Se la tua azienda produce, importa o distribuisce molle a compressione, molle a trazione, molle elicoidali, spirali, minuteria elastica, componenti su disegno e soluzioni per meccanica, automazione, utensileria, automotive e impianti industriali, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è indispensabile intervenire subito per evitare fermi produttivi e perdita di clienti strategici.
Nel settore delle molle tecniche, anche un piccolo ritardo può bloccare linee produttive, assemblaggi e manutenzioni. Un disallineamento nei pagamenti può diventare rapidamente un problema molto più grande.
Perché le aziende di molle a compressione e trazione accumulano debiti
- aumento dei costi di filo armonico, acciaio inox e materiali specializzati
- rincari nei trattamenti termici, galvanici e lavorazioni CNC
- pagamenti lenti da parte di officine, integratori e industrie meccaniche
- ritardi nei versamenti IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con molte misure, diametri e personalizzazioni
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli di produzione
- investimenti continui in avvolgitrici, controlli qualità e macchinari ad alta precisione
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista l’intera situazione debitoria
- individuare debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro non sostenibili che danneggiano la liquidità aziendale
- chiedere la sospensione immediata di pignoramenti o procedure esecutive
- proteggere rapporti con fornitori strategici (fili, trattamenti, lavorazioni)
- usare strumenti legali efficaci per ristrutturare o rinegoziare i debiti
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di filo armonico, acciai e materiali essenziali
- impossibilità di onorare ordini e consegne personalizzate
- rischio di perdere clienti chiave nel settore meccanico e industriale
- possibile chiusura dell’attività per mancanza di liquidità e materie prime
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina un team nazionale di professionisti: avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
È inoltre:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può aiutarti concretamente a:
- bloccare pignoramenti e atti esecutivi già in corso
- ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti di legge più efficaci
- ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
- proteggere materiali, forniture, macchinari e continuità produttiva
- evitare la chiusura e guidare l’azienda verso un risanamento vero e duraturo
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Introduzione
La gestione dei debiti aziendali è un tema cruciale per ogni imprenditore, specialmente in settori manifatturieri come quello delle molle a compressione e trazione, tipicamente rappresentativo di piccole e medie imprese italiane. Quando un’azienda accumula debiti – siano essi di natura fiscale, bancaria, verso fornitori o enti previdenziali – diventa fondamentale conoscere quali strumenti giuridici sono disponibili per difendersi e come procedere in modo strategico e legale. In questa guida avanzata, aggiornata a ottobre 2025, verranno esaminati in dettaglio tutti i rimedi previsti dall’ordinamento italiano per affrontare una situazione debitoria, con un taglio pratico ma rigoroso, adatto sia a professionisti del diritto (avvocati, commercialisti) sia a imprenditori e privati coinvolti.
Nota sulla prospettiva: Tutte le soluzioni e i commenti che seguono sono affrontati dal punto di vista del debitore (quindi dell’imprenditore o della società indebitata), con l’obiettivo di minimizzare le sue responsabilità personali e massimizzare le chance di risanamento o di chiusura ordinata dei debiti. Si forniranno riferimenti normativi italiani aggiornati, recenti pronunce giurisprudenziali (sentenze di merito e di legittimità fino al 2025) e si includeranno tabelle riepilogative, domande & risposte frequenti e simulazioni pratiche per chiarire l’applicazione concreta degli istituti. Tutte le fonti utilizzate sono raccolte nell’ultima sezione della guida.
Introduzione e quadro generale del problema
Un’azienda produttrice di molle a compressione e trazione – tipica PMI operante nel settore metalmeccanico – può trovarsi esposta a diversi tipi di debiti durante la sua vita: ad esempio debiti fiscali (IVA, IRES, IRAP, ritenute), debiti bancari (mutui, fidi e finanziamenti), debiti verso fornitori (fatture non pagate per materie prime, servizi) e debiti contributivi (verso enti come l’INPS per contributi previdenziali dei dipendenti). Quando la mole del debito diventa ingente, il rischio è duplice:
- Da un lato, rischi patrimoniali e civilistici per la società e, in taluni casi, per l’imprenditore stesso (ad esempio azioni esecutive sui beni aziendali, istanze di fallimento o responsabilità patrimoniale personale in ipotesi specifiche).
- Dall’altro, profili di responsabilità penale-tributaria, qualora l’insolvenza spinga l’imprenditore a omettere pagamenti dovuti al Fisco o agli enti previdenziali, o a compiere atti distrattivi configurabili come reati fallimentari.
L’ordinamento italiano offre però una serie articolata di strumenti per gestire e tentare di risolvere la crisi d’impresa. Tali strumenti spaziano da soluzioni stragiudiziali (come accordi privati o piani attestati di risanamento) a vere e proprie procedure concorsuali giudiziali (accordi di ristrutturazione omologati, concordato preventivo, liquidazione giudiziale – ex fallimento – e procedure di “sovraindebitamento” per i soggetti non fallibili). La scelta del rimedio dipende dalla gravità della crisi, dalla tipologia societaria (S.r.l., S.p.A. o impresa individuale) e dal rapporto con i creditori.
Nei prossimi paragrafi delineeremo anzitutto le diverse categorie di debiti e le relative conseguenze giuridiche, per poi esaminare le strategie preventive (volte a evitare di cadere in una situazione irreversibile) e quelle successive all’insorgere dei debiti (volte a gestire o ridurre i debiti accumulati). Ci soffermeremo sulla responsabilità patrimoniale dell’imprenditore, distinguendo i casi in cui il patrimonio personale può essere aggredito per debiti sociali. Approfondiremo strumenti come il piano attestato di risanamento, gli accordi di ristrutturazione, il concordato preventivo – inclusa la recente figura del “concordato minore” – e le procedure da sovraindebitamento per le piccole imprese e i privati. Una sezione dedicata affronterà i possibili rilievi penali e penal-tributari, ossia quali condotte possono far scattare reati (omesso versamento di IVA o contributi, bancarotta, etc.) e come prevenirli o rimediare (ad esempio attraverso il pagamento entro termini di legge).
Infine, una serie di FAQ (domande e risposte) e tabelle di sintesi aiuteranno a ricapitolare i punti chiave in modo chiaro e schematico, seguiti da alcune simulazioni pratiche ispirate a casi reali – tra cui quello di un’ipotetica “Molle S.r.l.” indebitata – per mostrare come applicare concretamente le nozioni esposte.
Importante: Questa guida è aggiornata alle più recenti novità normative e giurisprudenziali (fino a ottobre 2025). In particolare, si tiene conto del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, entrato in vigore definitivamente nel 2022 e modificato dai correttivi del 2020, 2021, 2022 e 2023/2024) e delle ultime pronunce della Corte di Cassazione rilevanti in materia di responsabilità per debiti fiscali, soglie di punibilità per reati tributari, requisiti dei concordati, ecc. Tali riferimenti saranno citati nel testo (es. Cass. civ. sez. I, ord. 23341/2024 ) per fornire riscontri autorevoli e aggiornati.
Passiamo ora ad esaminare nel dettaglio le varie tipologie di debito che un’azienda può avere e quali implicazioni specifiche comportano, prima di affrontare le possibili soluzioni.
Tipologie di debiti aziendali e relativi rischi
Non tutti i debiti sono uguali: a seconda della natura del credito e del creditore, cambiano le tutele legali del creditore stesso e le conseguenze per l’azienda debitrice (e potenzialmente per l’imprenditore). Analizziamo le principali categorie di debito che affliggono un’azienda e i rispettivi rischi e rimedi.
Debiti fiscali (Erario)
I debiti verso il Fisco comprendono imposte come IVA, imposte sui redditi (IRES per le società, IRPEF per ditte individuali/enti trasparenti), IRAP, ritenute fiscali su stipendi e compensi, oltre a eventuali accertamenti e cartelle esattoriali per imposte non versate. Questi debiti sono comunemente oggetto di riscossione coattiva da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia).
Rischi e conseguenze: in caso di mancato pagamento delle imposte, l’Agenzia Entrate potrà iscrivere a ruolo il debito ed emettere una cartella di pagamento. Se la cartella non viene saldata né impugnata tempestivamente, si procede con misure esecutive sul patrimonio aziendale, tra cui: iscrizione di ipoteche su immobili, fermo amministrativo di automezzi, pignoramenti di conti correnti, beni mobili e crediti verso terzi. Nel caso in cui l’azienda sia strutturata come società di capitali (S.r.l. o S.p.A.), il principio generale è che sia la società – con il suo patrimonio – a rispondere dei debiti tributari, e non i soci o gli amministratori con i propri beni personali. Ciò discende dal principio della separazione patrimoniale tipico delle società di capitali. La Cassazione ha più volte ribadito che non esiste una responsabilità generale degli amministratori per i debiti fiscali della società, salvo specifiche eccezioni previste dalla legge .
Esempio: se Molle S.r.l. non paga IVA e imposte per 100.000 €, l’Agenzia Entrate iscriverà a ruolo tale importo ed emetterà una cartella a nome di Molle S.r.l.. In difetto di pagamento, si passerà a pignorare beni o crediti della società. Di norma, all’amministratore o ai soci non può essere direttamente intimato il pagamento, perché obbligata è la persona giuridica. Tentativi dell’erario di escutere il debito dai soci o dall’amministratore verrebbero contestati con successo, in mancanza di una previsione di legge che li renda personalmente obbligati .
Eccezioni – Responsabilità personale per debiti tributari: vi sono però circostanze eccezionali in cui l’amministratore, i liquidatori o i soci possono dover rispondere in proprio del debito fiscale societario. Tali ipotesi, previste dall’art. 36 del DPR 602/1973, si verificano soprattutto in fase di liquidazione della società. In sintesi, la norma stabilisce che:
- I liquidatori di società di capitali rispondono personalmente delle imposte dovute dalla società in liquidazione (relative tanto al periodo di liquidazione quanto ai periodi precedenti) se distribuiscono ai soci attivi della società o soddisfano crediti di ordine inferiore lasciando insolute le imposte . La loro responsabilità è limitata all’ammontare dei crediti tributari che si sarebbero potuti pagare con le risorse indebitamente destinate altrove.
- Gli amministratori (in carica al momento dello scioglimento) sono anch’essi responsabili in proprio se non adempiono al dovere di mettere la società in liquidazione quando si verifica una causa di scioglimento e, una volta sciolta, compiono operazioni di liquidazione o occultamento di attività sociali nei due anni precedenti la liquidazione . È il caso ad esempio di amministratori che, invece di liquidare formalmente la società e pagare i debiti fiscali, continuano l’attività esaurendo l’attivo in pagamenti preferenziali o sottraendo beni: in tali scenari il Fisco può rivalersi su di loro.
- I soci infine rispondono dei debiti tributari (sempre nei limiti di imposte su redditi) limitatamente a quanto da essi ricevuto nei due anni prima della messa in liquidazione (es. utili o rimborsi soci) e durante la liquidazione . Ciò per evitare che i soci svuotino la società prima di chiuderla, lasciando il Fisco insoddisfatto.
Tuttavia, anche quando ricorrono queste condizioni eccezionali, la pretesa tributaria nei confronti di amministratori/soci non è automatica: è necessario un atto formale dell’Agenzia delle Entrate che “accerti” la loro responsabilità ex art. 36 DPR 602/73 . In altre parole, l’Amministrazione finanziaria deve notificare all’amministratore o al socio un atto motivato (avviso di accertamento) che contestualizzi la loro responsabilità, prima di poter emettere una cartella esattoriale a nome loro. Ogni cartella di pagamento emessa direttamente contro l’amministratore senza previo atto motivato è illegittima, come confermato da una recente ordinanza della Cassazione (Cass. 19 dicembre 2023 n. 35497) che ha annullato una cartella intestata all’ex amministratore per debiti IVA/IRES della società, proprio per mancato previo accertamento personale . In un caso ancora più recente, la Cassazione (ord. n. 8696 del 2 aprile 2025) ha ribadito l’illegittimità di pretese fiscali direttamente verso l’amministratore in assenza di atto presupposto a lui notificato, escludendo una responsabilità “solidale” generica dell’amministratore-liquidatore di S.r.l. per i debiti tributari della società .
Responsabilità dei soci dopo l’estinzione della società: quando una società viene cancellata dal registro delle imprese (dopo la liquidazione), essa si estingue. I debiti insoddisfatti non “scompaiono” magicamente: secondo l’art. 2495 c.c., i creditori sociali possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, ma entro il limite di ciò che i soci hanno riscosso in base al bilancio finale di liquidazione . Questo significa che se un socio ha ricevuto €50.000 di residuo finale da una S.r.l. cancellata, i creditori insoddisfatti potranno chiedergli denaro solo fino a €50.000 (ripartito tra tutti i creditori, salvo diverso accordo). Inoltre, i creditori possono agire contro i liquidatori se il mancato pagamento dei debiti è dipeso da colpa di questi ultimi . Questa norma impedisce l’abuso della liquidazione come escamotage: non è lecito distribuire attivi ai soci e poi chiudere la società lasciando debiti – i soci dovranno restituire quanto ricevuto per pagare i creditori, e i liquidatori ne risponderanno se hanno agito con negligenza.
Da ricordare: Al di fuori delle ipotesi sopra elencate (art. 36 DPR 602/73 e art. 2495 c.c.), un amministratore o socio di S.r.l./S.p.A. non può essere obbligato personalmente a pagare i debiti fiscali della società. Ogni tanto l’Amministrazione tenta approcci creativi (ad es. notificare cartelle a ex amministratori imputando loro coobbligazione), ma la giurisprudenza le ha sistematicamente respinte in mancanza di base legale . Il principio della “perfetta separazione patrimoniale” tutela il patrimonio personale, salvo comportamenti specifici dell’organo gestorio che la legge sanziona appunto con responsabilità mirate.
Strumenti difensivi e rimedi per i debiti fiscali: se la società ha debiti fiscali che non riesce a pagare immediatamente, esistono vari rimedi da valutare:
- Rateizzazione amministrativa: L’Agenzia delle Entrate-Riscossione consente di chiedere un piano di dilazione fino a 72 rate mensili (6 anni), estensibile a 120 rate in casi di grave difficoltà, per cartelle esattoriali. Ad esempio, un debito IVA può essere dilazionato se l’azienda dimostra temporanea carenza di liquidità. La concessione della rateazione evita azioni esecutive purché le rate vengano pagate regolarmente.
- Definizioni agevolate (“rottamazione”): Periodicamente sono emanate leggi speciali che permettono di estinguere i debiti iscritti a ruolo pagando solo l’imposta (senza sanzioni né interessi) o con forti sconti. Ad esempio, la “Rottamazione-quater” introdotta dalla Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) consente la definizione agevolata dei carichi affidati all’Agente della Riscossione fino al 30/6/2022, pagando l’imposta e un piccolo aggio. Queste opportunità possono alleggerire notevolmente il debito fiscale.
- Transazione fiscale nell’ambito di procedure concorsuali: Come vedremo, strumenti come l’accordo di ristrutturazione o il concordato preventivo permettono di proporre al Fisco un pagamento parziale dei debiti tributari (stralcio), soggetto a omologazione del tribunale. Oggi il Codice della crisi consente di includere le tasse nel piano di concordato/accordo e anche se l’Erario dissentisse, il tribunale può omologare ugualmente se il trattamento offerto è almeno pari a quanto il Fisco otterrebbe in una liquidazione fallimentare . In altre parole, il Fisco non ha più un veto assoluto in concordato, purché la proposta sia equa (questo recepisce le novità introdotte dal DL 125/2020 e confermate nel Codice).
- Contenzioso tributario: Se il debito deriva da un avviso di accertamento ritenuto infondato, l’azienda può proporre ricorso in Commissione Tributaria per farlo annullare o ridurre. Durante il contenzioso si può ottenere la sospensione della riscossione. Attenzione: contestare in giudizio è opportuno solo se vi sono reali motivi giuridici o probatori per farlo; altrimenti si rischia di aggravare la posizione con ulteriori sanzioni e interessi.
- Verifica degli atti formali: È sempre buona norma, se l’azienda riceve una cartella o intimazione, controllare la regolarità formale degli atti (notifica, motivazione). Ad esempio, come visto, se arrivasse impropriamente una cartella intestata all’amministratore personalmente, andrebbe impugnata eccependo la violazione dell’art.36 DPR 602/73 . Oppure, un’intimazione di pagamento senza che la cartella sia stata mai notificata è nulla.
Profili penal-tributari: Una particolare attenzione va dedicata ai debiti IVA e ritenute in quanto, oltre al profilo civilistico, qui emerge un rischio penale per l’amministratore o il legale rappresentante. In Italia, il reato di omesso versamento IVA (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000) scatta se l’IVA annuale non versata supera una certa soglia. Attualmente la soglia di punibilità è di €250.000 per anno d’imposta. La buona notizia è che la recente riforma del 2023/2024 (D.Lgs. 75/2020 e D.Lgs. 87/2024 attuativi della riforma fiscale) ha esteso i termini per versare l’IVA dovuta ed evitare il reato. In particolare, il momento di perfezionamento del reato è stato posticipato al 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione IVA . Ciò significa, ad esempio, che per l’IVA indicata nella dichiarazione annuale 2024 (anno d’imposta 2023), il termine ultimo per versare ed evitare il penale è il 31 dicembre 2025 (prima era il termine dell’acconto IVA al 27 dicembre dell’anno successivo). Questo dà un anno in più all’impresa per cercare di pagare almeno in parte il dovuto e scendere sotto soglia di €250.000, o saldare integralmente. Inoltre, se il debito IVA è rateizzato con Agenzia Entrate Riscossione ed è in regolare pagamento, il reato non si perfeziona: la nuova normativa prevede la non punibilità se il debito è in corso di estinzione tramite rateazione . Solo in caso di decadenza dalla rateazione e permanenza di un debito sopra €75.000 si potrà procedere penalmente . Resta ferma la cause di non punibilità già esistente: se l’imprenditore paga tutto il debito tributario (imposta, sanzioni, interessi) prima dell’apertura del dibattimento penale, il reato tributario è estinto per intervenuto pagamento integrale . In pratica, l’ordinamento incoraggia il ravvedimento operoso o la regolarizzazione anche tardiva, quale esimente penale.
Per le ritenute fiscali non versate (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000, ad esempio ritenute sui redditi di lavoro dipendente trattenute in busta paga ma non versate all’Erario), la soglia di punibilità è €150.000 annui. Anche qui vale la regola della non punibilità in caso di pagamento integrale prima del dibattimento. Da notare che per le ritenute il dies a quo per il reato è sempre il termine di versamento (solitamente il 16 del mese successivo), ma anch’esso estendibile fino al 31 dicembre dell’anno successivo grazie alle nuove norme in caso di dichiarazione presentata (analogamente all’IVA, con soglia €150k). In sintesi: un’imprenditore che si trova costretto a scegliere quali debiti pagare, deve essere consapevole che mancati versamenti di IVA o ritenute sopra soglia lo espongono personalmente a responsabilità penale, salvo poi correre ai ripari col pagamento.
Riassumendo per i debiti fiscali: – Il patrimonio personale dell’imprenditore in una S.r.l./S.p.A. è generalmente al riparo, tranne in casi di mala gestio specifica (pagamenti preferenziali in liquidazione, omessa liquidazione quando dovuta, prelievi ai soci prima di pagare il Fisco). In tali casi mirati, il Fisco può aggredire amministratori/soci, ma deve prima notificare un atto motivato . – In caso di cartelle esattoriali, usare strumenti come rateazioni o adesioni a sanatorie può evitare sia esecuzioni immediate che l’insorgere di reati. – Qualora la situazione debitoria sia insostenibile, conviene valutare una procedura concorsuale (accordo o concordato) che includa una transazione fiscale, permettendo uno stralcio parziale del debito erariale con il crisma dell’omologazione giudiziaria. – Non trascurare i profili penali: meglio versare almeno parzialmente IVA/ritenute per ridurre il debito sotto soglia penale o attivarsi in tempo (anche chiedendo prestiti personali o vendendo asset non essenziali) per non incorrere in reati. Se il reato è configurabile, pagare integralmente il dovuto prima del processo salva l’imprenditore da condanne .
Debiti verso banche e istituti di credito
Le esposizioni debitorie verso banche e finanziatori (es. società di leasing o di factoring) includono tipicamente: mutui ipotecari, finanziamenti a medio termine, scoperti di conto corrente e anticipi su fatture, leasing finanziari per macchinari o immobili, ecc. Questi creditori spesso godono di garanzie a tutela dei loro crediti, che possono essere reali (es. ipoteca su immobili dell’azienda, pegno su macchinari, privilegio speciale su beni d’impresa) o personali (fideiussioni dei soci o di terzi garanti, lettere di patronage, ecc.).
Rischi e conseguenze: se l’azienda non riesce a rispettare il piano di rimborso di un mutuo o va “in rosso” oltre il fido, la banca può: – Revocare gli affidamenti: ad esempio, revoca del fido di c/c, con richiesta di rientro immediato delle somme utilizzate. – Escutere le garanzie reali: se c’è un’ipoteca su un capannone e il debitore è in default, la banca può iniziare la procedura esecutiva immobiliare (pignoramento e vendita all’asta del capannone). Analogamente per pegni su macchinari o merci. – Chiedere il fallimento (liquidazione giudiziale): le banche, in qualità di creditori, se il debito scaduto è rilevante e l’azienda manifesta insolvenza, possono presentare ricorso per la liquidazione giudiziale (ex istanza di fallimento) al tribunale competente. Questo è uno scenario grave: se il tribunale accerta lo stato di insolvenza, apre la procedura di liquidazione giudiziale nominando un curatore, con conseguente spossessamento dell’imprenditore. – Escutere le garanzie personali: se un socio o l’imprenditore ha firmato una fideiussione, la banca in caso di insolvenza aziendale potrà chiedere direttamente al garante il pagamento (aggredendo il suo patrimonio personale: conti, stipendi, immobili). Le fideiussioni bancarie sono molto comuni nelle PMI italiane: spesso la S.r.l. ha debiti bancari garantiti dai beni personali dell’imprenditore o dei soci. Di conseguenza, il default della società si ripercuote immediatamente sul privato, vanificando in parte la limitazione di responsabilità offerta dalla forma societaria.
Strumenti difensivi e di ristrutturazione del debito bancario: data la natura particolarmente “strutturata” del debito bancario, le possibili azioni per gestirlo includono: – Rinegoziazione del debito: interagire con la banca prima del default conclamato per rinegoziare le condizioni (allungamento del piano di ammortamento, periodi di pre-ammortamento con rate solo interessi, riduzione temporanea del tasso). Le banche, se vedono prospettive di continuità aziendale, possono preferire ristrutturare il credito piuttosto che procedere legalmente. Ad esempio, trasformare uno scoperto a breve in un mutuo a medio termine. – Accordi stragiudiziali o standstill: talvolta più banche finanziatrici di una stessa impresa sottoscrivono accordi di moratoria (standstill agreement) impegnandosi a non revocare fidi né agire esecutivamente per un certo periodo, nell’attesa che l’azienda attui un piano di risanamento. Questi accordi in genere avvengono sotto l’egida di piani attestati di risanamento o accordi ex art.182-bis l.f. (oggi art.57 e ss. CCII). Ad esempio, durante una composizione negoziata della crisi (strumento introdotto nel 2021), le banche possono concordare temporaneamente di congelare le scadenze. – Consolidamento e nuova finanza: in alcuni casi, l’azienda può cercare un nuovo finanziamento (magari garantito dallo Stato, come quelli ex L.662/96 gestiti dal Fondo PMI) destinato a rifinanziare i debiti bancari esistenti a condizioni più sostenibili. Questa opzione richiede però che l’impresa sia ancora considerata “affidabile” o abbia garanzie aggiuntive da offrire. – Procedura di ristrutturazione del debito: se il debito è troppo elevato per essere ripagato integralmente, l’impresa può includere la banca in un accordo di ristrutturazione o in un concordato preventivo, offrendo il pagamento parziale (es. “saldo e stralcio” del debito bancario). In tali procedure concorsuali, i crediti bancari – se garantiti da ipoteca o pegno – sono crediti privilegiati o ipotecari e vanno soddisfatti almeno in parte con il ricavato dei beni oggetto di garanzia. Spesso, tuttavia, le banche accettano di “stralciare” una parte del credito se il piano ne garantisce l’incasso rapido del residuo. Ad esempio, in un concordato, un mutuo residuo di €1 milione garantito da ipoteca su un immobile che realisticamente vale €600.000 potrebbe essere trattato offrendo alla banca €600.000 (soddisfacimento al 60%) a saldo. – Garanzie personali – possibili azioni: Se la banca escute una fideiussione, il garante dovrà pagare. Può però rivalersi successivamente sulla società (azione di regresso), che però se è insolvente difficilmente restituirà. L’unica difesa del garante è controllare la validità formale della fideiussione: ad esempio, alcune fideiussioni bancarie “omnibus” potrebbero essere nulle perché redatte su schemi ABI censurati dalla Banca d’Italia (violazione normativa antitrust). Ci sono state pronunce in merito che hanno liberato garanti in caso di moduli contrattuali nulli. Si tratta di eccezioni tecniche che un legale può valutare. In mancanza, purtroppo, il garante risponde illimitatamente. – Ipoteca su beni personali: se l’imprenditore ha dato ipoteca sulla casa a garanzia di un debito aziendale, quella casa è esposta al pignoramento in caso di insolvenza. Un possibile rimedio, se c’è margine, è cercare di vendere volontariamente l’immobile prima che venga espropriato (concordando magari con la banca la liberatoria del vincolo in cambio della maggior parte del ricavato). In un concordato preventivo della società, è anche possibile offrire ai creditori ipotecari la vendita dell’immobile del socio con soddisfazione del loro credito (magari il socio conferisce l’immobile al piano di concordato come “finanza esterna”).
In generale, con le banche conviene giocare d’anticipo: appena si percepisce che l’azienda fatica a rispettare le rate, è opportuno dialogare con l’istituto, presentando un piano credibile di rientro. Le banche tendono a essere più collaborative se vedono trasparenza e volontà di risanamento, mentre se vengono tenute all’oscuro e scoprono i mancati pagamenti a cose fatte, adotteranno un approccio aggressivo a tutela del credito.
Caso pratico: Molle S.r.l. ha un mutuo residuo di €300.000 garantito da ipoteca sul capannone e un fido di c/c di €100.000 garantito da fideiussione dei due soci per l’intero importo. L’attività è in calo e la società prevede difficoltà a pagare le prossime rate mutuo. In questa situazione, i soci incontrano la banca e negoziano: la banca accetta di sospendere le quote capitale del mutuo per 12 mesi (pagando solo interessi) e di mantenere aperto il fido, a condizione che i soci ricapitalizzino la società con €50.000 destinati a ridurre l’esposizione a revoca parziale del fido. I soci accettano e ciò evita nell’immediato il default formale. Tuttavia, dopo un anno, la situazione peggiora e Molle S.r.l. decide di avviare un concordato preventivo. Nel piano concordatario propone di vendere il capannone (valore stimato €250.000) – ciò estinguerà in parte il mutuo ipotecario – e offre alla banca un pagamento di €50.000 aggiuntivi (ottenuti da un nuovo investitore) per chiudere sia il mutuo residuo che il fido. La banca, valutando che in un fallimento otterrebbe forse meno, aderisce alla proposta in sede concordataria. I soci, grazie a questa soluzione, evitano che la banca escuta la fideiussione nei loro confronti, perché il debito bancario viene saldato nei termini concordati nel concordato omologato.
Ricapitolando per i debiti bancari: – Responsabilità personale: molto spesso deriva da garanzie personali prestate. Occorre aver chiaro quali impegni privati sono stati assunti verso le banche (fideiussioni, pegni su titoli personali, ipoteche su immobili personali). Questi possono vanificare la distinzione tra patrimonio sociale e personale. – Azioni della banca: sono generalmente veloci e incisive (revoche fidi, pignoramenti). Le banche rientrano tra i creditori più “pericolosi” per la continuità aziendale perché la revoca di affidamenti può bloccare l’operatività (conto corrente bloccato, ecc.). – Soluzioni: vanno dal contatto proattivo con l’istituto (per rimodulare il debito) all’inclusione del credito bancario in un piano di ristrutturazione o concordato, dove magari il sacrificio del credito è limitato (spesso le banche votano a favore dei concordati quando il trattamento è ragionevole). Nei casi estremi, si può valutare la cessione dell’azienda o di asset dell’azienda con accordo che il ricavato estingua i debiti bancari (subentro di altro debitore, ecc.), ma ciò esula dalla trattazione qui. – Tutela del debitore garante: qualora la società non sia più salvabile e vi siano garanzie personali, l’imprenditore potrebbe considerare di attivare per sé le procedure da sovraindebitamento (ne parleremo più avanti) per gestire i debiti derivanti da quelle fideiussioni, onde evitare il tracollo personale.
Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari
I debiti verso fornitori (e, per estensione, altri debiti commerciali non garantiti, come debiti verso consulenti, affittuari dell’immobile, utenze, ecc.) sono normalmente crediti chirografari, ovvero non assistiti da privilegi o garanzie particolari. Il fornitore che vanta pagamenti arretrati può: – Sollecitare il pagamento ed eventualmente sospendere future forniture (impattando sulla capacità dell’azienda di proseguire le attività). – Agire per vie legali: presentare un decreto ingiuntivo per ottenere un titolo esecutivo e poi procedere a pignoramenti di beni aziendali o crediti. I fornitori spesso valutano costi e benefici: per piccoli importi può non convenire agire subito; per importi rilevanti, soprattutto se circolano voci di difficoltà dell’azienda debitrice, il fornitore potrebbe attivarsi rapidamente per non arrivare “ultimo” nella corsa al patrimonio residuo. – In alcuni casi, se il credito è significativo, un fornitore può presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale). Ad esempio, un fornitore non pagato per €50.000 potrebbe chiedere la liquidazione giudiziale della Molle S.r.l. sostenendo l’insolvenza, specie se altri creditori sono insoddisfatti e l’azienda appare insolvente (magari ha smesso i pagamenti). Va detto che spesso i fornitori preferiscono un accordo transattivo al fallimento del cliente, perché da un fallimento ricaverebbero in genere pochi centesimi per euro di credito, e perdono un cliente. Però se percepiscono tentativi dilatori o se l’azienda sembra destinata comunque al collasso, allora anche loro potrebbero scegliere la via giudiziaria per cristallizzare la situazione.
Rischi e peculiarità: a differenza di Fisco e banche, i fornitori non hanno tutele speciali se non quelle generali: il loro potere contrattuale sta nell’essere spesso essenziali per la produzione (se smettono di fornire materiali, l’azienda ferma la produzione). Inoltre, i fornitori in alcuni casi possono avvalersi di azioni revocatorie o tutele di riserva di proprietà (se concordate) – ad esempio, se avevano venduto macchinari con riserva di proprietà, potrebbero recuperarli. Ma nella maggior parte dei casi, il fornitore è un creditore chirografario puro.
Difendersi dai debiti verso fornitori: qui “difendersi” significa essenzialmente negoziare. Diversamente dai debiti fiscali (dove c’è uno statuto pubblicistico) o bancari (dove i contratti sono rigidi), con i fornitori c’è maggiore spazio per accordi flessibili: – Accordi a saldo e stralcio: Concordare con il fornitore il pagamento di una parte del dovuto a titolo di saldo definitivo. Ad esempio, proporre “ti pago subito il 50% del tuo credito e il resto lo stralciamo”. Molti fornitori, se capiscono che l’alternativa è perdere tutto in un eventuale fallimento del debitore, accettano decurtazioni significative purché ricevute in tempi certi. È opportuno formalizzare tali accordi per iscritto (scrittura privata dove il fornitore dichiara, al ricevimento della somma concordata, di rinunciare al resto del credito). Attenzione: l’accordo transattivo bilaterale funziona se pochi fornitori sono coinvolti; se invece i creditori sono tantissimi, potrebbe essere inefficiente. In tal caso, meglio procedure collettive (concordato). – Dilazioni di pagamento: Se il problema è temporaneo, l’azienda può chiedere ai fornitori una dilazione (es. pagamenti a 90 giorni invece che 30, oppure piani di rientro in più tranche). Molto dipende dal rapporto commerciale pregresso: fornitori con rapporti di lunga data potrebbero dare fiducia se il piano di rientro è plausibile. – Fornitura in conto garanzia: Un fornitore potrebbe chiedere, per continuare a fornire malgrado gli arretrati, garanzie ulteriori: ad esempio, cambiali tratte (titoli esecutivi in caso di mancato pagamento), oppure la fideiussione di un socio sul nuovo fornito, o pegno su beni dell’azienda. Bisogna valutare caso per caso se accettare: dare garanzie aggiuntive significa spostare quel fornitore da chirografario a privilegiato rispetto agli altri, il che può complicare un futuro concordato (perché quel fornitore sarebbe di categoria diversa). – Utilizzo di compensazioni: Se il fornitore è anche cliente (accade in filiere dove le aziende si scambiano beni/servizi), si possono compensare i debiti reciproci, riducendo l’esborso monetario. La compensazione legale è ammissibile se i crediti sono liquidi ed esigibili. – Attenzione alle azioni revocatorie: Se l’azienda ha pagato un fornitore in difficoltà economica mentre lasciava altri creditori impagati, e poi fallisce entro 6 mesi, il curatore potrebbe tentare di revocare quei pagamenti preferenziali (salvo fossero effettuati “nei termini d’uso”). Questo aspetto lo vedremo parlando di bancarotta preferenziale. L’imprenditore deve evitare di compiere pagamenti “anomali” ai fornitori sotto pressione, trascurando altri, se l’insolvenza è già conclamata, perché potrebbe aggravare le conseguenze in caso di procedura concorsuale.
Conclusione sul punto fornitori: i debiti commerciali richiedono ottime capacità negoziali. Spesso un piano attestato di risanamento (strumento di cui parleremo) viene utilizzato proprio per convincere fornitori a fare sacrifici (sconti) in modo coordinato, grazie all’attestazione di un professionista che garantisce che lo stralcio proposto è necessario per il risanamento . Se invece la situazione è compromessa al punto che servirebbe tagliare pesantemente tutti i debiti fornitori, allora un concordato preventivo offre una soluzione “globale” in cui i fornitori chirografari verranno soddisfatti solo in parte (es: 20% come minimo se liquidatorio , o anche meno se il concordato è in continuità, purché non inferiore al ricavabile da fallimento). Più avanti affronteremo i requisiti di legge (il Codice della crisi impone un minimo del 20% ai chirografari nel concordato liquidatorio ).
Debiti verso i dipendenti e gli enti previdenziali (INPS)
Altra categoria cruciale è quella dei debiti verso i dipendenti (retribuzioni non corrisposte, TFR maturato) e verso gli enti previdenziali come INPS (contributi pensionistici e assistenziali obbligatori). In caso di difficoltà finanziarie, spesso l’imprenditore cerca di ritardare questi pagamenti – p.es. pagando gli stipendi in ritardo o non versando i contributi dovuti – ma ciò apre scenari molto delicati.
Debiti verso dipendenti (salari e TFR): i lavoratori dipendenti hanno una posizione privilegiata sia contrattualmente che legalmente. Se lo stipendio ritarda, possono mettere in mora l’azienda e, se il ritardo si protrae, possono dimettersi per giusta causa (ossia senza preavviso, addebitando all’azienda l’indennità sostitutiva). Inoltre, i crediti di lavoro (stipendi ultimi 12 mesi, TFR, ecc.) godono di privilegio generale mobiliare sul patrimonio del debitore e, per alcune componenti come TFR e ultime 3 mensilità, anche del intervento del Fondo di Garanzia INPS in caso di insolvenza del datore. In una procedura concorsuale, i dipendenti vengono soddisfatti prima dei creditori chirografari, grazie ai privilegi ex art.2751-bis c.c. e seguenti.
- Rischi per l’imprenditore: Il mancato pagamento sistematico delle retribuzioni può esporre l’imprenditore a vertenze di lavoro e decreti ingiuntivi in tempi rapidi (il diritto del lavoro prevede procedure veloci per crediti da lavoro). Inoltre, se l’impresa termina in fallimento, il comportamento tenuto con i dipendenti può rilevare come bancarotta (ad esempio, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali che vedremo tra poco, o l’occultamento dei debiti verso dipendenti nelle scritture).
- Soluzioni: In situazioni di crisi, spesso è opportuno coinvolgere i dipendenti nella soluzione, ad esempio ricorrendo a strumenti di sostegno al reddito come la Cassa Integrazione Guadagni (CIG) straordinaria per crisi aziendale, che consente di alleggerire temporaneamente il costo del personale (lo Stato paga parte degli stipendi per un periodo, riducendo l’esborso aziendale). Questo chiaramente richiede i requisiti di legge e l’accordo sindacale. Oppure, in contesti meno formali, i dipendenti potrebbero essere d’accordo a una riduzione di orario o a posticipare il pagamento di alcune voci (ferie non godute, ecc.) se intravedono prospettive di salvataggio. È fondamentale la comunicazione: tenere i lavoratori informati sulla situazione e sul piano di risanamento li rende più propensi a collaborare (mentre scoprire salari non pagati taciuti genera contenziosi immediati).
- Nel caso estremo in cui l’azienda debba accedere a un concordato preventivo, i crediti di lavoro saranno inseriti come privilegiati e pagati integralmente o nei limiti del privilegio. Qualora l’attività continui, è obbligatorio in concordato in continuità assicurare che i debiti per salari maturati durante la procedura vengano pagati regolarmente (sono considerati prededucibili, e la mancata correntezza può portare a revoca del concordato).
Debiti contributivi (INPS e altri enti): riguardano i contributi obbligatori dovuti dal datore di lavoro: quelli a carico del lavoratore trattenuti in busta paga (contributi a carico dipendente) e quelli a carico azienda. L’INPS (o ex-INPGI, casse professionali ecc. per settori specifici) vigila e può emettere avvisi di addebito esecutivi simil-cartelle se rileva omissioni.
- Rischio amministrativo e penale: Il mancato versamento di contributi configura due scenari: se l’ammontare omesso per ciascun anno supera una certa soglia (oggi €10.000 annui ), scatta il reato di omesso versamento di contributi previdenziali (art. 2 co.1-bis D.L. 463/1983 conv. in L.638/1983). Questo reato è punito con la reclusione fino a 3 anni o multa fino a €1.032 . Se invece l’importo omesso annuo è inferiore a €10.000, non è reato ma è prevista una sanzione amministrativa (da 1,5 a 4 volte l’importo omesso) . La legge concede però una possibilità: se il datore di lavoro provvede a versare i contributi entro 3 mesi dalla contestazione o notifica dell’accertamento della violazione, non è più punibile né penalmente né amministrativamente . Questo significa che, qualora l’INPS notifichi un avviso di accertamento per contributi omessi, pagando il dovuto entro 90 giorni si evitano sanzioni penali/amministrative. Dunque, vi è una sorta di “periodo di grazia” post-contestazione per regolarizzare.
- Dal punto di vista civile, l’INPS è un creditore privilegiato (privilegio generale per contributi degli ultimi 2 anni, e privilegio equiparato a quello erariale per alcuni contributi). In caso di procedure concorsuali, l’INPS sarà soddisfatta prima dei chirografari ma dopo i lavoratori (in genere).
- Soluzioni e gestione: Anche con l’INPS si possono ottenere rateizzazioni del debito contributivo. L’INPS consente piani di dilazione (di solito fino a 24 mesi, estensibili in casi gravi). Inoltre, se l’azienda è ammessa a una procedura concorsuale, i debiti contributivi possono essere inseriti in una transazione e parzialmente falcidiati (analogamente al Fisco). Ad esempio, un concordato preventivo può proporre il pagamento parziale dei contributi dovuti, previo parere del comitato dei creditori e valutazione del tribunale sulla convenienza rispetto alla liquidazione.
- Esempio penal-tributario: Se Molle S.r.l. in crisi smette di versare i contributi nel 2024 e accumula €15.000 di omissioni, a inizio 2025 riceverà probabilmente una contestazione dall’INPS. A quel punto, per evitare guai giudiziari, dovrebbe reperire almeno €5.001 (per scendere sotto 10k) entro 3 mesi o, meglio ancora, pagare tutto l’arretrato se possibile . Se non lo fa, l’INPS inoltrerà notizia di reato alla Procura e si aprirà un procedimento penale a suo carico (oltre a dover comunque pagare i contributi, su cui maturano sanzioni civili molto elevate). Per questo, spesso la scelta di non pagare i contributi è la peggiore, perché un ritardo oltre l’anno solare rischia di sfociare nel penale senza le soglie alte dell’IVA.
- Garanzie del lavoratore: In caso di insolvenza conclamata, i lavoratori beneficeranno, come detto, del Fondo di Garanzia INPS, che anticipa loro il TFR e ultime mensilità non pagate, rifacendosi poi sul datore. Ciò avviene tipicamente dopo l’apertura di una procedura concorsuale. Anche per questo, spesso i dipendenti attendono la dichiarazione di fallimento per attivare il Fondo e recuperare almeno TFR e stipendi arretrati rapidamente.
Conclusioni su debiti lavoro/previdenza: dal punto di vista dell’imprenditore, questi debiti hanno un fortissimo impatto sociale e penale. È comprensibile che in situazione di cassa critica l’imprenditore possa essere tentato di posticipare versamenti di contributi o pagare solo in parte gli stipendi (magari “in nero” qualcosa ai dipendenti per tenerli buoni). Tuttavia, ciò può peggiorare la posizione in caso di crisi irreversibile: i lavoratori insoddisfatti perderanno fiducia e potrebbero rivolgersi subito a un legale; l’INPS (e l’erario per le ritenute fiscali sui salari) attiveranno sanzioni severe. È altamente consigliabile, laddove possibile, privilegiare il pagamento di stipendi e contributi, o concordare con i dipendenti soluzioni temporanee, prima di decidere di non pagare banche o fornitori. Questo anche perché i lavoratori, come persone fisiche, hanno una tutela empatica e giudiziale maggiore presso i tribunali (difficilmente un giudice negherà decreti ingiuntivi per paghe dovute). Inoltre, sul piano penale, le soglie dei contributi sono basse (€10k annui) , per cui basta poco per incorrere nel reato.
In definitiva, i debiti verso i dipendenti/INPS dovrebbero essere gli ultimi da sacrificare in una crisi di liquidità. Se proprio non si riescono a onorare, bisogna prepararsi a gestire le conseguenze attraverso le procedure concorsuali (che come detto prevedono canali di soddisfacimento per questi crediti in privilegio) e accettare la possibile attivazione del Fondo di Garanzia, con relativo intervento dell’INPS nel ruolo di creditore surrogato.
Riepilogo delle categorie di debito e priorità legali
Per chiarire la diversa gravità e trattamento dei vari debiti aziendali, la tabella seguente riassume le principali caratteristiche:
| Tipo di debito | Esempi (creditore) | Tutele del creditore | Responsabilità personale imprenditore | Rischio penale |
|---|---|---|---|---|
| Fiscale (Erario) | IVA, IRES, IRAP, ritenute (Agenzia Entrate) | Privilegi generali su beni mobili per alcuni tributi; potere di iscrizione ipoteche, fermi; azione esattoriale rapida. | In genere no (solo società responsabile), salvo art.36 DPR 602/73 (liquidatori, amm.re in casi specifici) . Soci post-liquidazione limitatamente quota ricevuta . | Sì, per omesso versamento IVA > €250k/anno ; omesse ritenute > €150k/anno. Punibilità evitabile pagando prima del dibattimento . |
| Contributivo (INPS) | Contributi pensionistici obbligatori | Privilegio generale per ultimi 2 anni; avviso di addebito immediatamente esecutivo; soglia bassa per ipoteche (se supera €5k). | No diretta, tranne in ditte individuali e soci illimitatamente responsabili. Ma omesso versamento può portare a reato personale. | Sì, omesso versamento > €10k annui (reclusione fino 3 anni) ; non punibile se pagato entro 3 mesi da accertamento . |
| Bancario/Finanziario | Mutuo, leasing, fido (Banca o società leasing) | Garanzie contrattuali: ipoteche, pegni, riserva proprietà, fideiussioni. Possibilità di azione esecutiva immediata al decadere del beneficio del termine. | Sì se prestata fideiussione o garanzia personale (allora obbligo illimitato); altrimenti no (solo società). | No diretto (l’insolvenza verso banche non è reato di per sé). <br>Possibili profili penali solo se frode (es. ottenimento credito con falsi bilanci). |
| Fornitori (chirografari) | Fatture merce, servizi (fornitori vari) | Nessuna garanzia salvo patti specifici; possibilità di decreto ingiuntivo e pignoramento. Se molti creditori, concorrenza al patrimonio. | No (solo società), a meno di comportamenti distrattivi dell’amministratore verso alcuni fornitori (azione di responsabilità possibile in fallimento per pagamenti preferenziali, etc.). | No (inadempimento civile). <br>Attenzione: pagamenti preferenziali a fornitori in stato di insolvenza possono costituire bancarotta preferenziale a carico dell’amministratore in caso di fallimento. |
| Dipendenti (lavoro) | Stipendi, TFR (lavoratori) | Privilegio generale mobiliare (ultimi 12 mesi retribuzioni, TFR), privilegi speciali ex art.2751-bis c.c.; Fondo di Garanzia INPS interviene per TFR e ultime 3 mensilità in caso di insolvenza datore. | No (debito della società), salvo ditte individuali. Tuttavia l’amministratore può rispondere per mala gestio se ha aggravato il dissesto a danno dei dipendenti (es. non accantonando TFR volontariamente). | Non pagare stipendi non è di per sé reato; può configurarsi reato se correlato a altri illeciti (es. bancarotta fraudolenta se distrazione di somme dovute ai dipendenti). |
(Legenda: “no” = nessuna responsabilità diretta in condizioni ordinarie; “sì” = responsabilità presente in molti casi; bancarotta preferenziale = reato previsto dall’art. 216 L.F., ora art. 322 CCII, vedi sezione penale.)
Questa tabella evidenzia che non tutti i debiti “pesano” allo stesso modo dal punto di vista di un imprenditore debitore. In una situazione di crisi di liquidità, è importante sapere dove esistono margini di trattativa e dove invece le conseguenze sono più gravi. Ad esempio, un debito verso fornitori può essere rinegoziato con uno stralcio senza implicazioni penali, mentre un debito IVA non pagato può mandare l’imprenditore sotto processo penale. Allo stesso modo, ignorare i dipendenti può portare a immediate azioni legali e blocco dell’attività, mentre un creditore bancario potrebbe essere gestito con un accordo standstill se convinto della futura solvibilità.
Passiamo ora a illustrare le strategie generali che un imprenditore può adottare per prevenire o fronteggiare l’eccessivo indebitamento, prima di analizzare nel dettaglio gli strumenti giuridici formali (piani, accordi, concordati, ecc.).
Strategie di prevenzione e gestione preventiva della crisi
La miglior difesa contro i debiti insostenibili è agire tempestivamente, quando i primi segnali di difficoltà finanziaria emergono, anziché attendere la situazione di insolvenza conclamata. Il legislatore italiano, con il nuovo Codice della crisi d’impresa, ha enfatizzato l’importanza degli “adeguati assetti organizzativi” e dei sistemi di allerta per rilevare precocemente gli indizi di crisi, imponendo agli amministratori di attivarsi per tempo (art. 2086 c.c. novellato nel 2019). Vediamo quali sono le misure preventive e le buone pratiche:
Adeguati assetti e monitoraggio finanziario
Ogni imprenditore collettivo (società) è tenuto per legge ad istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi (art. 2086, co.2, c.c.). In pratica: – Contabilità e controllo di gestione: mantenere una contabilità ordinata e aggiornata, affiancata possibilmente da un sistema di controllo di gestione (es. budget, cash flow forecasting) consente di avere il polso della situazione economico-finanziaria. Molte crisi si aggravano perché l’imprenditore si accorge tardi del deficit di cassa o dell’erosione dei margini. – Indicatori di allerta: Il CNDCEC (Consiglio dei Dottori Commercialisti) ha individuato indici utili a segnalare la crisi (ad esempio: indice di liquidità, indice di sostenibilità degli oneri finanziari, DSCR – Debt Service Coverage Ratio). Senza entrare in tecnicismi, l’imprenditore dovrebbe monitorare parametri come: ripetuti sforamenti di fido, ritardi sistematici nei pagamenti, utilizzo di entrate straordinarie per coprire spese ordinarie, ecc. Sono campanelli d’allarme che impongono di prendere provvedimenti. – Assetto organizzativo e ruoli: un assetto adeguato significa anche definire ruoli e procedure interne per gestire il rischio finanziario. Ad esempio, avere un responsabile amministrativo che segnala immediatamente agli organi dirigenti se l’IVA di un trimestre non è coperta dai fondi disponibili, in modo da decidere se cercare finanza esterna o tagliare costi. Oppure avere procedure per evitare di prendere nuovi ordini non remunerativi solo per “fare cassa” a breve (errore comune che poi lascia margini negativi e più debiti). – Documentazione dello stato di crisi: Qualora la crisi inizi a manifestarsi, è importante che l’organo amministrativo documenti le decisioni prese per farvi fronte (verbali CDA, relazione sulla situazione da sottoporre a consulenti, etc.). Questo non solo aiuta a fare ordine nelle idee, ma sarà fondamentale anche in ottica di evitare responsabilità per tardiva richiesta di procedure concorsuali. Ad esempio, se una società per azioni vede il patrimonio eroso sotto il minimo di legge, deve convocare assemblea per ricapitalizzare o liquidare ex art.2447 c.c.; non farlo espone gli amministratori ad azioni di responsabilità.
In sintesi, la prevenzione consiste nel conoscere tempestivamente la propria situazione finanziaria e nel non procrastinare interventi correttivi. Spesso ciò fa la differenza tra un’azienda che riesce a ristrutturare il debito e una che invece precipita nel fallimento. Il nuovo Codice della crisi ha introdotto misure (poi modificate) come gli organismi di composizione della crisi e gli alert esterni: inizialmente si prevedeva che enti come l’Agenzia Entrate, INPS o Banche d’Italia segnalassero automaticamente l’impresa in crisi oltre certe soglie; queste misure di allerta sono state in parte sostituite dalla composizione negoziata (volontaria), di cui diremo. Resta però la filosofia: anticipare la cura al primo manifestarsi della malattia.
Composizione negoziata della crisi d’impresa
Una delle novità più rilevanti degli ultimi anni è la procedura di composizione negoziata (introdotta col D.L. 118/2021, conv. L.147/2021, e ora disciplinata nel Codice della crisi). Si tratta di uno strumento volontario e stragiudiziale: l’imprenditore in situazione di squilibrio o crisi può richiedere, tramite una piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio, la nomina di un esperto indipendente che lo assista nel tentativo di trovare un accordo con i creditori per il risanamento.
Caratteristiche principali della composizione negoziata: – Volontarietà e riservatezza: L’istanza parte dall’imprenditore (non è imposta dai creditori) e la procedura si svolge riservatamente, senza pubblicità iniziale. L’esperto nominato (di solito un commercialista o esperto di crisi d’impresa) convoca l’imprenditore e i creditori principali per esplorare possibili soluzioni. – Obiettivo: trovare un accordo di ristrutturazione o altre soluzioni (cessione azienda, ingresso investitori) fuori dai tribunali. L’esperto facilita il dialogo, analizza i piani, ma non può imporre nulla. – Protezione temporanea: L’imprenditore può chiedere misure protettive al tribunale (ad es. sospensione delle azioni esecutive dei creditori per la durata delle trattative). Tali misure, se concesse, sono pubblicate nel Registro Imprese e servono a dare “respiro” mentre si cerca l’accordo. – Durata: la composizione negoziata ha una durata breve, in genere 3+2 mesi (prorogabile di poco). Deve essere uno sprint negoziale, non uno stallo prolungato. – Esito: Se si trova un accordo, si formalizza a seconda dei casi: può sfociare in un contratto stragiudiziale con i creditori, oppure l’imprenditore può accedere a uno degli strumenti del Codice (accordo di ristrutturazione omologato, piano attestato, concordato semplificato). Se non si trova accordo, l’imprenditore può abbandonare la procedura (a quel punto i creditori riprendono le azioni) oppure, se la situazione è irreversibile, optare per il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale.
La composizione negoziata è quindi uno strumento di prevenzione avanzata: si attiva prima di essere insolventi conclamati (quando magari si è in “crisi” ma ancora reversibile). È consigliabile per imprese che hanno prospettive industriali valide ma schiacciate dal debito: un esperto terzo può convincere banche o grandi creditori a concordare ristrutturazioni, approfittando anche di incentivi normativi (ad esempio, durante la composizione, su certi finanziamenti nuovi concessi all’impresa si riconosce prededuzione e altri benefici).
Esempio: Molle S.r.l. prevede di non riuscire a pagare 3 fornitori principali e una rata di mutuo fra 4 mesi, ma ha ordini futuri e un piano di riorganizzazione credibile. Decide di accedere alla composizione negoziata. Viene nominato un esperto. Grazie alla sua regia, la società ottiene dai fornitori un accordo: conversione del debito pregresso in strumenti finanziari partecipativi (li pagheranno solo se l’azienda tornerà in utile) e dalla banca una moratoria di 6 mesi sulla rata, in cambio dell’impegno a vendere un macchinario inutilizzato e destinare il ricavato al pagamento parziale dei fornitori. L’esperto redige una relazione positiva. Questo accordo viene formalizzato privatamente. La società esce dalla composizione negoziata avendo evitato il default e senza attivare procedure concorsuali.
Se invece la composizione fallisce, l’imprenditore ha comunque un vantaggio: aver provato questo percorso dovrebbe esonerarlo da alcune possibili sanzioni (ad esempio riduce il rischio di essere accusato di tardivo ricorso a procedure concorsuali, potendo dimostrare di aver tentato la via negoziale).
Va menzionato che la riforma 2022 ha anche introdotto il “concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio”: se durante la composizione negoziata l’esperto attesta che non ci sono soluzioni percorribili di risanamento ma c’è la possibilità di liquidare il patrimonio dell’impresa in modo più efficiente di un fallimento, l’imprenditore può proporre al tribunale un concordato semplificato senza voto dei creditori, per vendere i beni e ripartire il ricavato . È una norma pensata per chiudere rapidamente situazioni irreversibili limitando i costi della procedura. Ne parleremo ancora nella sezione concordato.
Gestione oculata della liquidità e comunicazione con i creditori
Un altro pilastro della strategia preventiva è gestire attivamente i rapporti con i creditori invece di subire passivamente le scadenze. Ciò implica: – Prioritizzazione dei pagamenti: In crisi di liquidità, l’imprenditore deve stilare una lista di priorità, tenendo conto non solo dell’importanza morale/legale (ad esempio pagare stipendi e imposte correnti dovrebbe venire in cima) ma anche dell’impatto strategico: quali fornitori vanno pagati assolutamente perché senza di loro l’attività si ferma? Quali possono attendere? Quali debiti, se non pagati, comportano la perdita di beni essenziali (leasing di un macchinario)? Questa valutazione è fondamentale e va fatta con freddezza e cognizione delle conseguenze legali (ad esempio, sappiamo che non pagare l’affitto può portare a sfratto e perdita immobile, ma non è reato; non pagare IVA porta reato se troppo alto – dunque priorità a evitare reato). – Trasparenza negoziale: Molti imprenditori, per paura o orgoglio, evitano di parlare apertamente ai creditori delle difficoltà, finendo per rompere la fiducia. Paradossalmente, coinvolgere i creditori chiave spiegando la situazione e prospettando soluzioni può ottenere collaborazione inaspettata. Ad esempio, ammettere al fornitore “ho un problema di liquidità, ti posso pagare solo metà ora e metà tra due mesi” spesso è meglio che promettere ogni settimana un pagamento che non arriva, inducendo il fornitore ad agire legalmente. – Consulenza professionale tempestiva: Appena si delinea una crisi non estemporanea, è saggio coinvolgere un professionista esperto in ristrutturazioni (commercialista o avvocato d’impresa). Questi può aiutare a predisporre un piano di risanamento, valutare la fattibilità di un piano attestato o di un accordo, nonché fare da mediatore con banche e creditori (a volte una proposta formulata da un professionista con dati finanziari allegati viene presa più sul serio di una chiacchierata informale dell’imprenditore).
Evitare comportamenti che aggravano la posizione (civilistica e penale)
Abbiamo accennato prima che certi comportamenti istintivi dell’imprenditore in crisi rischiano di ritorcersi contro di lui. Vale la pena ribadirli come cose da NON fare: – Non occultare o distrarre beni dal patrimonio aziendale: vendere macchinari o immobili a prezzo irrisorio a parenti, spostare denaro su conti esteri personali, prelevare contanti ingenti dall’azienda prima del crack – tutte azioni tipicamente considerate distrattive. In caso di fallimento, daranno luogo all’accusa di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Meglio invece, se un asset non è funzionale, venderlo a valore di mercato e usare il ricavato per pagare debiti (documentando il tutto). – Non creare false scritture o alterare i conti: per coprire una voragine di bilancio, alcuni potrebbero falsificare i dati contabili o non tenere la contabilità. Questo è un grave errore: in fallimento si traduce in bancarotta fraudolenta documentale o semplice a seconda dei casi, e comunque impedisce qualsiasi gestione ordinata della crisi. La correttezza delle scritture è invece alleata dell’imprenditore: ad esempio, presentare in concordato bilanci trasparenti aumenta la credibilità e la fattibilità. – Non pagare selettivamente solo alcuni creditori “di pancia”: È comprensibile voler pagare magari il fornitore amico o quello più aggressivo, lasciando indietro altri. Ma se poi si finisce in procedura concorsuale, quei pagamenti preferenziali (fuori dall’ordinaria amministrazione, a ridosso dell’insolvenza) possono essere revocati e, per l’imprenditore, costituire bancarotta preferenziale. Ad esempio, saldare integralmente un fornitore contestuale pignoramento incombente e lasciare a zero gli altri può essere visto come volontà di favorire quel creditore a danno della par condicio . Un consiglio: se si deve fare qualche pagamento mirato per necessità (es. anticipare un fornitore critico), cercare di farlo rientrare nella normalità dei rapporti (pagamento di forniture correnti, non arretrati enormi) e comunque annotare le ragioni economiche di tale scelta (utile in futuro per difendersi). – Non indebitarsi ulteriormente senza ragionevole prospettiva di rimborso: contrarre nuovi debiti (es. forniture, prestiti da privati) quando si è già insolventi, nella speranza di “giocare d’azzardo” per risollevarsi, può portare a responsabilità per aggravamento del dissesto. In un eventuale fallimento, i curatori possono avviare azioni di responsabilità contro gli amministratori che hanno aumentato l’esposizione pur sapendo di non poterla sostenere. Ovviamente, a volte nuovo debito è indispensabile per la ristrutturazione (si pensi al finanziamento ponte in un concordato): in quei casi occorre farlo in modo trasparente, magari prededucibile e con approvazione degli organi competenti. – Non ignorare le soglie legali di capitale: per le società di capitali, se le perdite riducono il capitale oltre i limiti di legge (es. capitale azzerato o sotto il minimo), gli amministratori devono convocare l’assemblea e prendere provvedimenti (ricapitalizzare o trasformare la società, o liquidare). Non farlo e proseguire l’attività ugualmente è un grave inadempimento. In caso di fallimento poi, i creditori potrebbero sostenere che dal momento in cui si doveva liquidare la società (ex art.2484 c.c.) gli amministratori rispondano in proprio dei debiti ulteriori contratti. Questo non è un automatismo ma alcune pronunce di merito hanno affermato concetti simili (cd. teoria della “responsabilità da abuso della personalità giuridica” in caso di continuazione dell’attività in perdita grave). Dunque, rispettare gli obblighi civilistici societari è parte della prevenzione.
Riassumendo: Prevenire è mettere in sicurezza la gestione prima che il debito travolga l’impresa. Ciò significa monitorare, prendere decisioni tempestive (anche difficili, come tagliare costi o cedere rami d’azienda per ridurre debiti), comunicare con stakeholder e utilizzare gli strumenti offerti (come la composizione negoziata) per evitare lo scenario peggiore di un fallimento disordinato.
Se, nonostante tutti gli sforzi preventivi, i debiti sono ormai tali da richiedere un intervento straordinario, è il momento di considerare i veri e propri strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza previsti dalla legge. Nel prossimo capitolo, passeremo in rassegna questi strumenti “curativi” – dai piani attestati agli accordi di ristrutturazione, dal concordato preventivo alle procedure per sovraindebitati – analizzando per ciascuno cosa prevede la normativa aggiornata al 2025, quando conviene usarli, come funzionano e quali sono i pro e contro dal punto di vista del debitore.
Strumenti giuridici per il risanamento o la liquidazione dei debiti
Quando i debiti hanno raggiunto un livello critico tale che le misure informali non bastano, entrano in gioco gli strumenti previsti dalle normative concorsuali italiane. Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), in vigore dal 15 luglio 2022 (come modificato dai decreti correttivi fino al D.Lgs. 83/2022 e dal recente D.Lgs. 136/2024 ), disciplina in modo organico le procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Qui esamineremo i principali strumenti, distinguendo tra quelli negoziali-stragiudiziali e quelli giudiziali concorsuali. Va premesso che la scelta dello strumento dipende dalle caratteristiche della crisi: – Se vi sono realistiche chance di risanare l’impresa, si privilegeranno strumenti in continuità (piani di risanamento, accordi, concordato in continuità). – Se invece il risanamento non è possibile, occorre puntare a liquidare i beni e chiudere la posizione debitoria nel modo meno traumatico possibile (concordato liquidatorio, liquidazione controllata o giudiziale, esdebitazione finale).
Analizziamo uno a uno i possibili strumenti, dal meno “invasivo” (stragiudiziale) al più strutturato (giudiziale).
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)
Il piano attestato di risanamento è uno strumento di natura contrattuale, già previsto dall’art. 67 L.F. (vecchia legge fallimentare) e ora regolato dall’art. 56 del Codice della crisi. Esso consiste in un piano unilaterale predisposto dall’imprenditore, contenente le misure per risanare l’esposizione debitoria e riequilibrare la situazione finanziaria, il quale viene corredato da un’attestazione di un professionista indipendente circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano .
Caratteristiche chiave: – Nessun coinvolgimento del tribunale ex ante: Il piano attestato non richiede omologazione o approvazione giudiziale. Viene però facoltativamente pubblicato nel Registro delle Imprese se lo si desidera (la pubblicazione è obbligatoria solo se si vuole fruire di un particolare beneficio fiscale, come spiegato oltre) . – Partecipazione dei creditori su base volontaria: Il piano può prevedere che l’imprenditore concluda determinati accordi con taluni creditori in coerenza col piano (es: accordi di dilazione, di stralcio parziale del credito, ecc.) . Questi accordi però vincolano solo i creditori che li sottoscrivono. Il piano attestato non è vincolante per i creditori che non aderiscono. In pratica, l’imprenditore cerca di “convincere” abbastanza creditori a collaborare, ma non c’è una votazione formale tra tutti i creditori come nel concordato. – Scopo principale – evitare le revocatorie e responsabilità penali concorsuali: Il vantaggio legale primario del piano attestato è che, se successivamente l’impresa dovesse fallire, gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano non potranno essere soggetti ad azione revocatoria fallimentare (art. 166, comma 3, lett. d) CCII) e non daranno luogo a responsabilità penale per bancarotta preferenziale o semplice . In altre parole, il legislatore incentiva l’uso del piano attestato promettendo all’imprenditore che se il piano fallisce non verrà punito né civilmente (claw-back) né penalmente per aver compiuto quegli atti di risanamento. Ad esempio, se nel piano attestato la società paga con preferenza alcuni fornitori strategici e poi comunque fallisce, il curatore non potrà chiedere la revoca di quei pagamenti né accusare l’amministratore di bancarotta preferenziale, purché fossero atti previsti dal piano attestato certificato . – Beneficio fiscale: Un ulteriore vantaggio riguarda le eventuali sopravvenienze attive da riduzione dei debiti: se i creditori rinunciano a parte dei loro crediti nel piano, la quota di debito stralciata generalmente costituirebbe una sopravvenienza tassabile per l’azienda. La legge però prevede (art. 88, co.4-ter TUIR) che le sopravvenienze derivanti da riduzione dei debiti in esecuzione di un piano di risanamento pubblicato non concorrano alla formazione del reddito imponibile . Ciò significa che, pubblicando il piano attestato nel registro imprese, l’azienda non paga tasse sul “guadagno contabile” derivante dallo sconto ottenuto dai creditori. Questa è una forte agevolazione fiscale (es. se €1 milione di debiti viene ridotto a €500k, i €500k cancellati non saranno tassati come ricavo). – Contenuto del piano: deve riportare la situazione economico-patrimoniale dell’impresa, le cause della crisi, le strategie di intervento (es: ristrutturazione del debito, aumento di capitale, dismissione di beni, riduzione costi, ecc.), i tempi e modi di attuazione e i flussi finanziari attesi. Il tutto va strutturato in modo da dimostrare che, attuando il piano, l’impresa tornerà in equilibrio finanziario e sarà in grado di sostenere il debito residuo. – Attestazione indipendente: figura centrale è il professionista attestatore (iscritto a Ordini e indipendente dall’impresa e dai creditori) che esamina i dati e attesta in forma scritta che i dati aziendali sono veritieri e che il piano è fattibile dal punto di vista della capacità di risanamento . Questa relazione di attestazione è cruciale per dare credibilità al piano agli occhi dei creditori (specie banche, grandi fornitori). L’attestatore assume anche un ruolo di garanzia: se attesta il falso con dolo o colpa grave, può risponderne legalmente.
Quando usare un piano attestato? Generalmente quando: – La crisi è ancora gestibile coinvolgendo solo alcuni creditori principali e non serve una moratoria verso tutti. Se l’impresa ha ad esempio 4-5 creditori rilevanti che rappresentano l’80% del debito, e costoro sono disponibili a trattare, un piano attestato è ideale: si fa un accordo con loro (magari fuori tribunale) certificato da esperto. – L’imprenditore vuole evitare la pubblicità negativa di una procedura concorsuale e mantenere riservatezza (il piano attestato può restare confidenziale tranne l’eventuale pubblicazione). – Si ritiene di poter risanare l’azienda in tempi brevi e in autonomia, ma si vuole la tutela legale contro eventuali revocatorie/azioni future. È il classico caso dell’imprenditore “che ce la farà”, ma a scanso di equivoci mette in piedi un piano formale attestato, così se poi malauguratamente fallisce, non si trova a dover rispondere di ciò che ha fatto nel tentativo di salvataggio.
Limiti del piano attestato: Essendo un accordo non vincolante per i non aderenti, se l’azienda ha molti creditori disallineati, rischia di non risolvere tutto. Inoltre non offre protezione diretta contro le azioni individuali: un creditore non coinvolto o dissenziente potrebbe comunque agire (a meno di ottenere misure protettive separate, ma il piano in sé non le prevede automaticamente, differentemente dal concordato). In pratica, il piano attestato funziona bene in situazioni di crisi non ancora sfociata in insolvenza manifesta, con creditori collaborativi. Se c’è ostilità o frammentazione tra i creditori, occorre passare a strumenti più coercitivi (accordi omologati o concordato).
Esempio pratico di piano attestato: Molle S.r.l. ha debiti totali per 500k: 200k con banca, 150k con 5 fornitori principali, 50k con Agenzia Entrate (rateizzabile), e il resto vari. L’azienda prevede di poter generare utili futuri e rifinanziarsi per 100k. Prepara un piano di risanamento dove la banca accetta di prorogare le scadenze (allungando il mutuo di 3 anni), i fornitori accettano un pagamento parziale del 70% in 12 mesi rinunciando al 30%, i soci apportano 50k di nuovi fondi e la restante liquidità viene dal miglioramento gestionale. Un professionista attesta che con queste misure l’azienda tornerà solvibile e i dati di partenza sono veritieri. La società esegue il piano: paga gradualmente i fornitori (coi nuovi fondi e utili) e la banca ridefinisce il piano mutuo. Dopo 1 anno, l’azienda è risanata. Si è evitato di ricorrere a tribunale, i piccoli creditori minori sono stati pagati normalmente e quelli coinvolti hanno accettato sacrifici moderati. Se invece il piano fosse naufragato (es. fra 1 anno l’azienda fallisce), i pagamenti fatti e le garanzie date in esecuzione di quel piano non sarebbero revocabili dal curatore e l’amministratore non sarebbe imputabile di bancarotta per aver pagato quei fornitori con stralcio , in quanto agiva in attuazione di un piano attestato.
In conclusione, il piano attestato di risanamento è uno strumento flessibile e protettivo, adatto a crisi iniziali o circoscritte. Va preparato con rigore (documenti, attestazione solida) perché la sua efficacia – specie per evitare revocatorie – dipende dal fatto che esista veramente un piano formalizzato e datato in anticipo (la data certa è fondamentale).
Accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono invece uno strumento che prevede il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria per renderli vincolanti e efficaci, pur mantenendo un carattere negoziale (non c’è il coinvolgimento di tutti i creditori, solo di quelli aderenti, salvo estensioni su classi specifiche). Erano noti come accordi ex art. 182-bis L.F. e nel nuovo Codice sono disciplinati dagli artt. 57 e seguenti.
Caratteristiche generali: – L’imprenditore in crisi o insolvenza negozia un accordo con una parte significativa dei creditori (per legge almeno il 60% dei crediti in linea capitale devono essere coinvolti e consenzienti, art. 57 CCII). Il contenuto può essere un piano di ristrutturazione che prevede dilazioni, remissioni parziali, conversione di crediti in quote ecc. – L’accordo viene poi sottoposto al tribunale per l’omologazione. Il tribunale verifica la regolarità, l’adesione delle percentuali richieste, e soprattutto che i creditori estranei (quelli che non aderiscono) siano comunque pagati per intero entro 120 giorni dall’omologazione o dalle scadenze . In pratica, i non aderenti non possono essere pregiudicati: vanno soddisfatti integralmente fuori dall’accordo (o alle scadenze originarie). – Una volta omologato, l’accordo è vincolante per i creditori aderenti (diventa titolo esecutivo). I creditori non aderenti rimangono liberi ma, come detto, devono essere pagati integralmente per legge, quindi di fatto non subiscono modifiche. – Benefici per l’imprenditore: L’omologazione comporta, come per il piano attestato, l’esenzione da revocatoria degli atti eseguiti in adempimento dell’accordo . Inoltre, è possibile chiedere al tribunale delle misure protettive e cautelari fin da subito (blocco delle azioni esecutive) mentre si perfezionano le adesioni all’accordo (art. 54 CCII). Questo significa che, a differenza del piano attestato, gli accordi hanno ombrello protettivo: se accetti di andare in tribunale per omologare, puoi anche ottenere una moratoria legale temporanea contro i creditori ostili. – Accordi agevolati e ad efficacia estesa: Il nuovo Codice ha introdotto varianti molto interessanti: – Accordo di ristrutturazione agevolato (art. 60 CCII): consente l’omologazione con un livello di adesione ridotto al 30% dei crediti , a patto però che il debitore non richieda misure protettive e non preveda moratorie per i creditori estranei (cioè li paghi subito) . È un compromesso: ti basta il 30%, ma in cambio devi pagare cash i dissenzienti e non bloccare eventuali loro azioni (anche se se li paghi, non avranno motivo di agire). Questo strumento serve per crisi iniziali dove pochi creditori chiave formano una robusta minoranza e gli altri verranno comunque soddisfatti integralmente. L’utilità è risparmiare tempo e includere eventuali riduzioni di debito solo con alcuni creditori strategici. – Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII, ex 182-septies L.F.): questa figura consente di estendere gli effetti dell’accordo anche a creditori non aderenti appartenenti a categorie omogenee, se quelli aderenti rappresentano una super-maggioranza (almeno il 75%) in quella categoria . Tipico per le banche: se il 75% del ceto bancario (per esposizione) aderisce, l’accordo può essere esteso per decreto del tribunale anche alle banche dissenzienti, assicurando però a queste ultime lo stesso trattamento. È uno strumento anti-holdout: evita che uno o due creditori finanziari piccoli blocchino l’accordo. Si applica a categorie di crediti finanziari e similari. – Accordi su crediti fiscali e contributivi (c.d. transazione fiscale): all’interno dell’accordo, l’imprenditore può includere anche l’Erario e gli enti previdenziali proponendo dilazioni o stralci. La normativa, specie dopo il 2021, consente al tribunale di omologare l’accordo anche senza adesione formale dell’Erario/INPS se ritiene il trattamento non inferiore al valore di liquidazione . Questo meccanismo è complesso ma sostanzialmente impedisce al Fisco di far saltare l’accordo se la proposta è fair. – Contenuto e attestazione: Anche per l’accordo serve un’attestazione da parte di un professionista indipendente circa il fatto che l’accordo assicura l’integrale pagamento dei creditori estranei nei termini di legge e la fattibilità del piano per i creditori aderenti (art. 57 CCII rimanda agli art. 56 e 48 CCII in parte). Senza relazione di attestazione non si va in omologa.
Quando conviene l’accordo di ristrutturazione? – Quando si ha un numero relativamente limitato di creditori ma con peso consistente che sono d’accordo a trovare una soluzione (es. principali banche e fornitori), mentre altri creditori minori possono essere pagati per intero a parte. L’accordo evita di coinvolgere tutti i piccoli creditori in una procedura complessa come il concordato, concentrando la ristrutturazione sui big. – Quando si desidera una procedura più snella del concordato: nell’accordo non c’è voto di tutti i creditori, non c’è un commissario di solito (è facoltativo), e i tempi di omologa possono essere più rapidi se non ci sono opposizioni. – Per contro, se la situazione richiede di coinvolgere tutti i creditori in sacrifici (cioè non si riesce a pagare integralmente i dissenzienti), allora l’accordo non basta e si dovrà fare un concordato (salvo il caso di accordo ad efficacia estesa se applicabile, ma lì serve 75% in categorie, etc.).
Un esempio: Molle S.r.l. ha debiti 60% con banche e 40% con vari fornitori. Se riesce a far sottoscrivere l’accordo a tutte le banche e a qualche fornitore chiave arrivando al 65% del totale crediti, può omologare un accordo ex art.57. I fornitori piccoli estranei verranno pagati cash subito (magari usando nuova finanza apportata dai soci o dal risparmio ottenuto dalle banche che accettano uno stralcio). Le banche aderenti magari accettano il 80% dei loro crediti pagato in 5 anni, ma preferiscono ciò al rischio fallimento. Il tribunale omologa. I creditori estranei ricevono quanto dovuto e non possono attaccare l’azienda; i creditori aderenti sono vincolati dal nuovo piano di pagamento. L’azienda prosegue. Se l’accordo fallisce più avanti, comunque i pagamenti fatti restano “protetti” e l’azienda avrà guadagnato tempo.
Novità del 2022/2023: gli accordi agevolati al 30% sono pensati per incentivare l’uso di questo istituto in fase precoce di crisi (emersione anticipata). Ad esempio, se Molle S.r.l. ha solo due banche con 30% debiti totali disposte a supportarla e tutti gli altri creditori sono pagabili integralmente, può omologare con solo quel 30%. In passato non era possibile, bisognava avere 60%. Ciò aumenta la flessibilità.
Tavola di sintesi – Piano attestato vs Accordo di ristrutturazione:
| Caratteristica | Piano attestato (art.56 CCII) | Accordo di ristrutturazione (art.57+ CCII) |
|---|---|---|
| Omologazione tribunale | No (strumento privato, al più pubblicato) | Sì (richiesta omologa, decreto tribunario) |
| Coinvolgimento creditori | Volontario, nessuna % minima legale (dipende da accordi bilaterali conclusi). | Minimo 60% crediti aderenti (30% se “agevolato”) ; possibilità di estendere a dissenzienti in certe classi . |
| Effetti sui creditori estranei | Nessuno (non vincolati, possono agire) | Devono essere pagati integralmente fuori accordo (nessun pregiudizio) . Possono subire sospensione azioni esecutive durante trattative (misure protettive). |
| Protezione azioni esecutive | No automatica (il debitore resta esposto ad azioni di chi non aderisce) | Sì, possibile ottenimento di stay dal tribunale ex art.54 CCII. |
| Attestazione indipendente | Sì, su veridicità dati e fattibilità piano . Fondamentale per efficacia. | Sì, su pagamento integrale estranei e fattibilità accordo. Indispensabile per omologa. |
| Vantaggi principali | Flessibile, riservato, rapido da attuare; esenzione revocatorie e bancarotta per atti eseguiti ; agevolazione fiscale su debiti stralciati . | Coinvolge l’Autorità per dare esecutività e garanzie; permette di bloccare i creditori ostili nel frattempo; soglia adesioni riducibile (30%); estendibilità a minoranza dissenziente. Esenzione revocatorie per atti esecutivi . |
| Limiti/difetti | Non vincola i non aderenti (rischio “free rider”); nessuno stop alle aggressioni (se un creditore tira dritto può vanificare il piano); utile solo se debito è gestibile con accordi parziali. | Procedura formale (seppur più semplice del concordato); occorre comunque pagare cash i creditori estranei (richiede provvista); se serve sacrificio di tutti i creditori non è utilizzabile (meglio concordato). Costi di attestazione e legali. |
Concordato preventivo (artt. 84-120 CCII)
Il concordato preventivo è probabilmente il più noto tra gli strumenti concorsuali: si tratta di una procedura giudiziale attraverso la quale l’imprenditore insolvente (o in crisi) propone ai creditori un piano per la ristrutturazione dei debiti o la liquidazione del patrimonio, sotto controllo del tribunale e con l’approvazione a maggioranza dei creditori stessi.
Il nuovo Codice della crisi ne ha mantenuto l’impianto di base, introducendo però novità significative, specie per il concordato liquidatorio. I punti salienti del concordato preventivo sono:
- Accesso e ammissibilità: L’imprenditore propone domanda di concordato depositando un ricorso presso il tribunale con la proposta, il piano dettagliato e la relazione di un attestatore indipendente. Se la domanda soddisfa i requisiti minimi, il tribunale dichiara aperta la procedura (c.d. admissione), nominando un giudice delegato e un commissario giudiziale (figura di vigilanza). Il tribunale verifica subito alcune condizioni: per i concordati liquidatori in particolare, la proposta deve assicurare il soddisfacimento di almeno il 20% dei crediti chirografari (requisito introdotto dai correttivi) e un apporto di risorse esterne almeno del 10% dell’attivo ; se tale soglia non c’è, la proposta è inammissibile. Nel concordato in continuità, invece, non c’è una percentuale minima prefissata per i chirografari, ma occorre dimostrare che il piano non è manifestamente inidoneo a soddisfare i creditori meglio di una liquidazione . Il tribunale esamina questi aspetti e ammette o rigetta la domanda.
- Effetti dell’ammissione: Viene congelato il patrimonio: i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari (automatic stay). L’impresa continua l’attività sotto la sorveglianza del commissario; per gli atti straordinari occorre autorizzazione del giudice. Gli organi sociali restano al loro posto (salvo concordato con riserva, ecc., qui trattiamo la via ordinaria).
- Classi e votazione: Il debitore nella proposta può dividere i creditori in classi secondo posizione giuridica ed interessi omogenei (es. classe chirografari fornitori, classe chirografari banche postergati, classe privilegiati degradati, ecc.). I creditori votano sulla proposta: serve la maggioranza dei crediti ammessi al voto (maggioranza semplice >50% oppure, se classi, maggioranza per classi e 2/3 per importo se alcune negative). Se la proposta ottiene il consenso richiesto, si passa all’omologazione finale da parte del tribunale.
- Omologazione e forzatura dissenzienti: Il tribunale omologa il concordato se la maggioranza è raggiunta e verifica la legalità e fattibilità. I creditori dissenzienti sono comunque obbligati dall’effetto dell’omologazione: il concordato ha efficacia erga omnes (vincola tutti i creditori anteriori). Esso comporta l’eventuale esdebitazione della società nei confronti dei crediti concorsuali oltre quanto soddisfatto dal piano.
- Tipologie di concordato:
- Concordato in continuità aziendale: quando nel piano è previsto che l’impresa (o una parte di essa) continui l’attività durante e dopo la procedura. Può essere diretto (la stessa società continua a operare) o indiretto (il piano prevede che l’azienda venga ceduta o conferita a un soggetto che la proseguirà – es. affitto d’azienda con successiva vendita). La continuità può essere “economica” (mantenere livelli occupazionali, rapporti, etc.) anche se magari tramite cessione. Nel concordato in continuità, non c’è soglia minima di pagamento ai chirografari fissata, ma va assicurato che i creditori ricevano una soddisfazione almeno equivalente o superiore alla liquidazione alternativa, e che il piano abbia concrete prospettive di successo . Inoltre, la legge richiede che nel caso di continuità diretta l’impresa paghi regolarmente i debiti che maturano durante la procedura (debiti di gestione corrente, crediti impignorabili) per non aggravare la posizione .
- Concordato liquidatorio: quando il piano si sostanzia nella liquidazione dei beni dell’impresa per pagare i creditori, senza prosecuzione significativa dell’attività. Questo tipo di concordato è ora ammesso solo se c’è un contributo esterno rilevante che aumenti la percentuale di soddisfacimento dei chirografari. Nello specifico, l’art. 84 CCII prevede che nel concordato liquidatorio: (a) i creditori chirografari ottengano almeno il 20% di soddisfacimento ; (b) la proposta preveda un apporto di risorse esterne (denaro o beni nuovi) che incrementi di almeno il 10% l’attivo da liquidare . Questa norma mira a disincentivare i concordati meramente liquidatori con percentuali infime: se non puoi dare almeno il 20%, devi andare in liquidazione giudiziale (fallimento) invece di “bloccare” per anni con un concordato.
- Concordato misto: una combinazione di continuità parziale e liquidazione di parte dei beni. Esempio: l’azienda prosegue con un ramo, mentre vende alcuni asset non core. In tali casi, per la parte liquidatoria del piano valgono i requisiti del 20% limitatamente a quei crediti che saranno soddisfatti con la liquidazione, salvo che la continuità permetta percentuali migliori. In pratica, se prevale l’aspetto di continuità, la rigidità del 20% può non applicarsi pienamente. Il CCII chiarisce che la liquidazione è ammessa nel concordato minore solo se c’è apporto di risorse esterne , mentre nel concordato preventivo standard la presenza di continuità evita l’obbligo del 20% purché il piano prospetti esiti ragionevoli.
- Concordato “in bianco” o con riserva: Permane la possibilità di presentare un ricorso prenotativo, detto concordato con riserva (art. 44 CCII), depositando la domanda di concordato senza il piano dettagliato, per ottenere immediata protezione dalle azioni esecutive e poi avere un termine (fino a 180 giorni max) per presentare il piano e la proposta definitiva. Questo strumento serve quando si deve reagire d’urgenza per bloccare i creditori (ad es. evitare un’asta immobiliare imminente) e si ha bisogno di tempo per elaborare il piano di concordato. È però delicato: il tribunale concede la “prenotazione” solo se ci sono prospettive concrete, e il debitore in quel periodo deve comportarsi con correttezza (c’è sempre un commissario nominato).
- Concordato minore: menzionato qui per chiarezza (lo approfondiamo a parte in sezione sovraindebitamento), è una forma di concordato riservata ai piccoli imprenditori sotto-soglia, professionisti e imprenditori agricoli, in cui non c’è soglia del 20%, ma meccanismi leggermente diversi, sebbene simili al concordato preventivo. È grosso modo l’equivalente dell’ex accordo di composizione L.3/2012, con votazione dei creditori se >50mila euro di debiti .
Vantaggi del concordato preventivo (per il debitore): – Unica procedura per trattare con tutti i creditori: a differenza di piani attestati e accordi (che lasciavano fuori qualcuno), qui tutti i creditori concorsuali vengono inclusi e sono vincolati dall’esito. Ciò permette di affrontare situazioni di insolvenza globale. – Possibilità di cram-down dei creditori dissenzienti: se la maggioranza approva, la minoranza dissenziente deve adeguarsi (salvo opposizioni per motivi di legittimità). Per esempio, un singolo fornitore che non ci sta comunque subirà la falcidia se il concordato è omologato e non potrà agire diversamente. – Conservazione dell’impresa (nel concordato in continuità): se il piano è ben fatto, il concordato consente di evitare la distruzione di valore tipica del fallimento, consentendo all’azienda di continuare a operare e generare utili, da destinare in parte ai creditori secondo il piano. Con la riforma, c’è forte favore per la continuità quando offre ai creditori una prospettiva migliore: il legislatore ha enfatizzato la salvaguardia dei valori aziendali e occupazionali . – Protezione immediata e ordinata: dall’ammissione, l’imprenditore è protetto dal caos delle esecuzioni e i creditori vengono gestiti in sede concorsuale (stop pignoramenti, stop interessi per molti crediti, etc.). C’è un quadro ordinato con regole chiare di voto e graduazione. – Esdebitazione: se il concordato viene eseguito correttamente, la società si libera dei debiti residui oltre quanto pagato. Questo è fondamentale specie per ditte individuali o soci illimitatamente responsabili, i quali possono poi chiedere l’esdebitazione personale per eventuali debiti non soddisfatti integralmente (nei limiti previsti). – Nuova finanza prededucibile: eventuali finanziamenti ottenuti durante il concordato (autorizzati dal tribunale) o apporti di terzi per attuare il piano hanno lo status di crediti prededucibili, il che incentiva i partner a sostenere l’impresa in procedura, sapendo che saranno rimborsati prima di altri debiti.
Svantaggi/difficoltà del concordato: – Tempistiche e costi: la procedura è articolata e può richiedere molti mesi (tra ammissione, voto, omologa). I costi sono elevati (spese legali, del commissario, eventuali periti, e l’azienda deve sostenere costi di procedura prededucibili). È impegnativo per l’imprenditore in termini di risorse economiche e mentali. – Perdita di autonomia: sebbene l’imprenditore rimanga in carica (nel concordato in bonis non c’è spossessamento totale come nel fallimento), le decisioni importanti richiedono autorizzazioni del giudice e il commissario vigila strettamente. C’è un affiancamento che limita la libertà ma è necessario per tutela dei creditori. – Rischio di proposte concorrenti: novità introdotta (art. 90 CCII) è la possibilità per i creditori o terzi di presentare proposte concorrenti di concordato in certe condizioni (ad esempio se la proposta del debitore offre meno del 30% ai chirografari in liquidatorio, o 20% se c’è un offerente che rileva l’azienda) . Ciò significa che se l’imprenditore presenta un concordato “tirato al minimo”, i creditori potrebbero proporre essi stessi un piano alternativo (magari con un soggetto terzo pronto ad investire di più). Questo aumenta le chances di soddisfazione dei creditori ma può togliere il controllo all’imprenditore se la sua proposta non è abbastanza appetibile. L’imprenditore deve quindi proporre qualcosa di ragionevole per evitare l’ingresso di proposte concorrenti sgradite. – Vincoli legali stringenti: come visto c’è un obbligo di almeno 20% ai chirografari nel liquidatorio . Se l’impresa non è in grado di garantire quel livello, non può accedere al concordato e dovrà subire la liquidazione giudiziale. Ciò rende alcuni casi disperati non eleggibili per il concordato (salvo coinvolgere finanza esterna per raggiungere quel minimo). – Esito incerto: Il concordato è sottoposto al voto dei creditori: l’imprenditore, una volta avviata la procedura, perde la certezza sull’esito, perché se non convince i creditori o se troppi votano contro (o fanno mancare il quorum), il concordato non passa e spesso il destino è il fallimento. Quindi c’è sempre un rischio: si mette il destino in parte nelle mani dei creditori. Per questo la proposta va calibrata: né troppo penalizzante (per evitare bocciatura) né troppo generosa (perché l’azienda deve poi essere in grado di mantenere gli impegni). È un equilibrio delicato.
Esempio di concordato: Molle S.r.l. è insolvente con 1 milione di debiti, e non può pagare più di 300k in totale. Nessun accordo parziale è possibile perché i debiti sono diffusi. Opta per un concordato preventivo liquidatorio: propone di vendere tutti i macchinari e immobili (stimati 400k) e incassare anche 100k dai soci come finanza esterna, così da distribuire 500k ai creditori (50% di soddisfo lordo). I privilegiati (dipendenti, banca su ipoteca) vengono soddisfatti per intero con prelazione (diciamo 300k) e restano 200k per i chirografari su 600k di crediti chirografari, ossia circa il 33%. Questo supera il 20% minimo . I creditori votano: dipendenti e banca votano a favore (non hanno interesse a far fallire l’azienda, prendono tutto), i fornitori chirografari forse lamentano di prendere solo 33%, ma sanno che in fallimento prenderebbero forse 5-10%. La maggioranza vota sì. Il tribunale omologa. L’azienda viene liquidata secondo il piano: un liquidatore (o il commissario stesso) vende i beni, paga i creditori secondo le percentuali promesse. Al termine, Molle S.r.l. viene cancellata e i soci escono puliti (nessuna azione ulteriore, i debiti sono stati chiusi al 33%). Se qualche creditore non ha ricevuto interamente il suo credito (come i chirografari al 33%), non potrà pretendere oltre – il concordato ha forza esdebitativa.
Esempio di concordato in continuità: Molle S.r.l. ha un know-how importante e ordini, ma troppi debiti per sostenerli. Prova un concordato in continuità: propone di continuare a produrre molle, e pagare i creditori con i profitti futuri per 5 anni. Offre di soddisfare tutti almeno al 40% in 5 anni. Si prevede cessione di un ramo non strategico per fare cassa iniziale e pagare parzialmente i debiti, mentre col mantenimento dell’attività si riescono a preservare i posti di lavoro e i contratti con clienti. I creditori tendenzialmente preferiranno una soluzione che mantiene vivo il business (così magari continuano a fornire) e accettano l’attesa di 5 anni per avere 40% piuttosto che l’incognita di un fallimento con realizzo immediato ma forse 10%. Se il piano è credibile (attestatore lo conferma), verrà approvato. L’azienda esce dal concordato e continua a operare, alleggerita dai debiti (in parte convertiti in questo pagamento dilazionato 40% che è sostenibile). Se la società rispetta i pagamenti concordatari, tra 5 anni sarà tornata “pulita”. Questo scenario è l’ideale quando l’impresa ha ancora valore come attività in funzione.
Conclusione sul concordato: è uno strumento potente ma impegnativo. Va scelto quando: – La crisi è troppo estesa per essere risolta con meri accordi bilaterali. – Si vuole coinvolgere l’intera massa dei creditori in una soluzione definitiva. – L’imprenditore è disposto a sottoporsi al controllo del tribunale e accetta il rischio del voto. – Ci sono beni o flussi futuri tali da poter offrire ai creditori una quota significativa (non inferiore a quella di legge nel caso liquidatorio). – Spesso si arriva al concordato dopo aver provato approcci più soft o quando è l’unica via per evitare la liquidazione giudiziale d’ufficio.
Va ricordato che in caso di esito negativo (mancata omologa per voti contrari o altri motivi), il fallimento è dietro l’angolo (il tribunale contestualmente potrà aprire la liquidazione giudiziale). Quindi è l’ultima carta per evitare il fallimento, da giocare con preparazione e consapevolezza.
Strumenti per il sovraindebitamento (piccoli imprenditori e privati): piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata
Oltre ai classici strumenti concorsuali per imprenditori “fallibili”, esiste in Italia una normativa dedicata ai soggetti sovraindebitati non fallibili, ovvero: – Persone fisiche consumatori (privati che hanno debiti personali, non legati ad attività d’impresa). – Piccoli imprenditori sotto le soglie di fallibilità (ricavi lordi < €200k, attivo < €300k, debiti < €500k – parametri dell’art. 2 CCII per definire l’“imprenditore minore”, soggetti questi non soggetti a liquidazione giudiziale). – Imprenditori agricoli (da sempre esclusi dal fallimento). – Professionisti, start-up innovative e altri soggetti esclusi dal fallimento per legge.
Per costoro, il Codice della crisi prevede tre procedure principali (che hanno sostituito la vecchia Legge 3/2012): 1. Piano di ristrutturazione del consumatore (artt. 67-73 CCII): riservato alle persone fisiche consumatori, ossia privati che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale (mutui, prestiti, fideiussioni, spese familiari). È un piano simile a un concordato, ma senza voto dei creditori: decide tutto il giudice, valutando la meritevolezza del consumatore e l’equilibrio della proposta . Il consumatore deve offrire ai creditori quanto effettivamente può pagare con le sue risorse, eventualmente con l’aiuto di garanzie di terzi. Se il giudice ritiene il piano fattibile e conveniente per i creditori rispetto all’alternativa (liquidazione del patrimonio del consumatore), può omologarlo anche con parere contrario dei creditori (i creditori possono fare osservazioni, ma non c’è voto deliberativo). Questo strumento è molto utile per famiglie sommerse da debiti (es. troppi prestiti, cessione del quinto, ecc.) perché consente di ridurre la montagna debitoria ad una misura pagabile in tot anni, liberando poi il soggetto dal resto. 2. Concordato minore (artt. 74-83 CCII): è la procedura analoga al concordato preventivo ma destinata agli imprenditori minori (non fallibili), ai professionisti, alle start-up innovative e alle società agricole . In pratica, è l’erede dell’“accordo di composizione” della L.3/2012 ma con voto dei creditori. Funziona come un mini-concordato: l’imprenditore propone un piano che può prevedere anche la continuazione dell’attività (la legge incentiva la continuità anche qui), i creditori votano per classi (non c’è soglia minima di percentuale per i chirografari come nel concordato maggiore, ma se offre meno del 20% e ci sono attivi liquidabili potrebbe emergere contestazione). Se i creditori approvano, il tribunale omologa. Se i creditori non approvano, il tribunale comunque può omologare (cram-down) se ritiene che la proposta sia più vantaggiosa per i creditori di una liquidazione e alcuni creditori qualificati favorevoli (ha meccanismi di conferma giudiziale anche senza tutti consensi). Il concordato minore quindi, rispetto a quello maggiore, ha più flessibilità e può concludersi con omologa anche con consenso non pienissimo, per favorire il debitore meritevole e evitare che pochi creditori minori blocchino tutto. – Differenze: il concordato minore non è accessibile alle società di capitali sopra soglia; è pensato per le PMI micro. Esso non richiede l’apporto esterno obbligatorio nel liquidatorio (quello è richiesto dal 20% solo per concordato maggiore) . Però, come dicevamo, se un concordato minore fosse palesemente sfavorevole rispetto a liquidazione, i creditori o il giudice potrebbero respingerlo. 3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (artt. 268-277 CCII): è l’equivalente del vecchio “liquidazione del patrimonio” L.3/2012. Si tratta di una procedura concorsuale giudiziale in cui il debitore che non è in grado di pagare i debiti chiede al tribunale di liquidare tutto il suo patrimonio sotto il controllo di un liquidatore nominato dal giudice (di solito un Gestore OCC o un curatore). È molto simile a un fallimento, con la differenza che è volontaria (può chiederla anche il debitore stesso, oltre che i creditori) e una volta conclusa, se il debitore è onesto e cooperativo, egli può ottenere la esdebitazione dei debiti residui (cioè la liberazione). La liquidazione controllata è destinata a chi non ha possibilità di offrire un concordato o un piano (troppo pochi beni per fare una proposta soddisfacente). Ad esempio un artigiano con 200k di debiti e pochi beni potrà chiedere la liquidazione controllata: verranno venduti i suoi beni (casa, attrezzi non necessari se non esentati) e poi i debiti saranno cancellati (il debitore persona fisica potrà ripartire pulito, se meritevole).
- Esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII): degna di nota separatamente, questa è una misura straordinaria introdotta di recente. Riguarda il debitore persona fisica meritevole che non ha alcun patrimonio liquidabile e nessuna capacità di offrire utilità ai creditori, neanche prospettica. In tali casi, il tribunale può, una volta accertata la meritevolezza e sentiti i creditori, cancellare tutti i debiti immediatamente senza liquidare nulla . È la cosiddetta “esdebitazione a zero” o “esdebitazione dell’incapiente”. La ratio è dare comunque una chance di ripartenza a chi è completamente sommerso e privo di mezzi (ad esempio persona che ha perso tutto, disoccupata, etc.), evitando di tenerla per anni in condizione di creditore pressato per debiti impagabili. Ci sono però vincoli: questa esdebitazione si può ottenere una sola volta nella vita e il debitore s’impegna che se nei 4 anni successivi a qualche titolo acquisisce capacità reddituale o patrimonio (oltre la sussistenza), deve destinarne una parte ai creditori originari . Questo strumento non ha precedenti prima del 2021 in Italia ed è potenzialmente rivoluzionario per casi disperati.
Meritevolezza e buonafede: Tutte le procedure da sovraindebitamento richiedono che il debitore non abbia colpa grave, malafede o atti in frode. Ad esempio, chi ha aggravato i debiti con colpa o ha frodato i creditori non verrà ammesso a piano del consumatore o esdebitazione. La legge vuole aiutare chi è incappato in debiti per motivi onesti (sfortune economiche, garanzie prestate ingenuamente, crisi di mercato) e non chi ha truffato o sperperato.
Differenze tra concordato preventivo e concordato minore: la logica è simile (piano, voto, omologa) ma il concordato minore è più semplificato, costi minori (commissario spesso coincide con OCC, etc.) e ad esempio: – Non serve il 20% minimo come detto (anche 0% in teoria, se i creditori accettano). – Il debitore sotto-soglia può proporre soluzioni più creative (es. pagare solo in base a reddito futuro, come piani del consumatore). – Se il concordato minore non passa, il debitore minore comunque può sempre ripiegare sulla liquidazione controllata, con la consolazione dell’esdebitazione (che nel fallimento era a parte, qui è integrata).
In sintesi per sovraindebitati: – Se sei un privato consumatore indebitato: Piano del consumatore è lo strumento ad hoc, niente voto creditori, deciderà il giudice se la tua proposta di pagare ad esempio il 50% in 5 anni è equa e se sei meritevole (ad esempio ti sei indebitato perché hai perso lavoro, non per comprare beni di lusso oltre le tue possibilità – il confine è labile, ma la giurisprudenza in genere favorisce l’esdebitazione di chi non ha assunto debiti con leggerezza). – Se sei una piccola impresa non fallibile: Concordato minore se vuoi provare a continuare l’attività o fare un accordo con creditori; Liquidazione controllata se devi solo chiudere e liberarti dai debiti. – In ogni caso, dopo queste procedure il debitore persona fisica potrà ottenere l’esdebitazione integrale (immediata se incapiente, o a fine liquidazione se qualche asset c’era).
Queste procedure sono gestite dagli OCC (Organismi di Composizione della Crisi) territoriali, spesso presso Ordini professionali o Camere di Commercio, che mettono a disposizione gestori ed esperti per aiutare i sovraindebitati a redigere piani e gestire le pratiche. Per un piccolo imprenditore o un privato, rivolgersi a un OCC è il primo passo.
Esempio scenario privato: il socio di Molle S.r.l., che aveva prestato fideiussioni per 200k a favore di banche e fornitori, una volta fallita la società (o liquidata) si trova personalmente esposto per quei 200k, senza avere redditi sufficienti. Come persona fisica, potrebbe accedere al piano del consumatore (se i debiti non sono da attività d’impresa sua, ma garanzie per società) offrendo ad esempio di pagare il 30% in 7 anni attingendo al suo stipendio e magari all’affitto di una casa. Se il giudice ritiene che più del 30% non avrebbe potuto ricavarsi nemmeno pignorandogli tutto, omologa e il garante verrà liberato dal restante 70% a fine piano. I creditori garantiti dalla fideiussione, pur scontenti, dovranno accettare, perché l’alternativa era magari nessun rimborso se il garante non ha beni.
Esempio scenario piccola impresa: Molletti SNC (società di persone non fallibile, debiti 100k) propone un concordato minore: ha due soci, che vogliono continuare la micro attività. Offrono di pagare 50k (il 50%) in 4 anni grazie ai proventi futuri, mantenendo aperta l’impresa. I creditori votano e approvano per fortuna. Il tribunale omologa. Se anche non approvavano, il tribunale avrebbe potuto ugualmente omologare se ritenuto più vantaggioso che liquidare 4 macchine e cessare l’attività. Così i soci salvano l’azienda e dimezzano il debito.
Esempio esdebitazione incapiente: un ex imprenditore single, senza casa di proprietà né stipendio (vive con lavoretti saltuari), con debiti personali per 300k, può chiedere l’esdebitazione incapiente. Se non risultano atti in frode (non ha nascosto beni: semplicemente ha nulla), il giudice cancella i 300k di debiti . Nei 4 anni successivi, se improvvisamente vincesse alla lotteria o ottenesse un ricco impiego, dovrebbe comunicare e dare ai vecchi creditori l’eventuale surplus di reddito eccedente il necessario a vita dignitosa . Se rimane povero, quei crediti sono estinti per sempre e la persona può ripartire senza quell’angoscia.
Liquidazione giudiziale (ex fallimento) ed esdebitazione del fallito
Per completezza, tra gli strumenti c’è anche la liquidazione giudiziale, cioè il vecchio fallimento. Non è un rimedio voluto dal debitore per risanarsi, ma piuttosto una procedura concorsuale avviata tipicamente dai creditori (o d’ufficio dal tribunale) quando l’insolvenza è conclamata e nessun concordato o accordo è in corso.
La liquidazione giudiziale comporta: – Nomina di un curatore che amministra il patrimonio dell’impresa, sostituendosi all’imprenditore. – Spossessamento totale dell’imprenditore dai beni. – Vendita di tutti i beni, riscossione crediti, ecc., e successiva distribuzione ai creditori secondo le cause di prelazione. – Al termine, per le società c’è l’estinzione. Per le persone fisiche, i debiti residui restano a carico dell’imprenditore (ma può ottenere l’esdebitazione presentando istanza, se ha collaborato e non ci sono ragioni ostative).
La liquidazione giudiziale è vista come l’extrema ratio quando nessun’altra soluzione è praticabile o è stata proposta. Può essere l’esito di un fallimento di concordato (revoca o mancata omologa) o di un’iniziativa dei creditori a fronte di insolvenza non gestita.
Dal punto di vista del debitore, subire la liquidazione giudiziale è ovviamente negativo perché perde la gestione e i beni. Tuttavia, per l’imprenditore persona fisica c’è la consolazione dell’esdebitazione: la legge gli consente, dopo la chiusura del fallimento, di chiedere di essere liberato dai debiti residui non pagati nella procedura (tranne debiti alimentari, risarcimenti danni da illecito e poche altre eccezioni). L’esdebitazione (art. 278 CCII e segg.) viene concessa se l’imprenditore non ha frodato e ha cooperato. Ormai è quasi sempre concessa, a meno di comportamenti gravemente scorretti. Questo istituto, introdotto nel 2012, è fondamentale perché prima il fallito restava perseguitato a vita dai creditori per la parte non soddisfatta, mentre ora può ripartire. Nel CCII è automatico per chi ne fa richiesta e ha i requisiti.
A differenza dell’esdebitazione incapiente (art.283) che è immediata senza pagare nulla, l’esdebitazione post-liquidazione giudiziale richiede comunque che si sia svolta la procedura e che il debitore abbia messo a disposizione quello che aveva. Se uno non ha nulla, il curatore chiuderà subito il fallimento per mancanza di attivo e poi l’imprenditore chiederà esdebitazione. Se aveva qualcosa, i creditori han preso una parte e il resto si cancella.
NB: Società di capitali non beneficiano di esdebitazione perché cessano di esistere; l’esdebitazione riguarda la persona fisica (imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile). Nel caso di S.r.l./S.p.A., il fine della procedura concorsuale è comunque la loro estinzione senza eredi per i debiti (solo eventuali responsabilità di garanti o amministratori separatamente).
Abbiamo coperto i principali strumenti giuridici. Ora possiamo passare ad alcune domande e risposte frequenti che chiariscono dubbi pratici e specifici, seguite da casi di simulazione per vedere come queste soluzioni si applicano a situazioni reali.
Domande frequenti (FAQ) su debiti aziendali e procedure concorsuali
D: Un amministratore o socio di S.r.l. risponde con il proprio patrimonio dei debiti della società?
R: In linea generale, no. Una delle caratteristiche delle S.r.l. e S.p.A. è la responsabilità limitata: i debiti sociali si soddisfano solo sul patrimonio sociale, e i soci (nonché gli amministratori) non ne rispondono con i beni personali. La Cassazione ha ribadito che non esiste alcuna coobbligazione ex lege degli amministratori per i debiti societari, salvo eccezioni espressamente previste . Eccezioni: (1) i soci possono dover restituire quanto ricevuto in liquidazione se i creditori non sono stati pagati (fino a concorrenza di quanto riscosso, ex art.2495 c.c.) ; (2) l’amministratore o liquidatore possono essere responsabili verso il Fisco per imposte non pagate in fase di liquidazione, o se hanno aggravato il dissesto non liquidando la società quando dovuto (art.36 DPR 602/73) ; (3) se l’amministratore ha compiuto atti illeciti (es. distratto beni), il curatore fallimentare può agire contro di lui per danni ai creditori (azione di responsabilità per bankruptcy malpractice). Quindi, salvo queste ipotesi particolari, il patrimonio personale rimane separato. Attenzione però alle garanzie personali: se un amministratore/socio firma fideiussioni per debiti sociali (cosa frequentissima con le banche), allora diventa personalmente obbligato verso quei creditori per contratto, e quella è una via attraverso cui dovrà pagare (ma non è responsabilità “legale” da posizione, è per impegno volontario). In sintesi: senza garanzie o violazioni di legge, un amministratore di S.r.l. insolvente non perde la casa per i debiti della società.
D: Ho debiti tributari (IVA, tasse) con società estinta o fallita: il Fisco può chiedermeli personalmente?
R: Se sei un ex socio o amministratore, solo in casi limitati spiegati prima. Per esempio, se sei socio e hai preso soldi in liquidazione, il Fisco (come qualunque creditore) può chiederti indietro fino a coprire il tuo dividendo . Se sei amministratore e hai pagato altri lasciando impagate imposte in liquidazione, Agenzia Entrate Riscossione può emettere atto di accertamento di responsabilità ex art.36 DPR 602/73 verso di te . Ma non c’è una responsabilità generale: Cassazione 2021 n.8811 ha escluso che l’amministratore (anche di fatto) risponda dei debiti fiscali sociali solo per la carica rivestita, in assenza delle condizioni dell’art.36 . Quindi, se il Fisco ti manda una cartella per IVA non pagata dalla società, verifica se ti hanno notificato un atto motivato di accertamento di tale responsabilità: se manca, la cartella è illegittima . Recenti sentenze del 2023-2025 (Cass. ord. 35497/2023; Cass. ord. 8696/2025) hanno annullato cartelle agli amministratori proprio per difetto di previo accertamento . Dunque, c’è tutela giudiziaria in queste situazioni. Discorso diverso per i soci di società cancellate: qui una pronuncia del 2024 (Cass. 23341/2024) ha stabilito che i soci rispondono pure delle sanzioni tributarie della società estinta, entro i limiti della loro quota di attivo ricevuto . Prima la giurisprudenza era oscillante, ma ora sembra che anche le multe fiscali “passino” nei limiti ai soci . Ma se la società era nullatenente e i soci non hanno preso nulla, il Fisco non può chiedere loro nulla (non c’è successione ultra vires). Infine, se la società è fallita, di regola il Fisco deve insinuarsi nel fallimento e basta; non può aggredire soci o amministratori salvo sempre il caso di atti distrattivi (ma quello è il curatore che agirebbe in sede civile o penale).
D: In caso di debiti con l’INPS per contributi non versati, quali sono le conseguenze?
R: L’INPS può emettere avvisi di addebito immediatamente esecutivi. Se non paghi, procede con esecuzioni come il Fisco (fermo amministrativo, pignoramenti). Se il debito supera €10.000 per anno, scatta il reato di omesso versamento di contributi . Per evitare la punibilità, hai tempo fino a 3 mesi dalla contestazione/accertamento per pagare tutto . Se paghi entro quel termine, niente sanzioni (penali né amministrative). Inoltre, se rateizzi il debito prima che arrivi la contestazione penale, finché rispetti le rate non c’è reato. Quindi: appena ti accorgi di avere arretrati contributivi, cerca di regolarizzare o di chiedere rateazione. Non fare accumulare anni su anni. Ricorda che i contributi dei dipendenti non versati (la quota a loro trattenuta) sono la violazione principale. Se arrivi a 5-6mila euro e chiudi l’anno, sei ancora sotto soglia penale (€10k); se vai oltre potresti avere guai seri. Dal punto di vista civilistico, l’INPS in eventuale procedura concorsuale è privilegiato e verrà pagato prima di chirografari. Anche l’INAIL (premi assicurativi) ha privilegio. Inoltre, se la tua azienda fallisce e tu avevi omesso contributi, potresti avere una segnalazione di bancarotta semplice se l’omissione ha aggravato il dissesto (ma di solito si perseguono a parte come reati contributivi). In sintesi, i contributi sono tra i debiti da trattare con priorità, sia per questione penale sia perché riguardano i lavoratori (non versare contributi mentre i dipendenti vedono trattenuta in busta paga è percepito giustamente come grave). Meglio pagare INPS e magari rinviare un fornitore, se costretti a scegliere.
D: Se la mia azienda è sommersa dai debiti e non vedo via d’uscita, mi conviene cessare l’attività e aprire una nuova società da zero?
R: Questa “tentazione” di fare il salto e lasciare i debiti nella vecchia società per ricominciare con una nuova è frequente, ma attenzione: non è semplice e può essere illegale in certi casi. Se Molle S.r.l. smette domani di operare (magari “sparisce” o viene messa in liquidazione) e i soci aprono Molle2 S.r.l. riprendendo gli stessi clienti, macchinari e dipendenti, i creditori potrebbero agire sostenendo che c’è stata una cessione d’azienda di fatto, quindi Molle2 sarebbe successore nei debiti ex art.2560 c.c. per quelli risultanti dalle scritture contabili . Oppure, in un eventuale fallimento di Molle, il curatore potrebbe citare la nuova società e i soci per frode ai creditori, dicendo che hanno distratto l’avviamento o i beni trasferendoli senza corrispettivo (azione revocatoria o bancarotta fraudolenta). Ci sono anche reati specifici, come sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art.11 D.Lgs.74/2000) se ad esempio trasferisci beni per evitare che il Fisco li pignori – punito severamente. Dunque, far sparire la società indebitata e continuare altrove può configurare reato. Se proprio la tua intenzione è chiudere e ricominciare, devi farlo secondo le regole: apri la nuova società eventualmente, ma la vecchia va messa in liquidazione formale e i beni venduti a valori di mercato pagando i creditori col ricavato. Se la nuova vuole acquistare asset della vecchia, fallo con operazioni trasparenti e a prezzi equi, sotto controllo di un eventuale curatore se siete già in concorso. Altrimenti rischi di perdere anche la nuova (perché i creditori ci si rivalranno) e di subire procedimenti penali. Meglio allora considerare un concordato preventivo: è proprio pensato per queste situazioni. Col concordato puoi ad esempio trasferire l’azienda “pulita” in una NewCo pagando qualcosa ai creditori nella procedura, il tutto con benestare del tribunale. Ci fu lo strumento del concordato con continuità indiretta in cui la nuova società di solito appartiene a un acquirente o anche ai vecchi soci, ma in forma trasparente (si fa un’offerta concorsuale per rilevare l’azienda dal concordato). Insomma, la legge offre modi leciti di salvare l’attività senza portarsi dietro i debiti, ma deve essere sotto controllo giudiziale e con soddisfazione almeno parziale dei creditori. “Scappare” e lasciare i debiti al vento espone a troppi rischi.
D: Ho sentito parlare di saldo e stralcio dei debiti: è veramente possibile pagare meno del dovuto e chiudere la posizione?
R: Sì, in varie forme. Stragiudiziale, il saldo e stralcio è un accordo con il singolo creditore in cui quest’ultimo accetta un pagamento inferiore a titolo definitivo (es: devo 100, mi accordo per pagare 60 subito e il creditore mi libera dal resto). Questo è lecito e comune, specie con banche (anche cessionarie NPL) e fornitori che preferiscono prendere qualcosa piuttosto che avviare lunghe cause o insinuarsi in fallimenti. Quando fai un saldo e stralcio, mettete tutto per iscritto e fai risultare che il pagamento è “a saldo stralcio e definitiva tacitazione di ogni pretesa”. Giudizialmente invece, il concetto di saldo e stralcio appare nel concordato o accordi dove appunto i creditori votano per accettare un pagamento parziale (che è la formalizzazione di uno stralcio collettivo). Ci sono stati anche provvedimenti di legge denominati “saldo e stralcio” (es. per cartelle esattoriali di contribuenti in difficoltà nel 2019), ma sono sanatorie eccezionali. Dunque, in sintesi: sì, è possibile ridurre il debito con l’accordo del creditore. I creditori finanziari in particolare spesso sono disposti a stralciare (ad esempio, chi compra crediti deteriorati li compra a frazione del valore, quindi se tu offri un po’ più di quella frazione magari accettano). Un vantaggio delle procedure come il concordato è che puoi forzare lo stralcio anche ai dissenzienti se la maggioranza approva. Mentre stragiudizialmente devi convincere ciascun creditore uno a uno. Attenzione che se fai accordi stragiudiziali con molti creditori, devi stare attento all’ordine temporale: se fai un pagamento rilevante a un creditore insoluto e poi entro 6 mesi fallisci, quel pagamento può essere revocato perché preferenziale. La protezione del piano attestato e concordato evita questo problema . Quindi se prevedi un saldo e stralcio importante e c’è rischio di fallimento, meglio inserirlo in un contesto legale protetto (piano attestato pubblicato, accordo omologato o concordato) per blindarlo.
D: Quanto tempo rimangono segnalati i debiti e le procedure? Ad esempio, dopo un concordato o un fallimento, posso avere di nuovo accesso al credito?
R: La centrale rischi e le banche dati creditizie segnalano per anni gli eventi negativi. Ad esempio, un fallimento è annotato nei registri per 5 anni dalla chiusura (così dice la normativa sulla privacy/GDPR in tema di dati giudiziari, e i sistemi come CRIF in genere seguono regole simili). Un concordato preventivo è un’informazione pubblica (registro imprese) e i creditori finanziari lo sanno. Tuttavia, una volta ottenuta l’esdebitazione o completato il concordato con successo, legalmente sei “pulito”: i debiti pregressi sono estinti. Per il sistema bancario, certo, l’imprenditore che ha fatto default potrebbe rimanere un soggetto a cui prestare con cautela. C’è da dire che con l’esdebitazione e la riforma della crisi, c’è un movimento culturale per cui il fallito meritevole non va più stigmatizzato come una volta (niente più “civil death”). Quindi, concretamente: dopo un concordato, se l’azienda sopravvive, probabilmente dovrà ricostruirsi la fiducia, ma potrà tornare a chiedere credito dimostrando bilanci risanati; dopo un fallimento personale con esdebitazione, potrai aprire nuova impresa (non c’è più interdizione pluriennale, era stata abolita già nel 2006). La segnalazione in Centrale Rischi di sofferenze rimane 36 mesi da aggiornamento finale solitamente. In sintesi, l’accesso al credito futuro dipende da come dimostrerai di aver superato la crisi e dalle politiche delle banche in vigore. Nota: se in passato eri soggetto a protesti (assegni scoperti, cambiali non pagate), quelli restano iscritti per 5 anni nei registri protesti salvo cancellazione per riabilitazione. Puoi ottenere la riabilitazione dal Tribunale trascorso un anno dal protesto, se hai pagato i titoli protestati. Quindi dopo la crisi, ricorda anche di “ripulire” eventuali protesti o pregiudizievoli.
D: Quali reati rischia un imprenditore quando la sua società fallisce?
R: In caso di fallimento (liquidazione giudiziale) di una società, gli amministratori e i soggetti che hanno gestito possono essere indagati per reati fallimentari. I principali: – Bancarotta fraudolenta patrimoniale: se prima o durante il fallimento hanno distratto beni, sottratto o nascosto parte dell’attivo, falsificato passività (es. simulato debiti), oppure se hanno compiuto operazioni dolose che hanno causato il fallimento. È il reato più grave, punito con reclusione da 3 a 10 anni. Esempio: l’amministratore che preleva soldi della società per scopi personali lasciando buchi, o vende sottocosto a un prestanome beni aziendali prima di fallire, commette bancarotta fraudolenta . – Bancarotta fraudolenta documentale: se l’amministratore ha sottratto, nascosto, falsificato o distrutto le scritture contabili, rendendo impossibile ricostruire i movimenti d’affari. Anche qui pene severe simili. – Bancarotta semplice: meno grave, da 6 mesi a 2 anni, contestata se l’imprenditore ha aggravato il dissesto per colpa, ad esempio: spese personali eccessive, negligenza nel chiedere il concordato in tempo, mancanza di libri contabili per disordine (non fraudolento). È tipo una bancarotta “colposa”. – Bancarotta preferenziale: se nei due anni prima del fallimento l’imprenditore ha pagato un creditore a scapito di altri in modo preferenziale, e quel creditore non avrebbe avuto diritto di essere preferito. Punita fino a 2 anni (come la semplice). Ad esempio pagare integralmente un debito verso un fornitore amico poco prima di fallire mentre gli altri restano a bocca asciutta può configurare bancarotta preferenziale se fatto consapevolmente in danno della par condicio. Nota: se quei pagamenti avvengono in esecuzione di un piano attestato o accordo, sono esenti da bancarotta preferenziale . – Altri reati correlati: ad esempio l’omesso versamento IVA o contributi sopra soglia restano reati tributari autonomi (anche se la società fallisce). Inoltre, reati di falso in bilancio se venivano truccati i bilanci; usura se la società faceva da paravento per prestiti, ecc., ma questi esulano dalla crisi in sé.
In pratica, quando un fallimento si apre, il curatore e la Procura esaminano attentamente gli ultimi anni di gestione per vedere se emergono fatti penalmente rilevanti. Come proteggersi? Agendo correttamente: se capisci che non potrai pagare tutti, meglio trattare sotto l’egida di una procedura concorsuale (concordato, accordi) così da evitare di incorrere in preferenze punibili; non distogliere attivo, non sparire libri, anzi collabora col curatore poi; e documenta sempre le ragioni di eventuali scelte straordinarie. Ad esempio, anticipare dei pagamenti a un fornitore perché altrimenti si fermava la produzione potrà essere giustificato come atto nell’interesse dell’impresa e non per favorire quel creditore slealmente. Ci sono sentenze che assolvono amministratori per pagamenti preferenziali se fatti con lo scopo di evitare danni peggiori (la cosiddetta esimente della “continuazione aziendale” per pagamenti fisiologici). L’importante è non fare atti solo per mettere al sicuro beni o per favorire qualche amico a danno del resto.
D: Se la mia società va male, posso evitare il fallimento cedendo tutto ai creditori (datio in solutum) e chiudere?
R: È un approccio possibile: in teoria potresti dare tutti i tuoi beni ai creditori a titolo di pagamento e poi chiudere la società. Tuttavia, farlo bilateralmente rischia di essere contestato da altri creditori. Immagina: dai un immobile alla banca a saldo del debito, vendi i macchinari e paghi alcuni fornitori, poi chiudi. I creditori rimasti fuori potrebbero farvi dichiarare falliti entro un anno dalla chiusura (per legge si può dichiarare fallimento entro 1 anno dalla cancellazione se l’insolvenza preesisteva) e il curatore andrebbe a contestare quelle cessioni preferenziali (revocatoria). Quindi, cedere beni ai creditori isolatamente è pericoloso. Invece, in un accordo di ristrutturazione o concordato, puoi benissimo prevedere la datio in solutum di beni ai creditori: ad esempio, dare l’immobile ipotecato alla banca come parte del concordato, e consegnare merci ai fornitori a parziale soddisfo. Così è tutto legittimo e opponibile. Se vuoi farlo stragiudiziale, dovresti coinvolgere tutti i creditori contestualmente con un accordo multilaterale dove ognuno prende un pezzo dell’attivo e tutti dichiarano di essere soddisfatti e rinunciare a pretese. È raro ma non impossibile (una sorta di “concordato stragiudiziale”). Però attento: se anche solo uno non aderisce, può far saltare il piano facendo istanza di fallimento o pignorando prima che tu definisca tutto. Quindi, meglio ricorrere a un accordo omologato (che ne vincola anche gli estranei se li paghi per intero comunque).
D: In un concordato, posso prevedere di pagare alcuni creditori per intero e altri in parte?
R: Sì. È la logica delle classi e dei privilegi: i creditori con privilegio (garanzie reali o privilegi di legge) vanno soddisfatti almeno in base al valore di realizzo della garanzia. Puoi anche decidere di pagarli integralmente per evitare problemi (spesso i privilegiati li pagano 100% per avere il loro voto favorevole e perché tanto hanno prelazione). I chirografari spesso subiscono il taglio più grosso, perché sono ultimi nella scala. Ma anche tra chirografari puoi differenziare creando classi diverse con trattamenti diversi, purché giustificati da diversità di posizione. Ad esempio, puoi mettere i fornitori piccoli in una classe da pagare al 40% e i soci finanziatori in un’altra classe da pagare al 0% (tanto sono parti correlate e si sacrificano). La regola è che il trattamento differenziato non deve violare la par condicio in modo ingiustificato: non puoi discriminare arbitrariamente tra creditori dello stesso grado. Se crei classi, devi dare motivazioni (es. creditori strategici che continuano rapporto vs creditori cessati). Il tribunale e i creditori vigilano su eventuali favoritismi. In linea di massima, nel concordato puoi pagare di più alcuni creditori chirografari se ciò è funzionale al piano (es. sono fornitori indispensabili e li vuoi fidelizzare). Ma devi dichiararlo e passarne il vaglio. Rischio: i creditori discriminati in peggio votano no e fanno opposizione dicendo che la classazione era scorretta. Se la classe minor favoreggiata comunque prende almeno il valore di liquidazione, il concordato può passare lo stesso con cram-down, ma è litigioso. Quindi, meglio evitare sperequazioni forti tra chirografari, a meno che non siano giustificabili oggettivamente.
D: Quali debiti non si cancellano neanche con il fallimento o concordato?
R: Alcune tipologie di debito rimangono comunque a carico del debitore persona fisica anche dopo esdebitazione: – Multe penali e amministrative pecuniarie (dovute per sanzione penale o amministrativa come contravvenzioni stradali) – queste sono escluse dall’esdebitazione, per ragioni di ordine pubblico. – Obblighi di mantenimento e alimentari (es: assegni di mantenimento al coniuge, figli) – non vengono toccati dalle procedure concorsuali, vanno pagati integralmente. – Debiti per risarcimento danni da fatto illecito non extracontrattuale (tipo se sei stato condannato per lesioni e devi risarcire la vittima, quel debito non si estingue con l’esdebitazione). – Debiti occulti non noti in procedura: se non hai avvisato un creditore e questo non ha partecipato alla procedura per tua omissione dolosa, quel debito potrebbe non essere esdebitato. – Per le società, il problema non si pone: dopo concordato o fallimento, la società viene estinta e stop (non esiste più un soggetto debitore, quindi il debito residuo è “cancellato” per inesistenza del soggetto).
Nel concordato preventivo omologato, i crediti anteriori sono obbligatoriamente falcidiati e i creditori non possono pretendere la parte eccedente (art. 116 CCII). Fanno eccezione i crediti verso coobbligati o fideiussori: se una società fa concordato e paga al 50%, il fornitore può comunque chiedere il restante 50% al fideiussore (perché la liberazione vale solo per il debitore in concordato, non per garanti). Quindi, come socio garante, la tua fideiussione rimane vincolante anche se la società chiude i debiti in concordato al 50%. Tu poi potrai fare la tua procedura personale.
D: Come incide una eventuale responsabilità penale sull’imprenditore debitore?
R: Se sei imputato per reati tributari o fallimentari, parallelamente alle procedure di debito, la tua priorità dovrebbe essere regolarizzare per ridurre conseguenze. Esempi: se hai un processo per omesso versamento IVA, pagando prima della dichiarazione dibattimentale estingui il reato . Nel concordato, se riesci a far inserire integrale pagamento IVA, magari ottieni di archiviare il penale (perché il debito non è più “omesso”). Per i reati fallimentari, spesso la linea difensiva migliore è dimostrare che hai agito in buona fede o per necessità e cooperare con il curatore poi. Chi provoca un danno ai creditori con dolo avrà comunque la condanna penale, anche se il debito viene risolto in concordato (es: se hai distratto fondi, pagarli dopo non cancella il reato di bancarotta, al massimo attenua la pena). Dunque, l’aspetto penale si gestisce soprattutto prevenendolo (non commettendo reati) o postvenendolo con collaborazione e risarcimento. Ad esempio, amministratori accusati di bancarotta spesso cercano di patteggiare offrendo al curatore restituzioni di beni o denaro; questo può alleviare la posizione (il giudice può considerare attenuante l’avvenuto risarcimento del danno ai creditori).
D: Quali sono i tempi medi di un concordato e di un fallimento?
R: Un concordato preventivo, se tutto fila liscio: 6 mesi – 1 anno dall’istanza all’omologa. Poi altri 1-2 anni per l’esecuzione del piano (o più, se il piano prevede pagamenti lunghi, ma formalmente la procedura termina con il decreto di omologazione, poi c’è fase di sorveglianza dell’esecuzione a cura del commissario o liquidatore). Un fallimento (liquidazione giudiziale) medio in Italia dura 5-7 anni per chiudere e ripartire l’attivo, ma può durare di meno se c’è poco da liquidare (anche 2-3 anni) o molto di più se ci sono cause pendenti (oltre 10 anni talvolta). Le procedure da sovraindebitamento di solito sono più rapide: un piano del consumatore magari si chiude in 6 mesi con omologa e poi tot anni di pagamenti; una liquidazione controllata forse 3-4 anni per vendere e chiudere. Insomma, le procedure concorsuali non sono lampo, a meno che non sia proprio tutto predisposto e semplice. Quindi, appena decidi di farne una, entra nell’ordine di idee che non è una passeggiata breve: dovrai impegnarti e convivere con la procedura un po’ di tempo.
D: Cosa succede ai contratti in corso (affitto, forniture, leasing) se apro una procedura concorsuale?
R: Nel concordato, l’azienda può chiedere al giudice di autorizzare la continuazione o la sospensione/scioglimento di contratti pendenti (art. 94 CCII e segg.). Ad esempio, se hai un contratto di leasing oneroso e inutIle, puoi chiedere di scioglierlo: il lessor avrà un indennizzo danni pari alle penali contrattuali (diventa un credito chirografario in procedura) . Viceversa, se hai un contratto di fornitura essenziale, puoi mantenerlo: i crediti del fornitore durante la procedura sono prededucibili (lo si paga regolarmente). Quindi c’è la possibilità di sciogliere contratti sfavorevoli o di mantenere quelli utili. Nel fallimento, i contratti pendenti sono sospesi fino a decisione del curatore, che può subentrare o sciogliere (art.172 L.F. / ora art. 246 CCII). Spesso nel fallimento si scioglie quasi tutto, salvo il curatore veda convenienza a subentrare (es. commesse in corso positive). Per i lavoratori: nel concordato in continuità, i contratti di lavoro proseguono; nel liquidatorio o fallimento, di solito si chiudono (licenziamento collettivo) salvo vendere l’azienda in blocco e trasferirli. Per gli affitti d’azienda: in concordato, se decidi la continuità, li mantieni; in fallimento, il curatore entro 4 mesi può recedere dall’affitto d’azienda se antieconomico. Ogni procedura ha regole per gestire la contrattualistica: l’obiettivo è massimizzare l’interesse della massa dei creditori, anche a scapito di vincoli contrattuali (con equo indennizzo in caso di scioglimento).
Queste FAQ coprono molti dubbi comuni. Se ne potrebbero aggiungere altre, ma ora passiamo a un paio di simulazioni pratiche per vedere come, in situazioni concrete, un imprenditore debitore può muoversi.
Simulazioni pratiche
Di seguito due scenari ipotetici, basati su casi reali semplificati, con le possibili strategie applicate secondo quanto esposto:
Caso 1: “Molle Industriali S.r.l.” – Ristrutturazione con accordo stragiudiziale
Situazione: Molle Industriali S.r.l. produce molle per il settore automotive. Un calo di commesse e alcuni investimenti sbagliati l’hanno portata in difficoltà: ha debiti verso banca per 500.000 € (mutuo ipotecario sul capannone), debiti fiscali per 200.000 € (IVA e IRAP non versate ultimamente), debiti verso fornitori per 300.000 €, e debiti verso dipendenti per due mensilità arretrate (50.000 €). Patrimonio: un capannone del valore di 600.000 € (ipotecato per la banca) e impianti per 100.000 €. L’ordine del giorno di incassi futuri è scarso ma c’è un piano di riconversione che potrebbe riportare utile in 2 anni, per cui i soci credono ancora nel rilancio.
Problema: La cassa è quasi zero, non riesce a pagare tutti. I dipendenti minacciano sciopero, la banca ha inviato lettera di decadenza dal beneficio del termine per le rate saltate, alcuni fornitori sono andati dall’avvocato. L’IVA non versata supera 250k in due anni, quindi c’è rischio penale.
Strategia: Molle Industriali decide di evitare il fallimento e tenta una ristrutturazione privatamente con un piano attestato di risanamento: 1. Convince la banca a sospendere le rate per 12 mesi e ad estendere la durata del mutuo di 5 anni (riducendo l’esborso mensile futuro). La banca condiziona l’accordo alla conferma da parte di un perito indipendente che il capannone vale almeno 600k (a copertura dell’ipoteca) e chiede un impegno dei soci a mettere liquidità fresca. 2. Propone ai fornitori un pagamento parziale: 60% del dovuto, pagato in 24 mesi, a saldo e stralcio. In pratica, su 300k di debiti fornitori, pagherà 180k diluiti. I fornitori principali (che sommano 250k su 300k) accettano, preferendo incassare 0.6 invece di rischiare zero. I piccoli fornitori (50k totali) saranno pagati integralmente ma anch’essi con dilazione breve (6 mesi), per evitare complicazioni. 3. Per far fronte a questi pagamenti, i soci apportano 150.000 € di denaro fresco (di tasca propria o trovando un investitore di minoranza). Inoltre, l’azienda vende un vecchio macchinario inutilizzato ricavando 50.000 €. 4. Con 200k di nuova finanza, Molle paga subito le due mensilità ai dipendenti (50k) – priorità assoluta – evitando scioperi e denunce. Inoltre versa una tranche di 50k all’Agenzia Entrate per ridurre l’IVA arretrata sotto soglia penale e chiede rateazione per il resto (dilazionando in 36 mesi il residuo 150k, cosa ottenuta presentando garanzie). 5. Viene nominato un professionista attestatore, il quale verifica che: i dati di bilancio e debiti sono corretti; il piano di riconversione (che prevede nuovi prodotti e l’ingresso di un socio finanziatore per 150k) è credibile e dovrebbe riportare l’EBITDA in positivo dal prossimo anno; con il risparmio ottenuto dallo stralcio fornitori e la moratoria banca, l’azienda potrà onorare le nuove scadenze. Attesta quindi la fattibilità del piano e la sua idoneità a risanare l’impresa entro 2 anni. 6. Il piano, l’attestazione e gli accordi con i creditori vengono pubblicati nel Registro delle Imprese per dare data certa e assicurare la esenzione fiscale delle riduzioni di debito (i fornitori rinunciano al 40% = 120k, che per l’azienda sarebbero provento tassabile; pubblicando il piano non lo saranno ). 7. L’azienda esegue il piano: paga puntualmente i fornitori secondo il calendario, versa le rate fiscali e torna in bonis con l’IVA (evitando denunce penali), riprende produzione con i dipendenti motivati. Dopo 2 anni, il fatturato è risalito, i debiti bancari sono rientrati sotto controllo e tutti i fornitori critici sono stati sistemati.
Esito: Molle Industriali S.r.l. ha evitato sia il fallimento che il concordato, ristrutturando il debito in via stragiudiziale ma protetta da un piano attestato (così se malauguratamente fallisse entro 2 anni, quei pagamenti ai fornitori non sarebbero revocabili ). I dipendenti sono stati messi al sicuro subito (nessuna azione legale del lavoro), la banca ha preferito negoziare (forte della sua ipoteca intatta) e il Fisco ottiene comunque soddisfazione con rate. Il carico di debiti è sceso di un bel po’ grazie allo sconto fornitori e all’apporto soci, e la società può proseguire l’attività più legger a. Questo scenario mostra come un mix di sacrifici (soci che mettono soldi, fornitori che rinunciano a parte) e strumenti legali (attestazione, rateazione fiscale) possa scongiurare soluzioni concorsuali formali. Servono però alcuni ingredienti fondamentali: dialogo con i creditori e credibilità del piano di rilancio – in questo caso validata da un attestatore terzo.
Caso 2: “SpringTech S.p.A.” – Concordato preventivo in continuità
Situazione: SpringTech S.p.A. è una società più grande (50 dipendenti), operante nell’alta tecnologia delle molle speciali. A causa di investimenti in R&D non andati a buon fine e di un contenzioso perso con un cliente, accumula 4 milioni di debiti: 1 mln verso banche (vari finanziamenti, alcuni garantiti da MCC), 0,5 mln verso il fisco (IVA di due anni), 0,3 mln INPS (contributi di un anno e multe), 1 mln fornitori, 0,2 mln leasing macchinari, 1 mln obbligazioni emesse presso investitori privati. Ha in attivo impianti per 0,5 mln (a valore di mercato), un magazzino di prodotti per 0,3 mln, e soprattutto know-how e contratti di fornitura futuri se riesce a riorganizzarsi. La crisi di liquidità è tale che la società non paga più puntualmente stipendi e fornitori da 3 mesi. Diversi decreti ingiuntivi arrivano sul tavolo. La prospettiva è che l’interruzione delle forniture porti al collasso. I soci non hanno risorse significative da immettere (già bruciate nel R&D fallito). SpringTech si rende conto di essere insolvente su base corrente, ma ha ordini potenziali che, se evasi, la riporterebbero sul mercato. Serve però tagliare il debito passato.
Scelta: Dato il numero elevato di creditori e la necessità di coinvolgerli tutti in un sacrificio, SpringTech opta per un concordato preventivo con continuità aziendale diretta: – Presenta domanda di concordato con riserva (concordato in bianco) al tribunale per bloccare immediatamente le azioni esecutive dei creditori che stavano partendo. Il tribunale concede la protezione e nomina un commissario monitorante. – Nei mesi concessi, la società elabora con un advisor un piano industriale di rilancio: concentrarsi su prodotti a più alto margine, vendere una linea di business secondaria a un competitor per far cassa, ridurre il personale di 10 unità (purtroppo necessario per efficienza, utilizzando la CIGS e incentivi all’esodo). – Viene trovato un investitore esterno disposto a mettere 1 milione di equity fresco nella società post-concordato, a patto di averne il 60% (diluzione soci attuali). Questo milione sarà impiegato per pagare i debiti. – Si redige la proposta di concordato: classe 1 creditori privilegiati (Erario, INPS, banca ipotecaria su stabilimento per 0,5 mln), classe 2 chirografari commerciali (fornitori, leasing residuo, obbligazionisti), classe 3 obbligazioni dei soci (debiti verso soci, postergati per legge). – Il piano prevede: i privilegiati saranno pagati in integrale o comunque in misura non inferiore a quanto otterrebbero liquidando i beni (Erario 100% su IVA privilegiata di ultimi 12 mesi e 0% sulla parte chirografaria – quest’ultima confluisce tra chirografari; INPS 100% contributi dipendenti, 50% su sanzioni; banca ipotecaria 100% fino a capienza ipoteca, cioè pieno). Per poter pagare integralmente questi, l’investitore mette parte del milione e si usano i proventi della cessione linea secondaria (che frutta 0,5 mln). – I chirografari (fornitori, obbligazionisti) riceveranno un pagamento pari al 30% del loro credito, dilazionato in 4 anni (con rate semestrali). Il 30% è più di quanto otterrebbero in un fallimento (stimato 10%). – I dipendenti non subiscono tagli sui crediti pregressi (stipendi arretrati 3 mesi saranno pagati al 100% appena omologato il concordato, grazie al milione dell’investitore, perché i dipendenti sono essenziali e per legge hanno privilegio altissimo). I 10 esuberi riceveranno TFR e tutto il dovuto con l’intervento del fondo di garanzia e incentivi. – Per l’IVA non pagata (0,5 mln), la parte relativa all’ultimo anno (300k) è in privilegio e sarà pagata integralmente nel piano, così l’amministratore evita guai penali su quella quota; la parte più vecchia (200k) è chirografaria e quindi prenderà 30% come gli altri chirografari. L’Agenzia Entrate vota su tutta la proposta come creditore chirografario per quella parte, e privilegiato per il resto (in pratica, voterà likely sì se la percentuale 30% la soddisfa vs possibile fallimento peggiore). – Un professionista indipendente attesta che il piano è fattibile: con l’ingresso del nuovo socio finanziatore e la riduzione dei costi, la società genererà flussi sufficienti a pagare il 30% ai chirografari in 4 anni, e che i creditori non riceverebbero di più in caso di liquidazione giudiziale (stima di soddisfo in fallimento: 5-10%). Attesta anche che la continuazione è preferibile perché preserva l’avviamento e i contratti, generando valore per pagare i creditori . – Si tiene l’adunanza dei creditori: i privilegiati votano separatamente (ma essendo soddisfatti bene, non si oppongono). I chirografari classe 2 votano: il 75% in valore vota favorevolmente (alcune banche chirografarie e molti fornitori vogliono continuare rapporti, quindi accettano; altri pochi dissenzienti vengono superati). Gli obbligazionisti retail, che rischiavano di perdere tutto, accettano il 30% anche se scontenti. – Il tribunale omologa il concordato. Un liquidatore giudiziale supervisiona l’attuazione: la linea secondaria viene ceduta e produce 500k, l’investitore versa il milione ed entra nel capitale (i vecchi soci si diluiscono, ma almeno l’azienda è salva). – Con questi fondi si pagano immediatamente: dipendenti arretrati, Fisco e INPS privilegiato, banca ipotecaria (questa viene soddisfatta e la sua ipoteca poi liberata). Il residuo attivo liquido viene accantonato per le rate ai chirografari: in 4 anni, ogni semestre SpringTech versa il 3.75% ai chirografari, attingendo dai profitti generati e dal fondo accantonato iniziale. – L’azienda, alleggerita dai debiti (cancellato 70% di 3 milioni = 2,1 milioni di debiti in meno!) e con nuova finanza, torna competitiva, riesce a rispettare il piano di pagamenti concordatari. I creditori ottengono il 30% anziché forse nulla in caso di fallimento rapido, e possono continuare a lavorare con SpringTech (quindi beneficiano anche di rapporti futuri). – Trascorsi 4 anni, SpringTech ha completato tutti i pagamenti promessi; il tribunale dichiara eseguito il concordato e chiude la procedura. I creditori non hanno più nulla a pretendere. L’azienda continua la sua attività con i nuovi assetti societari (l’investitore al comando).
Commento: Questo caso mostra un salvataggio tramite concordato in continuità: l’impresa non viene liquidata, anzi viene ristrutturata e prosegue. I creditori fanno un sacrificio controllato (30%), in cambio di tempi relativamente rapidi e della prosecuzione di un cliente/fornitore per il futuro. Gli strumenti usati includono anche finanza esterna (il nuovo socio con 1 milione) senza la quale probabilmente il concordato non avrebbe raggiunto percentuali adeguate. La legge ora lo incentiva: infatti quell’apporto esterno ha permesso di dare più del 20% e convincere tutti . Giuridicamente, sono stati rispettati i paletti (≥20% ai chirografari in quanto continuità non era liquidatorio puro, però di fatto c’era comunque 30%). Il concordato ha anche risolto questioni penali: pagando l’IVA recente e i contributi, gli amministratori non rischiano più l’accusa di omesso versamento o indebita sottrazione. E avendo trattato tutti i creditori in modo trasparente e sotto controllo del commissario, gli amministratori non rischiano azioni di responsabilità né bancarotta preferenziale. Se invece SpringTech fosse andata in fallimento, quasi sicuramente avrebbero avuto bancarotta (il contenzioso perso – perché hanno investito male? Avrebbero indagato, ecc.) e i creditori avrebbero preso pochissimo e perso un partner commerciale.
In generale queste simulazioni evidenziano: – Nel caso 1 (azienda più piccola, debito gestibile con pochi creditori chiave): soluzione stragiudiziale e piano attestato efficiente. – Nel caso 2 (azienda grande, molti stakeholder, insolvenza conclamata): soluzione concorsuale complessa, con continuità, nuova finanza, sacrifici distribuiti.
Tabelle riepilogative finali
Per fissare le idee, ecco due tabelle finali di riepilogo: una sugli strumenti di difesa/soluzione e una sulle conseguenze per il debitore.
Tabella A – Strumenti di difesa dal sovraindebitamento
| Strumento | Tipo | Chi può accedervi | Effetti principali | Quando usarlo |
|---|---|---|---|---|
| Rinegoziazione privata (piani di rientro, saldo e stralcio) | Stragiudiziale informale | Qualsiasi debitore (società o persona) | Accordato tra le parti: riduzione o dilazione del debito. Nessuna garanzia legale se non contrattuale. Rischio azioni singole da estranei. | Crisi lieve/moderata con pochi creditori, tutti disponibili a trattare. Evita costi e pubblicità. |
| Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) | Stragiudiziale “protetto” | Imprese (soggette o no a fallimento) – strumento d’impresa. | Unilaterale, con attestazione esperto. No omologa, ma esenzione revocatoria e reati concorsuali sugli atti eseguiti . Possibile beneficio fiscale su stralci . | Crisi gestibile coinvolgendo alcune banche/fornitori principali. Serve credibilità del piano. Creditori non aderenti restano fuori (occorre poterli pagare). |
| Accordo di ristrutturazione (art. 57 CCII e varianti) | Giudiziale ma negoziato (omologazione) | Imprese soggette a fallimento (anche grandi). Non consumatori. | Vincola solo aderenti (≥60% crediti, o 30% agevolato). Tribunale omologa, stop azioni esecutive su richiesta. Creditori estranei: vanno pagati integralmente . Possibile estensione ad dissenzienti in classi (75%) . | Crisi significativa ma con zoccolo duro di creditori disponibili. Utile se si può pagare completamente gli altri. Meno costoso del concordato, più rapido, ma non adatto se bisogna imporre perdite a tutti. |
| Concordato preventivo (art.84+ CCII) – in continuità o liquidatorio | Giudiziale concorsuale | Imprese soggette a fallimento (incl. sovraindebitabili se vogliono, ma di solito vanno nel minore). | Coinvolge tutti i creditori chirografari (falcidiabili) e può modificare privilegi. Richiede voto maggioranza crediti. Sospende azioni esecutive dall’ammissione. Piano può prevedere prosecuzione attività o vendita beni. Esdebitazione dei debiti residui all’esito. Liquidatorio: ≥20% ai chirografari . | Insolvenza grave con troppi creditori da gestire singolarmente. Quando serve ridurre e ristrutturare l’intero passivo. Strumento più impegnativo e di ultima istanza prima del fallimento. |
| Concordato minore (art.74 CCII) | Giudiziale concorsuale (sovraindebitamento) | Debitori non fallibili (piccole imprese, professionisti, enti non profit, agricoltori). | Simile al concordato preventivo, ma su scala minore. Voto creditori, possibile omologa anche in caso di dissenso di alcuni (criteri di cram-down pro-debitore). No soglia 20%. | Sovraindebitamento di piccola scala dove però c’è margine per offrire pagamento parziale con continuità o liquidazione ordinata. Debitore meritevole. |
| Piano del consumatore (art.67 CCII) | Giudiziale concorsuale (sovraind.) | Persona fisica consumatore (non imprenditore) sovraindebitata. | Nessun voto creditori: decisione del giudice sull’omologa in base a convenienza e meritevolezza. Prevede pagamento parziale dei debiti con redditi futuri o patrimonio. | Indebitamento personale (famiglie) eccessivo (es. troppi prestiti). Debitore con qualche reddito da destinare. Vuole evitare liquidazione dei propri beni essenziali. |
| Liquidazione controllata (art.268 CCII) | Giudiziale concorsuale (sovraind.) | Qualunque debitore non fallibile insolvente (persona fisica o ente). Anche creditori possono attivarla. | Liquidazione di tutto il patrimonio sotto supervisione di un liquidatore nominato dal giudice. Simile a fallimento. Al termine il debitore persona fisica ottiene esdebitazione dei debiti residui . | Quando non è possibile pagare parzialmente con un piano e la situazione è compromessa. Ultima risorsa per chiudere la posizione debitoria liberandosi legalmente dei debiti (previo realizzo attivo). |
| Esdebitazione dell’incapiente (art.283 CCII) | Provvedimento giudiziale (sovraind.) | Persona fisica meritevole, assolutamente incapiente (nessun bene né reddito pignorabile). | Cancellazione totale dei debiti senza pagamento, una tantum. Se nei 4 anni seguenti sopravvengono utilità, vanno in parte destinate ai vecchi creditori . | Situazioni disperate in cui qualsiasi procedura risulterebbe inutile perché non c’è nulla da liquidare né redditi per un piano. Permette di “azzerare” e ripartire. |
Tabella B – Responsabilità e conseguenze per il debitore/imprenditore
| Scenario | Patrimonio personale del debitore | Attività d’impresa | Responsabilità legali |
|---|---|---|---|
| Pagamenti regolari dei debiti (impresa solvibile) | Nessuna aggressione: debiti pagati con patrimonio sociale. Socio/amministratore non toccati. | Attività prosegue normalmente. | – |
| Inadempimento senza procedure (impresa insolvente ma senza ricorso concorsuale) | Aggressione individuale da parte dei creditori: pignoramenti beni azienda; se non bastano, creditori rimangono insoddisfatti. Possibile estensione a soci (art.2495) se società viene cancellata senza pagare . Garanti escussi sui propri beni. | L’attività può essere paralizzata dai pignoramenti o dalla sfiducia (fornitori bloccano forniture, dipendenti se ne vanno, ecc.). Alto rischio di dissesto irreversibile. | Rischi di azioni di responsabilità verso amministratori per aggravamento dissesto. Rischio istanza di fallimento da creditori. Se insolvenza grave e comportamenti scorretti, eventuale bancarotta preferenziale o altri reati (se poi fallisce). Reati tributari se omessi versamenti oltre soglie . |
| Accordo stragiudiziale o piano attestato eseguito | Debiti ridotti secondo accordo, creditori soddisfatti parzialmente ma consensualmente. Nessuna esecuzione sui beni personali del debitore (salvo impegni di garanzia confermati). Garanti liberati se l’accordo lo prevede (altrimenti il creditore potrebbe rivalersi per la quota stralciata). | Attività continua, spesso con struttura riorganizzata. Reputazione: impresa risanata può recuperare fiducia. | Se piano attestato: protetto da revocatorie future . Se solo accordi privati: restano revocabili pagamenti preferenziali entro 6 mesi-1 anno se poi fallisce. Nessuna condanna penale per atti concordati con creditori (assenza elemento fraudolento). |
| Accordo/concordato omologato e adempiuto | Debiti estinti secondo omologa. Il debitore persona fisica è liberato dai residui (esdebitazione concorsuale automatica). Soci di società di capitali – società ripaga quota concordataria, residuo non esigibile. Garanti terzi rimangono obbligati per l’intero salvo abbiano partecipato all’accordo (in concordato, i crediti verso garanti non sono toccati). | Se concordato in continuità, l’azienda prosegue l’attività con bilancio ripulito. Se liquidatorio, l’azienda/impresa viene chiusa/liquidata ma in modo ordinato. | Revocatorie e azioni individuali pre-concordato cessano. Amministratori non perseguibili per atti autorizzati nel concordato (es. vendite di beni, pagamenti parziali – non sono reati). Procedure concorsuali chiuse senza insolvenza residua: amministratori in bonis. Eventuali reati pregressi (tributari) possono essere estinti se l’omologa prevede pagamento integrale dei tributi evasi . Bancarotta evitata, perché non c’è fallimento. |
| Fallimento/Liquidazione giudiziale (procedura terminata) | Società: cancellata, soci perdono il capitale e crediti verso società. Soci di pers. giuridiche non devono ripianare debiti oltre conferimenti (salvo distribuzioni indebite da restituire ). Imprenditore individuale o socio illimitato: i beni personali liquidati nel fallimento vanno ai creditori; debiti residui: ottiene esdebitazione (liberazione) salvo eccezioni . Garanti di terzi: se hanno pagato al posto del debitore fallito, rimangono creditori verso il fallito (che però esdebitandosi non li paga, situazione particolare – i garanti di solito non beneficiano di esdebitazione altrui e restano obbligati). | Attività cessata. Beni venduti. Dipendenti licenziati (salvo esercizio provvisorio sporadico). L’imprenditore può avviare nuova attività ex novo, ma quella vecchia è morta. | Amministratori/soci gestori: possibili condanne per reati concorsuali (bancarotta fraudolenta, semplice, preferenziale) se accertati comportamenti illeciti prima/durante fallimento. Esempio: documentazione mancante, distrazione beni → bancarotta fraudolenta punita severamente. L’esdebitazione non cancella le sanzioni penali né le pene pecuniarie inflitte . Civilmente, chi subì condotte illecite può agire (es. curatore che fa causa per danni a ex amministratori). Tuttavia, se gestione regolare e solo sfortunata, l’amministratore potrebbe uscire senza sanzioni, specialmente avendo cooperato con curatore. |
Conclusioni
Affrontare una situazione di sovraindebitamento aziendale è un compito arduo, che richiede al contempo competenze legali, finanziarie e gestionali. Dal punto di vista giuridico, come abbiamo visto, esistono molteplici strumenti per “difendersi” dai debiti e – più propriamente – per ristrutturarli o eliminarli in modo ordinato, cercando di conservare il valore aziendale ove possibile.
Il punto di vista del debitore è comprensibilmente quello di chi vuole salvare il salvabile: salvare la propria impresa, o almeno il proprio patrimonio personale, dagli effetti nefasti di un’insolvenza incontrollata. Il legislatore italiano, specie con la recente riforma, offre diverse vie d’uscita: – Soluzioni negoziali consensuali (piani attestati, accordi): meno traumatiche, da preferire se attuabili, perché evitano sia il dispendio di procedure concorsuali sia il marchio di “impresa insolvente”. – Procedure concorsuali conservative (concordati in continuità, concordati minori): consentono di ristrutturare il debito mantenendo in vita l’azienda, ripagando in parte i creditori grazie alla prosecuzione dell’attività. Sono strumenti preziosi quando l’impresa ha ancora un core sano. – Procedure liquidatorie con esdebitazione (concordati liquidatori, liquidazione controllata, fallimento con esdebitazione): permettono di chiudere definitivamente l’esperienza debitoria, vendendo tutto ciò che c’è da vendere e poi cancellando i debiti residui, così che l’imprenditore (quantomeno quello individuale) possa ripartire senza catene. – Misure di salvaguardia penale: dilazionare o sanare i debiti fiscali/contributivi per evitare che la crisi economica si trasformi anche in un incubo penale. E se si arriva a una procedura concorsuale, operare nella legalità e trasparenza per evitare di incorrere in fattispecie di bancarotta.
Ogni situazione è a sé: non esiste la risposta univoca “qual è la cosa giusta da fare”. Cosa fare per difendersi dipende da vari fattori: l’entità dei debiti, la composizione (quanti verso Stato, quanti verso banche, etc.), le prospettive di recupero dell’azienda, la presenza di garanzie personali, il comportamento dei creditori e la tempistica (agire prima che la situazione precipiti amplia il ventaglio di soluzioni).
Questa guida ha fornito un quadro avanzato e dettagliato, idoneo – speriamo – a orientare tanto un avvocato che assiste un’impresa indebitata, quanto l’imprenditore stesso che voglia capire quali vie legali ha a disposizione. In conclusione, il messaggio chiave è: non aspettare l’irreparabile. Se la sua azienda produttrice di molle (o di qualsivoglia prodotto/servizio) sta accumulando debiti: – Analizzi subito con professionisti i bilanci e i flussi: capire se è crisi temporanea o insolvenza strutturale. – Dialoghi con i creditori, mostrando un piano credibile: la buona fede e la trasparenza spesso pagano, letteralmente. – Valuti gli strumenti giuridici adeguati alla gravità: da un piano attestato se è fattibile, fino a un concordato se necessario, senza scartare neanche l’idea di una liquidazione concordata se l’attività non è più sostenibile. – Tenga d’occhio le scadenze critiche (versamenti IVA, contributi, tredicesime…) e si informi sulle conseguenze di ometterle. Se deve scegliere chi pagare, conosca le priorità legali (es. gli stipendi e imposte correnti) e decida con cognizione dei rischi.
La legge non è nemica dell’imprenditore in crisi: al contrario, oggi offre scudi e seconde chance, purché l’imprenditore agisca con correttezza e tempestività. “Difendersi dai debiti” in un contesto di legalità significa principalmente gestirli, ristrutturarli o liberarsene utilizzando le procedure previste. Ogni scorciatoia extra-legale (nascondere beni, scappare, ignorare i creditori) quasi sempre porta a conseguenze peggiori e personali.
Infine, ricordiamo che l’obiettivo ultimo di ogni sistema di regolazione della crisi è duplice: da un lato, dare sollievo al debitore meritevole permettendogli di ripartire senza essere schiacciato a vita dai debiti; dall’altro, garantire ai creditori la miglior soddisfazione possibile secondo equità e trasparenza. L’imprenditore-debitore che comprende questo equilibrio e vi si attiene potrà attraversare la tempesta con danni limitati e magari uscirne rafforzato (si pensi ad aziende che dopo un concordato tornano floride).
Dunque, che si tratti di piccole “Molle S.r.l.” o grandi “SpringTech S.p.A.”, la parola d’ordine è: affrontare la crisi a viso aperto, con gli strumenti giusti, prima che siano i debiti a prendere il controllo della situazione.
Fonti e riferimenti (normativa, giurisprudenza, documenti)
- Codice Civile, art. 2086 (dovere di adeguati assetti e gestione della crisi).
- Codice Civile, art. 2476 e 2486 (doveri e responsabilità amministratori di S.r.l. in caso di perdite rilevanti).
- Codice Civile, art. 2495 (effetti della cancellazione della società e responsabilità di soci e liquidatori) .
- DPR 29 settembre 1973 n.602, art. 36 (Responsabilità di liquidatori, amministratori e soci per pagamento imposte societarie) .
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14, e successive modifiche):
- artt. 56-64 (piani attestati di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti) ,
- artt. 84-120 (concordato preventivo: requisiti piano, classi, voto, omologazione) ,
- artt. 65-73 (piano di ristrutturazione del consumatore),
- artt. 74-83 (concordato minore) ,
- artt. 268-277 (liquidazione controllata del sovraindebitato),
- art. 283 (esdebitazione del debitore incapiente) ,
- artt. 278-279 (esdebitazione post liquidazione giudiziale).
- Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) per riferimenti storici: art. 67 (revocatoria fallimentare e piani attestati esenzione), art.160-186 (concordato preventivo requisiti pre-riforma).
- D.L. 118/2021 conv. L.147/2021 (introduzione composizione negoziata della crisi).
- D.Lgs. 83/2022 (secondo correttivo CCII, recepimento direttiva UE 2019/1023).
- D.Lgs. 14/2023 e D.Lgs. 83/2022 (aggiornamenti procedure sovraindebitamento e concordati).
- D.Lgs. 75/2020 e D.Lgs. 87/2024 (riforma dei reati tributari): modifiche ad art.10-bis, 10-ter D.Lgs. 74/2000 su omessi versamenti IVA/ritenute (soglie €250k e €150k, termine consumazione reato spostato a 31 dicembre anno successivo) .
- Corte di Cassazione, sez. Unite civili, sent. n. 30416/2018 (meritevolezza sovraindebitato, esdebitazione fallito).
- Cassazione civile sez. trib., ord. 30 marzo 2021 n.8811 – Responsabilità amministratore di fatto per debiti fiscali società: afferma inesistenza coobbligazione generale ex art.36 DPR 602/73 .
- Cassazione civile sez. trib., ord. 19 dicembre 2023 n. 35497 – Necessità di notificare atto motivato all’amministratore prima di cartella per debiti fiscali società (annulla cartella a ex amministratore) .
- Cassazione civile sez. trib., ord. 29 agosto 2024 n. 23341 – Successione ex soci in sanzioni tributarie società estinta: soci rispondono di sanzioni nei limiti di quanto riscosso .
- Cassazione civile sez. I, ord. 31 luglio 2024 n. 21336 – Concordato preventivo: conferma obbligo 20% chirografari per ammissibilità (caso di concordato liquidatorio con proposta <20% dichiarato inammissibile) .
- Cassazione penale sez. V, sent. 31 gennaio 2025 n. 4200 – Reato di omesso versamento contributi previdenziali: condanna annullata se importo sotto soglia €10.000 (recepisce depenalizzazione parziale L.67/2014) .
- Tribunale di Milano, varie sentenze 2023, in materia di omologazione concordati minori e esdebitazione incapienti (orientamenti favorevoli al debitore meritevole).
- “La Liquidazione dei Beni nel Concordato Preventivo: Guida” – Avv. G. Monardo, 2025 (articolo di dottrina con tabelle esplicative su requisiti 20%, apporto 10%, ecc.).
- Cassazione penale, sent. 18 novembre 2024 n.4200 (dep. 2025) – riconosce non punibilità contributi <10k anche se condanna definitiva (revirement in sede esecuzione) .
- Cassazione penale, sent. 22 settembre 2025 n.31694 – su bancarotta fraudolenta: vendita simulata di beni sociali è bancarotta (massima FiscoOggi) .
- Normativa emergenziale COVID (DL 137/2020, DL 23/2020) – proroghe termini concordati, misure su cassa integrazione etc., rilevanti per composizione crisi ma ormai superate nel 2025.
La tua azienda che produce, progetta o distribuisce molle a compressione, molle a trazione, molle elicoidali, molle su misura, molle per stampi, molle per macchinari industriali, componenti elastici in filo armonico, fornendo meccanica, automotive, utensileria, impianti e carpenterie, oggi è in difficoltà a causa dei debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
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Ricevi solleciti, richieste di rientro, blocco delle forniture, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o persino minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori metallurgici o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore delle molle a compressione e trazione è tecnico e impegnativo: acciaio e filo armonico costosi, lavorazioni di precisione, trattamenti termici, stock elevati, richieste su misura, lotti minimi da acquistare e clienti che spesso pagano a 60–120 giorni.
La liquidità può bloccarsi all’improvviso, creando una crisi seria.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni rapidamente e con un piano efficace.
Perché un’Azienda di Molle a Compressione e Trazione va in Debito
- aumento dei costi di acciaio, filo armonico, trattamenti termici e finiture
- pagamenti lenti da parte di officine, impiantisti e produttori di macchine
- magazzino immobilizzato tra molle finite, bobine di filo e semilavorati
- costi elevati di avvolgimento, calibri, test qualità e attrezzature
- investimenti in macchine avvolgitrici e utensili speciali
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
Il problema reale non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se Non Intervieni Subito
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco dei fidi bancari
- sospensione delle forniture di acciaio, filo e lavorazioni conto terzi
- atti esecutivi, decreti ingiuntivi, precetti
- sequestro di magazzino, attrezzature e molle
- impossibilità di evadere ordini e mantenere contratti
- perdita di clienti strategici e storici
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Con l’aiuto di un avvocato specializzato puoi:
- sospendere pignoramenti
- bloccare richieste di rientro aggressive
- proteggere conti correnti e liquidità
- fermare le azioni dell’Agenzia Riscossione
Mettere in sicurezza l’azienda è il primo passo.
2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti
Spesso emergono errori importanti:
- interessi non dovuti
- sanzioni sbagliate o gonfiate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori della Riscossione
- commissioni bancarie anomale o illegittime
Una parte significativa dell’esposizione può essere ridotta o cancellata.
3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile
Le soluzioni più efficaci:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi di rientro con fornitori strategici
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensioni temporanee dei pagamenti
- accesso alle definizioni agevolate
4. Usare strumenti legali potentissimi che bloccano TUTTI i creditori
Quando la crisi è marcata, la legge permette di attivare:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di ristrutturazione
- Concordato minore
- (nei casi più gravi) Liquidazione controllata
Questi strumenti consentono all’azienda di continuare l’attività pagando solo una parte dei debiti, sospendendo completamente pignoramenti e atti esecutivi.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda meccanica servono competenze specifiche e multidisciplinari.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012), negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Il profilo ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende produttrici di molle, dove precisione e continuità produttiva sono fondamentali.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua esposizione debitoria
- stop urgente a pignoramenti e decreti ingiuntivi
- riduzione efficace dei debiti non dovuti
- ristrutturazione del debito con un piano mirato
- protezione di magazzino, bobine di filo, attrezzature e semilavorati
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela completa dell’imprenditore e dell’azienda
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di molle a compressione e trazione non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia rapida, competente e completamente legale, puoi:
- bloccare immediatamente i creditori,
- ridurre realmente i debiti,
- salvare la produzione e i rapporti commerciali,
- proteggere il futuro della tua impresa.
Agisci ora.
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