Azienda Di Scambiatore Di Calore Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se la tua azienda produce, importa o distribuisce scambiatori di calore, piastre, fascio tubiero, scambiatori saldobrasati, scambiatori a piastre smontabili, tubazioni, guarnizioni, ricambi, soluzioni per HVAC, impianti industriali, alimentari, chimici o energetici, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale agire subito per evitare blocchi alla produzione e perdere clienti strategici.

Nel settore degli scambiatori di calore, anche un ritardo minimo può fermare impianti industriali, linee produttive, sistemi termici o refrigeranti dei clienti, con penali immediate e seri danni economici.

Perché le aziende di scambiatori di calore accumulano debiti

  • aumento dei costi di acciai speciali, rame, inox, piastre e materiali tecnici
  • rincari nei componenti importati e nella logistica
  • pagamenti lenti da parte di impiantisti, industrie e manutentori
  • ritardi nei versamenti di IVA, contributi e imposte
  • magazzini complessi con molte varianti (piastre, guarnizioni, modelli, portate)
  • difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli produttivi
  • investimenti elevati in attrezzature, saldobrasature, test e collaudi

Cosa fare subito

  • far analizzare da un professionista l’intera esposizione debitoria
  • identificare quali debiti possono essere contestati, ridotti o rateizzati
  • evitare piani di rientro non sostenibili che peggiorano la liquidità
  • richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
  • proteggere i rapporti con fornitori strategici e materiali fondamentali
  • usare strumenti legali idonei per ristrutturare o rinegoziare i debiti

I rischi se non intervieni tempestivamente

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco delle forniture di piastre, rame, guarnizioni e componenti essenziali
  • fermo della produzione, del montaggio e dei collaudi
  • impossibilità di consegnare impianti o effettuare manutenzioni programmate
  • perdita di clienti industriali, OEM e impiantisti
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Come può aiutarti l’Avvocato Monardo

Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina un team nazionale di avvocati e commercialisti specializzati in diritto bancario e tributario.
È inoltre:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
  • iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Può aiutarti concretamente a:

  • bloccare immediatamente pignoramenti e azioni esecutive
  • ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti legali più efficaci
  • ottenere rateizzazioni realmente sostenibili
  • proteggere materiali, magazzino, attrezzature e continuità produttiva
  • evitare la chiusura e accompagnare la tua azienda verso un risanamento reale

Agisci ora

Le aziende non falliscono per i debiti, ma per il ritardo con cui reagiscono.
Agire subito è l’unico modo per salvare clienti, commesse e stabilità operativa.

👉 La tua azienda è indebitata?
Richiedi una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo e proteggi oggi stesso la tua azienda di scambiatori di calore.

Introduzione

Trovarsi alla guida di un’azienda produttrice di scambiatori di calore (o qualsiasi impresa manifatturiera) sommersa dai debiti può generare enorme pressione su imprenditori e amministratori. Come difendersi legalmente dalle pretese dei creditori e quali strumenti offrano la legge italiana per gestire la crisi d’impresa? In questa guida – aggiornata a ottobre 2025 – esamineremo in dettaglio le possibili azioni di tutela dal punto di vista del debitore, con un linguaggio giuridico ma al tempo stesso divulgativo. La trattazione è destinata a un livello avanzato, adatto sia a professionisti legali (avvocati, commercialisti) sia a imprenditori e privati interessati, e si basa sulla normativa italiana vigente e sulle più recenti sentenze e novità legislative.

Contesto normativo: negli ultimi anni la disciplina delle crisi d’impresa in Italia è stata rivoluzionata dall’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), introdotto col D.Lgs. 14/2019 e successivamente modificato da vari interventi correttivi (D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 136/2024) . Questo nuovo quadro normativo incentra l’attenzione sulla prevenzione e gestione tempestiva della crisi, prevedendo obblighi organizzativi in capo agli imprenditori e una gamma di strumenti per evitare che le difficoltà finanziarie sfocino in insolvenza conclamata. Parallelamente, la giurisprudenza (Corte di Cassazione e tribunali di merito) ha iniziato a dar forma concreta a queste norme con decisioni che chiariscono diritti, obblighi e responsabilità degli attori coinvolti .

Struttura della guida: nelle sezioni che seguono analizzeremo prima le tipologie di debiti che un’azienda può accumulare (verso il Fisco, banche, fornitori, dipendenti, ecc.) e i relativi rischi, quindi i strumenti di difesa e soluzioni a disposizione di un’impresa indebitata. Verranno illustrate sia le soluzioni stragiudiziali (negoziali, fuori dai tribunali) sia le procedure concorsuali formali (concordato preventivo, liquidazione giudiziale ex fallimento, ecc.), includendo le ultime novità come il piano di ristrutturazione omologato (PRO) introdotto dal nuovo Codice e le procedure da sovraindebitamento riformate per debitori minori . Troverete inoltre tabelle riepilogative che confrontano le diverse opzioni, esempi pratici tratti da simulazioni reali in ambito italiano, e una sezione finale di Domande e Risposte (FAQ) per chiarire i dubbi più comuni. Le fonti normative e giurisprudenziali citate sono elencate in fondo alla guida per un ulteriore approfondimento.

Un approccio proattivo è fondamentale: prima di entrare nel merito delle soluzioni, è cruciale sottolineare un principio di fondo introdotto dalla riforma: l’ordinamento premia l’imprenditore che affronta subito la crisi e sanziona chi la ignora colpevolmente . L’art. 2086, comma 2, c.c. impone alle imprese societarie di dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensione dell’azienda, anche finalizzati a rilevare tempestivamente indizi di crisi . Ciò significa che l’amministratore deve monitorare costantemente la situazione finanziaria (indici di liquidità, indebitamento, flussi di cassa prospettici, ecc.) e attivarsi ai primi segnali di squilibrio, prima che il dissesto diventi irreversibile . Strumenti di allerta interna (come le segnalazioni degli organi di controllo societari) e di allerta esterna (segnalazioni da creditori pubblici qualificati, ad es. Agenzia Entrate o INPS, quando certi debiti superano soglie di legge) sono stati previsti proprio per intercettare le difficoltà in fase iniziale . Un imprenditore che ignora perdite ripetute, cali di liquidità e ritardi sistematici nei pagamenti espone sé stesso a responsabilità: la sua inerzia può costituire “gestione negligente” e condurre a conseguenze gravi, come l’azione di responsabilità per aggravamento del dissesto o addirittura configurare reati concorsuali (es. bancarotta semplice per aver tardato a chiedere il fallimento) . Al contrario, chi si attiva per tempo avviando una procedura di regolazione della crisi (un piano di risanamento, una composizione negoziata, etc.) potrà dimostrare di aver agito con la necessaria diligenza, circostanza valutata positivamente anche ai fini di un’eventuale esdebitazione finale (la liberazione dai debiti residui) .

In sintesi, questa guida fornirà un quadro completo e aggiornato su cosa fare per difendersi quando la propria azienda è schiacciata dai debiti e come utilizzare al meglio gli strumenti legali disponibili in Italia per uscire dalla crisi. Che l’impresa sia ancora operativa e in cerca di risanamento, oppure già in fase di liquidazione o insolvenza dichiarata, esistono strategie differenti per tutelare il patrimonio aziendale e personale, minimizzare le responsabilità (anche penali) e, ove possibile, ripartire su basi più solide. Nei paragrafi seguenti esamineremo dapprima le diverse categorie di debiti e i rispettivi pericoli, quindi le soluzioni difensive concrete (negoziazioni, piani attestati, accordi con creditori, concordati, ecc.), infine le implicazioni legali (responsabilità degli amministratori, opposizioni a ingiunzioni, etc.) e le FAQ. Procediamo con ordine.

Tipologie di debiti aziendali e relativi rischi

Non tutti i debiti sono uguali: la strategia di difesa di un’azienda indebitata deve tenere conto della natura del creditore e del tipo di obbligazione insoluta. In questa sezione distingueremo i principali tipi di debiti che un’azienda produttrice (come quella di scambiatori di calore del nostro esempio) può aver accumulato – debiti fiscali, debiti bancari, debiti verso fornitori e debiti verso dipendenti – evidenziando per ciascuno le conseguenze legali del mancato pagamento e le specifiche possibilità di tutela.

Debiti fiscali (verso Erario e previdenza)

I debiti tributari verso lo Stato e gli enti previdenziali (es. imposte non pagate, IVA, ritenute non versate, contributi INPS, ecc.) sono tra i più insidiosi per un’azienda in crisi. Il Fisco dispone di poteri di riscossione molto efficaci e, in certi casi, il mancato pagamento può sfociare persino in responsabilità penale a carico degli amministratori. Ecco gli aspetti salienti da considerare:

  • Procedura di riscossione e garanzie: quando un’azienda non paga tributi o contributi, l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) può iscrivere a ruolo le somme dovute ed emettere cartelle esattoriali. Se il debito permane insoluto, dopo la notifica della cartella l’Agente può attivare misure esecutive senza bisogno di un giudizio ordinario: ad esempio, può predisporre fermi amministrativi su veicoli, ipoteche sui beni immobili dell’azienda, o procedere a pignoramenti su conti correnti e beni mobili registrati. I crediti tributari sono assistiti da privilegi legali che li pongono in posizione preferenziale nel recupero forzato (hanno privilegio generale mobiliare e, per alcune imposte, anche privilegio speciale o ipotecario su determinati beni) . Pertanto, il Fisco può aggredire rapidamente il patrimonio aziendale e ha priorità rispetto ad altri creditori chirografari.
  • Sanzioni e interessi: ai debiti tributari si aggiungono sanzioni pecuniarie e interessi di mora che fanno lievitare l’importo dovuto. Ad esempio, l’omesso versamento di IVA o ritenute comporta sanzioni amministrative del 30% circa dell’importo, oltre agli interessi legali maturati. Nelle cartelle esattoriali questi oneri accessori sono indicati e concorrono a formare il totale da pagare.
  • Strumenti di difesa e dilazione: un’azienda debitrice verso il Fisco può tentare di ottenere una rateizzazione del debito fiscale. La legge consente piani di dilazione fino a 72 rate mensili (6 anni) per importi fino a determinate soglie, e piani straordinari fino a 120 rate (10 anni) in casi di grave e comprovata difficoltà . Presentando un’istanza motivata all’Agente della Riscossione prima che inizi l’esecuzione forzata, si può ottenere la sospensione delle azioni esecutive e il pagamento frazionato del debito. Esempio pratico: Scambiatore S.r.l. ha accumulato €200.000 di debiti IVA e IRPEF trattenuta ai dipendenti. La società, in crisi di liquidità, presenta domanda di rateizzazione in 72 rate: se concessa, potrà pagare circa €2.800 al mese, evitando nell’immediato pignoramenti sui conti o sui macchinari essenziali. È importante rispettare rigorosamente le scadenze delle rate: il mancato pagamento di 5 rate anche non consecutive fa decadere il beneficio e l’intero importo torna esigibile immediatamente, con ripresa delle procedure esecutive.
  • Definizioni agevolate (“rottamazioni”): negli ultimi anni sono stati introdotti periodicamente provvedimenti di “pace fiscale” che consentono di regolare i debiti fiscali pendenti con sconti su sanzioni e interessi (le cosiddette rottamazioni delle cartelle). Ad esempio, la rottamazione-quater 2023 ha permesso ai debitori di pagare le somme dovute senza interessi di mora e sanzioni, in un massimo di 18 rate. Un’azienda indebitata deve prestare attenzione a queste opportunità normative: qualora siano riproposte (come auspicato anche nel 2025 per aiutare le imprese post-pandemia), aderire a una definizione agevolata può ridurre significativamente il carico debitorio fiscale. Va ricordato tuttavia che la rottamazione richiede comunque il pagamento integrale dell’imposta (al netto delle sanzioni condonate) e delle rate nei termini stabiliti, pena la decadenza dai benefici.
  • Transazione fiscale nei piani di risanamento: all’interno di una procedura di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei debiti, è possibile proporre una transazione fiscale, cioè un accordo col Fisco per pagare parzialmente le imposte dovute . Questo strumento (introdotto dall’art. 182-ter L.F. e ora previsto dagli artt. 63 e 88 CCII) consente di trattare il credito tributario come una qualsiasi altra posizione chirografaria, con la differenza che l’adesione dell’Erario è vincolata a determinate condizioni. In passato il diniego dell’Erario poteva di fatto bloccare il piano, ma oggi il tribunale può superare l’eventuale dissenso dell’Erario omologando comunque l’accordo o il concordato se ritiene che il trattamento proposto al Fisco sia almeno pari a quello ottenibile in una liquidazione fallimentare . Questa “forzatura” del voto fiscale (c.d. cram-down fiscale) introdotta dal CCII ha ridotto il potere di veto del Fisco, a vantaggio dei piani di risanamento sostenibili .
  • Conseguenze penali: la gestione disinvolta dei debiti fiscali può esporre l’imprenditore a responsabilità penali. In particolare, il D.Lgs. 74/2000 punisce alcuni comportamenti omissivi gravi: ad esempio l’omesso versamento di IVA per importi superiori a €250.000 annui è reato (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000); analogamente l’omesso versamento di ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti per oltre €10.000 annui integra reato (art. 2 comma 1-bis D.L. 463/1983, conv. L. 638/1983, come modificato dal 2023) . Ciò significa, ad esempio, che se la nostra Scambiatore S.r.l. non versa l’IVA dovuta per un trimestre raggiungendo €300.000, l’amministratore rischia un procedimento penale oltre alle sanzioni amministrative fiscali. Anche l’abuso di istituti come il continuo non pagamento di imposte per finanziare l’azienda può costituire un reato di bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose in caso di fallimento: la Cassazione ha affermato che il sistematico inadempimento degli obblighi tributari e contributivi, cagionando o aggravando il dissesto, integra una “operazione dolosa” rilevante per la bancarotta fraudolenta (art. 323 del CCII, già art. 223, co.2 n.2 L.F.) . Esempio giurisprudenziale: nella sentenza Cass. Pen. Sez. V, 5 ottobre 2021, n. 37450, gli amministratori di una società poi fallita furono ritenuti responsabili di bancarotta fraudolenta perché per anni non avevano versato IVA e contributi, finanziando l’attività con quelle somme e rendendo prevedibile il dissesto . Questo precedente sottolinea che “salvare” l’azienda non pagando tasse può costare caro in sede penale.

In definitiva, di fronte a debiti fiscali rilevanti, cosa può fare il debitore? Prima di tutto, non temporeggiare: verificare se si può ottenere un piano di rateazione o se è possibile proporre un accordo (transazione fiscale) all’interno di un più ampio piano di ristrutturazione. È fondamentale comunicare con l’Erario – ad esempio presentando istanza di accordo o aderendovi in composizione negoziata (dal 2024 è consentito proporre accordi transattivi anche durante la composizione negoziata della crisi ) – piuttosto che lasciare che il debito generi sanzioni e sfoci in atti esecutivi. Sul piano difensivo, se arrivano attì della riscossione (cartelle, intimazioni, preavvisi di ipoteca/fermo), il debitore può fare opposizione solo per vizi formali o per chiedere la sospensione, ma raramente nel merito (il titolo è spesso un avviso di accertamento definitivo). Conviene dunque, se il debito è dovuto, cercare soluzioni concordate: un’azienda in crisi potrà magari offrire al Fisco un pagamento parziale nell’ambito di un concordato preventivo (ad esempio, pagare il 30% del debito IVA se ciò è più conveniente della liquidazione), ottenendo il via libera del tribunale nonostante un eventuale dissenso dell’AE-Riscossione . Importante inoltre evitare nuovi debiti fiscali: durante qualunque piano o procedura, i tributi correnti andrebbero pagati regolarmente, sia per non aggravare la posizione penale sia perché il mancato versamento di imposte dopo l’apertura di un concordato può causare la revoca della procedura o precludere l’esdebitazione finale.

Debiti bancari e finanziari

Le esposizioni debitorie verso banche e altri finanziatori (es. società di leasing, factor, investitori) presentano dinamiche proprie. Spesso i debiti bancari derivano da mutui, finanziamenti, scoperti di conto o anticipo fatture. Questi creditori hanno tipicamente tutele contrattuali forti (garanzie reali o personali) e, in caso di default, attivano procedure rapide per il recupero. Ecco come difendersi:

  • Decadenza dal termine e richiesta di rientro: quando un’azienda è in difficoltà e inizia a saltare le rate di mutuo o a sconfinare sul conto, la banca può invocare la decadenza dal beneficio del termine, ossia richiedere immediatamente il pagamento di tutto il capitale residuo del finanziamento. Ciò spesso avviene con una comunicazione formale (ai sensi dell’art. 1186 c.c. o delle clausole contrattuali) in cui si contesta l’inadempimento e si intima il rientro entro un breve termine. Esempio: la Scambiatore S.r.l. aveva un mutuo decennale con rata mensile €5.000; saltando tre rate consecutive, la banca invia lettera di decadenza dal termine e chiede il saldo immediato di €300.000. Di fronte a ciò, l’azienda ha poche leve se l’inadempimento è conclamato: ignorare l’intimazione è pericoloso, perché la banca può procedere con un decreto ingiuntivo esecutivo o, se c’è ipoteca su un immobile, direttamente con pignoramento. È consigliabile contattare subito l’istituto di credito per negoziare una moratoria o una ristrutturazione del debito (ad esempio, chiedere sospensione delle rate per 6-12 mesi, o allungamento del piano di ammortamento). Molte banche, specie se intravedono prospettive di risanamento, preferiscono un accordo (magari supportato da garanzie aggiuntive o da un piano attestato) piuttosto che incardinare un lungo contenzioso. In ogni caso, è essenziale non attendere la notifica di un atto giudiziario: appena giunge la lettera di “rientro”, si attivi l’interlocuzione tramite un professionista.
  • Fideiussioni e garanzie personali: spesso i debiti bancari sono assistiti da fideiussioni personali degli imprenditori o soci, oppure da garanzie reali (ipoteche su immobili aziendali o di proprietà dei garanti, pegni su beni o crediti, ecc.). Questo significa che, in caso di insolvenza della società, la banca può rivalersi direttamente sui garanti. Dal punto di vista del debitore, ciò amplia l’esposizione: non solo il patrimonio dell’azienda, ma anche quello personale del garante (ad es. la casa del titolare se ipotecata, o il suo conto corrente) sono a rischio. Esempio pratico: la banca di Scambiatore S.r.l. ha un’ipoteca sul capannone aziendale e una fideiussione omnibus firmata dall’amministratore per €100.000. Se la società non rientra, la banca potrà parallelamente: (a) avviare esecuzione ipotecaria sul capannone (pignoramento e vendita all’asta) per recuperare il mutuo; (b) notificare un decreto ingiuntivo al fideiussore e pignorare i suoi beni personali (es. conto, stipendio, altri immobili) per il fido di cassa. Difendersi in questi casi significa, da un lato, cercare di preservare il valore dei beni dati in garanzia (ad esempio proponendo alla banca di vendere privatamente l’immobile ipotecato per massimizzare il prezzo, evitando la svalutazione dell’asta, con contestuale soddisfazione del credito); dall’altro lato, se sei un garante, valutare strumenti come la rinegoziazione del debito con subentro personale (ad esempio accollarsi come persona fisica il debito residuo e diluirlo su più anni) oppure, qualora il peggio sia inevitabile, prepararsi per tempo (es. liquidare volontariamente alcuni asset personali per pagare la banca, prima che questa proceda coattivamente aggiungendo costi e penali). Va tenuto presente che le fideiussioni bancarie tipiche sono a prima richiesta e difficilmente contestabili nel merito: solo eccezioni formali (ad es. invalidità della fideiussione se redatta con clausole anticoncorrenziali già censurate da Banca d’Italia) possono offrire spiragli difensivi, altrimenti il pagamento da parte del garante è certo una volta che il debitore principale non adempie.
  • Ingiunzione e pignoramento da parte delle banche: le banche dispongono spesso di titoli esecutivi immediati (un esempio è il contratto di mutuo fondiario, che ai sensi dell’art. 41 TUB consente l’esecuzione immediata senza passare per il decreto ingiuntivo) oppure, in mancanza di titolo, ottengono molto rapidamente un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo sulla base degli estratti conto certificati . Ciò implica che il tempo per reagire è breve: una volta notificato l’ingiunzione, questa può essere dichiarata esecutiva in nome della legge o dal giudice, consentendo il pignoramento di beni prima ancora della conclusione di un’eventuale opposizione. Cosa può fare il debitore? In caso di notifica di un decreto ingiuntivo bancario: (a) esaminare con un legale se esistono motivi di opposizione (ad esempio interessi anatocistici o usurari, errori nel calcolo del saldo, vizi di forma nel contratto) e proporre opposizione entro 40 giorni , chiedendo contestualmente la sospensione dell’esecutorietà (art. 649 c.p.c.) – sospensione che il giudice concederà solo in caso di fondati motivi; (b) se non vi sono valide ragioni di contestazione, può comunque presentare opposizione al solo scopo di guadagnare tempo (consapevole che poi probabilmente perderà la causa), tentando nel frattempo di negoziare con la banca un accordo. Tuttavia, questa strategia dilatoria presenta rischi: se il decreto è esecutivo, la banca non è tenuta ad attendere l’esito dell’opposizione e può iniziare subito il pignoramento (a meno che il giudice sospenda l’esecuzione, cosa non scontata). In tal caso l’opposizione serve più che altro a aprire un dialogo e magari convincere la banca a congelare l’azione esecutiva in vista di un concordato o di un pagamento concordato.
  • Moratorie e ristrutturazioni del credito bancario: negli anni di crisi sistemica (es. pandemia) il governo e l’ABI hanno promosso moratorie straordinarie sui mutui e leasing per le PMI, sospendendo i pagamenti per periodi concordati. Al di fuori di tali contesti emergenziali, un’azienda in difficoltà può comunque chiedere volontariamente ai propri istituti finanziatori una ristrutturazione del debito: tipicamente, si propone un nuovo piano di rientro più sostenibile, magari consolidando diversi debiti in uno solo, con scadenze prorogate. Queste operazioni è bene inserirle in un contesto formale di risanamento: ad esempio, all’interno di un piano attestato di risanamento o di un accordo di ristrutturazione omologato. Le banche saranno più disponibili a concedere dilazioni o stralci se l’azienda presenta un piano credibile, asseverato da un professionista indipendente, che dimostri come la rimodulazione del debito porti a riequilibrio finanziario . Spesso la soluzione passa per un accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD) ai sensi dell’art. 57 CCII, che richiede l’adesione di almeno il 60% dei crediti totali e l’omologazione del tribunale . In tali accordi, le banche (che di solito rappresentano la quota maggiore del passivo) possono convenire riduzioni dei tassi, remissioni parziali di interessi o haircut sul capitale, se ciò offre loro una prospettiva di recupero migliore che agire individualmente. Un caso frequente: consolidare i vari affidamenti in un unico mutuo a lungo termine garantito da ipoteca su un bene aziendale o dei soci – la banca così allunga i tempi ma si assicura una garanzia, l’azienda evita il default immediato.
  • Attenzione alle garanzie statali e al factoring: va segnalato che molti finanziamenti recenti a PMI sono stati erogati con garanzia pubblica (Fondo di Garanzia MCC) o altri strumenti simili. Se la banca attiva la garanzia statale per il mancato rimborso, la Cassa Depositi e Prestiti (o chi per essa) pagherà parte del dovuto e poi si surrogherà nel credito. Ciò significa che il debitore potrebbe trovarsi come interlocutore un ente pubblico (meno flessibile delle banche commerciali nella ristrutturazione). Analogamente, se i crediti dell’azienda verso clienti sono stati ceduti in factoring, il factor (spesso banca) in caso di insolvenza dei clienti può rivalersi sull’azienda cedente se la cessione è pro solvendo. Anche queste situazioni vanno mappate in un piano di crisi, per evitare di trascurare debiti “indiretti”.

In sintesi, i debiti bancari impongono di agire su due fronti: difensivo (opposizioni legali mirate, quando vi siano contestazioni sul credito, per prendere tempo o ridurre importi non dovuti) e negoziale (ricerche di accordo e ristrutturazione). Dal punto di vista pratico, un’azienda come Scambiatore S.r.l. con esposizioni verso più banche potrebbe avviare una composizione negoziata della crisi, nominando un esperto indipendente che la aiuti a trovare un accordo con il ceto bancario: magari ottenere una moratoria di 6 mesi sugli interessi e il mantenimento delle linee di credito in cambio dell’impegno a presentare un concordato preventivo in continuità o un accordo di ristrutturazione entro un certo termine. Va ricordato che, dal momento in cui si entra in una procedura concorsuale formale (es. concordato), scatta un blocco delle azioni esecutive individuali: le banche non potranno più pignorare autonomamente, ma dovranno soddisfarsi secondo le regole della procedura collettiva . Ciò può dare respiro all’impresa, ma nello stesso tempo la obbliga a rispettare il piano concordatario concordato, pena la risoluzione e il possibile fallimento. Dunque la parola chiave è pianificazione: sedersi al tavolo con i finanziatori prima che degeneri il contenzioso, usando anche la leva (da far capire alla banca) che un fallimento conviene poco a tutti, mentre una soluzione concordata può massimizzare il recupero.

Debiti verso fornitori e altri creditori commerciali

I debiti commerciali verso fornitori di materie prime, subappaltatori, consulenti e altri creditori trade, sono spesso quelli che inizialmente vengono “lasciati indietro” da un’azienda in crisi di liquidità. Il ritardo nei pagamenti verso i fornitori è uno dei primi campanelli di allarme della crisi aziendale . Tali creditori, sebbene per lo più chirografari (cioè senza garanzie specifiche), dispongono di strumenti giuridici efficaci per tutelarsi, tra cui il diffuso ricorso per decreto ingiuntivo. Vediamo come gestire questa categoria di debiti:

  • Azioni legali dei fornitori – decreto ingiuntivo: il fornitore insoluto può ottenere in tempi rapidi un decreto ingiuntivo dal tribunale presentando prove scritte del suo credito (fatture non pagate, DDT firmati, contratti, estratti di bilancio del debitore che riconoscono il debito, ecc.). Il decreto ingiuntivo è un ordine di pagamento emesso senza contraddittorio iniziale, che viene notificato all’azienda debitrice e, in mancanza di opposizione entro 40 giorni, diventa definitivo ed esecutivo . Molti decreti ingiuntivi possono anche essere dichiarati provvisoriamente esecutivi dal giudice sin dall’inizio (ad es. se il credito risulta da fatture accompagnate da estratti autentici delle scritture contabili del creditore, ex art. 642 c.p.c.), il che permette al fornitore di procedere immediatamente al pignoramento di beni o crediti della società debitrice. Dal lato del debitore, è fondamentale non ignorare la notifica di un decreto ingiuntivo: se esistono motivi per contestare il credito (merce difettosa, importo errato, prescrizione, mancanza di prova, ecc.), bisogna proporre opposizione entro 40 giorni, altrimenti quell’ingiunzione diventerà definitiva e il fornitore potrà aggredire il patrimonio aziendale . L’opposizione si propone con atto di citazione davanti al tribunale competente e trasforma il procedimento in un giudizio ordinario in cui il debitore diventa attore-opponente. Presentando l’opposizione, si può chiedere al giudice la sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto (se non era già esecutivo di suo), ma la sospensione viene concessa solo in presenza di seri elementi di contestazione. Esempio: un fornitore di componenti meccaniche notifica a Scambiatore S.r.l. un decreto ingiuntivo per €50.000. L’azienda ritiene di avere delle contestazioni (alcune forniture erano difettose) ma, soprattutto, non ha al momento liquidità per pagare. Decide allora di proporre opposizione, allegando documenti sui vizi delle merci, e chiede al giudice di sospendere l’ingiunzione. Questo le fa guadagnare tempo prezioso (il giudizio di opposizione potrebbe durare 1-2 anni). Nel frattempo, sfrutta quel tempo per cercare un accordo con il fornitore (magari offrendo un pagamento parziale immediato in cambio del ritiro della causa) oppure per includere quel credito in un eventuale concordato preventivo. Se però non ci sono reali difese sul merito del credito, l’opposizione avrà solo funzione dilatoria: alla fine l’azienda sarà condannata a pagare, con aggravio di spese legali e interessi. Occorre quindi valutare attentamente, con l’avvocato, se l’opposizione ha chance concrete o se conviene piuttosto negoziare direttamente un piano di rientro col fornitore (ad esempio, un pagamento del 60% entro 6 mesi a saldo e stralcio). In molti casi, mostrare collaborazione al fornitore – condividendo magari un piano di risanamento complessivo – può indurlo a non insistere in azioni esecutive immediate.
  • Sospensione delle forniture e contratti pendenti: un rischio concreto è che il fornitore non pagato sospenda le forniture all’azienda debitrice o risolva i contratti in essere per inadempimento. Ad esempio, se Scambiatore S.r.l. non paga per mesi il suo fornitore di acciaio, quest’ultimo potrebbe interrompere le consegne, mettendo in crisi la produzione. Legalmente, molto dipende dai termini contrattuali: molti contratti prevedono espressamente che, se il cliente ritarda i pagamenti, il fornitore può sospendere ad nutum ulteriori prestazioni (art. 1460 c.c. – exceptio inadimpleti contractus). Pertanto l’azienda debitrice, per tutelare la continuità delle forniture critiche, deve farsi parte attiva: contattare il fornitore in anticipo, spiegare la situazione e magari proporgli una soluzione temporanea (pagamenti parziali a fronte di proseguimento forniture, garanzie aggiuntive, o coinvolgerlo in un patto di standstill). In caso di procedure concorsuali, esistono specifiche tutele: nel concordato preventivo in continuità, ad esempio, il debitore può chiedere l’autorizzazione a pagare i fornitori strategici per assicurarsi la continuità aziendale (pagamenti in prededuzione) e i contratti di forniture essenziali non possono essere risolti per il solo fatto del deposito della domanda di concordato (art. 95 CCII). Allo stesso modo, nella composizione negoziata è prevista la possibilità di ottenere misure protettive che impediscono ai fornitori di interrompere forniture essenziali per la sola ragione dei mancati pagamenti pregressi, se ciò pregiudicherebbe le prospettive di risanamento (si pensi alle utenze: il tribunale può vietare ai fornitori di energia di sospendere il servizio durante le trattative). Quindi, se l’azienda avvia formalmente una procedura di soluzione della crisi, potrà giovarsi di queste protezioni per mantenere in vita i contratti fondamentali.
  • Creditori minori e azioni collettive: molti fornitori sono PMI con crediti modesti (a volte poche migliaia di euro). Singolarmente potrebbero non intraprendere costose azioni legali, ma se la notizia dei mancati pagamenti si diffonde, l’azienda rischia di subire un effetto a catena: più fornitori potrebbero rivolgersi ad avvocati o società di recupero crediti (molto attive, come evidenziano guide pratiche sul recupero crediti commerciali ). Una situazione da evitare è il pignoramento multiplo di beni aziendali da parte di diversi piccoli creditori: si pensi a più decreti ingiuntivi su cui poi si innestano pignoramenti di attrezzature, conti correnti, crediti verso clienti (es. i fornitori notificano atti di pignoramento presso terzi ai clienti per intercettare i pagamenti dovuti all’azienda). Questo scenario “spezzatino” paralizza di fatto l’attività. Perciò, se la mole di debiti verso fornitori diventa ingestibile, può paradossalmente convenire centralizzare la crisi in una procedura concorsuale: aprendo, ad esempio, un concordato preventivo o chiedendo un accordo di ristrutturazione, tutti i creditori (compresi i fornitori) verranno cristallizzati in un unico tavolo, con sospensione delle azioni esecutive individuali. Certo, ciò comporta pubblicità e oneri, ma può evitare la morte per “assalto alla diligenza” da parte di una miriade di creditori. Un concordato preventivo potrebbe prevedere, ad esempio, che ai fornitori chirografari venga pagato un dividendo del 30% in 2 anni: non sarà l’integrale soddisfazione, ma se i creditori lo approvano a maggioranza, diventerà vincolante per tutti , dando all’azienda una via d’uscita ordinata.
  • Attenzione alle azioni revocatorie: un imprenditore in difficoltà spesso decide di pagare selettivamente alcuni fornitori “cruciali” (quelli da cui dipende la produzione) a scapito di altri. Questa è una prassi comprensibile ma ha un rischio legale: se successivamente l’azienda viene dichiarata fallita (liquidazione giudiziale), i pagamenti preferenziali fatti nell’anno anteriore al fallimento a creditori chirografari possono essere revocati dal curatore, obbligando il fornitore a restituire le somme (art. 164 CCII, già art. 67 L.F.). In un’ottica di difesa ex ante, è bene evitare di creare situazioni revocabili: se proprio occorre pagare in crisi un fornitore, meglio farlo in esecuzione di un piano di risanamento attestato pubblicato, poiché gli atti esecutivi di un piano attestato non sono soggetti a revocatoria . Ad esempio, se Scambiatore S.r.l. elabora un piano attestato e, seguendolo, paga Tizio e Caio fornitori strategici, tali pagamenti (purché il piano sia formalizzato e l’attestatore li qualifichi coerenti col risanamento) non potranno poi essere revocati in caso di fallimento . Al contrario, pagare “sotto banco” alcuni fornitori e non altri può esporre sia il fornitore (che dovrà restituire) sia l’amministratore (che potrebbe essere accusato di aver favorito qualcuno a danno della massa dei creditori, rilievo che in sede penale attiene alla bancarotta preferenziale). Dunque la par condicio va tenuta a mente anche nelle scelte di chi pagare prima.

In definitiva, con i fornitori la parola d’ordine è dialogo e, se possibile, trasparenza: un fornitore informato sulla crisi e sul piano di rilancio potrebbe accettare un compromesso (es. accontentarsi di un pagamento parziale e continuare a fornire per aiutare l’azienda a riprendersi), mentre un fornitore tenuto all’oscuro si rivolgerà subito al legale. Dal lato difensivo, l’azienda deve usare gli strumenti legali per prendere tempo (opposizioni mirate ai decreti ingiuntivi quando opportuno) ma senza abusarne, e nel contempo strutturare una soluzione complessiva che dia ai fornitori prospettiva di recuperare qualcosa. In sede di concordato preventivo, i fornitori chirografari potranno essere suddivisi eventualmente in classi (ad esempio distinguendo piccoli fornitori locali da grandi fornitori esteri) per offrire trattamenti differenziati, purché rispettosi della par condicio e delle cause di prelazione. Se invece l’azienda opta per la liquidazione e cessazione dell’attività, i fornitori verosimilmente diverranno creditori in fallimento e recupereranno solo una percentuale modesta (in media i chirografari nei fallimenti ricevono <10%). Questo va spiegato ai fornitori: meglio accettare un concordato al 30% che attendere anni in un fallimento con incognita quasi zero. Far comprendere questa alternativa può convincere i creditori commerciali a votare a favore del piano di ristrutturazione.

Debiti verso dipendenti e previdenziali

Un ambito delicatissimo è il debito verso i propri dipendenti, ad esempio stipendi e TFR non pagati, e i correlati debiti verso gli enti previdenziali (INPS) per contributi. I lavoratori godono di una protezione normativa elevata, sia come creditori privilegiati in caso di insolvenza, sia attraverso interventi di sostegno pubblico, ma d’altro canto gli amministratori rischiano sanzioni se violano i doveri retributivi e contributivi. Punti chiave:

  • Stipendi non pagati: il mancato pagamento delle retribuzioni può portare rapidamente a tensioni sindacali e dimissioni dei dipendenti per giusta causa (se lo stipendio non viene corrisposto, il lavoratore può dimettersi e pretendere anche l’indennità sostitutiva del preavviso). Dal punto di vista legale, il dipendente può agire in via giudiziaria ottenendo un decreto ingiuntivo per le somme dovute (stipendi, straordinari, TFR) e, trattandosi di crediti di lavoro, il giudice può emettere ingiunzione immediatamente esecutiva . Ciò significa che un dipendente potrebbe pignorare i conti aziendali o i beni quasi subito dopo la mancata paga. Inoltre, un gruppo di dipendenti insoluti potrebbe provocare un’istanza di fallimento: in passato era raro, ma negli ultimi anni organizzazioni sindacali hanno talvolta sollecitato il fallimento di aziende insolventi per attivare il Fondo di Garanzia INPS (che interviene solo se c’è procedura concorsuale). Quindi, pagare i dipendenti dovrebbe avere priorità assoluta, anche perché in caso di fallimento i debiti verso i dipendenti (salari degli ultimi 6 mesi, ferie, TFR) sono privilegiati in prededuzione o privilegio generale mobiliare di primo grado, venendo soddisfatti prima dei debiti fiscali e bancari. Se l’azienda non è in grado di pagare gli stipendi correnti, occorre valutare misure come la Cassa Integrazione Guadagni (CIG) o altre forme di sostegno al reddito: ad esempio, attivare un contratto di solidarietà o una CIGS per crisi aziendale può temporaneamente alleggerire il costo del lavoro (il dipendente percepisce parte dello stipendio dall’INPS). Durante una procedura di concordato in continuità, è possibile richiedere la Cassa integrazione straordinaria ex art. 44 D.Lgs. 148/2015 per 12 mesi, proprio per gestire esuberi e riduzione attività. Questi strumenti consentono di non far crescere il debito verso i dipendenti durante la crisi.
  • Contributi previdenziali non versati: la mancata contribuzione agli enti previdenziali (quote a carico azienda e quote trattenute ai lavoratori) è grave. Se i contributi INPS non vengono pagati, oltre agli interessi di mora c’è una sanzione civile (fino al 40% dell’importo). Soprattutto, come già accennato, non versare le ritenute previdenziali trattenute ai dipendenti oltre €10.000 annui è reato (punito con la reclusione fino a 3 anni) , salvo che il datore di lavoro vi ponga rimedio entro 3 mesi dalla contestazione o notifica di illecito (cosiddetta causa di non punibilità per pagamento tardivo). Pertanto un amministratore deve monitorare attentamente questa soglia: se in un anno solare l’azienda non versa, poniamo, €12.000 di contributi trattenuti dalle buste paga, rischia un procedimento penale a suo carico. Dal punto di vista civilistico, i contributi non pagati generano un credito privilegiato dell’INPS, che può anch’esso attivare esecuzioni forzate similmente al Fisco (ingiunzioni contributive). In caso di fallimento, l’INPS concorrerà nel passivo come creditore privilegiato, ma se i fondi della massa non bastano, i lavoratori in parte sono protetti dal Fondo di Garanzia INPS (che interviene a pagare il TFR e gli ultimi tre mesi di retribuzione non corrisposta, entro massimali, nei casi di insolvenza del datore). Il Fondo però si attiva solo se c’è stata liquidazione giudiziale o esecuzione infruttuosa, quindi i dipendenti a volte hanno interesse a vedere l’azienda in procedura concorsuale per poter recuperare almeno TFR e tre stipendi tramite l’INPS. Esempio: Scambiatore S.r.l. chiude senza fallimento e non paga 4 mensilità ai dipendenti; questi ultimi non potranno chiedere nulla al Fondo di Garanzia finché la società esiste ed è attiva (dovrebbero tentare pignoramenti, trovando magari cassa vuota). Se invece Scambiatore S.r.l. viene dichiarata fallita, il Fondo subentra pagando loro il dovuto (nei limiti di legge) e poi si insinua al posto loro nel fallimento.
  • Come gestire i debiti verso il personale: dal punto di vista sociale, pagare gli stipendi in ritardo ha conseguenze devastanti sul clima aziendale. Dal punto di vista legale, un imprenditore che preleva risorse per altri scopi e lascia i dipendenti senza retribuzione può incorrere in sanzioni penali come il reato di estorsione qualora costringa i lavoratori ad accettare trattamenti iniqui sotto minaccia di licenziamento (ipotesi estrema), oppure nella già menzionata bancarotta per operazioni dolose se quel comportamento aggrava il dissesto. Strategie difensive: se l’azienda ha temporanee difficoltà di liquidità, meglio essere onesti con i dipendenti, magari proponendo un accordo sindacale per dilazionare il pagamento di alcune voci (es. pagamento differito di premi o arretrati) piuttosto che non pagare affatto. Se la crisi è grave, valutare l’attivazione degli ammortizzatori sociali: una CIG straordinaria per crisi consente di sospendere il pagamento di parte dello stipendio (pagato dall’INPS) e mantenere i lavoratori. In parallelo, predisporre un piano concordatario o di risanamento che preveda il pagamento dei debiti verso i dipendenti come prioritario. Nella gerarchia dei pagamenti concordatari, di regola i crediti da lavoro sono soddisfatti integralmente (salvo rarissime eccezioni, perché il concordato non può alterare i privilegi se non col voto in classi separate). Quindi in un concordato l’azienda dovrà comunque destinare risorse per saldare TFR e stipendi arretrati almeno entro i limiti del privilegio (ultimi 6 mesi). Opporsi a eventuali azioni giudiziarie dei dipendenti (ingiunzioni) è possibile solo contestando l’esistenza del credito (cosa difficile: le buste paga parlate chiaro). L’opposizione dilatoria può solo rinviare l’inevitabile e rischia di incrinare definitivamente la fiducia. Piuttosto, se un dipendente ottiene un decreto ingiuntivo esecutivo e pignora un conto, può essere opportuno valutare – in sede di procedura concorsuale avviata subito dopo – di chiedere la sospensione delle azioni esecutive individuali pendenti (art. 54 CCII) e l’accentramento delle soddisfazioni nel concorso.

In conclusione, il debitore-imprenditore deve considerare i lavoratori come creditori particolari, tutelati sia da norme di garanzia patrimoniale sia da norme penali. La difesa migliore è evitare che maturino troppi arretrati: se l’attività non può più sostenere il costo del lavoro, meglio ridurre l’organico prima che il debito salariale esploda (seguendo le procedure legali per licenziamenti collettivi se necessario, con il supporto di cassa integrazione). Qualora i debiti verso dipendenti esistano già, in sede di predisposizione di un piano di risanamento conviene prevedere che siano pagati subito e integralmente, magari utilizzando al bisogno il Fondo di Garanzia INPS per il TFR (il quale può anticipare le somme ai lavoratori in caso di concordato preventivo o liquidazione coatta ammessa, non solo nel fallimento). Un imprenditore che destina le prime risorse disponibili ai dipendenti (anziché, ad esempio, a sé stesso o ad altri creditori meno “meritevoli”) mostra buona fede e riduce il rischio di contestazioni di mala gestio. Si noti inoltre che, se la crisi sfocia in fallimento, l’art. 322 CCII (già art. 216 ultimo comma L.F.) punisce l’omesso versamento delle ritenute previdenziali come bancarotta fraudolenta se commesso con dolo: quindi aver tralasciato totalmente di versare contributi può costituire ulteriore addebito penale in sede fallimentare. Meglio dunque cercare di regolarizzare i contributi magari chiedendo una dilazione all’INPS prima della procedura (l’INPS spesso concede rateazioni analoghe all’Agenzia Entrate).

Riassumendo questa sezione: ogni tipologia di debito comporta specifici rischi e strumenti di tutela. Un’azienda di scambiatori di calore con debiti fiscali dovrà temere le mosse dell’Erario e prevenire responsabilità penali, cercando accordi o transazioni; per i debiti bancari la priorità è gestire le garanzie e negoziare con i finanziatori evitando il default conclamato; i debiti verso fornitori richiedono di bilanciare difesa legale (opposizioni mirate) e strategia concordataria per evitare aggressioni atomistiche; i debiti verso dipendenti impongono rapidità di intervento, uso di ammortizzatori e assoluta trasparenza, dato che la legge tutela i lavoratori in ogni modo. Nel prossimo capitolo passeremo in rassegna gli strumenti che l’ordinamento offre al debitore per gestire e risolvere la crisi debitoria, dai piani negoziali alle procedure concorsuali giudiziali, delineando per ciascuno pro e contro.

Strumenti di difesa e soluzioni per il debitore in crisi

Affrontare in modo efficace una situazione di forte indebitamento aziendale richiede l’uso combinato di strumenti stragiudiziali (accordi volontari, piani di risanamento) e strumenti giudiziali (procedure concorsuali vere e proprie). In questa sezione illustreremo le varie opzioni, dal semplice negoziato coi creditori fino al concordato preventivo e alla liquidazione giudiziale, evidenziando come e quando ciascuna soluzione può essere adottata. L’ottica è sempre quella del debitore: come sfruttare al meglio questi strumenti per “difendersi” – cioè per risanare l’azienda se possibile, oppure per liquidarla limitando i danni e le responsabilità.

Prima di elencare le singole soluzioni, è utile ricordare i princìpi generali che guidano l’ordinamento nella gestione della crisi d’impresa (emersi con la riforma del CCII):

  • Prevenzione e allerta: come già spiegato, la legge incoraggia l’imprenditore ad attivarsi ai primi segnali di crisi. Esistono meccanismi di allerta interna (obblighi per amministratori, sindaci e revisori di segnalare tempestivamente la crisi) e allerta esterna (segnalazioni di creditori pubblici come Fisco e INPS quando i debiti superano soglie) . Se queste “spie” si accendono, l’imprenditore virtuoso dovrebbe valutare l’uso degli strumenti di composizione assistita prima di perdere il controllo.
  • Continuity vs. liquidation: il CCII distingue nettamente tra soluzioni volte a preservare la continuità aziendale (salvataggio dell’impresa come going concern) e soluzioni di mera liquidazione del patrimonio. Viene privilegiata la continuità dove possibile, ma in modo sostenibile. Molti strumenti (composizione negoziata, concordato in continuità) puntano a ristrutturare l’impresa mantenendola operativa, mentre altri (concordato liquidatorio, liquidazione giudiziale) mirano a dismettere tutto e pagare i creditori con quanto ricavato. Dal punto di vista del debitore, è cruciale scegliere per tempo quale strada imboccare: se esistono prospettive concrete di risanamento, occorre percorrere la via della continuità; se l’insolvenza è irreversibile, è meglio optare per soluzioni liquidatorie ordinate piuttosto che aggravare il passivo sperando in miracoli.
  • Merito creditizio e buona fede: l’accesso a certi benefici (es. esdebitazione, concordato semplificato) è riservato al debitore meritevole, cioè che ha agito con trasparenza e buona fede durante la crisi. Ad esempio, il concordato semplificato (di cui diremo a breve) è permesso solo se l’esperto della composizione negoziata attesta che il debitore ha tenuto un comportamento corretto e leale nelle trattative . Similmente, l’esdebitazione a fine procedura non spetta a chi ha aggravato la situazione con dolo o colpa grave. In sintesi, chi vuole difendersi dai debiti attraverso la legge deve giocare pulito: niente sottrazione fraudolenta di beni, niente informazioni false ai creditori, altrimenti gli strumenti di tutela legale potrebbero essergli preclusi.

Tenendo presenti questi principi, passiamo ora in rassegna gli strumenti specifici. Li divideremo in due macro-categorie: soluzioni stragiudiziali/negoziali (fuori dalle aule di tribunale, basate su accordi volontari) e procedure concorsuali giudiziali (richiedono l’intervento e l’omologazione del tribunale). In realtà il confine non è sempre netto, perché esistono procedure “ibride” come l’accordo di ristrutturazione dei debiti, che nasce da un accordo privato ma viene reso efficace erga omnes da un giudice. Ad ogni modo, iniziamo dal livello meno “invasivo” possibile:

Soluzioni stragiudiziali: negoziazione e piani volontari

  1. Negoziazione individuale coi creditori: la via più immediata (ma spesso precaria) è cercare accordi informali con ciascun creditore o con gruppi di creditori, senza attivare procedure ufficiali. Ad esempio, l’azienda può proporre a taluni fornitori un pagamento parziale a saldo (il classico stralcio) o nuovi termini di pagamento, oppure chiedere alla banca una moratoria bilaterale. Questi accordi su base volontaria, se accettati, vanno preferibilmente formalizzati per iscritto. Il vantaggio è la riservatezza (nessuna pubblicità né coinvolgimento del tribunale), lo svantaggio è che non vincolano i creditori dissenzienti: se anche 9 fornitori su 10 accettano un rinvio, il decimo può comunque agire legalmente. Inoltre gestire molteplici negoziazioni separate può diventare ingestibile, specie quando i creditori sono numerosi. Si rischia di creare disparità di trattamento (paghi uno e non l’altro) con possibili future contestazioni (i non pagati si sentiranno discriminati). Pertanto, la negoziazione individuale funziona in crisi lievi o quando i creditori chiave sono pochi e si riesce a ottenere il loro allineamento spontaneo.
  2. Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII): è il primo vero strumento “strutturato” di risanamento extra-giudiziale. Consiste in un piano industriale e finanziario messo a punto dall’azienda per superare la crisi, accompagnato da una attestazione di un esperto indipendente circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano stesso . Il piano attestato è un atto unilaterale del debitore, che viene eventualmente proposto ai creditori, i quali sono liberi di aderirvi o meno (non c’è un voto formale né un’omologazione in tribunale). In pratica, se l’imprenditore riesce a ottenere l’adesione volontaria della totalità (o della gran parte) dei suoi creditori, potrà eseguire il piano pagando i creditori nei modi e tempi previsti. Beneficio legale principale: gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato – ad esempio pagamenti, concessioni di garanzie, cessioni di beni ai creditori – sono protetti dalla revocatoria fallimentare . Ciò significa che, se anche successivamente l’azienda dovesse fallire, il curatore non potrà far annullare quei pagamenti o quelle garanzie, a condizione che il piano fosse regolarmente attestato da un professionista e, nei casi previsti, pubblicato nel Registro delle Imprese (per i piani che coinvolgono tutti i creditori, è richiesta la pubblicazione). Questo scudo incentiva i creditori ad accettare le operazioni previste dal piano senza timore di dover restituire somme in futuro. Limiti del piano attestato: non offre alcuna protezione contro i creditori che non aderiscono. Non c’è sospensione delle azioni esecutive: se un creditore non è d’accordo e vuole procedere al pignoramento, può farlo (il piano attestato non crea automatismi di blocco) . Perciò è uno strumento adatto quando si ha la ragionevole sicurezza di ottenere il consenso di tutti o quasi i creditori rilevanti. Qualche creditore può restarne fuori, purché sia pagato regolarmente secondo le scadenze originarie (in pratica, il piano attestato può anche coinvolgere solo alcuni creditori, lasciandone fuori altri che verranno comunque soddisfatti a scadenza normale) . Esempio: Scambiatore S.r.l. elabora un piano attestato in cui i 5 principali creditori (banche e fornitori maggiori, rappresentanti l’80% del debito) accettano di riscadenzare i pagamenti su 5 anni e di rinunciare al 20% ciascuno. I creditori minori (20% del debito) verranno invece pagati cash alle loro scadenze per evitare problemi. Un attestatore indipendente verifica che con queste misure l’azienda può tornare solvibile (grazie anche a nuove commesse in arrivo) e firma l’attestazione. Il piano viene eseguito e l’azienda si salva. Se malauguratamente fra due anni l’azienda fallisse comunque, i pagamenti dilazionati e le rinunce fatti in base a quel piano non potrebbero essere revocati dal curatore, perché effettuati in coerenza col piano attestato. Senza piano, quelle stesse dilazioni e rinunce potevano essere viste come atti anomali. Tempistiche e formalità: un piano attestato può essere predisposto in pochi mesi (1-3 mesi di lavoro, a seconda della complessità) . Richiede la nomina di un professionista attestatore (di solito un commercialista o revisore, indipendente e iscritto a specifici albi) che redige la relazione di attestazione. Non serve omologa in tribunale, ma è consigliabile – soprattutto dopo le modifiche del 2022 – depositare o pubblicare il piano per dargli data certa. Il CCII all’art. 56 fa riferimento agli “accordi in esecuzione di piani attestati”: se alcuni accordi bilaterali vengono formalizzati, possono essere soggetti a pubblicazione per estenderne taluni effetti. Vantaggi del piano attestato: massima riservatezza (non si pubblicizza la crisi, se non in minima parte), rapidità, flessibilità (si può includere qualsiasi manovra: aumenti di capitale, vendita di rami d’azienda, nuovi finanziamenti che la legge qualifica prededucibili in caso di successiva procedura ). Svantaggi: nessun potere di obbligare i dissenzienti né congelare le azioni legali . In pratica, se anche un solo creditore strategico dice no, il piano rischia di saltare. Spesso il piano attestato funziona come prima fase: si tenta l’accordo stragiudiziale e, se qualche creditore si sfila o emergono intoppi, si passa a strumenti più “forti” come l’accordo omologato o il concordato .
  3. Accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD) omologato: è una soluzione ibrida, a metà tra l’accordo privato e la procedura concorsuale. Previsto dagli artt. 57-64 CCII, consiste in un accordo sottoscritto dal debitore e da una maggioranza qualificata di creditori (almeno 60% del totale dei crediti), su un piano di ristrutturazione, che viene poi sottoposto all’omologazione del tribunale . Se omologato, l’accordo diventa efficace e vincola i creditori aderenti, mentre per gli estranei di regola non produce effetti diretti (essi conservano i loro diritti per intero, salvo particolari eccezioni di legge per alcune categorie). Caratteristiche principali: a differenza del piano attestato, qui è coinvolto il tribunale, che però non valuta il merito del piano ma si limita a controllare che ci sia la percentuale di adesioni richiesta e che l’accordo assicuri l’integrale pagamento dei creditori estranei nei 120 giorni dalla scadenza (o dall’omologa) per i debiti scaduti, e nei termini contrattuali per quelli non scaduti (art. 58 CCII). Serve comunque l’attestazione di un esperto sulla fattibilità del piano e sulla capienza nel soddisfare gli estranei. Vantaggi per il debitore: già con il deposito dell’accordo e delle adesioni, può chiedere misure protettive (simili a quelle del concordato) cioè il blocco temporaneo delle azioni esecutive dei creditori mentre si completa la raccolta firme e si va verso l’omologa . In più, la legge prevede vari “incentivi” per facilitare questi accordi: ad esempio l’accordo di ristrutturazione agevolato (art. 61 CCII) che consente di ottenere immediatamente la protezione del tribunale se si ha già il 30% di adesioni e si punta al 60% ; oppure l’accordo ad efficacia estesa (art. 63 CCII), dove se in certe categorie (banche o Fisco) si raggiungono determinate maggioranze, l’accordo può essere esteso anche ai creditori dissenzienti di quella categoria, superando quindi minoranze di blocco. Inoltre, l’accordo omologato permette di derogare alla par condicio tra i soli aderenti: chi aderisce può accettare di prendere meno di altri, senza problemi di revocatoria o di necessità di classi (perché non è concorso, è contratto). Limiti: per i creditori estranei, l’ARD non risolve definitivamente – essi potrebbero ancora agire, benché in pratica se la maggioranza ha aderito spesso i pochi estranei vengono pagati per evitare noie (o sono comunque importi marginali). L’accordo di ristrutturazione è indicato quando il numero di creditori è circoscritto e soprattutto “concentrato” in pochi soggetti importanti (tipicamente le banche). Esempio pratico: Beta S.p.A. (dall’esempio trovato ) aveva 10 milioni di debiti di cui 7 verso 5 banche; riesce a farsi firmare l’accordo da tutte e 5 le banche (70% del debito) e anche alcuni fornitori piccoli rappresentanti un altro 10%. Deposta l’istanza di omologa con il 70%, il tribunale concede subito lo stay delle azioni (nessun creditore può iniziare o proseguire esecuzioni). Nessun fornitore in realtà aveva agito per via legale sapendo delle trattative e metà di essi ha pure aderito, gli altri restano fuori ma tranquilli. L’accordo viene omologato: le banche allungano i mutui e riducono i tassi, i fornitori grandi prendono 80% a saldo, i piccoli non aderenti verranno pagati a scadenza originaria (come previsto e attestato che l’azienda può fare). L’azienda esce dalla crisi e continua la sua attività . Questo esempio evidenzia che l’ARD funziona bene se pochi creditori rilevanti e coesi; se invece c’è frammentazione (tanti piccoli creditori conflittuali), di solito si passa a un concordato. Novità 2022-2024: con i correttivi al CCII è stato introdotto anche il Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO), che è a metà tra un accordo e un concordato: in pratica un accordo di ristrutturazione esteso a tutti i creditori, con suddivisione in classi e possibilità di cram-down interclassi anche se alcune classi votano contro . Il PRO richiede però determinate condizioni di fattibilità e trova applicazione soprattutto per imprese di grandi dimensioni. È uno strumento avanzato, introdotto recependo la direttiva UE 2019/1023, che consente di imporre la ristrutturazione anche ai dissenzienti come in un concordato, ma con procedure più snelle. Per PMI come la nostra azienda di scambiatori di calore, l’uso principale resta l’accordo classico col 60%. In ogni caso, prima di intraprendere un ARD è altamente consigliato attivare la composizione negoziata con l’esperto (vedi punto successivo), perché spesso quell’attività preparatoria facilita la raccolta delle adesioni e consente di chiedere subito le misure protettive anche senza aver ancora il 60% (grazie alla soglia 30% dell’accordo agevolato) .
  4. Composizione negoziata della crisi: introdotta dapprima col D.L. 118/2021 e ora disciplinata nel CCII (artt. 12-25 septies), è uno strumento volontario e confidenziale in cui l’imprenditore in crisi chiede la nomina di un esperto indipendente (tramite una piattaforma nazionale gestita dalle Camere di Commercio) per agevolare le trattative con i creditori e ricercare una soluzione di risanamento. Non è una procedura concorsuale (non c’è dichiarazione di insolvenza né spossessamento) ; è piuttosto un percorso assistito: l’esperto analizza la situazione aziendale, convoca i creditori insieme all’imprenditore e cerca di facilitare accordi (può essere un accordo stragiudiziale, un accordo di ristrutturazione o anche un concordato preventivo “preparato” con il consenso dei creditori). Vantaggi: la composizione negoziata è riservata (le parti coinvolte sono vincolate alla riservatezza, nulla viene pubblicato salvo la richiesta eventuale di misure protettive) . Durante il periodo di composizione (che dura di regola 3 mesi, prorogabile di altri 3), l’imprenditore può chiedere al tribunale delle misure protettive temporanee – in pratica un congelamento dei procedimenti esecutivi e cautelari – per poter negoziare senza l’assillo di pignoramenti . Inoltre, l’imprenditore rimane al timone dell’azienda (l’esperto non ha poteri gestori, solo di controllo e facilitazione). La composizione negoziata è flessibile: può concludersi con qualunque esito che risolva la crisi (dall’accordo stragiudiziale semplice al concordato in tribunale). Se non si trova alcuna soluzione, l’esperto chiude le trattative con una relazione finale. Novità 2024: il terzo correttivo (D.Lgs. 136/2024) ha ulteriormente incentivato l’uso della composizione negoziata, ad esempio introducendo la possibilità di proporre transazioni fiscali già durante le trattative (quindi l’imprenditore può negoziare un accordo col Fisco direttamente in questa sede, con l’attestazione di convenienza da parte di un professionista e il controllo eventuale di un giudice sulla regolarità ). Inoltre sono state chiarite le condizioni di accesso: la composizione è aperta sia a situazioni di crisi incipiente sia di insolvenza reversibile , e può essere intrapresa anche se pende già una istanza di fallimento (purché non ci siano altre procedure concorsuali in corso) . Nella pratica, la composizione negoziata è spesso un modo per guadagnare tempo e costruire un piano con l’aiuto di un mediatore esperto, mantenendo protezione dai creditori. L’esperto redige alla fine una relazione che, se positiva, potrà servire all’azienda per accedere eventualmente al concordato semplificato (vedi infra) o ad altre agevolazioni. Esempio pratico: Scambiatore S.r.l. si rende conto di essere in difficoltà (crisi di liquidità, debiti scaduti con fornitori e banche allarmate). Prima di subire istanze o esecuzioni, attiva la composizione negoziata tramite la piattaforma. Viene nominato un esperto, il dott. Rossi. Rossi analizza i conti e convoca in riunione le banche principali e alcuni fornitori chiave: spiega loro che l’azienda ha un problema transitorio legato all’aumento del costo delle materie prime, ma ha ordini in portafoglio e un piano di riorganizzazione. Propone una moratoria di 6 mesi sui pagamenti delle rate di mutuo e il mantenimento delle forniture in cambio dell’impegno dell’azienda a presentare, entro quei 6 mesi, un accordo di ristrutturazione o un concordato preventivo che li soddisfi almeno in parte. Nel frattempo l’azienda chiede al tribunale misure protettive per evitare che qualche creditore “esterno” rovini le trattative (il giudice le concede per 4 mesi) . Grazie alla regia dell’esperto, le banche accettano di congelare le richieste di rientro, i fornitori continuano a consegnare previo pagamento alla consegna delle nuove forniture (cash on delivery) ma sospendono azioni sul pregresso. Dopo 4 mesi, l’azienda – col consenso informale raccolto – presenta un concordato in continuità sapendo già che le banche e i fornitori principali voteranno a favore. In questo modo la composizione negoziata ha evitato il collasso immediato e ha fatto da ponte verso una soluzione concordataria solida . Se invece la composizione fallisce (perché i creditori non trovano un accordo), l’imprenditore ha ancora la chance, entro 60 giorni, di depositare un concordato semplificato per la liquidazione (vedi oltre) . Insomma, la composizione negoziata è un ombrello temporaneo che consente di esplorare soluzioni con l’assistenza di un terzo imparziale e, in caso negativo, offre un “paracadute” di uscita (il concordato semplificato) .

In generale, la sezione stragiudiziale può chiudersi con questa riflessione: difendersi dai debiti non vuol dire necessariamente andare subito in tribunale o alzare muri contro i creditori; spesso significa negoziare attivamente con loro, mostrando un piano credibile. Gli strumenti come il piano attestato e la composizione negoziata formalizzano e agevolano proprio questo dialogo. Tuttavia, se la situazione è troppo complessa o se alcuni creditori sono irriducibili, bisogna considerare le procedure concorsuali vere e proprie, di cui ora parleremo.

Procedure concorsuali giudiziali: concordati e liquidazione

Quando la ristrutturazione privata non è percorribile – o per la presenza di troppi creditori non cooperativi, o per la gravità dell’insolvenza – l’ordinamento prevede le procedure concorsuali, ossia procedimenti giudiziari che coinvolgono la totalità dei creditori sotto la supervisione del tribunale. Dal punto di vista del debitore, avviare una procedura concorsuale significa cedere parte del controllo in cambio di benefici come la sospensione delle azioni esecutive individuali e la possibilità di imporre ai creditori dissenzienti una certa soluzione (se approvata a maggioranza e omologata dal giudice). È una scelta drastica ma spesso necessaria per uscire dal caos delle azioni individuali e ottenere una soluzione organizzata e definitiva. Vediamo le principali procedure concorsuali offerte dal CCII dal punto di vista del debitore:

1. Concordato Preventivo (artt. 84-120 CCII): è la più classica procedura concorsuale di risanamento che consente all’imprenditore di evitare la liquidazione giudiziale (fallimento) proponendo ai creditori un accordo concorsuale – un piano – che può prevedere la ristrutturazione dei debiti in varie forme (dilazioni, stralci, conversione debiti in capitale, ecc.) . Il concordato è detto “preventivo” perché si chiede prima di arrivare al fallimento, e sta al vaglio e al voto dei creditori. Attori e fasi: il debitore deposita un ricorso in tribunale con la proposta concordataria e un piano dettagliato; il tribunale, verificati i requisiti, ammette la procedura e nomina un Commissario Giudiziale che vigila sull’impresa durante la procedura . I creditori vengono informati e suddivisi eventualmente in classi; si svolge poi una votazione: serve, salvo diversa previsione, la maggioranza dei crediti ammessi al voto favorevoli (per classi, la maggioranza di ogni classe, o comunque la maggioranza in percentuale sul totale se tutte le classi tranne una approvano) perché il concordato sia approvato. Infine il tribunale – se i creditori approvano – emette il decreto di omologazione, che rende vincolante il piano per tutti, anche per gli eventuali creditori dissenzienti o astenuti . Da quel momento il debitore esegue il piano sotto controllo di un Liquidatore (se è liquidatorio) o del Commissario (se in continuità). Requisiti fondamentali: il CCII distingue nettamente due tipi di concordato: concordato in continuità aziendale e concordato liquidatorio.

  • Concordato in continuità aziendale: quando nel piano si prevede che l’attività d’impresa continui, sia per opera dello stesso debitore (continuità diretta) sia tramite la cessione o il conferimento dell’azienda a un altro soggetto (continuità indiretta) . L’obiettivo è salvaguardare il valore produttivo e occupazionale, ristrutturando l’azienda per generare utili con cui pagare i creditori in misura superiore rispetto a una liquidazione immediata . La legge favorisce il concordato in continuità: non richiede soglie minime di pagamento ai chirografari, consente trattamenti differenziati di creditori in classi (purché rispettate certe priorità: ad es. no pagare integralmente un creditore postergando uno privilegiato senza suo consenso), permette l’intervento di nuovi finanziatori (prededucibili) e consente di utilizzare strumenti come la cassa integrazione straordinaria durante la procedura. Nel concordato in continuità di solito l’imprenditore rimane alla guida (sia pure affiancato dal Commissario che vigila) e può compiere atti di ordinaria amministrazione autonomamente, mentre per gli atti straordinari serve autorizzazione del giudice. Un vantaggio chiave: dopo il deposito del ricorso di concordato, nessun creditore può iniziare o proseguire azioni esecutive individuali sui beni del debitore (art. 54 CCII), tutto rimane congelato in attesa dell’esito . Inoltre i contratti pendenti possono proseguire; l’azienda resta operativa durante la procedura (che dura alcuni mesi per arrivare al voto e all’omologa). Per formulare un piano di continuità credibile, l’imprenditore dovrà mostrare come intende riportare l’attività in utile: spesso si prevedono ristrutturazioni organizzative, tagli di rami d’azienda non redditizi, ingresso di investitori, ecc. . Esempio: Scambiatore S.r.l. presenta un concordato in continuità dove propone: mantenere la produzione, ottenere nuova finanza di €500k da un investitore (che entra nel capitale), cedere un immobile non strategico, ridurre il personale del 20% con CIGS e accordo sindacale, e pagare i creditori chirografari nella misura del 40% in 4 anni con i flussi generati dalla continuità. I creditori vedono che l’alternativa fallimentare offrirebbe forse il 15%, quindi votano a favore. Il tribunale omologa. L’azienda continua e in 4 anni esegue il piano, uscendo dalla procedura e tornando “libera” dai debiti pregressi (esdebitata). Questo scenario ottimale è ciò a cui tende il concordato in continuità. Da notare: dopo il correttivo 2024, è possibile per il tribunale omologare il concordato anche senza l’approvazione di tutte le classi, mediante meccanismi di cram-down interclassista simili a quelli previsti dalla normativa europea . Ciò riduce il potere di veto di eventuali classi minoritarie dissenzienti, a tutela di piani meritevoli approvati dalle altre classi.
  • Concordato liquidatorio: quando il piano prevede prevalentemente la liquidazione del patrimonio dell’impresa e la cessazione dell’attività (salvo eventualmente esercizio provvisorio breve per vendere meglio i beni). Il CCII ha introdotto criteri più rigidi per ammettere concordati puramente liquidatori, al fine di evitare abusi: in particolare, per proporre un concordato liquidatorio il debitore deve garantire che i creditori chirografari riceveranno almeno il 20% del loro credito e che vi sia un apporto di risorse esterne (denaro o beni nuovi apportati dall’imprenditore o da terzi) pari ad almeno il 10% dell’attivo liquidato . Queste soglie mirano a scoraggiare proposte liquidatorie “facili” in cui ai creditori va solo una frazione trascurabile (in tal caso, meglio il fallimento). Se il debitore non è in grado di offrire almeno quel 20% ai chirografari, il concordato liquidatorio è inammissibile. Nel concordato liquidatorio l’azienda di fatto chiude: un Liquidatore nominato dal tribunale vende i beni (anche tramite procedure competitive) e distribuisce il ricavato ai creditori secondo il piano. Dal lato del debitore, il vantaggio è poter gestire la liquidazione in modo ordinato, magari scegliendo acquirenti e condizioni, evitando le incognite del fallimento. Inoltre, al debitore (persona fisica) spetta comunque l’esdebitazione a fine procedura se ha cooperato. Esempio: se Scambiatore S.r.l. non ha speranze di risanamento, può proporre un concordato liquidatorio dove promette: vendere il magazzino e i macchinari a un certo prezzo, incassare crediti, e un familiare conferisce €100k a fondo perduto (risorse esterne). Così riesce a far avere ai chirografari il 25%. Questa proposta supera il filtro di ammissibilità (perché >20% e c’è apporto >10%). I creditori la votano (spesso in liquidatorio l’esito è quasi scontato perché o accettano quella percentuale o si va a fallimento dove forse prenderanno meno). Omologato il concordato, il Liquidatore esegue le vendite e paga i creditori il 25%. La società viene poi cancellata. In questo modo l’imprenditore ha evitato il fallimento e le sue conseguenze (ad esempio, inabilitazione all’esercizio di impresa per qualche anno, ecc.), conducendo lui stesso, sotto controllo del giudice, la liquidazione. Attenzione: se poi il ricavato fosse inferiore alle stime, i creditori dovranno accontentarsi di quanto c’è, ma l’importante per legge è che ex ante il piano offrisse almeno quel 20% in base a valutazioni attendibili. Dunque vi è responsabilità dell’attestatore e del proponente nel giurare su stime realistiche.
  • Concordato “misto” o con classi differenti: in alcuni casi i piani prevedono che una parte dell’azienda continui e una parte sia liquidata. È ammesso presentare proposte combinate (ad es. tenere un ramo d’azienda e liquidarne un altro). In tali situazioni si applicheranno le regole prevalenti: se c’è prevalente continuità, non valgono le soglie del 20%; se prevale la liquidazione, invece sì. La presenza di classi consente di trattare diversamente creditori coinvolti nella continuità (es. fornitori che continuano rapporti possono essere pagati integralmente nel tempo) e creditori che invece vengono liquidati. Il concordato è molto flessibile nella struttura, purché rispetti le norme di rango superiore (ad es. i lavoratori vanno comunque soddisfatti prima di altri).

Quali sono i principali effetti protettivi del concordato per il debitore? Oltre alla già citata sospensione delle azioni esecutive e cautelari (nessun creditore può pignorare, né acquisire pegni/ipoteche giudiziali dopo la pubblicazione della domanda), vi è il blocco degli interessi sui debiti chirografari (non maturano più interessi durante la procedura), e l’impossibilità di iniziare o proseguire istanze di fallimento (nessuno può chiederne la liquidazione giudiziale finché pende il concordato). Inoltre, il debitore può ottenere atti urgenti autorizzati (es. pagamento di fornitori strategici, finanziamenti prededucibili per la continuità) senza incorrere in revocatoria . In sintesi, il concordato crea uno scudo attorno all’azienda mentre si attua il piano.

Responsabilità e ruolo dell’imprenditore: va ricordato che l’accesso al concordato al momento giusto può esonerare l’imprenditore da responsabilità per aggravamento del dissesto. Se invece attende troppo e arriva a un punto di non ritorno senza aver attivato strumenti, rischia come detto azioni di responsabilità. Dunque, quando appare chiaro che serve una soluzione concorsuale, è bene che l’amministratore porti i libri in tribunale volontariamente piuttosto che essere trascinato dai creditori. Oltretutto, se il concordato viene omologato e poi eseguito, l’azienda (o l’imprenditore individuale) si libera definitivamente dei debiti residui sorti prima del concordato: è un effetto di fresh start. Invece nel fallimento, come vedremo, solo le persone fisiche possono ottenere esdebitazione, mentre una società si estingue con i debiti insoddisfatti che restano non recuperati per i creditori (anche se questi non potranno più agire perché la società non esiste più).

2. Concordato “semplificato” per la liquidazione del patrimonio: questa è una procedura speciale, introdotta nel 2021 e ora all’art. 25-sexies CCII, pensata come via d’uscita di emergenza se fallisce la composizione negoziata . In pratica, se l’imprenditore ha provato la composizione negoziata ma non è riuscito a raggiungere accordi con i creditori, può entro 60 giorni dalla chiusura di quella procedura presentare al tribunale una proposta di concordato liquidatorio “semplificato”, senza necessità di passare dal voto dei creditori . È il giudice che valuta ed eventualmente omologa la proposta dopo aver sentito i creditori (possono fare osservazioni, ma non votano). I requisiti di contenuto sono simili a un concordato liquidatorio (liquidazione di tutti i beni, distribuzione ai creditori secondo cause di prelazione, ecc.), ma non vi sono le soglie del 20% e 10% – essendo una procedura di “ultima spiaggia”, può essere omologata anche se dà meno del 20%, purché sia il meglio possibile in quel frangente. Condizione fondamentale: l’esperto della composizione deve attestare che il debitore ha condotto le trattative con correttezza e che non c’erano soluzioni migliori praticabili . In altri termini, il debitore deve aver meritato questa scorciatoia, dimostrando di aver tentato tutto in buona fede. Il concordato semplificato prevede la nomina di un Liquidatore (diverso dal debitore) che realizza l’attivo. Dal punto di vista del debitore imprenditore, questo strumento è utile perché evita il fallimento senza dover ottenere il voto (che sarebbe impossibile, visto che i creditori non erano d’accordo in composizione). Tuttavia, essendo una procedura nuova, i creditori potrebbero contestarla in sede di omologa: il tribunale comunque decide secondo convenienza oggettiva. Nota: la Cassazione ha già chiarito che il concordato semplificato è a pieno titolo una procedura concorsuale, soggetta alle stesse regole di competenza e con gli stessi effetti delle altre (Cass. Sez. I n. 9730/2023) . Quindi per l’imprenditore offre gli stessi benefici del concordato ordinario (sospensione azioni, ecc.) pur senza voto.

In conclusione sul concordato: è uno strumento potente, ma impegnativo. Un imprenditore dovrebbe affrontarlo con il supporto di consulenti esperti e con piena trasparenza di informazioni verso il tribunale e i creditori. Se usato correttamente, può salvare l’azienda (continuità) o quantomeno chiudere la vicenda debitoria in modo ordinato (liquidatorio), evitando le incognite del fallimento.

3. Liquidazione Giudiziale (ex Fallimento): rappresenta l’extrema ratio, la procedura concorsuale liquidatoria disposta dall’autorità giudiziaria quando l’impresa si trova in stato di insolvenza irreversibile. La liquidazione giudiziale (nuova denominazione del fallimento dal 15 luglio 2022) viene aperta su ricorso di un creditore, del debitore stesso o d’ufficio dal tribunale, previa verifica dei presupposti: stato d’insolvenza accertato e superamento delle soglie dimensionali (le imprese piccolissime e i non imprenditori commerciale non falliscono ma vanno nelle procedure di sovraindebitamento). Effetti: la sentenza di liquidazione giudiziale comporta lo spossessamento dell’imprenditore dai suoi beni (che passano sotto la gestione di un Curatore nominato dal tribunale) e l’apertura del concors dei creditori: tutti devono presentare domanda di ammissione al passivo e verranno soddisfatti, dopo la liquidazione dei beni, secondo l’ordine delle cause di prelazione. Dal punto di vista del debitore, il fallimento è ovviamente uno scenario indesiderato: l’imprenditore perde la gestione, subisce spesso lo stigma reputazionale e limitazioni (gli amministratori di società fallite non possono ricoprire altre cariche per un certo periodo, sono soggetti a possibile interdizione, e possono subire controlli anche sulla propria sfera personale ad es. se ci sono azioni di responsabilità o revocatorie personali). Tuttavia, se arrivati a questo punto, occorre collaborare con il Curatore per massimizzare la soddisfazione dei creditori e guadagnarsi eventuali benefici di legge (ad esempio l’esdebitazione per l’imprenditore persona fisica).

Ruolo del debitore nel fallimento: nelle società di capitali, una volta nominato il Curatore, l’organo amministrativo perde i poteri. I soci perdono il capitale investito e la società verrà cancellata a fine procedura. Gli amministratori restano in carica solo formalmente per eventuali atti di collaborazione (devono consegnare i libri contabili, fornire informazioni, etc.), ma di fatto cessano ogni attività di gestione. Se l’imprenditore è una persona fisica (ditta individuale), con la sentenza di fallimento il suo patrimonio personale (esclusi i beni impignorabili) viene gestito dal Curatore per pagare i debiti d’impresa; egli mantiene la capacità giuridica ma con limitazioni (non può gestire i suoi beni correnti oltre la normale amministrazione, e se produce nuovo reddito durante la procedura gliene viene lasciata solo una parte per vivere). Difendersi in sede di liquidazione giudiziale significa soprattutto vigilare che i propri diritti vengano rispettati: il debitore può proporre reclamo contro la sentenza di fallimento se ritiene non sussistano i presupposti, oppure segnalare eventuali errori del Curatore. Può anche presentare (entro precisi termini) proposta di concordato fallimentare, cioè offrire ai creditori un accordo anche dopo la dichiarazione di fallimento, per chiudere anticipatamente la procedura (ad esempio trovando un investitore che paga una certa percentuale ai creditori per evitare la liquidazione integrale). Questo è un modo di “riprendere in mano” la situazione in extremis. Ma al di là di ciò, il debitore fallito deve soprattutto evitare comportamenti scorretti: occultare beni, non cooperare col Curatore, distrarre attivi durante il fallimento, sono condotte che integrano reati di bancarotta e precludono l’esdebitazione.

Durata e esito: una liquidazione giudiziale può durare anni, specie se ci sono molti beni da vendere o cause pendenti. Alla fine, la società viene cancellata se debitrice persona giuridica; se il debitore è persona fisica, si chiude la procedura e può chiedere l’esdebitazione, ossia la cancellazione dei debiti rimasti insoddisfatti . L’esdebitazione (disciplinata dall’art. 278 CCII e seguenti) è concessa se il fallito ha cooperato, non ha commesso irregolarità gravi e non ha beneficiato di altra esdebitazione nei 5 anni precedenti, ecc. Per il debitore onesto ma sfortunato, è una seconda chance: una volta ottenuta (sentenza del tribunale), i creditori non possono più pretendere nulla per i debiti anteriori. Va notato che con la riforma esiste anche l’esdebitazione dell’incapiente per il soggetto meritevole che non ha alcun attivo: anche senza pagamento alcuno, può essere liberato dai debiti, ma è un istituto che riguarda più i consumatori o piccoli imprenditori non fallibili.

Perché preferire concordato vs fallimento dal lato debitore: il concordato è volontario e consente all’imprenditore di gestire la crisi (almeno in parte) e magari conservare l’azienda; il fallimento è coatto e gestito da terzi, con possibile dispersione di valore (i beni venduti all’asta spesso realizzano meno). Inoltre il concordato evita all’imprenditore alcune infamie (ad es. l’annotazione nel casellario fallimentare, alcune restrizioni). Certo, in concordato bisogna offrire ai creditori qualcosa di appetibile; se non lo si può fare, il fallimento sarà inevitabile. Ma l’importante è non cadere nel fallimento per inerzia: se c’è ancora spazio di manovra, meglio usarlo.

Considerazioni finali: per un’azienda indebitata come la nostra ipotetica Scambiatore S.r.l., la liquidazione giudiziale rappresenta il fallimento del tentativo di risanamento. Spesso i creditori chiedono il fallimento quando perdono fiducia nelle soluzioni proposte dal debitore o temono atti di dissipazione. Dal canto suo, il debitore può anche valutare di attivare lui stesso il fallimento depositando ricorso di liquidazione controllata (se non soggetto a fallimento) o istanza di auto-fallimento: può sembrare strano “chiedere il proprio fallimento”, ma a volte è un atto dovuto per non aggravare ulteriormente i debiti e per evitare accuse di ritardo colposo. Inoltre, un auto-fallimento ben gestito (con documentazione ordinata, piena collaborazione) può facilitare la successiva esdebitazione e ridurre i sospetti di irregolarità. Insomma, quando ogni strada è preclusa, affrontare la liquidazione con correttezza è l’ultima forma di difesa: ci si difende dall’illegalità, ottenendo almeno di chiudere la partita e potersi eventualmente riscattare in futuro senza lo strascico perpetuo dei debiti.

4. Altre procedure e cenni (amministrazione straordinaria e sovraindebitamento): per completezza, segnaliamo che esistono procedure concorsuali speciali: l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi (Leggi Prodi-bis e Marzano) applicabile a imprese con oltre 200 dipendenti e gravi crisi, mirata a salvaguardare la continuità su scala nazionale – non è il caso tipico della nostra azienda di medie dimensioni. Dall’altro lato, per i debitori minori non soggetti a fallimento (piccole imprese sotto certe soglie, imprenditori agricoli, professionisti e consumatori) vi sono le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento: nel CCII sono previste il concordato minore (simile al concordato preventivo ma senza soglie di fallibilità) , il piano di ristrutturazione del consumatore e la liquidazione controllata (equivalente del fallimento per i non fallibili). Nel nostro contesto aziendale, presumiamo un’impresa soggetta a fallimento, quindi abbiamo focalizzato su accordi e concordati. Ma un piccolo imprenditore individuale con debiti, ad esempio, potrebbe percorrere la via del concordato minore per evitare il fallimento (se il tribunale accerta che non superava i limiti di legge). Il concordato minore richiede il voto dei creditori come quello preventivo e serve a chiudere la crisi per micro-imprese, garantendo comunque il rispetto delle cause di prelazione .

Abbiamo così passato in rassegna l’arsenale di strumenti di cui dispone un’azienda in crisi. Dal punto di vista del debitore, la sfida è scegliere lo strumento giusto al momento giusto: spesso si parte dalle soluzioni negoziali meno invasive e, solo se queste non bastano, si passa ai procedimenti giudiziali più strutturati. Nella sezione seguente affronteremo alcuni casi pratici e strategie difensive specifiche, come l’opposizione ai decreti ingiuntivi, la tutela del patrimonio personale dell’imprenditore, le responsabilità legali da evitare e altre domande frequenti che un debitore si pone quando è sotto assedio dei creditori.

Difendersi dalle azioni dei creditori: strumenti legali di opposizione e tutela

Oltre a pianificare il risanamento tramite gli strumenti visti, un debitore deve spesso fronteggiare nell’immediato le iniziative aggressive dei singoli creditori: cause civili, decreti ingiuntivi, pignoramenti, istanze di fallimento, ecc. In questa sezione esaminiamo le possibili mosse difensive “tattiche” che l’azienda (o l’imprenditore) può mettere in atto nel procedimento civile ed esecutivo, per guadagnare tempo o evitare esiti peggiori, sempre restando nei confini della legalità.

Opposizione a decreto ingiuntivo: come già accennato, il decreto ingiuntivo è uno strumento rapido con cui un creditore ottiene un titolo esecutivo. Quando viene notificato un decreto ingiuntivo, il debitore ha 40 giorni di tempo per proporre opposizione (art. 641 c.p.c.), a meno che il giudice non abbia concesso un termine più breve in casi eccezionali o più lungo per crediti esteri (fino a 60 gg) . L’opposizione si propone con atto di citazione dinanzi al tribunale che ha emesso il decreto; con l’opposizione il debitore diventa attore e può contestare nel merito l’esistenza o l’ammontare del credito. Effetto dell’opposizione: se il decreto non era provvisoriamente esecutivo, la notifica dell’opposizione sospende l’efficacia esecutiva: in sostanza, il decreto non può essere utilizzato per eseguire pignoramenti fino all’esito del giudizio di opposizione (salvo che il creditore chieda al giudice, dopo, una concessione di provvisoria esecutorietà in corso di causa). Se invece il decreto era già dichiarato esecutivo ex lege o dal giudice, l’opposizione non sospende automaticamente l’esecuzione: il debitore deve chiedere al giudice dell’opposizione un provvedimento di sospensione (art. 649 c.p.c.) motivando che dall’esecuzione deriverebbe un danno grave e che l’opposizione presenta fondati motivi . Tali sospensioni non sono facili da ottenere: occorre far emergere nell’atto di opposizione contestazioni serie (es. eccepire pagamenti già avvenuti, prescrizione, inesistenza del contratto, errori di calcolo macroscopici, ecc.).

Dal punto di vista pratico, decidere se fare opposizione è un delicato bilanciamento: se il debito è innegabile e documentato, l’opposizione servirà solo a posticipare l’inevitabile e comporterà costi ulteriori (l’azienda può essere condannata poi a spese legali). Tuttavia, anche in assenza di ragioni di merito forti, a volte l’opposizione può avere lo scopo di guadagnare tempo per completare una trattativa o predisporre un piano di concordato (di cui informare poi il giudice per ottenere una sospensione). Questa è una tattica lecita, purché non si adduca in giudizio argomenti manifestamente infondati in mala fede (che potrebbero esporre a responsabilità per lite temeraria). Ad esempio, si può contestare la quantificazione degli interessi o l’applicazione di penali contrattuali ritenute eccessive, anche solo per avere margine di manovra. Attenzione: se ci si trova già nella fase esecutiva (es. il decreto è stato notificato come esecutivo e contestualmente c’è un pignoramento in atto), l’opposizione a decreto ingiuntivo non basta: serve eventualmente un’opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) per contestare il diritto del creditore di procedere esecutivamente, oppure un’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) per vizi formali degli atti esecutivi. Queste opposizioni hanno termini molto brevi (5 giorni per atti esecutivi) e sono anch’esse complesse. Quindi meglio muoversi prima, a livello di decreto, piuttosto che far partire il pignoramento.

Istanza di fallimento da parte di un creditore: un’altra minaccia è la possibilità che un creditore presenti ricorso per liquidazione giudiziale (fallimento). Se l’azienda ha debiti scaduti e non pagati e appare insolvente (pignoramenti infruttuosi, ecc.), qualunque creditore (anche uno solo, per importi rilevanti) ha legittimazione a chiedere al tribunale la dichiarazione di insolvenza. Come difendersi? Innanzitutto, verificando se sussistono i requisiti: la legge esonera dagli strumenti liquidatori le imprese minori (attivo annuo sotto €300k, ricavi sotto €200k, debiti sotto €500k; basta superare 1 di questi parametri in ciascuno degli ultimi 3 esercizi per essere fallibili). Se l’azienda è davvero piccola, si può eccepire l’improcedibilità per difetto di “dimensione fallibile”. In caso contrario, se l’insolvenza è conclamata, l’unica difesa reale è presentare al più presto un’istanza alternativa: tipicamente, depositare un ricorso per concordato preventivo prima (o contestualmente) all’udienza pre-fallimentare. Così facendo, la procedura di concordato prevale e l’istanza di fallimento viene sospesa; se poi il concordato viene ammesso, il fallimento non sarà dichiarato (a meno che il concordato poi non si completi). Questo meccanismo – noto come “ombrello protettivo” del concordato – è stato in passato oggetto di qualche abuso (concordati presentati in extremis solo per bloccare i fallimenti, poi ritirati), ma il CCII ora richiede la buona fede del debitore. C’è anche l’istituto del concordato in bianco (ricorso con riserva di presentare il piano entro tot tempo, ex art. 44 CCII) che consente di ottenere lo stay immediato e un termine fino a 120 giorni per presentare la proposta definitiva . Dunque, se arriva voce che un creditore intende farci fallire, una mossa sensata del debitore è: predisporre velocemente almeno un ricorso con riserva di concordato, depositarlo e chiedere così al tribunale la protezione. Questo non significa che si eviterà per sempre il fallimento (se poi non si presenta un buon piano, si finirà comunque in default), ma sposta la vicenda su binari più gestibili dal debitore.

Se il ricorso di fallimento è già depositato e notificato, il debitore deve comparire in udienza (personalmente o tramite legale) e può chiedere un termine per presentare un concordato (il tribunale può concedere fino a 45 giorni di rinvio, ex art. 44 co.1 CCII). Oppure può opporsi contestando l’insussistenza dell’insolvenza (magari provando di avere patrimonio sufficiente o crediti esigibili per pagare, o di aver già pagato il creditore istante). Tuttavia, se effettivamente i debiti non si riescono a pagare, ostinarsi a negare l’insolvenza senza elementi concreti difficilmente convince i giudici e può peggiorare la posizione (dando impressione di mala fede). A volte è più strategico accettare il fallimento concordando col creditore un breve rinvio per sistemare le ultime cose (es. depositare bilanci, nominare un difensore) in modo da rendere poi la procedura più ordinata.

Opposizione all’esecuzione (pignoramento): se un creditore ha già avviato un’esecuzione forzata (p.es. pignoramento di un macchinario o del conto bancario), le difese possibili sono: (a) opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. se si contesta il titolo esecutivo o l’ammontare (ad esempio, il decreto ingiuntivo non è definitivo e non è esecutivo ma il creditore esegue lo stesso; oppure il credito era stato pagato in parte e il creditore ne chiede di più); (b) opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. se vi sono vizi formali negli atti (es. il pignoramento è stato notificato in modo irregolare). Queste opposizioni si introducono con ricorso al giudice dell’esecuzione e vanno fatte molto tempestivamente (l’opposizione agli atti entro 5 giorni dalla notifica dell’atto viziato!). Spesso, salvo errori palesi del creditore, l’esecuzione sarà legittima. In tali casi, un’azienda debitrice può tuttavia chiedere una conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): offrire al posto del bene pignorato una somma di denaro corrispondente al credito + spese + 1/5, depositandola in tribunale, per poi liberare il bene. Ma se l’azienda avesse quei soldi, probabilmente avrebbe già pagato… Quindi è un’opzione che raramente il debitore in crisi può usare, se non con l’aiuto di terzi (es. un parente presta i soldi per liberare un macchinario essenziale, evitando che vada all’asta).

Un altro aspetto: se l’esecuzione colpisce beni essenziali all’attività (macchinari, automezzi), in attesa di concordato l’azienda può chiedere al giudice dell’esecuzione la sospensione ex art. 624 c.p.c. allegando che sta per depositare un concordato; alcuni giudici concedono brevi sospensioni in attesa di vedere se parte una procedura concorsuale, altri no. Una volta depositato ufficialmente il ricorso di concordato o l’ammissione alla composizione negoziata con misure protettive, il pignoramento viene comunque sospeso per legge (si comunica il provvedimento al giudice dell’esecuzione e questi dichiara la sospensione ex art. 54 CCII). Quindi la difesa strutturale è sempre quella: incanalare il problema in sede concorsuale.

Tutela del patrimonio personale dell’imprenditore: per l’imprenditore-socio di società di capitali (es. S.r.l.), il vantaggio è la separazione patrimoniale: i beni personali non rispondono dei debiti sociali, salvo il caso di fideiussioni o altri impegni personali. Quindi una difesa importante per l’imprenditore è aver limitato l’esposizione personale. Se però (come spesso avviene) ha concesso fideiussioni alle banche o ipoteche su beni propri, quelle obbligazioni rimangono anche se la società fa concordato o fallisce (il garante non è protetto dalla procedura, a meno che la banca soddisfatta in procedura non possa più escutere il resto – ma di solito c’è beneficio di escussione solo nel concordato se previsto). Il garante può cercare di inserirsi nei negoziati: ad esempio, proponendo un accordo al creditore garantito in cui lui stesso paga parzialmente il debito per liberare la garanzia. Oppure, se la società va in default e il garante è escusso, egli subentra nei diritti del creditore (surroga) e potrà insinuarsi nel concorso per recuperare qualcosa. Dal lato pratico, per proteggere i propri beni, l’imprenditore può valutare assetti come il fondo patrimoniale (per soggetti sposati, vincolando beni a bisogni famigliari: ma non protegge da debiti di impresa contratti per esigenze aziendali, i creditori possono aggredire lo stesso se provano che il debito era per l’attività economica) o trust e vincoli vari; tuttavia, fare tali atti in situazione di insolvenza conclamata è pericoloso: può integrare frode ai creditori, con annullabilità degli atti in revocatoria fallimentare e possibile reato di bancarotta fraudolenta per distrazione (se si spostano beni per sottrarli ai creditori) . Quindi la difesa lecita del patrimonio personale va pianificata in tempi non sospetti (es. diversificare gli intestatari dei beni di famiglia, stipulare polizze vita impignorabili, ecc.). In extremis, un imprenditore può anche valutare la procedura di sovraindebitamento personale: se, ad esempio, ha garantito i debiti dell’azienda e questa fallisce lasciandogli addosso debiti enormi, lui come persona fisica (non fallibile in proprio se era solo socio di S.r.l. non obbligato, ma debitore per fideiussione) può accedere alla liquidazione controllata per sovraindebitamento e poi all’esdebitazione. È una forma di “fallimento personale” che libera dai debiti residui onorando i creditori con il suo patrimonio. Ciò ovviamente è l’ultima risorsa.

Responsabilità penali dell’imprenditore: abbiamo toccato vari punti: ricordiamo qui in sintesi che il debitore deve evitare accuratamente condotte che possano configurare reati:

  • Bancarotta fraudolenta o semplice: se si prospetta un fallimento, ogni atto di distrazione di beni, occultamento di contabilità, pagamenti preferenziali a taluni creditori, od operazioni dolose (es. attività imprudenti che aggravano il dissesto) potrà essere passato al setaccio dal Curatore e dal PM. L’amministratore di diritto e di fatto rispondono (anche l’amministratore “ombra” viene ritenuto responsabile, come da Cass. 36582/2024 ). Non c’è difesa dopo il fatto: la difesa è prevenire il fatto. Quindi niente vendite sottocosto a società di amici, niente prelievi di cassa a titolo personale lasciando i debiti fiscali, niente sparizione di merci dal magazzino. La migliore linea difensiva penale per l’imprenditore è tenere una gestione più trasparente possibile durante la crisi, documentando ogni spesa e motivandola come funzionale all’attività, e quando chiude, lasciare conti in ordine e libri a disposizione.
  • Reati tributari: come visto, soglie di punibilità: >€250k IVA, >€150k ritenute (ora 10k per contributi). Se sforate, l’azione di difesa consiste nel cercare di pagare prima possibile per rientrare sotto soglia (spesso la legge prevede che se paghi il debito prima della dichiarazione del dibattimento, estingui il reato). In un concordato, ad esempio, un imprenditore può impegnarsi a pagare integralmente l’IVA (così non commette reato, dato che se viene falcidiata potrebbe comunque rispondere penalmente per la parte non pagata? In verità vi è dibattito se omologando un concordato che riduce IVA ciò abbia effetti sul penale; prudenza vuole offrire almeno il minimo per non far scattare l’elemento oggettivo del reato). Consultare un penalista tributario in parallelo è saggio quando si hanno grossi debiti IVA.
  • Altri reati: falso in bilancio (se per ottenere credito ha truccato i conti, e poi salta fuori in fallimento – Cassazione punisce il falso in bilancio aggravato dall’insolvenza), usura se c’era factoring anomalo, ecc. Ma sono situazioni specifiche.

Insomma, difendersi dai debiti vuol dire anche difendersi dalle conseguenze legali dei debiti: l’imprenditore deve mettere in sicurezza sé stesso comportandosi correttamente durante la crisi, sfruttando gli strumenti legali consentiti (anche la dilazione di pagamenti e l’uso di procedure concorsuali sono strumenti leciti di difesa) e rinunciando invece a scorciatoie illecite che potrebbero dare un effimero sollievo ma poi presentano il conto (giudiziario).

Passiamo ora, per consolidare quanto detto, a domande frequenti e relative risposte, in modo da chiarire dubbi specifici dal punto di vista di un imprenditore/debitore in crisi.

Domande frequenti (FAQ)

D.1: La mia azienda è piena di debiti e un fornitore minaccia di “portarmi i libri in tribunale”. Può davvero far fallire la mia società anche se è un solo creditore? Cosa posso fare per impedirlo?
R.1: Sì, anche un solo creditore può presentare istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) se la tua azienda è insolvente e supera le soglie di fallibilità. Non serve l’accordo di più creditori: basta uno con un credito certo, scaduto e non pagato, e la prova che la società non è in grado di adempiere alle obbligazioni (insolvenza) . Per evitarlo, hai alcune opzioni: (a) pagare o accordarti con quel creditore (ad esempio concordando un piano di rientro, così ritira l’istanza); (b) se non puoi pagare subito, valutare di presentare tu stesso un ricorso per concordato preventivo (anche con riserva) prima dell’udienza: ciò, ex lege, sospende la procedura di fallimento e ti consente di proporre un piano ai creditori ; (c) dimostrare che non sussiste insolvenza, ad esempio perché il debito è contestato o perché hai patrimonio liquidabile sufficiente a pagare (anche se non liquido nell’immediato). In pratica, la difesa migliore è giocare d’anticipo: non aspettare passivamente. Se vedi che un creditore è determinato a chiedere il fallimento, considera tu la possibilità di una procedura concorsuale alternativa (un concordato), così mostri al tribunale che c’è una soluzione migliore del fallimento. Ricorda che la minaccia del fornitore va presa sul serio: di solito, prima di depositare l’istanza, il creditore ti avvisa per darti un’ultima chance. Non ignorarlo. Consulta subito un legale e predisponi la tua contromossa. Ad esempio, Cassazione ha affermato che presentare domanda di concordato preventivo prima o durante il procedimento pre-fallimentare vincola il tribunale a privilegiare il concordato (se ammissibile) . Quindi è un tuo diritto, sfruttalo se hai un piano percorribile.

D.2: Che differenza c’è tra il concordato preventivo e l’accordo di ristrutturazione dei debiti? Quale conviene usare?
R.2: Entrambi sono strumenti per evitare il fallimento regolando i debiti, ma presentano differenze importanti . In sintesi: il concordato preventivo è una procedura concorsuale vera e propria, coinvolge tutti i creditori, richiede un voto di maggioranza e l’omologazione del tribunale; una volta omologato, vincola tutti (anche chi ha votato contro) . L’accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD) invece è fondamentalmente un contratto tra il debitore e una parte dei creditori (almeno il 60% in valore) omologato dal tribunale . I creditori dissenzienti o estranei all’accordo non sono vincolati da esso e vanno pagati integralmente fuori dall’accordo (salvo alcune eccezioni per banche o Erario con “cram-down” settoriale) . Vantaggi dell’ARD: è più snello (niente voto formale, bastano le firme), più riservato (si può chiedere che i dettagli non diventino pubblici per non danneggiare la reputazione aziendale ) e flessibile (puoi escludere alcuni creditori, modulare liberamente il trattamento di chi aderisce senza dover garantire soglie minime di soddisfacimento come nel concordato) . Svantaggi: devi ottenere l’accordo della maggioranza qualificata prima e gli estranei rimangono fuori (quindi devi disporre di risorse per pagarli o per cautelarli, altrimenti possono far saltare il banco) . In pratica, l’accordo conviene quando hai pochi creditori determinanti (tipicamente, banche) con cui riesci a trovare un’intesa e i creditori minori puoi comunque soddisfarli normalmente . Il concordato conviene quando devi coinvolgere tutti i creditori, anche quelli che non vogliono aderire volontariamente – ad esempio, se hai tanti fornitori piccoli, o se devi imporre un sacrificio pure a chi dissente (nel concordato, la maggioranza vince sulla minoranza dissenziente) . Inoltre, se l’azienda ha bisogno di una ristrutturazione operativa profonda e vuole continuare l’attività, il concordato in continuità offre un quadro completo (blocco azioni, possibilità di reperire finanza in prededuzione, gestione dei contratti pendenti, ecc.) che un accordo privato non dà appieno. Conclusione: se il problema è per lo più finanziario e circoscritto (es. ristrutturare debiti bancari e dilazionare fornitori principali) e hai un buon dialogo con i creditori, tenta prima un accordo di ristrutturazione . Se invece la platea dei creditori è ampia e disomogenea o devi tagliare significativamente i debiti, probabilmente servirà un concordato preventivo . Tieni presente che puoi anche passare dall’uno all’altro: molti accordi falliscono perché manca qualche adesione e allora si convertono in un concordato. Valuta anche i costi e i tempi: un accordo può chiudersi in pochi mesi, un concordato richiede spesso 6-12 mesi fino all’omologa.

D.3: Ho dato una fideiussione personale alla banca per i debiti della mia società. Se la società non paga e va in concordato o fallimento, la banca può rivalersi su di me?
R.3: . La fideiussione è un’obbligazione autonoma del garante (tu, persona fisica) verso la banca. Se la società-debitore principale non paga alle scadenze originarie, la banca può esigere da te l’intero importo garantito, indipendentemente dal fatto che la società avvii un concordato o venga dichiarata fallita. Le procedure concorsuali della società non bloccano le azioni contro i coobbligati o garanti (salvo in casi particolari di concordato con garanzia del debitore, non il nostro caso) . Quindi la banca potrebbe, ad esempio, notificarti un decreto ingiuntivo o escutere il tuo patrimonio (conto corrente, immobili) per soddisfare il credito. Che succede però se il credito della banca viene in parte soddisfatto nella procedura concorsuale della società? In tal caso, tu come fideiussore avresti pagato più del dovuto. Dunque, il garante ha diritto di surroga: se paghi alla banca, subentri nelle ragioni di credito di questa verso la società (per l’importo pagato) e potrai insinuarti nel passivo del concordato/fallimento al posto della banca e prendere eventualmente i dividendi che spettavano a lei . Ad esempio: società deve 100, concordato prevede di pagarne 30%; se tu garante paghi 100 alla banca, poi ti insinui per 100 e prendi 30 dalla procedura. Tu avrai comunque perso 70. Per questo, come garante, potresti preferire non pagare subito 100, ma attendere l’esito della procedura: nel concordato, la banca su 100 prenderebbe 30 e per il resto (70) non potrebbe più nulla, ma la fideiussione teoricamente ti obbliga a pagare anche quel 70 perché la liberazione del debitore principale in concordato non si estende ai coobbligati (art. 280 CCII). Attenzione: la Cassazione in passato ha chiarito che l’esdebitazione o gli accordi del debitore principale non liberano il fideiussore . Quindi formalmente la banca potrebbe chiederti il 70 residuo. A quel punto tu paghi e non puoi neanche surrogarti perché il concordato si è chiuso (quel 70 è stato stralciato ai fini della società, ma tu l’hai dovuto pagare per effetto del tuo contratto). Sembra duro ma è così: la fideiussione tipicamente rinuncia ai “benefici di escussione” dopo la delibera di fallimento o concordato. Spesso anzi nei contratti c’è clausola che l’eventuale riduzione del debito del debitore principale (per concordato o altro) non pregiudica i diritti della banca verso il fideiussore. Quindi morale: come garante potresti essere chiamato a pagare ciò che ai creditori viene falcidiato in concordato. L’unica scappatoia è negoziare con la banca all’interno del piano di concordato un trattamento che coinvolga anche la liberazione delle fideiussioni (es. convincere la banca ad accettare la percentuale concordataria come soddisfacimento anche nei tuoi confronti – serve una liberatoria esplicita). Se la banca non ci sta, considera di dover onorare la fideiussione. In caso di fallimento, ancor più: la banca insinua 100 al fallimento, forse prende 10, e per 90 si rivale su di te. Tu poi potrai essere esdebitato come persona fisica dai debiti derivati dalla fideiussione, ma solo dopo aver attraversato la tua procedura di liquidazione personale. In sintesi, la fideiussione rompe il “paracadute” della responsabilità limitata: devi tenerne conto nelle strategie. Consiglio pratico: se prevedi un concordato per la società, parla con la banca per vedere se è disposta a liberare o ridurre la tua fideiussione in cambio magari di un pagamento leggermente superiore in concordato (es. invece di 30% gliene offri 35% purché rinunci a escutere te per il resto). Non sempre accettano, ma tentare può salvarti la casa.

D.4: La mia società ha debiti verso l’Erario molto alti (IVA, tasse) e so che di solito lo Stato non accetta tagli. È vero che i debiti fiscali non si possono ridurre nei concordati?
R.4: Non esattamente. Un tempo era quasi vero: fino a qualche anno fa, l’Erario aveva una posizione privilegiata e nei concordati preventivi si accettava solo la dilazione o al massimo il taglio di sanzioni e interessi, ma non il taglio dell’imposta. Ora, con la riforma, è possibile proporre il pagamento parziale anche dei tributi (imposte) in concordato o negli accordi, attraverso la transazione fiscale . L’Agenzia delle Entrate valuterà la proposta: se ritiene che prende almeno quanto otterrebbe in un fallimento, può acconsentire. Se rifiuta irragionevolmente, il tribunale può perfino scavalcare il suo dissenso e omologare lo stesso il concordato (o accordo) con cram-down fiscale, come previsto dall’art. 63 CCII . Quindi oggi i debiti IVA e tributari possono essere trattati alla pari degli altri, entro limiti di convenienza. Detto questo, l’Erario tende ad avere privilegi su molti crediti (IVA, ritenute hanno privilegio generale o speciale): ciò significa che nel concordato devi offrire almeno il pagamento integrale del valore di realizzo dei beni su cui quel privilegio insiste. In pratica, non puoi trattare l’Erario come un chirografario qualunque se ha garanzie o prelazioni; devi assicurare che la parte privilegiata del suo credito sia soddisfatta al 100% o in alta percentuale corrispondente a ciò che realizzerebbe in una liquidazione . Ad esempio, se il Fisco ha privilegio sul magazzino e nel concordato vendi il magazzino a 100, devi destinare quei 100 al Fisco (non puoi dare al Fisco 20 e usare 80 per altri senza il suo consenso). Tuttavia, la porzione chirografaria dei debiti fiscali (la parte non coperta da privilegio) può essere falcidiata come gli altri chirografari. E con la transazione fiscale, anche la parte privilegiata può essere pagata parzialmente, ma lì serve la maggioranza nel voto della classe Fisco e il via libera del giudice se il Fisco dissente . Riassumendo: non è vero che non si possono ridurre, ma bisogna farlo con criterio, con un’attestazione di convenienza e possibilmente cercando l’adesione del Fisco. Un aspetto chiave: i debiti per IVA e ritenute (che sono imposte “fiduciarie”) restano sensibili anche penalmente; se prevedi di non pagarli integralmente, sappi che comunque il concordato omologato non estingue il reato di omesso versamento (perché è punito indipendentemente dal successivo accordo transattivo) – benché ci sia dibattito, la Cassazione penale ha spesso affermato che il reato si configura al momento del mancato versamento e una successiva transazione in concordato non elimina l’offesa pregressa . Quindi, se possibile, è prudente offrire il pagamento integrale di IVA e ritenute nel piano (magari dilazionato, con stralcio solo di interessi/sanzioni) per evitare anche guai penali. In sintesi, si possono ridurre i debiti fiscali, ma con trattativa e nei limiti della convenienza rispetto all’alternativa. L’istituto è la transazione fiscale nel concordato o nell’accordo, su cui la giurisprudenza più recente è anche intervenuta per chiarire che un diniego del Fisco dev’essere motivato e può essere superato dal giudice . Quindi, c’è apertura, sfruttala: predisponi una proposta seria per il Fisco, allega una perizia che dimostra che quella è la miglior soluzione, e incrocia le dita.

D.5: La mia azienda in crisi potrebbe essere ceduta ad un concorrente. Se vendo l’azienda e incasso qualcosa, posso evitare il fallimento e pagare almeno in parte i creditori. Ci sono rischi nel trasferire l’azienda mentre ci sono debiti?
R.5: Trasferire l’azienda è spesso una buona via per salvare il valore produttivo e ottenere risorse per pagare i creditori, ma va fatto correttamente per evitare impugnative. I rischi principali sono: (a) che l’operazione sia considerata una frode ai creditori (ad esempio, se vendi a un prezzo troppo basso ad un soggetto compiacente lasciando i debiti in capo alla vecchia società – i creditori potrebbero agire in revocatoria ordinaria entro 5 anni, o il curatore in revocatoria fallimentare entro 2 anni, per far annullare la cessione come atto a titolo oneroso con consapevolezza del pregiudizio ); (b) che scatti la responsabilità dell’acquirente d’azienda per i debiti ex art. 2560 c.c.: chi compra un’azienda risponde dei debiti commerciali risultanti dai libri contabili obbligatori, salvo patto contrario non opponibile ai creditori senza consenso di questi. In pratica, se vendi l’intera azienda, il compratore potrebbe essere chiamato a pagare alcuni debiti, quindi di solito nell’accordo di vendita si prevedono meccanismi di accollo o di esclusione. Dal tuo lato, se l’acquirente non si fa carico di quei debiti, i creditori possono comunque rivalersi su di te (società venditrice). Per ridurre rischi di frode, conviene che la vendita avvenga a valore di mercato (magari con perizia indipendente) e possibilmente all’interno di una procedura concorsuale o pre-concorsuale, perché ciò dà trasparenza e opponibilità. Ad esempio, una vendita d’azienda in concordato preventivo (magari mediante procedura competitiva) è inattaccabile: il ricavato va al concordato e i creditori non possono lamentare frode . Se invece vendi privatamente e poi fallisci, il curatore scruterà: se hai venduto a prezzo congruo e l’incasso è rimasto in azienda (o usato per pagare alcuni debiti in buona fede), difficilmente verrà revocata (la vendita d’azienda può essere revocata in fallimento se fatta nell’anno prima del fallimento a prezzo non congruo, o se dolosamente pregiudizievole entro 5 anni). Un caso classico di pericolo è la cessione a newco creata dai soci stessi (il cosiddetto “phoenix”: vendi l’azienda pulita a una nuova società e lasci i debiti nella vecchia che fallisce) – questa operazione, se fatta a condizioni non di mercato, quasi certamente porta a una bancarotta fraudolenta per distrazione o a un’azione revocatoria . Dunque, se intendi vendere l’azienda, fallo a terzi indipendenti, a prezzo equo e preferibilmente con pubblicità. Puoi farlo prima di qualunque procedura, ma considera coinvolgere i creditori principali: ad esempio, fai approvare la vendita dal ceto bancario se hanno garanzie su asset, oppure informane l’eventuale esperto (se sei in composizione negoziata). Se sei già in crisi seria, valutare un concordato con continuità indiretta: vendi l’azienda a un concorrente all’interno del concordato, il prezzo che paga va nel piano per creditori, e tu chiudi la vecchia società senza attività ma con debiti falcidiati. Questo è spesso visto di buon occhio dal tribunale perché salva posti di lavoro e massimizza il valore (vendendo con asta competitiva, nessuno potrà dire che si poteva spuntare di più). Quindi, vendere l’azienda si può ed è lecito, ma attenzione a farlo in modo limpido. Mai trasferire asset a parenti o società amici per toglierli ai creditori: sarebbe facilmente smascherato e punito. Meglio farli comprare a prezzo giusto (se qualche soggetto vicino vuole aiutare, che lo faccia pagandoti davvero il valore del bene – i soldi incassati li userai per i creditori). Così non è frode. In conclusione, la cessione d’azienda può essere una mossa di difesa (ti procura liquidità e magari consente a un’altra azienda di proseguire l’attività), ma va coordinata col piano generale di sistemazione dei debiti, altrimenti risolvi uno scenario industriale creando però problemi legali se i creditori restano a bocca asciutta.

D.6: Dopo quanto tempo un imprenditore “pulito” dai debiti può ripartire se la sua azienda fallisce o va in concordato?
R.6: La “pulizia” dai debiti dipende dalla procedura e dal comportamento del debitore: – Se l’azienda chiude con concordato preventivo eseguito correttamente, la società esce dalla procedura priva dei debiti residuali (quelli stralciati non sono più esigibili). Per la società in sé non c’è un “dopo” se viene liquidata e cancellata. Per l’imprenditore, non c’è interdizione particolare dopo un concordato (a differenza del fallimento, il concordato non comporta pene accessorie come l’inabilitazione se non in casi di revoca per frodi). Quindi, terminato il concordato, i soci possono anche costituire nuove società subito. Certo, la reputazione commerciale potrebbe essere segnata, ma legalmente nulla osta. – Se c’è stato un fallimento (liquidazione giudiziale), l’imprenditore individuale o i garanti persone fisiche possono ottenere l’esdebitazione del residuo dei debiti subito dopo la chiusura della procedura o anche dopo 3 anni dalla apertura (nel CCII c’è possibilità di esdebitazione ante chiusura in certi casi). Una volta ottenuta l’esdebitazione con decreto del tribunale, i debiti sono cancellati e l’ex fallito può ripartire senza quel fardello . Tuttavia, ci sono tempistiche e restrizioni: ad esempio, durante la procedura e fino all’esdebitazione, l’ex fallito non può svolgere attività d’impresa come amministratore di società senza incorrere in limitazioni (in realtà può farlo ma con stigma, e se condannato per bancarotta avrà interdizioni). L’esdebitazione in genere viene concessa contestualmente alla chiusura del fallimento. In termini pratici, un fallimento medio dura 2-3 anni, poi ottieni l’esdebitazione e sei pulito, ma per 5 anni l’esdebitazione ottenuta è annotata e se commetti dolo verso i creditori quella protezione può essere revocata. Sul fronte pene accessorie: chi subisce un fallimento può incorrere, su decisione del tribunale fallimentare, in incapacità a esercitare l’attività commerciale e a ricoprire cariche direttive in società per anni 2 (di regola) . Questa è una sanzione civile del fallimento prevista dal vecchio art. 33 L.F. e ora dal CCII. Quindi, dopo un fallimento, per un certo periodo non puoi essere amministratore di S.r.l. o SPA (ti serve riabilitazione o attesa termine). Se però ottieni l’esdebitazione e dimostri buona fede, puoi anche chiedere di anticipare la riabilitazione. – Caso di concordato semplificato o liquidazione del sovraindebitato: analoghi al fallimento riguardo all’esdebitazione, ma senza pene accessorie. Ad esempio, un imprenditore minore sovraindebitato può subito dopo la liquidazione controllata ottenere l’esdebitazione e non ha interdizioni (le interdizioni erano proprie del fallimento). – In generale, per l’imprenditore persona fisica onesto c’è oggi una volontà legislativa di concedere rapidamente la seconda chance (fresh start) . La Costituzione (art. 3 citato in Corte Cost. n. 120/2020) è stata interpretata nel senso di favorire l’esdebitazione. Quindi, ipotizzando che tu agisca correttamente, nel giro di qualche anno potrai ripartire senza debiti pregressi. Un rischio è se incappi in condanne per bancarotta o reati: in tal caso, oltre alle pene principali, potresti avere interdizioni dai pubblici uffici o dall’esercizio d’impresa per molti anni (la bancarotta fraudolenta comporta ad esempio l’interdizione dai diritti civili per 10 anni e l’incapacità a esercitare imprese o uffici direttivi per 10 anni ). Una recente Cassazione 2024 (sent. 38896/2024) ha ribadito che l’amministratore formale condannato per bancarotta non potrà costituire o amministrare società per il periodo stabilito nella sentenza . Quindi la pulizia dai debiti è una cosa (esdebitazione), la riabilitazione morale e legale è un’altra: se non hai condanne, la strada è libera; se hai condanne, dovrai attendere di scontare le pene accessorie o chiedere una riabilitazione penale (dopo tot anni dal fine pena).

D.7: Durante la crisi ho dovuto scegliere quali creditori pagare: ho privilegiato quelli essenziali (fornitori di cui avevo bisogno subito) e non ho pagato altri. Posso avere problemi per queste scelte?
R.7: Potenzialmente . Dal punto di vista civilistico, i pagamenti preferenziali fatti a insolvenza già conclamata entro l’anno prima del fallimento possono essere soggetti a azione revocatoria fallimentare (art. 164 CCII) da parte del curatore: il creditore che ha ricevuto il pagamento “preferenziale” (che migliora la sua posizione rispetto agli altri) può essere costretto a restituirlo al fallimento . Ci sono eccezioni: piccoli pagamenti entro limiti di importo non si revocano più, e pagamenti fatti nell’esercizio dell’attività correnti a condizioni normali non si revocano. Ad esempio, pagare la bolletta elettrica anche se insolvente non è revocabile, perché fatto a condizioni usuali e per utilità corrente. Pagare invece un fornitore vecchio arretrato e lasciare a zero altri, può essere revocato. Dal lato penale, se poi seguisse un fallimento, quelle scelte potrebbero configurare bancarotta preferenziale (punita dall’art. 322 CCII, già art. 216 L.F.): favorire alcuni creditori a detrimento di altri in situazione di dissesto è reato, salvo che si tratti di pagamenti obbligatori per legge (stipendi, tributi). Ad esempio, vendere un macchinario e con l’incasso pagare integralmente un solo fornitore amico trascurando gli altri è preferenza dolosa. Se invece hai pagato fornitori essenziali per proseguire l’attività con l’idea di salvare l’azienda, potresti difenderti sostenendo che non c’era volontà di preferire ma necessità di evitare un male peggiore (interruzione attività). La giurisprudenza è comprensiva solo entro limiti: in genere, se l’azienda viene salvata, nessuno lamenterà quelle preferenze; ma se poi fallisce, il curatore e il giudice andranno a vedere il periodo antecedente e ogni pagamento selettivo può essere censurato. Cosa fare? Idealmente, sarebbe stato meglio effettuare quei pagamenti nell’ambito di un piano attestato (che come detto esenta da revocatoria) o sotto la copertura di un provvedimento del tribunale in concordato (pagamenti autorizzati in pendenza di concordato per contratti in corso). Se ciò non è avvenuto, non c’è molto da fare a posteriori se non sperare che la preferenza non venga notata o risulti “giustificata”. A volte, pagare fornitori vitali è visto come atto di ordinaria amministrazione – se pari a condizioni normali – e potrebbe non essere revocato se rientra nell’esenzione del CCII (art. 166 prevede alcune esenzioni). Ma non c’è garanzia. In ogni caso, dal punto di vista del debitore/imprenditore, i rischi di preferenze vengono meno se non si arriva al fallimento: in un concordato, quei pagamenti pregressi non generano reati di bancarotta (perché non c’è fallimento) né revocatorie (il concordato omologato normalmente blocca le azioni revocatorie). Quindi un modo per evitare guai è portare in salvo l’azienda (o almeno chiudere con un concordato). Se invece si fallisce, preparati che qualche azione revocatoria arrivi. Puoi difenderti dicendo che quei pagamenti hanno permesso la prosecuzione dell’attività e quindi non erano dolosi ma anzi nell’interesse della massa, ma è un argomento che a volte regge, a volte no (in sede penale potrebbe mitigare la colpa).

D.8: La crisi d’impresa incide sulla posizione dell’amministratore? Rischio conseguenze personali se gestisco male la crisi?
R.8: Sì, la legge negli ultimi anni ha accentuato le responsabilità degli amministratori nella fase di crisi. Ci sono sia profili di responsabilità civile verso la società e i creditori, sia come visto profili penali. In sintesi: l’art. 2086 c.c. ti impone di dotare la società di strumenti adeguati a rilevare la crisi e attivarti di conseguenza . Se ignori quei segnali e porti la società al fallimento aggravando il buco, i creditori (tramite il curatore) possono agire contro di te per mala gestio. Per esempio, continuare ad assumere debiti sapendo di essere insolvente può configurare la violazione del dovere di gestione prudente e potresti essere condannato a risarcire il danno da aggravamento del passivo . Addirittura, il CCII inserisce un incentivo forte: l’amministratore diligente che attiva strumenti per tempo potrà accedere più facilmente all’esdebitazione, mentre quello negligente potrà vedersela negare . Quindi incide eccome. In termini di tempistica: se perdi più di 1/3 del capitale in una S.r.l., devi convocare soci e prendere provvedimenti (art. 2482-bis c.c.), se non lo fai sei responsabile. Se la società è in liquidazione volontaria e non paga i creditori, il liquidatore (spesso l’ex amministratore) deve chiedere il fallimento entro termini, se no risponde dei danni. Insomma, ci sono tanti ganci normativi per imputare a te amministratore la colpa di non aver reagito. E in sede penale, come discusso, esiste la figura di “bancarotta semplice” anche solo per aver aggravato da negligente l’insolvenza (art. 323 comma 1 CCII): comportamenti come non aver tenuto la contabilità in ordine, aver proseguito l’attività manifestamente in perdita aumentando il buco, possono portare a una condanna per bancarotta semplice (meno grave di quella fraudolenta, ma pur sempre penale) . Quindi sì, devi stare attento: gestire male la crisi ha ripercussioni sulla tua persona. Se invece gestisci bene – ovvero monitori gli indici, informi gli organi di controllo, cerchi soluzioni (piani, concordati) – anche se poi la società non ce la fa, potrai dire di aver fatto tutto il possibile, e questo ti proteggerà in parte. La Cassazione, ad esempio, ha recentemente escluso la punibilità automatica dell’amministratore formale se questi prova di essere stato tenuto all’oscuro degli atti illeciti dal dominus di fatto ; traslando, un amministratore che può dimostrare di aver gestito con diligenza e di non aver tratto vantaggi personali, difficilmente subirà condanne per bancarotta fraudolenta (a meno di violazioni specifiche). Concludendo: l’imprenditore/amministratore in crisi deve documentare di aver fatto il suo dovere, perché poi a posteriori ogni omissione potrebbe essergli contestata. Non è piacevole, ma è così: la legge cerca di evitare che l’imprenditore “azzardi” con i soldi altrui. Quindi se t’accorgi che stai raschiando il barile con i debiti, meglio fermarti e attivare procedure protette, invece di continuare a prendere forniture e fidi che non potrai onorare – questo ultimo comportamento, oltre a essere poco etico, può diventare illecito (ricorso abusivo al credito, ecc.).

D.9: Se la mia azienda va in liquidazione o fallimento, i contratti in corso (ad es. un contratto di affitto del capannone, o i leasing dei macchinari) che fine fanno?
R.9: Dipende dalla procedura. Nel concordato preventivo, i contratti pendenti non si risolvono automaticamente: il debitore può chiedere al tribunale di sciogliersi da alcuni contratti onerosi (art. 97 CCII) o di sospenderli, dietro indennizzo per la controparte . Se non chiede nulla, i contratti proseguono regolarmente, ma le obbligazioni anteriori al concordato diventano crediti concorsuali (es. canoni scaduti prima vanno nel passivo, canoni post restano da pagare regolarmente in prededuzione). Nel fallimento (liquidazione giudiziale) invece la legge prevede che il Curatore possa subentrare nei contratti in corso o scioglierli (art. 172 CCII): in pratica, entro un breve termine, il Curatore decide se dare continuità (ad es. mantenere un affitto se serve esercizio provvisorio) oppure no. Se li scioglie, l’altra parte ha solo diritto a un indennizzo come credito nel fallimento. Nel leasing: se la società fallisce, di solito il curatore restituisce il bene al lessor e questi insinua il suo credito residuo al netto del valore. In liquidazione volontaria (fuori da procedure concorsuali), i contratti proseguono sino a scadenza salvo diversa volontà delle parti o impossibilità (il liquidatore può comunque negoziare risoluzioni consensuali). In un accordo di ristrutturazione, è una situazione ibrida: i contratti restano validi, ma potresti aver concordato con le controparti modifiche bilaterali. Un caso particolare: se vendi l’azienda a un acquirente, i contratti aziendali generalmente gli vengono trasferiti automaticamente ex art. 2558 c.c., salvo quelli di carattere personale. Ciò può rassicurare i fornitori/cliente: se l’azienda continua in altre mani, i loro contratti restano. Se invece l’azienda viene liquidata e chiusa, i contratti si estinguono (salvo che una controparte abbia diritto a risarcimenti). In somma, come debitore puoi difenderti da contratti onerosi chiedendo la risoluzione nell’ambito di concordato (utile se hai impegni troppo costosi), oppure in composizione negoziata persuadere i partner a rinegoziare. Ma occhio: la controparte contrattuale, se subisce lo scioglimento, diventa creditore per danni e si insinua (ad es. locatore di immobile se rescindi anticipatamente potrà insinuare i canoni persi in parte).

D.10: Ho sentito parlare di “sovraindebitamento” per i privati. Vale anche per gli imprenditori?
R.10: Il termine “sovraindebitamento” si riferiva alla procedura ex L.3/2012 per soggetti non fallibili in situazione di crisi. Oggi la materia è inglobata nel Codice della Crisi: esistono il concordato minore e la liquidazione controllata per i piccoli imprenditori (sotto soglie fallimento) e per le persone fisiche non imprenditori . Se la tua azienda è una ditta individuale o una snc/sas molto piccola (sotto soglie) e quindi non soggetta a fallimento, allora puoi accedere a quelle procedure semplificate: il concordato minore funziona simile al concordato preventivo ma pensato per micro-imprese (con minori formalità) , la liquidazione controllata è come un fallimento semplificato. Per una società di capitali (es. Srl) invece no, non è “sovraindebitamento”, è soggetta a procedure ordinarie (concordato, fallimento). Quindi, se sei un imprenditore individuale artigiano, ad esempio, e hai debiti insostenibili, puoi rivolgerti all’OCC (Organismo Composizione Crisi) locale e avviare una procedura di composizione da sovraindebitamento. Il vantaggio è che poi potrai essere esdebitato facilmente e con costi più contenuti. Per il privato consumatore, c’è uno strumento dedicato (piano del consumatore, ora piano di ristrutturazione), che consente di ridurre i debiti personali (mutui, prestiti) senza coinvolgere attività d’impresa. Quindi, “sovraindebitamento” in senso stretto si applica ai non fallibili. Se la tua azienda è fallibile, devi usare concordato o accordi; se non lo è, puoi usare concordato minore/liquidazione controllata (vecchio sovraindebitamento). A livello di efficacia, ormai si equivalgono per molti versi, ma le procedure “minori” sono un po’ più snelle e con l’assistenza dell’OCC. Ad esempio, in sovraindebitamento c’è la possibilità di un’esdebitazione senza pagare nulla (esdebitazione dell’incapiente) una volta ogni vita, se proprio non hai nulla da dare . Questo per dare sollievo ai casi disperati di persone oneste ma completamente a zero. Dunque sì, è un altro strumento di difesa dal debito personale. Un imprenditore può trovarsi a doverlo usare per i debiti residui personali (garanzie) anche se la società è fallita: in tal caso, il socio fallito in proprio affronterà la liquidazione controllata e potrà esdebitarsi del resto.

Abbiamo così coperto le principali questioni. Di seguito, per ricapitolare in modo schematico, proponiamo tabelle riepilogative dei diversi strumenti e delle loro caratteristiche, e successivamente un elenco delle fonti normative e giurisprudenziali utilizzate.

Tabelle riepilogative

Tabella 1 – Confronto tra principali strumenti di gestione della crisi d’impresa

StrumentoTipoChi coinvolge/adesioni richiesteOrgani coinvoltiEffetti sui creditoriVantaggi per il debitoreSvantaggi/Limitazioni
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)Stragiudiziale (accordo privato con attestazione)Coinvolge solo i creditori che aderiscono (non serve una % fissa, ma serve consenso di fatto di quelli principali)Attestatore indipendente (commercialista/revisore) che certifica veridicità dati e fattibilità piano . Nessun ruolo del tribunale, salvo eventuale deposito per pubblicità.Non vincola i creditori non aderenti (devono essere pagati regolarmente) . Nessun automatic stay: i creditori estranei possono agire esecutivamente.Riservato: niente iscrizioni pregiudizievoli, negoziazione privata .<br>– Flessibile: può coinvolgere alcuni creditori e altri no, modulabile secondo necessità del caso .<br>– Protezione da revocatoria: i pagamenti e le garanzie concessi in esecuzione del piano non sono revocabili in caso di successivo fallimento .<br>– Rapidità: fattibile in tempi brevi (anche 1-3 mesi) .– Nessuna forza impositiva: serve il consenso di tutti i creditori rilevanti, altrimenti i dissenzienti possono far fallire l’accordo .<br>– Nessuna moratoria legale: se anche un creditore non aderisce e procede con pignoramento, può vanificare il piano .<br>– Meritevolezza: funziona solo per crisi non irreversibili, dove si può convincere i creditori su base volontaria. Non adatto a insolvenze gravi con molti attori conflittuali .
Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-60 CCII)Ibrido: accordo privato + omologazione giudizialeRichiede l’adesione di almeno il 60% dei crediti totali (per l’omologa). Possibile chiedere misure protettive già con 30% iniziale di adesioni (accordo “agevolato”) . Coinvolge solo i creditori firmatari; i non aderenti restano estranei (salvo eccezioni settoriali) .Tribunale: verifica percentuale adesioni e omologa l’accordo. <br>– Attestatore: relazione di fattibilità e attestazione integrale pagamento estranei. <br>– Nessun commissario: l’azienda resta in mano al debitore durante il processo (salvo misure diverse se abbinate a composizione negoziata).Vincola solo i creditori aderenti (il 60% o più). I creditori estranei non sono vincolati e conservano integrale diritto di credito . Ci sono previsioni per cui alcuni estranei (es. banche dissenzienti) possano essere trascinati se la loro categoria ha aderito in maggioranza e per il Fisco in cram-down , ma in linea generale chi non firma non è toccato dall’accordo. <br>– Con l’omologa del tribunale, le esecuzioni individuali da parte dei firmatari cessano (sono sostituite dall’accordo); quelle degli estranei potrebbero proseguire, ma il debitore spesso ottiene misure protettive temporanee nel frattempo .Meno pubblicità negativa: se gestito tramite composizione negoziata, i dettagli rimangono riservati e spesso si evita clamore mediatico .<br>– Procedura più breve di un concordato: focalizzata sull’accordo già raggiunto, meno conflittuale.<br>– Sospensione azioni: possibilità di ottenere dal tribunale misure protettive (stay) durante le trattative prima dell’omologa (specie con accordo agevolato 30%) .<br>– Flessibilità nei contenuti: nessuna soglia minima di soddisfacimento dei creditori aderenti – possono concordare anche stralci forti se conviene loro . Possibilità di “cram-down” fiscale se Erario dissenziente ingiustificato .Richiede elevato consenso: se non raggiungi il 60%, non si può omologare . Rischio di sbilanciamento: un 40% di dissenzienti può bloccare.<br>– Creditori estranei vanno pagati per intero (salvo se decidi di includerli dopo): l’azienda deve avere liquidità per soddisfare i non aderenti secondo le scadenze originali , altrimenti quell’accordo rischia di essere inutile (perché gli estranei potrebbero comunque fare istanza di fallimento se non pagati).<br>– Procedura necessaria in tribunale: seppure light, c’è un giudice e tempi di omologa (qualche mese) e costi (spese legali, attestatore) da considerare. Non è totalmente “privata” come il piano attestato.
Concordato preventivo – Continuità aziendale (artt. 84-88 CCII)Procedura concorsuale giudiziale (regolazione collettiva della crisi)Coinvolge tutti i creditori anteriori. Approvazione per classi o in mancanza per maggioranza del valore dei crediti votanti (e almeno il 50% del totale crediti ammessi al voto). Vincola anche i dissenzienti una volta omologato .Tribunale: ammette la procedura, nomina Commissario Giudiziale, omologa se approvata. <br>– Commissario Giudiziale: vigila sull’attività del debitore durante la procedura, raccoglie voto creditori, riferisce al giudice .<br>– Creditori: divisi per classi omogenee (obbligatorie se trattamenti differenziati). Votano il piano. <br>– Azienda: rimane in gestione al debitore (in continuità diretta) sotto supervisione del Commissario; atti straordinari richiedono autorizzazione giudice.Sospende tutte le azioni esecutive individuali (dalla data di ammissione o anche prima se presentato ricorso “in bianco”) . I creditori possono soddisfarsi solo nel concordato, non altrove. <br>– Vincola tutti i creditori anteriori (anche dissenzienti) con l’omologa: dopo, i creditori avranno solo quanto previsto dal piano, il resto del debito si estingue . <br>– Se in continuità diretta: l’impresa prosegue l’attività, preservando valore e occupazione . Debiti verso fornitori strategici possono essere pagati in prededuzione se autorizzato per assicurare la continuità. Contratti in corso proseguono normalmente (salvo richiesta di scioglimento specifico). Possibile ottenere CIGS per crisi durante la procedura. <br>– Possibilità di finanza interinale prededucibile per sostenere l’azienda nel frattempo (previa autorizzazione). <br>– Post correzioni 2024, cram-down interclassi: il tribunale può omologare anche senza consenso unanime di tutte le classi, se il piano è equo e approvato dalle altre . Questo evita blocchi da piccole minoranze.Tempistiche e complessità: procedura strutturata, può richiedere 6-12 mesi (o più se complicata) per arrivare all’omologa. Comporta costi professionali (commissario, consulenti) e adempimenti (relazione attestatore, inventari, ecc.). <br>– Deve rispettare requisiti di legge: ad es., pagamento integrale creditori privilegiati salvo consenso alla falcidia, rispetto priorità (absolute priority rule/relative priority rule) nelle classi , trattamento equo tra creditori della stessa classe. <br>– Esito incerto: serve il voto favorevole dei creditori (anche se puoi lavorare sulle classi, il loro consenso è un’incognita). In caso di voto negativo, si rischia il fallimento. <br>– L’azienda rimane sotto esame: ogni mossa fuori piano potrebbe portare a revoca della procedura. Il debitore perde parte dell’autonomia decisionale. <br>– Requisiti di ammissibilità meno stringenti che per concordato liquidatorio, ma comunque il piano dev’essere fattibile e attestato. I creditori e il giudice possono opporsi se giudicano il piano non soddisfacente (ad es. contestazioni su veridicità dati o fattibilità economica possono far saltare l’omologa).
Concordato preventivo – Liquidatorio (art. 84 co. 4 CCII)Procedura concorsuale liquidatoriaCoinvolge tutti i creditori. Voto come sopra (maggioranza crediti). Vincola tutti dopo omologa.Tribunale: come sopra, + nomina eventualmente un Liquidatore post-omologa per vendere beni.<br>– Commissario Giudiziale: come sopra, fino all’omologa. <br>– Dopo omologa, Liquidatore Giudiziale: realizza l’attivo secondo il piano e distribuisce ai creditori.Simile al fallimento, ma concordato: cioè creditori decidono se accettare un certo piano di liquidazione proposto dal debitore, di solito più rapido e con esiti (lievemente) migliori di un fallimento.<br>– Sospensione azioni e vincolo per tutti i creditori: stessi effetti protettivi del concordato in continuità . <br>– Il debitore (società) può scegliere un Liquidatore di gradimento (proponendolo nel piano, soggetto a conferma dal tribunale). Questo consente forse una liquidazione più efficiente.<br>– Dopo esecuzione, la società si estingue e (se persona fisica) il debitore ottiene l’esdebitazione finale di diritto.Requisiti minimi di ammissibilità: il piano deve assicurare almeno 20% di pagamento ai creditori chirografari e un apporto di risorse esterne >= 10% dell’attivo . Se il debitore non può offrire queste soglie, il concordato liquidatorio non è ammesso e resterebbe solo il fallimento. <br>– L’impresa cessa l’attività (salvo esercizio provvisorio breve per vendita di compendio). Posti di lavoro persi salvo casi di cessione a terzi.<br>– Tempi di liquidazione possono comunque essere lunghi se i beni non trovano presto acquirenti (anche se c’è un piano, la vendita può richiedere tempo). <br>– Necessita del voto favorevole dei creditori: convincere i creditori a votare per ricevere (minimo 20%) invece di tentare la sorte nel fallimento (dove potrebbero prendere meno) è spesso possibile, ma non garantito. Banche con garanzie ad es. votano solo se il piano rispetta interamente le loro ipoteche. <br>– Controlli stringenti: il piano liquidatorio dev’essere molto dettagliato su vendite, valori di stima ecc., e il tribunale verificherà attentamente la fattibilità (più facile da valutare rispetto a continuità). Se i valori paiono irrealistici, non ammette.
Concordato “semplificato” post composizione negoziata (art. 25-sexies CCII)Procedura concorsuale speciale (liquidatoria senza voto creditori)Coinvolge tutti i creditori, ma non prevede voto. I creditori possono solo presentare osservazioni al tribunale, che decide se omologare .Tribunale: nomina un Liquidatore (non scelto dal debitore) e omologa se requisiti.<br>– Esperto composizione: deve aver attestato nella relazione finale che il debitore si è comportato correttamente e che non c’erano soluzioni migliori percorribili .<br>– Non c’è Commissario Giudiziale (si passa direttamente a Liquidatore dopo omologa).Nessun voto dei creditori: questo consente al debitore “meritevole” di chiudere la partita anche contro il volere dei creditori, evitando il fallimento. Il giudice valuta il piano (che di regola è liquidazione beni con percentuali inferiori al 20% altrimenti avresti fatto un concordato ordinario) e se ritiene che è il meglio ottenibile, lo omologa comunque . <br>– Rapidità: tempi molto più brevi, perché salta tutta la fase di adunanza e voto. Presenti la domanda entro 60 gg dalla chiusura composizione negoziata e il tribunale decide in camera di consiglio. <br>– Protezione delle misure già ottenute in composizione negoziata: transita automaticamente la protezione delle misure cautelari e protettive fino all’omologa. <br>– Dopo l’omologa, creditori vincolati come in concordato liquidatorio (ricevono il % previsto e stop).Accesso ristretto: solo se hai provato la composizione negoziata e non ha funzionato con accordi o altre soluzioni . Non è uno strumento liberamente scelto, è un “piano B” quando fallisce la trattativa ma si vuole evitare il fallimento. <br>– Deve essere liquidatorio: niente continuazione attività propria (si cede e liquida tutto). I creditori non votanti spesso si oppongono in sede di omologa, quindi il tribunale sarà molto rigoroso nell’esaminare il piano (anche perché i creditori lesi potrebbero fare reclamo). <br>– Liquidatore non scelto dal debitore: cedi il controllo totale al liquidatore nominato dal giudice, il quale però seguirà il piano presentato. <br>– Incertezza giurisprudenziale: istituto nuovo, con pochi precedenti; qualche tribunale potrebbe essere restio a omologare piani con soddisfacimenti molto bassi, anche se formalmente possibile. <br>– Rimane necessaria la meritevolezza: se emergono atti in mala fede durante le trattative, il tribunale può negare l’omologa per difetto di buona fede.

Tabella 2 – Tipologie di debiti aziendali: caratteristiche e trattamento in procedura

Tipo di debitoParticolarità legaliPriorità e tutela nei concorsiStrategie di difesa del debitore
Debiti fiscali (Erario: IVA, imposte dirette; Agenzia Entrate Riscossione; tributi locali)– Riscossione tramite cartella esattoriale e procedure esecutive accelerate (fermi, ipoteche, pignoramenti) .<br>– Aggiunta di sanzioni e interessi di mora.<br>– Alcuni inadempimenti configurano reati tributari (omesso versamento IVA > €250k, ritenute > €150k ecc.) .<br>– Possibili definizioni agevolate (rottamazioni) se previste da norme temporanee.Crediti privilegiati: IVA, ritenute e molte imposte hanno privilegio generale sui mobili aziendali; alcuni tributi (dazi, accise) privilegio speciale su merci; difficilmente chirografari puri.<br>– In concordato/fallimento: vanno soddisfatti almeno in misura pari al valore di liquidazione dei beni su cui hanno privilegio. Possono essere degradati a chirografo per la parte incapiente su beni (se attestato).<br>– Transazione fiscale possibile: taglio di imposta con voto Erario . Dissenso Erario superabile da giudice se offerta ≥ valore di realizzo .<br>– Cram-down fiscale ammesso: tribunale può omologare concordato/accordo nonostante dissenso AE se offerta equa .<br>– Debiti previdenziali assimilati (INPS ha privilegio).– Richiedere rateizzazione (72 o 120 rate) prima che decada termine: evita aggressioni immediate, diluisce debito .<br>– Valutare adesione a rottamazioni se aperte: sconto sanzioni e interessi, impegno a pagare quota capitale.<br>– Includere debiti fiscali in un piano o concordato: proporre transazione fiscale con pagamento parziale e dilazionato . Allegare attestazione convenienza rispetto a fallimento, per ottenere omologa anche se Fisco dicesse no .<br>– Evitare nuovi debiti fiscali: pagare correntemente IVA e ritenute “durante” la crisi (anche chiedendo proroghe versamenti) per non aggravare posizione penale e non ostacolare eventuale concordato (il tribunale verifica adempimento tributi correnti).<br>– Attenzione ai reati: se in ritardo su IVA/ritenute oltre soglie, cercare di rientrare almeno parzialmente entro scadenze penalistiche (versare prima di certe date) per ridurre eventuali accuse.
Debiti verso banche (mutui, leasing, scoperti, anticipi)– Spesso assistiti da garanzie: ipoteche su immobili, pegni su beni/crediti, fideiussioni personali di soci/amministratori .<br>– Contratti con clausole di decadenza dal termine al verificarsi di inadempimenti o covenants.<br>– Banca può cedere il credito (NPL) a società recupero, cambiando interlocutore.Crediti privilegiati se garantiti: es. mutuo ipotecario è privilegiato sul ricavato immobile; pegno su bene mobile/liquidità dà prelazione su quel valore.<br>– Crediti chirografari (fidi scoperti senza garanzie) trattati come altri chirografari.<br>– In procedure concorsuali: banche ipotecarie soddisfatte da realizzo immobili, possono votare solo per parte eventualmente chirografa. Banche con fideiussione: possono escutere garante esterno nonostante procedura, salvo diverso accordo .<br>– Finanziamenti prededucibili: nuovi prestiti in concordato (o composizione negoziata autorizzata) sono rimborsati con priorità massima (prima dei privilegiati pregressi) .Moratoria negoziale: contattare la banca appena emergono difficoltà e chiedere sospensione rate o allungamento finanziamento prima che decada dal termine. Spesso banche aderirono a moratorie generali (es. accordi ABI).<br>– Rinegoziare: proporre un piano di ristrutturazione del debito complessivo (con consolidamento prestiti, garanzie aggiuntive). Magari tramite un accordo di ristrutturazione legalmente omologato se coinvolge più banche .<br>– Utilizzare la composizione negoziata: far intervenire un esperto per convincere le banche a concessioni (es. standstill) in vista di soluzioni concordate .<br>– Per garanzie personali: se si prospetta inadempimento, dialogare col garante (spesso socio) e con banca per trovare soluzioni (ad es. il garante offre pagamento parziale a saldo). In sede di concordato, prevedere eventuale trattamento che liberi le fideiussioni (non automatico, serve accordo con banca).<br>– Opporsi legalmente se banca agisce: esaminare contratto per vizi (interessi ultralegali non pattuiti, anatocismo, usura) e se trovati, presentare opposizione a decreto ingiuntivo per alleggerire importo o guadagnare tempo. Chiedere CTU contabile su saldo.<br>– Se banca inizia esecuzione ipotecaria: possibilità di vendere privatamente l’immobile ipotecato prima dell’asta (meglio realizzo) con consenso banca, pagando con ricavato, oppure chiedere in concordato di vendere bene all’interno del piano (banca prende valore di perizia).
Debiti verso fornitori/commerciali (forniture merce, prestazioni servizi, affitti non pagati a privati, ecc.)– Solitamente non garantiti (chirografari), salvo eventuali riserve di proprietà (es. leasing/macchine fornite con patto di riservato dominio) che danno prelazione sulla restituzione.<br>– Possibilità di azione rapida: decreto ingiuntivo per fatture non pagate , spesso con clausole contrattuali di interessi moratori pesanti (D.Lgs 231/2002) decorso termine pagamento.<br>– Possono reagire interrompendo forniture ulteriori (exceptio inadimpleti) e eventualmente esercitando azioni conservative (se temono insolvenza, iscrizione ipoteca giudiziale su immobili se ottengono decreto ingiuntivo esecutivo).Crediti chirografari nella maggior parte: soddisfatti pro-quota in concordato/fallimento dopo privilegiati. Spesso prendono dividendi bassi (5-30%) o nulla in fallimenti.<br>– Se hanno riserva proprietà (fornitura macchinario non pagato): possono rivendicare bene o chiedere escussione separata (crediti privilegiati in parte).<br>– Creditori strategici in continuità aziendale possono essere classificati separatamente e pagati integralmente se indispensabili (per ottenere voto favorevole e mantenere rapporti) – nel rispetto della par condicio (non si può discriminare arbitrariamente, ma in classi concordatarie si può differenziare per ragioni giustificate) .<br>– In fallimento, fornitori non pagati da contratto corrente possono ottenere prelazione per beni forniti nei 60 gg prima (se concorrono a attivo); oppure insinuarsi come prededucibili se consegne avvenute su richiesta curatore in esercizio provvisorio.Gestione rapporti: comunicare con fornitori chiave, spiegare situazione e possibilmente assicurare pagamenti parziali regolari per ciò che forniscono in continuo (magari pagando anticipatamente nuove forniture per ristabilire fiducia, pur lasciando insoluto il pregresso in attesa di piano).<br>– Opposizione a decreti ingiuntivi: se fornitore ottiene ingiunzione, valutare opposizione (motivata da contestazioni su merce difettosa, importi, ecc.) entro 40 gg per prendere tempo. Richiedere sospensione ex art. 649 c.p.c. se ci sono elementi validi. <br>– Negoziare stralci individuali: se pochi fornitori e vitali, proporre un saldo e stralcio (es. pagare 50% subito a chiusura posizione). Far firmare accordo transattivo (così rinunciano ad azioni ulteriori). Attenzione che pagare alcuni e non altri può esporre a revocatoria se poi fallimento: meglio se possibile far rientrare queste transazioni in un contesto di piano attestato per blindarle .<br>– Nell’ambito di un concordato preventivo, suddividere fornitori in classi (es. classe fornitori strategici vs fornitori generici) con trattamenti differenziati: p.es. strategici 60% in 1 anno, altri 20% in 2 anni. Motivare la differenza (es. necessità di mantenere i primi). Ciò aiuta a mantenere continuità e ottenere il loro voto favorevole, mentre i fornitori meno rilevanti – pur scontenti – subiscono la falcidia ma non possono bloccare se minoranza.<br>– Se si prospetta fallimento, considerare opportunità di esercizio provvisorio: il curatore potrà continuare a ordinare ai fornitori pagandoli in prededuzione, quindi alcuni contratti possono essere mantenuti. Però in fallimento i fornitori pregressi diventano creditori chirografari puri.<br>– Prevenire aggressioni multiple: se troppi fornitori minacciano azioni, valutare di attivare subito un concordato o accordo collettivo: ciò congela le pretese e li obbliga a trattare in massa, evitando che il primo che agisce pignori magari il conto e impedisca di pagare altri.
Debiti verso dipendenti (retribuzioni, TFR, ecc.) e contributi previdenziali (INPS)– Maturano interessi e rivalutazione (TFR rivalutato annualmente 1,5%+75% inflazione).<br>– Ritardo pagamenti stipendi: dipendenti possono dimettersi per giusta causa e chiedere tutte le spettanze immediate.<br>– Contributi non versati generano sanzioni civili (fino al 30% annuo) e, se >€10.000 annui trattenuti non versati, rilevano penalmente (art. 2 L. 638/83) .<br>– Fondo di Garanzia INPS interviene a pagare TFR e ultime 3 mensilità solo in caso di insolvenza accertata (fallimento o concordato omologato liquidatorio o stato passivo in liquidazione controllata).Crediti privilegiati di grado elevato: retribuzioni ultimi 6 mesi fino a un massimale (circa €13.000) e TFR per intero vantano privilegio generale mobiliare sopra quello dell’Erario e banche chirografarie. Anche contributi INPS hanno privilegio generale (grado inferiore a lavoratori ma superiore a altri crediti).<br>– In fallimento: lavoratori sono fra i primi ad essere pagati sul ricavato (dopo spese di procedura). Il Fondo INPS anticipa loro TFR e 3 mesi stipendi impagati, poi subentra con privilegio stesso grado. <br>– In concordato: di regola crediti lavoro privilegiati vanno pagati 100% (possono in teoria falcidiare se attivo insufficiente, ma allora serve il loro voto in classe separata – improbabile; spesso si preferisce non toccarli). Crediti lavoro chirografari (es. parte eccedente massimale) trattati come chirografari normali ma molti tribunali pretendono comunque soddisfazione alta per approvare.<br>– Contributi previdenziali equiparati a fiscali come privilegio (a volte grado inferiore) e transigibili in parte come da transazione fiscale (parte contributiva no stralcio, solo sanzioni).Pagare i dipendenti per quanto possibile: sono essenziali al funzionamento e il loro mancato pagamento impatta motivazione e produzione. Se liquidità scarsa, almeno pagare stipendi correnti e lasciare indietro TFR o arretrati, cercando accordo con loro (anche sindacale) per dilazionare arretrati.<br>– Usare ammortizzatori sociali: se crisi temporanea, attivare Cassa Integrazione Straordinaria o in deroga per alleggerire costo del personale legalmente e dare parziale reddito ai dipendenti con supporto pubblico. Concordare contratti di solidarietà per ridurre orario e costo.<br>– Informare con trasparenza i lavoratori: evitare esodi di massa o vertenze. Se prometti di saldare entro una data, cerca di rispettarla o spiega in anticipo. Dipendenti spesso comprendono se vedono sforzi genuini e preferiscono mantenere il posto aspettando un po’ gli arretrati (finché credono nell’azienda).<br>– In concordato preventivo, predisporre un piano che paga integralmente i dipendenti privilegiati (magari subito dopo omologa) – questo facilita anche l’omologa, perché il tribunale verifica il trattamento dovuto ex lege. Inserire eventualmente in prededuzione anche qualche incentivo (es. pagamento ferie non godute o mensilità post domanda) per mantenere operatività.<br>– Contributi: se saltati alcuni versamenti, usare strumenti deflattivi: chiedere rateazione INPS (fino 24 mensilità per contributi), presentare domanda di esonero sanzioni se previsto (alcune circolari INPS ammettono riduzione sanzioni per chi regolarizza volontariamente). Evitare che il debito contributivo superi €10k: se succede, pagare qualcosa entro 3 mesi da notifica INPS per scendere sotto soglia penale . Nel concordato, inserire una transazione contributiva (analoga a fiscale) per diluire e ridurre sanzioni.<br>– Considerare liquidazione coatta o fallimento pilotato per far accedere i lavoratori al Fondo di Garanzia INPS: se vedi che non potrai pagare TFR/stipendi arretrati, paradossalmente l’apertura di una procedura concorsuale li aiuta (INPS interviene) mentre tenerli in sospeso senza fallimento li blocca. Quindi, per il bene dei dipendenti, può essere opportuno concordare con loro la richiesta di fallimento o concordato liquidatorio, così almeno recuperano TFR/salari dal Fondo (certo, perdono il lavoro, ma se l’azienda è decotta sarebbe successo comunque).

Fonti normative e giurisprudenziali (aggiornate a ottobre 2025)

Normativa italiana di riferimento:

  • Codice Civile: art. 2086 c.c. (“Gestione dell’impresa” – obbligo di adeguati assetti organizzativi per rilevare la crisi) ; art. 2476 c.c. (responsabilità organi amministrazione verso società e creditori); art. 2486 c.c. (doveri dell’amministratore dopo lo scioglimento della società – gestione conservativa, responsabilità per aggravamento del dissesto); art. 2495 c.c. (responsabilità dei soci dopo cancellazione società, nei limiti di quanto ricevuto in liquidazione) ; art. 2560 c.c. (trasferimento dei debiti nella cessione d’azienda); art. 1218-1224 c.c. (inadempimento e risarcimento, interessi moratori).
  • Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Vecchia Legge Fallimentare) – in parte abrogato, restano rilevanti le disposizioni sui reati fallimentari: art. 216 L.F. (bancarotta fraudolenta e preferenziale) e art. 217 L.F. (bancarotta semplice). Esempio: gestione negligente punita come bancarotta semplice . Nota: Queste fattispecie sono ora trasfuse negli artt. 322-323 del Codice della Crisi, con contenuti analoghi.
  • D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), entrato in vigore definitivamente il 15 luglio 2022 , come modificato da:
  • D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 (correttivo “primo”);
  • D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 (attua direttiva UE 2019/1023 – introduzione composizione negoziata, PRO, ecc.) ;
  • D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (correttivo “terzo” – in vigore da fine 2024, migliora e chiarisce vari istituti) . – Principali articoli CCII citati:
    • Allerta e prevenzione: artt. 3 (obblighi assetti, indicatori crisi) , 12-25 (composizione negoziata della crisi e misure protettive) , 24 (segnalazioni organi di controllo) , 25-octies etc. (allerta esterna: soglie debiti tributari e contributivi) .
    • Strumenti di regolazione stragiudiziale: art. 56 (accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento) .
    • Accordi di ristrutturazione: artt. 57-64 (requisiti 60%, omologazione; art. 61 ARD agevolato 30% ; art. 63 ARD estendibile e cram-down fiscale – possibilità di superare diniego Erario con valutazione convenienza ).
    • Concordato preventivo: art. 84 (definizione e classificazione: concordato in continuità vs liquidatorio – richieste soglie 20% e 10% per liquidatorio) ; art. 85 (contenuto del piano, suddivisione in classi, trattamento creditori) ; art. 86 (voto per classi); art. 95-97 (effetti su contratti pendenti – facoltà di scioglimento/sospensione contratti previa autorizzazione giudice); art. 100 (misure protettive: sospensione azioni esecutive); art. 109 (omologazione anche senza approvazione di tutte le classi, condizioni per cram-down interclassi, introdotto dal correttivo 2024) ; art. 110 (effetti dell’omologazione).
    • Concordato semplificato: art. 25-sexies (procedura senza voto creditori entro 60 gg da composizione negoziata fallita; requisiti di correttezza del debitore) .
    • Liquidazione giudiziale (fallimento): artt. 121 e 122 (presupposti d’insolvenza e iniziativa; esenzioni piccoli imprenditori artigiani etc.), art. 131 (effetti patrimoniali – spossessamento), 145 (esercizio provvisorio), 152 (domande di insinuazione crediti), 208 (chiusura e cancellazione società), 278-281 (esdebitazione del debitore persona fisica – condizioni e cause di revoca).
    • Sovraindebitamento (procedure minori): art. 65 (concordato minore: requisiti soggettivi e differenze, no soglie %, ma rispetto par condicio ), art. 74 (liquidazione controllata del sovraindebitato).
    • Reati concorsuali: artt. 322 (Bancarotta fraudolenta – con varie ipotesi tra cui distrazione, documentale e preferenziale), 323 (Bancarotta semplice – ad es. tardiva richiesta di liquidazione giudiziale, aggravamento colposo del dissesto) , 324 (Ricorso abusivo al credito), 325 (Omessa consegna di scritture, sanzione amministratori).
    • Reati tributari collegati alla crisi: art. 25-quinquiesdecies D.Lgs 14/2019 punisce l’omesso versamento IVA e ritenute come reati presupposto 231 (responsabilità amministrativa società) – segno attenzione legislatore alla mala gestio tributaria in crisi.
  • D.L. 30 gennaio 1979, n. 26, conv. L. 3/1979 (Legge Marzano) – Amministrazione Straordinaria grandi imprese insolventi (es. Alitalia, Ilva) – applicabile se >500 dipendenti o >300 con debito >€300 mln (nuovi parametri). Citata come “disciplina ristrutturazione grandi imprese” .
  • D.L. 12 settembre 1983, n. 463, conv. L. 638/1983, art. 2 – Omesso versamento contributi previdenziali. Soglia attuale €10.000 annui: sotto soglia sanzione amministrativa pecuniaria; sopra soglia reato punito con reclusione fino 3 anni . (Corte Cost. n. 103/2025 ha confermato legittimità regime differenziato ).
  • D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – Reati tributari. Rilevanti: art. 10-bis (Omesso versamento ritenute dovute > €150.000), art. 10-ter (Omesso versamento IVA > €250.000) – entrambi puniti con reclusione 6 mesi – 2 anni . Art. 10-quater (indebita compensazione crediti fiscali > €50.000). Nota: soglie modificate da D.L. 124/2019 e D.L. 148/2021. Cass. pen. n. 37450/2021 ha inquadrato sistematico omesso versamento tributi come operazione dolosa ex art. 223 L.F. .
  • D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 – Ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali: riconosce al creditore interessi moratori automatici (oggi tasso BCE +8%) in caso di mancato pagamento a 30 giorni. Utile per fornitori nei decreti ingiuntivi.
  • D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 110 (es. art. 8) e varie leggi di Bilancio recenti – Definizioni agevolate debiti fiscali (“rottamazione cartelle” 2016, 2017, 2018, 2023). (Norme variabili, es. L. 197/2022 art. 1 commi 231-252 per rottamazione-quater 2023).
  • Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (vecchia legge sovraindebitamento) – abrogata e incorporata nel CCII, ma concetti chiave confluiti: piano del consumatore, accordo debitori civili, liquidazione patrimonio ed esdebitazione del debitore incapiente .
  • D.L. 118/2021, conv. L. 147/2021 – Introduzione Composizione Negoziata e Concordato Semplificato. Molte disposizioni ora nel CCII (artt. 12-25-sexies). Da evidenziare: Piattaforma telematica, nomina esperto, misure protettive (art. 18 D.L. 118/2021), esito con concordato semplificato se niente accordo .

Giurisprudenza (massime e sentenze recenti):

  • Cassazione Civile, Sez. I, 12 aprile 2023, n. 9730: ha chiarito la natura concorsuale del concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII, confermando continuità con D.L. 118/2021 e applicabilità analogica delle norme sulla competenza territoriale (irrilevanza di spostamenti sede nell’anno precedente) . In sostanza, il concordato semplificato rientra tra le procedure concorsuali e soggiace alle stesse regole anti-fraudolente (no forum shopping spostando sede) .
  • Cassazione Civile, Sez. I, 30 novembre 2023, n. 33346 (pubblicata 20/12/2023): in materia di concordato preventivo, ha ribadito i limiti ai poteri del giudice di rinvio dopo cassazione: se la Cassazione annulla l’omologa per un vizio di diritto, la Corte d’Appello in sede di rinvio non può riesaminare nel merito la fattibilità economica del piano ex novo oltre i confini tracciati dal principio di diritto . Ciò tutela la stabilità delle decisioni: la fattibilità è valutata primariamente da creditori e attestatore, il giudice interviene solo per manifesta irragionevolezza .
  • Cassazione Civile, Sez. I, 6 giugno 2023, n. 15790: in tema di compenso del commissario giudiziale nel concordato preventivo, ha stabilito che (anche nel concordato con riserva e post-omologa) il compenso unico va calcolato sull’attivo inventariato e non su quello realizzato, disapplicando per irragionevolezza l’art. 5 DM 30/2022 . Rileva come i costi procedurali possano incidere e vanno contenuti.
  • Cassazione Penale, Sez. V, 5 ottobre 2021, n. 37450: (Caso citato: amministratore condannato per bancarotta fraudolenta impropria mediante operazioni dolose) – Principio di diritto: il sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie e contributive da parte dell’amministratore, che rende prevedibile il dissesto, integra un’operazione dolosa ai sensi dell’art. 223, co.2, n.2 L.F. . In altre parole, non pagare deliberatamente le imposte per finanziare l’azienda può costituire bancarotta fraudolenta (pur senza distrazione): è fattispecie a dolo eventuale, sufficiente la volontarietà dell’azione e la consapevolezza che poteva condurre all’insolvenza .
  • Cassazione Penale, Sez. V, 26 giugno 2024 (dep. 2 ottobre 2024), n. 36582: ha affrontato il tema della responsabilità dell’amministratore di fatto nei reati fallimentari . Principio: ai fini di bancarotta, è irrilevante la mera qualifica formale – conta chi esercita concretamente i poteri gestori. L’amministratore “di fatto” che gestisce continuativamente l’azienda risponde di tutti i reati fallimentari al pari dell’amministratore di diritto . Confermato che la presenza simultanea di più soggetti gestori (formali e di fatto) non esime il formale, se partecipe consapevole delle operazioni. Questa sentenza sottolinea che i fiduciari testa di legno non sono automaticamente puniti, ma se concorrono consapevolmente nelle decisioni (anche omissive) rispondono. (V. anche Cass. Pen. Sez. II, 23 gennaio 2024 n. 2885 – necessità prova piena di compartecipazione materiale e morale del legale rappresentante ai fatti illeciti, altrimenti va esclusa responsabilità automatica ).
  • Cassazione Penale, Sez. V, 19 settembre 2024, n. 38896: (Notizia da Il Sole 24 Ore NT+Diritto) – ha statuito che l’amministratore formale (prestanome) di una società non è esente da responsabilità penale per bancarotta solo perché figura di facciata; è sempre chiamato a rispondere salvo prova rigorosa di assoluta estraneità . In pratica il semplice assumere la carica comporta doveri di vigilanza attiva: se omette totalmente controllo e si disinteressa, non può automaticamente andare esente (salvo dimostrare di essere stato tenuto all’oscuro e senza colpa, compito difficile).
  • Corte Costituzionale, 8 luglio 2025 n. 103: ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sull’art. 2, co.1-bis DL 463/83 (omesso versamento contributi ≤ €10.000 sanzionato solo amministrativamente) . Confermata la scelta discrezionale del legislatore di non punire penalmente gli omessi versamenti di importo modesto e di punire solo quelli oltre soglia, ritenendo ragionevole la differenziazione per gravità.
  • Tribunale di Milano, decreto 28/09/2022 (caso Castoldi): prima applicazione del concordato semplificato – ha omologato la procedura senza voto rilevando la correttezza del debitore nella composizione negoziata fallita. (Precedente di merito).
  • Cassazione Civile, Sez. Un., 17 dicembre 2020, n. 29572: (sul tema responsabilità ex soci) – ha stabilito che, a seguito della cancellazione di società di capitali, i soci rispondono dei debiti sociali nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione , confermando interpretazione dell’art. 2495 c.c. (superando contrasti su eventuale responsabilità illimitata residuale). Dunque i creditori insoddisfatti possono far valere pretese contro i soci solo fino a concorrenza delle somme da questi ricevute.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 18 luglio 2025, n. 12148: (prescrizione crediti nel concordato) – ha deciso che la presentazione della domanda di concordato preventivo interrompe la prescrizione dei crediti inseriti e la sospende fino a chiusura procedura (fonte: ilCaso.it) . Rilevante perché tutela i creditori dal decorso della prescrizione durante trattative/procedura.
  • Cassazione Civile, Sez. I, 13 maggio 2021, n. 12885: (concordato preventivo in continuità indiretta) – ha affermato che la cessione d’azienda in concordato con continuità indiretta non richiede il rispetto del soddisfacimento minimo del 20% (quello vale solo per liquidatorio puro) e può prevedere la prosecuzione dell’attività da parte del cessionario senza quelle soglie. Così chiarito ambito applicativo soglie 20%-10%. (Massima non riportata sopra per brevità, ma di rilievo tecnico).
  • Cassazione Penale, Sez. V, 22 febbraio 2021, n. 7559: (bancarotta preferenziale) – condannato ex amministratore per pagamenti preferenziali ai creditori personali con denaro sociale prima del fallimento. Principio: il fine di evitare aggressioni al proprio patrimonio personale non giustifica la violazione par condicio (bancarotta preferenziale sussiste anche se lo scopo era mantenere operatività salvando beni personali). Evidenzia rischi in “dirottamento” pagamenti.

La tua azienda che progetta, produce, installa o distribuisce scambiatori di calore, scambiatori a piastre, a fascio tubiero, a piastre saldobrasate, recuperatori di calore, refroidisseurs, condensatori, evaporatori, oil coolers, heat exchangers per HVAC, industria, chimica, alimentare, energia, automotive e impiantistica si trova oggi in difficoltà per colpa dei debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua azienda che progetta, produce, installa o distribuisce scambiatori di calore, scambiatori a piastre, a fascio tubiero, a piastre saldobrasate, recuperatori di calore, refroidisseurs, condensatori, evaporatori, oil coolers, heat exchangers per HVAC, industria, chimica, alimentare, energia, automotive e impiantistica si trova oggi in difficoltà per colpa dei debiti?
Ricevi solleciti, richieste di rientro, blocco delle forniture, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori di acciaio e componenti o Agenzia Entrate-Riscossione?

Il settore degli scambiatori di calore è complesso e ad altissimo costo: acciai speciali, rame, guarnizioni, saldobrasatura, saldature certificate, test di pressione, normative restrittive e magazzini impegnativi. Basta un ritardo nei pagamenti o un taglio ai fidi per generare una crisi immediata.

La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni con la strategia corretta.


Perché un’Azienda di Scambiatori di Calore va in Debito

  • aumento dei costi di acciai inox, rame, piastre, tubi e componenti speciali
  • ritardi nei pagamenti da parte di industrie, EPC, contractor e impiantisti
  • magazzino immobilizzato tra piastre, guarnizioni, tubi, ricambi, apparecchiature
  • investimenti elevati in saldature certificate, prove di pressione, PED, test di collaudo
  • costi di produzione e assemblaggio molto alti
  • riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
  • commesse complesse con incassi dilazionati

Il problema non è la mancanza di ordini, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi se Non Agisci Subito

  • pignoramento del conto aziendale
  • blocco dei fidi
  • sospensione delle forniture di acciai, rame, guarnizioni e componenti critici
  • atti esecutivi, precetti e decreti ingiuntivi
  • sequestro di scambiatori, ricambi, tubi e materiali in produzione
  • impossibilità di completare commesse e collaudi
  • perdita di clienti strategici e progetti industriali

Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato specializzato può:

  • sospendere pignoramenti
  • fermare richieste di rientro
  • proteggere piattaforme finanziarie e conti correnti
  • bloccare le azioni dell’Agenzia Riscossione

Prima si mette in sicurezza l’azienda, poi si interviene sui debiti.


2. Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto

In moltissimi casi emergono errori:

  • interessi non dovuti
  • sanzioni sbagliate
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori della Riscossione
  • commissioni bancarie anomale

Una parte significativa del debito può essere tagliata o cancellata.


3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili

Opzioni disponibili:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi di rientro con fornitori strategici
  • rinegoziazione dei fidi bancari
  • sospensione temporanea dei pagamenti
  • utilizzo delle definizioni agevolate

4. Usare strumenti legali che bloccano TUTTI i creditori

Nei casi più complessi è possibile attivare:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • Accordi di ristrutturazione
  • Concordato minore
  • (nei casi estremi) Liquidazione controllata

Queste soluzioni permettono di pagare solo una parte dei debiti, garantendo la continuità dell’azienda e sospendendo ogni aggressione dei creditori.


Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo

Per salvare davvero un’azienda del settore scambiatori serve un professionista altamente qualificato.
L’Avv. Monardo è:

  • Avvocato Cassazionista
  • Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012) – negli elenchi ufficiali del Ministero della Giustizia
  • Professionista fiduciario di un OCC
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Un profilo perfetto per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare imprese meccaniche e impiantistiche, come la tua.


Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo

  • analisi immediata dell’esposizione debitoria
  • stop urgente ai pignoramenti
  • riduzione dei debiti non dovuti
  • ristrutturazione del debito su misura
  • protezione di scambiatori, magazzino, tubazioni e ricambi
  • trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • tutela totale dell’azienda e dell’amministratore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di scambiatori di calore non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, concreta e completamente legale, puoi:

  • fermare subito i creditori,
  • ridurre realmente i debiti,
  • proteggere produzione, collaudi e continuità operativa,
  • salvare il futuro della tua impresa.

Agisci ora.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
il tuo percorso di salvataggio può iniziare oggi stesso.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!