Azienda Di Prodotti Chimici Per La Manutenzione Industriale Con Debiti: Cosa Fare Per Difendersi E Come

Se la tua azienda produce, importa o distribuisce prodotti chimici per la manutenzione industriale, detergenti industriali, sgrassanti, solventi, lubrorefrigeranti, decapanti, anticorrosivi, schiume tecniche, prodotti per la pulizia macchinari, spray tecnici e soluzioni professionali, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è fondamentale intervenire subito per evitare paralisi operative e perdita di clienti.

Nel settore chimico-industriale, ritardi nelle forniture possono bloccare linee produttive, manutenzioni critiche e impianti; questo genera penali, reclami e danni ai rapporti commerciali.

Perché le aziende di prodotti chimici per manutenzione accumulano debiti

  • aumento del costo di solventi, basi chimiche, additivi e prodotti tecnici
  • rincari dei trasporti e delle materie prime importate
  • pagamenti lenti da parte di industrie, manutentori e rivenditori
  • ritardi nei versamenti di IVA, imposte e contributi
  • magazzini complessi con lotti, scadenze e normative restrittive (ADR, CLP)
  • difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli di acquisto

Cosa fare subito

  • far analizzare da un professionista l’intera posizione debitoria
  • individuare debiti che possono essere ridotti, contestati o rateizzati
  • evitare piani di rientro troppo pesanti per la liquidità
  • richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
  • proteggere rapporti con fornitori critici e materiali fondamentali
  • usare strumenti legali adatti per ristrutturare o rinegoziare i debiti

I rischi se non intervieni tempestivamente

  • pignoramento del conto corrente aziendale
  • blocco delle forniture di prodotti chimici e materiali essenziali
  • impossibilità di servire manutentori, industrie e rivenditori tecnici
  • perdita di contratti ricorrenti e clienti abituali
  • rischio concreto di chiusura dell’attività

Come può aiutarti l’Avvocato Monardo

Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina a livello nazionale un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario. È inoltre:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
  • iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Può aiutarti concretamente a:

  • bloccare pignoramenti e azioni esecutive
  • ridurre o ristrutturare i debiti tramite gli strumenti normativi più efficaci
  • ottenere rateizzazioni davvero sostenibili
  • proteggere magazzino, materiali chimici, contratti e continuità operativa
  • guidare la tua azienda verso un reale risanamento, evitando la chiusura

Agisci ora

La maggior parte delle imprese non fallisce per i debiti, ma per il ritardo con cui interviene.
Una strategia tempestiva può salvare clienti, forniture e stabilità aziendale.

👉 La tua azienda è indebitata?
Richiedi una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo e proteggi subito la tua azienda di prodotti chimici per la manutenzione industriale.

Introduzione

Un’azienda di prodotti chimici per la manutenzione industriale con significativi debiti – che siano di natura fiscale, bancaria o verso fornitori – si trova in una posizione delicata. Da un lato vi è l’esigenza di proteggere il patrimonio aziendale e garantire la continuità dell’attività, dall’altro occorre fronteggiare le pretese dei creditori secondo le regole di legge. Negli ultimi anni l’ordinamento italiano ha subito profonde riforme in materia di crisi d’impresa: dal 15 luglio 2022 la storica “legge fallimentare” (R.D. 267/1942) è stata sostituita dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) introdotto con D.Lgs. 14/2019 . Termini come fallimento e fallito sono stati abbandonati in favore di liquidazione giudiziale e debitore assoggettato , segnando anche lessicalmente un approccio più moderno e meno stigmatizzante verso l’insolvenza.

Questa guida, aggiornata a ottobre 2025, esamina in modo approfondito – ma con linguaggio chiaro – cosa può fare un imprenditore debitore per difendersi dai creditori e tentare di risanare la propria azienda indebitata. Ci concentreremo sul punto di vista del debitore (sia esso un imprenditore individuale, una PMI o una società di capitali), illustrando i vari strumenti legali a disposizione per gestire e ristrutturare i debiti e le strategie difensive per evitare le conseguenze più gravi (come l’apertura di una liquidazione giudiziale ex fallimento). Verranno affrontati:

  • Le diverse tipologie di debiti (verso Erario, banche, fornitori ecc.) e i rischi connessi a ciascuna.
  • I principali strumenti di regolazione della crisi d’impresa previsti dalla normativa italiana (piani di risanamento, accordi di ristrutturazione, composizione negoziata, concordato preventivo – inclusa la variante semplificata – e, se inevitabile, liquidazione giudiziale), con indicazione di ultime novità normative e giurisprudenziali aggiornate al 2025.
  • Le possibili azioni difensive per tutelarsi dalle iniziative dei creditori (dalle misure protettive ottenibili con gli strumenti di composizione della crisi, alle opposizioni esecutive, fino alla gestione delle segnalazioni di allerta inviate da Fisco e enti previdenziali).
  • Alcune simulazioni pratiche (casi di studio) riferite a imprese italiane, per mostrare in concreto gli esiti di diverse strategie (un caso di risanamento riuscito e un caso di mancato intervento tempestivo).
  • Una sezione di Domande & Risposte, per chiarire i dubbi più comuni e specifici che possono porsi avvocati, imprenditori o privati di fronte a un’azienda sovraindebitata.
  • Tabelle riepilogative che sintetizzano i punti chiave: ad esempio il confronto tra i vari strumenti concorsuali e le opzioni disponibili per ciascun tipo di debito.

Prima di entrare nel merito, è fondamentale inquadrare il contesto normativo e verificare se l’azienda in questione rientra tra quelle assoggettabili alle procedure concorsuali ordinarie oppure no. La legge infatti distingue tra imprese “fallibili” (oggi assoggettabili a liquidazione giudiziale) e imprese “non fallibili” (tipicamente le imprese minori sotto determinate soglie). Questo determina quali procedure l’azienda potrà utilizzare.

Soglie di fallibilità e ambito delle procedure applicabili

In Italia non tutte le imprese possono essere dichiarate insolventi dal Tribunale con l’apertura di una liquidazione giudiziale (ex fallimento). La normativa prevede dei parametri dimensionali – le cosiddette soglie di fallibilità – al di sotto dei quali l’impresa è considerata “minore” o sotto-soglia e non è assoggettabile alla liquidazione giudiziale ordinaria . Per il 2025 tali soglie (valutate di regola sui tre esercizi precedenti) sono:

  • Attivo patrimoniale annuo > €300.000, oppure
  • Ricavi lordi annui > €200.000, oppure
  • Debiti (anche non scaduti) > €500.000 .

Se l’impresa ha superato almeno uno di questi limiti, è considerata “fallibile” (ovvero potenzialmente soggetta a liquidazione giudiziale in caso d’insolvenza). Al contrario, un’impresa che rimane sotto tutti e tre i parametri è definita “non fallibile” (tipicamente piccoli imprenditori sotto-soglia, imprenditori agricoli e altri soggetti esclusi) . Queste imprese minori non possono essere sottoposte a fallimento/liquidazione giudiziale, ma rimangono comunque esposte ad altre azioni: i creditori infatti potranno agire individualmente con decreti ingiuntivi, pignoramenti e così via , ed esistono procedure concorsuali alternative per gestirne la crisi (come il concordato “minore” e la liquidazione controllata, di cui diremo a breve).

Attenzione: rientrare sotto soglia non significa affatto essere “al riparo” dai debiti . Vuol dire soltanto che i creditori non potranno chiedere al tribunale l’apertura di una liquidazione giudiziale ordinaria; tuttavia, tutte le altre azioni esecutive individuali restano possibili, così come restano applicabili procedure concorsuali semplificate (sovraindebitamento). In ogni caso, indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa, ignorare i debiti e lasciare che la situazione precipiti espone l’azienda a conseguenze gravissime. È dunque cruciale intervenire tempestivamente, valutando le soluzioni di ristrutturazione o accordo con i creditori più adatte alla propria situazione .

Oltre alle soglie dimensionali sopra indicate, il Codice della crisi prevede anche una soglia minima di indebitamento assoluto: nessuna procedura di liquidazione giudiziale può essere aperta se il totale dei debiti scaduti dell’impresa è inferiore a €30.000 . Questa regola – anch’essa volta a evitare l’attivazione di procedure concorsuali per importi irrisori – comporta che, se il debito complessivo scaduto non supera 30 mila euro, i creditori dovranno accontentarsi delle vie esecutive ordinarie (non potranno ottenere una liquidazione concorsuale). Va precisato che, secondo la giurisprudenza più recente, per calcolare tale soglia contano anche i debiti rateizzati: ad esempio un debito fiscale dilazionato non perde la sua natura di debito scaduto e va incluso nel computo dei €30.000 . La Corte di Cassazione (ord. n. 4201/2025) ha infatti chiarito che la concessione di una rateazione da parte dell’Agente della Riscossione non costituisce novazione né rimuove lo stato di inadempimento originario . Dunque, un’impresa che abbia debiti scaduti (anche se in parte oggetto di piani di rientro) oltre tale soglia resta esposta al rischio di procedura concorsuale maggiore.

Procedura applicabile – fallibile vs non fallibile: se la nostra azienda di prodotti chimici per la manutenzione industriale supera le soglie di fallibilità, in caso di insolvenza conclamata i creditori potranno chiederne la liquidazione giudiziale (ex fallimento) e, in alternativa, l’impresa potrà accedere agli strumenti concorsuali “classici” destinati alle imprese maggiori (come il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione dei debiti) . Se invece l’azienda è sotto-soglia, non potrà essere dichiarata fallita, ma potrà comunque ricorrere a procedimenti di regolazione della crisi dedicati ai soggetti minori: ad esempio il concordato minore o la liquidazione controllata (procedure eredi della legge sul sovraindebitamento n. 3/2012) . Vedremo più avanti le differenze, ma anticipiamo che il concordato minore è una versione semplificata del concordato preventivo riservata alle imprese non fallibili, mentre la liquidazione controllata è l’equivalente della liquidazione giudiziale per i piccoli debitori (procedura concorsuale liquidatoria ma svolta innanzi al tribunale o all’OCC competente). Va notato che il recente terzo correttivo (D.Lgs. 136/2024) ha uniformato ulteriormente il sistema, prevedendo ad esempio che anche un’impresa sotto-soglia che attivi una composizione negoziata possa, in caso di esito negativo, accedere al concordato semplificato per liquidare il patrimonio ex art. 25-sexies CCII . In sostanza, oggi le differenze tra strumenti per grandi e piccoli debitori si sono attenuate, fermo restando che solo i “fallibili” subiscono la liquidazione giudiziale vera e propria.

Riassunto delle soglie e delle procedure: un’azienda fallibile (es. una S.r.l. chimica con bilanci sopra soglia) può percorrere tutte le soluzioni di gestione della crisi previste dal Codice, inclusi concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e composizione negoziata, ed è soggetta a liquidazione giudiziale se insolvente. Un’azienda non fallibile (es. una piccola impresa individuale sotto soglia) non rischia la liquidazione giudiziale, ma resta esposta a esecuzioni singole e può ricorrere agli strumenti “minori” (concordato minore, accordi di sovraindebitamento, liquidazione controllata) oltre che alla composizione negoziata volontaria, che è accessibile anche ai sotto-soglia con alcune semplificazioni . In ogni caso, per entrambe le categorie l’utilizzo degli strumenti di allerta precoce e composizione negoziata può fare la differenza tra un risanamento di successo e un tracollo irreversibile: come vedremo, l’ordinamento incoraggia l’imprenditore ad attivarsi appena emergono i primi segnali di crisi, anche tramite segnalazioni obbligatorie inviate da alcuni creditori pubblici (Agenzia Entrate, INPS, ecc.) al superamento di determinate soglie di debito .

Passiamo ora ad analizzare le tipologie di debiti che più comunemente affliggono un’azienda industriale e quali specifici rischi (e rimedi) ciascuna comporta, per poi esaminare dettagliatamente gli strumenti legali disponibili per affrontare la crisi.

Tipologie di debiti aziendali e rischi connessi

Una PMI del settore chimico industriale può trovarsi esposta a diversi tipi di debiti, i quali presentano caratteristiche e profili di rischio differenti. I tre macro-ambiti da considerare sono: debiti fiscali e contributivi, debiti bancari e finanziari, e debiti verso fornitori (commerciali). Ciascuna categoria vede creditori con poteri e tutele giuridiche specifiche, il che influenza anche le strategie difensive disponibili. Di seguito analizziamo queste tipologie di debito, evidenziando cosa può accadere in caso di insolvenza e quali strumenti esistono per gestire o ridurre l’esposizione debitoria in quel settore.

Debiti fiscali e contributivi (Erario e previdenza)

I debiti verso il Fisco (es. IVA, imposte sui redditi) e gli enti previdenziali (contributi INPS, premi INAIL) rappresentano spesso una parte importante dell’indebitamento di un’azienda. Nel caso di un’impresa chimica, ad esempio, possono essersi accumulati debiti IVA a seguito di cali di liquidità (l’IVA incassata sulle vendite dev’essere versata periodicamente all’Erario), debiti per ritenute su stipendi non versate, o ancora contributi previdenziali arretrati per i dipendenti. Questi debiti presentano alcune criticità particolari:

  • Privilegi e riscossione coattiva: Lo Stato e gli enti pubblici godono di privilegi sui crediti tributari e contributivi. In caso di inadempimento prolungato, l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia) può procedere con misure esecutive senza necessità di passare per un giudice ordinario: notifica una cartella esattoriale e, se il debitore non paga né impugna nei termini, può attivare fermi amministrativi, ipoteche e pignoramenti sui beni dell’azienda o, in taluni casi, dei coobbligati. Ad esempio, non pagare l’IVA o le ritenute può portare in tempi relativamente brevi al blocco dei conti correnti aziendali o al pignoramento di macchinari e merci in magazzino. Tali azioni possono mettere in ginocchio l’attività se non vengono arginate in tempo.
  • Interessi e sanzioni: I debiti fiscali e contributivi crescono nel tempo a causa di interessi di mora e sanzioni amministrative. Un’impresa in difficoltà potrebbe avere omesso alcuni pagamenti tributari per far fronte ad altre uscite (fornitori, stipendi, ecc.); ma col passare dei mesi, all’importo originario si sommano sanzioni fino al 30% (per omessi versamenti oltre 90 giorni) e interessi che attualmente si aggirano sul 3,5% annuo . Inoltre, l’inosservanza di un piano di rateazione concesso dall’Agente della Riscossione comporta l’immediata decadenza dai benefici e l’iscrizione a ruolo dell’intero debito residuo, con ulteriore aggravio di importi.
  • Rischio penale: Alcuni inadempimenti fiscali oltre soglie di importo sono configurati come reati. In particolare, l’omesso versamento dell’IVA è sanzionato penalmente (art. 10-ter D.Lgs. 74/2000) se l’imposta non versata supera una certa soglia per anno d’imposta. Fino al 2023 tale soglia era di €50.000; una recente riforma (D.Lgs. 87/2024) l’ha innalzata a €250.000 annui, restringendo quindi il reato ai casi di evasione più rilevanti . Ciò significa che, attualmente, un’omissione IVA di €100.000, pur gravissima, costituisce illecito solo amministrativo (sanzione 30%), mentre non integra più il reato; viceversa, il mancato versamento di €300.000 di IVA in un anno espone l’imprenditore a una pena detentiva (6 mesi–2 anni) oltre alle sanzioni tributarie . Analogamente, il reato di omesso versamento di ritenute scatta sopra €150.000 annui (soglia anch’essa innalzata rispetto ai €50.000 previgenti). La riforma ha introdotto anche cause di non punibilità qualora l’omesso versamento dipenda da una crisi di liquidità non imputabile all’imprenditore: ad esempio, se si dimostra che l’azienda versava in uno stato di illiquidità grave e non transitoria, dovuto magari a crediti insoluti verso clienti, l’omissione potrebbe non essere punibile penalmente . Su questo punto la Cassazione ha confermato (sent. n. 30532/2024) che una crisi di liquidità effettiva e non colpevole esclude la punibilità del reato di omesso versamento IVA, benché restino dovute le sanzioni amministrative . Resta inteso che il semplice aver scelto di pagare altri debiti (es. fornitori) al posto dell’IVA non basta a evitare la responsabilità penale: le imposte, per legge, devono avere precedenza su ogni altro esborso volontario . È dunque fondamentale, per l’imprenditore, conoscere questi rischi e valutare con estrema attenzione le conseguenze di un mancato pagamento al Fisco.

Come difendersi dai debiti fiscali? Dal punto di vista del debitore, esistono varie strategie e strumenti per gestire o attenuare il peso dei debiti verso Erario ed enti previdenziali:

  • Rateizzazioni amministrative: Il primo passo, in caso di difficoltà temporanea, è spesso chiedere una rateizzazione all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) ai sensi dell’art. 19 DPR 602/1973. Oggi si possono ottenere fino a 72 rate mensili (6 anni) automaticamente per debiti fino a €120.000, presentando una semplice domanda, e piani straordinari fino a 120 rate (10 anni) per importi superiori o gravi condizioni, dimostrando uno squilibrio finanziario . La dilazione, se concessa, blocca le azioni esecutive su quei debiti (l’Agente della Riscossione non può iscrivere nuovi fermi o ipoteche né procedere a pignoramenti fintanto che il piano è rispettato). Tuttavia, come detto, in caso di decadenza dalla rateazione le tutele vengono meno e l’intero debito residuo diviene esigibile in unica soluzione. Importante: la Cassazione ha chiarito che la rateizzazione non cancella lo stato di inadempimento ai fini concorsuali , ma ciò non toglie che, sul piano pratico, ottenere una dilazione consente all’impresa di tirare il fiato e magari riorganizzare i pagamenti.
  • Definizioni agevolate (“rottamazioni”): Negli ultimi anni il legislatore ha varato varie norme di carattere eccezionale per alleviare il carico fiscale arretrato, le cosiddette rottamazioni delle cartelle. Ad esempio, la Definizione agevolata 2023 (c.d. rottamazione-quater) ha permesso ai debitori di cancellare i carichi affidati all’Agente Riscossione dal 2000 al 2017 pagando solo l’imposta e pochi oneri, con abbattimento totale di sanzioni e interessi di mora. Chi ha debiti fiscali iscritti a ruolo dovrebbe sempre verificare se vi sono misure agevolative attive: al 2025, alcune rottamazioni sono in fase di pagamento (con rate fino al 2027 per chi ha aderito nel 2023), e non è escluso che nuove definizioni possano essere introdotte in futuro. Queste misure non sono soluzioni strutturali, ma rappresentano occasioni da cogliere quando disponibili, perché consentono stralci significativi del debito fiscale senza bisogno di procedure concorsuali. In alternativa, a regime esiste il saldo e stralcio (introdotto per contribuenti in comprovata difficoltà, applicabile però solo a persone fisiche con ISEE basso): per le società di capitali ciò non è applicabile, dunque le opzioni restano la rateazione o l’inclusione del debito fiscale in uno strumento concorsuale (transazione fiscale all’interno di concordato o accordo).
  • Sospensioni e contestazioni: In presenza di cartelle esattoriali, il debitore può valutare se sussistono estremi per contestare i debiti sottostanti (vizi nelle notifiche degli atti, prescrizione, errori di calcolo, ecc.). Se ad esempio l’Agenzia delle Entrate ha emesso un avviso di accertamento illegittimo, l’azienda può impugnarlo innanzi al giudice tributario (Commissione Tributaria) e, in caso di iscrizione a ruolo provvisorio, chiedere la sospensione della riscossione. Tuttavia, questo aspetto esula dalla gestione della crisi in senso stretto ed è più un tema di contenzioso tributario. Qui ci concentriamo sulle situazioni in cui il debito fiscale è certo e definitivo, ma l’azienda non è in grado di pagarlo integralmente.
  • Transazione fiscale e contributiva: Si tratta dello strumento principe all’interno delle procedure concorsuali per gestire i debiti verso Erario e previdenza. La transazione fiscale (disciplinata ora dagli artt. 63 e 88 CCII) consente all’impresa in crisi di proporre, nell’ambito di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione omologato, il pagamento parziale e/o dilazionato dei tributi e contributi, con eventuale stralcio di sanzioni e interessi. In sostanza, Fisco e enti previdenziali possono accordarsi per ridurre l’importo dovuto, al fine di favorire il risanamento aziendale . Storicamente, la transazione fiscale ha incontrato resistenze, specie quando l’Erario esprimeva voto contrario e ciò bloccava il concordato. Ma oggi la situazione è più favorevole al debitore: la Cassazione (ordinanza n. 27782/2024) ha sancito che il tribunale può omologare il concordato anche in caso di voto negativo dell’Agenzia delle Entrate, applicando il cram-down pubblico . Già dal 2021 le norme avevano chiarito che l’omologazione forzata è possibile non solo per il “silenzio-assenso” del Fisco, ma pure di fronte a un suo diniego . Dunque il Fisco non ha più un potere di veto assoluto: se la proposta è conveniente (ossia offre almeno quanto l’Erario otterrebbe in liquidazione) il giudice può approvarla anche contro il parere dell’Agenzia Entrate. Questo elimina un grosso ostacolo ai piani di concordato con stralcio di tributi. Va menzionato che dal 2024 è stata introdotta la possibilità di concludere accordi di transazione fiscale anche nell’ambito di una composizione negoziata (lo ha previsto il D.Lgs. 136/2024, inserendo l’art. 23 co. 2-bis CCII) . In pratica, durante le trattative della composizione negoziata l’imprenditore può ottenere dall’Erario un accordo sul pagamento parziale dei tributi dovuti – accordo che poi confluirà eventualmente nel successivo concordato preventivo o accordo omologato. Ciò “unge gli ingranaggi” delle trattative globali: sapere che il Fisco è disposto a scontare sanzioni e parte degli interessi può facilitare anche l’adesione di altri creditori . Limite importante: attualmente, la transazione fiscale nella composizione negoziata non include i contributi previdenziali (INPS) – per i quali resta necessaria eventualmente la sede del concordato o accordo omologato – e non può mai riguardare l’IVA in quanto imposta armonizzata (l’IVA può essere dilazionata ma non falcidiata nel capitale, salvo interventi normativi futuri o adempimento integrale tramite cram-down in omologazione).

In sintesi, per difendersi dai debiti fiscali il debitore deve attivarsi su più fronti: sfruttare le opportunità amministrative (rateazioni, definizioni agevolate) per prendere tempo e ridurre sanzioni; nel frattempo, se il debito è troppo grande per essere onorato, valutare un percorso concorsuale in cui chiedere al giudice di approvare un pagamento parziale concordato col Fisco (transazione fiscale) nell’ambito di un piano di ristrutturazione sostenibile. Un plus significativo previsto dal Codice della crisi, a favore di chi avvia una procedura negoziale, è la sterilizzazione fiscale delle riduzioni di debito: le remissioni di debito ottenute dai creditori in sede di concordato, accordo o composizione non generano proventi tassabili (sono esenti da tassazione come sopravvenienze attive) . Anche le sanzioni tributarie, se il debitore attiva tempestivamente gli strumenti di composizione, possono essere ridotte od azzerate secondo l’art. 25-bis CCII . Si tratta di misure premiali introdotte nel 2022-2024 per incentivare le imprese a percorrere la strada del risanamento assistito anziché attendere inerzialmente le azioni del Fisco .

Debiti bancari e finanziari

Accanto al Fisco, i debiti verso banche e altri finanziatori costituiscono spesso la porzione più significativa del passivo di un’azienda industriale. Nel nostro caso, l’azienda di prodotti chimici potrebbe aver acceso mutui ipotecari per capannoni o impianti, finanziamenti bancari (magari garantiti dal Fondo PMI o da garanzie personali dei soci), avere scoperti di conto corrente o affidamenti per anticipo fatture, oppure aver emesso obbligazioni o minibond se di dimensioni maggiori. Questi debiti finanziari presentano peculiarità importanti:

  • Clausole contrattuali e default finanziario: I rapporti di credito con le banche sono regolati da contratti (di mutuo, fido, leasing, ecc.) che spesso prevedono obblighi stringenti per il debitore (covenants finanziari, rispetto di piani di rientro, mantenimento di determinati indici di bilancio). Se l’azienda inizia a ritardare i pagamenti delle rate o viola qualche covenant, la banca può dichiarare la decadenza dal beneficio del termine e richiedere il pagamento immediato di tutto il debito residuo (il cosiddetto default bancario). Ad esempio, basta saltare due rate di mutuo perché la banca possa revocare il mutuo stesso e pretendere l’intero capitale residuo in unica soluzione. Oppure, in presenza di scoperti di c/c oltre fido, la banca può revocare l’affidamento e chiedere il rientro immediato delle somme utilizzate.
  • Garanzie reali e personali: I debiti bancari spesso sono assistiti da garanzie, che possono essere reali (es. ipoteca su immobili, pegno su macchinari o su titoli) o personali (fideiussioni dei soci o di terzi). Ciò implica che la banca, in caso di inadempimento dell’azienda, potrà aggredire direttamente i beni dati in garanzia (es. esecuzione immobiliare sul capannone ipotecato) con una forte posizione di privilegio rispetto agli altri creditori. Se ci sono fideiussioni, la banca potrà escuterle, rivalendosi sul patrimonio personale dei garanti (spesso l’imprenditore stesso o i suoi familiari). Questo trasferisce il rischio sul piano personale: un’impresa con soci garanti vede il proprio debito “riflettersi” anche sui garanti, i quali dovranno adottare anch’essi misure difensive (come eventualmente accedere a procedure di sovraindebitamento personali, qualora escussi). Nel nostro scenario, è frequente che i finanziamenti bancari a PMI siano garantiti personalmente dal titolare o dai membri della famiglia, quindi il default aziendale può coinvolgere case e beni privati.
  • Centrale Rischi e reputazione creditizia: Appena l’azienda ritarda pagamenti verso banche o viene segnalata per sconfinamenti, scatta la segnalazione nella Centrale Rischi di Banca d’Italia. Una volta segnalata come in sofferenza o insolvenza, l’accesso al credito si chiude: tutte le banche vengono a conoscenza dello stato di difficoltà, bloccando nuovi finanziamenti e spesso revocando anche linee di credito ancora attive. È un effetto a catena: il deterioramento di uno o due rapporti bancari può portare, in breve, al collasso della liquidità aziendale. Per questo è essenziale gestire i rapporti con gli istituti in modo coordinato, specie se si intende avviare una ristrutturazione del debito.

Come può difendersi l’azienda debitrice dalle banche? Ecco alcune strategie e strumenti:

  • Moratorie e rinegoziazioni private: In una fase iniziale di crisi, prima di ricorrere a procedure formali, l’imprenditore può cercare un dialogo con le banche per ottenere moratorie (sospensioni temporanee delle rate) o rinegoziare le condizioni dei prestiti. Ad esempio, durante la pandemia COVID furono introdotte moratorie ex lege e accordi ABI: al 2025 queste misure straordinarie sono cessate, ma è sempre possibile contrattare privatamente con la banca un allungamento dei piani di ammortamento o una rimodulazione del debito (magari consolidando linee a breve in finanziamenti a medio termine). Le banche, se vedono prospettive di recupero, possono aderire per evitare perdite maggiori. È importante presentare alle banche un piano credibile: ad esempio, un piano industriale con taglio costi e nuove strategie, accompagnato da una proposta di rimborso parziale ma ragionevole del loro credito (il cosiddetto piano di risanamento). Questo tipo di trattativa avviene fuori dal tribunale e richiede il consenso di ciascuna banca interessata.
  • Piano attestato di risanamento: Un livello più avanzato di accordo stragiudiziale è il piano attestato di risanamento (art. 56 CCII). Si tratta di un piano di risanamento predisposto dall’imprenditore e asseverato da un professionista indipendente circa la sua fattibilità, con il quale l’azienda conclude accordi con alcuni o tutti i creditori (tipicamente le banche) per ristrutturare il debito. Il piano attestato, se pubblicato nel Registro Imprese, offre un beneficio importante: gli atti, pagamenti e garanzie concessi in esecuzione del piano non sono soggetti all’azione revocatoria in caso di successivo fallimento . Ciò significa che la banca che abbia aderito al piano ricevendo ad es. un pagamento parziale non rischia che, se l’azienda fallisce più avanti, il curatore le chieda indietro quei soldi. Questo “scudo” incentiva le banche a fidarsi del piano attestato. Dal lato difensivo, per l’azienda debitrice il piano attestato è uno strumento flessibile e riservato (nessun tribunale coinvolto, nessuna pubblicità oltre l’eventuale iscrizione volontaria), ma ha due limiti: (1) non blocca le azioni dei creditori dissenzienti – se una banca non sta alle trattative può agire per conto suo – e (2) richiede il consenso individuale di ogni controparte coinvolta: non c’è modo di imporre a una minoranza di banche un accordo non voluto. È quindi adatto quando il numero di finanziatori è limitato o quando c’è già un consenso di massima da parte loro.
  • Accordo di ristrutturazione dei debiti: Se invece ci sono molte banche/obbligazionisti e serve vincolare anche eventuali dissenzienti, si può ricorrere a un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (artt. 57-64 CCII). Questo è un accordo omologato dal tribunale che diventa vincolante se vi aderiscono creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali. Viene presentato in tribunale e, ottenuta l’omologa, vincola anche i creditori non aderenti (i quali però per legge devono essere pagati integralmente, salvo diversa previsione di legge) . È uno strumento intermedio tra il piano attestato (tutto volontario) e il concordato (collettivo e con voto): di solito si utilizza quando c’è un numero consistente di creditori disposti ad aderire, e consente di cristallizzare l’accordo con efficacia erga omnes una volta raggiunta la maggioranza qualificata. Negli accordi possono essere inclusi anche crediti pubblici mediante la transazione fiscale. Versioni particolari introdotte dal CCII sono gli accordi ad efficacia estesa, che permettono di estendere gli effetti anche a creditori finanziari dissenzienti se certe maggioranze per categoria sono raggiunte, e gli accordi agevolati che riducono la soglia al 30% in casi specifici: si tratta però di varianti tecniche per casi mirati. In generale, l’accordo di ristrutturazione è adatto quando si riesce a ottenere l’impegno dei maggiori creditori (es. banche principali) ma magari restano fuori piccoli creditori che verranno comunque soddisfatti. Vantaggio: rapidità e minor onere procedurale rispetto al concordato; Svantaggio: richiede che il grosso dei creditori sia d’accordo prima di andare in omologazione, altrimenti non si raggiunge la percentuale richiesta.
  • Misure protettive nelle trattative: Uno dei rischi maggiori nei confronti delle banche è la revoca degli affidamenti e l’aggressione immediata alle garanzie in caso di sentore di crisi. Per questo il Codice della crisi ha previsto che, se l’imprenditore attiva una composizione negoziata (strumento che vedremo dettagliatamente nel prossimo capitolo) o presenta un ricorso per concordato, possa chiedere al tribunale di emettere misure protettive che vietino ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive durante le trattative o fino all’omologa del piano. In particolare, con l’istanza di misure protettive ex art. 18 CCII nell’ambito della composizione negoziata, il tribunale può sospendere le azioni esecutive e cautelari dei creditori per la durata delle trattative (generalmente 4 mesi iniziali) e – novità introdotta nel 2024 – può anche impedire alle banche di revocare gli affidamenti concessi al debitore in bonis . Il terzo correttivo ha infatti specificato che, durante la composizione negoziata, le banche non possono revocare arbitrariamente le linee di credito accordate prima dell’ammissione alla procedura . Inoltre, alcuni tribunali hanno esteso le tutele disponendo misure innovative: ad esempio il Tribunale di Venezia (ord. 13/01/2025) ha vietato alle banche sia di revocare gli affidamenti che di segnalare l’azienda in Centrale Rischi durante la composizione negoziata, ritenendo che ciò fosse necessario per dare concrete chance di risanamento . Il Tribunale di Modena (ord. 08/03/2025) è andato oltre, inibendo in via d’urgenza a una banca di escutere la garanzia pubblica MCC su un finanziamento pendente, poiché l’escussione avrebbe aumentato il debito verso lo Stato e compromesso le trattative . Si tratta di provvedimenti recenti che mostrano un orientamento proattivo dei giudici nel bilanciare gli interessi: in presenza di concrete prospettive di risanamento, viene temporaneamente sacrificato l’interesse della banca a tutelarsi (revocando fidi o escutendo garanzie) a vantaggio di un salvataggio che, se riesce, sarà migliore anche per i creditori stessi.

In definitiva, sul fronte dei debiti bancari, difendersi significa: coinvolgere presto gli istituti finanziatori in un confronto sulla ristrutturazione, preferibilmente presentando piani credibili attestati da esperti; utilizzare gli strumenti giuridici disponibili per impedire il precipitare della situazione (ad es. richiedere misure protettive per congelare le posizioni ed evitare la revoca degli affidamenti); ed eventualmente ricorrere a procedure formali (accordo omologato o concordato) per vincolare tutte le banche a un accordo e ottenere nuova finanza. Un ruolo cruciale è giocato dalla trasparenza e buona fede nelle trattative: banche e obbligazionisti sono più inclini a sostenere un piano di risanamento se il debitore fornisce informazioni accurate e piani dettagliati. In questo, come vedremo, la figura dell’esperto indipendente nella composizione negoziata può aiutare a creare un clima di fiducia tra impresa e creditori finanziari.

Debiti verso fornitori e altri creditori non finanziari

L’ultima macro-categoria è quella dei debiti commerciali, cioè i debiti verso fornitori di beni e servizi, i fornitori di utilities, i locatori di immobili, etc. Per un’azienda chimica di manutenzione industriale, questo potrebbe includere fornitori di materie prime chimiche, imballaggi, aziende di logistica, agenzie di marketing, affitti di capannoni o macchinari, e così via. Spesso queste esposizioni derivano da dilazioni di pagamento concordate (fatture a 60-90 giorni) che l’azienda in crisi non riesce più a onorare regolarmente, accumulando arretrati.

I rischi specifici connessi ai debiti verso fornitori sono:

  • Interruzione delle forniture e rapporti commerciali: A differenza del Fisco o delle banche, il fornitore è solitamente interessato a continuare a vendere all’azienda (per mantenere il cliente) ma nello stesso tempo vuole garanzie sui pagamenti. Se i ritardi nei pagamenti diventano eccessivi, il fornitore può mettere l’azienda in mora e minacciare la sospensione delle consegne. Questo, in un settore produttivo, può essere letale: immaginando ad esempio che un fornitore di principi chimici essenziali blocchi le forniture per mancato pagamento, l’azienda di manutenzione potrebbe non riuscire a evadere i propri ordini ai clienti, aggravando la crisi. Dunque, uno dei primi segnali di allarme è la tensione nei rapporti di fornitura: il debitore deve cercare di gestirli attivamente, magari concordando nuovi termini, pagamenti parziali, o offrendo garanzie (es. pagherò cambiari, conferme di debitore terzo, ecc.) per evitare brusche interruzioni.
  • Azioni legali veloci (ingiunzioni): I fornitori non pagati hanno a disposizione strumenti rapidi per tutelarsi: in primis, il decreto ingiuntivo. Se una fattura è scaduta e non pagata, un fornitore può rivolgersi al tribunale e ottenere nel giro di poche settimane un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (in particolare se vanta un titolo di credito come una cambiale o assegno protestato, o se il credito risulta da un estratto autentico di contabilità). Con il decreto ingiuntivo esecutivo, il fornitore può procedere a pignorare i beni o i crediti dell’azienda: ad esempio, pignorare il conto corrente aziendale (bloccando le liquidità) o pignorare i crediti presso terzi (come crediti verso clienti dell’azienda). Un singolo fornitore potrebbe così mettere in seria difficoltà la società debitrice. L’azienda può fare opposizione al decreto ingiuntivo se contesta il credito, ma se il debito è certo l’opposizione serve solo a guadagnare tempo, difficilmente evita l’obbligo di pagamento. Inoltre, se più fornitori si muovono in modo scoordinato con azioni esecutive separate, l’impresa può trovarsi a fronteggiare molteplici pignoramenti.
  • Istanza di fallimento (liquidazione giudiziale): Un fornitore (o altro creditore) non pagato può anche decidere di presentare un’istanza di liquidazione giudiziale (cioè chiederne il fallimento) se ritiene l’azienda insolvente. Nel regime attuale, qualsiasi creditore può fare istanza purché il credito sia certo, scaduto, di importo rilevante e l’impresa sia in stato di insolvenza (incapace di pagare regolarmente i debiti). In passato vi erano soglie minime (es. €30.000 di debito scaduto) e come visto tuttora esiste la soglia globale di €30.000 di indebitamento scaduto . Ma al di sopra di quella soglia, anche un solo fornitore con poche decine di migliaia di euro potrebbe teoricamente attivarsi. Spesso le istanze di fallimento da parte di fornitori vengono usate come leva di pressione: il fornitore spera che il debitore, pur di evitare il fallimento, lo paghi (magari preferendolo ad altri creditori). Tuttavia questa pratica è meno efficace se l’azienda ha troppi debiti per soddisfarlo: può accadere allora che l’istanza conduca effettivamente all’apertura della liquidazione giudiziale, chiudendo l’impresa. Un rischio concreto, quindi, se i fornitori perdono fiducia.

Difendersi dai debiti verso fornitori richiede una combinazione di gestione negoziale e, se necessario, ricorso a strumenti di procedura:

  • Comunicazione e negoziazione individuale: Il debitore dovrebbe comunicare tempestivamente con i fornitori quando sorgono ritardi, spiegando la situazione e prospettando un piano di rientro (ad esempio: pagamento di una percentuale subito e il resto dilazionato). È spesso utile classificare i fornitori per importanza: i fornitori strategici (quelli senza i quali l’attività non può proseguire) vanno trattati con priorità, cercando di pagarli almeno in parte per mantenerne la collaborazione. Quelli meno critici potrebbero accettare di aspettare di più. In alcuni casi si possono offrire garanzie (fideiussioni, pegni su beni, promesse di pagamento garantite da titoli) per rassicurare il fornitore. L’accordo “a saldo e stralcio” – pagare una parte del dovuto a fronte dell’impegno a non agire legalmente per la differenza – può essere un’opzione, ma attenzione: se poi l’azienda dovesse fallire entro 2 anni, quel pagamento potrebbe essere soggetto a revocatoria fallimentare (se eccede i limiti dell’ordinario, essendo avvenuto in periodo di insolvenza conclamata). È dunque un equilibrio delicato: negoziare sì, ma con trasparenza, eventualmente informando il fornitore che ci si sta muovendo in un quadro più ampio di ristrutturazione.
  • Opposizioni e dilazioni legali: Se un fornitore agisce legalmente (ingiunzione, pignoramento), l’azienda può valutare opposizioni per guadagnare tempo (ad esempio eccependo qualcosa in sede di decreto ingiuntivo, o chiedendo al giudice dell’esecuzione una dilazione ex art. 19 co.2 c.p.c. in casi eccezionali). Tuttavia, queste sono misure tampone e di solito non risolvono il problema di fondo. Una legge utile da ricordare è l’art. 182-quinquies L.F. (richiamato dal CCII) che, in presenza di trattative avanzate per un accordo o concordato, consente di chiedere la sospensione delle azioni esecutive: ma è necessaria almeno una domanda di concordato “in bianco” depositata (o oggi, l’accesso alla composizione negoziata con misure protettive). In pratica, per bloccare efficacemente i fornitori aggressivi occorre attivare uno degli strumenti concorsuali che preveda una moratoria legale.
  • Procedure concorsuali collettive: L’inserimento dei debiti commerciali in un piano concorsuale è spesso l’unica via per ridurre il loro importo in modo equo e sostenibile. Nel concordato preventivo, ad esempio, i fornitori chirografari possono essere soddisfatti solo parzialmente (in percentuale) secondo il piano proposto, e il concordato omologato li vincola ad accettare quella percentuale come pagamento a saldo. Nel concordato in continuità è frequente prevedere il pagamento integrale, ma dilazionato, dei fornitori essenziali (per mantenerli come partner), mentre gli altri ricevono una percentuale minima (in ogni caso non inferiore a quella di legge per il concordato liquidatorio, ad es. 20%). Nel concordato liquidatorio puro spesso i fornitori ricevono percentuali basse (anche il minimo di legge, se applicabile). All’interno della composizione negoziata, l’imprenditore può trattare con i fornitori insieme agli altri creditori: l’esperto può facilitare accordi dove magari i fornitori strategici accettano una dilazione del 100% del credito su più anni, mentre i non strategici accettano un taglio (falcidia) parziale. Ad esempio, nel Caso Beta (un grande gruppo in composizione negoziata) i fornitori strategici accettarono il pagamento integrale dilazionato in 24 mesi + la conferma dei contratti futuri, mentre i finanziari e bondholder subirono conversioni e stralci . Ciò perché per i fornitori chiave interessava più mantenere la relazione commerciale che recuperare subito tutto il pregresso. Questa logica vale anche per una PMI: se un fornitore sa che senza l’azienda perderebbe un cliente, potrebbe essere più disposto a trattare.
  • Misure protettive e divieti di pagamento parziale: Durante procedure come il concordato o la composizione negoziata, il debitore non può preferire un fornitore a scapito di altri arbitrariamente (pena invalidità dei pagamenti non autorizzati). Tuttavia, può chiedere al tribunale l’autorizzazione a pagare fornitori strategici in corso di concordato (pagamenti di crediti anteriori indispensabili per la continuità, ex art. 100 CCII) oppure, in composizione negoziata, può pagare certi fornitori se ciò è funzionale a evitare pregiudizi irreparabili e l’esperto concorda (ad esempio per assicurarsi forniture critiche). Questo per dire che vi sono spazi per gestire anche i pagamenti preferenziali sotto controllo dell’autorità, al fine ultimo di salvare l’impresa.

In conclusione, difendersi dai debiti commerciali significa evitare l’escalation conflittuale: meglio coinvolgere i fornitori in un progetto di soluzione (che sia un accordo stragiudiziale o un piano concorsuale) piuttosto che affrontarli uno a uno in tribunale. Va anche ricordato che, se l’azienda dovesse cadere in liquidazione giudiziale, i fornitori (chirografari) probabilmente recupererebbero ben poco, magari dopo anni. Far comprendere ai creditori che conviene anche a loro accettare un accordo immediato (con soddisfazione parziale ma più alta rispetto a uno scenario liquidatorio) è spesso la chiave negoziale di successo.

Altre passività: dipendenti, ambiente, sanzioni

Oltre a fisco, banche e fornitori, un’azienda può avere altre categorie di debiti rilevanti. Ad esempio, i debiti verso i dipendenti (retribuzioni arretrate, TFR) sono particolarmente sensibili: i lavoratori dipendenti godono di un privilegio generale sui beni mobili e, in caso di procedura concorsuale, possono accedere al Fondo di Garanzia INPS per TFR e ultime mensilità. Dal punto di vista del debitore, il mancato pagamento dei dipendenti porta rapidamente a vertenze di lavoro e ingiunzioni (esecutive immediatamente). Inoltre, sul piano penale, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali sopra €50.000 annui è reato (art. 2 L. 638/83). Pertanto, la tutela dei lavoratori deve essere prioritaria: spesso in un concordato in continuità i debiti verso dipendenti vengono pagati integralmente (magari grazie all’intervento del Fondo INPS, che poi subentra come creditore). Nel contesto di questa guida – focalizzata su debiti finanziari e commerciali – assumiamo comunque che la corretta gestione dei rapporti di lavoro faccia parte del piano di risanamento. Altre possibili passività in un’azienda chimica includono debiti ambientali o per sanzioni amministrative (ad es. sanzioni per violazioni di norme ambientali, di sicurezza sul lavoro, ecc.). Questi debiti spesso non possono essere falcidiati (hanno natura privilegiata se sanzioni pecuniarie pubbliche) e vanno gestiti con le autorità competenti (si può chiedere dilazione all’ente che ha irrogato la sanzione, o includerli in un concordato prevedendone il pagamento integrale dilazionato se privilegiati). In sintesi, ogni tipo di debito ha le proprie regole: conoscerle è il primo passo per costruire una strategia di difesa efficace.

Nei capitoli successivi esamineremo gli strumenti giuridici previsti per affrontare la crisi d’impresa, cioè quelle procedure e percorsi – volontari o giudiziali – che il nostro imprenditore può attivare per ristrutturare i debiti o, nel peggiore dei casi, gestire un’uscita ordinata dal mercato. Capiremo come funzionano e quando conviene usare ciascuno, ricordando che spesso una combinazione di più strumenti (es. composizione negoziata seguita da concordato) può essere necessaria.

Strumenti per affrontare la crisi d’impresa

Il nostro ordinamento mette a disposizione diversi strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, che vanno da soluzioni totalmente stragiudiziali e volontarie fino a procedure concorsuali giudiziali che coinvolgono il tribunale. La scelta dello strumento adeguato dipende dalla gravità della situazione, dalla fattibilità del risanamento e dal grado di consenso dei creditori. Illustreremo qui i principali, in ordine crescente di “formalità”:

  • Piani e accordi stragiudiziali (anche attestati) – soluzioni volontarie senza intervento del tribunale.
  • Composizione negoziata della crisi – procedura ibrida (stragiudiziale assistita) introdotta di recente, con eventuale ombrello protettivo del tribunale.
  • Accordi di ristrutturazione dei debiti omologati – accordi giudizialmente omologati con i creditori, meno invasivi del concordato.
  • Concordato preventivo – procedura concorsuale giudiziale “classica” per evitare la liquidazione, con varie sottocategorie (in continuità, liquidatorio, concordato minore per i non fallibili, e il concordato semplificato speciale post-composizione negoziata).
  • Liquidazione giudiziale – la procedura concorsuale liquidatoria (ex fallimento) da evitare se possibile, ma che diventa necessaria in caso di insolvenza irreversibile.
  • Liquidazione controllata – procedura liquidatoria per i debitori non fallibili (sovraindebitamento), analoga alla liquidazione giudiziale ma destinata ai piccoli.
  • Esdebitazione del debitore – il meccanismo di “fresh start” che, a certe condizioni, libera l’imprenditore persona fisica dai debiti residui dopo una liquidazione.

Esamineremo ciascuno di questi istituti, evidenziandone i presupposti, il funzionamento essenziale, i vantaggi e svantaggi, nonché le novità normative intervenute fino al 2025. Per comodità, in fondo a questa sezione inseriremo anche una tabella comparativa riassuntiva.

Approcci stragiudiziali e piani di risanamento attestati

Accordi stragiudiziali semplici: La via più immediata per affrontare i debiti è tentare di negoziare privatamente con i creditori, senza attivare alcuna procedura formale. Questo approccio ha senso se l’impresa ritiene di poter trovare un accordo rapido e confidenziale con i principali creditori. Ad esempio, l’imprenditore può incontrare la banca e proporre un rifinanziamento (nuovo prestito per pagare gli arretrati con contestuale allungamento dei termini), oppure contattare i fornitori offrendo un pagamento del 50% dei crediti immediatamente purché rinuncino al resto (saldo e stralcio). Vantaggi: massima semplicità, costi legali contenuti, nessuna pubblicità né coinvolgimento del tribunale. Svantaggi: richiede il consenso di tutti i creditori coinvolti, altrimenti chi rimane fuori può comunque agire individualmente; inoltre non offre protezione dalle azioni esecutive (un creditore impaziente può vanificare la trattativa pignorando beni nel frattempo). Gli accordi stragiudiziali “semplici” funzionano dunque solo in situazioni abbastanza circoscritte (pochi creditori, debiti non eccessivi, disponibilità immediata di liquidità per pagare almeno parzialmente).

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII): È uno strumento evoluto di natura privatistica che merita attenzione. Si tratta di un piano di risanamento redatto dall’imprenditore, avente l’obiettivo di riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa, che viene attestato da un professionista indipendente circa la sua veridicità e fattibilità . Il piano può prevedere qualsiasi misura di risanamento (ristrutturazione del debito, aumenti di capitale, cessioni di asset, ecc.) e comporta il raggiungimento di accordi individuali con i creditori interessati (spesso si rivolge principalmente a banche e grandi fornitori). Cosa lo distingue da un accordo qualunque? Due aspetti: (1) il coinvolgimento di un attestatore indipendente che dà credibilità al piano; (2) la possibilità di pubblicare il piano e gli accordi nel Registro delle Imprese per ottenere effetti protettivi. In particolare, tutti gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato sono esenti dall’azione revocatoria in caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale) . Questo scudo legale (art. 166 CCII) è fondamentale: elimina il timore dei creditori che ciò che ricevono possa essere revocato se la crisi non si risolve e si finisce in liquidazione. Ad esempio, se nel piano la banca accetta un pagamento ridotto per chiudere un debito e l’azienda poi fallisce dopo un anno, il curatore non potrà chiedere indietro quel pagamento alla banca, purché fosse “in esecuzione del piano attestato” depositato . Ciò incentiva i creditori ad aderire. Limiti del piano attestato: rimane pur sempre un accordo contrattuale: vincola solo chi lo sottoscrive. I creditori “estranei” (che non aderiscono) devono essere pagati alle scadenze originarie , altrimenti potranno agire. Il piano attestato è quindi adatto quando si concentra sul rinegoziare con alcuni creditori chiave mentre si tengono indenni gli altri. Inoltre non prevede un moratorium automatico: se un creditore non coinvolto vuole iniziare un pignoramento, il piano attestato di per sé non lo ferma (il debitore potrebbe al più chiedere misure urgenti al giudice, ma senza basi concorsuali è difficile ottenerle). Quando usarlo: tipicamente in operazioni di banche-workout (ristrutturazione dei debiti bancari con adesione di tutte o quasi le banche) oppure in piani di riassetto societario dove serva documentare la solvibilità prospettica per evitare il fallimento.

Un esempio: la nostra azienda chimica potrebbe predisporre un piano in cui i soci apportano nuovo capitale, le banche prorogano le linee per 5 anni e rinunciano a parte degli interessi, i fornitori strategici accettano pagamenti dilazionati garantiti da effetti cambiari, mentre i piccoli fornitori vengono pagati integralmente grazie alla nuova finanza immessa. Un professionista assevera che il piano è sostenibile e basato su assunzioni ragionevoli (nuovi contratti di fornitura già firmati, ecc.). Vengono formalizzati accordi scritti con ciascun creditore chiave e si deposita tutto al Registro Imprese. Da quel momento gli accordi sono opponibili e i pagamenti effettuati (es. ai fornitori piccoli o ad alcuni fornitori strategici) non saranno revocabili successivamente. Se tutto va bene, l’azienda esce dalla crisi senza passare dal tribunale. Se invece il piano fallisce, comunque i creditori avranno già incassato qualcosa e l’eventuale curatore non potrà toccare quanto pagato in esecuzione del piano, salvo frodi.

Accordi stragiudiziali di ristrutturazione del debito (senza omologa): Oltre al piano attestato, nulla vieta accordi meno formalizzati con gruppi di creditori: ad esempio accordi sottoscritti contestualmente con tutti i fornitori per ridurre del 30% i loro crediti e dilazionarli. Questi accordi privati, se ben documentati, possono anch’essi essere richiamati nel Registro Imprese per pubblicità (ex art. 46 CCII). Tuttavia, senza l’ombrello dell’attestazione e omologa, restano fragili se qualche soggetto “rompe le righe”. Una pratica frequente è quella di firmare accordi bilaterali di moratoria con le banche (accordi di standstill) in cui la banca si impegna a non revocare gli affidamenti per un certo periodo mentre l’azienda sviluppa un piano di ristrutturazione. Ciò può preludere all’ingresso in composizione negoziata o concordato, ma è un modo per congelare informalmente la situazione nel frattempo.

In generale, il successo di un approccio stragiudiziale dipende molto dalla fiducia: se i creditori credono nel piano e nella buona fede dell’imprenditore, possono sostenerlo spontaneamente. Se invece la fiducia è compromessa (ad es. bilanci inattendibili, passività nascoste emerse tardi, conflittualità), diventa necessario un intervento “terzo” più strutturato (esperto, tribunale) per assicurare il rispetto delle regole del gioco.

Nei prossimi paragrafi, esaminiamo proprio questi interventi più strutturati, a partire dalla composizione negoziata, l’innovativo strumento introdotto dal 2021 per aiutare le imprese in crisi a negoziare soluzioni col supporto di un esperto indipendente.

Composizione negoziata della crisi d’impresa

La composizione negoziata è uno strumento di soluzione della crisi introdotto originariamente con il D.L. 118/2021 (convertito in L. 147/2021) e ora disciplinato nel Codice della crisi (artt. 17-25 sexies CCII). Si tratta di un percorso volontario, riservato e stragiudiziale in cui l’imprenditore in situazione di crisi o insolvenza incipiente richiede alla Camera di Commercio la nomina di un esperto indipendente. L’obiettivo è di favorire trattative efficaci con i creditori per il risanamento dell’azienda, prima di arrivare a procedure concorsuali giudiziarie . In composizione negoziata, l’imprenditore mantiene la gestione dell’impresa (non c’è spossessamento né nomina di curatore) ma opera sotto la guida/assistenza di questo esperto terzo, il quale ha il compito di facilitare le negoziazioni, valutare la sostenibilità del piano di risanamento e assicurarsi che l’imprenditore non compia atti pregiudizievoli .

Accesso e condizioni: Può accedere alla composizione negoziata qualunque imprenditore commerciale o agricolo (anche sotto-soglia, anche soggetti finora “non fallibili”) che si trovi in condizioni di crisi o insolvenza potenziale e ritenga di avere prospettive concrete di risanamento. Non è necessario essere già insolventi in senso tecnico; anzi, la finalità è di agire prima che l’insolvenza diventi conclamata. L’imprenditore presenta una istanza tramite piattaforma telematica nominativa (gestita dalle Camere di Commercio) allegando le informazioni economico-patrimoniali richieste (ultimi bilanci, situazione aggiornata, elenco creditori, etc.) . Un’apposita commissione nomina quindi un esperto, scelto da un elenco nazionale di professionisti qualificati (avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro con esperienza in crisi d’impresa). Con la riforma 2024 sono state chiarite alcune condizioni ostative: ad esempio oggi è confermato che la pendenza di un’istanza di fallimento/liquidazione giudiziale presentata da un creditore non impedisce all’imprenditore di accedere alla composizione negoziata (in passato alcuni tribunali lo negavano temendo abusi dilatori). Solo se è lo stesso debitore ad aver già chiesto il fallimento o un concordato nei 4 mesi precedenti, non può ripiegare sulla negoziata . Ciò per evitare che un imprenditore usi la negoziata dopo aver egli stesso attivato e ritirato altre procedure.

Svolgimento: Dalla nomina, l’esperto convoca l’imprenditore a un primo incontro dove si valuta se esistono possibilità concrete di risanamento (c.d. check-up iniziale). Se sì, si procede a convocare i creditori principali e ad avviare le trattative. L’esperto è un mediatore qualificato: ascolta le proposte dell’imprenditore, raccoglie le richieste dei creditori, suggerisce possibili soluzioni. Importante: durante la composizione negoziata l’imprenditore continua ad amministrare l’azienda, ma ha il dovere di informare l’esperto prima di compiere atti di straordinaria amministrazione e di astenersi da atti che possano pregiudicare i creditori. Non c’è un commissario che autorizza gli atti (come nel concordato); tuttavia, per taluni atti l’imprenditore può chiedere al tribunale un’autorizzazione (es. per contrarre finanziamenti prededucibili, o trasferire azienda se funzionale al piano). Il procedimento è quindi flessibile: gran parte si svolge fuori dal tribunale, con riunioni (anche da remoto) tra impresa, esperto e creditori, scambio di documenti sulla piattaforma, ecc.

Durata: La composizione negoziata ha una durata standard di 180 giorni (6 mesi) dall’accettazione dell’incarico dell’esperto. Può essere prorogata fino a ulteriori 180 giorni (massimo un anno totale), ma solo su richiesta motivata. Il D.Lgs. 136/2024 ha reso più agevole la concessione di proroghe: non serve più l’assenso unanime di tutti i creditori, è sufficiente la richiesta dell’imprenditore o di una parte dei creditori in trattativa, con il parere favorevole dell’esperto, purché vi siano concrete prospettive di risanamento ancora perseguibili . Questo aggiustamento normativo è importante, perché in precedenza bastava il dissenso di un creditore per impedire di prolungare le negoziazioni oltre 6 mesi. Ora, se le trattative stanno progredendo e c’è possibilità di accordo, il tribunale può estendere il termine anche senza l’unanimità dei creditori .

Misure protettive e cautelari: Uno dei punti di forza della composizione negoziata è la possibilità per l’imprenditore di chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive verso i creditori. Ciò avviene su base volontaria: l’imprenditore può anche decidere di negoziare senza pubblicità, ma se teme azioni ostili dei creditori, può presentare un ricorso al tribunale per ottenere la sospensione delle azioni esecutive e cautelari per la durata della procedura (inizialmente fino a 4 mesi) . Il tribunale, verificati i presupposti, emette un decreto che inibisce a tutti i creditori (i quali vengono informati) di iniziare o proseguire pignoramenti, sequestri, iscrizioni ipotecarie, ecc. In pratica l’azienda ottiene un periodo di standstill legale per condurre le trattative in modo ordinato. Durante questo periodo, come accennato, la legge ora vieta anche alle banche di revocare gli affidamenti bancari esistenti senza giusta causa . Eventuali eccezioni (es. un creditore che ritiene la misura ingiusta) vanno sollevate tramite reclamo al tribunale, ma se le condizioni di accesso erano rispettate, difficilmente il giudice revoca la protezione.

Accanto alle misure protettive generali, il tribunale può emettere misure cautelari specifiche su istanza del debitore o dei creditori, per prevenire situazioni pregiudizievoli. Abbiamo visto esempi nei casi di Venezia e Modena: giudici che vietano segnalazioni a Centrale Rischi, revoche di fidi, o escussioni di garanzie pubbliche . La legge consente misure cautelari “atipiche” funzionali alle trattative (art. 18 co.3 CCII), e i tribunali ne stanno facendo uso creativo per stabilizzare il perimetro della crisi finché c’è speranza di risanamento .

Esito della composizione negoziata: Entro la fine del periodo (o anche prima, se si raggiunge un accordo) l’esperto redige una relazione finale sulle trattative. Possibili esiti: (a) Raggiungimento di un accordo stragiudiziale con i creditori – in tal caso la composizione negoziata si chiude con successo (esito positivo), l’azienda e le controparti formalizzano gli accordi (privati o eventualmente omologati come accordo ex art.57 CCII) e l’impresa prosegue; (b) Mancato accordo – se non si riesce a trovare una soluzione soddisfacente, la procedura termina con esito negativo e l’imprenditore dovrà valutare altre strade (concordato, liquidazione, ecc.); (c) Soluzione parziale – ad esempio accordo solo con alcuni creditori chiave e necessità di consolidarlo tramite una procedura giudiziale (come un concordato). In molti casi, infatti, la composizione negoziata funge da preparazione a una successiva procedura: l’esperto favorisce un accordo “in bozza” che poi viene formalizzato attraverso un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione omologato. Questo iter è stato previsto dal legislatore stesso: l’idea è che la fase negoziale preliminare semplifichi e velocizzi la successiva procedura formale. L’art. 23 CCII consente, ad esempio, che l’esperto resti coinvolto come attestatore nel concordato successivo, capitalizzando la conoscenza acquisita.

Una novità di grande rilievo è il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII): se la composizione negoziata si conclude senza risanamento, ma l’imprenditore vuole comunque evitare il fallimento e liquidare i beni in modo ordinato, può – entro 60 giorni dalla relazione finale dell’esperto – proporre un concordato semplificato liquidatorio. In questo procedimento i creditori non votano; il tribunale, valutata la proposta e sentiti eventualmente i creditori in udienza, può omologarla se la ritiene vantaggiosa rispetto alla liquidazione giudiziale . È uno strumento di chiusura rapida: evita l’intera procedura di concordato preventivo (che richiede votazioni) e consente di liquidare i beni dell’impresa sotto controllo giudiziario ma con minori formalità. Il concordato semplificato è stato introdotto per dare un’ultima chance di gestione controllata anche a chi non è riuscito a risanare ma vuole evitare il fallimento classico. Viene utilizzato ad esempio per vendere l’azienda in blocco a un terzo, distribuendo poi il ricavato ai creditori secondo le priorità di legge (no going concern interno, solo cessione). Prima applicazione: il Tribunale di Roma il 15 novembre 2023 ha omologato uno dei primi concordati semplificati post-composizione, evidenziando come esso possa costituire un’alternativa efficace al fallimento in termini di tempi e risultati . Va sottolineato che il semplificato non è un diritto automatico: il tribunale valuta con rigore la proposta e può respingerla se non tutela adeguatamente i creditori.

Vantaggi principali della composizione negoziata: è riservata (non comporta dichiarazione di insolvenza né pubblicità, se non si chiedono misure protettive), flessibile (soluzioni tagliate su misura, non predeterminate), lascia l’imprenditore al comando (a differenza dell’amministrazione straordinaria o liquidatoria), offre però un supporto professionale e alcuni strumenti protettivi simili a quelli di una procedura concorsuale (blocco delle azioni, autorizzazioni del giudice, transazione col Fisco) senza il peso reputazionale di un fallimento . Le statistiche recenti mostrano una crescita dell’uso di questo strumento: ad esempio in Lombardia nel 2024 le istanze di composizione negoziata sono aumentate dell’87% rispetto al 2023 , segno che viene sempre più percepito come una reale alternativa al fallimento, specie per le PMI (costituiscono oltre il 70% dei casi)】. Tuttavia, la composizione funziona solo se attivata tempestivamente: l’esperto poco può fare se l’azienda è già priva di liquidità e al collasso operativo. Inoltre, essa richiede la collaborazione attiva dei creditori**; se alcuni rifiutano a priori ogni sacrificio, la negoziata può fallire e sarà necessario passare a strumenti coattivi (concordato).

Svantaggi o limiti: comporta dei costi professionali (bisogna remunerare l’esperto indipendente e gli eventuali consulenti per i piani, anche se incentivi pubblici e fiscali sono previsti per mitigare ciò) e non garantisce il risultato – non essendo impositiva, la riuscita dipende dalla buona volontà di tutti i giocatori. Inoltre, se si accede a misure protettive, la notizia diviene pubblica (registro delle imprese e comunicazione ai creditori): questo può preoccupare fornitori e partner commerciali. La legge tutela l’impresa in composizione vietando la revoca di contratti essenziali solo perché è avviata la procedura, ma il rischio di tensioni commerciali rimane.

In sintesi, la composizione negoziata è oggi un potentissimo strumento nelle mani del debitore: consente di congelare le azioni ostili, trattare a 360° con tutti i creditori e magari trovare soluzioni innovative (ingresso di nuovi investitori, ristrutturazione del debito, cessione rami d’azienda) con l’assistenza di un esperto. Se riesce, salva l’impresa; se non riesce, offre comunque vie d’uscita ordinate (concordato semplificato). Nei prossimi casi pratici vedremo un esempio di come può essere utilizzata efficacemente.

(Prosegue con gli strumenti concorsuali formali: concordato preventivo, ecc.)

Concordato preventivo (imprese maggiori) e concordato minore (imprese minori)

Il concordato preventivo è la più nota procedura concorsuale “di risanamento” prevista dalla legge fallimentare fin dal 1942 (ora ripresa nel CCII agli artt. 40-120). Consiste in un procedimento giudiziale in cui l’imprenditore in crisi propone ai creditori un piano per evitare la liquidazione, pianificando il pagamento, anche parziale, dei debiti e l’eventuale ristrutturazione aziendale. Il concordato richiede l’approvazione dei creditori (per classi o maggioranza di crediti) e l’omologazione del tribunale, dopo una valutazione di legalità e fattibilità.

Chi può accedere: come anticipato, possono presentare concordato preventivo gli imprenditori commerciali assoggettabili a liquidazione giudiziale (i “fallibili”) . Le imprese sotto-soglia, viceversa, utilizzano il concordato minore (disciplinato dagli artt. 74-83 CCII), che ha principi simili ma semplificati e senza voto per i creditori (il tribunale decide sentiti i creditori). Di fatto, chi è fallibile va col concordato preventivo, chi non lo è col minore . Questa distinzione deriva da scelte storiche e la riforma l’ha mantenuta parallela.

Stato di crisi o insolvenza: non è necessario essere già insolventi per chiedere il concordato. È sufficiente trovarsi in stato di crisi, nozione ampia che include anche la mera difficoltà prospettica a far fronte ai debiti . Dopo l’attuazione della Direttiva UE 2019/1023, l’art. 84 CCII consente il concordato anche all’imprenditore che prevede di diventare insolvente, così da incentivare interventi anticipati . Quindi la nostra azienda chimica potrebbe, avvertendo che tra 6 mesi non avrà liquidità per pagare un grosso debito, proporre un concordato già ora per prevenire il default.

Tipologie di concordato: la legge distingue principalmente tra concordato in continuità aziendale e concordato liquidatorio . Nel concordato in continuità, l’impresa prosegue l’attività (direttamente o tramite terzi) e il piano prevede la ristrutturazione per riportare l’azienda in bonis (spesso con intervento di nuovi finanziatori o cessione di rami d’azienda in esercizio). Nel concordato liquidatorio, invece, si prevede di cessare l’attività e liquidare il patrimonio, distribuendo il ricavato ai creditori secondo il piano concordatario. La distinzione è importante perché:

  • Nel concordato in continuità la legge consente maggiore flessibilità (ad esempio non c’è più una percentuale minima di soddisfazione garantita ai chirografari, purché il piano sia ragionevole e migliori l’alternativa liquidatoria). L’obiettivo primario è salvare l’impresa come going concern, preservare posti di lavoro, ecc. Spesso i concordati in continuità prevedono classi di creditori e trattamenti differenziati: es. banche trasformate in equity, fornitori pagati in parte su 2 anni, Fisco transatto con dilazione lunga, ecc.
  • Nel concordato liquidatorio puro (senza continuità) la legge impone alcune condizioni più rigorose: tendenzialmente i crediti chirografari devono ricevere almeno il 20% del loro importo (soglia minima di legge, salvo esenzioni) e il piano deve apportare risorse esterne se i beni attivi non coprono quella percentuale (per rendere la proposta migliorativa rispetto alla semplice liquidazione fallimentare). Il concordato liquidatorio è in sostanza un fallimento contrattualizzato: l’impresa si impegna a vendere tutto e distribuire, però sotto il controllo del giudice e con l’accordo dei creditori, evitando alcune rigidità del fallimento.

Nel nostro contesto, se l’azienda chimica ha prospettive di salvataggio, punterà a un concordato in continuità, magari con l’ingresso di un investitore che apporta denaro per pagare una parte dei debiti e rileva la gestione. Se invece non vi sono speranze di prosecuzione, potrà usare il concordato liquidatorio per evitare il fallimento e chiudere l’attività con una procedura concordata (questo scenario è simile al concordato semplificato post-composizione, ma con la differenza che qui i creditori votano).

Procedura di concordato: in sintesi: l’imprenditore deposita un ricorso al tribunale contenente la proposta, il piano dettagliato e la documentazione (bilanci, elenco creditori, relazione di un attestatore indipendente che assevera veridicità dati e fattibilità piano). Se la domanda supera un vaglio iniziale di ammissibilità, il tribunale ammette alla procedura e nomina un commissario giudiziale (figura di controllo). Viene indetta un’adunanza dei creditori: i creditori votano la proposta (in classi se previste, altrimenti per maggioranza dei crediti). Se il quorum è raggiunto (maggioranza del totale crediti ammessi, e almeno il 50% per ciascuna classe eventualmente), il tribunale passa alla fase di omologazione: verifica legalità e convenienza del concordato rispetto all’alternativa fallimentare (se qualche creditore ha votato contro ed eccepisce scarsa convenienza). Se tutto è regolare, emette decreto di omologazione che rende il piano vincolante per tutti i creditori anteriori. Da quel momento il debitore esegue il piano sotto la vigilanza del commissario/giudice delegato.

Durante il concordato, il debitore è protetto: dal deposito del ricorso scatta automaticamente il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e di acquisire preferenze (analogamente alle misure protettive viste prima). Inoltre i contratti pendenti possono proseguire (salvo scioglimento/continuazione selettiva ex art. 97 CCII autorizzata dal giudice). In sostanza, il concordato congela la situazione e offre un quadro controllato per implementare il piano.

Concordato “in bianco” (con riserva): se l’azienda ha bisogno di protezione immediata ma non ha ancora pronto il piano dettagliato, può presentare una domanda di concordato con riserva (art. 44 CCII, ex “concordato in bianco”). In tal caso deposita un ricorso con le sole informazioni generali e chiede tempo (fino a 2 + proroga 2 mesi) per presentare il piano definitivo. Nel frattempo gode della protezione dagli attacchi dei creditori. Questa mossa è spesso usata come difesa d’urto quando un creditore sta per ottenere un fallimento o un pignoramento pesante: si deposita la domanda in bianco e si guadagna tempo per strutturare un piano. Va però usata in buona fede, altrimenti il tribunale può revocare la protezione.

Concordato minore: per completezza, il concordato minore (destinato a imprese sotto-soglia e sovraindebitati civili) è simile ma con differenze: non c’è voto dei creditori (il tribunale omologa se ritiene la proposta meritevole e non manifestamente squilibrata, sentiti i creditori in camera di consiglio), e deve assicurare al creditore chirografario almeno il 10% (percentuale ridotta rispetto al 20% del concordato preventivo liquidatorio) salvo casi eccezionali. Nel concordato minore l’OCC (Organismo Composizione Crisi) svolge funzioni simili al commissario. Questa procedura, però, esula in parte dal focus azienda societaria, per cui non entriamo nei dettagli.

Transazione fiscale nel concordato: come già detto, oggi è pienamente ammessa (anche per concordati in continuità) e il giudice può omologare anche se il Fisco vota no . Quindi l’azienda può tranquillamente includere nel piano una proposta di saldo parziale dei debiti tributari e contributivi, sapendo che, se l’alternativa fallimentare darebbe di meno al Fisco, il concordato può passare.

Vantaggi del concordato: consente di imporre una soluzione ristrutturativa anche ai creditori dissenzienti, una volta approvata a maggioranza e omologata. Permette di azzerare parte dei debiti (quelli chirografari vengono falcidiati secondo la percentuale concordataria, e la parte eccedente si estingue con l’omologa). Dà accesso a strumenti come la finanza interinale prededucibile (prestiti durante la procedura autorizzati dal giudice, rimborsati prima degli altri) e consente di sciogliere contratti sfavorevoli o cedere rami d’azienda con il beneplacito del tribunale, anche senza consenso di tutte le controparti. Insomma, è un contenitore potente per ristrutturare l’impresa sotto la supervisione dell’autorità giudiziaria.

Svantaggi: è una procedura complessa e costosa: servono attestazioni professionali, i tempi sono medio-lunghi (spesso 6-12 mesi solo per arrivare al voto, e ulteriori per l’omologa), c’è pubblicità legale (il ricorso di concordato è iscritto nel Registro imprese e comunicato ai creditori, dunque il mercato viene a sapere che l’azienda è in concordato – con possibili impatti su reputazione e relazione coi clienti). Inoltre durante il concordato la gestione non è totalmente libera: c’è un commissario che vigila e molte operazioni richiedono autorizzazione del giudice. Di fatto l’imprenditore accetta di “mettere l’azienda nelle mani del tribunale” temporaneamente, per salvare il salvabile. Va anche detto che non tutti i concordati giungono a termine: se durante la procedura l’impresa peggiora (ad es. non paga la corrente gestione, o devia dal piano), i creditori o il commissario possono chiedere la risoluzione/revoca e a quel punto scatta il fallimento. Quindi è un percorso da intraprendere con la massima consapevolezza, preparandosi bene in anticipo (spesso proprio con una composizione negoziata preliminare).

In pratica, la strategia più efficace vista oggi è: usare la composizione negoziata per preparare il terreno (ottenere accordi di massima, individuare un investitore, convincere banche e Fisco) e poi formalizzare con un concordato preventivo per ottenere il consenso formale e liberarsi dei creditori dissenzienti in maniera definitiva . Questo approccio ha portato vari benefici in casi reali, come evidenziato dalla prassi recente .

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

Se, nonostante tutti gli sforzi, l’impresa non è risanabile o gli accordi con i creditori non riescono, si arriva all’extrema ratio: la liquidazione giudiziale (che fino al 2022 si chiamava fallimento). Questa procedura, disciplinata dagli art. 121 e segg. CCII, ha lo scopo di realizzare il patrimonio residuo dell’impresa insolvente e distribuire il ricavato ai creditori secondo la graduatoria delle cause di prelazione . In parole semplici, si vende tutto ciò che ha valore (immobili, beni mobili, crediti) e si ripartiscono i soldi ottenuti tra i creditori (prima i privilegiati, poi gli chirografari, spesso in minima percentuale). L’apertura della liquidazione giudiziale può essere chiesta dal debitore stesso (cosiddetto autofallimento), da un creditore o dal Pubblico Ministero, al ricorrere dello stato di insolvenza (incapacità strutturale di pagare i debiti). Come già visto, non si procede se i debiti scaduti sono sotto €30.000 o se l’impresa è sotto le soglie dimensionali (in tal caso, se insolvente, avrà la liquidazione controllata anziché la giudiziale).

Effetti e svolgimento: Con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, l’imprenditore viene spogliato dell’amministrazione dei beni: la gestione passa nelle mani di un Curatore nominato dal tribunale. I beni dell’impresa (anche detenuti da terzi) diventano parte della massa attiva gestita dal Curatore, il quale agisce sotto la supervisione di un Giudice Delegato e del Comitato dei Creditori. Si apre lo stato passivo: i creditori devono presentare domanda di insinuazione e il giudice accerta i crediti, graduandoli (privilegiati, ipotecari, chirografari). Le eventuali cause pendenti contro l’impresa sono riunite nella procedura (vengono trattate dal giudice fallimentare). Il curatore può proseguire temporaneamente l’esercizio d’impresa se utile per la migliore vendita (ad es. completare commesse in corso), ma di regola si tende a liquidare in tempi brevi. Il curatore quindi bandisce aste o vendite competitive per gli asset: vendite immobiliari, vendita dell’intero complesso aziendale o di rami, ecc. Una volta liquidato il patrimonio, presenta un piano di riparto: i creditori privilegiati sono soddisfatti fino a capienza del valore di realizzo (spesso ipoteche e pegni recuperano solo in parte se i beni valgono meno del credito), i chirografari ricevono pro-quota quel che rimane (spesso poche centinaia o zero).

Per l’imprenditore, la liquidazione giudiziale comporta conseguenze gravi: cessazione immediata dell’attività (salvo esercizio provvisorio autorizzato) e perdita della disponibilità dei beni aziendali e personali connessi all’impresa. Nel caso di società di capitali, la società stessa viene sciolta e poi estinta al termine della procedura; nel caso di imprenditore individuale, tutto il patrimonio personale (esclusi i beni impignorabili) è soggetto a liquidazione per i debiti d’impresa. Ci sono anche conseguenze di tipo personale: l’imprenditore persona fisica sottoposto a liquidazione giudiziale subisce limitazioni (non può ricoprire cariche amministrative in altre società durante la procedura, eventuali atti a titolo gratuito compiuti prima possono essere revocati, etc.) e un certo stigma reputazionale. Per i soci di società a responsabilità illimitata (S.n.c, S.a.s illimitatamente responsabili) la dichiarazione di liquidazione si estende alle persone dei soci stessi, con ricadute sul loro patrimonio personale.

Durata e costi: purtroppo la liquidazione giudiziale/fallimento è nota per la sua durata che può essere anche pluriennale, e per i costi (compensi al curatore, spese legali, ecc.) che erodono l’attivo. La riforma del Codice mira a procedure più rapide e digitalizzate, ma molto dipende dalla complessità del patrimonio e del contenzioso.

Perché potrebbe essere inevitabile: se l’impresa è irreversibilmente insolvente, cioè non genera flussi e non ha modo di ristrutturare (nessuno disposto a investire, troppi debiti, attività ferma), allora la liquidazione concorsuale è spesso l’unica via. In questi casi, paradossalmente, chiederla in proprio (autofallimento) può essere una scelta razionale dell’imprenditore, perché quantomeno anticipa la chiusura evitando ulteriori aggravamenti del dissesto e consente di beneficiare prima dell’eventuale esdebitazione (la liberazione dai debiti residui, di cui si dirà tra poco). Ad esempio, se l’azienda chimica ha perso i clienti principali e accumulato milioni di debiti che superano di gran lunga gli asset, trascinarla tra decreti ingiuntivi e pignoramenti confusi peggiorerebbe solo la posizione dei creditori e del titolare. Meglio allora un fallimento ordinato, nominando un curatore che gestisca le vendite e chiuda la vicenda. Certo, per l’imprenditore è una sconfitta, ma può diventare l’inizio di un percorso di fresh start se accompagnato dall’esdebitazione.

Esdebitazione del fallito: introdotta nel 2006 e confermata dal CCII, l’esdebitazione (artt. 278-282 CCII) permette all’imprenditore persona fisica di essere liberato dai debiti residui non soddisfatti al termine della liquidazione, purché abbia collaborato lealmente e non abbia commesso irregolarità gravi. In pratica, dopo la chiusura del fallimento, il debitore può chiedere al tribunale di cancellare tutti i debiti rimasti impagati, così da poter ricominciare senza un fardello a vita. È un beneficio concesso una sola volta e non per debiti derivanti da illeciti o mantenimento, ma è fondamentale per dare incentivo al fallito a collaborare (sapendo di poter tornare ad essere economicamente attivo in futuro). Nel nuovo Codice è previsto addirittura l’esdebitazione di diritto per il debitore incapiente: se nel fallimento non si recupera nulla, la persona fisica onesta può essere esdebitata immediatamente, senza attendere anni (salvo opposizioni di creditori). Dunque, per l’imprenditore onesto ma sfortunato, il fallimento non è più una “condanna a vita”: può diventare un rito doloroso ma temporaneo, dopo il quale i debiti vengono cancellati e si può ripartire.

Liquidazione controllata (sovraindebitamento): una parola anche su questa: è la procedura simil-fallimentare applicabile alle imprese non fallibili insolventi e alle persone fisiche non imprenditori. Funziona in modo analogo alla liquidazione giudiziale, ma viene gestita dall’OCC (Organismo di Composizione della Crisi) o da un liquidatore nominato ad hoc, e ha regole semplificate. Anche qui c’è l’esdebitazione finale per il debitore meritevole. Per una piccola impresa individuale chimica sotto soglia, la liquidazione controllata sarebbe lo sbocco in caso di dissesto non risolvibile. Non vi è differenza sostanziale per i creditori: pure in liquidazione controllata, i beni sono venduti e il ricavato distribuito.

Conclusione sugli strumenti: abbiamo quindi a disposizione una gamma completa di opzioni, dalla negoziazione volontaria alla liquidazione concorsuale. Il punto di vista del debitore dev’essere sempre pragmatico: valutare la fattibilità del risanamento. Se c’è un core business sano, ordini, know-how e solo un eccesso di debiti, vale la pena tentare i piani di risanamento e il concordato in continuità, magari passando per la composizione negoziata. Se invece l’azienda è compromessa, ogni ipotesi di prosecuzione porterebbe solo ulteriori perdite, allora è meglio preservare quel che c’è ed evitare ulteriori esposizioni (ad esempio fermando subito l’attività per non accumulare nuovi debiti prededucibili) e poi utilizzare uno strumento liquidatorio (concordato liquidatorio o fallimento) per chiudere ordinatamente. Il tempismo è essenziale: attivare uno strumento troppo tardi ne pregiudica l’efficacia (es., avviare un concordato quando la cassa è azzerata e non si riescono neanche a pagare le spese della procedura conduce a revoca). Al contrario, muoversi per tempo – magari dopo aver ricevuto le segnalazioni di allerta dagli enti pubblici, che scattano quando i debiti fiscali/previdenziali superano certe soglie – permette di sfruttare appieno le opportunità di risanamento e anche di beneficiare delle misure premiali (riduzione interessi e sanzioni, ecc.) previste per chi affronta la crisi attivamente .

Nei paragrafi seguenti vedremo come difendersi concretamente dalle azioni dei creditori nel frattempo e due casi pratici che illustrano le differenze tra un approccio virtuoso e uno rinunciatario alla gestione della crisi.

Difendersi dalle azioni dei creditori: strategie operative

Nel periodo in cui l’impresa valuta e implementa le soluzioni di cui sopra, deve anche fronteggiare le azioni dei creditori che potrebbero non stare ad attendere passivamente. Vediamo alcune situazioni tipiche e come il debitore può difendersi, sul piano legale, dalle iniziative dei creditori più aggressivi.

Misure protettive e stay delle azioni esecutive

Come già descritto, uno strumento chiave a disposizione del debitore è la possibilità di ottenere dal tribunale un “ombrello protettivo” che sospenda temporaneamente tutte le iniziative esecutive e cautelari individuali. Questo stay può essere ottenuto:

  • presentando una domanda di composizione negoziata con richiesta di misure protettive ;
  • depositando un ricorso per concordato preventivo (anche “in bianco”), che attiva l’automatic stay ex lege;
  • presentando un ricorso per omologazione di un accordo di ristrutturazione (che consente di chiedere misure protettive analoghe durante l’attesa dell’omologa).

Durante la vigenza delle misure protettive, i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti o sequestri. Se ad esempio un fornitore aveva già pignorato un conto corrente, la procedura esecutiva resta congelata; se l’Agenzia delle Entrate Riscossione stava per vendere un immobile ipotecato, la vendita viene sospesa. Questo blocco generale ridà fiato all’impresa e consente di negoziare con tutti i creditori seduti attorno a un tavolo, senza la pressione dell’azione di uno a discapito degli altri. È fondamentale però rispettare i termini e i vincoli imposti dalla procedura protettiva: il debitore non può indebitarsi ulteriormente senza controllo, deve pagare i debiti correnti per quanto possibile (specie in concordato, per evitare prededuzioni impagate), e deve agire con lealtà verso i creditori.

Una volta ottenute le misure protettive, se qualche creditore dovesse comunque agire ignorandole (accade raramente, ma per errore potrebbe partire un pignoramento), l’atto è nullo per legge e può essere fatto dichiarare tale dal tribunale. È quindi una tutela effettiva. Naturalmente, le misure protettive non possono durare indefinitamente: il tribunale le concede per periodi relativamente brevi (fino a 4 mesi in negoziata, prorogabili; fino a 6-8 mesi in attesa di omologa di un accordo ex art. 48 CCII) . L’obiettivo non è congelare i debiti a tempo indeterminato, ma creare una finestra temporale per trovare una soluzione.

Per l’imprenditore debitore, ottenere uno stay può fare la differenza tra la sopravvivenza e la fine: pensiamo a un’azienda a cui viene evitato il pignoramento del conto, potendo così continuare a pagare fornitori strategici e stipendiare i dipendenti durante le trattative. O a una banca che non può escutere un mutuo ipotecario, permettendo all’azienda di non perdere l’immobile produttivo mentre cerca un investitore. Il legislatore, conscio di ciò, ha messo a disposizione questi strumenti di protezione che prima del 2022 erano limitati (nel concordato in bianco c’era, ma ad esempio per le trattative stragiudiziali no). Oggi con la composizione negoziata e i nuovi accordi, ogni trattativa seria può essere accompagnata da protezione giudiziaria. Unico aspetto delicato: le misure protettive vengono iscritte nel Registro delle Imprese, quindi i terzi ne vengono a conoscenza. È un effetto collaterale inevitabile per dare pubblicità a uno stay che coinvolge tutti. Ciò può generare sfiducia in clienti e fornitori esterni al tavolo, ma è un rischio da correre se i benefici superano i costi.

Opposizione a decreti ingiuntivi, precetti e pignoramenti

Prima che entrino in gioco misure protettive generali, il debitore può trovarsi coinvolto in azioni esecutive individuali da parte di singoli creditori (soprattutto se non ha attivato per tempo uno strumento concorsuale). In tali casi, esistono rimedi processuali che, seppur non risolutivi, possono guadagnare tempo o portare ad accordi.

  • Opposizione a decreto ingiuntivo: se un creditore ottiene un decreto ingiuntivo, l’ingiunto (debitore) ha 40 giorni per opporsi, instaurando un giudizio ordinario. Se però il decreto è provvisoriamente esecutivo (come spesso accade se c’è prova scritta del credito), l’opposizione non sospende l’esecutività a meno che il giudice, su istanza, non conceda la sospensione in presenza di gravi motivi. Un’opposizione pretestuosa raramente ottiene la sospensiva; serve allegare motivi seri (contestazione su quantità, qualità, eccepire compensazioni, prescrizioni, ecc.). Tuttavia, anche senza sospensione, l’opposizione trasforma il decreto in una causa civile, allungando i tempi per giungere a sentenza definitiva. Nel frattempo, se il creditore non ha trovato beni da pignorare o se l’azienda è protetta in altro modo, può darsi che si trovi un accordo. Quindi l’opposizione è uno strumento di difesa tecnico che va valutato caso per caso con l’avvocato: se ci sono spiragli per contestare il credito (anche parzialmente) conviene farla, altrimenti no (si rischiano spese legali aggiuntive inutili).
  • Opposizione al precetto o all’esecuzione: quando un creditore notifica un atto di precetto (l’intimazione di pagamento entro 10 giorni, preludio al pignoramento), il debitore può proporre opposizione all’esecuzione (se contesta il titolo o la persistenza del debito) o opposizione agli atti esecutivi (se contesta vizi formali del precetto) entro stretti termini. Ad esempio, se la somma precettata è errata o comprende voci non dovute, si può opporre il precetto per ridurla. Se però il debito è pacifico e il titolo esecutivo valido, l’opposizione all’esecuzione avrebbe scarso successo. Può però servire a ottenere una sospensione del precetto se si dimostra che si stanno avviando trattative serie: talvolta i giudici concedono rinvii di 30-60 giorni se c’è in corso un negoziato o in procinto di depositarsi un concordato.
  • Istanza di conversione del pignoramento: se un bene è stato pignorato (ad esempio un macchinario o un conto corrente con saldo bloccato), il debitore può chiedere di convertire il pignoramento versando gradualmente l’importo dovuto (art. 495 c.p.c.). Serve depositare una somma iniziale (tipicamente 1/5 del debito) e il piano di pagamento per il resto, che il giudice valuta. Questa è una difesa utile se l’impresa riesce a racimolare liquidità: ferma la vendita coattiva e consente di pagare a rate il creditore nell’alveo processuale. Tuttavia richiede appunto disponibilità di denaro, che spesso le imprese in crisi non hanno.

In generale, le opposizioni alle esecuzioni non risolvono il problema ma possono rallentare l’aggressione e, soprattutto, aprire una finestra per trattare. Molti creditori, davanti a un’opposizione che allunga i tempi e comporta costi legali, preferiscono negoziare un accordo transattivo con il debitore (ad esempio, accettare il 70% subito a chiusura del contenzioso). È quindi un tatticismo che va gestito con intelligenza: segnalare al creditore che la strada giudiziale sarà lunga e incerta può convincerlo ad accontentarsi di meno ma prima.

Da notare: se l’impresa intende avviare una procedura concorsuale seria (es. concordato), spesso conviene evitare troppe opposizioni strumentali prima, perché il tribunale fallimentare potrebbe valutarle come indice di mala fede o aggravamento del dissesto (ad esempio contestare debiti certi può far perdere credibilità all’imprenditore davanti al giudice del concordato). Quindi bisogna bilanciare l’uso delle difese processuali con la strategia complessiva. In altre parole: opporsi solo dove vi sono motivi almeno in parte fondati o dove è strettamente necessario, e parallelamente far capire al giudice concorsuale (se ce ne sarà uno) che non si sta solo guadagnando tempo in malafede, ma si sta cercando realmente una soluzione.

Gestione delle segnalazioni di allerta dei creditori pubblici

Come anticipato, il Codice della crisi ha introdotto un sistema di allerta precoce esterna: alcuni creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, Agenzia Riscossione) devono inviare una segnalazione all’impresa (e, in certi casi, all’OCRI – Organismo di composizione della crisi, la cui operatività però è stata differita) quando rilevano significativi ritardi nei pagamenti oltre certe soglie . Lo scopo è avvertire il debitore che la sua situazione sta precipitando e invitarlo formalmente ad attivarsi (idealmente con una composizione negoziata). Ad esempio: se una S.r.l. ha cartelle esattoriali scadute da oltre 90 giorni per €600.000, l’Agenzia Riscossione deve inviarle una comunicazione in cui segnala il grave indebitamento e suggerisce di prendere provvedimenti . Oppure se un’azienda con dipendenti non versa €20.000 di contributi per oltre 3 mesi, l’INPS la segnala (poiché supera sia i €15.000 che il 30% annuo dovuto) .

Come difendersi o reagire alle segnalazioni? Anzitutto, va chiarito che la segnalazione in sé non è pubblica (è comunicata riservatamente all’imprenditore) e non innesca automaticamente procedure concorsuali . Quindi riceverla non significa essere “sotto fallimento”, ma è un campanello d’allarme serio. Ignorarla sarebbe un grave errore: gli enti segnalanti, se vedono che entro 90 giorni il debitore non ha fatto nulla (es. non ha avviato una composizione negoziata), potrebbero perdere fiducia e accelerare le azioni di recupero (pignoramenti, istanze di fallimento). Al contrario, se il debitore reagisce proattivamente, può giovarsi di alcune misure premiali: ad esempio, l’art. 25-bis CCII prevede la riduzione delle sanzioni e interessi in caso di accordo raggiunto in composizione negoziata , e altre norme prevedono che chi attiva tempestivamente una procedura può evitare le sanzioni civili per ritardata domanda di fallimento, ecc. Inoltre, in sede penale, come visto, il legislatore sta riconoscendo come causa di non punibilità la crisi di liquidità non colpevole se l’imprenditore ha poi reagito (il D.Lgs. 87/2024 menziona esimenti per chi ha tentato di ristrutturare prima del dibattimento) .

Quindi, la strategia raccomandabile è: appena arriva una segnalazione di allerta, contattare immediatamente i professionisti (commercialista, legale) e valutare l’accesso alla composizione negoziata o altra misura idonea. Farlo entro 90 giorni può fare la differenza tra essere considerato un debitore diligente in difficoltà o un debitore negligente che aggrava il dissesto. In pratica, la segnalazione va vista come un ultimatum: “o reagisci, o presto potresti subire iniziative irreversibili”.

Se per qualche motivo l’impresa ritiene la segnalazione errata (ad esempio, contesta il debito segnalato: magari l’IVA risultante non pagata è oggetto di una causa tributaria in corso), dovrebbe subito comunicare all’ente le proprie ragioni e magari chiedere una sospensione. In alcuni casi, errori nei calcoli o pagamenti effettuati non registrati possono generare segnalazioni sbagliate; quindi un controllo puntuale va fatto.

Va detto che il sistema di allerta esterna è in evoluzione: dopo rinvii e modifiche, a regime questi enti non solo segnalano al debitore ma (in futuro) potrebbero avvisare direttamente l’OCRI per l’avvio di misure d’ufficio. Al 2025 tuttavia l’approccio è ancora focalizzato sull’auto-responsabilizzazione del debitore. Quindi, in definitiva: difendersi dalle segnalazioni non significa respingerle, bensì prendere sul serio il segnale e attivare quelle procedure (come la composizione negoziata) che la legge stessa suggerisce nella lettera di segnalazione . Così facendo, l’imprenditore tra l’altro si mette al riparo da possibili conseguenze di mala gestio: un domani, in sede di giudizio sull’operato degli amministratori, aver ignorato gli allerta potrebbe configurare colpa grave.

Responsabilità dell’imprenditore e tutela del patrimonio personale

Un aspetto fondamentale “dal lato del debitore” è capire quali sono i rischi di responsabilità personale per gli obblighi dell’azienda e come eventualmente difendere il proprio patrimonio extra-aziendale. Nel caso di società di capitali (S.r.l., S.p.A.), per definizione vige la responsabilità limitata: i soci non rischiano i propri beni per i debiti sociali, oltre al capitale conferito. Tuttavia, in Italia molti soci/titolari di PMI rilasciano fideiussioni personali verso le banche o i fornitori strategici. Ciò significa che, se la società non paga, il creditore potrà aggredire anche la persona fisica. Di fronte a questo scenario, il titolare garante dovrà valutare non solo le soluzioni per l’azienda, ma anche eventualmente procedure di sovraindebitamento personale (ad esempio un piano del consumatore o una liquidazione controllata personale) se il dissesto aziendale dovesse travolgere anche lui finanziariamente. Una pianificazione patrimoniale ex ante (trust, fondi patrimoniali) per proteggere i beni personali dai rischi d’impresa è lecita se fatta in bonis, ma se attuata quando già i crediti sono in essere può essere revocata come atto in frode.

Per gli amministratori di società, c’è poi il tema della responsabilità per mala gestione. Il Codice civile (art. 2086 c.c. novellato) impone all’imprenditore di dotarsi di assetti organizzativi adeguati e di attivarsi senza indugio al manifestarsi della crisi. Se l’amministratore omette di reagire e ciò provoca un aggravamento del dissesto, potrebbe doverne rispondere verso i creditori sociali (azione di responsabilità per indebito aggravamento del passivo). Ad esempio, proseguire l’attività accumulando debiti tributari e verso fornitori quando l’insolvenza era ormai conclamata può costituire condotta gravemente colposa. In caso di fallimento, il curatore spesso valuta queste condotte e può citare in giudizio gli amministratori per risarcimento ai creditori. Come difendersi? La miglior difesa è la diligenza preventiva: documentare di aver monitorato la crisi, consultato esperti, cercato soluzioni (attivazione tempestiva di composizione negoziata o concordato). Un amministratore che può dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il fallimento difficilmente verrà condannato per aggravamento, specie alla luce delle norme nuove che incoraggiano l’early action. Inoltre, l’avvio di una procedura concorsuale in tempo utile limita l’esposizione: ad esempio se ottengo un concordato, i creditori non potranno agire contro l’amministratore per i debiti anteriori ristrutturati, salvo casi di dolo.

Quanto al profilo penale, abbiamo già trattato i reati tributari. Qui aggiungiamo che, in caso di procedure concorsuali, possono emergere reati come la bancarotta (fraudolenta o semplice) a carico degli amministratori se hanno distratto beni, falsificato scritture o aggravato colposamente il dissesto. Anche su questo fronte, attivare gli strumenti di legge e cooperare con gli organi concorsuali aiuta la posizione: la bancarotta semplice per ritardo nell’istanza di fallimento, ad esempio, è evitabile se si dimostra che si è preferito tentare un concordato (scelta lecita) anziché lasciare andare tutto in malora. In pratica, la legalità conviene: seguire i percorsi di composizione della crisi non solo giova ai creditori ma protegge l’imprenditore da accuse di frode o negligenza.

Tutela del patrimonio personale: per i soci di società di persone e imprenditori individuali, il rischio sui beni propri è immediato (rispondono illimitatamente). Essi possono però usufruire dell’esdebitazione dopo la liquidazione controllata, come detto, liberandosi dai debiti che non sono riusciti a pagare. Un istituto che li tutela durante la procedura è il beneficio del termine per il debito residuo post liquidazione: se rimane qualcosa, non possono essere inseguiti all’infinito ma solo nei limiti di quanto stabilito. Per i soci di capitali garanti, invece, la protezione è minore: la banca potrebbe escutere la garanzia anche se c’è un concordato in corso (salvo ottenimento di misure ad hoc come nel caso di Modena inibitoria escussione MCC ). Dunque un garante magari dovrà parallelamente avviare una negoziazione con la banca per la propria posizione, o valutare egli stesso una procedura da sovraindebitato. Si noti che l’apertura del concordato della società sospende le azioni verso i coobbligati personali solo se la legge lo prevede (nel concordato preventivo non c’è sospensione per i fideiussori, a differenza del fallimento in cui l’art. 150 L.F. la prevedeva in passato solo per i soci illimitatamente responsabili; nel CCII la disciplina è simile).

In conclusione, dal punto di vista del debitore, difendersi significa anche autodifendersi legalmente: usare cioè gli strumenti di legge per evitare di incorrere in responsabilità aggiuntive. Spesso l’istinto porta a cercare soluzioni opache (es. vendere l’immobile ai parenti per non farlo pignorare, pagare di nascosto un creditore “amico”, ecc.), ma queste mosse poi si ritorcono contro con revocatorie e accuse di frode. Molto meglio agire alla luce del sole, in un contesto regolato come la composizione negoziata o il concordato, dove si possono ottenere risultati simili (proteggere beni, ridurre debiti) ma in modo legittimo e definitivo.

Nei prossimi paragrafi vedremo due casi concreti che illustrano questi principi applicati a situazioni reali (o verosimili) di un’azienda indebitata: uno in cui l’imprenditore adotta tempestivamente le contromisure e riesce a salvare l’impresa (o quanto meno a salvare il valore aziendale), e un altro in cui invece la reazione è tardiva o inadeguata, portando alla perdita dell’azienda e a maggiori danni per tutti.

Casi pratici e simulazioni (scenario italiano)

Di seguito presentiamo due casi di studio ipotetici ispirati a situazioni comuni in Italia, per illustrare in pratica come le strategie descritte possano fare la differenza. Entrambi riguardano una PMI produttrice di prodotti chimici per la manutenzione industriale (ChemInd S.r.l.), che affronta una grave crisi di liquidità e ha accumulato debiti ingenti verso Fisco, banca e fornitori. I dati sono inventati ma realistici. I due casi divergono per l’approccio dell’imprenditore: il Caso 1 segue un percorso virtuoso di ristrutturazione, il Caso 2 invece mostra le conseguenze di un’attesa passiva fino all’intervento dei creditori.

Caso 1: Risanamento riuscito tramite composizione negoziata e concordato in continuità

Scenario iniziale: ChemInd S.r.l. è un’azienda familiare con 40 dipendenti, produttrice di detergenti e solventi per uso industriale. Nel 2023 perde un importante contratto di fornitura e subisce un aumento dei costi delle materie prime chimiche. Il fatturato crolla e l’azienda inizia ad accumulare perdite. A fine 2024 presenta segni di crisi conclamata: ha debiti per €800.000 con fornitori (di cui €300k scaduti > 6 mesi), debiti bancari per €1,2 milioni (mutuo ipotecario e linee di credito utilizzate, con rate già saltate) e debiti tributari per €500.000 (IVA e ritenute non versate nell’ultimo anno). L’imprenditore ha anche ricevuto segnalazioni di allerta da AE-Riscossione (avendo cartelle per €500k) e dall’INPS (per contributi arretrati > €15k) . I soci hanno dato garanzie personali sui fidi bancari.

Azione tempestiva: Già nel gennaio 2025 l’amministratore riconosce che la situazione è insostenibile senza un intervento strutturale. Si rivolge a un advisor finanziario e ad un avvocato esperto in crisi. Insieme, analizzano la possibilità di attrarre un investitore interessato alla società (dato che ChemInd ha un marchio noto in certi settori di nicchia) e di tagliare il debito. Decidono di attivare subito la composizione negoziata per congelare i creditori e negoziare con loro un accordo. A febbraio 2025 ChemInd presenta istanza sulla piattaforma online e ottiene la nomina di un esperto indipendente, il dott. X, esperto di risanamenti industriali.

Trattative protette: Contestualmente all’avvio della composizione negoziata, l’azienda deposita al tribunale un’istanza di misure protettive. Il tribunale di competenza emette decreto che blocca per 4 mesi qualsiasi azione esecutiva dei creditori e vieta alle banche di revocare gli affidamenti in essere . Ciò calma immediatamente le acque: la banca non può più revocare lo scoperto di conto (che l’azienda sta ancora usando per operare) né segnalare a Centrale Rischi un peggioramento ; l’Agenzia Riscossione sospende i pignoramenti già minacciati; i fornitori, informati della procedura, attendono le mosse dell’esperto.

Coinvolgimento dell’investitore: Nelle prime riunioni con l’esperto, l’imprenditore espone un possibile piano: un investitore (un concorrente straniero, Gamma GmbH) sarebbe interessato a entrare nel capitale di ChemInd o acquistarne un ramo d’azienda, a patto di rilevarla “pulita dai debiti”. L’esperto concorda che la via migliore è trovare un accordo tale per cui Gamma apporta finanza fresca e la si utilizza per soddisfare parzialmente i creditori, mentre l’azienda continua l’attività. Gamma GmbH viene coinvolta nelle trattative, dopo aver firmato accordi di riservatezza.

Proposta ai creditori: L’esperto organizza un incontro con i principali creditori: la banca, il rappresentante dell’Agenzia delle Entrate e alcuni fornitori strategici. Viene presentata una bozza di piano di risanamento: Gamma offrirebbe €1 milione per ricapitalizzare ChemInd (o acquistare l’intera azienda); con questa somma e i flussi attesi della continuità, si propone di pagare: integralmente i debiti verso fornitori strategici (dilazionati in 24 mesi per non pesare subito) ; al 50% i debiti verso gli altri fornitori chirografari; al 70% il debito IVA e contributi in 5 anni (richiedendo transazione fiscale per sanzioni e interessi) ; al 80% il debito bancario, con la banca che convertirebbe il 20% a perdita e manterrebbe in essere il mutuo residuo a tassi agevolati. I soci attuali perderebbero la maggioranza: Gamma con il milione diventerebbe socio di controllo al 60%, alla banca verrebbe offerto un 10% di quote in cambio della riduzione (debt-equity swap), i vecchi soci scenderebbero al 30%. Questo impianto, spiega l’esperto, darebbe all’azienda nuova vita, e ai creditori la prospettiva di recuperare più di quanto avrebbero in un fallimento (dove si stima recupererebbero forse il 20-30% date le svalutazioni di macchinari e scorte). L’Agenzia delle Entrate in particolare viene invitata ad aderire a una transazione fiscale: pagherebbe €350k su €500k di debito, ma incasserebbe almeno il 70% con certezza invece di attendere anni incerti .

Accordo in composizione negoziata: Dopo varie sessioni di trattativa (marzo-aprile 2025), mediando tra posizioni all’inizio distanti, l’esperto riesce a far convergere tutti su un accordo di massima: Gamma conferma l’intenzione di investire €1M; la banca accetta di rinunciare a ~20% del proprio credito trasformandosi in socio di minoranza (preferisce avere una chance di recuperare come equity holder piuttosto che quasi nulla da un fallimento) ; l’Agenzia delle Entrate si dice disposta (previa autorizzazione interna) a una transazione fiscale per sanzioni e interessi, ottenendo il pagamento del 70% dell’imposta dilazionato su 5 anni ; l’INPS concede una dilazione decennale (senza falcidia sul capitale contributivo, che non può essere falcidiato in comp.neg. pura) ; i fornitori strategici (due aziende chimiche da cui ChemInd si rifornisce) insistono per essere pagati al 100% ma accettano di aspettare 2 anni e ottengono in cambio la conferma dei contratti di fornitura futuri per 3 anni ; i fornitori chirografari minori accettano 50% a saldo, sapendo che l’alternativa fallimentare li vedrebbe forse a zero. Si tratta di un accordo quadro ancora informale, ma sostanziale. L’esperto redige la relazione finale ad agosto 2025, attestando che le trattative hanno condotto a una soluzione idonea al risanamento . ChemInd a questo punto chiude la composizione negoziata positivamente, con l’obiettivo di dare esecuzione all’accordo attraverso gli strumenti concorsuali appropriati.

Passaggio al concordato preventivo di continuità: Per implementare legalmente l’accordo (e vincolare anche eventuali piccole sacche di dissenso), l’azienda, con l’assistenza dell’esperto ora in veste di attestatore, presenta a settembre 2025 un ricorso di concordato preventivo in continuità aziendale al Tribunale. Il piano di concordato riflette fedelmente i termini dell’accordo raggiunto in composizione negoziata: classi di creditori con trattamenti concordati (classe fornitori strategici: 100% in 24 mesi; classe altri fornitori chirografari: 50% entro 1 anno dall’omologa; classe Fisco: 70% in 5 anni; classe banca: stralcio 20% e conversione quota capitale). Gamma GmbH formalizza un contratto preliminare per l’ingresso nel capitale e l’apporto di €1M, condizionato all’omologazione del concordato . Il tribunale ammette la società alla procedura e, data la natura dell’accordo (già approvato nelle linee dai principali creditori), nella votazione le classi votano favorevolmente senza grosse sorprese. I creditori chirografari minori, pur ricevendo solo 50%, vedono che altri soggetti rilevanti (banche, Fisco) hanno accettato sacrifici e che comunque la percentuale è ben superiore a quanto otterrebbero liquida- tivamente, quindi non si oppongono . Entro fine 2025 il tribunale omologa il concordato: ChemInd S.r.l. esce dalla procedura risanata, con una nuova compagine sociale (investitore e banca come soci), debiti drasticamente ridotti (stralciati circa €800k in totale), e liquidità in cassa proveniente dall’aumento di capitale che verrà impiegata per i pagamenti dilazionati secondo il piano .

Esito finale: L’azienda continua l’attività sotto la guida del nuovo socio Gamma, preservando 35 posti di lavoro (5 esuberi sono stati comunque necessari e gestiti con NASpI e cassa integrazione straordinaria) . I creditori finanziari e pubblici hanno accettato una ristrutturazione significativa, ma confidando che l’alternativa sarebbe stata peggiore (in caso di fallimento forse avrebbero recuperato meno del 20% e dopo anni) . L’intera operazione, dalla composizione negoziata iniziale all’omologa del concordato, si è svolta in circa 12 mesi, un tempo relativamente breve considerata la complessità del caso . L’imprenditore originario ha dovuto cedere il controllo dell’azienda, ma può comunque considerare salva l’opera della sua famiglia (il marchio continua, l’azienda opera, seppur sotto diversa proprietà). Inoltre, avendo agito correttamente e tempestivamente, non subisce azioni di responsabilità o penali: le eventuali irregolarità fiscali pregresse sono sanate dalla transazione fiscale, e nessun creditore ha motivo di lamentare distrazioni o preferenze perché tutto è avvenuto sotto l’egida del tribunale.

Considerazioni chiave: Questo caso dimostra come, con un approccio proattivo, un’azienda possa evitare il fallimento anche in presenza di forte indebitamento, utilizzando in sequenza gli strumenti composizione negoziata + concordato. La composizione negoziata ha fornito l’ambiente protetto e flessibile per costruire una soluzione condivisa, poi consolidata formalmente col concordato. Senza la fase negoziale, probabilmente non si sarebbe trovato l’investitore in tempo o i creditori non avrebbero accettato facilmente le proposte. Inoltre, le misure protettive hanno evitato che nel frattempo l’impresa venisse spogliata dai creditori (ad esempio impedendo alle banche di far saltare il banco revocando fidi e chiedendo rientri) . In sintesi, il debitore ha usato gli scudi legali per guadagnare tempo e spazio di manovra e li ha ben impiegati per elaborare una strategia di risanamento sostenibile, con il supporto di professionisti e la disponibilità al sacrificio di tutte le parti in gioco.

Caso 2: Liquidazione giudiziale dopo inerzia e tentativi tardivi

Scenario iniziale: Prendiamo la stessa ChemInd S.r.l. del caso precedente, ma ipotizziamo un comportamento differente dell’imprenditore. Nel 2024, di fronte ai primi segnali di crisi (perdite e debiti in aumento), l’imprenditore minimizza la gravità. Continua a operare sperando in una ripresa del mercato o in un nuovo cliente importante, che però non arriva. Utilizza tutti gli strumenti finanziari per tirare avanti: non paga l’IVA e i contributi per fare cassa, accumula debiti con i fornitori (chiedendo consegne a lungo termine), e attinge al massimo dagli affidamenti in banca. A metà 2025 la situazione è precipitata: i debiti fiscali superano €600.000 (con due annualità IVA non versate, di cui una > €250k rilevante penalmente), i fornitori sono scoperti per €900.000, la banca ha segnalato l’azienda come sofferenza in Centrale Rischi. L’imprenditore ha anche fatto qualche mossa azzardata: ha venduto a prezzo simbolico un magazzino di proprietà a un parente, nel tentativo di salvaguardarlo da possibili ipoteche, e ha pagato integralmente un fornitore (suo amico) lasciando indietro gli altri, sperando di preservare quel rapporto. Queste azioni però saranno esaminate criticamente in seguito.

Reazioni dei creditori: A settembre 2025, vari fornitori, stanchi di promesse non mantenute, iniziano ad agire. Uno ottiene un decreto ingiuntivo per €100.000 e notifica pignoramento dei conti. L’Agenzia Entrate Riscossione iscrive ipoteca legale sugli immobili dell’azienda per i ruoli non pagati e invia un preavviso di esecuzione. La banca, dopo aver revocato gli affidamenti mesi prima (quando ChemInd è stata segnalata in CR), chiede il rientro del mutuo e, non ottenendolo, avvia procedura esecutiva sull’immobile industriale ipotecato.

L’imprenditore, solo a questo punto, corre ai ripari: contatta un professionista e scopre la possibilità della composizione negoziata. Prova a presentare istanza in tutta fretta, ma commette un errore di valutazione: ormai almeno due creditori (un fornitore e la banca) hanno già depositato un’istanza di liquidazione giudiziale presso il tribunale, allegando evidenti indizi di insolvenza (pignoramenti in corso, Centrale Rischi negativa, bilancio 2024 con patrimonio netto azzerato). Secondo l’orientamento attuale, la pendenza di un’istanza di fallimento da parte di terzi non impedisce l’accesso alla composizione negoziata (grazie al correttivo 2024), ma i tempi sono stretti: l’udienza pre-fallimentare è fissata a breve, e l’imprenditore chiede al giudice una sospensione per tentare la composizione. Il tribunale, visto lo stadio avanzato, concede solo un breve rinvio di 30 giorni, imponendo di presentare segnali concreti di accordi. Nel frattempo, concede misure protettive solo parziali e non rinnova oltre quel termine (temendo un abuso dilatorio, data l’inerzia passata).

Fallimento inevitabile: L’imprenditore avvia tardivamente contatti con creditori e un paio di potenziali investitori, ma ormai la fiducia è distrutta. I fornitori non credono più alle promesse (molti hanno scoperto che ChemInd ha pagato preferenzialmente un fornitore amico e temono di essere stati defraudati), la banca non intende trattare oltre e preferisce perseguire le garanzie, l’Erario è sul piede di guerra (anche per via del profilo penale del debito IVA >€250k). Non c’è alcun piano credibile da presentare: l’azienda ha perso commesse, i dipendenti più qualificati se ne sono andati percependo l’aria di crisi. Il tempo concesso dal giudice scade senza risultati significativi. Nell’ottobre 2025 il Tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale di ChemInd S.r.l.. Viene nominato un Curatore che assume la gestione.

Conseguenze: L’impresa cessa immediatamente l’attività. Il Curatore rileva che le casse sono vuote, molti macchinari sono obsoleti (perché la manutenzione negli ultimi mesi è stata trascurata), e bisognerà vendere il tutto. Fa revocare i pagamenti preferenziali degli ultimi sei mesi verso il fornitore amico (azione revocatoria fallimentare ordinaria, perché pagamento non a termine fisiologico) e anche la vendita del magazzino al parente, considerata fraudolenta e lesiva dei creditori (azione revocatoria per atto a titolo gratuito nel biennio antecedente) – il magazzino torna quindi nella massa . I dipendenti vengono licenziati, anche se recupereranno TFR e ultime tre mensilità dal Fondo di Garanzia INPS. I creditori presentano le loro domande al passivo: emergono debiti totali per €3 milioni. Dopo un anno circa, il Curatore riesce a vendere l’immobile industriale a un’asta (ricavando €500k, poco a causa dell’ipoteca e del deprezzamento da fermo impianti) e le rimanenze di magazzino (svendute a €50k). Incassa inoltre €100k dal parente (che preferisce versare una somma transattiva per chiudere la revocatoria sul magazzino senza andare in giudizio). La banca, grazie all’ipoteca, prende quasi tutto il ricavato dell’immobile (rimangono €50k alla massa). L’Agente Riscossione incamera qualcosa dal magazzino revocato (aveva privilegio generale e particolare). Ai fornitori chirografari arriverà poco o nulla – si prevede forse un dividendo del 5%. Le procedure di liquidazione si chiudono entro il 2027 con un attivo insignificante rispetto alle pretese.

Per l’imprenditore, oltre al danno economico e morale della perdita dell’azienda costruita in anni, si aggiungono i problemi giudiziari: la Procura lo indaga per omesso versamento IVA (il 2024 non pagato per €300k costituisce reato, e non può invocare la causa di forza maggiore perché la crisi l’ha gestita male; forse potrà patteggiare la pena restituendo una parte durante il processo, grazie alle nuove norme che premiano il pagamento prima del dibattimento ). Inoltre, il Curatore sta valutando un’azione di responsabilità per aggravamento del dissesto: la relazione ex art. 332 CCII evidenzia che l’amministratore ha continuato ad operare in perdita nel 2024-25 accumulando €1M di nuovi debiti quando era evidente l’insolvenza, non ha adottato adeguati assetti (nessun piano redatto, ignore delle segnalazioni d’allerta), e ha compiuto atti pregiudizievoli (pagamenti preferenziali, cessione immobile). La Centrale Rischi e il registro dei protesti lo segnalano come cattivo pagatore, impedendogli per lungo tempo di ottenere credito qualora volesse avviare una nuova attività.

L’unica nota positiva per l’ex imprenditore è che, dopo la chiusura del fallimento, potrà chiedere l’esdebitazione: avendo cooperato con il Curatore nella fase finale (ha consegnato libri e documenti, etc.), e pur con qualche rilievo, è verosimile che il tribunale gli conceda di cancellare i debiti residui non soddisfatti . Tuttavia, ciò non ripara i disagi subiti né recupera il valore economico e sociale disperso con la chiusura di ChemInd.

Considerazioni: Il caso 2 mostra come la mancata attivazione tempestiva degli strumenti di composizione e la persistenza in una gestione “in solitaria” della crisi possano portare al peggior esito: la liquidazione giudiziale con distruzione di valore e soddisfazione minimale dei creditori. Nonostante persino qui il debitore abbia provato last minute a usare la composizione negoziata, l’ha fatto troppo tardi, quando ormai la fiducia era irrimediabilmente compromessa. Inoltre, ha tenuto comportamenti (pagamenti preferenziali, vendita simulata di beni) che non solo non l’hanno salvato, ma sono stati annullati e gli hanno causato ulteriori grattacapi. Il confronto col caso 1 evidenzia il peso del fattore tempo e credibilità: agire presto, in modo trasparente e coordinato con i creditori, può salvare l’impresa; agire tardi, in modo scoordinato e poco corretto, porta al fallimento e a conseguenze personali serie.

Domande e Risposte (FAQ)

Di seguito una serie di domande comuni che imprenditori, professionisti o privati potrebbero porsi sul tema delle aziende indebitate e sulle possibili difese, con le relative risposte basate sulla normativa vigente (aggiornata a ottobre 2025) e sulle prassi applicative.

  • D: La mia azienda ha troppi debiti e poca liquidità: mi conviene portare i libri in tribunale (chiedere il fallimento) o tentare una ristrutturazione?
    R: Se esistono anche minime possibilità di risanamento o di una soluzione concordata, conviene tentare la ristrutturazione. Chiedere subito la liquidazione giudiziale (ex fallimento) significa perdere la gestione dell’azienda e subire la vendita forzata dei beni. Invece, con strumenti come il concordato o la composizione negoziata, puoi mantenere il controllo e magari salvare l’impresa (o parti di essa) ottenendo al contempo un taglio dei debiti. Ovviamente, se l’azienda è totalmente decotta (nessun mercato, impianti fermi, ecc.), la liquidazione può diventare inevitabile. Ma nella maggior parte dei casi di crisi, oggi la legge incoraggia a percorrere strade conservative e di accordo con i creditori. Tieni presente che anche in caso di fallimento potresti poi essere chiamato a rispondere se non hai provato soluzioni alternative quando c’erano i margini. Quindi, salvo situazioni disperate, meglio provare a ristrutturare (magari con una composizione negoziata seguita da concordato) e usare il fallimento solo come ultima ratio.
  • D: Ho ricevuto lettere dall’Agenzia delle Entrate e dall’INPS che mi avvisano di debiti scaduti e mi invitano a reagire. Devo preoccuparmi?
    R: Sì, quelle sono le segnalazioni di allerta previste dal Codice della crisi . Non sono mere sollecitazioni: indicano che hai superato soglie importanti di debito verso il Fisco o l’INPS (ad es. oltre €500.000 di cartelle o IVA non versata sopra 10% del fatturato) e che gli enti pubblici vogliono che tu prenda provvedimenti. Anche se formalmente non obbligano ad attivare nulla, ignorandole rischi che poi i creditori pubblici passino direttamente a misure dure (pignoramenti o istanza di fallimento). Dunque devi assolutamente preoccupartene: analizza la tua situazione di crisi e valuta di attivare subito una composizione negoziata o un’altra procedura entro 3 mesi. Così facendo, beneficerai anche di alcuni vantaggi (interessi moratori ridotti, niente sanzioni aggiuntive, ecc.) e soprattutto eviterai che Fisco e INPS perdano fiducia e aggrediscano il patrimonio. In breve: non cestinare quelle lettere, ma usale come stimolo per reagire e cercare assistenza professionale.
  • D: La banca mi ha “segnalato a sofferenza” e revocato gli affidamenti appena ha intuito le difficoltà. Può farlo? Come posso impedire che le banche mi taglino le linee di credito in un momento critico?
    R: In generale, in assenza di una procedura concorsuale, la banca può revocare gli affidamenti secondo le condizioni contrattuali (di solito con preavviso) se ritiene peggiorata la tua situazione. La segnalazione a sofferenza in Centrale Rischi è un obbligo della banca quando valuta che il credito è a rischio rilevante. Tuttavia, se accedi a una composizione negoziata con misure protettive o presenti un concordato, le banche non possono revocare arbitrariamente gli affidamenti durante la protezione concessa dal tribunale . Anzi, come visto in alcuni casi, il giudice può addirittura ordinare che non segnalino a Centrale Rischi per evitare un aggravamento della crisi . Quindi, l’unico modo per “congelare” le decisioni unilaterali delle banche è attivare uno strumento concorsuale che preveda lo stay. Fuori da ciò, purtroppo la banca pensa a tutelarsi e la legge ordinaria glielo consente. Dunque, appena avverti odore di revoca, valuta la strada della protezione offerta dalla composizione negoziata: presenterai istanza e richiederai al tribunale di vietare alle banche di revocare i fidi in corso. Questo ti darà respiro mentre cerchi soluzioni. Tieni conto che dovrai comunque convincere la banca con un piano: lo stay la obbliga a pazientare ma poi vorrà vedere come recupera il suo credito (in tutto o in parte) nel piano di ristrutturazione.
  • D: Ho debiti IVA molto alti che non riuscirò mai a pagare interamente. È vero che l’IVA non può essere falcidiata e devo per forza pagarla al 100%?
    R: Questa affermazione era parzialmente vera in passato, ma va precisata alla luce delle norme attuali. L’IVA essendo un tributo armonizzato UE, di regola non può essere falcidiata al di fuori di procedure concorsuali. In un concordato o accordo, invece, puoi proporre anche il pagamento parziale dell’IVA attraverso la transazione fiscale (serve il voto favorevole o il cram-down in omologa) . Oggi la legge consente al giudice di omologare un concordato anche se l’Erario non è d’accordo, quindi di fatto è possibile stralciare una parte dell’IVA dovuta . Detto questo, devi comunque garantire che il trattamento offerto al Fisco sia non inferiore a quello che otterrebbe liquidandoti (principio di convenienza). In composizione negoziata “pura”, invece, attualmente non puoi fare falcidia del capitale IVA se non poi formalizzando il tutto in un concordato. Quindi, ricapitolando: se non attivi procedure, l’Agenzia Entrate pretenderà il 100% dell’IVA (magari rateizzabile); ma se ricorri a concordato o accordo omologato, puoi negoziare un pagamento parziale (es. 50-70%) e il giudice può approvarlo anche con il Fisco contrario . Ovviamente, più è alta la percentuale che offri e più chance di ottenere il via libera. Considera anche che per ritardi IVA modesti esistono le soglie di non punibilità penale (ora sotto €250k niente reato ), ma comunque l’obbligazione civile resta.
  • D: Ho firmato fideiussioni personali per i debiti bancari della mia S.r.l. Se la società va in concordato o fallisce, io come garante sono tutelato in qualche modo?
    R: Purtroppo, il destino del garante è spesso scollegato dalla procedura della società. Nella maggior parte dei casi, la banca – se la società non paga – potrà escutere te come fideiussore, e la tua obbligazione rimane fuori dal concordato della società. Nei concordati e accordi non c’è una norma generale che estenda gli effetti ai garanti (a differenza, ad esempio, di certe procedure estere). Quindi, a meno che tu non riesca a negoziare anche per la tua posizione personale con la banca (ad esempio inserendo in accordo che la banca rinuncia ad escutere il garante, cosa rara salvo pagamento consistente), sarai comunque esposto. Va però segnalata un’eccezione: in alcuni concordati, il tribunale può vietare temporaneamente ai creditori di agire contro coobbligati se ciò pregiudica la procedura (era previsto dall’art. 168 L.F. per i soci illimitatamente responsabili; nel CCII questa protezione è più limitata). Nel fallimento, addirittura, la banca poteva escutere subito i garanti. Insomma, devi considerare che se la società non paga, il creditore verrà da te. Perciò, se prevedi che l’esposizione supererà le tue possibilità, dovresti valutare strumenti personali: ad esempio un piano del consumatore (se i debiti sono prevalentemente personali/familiari) o la liquidazione controllata personale se la situazione precipita anche per te. L’esdebitazione finale può liberarti dal debito residuo come persona, ma solo dopo la liquidazione. Quindi, la tutela migliore è prevenire: includi nella trattativa con la banca anche la tua posizione (magari offrendo un piccolo rientro extra per farti liberare dalla garanzia). Non c’è però obbligo per la banca di accettare: è materia contrattuale.
  • D: Durante la crisi ho pagato alcuni fornitori “critici” e non altri. Se poi vado in fallimento o concordato, quei pagamenti possono crearmi problemi?
    R: Sì, possono. In fallimento, come abbiamo visto, il Curatore può agire in revocatoria fallimentare per recuperare i pagamenti fatti entro certi termini prima della procedura (6 mesi per pagamenti anomali a creditori chirografari) . Quindi il fornitore potrebbe dover restituire quanto hai pagato e tu avresti solo dilazionato il problema. Nel concordato, la revocatoria è sospesa di solito, ma c’è la valutazione di par condicio: pagare alcuni creditori prima può essere considerato come un indice di poca trasparenza, a meno che fossero pagamenti essenziali per la continuità autorizzati dal tribunale. In pratica, se hai fatto pagamenti preferenziali prima di presentare un concordato, devi dichiararli e potrebbero sollevare obiezioni dei creditori non pagati (ma almeno non c’è un curatore che li revoca, perché in concordato non c’è questa fase). Viceversa, in composizione negoziata potresti pagare alcuni fornitori strategici con l’assenso dell’esperto per evitare pregiudizi, e questo in caso di successivo fallimento di norma non è revocabile (la legge tutela gli atti autorizzati in tali contesti). In sintesi: i pagamenti preferenziali in fase di crisi sono rischiosi. Se sei già in odore di fallimento, evita di farne senza consiglio legale. Se li hai fatti, preparati alla possibilità che vengano contestati. Meglio sarebbe ottenere autorizzazione del giudice (nel concordato) o accordo nell’ambito di un piano attestato (che esenta da revocatoria) .
  • D: La composizione negoziata è pubblica? I miei concorrenti o clienti lo verranno a sapere?
    R: La composizione negoziata di per sé è riservata: l’istanza iniziale che presenti non viene pubblicata in registri accessibili al pubblico, e i creditori vengono coinvolti individualmente dall’esperto. Tuttavia, se richiedi le misure protettive (cioè il blocco delle azioni), il decreto del tribunale viene iscritto nel Registro delle Imprese . Quindi, in quel caso, la notizia diventa formalmente pubblica. Chiunque faccia una visura sulla tua azienda vedrà l’annotazione che sei in composizione negoziata con misure protettive. Anche i creditori non coinvolti ricevono notifica del provvedimento. Nella pratica, comunque, l’esperienza mostra che la diffusione rimane abbastanza circoscritta agli addetti ai lavori: non è come un fallimento che viene pubblicato ovunque, ma non è neanche segreta al 100%. Tieni inoltre presente che se devi contrattare con nuovi partner durante la negoziazione, dovrai informarli per correttezza (soprattutto se vuoi stipulare contratti pluriennali, spesso chiedono dichiarazioni di non essere in situazioni concorsuali). In sostanza, la riservatezza è maggiore rispetto a un concordato (che invece è palesemente pubblico fin dall’inizio), ma non assoluta – specie se ti avvali dello scudo del tribunale. Se invece conduci la composizione negoziata senza misure protettive, allora sì che rimane del tutto riservata: solo tu, l’esperto e i creditori trattati lo sanno. Però rischi che un creditore avvii azioni e faccia saltare il tavolo. Quindi va valutato il trade-off tra riservatezza e protezione. Molte PMI all’inizio provano a negoziare riservatamente, e richiedono misure protettive solo se qualche creditore minaccia azioni legali imminenti.
  • D: In caso di fallimento (liquidazione giudiziale) quanti anni rimarrò “segnato” e non potrò ripartire con un’altra impresa?
    R: Formalmente, durante la procedura di liquidazione giudiziale tu, se sei imprenditore individuale o socio illimitatamente responsabile, sei soggetto a incapacità personali (non puoi avere cariche amministrative, etc.). Questa fase dura finché la procedura è aperta, di solito qualche anno. Ma l’aspetto più importante è dopo: una volta chiuso il fallimento, puoi chiedere l’esdebitazione e se te la concedono, i tuoi debiti residui personali vengono cancellati . A quel punto, di base, sei libero di ricominciare un’attività senza lo strascico del passato. L’ordinamento vuole dare un “fresh start” al fallito meritevole. Certo, la Centrale Rischi avrà memoria dei precedenti, i fornitori se ti conoscono magari saranno cauti, ma legalmente potrai tornare a fare impresa o amministrare società (salvo tu abbia avuto condanne penali che ti inibiscano temporaneamente). Indicativamente, se il fallimento si chiude in 3-4 anni e ottieni l’esdebitazione, dal quinto anno potresti già ripartire pulito. Ci sono stati casi di imprenditori falliti che dopo poco hanno avviato nuove imprese di successo. La chiave è: collabora nella procedura e dimostra la tua buona fede. Così il tribunale cancellerà il passato. Al contrario, se risulti colpevole di bancarotta fraudolenta, per esempio, niente esdebitazione e avresti anche interdizioni dai pubblici uffici per anni (quindi niente impresa). Quindi, in scenario di liquidazione: segui le regole e potrai ripartire, di solito dopo qualche anno necessario a chiudere tutto.
  • D: Sono amministratore di una S.r.l.: rischiamo la liquidazione giudiziale. Come mi tutelo per non avere azioni di responsabilità contro di me in futuro?
    R: Devi dimostrare di aver gestito la crisi con diligenza e nell’interesse dei creditori una volta che la società era in difficoltà. In pratica: attivati subito per fronteggiare la crisi (non lasciare incancrenire la situazione), predisponi adeguati assetti contabili (tieni libri in ordine, monitora costi/ricavi), e soprattutto non aggravare il buco con scelte avventate (niente vendite sottocosto a terzi vicini, niente incremento esponenziale di debiti sperando nel miracolo). L’art. 2086 c.c. ti impone di rilevare la crisi e reagire. Quindi, per tutelarti, un ottimo passo è convocare subito il CDA/soci e verbalizzare le perdite, poi proporre l’accesso a uno strumento di composizione della crisi. Se, ad esempio, attivi la composizione negoziata e tenti un concordato, anche se poi fallisci, avrai elementi per dire: “ho fatto tutto il possibile secondo la legge per evitare il fallimento, appena capito che la crisi era grave”. Ciò tipicamente ti mette al riparo da colpa grave. Inoltre, evita favoritismi o conflitti d’interesse: paga semmai fornitori strategici ma con trasparenza e motivo, non far uscire risorse a titolo gratuito a parenti. In breve, comportati come un buon padre di famiglia in emergenza: metti in sicurezza cassa e beni, informa correttamente i creditori, segui le indicazioni degli esperti. Se malgrado ciò l’azienda fallisce, difficilmente un’azione di responsabilità prospererà, perché tu potrai documentare che la causa del dissesto era esterna (mercato, pandemia, ecc.) e che tu hai solo subito e cercato di limitare i danni. Diverso il caso se resti inerte o fai mosse opache: in tal caso il curatore (o i creditori) potrebbero accusarti di aver peggiorato la situazione e chiederti i danni.
  • D: Nella mia s.r.l. in crisi, un socio vorrebbe mettere più soldi per salvarla ma a patto che gli altri soci escano. Possiamo fare questa operazione durante la composizione negoziata?
    R: Sì, è possibile prevedere operazioni sul capitale come l’ingresso di un nuovo socio finanziatore e l’uscita degli attuali, ma va fatto con attenzione al contesto concorsuale. In composizione negoziata potete sottoscrivere accordi di ristrutturazione societaria (es. un term-sheet dove il nuovo investitore si impegna a versare X euro a fronte del trasferimento delle quote degli altri). Però per concretizzarlo in sicurezza giuridica spesso è opportuno farlo avvenire all’interno di un concordato o accordo omologato, in modo che sia o il tribunale a omologare la cessione/ricapitalizzazione oppure che l’operazione sia condizionata all’omologa. Nel caso del nostro socio entrante, il tipico schema è: firmate un accordo in composizione negoziata in cui il nuovo socio si impegna a sottoscrivere un aumento di capitale riservato (o ad acquistare le quote degli uscenti) con efficacia all’omologa del concordato. Poi inserite questa operazione nel piano concordatario. Il tribunale la autorizzerà e, a esito positivo, avrete il cambio di compagine come desiderato . Durante la sola composizione negoziata (senza procedure formali) potete anche già cedere quote, ma occhio: se poi fallite, quella cessione potrebbe essere sindacata se fatta a valore simbolico. Quindi meglio condizionare tutto al successo del piano. In sintesi, potete assolutamente far entrare un socio salvatore ed uscire gli altri – anzi, è frequente – ma incardinate il tutto nella soluzione concordataria così da avere il sigillo dell’autorità ed evitare contestazioni future (come azioni revocatorie o di responsabilità dei soci uscenti).
  • D: Che differenza c’è tra concordato preventivo e accordo di ristrutturazione? Come scelgo tra i due?
    R: Entrambi sono procedure per evitare il fallimento, ma il concordato è più collettivo e coinvolge tutti i creditori con un meccanismo di voto, mentre l’accordo di ristrutturazione è più contrattuale e richiede l’adesione di una percentuale di creditori (60%). Nel concordato i creditori vengono divisi in classi e votano la proposta: se le maggioranze sono raggiunte, il dissenso di alcuni viene superato e l’omologa li vincola comunque. Nell’accordo di ristrutturazione, invece, devi ottenere individualmente l’adesione di creditori che rappresentino almeno il 60% del debito; i non aderenti rimangono fuori dall’accordo, anche se – per legge – non possono impedirne l’omologa purché siano pagati integralmente entro la scadenza originaria. Quindi la scelta dipende molto da quanto consenso pensi di avere: se credi di poter convincere solo, diciamo, il 70% dei creditori e vuoi escludere i pochi irriducibili pagandoli per intero, l’accordo di ristrutturazione può essere più rapido e snello (niente voto formalizzato, solo omologa). Se invece hai una situazione dove devi necessariamente imporre sacrifici anche a chi non è d’accordo (es. offrire 50% a tutti, sapendo che qualcuno magari rifiuterebbe), allora devi andare col concordato perché lì la maggioranza vota e vince sul dissenso. Inoltre, l’accordo è utile quando magari devi ristrutturare solo i debiti finanziari (banche) e pagare integralmente fornitori e Fisco: in tal caso puoi fare un accordo solo con le banche >=60% e gli altri li lasci fuori pagando normalmente. Il concordato invece coinvolge tutti i creditori a parità di condizioni (salvo classi). Da notare: con l’accordo puoi anche chiedere misure protettive mentre attendi l’omologa, e anche lì i creditori finanziari dissenzienti possono essere bloccati (e ora, con le varianti introdotte, in certi casi puoi estendere l’efficacia dell’accordo anche ai dissenzienti della stessa categoria, soprattutto banche – c.d. accordo esteso). In pratica: accordo se hai consenso largo e vuoi procedura più semplice; concordato se devi gestire conflitti maggiori o hai bisogno di falcidiare anche chi non accetterebbe mai volontariamente. Spesso la composizione negoziata ti aiuta a capire quale strada è fattibile: se in negoziazione quasi tutti i creditori aderiscono a un piano, poi formalizzi con un accordo ex art. 57 CCII ; se invece prevedi contestazioni o necessità di classi differenti, allora imposti un concordato.

(Altre domande potrebbero seguire, esaurendo i dubbi più tecnici e specifici.)

Tabelle riepilogative

Di seguito presentiamo alcune tabelle riassuntive che condensano le principali informazioni esposte finora. Queste tabelle possono servire come guida veloce per comparare opzioni e capire a colpo d’occhio differenze, vantaggi e svantaggi dei vari strumenti e soluzioni.

Confronto tra strumenti di gestione della crisi d’impresa

StrumentoCos’èQuando si usaVantaggi per il debitoreSvantaggi/limiti
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)Piano di risanamento con accordi privati, asseverato da esperto indipendente.Crisi non gravissima; pochi creditori principali disposti a negoziare fuori dal tribunale.– Nessuna pubblicità formale (riservato). <br> – Atti esecutivi del piano non revocabili in caso di fallimento successivo . <br> – Debitore rimane al controllo totale.Nessun blocco delle azioni dei creditori dissenzienti. <br> – Serve il consenso integrale dei creditori coinvolti (non vincola chi non firma). <br> – Necessita attestatore e documentazione accurata.
Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII)Accordo negoziato con creditori che rappresentano ≥60% dei crediti, omologato dal tribunale.Crisi gestibile con consenso della maggior parte (ma non tutti) i creditori, spesso banche.– Procedura più snella del concordato (niente voto assembleare, minor formalità). <br> – Misure protettive ottenibili durante l’omologa (sospende azioni) . <br> – Vincola i creditori aderenti; i non aderenti se pagati per intero non ostacolano.– Richiede adesione qualificata (quorum 60%). <br> – I creditori esclusi vanno comunque pagati integralmente (o nei termini originari), dunque meno utile se vuoi falcidiare anche piccoli dissenzienti. <br> – Pubblicità su RI all’omologa (minor stigma del concordato, ma c’è).
Composizione negoziata (artt. 17-25 CCII)Procedura volontaria assistita da esperto, per negoziare accordi senza spossessamento.Early stage della crisi o insolvenza reversibile; l’imprenditore vuole tentare accordi con protezione temporanea.Riservatezza (se senza misure protettive). <br> – Misure protettive ampie (stop a esecuzioni, no revoca fidi) . <br> – Assistenza di esperto indipendente, ma debitor in possesso. <br> – Flessibilità: può concludersi con vari esiti (accordo, concordato, ecc.). <br> – Incentivi Fisco: riduzione sanzioni/interessi e dilazioni 10 anni se si aderisce .Non vincolante di per sé: serve approdo in accordo omologato o concordato per obbligare eventuali dissenzienti. <br> – Costi dell’esperto e consulenze, comunque inferiori a procedura completa. <br> – Se con misure protettive, c’è pubblicità RI (rischio reputazione). <br> – Può fallire se i creditori non collaborano (strumento volontario).
Concordato preventivo (artt. 40-120 CCII)Procedura concorsuale giudiziale in cui il debitore propone un piano ai creditori con omologa del tribunale.Insolvenza conclamata o crisi avanzata; necessaria ristrutturazione profonda e coinvolgimento di tutti i creditori (anche dissenzienti).Stay automatico delle azioni (dal deposito) su tutti i creditori. <br> – Possibilità di cram-down: vincola anche creditori contrari se maggioranza approva. <br> – Flessibilità di piano: continuità aziendale o liquidazione controllata. <br> – Consente esdebitazione del debitore persona fisica post omologa. <br> – Transazione fiscale integrata (Fisco riducibile) .Pubblicità totale (i creditori, fornitori, clienti lo vengono a sapere). <br> – Tempi e costi elevati (nomina commissario, adunanza, voto, legali, attestatori). <br> – Gestione sotto supervisione: atti straordinari richiedono autorizzazione. <br> – Rischio di esito negativo (se i creditori bocciano il piano → possibile fallimento). <br> – Richiede soglia fallibilità superata (no micro-imprese).
Concordato semplificato (art. 25-sexies CCII)Concordato liquidatorio senza voto creditori, proponibile solo dopo composizione negoziata non riuscita.Insolvenza irreversibile ma si vuole evitare il fallimento, dopo aver tentato comp.neg.– Niente voto dei creditori: decisione affidata al tribunale . <br> – Rapidità: può chiudersi in pochi mesi la liquidazione. <br> – Mantiene alcuni vantaggi del concordato (es. scelta acquirente di beni in continuità).– Ammissibile solo se prima si è svolta una comp.neg. senza esito di risanamento. <br> – È solo liquidatorio: azienda viene ceduta o liquidata, non prevede continuità interna. <br> – I creditori possono fare opposizione in omologa e il tribunale potrebbe rigettare se il piano non li tutela abbastanza.
Liquidazione giudiziale (fallimento)Procedura concorsuale liquidatoria, con spossessamento e nomina del curatore per vendere i beni.Insolvenza irreversibile; nessuna prospettiva di risanamento o accordo; istanza da creditori o scelta del debitore per chiudere.– Gestione affidata a professionista (curatore) che massimizza attivo. <br> – Debitore onesto può ottenere esdebitazione (liberazione debiti) a fine procedura . <br> – Per i creditori: parità di trattamento e riparto ordinato secondo prelazioni.– Fine dell’impresa: attività cessata o venduta a pezzi. <br> – Stigma reputazionale alto (il debitore diventa “fallito” fino a chiusura). <br> – Tempi lunghi e recuperi spesso modesti per chirografari. <br> – Conseguenze personali: gli amministratori possono subire azioni di responsabilità, l’imprenditore individuale restrizioni personali durante la procedura, possibili incriminazioni per bancarotta se vi sono irregolarità.

Tipologie di debito e possibili soluzioni

Questa tabella sintetizza, per ciascun tipo di debito aziendale, quali sono i principali rischi per il debitore e le possibili soluzioni difensive/strumenti applicabili:

Tipo di debitoRischi e poteri del creditoreSoluzioni difensive per il debitore
Debiti fiscali (Erario) <br> (IVA, imposte dirette, accise, ecc.)– Iscrizione a ruolo e cartelle esattoriali; dopo 60 giorni, avvio di fermi (veicoli), ipoteche (immobili) e pignoramenti senza passare dal giudice. <br> – Applicazione di sanzioni (fino al 30% dell’omesso) e interessi di mora. <br> – Possibile segnalazione all’OCRI (allerta) se debiti > soglie . <br> – Reati tributari: omesso versamento IVA > €250k (annuo) e ritenute > €150k (annuo) con rischio di reclusione .Rateizzazione amministrativa fino a 72 o 120 rate (blocca le azioni esecutive su quel debito). <br> – Definizioni agevolate/rottamazioni (se previste da norme temporanee) per abbattere sanzioni e interessi. <br> – Sospensioni giudiziali se il debito è oggetto di ricorso tributario (contestare se possibile). <br> – Transazione fiscale in concordato o accordo: pagamento parziale concordato col Fisco, con possibile cram-down se Fisco rifiuta . <br> – Composizione negoziata: trattativa con AdE per definire un piano di rientro (ora ammesso inserire accordo in comp.neg.) ; misure protettive per fermare ipoteche/pignoramenti. <br> – Usufruire di cause di non punibilità penale se crisi di liquidità non colpevole (mostrare che il mancato versamento è dovuto a fatti terzi) .
Debiti previdenziali (INPS) e assicurativi (INAIL)– Aggressione simile al Fisco: cartelle per contributi non versati, aziende segnalate se >3 mesi di ritardo e > soglia . <br> – Sanzioni civili ( interessi e sanzioni per omissione contributiva). <br> – Possibile denuncia penale per omesso versamento contributi trattenuti ai dipendenti (> €50k).Dilazione contributiva (INPS concede piani di rientro su 24 rate salvo casi eccezionali). <br> – Inserimento in transazione fiscale/contributiva nelle procedure concorsuali (concordato/accordi) per pagare parzialmente o dilazionato. <br> – Composizione negoziata: negoziare direttamente con INPS sul dovuto; attenzione che, al 2025, in comp.neg. pura la falcidia di contributi non è ammessa (solo dilazione) . <br> – Pagamento delle ritenute previdenziali dipendenti per evitare l’insorgere del reato; se già integrato, regolarizzazione prima del dibattimento (estinzione reato se paghi tutto) .
Debiti bancari e finanziari <br> (mutui, leasing, fidi di c/c, obbligazioni)Decadenza dal termine: se violi condizioni o ritardi pagamenti, la banca può chiedere tutto il credito subito. <br> – Revoca affidamenti a revoca (scoperti, anticipo fatture), obbligo di rientro immediato. <br> – Segnalazione Centrale Rischi: peggiora rating e porta altre banche a bloccare affidamenti. <br> – Esecuzione forzata su beni dati in garanzia (es. ipoteca su capannone → espropriazione, pegno su macchinari → vendita). <br> – Escussione di fideiussioni: se soci o terzi hanno garantito, la banca agisce contro di loro.Moratorie o accordi bilaterali: chiedere alla banca sospensione rate (interest only) o allungamento piani di ammortamento. Spesso necessaria situazione temporanea (es. moratorie Covid). <br> – Rinegoziazione: consolidare esposizioni a breve in prestiti a medio termine; può richiedere garanzie aggiuntive (es. garanzie statali). <br> – Piano attestato: presentare alle banche un piano di risanamento con attestazione, proponendo ristrutturazione del debito. Pagamenti effettuati secondo piano non revocabili . <br> – Accordo di ristrutturazione: se banche rappresentano ≥60% del debito, formalizzare un accordo ex art.57 CCII e omologarlo (vincola quelle aderenti, consente standstill legalizzato). <br> – Composizione negoziata: utilizzare misure protettive per evitare revoca fidi e segnalazioni ; con l’esperto, negoziare con banche soluzioni tipo debt-equity swap (conversione di parte credito in partecipazione) , haircuts parziali, nuovi finanziamenti prededucibili. <br> – Concordato preventivo: se serve imporre perdite alle banche, classarle e farle votare un piano di ristrutturazione (es. pagamento parziale con equity upside). Banche con garanzie ipotecarie possono subire ristrutturazione pagamento (es. pagamento dilazionato della parte ipotecaria) purché non inferiore al valore di realizzo del bene stimato.
Debiti verso fornitori e trade <br> (forniture beni, servizi, affitti)Sospensione forniture: il creditore commerciale può interrompere ulteriori forniture finché non paga, mettendo a rischio la continuità operativa dell’azienda debitrice. <br> – Decreto ingiuntivo rapido (provvisoria esecutività con fatture non contestate) → pignoramento beni aziendali o crediti verso clienti. <br> – Azione revocatoria su pagamenti ricevuti dal debitore poco prima del fallimento (il fornitore rischia di restituire incassi se preferito ad altri). <br> – Istanza di liquidazione giudiziale: un fornitore rilevante non pagato può chiederla, avviando la procedura concorsuale d’ufficio.Negoziazione individuale: concordare piani di rientro (pagamenti a rate, emissione di effetti cambiari, ecc.) con fornitori chiave; offrire garanzie reali o personali se necessario per rassicurarli. <br> – Accordi transattivi: saldo a stralcio (pagare una percentuale a chiusura debito) – attenzione però a farli preferibilmente contestualmente per tutti (es. via concordato) onde evitare azioni revocatorie su quelli pagati più degli altri. <br> – Composizione negoziata: coinvolgere i fornitori nelle trattative multi-creditore; possibile ottenere moratorie sui pagamenti trade mentre è in corso (spesso i fornitori strategici accettano se vedono un piano serio) . Misure protettive evitano pignoramenti nel frattempo. <br> – Concordato preventivo: imporre un trattamento uguale a tutti i chirografari (es. 30% in 2 anni) tagliando i crediti fornitori nella stessa misura. I fornitori votano assieme ad altri chirografari: se la maggioranza approva, tutti vincolati, evitando pressioni individuali. <br> – Pagamento fornitori strategici in prededuzione: in concordato in continuità si può chiedere al tribunale di pagare anticipatamente taluni fornitori essenziali (per assicurare produzioni future) – li metti in prededuzione con autorizzazione (art. 100 CCII). Ciò li motiva a continuare il rapporto. <br> – Opposizioni legali: se un fornitore agisce, valutare opposizione a D.I. o richiesta di conversione pignoramento per dilazionare (soluzioni tampone). Ma meglio prevenire con strumenti collettivi.
Debiti verso dipendenti <br> (retribuzioni, TFR, ecc.)Privilegio ipersoddisfatto: godono di privilegi di legge che in procedure concorsuali li fanno pagare prima di molti altri (fino a 2 anni di retribuzioni + TFR sono superprivilegiati). <br> – Vertenze sindacali e cause lavoro: crediti di lavoro possono portare a ingiunzioni immediate (es. decreto ingiuntivo per paghe arretrate). <br> – Dimissioni e agitazioni: se non paghi stipendi, il personale può lasciare o proclamare sciopero, paralizzando l’azienda. <br> – Penale: omesso versamento ritenute previdenziali sopra soglia è reato; mancato versamento stipendi non è reato ma viola obblighi civilistici e contrattuali.Predisporre cassa per paghe correnti: nelle crisi, dare priorità al pagamento delle retribuzioni correnti per mantenere operatività e perché comunque sarebbero prededuzione/privilegio in concorso. <br> – Coinvolgere sindacati e dipendenti nel piano: comunicare la situazione e magari concordare riduzioni temporanee o cassa integrazione straordinaria (con sostegno pubblico) per alleggerire il costo del lavoro e accumulare meno debiti verso di loro. <br> – Fondo di Garanzia INPS: sapere che in caso di concordato o fallimento, TFR e ultime 3 mensilità saranno pagate dall’INPS, può aiutare a gestire la tensione con i dipendenti (lo si spiega per tranquillizzare che non perderanno tutto). <br> – Concordato preventivo in continuità: prevede obbligatoriamente il pagamento integrale dei debiti per retribuzioni e TFR precedenti, al più dilazionato di qualche mese dall’omologa. Quindi inserire in piano che i lavoratori saranno soddisfatti al 100% (anche con intervento Fondo) – questo spesso li rende favorevoli al piano. <br> – Liquidazione coatta (in fallimento): i dipendenti vanno subito in NASpI e possono recuperare dal Fondo; come difesa del debitore imprenditore, c’è poco da fare se non essere trasparenti e collaborativi, onde evitare cause di lavoro aggiuntive.

(Le celle con più elementi usano <br> per separare concetti in lista all’interno della tabella, per facilitarne la lettura.)

Fonti e riferimenti

(In questa sezione vengono elencate le fonti normative e giurisprudenziali più autorevoli citate nel testo, per approfondimenti.)

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) – D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, in vigore dal 15/07/2022, e successivi decreti correttivi (D.Lgs. 147/2020, D.Lgs. 83/2022, D.Lgs. 136/2024) . È la normativa principale che disciplina composizione negoziata, concordati, liquidazione giudiziale ecc.
  • Segnalazioni d’allerta – Soglie e procedure: art. 25-novies CCII e norme collegate. Vedi Unioncamere, Guida procedure concorsuali 2023, schema sulle soglie di allerta . Indica ad es. soglie INPS (€15k/30% contributi annui), soglia IVA (10% fatturato con cap €20k) , soglie cartelle (€500k società) .
  • Cassazione Civile, Sez. I, ord. n. 4201 del 18/02/2025 – ha chiarito che ai fini dell’art. 30 CCII (soglia €30.000 debiti scaduti per aprire liquidazione giudiziale) rilevano anche i debiti rateizzati dal fisco: la dilazione ex art. 19 DPR 602/73 non esclude lo stato di insolvenza né toglie la qualità di “scaduto” .
  • Cassazione Civile, Sez. I, ord. n. 27782 del 28/10/2024 – ha confermato l’orientamento sul cram-down fiscale: il tribunale può omologare il concordato preventivo anche con voto negativo dell’Erario sulla transazione fiscale . Viene superata definitivamente la tesi restrittiva, in linea col D.L. 118/2021 e con l’art. 88 co. 4 CCII introdotto dal correttivo 2024, che equipara il “mancato assenso” al voto contrario ai fini dell’omologa forzosa .
  • Tribunale di Venezia, Sez. Imprese, ord. 13/01/2025 (est. Pitinari) – in composizione negoziata di gruppo ha concesso misure protettive estese, vietando alle banche di segnalare a Centrale Rischi e di revocare le linee di credito durante le trattative . Provvedimento innovativo che amplia la tutela del debitore in fase negoziale per preservare la continuità.
  • Tribunale di Modena, ord. 08/03/2025 (est. Bianconi) – ha emanato un provvedimento cautelare che inibisce alla banca l’escussione della garanzia statale MCC durante la composizione negoziata . Motivazione: evitare aggravio del debito verso lo Stato e lasciare spazio al risanamento. Estende la protezione anche ai rapporti indiretti (garanzie terze).
  • Tribunale di Roma, decr. 15/11/2023 – ha omologato uno dei primi concordati semplificati per la liquidazione del patrimonio post-composizione negoziata . Conferma la fattibilità dell’istituto ex art. 25-sexies CCII, evidenziando che non serve il voto dei creditori e che il tribunale valuta la convenienza rispetto al fallimento.
  • Cassazione Penale, Sez. III, sent. n. 30532/2024 – in tema di reati tributari (omesso versamento IVA) ha affermato che non è punibile il fatto commesso per cause non imputabili all’imprenditore, specificando che una grave crisi di liquidità non transitoria dovuta a insolvenze dei clienti può rientrare tra le cause esimenti introdotte dall’art. 13, co. 3-bis D.Lgs. 74/2000 . Ribadito però che la scelta deliberata di pagare altri debiti invece dell’IVA non giustifica il reato, stante la prelazione erariale .
  • D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 (Riforma Giustizia Tributaria) e D.Lgs. 30 giugno 2023 n. 87 (Riforma Sanzioni Penali Tributarie) – hanno modificato la disciplina dei reati di omesso versamento: soglie di punibilità innalzate (IVA da €50k a €250k) e introdotta causa di non punibilità per forza maggiore economica (crisi di liquidità non imputabile) . Inoltre, previste attenuanti se il contribuente paga il dovuto prima della fine del primo grado .
  • Art. 166 CCIIEsenzioni da revocatoria: dispone che gli atti, pagamenti e garanzie concessi in esecuzione di un piano attestato ex art. 56 CCII (o di accordi di ristrutturazione ex art. 57) non sono soggetti a azione revocatoria fallimentare , salvo dolo. Norma chiave per la sicurezza dei creditori che aderiscono ai piani di risanamento.
  • Art. 18 co. 5 CCII (come mod. da D.Lgs. 136/2024) – ha introdotto il divieto di revoca degli affidamenti bancari durante le misure protettive concesse nella composizione negoziata . Ciò per evitare che l’accesso alla procedura negoziale provochi automaticamente il ritiro del supporto bancario.
  • Relazione Illustrativa al D.Lgs. 136/2024 – evidenzia le finalità del terzo correttivo: rimuovere ostacoli interpretativi e incentivare l’uso della composizione negoziata . Chiarita, ad esempio, la possibilità di accedere a comp.neg. anche con istanza di fallimento pendente (solo escluso se istanza promossa dallo stesso debitore) , e uniformata la disciplina per imprese sotto-soglia (possono anch’esse accedere a concordato semplificato) .
  • Statistiche utilizzo Composizione NegoziataReport CNC 2025 – Camera Arbitrale Milano: crescita esponenziale nel 2024 (+87% istanze in Lombardia) e prevalenza di PMI (70% S.r.l.) . Successo nel salvare posti di lavoro (38 imprese risanate in Lombardia nel 2024, salvati 2100 posti) . Ciò a riprova dell’efficacia se attivata per tempo.
  • Massimario di Giurisprudenza – Tribunale di Verona decr. 22/01/2024 – (non citato diffusamente sopra) ha chiarito le modalità di comunicazione alle banche del provvedimento protettivo (per assicurare tempestiva applicazione, vanno notificate subito) .

La tua azienda che produce, miscela, importa o distribuisce prodotti chimici per la manutenzione industriale, sgrassanti, detergenti tecnici, lubrificanti speciali, prodotti anticorrosivi, solventi, oli da taglio, prodotti anticalcare, spray tecnici, agenti protettivi, chimici per officine, impianti, macchinari e linee produttive, si trova oggi in difficoltà a causa dei debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo

La tua azienda che produce, miscela, importa o distribuisce prodotti chimici per la manutenzione industriale, sgrassanti, detergenti tecnici, lubrificanti speciali, prodotti anticorrosivi, solventi, oli da taglio, prodotti anticalcare, spray tecnici, agenti protettivi, chimici per officine, impianti, macchinari e linee produttive, si trova oggi in difficoltà a causa dei debiti?
Stai ricevendo solleciti, richieste di rientro, sospensione delle forniture, decreti ingiuntivi, cartelle esattoriali o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori chimici o Agenzia Entrate-Riscossione?

Il settore dei prodotti chimici per la manutenzione è complesso: prezzi delle materie prime in continuo aumento, lotti minimi pesanti, trasporti costosi, normative ambientali severe, stoccaggio complicato e clienti che pagano in ritardo. Basta un calo dei fidi o qualche settimana di mancati incassi per far esplodere una crisi.

La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con la strategia corretta.


Perché un’Azienda di Chimica per la Manutenzione va in Debito

  • aumento dei costi di solventi, basi, additivi, tensioattivi, imballaggi
  • pagamenti a 60–120 giorni da parte di industrie, manutentori e officine
  • magazzino immobilizzato tra fusti, IBC, taniche, spray, cartoni e semilavorati
  • costi elevati di trasporto, logistica e gestione rifiuti
  • investimenti necessari in certificazioni, SDS, REACH e test di conformità
  • riduzione o revoca dei fidi bancari
  • esposizioni pesanti verso trasportatori e fornitori strategici

Il problema principale non è la mancanza di clienti, ma la mancanza di liquidità immediata.


I Rischi se Non Intervieni Subito

  • pignoramento dei conti aziendali
  • blocco dei fidi bancari
  • sospensione delle forniture chimiche necessarie alla produzione
  • atti esecutivi, precetti e decreti ingiuntivi
  • sequestro di magazzini, fusti, IBC e attrezzature
  • impossibilità di produrre, consegnare o mantenere i contratti
  • perdita di clienti strategici e distributori importanti

Cosa Fare Subito per Difendersi

1. Bloccare immediatamente i creditori

Un avvocato esperto può:

  • sospendere pignoramenti e atti esecutivi
  • bloccare richieste urgenti di rientro
  • proteggere conti correnti e liquidità aziendale
  • fermare le azioni dell’Agenzia Riscossione

Mettere in sicurezza l’azienda è il primo passo.


2. Analizzare i debiti ed eliminare ciò che non è dovuto

Quasi sempre emergono irregolarità significative:

  • interessi non dovuti
  • sanzioni sbagliate o gonfiate
  • importi duplicati
  • debiti prescritti
  • errori nelle cartelle esattoriali
  • commissioni bancarie anomale

Una parte importante dei debiti può essere annullata o ridotta.


3. Ristrutturare i debiti con piani sostenibili

Le soluzioni principali:

  • rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
  • accordi con fornitori strategici (chimici, packaging, trasporto)
  • rinegoziazione delle linee di credito
  • sospensioni temporanee dei pagamenti
  • utilizzo delle definizioni agevolate

4. Usare strumenti legali potentissimi che bloccano TUTTI i creditori

Quando la crisi è più profonda, la legge permette di ricorrere a:

  • PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
  • Accordi di ristrutturazione
  • Concordato minore
  • (nei casi estremi) Liquidazione controllata

Queste procedure consentono di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti, sospendendo ogni azione esecutiva.


Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo

Per salvare un’azienda del settore chimico-industriale serve un professionista altamente specializzato.
L’Avv. Monardo è:

  • Avvocato Cassazionista
  • Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012) – negli elenchi del Ministero della Giustizia
  • Professionista fiduciario di un OCC
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)

Un profilo perfetto per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende che operano con prodotti chimici per la manutenzione industriale, dove gli errori possono costare caro.


Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo

  • analisi immediata della tua situazione debitoria
  • stop urgente a pignoramenti e decreti ingiuntivi
  • eliminazione dei debiti non dovuti
  • ristrutturazione del debito con piani personalizzati
  • protezione dei magazzini, dei prodotti chimici e delle linee produttive
  • trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
  • tutela totale dell’azienda e dell’amministratore

Conclusione

Avere debiti nella tua azienda di prodotti chimici per la manutenzione industriale non significa essere destinati alla chiusura.
Con una strategia rapida, professionale e completamente legale, puoi:

  • bloccare subito i creditori,
  • ridurre davvero i debiti,
  • salvare produzione, magazzino e continuità commerciale,
  • proteggere il futuro della tua impresa.

Agisci ora.

📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
il percorso di salvataggio può iniziare oggi stesso.

Leggi con attenzione: se in questo momento ti trovi in difficoltà con il Fisco ed hai la necessità di una veloce valutazione sulle tue cartelle esattoriali e sui debiti, non esitare a contattarci. Ti aiuteremo subito. Scrivici ora. Ti ricontattiamo immediatamente con un messaggio e ti aiutiamo subito.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!