”.

Caso 2: Concordato Preventivo in Continuità con Transazione Fiscale

Situazione iniziale: Gamma Molle S.p.A. ha debiti bancari e obbligazionari notevoli (€5 milioni), contratti di leasing costosi e una pletora di fornitori (€2 milioni). Ha però un prodotto innovativo con mercato, e un investitore interessato disposto a iniettare capitali se i debiti vengono ridotti. L’azienda è insolvente, una banca ha già revocato i fidi e presentato istanza di fallimento. C’è poco tempo.

Azione intrapresa: Gamma Molle deposita un ricorso per concordato preventivo con riserva presso il Tribunale , ottenendo immediatamente lo stay su tutte le azioni (l’istanza di fallimento viene sospesa ). Entro 60 giorni, presenta un piano di concordato in continuità diretta: prevede che l’azienda continui a produrre, ma con un ridimensionamento (chiusura di una linea meno profittevole) e l’ingresso di un nuovo socio (l’investitore) che apporta €3 milioni freschi. Con questi soldi, e vendendo alcuni asset non strategici (€1 milione stimati), la società propone di pagare integralmente dipendenti e creditori garantiti, e di soddisfare i creditori chirografari al 35%. In particolare, il piano include una transazione fiscale: il debito con Erario e INPS (pari a €800k) verrebbe falcidiato a €400k (50%), perché l’attestatore evidenzia che in liquidazione il fisco prenderebbe forse 20%. L’investitore è disponibile a far entrare i €3M a condizione di ottenere il 70% delle azioni e che l’azienda esca pulita dai debiti eccedenti il piano.

Il Tribunale ammette il concordato e convoca i creditori al voto per classi: classe 1 banche garanti (otterranno 100% capitale residuo ma con nuova dilazione decennale e riduzione interessi), classe 2 fornitori (35% in 4 anni), classe 3 Fisco/INPS (50% in 4 anni) , classe 4 obbligazionisti chirografari (35% come fornitori). Durante la procedura, l’azienda prosegue l’attività con autorizzazione del giudice e oversight del Commissario Giudiziale. I fornitori vengono pagati regolarmente per le forniture correnti (il tribunale autorizza ciò in prededuzione per non interrompere la produzione). Anche un finanziamento interinale di €500k, garantito dall’investitore, viene autorizzato in prededuzione per far fronte al circolante.

Si arriva al voto: banche (avendo garanzie e trattamento integrale, non votano per la parte garantita ma per l’eventuale parte scoperta; comunque, convinte dall’investitore, aderiscono), fornitori votano sì perché preferiscono 35% che il rischio fallimento (molti percepiscono che è la soluzione migliore), obbligazionisti pure. L’unico dissenso è lo Stato: l’Agenzia delle Entrate vota contrario alla transazione fiscale, ritenendo 50% troppo poco. Tuttavia, poiché il resto delle classi (che rappresentano > 60% del totale crediti) approva, la società chiede al Tribunale l’omologa nonostante il voto Erario (cram-down fiscale). Dimostra che il 50% offerto al Fisco è più di quanto otterrebbe in liquidazione (stimato 10%). Il Tribunale, sentito il Commissario che conferma la convenienza, omologa il concordato anche con il no dell’Erario.

Esito: Con l’omologa, l’investitore versa €3M in azienda (di cui €400k dedicati a pagare Fisco come da transazione omologata). Vengono emesse nuove azioni a suo favore (i vecchi soci scendono al 30%). Le banche ricevono i primi pagamenti secondo il nuovo piano di ammortamento. I fornitori cominciano a ricevere le percentuali promesse alle scadenze annuali. L’azienda, con la nuova governance e capitalizzazione, torna competitiva. I creditori chirografari che hanno subito la falcidia (incluso il Fisco) non possono più avanzare pretese per la parte eccedente (sono “tagliati”: lo Stato incamera i €400k e deve rinunciare al resto del suo credito IVA/INPS per effetto dell’omologa conforme all’art. 63 CCII).

In futuro, Gamma Molle avrà magari qualche difficoltà a ottenere nuovi prestiti bancari – ma l’investitore funge anche da garante e mette linee di credito soci. Nel frattempo, evitando il fallimento, ha salvato 40 posti di lavoro, i fornitori mantengono un cliente (anche se perdono un 65% su arretrati, ma meglio che zero in caso di default) e l’Erario incassa comunque metà credito subito (in fallimento chissà quando e quanto avrebbe preso). Gli amministratori iniziali, pur diluiti, non subiscono azioni di responsabilità perché il concordato stesso incorpora eventuali rinunce (ad esempio, spesso nel concordato in continuità i soci conferenti chiedono esonero da azioni future, e i creditori accettano implicitamente omologando). E soprattutto: niente bancarotta, niente conseguenze penali – l’azienda non è fallita. Gli organi fallimentari (curatore) non avranno luogo, quindi anche eventuali profili di mala gestio passati sono “assorbiti” (salvo reati commessi prima non emersi, ma se tutto è dentro il piano, di solito non emergono procedimenti penali quando c’è esecuzione concordato).

Questo scenario mostra come un concordato può tagliare drasticamente i debiti e attirare risorse nuove. Il punto chiave è stato avere un investitore disposto a rischiare sul rilancio; spesso può essere il socio stesso o un terzo, ma la protezione del concordato (niente revocatorie sul suo apporto, status prededucibile) lo incentiva . Notare anche come il tribunale ha potuto superare il dissenso del Fisco – nel 2010 ciò non era possibile; nel 2025 grazie a evoluzioni normative e giurisprudenziali, sì .

Caso 3: Liquidazione Giudiziale con Responsabilità degli Amministratori

Situazione iniziale: Delta Springs S.r.l. è un caso purtroppo negativo. La società ha accumulato debiti per €1 milione verso vari creditori, ma il titolare, anziché cercare aiuto, ha continuato l’attività sperando in un grosso ordine che non si è mai concretizzato. Ha usato le entrate per pagare solo i fornitori “amici” e ha omesso di versare IVA e contributi per un anno per far fronte alle spese correnti. Gli ultimi bilanci non sono stati depositati; la contabilità è confusa. Alcuni creditori presentano istanza di fallimento. L’amministratore, a quel punto, prova a fuggire: trasferisce la proprietà di due automezzi aziendali a un’altra sua società a prezzo simbolico e svuota il conto corrente prelevando in contanti €50k.

Azione (o inazione) e conseguenze: Il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale (fallimento) di Delta Springs. Un Curatore viene nominato. Questi trova la situazione disastrosa: magazzino vuoto, automezzi mancanti (ma scopre l’atto di vendita recente), casse a zero, dipendenti non pagati da 3 mesi. Avvia le azioni legali opportune: – Una azione revocatoria per far dichiarare inefficace la cessione fraudolenta dei automezzi a società collegata (vincendola facilmente, data la vendita irrisoria a soggetto correlato a ridosso del fallimento). Recupera così gli automezzi e li vende all’asta ricavando €30k. – Una azione di responsabilità contro l’amministratore ex art. 255 CCII: accusa l’amministratore di aver violato gravemente i doveri di gestione protraendo l’attività in stato di insolvenza, sottraendo risorse (i prelievi di cassa) e pagando alcuni creditori a discapito di altri (pagamenti preferenziali). Il Curatore quantifica il danno invocando l’art. 2486 c.c. comma 3 : dalla data in cui la società aveva perso il capitale (due anni fa) a quella del fallimento, il patrimonio netto è peggiorato di €500k, pertanto chiede almeno €500k di risarcimento dall’amministratore. – Collabora con la Procura: segnala gli atti distrattivi e la contabilità mancante. La Procura apre un’indagine per bancarotta fraudolenta a carico dell’amministratore (per distrazione di €50k, distrazione di automezzi e bancarotta documentale per contabilità in grave disordine).

Esito: Nel fallimento, i creditori recuperano pochissimo (forse il 5% ciascuno) perché l’attivo è quasi inesistente. I debiti verso Erario sono insinuati ma la curatela non paga IVA e contributi perché i fondi bastano appena per coprire in parte i privilegi dei dipendenti. L’amministratore, dal canto suo, subisce molte conseguenze personali: – Il tribunale lo condanna nel giudizio civile di responsabilità a risarcire €400k al fallimento (non l’intero chiesto, riconoscendogli qualcosina in attenuante). Egli non paga (non ha quei soldi), ma la sentenza costituisce un titolo esecutivo sul suo patrimonio personale: i creditori (rappresentati dal Curatore) potranno pignorargli beni personali. Ha una casa intestata? Verrà pignorata per soddisfare quel risarcimento. Stipendio futuro? Pignorato in quota. Insomma, la protezione del patrimonio personale è saltata perché la condotta è stata scorretta. – Penalmente, dopo un paio d’anni, arriva la sentenza: l’amministratore è riconosciuto colpevole di bancarotta fraudolenta e condannato, ad esempio, a 3 anni di reclusione. Inoltre, subisce l’interdizione dai pubblici uffici e non potrà ricoprire cariche societarie per 10 anni. – L’amministratore, ormai ex imprenditore, si trova rovinato: con la fedina penale segnata, debiti personali (la condanna per risarcimento) da cui può liberarsi forse chiedendo l’esdebitazione dopo la chiusura del fallimento (cosa che proverà a fare, ma la legge esclude l’esdebitazione per i debiti derivanti da reati dolosi, e un risarcimento per bancarotta fraudolenta potrebbe essere considerato tale). In ogni caso, la macchia reputazionale e le misure interdittive lo allontanano dal mondo imprenditoriale per lungo tempo. – I soci di Delta Springs (se diversi dall’amministratore) hanno perso il capitale e basta, ma certo non incasseranno nulla e vedono la loro società finire nel disonore.

Questo scenario, pur negativo, evidenzia perché non adottare misure di difesa e non rispettare i doveri può portare al disastro personale, oltre che aziendale. L’amministratore avrebbe potuto – in teoria – attivare per tempo la negoziazione assistita, o almeno presentare un concordato liquidatorio offrendo di cedere i beni residui: forse i creditori avrebbero preso un 10-15% e lui avrebbe evitato i profili di bancarotta semplice/fraudolenta, restando magari colpevole solo di cattiva gestione ma non di reato. Invece, scegliendo di “scappare” coi soldi e di favorire alcuni creditori, ha innescato i guai peggiori per sé. È l’esempio lampante di cosa la nostra guida cerca di scongiurare, ossia l’importanza di affrontare la crisi in modo regolato e corretto.

Conclusioni

Affrontare una situazione di azienda indebitata – come il caso di un’industria di molle che abbiamo ipotizzato – è un compito complesso che richiede sangue freddo, competenze multidisciplinari (giuridiche, finanziarie) e, non di rado, sacrifici. Questa guida ha esaminato i passaggi fondamentali e gli strumenti giuridici disponibili, mettendo in evidenza alcuni punti cardine dal punto di vista del debitore:

  • Tempestività e trasparenza: La prima linea di difesa di un imprenditore è riconoscere la crisi tempestivamente e agire senza indugio . Ciò significa dotarsi di sistemi di controllo (assetti adeguati, report finanziari) e, all’emergere di difficoltà, comunicare apertamente con consulenti, soci e – con le dovute cautele – anche con i creditori. Le condotte dilatorie o elusive aggravano quasi sempre la situazione e la posizione personale degli amministratori.
  • Uso strategico degli strumenti di legge: L’ordinamento aggiornato (CCII 2022-2025) offre una “cassetta degli attrezzi” sofisticata: dalla composizione negoziata confidenziale al concordato preventivo giudiziale , passando per accordi e piani attestati . Ogni strumento ha pro e contro (come sintetizzato nelle tabelle) e va scelto in base alle circostanze specifiche: dimensione e tipo dei debiti, atteggiamento dei creditori, prospettive di continuità aziendale, tempi a disposizione. Spesso si tratta di percorsi combinati (es. negoziazione seguita da concordato semplificato , oppure concordato preventivo convertito in liquidazione se fallisce il piano). È fondamentale avere consulenti esperti di crisi d’impresa per disegnare la strategia migliore e per condurre le trattative col ceto creditorio in modo credibile.
  • Priorità ai beni essenziali e ai creditori strategici: Difendersi dai debiti non vuol dire non pagare nessuno – vuol dire pagare il giusto, al momento giusto, alla parte giusta. Questo comporta, ad esempio, assicurare la continuità dei contratti vitali (forniture, energia, personale) sfruttando le tutele legali contro risoluzioni forzate ; significa anche cercare di soddisfare i creditori privilegiati nelle quote richieste (almeno minimali) per evitare opposizioni insormontabili (es. offrire almeno il 20% ai chirografari in concordato , o proporre al fisco quanto dovuto in modo comparativamente conveniente ). Un buon piano di risanamento distribuisce equamente i sacrifici, chiedendo a tutti uno sforzo ma senza ignorare nessuna categoria. Ciò aumenta le chance di riuscita e riduce il contenzioso.
  • Protezione personale attraverso la correttezza gestionale: La guida ha sottolineato che la miglior difesa per patrimoni personali di amministratori e soci è evitare condotte censurabili. Un amministratore che attiva procedure ufficiali quando deve, rispetta l’obbligo di non aggravare il dissesto e non sottrae beni, generalmente non perderà la “protezione” della responsabilità limitata. Viceversa, chi malauguratamente sceglie vie opache scoprirà che la legge ha molti strumenti per raggiungerlo (revocatorie , azioni di responsabilità , se del caso sanzioni penali). In tal senso, si può dire che l’interesse del debitore onesto coincide con l’interesse dei creditori: un piano ben congegnato può soddisfare meglio i creditori e al contempo liberare l’imprenditore dal peso dei debiti e dalle minacce (giudiziarie e patrimoniali).
  • Importanza del supporto professionale e di una visione d’insieme: Gestire debiti aziendali non è solo questione legale – occorre rivedere il modello di business, eventualmente ridimensionare l’azienda, cercare nuovi soci o investitori. Gli aspetti giuridici (ad esempio un concordato) devono essere allineati ad un progetto industriale credibile . Per questo, nella difesa da una crisi, l’avvocato lavora spesso in tandem con il commercialista, il consulente del lavoro, l’esperto di turnaround. Un imprenditore lungimirante non vive la crisi da solo nel chiuso del suo ufficio, ma costruisce una squadra di crisi per aumentare le probabilità di successo.
  • Lato umano e comunicazione: Infine, non va dimenticato il lato umano: dietro “debiti” e “creditori” vi sono relazioni. Mantenere un dialogo dignitoso e onesto con i fornitori, le banche e i dipendenti durante il periodo critico può fare la differenza – molti accordi riusciti si basano sulla fiducia ricostruita, così come molti fallimenti derivano da irrigidimenti dovuti a comunicazione errata o tardiva. Anche l’Erario e l’INPS, per quanto soggetti pubblici, oggi hanno procedure di interlocuzione (si pensi alle transazioni fiscali in cui si deve motivare un diniego ). Un debitore collaborativo e trasparente, ancorché inadempiente, viene guardato con occhio più benevolo e le stesse autorità giudiziarie lo trattano diversamente rispetto a chi adotta comportamenti ostruzionistici.

In conclusione, “difendersi” dai debiti aziendali non significa eluderli, ma gestirli attivamente con gli strumenti legali disponibili, proteggendo nel contempo la continuità dell’impresa (quando possibile) e i diritti fondamentali dei creditori. La normativa italiana, aggiornata al 2025, offre molte opportunità di risanamento e composizione negoziale o giudiziale: dall’allerta precoce con la composizione negoziata alla possibilità di soluzioni concordate “su misura” con gli accordi e i concordati di varia natura . Questa guida, speriamo, ha fornito una mappa chiara di queste opportunità, integrata con riferimenti a fonti normative e alle più recenti pronunce giurisprudenziali, in modo da orientare sia l’imprenditore, sia i professionisti (avvocati, commercialisti) che lo affiancano, verso le scelte migliori in situazioni di crisi d’impresa.

Ricordiamo che ogni caso concreto presenta peculiarità: è essenziale adattare i principi qui esposti alla fattispecie specifica, magari consultando le fonti normative e giurisprudenziali riportate qui di seguito per approfondimenti mirati. Con il giusto approccio, anche un’azienda di molle industriali con debiti potrà trovare la sua “molla” di rilancio – o quantomeno chiudere la partita debitoria in modo ordinato, minimizzando i danni per sé e per il tessuto economico circostante.

Fonti e Riferimenti (Normativa e Giurisprudenza)

  • Codice Civile, artt. 2086 c.c. (dovere di adeguati assetti e tempestiva rilevazione crisi) , 2381 c.c. (dovere amministratori senza deleghe di agire informati) , 2446-2447, 2482-bis e ter c.c. (obblighi di capitale sociale ridotto, sospesi ex art. 20 CCII durante negoziazione ), 2476 c.c. (responsabilità degli amministratori S.r.l. verso la società e soci), 2495 c.c. (responsabilità di liquidatori e soci post liquidazione), 2394 c.c. (azione dei creditori sociali contro amministratori).
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 e successive modifiche):
  • Composizione Negoziata: artt. 17-25-quinquies CCII (procedura di composizione negoziata, nomina esperto, misure protettive – art. 18 CCII; concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII) ; D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021 (norma istitutiva, ora integrata nel CCII) .
  • Concordato Preventivo: artt. 84 CCII (finalità, requisiti percentuali: 20% chirografari e 10% risorse esterne per concordato liquidatorio) , 87 CCII (contenuto del piano: indicazione valore di liquidazione, modalità soddisfacimento crediti, etc.) , 94-102 CCII (procedimento, voto dei creditori, classi, maggioranze) , 112 CCII (omologazione anche in caso di opposizione di una minoranza qualificata – cram down) .
  • Accordi di Ristrutturazione: artt. 57-64 CCII (accordi con il 60%, possibilità di estensione a creditori non aderenti omogenei, transazione fiscale art. 63 CCII) .
  • Piani Attestati: art. 56 CCII (accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento, contenuto e pubblicazione) .
  • Liquidazione Giudiziale: art. 121 CCII (dichiarazione di liquidazione giudiziale), art. 2 e 282 CCII (definizione di insolvenza; estensione a soci entro 1 anno da cancellazione), art. 322-323 CCII (bancarotta semplice e fraudolenta, con riferimento a violazione obblighi legge) .
  • Esdebitazione: artt. 278-282 CCII (esdebitazione del debitore civile, anche incapiente).
  • Decreto Legislativo 13 ottobre 2023 n. 136 (Secondo “Correttivo” al CCII): ha introdotto, tra le varie cose, l’art. 23 co.2-bis CCII che estende la transazione fiscale alla composizione negoziata , e ha modificato alcune soglie e procedure di concordato (citate in dottrina e articoli come in e ). [Gazzetta Ufficiale link: n. 236 del 09-10-2024].
  • Decreto Legge 118/2021 (convertito con modificazioni dalla L. 147/2021): norma istitutiva della Composizione Negoziata. In particolare, l’art. 2 D.L. 118/21 (oggi art. 17 CCII) e art. 6-7 D.L. 118/21 (misure protettive), e art. 11 (concordato semplificato poi trasfuso in art. 25-sexies CCII). Tribunale Venezia, decreto 6 febbraio 2023, ha chiarito che nelle misure protettive ex art. 19 CCII il divieto esecutivo si può estendere ai garanti che mettano beni a disposizione .
  • Decreto Legge 83/2015, art. 13, che ha modificato l’art. 182-ter L.Fall (transazione fiscale) eliminando il divieto di falcidia IVA. Rilevante in combinato con il CCII art. 63 per consentire oggi stralcio di IVA e ritenute anche in concordato . Cass. civile Sez. I n. 755/2021 ha sancito prima che nel concordato senza voto favorevole dell’Erario non si potesse omologare, ma la L. 176/2020 ha introdotto il cram-down fiscale (oggi art. 48 co.5 CCII) poi avallato dalla giurisprudenza .
  • Cassazione Civile:
  • Cass. civ. Sez. I, 24 gennaio 2023, n. 2172: principio sulla responsabilità degli amministratori per atto di mala gestio (acquisto ramo d’azienda indebitato), limiti all’insindacabilità delle scelte gestionali . Massima ufficiale pubblicata anche su dirittodellacrisi.it .
  • Cass. civ. Sez. I, 18 ottobre 2022, n. 30499: (citata nel Trib. Milano 18/4/2025) responsabilità degli amministratori non esecutivi che omettono vigilanza informata .
  • Cass. civ. Sez. I, 9 marzo 2023, n. 6893: su dovere di gestione conservativa dopo perdita capitale e criteri presuntivi ex art. 2486 c.c. (con riferimento all’art. 378 CCII) .
  • Cass. civ. Sez. I, 30 gennaio 2025, n. 2223: ha ribadito che la soglia di indebitamento (€30.000) va accertata al momento della dichiarazione di fallimento, non rilevano pagamenti successivi .
  • Cass. civ. Sez. I, 8 novembre 2019, n. 28984: (in tema soglie fallibilità, citata su dirittodellacrisi.it) chiarisce che per soglia debiti 30k contano debiti scaduti ed esigibili .
  • Cass. civ. Sez. Unite, 15 novembre 2016, n. 23218: sul concetto di abuso di personalità giuridica e possibilità di estensione del fallimento ai soci di S.r.l. in casi eccezionali (giurisprudenza antecedente al CCII, ma rimane riferimento su confusione patrimoni).
  • Tribunali di merito e altre sentenze:
  • Tribunale di Milano, sez. fall., 18 aprile 2025 – sentenza in azione di responsabilità (Fallimento Alfa) citata su Unijuris , afferma responsabilità anche di amministratori non operativi se omissivi e altri principi su danno, doveri sindaci .
  • Tribunale di Castrovillari, ordinanza 27 ottobre 2025 – Caso composizione negoziata: ha concesso misure cautelari per il rilascio del DURC in favore di società in crisi . Vicenda riportata da Studio Paganini Bellini (“CNC: il Tribunale accoglie rilascio DURC”) con pubblicazione della scansione del decreto .
  • Tribunale di Venezia, decreto 21 luglio 2023 n. 1328/2023 – Applicazione criteri art. 2486 c.c. per liquidazione danno in azione responsabilità (citato in dottrina ).
  • Tribunale di La Spezia, 23 febbraio 2023 – ha stabilito che con misure protettive concesse, non si applica l’art. 48-bis DPR 602/1973: le PA devono continuare a pagare la società in crisi, niente compensazione crediti/debiti (ciò per evitare strangolamento dell’azienda durante CNC).
  • Tribunale di Firenze, 8 gennaio 2025 – (cfr. Unijuris) su confronto concordato vs liquidazione giudiziale includendo azioni di responsabilità (importanza di considerare possibili recuperi da cause vs amministratori nel giudizio di convenienza del concordato) .
  • Corte di Cassazione, Sez. III penale, 5 luglio 2021, n. 25603: in tema di bancarotta impropria da violazione obblighi ex art. 2486 c.c. (con riferimento all’art. 217 co.1 n.4 L.Fall, ora art. 322 CCII).
  • Corte di Cassazione, Sez. V penale, 20 ottobre 2022 n. 39207: caso di bancarotta preferenziale per pagamenti ad alcuni fornitori prima del fallimento, sottolinea che anche pagamenti verso l’Erario possono costituire preferenza se lesivi par condicio (salvo scriminanti).
  • Fonti istituzionali e dottrinali:
  • Relazione Illustrativa al D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi) – chiarisce ratio di norme come art. 378 CCII sull’azione responsabilità (deflazione contenzioso sulla quantificazione danno) .
  • Direttiva UE 2019/1023 (Direttiva Insolvency) – recepita dal CCII, ha ispirato composizione negoziata e misure protettive uniformi.
  • Linee Guida del CNDCEC 2022 sugli indicatori di crisi per allerta interna (menzionate come “circolare Assonime 2022” su segnalazioni) .
  • Massimario Composizione Negoziata – Unioncamere, IV ed. 2025: raccolta di provvedimenti di merito sulla CNC , disponibile online.
  • Assonime – Guida al Codice della Crisi, 2022: approfondimenti su concordato minore e soglie (cita che imprese minori accedono a concordato minore, non a fallimento) .

La tua azienda che produce, importa o distribuisce molle industriali, molle a torsione, molle a trazione, molle a compressione, molle sagomate, molle per stampi, molle per macchine utensili, molle in filo armonico, componenti elastici su misura, fornitore di meccanica, automotive, impianti industriali, elettromeccanica, utensileria e manutenzione, è oggi schiacciata dai debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua azienda che produce, importa o distribuisce molle industriali, molle a torsione, molle a trazione, molle a compressione, molle sagomate, molle per stampi, molle per macchine utensili, molle in filo armonico, componenti elastici su misura, fornitore di meccanica, automotive, impianti industriali, elettromeccanica, utensileria e manutenzione, è oggi schiacciata dai debiti?
Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, blocchi dei fornitori, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori metallurgici o Agenzia Entrate-Riscossione?

Il settore delle molle industriali è competitivo e impegnativo: prezzi dell’acciaio e del filo armonico in aumento, grandi lotti di acquisto, commesse personalizzate, lavorazioni di precisione, magazzini pieni di semilavorati e clienti che pagano tardi. Basta un calo di liquidità per trovarsi rapidamente in crisi.

La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con il metodo giusto.


Perché un’Azienda di Molle Industriali va in Debito

  • aumento dei costi di acciaio, filo armonico, trattamenti termici e lavorazioni
  • pagamenti lenti da parte di officine, impiantisti, produttori e contractor
  • magazzino immobilizzato tra molle, bobine, semilavorati e componenti su misura
  • costi elevati di produzione, stampaggio, avvolgimento e test
  • necessità di tenere stock importanti per garantire continuità ai clienti
  • riduzione o revoca dei fidi bancari

In quasi tutti i casi, il problema non è la mancanza di ordini ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi se Non Intervieni Subito

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco dei fidi
  • sospensione delle forniture di acciai e lavorazioni conto terzi
  • atti esecutivi, decreti ingiuntivi e precetti
  • sequestro del magazzino, delle molle e delle attrezzature
  • impossibilità di completare commesse e rifornire i clienti
  • perdita di contratti e partnership strategiche

Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato esperto può:

  • sospendere pignoramenti e richieste di rientro
  • proteggere conti correnti e liquidità
  • fermare l’azione dell’Agenzia Riscossione

Prima si mette in sicurezza l’azienda, poi si affronta il debito.


2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti

In molti casi si possono individuare:

  • interessi non dovuti
  • sanzioni errate
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori dell’Agenzia Riscossione
  • commissioni bancarie anomale

Una parte consistente dell’esposizione può essere ridotta o cancellata.


3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile

Strumenti disponibili:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi di rientro con fornitori e metallurgici
  • rinegoziazione dei fidi bancari
  • sospensioni temporanee dei pagamenti
  • accesso alle definizioni agevolate

4. Attivare strumenti legali che bloccano TUTTI i creditori

Se la situazione è più grave si può ricorrere a:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • Accordi di ristrutturazione
  • Concordato minore
  • (nei casi estremi) Liquidazione controllata

Queste procedure permettono all’azienda di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti, sospendendo completamente ogni atto esecutivo.


Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo

Per salvare un’azienda che opera nella meccanica e nella produzione di componenti elastici servono competenze elevate.
L’Avv. Monardo è:

  • Avvocato Cassazionista
  • Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012) – registrato negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • Professionista fiduciario di un OCC
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Un profilo ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende del settore delle molle industriali, dove precisione e continuità produttiva sono fondamentali.


Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo

  • analisi immediata della tua esposizione debitoria
  • blocco urgente dei pignoramenti
  • riduzione dei debiti non dovuti
  • ristrutturazione del debito con piani personalizzati
  • protezione di magazzino, semilavorati e attrezzature
  • trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • tutela completa dell’azienda e del suo amministratore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di molle industriali non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, efficace e completamente legale, puoi:

  • fermare subito i creditori,
  • ridurre realmente i debiti,
  • salvare continuità operativa e rapporti commerciali,
  • proteggere il futuro della tua attività.

Agisci adesso.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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