Se la tua azienda produce, installa o distribuisce pavimenti industriali ESD, rivestimenti antistatici, pavimenti conduttivi per elettronica, farmaceutica, camere bianche, data center, linee produttive sensibili o laboratori, e oggi si trova con debiti verso Fisco, Agenzia delle Entrate Riscossione, INPS, banche o fornitori, è essenziale intervenire immediatamente per evitare blocchi di cantiere, penali, contestazioni e perdita di clienti strategici.
Nel settore ESD, anche un singolo ritardo nell’installazione o nella fornitura può compromettere la conformità degli impianti, bloccare produzioni elettroniche o farmaceutiche e creare danni economici molto seri.
Perché le aziende di pavimenti industriali ESD accumulano debiti
- aumento dei costi di resine ESD, materiali conduttivi e componenti specializzati
- rincari dei trasporti, delle materie prime e dei prodotti importati
- pagamenti lenti da parte di imprese elettroniche, farmaceutiche e contractor
- ritardi nei versamenti di IVA, imposte e contributi
- magazzini complessi con materiali tecnici certificati e prodotti a scadenza
- difficoltà nell’ottenere fidi bancari adeguati ai cicli dei cantieri
- elevati costi di attrezzature, preparazione fondi e personale specializzato
Cosa fare subito
- far analizzare da un professionista l’intera posizione debitoria
- identificare i debiti che possono essere contestati, ridotti o rateizzati
- evitare piani di rientro troppo pesanti che soffocano la liquidità
- richiedere la sospensione immediata di eventuali pignoramenti
- proteggere i rapporti con fornitori strategici e materiali certificati ESD
- usare strumenti legali per ristrutturare o rinegoziare i debiti in modo efficace
I rischi se non intervieni tempestivamente
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco delle forniture di resine ESD, materiali conduttivi e attrezzature
- impossibilità di completare cantieri ad alta priorità
- perdita di clienti nei settori elettronico, farmaceutico, medicale e data center
- rischio concreto di chiusura dell’attività
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’Avvocato Monardo, cassazionista, coordina in tutta Italia un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
È inoltre:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
- iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
- professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
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- bloccare pignoramenti e atti esecutivi
- ridurre o ristrutturare i debiti con gli strumenti normativi più efficaci
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Introduzione
Una azienda di pavimenti industriali ESD (Electro Static Discharge) in difficoltà finanziaria può trovarsi improvvisamente schiacciata dai debiti e dalle azioni dei creditori. I titolari e gli amministratori di una tale impresa si chiedono come difendersi legalmente, evitare il fallimento (ora liquidazione giudiziale), ristrutturare l’esposizione debitoria e tutelare il proprio patrimonio personale. In questa guida avanzata – aggiornata a ottobre 2025 – esamineremo gli strumenti giuridici offerti dall’ordinamento italiano per gestire una crisi d’impresa, con un taglio adatto sia a professionisti legali sia a imprenditori e privati interessati. Adotteremo un linguaggio tecnico giuridico ma divulgativo, forniremo esempi pratici e domande e risposte frequenti, nonché tabelle riepilogative per sintetizzare i punti chiave. Il punto di vista adottato è quello del debitore, cioè dell’azienda indebitata e dei suoi rappresentanti, che cercano soluzioni per fronteggiare i creditori.
Affronteremo innanzitutto cosa si intende per crisi di liquidità e come riconoscerne per tempo i segnali, per poi distinguere le varie tipologie di debiti (fiscali, verso fornitori, dipendenti, banche, ecc.) e i relativi rischi (dai pignoramenti alle istanze di fallimento, fino alle azioni esecutive dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione). Passeremo quindi in rassegna gli strumenti di composizione della crisi d’impresa previsti dalla normativa italiana (dalla composizione negoziata ai piani di risanamento attestati, dagli accordi di ristrutturazione al concordato preventivo, ecc.), che consentono di evitare il fallimento e trovare un accordo con i creditori. Verranno analizzate anche le procedure liquidatorie (la liquidazione giudiziale, ex fallimento, e la liquidazione controllata per debitori minori) e i meccanismi di esdebitazione (la liberazione dai debiti residui). Un’attenzione specifica sarà dedicata alla tutela del patrimonio personale dell’imprenditore o degli amministratori: vedremo come funziona la responsabilità limitata di una SRL/SPA, quali sono le eccezioni (es. fideiussioni personali, responsabilità per mala gestio, reati tributari) e quali strategie esistono per proteggere i beni personali (o almeno limitare i danni).
La guida include inoltre una sezione di Domande e Risposte comuni (FAQ) che chiariscono dubbi pratici (es. “Cosa posso fare se un creditore ha chiesto il fallimento della mia azienda?”, “Posso bloccare un pignoramento sul conto corrente?”). Attraverso simulazioni pratiche, verrà illustrato un caso concreto di un’azienda di pavimenti industriali ESD indebitata e il percorso che può intraprendere per uscire dalla crisi, passo dopo passo. Infine, verranno presentate delle tabelle riepilogative che confrontano i vari strumenti di gestione della crisi e riassumono le principali categorie di debiti con relative soluzioni.
Tutte le informazioni fornite sono basate su norme italiane aggiornate al 2025 e arricchite con riferimenti a sentenze recenti e fonti autorevoli. Le fonti normative e giurisprudenziali citate sono elencate in fondo alla guida, per consentire ulteriori approfondimenti e per verificare l’attendibilità di quanto affermato.
Nota: Nel 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019, come modificato dai correttivi del 2020-2022 e dal terzo correttivo del 2024). Questo ha introdotto nuovi istituti (come la composizione negoziata) e ha modificato la terminologia (ad esempio, il tradizionale “fallimento” ora si chiama liquidazione giudiziale). In questa guida useremo talvolta il termine ancora comune “fallimento” per facilitare la comprensione, specificando però i nuovi termini ove necessario. L’obiettivo è fornire un quadro completo e aggiornato delle strategie difensive per un imprenditore debitore in difficoltà, evidenziando come la legge italiana consenta di guadagnare tempo, negoziare con i creditori e, se possibile, riportare in bonis l’azienda, oppure gestirne l’uscita dal mercato nel modo meno traumatico.
Passiamo dunque ad esaminare in dettaglio come un’azienda di pavimenti industriali ESD indebitata può muoversi per difendersi dalle azioni dei creditori e cercare di superare la crisi.
Crisi di liquidità: riconoscere i segnali e agire tempestivamente
Il punto di partenza per difendere un’azienda dai debiti è riconoscere per tempo la situazione di crisi di liquidità e attivarsi tempestivamente. La crisi di liquidità si manifesta quando l’impresa non dispone di denaro sufficiente per far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni (pagare fornitori, stipendi, rate di mutui, tasse, ecc.). Questa situazione, se protratta, può sfociare nello stato di insolvenza vero e proprio, definito giuridicamente come l’incapacità non temporanea di adempiere alle obbligazioni man mano che vengono a scadenza.
Segnali di allarme e obblighi organizzativi
Gli amministratori devono prestare attenzione a una serie di segnali d’allarme di difficoltà finanziaria, tra cui ad esempio: – Ritardi nei pagamenti a fornitori o nel versamento di imposte e contributi. – Utilizzo costante di fidi bancari al limite e tensione di cassa, magari con scoperti sul conto. – Solleciti e ingiunzioni di pagamento ricevuti da creditori (lettere di legali, decreti ingiuntivi, ecc.). – Deterioramento degli indicatori di bilancio, come perdite ricorrenti, patrimonio netto in erosione, indici di liquidità e indebitamento fuori dai parametri. – Segnalazioni dei sindaci o revisori: se la società ha organi di controllo, questi hanno il dovere di avvertire gli amministratori quando riscontrano situazioni che mettono in pericolo la continuità aziendale.
In base all’art. 2086 c.c. e alle norme del Codice della Crisi, l’imprenditore che opera in forma societaria ha l’obbligo di dotare la società di assetti amministrativi, organizzativi e contabili adeguati alla natura e dimensione dell’impresa, anche al fine di rilevare tempestivamente la crisi ed evitare la perdita della continuità aziendale . Ciò significa, in pratica, che devono essere implementati sistemi di controllo di gestione, budget di cassa e altri strumenti che permettano di prevedere con anticipo possibili tensioni finanziarie. Non è solo buona gestione: è un preciso dovere legale. La riforma della crisi d’impresa ha infatti voluto responsabilizzare gli amministratori, prevedendo tra l’altro: – Obblighi di segnalazione interna: gli organi di controllo (collegio sindacale, revisore) hanno l’obbligo di segnalare per iscritto agli amministratori l’esistenza di fondati indizi di crisi. Se gli amministratori ignorano la segnalazione, i sindaci possono riferire al tribunale. – Adeguati assetti: la mancata adozione di assetti organizzativi adeguati può costituire fonte di responsabilità per gli amministratori. In caso di fallimento, essi potrebbero essere chiamati a rispondere dei danni verso i creditori sociali per non aver colto per tempo la crisi e non aver adottato misure idonee, ai sensi dell’art. 2476 c.c. e 2394 c.c. (azione di responsabilità per danni ai creditori) . La Cassazione ha ribadito nel 2025 che l’amministratore deve agire con la diligenza richiesta dalla natura dell’attività e nell’interesse della società, commettendo atto illecito se persegue interessi propri o di terzi in conflitto con quelli sociali causando pregiudizio alla società stessa . Trascurare la crisi d’impresa e lasciare aggravare il dissesto può costituire anche comportamento rilevante ai fini penali (bancarotta semplice per imprudente aggravamento del dissesto) .
In sintesi, ignorare i sintomi della crisi o peggio occultarli nella speranza di una ripresa miracolosa è l’errore più grave: non solo aumenta la probabilità di insolvenza definitiva, ma espone gli amministratori a responsabilità personali civili (e in taluni casi penali). Agire tempestivamente è invece fondamentale per poter accedere agli strumenti di composizione della crisi messi a disposizione dalla legge. La normativa incoraggia l’emersione anticipata della crisi: il terzo correttivo del Codice della Crisi (D.Lgs. 136/2024) ha ulteriormente potenziato i sistemi di allerta precoce, facilitando l’accesso alle soluzioni negoziali già in presenza di squilibri patrimoniali o economico-finanziari, prima che il dissesto diventi irreversibile .
Esempio: Il titolare della nostra azienda di pavimenti industriali ESD nota che da alcuni mesi fatica a pagare puntualmente i fornitori di resina e materiali, e che l’IVA trimestrale è rimasta insoluta. Inoltre, il fido di cassa accordato dalla banca è sempre utilizzato al massimo. Il commercialista segnala che l’indice di liquidità è sceso sotto 0,8 e il patrimonio netto si è ridotto per perdite. Anche se l’azienda ha ancora ordini, questi segnali indicano una tensione finanziaria seria: è il momento di intervenire. L’amministratore convoca immediatamente un consulente di crisi d’impresa e informa i soci della situazione, in ottemperanza ai suoi doveri. Inizia a predisporre un piano per affrontare i debiti, prima che i fornitori o il Fisco prendano iniziative legali.
Primissime azioni per arginare la crisi
Appena riconosciuta la crisi di liquidità, l’imprenditore/debitore dovrebbe intraprendere alcune azioni immediate: – Analisi della situazione debitoria: fare una mappatura di tutti i debiti (ammontare, natura, scadenze, eventuali garanzie) e dei creditori. Distinguere tra debiti esigibili immediatamente e a breve (es. rate scadute, fornitori oltre fido) e debiti a medio termine. Valutare se vi sono debiti contestati o dilazionati. – Gestione della cassa: predisporre un cash flow di emergenza, riducendo ove possibile le uscite non essenziali. Ad esempio, rinviare investimenti non urgenti, ridurre costi variabili, negoziare con i dipendenti forme di solidarietà (straordinari ridotti, ferie forzate) o utilizzare ammortizzatori sociali (es. Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria per crisi, se applicabile) per alleggerire il costo del lavoro temporaneamente. – Comunicazione con i creditori chiave: paradossalmente, mantenere un dialogo con i principali creditori può evitare reazioni precipitose da parte loro. Un fornitore informato della situazione e della volontà dell’azienda di trovare soluzioni potrebbe essere più incline a concedere proroghe o a non attivare subito azioni legali, rispetto a un fornitore tenuto all’oscuro. Attenzione però a non incorrere in ammissioni di insolvenza scritte che potrebbero poi essere usate contro: meglio parlare in termini di “temporanea difficoltà” e prospettare piani credibili di rientro. – Assistenza professionale: coinvolgere tempestivamente un esperto di crisi d’impresa (advisor finanziario, avvocato specializzato o commercialista esperto in ristrutturazioni) è spesso decisivo. Il professionista aiuta a predisporre un piano e a scegliere lo strumento più adatto (negoziazione stragiudiziale, composizione assistita, procedura concorsuale, ecc.). Inoltre, in caso si opti per una procedura di composizione negoziata, è obbligatorio passare tramite la piattaforma telematica e ottenere la nomina di un esperto indipendente, come vedremo in dettaglio.
In questa fase iniziale, l’obiettivo è guadagnare tempo e stabilizzare la situazione, evitando che la crisi di liquidità degeneri in un’ondata di pignoramenti o nella perdita di fiducia di partner commerciali strategici. Se l’impresa ha prospettive di continuare l’attività (magari ha un portafoglio ordini, un mercato di riferimento solido) ma soffre solo una crisi finanziaria, è fondamentale prendere fiato e passare poi a strumenti più strutturati di risanamento. Nel prossimo paragrafo, esamineremo i diversi tipi di debiti che un’azienda di pavimenti industriali può avere e quali specifici rischi e reazioni comportano – perché non tutti i debiti sono uguali e ciascuna categoria di creditore ha “armi” diverse e priorità diverse.
Tipologie di debiti e rischi correlati
Un’azienda indebitata di solito ha esposizioni verso diverse categorie di creditori: il Fisco (debiti tributari), gli enti previdenziali (contributi), i fornitori commerciali, le banche e finanziarie, i dipendenti (retribuzioni, TFR), eventualmente i soci finanziatori o altri. Ciascuna categoria di debito presenta caratteristiche e rischi specifici dal punto di vista del debitore. Vediamo in dettaglio le principali:
Debiti fiscali e contributivi
I debiti verso l’Erario (IVA, imposte sui redditi, IRAP) e verso gli enti previdenziali (contributi INPS, premi INAIL) sono tra i più delicati. Essi spesso beneficiano per legge di privilegi sui beni del debitore e danno luogo a procedure di riscossione particolari, gestite dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER). Le caratteristiche principali dei debiti fiscali sono: – Sono assistiti da privilegio generale mobiliare su tutti i beni mobili del debitore e privilegio immobiliare sugli immobili, per cui in caso di insolvenza verranno soddisfatti prima dei crediti chirografari (non garantiti). – La riscossione coattiva avviene attraverso uno strumento proprio: la cartella esattoriale (o, per i contributi INPS, l’avviso di addebito). Dopo la notifica della cartella esattoriale, se il debitore non paga entro 60 giorni, l’Agente della Riscossione può procedere con atti esecutivi senza dover ottenere un decreto ingiuntivo o una sentenza. – L’AdER ha poteri particolari, come l’iscrizione di ipoteca sugli immobili del debitore e il fermo amministrativo sui veicoli, al ricorrere di determinati importi. Ad esempio, per debiti sopra 20.000 euro può iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore , e per debiti sopra 5.000 euro può disporre il fermo auto. – Tuttavia, esistono limiti di legge a tutela del debitore: la “prima casa” (abitazione principale non di lusso) non è pignorabile da AdER se il debito è inferiore a 120.000 euro e se il debitore possiede un solo immobile (oltre all’abitazione, alcuni dettagli: l’immobile non deve essere di categoria lusso A/8 o A/9, e il debitore deve risiedervi). Anche sopra 120.000 €, l’agente della riscossione deve seguire procedure specifiche (intimazione, trascorrere 30 giorni, ecc.) e se il debito è modesto può solo ipotecare ma non espropriare immediatamente . – I debiti IVA e le ritenute non versate oltre certe soglie configurano reati tributari: ad esempio, omesso versamento IVA oltre 250.000 € annui e omesso versamento di ritenute (ad es. ritenute su stipendi) oltre 150.000 € annui integrano fattispecie penali punite con la reclusione (artt. 10-bis e 10-ter D.Lgs. 74/2000). Quindi accumulare grossi debiti IVA o trattenere le ritenute senza versarle può esporre l’amministratore a processi penali, a meno che non regolarizzi il pagamento entro specifiche scadenze (nel 2023, la normativa è stata leggermente modificata per posticipare al 31 dicembre la verifica dell’omissione punibile ). – I debiti previdenziali (contributi INPS) se non versati oltre una soglia (circa 10.000 € annui per omesso versamento di ritenute previdenziali) costituivano reato, ma il reato è stato depenalizzato sotto tale soglia e resta solo amministrativo se il datore di lavoro poi li versa tardivamente; resta reato invece l’omesso versamento di contributi dovuti per lavoratori dipendenti sopra una soglia (in passato 10.000 € annui), salvo che il datore provi di trovarsi in temporanea grave situazione e li versi entro termini di legge.
Come difendersi dai debiti fiscali? Ecco alcune strategie e strumenti: – Rateizzazione delle cartelle esattoriali: È spesso la prima mossa. Se il debito iscritto a ruolo (cioè in cartella) viene dilazionato, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione sospende le azioni esecutive pendenti e rinuncia a iniziarne di nuove, a patto che il piano di rate sia rispettato. Dal 2025 sono entrate in vigore nuove regole più favorevoli per le rateizzazioni: per importi fino a 120.000 € per singola istanza si può ottenere, con semplice richiesta motivata da temporanea difficoltà, fino a 84 rate (7 anni) . Se si documenta una situazione di maggiori difficoltà, la dilazione può estendersi fino a 120 rate mensili (10 anni) anche per tali importi, con un minimo di 85 rate per le richieste nel 2025-2026 . Per debiti superiori a 120.000 €, presentando opportuna documentazione finanziaria (indici di liquidità, Alfa, ecc. definiti da decreti MEF), l’AdER può concedere fino a 120 rate indipendentemente dall’anno di richiesta . In pratica, la normativa recente (D.Lgs. 110/2024) ha ampliato e reso più flessibile la rateizzazione: soglia senza documentazione alzata a 120k, più anni di dilazione possibili e decadenza solo dopo 8 rate non pagate (per piani dal 16/07/2022 in poi). Dunque, richiedere un piano di dilazione è una mossa fondamentale. Bisogna presentare l’istanza prima che inizino azioni esecutive pesanti (pignoramenti immobiliari). Se la richiesta è ammessa, il debitore deve pagare regolarmente le rate: la decadenza dal beneficio avviene al mancato pagamento di 8 rate, anche non consecutive, per le domande attuali . – Sospensione per istanza di adesione o contenzioso: Se il debito nasce da un avviso di accertamento non ancora definitivo, presentare ricorso al giudice tributario o adesione può sospendere la riscossione (in alcuni casi automaticamente al 1/3, in altri occorre chiedere la sospensione al giudice). Tuttavia, nel nostro scenario supponiamo che i debiti fiscali siano già in cartella, quindi questa strada è preclusa perché i termini per impugnare sono decorsi. – Transazione fiscale e contributiva: Nell’ambito di una procedura concorsuale di ristrutturazione (concordato preventivo o accordo di ristrutturazione omologato), è possibile proporre una transazione fiscale ai sensi dell’art. 63 del Codice della Crisi (ex art. 182-ter l.fall.). Significa offrire al Fisco e agli enti previdenziali il pagamento parziale delle somme dovute, eventualmente anche dilazionato, inserendo il Fisco in una classe di creditori che voterà il piano. Fino a poco tempo fa, il dissenso dell’Erario poteva bloccare il concordato se la proposta non soddisfaceva integralmente IVA e ritenute (che per legge erano inderogabili salvo voto favorevole dell’erario). Novità 2022-2023: con il recepimento della direttiva UE 2019/1023 e i correttivi, è stato introdotto il cosiddetto cram-down fiscale, ossia la possibilità per il tribunale di omologare il concordato o l’accordo di ristrutturazione anche senza il voto favorevole dell’amministrazione finanziaria, a condizione che la proposta non riservi all’Erario un trattamento deteriore rispetto a quello che avrebbe in caso di liquidazione . In altre parole, se il piano offre al Fisco almeno quanto otterrebbe vendendo i beni in fallimento, il giudice può approvarlo anche se l’AdER vota contro. Questa innovazione (confermata da pronunce come Trib. Torino 17/7/2025 ) rafforza la posizione del debitore nelle trattative con il Fisco. Dunque, nella strategia di risanamento dei debiti fiscali, l’azienda può considerare una transazione fiscale nell’ambito di un concordato preventivo, sapendo che il dissenso erariale non è più un veto insuperabile. – Definizioni agevolate e “saldo e stralcio”: Il legislatore italiano ha talvolta introdotto norme speciali di condono parziale delle cartelle (“rottamazione” delle cartelle esattoriali). Ad esempio, nel 2023 è stata aperta la rottamazione-quater per debiti affidati all’AdER fino al 2017, con stralcio di sanzioni e interessi di mora e pagamento solo del capitale e interesse legale in 18 rate. Tali misure sono occasionali e limitate nel tempo, ma l’azienda in crisi deve monitorare se vi siano possibilità di aderirvi. Anche il saldo e stralcio (pagamento di una percentuale ridotta per alcuni debiti di persone fisiche in difficoltà economica) è stato previsto in passato. A ottobre 2025 non risulta aperta una specifica finestra di condono generalizzato, ma va tenuto presente che eventuali future “paci fiscali” potrebbero offrire respiro al debitore.
In pratica: se la nostra azienda ESD ha, poniamo, €150.000 di debiti IVA e ritenute, la mossa immediata è chiedere una rateizzazione a 10 anni (120 mesi). Con una richiesta nel 2025 e documentando la difficoltà, l’AdER potrebbe concedere ad esempio 100 rate da circa 1.500 €/mese . Ciò bloccherebbe ipoteche o pignoramenti in corso (salvo quelli già arrivati a vendita) e soprattutto eviterebbe di incorrere nei reati tributari se i versamenti a saldo avvengono entro fine anno di riferimento (per l’IVA 2023, pagare entro 31/12/2025 eviterebbe il reato , cosa possibile aderendo a un piano di rate). Parallelamente, se l’azienda intende proporre un concordato o accordo, può prevedere nella proposta una transazione fiscale offrendo ad esempio il pagamento del 40% di quel debito in 5 anni. Se questa somma è superiore a quanto il Fisco ricaverebbe liquidando i beni dell’azienda, il piano potrà essere approvato anche senza consenso AdER . Questo toglie al Fisco il potere di veto e rende più praticabili i piani di risanamento.
Infine, occorre menzionare il Fondo di Garanzia INPS per i dipendenti: se l’azienda ha debiti verso i dipendenti per stipendi e TFR (trattamento di fine rapporto), e accede a una procedura concorsuale (fallimento o concordato), i dipendenti possono chiedere all’INPS il pagamento del TFR e delle ultime 3 mensilità impagate tramite un Fondo di Garanzia. Questo riguarda più la categoria “dipendenti”, che vediamo tra poco, ma è collegato ai debiti contributivi/fiscali in quanto il datore poi deve versare al Fondo ciò che ha anticipato (crediti che diventano privilegiati verso l’azienda).
Debiti verso fornitori e altri creditori chirografari
I debiti commerciali verso fornitori di beni e servizi rappresentano spesso la quota maggiore dell’indebitamento di esercizio di un’azienda. Questi creditori, in assenza di garanzie specifiche, sono chirografari (non privilegiati), il che in un’eventuale procedura fallimentare li relega in coda (spesso con esiti di pagamento parziali o nulli). Tuttavia, nel breve periodo, i fornitori hanno il potere di mettere in seria difficoltà l’impresa con azioni legali rapide: – Decreto ingiuntivo: Il fornitore creditore di somme liquide ed esigibili può richiedere al tribunale un decreto ingiuntivo, ottenendolo spesso in 30-60 giorni. Se il debitore non paga né fa opposizione entro 40 giorni dalla notifica, il decreto diventa definitivo ed esecutivo. – Azioni esecutive: Ottenuto un titolo esecutivo (decreto ingiuntivo non opposto, o provvisoriamente esecutivo, o sentenza), il fornitore può procedere a pignoramenti di beni aziendali, conti correnti, crediti verso terzi (es. pignoramento dei crediti che l’azienda vanta verso i suoi clienti). Queste azioni possono paralizzare l’attività: un pignoramento del conto corrente aziendale blocca la liquidità necessaria per le operazioni quotidiane; un pignoramento presso terzi sui crediti può deviare i pagamenti dei clienti su un conto giudiziario. – Interruzione forniture: Spesso, prima ancora delle vie legali, un fornitore non pagato semplicemente sospende le forniture (nei limiti consentiti dai contratti), mettendo l’azienda in difficoltà operativa. Nel caso di un’impresa di pavimenti industriali, ad esempio, se i fornitori di resine, materiali ESD o attrezzature interrompono le consegne per insoluto, la produzione/installazione dei pavimenti potrebbe fermarsi.
Difendersi dai creditori commerciali implica una combinazione di approcci: – Negoziazione individuale (standstill): Se possibile, contattare i fornitori principali prima che agiscano legalmente, proponendo un piano di rientro bonario. Ad esempio, offrire pagamenti parziali immediati e il resto rateizzato, magari garantendo le nuove forniture in contrassegno o con pagamenti anticipati (per rassicurarli sul futuro). I fornitori, soprattutto quelli che hanno interesse a mantenere il rapporto commerciale, potrebbero accettare una moratoria, a condizione di una certa trasparenza. Talvolta, la firma di una moratoria collettiva con diversi fornitori chiave – una sorta di accordo standstill – può congelare le loro pretese il tempo necessario a predisporre un concordato preventivo o a ottenere nuova finanza. – Opposizione a decreti ingiuntivi ingiusti: Se il debito è contestabile (ad esempio per vizi nelle forniture, importi non dovuti, ecc.), è fondamentale fare opposizione al decreto ingiuntivo nei 40 giorni, per prendere tempo e portare la questione in giudizio ordinario. L’opposizione (ex art. 645 c.p.c.) sospende l’esecutorietà automatica solo se il giudice la concede espressamente, altrimenti potrebbe essere necessaria un’istanza ad hoc. Tuttavia, in molti casi il debito commerciale è certo e poco contestabile. – Misure protettive nelle procedure di crisi: Come vedremo in dettaglio, se l’azienda accede a una composizione negoziata della crisi o deposita una domanda di concordato preventivo, può richiedere al tribunale la concessione di misure protettive che bloccano o sospendono le azioni esecutive dei creditori (inclusi i fornitori). Ad esempio, presentando istanza di concordato “in bianco” con riserva, si ottiene un periodo (120 giorni prorogabili) in cui nessun creditore può iniziare o proseguire pignoramenti sui beni della società . Analogamente, nella composizione negoziata l’imprenditore può dichiarare di volersi avvalere delle misure protettive sin dall’accesso alla procedura, e ottenere dal tribunale un decreto che vieta ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive per la durata delle trattative (massimo 4 mesi rinnovabili di altri 4) . Questo strumento è prezioso per congelare i contenziosi e impedire che un fornitore “rompa le fila” pignorando per conto suo mentre si cerca un accordo generale. Va usato in buona fede (il correttivo 2024 ha introdotto regole anti-abuso per evitare che le misure protettive siano usate solo per guadagnare tempo senza negoziare seriamente ). – Conversione del pignoramento: Se un fornitore ha già avviato un pignoramento, la legge offre al debitore un’ultima risorsa: l’istanza di conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.). Consiste nel chiedere al giudice dell’esecuzione di sostituire i beni pignorati con una somma di denaro. Il debitore deve depositare in tribunale una cauzione pari ad almeno 1/6 del debito pignorato e proporre un piano di pagamento per il resto. Il giudice, sentite le parti, fissa l’importo totale dovuto (comprensivo di interessi e spese) e può concedere al debitore di versarlo in rate mensili fino a un massimo di 48 mesi (4 anni) . Durante il pagamento rateale, la procedura esecutiva è sospesa e i beni non vengono venduti; ogni sei mesi le somme versate sono ripartite ai creditori . La conversione può essere richiesta una sola volta e solo prima che sia avvenuta la vendita o assegnazione dei beni pignorati . È uno strumento di “ultima linea” ma può salvare, ad esempio, un macchinario pignorato indispensabile per la produzione, consentendo all’azienda di continuare ad operare mentre paga gradualmente il debito verso quel fornitore. Ovviamente serve raccogliere almeno il 16,7% iniziale del debito per depositarlo. – Continuità delle forniture essenziali: La legge fallimentare (e ora il Codice della Crisi) prevedeva norme per garantire, in concordato preventivo in continuità, che i fornitori di beni/servizi essenziali (ad es. utenze, materie prime critiche) non potessero rifiutare le forniture contrattuali pendenti durante la procedura, purché l’azienda paghi il corrente. Simili previsioni sussistono per impedire che un’impresa in procedura venga “uccisa” da interruzioni improvvise di forniture (si pensi a luce e gas). Nel contesto del nostro esempio, se l’azienda accede a una procedura concordataria, i fornitori non potrebbero risolvere i contratti in essere solo per i debiti pregressi, se i materiali o servizi sono essenziali alla prosecuzione dell’attività.
In pratica: La Pavimenti ESD Srl ha €200.000 di debiti verso tre fornitori principali di materiali. Due di essi hanno già mandato diffide di pagamento. L’azienda, col supporto di un advisor, convoca un meeting con questi fornitori, spiegando che sta predisponendo un piano di ristrutturazione e propone informalmente una moratoria: pagherà intanto il 20% del dovuto entro 30 giorni e il restante in 12 mesi, garantendo il pagamento alla consegna delle nuove forniture in cash. I fornitori, temendo di aggravare la situazione facendola fallire (col rischio di recuperare poi magari il 0-10%), potrebbero accettare temporaneamente. Uno dei tre però è diffidente e intanto ottiene decreto ingiuntivo. A questo punto l’azienda presenta domanda di composizione negoziata al registro imprese e chiede subito le misure protettive: il tribunale con decreto blocca i creditori, incluso quello con decreto ingiuntivo, dal procedere ad esecuzione . Ciò dà 3-4 mesi di respiro per trovare un accordo generale. Se poi quel creditore tentasse un pignoramento appena scadute le misure protettive, l’azienda potrebbe – estrema ratio – chiedere la conversione del pignoramento in 36-48 rate, depositando il 1/6 iniziale . Da notare che, se l’azienda riesce a far omologare un concordato preventivo, i debiti chirografari come quelli dei fornitori potranno essere pagati solo in percentuale (es: 30%) secondo un piano pluriennale, e la restante parte verrà cancellata (esdebitata) alla chiusura della procedura. Questo però avviene in sede concorsuale: fino ad allora, il fornitore ha diritto all’intero credito e può agire, salvo accordi o misure protettive.
Debiti verso i dipendenti
Le retribuzioni non pagate ai dipendenti e collaboratori generano debiti particolari, che coinvolgono profili sia civilistici che, potenzialmente, penal-lavoristici. I punti salienti: – I crediti dei lavoratori per stipendi, salari e trattamento di fine rapporto (TFR) godono di un privilegio generale mobiliare di grado molto alto (spesso prevalente anche su quello fiscale, almeno per le ultime mensilità). In caso di fallimento, i dipendenti sono soddisfatti prima dei creditori chirografari; in un concordato, teoricamente andrebbero pagati integralmente o comunque meglio degli altri creditori comuni. – In una crisi di liquidità, l’impresa talvolta ritarda gli stipendi. Questo può portare a immediate reazioni: il dipendente può dimettersi per giusta causa (se non riceve lo stipendio, è un motivo valido, con diritto alla disoccupazione NASpI) e, soprattutto, può agire in via giudiziale rapida. I crediti di lavoro infatti permettono di ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo quasi immediato, oppure un’ingiunzione dal Tribunale del Lavoro. Con quel titolo, il lavoratore può pignorare conti o beni dell’azienda. – Il mancato pagamento delle ritenute previdenziali (i contributi a carico del dipendente trattenuti in busta paga) configura reato se l’omissione supera una certa soglia annua, come accennato sopra. Anche sul piano amministrativo, l’INPS può imporre sanzioni civili (maggiorazioni) per contributi omessi. – Ammortizzatori sociali: per evitare di accumulare debiti verso il personale, se l’azienda sta subendo una crisi temporanea, può attivare strumenti come la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) per crisi aziendale. Nel nostro caso, se la Pavimenti ESD Srl ha un calo di attività, potrebbe mettere parte degli operai in CIGS (pagati dall’INPS in parte) riducendo il costo del personale per alcuni mesi e evitando di creare debito ulteriore con loro. Anche i contratti di solidarietà (riduzione orario con integrazione parziale salariale) sono opzioni. – In contesto concorsuale, come anticipato, interviene il Fondo di Garanzia INPS: se l’azienda viene dichiarata insolvente (fallimento o concordato con liquidazione), i dipendenti possono chiedere all’INPS di anticipare loro TFR e ultimi 3 mesi di stipendio impagati. L’INPS si surroga poi nei loro crediti privilegiati. Questo è un paracadute importante: significa che i lavoratori non resteranno (in tutto o in parte) senza retribuzione delle mensilità arretrate e senza liquidazione, anche se l’azienda non può pagare. Ciò non toglie che nel frattempo (prima dell’apertura di una procedura) i lavoratori possano fare causa. Ma la prospettiva del Fondo talvolta li rende più pazienti, se vedono che l’azienda sta andando verso un concordato o fallimento (sanno che poi ci penserà l’INPS, entro certi massimali).
Difendersi dai debiti verso dipendenti significa in primis evitare di crearli, se possibile. Non pagare gli stipendi distrugge il clima aziendale e porta alla perdita di personale qualificato, oltre che alle azioni sopra descritte. Se proprio non vi è liquidità: – Comunicare ai dipendenti la situazione e magari concordare (col sindacato o individualmente) dei differimenti nei pagamenti, può talvolta evitare dimissioni di massa o cause immediate. La trasparenza, unita magari alla promessa di un bonus futuro a risanamento avvenuto, può mantenere i dipendenti a bordo. – Pagare almeno le mensilità correnti se si può, e semmai lasciare indietro quelle pregresse in attesa di inserirle in un piano. Questo per evitare l’aggravarsi dell’esposizione e del malcontento. I lavoratori guardano molto al “corrente”: se inizi a pagare di nuovo ogni mese (anche se devi ancora loro 2 mesi arretrati), forse attendono. – Procedura concorsuale: se si profila un concordato, sapere che i lavoratori saranno garantiti dall’INPS per arretrati e TFR può far parte della strategia. Ad esempio, in un concordato preventivo liquidatorio, la legge prevede che i crediti per TFR e ultimi tre stipendi siano comunque soddisfatti dal Fondo di Garanzia, quindi non graveranno sulle risorse del piano (salvo poi l’INPS rivalersi come creditore privilegiato). Questo però implica poi la liquidazione dell’azienda o sua dismissione. – Protezione del personale chiave: durante una crisi, l’azienda deve stare attenta a non perdere figure chiave. A volte può essere utile destinare le (poche) risorse a pagare regolarmente alcuni dipendenti strategici e negoziare con altri. È una scelta difficile che va ponderata per non incorrere in trattamenti discriminatori. In una procedura concorsuale, comunque, i debiti verso dipendenti godono di un trattamento di favore obbligatorio (non è ammessa una falcidia dei crediti di lavoro se non nei limiti dell’insolvenza conclamata e previa estensione del Fondo di Garanzia).
Esempio: La Pavimenti ESD ha 10 dipendenti e 2 mensilità arretrate non pagate, oltre al TFR maturato di alcuni anni. Il debito totale verso il personale è 80.000 €. I dipendenti minacciano proteste e alcuni tecnici specializzati valutano di andarsene. L’azienda ricorre a un contratto di solidarietà difensivo, riducendo l’orario di lavoro del 50% per 6 mesi (pagherà metà stipendio e l’INPS integrerà un 30% circa). Ciò dimezza il costo del personale nel semestre e consente di pagare il corrente ridotto. Per gli arretrati, l’azienda spiega che sta preparando un concordato in continuità: garantisce che tutti manterranno il posto e che, se il concordato sarà omologato, l’INPS coprirà gli arretrati. Effettivamente, nel piano di concordato include la richiesta di intervento del Fondo di Garanzia per circa 60.000 € di crediti di lavoro (TFR e 3 mensilità), che l’INPS pagherà ai dipendenti dopo l’omologa. Il restante debito verso dipendenti (ferie non godute ad esempio) viene comunque previsto essere pagato al 100% come credito privilegiato nel piano. In questo modo i lavoratori sono tutelati e l’azienda diluisce il costo nel tempo attraverso la procedura.
Va sottolineato che le retribuzioni dei dipendenti dovrebbero avere priorità assoluta per un imprenditore eticamente responsabile. Tuttavia, dal punto di vista strettamente legale, in caso di scarsità di fondi può essere razionale destinare risorse ad evitare pignoramenti fiscali o di fornitori, confidando negli strumenti di tutela dei lavoratori come il Fondo di Garanzia. È una decisione delicata che va presa caso per caso, possibilmente in accordo con i lavoratori stessi o le loro rappresentanze.
Debiti bancari e finanziari
Le banche e gli intermediari finanziari (leasing, factor, società di credito) sono creditori che gestiscono professionalmente il rischio credito e attivano procedure standard in caso di difficoltà del debitore. Caratteristiche dei debiti bancari: – Spesso sono garantiti: ad esempio mutui ipotecari su immobili dell’azienda, finanziamenti assistiti da fideiussioni personali dei soci o amministratori, pegni su macchinari o su titoli, cessione di crediti in garanzia, etc. Ciò significa che la banca, in caso di inadempimento, può escutere le garanzie: es. iscrivere ipoteca giudiziale e avviare pignoramento sull’immobile ipotecato, escutere la fideiussione chiedendo il pagamento al garante personale, ecc. – Le banche hanno tipicamente covenants o clausole contrattuali che consentono la revoca degli affidamenti a semplice peggioramento del merito creditizio. Ad esempio, lo scoperto di conto corrente (fido) o anticipo fatture è “a revoca”: la banca può bloccarlo quando percepisce rischi. In una crisi, è comune che la banca riduca o revochi gli affidamenti di cassa, aggravando il cash crunch. – L’esposizione bancaria può essere soggetta a segnalazione a sofferenza in Centrale Rischi Bankitalia. Se l’azienda viene segnalata “a sofferenza”, perderà credito anche da altre banche (effetto contagio). – Le società di leasing in caso di morosità riprendono possesso del bene leasing (macchinario, automezzo) in tempi rapidi, in base al contratto, salvo che il debitore acceda a una procedura concorsuale che sospenda tale diritto.
Strategie di difesa/ristrutturazione del debito bancario: – Moratorie e rinegoziazioni: In situazioni di crisi settoriali o generalizzate, talvolta il governo o ABI promuovono moratorie sui mutui (come visto in epoca Covid). Fuori da questi casi, l’azienda può tentare di rinegoziare i termini con la banca: ad esempio chiedere una rischedulazione del mutuo (allungamento durata per abbassare la rata), o un periodo di pre-ammortamento (rate solo interessi per X mesi). Le banche possono accettare se intravedono ragionevoli prospettive di recuperare il credito, magari assistite da un piano attestato da un professionista. – Consolidamento del debito: Un’operazione di finanza straordinaria è cercare un nuovo finanziamento (da una banca o investitore) per estinguere i debiti a breve e trasformarli in debito a medio-lungo termine. Ad esempio, ottenere un mutuo pluriennale (magari garantito dal Fondo Centrale di Garanzia PMI, se l’azienda ha i requisiti) con cui chiudere gli scoperti di conto e i debiti verso fornitori. Questo può dare ossigeno se c’è ancora affidabilità creditizia. Tuttavia, in piena crisi questa strada spesso non è percorribile perché le banche non concedono nuovi prestiti a chi è in sofferenza. – Accordi di ristrutturazione del debito (con banche): Il Codice della Crisi prevede lo strumento degli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati (artt. da 57 CCII, ex art. 182-bis L.F.). Se si ottiene l’adesione di almeno il 60% (in valore) dei crediti totali, l’accordo – spesso formalizzato con le banche principali – può essere omologato dal tribunale e vincolare solo i creditori aderenti, lasciando fuori i dissenzienti. Esistono varianti come gli accordi ad efficacia estesa: se un certo quorum di banche o obbligazionisti aderisce, l’accordo può essere esteso dal tribunale anche alle banche dissenzienti di pari categoria, per evitare hold-out (questa estensione era prevista per crediti finanziari omogenei, sul modello dell’art. 182-septies L.F.). In sostanza, l’azienda può concentrare la trattativa con il ceto bancario proponendo un’unica soluzione (es: consolidamento e parziale stralcio interessi) ottenendo la maggioranza, e poi rendendola effettiva erga omnes tramite omologa. Le banche di solito apprezzano questi tavoli “paritetici” anche perché possono beneficiare di eventuali incentivi (ad esempio, prededuzione per nuovi finanziamenti “fresh money” concessi in attuazione dell’accordo). – Interventi consortili: In alcuni casi di crisi aziendale rilevante, possono intervenire soggetti come il Fondo di Garanzia statale (che escute la garanzia e paga in parte le banche, surrogandosi) oppure accordi tra banche per ristrutturare congiuntamente (sotto regia di advisor). Questo è più comune per aziende medio-grandi. Per una PMI di pavimenti industriali, è più probabile dover gestire le banche singolarmente, a meno che due o più banche decidano di agire coordinate. – Procedura concorsuale: Anche qui, l’ingresso in un concordato preventivo ha effetto di stay sulle azioni delle banche. Inoltre, nel concordato si può modificare i diritti delle banche: ad esempio, una banca con mutuo ipotecario è creditore privilegiato ipotecario e potrà essere soddisfatta in base al valore del bene, eventualmente falcidiando la parte chirografaria eccedente il valore. Una banca chirografaria sarà trattata come gli altri chirografari (es: % di pagamento). Nel concordato in continuità, si possono anche prevedere classi di creditori con trattamenti diversi: spesso le banche finanziatrici vengono messe in una classe e magari si offre loro una ristrutturazione del credito con rimborso su più anni, in misura maggiore rispetto ad altri chirografari, per incentivare il loro consenso. – Garanzie personali: Sul fronte delle fideiussioni personali date dall’imprenditore o da terzi a favore delle banche, occorre considerare che la banca escuterà tali garanti se l’azienda non paga. Il garante diviene così debitore a titolo personale. Non c’è modo di “bloccare” la banca dall’agire contro i garanti salvo ottenere, anche per il garante, l’accesso a una procedura di sovraindebitamento personale (ne parleremo nella tutela patrimonio). Tuttavia, un elemento di difesa può essere verificare la validità della fideiussione: molte fideiussioni bancarie omnibus stipulate negli anni passati riproducevano uno schema predisposto dall’ABI nel 2003, sanzionato da Banca d’Italia nel 2005 per violazione antitrust. La Cassazione a Sezioni Unite nel 2021 ha dichiarato nulle per contrarietà a norme di ordine pubblico economico alcune clausole di tali schemi (quelle di reviviscenza, rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. ecc.) , con conseguente nullità parziale della fideiussione . Pertanto, se il nostro imprenditore ha firmato una fideiussione omnibus “standard ABI”, potrebbe – tramite un legale – eccepire la nullità di parte delle clausole e tentare di invalidare o ridurre l’efficacia della garanzia. Diversi Tribunali (Roma 2022, Brescia 2022) e ABF hanno affrontato la questione , ma la giurisprudenza richiede di provare che la fideiussione concreta ricalchi esattamente lo schema vietato e che vi sia nesso causale. In breve, questa è una difesa tecnica che può salvare il patrimonio personale del garante in alcuni casi, almeno parzialmente. È un tema specialistico: qui basti sapere che esiste questa opportunità, e va valutata caso per caso con un avvocato.
Esempio: La Pavimenti ESD ha un mutuo residuo di €300.000 garantito da ipoteca sul capannone e un affidamento a breve di €100.000 in conto corrente garantito da fideiussione omnibus del socio. Quando l’azienda inizia a saltare le rate e i covenants non sono rispettati, la banca revoca il fido e classifica a sofferenza il credito. Intanto chiede al socio garante di pagare i 100.000 (fideiussione). L’azienda, per difendersi, include la banca ipotecaria e quella chirografaria in un accordo di ristrutturazione: propone di continuare a pagare il mutuo ipotecario ma con interessi ridotti e scadenza allungata di 5 anni, e di rimborsare il debito di conto al 50% in 24 mesi. Le banche, vedendo che la prospettiva fallimentare darebbe loro forse meno (il capannone in svendita coprirebbe forse il 60% del mutuo, e sul chirografo nulla), accettano. L’accordo, sottoscritto e attestato da un professionista che certifica la sostenibilità, viene omologato dal tribunale ex art. 57 CCII . Ciò vincola anche eventuali piccole banche non firmatarie (grazie all’efficacia estesa). Di conseguenza, la fideiussione del socio si ridimensiona: la banca rinuncia ad escuterla per la quota stralciata. In parallelo, comunque, il socio aveva fatto verificare il contratto di fideiussione dal proprio legale, scoprendo che conteneva proprio le 3 clausole censurate dall’ABI; aveva notificato alla banca l’eccezione di nullità parziale. Questo probabilmente avrà portato la banca a transigere più volentieri nell’accordo. In tal modo il debito finanziario viene “ingabbiato” in un piano sostenibile, evitando il default conclamato.
Altre tipologie di debiti
Oltre a categorie principali sopra esaminate, possono esserci: – Debiti verso soci finanziatori o parti correlate: se i soci hanno prestato denaro alla società (finanziamenti soci) questi in caso di insolvenza sono postergati (vengono rimborsati dopo gli altri crediti, ex art. 2467 c.c.). Non rappresentano quindi un pericolo immediato di azioni esecutive, anzi spesso i soci sono i più pazienti. Tuttavia, vanno considerati in un piano di ristrutturazione: di solito i soci rinunciano al rimborso durante la crisi o convertono il credito in capitale. – Debiti per canoni di locazione: se l’azienda è in affitto in un capannone o negozio e accumula arretrati nei canoni, il locatore può sfrattare per morosità (procedura abbastanza rapida). Ciò comporta la perdita della sede operativa. Anche questa è una minaccia seria. In procedura concorsuale gli arretrati di affitto hanno privilegio sui beni mobili (come credito per somministrazione essenziale) per l’ultimo anno. È importante quindi includere il locatore tra i creditori da tutelare: magari proponendo il pagamento scaglionato degli arretrati e continuando a pagare i canoni correnti regolarmente (magari usando le misure protettive per impedire lo sfratto durante il piano). – Debiti verso fornitori di energia/utenze: come accennato, le utenze non possono essere interrotte per morosità pregressa se l’azienda entra in concordato o composizione negoziata con misure protettive, a patto di pagare il consumo corrente. Dunque, ENEL, gas, ecc., rientrano in un alveo protetto normativamente. – Debiti risarcitori o verso assicurazioni: se l’azienda è condannata a un risarcimento danni (es. causa civile o ambientale), il creditore potrà agire come un chirografario o talvolta con privilegio (se è un danno da fatto illecito potrebbe avere privilegio generale). Ci si difende allo stesso modo con procedure concorsuali; se c’è in atto un processo, la composizione negoziata non ferma di per sé il processo di accertamento del debito (non è azione esecutiva), ma un concordato sì può includere anche tali crediti.
Riassumiamo nella Tabella 1 le principali categorie di creditori e le loro caratteristiche, assieme ai possibili rimedi:
| Categoria di Credito | Esempi | Diritti e Rischi per il debitore | Strumenti di difesa/soluzione |
|---|---|---|---|
| Fisco e Tributi | IVA, IRAP, ritenute, IRES, IMU | Privilegio generale sui beni. AdER procede con cartelle esattoriali, ipoteche (debiti >20k), fermi (debiti >5k). Ipoteca prima casa vietata se debito ≤120k . Possibili sanzioni e interessi elevati. Reati penali se omessi versamenti > soglia (IVA >250k). | Rateizzazione fino 10 anni (con soglia 120k) ; eventuali <br>definizioni agevolate. Transazione fiscale in concordato/accordo (cram-down possibile) . Sospensione con misure protettive. Eventuale contestazione in commissione tributaria se il debito è da accertamento (sospensiva). |
| Contributi Previdenziali | INPS contributi lavoratori, INAIL | Privilegio generale. Cartelle INPS. Omessi versamenti > soglia possono costituire reato (se ritenute non versate deliberate). Sanzioni civili (interessi e more) rilevanti. | Rateizzazione come tributi (AdER gestisce). Transazione contributiva possibile in concordato. Fondo Garanzia INPS interviene per pagare i lavoratori (TFR, stipendi) se procedura concorsuale. |
| Dipendenti | Retribuzioni non pagate, TFR | Privilegio alto su mobili e immobili (TFR). Azione rapida giudice lavoro, decreti ingiuntivi esecutivi immediati. Possibile dimissione per giusta causa e cause. | Negoziare con dipendenti (ammortizzatori sociali per ridurre costi). Pagare correnti se possibile. Fondo di Garanzia INPS copre 3 mensilità + TFR in fallimento/concordato. Misure protettive bloccano esecuzioni durante procedure. |
| Fornitori chirografari | Forniture materiali, servizi vari | Se non pagati: decreti ingiuntivi in ~2 mesi, poi pignoramenti beni/conti. Nessuna garanzia particolare (chirografo) ma in concorso sono ultimi a essere pagati (spesso <20%). Possono interrompere forniture future. | Negoziare moratorie e piani di rientro individuali. Opposizione giudiziale se contestazioni. Misure protettive (concordato, negoziata) sospendono azioni . Conversione pignoramento (art.495 cpc) depositando ≥1/6 e pagando a rate 48 mesi . Concordato preventivo: possibile falcidia (pagamento parziale) e cancellazione residuo a fine procedura. |
| Banche / Finanziarie | Mutui, leasing, fidi bancari | Spesso crediti garantiti: ipoteche, pegni, cessioni crediti, fideiussioni soci. Se insolvente: revoca fidi, richiesta rientro immediato. Se mutuo: pignoramento immobiliare (procedura esecutiva lunga ma inesorabile). Se leasing: risoluzione contratto e ritiro bene per ritardo canoni. Segnalazione “sofferenza” in Centrale Rischi. Escussione fideiussioni su patrimonio personale garante. | Rinegoziazione condizioni (allungamento mutui, moratoria interessi) se credibilità. Accordo di ristrutturazione ex art.57 CCII con banche (≥60% consensi) omologabile ; possibili accordi ad efficacia estesa su banche dissenzienti. In concordato: stay automatico su azioni esecutive; falcidia parte chirografaria del credito ipotecario; possibile classe dedicata con pagamento parziale dilazionato. Verifica legale delle fideiussioni: eccezione nullità per clausole anticoncorrenziali ABI , per ridurre obblighi garanti. Nuova finanza assistita da garanzie statali (Fondo PMI) per ripianare debiti a breve (difficile in crisi conclamata). |
| Locatore Immobile | Affitto del capannone o uffici | Se morosità ≥ 2 mesi, avvio sfratto per morosità (rilascio immobile in ~4-6 mesi). Credito locatore ha privilegio generale per ultimi 2 anni di canoni su mobili dell’immobile e su mobili del conduttore (se pignorati entro 15 gg da rilascio). | Negoziare col proprietario un dilazionamento affitti arretrati. Offrire garanzie (es. deposito incrementale). Pagare canoni correnti puntualmente. In concordato, canoni future come credito prededucibile se si prosegue contratto; arretrati come credito privilegiato. Possibile blocco sfratto durante concordato se autorizzato (tema complesso: misure protettive in negoziata non bloccano sfratti già iniziati, in concordato forse sospensione?). |
| Altri (Erario locale, risarcimenti, ecc.) | Es. multe comunali, danni da causa civile | Crediti di enti locali (TARI, multe) vanno in cartella esattoriale come quelli erariali, ma crediti enti locali non rientrano in transazione fiscale (il correttivo 2024 li ha esclusi) . Risarcimenti da causa: se da illecito hanno privilegio generale. Se da contratto, chirografo. | Enti locali: negoziare direttamente (rateizzo semplice al Comune). In concordato, crediti privilegiati enti locali vanno trattati come gli altri privilegiati (integralmente salvo degradazione per incapienza). Risarcimenti: se il giudizio è in corso, composizione negoziata non lo ferma; può convenire chiudere transattivamente la causa se possibile (per fissare importo certo ridotto). Altrimenti attendere esito e includere in procedura concorsuale. |
(Tabella 1 – Principali categorie di debiti, impatto e strumenti difensivi)
Come si evince, la difesa dell’impresa debitrice deve essere modulata in base al tipo di creditore. Ad esempio, i debiti fiscali si gestiscono attivando rateazioni e (se in concorso) transazioni fiscali; i fornitori si fronteggiano con negoziati rapidi e protezioni giudiziali anti-pignoramento; le banche richiedono spesso soluzioni strutturate di ristrutturazione del debito e attenzione alle garanzie. In ogni caso, nessuna categoria va trascurata: un piano di risanamento efficace dovrà prevedere come trattare ciascun gruppo di creditori. Ed è proprio questo il compito degli strumenti di composizione della crisi d’impresa previsti dalla legge: fornire un quadro giuridico entro cui definire un accordo collettivo e vincolante con i creditori, evitando la frammentazione caotica delle iniziative individuali.
Nel prossimo capitolo, approfondiremo tali strumenti (dalla composizione negoziata ai piani e concordati), veri e propri “arsenali” legali in mano al debitore per evitare il fallimento e ristrutturare la propria posizione debitoria in modo ordinato e sostenibile.
Strumenti di composizione della crisi d’impresa (come evitare il fallimento)
Quando un’azienda è in difficoltà ma ha ancora possibilità di risanamento (integrale o parziale), l’ordinamento italiano offre diverse procedure e strumenti negoziali per evitare la soluzione estrema della liquidazione fallimentare. Negli ultimi anni, soprattutto con il Codice della Crisi d’Impresa e le sue modifiche fino al 2024, questi strumenti sono stati ulteriormente affinati e ampliati. Esamineremo i principali, in ordine crescente di grado di coinvolgimento dell’autorità giudiziaria e di vincolatività nei confronti dei creditori:
- Piani di risanamento “semplici” (accordi stragiudiziali non pubblici, come il piano attestato di risanamento).
- Composizione negoziata della crisi (procedura stragiudiziale assistita da un esperto nominato, con possibili interventi mirati del tribunale per misure protettive e omologazione di accordi).
- Accordi di ristrutturazione dei debiti (accordi giudizialmente omologati con una percentuale qualificata di creditori).
- Concordato preventivo (procedura concorsuale vera e propria, aperta dal tribunale, con coinvolgimento di tutti i creditori e omologazione finale, eventualmente anche senza consenso di alcune classi).
- Strumenti semplificati (come il concordato semplificato post composizione negoziata, introdotto nel 2021, per liquidare l’azienda se la negoziazione fallisce).
- Procedure di sovraindebitamento (nel caso di imprese minori “non fallibili” o di garanzie personali coinvolte, come concordato minore, ristrutturazione dei debiti del consumatore, ecc., che però qui toccheremo solo marginalmente, essendo l’azienda del nostro scenario un’impresa commerciale soggetta alle procedure ordinarie).
L’obiettivo di tutti questi strumenti è comune: evitare la liquidazione giudiziale (fallimento) trovando un accordo con i creditori o comunque gestendo la crisi in modo ordinato sotto supervisione della legge. La scelta dello strumento dipende da: dimensioni dell’impresa, entità dell’indebitamento, composizione dei creditori, prospettive di continuazione dell’attività o meno, tempo a disposizione, ecc. Vediamoli in dettaglio.
Piani attestati di risanamento (strumento stragiudiziale)
Il piano attestato di risanamento (art. 56 Codice della Crisi, ex art. 67 co. 3 lett. d) L.F.) è un accordo privato tra il debitore e uno o più creditori, fondato su un piano di risanamento dell’impresa, il quale viene attestato da un professionista indipendente circa la sua idoneità a garantire il riequilibrio dell’impresa e il pagamento dei creditori aderenti. È lo strumento più “leggero” e flessibile, perché: – Non richiede omologazione in tribunale, né è soggetto a pubblicità legale, salvo che il debitore voglia facoltativamente depositarlo al registro delle imprese (non obbligatorio). Dunque ha il vantaggio della riservatezza. – Può essere concluso con singoli creditori o gruppi di creditori anche senza coinvolgere necessariamente tutti. Spesso viene usato con le banche: es. accordo bilaterale con la banca per ristrutturare il debito, accompagnato da un piano attestato di risanamento dell’intera azienda. – Il suo beneficio principale è in termini di protezione da revocatoria fallimentare: gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione di un piano attestato non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare in caso di successivo fallimento (art. 166 CCII). Ciò significa che, ad esempio, se un fornitore aderisce al piano e accetta un pagamento parziale, quel pagamento non potrà essergli richiesto indietro come “preferenziale” se l’azienda fallisce dopo pochi mesi – a condizione che il piano fosse serio e attestato da un esperto indipendente . Questo incentiva i creditori ad aderire senza timore di dover restituire in futuro. – Essendo stragiudiziale, tuttavia, non vincola i creditori estranei: chi non partecipa al piano non è toccato e può agire liberamente. Inoltre non c’è automatica sospensione delle azioni esecutive: se serve proteggersi da un creditore estraneo aggressivo, il piano attestato in sé non lo ferma (bisognerebbe associare, ad esempio, una composizione negoziata con misure protettive, oppure confidare nel tacito accordo di standstill generale). – Requisiti formali: il piano deve avere data certa, indicare dettagliatamente la situazione dell’impresa, le cause della crisi, la strategia di risanamento (che può includere nuova finanza, dismissioni, riorganizzazione, ecc.), i tempi e modalità di adempimento dei debiti. Il professionista attestatore (che dev’essere indipendente, iscritto all’albo dei gestori crisi d’impresa) deve dichiarare la veridicità dei dati e giudicare che il piano è realisticamente idoneo a risanare l’impresa e assicurare il pagamento dei creditori nei termini previsti . Non è garantito il successo, ma deve essere credibile. – Si può usare anche in caso di impresa già insolvente? Formalmente la norma parla di risanamento dell’esposizione debitoria e riequilibrio della situazione finanziaria. Un’impresa tecnicamente insolvente dovrebbe ricorrere piuttosto a concordato o liquidazione. Tuttavia, nella prassi, finché non c’è una dichiarazione di insolvenza giuridica, anche situazioni molto gravi possono tentare un piano attestato se c’è accordo dei principali creditori.
Esempio d’uso: La Pavimenti ESD, con l’aiuto di un advisor finanziario, redige un piano a 3 anni in cui prevede la riduzione dei costi, il ritorno all’utile entro 1 anno grazie a nuovi contratti e la cessione di un ramo d’azienda non strategico per incassare liquidità. Sulla base di questo piano, chiede alla banca e ad alcuni fornitori grandi di congelare i pagamenti per 6 mesi e accettare di essere pagati poi a partire dal mese 7 in 24 rate. Un professionista esamina il piano e lo assevera come realistico e sufficiente a soddisfare i creditori coinvolti. Le parti firmano l’accordo; l’azienda potrebbe decidere di depositarlo presso il registro imprese per cristallizzare la data e rendere opponibile ai terzi l’esenzione da revocatoria . Da quel momento i pagamenti fatti ai fornitori come da piano (es. prima rata al mese 7) non saranno revocabili se poi qualcosa andasse storto. Nessun altro creditore è vincolato: ad esempio, un piccolo fornitore non invitato al piano potrebbe comunque iniziare un’azione legale. Perciò spesso il piano attestato funziona bene in combinazione con un accordo informale di moratoria generale orchestrato dalla stessa azienda tra (quasi) tutti i creditori, oppure quando le categorie estranee sono marginali.
Il piano attestato è indicato quando l’impresa ha relativamente pochi creditori rilevanti e questi sono disponibili a un accordo discreto. Ha il pregio di evitare la pubblicità di una procedura concorsuale (che spesso distrugge la reputazione e la fiducia sul mercato). Tuttavia, richiede un livello di fiducia e cooperazione dei creditori stessi; se c’è eterogeneità e conflitto, diventa inattuabile.
Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa
La composizione negoziata è una procedura introdotta nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora disciplinata nel Codice della Crisi (artt. 12-25 CCII e Decreto Dirigenziale Min. Giustizia 28/9/2021 con modifiche 21/3/2023) come strumento di emersione anticipata e gestione assistita della crisi. Caratteristiche chiave: – Volontaria e riservata: vi accede l’imprenditore commerciale o agricolo che si trova in condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario (quindi segni di crisi, anche non ancora insolvente) . L’accesso avviene tramite piattaforma telematica nazionale (gestita dalle Camere di Commercio in coordinamento con Unioncamere ). La domanda non è pubblica, tranne l’annotazione dell’eventuale nomina dell’esperto sul registro imprese (ma senza indicazione che si tratta di crisi, solo una dicitura neutra). – Nomina di un esperto indipendente: un esperto della crisi viene designato da una Commissione (presso la CCIAA locale) scegliendolo da un elenco nazionale di professionisti qualificati (commercialisti, avvocati, consulenti) con specifiche competenze. L’esperto ha il compito di agevolare le trattative tra l’imprenditore e i creditori, cercando soluzioni. Non ha poteri decisori, ma funge da mediatore “qualificato”. Redige un protocollo e guida incontri fra le parti. – Durata: la composizione negoziata ha una durata iniziale di 180 giorni (6 mesi), prorogabili su richiesta motivata (massimo altri 180). In media, dalle statistiche di Unioncamere risulta che molte istanze si chiudono entro pochi mesi, alcune con successo (accordi conclusi) altre con esito negativo (mancato accordo) . L’ottava edizione dell’Osservatorio (novembre 2025) evidenzia un aumento delle istanze e dei casi di successo, segno che lo strumento sta entrando a regime e le imprese ne sono più consapevoli . – Misure protettive e cautelari: punto fondamentale. L’imprenditore, contestualmente all’istanza o dopo, può chiedere al tribunale competente di emettere un decreto che sospende per la durata delle trattative tutte le azioni esecutive e cautelari dei creditori (le misure protettive appunto) . Inoltre, si può chiedere che i creditori siano temporaneamente impediti di acquisire titoli di prelazione (ipoteche giudiziali). Le misure protettive durano inizialmente fino a 120 giorni, prorogabili fino a 240 su richiesta. Il tribunale le concede se ritiene che dalle prime informazioni sul caso esistano concrete possibilità di risanamento e che la prosecuzione delle trattative non arrechi grave pregiudizio ai creditori (è un controllo sommario). Durante la composizione negoziata, se ci sono misure protettive attive, l’esperto vigila e deve segnalare al giudice qualsiasi abuso o pregiudizio emergente (es. se il debitore dissipa beni o non tratta in buona fede) , poiché in tal caso le misure possono essere revocate immediatamente. Questo meccanismo evita che l’imprenditore usi la procedura solo per “congelare” i creditori senza serio intento di concordare (disciplina anti-abuso rafforzata dal correttivo 2024 ). – Esito delle trattative: possono verificarsi varie opzioni: – Accordo stragiudiziale con i creditori: ad esempio, l’impresa e i creditori raggiungono un accordo di ristrutturazione del debito (anche un piano attestato o semplici transazioni) fuori dalle procedure concorsuali. In tal caso, la composizione negoziata si chiude positivamente e l’imprenditore esce senza “macchia” concorsuale. L’esperto redige una relazione finale. Volendo, se l’accordo coinvolge molte parti, le parti possono chiedere al tribunale di omologare l’accordo raggiunto (rendendolo efficace come un accordo di ristrutturazione ex art. 23 CCII), acquisendo quindi maggiore stabilità e opponibilità. – Accesso a strumenti concorsuali: se non si raggiunge un accordo extra-giudiziale, l’imprenditore può decidere, durante o a fine composizione negoziata, di passare a una procedura concorsuale. Ci sono anche incentivi normativi a ciò: ad esempio, durante la composizione negoziata l’imprenditore può presentare domanda di concordato semplificato (se le trattative falliscono) oppure di concordato preventivo ordinario. Oppure può proporre un accordo di ristrutturazione da omologare. In tali casi, la fase di negoziazione avrà permesso di preparare il terreno. Da notare che esiste il concordato semplificato per la liquidazione introdotto col D.L. 118/2021: se la composizione negoziata non porta a risanamento ma solo alla conclusione che serve liquidare l’azienda, l’imprenditore (entro 60 giorni dalla relazione finale dell’esperto) può proporre al tribunale un concordato liquidatorio senza dover passare per il voto dei creditori (sarà il tribunale, sentiti i creditori, a valutare se omologarlo). È una procedura “minore” pensata per evitare il fallimento quando c’è collaborazione del debitore ma mancanza di accordo con i creditori. – Archiviazione senza esito: se l’imprenditore rinuncia o l’esperto riscontra indisponibilità totale dei creditori e assenza di prospettive, la procedura si chiude. Ciò non innesca automaticamente il fallimento (non è un allerta in automatico); tuttavia, l’esperto potrebbe segnalare eventuali irregolarità gravi alle autorità se rilevate. L’imprenditore torna nella situazione di prima ma avendo perso qualche mese: in genere se si arriva a ciò, è probabile che poi un creditore chiederà il fallimento o che l’impresa stessa debba ripiegare sul liquidazione giudiziale.
Vantaggi della composizione negoziata: – Permette di coinvolgere tutti i creditori in un tavolo comune con la regia di un esperto terzo, senza la formalità e pubblicità di un concordato, ma avendo comunque un cappello normativo. Ciò può far superare diffidenze e far emergere soluzioni creative (dilazioni, conversione di crediti in capitale, nuovi soci, ecc.). – Offre protezione immediata dal fuoco incrociato dei creditori, grazie alle misure protettive (che ricordiamo, bloccano pignoramenti e azioni esecutive in corso e impediscono di intraprenderne di nuove ). – Consente di accedere a finanziamenti prededucibili: durante la negoziazione, l’imprenditore può chiedere all’esperto di attestare la necessità di un finanziamento per urgenze. Se poi si va in concordato o fallimento, quei finanziatori avranno privilegio di prededuzione (quindi vengono rimborsati prima degli altri crediti concorsuali), a certe condizioni. Questo serve a incoraggiare l’apporto di liquidità fresh (magari dai soci o da banche) durante la crisi. – La presenza di un esperto indipendente e di linee guida riduce il rischio di soluzioni improvvisate: l’esperto ad esempio guiderà l’imprenditore a redigere un piano di risanamento con test pratici sulla sostenibilità (nel Decreto Dirigenziale 21/3/2023 del Min. Giustizia sono fornite checklist e test per valutare se l’impresa ha prospettive di risanabilità). Se i test danno esito totalmente negativo, l’esperto potrebbe far desistere dall’insistere sul risanamento e indirizzare verso la liquidazione. – Nessuna soglia minima di debito o dimensione: a differenza del vecchio “allerta” (mai attuato) che escludeva le piccole imprese, la composizione negoziata può essere utilizzata da qualunque impresa, anche piccola, anche sotto le soglie di fallibilità (anzi è pensata soprattutto per prevenire arrivi tardivi al fallimento).
Limiti: – Volontarietà: nessun accordo può essere imposto. Se uno o più creditori chiave rifiutano ogni proposta, la negoziazione può fallire. Non c’è voto a maggioranza vincolante come nel concordato. Quindi funziona se c’è ragionevole convenienza per i creditori ad aderire. – Costi: sebbene minori di un concordato, anche la composizione negoziata comporta costi (compenso dell’esperto secondo parametri ministeriali, eventuali consulenze professionali per redigere piani, ecc.). Lo Stato sta anche attivando incentivi (crediti d’imposta) per mitigare questi costi alle PMI che vi accedono. – Potenziale pubblicità: formalmente la procedura è riservata, ma di fatto la comparsa dell’esperto nel Registro Imprese e la convocazione di creditori può far capire al mercato che l’azienda è in crisi. Questo potrebbe allarmare fornitori o banche non coinvolte. C’è quindi un rischio reputazionale ridotto ma presente. – Situazioni complesse pregiudicate: se l’azienda è già insolvente conclamata, con creditori ostili (ad es. già istanza di fallimento depositata), la composizione negoziata potrebbe non fare in tempo a risolvere. Il correttivo 2024 comunque ha previsto che anche se pende un’istanza di liquidazione giudiziale (fallimento), l’imprenditore possa accedere alla composizione negoziata e il tribunale può rinviare la decisione sull’istanza per dar spazio alle trattative . Questo è importante: prima invece l’istanza di fallimento attivava il veto di accedere alla negoziata.
Esempio: Pavimenti ESD Srl attiva la composizione negoziata nel momento di massima tensione. L’esperto nominato (un commercialista esperto di crisi) convoca insieme l’azienda, la banca principale, 5 fornitori e un rappresentante dell’AdER (per i debiti fiscali). Dopo varie riunioni, riescono a delineare un possibile accordo: i fornitori accettano 80% del loro credito pagato in 2 anni, la banca allunga il mutuo di 5 anni e dà nuova liquidità di €50k garantiti da un privilegio speciale su crediti futuri, l’Agenzia delle Entrate concede la rateazione massima (120 rate) e rinuncia a parte delle sanzioni se l’azienda omologa un accordo. L’esperto supervisione il contratto di ristrutturazione così trovato e al termine dichiara il successo. Per solidità, l’imprenditore chiede l’omologazione in tribunale di questo accordo quadro: sarà formalizzato come un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 23 CCII (che richiama l’art. 57 e seguenti) e un giudice lo omologa, rendendolo vincolante erga omnes i firmatari e pubblicandolo. Grazie alle misure protettive, nel frattempo nessun creditore esterno ha potuto sabotare il processo con un fallimento o pignorando la cassa . L’impresa quindi esce dalla procedura e inizia ad eseguire l’accordo omologato, sotto la sua responsabilità. I creditori dissenzienti (ce n’era uno piccolo) vengono comunque pagati nella misura prevista dall’accordo per la loro classe (se era un fornitore chirografo, all’80% in 2 anni).
In caso di esito negativo: supponiamo invece che la banca non avesse accettato e pretendesse tutto subito – allora l’azienda, poco prima della scadenza delle misure protettive, avrebbe potuto ripiegare su un concordato preventivo “in bianco” per bloccare comunque la banca, e poi presentare un piano di concordato (magari di continuità se ancora possibile, o di liquidazione, con vendita dell’azienda a un concorrente che salva il business).
La composizione negoziata, nelle intenzioni del legislatore, è lo strumento centrale per affrontare la crisi in modo tempestivo e consensuale. È un po’ il corrispondente delle procedure di “restructuring preventive” promosse dalla direttiva UE. Non sempre risolve tutto, ma anche quando non riesce a trovare un accordo completo, serve a: – chiarire la posizione finanziaria dell’azienda (l’esperto fa emergere dati e problemi), – ridurre la conflittualità (una trattativa facilitata spesso almeno congela i litigi), – e preparare l’eventuale passo successivo con più ordine.
Accordi di ristrutturazione dei debiti (omologati)
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (ARD) sono uno strumento concorsuale semplificato, intermedio tra il piano attestato e il concordato preventivo. Previsti dall’art. 57 e seguenti del Codice (ex art. 182-bis L.F.), hanno queste caratteristiche: – Richiedono che il debitore abbia concluso un accordo con creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti (quota che rimane la stessa nel nuovo codice). Non serve il consenso di tutti, ma almeno di una larga maggioranza in valore. – Viene depositato un ricorso in tribunale per ottenere l’omologazione dell’accordo. Il tribunale verifica che l’accordo assicuri il regolare pagamento dei creditori estranei (quelli che non hanno aderito) nei termini previsti (non oltre 120 giorni dalla scadenza per i crediti scaduti o dall’omologa per quelli non scaduti, secondo l’art. 61 CCII). In pratica, i creditori estranei devono essere pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa o dalle scadenze originarie, altrimenti l’accordo non è omologabile senza il loro consenso. – Durante l’attesa dell’omologa, su domanda del debitore, il tribunale può vietare o sospendere azioni esecutive (misure protettive analoghe a quelle del concordato). Quindi, presentare un accordo di ristrutturazione con il 60% di consensi può bloccare i pignoramenti come un concordato. – Varianti: – ARD con estensione ai creditori finanziari dissenzienti (ex art. 61 CCII, già art. 182-septies L.F.): se l’accordo è sottoscritto da almeno il 75% dei creditori finanziari (banche, leasing, bondholder), il tribunale può estenderne gli effetti anche ai creditori finanziari dissenzienti della stessa categoria. Ciò evita che una minoranza di banche “tiri indietro” (holdout). I dissenzienti però hanno diritto ad ottenere quanto avrebbero preso in un concordato liquidatorio, e l’esperto attestatore deve asseverare la capienza. – ARD agevolati (182-septies vecchio, ora integrati negli ARD): possibile abbassare la soglia al 30% se l’accordo prevede integrale pagamento dei chirografari entro 120 giorni dall’omologa e dei privilegiati entro 180 giorni. Questo è di fatto un caso poco rilevante perché se paghi tutti integra, tanto valeva un piano attestato; serviva più a velocizzare l’omologa. – ARD con cram-down fiscale: dal 2022 si è previsto che anche se l’Erario o l’INPS non aderiscono all’accordo, l’omologazione può essere concessa se la proposta è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria (norma analoga al concordato) . – In sintesi, l’accordo di ristrutturazione è uno strumento flessibile che consente di coinvolgere attivamente solo i creditori principali (es. banche e fornitori maggiori) raggiungendo il 60%, e assicurare passivamente gli altri creditori (pagandoli per intero o comunque nei limiti di legge). È utile quando si ha un “nocciolo duro” di pochi creditori disponibili a un deal, ma molti creditori minori che non è pratico negoziare uno per uno (li si paga integralmente, se sostenibile). – Va accompagnato da una relazione di un esperto attestatore che certifica la veridicità dei dati aziendali e l’attuabilità dell’accordo (in particolare, che l’accordo è sufficiente a assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nei termini legali e la sostenibilità per l’azienda). Serve anche il parere del commissario giudiziale se è stato nominato (non obbligatorio nominare un commissario, ma il tribunale può farlo).
Differenze rispetto al concordato: L’accordo di ristrutturazione non coinvolge coattivamente i dissenzienti (se non nelle forme limitate sopra: finanziari o Erario sotto condizioni). Quindi i creditori estranei devono essere pagati fuori dall’accordo. Non c’è un voto per classi, c’è invece un consenso contrattuale da raccogliere individualmente. È un approccio più consensuale e rapido (tempi di omologa ridotti se nessuno si oppone). Se però l’azienda non è in grado di pagare i creditori estranei, il concordato diventa l’unica via (perché nel concordato puoi imporre tagli anche ai dissenzienti, se c’è la maggioranza per classe).
Esempio: supponiamo Pavimenti ESD abbia 10 milioni di debiti. 7 milioni con banche (ipotecari e chirografari), 2 milioni con fornitori vari, 1 milione debiti fiscali. L’azienda potrebbe negoziare un accordo con banche (che detengono il 70% del credito) e con i fornitori principali che portano un altro 10%, arrivando al 80%. Nell’accordo si prevede: le banche rinunciano a 30% dei crediti e dilazionano il resto, i fornitori prendono 70% su 1 anno, l’erario accetta una transazione sul milione (pagandone 50% rateizzato). Totale risparmio debito, diciamo, 3 milioni falcidiati. I creditori piccoli (quel 10% residuo non firmatario, supponiamo fornitori minori e qualche professionista) per legge vanno pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa. Se l’azienda ha la liquidità (magari grazie a una nuova finanza apportata dai soci o da una dismissione) per pagarli, bene: deposita l’accordo con le firme dell’80% e la previsione che i restanti 10% estranei saranno pagati subito. L’attestatore conferma che effettivamente c’è la provvista per pagarli e che l’accordo conviene rispetto a un fallimento. Il tribunale omologa l’accordo in tempi brevi. Risultato: i creditori aderenti hanno i loro crediti rimodulati come pattuito (e sono obbligati a rispettare quell’accordo, non potranno pretendere di più in futuro), i creditori estranei sono stati soddisfatti integralmente e quindi escono dalla partita, l’azienda si ritrova con una struttura debitoria ridotta e sostenibile. Se qualche creditore (ad esempio l’Erario) non aveva aderito, il tribunale comunque può omologare se è soddisfatta la condizione del migliore interesse (nel caso l’erario magari ottiene il 50% con l’accordo contro zero in caso di fallimento, quindi l’omologa può avvenire anche col suo dissenso) .
Questo strumento ha avuto un uso moderato nella prassi, ma è molto utile in casi di ristrutturazioni di medio-grandi dimensioni dove è possibile raggiungere rapidamente accordo con banche. Anche per le PMI sta diventando più rilevante grazie all’interazione con la composizione negoziata: spesso, l’esito naturale di una composizione negoziata andata a buon fine è proprio un accordo di ristrutturazione omologato (come visto nell’esempio sotto composizione negoziata).
Concordato preventivo
Il concordato preventivo è la procedura concorsuale per eccellenza finalizzata ad evitare il fallimento, già presente da molti decenni e ora rivisitata dal Codice della Crisi (artt. 40-120 CCII). A differenza degli strumenti fin qui discussi, il concordato preventivo: – Si apre con un decreto del tribunale e prevede la nomina di organi (un commissario giudiziale che vigila, un giudice delegato). – Coinvolge tutti i creditori concorsuali (tranne alcune categorie escluse ex lege, es. dipendenti per alcune parti coperte da fondi). I creditori vengono suddivisi in classi secondo posizione giuridica ed interessi omogenei, votano il piano di concordato proposto dal debitore. – Richiede la maggioranza dei crediti votanti per classe (e la maggioranza assoluta del passivo complessivo, salvo diverse regole con classi dissenzienti, vedi oltre) per essere approvato. Se c’è approvazione delle classi (o comunque le condizioni per cram-down interclassi), il tribunale procede all’omologazione anche contro il dissenso delle minoranze. – Può avere due finalità: liquidatoria (si liquidano tutti i beni per pagare i creditori, l’azienda cessa l’attività) o in continuità aziendale (diretta: l’azienda prosegue l’attività sotto lo stesso debitore, o indiretta: si affitta o vende l’azienda a un terzo che la prosegue). Il Codice privilegia la continuità, considerandola meritevole se genera maggior valore di soddisfazione per i creditori rispetto alla liquidazione. – Il contenuto del piano è molto libero, ma ci sono vincoli: – Ai creditori privilegiati (garantiti) va offerto almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione dei beni su cui hanno prelazione, altrimenti occorre il loro consenso specifico (salvo il caso in cui si applicano le regole di priorità relative e absolute incorporate dal nuovo codice, ma semplificando: non puoi dare meno del valore di realizzo del bene). – Ai creditori chirografari deve essere garantito almeno ciò che otterrebbero in caso di liquidazione giudiziale (principio del best interest test), e comunque il concordato liquidatorio puro imponeva nella vecchia legge un minimo del 20% di pagamento ai chirografari. Il Codice della Crisi originario aveva abbassato questo al 10% per le PMI, ma poi il correttivo ha eliminato soglie fisse, puntando più sul criterio del migliore interesse e su regole di priorità: in un concordato liquidatorio il piano è ammissibile se i creditori ricevono almeno il valore di mercato di liquidazione dei beni (stimato dall’esperto) . In un concordato in continuità non c’è soglia fissa, ma vi è il vincolo che i creditori ricevano almeno quanto ricaverebbero dalla liquidazione e la regola della priorità relativa per la distribuzione del valore extra generato dalla continuità (il Codice prevede che il valore eccedente quello di liquidazione possa essere distribuito preferibilmente a creditori privilegiati degradati, ma non in modo che i chirografari prendano meno di chi sta sotto di loro) . Sono concetti tecnici che la Cassazione e i tribunali stanno delineando: ad esempio, il Tribunale di Torino nel 2025 ha chiarito che in presenza di una classe di crediti erariali falcidiati, il cram-down è possibile se il loro trattamento non è peggiore di crediti inferiori di grado e se il piano rispetta la priorità relativa sulla parte eccedente il valore di liquidazione . – Se il concordato è in continuità (azienda prosegue), le regole sono più flessibili: è ammessa la moratoria fino a 2 anni per pagare creditori privilegiati (es. banche garantite) se indispensabile per continuità; si può persino prevedere di non pagare integralmente un credito privilegiato se il piano di rilancio richiede risorse, ma allora quel creditore va in classe e vota. – Dal punto di vista del debitore, il concordato è impegnativo ma offre il massimo potere di imporre una ristrutturazione forzosa: con l’omologa, la parte di debito che non verrà pagata secondo il piano è cancellata (esdebitata). Il debitore ne esce “pulito” dai debiti concorsuali residui. – Durante la procedura, l’impresa rimane in mano al debitore (concordato con continuità in proprio), salvo casi di abuso in cui può essere sostituito con un amministratore giudiziario. Nel concordato liquidatorio, spesso c’è un liquidatore nominato per gestire le vendite dei beni post-omologa.
Procedimento in breve: 1. Il debitore può presentare ricorso “prenotativo” (concordato in bianco): ovvero chiede l’ammissione al concordato ma si riserva di presentare il piano dettagliato entro un termine (di norma 60-120 giorni). Questo serve per sfruttare subito lo stay delle azioni esecutive e prendersi un po’ di tempo per ultimare il piano. Il tribunale concede il termine e nomina un commissario nella fase “prenotativa”. 2. Oppure presenta direttamente ricorso con piano e proposta di concordato. In entrambi i casi, c’è un periodo in cui i creditori non possono agire (automatic stay). 3. Il tribunale valuterà l’ammissibilità giuridica e la fattibilità apparente del piano e, se positiva, ammetterà la società al concordato, ordinando l’apertura della procedura. Viene fissata l’adunanza dei creditori entro 180 giorni. 4. I creditori votano nelle classi proposte; se le maggioranze sono raggiunte (maggioranza di tutti i crediti ammessi al voto, non solo votanti, e almeno la metà +1 delle classi approvate, oppure meccanismi di cram-down tra classi se certe classi dissenzienti sono trattate equamente ecc.), il tribunale omologa il concordato. Se il fisco o INPS hanno votato no ma il piano li soddisfa meglio della liquidazione, il tribunale può forzare l’omologa (cram-down fiscale come già spiegato) . 5. Con l’omologa, il piano diventa vincolante per tutti. Il commissario (che può diventare liquidatore nelle fasi esecutive) o l’organo indicato supervisiona l’esecuzione.
Concordato e difesa del patrimonio personale: Il concordato preventivo, diversamente dal fallimento, non comporta decadenze e incapacità personali per l’imprenditore (es. non c’è interdizione dagli uffici come nel fallimento). Inoltre, l’imprenditore di solito mantiene il controllo se è in continuità. Dunque, è preferibile al fallimento anche per ragioni personali. Va però detto: se l’impresa è una società di capitali, comunque il patrimonio personale è separato a meno di garanzie, quindi il vantaggio è più per salvare l’impresa stessa.
Esempio semplificato: Pavimenti ESD Srl, vista l’impossibilità di accordarsi con un paio di creditori chiave extragiudizialmente, decide per il concordato preventivo in continuità. Presenta ricorso in bianco a giugno 2025, ottenendo lo stop dei creditori (nessuno può più presentare istanze di fallimento né procedere a pignoramenti). Entro il termine, a settembre deposita un piano di concordato: prevede di continuare l’attività, i soci apporteranno nuovi capitali per €100k, l’azienda venderà un immobile secondario e chiuderà una filiale per tagliare costi. Offre ai creditori: pagamento del 100% ai privilegiati (ma spalmato in 2 anni per le banche ipotecarie, usufruendo della moratoria consentita), pagamento del 40% ai chirografari (fornitori, ecc.) in 4 anni in rate semestrali, e stralcio del 60%. I dipendenti non subiscono tagli (salvo che gli arretrati li paga il Fondo di Garanzia come detto). L’attestatore dichiara che il piano è fattibile e i creditori chirografari col 40% prendono più del presumibile 5% che otterrebbero da fallimento (visto che l’azienda senza continuità varrebbe poco). All’adunanza, i creditori votano: banche e fornitori maggiori votano sì, qualche fornitore minore si astiene o è assente. Alla fine il concordato ottiene il 75% di consensi. L’Agenzia delle Entrate, che ha un credito di €150k falcidiato al 40%, vota contro; ma poiché la classe chirografi comunque ha raggiunto la maggioranza senza di lei, e la proposta per il Fisco (60% stralcio) è migliore di quanto prenderebbe in fallimento (forse zero perché era chirografo), il tribunale può omologare lo stesso il concordato (cram-down del fisco) . Nel decreto di omologa, a dicembre 2025, il concordato viene dichiarato esecutivo e da lì l’azienda paga secondo il piano. I debiti originari restano congelati e saranno definiti solo dai pagamenti concordatari: quando Pavimenti ESD avrà pagato tutte le percentuali promesse (es. 40% ai chirografari), il tribunale dichiarerà adempiuto il concordato e i restanti debiti saranno definitivamente estinti. L’azienda sarà salva e declassata, con i soli debiti residui rimasti (ad es. se c’erano garanzie personali o se qualche creditore non concorsuale era rimasto fuori, ma in linea di massima no).
Il concordato ha dunque permesso una ristrutturazione forzata, sacrificando una parte dei crediti chirografari ma dando ai creditori maggior valore rispetto a una liquidazione. Certo, comporta costi (compensi di commissario, legali, attestatore) e richiede di sottoporre l’impresa a un giudizio di fattibilità pubblicamente. Sta all’imprenditore valutare se la complessità è giustificata: per debiti molto ingenti e complessità alta, il concordato è spesso l’unica via, mentre per situazioni più semplici o di importo contenuto, spesso si tenta un accordo stragiudiziale o al più un accordo di ristrutturazione.
Nota sulle PMI “non fallibili”: se la Pavimenti ESD fosse una micro impresa sotto soglie (attivo < 300k, ricavi <200k, debiti <500k) , non potrebbe essere soggetta a fallimento né ad un concordato ordinario. In quel caso, il Codice della Crisi prevede il concordato minore, una procedura analoga ma semplificata per i piccoli imprenditori (che rientra nelle procedure di sovraindebitamento). Funziona similmente ma con costi ridotti e regole ad hoc. Tuttavia, l’azienda del nostro caso presumiamo superi le soglie, quindi è soggetta al regime ordinario.
Concordato semplificato (post composizione negoziata)
Accenniamo al concordato semplificato per la liquidazione: è un istituto introdotto come “uscita di sicurezza” se la composizione negoziata non produce soluzioni e l’azienda è insolvente. L’imprenditore, entro 60 giorni dalla comunicazione di esito negativo delle trattative da parte dell’esperto, può presentare direttamente al tribunale una proposta di concordato solo liquidatorio, senza necessità di approvazione dei creditori (che però possono fare osservazioni) e con ripartizione del ricavato secondo le cause di prelazione. Il tribunale omologa valutando equità e migliore soddisfazione rispetto al fallimento. È un istituto che bypassa il voto dei creditori, giustificato dall’aver già tentato la via negoziale senza esito. Viene usato di rado e solo se c’è urgenza di liquidare evitando il fallimento. Per la difesa del debitore, è utile perché consente di chiudere più rapidamente la vicenda evitando le penalizzazioni del fallimento (ad esempio tempi più lunghi, rischio di azioni penali per bancarotta – benché queste possano emergere lo stesso in caso di irregolarità). Nel nostro contesto, il concordato semplificato potrebbe essere l’ultima risorsa se Pavimenti ESD non avesse possibilità di continuità e le trattative fossero fallite: presenterebbe un piano di liquidazione di tutti i beni, offrendo ciò che c’è (es. liquidare magazzino, macchinari, incassare crediti) e distribuire secondo legge ai creditori. I creditori non voterebbero, ma il tribunale controllerebbe che prendano almeno quanto in un fallimento e, se sì, omologa. L’azienda cesserebbe, ma gli amministratori avrebbero condotto loro la liquidazione, spesso in modo più ordinato. Anche per eventuali responsabilità penali, il concordato semplificato non le elimina se vi sono state malversazioni, ma l’atteggiamento collaborativo può mitigare giudizi.
Procedure di liquidazione giudiziale (ex fallimento) e cenni all’esdebitazione
Se tutte le strade di risanamento falliscono (o se non vi è alcuna possibilità di risanare), l’epilogo è la liquidazione giudiziale (il “fallimento” nella nuova terminologia). In questo caso l’obiettivo non è più salvare l’azienda, ma liquidare il patrimonio per soddisfare i creditori secondo l’ordine legale delle cause di prelazione.
Quando si arriva al fallimento?: – O su istanza di uno o più creditori, o del Pubblico Ministero, dimostrando lo stato di insolvenza (in tribunale). – O su istanza volontaria dello stesso debitore (anche l’imprenditore può chiedere la propria liquidazione se riconosce di non poter proseguire né trovare accordi). – Se un concordato preventivo fallisce (non omologato, o risolto per inadempimento) si può aprire la liquidazione giudiziale in sua vece. – Per legge, alcune imprese non piccole e insolventi devono essere poste in liquidazione (non c’è discrezionalità, se ricorrono i presupposti e qualcuno la chiede, il tribunale dichiara lo stato di insolvenza e apre la procedura).
Effetti: – Spossessamento: l’imprenditore perde la disponibilità dei beni dell’azienda (che diventano patrimonio della massa fallimentare) e la legale rappresentanza passa al curatore fallimentare (nominato dal tribunale). – Sospensione delle azioni individuali: tutti i creditori devono fare valere le proprie ragioni nel fallimento mediante insinuazione al passivo; pignoramenti e cause pendenti si fermano. – Scioglimento dei contratti in corso: il curatore decide se subentrare o sciogliere contratti pendenti (ad es. può scegliere di proseguire un affitto di azienda se utile per vendere meglio). – Licenziamento dei dipendenti: di solito il fallimento comporta l’interruzione dei rapporti di lavoro, con intervento immediato del Fondo di Garanzia per TFR e ultime mensilità e possibile accesso alla cassa integrazione straordinaria per fallimento per i dipendenti (in alcuni casi di esercizio provvisorio c’è una gestione temporanea per completare ordini in corso, ma è limitata). – Liquidazione beni: il curatore predisporrà un programma di liquidazione (vendita beni mobili, immobili, incasso crediti, cessione complessi aziendali se possibile). Il ricavato, al netto delle spese, sarà distribuito secondo l’ordine dei privilegi: prima i creditori con pegni/ipoteche sul ricavato di quei beni, poi i creditori privilegiati generali (dipendenti, fisco, ecc.) sul restante attivo generale, infine i chirografari proporzionalmente. – Durata: purtroppo i fallimenti possono durare anni, specie se ci sono contenziosi. L’obiettivo del Codice della Crisi è accelerare (prevede ad esempio che la liquidazione giudiziale dovrebbe chiudersi idealmente entro 3 anni, ma non è un termine perentorio). – Azioni revocatorie e responsabilità: il curatore può esercitare azioni per recuperare pagamenti preferenziali fatti prima del fallimento (periodi sospetti: 6 mesi per pagamenti a creditori comuni, 1 anno per pagamenti anomali come acconti a fornitori con scadenza futura, 2 anni per atti a titolo oneroso con controprestazione sproporzionata, 5 anni per atti gratuiti). Questo per aumentare l’attivo. Inoltre, il curatore può promuovere azioni di responsabilità contro gli amministratori se hanno causato danni alla società o ai creditori (non aver adottato adeguati assetti o aver aggravato il dissesto, ad esempio). – Conseguenze personali per il debitore: l’imprenditore dichiarato fallito (se persona fisica o socio illimitatamente responsabile) subisce incapacità temporanee (non può gestire altri affari, non può ricoprire cariche societarie, etc. durante la procedura), e potenzialmente conseguenze sul piano penale: se emergono condotte di distrazione di beni, documenti contabili irregolari o altri illeciti, può essere incriminato per bancarotta fraudolenta o semplice. Questo è un forte deterrente e uno dei motivi per cui spesso l’imprenditore preferisce concordati o accordi: nel concordato sebbene possano emergere irregolarità, l’atteggiamento di collaborazione e la mancanza di un fallimento dichiarato riduce il focus su eventuali condotte punibili (comunque se ci sono reati, questi possono emergere anche senza fallimento, ma la bancarotta è specifica del fallimento). – Esdebitazione: punto cruciale per il debitore persona fisica (o socio illimitato). La legge prevede che il fallito, una volta chiuso il fallimento con ripartizione dell’attivo, possa ottenere l’esdebitazione, ossia la liberazione dai debiti residui non soddisfatti. Col Codice della Crisi, l’esdebitazione del fallito onesto è divenuta quasi automatica di diritto (esdebitazione di diritto dopo la chiusura, salvo opposizione di creditori per specifici motivi) . Inoltre esiste l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII) per chi proprio non ha attivo da distribuire: in sintesi, anche se nel fallimento i creditori non prendono nulla, il debitore persona fisica può essere ugualmente liberato dai debiti se ha collaborato e non ha violato la legge, pur non offrendo alcuna utilità ai creditori . Questa è una differenza rispetto al passato in cui serviva aver pagato almeno qualcosa (percentuale minima) per ottenere la remissione. Attualmente, l’ex imprenditore meritevole ha diritto a ripartire da zero dopo la liquidazione, il che incoraggia a non fuggire dalle procedure. I tempi: bisogna presentare istanza di esdebitazione al termine del fallimento; la legge delega originaria parlava di chiusura in 3 anni e esdebitazione quasi immediata . Comunque, a ottobre 2025, la prassi vede già esdebitazioni concesse anche quando il realizzo è stato nullo, per dare il fresh start al debitore. – Per le società, invece, l’esdebitazione non è rilevante: una SRL fallita viene liquidata e cessata, i debiti insoddisfatti muoiono con essa (nessuno li paga e i creditori restano insoddisfatti). Quindi il concetto di esdebitazione riguarda i garanti e gli imprenditori individuali.
In sintesi sulla liquidazione giudiziale: è la soluzione estrema quando non c’è via di uscita. Dal punto di vista del debitore che vuole difendersi, il fallimento è ciò da evitare se possibile, poiché comporta perdita totale del controllo, lungaggini e incognite (specie responsabilità e preclusioni personali). Tuttavia, talvolta può essere inevitabile e in certi casi persino preferibile a un’agonia: almeno pone fine a uno stato di insolvenza stagnante e attiva strumenti come il Fondo di Garanzia per pagare i lavoratori, ecc. Se l’imprenditore ha agito correttamente e non ha commesso illeciti, può considerare il fallimento come una procedura tecnica per liquidare l’azienda e poi ripartire pulito (grazie all’esdebitazione) .
Esempio conclusivo: immaginiamo che Pavimenti ESD non sia riuscita in nessun tentativo e i creditori (banche e fornitori) siano andati in conflitto totale. Uno di loro, avendo un credito scaduto certo di €50.000, deposita istanza di fallimento. L’azienda non presenta opposizione valida (è insolvente). Il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale, nomina un curatore e fissa l’udienza di verifica crediti. In qualche mese il curatore vende i macchinari e il magazzino, trova un compratore che rileva l’attività (know-how e marchio) per €20k, incassa i crediti verso clienti ancora non escussi. Alla fine distribuisce: banche ipotecarie prendono il ricavato dell’immobile venduto (che però valeva meno del mutuo, quindi restano in parte scoperte), i dipendenti sono soddisfatti in gran parte dal Fondo INPS per TFR e stipendi, l’Erario prende qualcosa dai beni mobili (pochi spiccioli), i fornitori chirografari quasi nulla. L’azienda viene cancellata. L’amministratore, che ha cooperato consegnando libri e spiegando le cause del dissesto, non subisce azioni di responsabilità perché non emergono atti distrattivi (anche se i creditori lamentavano tardiva reazione, il curatore verifica che non c’erano grandi atti censurabili se non una certa leggerezza nel fare investimenti). Viene avviata per lui la procedura di esdebitazione: essendo una società, l’esdebitazione si applica ai soci in quanto garanti? Nel caso di società l’esdebitazione rileva solo se c’erano soci illimitatamente responsabili (non in una SRL) o garanti personali. Mettiamo che il socio avesse garantito parte dei debiti: egli può accedere come consumatore sovraindebitato a un procedimento ad hoc per liberarsi (lo vedremo sotto tutela personale). Per la SRL in sé, finita lì. L’imprenditore dopo qualche anno potrà aprire un’altra società e ricominciare, avendo imparato la lezione magari.
Abbiamo così tracciato il panorama degli strumenti di risanamento e liquidazione. Nella tabella seguente (Tabella 2) riassumiamo e confrontiamo brevemente questi principali strumenti di regolazione della crisi d’impresa:
| Strumento | Natura giuridica | Chi e quando può usarlo | Effetti principali | Vantaggi | Svantaggi / Note |
|---|---|---|---|---|---|
| Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) | Accordo stragiudiziale privato, con attestazione professionista. Non soggetto ad omologazione. | Qualsiasi impresa in crisi o a rischio insolvenza. Utile se pochi creditori chiave cooperativi. | Nessun tribunale coinvolto. Se depositato, atti esecutivi del piano protetti da revocatoria . Non vincola i non aderenti. | – Riservato, flessibile; <br>– Evita pubblicità negativa; <br>– Protegge pagamenti da futuri fallimenti (no revocatoria) . | – Non sospende azioni dei creditori estranei; <br>– Serve il consenso individuale di (alcuni) creditori; <br>– Non elimina debiti, è un accordo di rientro/riscadenzamento. |
| Composizione negoziata (artt. 12-25 CCII) | Procedura assistita stragiudiziale, con nominato esperto terzo. Parzialmente sotto controllo tribunale (per misure protettive e omologa accordi eventuale). | Imprese in squilibrio o crisi, anche medio-piccole. Da attivare prima dell’insolvenza conclamata (anche se insolvente può tentare, salvo casi disperati). | Nomina esperto indipendente. Misure protettive possibili (stop azioni esecutive fino 4+4 mesi) . Trattative facilitate con creditori. Eventuale accordo finale (stragiud. o omologato come ARD). Se fallisce: possibilità concordato semplificato. | – Consensuale con supporto terzo: aumenta chance di accordo; <br>– Standstill legale durante trattative; <br>– Bassi costi rispetto a concordato; <br>– Nessuna pubblicità di fallimento, impresa continua a operare; <br>– Può sfociare in qualsiasi soluzione (accordo privato, ARD omologato, concordato, ecc.). | – Non vincola i dissenzienti se non con successiva omologa; <br>– Può fallire se creditori rigidi; <br>– Qualche pubblicità (nomina esperto su registro imprese); <br>– Richiede collaborazione attiva debitore, se no esperto segnala abusi (rischio revoca protezioni) . |
| Accordo di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-64 CCII) | Procedura concorsuale semplificata: accordo contrattuale con creditori ≥60% + omologazione in tribunale. | Impresa in crisi/insolvente, anche grande, che ottenga consenso della maggioranza qualificata di crediti (60%). Spesso usato per accordi con banche. | Stay su azioni esecutive (da decreto tribunale su richiesta). Vincola solo creditori aderenti (tranne estensioni per banche dissenzienti se ≥75% aderenti) . Creditori non aderenti vanno pagati integralmente entro 120 gg (o comunque tutelati). Omologa giudiziale con attestazione esperto. | – Più veloce e flessibile del concordato; <br>– Consenso parziale (60%) sufficiente; <br>– Possibile cram-down su minoranza banche ; <br>– Consente stralci di debiti concordati con alcuni creditori, con efficacia legale; <br>– Meno stigma reputazionale di un concordato pubblico. | – Non coinvolge forzosamente tutti: i non aderenti devono essere soddisfatti per intero a breve (limita uso se c’è troppa eterogeneità di creditori); <br>– Occorre accordo previo (negoziazione complessa, spesso preparata con composizione negoziata); <br>– Controllo giudiziale (possibili opposizioni da creditori estranei se pensano di essere pregiudicati). |
| Concordato preventivo (artt. 40-120 CCII) | Procedura concorsuale giudiziale completa. Proposta di piano soggetta ad approvazione dei creditori (voto per classi) e omologa del tribunale. | Impresa in stato di crisi o insolvenza (il Codice consente accesso anche a “crisi” prospettica). Richiesto per salvare imprese medio-grandi con molti creditori o quando serve falcidiare creditori dissenzienti. | Apertura procedura con provvedimento tribunale; sospensione generale dei debiti pregressi e delle azioni esecutive; nomina commissario giudiziale. Impresa può operare (in continuità) sotto vigilanza. Creditori votano il piano (maggioranze per classi). Omologa vincolante anche per dissenzienti. Debiti stralciati vengono cancellati dopo esecuzione piano. | – Vincola tutti i creditori (anche chi non è d’accordo, se c’è maggioranza nelle classi); <br>– Possibilità di ridurre e diluire il debito in base a capacità azienda (falcidia legalmente autorizzata); <br>– Protegge integrità azienda (nel concordato in continuità l’impresa prosegue e può essere salvata come going concern); <br>– Evita le conseguenze infamanti del fallimento per l’imprenditore (niente interdizioni, niente sentenza di fallimento); <br>– Ampia scelta di strumenti (ristrutturazione debiti, cessione beni, aumento di capitale, ecc.) sotto un ombrello legale. | – Procedura complessa, costosa e lunga (solitamente 6-12 mesi per omologa); <br>– Pubblicità elevata (registro imprese, notizie sulla stampa locale, ecc.): rischio reputazione e perdita fiducia clienti/fornitori; <br>– Necessità di consenso di maggioranza dei creditori: se fallisce il voto, c’è rischio poi di fallimento; <br>– Rigidi requisiti legali (par condicio tra pari grado, rispetto cause prelazione, best interest test ecc.) che rendono il piano vincolato a certi paletti; <br>– Organi nominati dal giudice monitorano l’imprenditore (minor libertà di azione). |
| Concordato semplificato post-negoziazione (art. 25-sexies CCII) | Procedura concorsuale liquidatoria senza voto creditori. Proposta da debitore dopo tentativo composizione negoziata fallito. | Impresa insolvente che ha svolto composizione negoziata senza trovare accordo. (Deve depositare proposta entro 60 gg da esito negativo). | Liquidazione di tutti i beni sotto controllo tribunario. Nessun voto dei creditori, che possono solo essere sentiti. Il tribunale omologa se ritiene soddisfatti requisiti di legge (migliore soddisfacimento rispetto a fallimento). Distribuzione attivo secondo ordine legale dei crediti. | – Velocità: non serve passare per tempi di voto, si va diretti a omologa; <br>– Permette di evitare fallimento e relative conseguenze personali negative; <br>– Debitore collabora e spesso può ottenere la nomina a liquidatore (se ritenuto affidabile), mantenendo un certo controllo; <br>– Può prevedere anche qui esdebitazione successiva del debitore persona fisica, come nel fallimento. | – Solo liquidazione, niente continuazione attività (se non vendendola a terzi in blocco); <br>– Creditore non può essere falcidiato nell’ordine dei privilegi: prende secondo graduatoria ciò che c’è, se privilegiato integralmente su capienza, se chirografo solo quota residua; <br>– Richiede aver provato la negoziazione: non accessibile liberamente; <br>– Possibili opposizioni dei creditori in sede di omologa (possono eccepire che non conviene rispetto a fallimento). |
| Liquidazione giudiziale (fallimento) | Procedura concorsuale liquidatoria classica, avviata d’ufficio su istanza creditori/Pm o del debitore. | Imprese insolventi (non piccole) quando nessun altro rimedio è attuato. Anche dopo revoca/rigetto concordato. | Sentenza di apertura liquidazione dal tribunale; spossessamento totale del debitore; nominato curatore, cessano attività salvo esercizio provvisorio parziale. Liquidazione di attivo e riparto creditori secondo prelazioni. Durata variabile (anni). Chiusura con cancellazione società o cessazione attività imprenditore. | – Procedura gestita da professionista (curatore): garantisce uguale trattamento creditori; <br>– Debitore persona fisica onesto può ottenere esdebitazione (liberazione debiti residui) dopo chiusura ; <br>– Consente azioni forti (revocatorie) per aumentare l’attivo recuperando pagamenti anomali a terzi ; <br>– Risolve definitivamente la situazione debitoria, anche se in modo draconiano. | – Perdita totale controllo per imprenditore su azienda e beni; <br>– Effetti personali gravi: interdizioni legali temporanee, possibile inabilitazione a cariche, eventuale dichiarazione di insolvenza su casellario; <br>– Possibile apertura procedimenti penali per bancarotta se emerse irregolarità; <br>– Tempistiche lunghe e incerto realizzo (spesso creditori chirografari recuperano percentuali minime, <10%). <br>– Fine dell’attività aziendale (salvo cessione di azienda a terzi durante procedura). |
(Tabella 2 – Confronto sintetico tra strumenti di gestione della crisi d’impresa)
Questa tabella evidenzia come la legge offra un ventaglio di opzioni, dalla massima informalità (piano attestato) alla procedura giudiziale completa (liquidazione). La scelta dipende dallo stato dell’azienda (ancora in piedi o agonizzante), dalla disponibilità dei creditori a trattare e dalla necessità di forzare accordi. In generale: – Finché c’è prospettiva di salvare l’azienda come going concern, conviene tentare le soluzioni negoziali (piani attestati, composizione negoziata, concordato in continuità). – Se l’azienda non è più salvabile ma si può evitare trauma ai creditori, un accordo di ristrutturazione o concordato liquidatorio consensuale può massimizzare il valore residuo e minimizzare i costi. – Se nessuna via funziona, la liquidazione giudiziale pone fine con regole certe ma severe.
Dal punto di vista del debitore, avere accesso a queste procedure è come avere una serie di “scialuppe” per mettere in sicurezza se stesso e quel che può dell’azienda. L’importante è agire per tempo: spesso le imprese collassano perché i titolari negano la realtà fino all’ultimo, bruciando cassa e fiducia. Invece, chi affronta proattivamente la crisi può riuscire a: – evitare il fallimento, – ristrutturare i debiti in eccesso (cancellandone una parte se sproporzionati), – e sopravvivere come impresa (oppure chiudere, ma senza distruggere completamente valore e con minor impatto su dipendenti e creditori).
Nella prossima sezione vedremo più da vicino la tutela del patrimonio personale dell’imprenditore, perché anche seguendo tutte queste procedure permane una preoccupazione fondamentale per chi ha messo anni di lavoro e beni di famiglia nell’azienda: “Rischio di perdere la casa o i miei risparmi per i debiti dell’azienda?”. Affronteremo questo aspetto cruciale, con consigli su come proteggersi legalmente.
Tutelare il patrimonio personale dell’imprenditore e dei garanti
Una delle maggiori ansie per un imprenditore debitore è la possibile aggressione dei propri beni personali – casa, conti, proprietà familiari – a causa dei debiti dell’azienda. In Italia vige il principio della separazione patrimoniale per le società di capitali (SRL, SPA) e per le persone giuridiche: i creditori della società possono rivalersi solo sul patrimonio sociale, non su quello dei soci o amministratori (salvo eccezioni). Tuttavia, nella realtà operativa di molte PMI, questa barriera spesso viene erosa per vari motivi: – I soci o amministratori rilasciano fideiussioni personali o altre garanzie a favore di banche, fornitori strategici o locatori, per ottenere credito o contratti. In tal caso, quei creditori possono attaccare direttamente il patrimonio personale se la società non paga. – Se l’impresa è una ditta individuale o una società di persone (snc, sas) con soci illimitatamente responsabili, non c’è separazione: i debiti d’impresa sono debiti personali dell’imprenditore o dei soci. Tutti i beni presenti e futuri dell’imprenditore sono esposti. – Comportamenti illeciti o gestioni scorrette possono generare responsabilità personali degli amministratori: ad esempio, l’azione di responsabilità per aver aggravato il dissesto (art. 2476 c.c. per SRL) può portare a condanne a risarcire i creditori col patrimonio personale; oppure distrazioni di beni sociali configurano reati di bancarotta con possibili confische per equivalente. – Debiti verso l’Erario particolari: ad esempio, sanzioni amministrative per violazioni tributarie possono in taluni casi colpire in solido amministratori; o in materia di mancato versamento IVA superiore a soglia, se il reato è accertato e la società non paga la sanzione pecuniaria, potrebbe riflettersi su chi ne è civilmente responsabile. – Compresenza di garanzie reali su beni personali: se il socio ha dato in ipoteca un suo immobile a garanzia di un mutuo aziendale, la banca potrà pignorare quell’immobile se il mutuo non viene pagato, proprio come se fosse un debito personale.
Data questa esposizione, come può l’imprenditore proteggere i propri beni? Ecco alcune linee guida:
1. Scelta della forma giuridica e capitalizzazione adeguata
La miglior prevenzione è strutturare l’attività in modo da limitare la responsabilità. Ciò significa operare attraverso una società di capitali (SRL, SRLS, SPA) fin dall’inizio, con un capitale adeguato. In una SRL ben capitalizzata: – I soci non rispondono dei debiti sociali, punto. Potranno perdere al massimo quanto investito (capitale e finanziamenti soci). – La società può ottenere credito senza garanzie personali almeno in parte se dimostra solidità propria. (In pratica le banche spesso chiedono ugualmente fideiussioni ai soci, specie per PMI – però per fornitori magari no.) Se invece si opera come ditta individuale o società di persone, la difesa del patrimonio personale è quasi impossibile: il creditore può indifferentemente aggredire beni aziendali o personali. In tali casi, può essere opportuno valutare la trasformazione in SRL. Attenzione però: se si trasforma quando i debiti sono già sorti ed elevati, ciò può essere considerato un atto in frode ai creditori (potenzialmente revocabile o comunque i creditori antecedenti conservano diritti sui soci illimitati per debiti pregressi, art. 2500-quinquies c.c.). Quindi la trasformazione preventiva va fatta in bonis, non all’ultimo momento in crisi.
2. Limitare le garanzie personali
È comprensibile che per ottenere finanziamenti i soci amministratori firmino garanzie. Tuttavia, è buona pratica: – Negoziare la portata delle fideiussioni: ad es., mettere un tetto massimo garantito, o una durata limitata, o escludere espressamente alcune obbligazioni future. Molti imprenditori firmano moduli standard “omnibus” che li impegnano per qualsiasi debito presente e futuro verso la banca, senza scadenza: questo è il peggiore scenario. Si può provare a negoziare un massimale o che la fideiussione decada se diminuisce l’esposizione. – Attenzione alle clausole ABI nulle: come discusso, verificate con un legale se la vostra fideiussione ricalca lo schema ABI 2003 (clausole 2,6,8) perché in tal caso potreste impugnarla. La Cassazione SS.UU. 41994/2021 ha sancito nullità parziale di quelle clausole per violazione antitrust , e vari giudici di merito hanno annullato garanzie omnibus di conseguenza, almeno nelle parti contestate . Se la banca non può contare su una fideiussione, il patrimonio personale è al riparo per quel credito (salvo altri motivi di escussione). – Non dare ipoteche su beni di famiglia a cuor leggero: se è inevitabile per un mutuo, almeno considerate di limitare l’ipoteca a un solo bene e magari far annotare importo garantito. Alcuni imprenditori impegnano la casa, la seconda casa e pure il capannone di proprietà personale come garanzie multiple – così aumentano enormemente il rischio personale. – Garanzie da terzi e coobbligati: talvolta l’imprenditore può coinvolgere un altro soggetto con maggiore patrimonio come garante (es. un genitore). Ma attenzione: si sposta il rischio su un familiare, soluzione da valutare eticamente e giuridicamente (magari il genitore pretende contropartite, ecc.). In ogni caso, il terzo garante può poi rivalersi sul debitore principale se paga, generando debito interno.
3. Patrimoni separati e strumenti di protezione
Il diritto civile offre alcuni strumenti di protezione patrimoniale, ma con efficacia limitata in contesto debitorio: – Fondo Patrimoniale (artt. 167 c.c.): i coniugi (o un genitore per i figli minori) possono vincolare beni (immobili, titoli) destinandoli ai bisogni della famiglia. Debiti contratti per scopi estranei ai bisogni familiari non possono essere soddisfatti sui beni del fondo. Quindi, se un imprenditore aveva costituito un fondo patrimoniale su, ad esempio, la casa coniuge e figli, i creditori dell’azienda teoricamente non potrebbero pignorarla perché i debiti d’impresa si considerano estranei ai bisogni familiari. Tuttavia: la giurisprudenza è oscillante, spesso il fisco e banche sono riusciti ad aggredire lo stesso sostenendo che quei debiti indirettamente attengono alla famiglia (es. il reddito d’impresa serviva al sostentamento familiare). Inoltre, la costituzione del fondo patrimoniale è essa stessa revocabile se fatta dopo aver contratto debiti o in previsione di essi (entro 5 anni può essere revocata come atto a titolo gratuito pregiudizievole, ex art. 2929-bis c.c. e 64 L.F. vecchio). Quindi il fondo va costituito ante crisi e con margini di tempo. In uno scenario di debiti già conclamati, farlo appare un atto in frode. – Trust o vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c.: sono altri modi di separare beni. Un trust familiare potrebbe proteggere beni personali se correttamente strutturato e sempre che i creditori non lo impugnino come frode (azione revocatoria ordinaria entro 5 anni se c’è malafede). Anche qui, se istituisci un trust quando l’azienda sta affondando, i creditori lo attaccheranno in revocatoria (e con buone chance di successo, essendo atto dispositiv di bene in danno creditori). – Assicurazioni sulla vita, fondi pensione: certe somme versate in polizze vita o fondi pensione godono di impignorabilità (entro limiti). Investire parte del patrimonio personale in questi strumenti prima di avere debiti può proteggerli. Ma se i debiti esistono già e uno sposta liquidità in assicurazioni per sottrarla ai creditori, anche questo può essere revocato. – Intestazione a terzi: molti imprenditori confabulano di intestare la casa alla moglie o ai figli per salvarla. Attenzione: oltre ad essere potenzialmente illecito se fatto in frode, un trasferimento a titolo gratuito a coniuge o figli entro 2 anni dal fallimento è revocabile dal curatore, e entro 5 anni aggredibile dai creditori con azione revocatoria ordinaria . Inoltre, restare a vivere nella casa venduta ai figli comporta evidenti tracce. L’unica intestazione “sicura” sarebbe farlo molto prima e con corrispettivo di mercato (vendita vera e propria a terzo): ma pochi sono disposti a vendere davvero la casa di famiglia. In pratica, queste manovre spesso falliscono in sede giudiziaria.
In conclusione, la protezione del patrimonio personale migliore è indiretta: mantenere l’azienda sotto forma societaria separata e non incorrere in comportamenti che possano generare responsabilità personali o necessità di garanzie. Se oramai l’imprenditore è garante di molte posizioni, può pensare a soluzioni ad hoc: – Sovraindebitamento personale: se l’azienda va in liquidazione e i creditori escutono le fideiussioni, il titolare persona fisica può attivare una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento. Il Codice della Crisi ha un capitolo dedicato a consumatori e garanti. Ad esempio, se Tizio ha garantito debiti bancari e si ritrova con €500k di debiti personali dopo il fallimento della sua SRL, può presentare un Piano del Consumatore (se quei debiti non sono per attività imprenditoriale sua: il garante in genere è considerato consumatore, la giurisprudenza lo ha ammesso, perché il debito derivato da fideiussione non è contratto per scopo imprenditoriale proprio) . Oppure, se non qualificabile come consumatore, può proporre un Concordato Minore (una sorta di mini-concordato per sovraindebitato) offrendo ai suoi creditori personali una percentuale sui suoi redditi o beni. Se approvato/omologato, il resto dei suoi debiti personali viene cancellato. Ad esempio, il nostro imprenditore-garante potrebbe offrire ai creditori personali il 20% dei debiti pagabile vendendo una casa al mare e con rate del suo stipendio in 4 anni, e ottenere l’esdebitazione del residuo. Queste procedure (ex legge 3/2012) sono state potenziate dal Codice: ora chi è sovraindebitato meritevole può persino ottenere l’esdebitazione di tutti i debiti senza offrire nulla se proprio non ha alcuna risorsa (c.d. esdebitazione del debitore incapiente) . Dunque, ultima spiaggia: se il patrimonio personale è già compromesso, meglio usarlo in modo ordinato per negoziare con i creditori personali sotto l’egida di una procedura di sovraindebitamento, piuttosto che farselo portare via a pezzi dai singoli creditori. – Strategie transattive individuali: l’imprenditore può cercare un accordo a saldo e stralcio con i creditori su cui è garante. Spesso, a fronte di fallimento della società, le banche sono disponibili a chiudere la posizione del garante con un pagamento forfettario (es: debito 100, propongono al garante “ci dai 30 subito e chiudiamo”). Questo evita procedure concorsuali anche per lui. Chiaramente bisogna avere qualche risorsa libera o aiuti (familiari, etc.) per farlo. – Dissociare il patrimonio familiare: se possibile, evitare la comunione dei beni con il coniuge quando si è imprenditori a rischio. Meglio il regime di separazione dei beni: così se l’azienda debitrice è intestata solo a uno, i beni intestati all’altro coniuge non sono attaccabili (salvo siano in comunione o siano stati trasferiti in frode). Ad esempio, la casa coniugale: se è al 50% ciascuno ed è in comunione legale, i creditori di uno possono pignorare la sua quota e far vendere l’immobile (il coniuge poi verrà liquidato della sua metà). Se invece era in separazione e intestata solo al coniuge non debitore, di principio è salva (a meno di dimostrare che l’intestazione al coniuge era simulata).
Riassumendo consigli pratici: – Usa una SRL per l’attività e tieni ben distinti i conti personali da quelli societari. – Non prelevare o mischiare indebitamente fondi: queste sono le cose che portano a responsabilità per distrazione. – Evita per quanto possibile di firmare fideiussioni; se devi, discuti le clausole e informati su quelle nulle. – Comunica tempestivamente la crisi ai creditori e cerca soluzioni: un imprenditore che affronta la situazione riduce il rischio di cause per mala gestio. – Documenta tutto: avere bilanci in ordine, libri contabili aggiornati e trasparenti è una difesa: evita accuse di bancarotta fraudolenta documentale e facilita dimostrare ai creditori/court che hai agito in buona fede. – Valuta con professionisti l’uso di procedure concorsuali per mettere un perimetro legale entro cui risolvere la crisi. Spesso, un concordato ben gestito può includere clausole che liberano le fideiussioni dei soci (ad esempio: la banca viene soddisfatta parzialmente e rinuncia formalmente a escutere il garante per la parte stralciata). – Se nonostante tutto vieni travolto personalmente, considera subito di rivolgerti a esperti di sovraindebitamento per mettere in salvo il necessario per vivere e cancellare i debiti personali a fine percorso. L’esdebitazione post-fallimentare è un diritto: saperlo può dare quel sollievo psicologico di capire che “anche se va male, non sarò perseguitato a vita dai creditori; c’è un termine e posso ricominciare”.
Esempio conclusivo su patrimonio personale: Il socio e amministratore di Pavimenti ESD aveva intestato a sé la casa di abitazione familiare e una polizza vita. Aveva anche firmato garanzie su scoperti bancari. Durante il concordato preventivo della società, riesce a inserire in piano una clausola per cui, se la banca ipotecaria ottiene il 80% del credito entro 2 anni, rinuncia alla fideiussione residua: in questo modo, sacrificando alcune risorse aziendali in più per pagare la banca, si libera la casa (che era stata ipotecata come garanzia secondaria). Per gli altri debiti garantiti, purtroppo rimane esposto. A concordato omologato, il socio ha ancora magari 200k di debiti personali verso fornitori a cui aveva dato avalli. Decide quindi di presentare, come persona fisica, un concordato minore offrendo il ricavato della vendita di un suo terreno e 5 anni di pagamento con parte dello stipendio che riceve dalla “nuova” Pavimenti ESD (nel frattempo ripartita): offre 50k su 200k (25%). I creditori personali, valutando che altrimenti farebbero fatica a pignorare (il soggetto non ha molto altro se non la casa che è già ipotecata per mutuo), accettano. Il giudice omologa l’accordo di sovraindebitamento e così questo imprenditore, dopo 5 anni di pagamenti, è liberato anche a livello personale dai debiti residui. La sua casa è salva (ci paga solo il mutuo regolarmente), l’azienda sta proseguendo con debiti ridotti grazie al concordato, e la sua famiglia può tirare un sospiro di sollievo.
In definitiva, difendersi dai debiti non significa soltanto trattare con i creditori e usare le leggi concorsuali, ma anche mettere in sicurezza sé stessi per quanto la legge lo consenta. La meritevolezza e la buona fede dell’imprenditore giocano un ruolo: la normativa moderna premia chi ha agito senza frode e con trasparenza (esdebitazione concessa , nessuna preclusione a ricoprire in futuro ruoli, ecc.), mentre colpisce chi ha scientemente violato regole (negazione dell’esdebitazione se il debitore ha fatto atti in frode o non ha collaborato).
Abbiamo così coperto gli aspetti principali: dall’analisi della crisi agli strumenti giuridici per gestirla, fino alla salvaguardia del patrimonio personale.
Nel prossimo segmento, presentiamo una serie di domande frequenti con risposte, per chiarire dubbi ricorrenti in modo diretto. Poi proporremo una simulazione pratica riassuntiva, e infine le fonti normative e giurisprudenziali consultate.
Domande e Risposte Frequenti (FAQ)
D1: La mia azienda ha ricevuto un’istanza di fallimento da un fornitore. Posso evitare che venga dichiarato il fallimento?
R: Sì, ci sono diverse opzioni. Prima di tutto, verifica se il debito contestato è realmente dovuto e liquido; se no, puoi opporti all’istanza di fallimento contestando l’esistenza dello stato di insolvenza. Se invece il debito c’è ed è significativo, puoi evitare il fallimento attivando una procedura concorsuale alternativa prima dell’udienza: ad esempio presentando domanda di concordato preventivo con riserva . Il tribunale, di fronte a un concordato in corso, di solito sospende la decisione sul fallimento in attesa di vedere l’esito del concordato. In alternativa, se hai i fondi, potresti pagare quel creditore (o depositare somme a garanzia) prima dell’udienza, facendo così venir meno lo stato di insolvenza. Ultima ratio: se la situazione è compromessa, puoi proporre tu stesso la liquidazione controllata o fallimento, ma concordando magari col creditore una rinuncia (questo è rischioso e va valutato con un legale). Ricorda che una composizione negoziata avviata consente di chiedere al giudice una sospensione delle istanze di fallimento mentre tratti .
D2: Ho subito un pignoramento del conto corrente aziendale: come posso sbloccarlo per pagare dipendenti e fornitori vitali?
R: Quando un creditore pignora il conto, i fondi fino a concorrenza del suo credito restano bloccati presso la banca. Per liberare il conto hai alcune vie: (a) Conversione del pignoramento: chiedi al giudice dell’esecuzione di sostituire al denaro pignorato un piano di pagamento rateale depositando subito almeno 1/6 del dovuto . Se accolta, la banca scongela il conto e tu paghi le rate al creditore. (b) Opposizione al pignoramento se vi sono vizi (ad esempio il pignoramento non ha rispettato forme di legge) o se il credito è contestabile – ma in genere sul conto è tardivo se c’è già un titolo. (c) Accordo col creditore pignorante: puoi trattare con lui fuori udienza offrendo un pagamento (anche parziale) in cambio della rinuncia al pignoramento, che sblocca immediatamente il conto (serve atto di rinuncia agli atti esecutivi). (d) Se stai per avviare una procedura concorsuale (es. concordato), una volta ammesso il concordato il pignoramento in corso viene congelato e potrebbe rientrare nella massa. Nel frattempo, considera di aprire un conto corrente alternativo per l’operatività corrente dell’azienda, su cui incassare e pagare il nuovo (attenzione però: spostare entrate dal conto pignorato a uno nuovo potrebbe essere aggiramento del pignoramento – consulta un legale su come procedere correttamente, magari notificando al creditore che il nuovo conto è per flussi successivi).
D3: Cos’è esattamente la “composizione negoziata”? È come il vecchio accordo di ristrutturazione o è qualcosa di diverso?
R: La composizione negoziata è uno strumento nuovo (dal 2021) diverso dagli accordi di ristrutturazione tradizionali. Non è di per sé un “accordo”: è un procedimento volontario in cui un esperto indipendente aiuta l’impresa e i creditori a negoziare una soluzione. Pensa a una mediazione assistita: l’esperto analizza la situazione e facilita proposte. Se le parti trovano un’intesa, bene – può essere formalizzata in un accordo stragiudiziale (anche poi omologato se si vuole). Se non la trovano, l’impresa può comunque ripiegare su un concordato o altro. Quindi la composizione negoziata è un contenitore in cui coltivare accordi (compresi gli accordi di ristrutturazione ex art.182-bis L.F., ora art. 57 CCII). Durante la composizione negoziata puoi ottenere la protezione temporanea dalle azioni dei creditori , che invece un accordo di ristrutturazione di per sé non garantisce prima dell’omologa. In sintesi: la negoziata è fase preliminare e stragiudiziale (con minima interferenza del tribunale) per favorire accordi; l’accordo di ristrutturazione è già un risultato giuridico vincolante che va omologato. Spesso l’uno sfocia nell’altro.
D4: La mia SRL è a rischio insolvenza. Posso trasferire un immobile di proprietà della società ai soci o a un’altra società di famiglia per proteggerlo dai creditori futuri?
R: Questa è una mossa pericolosa. Un trasferimento di un bene sociale a soci o parti correlate, se fatto a valore inferiore al mercato o addirittura gratuito, sarà presumibilmente considerato un atto in frode ai creditori. I creditori (o il curatore, se fallirete) potranno agire con azione revocatoria per far dichiarare inefficace quel trasferimento , entro 5 anni. Anche una vendita a prezzo pieno ma verso un soggetto collegato potrebbe essere sospetta e revocabile se riduce la garanzia patrimoniale ai creditori mentre eravate già in crisi (in procedure concorsuali, vendite a parenti entro 1 anno possono essere vagliate). Inoltre l’amministratore rischia responsabilità per aver leso il patrimonio sociale a danno creditori. Quindi no, non è una buona idea. Piuttosto, se quell’immobile non è utile all’attività, potresti venderlo a terzi a prezzo di mercato e usare il ricavato per pagare debiti (questo difficilmente è contestabile se a giusto prezzo, anzi giova ai creditori). Oppure considerare di inserirlo come bene da liquidare in un concordato preventivo: in tal modo viene venduto sotto l’ombrello del tribunale e il ricavato distribuito ai creditori, ottenendo in cambio magari l’esdebitazione del resto. In sintesi: spostare attivi verso la sfera dei soci in vista dell’insolvenza è quasi sempre perseguibile giuridicamente e sconsigliato.
D5: Ho garantito personalmente un prestito bancario della mia azienda. Se l’azienda va in concordato o fallimento, quella fideiussione rimane valida? La banca può toccare la mia casa?
R: La fideiussione rimane valida: il concordato o fallimento della società non estingue le garanzie di terzi (fideiussori) a favore dei creditori. Quindi la banca potrà chiedere a te, garante, il pagamento dell’intero debito residuo non soddisfatto dall’azienda. Ad esempio, se in concordato la banca riceve il 60% del suo credito, può pretendere da te il restante 40%. La banca potrà aggredire il tuo patrimonio personale (casa, conto) a meno che tu non abbia nel frattempo un accordo o protezione. Cosa puoi fare: in sede di trattativa di concordato, provare a inserire una clausola di rinuncia all’azione di regresso verso i garanti (alcuni concordati la prevedono: il debitore paga una percentuale maggiore alla banca in cambio della liberazione dei garanti). Oppure, tu stesso potresti partecipare al concordato offrendo risorse personali aggiuntive per ridurre il debito e far liberare la garanzia. Se questo non avviene, e si arriva a fallimento, la banca sicuramente si rivolgerà a te. A quel punto, se non sei in grado di pagare, valuta di percorrere una procedura di sovraindebitamento personale (vedi D9) per gestire quel debito. Nota bene: se la fideiussione che hai firmato è nulla (per clausole contrarie alla normativa antitrust, vedi discorso schema ABI ) potresti contestarla in giudizio, ma è una battaglia legale non certa nell’esito e richiede tempi.
D6: Se presento un concordato preventivo, potrò comunque continuare a gestire l’azienda? Ho sentito che si rischia di perdere l’amministrazione…
R: Nel concordato preventivo in continuità aziendale, di regola l’imprenditore rimane alla guida, sotto la vigilanza del Commissario Giudiziale. Continuerai quindi a gestire l’attività ordinaria e, con autorizzazione del giudice, anche atti straordinari (ad esempio vendere un cespite, contrarre finanziamenti urgenti). Il tribunale può nominare un ausiliario o imporre determinate cautele, ma in genere non ti toglie la gestione. Solo se durante la procedura compi atti gravi in frode ai creditori o violi le regole, il tribunale potrebbe revocare l’ammissione a concordato (e allora rischi il fallimento) oppure, nei casi di concordato con continuità, potrebbe disporre la gestione controllata o nominare un amministratore giudiziario affiancandoti. Sono ipotesi eccezionali. Nel concordato liquidatorio, invece, spesso la gestione corrente dura poco (giusto il tempo di vendere i beni) e poi un liquidatore giudiziale prende in mano la liquidazione dopo l’omologa. Ma se la tua domanda è: “mi cacciano dall’azienda come accade nel fallimento?”, la risposta è no, il concordato preventivo non prevede lo spossessamento, ma solo una limitazione (gli atti di straordinaria amministrazione devono essere autorizzati e la vigilanza del commissario) . Perciò potrai con buona probabilità continuare a dirigere l’impresa e condurre il piano di risanamento.
D7: Quanto costa e quanto dura una procedura di concordato o di composizione negoziata?
R: La composizione negoziata è relativamente breve: per legge dura 6 mesi prorogabili fino a 12 al massimo . In media entro 4-6 mesi si capisce l’esito (accordo raggiunto o no). I costi: devi pagare l’esperto nominato (tariffe fissate dal decreto ministeriale: dipende dalla dimensione dell’azienda e complessità, potrebbe essere qualche migliaio di euro per PMI, fino a decine di migliaia per aziende grandi) – spesso meno di quanto costerebbe un lungo contenzioso. Ci sono poi i costi dei tuoi consulenti (commercialista, avvocato) che ti assistono nel predisporre piani e durante le trattative. Spesso lo Stato ha previsto crediti d’imposta a rimborso di una parte delle spese dell’esperto se poi concludi con successo (verifica normativa vigente, ma nel 2022 c’era un incentivo del 50% compensabile). Il concordato preventivo è più costoso: oltre ai tuoi consulenti per predisporre piano e attestazione (il compenso dell’attestatore di solito è in base a tariffa professionale, variabile con debiti/patrimonio: facilmente diverse decine di migliaia di euro per PMI), ci sono i costi di procedura: il commissario giudiziale e, se il caso, il liquidatore prendono compensi stabiliti dal tribunale in percentuale sull’attivo/passivo (possono anche qui andare da qualche migliaio a percentuali più alte su grandi masse). Inoltre ci sono bolli, contributo unificato (nel concordato è circa €1000), spese di cancelleria. In totale, per piccole realtà i costi di un concordato potrebbero aggirarsi (indicativo) sull’ordine di almeno il 5-10% dell’attivo aziendale, se non di più in casi complessi. In termini di durata: dall’istanza di concordato in bianco alla omologa possono volerci 8-12 mesi tipicamente. La legge impone celerità, ma tra tempi di voto, eventuali opposizioni e burocrazie, quasi un annetto è la norma. Dopo l’omologa, l’esecuzione del piano può durare anni (ma quella è “vita normale” azienda). Un accordo di ristrutturazione ha tempi più rapidi: se creditori firmano subito, l’omologa si può ottenere in 2-3 mesi e i costi sono minori (niente commissario di solito, solo attestatore e avvocati). Quindi scegliere bene lo strumento impatta su tempi e costi.
D8: L’azienda ha debiti con l’INPS per contributi e con l’Erario per IVA. Posso rischiare responsabilità penali come amministratore?
R: Sì, ci sono specifici reati tributari: il mancato versamento di IVA superiore a €250.000 per annualità è reato punito con reclusione fino a 2 anni . Il termine di riferimento è il 18esimo mese successivo all’anno di imposta (ora spostato al 31 dicembre dell’anno successivo dal D.Lgs 87/2024). Quindi ad esempio, se l’IVA 2024 non versata supera 250k e non la versi nemmeno entro il 31/12/2025, commetti reato. Idem per ritenute certificate (quelle dei dipendenti trattenute in busta paga e non versate) se superano €150.000 annui. Questi sono reati a carico del legale rappresentante. Per i contributi INPS: l’omesso versamento delle ritenute previdenziali trattenute ai dipendenti oltre €10.000 annui è reato (ma c’è causa di non punibilità se paghi entro 3 mesi dall’ingiunzione penale). Invece il mancato versamento dei contributi datori di lavoro (quota azienda) non è più reato, è sanzione amministrativa. Dunque, se la tua azienda non ha versato contributi e IVA, potresti essere perseguito penalmente. Come difendersi: attivare la rateizzazione e rispettarla blocca gli effetti penali per l’omesso versamento IVA (se paghi tutto prima dell’apertura dibattimento, non c’è punibilità). Anche presentare un concordato preventivo che prevede il pagamento integrale dell’IVA e contributi entro termini può evitare la querela di parte pubblica perché c’è un piano di adempimento. In sostanza, dimostra proattività nel regolarizzare: chiedere un piano Agenzia Entrate per l’IVA e pagare almeno sotto soglia entro fine anno, pagare le ritenute entro termini di legge (ad esempio usando risorse reperite magari sacrificando altro). Ricorda che i reati scattano se non paghi affatto: se li dilazioni e rispetti le rate, il reato non si perfeziona finché rispetti il piano (per l’IVA la legge 2024 ha chiarito che se c’è rateizzazione in corso, la constatazione del reato slitta a fine anno e se per allora hai pagato sotto soglia, non c’è reato ). Quindi muoviti in tal senso con urgenza.
D9: Se dopo aver chiuso l’azienda rimango con debiti personali (perché ero garante o perché ero imprenditore individuale), posso liberarmene o mi perseguiteranno a vita?
R: L’ordinamento oggi ti dà la possibilità di liberartene, a certe condizioni. Esistono le procedure di sovraindebitamento per persone fisiche: ad esempio un ex imprenditore individuale o un socio illimitatamente responsabile può chiedere l’apertura della liquidazione controllata del sovraindebitato (ex “fallimento civile”), liquidando i suoi beni e poi ottenendo l’esdebitazione. Oppure se ha un reddito e preferisce tenersi i beni, può proporre un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (se i debiti non sono da attività commerciale attuale) o un concordato minore se aveva debiti d’impresa di piccola entità, in cui paga una percentuale ai creditori personali e il giudice omologa e stralcia il resto. In particolare, c’è l’esdebitazione: il Codice prevede che se sei meritevole (cioè non hai colpa grave o frode nel creare i debiti, hai cooperato) puoi perfino ottenere l’esdebitazione senza dare nulla ai creditori, una volta nella vita . È l’esdebitazione del debitore incapiente. In pratica, se ti trovi nullatenente dopo la chiusura dell’impresa e i creditori non possono essere soddisfatti, il tribunale può ugualmente cancellare i tuoi debiti residui per darti un “fresh start”, salvo che nei 4 anni successivi trovi risorse (dovrai pagarle in tal caso in certa misura). Quindi, assolutamente non è vero che verresti perseguitato a vita: esiste la possibilità di chiudere i conti e ricominciare pulito, sfruttando queste norme. Devi però seguire la procedura giusta in tribunale con un OCC (Organismo Composizione Crisi) e mostrare la tua buona fede. Molti ex imprenditori, superata la fase di liquidazione, ottengono l’esdebitazione dei debiti non pagati . Anche nel fallimento “classico”, come detto, c’è la liberazione dai debiti per il fallito onesto dopo la chiusura. Quindi la legge attuale tende a non rendere mai il debito una condanna a vita per la persona fisica, a differenza di tanti anni fa. Bisogna però intraprendere formalmente queste procedure di esdebitazione.
D10: Cosa succede ai contratti in essere (affitti, leasing, contratti con clienti) se attivo un concordato o fallisco? Perdo tutto?
R: Dipende dal tipo di procedura e di contratto. Nel concordato preventivo, i contratti in corso possono proseguire: anzi, nel concordato in continuità l’azienda continua ad operare, quindi i contratti con clienti si eseguono, i contratti di fornitura pure (il commissario vigila ma non li interrompe). Il debitore può anche chiedere di sciogliere alcuni contratti onerosi durante il concordato (con autorizzazione del tribunale), ad esempio un affitto troppo caro – pagando però un indennizzo pari al danno contrattuale generato, che diventa credito concorsuale. I contratti di leasing: in concordato, puoi decidere di risolverli (e il lessor insinua il suo credito residuo come chirografo salvo riserva di proprietà) oppure di mantenerli pagando i canoni correnti. Nel fallimento invece, automaticamente: i contratti ad esecuzione continuata o periodica vengono sciolti ex lege (ad esempio forniture periodiche), i contratti con prestazioni corrispettive non completamente eseguite da ambo le parti sono sospesi e il curatore entro breve decide se subentrarvi o scioglierli (art. 172 L.F., 189 CCII). Se li scioglie, l’altra parte ha diritto a danno (credito concorsuale); se vi subentra, il curatore li esegue regolarmente pagando i corrispettivi in prededuzione. Ad esempio, se la tua azienda fallisce e aveva un contratto vantaggioso con un cliente, il curatore potrebbe subentrare e portarlo avanti se conviene (magari vendendo l’azienda a un terzo cessionario con quel contratto incluso). L’affitto di immobili: nel fallimento il curatore può recedere dal contratto di locazione dell’immobile aziendale con preavviso 90 giorni (il locatore avrà credito per indennizzo) – di solito lo fa se chiude l’attività. Nel concordato, invece, la società può decidere se continuare a utilizzare l’immobile e pagare i canoni correnti oppure chiedere di sciogliersi pagando indennizzo concorsuale. Attenzione: Fornitori essenziali (acqua, luce, gas, telecomunicazioni) non possono interrompere le forniture per i crediti pregressi durante concordato o negoziazione, se paghi il corrente . Quindi c’è continuità di servizi. I contratti con i clienti: in concordato in continuità, li onorerai (è fondamentale per mantenere valore). In fallimento, di solito i contratti con clienti per consegne future saltano, a meno che il curatore non venda l’azienda in esercizio provvisorio a qualcuno che li rileva. Quindi la reputazione ovviamente subisce un colpo in caso di fallimento, i clienti spesso devono cercare altro fornitore. In conclusione, con il concordato hai strumenti per preservare i contratti utili (nell’interesse di tutti di solito, per massimizzare valore), mentre con il fallimento è quasi certo che l’attività contrattuale ordinaria cessi.
Passiamo ora a un esempio pratico più integrato, per vedere come tutte queste misure possono combinarsi in una situazione concreta.
Simulazione Pratica: il caso “ESD Flooring S.r.l.” in crisi
Scenario: ESD Flooring S.r.l. è una società a responsabilità limitata attiva dal 2015, specializzata nella posa di pavimenti industriali ESD (antistatici) per stabilimenti elettronici e farmaceutici. Ha 15 dipendenti, un capannone in affitto e attrezzature proprie. Negli ultimi due anni ha subito un calo di commesse e un grosso cliente estero non ha pagato un lavoro, creando un buco finanziario. Al 31/12/2024 presenta la seguente situazione semplificata: – Debiti verso fornitori materiali: €400.000 (di cui €50k contestati per forniture difettose). – Debiti bancari: €300.000 (un mutuo residuo €200k garantito da ipoteca sul capannone di proprietà del socio unico; €100k di scoperto conto garantito da fideiussione del socio). – Debiti verso dipendenti: €80.000 (2 mensilità arretrate + TFR maturato). – Debiti erariali: €150.000 (IVA non versata + ritenute; cartelle per €100k con intimazioni). – Altri debiti: €50.000 (leasing di un macchinario, rate scadute). – Attivo: crediti verso clienti €200.000 (ma €100k dal famoso cliente estero in forse); magazzino resine €50k; attrezzature valore realizzo €100k; cassa €10k. – Il socio unico, sig. Rossi, ha anche messo ipoteca sulla sua casa a garanzia del mutuo e firmato varie fideiussioni personali (verso banca e un paio di fornitori chiave per €100k).
Fase 1: Riconoscimento della crisi e misure immediate (inizio 2025)
Il sig. Rossi vede che non ha liquidità per pagare gli stipendi di gennaio 2025 e i fornitori premono con solleciti. Gli indicatori sono rossi. Si consulta a inizio febbraio con un esperto di crisi (un commercialista) che conferma lo stato di crisi: se nulla si fa, entro pochi mesi l’azienda sarà insolvente. Rossi decide di agire: – Convoca i 5 principali fornitori (80% del debito materiali) e spiega la situazione; chiede tempo promettendo un piano entro 2 mesi e intanto paga loro un 5% simbolico come gesto. – Invia richiesta all’Agenzia Entrate-Riscossione per rateizzare il debito fiscale da cartelle: ottiene subito un piano provvisorio di 72 rate (essendo €100k, glielo danno abbastanza velocemente) , impegnandosi a fornire documentazione per chiedere 120 rate. – Attiva la Cassa Integrazione per 8 operai su 15, riducendo il costo del personale e sospendendo temporaneamente il maturare di nuove retribuzioni per quegli 8 (che prendono CIG). – Nel frattempo, scopre che la banca ha segnalato l’azienda a “sofferenza” in Centrale Rischi per i ritardi sullo scoperto: un segnale grave. E un fornitore (non invitato all’accordo) ha notificato un decreto ingiuntivo per €30k. – A questo punto Rossi, col consulente, decide di avviare la Composizione Negoziata della crisi tramite la piattaforma (febbraio 2025). Dopo aver caricato i documenti e superato il test pratico (che indica che l’impresa è risanabile con certe azioni), gli viene nominato un esperto a marzo 2025.
Fase 2: Composizione negoziata con misure protettive (marzo – giugno 2025)
Appena nominato l’esperto, l’azienda dichiara sul Registro Imprese di volersi avvalere delle misure protettive e il consulente deposita istanza in tribunale. Il tribunale emette un decreto che vieta ai creditori di iniziare o proseguire esecuzioni fino al 31 luglio 2025 . Ciò blocca il fornitore con decreto ingiuntivo: non potrà pignorare il conto. Anche la banca non può procedere con la revoca formale del mutuo o l’escussione immediata delle garanzie. L’AdER, avvisata, sospende eventuali fermi amministrativi su veicoli.
L’esperto convoca tutti i creditori principali in varie sessioni: – Con i fornitori: propone una moratoria di 6 mesi su nuovi pagamenti e poi un pagamento del 50% dei crediti in 24 mesi. I fornitori, temendo di peggio, si mostrano inclini ma vogliono garanzie. – Con la banca: discute la possibilità di consolidare lo scoperto di conto (€100k) in un mutuo a 5 anni e di prorogare di 2 anni la scadenza del mutuo ipotecario esistente (da 5 anni rimanenti a 7, riducendo la rata). La banca chiede che il socio Rossi offra un’ipoteca aggiuntiva su un piccolo terreno di sua proprietà come ulteriore garanzia e mantenga la fideiussione. L’esperto trova ciò ragionevole. La banca inoltre vorrebbe che l’Erario accetti una riduzione sanzioni perché detiene parte del credito chirografo (il fisco). – Con l’Agenzia delle Entrate: tramite l’esperto e l’AdER, concordano che nel contesto di un accordo generale la società potrebbe fruire della “transazione fiscale”: in pratica pagherà l’IVA e le ritenute in misura integrale ma senza sanzioni (o con taglio sanzioni) e con interessi ridotti, e i debiti non privilegiati (es. sanzioni e interessi già maturati) verranno stralciati al 50%. Ciò ovviamente dovrà riflettersi in un accordo omologato. – Con i dipendenti: si rassicura che gli stipendi correnti stanno tornando regolari grazie alla CIG. Si promette che gli arretrati saranno pagati qualunque cosa (male che vada interviene il Fondo di Garanzia se si va in concorsuale). I dipendenti quindi restano collaborativi e non fanno azioni legali.
Dopo varie trattative, a giugno 2025 l’esperto elabora una bozza di accordo di ristrutturazione: – Fornitori chirografari: prendono il 50% del loro credito in 24 rate semestrali (4 anni) a partire da dicembre 2025, garantite da cambiali emesse dall’azienda (ulteriore impegno formale). – Banche: il mutuo ipotecario €200k allungato 2 anni, tasso invariato, rate minori; lo scoperto €100k convertito in finanziamento 5 anni con garanzia personale confermata. La banca rinuncia a €20k di interessi futuri (sconto sul tasso) e si accontenta di ipoteca sul terreno del socio come aggiunta. – Fisco: €150k così ripartiti – €100k di IVA/contributi in 6 anni senza sanzioni (solo interessi legali), €50k di sanzioni/aggi stralciati. L’Erario formalmente aderisce condizionatamente all’omologazione in sede di concordato preventivo o ARD (cram-down fiscale in ogni caso possibile ). – Leasing: la società restituirà il macchinario in leasing, e la società di leasing rinuncia alle penali (si insinuerà per differenza tra valore ricavato e credito, che l’azienda paga al 40% come altri chirografari). – Il socio Rossi si impegna a versare €100.000 di nuova finanza (raccolti vendendo il suo terreno e dalla moglie) da destinare interamente al pagamento dei creditori secondo l’accordo. In cambio i creditori chirografari accettano che quella somma vada prioritariamente a soddisfare dipendenti e fisco in prededuzione.
L’esperto fa da mediatore e ottiene adesioni scritte da creditori rappresentanti il 75% del totale crediti. Qualcuno (un fornitore minore e la società leasing) ancora tentenna.
Fase 3: Omologazione dell’accordo (agosto 2025)
Per sicurezza, l’azienda decide di dare veste legale all’accordo con un’omologazione. Tramite il legale, a luglio deposita un ricorso per omologa di accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCII, presentando le firme dei creditori pari al 75%. Chiede anche la proroga delle misure protettive fino all’omologazione. Il tribunale concede proroga fino a ottobre. Nel frattempo, l’esperto termina il mandato con esito “accordo raggiunto” e se ne va (fine composizione negoziata).
In agosto 2025, nessun creditore si oppone (i dissenzienti minoritari sono comunque pagati integralmente, quindi non hanno motivo) e il Tribunale omologa l’accordo : questo significa che l’accordo diventa vincolante ed efficace come un titolo esecutivo. I creditori aderenti sono obbligati a rispettare le dilazioni e tagli concordati. I creditori estranei (per fortuna pochi e di importi minimi) verranno pagati entro 120 giorni come previsto. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione, pur non avendo firmato formalmente, non si oppone perché col pagamento integrale imposte in 6 anni rientra nelle condizioni legali. La società, forte dell’omologa, riprende a pagare i debiti secondo il piano.
Fase 4: Esecuzione e rilancio (settembre 2025 e seguenti)
Grazie all’accordo omologato: – La cassa aziendale, integrata dai €100k apportati dal socio, viene usata per pagare subito i creditori estranei (ca 20k) e per saldare 1 mensilità arretrata ai dipendenti (l’altra la pagherà il Fondo INPS su domanda). – Le restanti scadenze vengono rispettate: le rate dei fornitori partono a dicembre 2025, la società riesce a pagarle perché nel frattempo la reputazione migliora essendo uscita dalla crisi ufficialmente. Infatti, con i debiti tagliati e dilazionati, l’azienda torna ad avere flussi positivi. Ottiene nuove commesse (anche rassicurando i nuovi clienti che ha ristrutturato con successo). – La banca segnala la revoca sofferenza e con l’accordo in esecuzione la Centrale Rischi la riallinea pian piano (specie dopo qualche rata pagata). – Dopo 4 anni, nel 2029, ESD Flooring Srl ha finito di pagare i fornitori al 50%, sta ancora pagando le ultime rate fiscali e bancarie ma è di fatto risanata. Ha pure cambiato nome e soci (nel 2027 è entrato un investitore, vedendo l’azienda snella di debiti). Il socio originario Rossi, che aveva messo l’ipoteca personale e i soldi, ha salvato la sua casa e continua come direttore tecnico, anche se non più proprietario al 100%.
Se invece le trattative fossero naufragate (ad esempio, la banca non avesse aderito e avesse preferito agire sui beni personali, oppure i fornitori non avessero creduto al piano), la simulazione avrebbe preso la strada di un concordato preventivo o di un fallimento: – Concordato preventivo scenario: presentato magari a settembre 2025 con offerta di 40% ai creditori, il tribunale l’avrebbe aperto, i creditori forse avrebbero votato comunque sì (perché 40% in continuità > presumibile 10% in liquidazione) e nel 2026 avrebbero eseguito il piano, con costi più alti e tempi un po’ più lunghi, ma con esdebitazione finale ugualmente. – Fallimento scenario: se tutto falliva, la società veniva dichiarata fallita a fine 2025, il curatore liquidava: ipoteca banca prendeva il capannone del socio (venduto all’asta, magari la casa di Rossi), i fornitori prendevano 5-10%, Rossi perdeva la casa (escussa dalla banca) e si trovava debitore residuo verso la banca (fideiussione) e qualche fornitore con titolo contro di lui. Avrebbe chiesto esdebitazione personale nel 2027, perdendo gran parte del patrimonio accumulato. L’azienda ovviamente chiusa, dipendenti licenziati (qualcuno forse riassunto da concorrenti).
Questa simulazione mostra come tempestività e uso calibrato degli strumenti legali possono salvare un’azienda e ridurre drasticamente l’impatto su creditori e proprietari. La chiave è stata: – Attivare subito la procedura negoziale con protezione (evitando pignoramenti e fallimenti nell’immediato). – Coinvolgere tutti gli attori in un piano credibile con sacrifici distribuiti equamente (tutti hanno rinunciato a qualcosa: fornitori 50%, banca tasso e tempo, Fisco sanzioni). – Apporto di nuova finanza del socio (questo è spesso cruciale: mostra ai creditori che il proprietario ci crede e mette “pelle in gioco”, e fornisce liquidità per partire). – Uso dell’omologazione giudiziale per dare certezza e forza a quell’accordo (senza l’autorità del tribunale, un creditore avrebbe potuto comunque tirarsi indietro, con l’omologa no).
Naturalmente ogni caso è diverso. Non sempre il lieto fine è possibile; tuttavia, la legge offre strumenti avanzati per provarci. Importante è affidarsi a professionisti esperti in crisi d’impresa, perché errori formali o strategie improvvisate possono compromettere l’esito.
Conclusioni
Dal punto di vista del debitore imprenditore, fronteggiare una situazione di debiti aziendali elevati richiede lucidità, conoscenza delle proprie opzioni legali e spesso coraggio nel prendere decisioni difficili (come avviare una procedura concorsuale). Questa guida ha illustrato come: – esistano modi per difendersi dagli attacchi dei creditori (pignoramenti, istanze di fallimento) tramite strumenti quali le misure protettive in composizione negoziata, l’ammissione al concordato preventivo, o persino la conversione dei pignoramenti; – sia possibile evitare il fallimento e ristrutturare il debito attraverso accordi o procedure omologate, ottenendo spesso la cancellazione di una parte dei debiti e la dilazione del resto, a patto di presentare piani sostenibili e di rispettare la parità di trattamento entro le regole di legge; – il diritto fallimentare italiano moderno punti molto sul risanamento (quando c’è valore e prospettiva) e sulla responsabilizzazione dell’imprenditore (adeguati assetti, obbligo di attivarsi alla crisi) , ma al contempo offra meccanismi di “uscita pulita” (esdebitazione) per gli sfortunati onesti ; – la tutela del patrimonio personale non è garantita al 100%, ma può essere preservata in buona misura scegliendo la forma societaria giusta, limitando le garanzie personali, e utilizzando procedure di composizione del debito personale se necessario, anziché subire passivamente l’esecuzione individuale disordinata; – le sentenze recenti confermano i principi qui descritti (dalla Cassazione sulla diligenza degli amministratori , all’orientamento sul cram-down fiscale e sulla nullità delle fideiussioni ABI , fino alle pronunce sul nuovo Codice della Crisi e sulla meritevolezza dell’esdebitazione ).
In definitiva, un imprenditore informato e ben assistito ha molte frecce al suo arco per “difendersi e come”. L’importante è agire tempestivamente, con trasparenza e buona fede. Questo massimizza le chance di successo del risanamento e minimizza le conseguenze negative in caso di liquidazione.
Fonti e Riferimenti Normativi
- Codice Civile, art. 2086 c.c. – Dovere di adeguati assetti organizzativi e rilevazione tempestiva della crisi .
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n.14, e successive modifiche D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs. 136/2024):
- Artt. 2 e 348 CCII – Definizioni di “impresa minore” e soglie di fallibilità (attivo ≤ €300k, ricavi ≤ €200k, debiti ≤ €500k) .
- Art. 12-25 CCII – Composizione negoziata della crisi: condizioni di accesso, nomina esperto, misure protettive fino 4+4 mesi .
- Art. 56 CCII – Piano attestato di risanamento: requisiti, esenzione da revocatoria per atti esecutivi del piano .
- Art. 57-64 CCII – Accordi di ristrutturazione dei debiti: soglia 60%, tutela creditori estranei (pagamento entro 120 gg) ; poss. estensione a creditori finanziari dissenzienti con 75% ; transazione fiscale e contributiva e cram-down Erario .
- Art. 40-120 CCII – Concordato preventivo: classi e votazione, concordato in continuità vs liquidatorio, cram-down interclassi (art.112 CCII) , trattamento credito erariale dissenziente (art. 48 CCII) .
- Art. 18 CCII – Misure protettive nella composizione negoziata (sospensione azioni esecutive) e obblighi dell’esperto (segnalazione abuso) .
- Art. 25-sexies CCII – Concordato semplificato per la liquidazione: ammissibilità dopo composizione negoziata fallita.
- Art. 270-283 CCII – Procedure di sovraindebitamento ed esdebitazione: esdebitazione di diritto del debitore incapiente .
- Legge Fallimentare (R.D. 267/1942, per aspetti ancora applicabili in via transitoria):
- Art. 67 L.F. – Revocatoria fallimentare (atti a titolo gratuito 2 anni, pagamenti preferenziali 6 mesi ecc.) .
- Art. 182-bis, 182-ter, 182-septies L.F. (ante 2022) – Accordi di ristrutturazione, transazione fiscale, accordi ad efficacia estesa per banche (citate per continuità interpretativa col CCII).
- Art. 160-186 L.F. – Concordato preventivo (vecchia soglia 20% chirografi, non più vigente ma sentenze pre-2022 facevano riferimento).
- Decreto Legge 118/2021 (conv. L.147/2021) – Istituzione composizione negoziata e concordato semplificato.
- Decreto Ministeriale 28/09/2021 (Min. Giustizia) e Decreto Dirigenziale 21/03/2023 – Linee guida e check-list per composizione negoziata .
- Codice di Procedura Civile:
- Art. 495 c.p.c. – Conversione del pignoramento: deposito ≥1/6 debito e rate fino 48 mesi (come da modifica D.L. 83/2015).
- Art. 560-569 c.p.c. – Vendita forzata immobili e limiti (DPR 602/1973 per esecuzioni tributarie: es. impignorabilità prima casa debito < €120k) .
- Art. 645 c.p.c. – Opposizione a decreto ingiuntivo (40 gg).
- Normativa Fiscale e Contributiva:
- DPR 602/1973 art. 19 – Rateazione cartelle esattoriali (come modificato da D.Lgs. 110/2024): soglia 120k, fino 120 rate ; decadenza piani dopo 8 rate dal 2022 .
- D.Lgs. 74/2000 – Reati tributari: art. 10-bis (omesso versamento ritenute > €150k), art. 10-ter (omesso versamento IVA > €250k) ; soglie confermate e termini modificati da D.Lgs. 75/2020 e D.Lgs. 87/2024 .
- Cass. Penale n. 12378/2020 – afferma che rateizzazione in corso esclude dolo nel reato omesso versamento IVA (principio poi normativizzato).
- Legge 296/2006 art.1 co. 544 – Omesso versamento contributi previdenziali sopra soglia €10k (depenalizzato per quota datoriale, reato per quota dipendente).
- Giurisprudenza di legittimità e merito:
- Cassazione Civile, Sez. I, ord. n. 23963/2025: responsabilità amministratori di SRL per atti pregiudizievoli in conflitto di interessi – dovere di diligenza e lealtà verso società .
- Cassazione Sezioni Unite n. 41994/2021: Nullità parziale delle fideiussioni omnibus conformi schema ABI 2003 – clausole di reviviscenza, decadenza 1957 c.c. e nullità per violazione antitrust . Confermata da Trib. Roma 18.2.2022 n.2659 e Trib. Brescia 29.7.2022 n.2050 (nullità non estesa a fideiussioni specifiche).
- Cass. Civ., Sez. I, 18/11/2025 n. 30412: in tema sovraindebitamento consumatore – erede con beneficio non può proporre piano per debiti del de cuius (indicativo su interpretazioni meritevolezza).
- Tribunale Torino, 17/07/2025: Concordato preventivo in continuità – cram-down fiscale ex art.112 CCII: omologazione nonostante dissenso Erario, se trattamento non deteriore rispetto creditori subordinati e conforme a priorità relativa (art.84 c.6 CCII) .
- Tribunale Milano, 25/01/2022: Provvedimento cautelare ordine esibizione moduli ABI in causa fideiussioni (a riprova della collusione bancaria) .
- Corte d’Appello di Milano 2022: (richiamata in dottrina) su convenienza concordato vs fallimento e ruolo cram-down erario (applicazione direttiva UE).
- Tribunale Cosenza, 09/07/2025: Concordato in continuità – attestazione tardiva da parte di professionista iscritto sanabile se identica a bozza già presentata, non comporta inammissibilità .
- Corte Costituzionale 6/2021: sul rinvio Codice Crisi e misure transitorie (non direttamente rilevante per contenuti, ma contesto).
- Fonti Istituzionali e Dottrina:
- Unioncamere – Osservatorio Composizione Negoziata (edizioni I-VIII, 2022-2025): dati su numero istanze, % accordi conclusi, best practices .
- Ministero della Giustizia – Relazione illustrativa D.Lgs. 83/2022 e D.Lgs.136/2024 (correttivi Codice Crisi): motivazioni introdotte su allerta precoce, estensione composizione anche con istanza fallimento pendente , novità transazione fiscale e ruolo professionisti .
- Relazione Commissione Rordorf (2017) – Principi ispiratori riforma insolvenza: favorire continuità, evitare abusi procedure, fresh start debitore onesto.
- Circolari Agenzia Entrate-Riscossione 2023-2025 su nuove rateizzazioni (in attuazione D.Lgs.110/2024) .
- Assonime – Guida al Codice della Crisi aggiornata 2024: approfondimenti su modifiche correttivo ter (allerta interna potenziata, maggior accesso negoziata) .
La tua azienda che progetta, produce, installa o distribuisce pavimenti industriali ESD, pavimentazioni antistatiche, pavimenti conduttivi, rivestimenti per camere bianche, pavimenti per elettronica e laboratori, resine ESD, vinilici epossidici conduttivi, sistemi di messa a terra e soluzioni per industrie hi-tech, farmaceutiche, elettronica, automotive e logistiche si trova oggi in difficoltà a causa dei debiti? Fatti Aiutare da Studio Monardo
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Ricevi solleciti, richieste di rientro, decreti ingiuntivi, sospensioni delle forniture o minacce di pignoramento da parte di banche, Fisco, INPS, fornitori di resine e materiali ESD o Agenzia Entrate-Riscossione?
Il settore dei pavimenti ESD è altamente tecnico e molto costoso: resine speciali, materiali conduttivi certificati, normative severe, manodopera specializzata, test di resistenza elettrica, commesse complesse e pagamenti spesso dilazionati. Bastano pochi mesi di tensione finanziaria per cadere in crisi.
La buona notizia? La tua azienda può essere salvata, se intervieni subito e con un piano chiaro.
Perché un’Azienda di Pavimenti Industriali ESD va in Debito
- aumento dei costi di resine ESD, materiali conduttivi, inerti epossidici, primer
- pagamenti lenti da parte di industrie elettroniche, farmaceutiche e contractor
- magazzino immobilizzato tra materiali ESD, primer, epossidici, messa a terra e attrezzature
- costi elevati di posa, test, certificazioni e controlli qualità
- cantieri variabili per meteo, modifiche e ritardi del committente
- riduzione o revoca delle linee di credito bancarie
Il vero problema non è la mancanza di commesse, ma la mancanza di liquidità immediata.
I Rischi se Non Intervieni Subito
- pignoramento del conto corrente aziendale
- blocco dei fidi bancari
- sospensione delle forniture di resine, materiali conduttivi e attrezzature
- atti esecutivi, decreti ingiuntivi, precetti
- sequestro di materiali, resine, macchinari e strumenti necessari alla posa
- impossibilità di completare cantieri e rispettare contratti
- perdita di clienti strategici nei settori elettronico e farmaceutico
Cosa Fare Subito per Difendersi
1. Bloccare immediatamente i creditori
Un avvocato specializzato può:
- sospendere pignoramenti in corso
- bloccare richieste di rientro
- proteggere conti correnti e flussi di cassa
- fermare le iniziative dell’Agenzia Riscossione
Prima si mette al sicuro l’azienda, poi si costruisce la strategia di risanamento.
2. Analizzare i debiti ed eliminare quelli non dovuti
Spesso emergono irregolarità come:
- interessi non dovuti
- sanzioni errate o gonfiate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori nelle cartelle esattoriali
- commissioni bancarie anomale
Una parte consistente del debito può essere ridotta o cancellata.
3. Ristrutturare i debiti con un piano sostenibile
Soluzioni realistiche:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi con fornitori strategici (resine, materiali ESD, attrezzature)
- rinegoziazione dei fidi bancari
- sospensioni temporanee dei pagamenti
- accesso alle definizioni agevolate
4. Usare strumenti legali potentissimi che bloccano TUTTI i creditori
Nelle crisi più avanzate si può accedere a:
- PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
- Accordi di ristrutturazione
- Concordato minore
- (nei casi più estremi) Liquidazione controllata
Questi strumenti consentono all’azienda di continuare a lavorare pagando solo una parte dei debiti, bloccando completamente ogni aggressione dei creditori.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per salvare un’azienda che opera in un settore tecnico come quello delle pavimentazioni ESD servono competenze elevate.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012) – negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Un profilo ideale per bloccare creditori, ristrutturare debiti e salvare aziende specializzate in pavimenti ESD, dove precisione e continuità sono essenziali.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della tua esposizione debitoria
- blocco urgente di pignoramenti e decreti ingiuntivi
- riduzione dei debiti non dovuti
- ristrutturazione del debito su misura
- protezione di materiali, resine, attrezzature e cantieri
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela totale dell’azienda e dell’amministratore
Conclusione
Avere debiti nella tua azienda di pavimenti industriali ESD non significa essere destinato alla chiusura.
Con una strategia rapida, professionale e completamente legale, puoi:
- fermare subito i creditori,
- ridurre realmente i debiti,
- salvare cantieri, approvvigionamenti e continuità operativa,
- proteggere il futuro della tua impresa.
Agisci adesso.
📞 Contatta subito l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
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